leopardi: Grice: “While
there is a philosophical griceianism, seeing that my theories were stolen by
non-philosophers, there is ‘leopardismo filosofico,’ seeing that he wasn’t
one!” -- essential Italian philosopher, and founder of a whole movement,
‘leopardismo.’ Il
conte Giacomo Leopardi, al battesimo Giacomo Taldegardo Francesco di Sales
Saverio Pietro Leopardi (Recanati), filosofo. È ritenuto il maggior poeta dell'Ottocento
italiano e una delle più importanti figure della letteratura mondiale, nonché
una delle principali del romanticismo letterario; la profondità della sua
riflessione sull'esistenza e sulla condizione umanadi ispirazione sensista e
materialistane fa anche un filosofo di spessore. La straordinaria qualità
lirica della sua poesia lo ha reso un protagonista centrale nel panorama
letterario e culturale europeo e internazionale, con ricadute che vanno molto
oltre la sua epoca. Leopardi, intellettuale dalla vastissima cultura,
inizialmente sostenitore del classicismo, ispirato alle opere dell'antichità
greco-romana, ammirata tramite le letture e le traduzioni di Mosco, Lucrezio,
Epitteto, Luciano ed altri, approdò al Romanticismo dopo la scoperta dei poeti
romantici europei, quali Byron, Shelley, Chateaubriand, Foscolo, divenendone un
esponente principale, pur non volendo mai definirsi romantico. Le sue posizioni
materialistederivate principalmente dall'Illuminismosi formarono invece sulla
lettura di filosofi come il barone d'Holbach, Pietro Verri e Condillac, a cui
egli unisce però il proprio pessimismo, originariamente probabile effetto di
una grave patologia che lo affliggeva ma sviluppatesi successivamente in un
compiuto sistema filosofico e poetico. Morì nel 1837 poco prima di compiere 39
anni, di edema polmonare o scompenso cardiaco, durante la grande epidemia di
colera di Napoli. Il dibattito sull'opera leopardiana a partire dal
Novecento, specialmente in relazione al pensiero esistenzialista fra gli anni
trenta e cinquanta, ha portato gli esegeti ad approfondire l'analisi filosofica
dei contenuti e significati dei suoi testi. Per quanto resi specialmente nelle
opere in prosa, essi trovano precise corrispondenze a livello lirico in una
linea unitaria di atteggiamento esistenziale. Riflessione filosofica ed empito
poetico fanno sì che Leopardi, al pari di Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche
e più tardi di Kafka, possa essere visto come un esistenzialista o almeno un
precursore dell'Esistenzialismo. Giacomo Leopardi nacque nel 1798 a Recanati,
nello Stato pontificio (oggi in provincia di Macerata, nelle Marche), da una
delle più nobili famiglie del paese, primo di dieci figli. Quelli che
arrivarono all'età adulta furono, oltre a Giacomo, Carlo (1799-1878), Paolina
(1800-1869), Luigi (1804-1828) e Pierfrancesco (1813-1851). I genitori erano
cugini fra di loro. Il padre, il conte Monaldo, figlio del conte Giacomo e
della marchesa Virginia Mosca di Pesaro, era uomo amante degli studi e d'idee
reazionarie; la madre, la marchesa Adelaide Antici, era una donna energica,
molto religiosa fino alla superstizione, legata alle convenzioni sociali e ad
un concetto profondo di dignità della famiglia, motivo di sofferenza per il
giovane Giacomo che non ricevette tutto l'affetto di cui sentiva il bisogno.
In conseguenza di alcune speculazioni azzardate fatte dal marito, la marchesa
prese in mano un patrimonio familiare fortemente indebitato, riuscendo a
rimetterlo in sesto solo grazie a una rigida economia domestica. La rigidità
della madre, contrastante con la tenerezza del padre, i sacrifici economici e i
pregiudizi nobiliari pesarono sul giovane Giacomo. Fino al termine
dell'infanzia Giacomo crebbe comunque allegro, giocando volentieri con i suoi
fratelli, soprattutto con Carlo e Paolina che erano più vicini a lui d'età e
che amava intrattenere con racconti ricchi di fervida fantasia. La
formazione giovanile La casa natale Ricevette la prima educazione, come
da tradizione familiare, da due precettori ecclesiastici, il gesuita don
Giuseppe Torres fino al 1808 e l'abate don Sebastiano Sanchini fino al 1812,
che influirono sulla sua prima formazione con metodi improntati alla scuola
gesuitica. Tali metodi erano incentrati non solo sullo studio del latino, della
teologia e della filosofia, ma anche su una formazione scientifica di buon
livello contenutistico e metodologico. Nel Museo leopardiano a Recanati è
conservato, infatti, il frontespizio di un trattatello sulla chimica, composto
insieme al fratello Carlo. I momenti significativi delle sue attività di studio,
che si svolgono all'interno del nucleo familiare, sono da rintracciare nei
saggi finali, nei componimenti letterari da donare al padre in occasione delle
feste natalizie, la stesura di quaderni molto ordinati ed accurati e qualche
composizione di carattere religioso da recitare in occasione della riunione
della Congregazione dei nobili. Il ruolo avuto dai precettori non impedì,
comunque, al giovane Leopardi di intraprendere un suo personale percorso di
studi avvalendosi della biblioteca paterna molto fornita (oltre ventimila
volumi) e di altre biblioteche recanatesi, come quella degli Antici, dei
Roberti e probabilmente da quella di Giuseppe Antonio Vogel, esule in Italia in
seguito alla Rivoluzione francese e giunto a Recanati tra il 1806 e il 1809 come
membro onorario della cattedrale della cittadina. Nel 1809 il giovane Giacomo
compone il sonetto intitolato La morte di Ettore che, come lui stesso scrive
nell'Indice delle produzioni di me Giacomo Leopardi dall'anno 1809 in poi, è da
considerarsi la sua prima composizione poetica. Da questi anni ha inizio la
produzione di tutti quegli scritti chiamati "puerili".[25] La
produzione dei "puerili" Puerili e abbozzi vari Il corpus delle
opere cosiddette "puerili"[26] dimostra come il giovane Leopardi
sapesse scrivere in latino fin dall'età di nove-dieci anni e padroneggiare i
metodi di versificazione italiana in voga nel Settecento, come la metrica
barbara di Fantoni, oltre ad avere una passione per le burle in versi dirette
al precettore e ai fratelli.[27] Nel 1810 iniziò lo studio della
filosofia e due anni dopo, come sintesi della sua formazione giovanile, scrisse
le Dissertazioni filosofiche che riguardano argomenti di logica, filosofia,
morale, fisica teorica e sperimentale (astronomia, gravitazione, idrodinamica,
teoria dell'elettricità, eccetera). Tra queste è nota la Dissertazione sopra
l'anima delle bestie. Nel 1812, con la presentazione pubblica del suo saggio di
studi che discusse davanti ad esaminatori di vari ordini religiosi ed al
vescovo, si può far concludere il periodo della sua prima formazione che è
soprattutto di tipo sei-settecentesco ed evidenzia l'amore per l'erudizione
oltre che uno spiccato gusto arcadico[28]. Dal 1809 al 1816 Leopardi si
immerse totalmente in uno "studio matto e disperatissimo"[29][30],
espressione da lui stesso coniata, che assorbì tutte le sue energie e che recò
gravi danni alla sua salute. Apprese perfettamente il latino (sebbene si
considerasse sempre "poco inclinato a tradurre" da questa lingua in italiano[31])
e, senza l'aiuto di maestri, il greco. Seppure in modo più sommario apprese
anche altre lingue: l'ebraico[32], il francese[33], l'inglese, lo spagnolo e il
tedesco (nello Zibaldone si trovano inoltre cenni ad altre lingue antiche, come
il sanscrito[34][35]). Nel frattempo, nel 1812 cessa la formazione dell'abate
Sanchini, il quale ritenne inutile continuare la formazione del giovane che ne
sapeva ormai più di lui. Risalgono a questi anni la Storia dell'astronomia del
1813, il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi del 1815, diversi
discorsi su scrittori classici, alcune traduzioni poetiche, alcuni versi e tre
tragedie, mai rappresentate durante la sua vita, La virtù indiana, Pompeo in
Egitto e Maria Antonietta (rimasta incompiuta).[36] Per quanto riguarda
la compilazione della Storia dell'astronomia Leopardi si avvalse di numerose
fonti: il testo di base fu sicuramente la Storia dell’astronomia di Bailly,
ridotta in compendio dal signor Francesco Milizia, a partire dalle Histoires
del celebre astronomo francese Jean Sylvain Bailly.[37] L'opera, pubblicata nel
1791, terminava con la scoperta del pianeta Urano da parte di Herschel. Invece
il lavoro di Leopardi presenta ulteriori aggiornamenti, come ad esempio la
scoperta di Cerere, Pallade, Giunone e della cometa del 1811.[37] Per
l'elaborazione del suo testo, Leopardi fece uso, anche, dell’Abrégé
d’astronomie di Jérôme Lalande (presente nella biblioteca di casa Leopardi
nell’edizione del 1775), del Dictionnaire de Physique di Aimé-Henri Paulian[38]
e delle storie di matematica inserite nel Tacquet e nel Wolff. Inoltre Leopardi
adoperò diverse opere generali come la Storia della letteratura italiana di
Girolamo Tiraboschi, gli Scrittori d’Italia di Mazzuchelli e varie raccolte
biografiche di alcuni ordini religiosi: Wadding per i francescani, Quétif e
Échard per i domenicani e così via. L'elenco di questi testi dimostra
l’erudizione raggiunta dal giovane Leopardi.[37] Nella Storia
dell'astronomia Leopardi lasciò anche trasparire i limiti del suo interesse per
la matematica. Nulla, probabilmente sapeva a proposito dei logaritmi (ai quali
invece il Bailly-Milizia aveva dedicato due pagine illustratrici), e
sull'argomento si limitò a scrivere che «Enrico Briggs (...) avendo udita la
invenzione de’ logaritmi fatta da Giovanni Neper» aveva pubblicato un’opera al
riguardo. Probabilmente infatti Leopardi non studiò mai i logaritmi, così come
si arrestò alla geometria cartesiana e al calcolo differenziale.[37]
Iniziò nello stesso periodo anche le prime pubblicazioni e lavorò alle
traduzioni dal latino e dal greco, dimostrando sempre di più il suo interesse
per l'attività filologica. Sono questi anche gli anni dedicati alle traduzioni
dal latino e dal greco, corredate di discorsi introduttivi e di note, tra i
quali gli Scherzi epigrammatici, tradotti dal greco del 1814 e pubblicati in
occasione delle nozze Santacroce-Torre dalla Tipografia Frattini di Reca 1816,
la Batracomiomachia nel 1815 e pubblicata su «Lo Spettatore italiano» il 30
novembre 1816, gli idilli di Mosco, il Saggio di traduzioni dell'Odissea, la
Traduzione del libro secondo dell'Eneide, il Moretum (un poemetto
pseudo-virgiliano), e la Titanomachia di Esiodo, pubblicata su «Lo Spettatore
italiano» il 1º giugno 1817.[39] La conversione letteraria: dall'erudizione
al bello Tra il 1815 e il 1816 si avverte in Leopardi un forte cambiamento,
frutto di una profonda crisi spirituale, che lo porterà ad abbandonare
l'erudizione per dedicarsi alla poesia. Egli si rivolge, pertanto, ai classici
non più come ad arido materiale adatto a considerazioni filologiche, ma come a
modelli di poesia da studiare. Seguiranno le letture di autori moderni come
Alfieri, Parini,[40] Foscolo e Vincenzo Monti, che serviranno a maturare la sua
sensibilità romantica.[41] Ben presto egli legge I dolori del giovane Werther
di Goethe, le opere di Chateaubriand, di Byron, di Madame de Staël. In questo
modo Leopardi inizia a liberarsi dall'educazione paterna accademica e sterile,
a rendersi conto della ristrettezza della cultura recanatese ed a porre le basi
per liberarsi dai condizionamenti familiari. Appartengono a questo periodo
alcune poesie significative come Le Rimembranze, L'Appressamento della morte e
l'Inno a Nettuno, nonché la celebre e non pubblicata Lettera ai compilatori
della Biblioteca Italiana, indirizzata nel luglio 1816 ai redattori della
rivista milanese, in risposta alla lettera Sulla maniera e utilità delle
traduzioni di Madame de Staël, apparsa sul primo numero, nel gennaio dello
stesso anno.[42] Destinato dal padre alla carriera ecclesiastica per la sua
fragile salute, rifiuterà di intraprendere questa strada.Nel 1815-1816 Leopardi
fu colpito da alcuni seri problemi fisici di tipo reumatico e disagi
psicologici che egli attribuì almeno in partecome la presunta scoliosiall'eccessivo
studio, isolamento ed immobilità in posizioni scomode delle lunghe giornate
passate nella biblioteca di Monaldo.[43] La malattia esordì con affezione
polmonare e febbre e in seguito gli causò la deviazione della spina dorsale (da
cui la doppia "gobba"), con dolore e conseguenti problemi cardiaci,
circolatori, gastrointestinali (forse colite ulcerosa o malattia di Crohn) e
respiratori (asma e tosse), una crescita stentata, problemi neurologici alle
gambe (debolezza, parestesia con freddo intenso[44]), alle braccia ed alla
vista, disturbi disparati e stanchezza continua; nel 1816 Leopardi era convinto
di essere sul punto di morire.[45] Il marchese Filippo Solari di Loreto
scrive poco dopo a Monaldo Leopardi: «L'ho lasciato sano e dritto, lo trovo dopo
cinque anni consunto e scontorto, con avanti e dietro qualcosa di veramente
orribile.» Egli stesso si ispira a questi seri problemi di salute, di cui
parlerà anche a Pietro Giordani, per la lunga cantica L'appressamento della
morte[46][47][48] e, anni dopo, per Le ricordanze, in cui ripensa a questo e
definisce la sua malattia come un "cieco malor", cioè un male di non
chiara origine, che gli fa pensare al suicidio assieme all'angusto ambiente:
«Mi sedetti colà su la fontana / Pensoso di cessar dentro quell'acque / La
speme e il dolor mio. Poscia, per cieco / Malor, condotto della vita in forse,
/ Piansi la bella giovanezza, e il fiore / De' miei poveri dì, che sì per tempo
/ Cadeva...[49]» L'ipotesi più accreditata per lungo tempo (diffusa già nel
XIX secolo e sostenuta da medici di Recanati e da Pietro Citati) è che Leopardi
soffrisse della malattia di Pott (gli studiosi scartano la diagnosi dell'epoca,
più volte riproposta anche nel Novecento, di una normale scoliosi dell'età
evolutiva)[50], cioè tubercolosi ossea o spondilite tubercolare[51], oppure
dalla spondilite anchilosante giovanile (secondo Erik P. Sganzerla), una
sindrome reumatica autoimmune che porta a una progressiva ossificazione dei
legamenti vertebrali con deformazione e rigidità del rachide, uniti ad ampi
disturbi infiammatori sistemici, oculari e neurologici-compressivi[52] in casi
gravi[53][54][55], il tutto unitamente a problemi nervosi. Alcune di queste
sindromi hanno predisposizione genetica, derivabile dal matrimonio tra consanguinei
dei genitori. Tutti i fratelli Leopardi furono deboli di salute, con
l'eccezione di Carlo, forse però sterile, e Paolina, la quale presentava solo
una leggera asimmetria del viso.[56] Pietro Citati afferma che avesse anche dei
disturbi urinari e di probabile impotenza, e sarebbero stati questi, più che
l'aspetto fisico (a cui poteva ovviare essendo un nobile benestante) la causa
del suo rapporto difficile con le donne e la sessualità.[57] Nel decennio
seguente l'apparire dei disturbi, alcuni medici fiorentini, come altri medici
consultati in gioventù, a parte la deformità fisica asserirannoprobabilmente in
maniera erroneache numerosi disturbi del Leopardi erano dovuti a neurastenia di
origine psicologica (sempre in questo periodo comincia a soffrire di crisi
depressive che taluni attribuiscono all'impatto psicologico della malattia
fisica), come lui stesso a tratti sostenne, anche contro il parere di numerosi
dottori.[58][59][60][61] «Ma io non aveva appena vent’anni, quando da
quella infermità di nervi e di viscere, che privandomi della mia vita, non mi
dà speranza della morte, quel mio solo bene mi fu ridotto a meno che a mezzo;
poi, due anni prima dei trenta, mi è stato tolto del tutto, e credo oramai per
sempre.» (Lettera dedicatoria dei Canti, agli amici di Toscana, 1831)
Secondo il neurologo Sganzerla, propositore della tesi sulla spondilite al
posto della tubercolosi, Leopardi non mostrava invece alcun segno di vera
depressione psicotica, sfatando il mito sostenuto da Citati e dai lombrosiani
come Patrizi e Sergi.[54] Queste patologie comunque, se non
condizionarono il suo pensiero in maniera diretta (come ribadito spesso da
Leopardi), influenzarono comunque il suo pessimismo filosofico e lo spinsero a
indagare le cause della sofferenza umana e il significato della vita da una
prospettiva originale, divenendo, come affermato dal critico Sebastiano
Timpanaro, "un formidabile strumento conoscitivo". Magnifying
glass icon mgx2.svg Pensiero e poetica di Giacomo Leopardi § La malattia come
strumento conoscitivo. La conversione filosofica: dal bello al vero Dopo il
primo passo verso il distacco dall'ambiente giovanile e con la maturazione di
una nuova ideologia e sensibilità che lo portò a scoprire il bello in senso non
arcaico, ma neoclassico, si annuncia nel 1819 quel passaggio dalla poesia di
immaginazione degli antichi alla poesia sentimentale che il poeta definì
l'unica ricca di riflessioni e convincimenti filosofici.[62] I mutamenti
profondi del 1817 e la "teoria del piacere" Busto di Giacomo
Leopardi op. 1 o delle "Rimembranze", uno dei due busti del poeta di
Michele Tripisciano, esposto nel museo Tripisciano di Caltanissetta Il 1817 fu
per Leopardi, che giunto alle soglie dei diciannove anni aveva avvertito, in
tutta la sua intensità, il peso dei suoi mali e della condizione infelice che
ne derivava, un anno decisivo che determinò nel suo animo profondi mutamenti.
Consapevole ormai del suo desiderio di gloria ed insofferente dell'angusto
confine in cui, fino a quel momento, era stato costretto a vivere, sentì
l'urgente desiderio di uscire, in qualche modo, dall'ambiente recanatese. Gli
avvenimenti seguenti incideranno sulla sua vita e sulla sua attività
intellettuale in modo determinante.[63] In questo periodo è anche la
prima formulazione della "teoria del piacere", una concezione
filosofica postulata da Leopardi nel corso della sua vita. La maggior parte
della teorizzazione di tale concezione è contenuta nello Zibaldone, in cui il
poeta cerca di esporre in modo organico la sua visione delle passioni umane. Il
lavoro di sviluppo del pensiero leopardiano in questi termini avviene dal 12 al
25 luglio 1820[64]. Sempre nel 1817 egli scrisse al classicista Pietro
Giordani che aveva letto la traduzione leopardiana del II libro dell'Eneide e,
avendo compreso la grandezza del giovane, lo aveva incoraggiato. Ebbero inizio
così una fitta corrispondenza ed un rapporto di amicizia che durerà nel
tempo.[65] In una delle prime lettere scritte al nuovo amico, datata 30 aprile
1817, il giovane Leopardi sfogherà il suo malessere non con atteggiamento
remissivo, ma polemico ed aggressivo: «Mi ritengono un ragazzo, e i più
ci aggiungono i titoli di saccentuzzo, di filosofo, di eremita, e che so io. Di
maniera che s'io m'arrischio di confortare chicchessia a comprare un libro, o
mi risponde con una risata, o mi si mette in sul serio e mi dice che non è più
quel tempo [...] Unico divertimento in Recanati è lo studio: unico divertimento
è quello che mi ammazza: tutto il resto è noia» Egli vuole uscire da quel
"centro dell'inciviltà e dell'ignoranza europea" perché sa che al di
fuori c'è quella vita alla quale egli si è preparato ad inserirsi con impegno e
con studio profondo.[65] Nell'estate 1817 fissa le prime osservazioni
all'interno di un diario di pensiero che prenderà poi il nome di Zibaldone, in
dicembre si innamorerà della cugina, provando per la prima volta il sentimento
d'amore. Pietro Giordani riconosce l'abilità di scrittura di Leopardi e lo
incita a dedicarsi alla scrittura; inoltre lo presenta all'ambiente del
periodico «Biblioteca Italiana» e lo fa partecipare al dibattito culturale tra
classicisti e romantici. Leopardi difende la cultura classica e ringrazia Dio
di aver incontrato Giordani che reputa l'unica persona che riesce a
comprenderlo.[65] Il primo amore «Oimè, se quest'è amor, com'ei
travaglia!» (Il primo amore, v.3) Geltrude Cassi Lazzari con i
figli, illustrazione di Giuseppe Chiarini per la Vita di Giacomo Leopardi
(1905) Nel luglio del 1817 il Leopardi iniziò a compilare lo Zibaldone, nel
quale registrerà fino al 1832 le sue riflessioni, le note filologiche e gli
spunti di opere. Lesse la vita di Alfieri e compilò il sonetto "Letta la
vita scritta da esso" che toccava i temi della gloria e della fama.[66]
Alla fine del 1817 un altro avvenimento lo colpì profondamente: l'incontro, nel
dicembre dello stesso anno, con Geltrude Cassi Lazzari, una cugina di Monaldo,
che fu ospite presso la famiglia per alcuni giorni e per la quale provò un
amore inespresso. Scrisse in questa occasione il "Diario del primo
amore" e l'"Elegia I" che verrà in seguito inclusa nei
"Canti" con il titolo "Il primo amore".[65][67] Una
presa di posizione anti-romantica Fra il 1816 e il 1818 la posizione di
Leopardi verso il Romanticismo, che stava suscitando in quegli anni forti
polemiche ed aveva ispirato la pubblicazione del Conciliatore, va maturando e
se ne possono avvertire le tracce in numerosi passi dello Zibaldone ed in due
saggi, la Lettera ai Sigg. compilatori della "Biblioteca italiana",
scritta nel 1816 in risposta a quella di Madama la baronessa di Staël, ed il
Discorso di un italiano attorno alla poesia romantica, scritto in risposta alle
Osservazioni di Di Breme sul Giaurro di Byron[68]. Le due opere mostrano
l'avversione, sul piano più strettamente concettuale, al Romanticismo. La
posizione di Leopardi rimane fondamentalmente montiana e neoclassica. Tuttavia,
come si vedrà, quello che professava sulla pagina critica si rivelerà, poi,
profondamente diverso dai risultati ottenuti nella poesia dove i temi e lo
spirito saranno, invece, perfettamente in sintonia con la mentalità
romantica.[65][69] Aveva, intanto, scritto le due canzoni ispirate a
motivi patriottici All'Italia e Sopra il monumento di Dante che stanno ad
attestare il suo spirito liberale e la sua adesione a quel tipo di letteratura
di impegno civile che aveva appreso dal Giordani.[65] Il suo materialismo
ateo si pone in contrapposizione al Romanticismo cattolico predominante, dal
quale lo separavano notevolmente anche il suo rifiuto di ogni speranza di progresso
nella conquista della libertà politica e dell'unità nazionale, la sua mancanza
di interesse per una visione storicistica del passato e per le esigenze di
popolarità e di realismo nei contenuti e nella lingua.[70] La prima fase
dell'ideologia leopardiana «E il naufragar m'è dolce in questo mare.»
(Giacomo Leopardi, L'infinito, v.15) Nel 1819 si riacutizzarono i problemi agli
occhi.[71] Tra il luglio e l'agosto progettò la fuga e cercò di procurarsi un
passaporto per il Lombardo-Veneto, da un amico di famiglia, il conte Saverio
Broglio d'Ajano, ma il padre lo venne a sapere e il progetto di fuga fallì.[72]
Fu nei mesi di depressione che seguirono che il Leopardi elaborò le prime basi
della sua filosofia e, riflettendo sulla vanità delle speranze e l'ineluttabilità
del dolore, scoprì la nullità delle cose e del dolore stesso. Iniziò intanto la
composizione di quei canti che verranno in seguito pubblicati con il titolo di
Idilli e scrisse L'infinito, La sera del dì di festa, Alla luna
(originariamente, i titoli di queste ultime erano La sera del giorno festivo e
La ricordanza), La vita solitaria, Il sogno, Lo spavento notturno. Sono i
cosiddetti "primi idilli" o "piccoli idilli". Qui
confluirono i rimpianti per la giovinezza perduta e la presa di coscienza
dell'impossibilità di essere felici.[73]. Nell'autunno del 1822 ottenne
dai genitori il permesso di recarsi a Roma, dove rimase dal novembre all'aprile
dell'anno successivo, ospite dello zio materno, Carlo Antici. A Leopardi Roma
apparve squallida e modesta[74] al confronto con l'immagine idealizzata che
egli si era figurata studiando i classici. Lo colpirono la corruzione della
Curia e l'alto numero di prostitute che gli fece abbandonare l'immagine
idealizzata della donna, come scrive in una lettera al fratello Carlo del 6
dicembre.[75] Rimase invece entusiasta della tomba di Torquato Tasso, al
quale si sentiva accomunato dall'innata infelicità (verso il Tasso, che renderà
protagonista di una delle Operette morali, sarà debitore a livello stilistico e
nella scelta di alcuni nomi più famosi dei suoi componimenti, come Nerina e
Silvia,[76] tratti dall'Aminta).[77] Nell'ambiente culturale romano
Leopardi visse isolato e frequentò solamente studiosi stranieri, tra cui i
filologi Christian Bunsen (poi ministro del regno di Prussia e fondatore
dell'Istituto di Archeologia a Roma) e Barthold Niebuhr; quest'ultimo si
interessò per farlo entrare nella carriera dell'amministrazione pontificia, ma
Leopardi rifiutò. Nell'aprile del 1823 Leopardi ritornò a Recanati dopo aver
constatato che il mondo al di fuori di esso non era quello sperato. Tornato a
Recanati, Leopardi si dedicò alle canzoni di contenuto filosofico o dottrinale
e, tra il gennaio e il novembre del 1824, compose buona parte delle Operette
morali.[78] Lontano da Recanati: Milano, Bologna, Firenze, Pisa Nel 1825
il poeta, invitato dall'editore Antonio Fortunato Stella, si recò a Milano con
l'incarico di dirigere l'edizione completa delle opere di Cicerone ed altre
edizioni di classici latini e italiani. A Milano, però, egli non rimase a lungo
perché il clima gli era dannoso alla salute e l'ambiente culturale, troppo
polarizzato intorno al Monti, gli recava noia.[79] Ritratto di
Leopardi a metà degli anni '30, da alcuni indicato come una realistica proto-fotografia,
probabilmente una riproduzione in eliografia (o altri tipi) di un'incisione; in
alternativa realizzata con la tecnica della camera oscura da artista: tramite
bulino oppure immagine fissata secondo il metodo di Joseph Nicéphore Niépce
(sali d'argento o bitume e lunga esposizione).[80] Recanati, casa Leopardi.
Decise, così, di trasferirsi a Bologna dove visse (al numero 33 di via Santo
Stefano), tranne una breve permanenza a Recal'inverno del 1827, sino al giugno
di quello stesso anno mantenendosi con l'assegno mensile dello Stella e dando
lezioni private. Nell'ambiente bolognese Leopardi conobbe il conte Carlo
Pepoli, patriota e letterato, al quale dedicò un'epistola in versi intitolata
Al conte Carlo Pepoli che lesse il 28 marzo 1826 nell'Accademia dei
Felsinei.[81] Nell'autunno iniziò a compilare, per ordine di Stella, una
"Crestomazia", antologia di prosatori italiani dal Trecento al
Settecento che venne pubblicata nel 1827 alla quale fece seguito, l'anno
successivo, una "Crestomazia" poetica. A Bologna conobbe anche la
contessa Teresa Carniani Malvezzi, della quale si innamorò senza essere
corrisposto. Leopardi frequentò i Malvezzi per quasi un anno, ma poi la donna
lo allontanò spinta anche dal marito, mal tollerante del fatto che il poeta si trattenesse
con la moglie fino alla mezzanotte.[82] Leopardi si sfoga in una lettera ad un
corrispondente, usando parole molto dure verso di lei.[83] Uscivano intanto
presso Stella le sue Operette morali. Frequentò anche la casa del medico
Giacomo Tommasini e strinse amicizia con la moglie Antonietta, patriota, e la
figlia Adelaide (coniugata Maestri), sue ammiratrici,[84][85] con la famiglia
Brighenti e la cantante modenese Rosa Simonazzi Padovani.[86]
Leopardi in un ritratto postumo del 1845 (olio su tavola), commissionato
da Antonio Ranieri nel 1842 al giovane pittore Domenico Morelli sulla base
della maschera mortuaria[87], del ritratto di Leopardi sul letto di morte di
Angelini e delle descrizioni fisiche fatte da Ranieri, da Paolina, sorella di
quest'ultimo; Morelli vi lavorò per molto tempo, a causa delle insistenze di
Ranieri sui particolari, ma alla fine il quadro venne ritenuto, dal Ranieri
stesso e da altri testimoni, come il più fedele e realistico dei ritratti di
Leopardi, con l'aspetto che aveva verso la fine della sua vita, soprattutto nei
tratti del volto, oltre che il vestiario e l'acconciatura che portava negli
anni napoletani; i critici hanno però argomentato che sia un ritratto comunque
"idealizzato", in quanto Morelli (quattordicenne nel 1837) non vide
mai Leopardi dal vivo, ma solo nella maschera mortuaria in gesso e nei ritratti
eseguiti da altri.[88] Nel giugno dello stesso anno si trasferì a Firenze, dove
conobbe il gruppo di letterati appartenenti al circolo Vieusseux tra i quali Gino
Capponi,[89] Giovanni Battista Niccolini (amico e corrispondente di Ugo Foscolo
allora esiliato a Londra[90]), Pietro Colletta, Niccolò Tommaseo ed anche il
Manzoni, che si trovava a Firenze per rivedere dal punto di vista linguistico i
suoi Promessi Sposi. Divenne amico particolarmente del Colletta, ma fu in buoni
rapporti anche con Capponi e Manzoni, sebbene quest'ultimo non condividesse le
idee di Leopardi. Fu invece conflittuale il rapporto col Tommaseo, cattolico
liberale, ma fortemente avverso al razionalismo ed al materialismo, il quale
giunse a provare una forte avversione per Leopardi, attaccandolo ripetutamente
su vari giornali (anche se riconosceva l'abilità stilistica nella prosa);
Tommaseo arrivò a denigrare Leopardi per il suo aspetto fisico (cosa che farà,
però solo in lettere private rivolte ad altri, anche il Capponi stesso irritato
per la Palinodia[91]).[77][92] Leopardi risponderà nel 1836 con un epigramma
diretto contro Tommaseo, oltre che nell'ottava strofa della detta Palinodia. Al
marchese Gino Capponi (1835).[93] [94] Nel novembre del 1827 si recò a
Pisa, dove rimase fino alla metà del 1828. Qui strinse un'affettuosa amicizia
con la giovane cognata del padrone del pensionato, Teresa Lucignani
(1807-1897), a cui dedicò una breve lirica rimasta a lungo inedita.[95] Grazie
all'inverno mite, la sua salute migliorò e Leopardi tornò alla poesia, che
taceva dal 1823 (con l'eccezione della poco riuscita epistola in versi Al conte
Carlo Pepoli e del Coro di lo studio di Federico Ruysch contenuto nel Dialogo
di Federico Ruysch e delle sue mummie delle Operette morali); compose la
canzonetta in strofe metastasiane Il Risorgimento e il canto A Silvia (figura
forse ispirata, secondo i critici che si basano su appunti dello Zibaldone e
dichiarazioni del fratello Carlo[96], alla figlia del cocchiere di Monaldo,
morta giovane, Teresa Fattorini), inaugurando il periodo creativo detto dei
Canti "pisano-recanatesi", chiamati anche "grandi idilli",
in cui il poeta si cimenta nella cosiddetta canzone libera o leopardiana, il
cui primo sperimentatore era stato Alessandro Guidi, dalla cui lettura ne era
venuto a conoscenza.[97] «Vaghe stelle dell'orsa, io non credea tornare
ancor per uso a contemplarvi» (Le ricordanze, vv.1-2) Il periodo di
benessere era finito ed il poeta, colpito nuovamente dalle sofferenze e
dall'aggravarsi del disturbo agli occhi, fu costretto a sciogliere il contratto
con Stella[98] e già durante l'estate del '28 si recò a Firenze nella speranza
di riuscire a vivere in modo indipendente. Chiese aiuto ad alcuni amici:
Tommasini,il più bello, gli propose una cattedra di Mineralogia e Zoologia a
Milano, ma il compenso era troppo basso e la materia poco consona alle
conoscenze di Leopardi; Bunsen gli offrì la possibilità di una cattedra a Bonn
o Berlino, ma il poeta dovette subito declinare l'invito, poiché il clima
tedesco era troppo rigido e freddo per la sua salute malferma. Leopardi allora
progettò di mantenersi con un lavoro qualsiasi, ma le sue condizioni di salute
non gli permisero nemmeno questo e fu quindi costretto a ritornare a Recanati,
dove rimase fino al 1830. In questi «sedici mesi di notte orribile»[99]
Leopardi si dedicò nuovamente alla poesia e scrisse alcune delle sue liriche
più importanti, tra cui Le ricordanze (la cui ultima parte è dedicata ad una
giovane recanatese morta poco prima, Maria Belardinelli, da Leopardi chiamata
Nerina), La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, Il passero
solitario (forse su un abbozzo giovanile) e il Canto notturno di un pastore errante
dell'Asia.[100] Queste poesie, a lungo denominate dai critici "grandi
idilli" o anche "secondi idilli", sono ora conosciute, insieme
ad A Silvia anche come "canti pisano-recanatesi".[101] In questo
periodo l'insofferenza per la sua città natale, da lui definita "natio
borgo selvaggio"[102], aumenta, proporzionalmente all'avversione per i
recanatesi (gente zotica, vil), che lo ritenevano un intellettuale
superbo[103], tanto che anche i ragazzini del paese, secondo testimonianze
postume, cantavano in sua presenza canzoncine denigranti del tipo: "Gobbus
esto / fammi un canestro, / fammelo cupo / gobbo fottuto".[104] A
Firenze dal 1830 al 1833 «Perì l'inganno estremo, ch'eterno io mi
credei.» (A se stesso, vv.2-3) Fanny Targioni Tozzetti Intanto,
nell'aprile del 1830, il Colletta, al quale il poeta scriveva della sua vita
infelice, gli offrì, grazie ad una sottoscrizione degli "amici di
Toscana",[105] l'opportunità di tornare a Firenze, dove il 27 dicembre
1831 fu eletto socio dell'Accademia della Crusca[106]. Per mantenersi accettò
la sottoscrizione e progettò un giornale che avrebbe curato quasi da solo, Lo
spettatore fiorentino, ma che non realizzerà a causa della burocrazia e del
timore della censura. Nello stesso 1831 a Firenze curò un'edizione dei "Canti",
partecipò ai convegni dei liberali fiorentini e strinse infine una salda
amicizia col giovane esule napoletano Antonio Ranieri, futuro senatore del
Regno d'Italia, che durerà fino alla morte. Nel 1831, grazie alla fama di
personalità liberale, fu eletto deputato dell'assemblea del governo provvisorio
di Bologna (sorto dai moti del 1831), su designazione del Pubblico Consiglio di
Recanati, ma non fa in tempo ad accettare la nomina (peraltro mai richiesta)
che gli austriaci restaurano il governo pontificio. I genitori decidono infine
di concedergli un modesto assegno mensile che gli permette di sopravvivere;
Leopardi accetta ma, reputandolo umiliante, decide di non tornare mai più a
Recanati.[107] Risale sempre a questo periodo la forte passione amorosa per
Fanny Targioni Tozzetti (terzo e ultimo amore secondo i biografi, dopo la Cassi
Lazzari e la Malvezzi), moglie del medico fiorentino Antonio Targioni Tozzetti
e forse amante di Ranieri, conclusasi in una delusione, che gli ispirò il
cosiddetto "ciclo di Aspasia", una raccolta di poesie scritte tra il
1831 e il 1835 e che contiene: Il pensiero dominante, Amore e morte, Consalvo
(in cui l'amore è visto ancora positivamente), la drammatica e scarna A se
stesso e Aspasia. In questa raccolta si manifestò il Leopardi più disilluso e
disperato, orfano anche di quella tristezza nostalgica degli Idilli, nella
perdita dell'ultima illusione che gli era rimasta, quella dell'amore (l'inganno
estremo).[108] Aspasia, seppur piena di rancore e sarcasmo contro Fanny, è considerata
l'unica poesia d'amore (seppur per un amore ormai finito) scritta per una donna
che egli frequentò realmente e intimamente, anche se solo in maniera romantica
e intellettiva (per parte di lui; lei lo descrisse sempre come un amico e dopo
la morte come una persona "disgraziata" a cui non voleva dare alcuna
illusione); tuttavia nei primi versi, contenenti la descrizione fisica e
caratteriale della Targioni, presentata come una "donna fatale", si
nota anche una tensione erotica molto rara in Leopardi, il quale ribadisce
ripetutamente il fascino esteriore esercitato dalla nobildonna.[109][110][111]
L'identificazione della donna con l'Aspasia poetica è data, più che dalle
lettere di Leopardi, dalle affermazioni di Ranieri nei Sette anni di sodalizio
e da alcune lettere tra lui e la Targioni Tozzetti. Tuttavia, se Aspasia
accenna anche a toni polemici e misogini, in cui Leopardi si dice felice di
essersi perlomeno liberato della dipendenza affettiva verso l'amica, che
descrive quasi come un servilismo morale di cui si vergogna, un
"giogo" ormai spezzato[112], in una lettera a Fanny dei primi tempi
si scorgono invece le riflessioni sull'amore e la morte del periodo, che
trovano l'esatta corrispondenza con alcuni versi di Consalvo e con Amore e
morte: «E pure certamente l'amore e la morte sono le sole cose belle che ha il
mondo, e le sole solissime degne di essere desiderate. Pensiamo, se l'amore fa
l'uomo infelice, che faranno le altre cose che non sono né belle né degne
dell'uomo. Ranieri da Bologna mi aveva chiesto più volte le vostre nuove: gli
spedii la vostra letterina subito ierlaltro. Addio, bella e graziosa Fanny.
Appena ardisco pregarvi di comandarmi, sapendo che non posso nulla. Ma se, come
si dice, il desiderio e la volontà danno valore, potete stimarmi attissimo ad
ubbidirvi. Ricordatemi alle bambine, e credetemi sempre vostro.» (Lettera
da Roma, 6 agosto 1832) «Due cose belle ha il mondo: / amore e morte. All'una
il ciel mi guida / in sul fior dell'età; nell'altro, assai / fortunato mi tengo.»
(Consalvo, vv. 102) Lo spostamento del Consalvo nei Canti molto precedenti al
ciclo, avvenuto dall'edizione napoletana, ha fatto pensare che il personaggio
di Elvira sia ispirato anche a Teresa Carniani Malvezzi e non solo a
Fanny.[113][114] Per circa 4 anni frequenta molto spesso casa Targioni,
cercando di avvicinarsi alla padrona di casa procurandole moltissimi autografi
di scrittori e personaggi famosi, che lei collezionava. In questo periodo
Leopardi diviene amico anche della contessa Carlotta Lenzoni de' Medici di
Ottajano, affascinata dalla grandezza intellettuale del poeta e conosciuta nel
1827, ma poi se ne allontanò.[115] Secondo un'opinione minoritaria, la donna
descritta negativamente come Aspasia sarebbe stata la Lenzoni.[116]
Nell'autunno del 1831 si recò a Roma con Ranieri per ritornare a Firenze nel
1832 e nel corso di questo anno scrisse i due ultimi dialoghi delle
"Operette", Il Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un
passeggere e il Dialogo di Tristano e di un amico.[117] Continuò a corrispondere
epistolarmente per un periodo con la Targioni Tozzetti, seppure in maniera più
fredda e distaccata. Gli anni a Napoli (1833-1837) Quando Ranieri tornò a
Napoli, tra i due iniziò una fitta corrispondenza che ha fatto a taluni
ritenere che tra Leopardi e Ranieri vi fosse un rapporto
amoroso.[118][119][120][121][122][123] Pietro Citati però precisa che si
sarebbe trattato di un semplice e intenso affetto "platonico" assai
diffuso nel XIX secolo, senza traccia di omosessualità, come quello rivolto a
suo tempo al Giordani.[124] In una di queste lettere il poeta scrive a
Ranieri: Antonio Ranieri, tra gli anni '40 e '60 «Ranieri mio, tu
non mi abbandonerai però mai, né ti raffredderai nell'amarmi. Io non voglio che
tu ti sacrifichi per me, anzi desidero ardentemente che tu provvegga prima
d'ogni cosa al tuo benessere; ma qualunque partito tu pigli, tu disporrai le
cose in modo che noi viviamo l'uno per l'altro, o almeno io per te, sola ed
ultima mia speranza. Addio, anima mia. Ti stringo al mio cuore, che in ogni
evento possibile e non possibile, sarà eternamente tuo.[125]» Nel
settembre del 1833 Leopardi, dopo aver ottenuto il modesto assegno dalla
famiglia, partì per Napoli con Ranieri sperando che il clima mite di quella
città potesse giovare alla sua salute. Sugli anni a Napoli, Antonio Ranieri
dichiarò: «Quivi Leopardi, mentre che io, lasciatone il mio antico letto,
dormiva in una camera non mia (cosa che, nelle consuetudini del paese, massime
in quei tempi, toccava quasi lo scandalo), per dormire accanto a lui, ebbe, una
notte, la strana allucinazione, che la signora di casa avesse fatto disegno
sopra una sua cassetta, nella quale egli non riponeva mai altro che non
nettissimi arnesi da ravviare i capelli, e le cesoie [...][126]» Pare infatti
che la padrona di casa volesse cacciarli, per timore che Leopardi fosse
portatore di tubercolosi polmonare infettiva e lui stesso sosteneva, invece,
che la donna volesse rubargli oggetti di sua proprietà, mentre Ranieri credeva
che soffrisse di paranoie, e non ci faceva caso.[127] Nell'aprile 1834
Leopardi ricevette visita da August von Platen, che nel suo diario
scrisse: (DE) «Leopardi ist klein und bucklicht, sein Gesicht bleich und
leidend [...] er den Tag zur Nacht macht und umgekehrt [...] führt er allerdings
ein trauriges Leben. Bei näherer Bekanntschaft verschwindet jedoch alles [...]
die Feinheit seiner klassischen Bildung und das Gemütliche seines Wesens nehmen
für ihn ein.[128]» «Leopardi è piccolo e gobbo, il viso ha pallido e
sofferente [...] fa del giorno notte e viceversa[129] [...] conduce una delle
più miserevoli vite che si possano immaginare. Tuttavia, conoscendolo più da
vicino [...] la finezza della sua educazione classica e la cordialità del suo
fare dispongon l'animo in suo favore.[130]» Busto del poeta
presente a Villa Doria d'Angri Intanto le Operette morali subirono una nuova
censura da parte delle autorità borboniche, a cui seguirà la messa all'Indice
dei libri proibiti dopo la censura pontificia, a causa delle idee materialiste
esposte in alcuni "dialoghi". Leopardi così ne parlava in una lettera
a Luigi De Sinner: «La mia filosofia è dispiaciuta ai preti, i quali e qui e in
tutto il mondo, sotto un nome o sotto un altro, possono ancora e potranno
eternamente tutto».[131]. Durante gli anni trascorsi a Napoli si dedicò
alla stesura dei Pensieri, che raccolse probabilmente tra il 1831 e il 1835
riprendendo molti appunti già scritti nello Zibaldone, e riprese i Paralipomeni
della Batracomiomachia che, iniziati nel 1831, aveva interrotto. A quest'ultima
opera lavorò, assistito dal Ranieri, fino agli ultimi giorni di vita. Di
quest'opera incompiuta, in ottave, ampiamente influenzata sia dallo pseudo
Omero della Batracomiomachia, (che già Leopardi aveva tradotta in gioventù, e
di cui continua la trama) che dal poema Gli animali parlanti di Giovanni
Battista Casti, rimane autografo il solo primo canto. Ranieri affermò sempre
che gli altri, di sua mano, furono scritti sotto dettatura del Leopardi. Le
ultime ottave sarebbero state dettate da Leopardi morente poco dopo aver
terminato l'ultima poesia, Il tramonto della luna. Qualche dubbio può nascere,
se si pensa che Ranieri investì soldi dopo la morte del poeta per farli
pubblicare come autentici, con poco successo finanziario. Nel 1836, quando a
Napoli scoppiò l'epidemia di colera, Leopardi si recò con Ranieri e la sorella
di questi, Paolina, nella Villa Ferrigni a Torre del Greco, dove rimase
dall'estate di quell'anno al febbraio del 1837 e dove scrisse La ginestra o il
fiore del deserto.[132] Paolina Ranieri assisterà, personalmente e con profondo
affetto, Leopardi nei suoi ultimi anni, all'aggravamento delle sue condizioni
fisiche.[133][134] Paolina (1817-1878) fu «l'unica donna che lo amò, sebbene si
trattasse di un amore fraterno».[135] A Napoli Leopardi lavora
incessantemente, nonostante la salute in peggioramento, componendo varie
liriche e satire; non segue le raccomandazioni dei medici, e conduce una vita
abbastanza sregolata per una persona dalla salute fragile come la sua: dorme di
giorno, si alza al pomeriggio e sta sveglio la notte, mangia molti dolci
(particolarmente sorbetti e gelati), talvolta frequenta la mensa pubblica
(anche durante il periodo del colera) e beve moltissimi caffè.[136][137]
La morte Leopardi sul letto di morte, 1837, ritratto a matita di Tito
Angelini, anch'esso simile alla maschera mortuaria e quindi molto realistico e
verosimile In Campania egli compose gli ultimi Canti La ginestra o il fiore del
deserto (il suo testamento poetico, nel quale si coglie l'invocazione ad una
fraterna solidarietà contro l'oppressione della natura) e Il tramonto della
luna (compiuto solo poche ore prima di morire). Progettava anche di tornare a
Recanati, per vedere il padre, o partire per la Francia.[138] Leopardi aveva
infatti intenzione di riconciliarsi umanamente col padre di persona (il tono
delle lettere a Monaldo diventa molto affettuoso negli ultimi tempi, dal
formale e nobiliare "signor padre" e al voi delle lettere giovanili
passa all'incipit "carissimo papà" e al tu). In questo periodo
cominciò ad ignorare le prescrizioni, pensando che non potesse comunque
decidere il suo destino. In una lettera al conte Leopardi, una delle ultime di
Giacomo, il poeta avverte la morte come imminente e spera che avvenga, non
sopportando più i suoi mali.[139] Nel febbraio del 1837 ritornò a Napoli
con Ranieri e la sorella, ma le sue condizioni si aggravarono verso maggio,
anche se non in modo tale da far sospettare ai medici o a Ranieri il reale
stato di salute. Il 14 giugno di quell'anno, Leopardi si sentì male al
termine di un pranzo (che abitualmente consumava all'inconsueto orario delle
17); quel mattino, aveva mangiato circa un chilo e mezzo di confetti cannellini
comprati da Paolina Ranieri in occasione dell'onomastico di Antonio e bevuto
una cioccolata, poi una minestra calda e una limonata (o granita fredda) verso
sera.[140] Fu colpito da malore poco prima di partire per Villa Carafa
d'Andria Ferrigni, come era stato programmato, e nonostante l'intervento del
medico l'asma peggiorò e poche ore dopo il poeta morì.[141] Secondo la
testimonianza di Antonio Ranieri, Leopardi si spense alle ore 21 fra le sue
braccia. Le sue ultime parole furono "Addio, Totonno, non veggo più
luce".[142][143] La morte fu dichiarata all'ufficio dello stato civile
il giorno successivo da Giuseppe e Lucio Ranieri, i quali fecero registrare
l'indirizzo del decesso (vico Pero 2, nel territorio della parrocchia della SS.
Annunziata a Fonseca) e indicarono che il fatto era avvenuto "alle ore
venti".[144] Tre giorni dopo il decesso, Antonio Ranieri pubblicò un
necrologio sul giornale Il Progresso.[145] La morte del poeta è stata
analizzata da studiosi di medicina già a partire dall'inizio del XX secolo.
Molte sono state le ipotesi, dalla più accreditata, pericardite acuta con
conseguente scompenso, oppure scompenso cardiorespiratorio dovuto a cuore
polmonare e cardiomiopatia, seguite a problemi polmonari e reumatici cronici, a
quelle più fantasiose[146], fino al colera stesso.[147][148][149] Nessuna delle
tesi alternative, tuttavia, è riuscita a smentire il referto ufficiale, diffuso
dall'amico Antonio Ranieri: idropisia polmonare ("idropisia di cuore"
o idropericardio[150]), il che è comunque verosimile, dati i suoi problemi
respiratori, dovuti alla deformazione della colonna vertebrale[151]; è anche
possibile che l'edema fosse una delle conseguenze dei problemi cronici di cui
soffriva, e che la causa principale fosse un problema cardiaco, forse
accelerata da una forma fulminante di colera che avrebbe ucciso il debilitato
Leopardi (che notoriamente soffriva di disturbi cronici all'apparato
gastrointestinale, i quali potevano mascherare la gastroenterite colerosa) in
poche ore.[152][153][154] Leopardi era morto all'età di quasi 39 anni, in
un periodo in cui il colera stava colpendo la città di Napoli. Grazie ad
Antonio Ranieri, che fece interessare della questione il ministro di Polizia,
le sue spogliequesta la versione accettata dalla maggioranza dei biografinon
furono gettate in una fossa comune, come le severe norme igieniche richiedevano
a causa dell'epidemia, ma inumate nella cripta e poi, dopo una breve
riesumazione alla presenza di Ranieri che volle anche aprire la cassa (1844),
nell'atrio della chiesa di San Vitale Martire (oggi Chiesa del Buon Pastore),
sulla via di Pozzuoli presso Fuorigrotta. La lapide, spostata poi con la tomba,
fu dettata da Pietro Giordani: «Al conte Giacomo Leopardi recanatese
filologo ammirato fuori d'Italia scrittore di filosofia e di poesie altissimo
da paragonare solamente coi greci che finì di XXXIX anni la vita per continue
malattie miserissima fece Antonio Ranieri per sette anni fino all'estrema ora
congiunto all'amico adorato MDCCCXXXVII [155]» Il ministro avrebbe
accettato la richiesta del Ranieri solo dopo che un chirurgo, non il medico
curante Mannella, ebbe eseguita una sorta di sommaria autopsia per poter
dichiarare che la morte non fu dovuta a colera. In realtà fin dall'inizio il
racconto di Ranieri era apparso pieno di contraddizioni e molti furono i dubbi
che avvolsero quanto egli aveva dichiarato, anche perché le sue versioni furono
molte e diverse a seconda dell'interlocutore, facendo sospettare che il corpo
del poeta fosse finito nelle fosse comuni del cimitero delle Fontanelle, o in
quello dei colerosi (o nell'attiguo cimitero delle 366 Fosse), destinati in
quel periodo ai morti per colera o per altre cause, come attesta il registro
delle sepolture della chiesa della SS. Annunziata a Fonseca di Napoli
(riportante la dicitura "cimitero dei colerosi" e "sepolto
id."[156]) o addirittura occultate nella casa di vico Pero[157], e che
Ranieri avesse inscenato, per un motivo recondito, un funerale a bara vuota,
con la partecipazione dei suoi fratelli, del chirurgo e di un parroco
compiacente a cui avrebbe regalato dei pesci freschi. La lapide
originale, traslata nel parco Vergiliano Comunque, Ranieri continuò ad
affermare che le ossa erano nell'atrio della chiesa di S. Vitale e che il
certificato d'inumazione fosse un falso redatto dal parroco su richiesta del
ministro di Polizia, onde aggirare la legge sulle sepolture in tempo di
epidemia. Nel 1898 avvenne una prima ricognizione; secondo il senatore
Mariotti, smentito da altri, durante i lavori di restauro di alcuni anni prima,
un muratore ruppe inavvertitamente la cassa, danneggiata dalla troppa umidità,
frantumando le ossa e provocando la perdita di parte dei resti contenuti, forse
gettati nell'ossario comune o addirittura con i calcinacci, mescolando i resti
con altre ossa.[158][159] La tomba di Leopardi (Parco Vergiliano a Piedigrotta
o Parco della Tomba di Virgilio, Napoli) Il 21 luglio 1900, alla presenza dei
rappresentanti regi e del comune di Napoli, venne effettuata la ricognizione
ufficiale delle spoglie del recanatese e nella cassa (in realtà un mobile
adattato allo scopo clandestino dai fratelli Ranieri), troppo piccola per
contenere lo scheletro di un uomo con doppia gibbosità, vennero rinvenuti
soltanto frammenti d'ossa (tra cui residui delle costole, delle vertebre
recanti segni di deformità, e un femore sinistro intero, forse troppo lungo per
una persona di bassa statura, e un altro femore a pezzi), una tavola di legno
(con cui gli operai avevano tentato di riparare il danno alla cassa), una
scarpa col tacco e alcuni stracci, mentre nessuna traccia vi era del cranio e
del resto dello scheletro, per cui in seguito si arrivò anche a formulare la
teoria di un suo trafugamento da parte di studiosi lombrosiani di frenologia
amici del Ranieri[160][161]. Nonostante i dubbi, la questione venne ben
presto chiusa; secondo l'incaricato professor Zuccarelli, era plausibile che
quelli fossero parte dei resti di Leopardi. Il medico parla esplicitamente di
aver rinvenuto una parte di rachide e una di sterno entrambe deviate. Alcuni,
pur pensando ad un'effettiva morte per colera, credettero comunque che Ranieri
fosse riuscito davvero nell'intento di salvare il corpo dalla fossa comune
corrompendo, se non il ministro, perlomeno dei funzionari incaricati. La scarpa
ritrovata, o quello che ne rimaneva, venne poi acquistata dal tenore Beniamino
Gigli, concittadino di Leopardi, e donata alla città di
Recanati.[158][162][163] Dopo vari tentativi di traslare i presunti resti
a Recanati o a Firenze nella basilica di Santa Croce accanto a quelli di grandi
italiani del passato, nel 1939 la cassa, per volontà di Benito Mussolini[163]
che esaudì una richiesta dell'Accademia d'Italia, venne con regio decreto di
Vittorio Emanuele III che ne stabiliva l'identificazione, riesumata di nuovo e
spostata al Parco Vergiliano a Piedigrotta (altrimenti detto Parco della tomba
di Virgilio) nel quartiere Mergellinail luogo fu dichiarato monumento
nazionaledove tuttora sorge appunto il secondo sepolcro del poeta, eretto
quello stesso anno; nei pressi venne traslata anche la lapide originale, mentre
parte del monumento venne portata a Recanati. Questa versione è quella
sostenuta ufficialmente dal Centro Nazionale Studi Leopardiani.[164] Nel
2004 venne anche chiesta (da parte dello studioso leonardiano Silvano Vinceti,
che si è occupato anche della riesumazione e identificazione dei resti di
Caravaggio, Boiardo, Pico della Mirandola e Monna Lisa) la terza riesumazione,
onde verificare se quei pochi resti fossero davvero di Leopardi tramite l'esame
del DNA e del mtDNA, comparato con quello degli attuali eredi dei conti
Leopardi (Vanni Leopardi e la figlia Olimpia, discendenti diretti del fratello
minore del poeta Pierfrancesco) e dei marchesi Antici, ma la richiesta fu
respinta, sia dalla Soprintendenza sia dalla famiglia Leopardi (tramite la
contessa Anna del Pero-Leopardi, vedova del conte Pierfrancesco
"Franco" Leopardi e madre di Vanni).[163] La posizione
ufficiale della famiglia Leopardi (esplicitata dal 1898 in poi[158]) e della
Fondazione Casa Leopardi da loro presieduta (presidente fino al conte Vanni Leopardi) è invece che i resti
nel parco Vergiliano non siano comunque del poeta e Ranieri abbia mentito, che
il corpo si trovi alle Fontanelle e che quindi la riesumazione sia inutile,
occorrendo altresì rispettare la tomba-cenotafio lì situata.[165] Un altro
membro della famiglia, chiamato anche lui Pierfrancesco, si è invece detto
disponibile nel .[159] Tale esame non è stato finora autorizzato. «Cantare
il dolore fu per lui rimedio al dolore, cantare la disperazione salvezza dalla
disperazione, cantare l'infelicità fu per lui, e non per gioco di parole,
l'unica felicità. [...] In quei canti veramente divini il Leopardi trasformò
l'angoscia in contemplativa dolcezza, il lamento in musica soave, il rimpianto
dei giorni morti in visioni di splendore.» (Giovanni Papini, Felicità di
Giacomo Leopardi (1939)[167]) Il pensiero di Leopardi è caratterizzato,
attraverso le fasi del suo pessimismo, dall'ambivalenza tra l'aspetto
lirico-ascetico della sua poetica, che lo spinge a credere nelle «illusioni» e
lusinghe della natura, e la razionalità speculativo-teorica presente nelle sue
riflessioni filosofiche, che invece considera vane quelle illusioni, negando ad
esse qualunque contenuto ontologico.[168] La contraddizione tra anelito
alla vita e disillusione, tra sentimento e ragione, tra «filosofia del sì» e
«filosofia del no»,[169] era del resto ben presente allo stesso Leopardi, il
quale, secondo Karl Vossler,[170] si adoperò costantemente per ricomporle, non
rassegnandosi mai allo scetticismo, convinto che la vera filosofia dovesse in
ogni caso mantenere i legami con l'immaginazione e la poesia.[171] Come ha
rilevato De Sanctis: «[Leopardi] non crede al progresso, e te lo fa
desiderare; non crede alla libertà, e te la fa amare. Chiama illusioni l'amore,
la gloria, la virtù, e te ne accende in petto un desiderio inesausto. [...] È
scettico e ti fa credente; e mentre non crede possibile un avvenire men triste
per la patria comune, ti desta in seno un vivo amore per quella e t'infiamma a
nobili fatti.» (Francesco De Sanctis, Schopenhauer e Leopardi,
(1858)[172]) Luoghi leopardiani A Recanati Targa della piazzuola del
Sabato del Villaggio Palazzo Leopardi: è la casa natale del poeta. Tuttora il
palazzo è abitato dai discendenti e aperto al pubblico. Esso venne ristrutturato
nelle forme attuali dall'architetto Carlo Orazio Leopardi verso la metà del
XVIII secolo. L'ambiente più suggestivo è senza dubbio la biblioteca, che
custodisce oltre 20.000 volumi, tra cui incunaboli ed antichi volumi, raccolti
dal padre del poeta, Monaldo Leopardi. Piazzuola del Sabato del Villaggio:
sulla quale si affaccia Palazzo Leopardi. Ivi si trova la casa di Silvia e la
chiesa di Santa Maria in Montemorello (XVI secolo), nel cui fonte battesimale
fu battezzato Giacomo Leopardi nel 1798. Colle dell'Infinito: è la sommità del
Monte Tabor da cui si domina un panorama vastissimo verso le montagne e che
ispirò l'omonima poesia composta dal poeta a soli 21 anni. All'interno del
parco si trova il Centro Mondiale della Poesia e della Cultura, sede di convegni,
seminari, conferenze e manifestazioni culturali. Il Colle dell'Infinito è
diventato un Bene del Fai aperto a tutti.
Palazzo Antici-Mattei: casa della madre di Leopardi, Adelaide Antici
Mattei, edificio dalle linee semplici ed eleganti con iscrizioni in latino.
Torre del Passero Solitario: nel cortile del chiostro di Sant'Agostino è
visibile la torre, decapitata da un fulmine e resa celebre dalla poesia Il
passero solitario. Chiesa di San Leopardo (XIX secolo): venne fatta edificare
dalla famiglia Leopardi insieme e nei pressi della villa affidando la
progettazione all'architetto Gaetano Koch. La cripta, a cui si accede
esternamente, è la tomba gentilizia della famiglia Leopardi. Chiesa di Santa
Maria di Varano (XV secolo): costruita nel 1450 per i Minori Osservanti insieme
al Convento annesso, dal 1873, cacciati i frati e abbattuti due lati del
convento, l'orto divenne quello che ancora è il civico cimitero di Recanati. Vi
si conserva ancora il pozzo di San Giacomo della Marca ed affreschi nelle lunette
del portico. All'interno è la tomba di famiglia dei Leopardi ove sono sepolti
Monaldo e Paolina[173][174] Altrove Spoleto, Albergo della Posta (corso
Garibaldi), 17 novembre 1822. Palazzo Antici Mattei (Roma, via Michelangelo
Caetani), dove fu ospite dal 23 novembre 1822 alla fine d'aprile 1823. Roma,
tomba del Tasso in Sant'Onofrio al Gianicolo, "uno dei posti più belli
della terra, in mezzo agli aranci e ai lecci". Bologna
("ospitalissima"), convento di San Francesco (piazza Malpighi), primo
soggiorno bolognese (17-26 luglio 1825). Casa dell'editore Anton Fortunato
Stella (1757-1833), vicino al Teatro alla Scala a Milano ("veramente
insociale") (30 luglio-26 novembre 1825). Casa Badini (29 settembre-3
novembre 1826), vicino al teatro del Corso (oggi via Santo Stefano, 33) a
Bologna ("tutto è bello, e niente magnifico"). Locanda della Pace,
via del Corso, a Bologna (26 aprile-20 giugno 1827). Ravenna ("qui si vive
quietissimi"), ospite del marchese Antonio Cavalli (agosto 1826). Firenze,
"sporchissima e fetidissima città", Locanda della Fonte, nei pressi
del mercato del grano e di Palazzo Vecchio (21 giugno 1827 e giorni
successivi). Targa sull'ultimo domicilio di Leopardi a Napoli Casa delle
sorelle Busdraghi, via del Fosso (oggi via Verdi), Firenze (giugno-novembre
1827). Palazzo Buondelmonti, abitazione di Giovan Pietro Vieusseux, a Firenze.
Pisa ("una beatitudine"), via Fagiuoli (casa Soderini), 9 novembre
1827-8 giugno 1828. Il Lungarno pisano ("spettacolo così ampio, così
magnifico, così gaio, così ridente, che innamora"). "Una certa strada
deliziosa" da lui battezzata "Via delle Rimembranze", dove va a
passeggiare a Pisa (lettera a Paolina Leopardi del 25 febbraio 1828). Levane,
Camucia e Perugia, novembre 1828, di passaggio. Roma ("città oziosa, dissipata,
senza metodo"), via dei Condotti 81 ("spendo qui un abisso"),
con Antonio Ranieri, da ottobre 1831 a marzo 1832. Napoli, piazza Ferdinando;
poi Strada nuova di Santa Maria Ognibene (casa Cammarota); poi vico Pero (tre
appartamenti affittati con Ranieri e la sorella di lui Paolina). Villa
Ferrigni, detta villa delle Ginestre, a Torre del Greco, alle pendici dello
"sterminator Vesevo".[175] Opere Magnifying glass icon mgx2.svg
Opere di Giacomo Leopardi. Copertina della prima edizione dello Zibaldone
di pensieri Opere in prosa Epistolario Di Giacomo Leopardi ci sono rimaste
oltre novecento lettere, composte nell'arco di una vita e indirizzate a circa
cento destinatari, tra amici e familiari (soprattutto al padre e al fratello
Carlo). L'intero corpus epistolare di Leopardi è raccolto dall'Epistolario, che
malgrado le origini si può leggere come un'opera autonoma: questa raccolta di
prose private, infatti, costituisce un fondamentale documento non solo per
seguire le vicende biografiche del poeta, ma anche per comprendere l'evoluzione
del suo pensiero, dei suoi stati d'animo e delle sue riflessioni
culturali.[176] Gli interventi nel dibattito classico-romantico Nel 1816
il giovane Leopardi prese parte all'acceso dibattito culturale innescato dalla pubblicazione
del saggio Sulla maniera e utilità delle traduzioni di Madame de Staël: questa
polemica vide schierarsi da una parte i difensori del classicismo, quali Pietro
Giordani, e dall'altra i sostenitori della nuova poetica romantica.
Leopardi, amico del Giordani, si allineò alle tesi classiciste, mettendo per
iscritto il proprio pensiero nella Lettera ai compositori della Biblioteca
italiana (1816) e nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica,
rimasti entrambi inediti sino al 1906. Nella prima Leopardi, pur riconoscendo
la bontà dell'intervento dell'autrice ginevrina, assume una posizione contraria
alle istanze della lettera, nella quale si invitava il popolo italiano ad
aprirsi alle nuove letterature europee. Secondo il poeta di Recanati, infatti,
si tratta di un «vanissimo consiglio», essendo la letteratura italiana quella
più vicina alle uniche letterature universalmente valide, ovvero quella greca e
quella latina. Nel Discorso, invece, Leopardi approfondì la sua riflessione
poetica in merito al dibattito, introducendo temi che poi diverranno centrali
della poesia leopardiana, come l'opposizione tra i concetti di «natura» e
«civilizzazione».[176] Zibaldone Lo Zibaldone di pensieri è una raccolta
di 4526 pagine autografe compilate dal luglio 1817 al dicembre 1832, nelle
quali Leopardi depositò ragionamenti e brevi scritti sugli argomenti più vari.
Inizialmente l'opera non era dotata dell'organicità di un testo letterario,
essendo semplicemente il frutto di una scrittura immediata, di getto: Leopardi
iniziò a datare i singoli testi solo a partire dal 1820, così da orientarsi
agevolmente nel mare magnum di appunti (da lui definiti un «immenso
scartafaccio»), arrivando perfino a stilare due indici (nel 1824 e nel
1827).[176] Il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'italiani
Il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'italiani, composto a
Recanati tra la primavera e l’estate del 1824 e rimasto inedito fino al 1906, è
un breve trattato filosofico dove Leopardi analizza le peculiarità che
contraddistinguono la società italiana, e le compara con il carattere, la
mentalità e la moralità delle altre nazioni d'Europa. Alla fine dell'opera
Leopardi giunge all'amara conclusione che l'Italia, dilaniata da un esasperato
individualismo, è troppo poco civile per godere dei benefici del progresso
(come in Francia, Germania ed Inghilterra), ma troppo civile per godere dei
benefici dello «stato di natura», come accadeva nelle nazioni meno sviluppate,
quali Portogallo, Spagna e Russia.[177] Operette morali Secondo
manoscritto autografo dell'Infinito Le Operette morali, per usare le parole
dello stesso poeta, sono un «libro di sogni poetici, d’invenzioni e di capricci
malinconici»: è ancora Leopardi a descrivere la propria opera in una lettera del
1826 indirizzata all'editore Stella, sottolineando «quel tuono ironico che
regna in esse» e specificando che Timandro ed Eleandro sono «una specie di
prefazione, ed un’apologia dell’opera contro i filosofi moderni».[178] Le
Operette, oggi considerate la più alta espressione del pensiero leopardiano,
racchiudono l'essenza del pessimismo del poeta, trattando argomenti quali la
condizione esistenziale dell'uomo, la tristezza, la gloria, la morte e
l'indifferenza della Natura.[178] Le opere poetiche I Canti I Canti,
considerati il capolavoro di Leopardi, racchiudono trentasei liriche composte
da Leopardi tra il 1817 e il 1836.[179] Tra i componimenti poetici inclusi nei
Canti ricordiamo Sopra il monumento di Dante, l'Ultimo canto di Saffo, Il
passero solitario, La sera del dì di festa, Alla luna, A Silvia, il Canto
notturno di un pastore errante dell'Asia, Il sabato del villaggio, La ginestra
e infine L'infinito, uno dei testi più rappresentativi della poetica
leopardiana. Le ultime opere Durante gli anni napoletani Leopardi scrisse
due opere, i Paralipomeni della Batracomiomachia e I nuovi credenti. Il primo è
un poemetto in ottave con protagonisti animali: «Paralipomeni», infatti,
significa «continuazione» mentre «Batracomiomachia» è «battaglia dei topi e
delle rane», ovvero un'opera pseudoomerica che Leopardi aveva tradotto in
gioventù. Dietro la finzione comica Leopardi qui stigmatizza il fallimento dei
moti rivoluzionari napoletani del 1820-21: i topi infatti, simboleggiano i
liberali, generosi ma velleitari, mentre le rane sono i conservatori papalini,
che non esitano a chiamare a sé i granchi-austriaci, feroci e
stupidi.[179] I nuovi credenti, invece, sono un capitolo satirico in
terza rima composto nel 1835 dove Leopardi esprime una spietata satira contro
gli esponenti dello spiritualismo napoletano, dei quali condanna la religiosità
di facciata e lo sciocco ottimismo.[179] Parole d'autore A Giacomo
Leopardi si devono numerosi neologismi divenuti patrimonio diffuso (perlomeno
in un linguaggio colto e sorvegliato), come "erompere",
"fratricida", "improbo", "incombere", risalenti
al 1824[180]. Al suo tempo, questa vena creativa di Leopardi non fu apprezzata
e fu oggetto degli strali di un atteggiamento purista che opponeva resistenze
all'adozione, e all'accoglimento nei lessici, di neologismi d'uso forgiati in
epoca successiva all'«aureo Trecento»[180]. In un caso, un frutto della
sua creatività, "procombere", gli guadagnò accuse postume mossegli da
Niccolò Tommaseo[180], coautore del Dizionario della lingua italiana.
Poesia e musica A sé stesso, romanza, versi di Giacomo Leopardi, musica di
Francesco Paolo Frontini, Milano, Edizioni Ricordi, 1885. Coro di morti, versi
di G. Leopardi (dal Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie, Operette
morali), musica di Goffredo Petrassi, per coro e strumenti, 1940-1941 Tre
liriche di Goffredo Petrassi, per baritono e pianoforte, testi di Leopardi,
Foscolo e Montale, 1944. Epistolario Magnifying glass icon mgx2.svg Epistolario
di Giacomo Leopardi. Leopardi nell'immaginario collettivo Il fatto che l'opera
di Leopardi sia stata e sia ogni anno oggetto dello studio di migliaia di
studenti ha determinato (come per Dante) che molte locuzioni delle sue opere
siano divenute d'uso corrente. Fra le principali: studio matto e
disperatissimo ... (in: lettera a Pietro Giordani del 2 marzo 1818 e Zibaldone
di pensieri); passata è la tempesta ... (in: La quiete dopo la tempesta, 1829);
che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai ... (in: Canto notturno di un pastore
errante dell'Asia, 1829-1930); natio borgo selvaggio ... (in: Le ricordanze,
1829); la donzelletta vien dalla campagna ... (in: Il sabato del villaggio,
1829); godi, fanciullo mio; stato soave ... (in: Il sabato del villaggio ,
1829); ...e naufragar m'è dolce in questo mare (in: L'infinito, 1818-1819).
T ra il 1994 e il 1998 il pittore e scultore maceratese Valeriano
Trubbiani realizzò una serie di 12 pirografie sul tema Viaggi e transiti,
dedicata ai viaggi del poeta nelle varie città della penisola: Recanati (2),
Macerata (2), Roma, Bologna, Pisa, Firenze, Milano, Napoli (3). Tali
opere[181] sono esposte nel CARTCentro permanente per la Documentazione
dell'Arte Contemporanea[182] di Falconara Marittima, che conserva anche altre
opere di Trubbiani dedicate a Leopardi: 10 disegni originali realizzati
dal 1971 al 1987 sul tema "Leopardi figurativo", 8 incisioni a
colori, una scultura del 1990 in rame, bronzo e argento con il Poeta pensoso in
osservazione di un gregge di pecore (“Move la greggia oltre pel campo e vede greggi”,
ispirata al Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, 1829-1930),
un'installazione scultorea sulla Batracomiomachia ("battaglia dei topi e
delle rane") ispirata ai Paralipomeni della Batracomiomachia leopardiani
(19311937). L'ispirazione prodotta in Trubbiani dall'opera leopardiana è
raccontata dall'artista nel breve documentario "Le Marche di
Leopardi"[183], patrocinato dalla Regione Marche. Leopardi nella
musica pop italiana Leopardi è citato nella Canzone per Piero di Francesco
Guccini e in Stai bene lì di Renato Zero; i suoi versi sono citati anche nei
titoli di Canto notturno (di un pastore errante dell'aria) e Il cielo capovolto
(ultimo canto di Saffo), entrambe di Roberto Vecchioni. Giorgio Gaber,
nella canzone "Benvenuto il luogo dove", contenuto nell'album
"Gaber" del 1984, dedicata all'Italia, parla della penisola come il
luogo "dove i poeti sono nati tutti a Recanati"[184]. Opere
cinematografiche su Leopardi Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggiere[185]
(1954), cortometraggio di Ermanno Olmi[186][187]; Pisa, donne e Leopardi (),
mediometraggio di Roberto Merlino. Leopardi è interpretato da Orazio Cioffi; Il
giovane favoloso (), film di Mario Martone. Leopardi è interpretato da Elio
Germano[188]. Vari brani del film sono presenti nel programma
televisivo"Leopardi, il rivoluzionario" di Giancarlo Mancini, puntata
della rubrica "Il tempo e la storia"[189]; "Le Marche di
Leopardi"[183], breve documentario diretto da Alessandro Scilitani, patrocinato
dalla Regione Marche. Video in rete su Leopardi "Leopardi, il
rivoluzionario" di Giancarlo Mancini, puntata della rubrica televisiva
"Il tempo e la storia" con Massimo Bernardini e lo storico Lucio
Villari[190]; "Giacomo Leopardi e l`importanza di Recanati", per Rai
Storia, vita e opere di Giacomo Leopardi nel commento del critico teatrale
Guido Davico Bonino. L’attore Umberto Ceriani legge: L'infinito, La sera del dì
di festa, Alla luna, La vita solitaria[191]; "Ecco il vero Colle
dell'Infinito descritto da Giacomo Leopardi"[192]: Francesco Guzzini del
Centro Studi Leopardiani mostra l'itinerario che il Poeta compiva per recarsi
dalla propria abitazione al punto di osservazione del paesaggio che gli ispirò
L'infinito; "Marche, le scoprirai all'infinito", spot turistico della
Regione Marche con il noto attore statunitense Dustin Hoffman che tenta di
recitare in italiano L'infinito. Regia di Giampiero Solari[193]; "A casa
di Giacomo Leopardi", intervista di Pippo Baudo alla contessa Olimpia
Leopardi all'interno del Palazzo Leopardi di Recanati[194]; "Un Leopardi
inedito" raccontato da Novella Bellucci e Franco D'Intino nella puntata di
"Visionari" del 15 giugno , programma televisivo condotto da Corrado
Augias su Rai 3[195]; "L'arte di essere fragilicome Leopardi può salvarti
la vita", intervista allo scrittore Alessandro D'Avenia sul suo omonimo
libro e spettacolo teatrale ()[196]. Inoltre, sono pubblicate in rete numerose
letture/interpretazioni dei principali canti leopardiani da parte dei più
importanti attori italiani. Fra questi si possono ascoltare: Vittorio
Gassman: L'infinito[197], A Silvia[198], La sera del dì di festa[199], Amore e
Morte[200], La quiete dopo la tempesta[201], A se stesso[202]; Carmelo Bene:
L'infinito[203], Passero solitario[204], La ginestra (o Il fiore del
deserto)[205], Alla luna[206], La sera del dì di festa[207], Il sabato del
villaggio[208], Le ricordanze[209], Canto notturno di un pastore errante
dell'Asia[210], Inno ad Arimane[211][212][213], Amore e Morte[214]; Arnoldo
Foà: L'infinito[215], Passero solitario[216], A Silvia[217], Il sabato del
villaggio[218], La sera del dì di festa[219], Canto notturno di un pastore
errante dell'Asia[220], Le ricordanze[221], La ginestra (o Il fiore del
deserto)[222], Il tramonto della luna[223], All'Italia[224], Alla luna[225];
Giorgio Albertazzi: L'infinito[226]; Nando Gazzolo: L'infinito[227]; Gabriele
Lavia: L'infinito[228], Lavia dice Leopardi[229]; Alberto Lupo: Ultimo canto di
Saffo[230]; Elio Germano, nel film Il giovane favoloso di Mario Martone:
L'infinito[231], parte de La ginestra (o Il fiore del deserto)[232], la prima
parte de La sera del dì di festa[233], un brano di Amore e Morte[234], l'ultima
parte di Aspasia[235]. Leopardi "testimonial" della Regione Marche La
Regione Marche, dopo aver più volte utilizzato l'immagine del poeta recanatese
per la promozione turistica del proprio territorio ed anche della propria
offerta enologica, nel 2009 commissionò una discussa campagna pubblicitaria
attraverso un video, per la regia di Giampiero Solari, trasmesso sui principali
canali televisivi italiani ed anche esteri, con protagonista il noto attore
statunitense Dustin Hoffman[236], già conoscitore delle Marche per aver
interpretato nel 1972 ad Ascoli Piceno il film di Pietro Germi "Alfredo,
Alfredo", assieme ad una giovane Stefania Sandrelli. Questa la
descrizione della sceneggiatura dello spot per la promozione della stagione
turistica : «Un uomo legge una delle poesie più note della letteratura
italiano, l’Infinito di Giacomo Leopardi, la cui emozionalità è strettamente
legata alle visioni, alle luci, ai colori della terra marchigiana. L’uomo legge
la poesia camminando, cerca di capire e pronunciare bene la lingua non stando
fermo, dietro una scrivania, ma immergendosi nella terra che ha visto nascere
questo capolavoro; legge, riprova, si arrabbia, vuole assolutamente penetrare
la lingua, il sentimento di questa poesia, l’anima di questa terra e riprova e
riprova. Nel sottofondo le note sublimi del Tancredi di Rossini, che
accompagnano il silenzio di questa meditazione nuova che l’uomo cerca per sé:
l’uomo cerca emozioni, vuole fare un’esperienza nuova, e leggere l’Infinito
nelle Marche che l’hanno generato è un’esperienza nuova, formidabile, ma
difficile e faticosa. Ma ne vale la pena. Provare e alla fine sorridere, la
poesia è mia, le Marche sono la mia meta faticosamente conosciuta, capita e
raggiunta.» (dal comunicato stampa della Regione Marche[237]) Nello
spot[193][238] Hoffman tenta di recitare i versi dell'Infinito in un italiano
"condito" dal suo marcato accento californiano. Un accento tanto
forte e straniante da suscitare numerose critiche all'operato della Regione.
Tra queste, quella di Mina[239], che nella sua rubrica sulle pagine de "La
Stampa" del 3 gennaio [240], ebbe a scrivere: «Leopardi bisogna
meritarselo. Sarebbe andato benissimo anche Oliver Hardy. Al quale,
paradossalmente, in questa demoralizzante «performance», mi sembra che
assomigli. Non so come l'avrebbe fatta Ollio. Non peggio, credo... Sentire la
nostra potente, meravigliosa lingua strapazzata dal pur bravo divo americano mi
ha rigettato giù nella nostra condizione di sempiterna colonia ... il mondo
della pubblicità è un mondo di matti. A volte geniale, ma più spesso volgare e
irrispettoso. Dustin Hoffman, from Los Angeles, sarà pure un nome che tira, ma
non li avevamo noi degli attori al suo livello? E che parlano l’italiano? E che
conoscono la musica dell’andamento di un’esposizione poetica?» (Mina
Mazzini) Al contrario, l'operazione promozionale fu elogiata da Giorgio De Rienzo,
linguista e critico letterario, da Francesco Sabatini e Francesco Erspamer,
rispettivamente presidente onorario e presidente emerito dell’Accademia della
Crusca; quest'ultimo commentò lo spot con queste parole: «Sprovincializza la
lingua italiana»[241]. Comunque sia, lo scopo perseguito fu raggiunto:
anche grazie alle polemiche, la versione non definitiva del video della Regione
Marche, inserito su YouTube, totalizzò quasi 21.200 visualizzazioni in tutto il
mondo solo nella prima settimana[242]. Visto il successo del , Dustin
Hoffman fu confermato per la campagna promozionale della stagione turistica .
Niente più lettura dei versi leopardiani, ma, come sottolineò Aldo Grasso sul
"Corriere della Sera", nella nuova edizione «il volto del testimonial
diventa più importante dell’oggetto da reclamizzare. Attraverso gli scatti di
Bryan Adams, si snoda un racconto tutto personale: i cinque sensi di Dustin
Hoffman dichiarano infinito amore per le suggestioni concrete che la regione
riesce a offrire: la gastronomia, l’arte, la musica, i vini e i
paesaggi»[243]. Nella campagna promozionale del Dustin Hoffman fu sostituito dall'attore
marchigiano Neri Marcorè[244][245]. Continuò comunque l'utilizzo a scopi
promozionali dell'immagine di Leopardi: sull'onda del successo del film
"Il giovane favoloso", diretto dal registra Mario Martone e
interpretato dall'attore Elio Germano, la Regione mise in campo una serie di
iniziative per promuovere la visione del film e di conseguenza del territorio
marchigiano che ne aveva ospitato le location, tra cui un
"movie-tour", consentito gratuitamente a tutti gli spettatori muniti
del biglietto del cinema fino al 31 Dicembre [245]. Nel la Regione ha patrocinato la realizzazione di
un breve documentario, "Le Marche di Leopardi"[183], diretto da
Alessandro Scilitani, nel quale l'assessore alla cultura dell'epoca
tratteggiava il riepilogo delle iniziative regionali per valorizzare la figura
del poeta recanatese. Seguono una breve biografia di Leopardi, con le immagini
di Recanati, e gli interventi di vari operatori culturali marchigiani che,
rifacendosi a veri o presunti collegamenti con la vita ed il pensiero del
Poeta, introducono ad altri importanti personaggi nati o presenti nella Regione
(Gioacchino Rossini, Antonio Canova, Terenzio Mamiani, Valeriano Trubbiani,
Osvaldo Licini), il tutto "condito" dalle musiche di musicisti
marchigiani (Giovan Battista Pergolesi, Gaspare Spontini) e da squarci
paesaggistici di varie località della regione.Opere biografiche su Leopardi
Giacomo Leopardi, Puerili e abbozzi vari, Bari, G. Laterza & f.i, 1924. 7
marzo . Antonio Ranieri, Sette anni di sodalizio con Leopardi (1880),
Milano-Napoli: Ricciardi, 1920; poi Milano: Garzanti, 1979 (con una nota
di Alberto Arbasino); Milano: Mursia, 1995 (Raffaella Bertazzoli); Milano: SE,
2005 Mario Picchi, Storie di casa Leopardi, Milano: Camunia, 1986; poi Milano:
Rizzoli, 1990 Renato Minore, Leopardi. L'infanzia, le città, gli amori, Milano:
Bompiani, 1987 (nuova ed. Vincenzo Guarracino, 1997) Rolando Damiani, Album Leopardi,
Milano: Mondadori «I Meridiani», 1993 Attilio Brilli, In viaggio con
Leopardi, Bologna: Il Mulino, 2000 Rolando Damiani, All'apparir del vero. Vita
di Giacomo Leopardi, Milano: Mondadori «Oscar Saggi» 723, 2002 Marcello D'Orta,
All'apparir del vero: il mistero della conversione e della morte di Giacomo
Leopardi, Piemme, . Pietro Citati, Leopardi, Milano, Mondadori, . Il Centro
Nazionale di Studi Leopardiani Il 1 luglio 1937, nel primo centenario della
morte del poeta, fu istituito a Reca Centro Nazionale di Studi
Leopardiani. Esso ha come scopo la promozione di ricerche e studi su
Giacomo Leopardi in campo storico, biografico, critico, linguistico,
filologico, artistico, filosofico. Note
secondo Roberto Tanoni risalente invece intorno al 1825-26.
Roberto Tanoni, L'aspetto di Giacomo Leopardi, leopardi.it, 11 febbraio 2005.
20 dicembre (archiviato il 28 febbraio
). Effettivamente il titolo di conte con
cui Leopardi veniva talvolta appellato, e che egli stesso usava, in quanto
primogenito dei conti Leopardi, era un "titolo di cortesia", in
quanto il vero titolo nobiliare era ancora in capo a Monaldo, finché fu in
vita. Uno sconosciuto: l'ateo filantropo
barone d'Holbach, su elapsus.it. 16 febbraio
2 febbraio ). Giulio Ferroni, La
poesia del dolore: Giacomo Leopardi, su emsf.rai.it. 16 febbraio 3 febbraio ).
Forse la malattia di Pott o la spondilite anchilosante. Erik
Pietro Sganzerla, Malattia e morte di Giacomo Leopardi. Osservazioni critiche e
nuova interpretazione diagnostica con documenti inediti, Booktime, : «Questo
libretto rende giustizia a un uomo che soffriva di numerosi problemi fisici,
che ebbe una vita non felice e una cartella clinica in cui sono posti in
evidenza i sintomi e il loro decorso temporale, l’età d’esordio della progressiva
deformità spinale e dei problemi visivi e gastrointestinali, l’influenza delle
condizioni psichiche e ambientali nell’accentuazione o remissione dei segnali.
(...) altamente probabile la diagnosi di Spondilite Anchilopoietica Giovanile»;
viene poi sostenuto che Leopardi «affetto da una pneumopatia restrittiva
con insufficienza respiratoria cronica, aggravata da episodi infettivi
intercorrenti, sia morto per uno scompenso cardiorespiratorio terminale in
paziente affetto da cuore polmonare e possibile miocardiopatia».
(Introduzione) Citati32-33.
«Questo io conosco e sento, / Che degli eterni giri, Che dell'esser mio
frale, / Qualche bene o contento Avrà fors'altri; a me la vita è male»
(Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, vv.
100-104) Citati3-18. Citati18-20.
Citati4-10. Renato Minore,
Leopardi. L'infanzia, le città, gli amori, Milano, 198722. Citati3-16.
Renato Minore13. Lettera di G.
Leopardi (Recanati) a Pietro Colletta (Livorno), 16 gennaio 1829: ed atteso
ancora che il patrimonio di casa mia, benché sia de' maggiori di queste parti,
è sommerso nei debiti. Emilio Cecchi e
Natalino Sapegno, Storia della letteratura italiana. Milano 1969, VII, L'Ottocento737 Citati18-35.
Zibaldone pag. 106 del ms., appunto del 26 marzo 1820. Citati19-25.
«Il Chimico italiano», anno XXI n.2, pag. 14. Citati25-30.
Rossella Lalli, Si spegne la contessa Leopardi, erede e custode della
memoria del poeta, newnotizie.it, 13 settembre . l'11 settembre (archiviato il 2 gennaio ). Scritti vari inediti di Giacomo Leopardi dalle
carte napoletane, Firenze, successori Le Monnier, 1906, pag. 405 Archiviato il
9 agosto in .. Citati30-32.
Pubblicato Maria Corti in «Giacomo Leopardi. Tutti gli scritti inediti,
rari e editi 1809-1810», Milano, Bompiani 1972
Citati20-25. Cecchi, Sapegno, op.
cit., 736-739. Giuseppe BonghiBiografia di Giacomo Leopardi,
su classicitaliani.it. 25 ottobre
(archiviato il 24 dicembre ).
Lettera a Pietro Giordani a Milano, Recanati, 2 marzo 1818 in Epistolario
di Giacomo Leopardi con le iscrizioni greche triopee da lui tradotte e lettere
di Pietro Giordani e Pietro Colletta all'Autore, raccolto e ordinato da
Prospero Viani, I, Napoli, 1860², pag.
76. Lettera all'Avv. Pietro Brighenti a
Bologna, Recanati, 18 marzo 1825 in Epistolario di Giacomo Leopardi con le
iscrizioni ecc. cit., I, pag. 245. il padre Monaldo lo vide parlare, con
sorpresa, in questa lingua con un rabbino di Ancona, secondo quanto riportato
dallo storico Lucio Villari nella trasmissione RAI Il tempo e la storia di
Massimo Bernardini (puntata "Leopardi, il rivoluzionario", 15 ottobre
, RaiTre-RaiStoria) Sarà la lingua
utilizzata nelle lettere allo Jacopssen
Il programma delle celebrazioni leopardiane, su
giornale.regione.marche.it. 16 febbraio
19 agosto 2007). Il sanscrito
nella teoria linguistica di Giacomo Leopardi, in Leopardi e l'Oriente. Atti del
Convegno Internazionale, Recanati 1998, a c. di F. Mignini, Macerata, Provincia
di Macerata, 2001, 115-135.
Citati25-35. M. T. Borgato, L. Pepe, Leopardi e le scienze
matematiche, 5-8. Aimé-Henri Paulian (1722-1801), su
data.bnf.fr. 22 gennaio . Citati30-40. Un episodio della sua vita farà da spunto a
una delle Operette morali, Il Parini ovvero della gloria Cecchi, Sapegno, op. cit. p. 741. Citati37-38.
Citati30 e segg. Spesso
nell'epistolario afferma di soffrire il freddo e di coprirsi le gambe con una
coperta di lana. Citati30-31; 33
esegg. Giuseppe Bortone, Il "morire
giovane" in Leopardi, su moscati.it. 16 febbraio (archiviato il 29 ottobre ).: "frequenti
mi occorrono febbri maligne, catarri e sputi di sangue…" scrive nel
testo Alessandro Livi, giacomo leopardi,
le malattie ed i misteri sulla morte e sepoltura, alessandrolivistudiomedico.it,
28 novembre . 1º gennaio (archiviato il
27 agosto ). Paolo Signore, Giacomo
Leopardi: il genio di Recanati favoloso e malato, su Rotari Club Fermo, 23
dicembre . 1º gennaio (archiviato l'11
giugno ). «Di contenti, d'angosce e di
desio, / Morte chiamai più volte, e lungamente / Mi sedetti colà su la fontana
/ Pensoso di cessar dentro quell'acque / La speme e il dolor mio. Poscia, per
cieco / Malor, condotto della vita in forse, / Piansi la bella giovanezza, e il
fiore / De' miei poveri dì, che sì per tempo / Cadeva: e spesso all'ore tarde,
assiso / Sul conscio letto, dolorosamente / Alla fioca lucerna poetando, /
Lamentai co' silenzi e con la notte / Il fuggitivo spirto, ed a me stesso / In
sul languir cantai funereo canto» (Le ricordanze, vv. 104-118) Il Giacomo Leopardi torrese, su torreomnia.it.
16 febbraio (archiviato il 14 luglio
). Giuseppe Sergi e Giovanni Pascoli
furono i primi a ipotizzare la malattia, "diagnosi" ripresa poi da
Pietro Citati e altri, e considerata probabile causa della deformità fisica e
dei problemi di salute di Leopardi anche da una ricerca scientifica condotta
nel 2005 da due medici pediatri recanatesi, Edoardo Bartolotta e Sergio
Beccacece. Es. sindrome della cauda
equina Alcuni propongono altre diagnosi:
diabete giovanile con retinopatia e neuropatia, tracoma oculare con sindrome di
Scheuermann alla schiena e disturbo bipolare, sindrome di Ehlers-Danlos di tipo
cifoscoliotico, rachitismo e neuropatia periferica originate da celiachia o
malassorbimento, sifilide congenita con tabe dorsale (Antonio Ranieri, negli
anni napoletani, arrivò a pensaresalvo poi smentireaffermando che Leopardi morì
vergine (cosa dibattuta), a pag. 99 di Sette anni di sodalizio con Giacomo
Leopardi che avesse contratto la sifilide o che l'avesse ereditata dal padre.
cfr. R. Di Ferdinando, L'amarezza del lauro. Storia clinica di Giacomo
Leopardi, Cappelli, Bologna, 1987, pag. 34). Con un'analisi postuma molto
contestata poiché basata sulle teorie pseudoscientifiche dell'antropologia
criminale e della frenologia, Cesare Lombroso e i suoi allievi Patrizi e
Giuseppe Sergi affermarono che Leopardi aveva l'epilessia, e avesse disturbi
ereditari come tutta la sua famiglia. Cfr.: M_L_Patrizi. Prof. M. L. Patrizi, Saggio
psico-antropologico su Giacomo Leopardi e la sua famiglia, Torino, Fratelli
Bocca Editori, 1896. 3 maggio .
M_L_Patrizi. Citati27. G. Chiarini, Vita di G. Leopardi453. E. Galavotti, Letterati italiani122. Lettera di Paolina Leopardi a G.P. Vieusseux,
25 settembre 1829 G. Leopardi, Lettera
ad Adelaide Maestri, 29 luglio 1828; Lettera ad Antonietta Tommasini, 5 agosto
1828 Citati45-50. Citati60-63.
G. Leopardi, Zibaldone, autografo,
165-185. Citati63 e segg.
Scritti vari inediti di Giacomo Leopardi dalle carte napoletane, cit.,
pag. 17 Archiviato il 22 febbraio in .. Citati121-142. Un'analisi critica del Discorso, insieme a un
saggio sui Paralipomeni alla Batracomiomachia si trova in: Riccardo Bonavita,
Leopardi : Descrizione di una battaglia, Nino Aragno Ed., Torino, Citati142 e segg. Aldo Giudice, Giovanni Bruni, Problemi e
scrittori della letteratura italiana, 3,
tomo 1, Paravia, 1978, pag. 341. Cfr.
pag. 118 del ms. dello Zibaldone, con pensiero del 2 luglio 1820: "[...]
nel 1819 dove privato dell'uso della vista, e della continua distrazione della
lettura, cominciai a sentire la mia infelicità in un modo assai più
tenebroso [...]". Citati82 e
segg. Citati85-95.; 171-210. Cecchi, Sapegno803. «Lasciando da parte lo spirito e la
letteratura, di cui vi parlerò altra volta (avendo già conosciuto non pochi letterati
di Roma), mi ristringerò solamente alle donne, e alla fortuna che voi forse
credete che sia facile di far con esse nelle città grandi. V'assicuro che è
propriamente tutto il contrario. Al passeggio, in Chiesa, andando per le
strade, non trovate una befana che vi guardi. (...) Trattando, è così difficile
il fermare una donna in Roma come a Recanati, anzi molto più, a cagione
dell'eccessiva frivolezza e dissipatezza di queste bestie femminine, che oltre
di ciò non ispirano un interesse al mondo, sono piene d'ipocrisia, non amano
altro che il girare e divertirsi non si sa come, non... (omissis) (credetemi)
se non con quelle infinite difficoltà che si provano negli altri paesi. Il
tutto si riduce alle donne pubbliche, le quali trovo ora che sono molto più
circospette d'una volta, e in ogni modo sono così pericolose come sapete.» Il
passo omesso dalla pubblicazione dell'epistolario venne censurato alla prima
edizione (1937), ed è stato ripristinato solo in edizioni recenti, come quella
dei Meridiani del 2006, poiché troppo esplicito ("non la danno");
cfr. Il senso di Leopardi per la donna di città Archiviato il 27 marzo in .
Pierluigi Panza, La casa di Silvia (amata da Leopardi) restaurata e
aperta, in Corriere della Sera, 29 giugno . Citati214-225. Citati222-225. Citati275-280. L'eliografia, metodo di riproduzione messo a
punto da Joseph Nicéphore Niépce nel 1822, fu da questi usato per la prima
fotografia nel 1826 (precedente di 13 anni il dagherrotipo). Citati280-290. Giuseppe Bonghi, Biografia di Leopardi, su
classicitaliani.it. 16 febbraio (archiviato il 23 luglio ). La donna nelle parole di Leopardi, su
casatea.com. 16 febbraio (archiviato il
15 maggio ). Paolo Ruffilli,
Introduzione alle Operette morali, Garzanti
Citati226 e segg. Bortolo
Martinelli , Leopardi oggi: incontri per il bicentenario della nascita del
poeta: Brescia, Salò, Orzinuovi, 21 aprile-23 maggio 1998, Vita e Pensiero,
2000174 Fotografia della maschera (JPG),
Centro Nazionale di Studi Leopardiani Recanati. 1º gennaio (archiviato il 1º gennaio ). Donatella Donati, Leopardi a Napoli, Centro
nazionale di studi leopardianiCentro mondiale della poesia e della cultura
"G.Leopardi"Recanati Città della poesia, 30 maggio . 1º gennaio (archiviato il 24 dicembre ). Per lui scrisse, nel 1835, la celebre
Palinodia al marchese Gino Capponi
Niccolini era già stato l'ispiratore del personaggio di Lorenzo Alderani
delle Ultime lettere di Jacopo Ortis
«Ora bisogna che io scriva a quel maledetto gobbo, che s'è messo in capo
di coglionarmi» (Lettera di Gino Capponi a Gian Pietro Vieusseux) Una stroncatura per il Leopardi Archiviato il
26 febbraio in .; mentre fu più meditato
e indulgente il giudizio dato dal Capponi stesso, in tarda età, sulla poesia e
su Leopardi stesso. Introduzione alla
Palinodia Archiviato il 4 novembre in
. G. Leopardi, Epigramma contro il
Tommaseo, su fregnani.it. 19 febbraio
(archiviato il 24 febbraio ).
Giuseppe Bonghi, Analisi di "A Silvia" , su
classicitaliani.it. 16 febbraio
(archiviato il 21 ottobre ).
Carlo Leopardi così ricordava, su ilgiardinodigiacomo.wordpress.com. 16
febbraio (archiviato il 3 marzo ). Citati298-308. Cfr. lettera di G. Leopardi (Recanati) a
Pietro Colletta (Livorno), 16 gennaio 1829, in cui dichiara di aver percepito
venti scudi romani (diciannove fiorentini) al mese. Lettera a P. Colletta del 2 aprile 1830, come
citato in Marco Moneta, L'officina delle aporie: Leopardi e la riflessione sul
male negli anni dello Zibaldone, FrancoAngeli, Milano, 2006, pag. 253
Archiviato il 26 ottobre in .. Citati310-327; 328-334. Luperini, Cataldi, Marchiani, La scrittura e
l'interpretazione, Palermo, Palumbo, 1997,
4/21152. Le ricordanze, v.
30. [gente] che m'odia e fugge, / per
invidia non già, che non mi tiene / maggior di sé, ma perché tale estima /
ch'io mi tenga in cor mio, in Le ricordanze, vv. 33-36. Camillo Antona-Traversi, I genitori di
Giacomo Leopardi: scaramucce e battaglie, 2 voll., Recanati, A. Simboli,
1887-91: 1, pag. 180 Archiviato il 26
ottobre in .. Cecchi, Sapegno845. Giacomo Leopardi, in Catalogo degli
Accademici, Accademia della Crusca.
Citati310-335. Citati375-390. Note ad Aspasia, nei Canti, edizione
Garzanti Donne fatali 2: Giacomo
Leopardi e Aspasia"Io non ho mai sentito tanto di vivere quanto
amando...", su sulromanzo.it. 22 marzo
(archiviato il 22 marzo ).
"Tu vivi / bella non solo ancor, ma bella tanto, / al parer mio,
che tutte l'altre avanzi" (Aspasia, vv.73-75) Aspasia, vv. 89-103 G. Sarra, Dizionario Biografico degli
Italiani, riferimenti e link in .
Giovanni Mèstica, Gli amori di G. Leopardi, in Fanfulla della domenica,
4 aprile 1880. (Fonte DBI). Altri ritengono che il canto alluda piuttosto alla
sola Fanny Targioni Tozzetti, tra questi, Giovanni Iorio nel commento ai Canti,
edizione Signorelli, Roma 1967.
Leopardi: dama invaghita del poeta non fu ricambiata ma evitata, su
adnkronos.com. 16 febbraio (archiviato
il 27 aprile ). M. de Rubris, Confidenze
di Massimo d'Azeglio. Dal carteggio con Teresa Targioni Tozzetti, Milano,
Arnoldo Mondadori, 1930, 17-18. Citati390-392. Paolo Abbate, La vita erotica di Giacomo
Leopardi, C.I. Edizioni, Napoli 2000
Giovanni Dall'Orto, Sempre caro mi fu, pubblicato in
"Babilonia" n. 141, febbraio 1996,
68-70 Robert Aldrich e Garry
Wotherspoon, Who's who in gay and lesbian history, 1, ad vocem
Leopardi gay? Vietato dirlo, su ricerca.repubblica.it. 16 febbraio (archiviato il 21 febbraio ). Simone D'Andrea, Normalmente diverso, su
books.google.it. 16 febbraio (archiviato
il 22 febbraio ). Citati390-393. Citati71.
Giacomo Leopardi. Epistolario, BrioschiLandi, Sansoni 1998, II, pag. 1968. Antonio Ranieri, Sette anni di sodalizio con
Giacomo Leopardi, Garzanti, Milano 197955.
D'Orta12. Die Tagebücher des
Grafen August von Platen, 2, Stoccarda,
Verlag der J. G. Cotta'sche Buchhandlung Nachfolger GmbH, 1900, pag.
964Archiviato il 23 febbraio in .. Cfr. anche la lettera di Stanislao Gatteschi
a Monaldo Leopard i della primavera del 1833 in Giacomo Leopardi.
Epistolario, BrioschiLandi, Sansoni 1998,
II, pag. 2364: "È stravagantissimo nelle abitudini del vivere.
Si leva verso le due pomeridiane, mangia ad orari irregolari, va a letto verso
il fare del giorno. La sua vita non può esser longeva per i complicati mali
onde è gravato." e Antonio Ranieri, Sette anni di sodalizio con Giacomo
Leopardi, Garzanti, 1979, pag. 65: "Durante tutta la sua vita, egli fece,
appresso a poco, della notte giorno, e viceversa." Traduzione in Michele Scherillo, Vita di
Giacomo Leopardi, Greco Editori, Milano, 1991, pag. 197 Archiviato il 13
maggio in ., 88-85387-64-0. Epistolario, lettera del 22 dicembre
1836 Citati395-405. Leopardi e le donne una storia tormentata, su
ricerca.repubblica.it. 16 febbraio
(archiviato il 21 febbraio ).
Maria Teresa Moro, Ranieri Paola (Paolina), su treccani.it. 2
aprile (archiviato il 17 settembre
). D'Orta25. Leopardi. Il poeta della sofferenza, su
archiviostorico.corriere.it. 21 novembre
(archiviato dall'url originale in data pre 1/1/). Citati395 e segg. Citati398.
Citati399-400. Citati413-414. Teorie alternative sulla morte del conte
Giacomo Leopardi sono state trattate e documentate negli studi condotti dal
Prof. Gennaro Cesaro (cfr. Sfrondando gli allori della poesia dell'800 e del
900) Lettera di Antonio Ranieri a Fanny
Targioni-Tozzetti, Napoli, 1º luglio 1837 Archiviato il 30 gennaio in .. Confronta anche Pietro Citati,
Leopardi, Mondadori, , Milano, pag. 412-13 Archiviato il 12 maggio in .,
978-88-04-60325-2.
Citati410-414. Secondo originale
dell'atto di morte di Giacomo Leopardi, su
dl.antenati.san.beniculturali.it. Il
Progresso delle Scienze, delle Lettere e delle Arti, XVII, anno VI (1837), n. 33, maggio, Napoli
dalla Tipografia Plautina, pagg. 166 sgg. Archiviato il 19 maggio in .; cfr. anche Notizia della morte del
Conte Giacomo Leopardi Angelo Fregnani Archiviato il 30 ottobre in ..
Ad esempio cibo avariato, congestione, coma diabetico o
indigestione Cenni storiciFu
un'indigestione a causare la morte di Leopardi?, su spaghettitaliani.com. 16
febbraio 17 ottobre ). Napoli e Leopardi, su ildelsud.org. 16
febbraio (archiviato il 10 febbraio
). Ecco i confetti che uccisero
Leopardi. Al Suor Orsola la collezione Ruggiero, su
corrieredelmezzogiorno.corriere.it. 16 febbraio
(archiviato il 21 febbraio ). in
Lettera di Antonio Ranieri a Fanny Targioni-Tozzetti, Napoli, 1 luglio 1837
Archiviato il 30 gennaio in .; idem in
Lettera di A. R. a Monaldo Leopardi, Napoli, 26 giugno 1837 in Opere inedite di
Giacomo Leopardi, G. Cugnoni, I, Halle,
Max Niemeyer Editore, 1878, pag. CXVIII sgg. Archiviato il 20 maggio in . e Nuovi documenti intorno alla vita e
agli scritti di Giacomo Leopardi, G. Piergili, Firenze, Le Monnier, 1892³,
pagg. 241 sgg. Archiviato il 10 ottobre
in .; "Idrotorace" in Lettera di A. R. a De Sinner, Napoli, 28
giugno 1837 in ibidem, pagg. 267 sgg. Archiviato il 10 ottobre in .; "idropisia di petto" dice
Paolina Leopardi in una lettera a Marianna Brighenti Biografia sulla Treccani, su treccani.it. 16
febbraio (archiviato il 2 febbraio
). Ware LB, Matthay MA. Acute pulmonary
edema. N Engl J Med 2005;353:2788-96. PMID 16382065. Giovanni Bonsignore, Bellia Vincenzo,
Malattie dell'apparato respiratorio terza edizione, Milano, McGraw-Hill, 2006,
pag. 487. Mario Picchi, Storie di casa
Leopardi, BUR, 1990, 319-323. Dalla foto pubblicata qui, su
rete.comuni-italiani.it. 16 febbraio
(archiviato il 22 febbraio ). Cfr. anche Effemeridi scientifiche e
letterarie per la Sicilia, tomo XXX, anno IX (1840), n° 82
(luglio-agosto-settembre), Luglio 1840, Palermo, dalla tipografia di Filippo
Solli, 1840, pag. 63 Archiviato il 13 maggio
in . e Opere di Pietro Giordani,
XIII, Scritti editi e postumi di Pietro Giordani, VI, pubblicati da Antonio Gussalli, Milano
presso Francesco Sanvito, 1858, pag. 248 Archiviato il 12 maggio in .. Riproduzione, che presenta lieve
variazione di testo, sotto forma di disegno in Opere di Giacomo Leopardi,
edizione accresciuta, ordinata e corretta secondo l'ultimo intendimento
dell'autore, da Antonio Ranieri, 2,
Firenze, Successori Le Monnier, 1889, fuori testo Archiviato il 10 ottobre in ..
Pasquale Stanzione, Giacomo LeopardiUna tomba vuota a Fuorigrotta, pag.
60, su pasqualestanzione.it. 7 maggio
(archiviato il 24 settembre ). Foto del Registro (JPG), su
pasqualestanzione.it. 7 maggio
(archiviato il 13 maggio ). Ingrandimento (JPG), su
pasqualestanzione.it. URL cons ultato il 7 maggio (archiviato il 13 maggio ). Nuove scoperte su Leopardi? Occorre cautela
Archiviato il il 5 febbraio in . da
Cronache maceratesi Luciano Garofano, Giorgio Gruppioni, Silvano
VincetiDelitti e misteri del passato: Sei casi da RIS dall'agguato a Giulio
Cesare all'omicidio di Pier Paolo Pasolini, Rizzoli, pag. 179.
PIERFRANCESCO LEOPARDI: SONO DISPONIBILE ALLA PROVA DEL DNA, MA I RECANATESI
SONO D’ACCORDO? Loretta Marcon, Un
giallo a Napoli. La seconda morte di Giacomo Leopardi, Guida, , 978-88-6666-142-9. Ida Palisi, Leopardi, strane ipotesi su morte
e sepoltura, “Il Mattino di Napoli”, 19.8.; recensione a: Loretta Marcon, Un
giallo a Napoli. La seconda morte di Giacomo Leopardi, Guida, Mario Picchi, Storie di casa Leopardi,
cit., 14 e seguenti, dove si riporta
anche il verbale ufficiale delle persone presenti. E' vuota la tomba di
Leopardi. Guerra sulla riesumazione dei resti, su ricerca.repubblica.it. 16
febbraio (archiviato il 21 ottobre
). La Vita 1836-37 Archiviato il 9
giugno in ., Leopardi.it, sito gestito
dal CNSL Si torna a parlare dei resti di
Leopardi, nato comitato per l'esumazione dal sacello del parco Virgiliano di
Napoli, su ilcittadinodirecanati.it. 4 febbraio
(archiviato il 5 febbraio ). Il
ritratto della pinacoteca di Recanati, su cdn.studenti.stbm.it. 27 aprile (archiviato il 29 aprile ). In Opera Omnia, IV,
407-408, Milano, Mondadori, 1959.
Cfr. in proposito anche gli studi che il filosofo Giovanni Gentile ha
dedicato a Leopardi, in particolare: Manzoni e Leopardi: saggi critici (Milano,
Treves, 1928, 31-217); Poesia e
filosofia di Giacomo Leopardi (Firenze, Sansoni, 1939). Paolo Emilio Castagnola, Osservazioni intorno
ai Pensieri di Giacomo Leopardi, pag. 26, Tipografia del Mediatore, 1863. Gino Tellini, Filologia e storiografia. Da
Tasso al Novecento, 153-154, Roma, Ed.
di Storia e Letteratura, 2002. Sebastian
Neumeister, Giacomo Leopardi e la percezione estetica del mondo Archiviato il
12 febbraio in ., 43-63, Peter Lang, 2009. In Saggi critici, L. Russo, Bari, Laterza
(1952), 19794, II, pag. 184. Chiese e Santuari Comune di Recanati, su
comune.recanati.mc.it. l'11
febbraio (archiviato il 23 febbraio ). Per Giacomo Leopardi, su
pergiacomoleopardi.altervista.org. 16 febbraio
(archiviato il 22 febbraio ).
Tutte le indicazioni su luoghi e viaggi sono prese da Attilio Brilli, In
viaggio con Leopardi, Il Mulino, Bologna 2000. Tra virgolette le parole di Leopardi,
tratte da sue lettere. Marta Sambugar, Gabriella Sarà, Visibile parlare,
da Leopardi a Ungaretti, Milano, RCS Libri, 7,
978-88-221-7256-3. Marta
Sambugar, Gabriella Sarà, Visibile parlare, da Leopardi a Ungaretti, Milano,
RCS Libri, 9, 978-88-221-7256-3.
Operette morali, su internetculturale.it. 19 ottobre 14 giugno ). Marta Sambugar, Gabriella
Sarà, Visibile parlare, da Leopardi a Ungaretti, Milano, RCS Libri, 10, 978-88-221-7256-3. Fabio Marri,
Neologismi Archiviato il 9 settembre in
., Enciclopedia dell'Italiano (), Istituto dell'Enciclopedia italiana. Catalogo della mostra "Viaggi e transiti
opere leopardiane di Valeriano Trubbiani" realizzata in occasione
dell'inaugurazione del Centro culturale "Pergoli" di Falconara
Marittima dal 20 dicembre 2004, Comune di Falconara Marittima, Aniballi
Grafiche, Ancona, 2005 Vedi la scheda
dedicata al CARTCentro permanente per la Documentazione dell'Arte Contemporanea
di Falconara Marittima nel sito "La memoria dei luoghi" del Sistema
Museale della Provincia di Ancona: CARTCentro permanente per la documentazione
dell'Arte contemporanea, su Associazione "Sistema Museale della Provincia
di Ancona". 26 aprile (archiviato
il 7 settembre ). "Le Marche di Leopardi", breve documentario
diretto da Alessandro Scilitani, patrocinato dalla Regione Marche:
youtube.com/watch?v=Km1EK0MH6Sg ascolta
la canzone nel sito della Fondazione Giorgio
Gaber://giorgiogaber.it/discografia-album/benvenuto-il-luogo-dove-testo
Archiviato il 6 settembre in . vedi il testo dell'Operetta morale in
Wikisource:
it.wikisource.org/wiki/Operette_morali/Dialogo_di_un_venditore_d%27almanacchi_e_di_un_passeggere
Archiviato il 15 settembre in . Il cortometraggio di Ermanno Olmi Dialogo di
un venditore di almanacchi e di un passeggiere:
youtube.com/watch?v=hiJOBKJZNaU Il
cortometraggio di Ermanno Olmi Dialogo di un venditore di almanacchi e di un
passeggiere è inoltre visibile all'interno del programma "Leopardi, il
rivoluzionario" di Giancarlo Mancini, puntata della rubrica televisiva di
Rai Storia "Il tempo e la storia" con Massimo Bernardini e lo storico
Lucio
Villari://raistoria.rai.it/articoli/leopardi-il-rivoluzionario/25794/default.aspx
Archiviato il 7 settembre in . "Leopardi, il rivoluzionario" di
Giancarlo Mancini, puntata della rubrica "Il tempo e la storia" con
Massimo Bernardini e lo storico Lucio
Villari://raistoria.rai.it/articoli/leopardi-il-rivoluzionario/25794/default.aspx
Archiviato il 7 settembre in . Rai Storia, "Giacomo Leopardi e
l`importanza di Recanati"://raiscuola.rai.it/articoli/giacomo-leopardi-parte-prima/3205/default.aspx
Archiviato l'8 settembre in . Nel sito web de "La Stampa",
Francesco Guzzini del Centro Studi Leopardiani mostra l'itinerario che il Poeta
compiva per recarsi dalla propria abitazione al punto di osservazione del
paesaggio che gli ispirò
L'infinito://lastampa.it//07/16/multimedia/societa/viaggi/ecco-il-vero-colle-dellinfinito-descritto-da-giacomo-leopardi-fncjkba7fEJyVoUSrazy1H/pagina.html
Archiviato l'8 settembre in . Lo
spot turistico sulle Marche con Dustin Hoffman con la regia di Giampiero
Solari: youtube.com/watch?v=gEndornqlHo Archiviato il 22 agosto in .
"A casa di Giacomo Leopardi", intervista di Pippo Baudo alla
contessa Olimpia Leopardi all'interno del Palazzo Leopardi di Recanati:
youtube.com/watch?v=oNlkBu0E "Un
Leopardi inedito" raccontato da Novella Bellucci e Franco D'Intino nella
puntata di "Visionari" del 15 giugno , programma televisivo condotto
da Corrado Augias su Rai 3: youtube.com/watch?v=KwFnKv0TBaI Intervista allo scrittore Alessandro D'Avenia
sul suo libro e spettacolo teatrale “L'arte di essere fragilicome Leopardi può
salvarti la vita” nel sito di RepubblicaTv ():
youtube.com/watch?v=oXGh3g6lQsM Vittorio
Gassman interpreta L'infinito, su youtube.com. 15 settembre (archiviato il 23 maggio ). Vittorio Gassman interpreta A Silvia:
youtube.com/watch?v=7hEbvxBi2ZQ Archiviato il 29 marzo in .
Vittorio Gassman interpreta La sera del dì di festa:
youtube.com/watch?v=TPpCs6tws_U Vittorio
Gassman interpreta Amore e Morte: youtube.com/watch?v=o22AJ5PPdGI Vittorio Gassman interpreta La quiete dopo la
tempesta: youtube.com/watch?v=-8jasZDrV2U Archiviato il 23 ottobre in .
Vittorio Gassman interpreta A se stesso:
youtube.com/watch?v=F0lhF2s_5s4 Carmelo
Bene interpreta L'infinito: youtube.com/watch?v=UhsHYRORcyE Archiviato il 3
ottobre in . Carmelo Bene interpreta Passero solitario:
youtube.com/watch?v=IZzQbnzpaok Carmelo
Bene interpreta La ginestra (o Il fiore del deserto):
youtube.com/watch?v=ZqzVXF3Fx4Y Carmelo
Bene interpreta Alla luna: youtube.com/watch?v=v9IriaUNWQk Carmelo Bene interpreta La sera del dì di
festa: youtube.com/watch?v=qydGUiV1wwI
Carmelo Bene interpreta Il sabato del villaggio:
youtube.com/watch?v=vI9PJfCtWw4 Carmelo
Bene interpreta Le ricordanze: youtube.com/watch?v=jyB0eM9AOoM Carmelo Bene interpreta Canto notturno di un
pastore errante dell'Asia: youtube.com/watch?v=y7PaXzp2Zh8 Archiviato il 26
aprile in . Carmelo Bene interpreta Inno ad Arimane:
youtube.com/watch?v=f2-QAubKbLE vedi su
Inno ad Arimane:
it.wikiversity.org/wiki/Canti_(superiori)#Le_posizioni_contro_l.27ottimismo_progressista
Archiviato il 15 settembre in . leggi il testo di Inno ad Arimane in
Wikisource: it.wikisource.org/wiki/Puerili_(Leopardi)/Ad_Arimane Archiviato il
15 settembre in . Carmelo Bene interpreta Amore e Morte:
youtube.com/watch?v=epYU4-n2jGw Arnoldo
Foà interpreta L'infinito: youtube.com/watch?v=19VuLCmHocI Archiviato il 23
febbraio in . Arnoldo Foà interpreta Passero solitario:
youtube.com/watch?v=nOr3Qbceuhg Arnoldo
Foà interpreta A Silvia: youtube.com/watch?v=5qODyZtfvZA Archiviato il 29
febbraio in . Arnoldo Foà interpreta Il sabato del
villaggio: youtube.com/watch?v=kmk_gd-48XE
Arnoldo Foà interpreta La sera del dì di festa: youtube.com/watch?v=aWOJfMZeCVo Arnoldo Foà interpreta Canto notturno di un
pastore errante dell'Asia: youtube.com/watch?v=9TyHwWkFt70 Archiviato il 14
giugno in . Arnoldo Foà interpreta Le ricordanze:
youtube.com/watch?v=hL855FC_juA Archiviato l'11 marzo in .
Arnoldo Foà interpreta La ginestra (o Il fiore del deserto):
youtube.com/watch?v=zBnDqu8X5fk Arnoldo
Foà interpreta Il tramonto della luna: youtube.com/watch?v=Au4hXAoKqlw Arnoldo Foà interpreta All'Italia:
youtube.com/watch?v=iNHqhHiIqok Arnoldo
Foà interpreta Alla luna: youtube.com/watch?v=oxzCzwR05WE Giorgio Albertazzi interpreta L'infinito:
youtube.com/watch?v=BLmhOx6IuCw Archiviato il 1º giugno in .
Nando Gazzolo interpreta L'infinito:
youtube.com/watch?v=Te8tyDDsh2A Gabriele
Lavia interpreta L'infinito: youtube.com/watch?v=oSV7eBa-_Ao Gabriele Lavia discetta sull'opera di
Leopardi, prima della "dizione" delle opere di Leopardi:
youtube.com/watch?v=g6BDT7K-jCU Alberto
Lupo interpreta Ultimo canto di Saffo: youtube.com/watch?v=o1Q_AcJ1TtA Elio Germano, nel film Il giovane favoloso di
Mario Martone, interpreta L'infinito: youtube.com/watch?v=jIvzQvi75rQ Elio Germano, nel film Il giovane favoloso di
Mario Martone, interpreta La ginestra (o Il fiore del deserto):
youtube.com/watch?v=U5e___IGHm4 Elio
Germano, nel film Il giovane favoloso di Mario Martone, interpreta la prima
parte de La sera del dì di festa: youtube.com/watch?v=NgI8uekF6H4 Elio Germano, nel film Il giovane favoloso di
Mario Martone, interpreta un brano di Amore e Morte: youtube.com/watch?v=VD_6V0YXc8I Elio Germano, nel film Il giovane favoloso di
Mario Martone, interpreta l'ultima parte di Aspasia:
youtube.com/watch?v=gcoJ3eQ_pr4 Dustin
Hoffman legge «L’infinito», su corriere.it, 16 novembre 2009. 6 settembre (archiviato il 31 marzo ).
//turismo.marche.it/Portals/1/Leopardi/Leopardi%20nel%20mondo.pdf Il backstage dello spot promozionale della
Regione Marche con Dustin Hoffman ed il regista Giampiero Solari:
youtube.com/watch?v=zi-UJTIBatM La
stroncatura di Mina allo spot della Regione Marche:
youtube.com/watch?v=cQVEevM76uo
riportato in: "Il cittadino di Recanati", Anche Mina nella sua
rubrica su "La Stampa" affonda lo spot con L'infinito, su
ilcittadinodirecanati.it, 3 gennaio . 6 settembre (archiviato il 6 dicembre ). "Il Resto del Carlino" Ancona,
"Leopardi bisogna meritarselo" Mina critica lo spot della Regione, su
ilrestodelcarlino.it, 4 gennaio . 6 settembre
(archiviato il 6 settembre ).
"Il Resto del Carlino" Ancona, Spot di Hoffman, su YouTube 21
mila visualizzazioni, su ilrestodelcarlino.it, 4 gennaio . 6 settembre (archiviato il 6 settembre ). Dustin Hoffman ancora sponsor delle Marche.
Ma sembra lo spot di se stesso, su blitzquotidiano.it. 6 settembre (archiviato il 6 settembre ). vedi la serie di spot "Le Marche non ti
abbandonano mai" interpretati dall'attore marchigiano Neri Marcorè, con la
regia di Rovero Impiglia e Giacomo Cagnelli: youtube.com/watch?v=5-3qALICR5s
Archiviato il 2 luglio in . Marco
Minnucci, La regione Marche rispedisce Dustin Hoffman in America e pone fine
allo stupro di Leopardi, su qelsi.it, 8 novembre . 6 settembre 6 settembre ). Magnifying glass icon
mgx2.svg su Giacomo Leopardi. Edizioni
delle opere Giacomo Leopardi, [Opere. Poesia], Bari, G. Laterza, 1921. 7 marzo
. Epistolario Epistolario di Giacomo Leopardi, Francesco Moroncini, Firenze: Le
Monnier, 1934 (7 volumi) Lettere, Sergio Solmi e Raffaella Solmi,
Milano-Napoli: Ricciardi, 1966; poi Torino: Einaudi «Classici Ricciardi» 51,
1977 (2 volumi) (scelta) Il Monarca delle Indie. Corrispondenza tra Giacomo e
Monaldo Leopardi, Graziella Pulce, introduzione di Giorgio Manganelli, Milano:
Adelphi «Biblioteca» 191, 1988 Franco Brioschi e Patrizia Landi, Torino:
Bollati Boringhieri, 1998 Rolando Damiani, Milano: Arnoldo Mondadori Editore «I
Meridiani», 2008 Zibaldone Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura,
Giosuè Carducci e altri, Firenze: Le Monnier, 1898-1900 (7 volumi) Pensieri di
varia filosofia, Ferdinando Santoro, Lanciano: Carabba, 1915 Attraverso lo
Zibaldone, Valentino Piccoli, Torino: Utet, 1920-21 (2 volumi) scelto e
annotato con introduzione e indice analitico Giuseppe De Robertis, Firenze: Le
Monnier, 1921 (2 volumi) Il testamento letterario, pensieri scelti, annotati e
ordinati in sei capitoli da «La Ronda», Roma: La Ronda, 1921 con prefazione e
note di Flavio Colutta, Milano: Sonzogno, 1937 (scelta) in Opere, volume III:
Zibaldone scelto, Giuseppe De Robertis, Milano: Rizzoli, 1937 Francesco Flora,
Milano: Mondadori, 1945 in Antologia leopardiana: Canti, Operette morali,
Pensieri, Zibaldone ed Epistolario, Giuseppe Morpurgo, Torino: Lattes, 1954 in
Opere, Sergio Solmi e Raffaella Solmi, Milano-Napoli: Ricciardi, 1966 (2
volumi), poi parzialmente Torino: Einaudi, «Classici di Ricciardi», 1977 in
Tutte le opere, introduzione e cura di Walter Binni, con la collaborazione di
Enrico Ghidetti, Firenze: Sansoni, 1969 (2 volumi) scelta Anna Maria Moroni,
saggi introduttivi di Sergio Solmi e Giuseppe De Robertis, Milano: Mondadori
«Oscar» (2 volumi), 1980, 1992, 2001, 2004 (con uno scritto di Giuseppe
Ungaretti) e edizione fotografica dell'autografo con gli indici e lo schedario,
Emilio Peruzzi, Pisa: Scuola normale superiore, Il testamento letterario,
pensieri dello Zibaldone scelti annotati e ordinati da Vincenzo Cardarelli, con
una premessa di Piero Buscaroli, Torino: Fogoli, 1985 Pensieri anarchici scelti
Francesco Biondolillo, Napoli: Procaccini, 1988 edizione critica e annotata
Giuseppe Pacella, Milano: Garzanti «I Libri della Spiga», 1991 edizione
commentata e revisione del testo critico Rolando Damiani, Milano: Mondadori, «I
Meridiani», 1997 e 2003 Teoria del piacere, scelta di pensieri con note,
introduzione e postfazione di Vincenzo Gueglio, Milano: Greco e Greco, 1998
edizione tematica stabilita sugli indici leopardiani, Fabiana Cacciapuoti,
prefazione di Antonio Prete, Roma: Donzelli Editore, 1997-2003 (6 volumi) Lucio
Felici, premessa di Emanuele Trevi, indici filologici di Marco Dondero, indice
tematico e analitico di Marco Dondero e Wanda Marra, Roma: Newton Compton,
«Mammut», 1999 Tutto e nulla, antologia Mario Andrea Rigoni, Milano: Rizzoli
«BUR», 1999 edizione critica Fiorenza Ceragioli e Monica Ballerini, Bologna:
Zanichelli, 2009 (CD-Rom) Canti con note per cura di Francesco Moroncini,
Leopardi, Giacomo, Canti: commentati da lui stesso, Palermo: R. Sandron, 1917
(prima edizione), 1936 (terza edizione notevolmente migliorata e accresciuta).
Niccolò Gallo e Cesare Garboli, Torino: Einaudi, 1962, 1993. in Poesie e prose.
Poesie, Mario Andrea Rigoni, Milano: Mondadori «I Meridiani», 1987 in Tutte le
poesie e tutte le prose, Lucio Felici, Roma: Newton Compton, «Mammut», 1997
Canti e poesie disperse, ed. critica Franco Gavazzeni (con C. AnimosiItalia,
M.M. Lombardi, F. Lucchesini, R. Pestarino, S. Rosini), Firenze: Accademia
della Crusca, Giacomo Leopardi, Canti, Bari, G. Laterza e Figli, Operette
Morali Leopardi, Giacomo, Operette morali; edizione critica di Francesco
Moroncini, Bologna: Cappelli, 1929 introduzione cura di Antonio Prete, Milano:
Feltrinelli «Universale economica classici», 1976, 1992, 1999 Milano: Mursia,
1982 in Poesie e prose. Prose, Rolando Damiani, Milano: Mondadori «Meridiani»,
1988 in Tutte le poesie e tutte le prose, Emanuele Trevi, Roma: Newton Compton,
«Mammut», 1997; poi da sole nella collana «GTE», 2007 Giacomo Leopardi,
Operette morali, Bari, Laterza, 1928. 7 marzo . Pensieri Giacomo Leopardi,
Pensieri, Bari, G. Laterza e Figli Edit. Tip., introduzione cura di Antonio
Prete, Milano: Feltrinelli «UEF classici», 1994 Crestomazia italiana Giulio Bollati
e Giuseppe Savoca, Torino: Einaudi, «Nuova Universale Einaudi», 1968 (2 volumi)
Memorie del primo amore Cesare Galimberti, Milano: Adelphi, Epistolario di
Giacomo Leopardi Leopardi (famiglia) Opere di Giacomo Leopardi Pensiero e
poetica di Giacomo Leopardi Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource
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Fantascienza.com. Spartiti o libretti di Giacomo Leopardi, su International
Music Score Library Project, Project Petrucci LLC. Centro nazionale di studi leopardianiRecanati,
su centrostudileopardiani.it. Opere di Giacomo Leopardi disponibili su Classici
Italiani e opere complete di Giacomo
Leopardi, interbooks.eu Lo Zibaldone , su rodoni.ch. I canti di Giacomo
Leopardi dai manoscritti autografi della Biblioteca Nazionale di Napoli, su
bnnonline.it. Il Pessimismo in Leopardi e Schopenhauer [collegamento
interrotto], su gheminga.it. Opere[collegamento interrotto] integrali in più
volumi dalla collana digitalizzata "Scrittori d'Italia" Laterza Opere
di Giacomo Leopardi, testi con concordanze, lista delle parole e lista di
frequenza Leopardi: Dialogo di un Fisico e di un Metafisico. Arte di prolungare
la vita o arte della felicità?, su giornaledifilosofia.net. Concordanze delle
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Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Leopardi: Monaldo
Leopardi, Conte di San Leopardo Stemma TrattamentoEccellenza NascitaPalazzo
Leopardi, Recanati, 16 agosto 1776 MorteRecanati, 30 aprile 1847 SepolturaChiesa
di Santa Maria in Varano Luogo di sepolturaRecanati DinastiaLeopardi
PadreGiacomo MadreVirginia Mosca ConsorteAdelaide Antici FigliGiacomo Paolina
Carlo Orazio Pierfrancesco Luigi ReligioneCattolicesimo Il conte Monaldo
Leopardi (Recanati) filosofo. Importante esponente del pensiero
controrivoluzionario e padre di Leopardi. Leopardi, targa commemorativa apposta
sui portici di piazza Leopardi a Recanati Figlio primogenito del conte Giacomo
e di Virginia dei marchesi Mosca, nacque in una delle famiglie più preminenti
di Recanati. Rimasto a quattro anni orfano del padre, crebbe con la madre (che
non volle risposarsi per accudire i quattro figli), gli zii paterni rimasti
celibi e i fratelli. Educato in casa dal precettore Giuseppe Torres
(1744-1821), padre gesuita fuggito dalla Spagna a seguito della cacciata
dell'ordine dal regno, ricevette una formazione improntata agli ideali
cristiani, cui rimase fedele per tutto il resto della sua vita. Fu sottoposto
alla tutela di un prozio, non potendo amministrare direttamente il patrimonio
familiare per disposizione testamentaria. Ottenne tuttavia da papa Pio VI la
deroga alla disposizione paterna e, all'età di 18 anni, assunse
l'amministrazione della propria eredità (1794). Dopo un primo progetto di
nozze andato a monte, sposò nel 1797 la marchesa Adelaide Antici (1778-1857),
sua lontana parente. Il matrimonio fu un matrimonio d'amore strenuamente
osteggiato dalla famiglia di Monaldo, in base ad antiche dispute tra casati e
per questioni economiche (mancanza di una dote adeguata), che per manifestare
la propria contrarietà non partecipò al matrimonio, che venne infatti celebrato
nella sala detta "galleria" di palazzo Antici a Recanati. Il
patrimonio di famiglia, dalle mani di Monaldo, passò in quelle della moglie, a
causa dei debiti del prozio che il conte non riusciva a ripianare. Frutto di
questa unione tra opposti caratteri furono numerosi figli: di questi,
raggiunsero l'età adulta Giacomo (1798-1837), Carlo (1799-1878), Paolina
(1800-1869), Luigi (1804-1828) e Pierfrancesco (1813-1851). A causa della
impossibilità di gestirli (dovuta alla sua indole caritatevole verso i poveri,
agli sperperi dei parenti e all'invasione giacobina), l'amministrazione dei
beni di famiglia passò nelle mani della consorte, donna energica e severa;
Monaldo poté così dedicarsi totalmente alla sua passione, gli studi e le
lettere. Tra i suoi molti meriti vi è aver grandemente contribuito alla
formazione del nucleo fondamentale (circa 20.000 volumi) della biblioteca di
famiglia dei Leopardi, nella quale il giovane Giacomo passò i suoi anni di
"studio matto e disperatissimo" (compresi i libri proibiti per i
quali il conte ottenne la dispensa della Santa Sede, per metterli a
disposizione dei figli) e che Monaldo donò all'intera cittadinanza recanatese a
partire dal 1810, come ricorda la lapide apposta nella cosiddetta "prima
stanza". L'impegno civico Angolo della biblioteca di palazzo
Leopardi negli anni Cinquanta, con i ritratti di Monaldo, Adelaide e
Giacomo Il medico e naturalista britannico Edward Jenner La sua opera è
rappresentativa del concetto di reazione (per es., la demolizione
dell'egualitarismo nel Catechismo sulle rivoluzioni), inoltre gli vanno
riconosciuti diversi meriti acquisiti durante lo svolgersi della sua vita
politica, indirizzata nei confronti di Recanati, città in cui visse.
Monaldo fu consigliere comunale a diciotto anni, governatore della città nel
1798 e, dal 1800 al 1801, amministratore dell'annona. Fu tra coloro che si
mantennero fedeli al papa Pio VI nel periodo dell'occupazione francese. Nel
1797 s'adoperò per mantenere tranquilla la popolazione in tumulto contro le
forze dei rivoluzionari francesi e, in accordo con i suoi principî morali e
religiosi, rifiutò di assumere incarichi pubblici durante la Repubblica Romana
e il primo ed effimero Regno d'Italia (1805-1814). Dal 1816 al 1819 e dal
1823 al 1826 fu gonfaloniere di Recanati, la massima carica amministrativa, e
si occupò della costruzione di strade e di ospedali, dell'illuminazione
notturna, del sostegno ai meno abbienti, della riduzione delle tasse, del
rilancio degli studi pubblici e delle attività teatrali. Sebbene fosse
preoccupato per le conseguenze della meccanizzazione sull'occupazione, ritenne
che le ferrovie e le macchine a vapore fossero tutt'altro che inconciliabili
con una società cristiana. Stimolò inoltre il diboscamento del suolo, la messa
a coltura dei prati, lo stabilimento di case coloniche e l'applicazione di
nuove colture, come il cotone o la patata. Fu anche il primo a introdurre nello
Stato Pontificio il vaccino antivaioloso dell'inglese Edward Jenner e lo fece
sperimentare sui propri figli; poi, da gonfaloniere, rese obbligatoria la
vaccinazione che svolgeva personalmente (in ciò smentendo la
raffigurazione caricaturale di "retrogrado" che si attribuì
ideologicamente alla sua figura da parte della critica novecentesca). Sostenne
anche un progetto per la fondazione di un'università nella sua città natale,
che però alla sua morte non ebbe seguito. Infine, durante la carestia del
1816-1817, fece erogare gratuitamente i medicinali ai più bisognosi e creò
occasioni di lavoro, sia maschile, con la costruzione di strade, sia femminile,
con la tessitura della canapa. Come scrisse una volta, quelle attività
riformatrici non erano in contrasto con le sue idee controrivoluzionarie;
infatti dichiarò: «Oggi si pretende di costruire il mondo per una eternità e si
soffoca ogni residuo e ogni speranza del bene presente sotto il progetto
mostruoso del perfezionamento universale» Nel 1837 morì il celebre figlio
Giacomo: nonostante tra i due i rapporti non fossero distesi, la perdita gli
causò grave dolore. Si spense nella città natale il 30 aprile 1847 e fu sepolto
nella tomba di famiglia presso la chiesa di Santa Maria in Varano a
Recanati. Opere Dei molti scritti religiosi, storici, letterari, eruditi
e filosofici di Monaldo Leopardi, i più famosi sono i Dialoghetti sulle materie
correnti nell'anno 1831, usciti nel gennaio 1832 con lo pseudonimo di
"1150", MCL in cifre romane, ovvero le iniziali di "Monaldo
Conte Leopardi". Ebbero immediatamente un grande successo, ben sei
edizioni in cinque mesi, furono tradotti in più lingue e divennero notissimi
nelle corti europee. Il figlio Giacomo, da Roma, ne informa il padre in una
lettera dell'8 marzo: «I Dialoghetti, di cui la ringrazio di cuore,
continuano qui ad essere ricercatissimi. Io non ne ho più in proprietà se non
una copia, la quale però non so quando mi tornerà in mano.» Per umiltà
lasciò i molti guadagni allo stampatore, il Nobili. È probabile che con quest'opera
Monaldo volesse contrapporsi alle Operette morali del figlio, che giudicava
negativamente e riteneva contrarie alla fede cristiana. In essi, infatti,
esprimeva gli ideali della reazione (o anche controrivoluzione). Tra le tesi
sostenute, la necessità della restituzione della città di Avignone al papato e
del ducato di Parma ai Borbone, la critica a Luigi XVIII di Francia per la
concessione della costituzione (che violerebbe il sacro principio dell'autorità
dei re che "non viene dai popoli, ma viene addirittura da Dio"), la
proposta della suddivisione del territorio francese fra Inghilterra, Spagna,
Austria, Russia, Olanda, iera e Piemonte, la difesa della dominazione turca sul
popolo greco, in quegli anni impegnato nella lotta per l'indipendenza.
Risalgono sempre al 1832 alcune opere di satira politica: Monaldo era infatti
ottimo satirico e disseminava le sue opere di scherzi letterari. Tra esse, il
Viaggio di Pulcinella e le Prediche recitate al popolo liberale da don Muso
Duro, curato nel paese della Verità e nella contrada della Poca Pazienza
(versione digitalizzata). Fu inoltre autore di ricerche erudite, ammonimenti ai
fedeli cattolici e articoli su varie riviste, tra cui si segnalano «La Voce
della Verità» di Modena e «La Voce della Ragione» di Pesaro, che Leopardi
stesso diresse dal 1832 al 1835. La rivista ottenne un buon successo, come
dimostrano i 2000 abbonamenti sottoscritti in tutta Italia, tuttavia fu
soppressa d'autorità nel 1835. Rimasero inediti, invece, i suoi Annali
recanatesi dalle origini della città all'anno 1800 e la sua Autobiografia,
scritta nel 1824 e pubblicata solo postuma nel 1883: in quest'ultima la prosa
di Monaldo si arricchisce di leggerezza, ironia e umorismo. Negli ultimi
anni di vita Monaldo visse appartato (non amava allontanarsi da Recanati: la
sua più lunga assenza dalla casa paterna consistette in 2 mesi a Roma tra il
dicembre 1801 e il gennaio 1802), deluso dalle caute aperture liberali del
governo pontificio e degli esordi del regno di papa Pio VII. Dal 1836 al 1838
collaborò al periodico svizzero Il Cattolico, di Lugano, tornando poi, negli
ultimi anni, agli studi storici su Recanati, coltivati in gioventù. Opere
digitalizzate Monaldo Leopardi, La Santa Casa di Loreto. Discussioni storiche e
critiche, Lugano, presso Francesco Veladini e C., 1841. Monaldo Leopardi,
Istoria evangelica scritta in latino con le sole parole dei sacri Evangelisti,
spiegata in italiano e dilucidata con annotazioni, Pesaro, pei tipi di A.
Nobili, 1832. Monaldo Leopardi, Dialoghetti sulle materie correnti dell'anno
1831, 2ª ed., 1832. Monaldo Leopardi, Prediche recitate al popolo liberale da
don Muso Duro, curato nel paese della verità e nella contrada della poca
pazienza, s.n., 1832. Rapporto con il figlio ritratto di Giacomo Leopardi
(ca. 1820) Nonostante la vulgata dica il contrario, il rapporto con il figlio
illustre appare buono: senz'altro nei primi anni Monaldo dovette essere
orgoglioso della precocità del ragazzo, e nelle opere giovanili di Giacomo, ad
esempio il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (1815), si avverte
ancora l'influenza delle idee del padre. Ben presto, però, i loro spiriti
presero strade diametralmente opposte: la crescente autonomia di pensiero di
Giacomo preoccupava Monaldo. La lettura del carteggio fra i due rivela
una relazione affettuosa, soprattutto negli ultimi anni. La lettera più sincera
scritta da Giacomo al padre è quella che quest'ultimo non lesse mai: si tratta
della missiva datata luglio 1819, quando il poeta progettava la fuga, e che non
fu mai spedita, perché egli dovette rinunciare ai suoi piani. «Mio Signor
Padre... Per quanto Ella possa aver cattiva opinione di quei pochi talenti che
il cielo mi ha conceduti, Ella non potrà negar fede intieramente a quanti
uomini stimabili e famosi mi hanno conosciuto, ed hanno portato di me quel
giudizio ch'Ella sa, e ch'io non debbo ripetere. [...] Era cosa mirabile come
ognuno che avesse avuto anche momentanea cognizione di me, immancabilmente si
maravigliasse ch'io vivessi tuttavia in questa città, e com'Ella sola fra
tutti, fosse di contraria opinione, e persistesse in quella irremovibilmente.
[...] Io so che la felicità dell'uomo consiste nell'esser contento, e però più
facilmente potrò esser felice mendicando, che in mezzo a quanti agi corporali
possa godere in questo luogo. Odio la vile prudenza che ci agghiaccia e lega e
rende incapaci d'ogni grande azione, riducendoci come animali che attendono
tranquillamente alla conservazione di questa infelice vita senz'altro
pensiero.» Nel 1825, finalmente, Giacomo lascia Recanati, per farvi
ritorno solo saltuariamente. Da lontano, il padre assiste alla crescita della
sua fama nel mondo intellettuale italiano, ma non riesce a comprendere la
grandezza del figlio: disapprova la pubblicazione delle Operette morali,
scrivendogli in una lettera (perduta) le "cose che non andavano
bene", suggerimenti che nella risposta Giacomo promette di prendere in
considerazione, ma che di fatto non sono mai accolti. Nel 1832 la
pubblicazione dei Dialoghetti di Monaldo è causa di attrito fra padre e figlio.
Giacomo Leopardi si trovava a Firenze: nell'ambiente iniziò a circolare la voce
che fosse lui l'autore dell'opera, espressione delle tesi reazionarie, cosa che
egli fu costretto a smentire seccamente sul giornale Antologia di Giovan Pietro
Vieusseux. Si sfogò poi per lettera con l'amico Giuseppe Melchiorri il 15
maggio: «Non voglio più comparire con questa macchia sul viso. D'aver
fatto quell'infame, infamissimo, scelleratissimo libro. Quasi tutti lo credono
mio: perché Leopardi n'è l'autore, mio padre è sconosciutissimo, io sono
conosciuto, dunque l'autore sono io. Fino il governo m'è divenuto poco amico
per causa di quei sozzi, fanatici dialogacci. A Roma io non potevo più
nominarmi o essere nominato in nessun luogo, che non sentissi dire: ah,
l'autore dei dialoghetti.» In toni decisamente più miti ne scrive poi a
Monaldo il 28: «Nell'ultimo numero dell'Antologia... nel Diario di Roma,
e forse in altri Giornali, Ella vedrà o avrà veduto una mia dichiarazione
portante ch'io non sono l'autore dei Dialoghetti. Ella deve sapere che attesa
l'identità del nome e della famiglia, e atteso l'esser io conosciuto
personalmente da molti, il sapersi che quel libro è di Leopardi l'ha fatto
assai generalmente attribuire a me. [...] E dappertutto si parla di questa mia
che alcuni chiamano conversione, ed altri apostasia, ec. ec. Io ho esitato 4
mesi, e infine mi son deciso a parlare, per due ragioni. L'una, che mi è parso
indegno l'usurpare in certo modo ciò ch'è dovuto ad altri, o massimamente a
Lei. Non son io l'uomo che sopporti di farsi bello degli altrui meriti. [...]
L'altra, ch'io non voglio né debbo soffrire di passare per convertito, né di
essere assomigliato al Monti, ec. ec. Io non sono stato mai né irreligioso, né
rivoluzionario di fatto né di massime. Se i miei principii non sono
precisamente quelli che si professano ne' Dialoghetti, e ch'io rispetto in Lei,
ed in chiunque li professa in buona fede, non sono stati però mai tali, ch'io
dovessi né debba né voglia disapprovarli.» Nelle ultime lettere Giacomo
esprime la volontà di rivedere il padre, passando dai toni formali a quelli
affettuosi ("carissimo papà" nell'ultima lettera). Monaldo
sopravvisse 10 anni al figlio. L'incompatibilità fra i due rimaneva però ancora
evidente nel 1845, otto anni dopo la morte di Giacomo, non accettando lui
le idee areligiose del poeta; la sorella di lui, Paolina, scriveva a Marianna
Brighenti: «Di Giacomo poi, della gloria nostra, abbiam dovuto tacere più
che mai tutto quello che di lui veniva fatto di sapere, come di quello che non
combinava punto col pensiero di papà e colle sue idee. Pertanto, non abbiamo
fatto mai parola con lui delle nuove edizioni delle sue opere, e quando le
abbiamo comprate le abbiamo tenute nascoste e le teniamo ancora, acciocché per
cagion nostra non si rinnovi più acerbo il dolore.» Su richiesta
dell'ultimo amico di Leopardi, Antonio Ranieri, pochi giorni dopo la morte del
figlio, Monaldo gli spedì un Memoriale con cenni biografici su Giacomo, con
aneddoti e curiosità, in cui si avverte il dolore per la rottura fra i due e
l'incapacità del padre di capire la direzione intrapresa dal figlio; il
Memoriale si interrompe all'anno 1832: "Tutto ciò che riguarda il tratto
successivo è più noto a Lei che a me", scrive infatti. Nonostante ciò,
Monaldo piangerà con dolore la perdita di Giacomo, al punto che quando redigerà
il proprio testamento nel 1839, alla settima volontà scrisse: «Voglio che
ogni anno in perpetuo si facciano celebrare dieci messe nel giorno anniversario
della mia morte, altre dieci il giorno 14 giugno in cui morì il mio diletto
figlio Giacomo...» Note Dante
Manetti, Giacomo Leopardi e la sua famiglia, Bietti, Milano 194081. La famiglia Leopardi è protagonista del
romanzo fantastico di Michele Mari Io venìa pien d'angoscia a rimirarti, del
1998. Monaldo Leopardi, di Sandro
Petrucci Monaldo In viaggio per
Leopardi, 23 novembre Monaldo Leopardi
fu chiamato alla collaborazione a tale rivista dal suo fondatore, il Principe
di Canosa Antonio Capece Minutolo.
Giacomo Leopardi, Carissimo Signor Padre. Lettere a Monaldo, Venosa, Osanna
ed., Giacomo Leopardi, Il monarca delle Indie. Corrispondenza tra Giacomo e
Monaldo Leopardi, Graziella Pulce, introduzione di Giorgio Manganelli, Milano,
Adelphi, 1988, 88-459-0273-0 Monaldo
Leopardi. La giustizia nei contratti e l'usura. Modena, Soliani, 1834. Monaldo
Leopardi, Autobiografia, con un saggio di Giulio Cattaneo, Roma, Dell'Altana
ed., Antonio Ranieri, Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi, Mursia ed.,
(L'ultimo amico del poeta narra di un
suo incontro con Monaldo mentre era di passaggio a Recanati, nel 1832). Monaldo
Leopardi, Catechismo filosofico e Catechismo sulle rivoluzioni,
Fede&Cultura, 2006 Monaldo Leopardi, Dialoghetti sulle materie correnti
nell'anno 1831 e Il viaggio di Pulcinella, in , L'Europa giudicata da un
reazionario. Un confronto sui Dialoghetti di Monaldo Leopardi, Diabasis, 2004
Nicola Raponi, Due centenari. A proposito dell'autobiografia di Monaldo
Leopardi, Quaderni del Bicentenario. Pubblicazione periodica per il
bicentenario del trattato di Tolentino, n. 4, Tolentino, 1999, 31–50. Giuseppe Manitta, Giacomo Leopardi.
Percorsi critici e bibliografici (1998-2003), Il Convivio, 2009. Anna Maria
Trepaoli, Gubbio, i Leopardi, Recanati: un legame da riscoprire, Perugia,
Fabrizio Fabbri editore, Pasquale Tuscano, Monaldo Leopardi. Uomo, politico,
scrittore, Lanciano, Casa Editrice Rocco Carabba, , Giacomo Leopardi Leopardi
(famiglia) Pierfrancesco Leopardi. Monaldo Leopardi, su Treccani.itEnciclopedie
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Giovanni Ferretti, Monaldo Leopardi, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Nicola Del
Corno, Monaldo Leopardi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Monaldo
Leopardi, su siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo Unificato per
le Soprintendenze Archivistiche. Opere
di Monaldo Leopardi, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Monaldo
Leopardi, . Sandro Petrucci, «Monaldo
Leopardi» in Dizionario del pensiero forte, IDISIstituto per la Dottrina e
l'Informazione Sociale, sito "alleanzacattoliga.org".
leucippus: Grecian pre-Socratic
philosopher credited with founding atomism, expounded in a work titled The
Great World-system. Positing the existence of atoms and the void, he answered
Eleatic arguments against change by allowing change of place. The arrangements
and rearrangements of groups of atoms could account for macroscopic changes in
the world, and indeed for the world itself. Little else is known of Leucippus.
It is difficult to distinguish his contributions from those of his prolific
follower Democritus.
lexical ordering, also called
lexicographic ordering, a method, given a finite ordered set of symbols, such
as the letters of the alphabet, of ordering all finite sequences of those
symbols. All finite sequences of letters, e.g., can be ordered as follows:
first list all single letters in alphabetical order; then list all pairs of
letters in the order aa, ab, . . . az; ba . . . bz; . . . ; za . . . zz. Here
pairs are first grouped and alphabetized according to the first letter of the
pair, and then within these groups are alphabetized according to the second
letter of the pair. All sequences of three letters, four letters, etc., are
then listed in order by an analogous process. In this way every sequence of n
letters, for any n, is listed. Lexical ordering differs from alphabetical
ordering, although it makes use of it, because all sequences with n letters
come before any sequence with n ! 1 letters; thus, zzt will come before aaab.
One use of lexical ordering is to show that the set of all finite sequences of
symbols, and thus the set of all words, is at most denumerably infinite.
Liber vitae -- Arbitriumliber vitae --
book of life, expression found in Hebrew and Christian scriptures signifying a
record kept by the Lord of those destined for eternal happiness Exodus 32:32;
Psalms 68; Malachi 3:16; Daniel 12:1; Philippians 4:3; Revelation 3:5, 17:8,
20:12, 21:27. Medieval philosophers often referred to the book of life when
discussing issues of predestination, divine omniscience, foreknowledge, and
free will. Figures like Augustine and Aquinas asked whether it represented
God’s unerring foreknowledge or predestination, or whether some names could be
added or deleted from it. The term is used by some contemporary philosophers to
mean a record of all the events in a person’s life.
Liber, liberum -- liberalismalla
Locke“meaning liberalism”“Every man has the liberty to make his words for any
idea he pleases.” “every Man has so
inviolable a Liberty, to make Words stand for what Ideas
he pleases.” Bennett on Locke: An utterer has all the freedom he has to
make any of his expressions for any idea he pleases. Constant, BenjaminGrice
was a sort of a liberalat least he was familiar with “pinko Oxford” -- in full, Henri-Benjamin Constant de Rebecque,
defender of liberalism and passionate analyst of and European politics. He welcomed the Revolution but not the Reign of Terror, the
violence of which he avoided by accepting a lowly diplomatic post in
Braunschweig 1787 94. In 1795 he returned to Paris with Madame de Staël and
intervened in parliamentary debates. His pamphlets opposed both extremes, the
Jacobin and the Bonapartist. Impressed by Rousseau’s Social Contract, he came
to fear that like Napoleon’s dictatorship, the “general will” could threaten
civil rights. He had first welcomed Napoleon, but turned against his autocracy.
He favored parliamentary democracy, separation of church and state, and a bill
of rights. The high point of his political career came with membership in the
Tribunat 180002, a consultative chamber appointed by the Senate. His centrist
position is evident in the Principes de politique 180610. Had not republican
terror been as destructive as the Empire? In chapters 1617, Constant opposes
the liberty of the ancients and that of the moderns. He assumes that the
Grecian world was given to war, and therefore strengthened “political liberty”
that favors the state over the individual the liberty of the ancients.
Fundamentally optimistic, he believed that war was a thing of the past, and
that the modern world needs to protect “civil liberty,” i.e. the liberty of the
individual the liberty of the moderns. The great merit of Constant’s comparison
is the analysis of historical forces, the theory that governments must support
current needs and do not depend on deterministic factors such as the size of
the state, its form of government, geography, climate, and race. Here he
contradicts Montesquieu. The opposition between ancient and modern liberty
expresses a radical liberalism that did not seem to fit politics. However, it was the beginning of
the liberal tradition, contrasting political liberty in the service of the state
with the civil liberty of the citizen cf. Mill’s On Liberty, 1859, and Berlin’s
Two Concepts of Liberty, 8. Principes remained in manuscript until 1861; the
scholarly editions of Étienne Hofmann 0 are far more recent. Hofmann calls
Principes the essential text between Montesquieu and Tocqueville. It was tr.
into English as Constant, Political Writings ed. Biancamaria Fontana, 8 and 7.
Forced into retirement by Napoleon, Constant wrote his literary masterpieces,
Adolphe and the diaries. He completed the Principes, then turned to De la
religion 6 vols., which he considered his supreme achievement. liberalism, a political philosophy first
formulated during the Enlightenment in response to the growth of modern
nation-states, which centralize governmental functions and claim sole authority
to exercise coercive power within their boundaries. One of its central theses
has long been that a government’s claim to this authority is justified only if
the government can show those who live under it that it secures their liberty.
A central thesis of contemporary liberalism is that government must be neutral
in debates about the good human life. John Locke, one of the founders of
liberalism, tried to show that constitutional monarchy secures liberty by
arguing that free and equal persons in a state of nature, concerned to protect
their freedom and property, would agree with one another to live under such a
regime. Classical liberalism, which attaches great value to economic liberty,
traces its ancestry to Locke’s argument that government must safeguard
property. Locke’s use of an agreement or social contract laid the basis for the
form of liberalism championed by Rousseau and most deeply indebted to Kant.
According to Kant, the sort of liberty that should be most highly valued is
autonomy. Agents enjoy autonomy, Kant said, when they live according to laws
they would give to themselves. Rawls’s A Theory of Justice (1971) set the main
themes of the chapter of liberal thought now being written. Rawls asked what
principles of justice citizens would agree to in a contract situation he called
“the original position.” He argued that they would agree to principles
guaranteeing adequate basic liberties and fair equality of opportunity, and
requiring that economic inequalities benefit the least advantaged. A government
that respects these principles secures the autonomy of its citizens by
operating in accord with principles citizens would give themselves in the
original position. Because of the conditions of the original position, citizens
would not choose principles based on a controversial conception of the good
life. Neutrality among such conceptions is therefore built into the foundations
of Rawls’s theory. Some critics argue that liberalism’s emphasis on autonomy
and neutrality leaves it unable to account for the values of tradition,
community, or political participation, and unable to limit individual liberty
when limits are needed. Others argue that autonomy is not the notion of freedom
needed to explain why common forms of oppression like sexism are wrong. Still
others argue that liberalism’s focus on Western democracies leaves it unable to
address the most pressing problems of contemporary politics. Recent work in
liberal theory has therefore asked whether liberalism can accommodate the
political demands of religious and ethnic communities, ground an adequate
conception of democracy, capture feminist critiques of extant power structures,
or guide nation-building in the face of secessionist, nationalist, and
fundamentalist claims. Refs.: H. P. Grice, “Impenetrability: Humpty-Dumpty’s
meaning-liberalism,” H. P. Grice, “Davidson and Humpty Dumpty’s glory.” Arbiter,
arbiter liberum -- liberum arbitrium, Latin expression meaning ‘free
judgment’, often used to refer to medieval doctrines of free choice or free
will. It appears in the title of Augustine’s seminal work De libero arbitrio
voluntatis (usually translated ‘On the Free Choice of the Will’) and in many
other medieval writings (e.g., Aquinas, in Summa theologiae I, asks “whether
man has free choice [liberum arbitrium]”). For medieval thinkers, a judgment
(arbitrium) “of the will” was a conclusion of practical reasoning“I will do
this” (hence, a choice or decision)in contrast to a judgment “of the intellect”
(“This is the case”), which concludes theoretical reasoning.
Limitatumde-limitatum -- delimitatum: limiting
case, an individual or subclass of a given background class that is maximally
remote from “typical” or “paradigm” members of the class with respect to some
ordering that is not always explicitly mentioned. The number zero is a limiting
case of cardinal number. A triangle is a limiting case of polygon. A square is
a limiting case of rectangle when rectangles are ordered by the ratio of length
to width. Certainty is a limiting case of belief when beliefs are ordered
according to “strength of subjective conviction.” Knowledge is a limiting case
of belief when beliefs are ordered according “adequacy of objective grounds.” A
limiting case is necessarily a case (member) of the background class; in
contrast a li-ch’i limiting case 504 4065h-l.qxd 08/02/1999 7:40 AM Page 504
borderline case need not be a case and a degenerate case may clearly fail to be
a case at all.
Lingua – Grice: “One good thing that
unites Englishmen and Italianmen is that ‘lingua’ and ‘tongue’ are cognate!”
Grice: “The Romans thought that ‘lingua’ was cognate with ‘lingare,’ to lick,
but it ain’t. – unless it is, but only because of a later confusion. linguaggioglossatongue
-- linguistic botany: Ryle preferred to call himself a
‘geographer,’ or cartographercf. Grice on conceptual latitude and conceptual
longitude. But then there are plants. Pretentious Austin, mocking continental
philosophy called this ‘linguistic phenomenology,’ meaning literally, the ‘language
phenomena’ out there. Feeling Byzanthine. Possibly the only occasion when Grice
engaged in systematic botany. Like Hare, he would just rather ramble around. It
was said of Hare that he was ‘of a different world.’ In the West Country, he
would go with his mother to identify wild flowers, and they identied “more than
a hundred.” Austin is not clear about ‘botanising.’ Grice helps. Grice was a
meta-linguistic botanist. His point was to criticise ordinary-language
philosophers criticising philosophers. Say: Plato and Ayer say that episteme is
a kind of doxa. The contemporary, if dated, ordinary-language philosopher
detects a nuance, and embarks risking collision with the conversational facts
or data: rushes ahead to exploit the nuance without clarifying it, with wrong
dicta like: What I known to be the case I dont believe to be the case. Surely,
a cancellable implicaturum generated by the rational principle of
conversational helpfulness is all there is to the nuance. Grice knew that
unlike the ordinary-language philosopher, he was not providing a taxonomy or
description, but a theoretical explanation. To not all philosophers analysis
fits them to a T. It did to Grice. It did not even fit Strawson. Grice had a
natural talent for analysis. He could not see philosophy as other than
conceptual analysis. “No more, no less.” Obviously, there is an evaluative side
to the claim that the province of philosophy is to be identified with
conceptual analysis. Listen to a theoretical physicist, and hell keep talking
about concepts, and even analysing them! The man in the street may not! So
Grice finds himself fighting with at least three enemies: the man in the street
(and trying to reconcile with him: What
I do is to help you), the scientists (My conceptual analysis is meta-conceptual),
and synthetic philosophers who disagree with Grice that analysis plays a key
role in philosophical methodology. Grice sees this as an update to his post-war
Oxford philosophy. But we have to remember that back when he read that paper,
post-war Oxford philosophy, was just around the corner and very fashionable. By
the time he composed the piece on conceptual analysis as overlapping with the
province of philosophy, he was aware that, in The New World, anaytic had
become, thanks to Quine, a bit of an abusive term, and that Grices natural
talent for linguistic botanising (at which post-war Oxford philosophy excelled)
was not something he could trust to encounter outside Oxford, and his Play
Group! Since his Negation and Personal identity Grice is concerned with
reductive analysis. How many angels can dance on a needles point? A needless
point? This is Grices update to his Post-war Oxford philosophy. More generally
concerned with the province of philosophy in general and conceptual analysis
beyond ordinary language. It can become pretty technical. Note the Roman
overtone of province. Grice is implicating that the other province is perhaps
science, even folk science, and the claims and ta legomena of the man in the
street. He also likes to play with the idea that a conceptual enquiry need not
be philosophical. Witness the very opening to Logic and conversation,
Prolegomena. Surely not all inquiries need be philosophical. In fact, a claim
to infame of Grice at the Play Group is having once raised the infamous, most
subtle, question: what is it that makes a conceptual enquiry philosophically
interesting or important? As a result, Austin and his kindergarten spend three
weeks analysing the distinct inappropriate implicatura of adverbial
collocations of intensifiers like highly depressed, versus very depressed, or
very red, but not highly red, to no avail. Actually the logical form of very is
pretty complicated, and Grice seems to minimise the point. Grices moralising implicaturum,
by retelling the story, is that he has since realised (as he hoped Austin knew)
that there is no way he or any philosopher can dictate to any other
philosopher, or himself, what is it that makes a conceptual enquiry
philosophically interesting or important. Whether it is fun is all that
matters. Refs.: The main references are meta-philosophical, i. e. Grice talking
about linguistic botany, rather than practicing it. “Reply to Richards,” and
the references under “Oxonianism” below are helpful. For actual practice, under
‘rationality.’ There is a specific essay on linguistic botanising, too. The H.
P. Grice Papers, BANC.
Signum -- semantic relativity, the thesis
that at least some distinctions found in one language are found in no other
language (a version of the Sapir-Whorf hypothesis, by Benjamin Lee Whorf, of
New England, from the river Wharf, in Yorkshirehe died in Hartford, Conn., New
England); more generally, the thesis that different languages utilize different
representational systems that are at least in some degree informationally
incommensurable and hence non-equivalent. The differences arise from the
arbitrary features of languages resulting in each language encoding lexically
or grammatically some distinctions not found in other languages. The thesis of
linguistic determinism holds that the ways people perceive or think about the
world, especially with respect to their classificatory systems, are causally
determined or influenced by their linguistic systems or by the structures
common to all human languages. Specifically, implicit or explicit linguistic
categorization determines or influences aspects of nonlinguistic
categorization, memory, perception, or cognition in general. Its strongest form
(probably a straw-man position) holds that linguistically unencoded concepts are
unthinkable. Weaker forms hold that concepts that are linguistically encoded
are more accessible to thought and easier to remember than those that are not.
This thesis is independent of that of linguistic relativity. Linguistic
determinism plus linguistic relativity as defined here implies the Sapir-Whorf
hypothesis.
Lettera – litera—gramma -- word – ‘stave’
– OE ‘staff.’ literary theory, a reasoned account of the nature of the literary
artifact, its causes, effects, and distinguishing features. So understood,
literary theory is part of the systematic study of literature covered by the
term ‘criticism’, which also includes interpretation of literary works,
philology, literary history, and the evaluation of particular works or bodies
of work. Because it attempts to provide the conceptual foundations for
practical criticism, literary theory has also been called “critical theory.”
However, since the latter term has been appropriated by neo-Marxists affiliated
with the Frankfurt School to designate their own kind of social critique,
‘literary theory’ is less open to misunderstanding. Because of its concern with
the ways in which literary productions differ from other verbal artifacts and
from other works of art, literary theory overlaps extensively with philosophy,
psychology, linguistics, and the other human sciences. The first ex professo
theory of literature in the West, for centuries taken as normative, was
Aristotle’s Poetics. On Aristotle’s view, poetry is a verbal imitation of the
forms of human life and action in language made vivid by metaphor. It
stimulates its audience to reflect on the human condition, enriches their
understanding, and thereby occasions the pleasure that comes from the exercise
of the cognitive faculty. The first real paradigm shift in literary theory was
introduced by the Romantics of the nineteenth century. The Biographia Literaria
of Samuel Taylor Coleridge, recounting the author’s conversion from Humean
empiricism to a form of German idealism, defines poetry not as a representation
of objective structures, but as the imaginative self-expression of the creative
subject. Its emphasis is not on the poem as a source of pleasure but on poetry
as a heightened form of spiritual activity. The standard work on the transition
from classical (imitation) theory to Romantic (expression) theory is M. H.
Abrams’s The Mirror and the Lamp. In the present century theory has assumed a
place of prominence in literary studies. In the first half of the century the
works of I. A. Richardsfrom his early positivist account of linear order poetry
in books like Science and Poetry to his later idealist views in books like The
Philosophy of Rhetoricsponsored the practice of the American New Critics. The
most influential theorist of the period is Northrop Frye, whose formalist
manifesto, Anatomy of Criticism, proposed to make criticism the “science of
literature.” The introduction of Continental thought to the English-speaking
critical establishment in the 1960s and after spawned a bewildering variety of
competing theories of literature: e.g., Russian formalism, structuralism,
deconstruction, new historicism, Marxism, Freudianism, feminism, and even the
anti-theoretical movement called the “new pragmatism.” The best summary account
of these developments is Frank Lentricchia’s After the New Criticism (1980).
Given the present near-chaos in criticism, the future of literary theory is
unpredictable. But the chaos itself offers ample opportunities for
philosophical analysis and calls for the kind of conceptual discrimination such
analysis can offer. Conversely, the study of literary theory can provide
philosophers with a better understanding of the textuality of philosophy and of
the ways in which philosophical content is determined by the literary form of
philosophical texts. Lettera gramma wordstab -- lit. hum. (philos.): While Grice would take tutees under different curricula, he
preferred Lit. Hum. So how much philosophy did this include. Plato, Aristotle,
Locke, Kant, and Mill. And that was mainly it. We are referring to the
‘philosophy’ component. Ayer used to say that he would rather have been a
judge. But at Oxford of that generation, having a Lit. Hum. perfectly qualified
you as a philosopher. And people like Ayer, who would rather be a juddge, end
up being a philosopher after going through the Lit. Hum. Grice himself comes as
a “Midlands scholarship boy” straight from Clifton on a classics scholarship,
and being from the Midlands, straight to Corpus. The fact that he got on so
well with Hardie helped. The fact that his interim at Merton worked was good.
The fact that the thing at Rossall did NOT work was good. The fact that he
becamse a fellow at St. John’s OBVIOUSLY helped. The fact that he had Strawson
as a tutee ALSO helped helped. H. P. Grice, Literae Humaniores (Philosophy),
Oxon. Aelfric translated ‘lettera’ as ‘stab.’
Lettieri: Antonio Catara Lettieri
(Messina), filosofo. Professore di diritto naturale ed etica all'Messina, fu
presidente della Real Accademia Peloritana dei Pericolanti. Molto apprezzato da
Terenzio Mamiani, Vincenzo Gioberti e Pasquale Galluppi, fu sepolto nel famedio
del cimitero monumentale di Messina. La città natale ha intitolato al suo nome
una via cittadina. Principali
pubblicazioni Sul sensualismo. Dissertazione, Messina, Stamp. T. Capra
all'insegna di Maurolico, 1839. La fisiologia calunniata di materialismo,
Messina, M. Nobolo, 1842. La potenza del pensiero. Opera composta per la
gioventu siciliana, Palermo, Stamp. M. Console, 1849. Scritti varii di etica e
di diritto naturale, Messina, Stamp. A. D'Amico, 1858. Sull'intuito. Dialoghi
filosofici, Messina, Stamperia ant. D'Amico Arena, 1860. L'omu nun avi l'usu di
la ragiuni. Cicalata di lu professuri cav. A. Catara- Lettieri, Messina, Tip.
D'Amico, 1869. Introduzione alla filosofia morale e al diritto razionale,
Messina, Tip. D'Amico, 1872. Introduzione alla cognizione del dovere. Poche
nozioni dirette all'operaio e ad ogni classe di cittadini, Messina, Tip.
D'Amico, 1877. Ricordi storici intorno al movimento filosofico nella prima metà
del secolo XIX in Sicilia, Messina, Tip. D'Amico, 1881. Sull'Uomo. Pensieri di Antono
Catara-Lettieri, Messina, presso Ignazio D'Amico, 1869. Testo in Google Libri.
Lombardia -- Grice: “If William was called
Ockham, I should be called Harborne, and Petrus Lombardia!” -- Pietro LombardoHe was born in Novara, in the
Piedmont, then reckoned as Lombardia! --
theologian and author of the Book of Sentences Liber sententiarum, a renowned
theological sourcebook in the later Middle Ages. Peter was educated at Bologna,
Reims, and Paris before teaching in the school of Notre Dame in Paris. He
became a canon at Notre Dame in 114445 and was elected bishop of Paris in 1159.
His extant works include commentaries on the Psalms written in the mid-1130s
and on the epistles of Paul c.113941; a collection of sermons; and his
one-volume summary of Christian doctrine, the Sentences completed by 1158. The
Sentences consists of four books: Book I, On the Trinity; Book II, On the
Creation of Things; Book III, On the Incarnation; and Book IV, “On the Doctrine
of Signs or Sacraments.” His discussion is organized around particular
questions or issues e.g., “On Knowledge, Foreknowledge, and Providence” Book I,
“Is God the Cause of Evil and Sin?” Book II. For a given issue Peter typically
presents a brief summary, accompanied by short quotations, of main positions
found in Scripture and in the writings of the church fathers and doctors,
followed by his own determination or adjudication of the matter. Himself a
theological conservative, Peter seems to have intended this sort of compilation
of scriptural and ancient doctrinal teaching as a counter to the popularity,
fueled by the recent recovery of important parts of Aristotle’s logic, of the
application of dialectic to theological matters. The Sentences enjoyed wide
circulation and admiration from the beginning, and within a century of its
composition it became a standard text in the theology curriculum. From the
midthirteenth through the mid-fourteenth century every student of theology was
required, as the last stage in obtaining the highest academic degree, to
lecture and comment on Peter’s text. Later medieval thinkers often referred to
Peter as “the Master” magister, thereby testifying to the Sentences’
preeminence in theological training. In lectures and commentaries, the greatest
minds of this period used Peter’s text as a framework in which to develop their
own original positions and debate with their contemporaries. As a result the
Sentences-commentary tradition is an extraordinarily rich repository of later
medieval philosophical and theological thought. Jump
to navigationJump to search Pietro Lombardo rappresentato in una
miniatura a decorazione di una littera notabilior di un manoscritto Pietro
Lombardo o Pier Lombardo (Lumellogno di Novara, 1100Parigi, 1160 circa) teologo
e vescovo italiano. Nacque a Novara o nei dintorni (a Lumellogno esiste
una lapide su di una casa che risorda il luogo della nascita) , all'inizio del
XII secolo. Ricevette la sua prima formazione teologica a Bologna, dove acquisì
una perfetta conoscenza del Decretum Gratiani. Dopo il 1136 si recò a Reims e
poi a Parigi, dove fino alla sua elevazione alla sede vescovile di questa città
(1159) insegnò teologia. Almeno una volta in questo periodo, tra il 1145 e il 1153,
si recò alla corte pontificia, dove venne a conoscenza della traduzione del De
fide orthodoxa di Giovanni Damasceno, compiuta da Burgundio Pisano per incarico
di Eugenio III. Quasi certamente nel 1147 fu uno dei teologi che nel sinodo
parigino presero posizione contro Gilberto Porretano. Dopo un breve
episcopato (1159-1160) morì il 21 o 22 luglio del 1160 (non del 1164). Il suo
epitaffio si conservò nella chiesa di Saint Marcel fino alla Rivoluzione
francese. Dante lo nomina in Paradiso, X, 106-108. Oltre ai commenti
all'opera di Paolo di Tarso e ai Salmi, la sua opera maggiore rimane il Liber
Sententiarum (Libro delle Sentenze), scritta fra il 1150 ed il 1152 e per la
quale ottenne l'appellativo di Magister Sententiarum. Sebbene il testo rientri
in un genere letterario tipico della teologia medievale, ossia l'esposizione
delle sentenze delle autorità di fede (i padri della chiesa ed i riferimenti
biblici) l'opera del Lombardo, per l'ampiezza delle fonti e la sua originalità,
diverrà il testo di riferimento per la didattica nelle facoltà di teologia e
l'elaborazione letteraria nello stesso campo fino alla fine del XVI secolo.
Egli infatti attinge ad una vasta letteratura in merito, adottando anche testi
che normalmente non erano contemplati in queste composizioni, come Il De fide
ortodoxa di Giovanni Damasceno. Con la sua opera il Lombardo tenta di
sistematizzare e armonizzare la disparità e le divergenze che la pluralità
delle auctoritates aveva generato, dando luogo ad un certo scompiglio ermeneutico
e dottrinale. Riprendendo la classica distinzione agostiniana tra signa e res,
Lombardo afferma che il motivo delle divergenze non appartiene alla natura
delle cose trattate, bensì alla metodologia esegetica. Il testo si divide
in quattro parti: la prima tratta di Dio, della sua natura e dei suoi
attributi; la seconda delle creazione degli angeli, del mondo e dell'uomo sino
al peccato originale; la terza dell'incarnazione cristica e della promessa
della Grazia; la quarta dei sacramenti. Anche lo sviluppo del testo mantiene la
distinzione tra res (le prime tre parti) e signa (l'ultima) Lo stile del
Lombardo snoda l'esposizione delle sentenze coll'eleganza dialettica di tipo
anselmiano mantenendosi aderente al rispetto delle varie auctoritates anche
riguardo o stile letterario col quale egli opera una volontaria mimesi.
Il testo venne criticato sin dalla sua prima uscita per via del cosiddetto
nichilismo cristologico. Lombardo descrive infatti l'incarnazione nei termini
di assumptus homo, ossia la persona divina del Cristo avrebbe assunto una
natura umana (accessoriamente). Ciò contrastava con la determinazione di
origine boeziana per la quale la natura cristologica traeva la sua forma da un
sinolo unico di divino ed umano. Note
Per approfondimenti vedere: Nicola Abbagnano, Storia della
filosofia, II, pag.30 e seg. Novara,
Istituto Geografico de Agostini, 2006 per Gruppo Editoriale l'Espresso, Roma (I
contenuti di questo volume sono tratti da: Nicola Abbagnano, Storia della
filosofia I, II, III, quarta edizione,
Torino, Utet, 1993 e Nicola Abbagnano, Dizionario di Filosofia, terza edizione
aggiornata ed ampliata da Giovanni Fornero, Torino, Utet 1998) Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, II, pag. 37 e seg. Novara, Istituto
Geografico de Agostini, 2006 per Gruppo Editoriale l'Espresso, Roma (I
contenuti di questo volume sono tratti da: Nicola Abbagnano, Storia della
filosofia I, II, III, quarta edizione,
Torino, Utet, 1993 e Nicola Abbagnano, Dizionario di Filosofia, terza edizione
aggiornata ed ampliata da Giovanni Fornero, Torino, Utet 1998) Marcia L. Colish, Peter Lombard, Leiden,
Brill, 1994 (due volumi). Pietro Lombardo. Atti del XLIII Convegno storico
internazionale : Todi, 8-10 ottobre 2006, Spoleto, Fondazione Centro italiano
di studi sull'alto Medioevo, 2007.
Minuscule 714il manoscritto del Nuovo Testamento e di
"Sententiae". Libri Quattuor Sententiarum Scolastica (filosofia)
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versione) / Pietro Lombardo (altra versione) / Pietro Lombardo (altra versione)
/ Pietro Lombardo (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere
di Pietro Lombardo, . su Pietro
Lombardo, su Les Archives de littérature du Moyen Âge. Pietro Lombardo, in
Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.
Sofia Vanni Rovighi, Pietro Lombardo, in Enciclopedia dantesca, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1970. Petrus Lombardus, Opera Omnia dal Migne
Patrologia Latina con indici analitici.Hugh Chisholm , Peter Lombard, in
Enciclopedia Britannica, XI, Cambridge University Press. Refs.: Luigi
Speranza, “Philosophical psychology in the commentaries of Pietro Lombardo and
Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice,
Liguria, Italia.
locke.
Grice cites Locke in “Personal identity,” and many more places. He has a
premium for Locke. Acceptance, acceptance and certeris
paribus condition, acceptance and modals, j-acceptance, moral acceptance,
prudential acceptance, v-acceptance, ackrill, Aristotle, Austin, botvinnik ,
categorical imperative, chicken soul, immortality of,
Davidson, descriptivism, descriptivism and ends,
aequi-vocality thesis, final cause, frege, happiness,
happiness and H-desirables, happiness and I-desirables, happiness as a system
of ends, happiness as an end, hardie, hypothetical
imperative , hypothetical imperative --
see technical imperatives, isaacson, incontinence, inferential principles, judging, judging and
acceptance, Kant, logical theory, meaning, meaning and speech procedures, sentence meaning,
what a speaker means, modes, modes and moods, moods,
modes and embedding of mode-markers , judicative operator, volitive operator, mood operators,
moods morality, myro, nagel, necessity, necessity and provability, necessity and
relativized and absolute modalities, principle of total evidence, principles of
inference, principles of inference, reasons, and necessity, provability,
radical, rationality : as faculty manifested in reasoning, flat and variable,
proto-rationality, rational being, and value
as value-paradigmatic concept, rationality operator, reasonable, reasoning,
reasoning and defeasibility, reasoning defined, rasoning and explanation,
reasoning -- first account of, reasoning and good reasoning, reasoning, special
status of, reasoning the hard way of, reasoning and incomplete reasoning,
reasoning and indeterminacy of, reasoning and intention, reasoning and
misreasoning, reasoning, practical, reasoning, probabilistic, reasoning as
purposive activity, reasoning, the quick way of , reasoning -- too good to be reasoning, reasons, reasons
altheic, reasons: division into practical and alethic, reasons: explanatory,
reasons justificatory, reasons: justificatory-explanatory, reasoning and
modals, reasoning and necessity, personal, practical and non-practical
(alethic) reasons compared, systematizing hypothesis: types of, Russell,
satisfactoriness, technical imperatives, value, value paradigmatic concepts,
Wright, willing and acceptance, Vitters.
Index acceptance 71-2 , 80-7 and certeris paribus condition 77 and modals 91-2
J-acceptance 51 moral 61 , 63 , 87 prudential 97-111 V-acceptance 51 Ackrill,
J. L. 119-20 Aristotle 4-5 , 19 , 24-5 , 31 , 32 , 43 , 98-9 , 112-15 , 120 ,
125 Austin, J. L. 99 Botvinnik 11 , 12 , 18 Categorical Imperative 4 , 70
chicken soul, immortality of 11-12 Davidson, Donald 45-8 , 68 descriptivism 92
ends 100-10 Equivocality thesis x-xv , 58 , 62 , 66 , 70 , 71 , 80 , 90 final
cause 43-4 , 66 , 111 Frege, Gottlob 50 happiness 97-134 and H-desirables
114-18 , 120 and I-desirables 114-18 , 120 , 122 , 128 as a system of ends
131-4 as an end 97 , 113-15 , 119-20 , 123-8 Hardie, W. F. R. 119 hypothetical
imperative 97 , see technical imperatives Isaacson, Dan 30n. incontinence 25 ,
47 inferential principles 35 judging 51 , see acceptance Kant 4 , 21 , 25 , 31
, 43 , 44-5 , 70 , 77-8 , 86-7 , 90-8 logical theory 61 meaning ix-x and speech
procedures 57-8 sentence meaning 68-9 what a speaker means 57-8 , 68 modes 68 ,
see moods moods xxii-xxiii , 50-6 , 59 , 69 , 71-2 embedding of mode-markers
87-9 judicative operator 50 , 72-3 , 90 volative operator 50 , 73 , 90 mood
operators , see moods morality 63 , 98 Myro, George 40 Nagel, Thomas 64n.
necessity xii-xiii , xvii-xxiii , 45 , 58-9 and provability 59 , 60-2 and
relativized and absolute modalities 56-66 principle of total evidence 47 , 80-7
principles of inference 5 , 7 , 9 , 22-3 , 26 , 35 see also reasons, and
necessity provability 59 , 60-2 radical
50-3 , 58-9 , 72 , 88 rationality : as faculty manifested in reasoning 5 flat
and variable 28-36 proto-rationality 33 rational being 4 , 25 , 28-30 and value
as value-paradigmatic concept 35 rationality operator xiv-xv , 50-1 reasonable
23-5 reasoning 4-28 and defeasibility 47 , 79 , 92 defined 13-14 , 87-8 and
explanation xxix-xxxv , 8 first account of 5-6 , 13-14 , 26-8 good reasoning 6
, 14-16 , 26-7 special status of 35 the hard way of 17 end p.135 incomplete
reasoning 8-14 indeterminacy of 12-13 and intention 7 , 16 , 18-25 , 35-6 ,
48-9 misreasoning 6-8 , 26 practical 46-50 probabilistic 46-50 as purposive
activity 16-19 , 27-8 , 35 the quick way of 17 too good to be reasoning 14-18 reasons
37-66 altheic 44-5 , 49 division into practical and alethic 44 , 68 explanatory
37-9 justificatory 39-40 , 67-8 justificatory-explanatory 40-1 , 67 and modals
45 and necessity 44-5 personal 67 practical and non-practical (alethic) reasons
compared xiixiii , 44-50 , 65 , 68 , 73-80 systematizing hypothesis 41-4 types
of 37-44 Russell, Bertrand 50 satisfactoriness 60 , 87-9 , 95 technical
imperatives 70 , 78 , 90 , 93-6 , 97 value 20 , 35 , 83 , 87-8 value
paradigmatic concepts 35-6 von Wright 44 willing 50 , see acceptance
Wittengenstein, Ludwig 50 -- English philosopher and proponent of empiricism,
famous especially for his Essay concerning Human Understanding (1689) and for
his Second Treatise of Government, also published in 1689, though anonymously.
He came from a middle-class Puritan family in Somerset, and became acquainted
with Scholastic philosophy in his studies at Oxford. Not finding a career in
church or university attractive, he trained for a while as a physician, and
developed contacts with many members of the newly formed Royal Society; the
chemist Robert Boyle and the physicist Isaac Newton were close acquaintances.
In 1667 he joined the London households of the then Lord Ashley, later first
Earl of Shaftesbury; there he became intimately involved in discussions
surrounding the politics of resistance to the Catholic king, Charles II. In
1683 he fled England for the Netherlands, where he wrote out the final draft of
his Essay. He returned to England in 1689, a year after the accession to the English
throne of the Protestant William of Orange. In his last years he was the most
famous intellectual in England, perhaps in Europe generally. Locke was not a
university professor immersed in the discussions of the philosophy of “the
schools” but was instead intensely engaged in the social and cultural issues of
his day; his writings were addressed not to professional philosophers but to
the educated public in general. The Essay. The initial impulse for the line of
thought that culminated in the Essay occurred early in 1671, in a discussion
Locke had with some friends in Lord Shaftesbury’s apartments in London on
matters of morality and revealed religion. In his Epistle to the Reader at the
beginning of the Essay Locke says that the discussants found themselves quickly
at a stand by the difficulties that arose on every side. After we had awhile
puzzled ourselves, without coming any nearer a resolution of those doubts which
perplexed us, it came into my thoughts that we took a wrong course, and that
before we set ourselves upon enquiries of that nature it was necessary to
examine our own abilities, and see what objects our understandings were or were
not fitted to deal with. Locke was well aware that for a thousand years
European humanity had consulted its textual inheritance for the resolution of
its moral and religious quandaries; elaborate strategies of interpretation,
distinction, etc., had been developed for extracting from those disparate
sources a unified, highly complex, body of truth. He was equally well aware
that by his time, more than a hundred years after the beginning of the
Reformation, the moral and religious tradition of Europe had broken up into
warring and contradictory fragments. Accordingly he warns his readers over and
over against basing their convictions merely on say-so, on unexamined
tradition. As he puts it in a short late book of his, The Conduct of the
Understanding, “We should not judge of things by men’s opinions, but of
opinions by things.” We should look to “the things themselves,” as he sometimes
puts it. But to know how to get at the things themselves it is necessary, so
Locke thought, “to examine our own abilities.” Hence the project of the Essay.
The Essay comes in four books, Book IV being the culmination. Fundamental to understanding
Locke’s thought in Book IV is the realization that knowledge, as he thinks of
it, is a fundamentally different phenomenon from belief. Locke holds, indeed,
that knowledge is typically accompanied by belief; it is not, though, to be
identified with it. Knowledge, as he thinks of it, is direct awareness of some
factin his own words, perception of some agreement or disagreement among
things. Belief, by contrast, consists of taking some proposition to be
truewhether or not one is directly aware of the corresponding fact. The
question then arises: Of what sorts of facts do we human beings have direct
awareness? Locke’s answer is: Only of facts that consist of relationships among
our “ideas.” Exactly what Locke had in mind when he spoke of ideas is a vexed
topic; the traditional view, for which there is a great deal to be said, is
that he regarded ideas as mental objects. Furthermore, he clearly regarded some
ideas as being representations of other entities; his own view was that we can
think about nonmental entities only by being aware of mental entities that
represent those non-mental realities. Locke argued that knowledge, thus
understood, is “short and scanty”much too short and scanty for the living of
life. Life requires the formation of beliefs on matters where knowledge is not
available. Now what strikes anyone who surveys human beliefs is that many of
them are false. What also strikes any perceptive observer of the scene is that
often we canor could havedone something about this. We can, to use Locke’s
language, “regulate” and “govern” our belief-forming capacities with the goal
in mind of getting things right. Locke was persuaded that not only can we thus
regulate and govern our belief-forming capacities; we ought to do so. It is a
God-given obligation that rests upon all of us. Specifically, for each human
being there are some matters of such “concernment,” as Locke calls it, as to
place the person under obligation to try his or her best to get things right.
For all of us there will be many issues that are not of such concernment; for
those cases, it will be acceptable to form our beliefs in whatever way nature
or custom has taught us to form them. But for each of us there will be certain
practical matters concerning which we are obligated to try our bestthese
differing from person to person. And certain matters of ethics and religion are
of such concern to everybody that we are all obligated to try our best, on
these matters, to get in touch with reality. What does trying our best consist
of, when knowledgeperception, awareness, insightis not available? One can think
of the practice Locke recommends as having three steps. First one collects
whatever evidence one can find for and against the proposition in question.
This evidence must consist of things that one knows; otherwise we are just
wandering in darkness. And the totality of the evidence must be a reliable
indicator of the probability of the proposition that one is considering.
Second, one analyzes the evidence to determine the probability of the
proposition in question, on that evidence. And last, one places a level of
confidence in the proposition that is proportioned to its probability on that
satisfactory evidence. If the proposition is highly probable on that evidence,
one believes it very firmly; if it only is quite probable, one believes it
rather weakly; etc. The main thrust of the latter half of Book IV of the Essay
is Locke’s exhortation to his readers to adopt this practice in the forming of
beliefs on matters of high concernmentand in particular, on matters of morality
and religion. It was his view that the new science being developed by his
friends Boyle and Newton and others was using exactly this method. Though Book
IV was clearly seen by Locke as the culmination of the Essay, it by no means
constitutes the bulk of it. Book I launches a famous attack on innate ideas and
innate knowledge; he argues that all our ideas and knowledge can be accounted
for by tracing the way in which the mind uses its innate capacities to work on
material presented to it by sensation and reflection (i.e., self-awareness).
Book II then undertakes to account for all our ideas, on the assumption that
the only “input” is ideas of sensation and reflection, and that the mind, which
at birth is a tabula rasa (or blank tablet), works on these by such operations
as combination, division, generalization, and abstraction. And then in Book III
Locke discusses the various ways in which words hinder us in our attempt to get
to the things themselves. Along with many other thinkers of the time, Locke
distinguished between what he called natural theology and what he called
revealed theology. It was his view that a compelling, demonstrative argument
could be given for the existence of God, and thus that we could have knowledge
of God’s existence; the existence of God is a condition of our own existence.
In addition, he believed firmly that God had revealed things to human beings.
As he saw the situation, however, we can at most have beliefs, not knowledge,
concerning what God has revealed. For we can never just “see” that a certain
episode in human affairs is a case of divine revelation. Accordingly, we must
apply the practice outlined above, beginning by assembling satisfactory
evidence for the conclusion that a certain episode really is a case of divine
revelation. In Locke’s view, the occurrence of miracles provides the required
evidence. An implication of these theses concerning natural and revealed
religion is that it is never right for a human being to believe something about
God without having evidence for its truth, with the evidence consisting
ultimately of things that one “sees” immediately to be true. Locke held to a
divine command theory of moral obligation; to be morally obligated to do
something is for God to require of one that one do that. And since a great deal
of what Jesus taught, as Locke saw it, was a code of moral obligation, it
follows that once we have evidence for the revelatory status of what Jesus
said, we automatically have evidence that what Jesus taught as our moral
obligation really is that. Locke was firmly persuaded, however, that revelation
is not our only mode of access to moral obligation. Most if not all of our
moral obligations can also be arrived at by the use of our natural capacities,
unaided by revelation. To that part of our moral obligations which can in
principle be arrived at by the use of our natural capacities, Locke (in
traditional fashion) gave the title of natural law. Locke’s own view was that
morality could in principle be established as a deductive science, on analogy
to mathematics: one would first argue for God’s existence and for our status as
creatures of God; one would then argue that God was good, and cared for the
happiness of God’s creatures. Then one would argue that such a good God would
lay down commands to his creatures, aimed at their overall happiness. From
there, one would proceed to reflect on what does in fact conduce to human
happiness. And so forth. Locke never worked out the details of such a deductive
system of ethics; late in his life he concluded that it was beyond his
capacities. But he never gave up on the ideal. The Second Treatise and other
writings. Locke’s theory of natural law entered intimately into the theory of
civil obedience that he developed in the Second Treatise of Government.
Imagine, he said, a group of human beings living in what he called a state of
naturei.e., a condition in which there is no governmental authority and no
private property. They would still be under divine obligation; and much (if not
all) of that obligation would be accessible to them by the use of their natural
capacities. There would be for them a natural law. In this state of nature they
would have title to their own persons and labor; natural law tells us that
these are inherently our “possessions.” But there would be no possessions
beyond that. The physical world would be like a gigantic English commons, given
by God to humanity as a whole. Locke then addresses himself to two questions:
How can we account for the emergence of political obligation from such a
situation, and how can we account for the emergence of private property? As to
the former, his answer is that we in effect make a contract with one another to
institute a government for the Locke, John Locke, John 508 4065h-l.qxd
08/02/1999 7:40 AM Page 508 elimination of certain deficiencies in the state of
nature, and then to obey that government, provided it does what we have
contracted with one another it should do and does not exceed that. Among the
deficiencies of the state of nature that a government can be expected to
correct is the sinful tendency of human beings to transgress on other persons’
properties, and the equally sinful tendency to punish such transgressions more
severely than the law of nature allows. As to the emergence of private
property, something from the world at large becomes a given person’s property
when that person “mixes” his or her labor with it. For though God gave the
world as a whole to all of us together, natural law tells us that each person’s
labor belongs to that person himself or herselfunless he or she freely
contracts it to someone else. Locke’s Second Treatise is thus an articulate
statement of the so-called liberal theory of the state; it remains one of the
greatest of such, and proved enormously influential. It should be seen as
supplemented by the Letters concerning Toleration (1689, 1690, 1692) that Locke
wrote on religious toleration, in which he argued that all theists who have not
pledged civil allegiance to some foreign power should be granted equal
toleration. Some letters that Locke wrote to a friend concerning the education
of the friend’s son should also be seen as supplementing the grand vision. If
we survey the way in which beliefs are actually formed in human beings, we see
that passion, the partisanship of distinct traditions, early training, etc.,
play important obstructive roles. It is impossible to weed out entirely from
one’s life the influence of such factors. When it comes to matters of high
“concernment,” however, it is our obligation to do so; it is our obligation to
implement the three-step practice outlined above, which Locke defends as doing
one’s best. But Locke did not think that the cultural reform he had in mind,
represented by the appropriate use of this new practice, could be expected to
come about as the result just of writing books and delivering exhortations.
Training in the new practice was required; in particular, training of small
children, before bad habits had been ingrained. Accordingly, Locke proposes in
Some Thoughts concerning Education (1693) an educational program aimed at
training children in when and how to collect satisfactory evidence, appraise
the probabilities of propositions on such evidence, and place levels of
confidence in those propositions proportioned to their probability on that
evidence. Refs.: H. P. Grice, “To Locke,” C. McGinn, “Grice and Locke as
telementationalists.”
IN-PLICATVRVM -- implicaturum: logical
consequence, a proposition, sentence, or other piece of information that
follows logically from one or more other propositions, sentences, or pieces of
information. A proposition C is said to follow logically from, or to be a
logical consequence of, propositions P1, P2, . . . , if it must be the case
that, on the assumption that P1, P2, . . . , Pn are all true, the proposition C
is true as well. For example, the proposition ‘Smith is corrupt’ is a logical
consequence of the two propositions ‘All politicians are corrupt’ and ‘Smith is
a politician’, since it must be the case that on the assumption that ‘All
politicians are corrupt’ and ‘Smith is a politician’ are both true, ‘Smith is
corrupt’ is also true. Notice that proposition C can be a logical consequence
of propositions P1, P2, . . . , Pn, even if P1, P2, . . . , Pn are not actually
all true. Indeed this is the case in our example. ‘All politicians are corrupt’
is not, in fact, true: there are some honest politicians. But if it were true,
and if Smith were a politician, then ‘Smith is corrupt’ would have to be true.
Because of this, it is said to be a logical consequence of those two
propositions. The logical consequence relation is often written using the
symbol X, called the double turnstile. Thus to indicate that C is a logical
consequence of P1, P2, . . . , Pn, we would write: P1, P2, . . . , Pn X C or: P
X C where P stands for the set containing the propositions p1, P2, . . . , Pn.
The term ‘logical consequence’ is sometimes reserved for cases in which C
follows from P1, P2, . . . , Pn solely in virtue of the meanings of the
socalled logical expressions (e.g., ‘some’, ‘all’, ‘or’, ‘and’, ‘not’)
contained by these propositions. In this more restricted sense, ‘Smith is not a
politician’ is not a logical consequence of the proposition ‘All politicians
are corrupt’ and ‘Smith is honest’, since to recognize the consequence relation
here we must also understand the specific meanings of the non-logical
expressions ‘corrupt’ and ‘honest’.
CUM-STANS -- constantin system G
-- a symbol, such as the connectives -, 8, /, or S or the quantifiers D or E of
elementary quantification theory, that represents logical form. The contrast
here is with expressions such as terms, predicates, and function symbols, which
are supposed to represent the “content” of a sentence or proposition. Beyond
this, there is little consensus on how to understand logical constancy. It is
sometimes said, e.g., that a symbol is a logical constant if its interpretation
is fixed across admissible valuations, though there is disagreement over
exactly how to construe this “fixity” constraint. This account seems to make
logical form a mere artifact of one’s choice of a model theory. More generally,
it has been questioned whether there are any objective grounds for classifying
some expressions as logical and others not, or whether such a distinction is
(wholly or in part) conventional. Other philosophers have suggested that
logical constancy is less a semantic notion than an epistemic one: roughly,
that a is a logical constant if the semantic behavior of certain other expressions
together with the semantic contribution of a determine a priori (or in some
other epistemically privileged fashion) the extensions of complex expressions
in which a occurs. There is also considerable debate over whether particular
symbols, such as the identity sign, modal operators, and quantifiers other than
D and E, are, or should be treated as, logical constants.
Grice’s “logical construction”a phrase he
borrowed from Broad via Russell -- something built by logical operations from
certain elements. Suppose that any sentence, S, containing terms apparently
referring to objects of type F can be paraphrased without any essential loss of
content into some (possibly much more complicated) sentence, Sp, containing
only terms referring to objects of type G (distinct from F): in this case,
objects of type F may be said to be logical constructions out of objects of
type G. The notion originates with Russell’s concept of an “incomplete symbol,”
which he introduced in connection with his theory of descriptions. According to
Russell, a definite descriptioni.e., a descriptive phrase, such as ‘the present
king of France’, apparently picking out a unique objectcannot be taken at face
value as a genuinely referential term. One reason for this is that the existence
of the objects seemingly referred to by such phrases can be meaningfully
denied. We can say, “The present king of France does not exist,” and it is hard
to see how this could be if ‘the present king of France’, to be meaningful, has
to refer to the present king of France. One solution, advocated by Meinong, is
to claim that the referents required by what ordinary grammar suggests are
singular terms must have some kind of “being,” even though this need not amount
to actual existence; but this solution offended Russell’s “robust sense of
reality.” According to Peano, Whitehead and Russell, then, ‘The F is G’ is to
be understood as equivalent to (something like) ‘One and only one thing Fs and
that thing is G’. (The phrase ‘one and only one’ can itself be paraphrased away
in terms of quantifiers and identity.) The crucial feature of this analysis is
that it does not define the problematic phrases by providing synonyms: rather,
it provides a rule, which Russell called “a definition in use,” for
paraphrasing whole sentences in which they occur into whole sentences in which
they do not. This is why definite descriptions are “incomplete symbols”: we do
not specify objects that are their meanings; we lay down a rule that explains
the meaning of whole sentences in which they occur. Thus definite descriptions
disappear under analysis, and with them the shadowy occupants of Meinong’s
realm of being. Russell thought that the kind of analysis represented by the
theory of descriptions gives the clue to the proper method for philosophy:
solve metaphysical and epistemological problems by reducing ontological
commitments. The task of philosophy is to substitute, wherever possible,
logical constructions for inferred entities. Thus in the philosophy of
mathematics, Russell attempted to eliminate numbers, as a distinct category of
objects, by showing how mathematical statements can be translated into (what he
took to be) purely logical statements. But what really gave Russell’s program
its bite was his thought that we can refer only to objects with which we are
directly acquainted. This committed him to holding that all terms apparently
referring to objects that cannot be regarded as objects of acquaintance should
be given contextual definitions along the lines of the theory of descriptions:
i.e., to treating everything beyond the scope of acquaintance as a logical
construction (or a “logical fiction”). Most notably, Russell regarded physical
objects as logical constructions out of sense-data, taking this to resolve the
skeptical problem about our knowledge of the external world. The project of
showing how physical objects can be treated as logical constructions out of
sense-data was a major concern of analytical philosophers in the interwar
period, Carnap’s Der Logische Aufbau der Welt, standing as perhaps its major
monument. However, the project was not a success. Even Carnap’s construction
involves a system of space-time coordinates that is not analyzed in sense-datum
terms and today few, if any, philosophers believe that such ambitious projects
can be carried through..
IN-FORMATVM -- informatum -- forma: “To
inform was originally to mould, to shape,” and so quite different from Grecian
‘eidos.’ But the ‘forma-materia’ distinction stuck. Whhat is obtained from a
proposition, a set of propositions, or an argument by abstracting from the
matter of its content terms or by regarding the content terms as mere place-holders
or blanks in a form. In what Grice (after Bergmann) calls an ideal (versus an
ordinary) language the form of a proposition, a set of propositions, or an
argument is determined by the ‘matter’ of the sentence, the set of sentences,
or the argument-text expressing it. Two sentences, sets of sentences, or
argument-texts are said to have the same form, in this way, if a uniform
one-toone substitution of content words transforms the one exactly into the other.
‘Abe properly respects every agent who respects himself’ may be regarded as
having the same form as the sentence ‘Ben generously assists every patient who
assists himself’. Substitutions used to determine sameness of form
(isomorphism) cannot involve change of form words such as ‘every’, ‘no’,
‘some’, ‘is’, etc., and they must be category-preserving, i.e., they must put a
proper name for a proper name, an adverb for an adverb, a transitive verb for a
transitive verb, and so on. Two sentences having the same grammatical form have
exactly the same form words distributed in exactly the same pattern; and
although they of course need not, and usually do not, have the same content
words, they do have logical dependence logical form exactly the same number of
content words. The most distinctive feature of form words, which are also
called syncategorematic terms or logical terms, is their topic neutrality; the
form words in a sentence are entirely independent of and are in no way
indicative of its content or topic. Modern formal languages used in formal
axiomatizations of mathematical sciences are often taken as examples of
logically perfect languages. Pioneering work on logically perfect languages was
done by George Boole, Frege, Giuseppe Peano, Russell, and Church. According to
the principle of form, an argument is valid or invalid in virtue of form. More
explicitly, every two arguments in the same form are both valid or both invalid.
Thus, every argument in the same form as a valid argument is valid and every
argument in the same form as an invalid argument is invalid. The argument form
that a given argument fits (or has) is not determined solely by the logical
forms of its constituent propositions; the arrangement of those propositions is
critical because the process of interchanging a premise with the conclusion of
a valid argument can result in an invalid argument. The principle of logical
form, from which formal logic gets its name, is commonly used in establishing
invalidity of arguments and consistency of sets of propositions. In order to
show that a given argument is invalid it is sufficient to exhibit another
argument as being in the same logical form and as having all true premises and
a false conclusion. In order to show that a given set of propositions is
consistent it is sufficient to exhibit another set of propositions as being in
the same logical form and as being composed exclusively of true propositions.
The history of these methods traces back through non-Cantorian set theory,
non-Euclidean geometry, and medieval logicians (especially Anselm) to
Aristotle. These methods must be used with extreme caution in an ordinary
languages that fails to be logically perfect as a result of ellipsis, amphiboly,
ambiguity, etc. E.g. ‘This is a male dog’ implies ‘This is a dog.’ But ‘This is
a brass monkey’ does not strictly implybut implicate -- ‘This is a monkey’, as
would be required in a what Bergmann calls an ideal (or perfect, rather than
ordinary or imperfect) language. Likewise, of two propositions commonly
expressed by the ambiguous sentence ‘Ann and Ben are married’ one does and one
does not imply (but at most ‘implicate’) the proposition that Ann is married to
Ben. (cf. We are married, but not to each othera New-World ditty.). Grice,
Quine and other philosophersnot Strawson! -- are careful to distinguish, in
effect, the unique form of a proposition from this or that ‘schematic’ form it
may display. The proposition (A) ‘If Abe is Ben, if Ben is wise Abe is wise’
has exactly one form, which it shares with ‘If Carl is Dan, if Dan is kind Carl
is kind’, whereas it has all of the following schematic forms: ‘If P, if Q then
R;’ ‘If P, Q;’ and ‘P.’ The principle of form for propositions is that every
two propositions in the same form are both tautological (logically necessary)
or both non-tautological. Thus, although the propositions above are tautological,
there are non-tautological propositions that fit this or that the schematic form
just mentioned. Failure to distinguish form proper from ‘schematic form’ has
led to fallacies. According to the principle of logical form quoted above every
argument in the same logical form as an invalid argument is invalid, but it is
not the case that every argument sharing a schematic form with an invalid
argument is invalid. Contrary to what would be fallaciously thought, the
conclusion ‘Abe is Ben’ is logically implied by the following two propositions
taken together, ‘If Abe is Ben, Ben is Abe’ and ‘Ben is Abe’, even though the
argument shares a schematic form with invalid arguments “committing” the
fallacy of affirming the consequent. Refs.: Grice, “Leibniz on ‘lingua
perfecta.’”
DICATVMIN-DICATVM -- indicatum -- indicator: an expression that provides some
help in identifying the conclusion of an argument or the premises offered in
support of a conclusion. Common premise indicators include ‘for’, ‘because’,
and ‘since’. Common conclusion indicators include ‘so’, ‘it follows that’,
‘hence’, ‘thus’, and ‘therefore’. Since Tom sat in the back of the room, he
could not hear the performance clearly. Therefore, he could not write a proper
review. ’Since’ makes clear that Tom’s seat location is offered as a reason to
explain his inability to hear the performance. ‘Therefore’ indicates that the proposition
that Tom could not write a proper review is the conclusion of the argument.
TENSUMIN-TENSUMEX-TENSUM
-- intensum -- intensio --
comprehension, as applied to a term, the set of attributes implied by a term.
The comprehension of ‘square’, e.g., includes being four-sided, having equal
sides, and being a plane figure, among other attributes. The comprehension of a
term is contrasted with its extension, which is the set of individuals to which
the term applies. The distinction between the extension and the comprehension
of a term was introduced in the Port-Royal Logic by Arnauld and Pierre Nicole
in 1662. Current practice is to use the expression ‘intension’ rather than
‘comprehension’. Both expressions, however, are inherently somewhat vague.
IN-VIRON
-- environmental implicaturum: Grice: “The Roman in- prefix becomes en-
in French and English!” _- For Grice, two pirots need to share an environment
-- environmental philosophy, the critical study of concepts defining relations
between human beings and their non-human environment. Environmental ethics, a
major component of environmental philosophy, addresses the normative
significance of these relations. The relevance of ecological relations to human
affairs has been recognized at least since Darwin, but the growing sense of
human responsibility for their deterioration, reflected in books such as Rachel
Carson’s Silent Spring 2 and Peter Singer’s Animal Liberation 5, has prompted
the recent upsurge of interest. Environmental philosophers have adduced a wide
variety of human attitudes and practices to account for the perceived
deterioration, including religious and scientific attitudes, social
institutions, and industrial technology. Proposed remedies typically urge a
reorientation or new “ethic” that recognizes “intrinsic value” in the natural
world. Examples include the “land ethic” of Aldo Leopold 78, which pictures
humans as belonging to, rather than owning, the biotic community “the land”;
deep ecology, a stance articulated by the Norwegian philosopher Arne Naess b.2,
which advocates forms of identification with the non-human world; and
ecofeminism, which rejects prevailing attitudes to the natural world that are
perceived as patriarchal. At the heart of environmental ethics lies the attempt
to articulate the basis of concern for the natural world. It encompasses global
as well as local issues, and considers the longer-term ecological, and even
evolutionary, fate of the human and non-human world. Many of its practitioners
question the anthropocentric claim that human beings are the exclusive or even
central focus of envelope paradox environmental philosophy 268 268 ethical concern. In thus extending both
the scope and the grounds of concern, it presents a challenge to the stance of
conventional interhuman ethics. It debates how to balance the claims of present
and future, human and non-human, sentient and non-sentient, individuals and
wholes. It investigates the prospects for a sustainable relationship between
economic and ecological systems, and pursues the implications of this
relationship with respect to social justice and political institutions. Besides
also engaging metaethical questions about, for example, the objectivity and
commensurability of values, environmental philosophers are led to consider the
nature and significance of environmental change and the ontological status of
collective entities such as species and ecosystems. In a more traditional vein,
environmental philosophy revives metaphysical debates surrounding the perennial
question of “man’s place in nature,” and finds both precedent and inspiration
in earlier philosophies and cultures.
NOTATVM: Grice: “Formerly GNOTATUM.” notatum: symbol or
communication device designed to achieve unambiguous formulation of principles
and inferences in deductive logic. A notation involves some regimentation of
words, word order, etc., of language. Some schematization was attempted even in
ancient times by Aristotle, the Megarians, the Stoics, Boethius, and the
medievals. But Leibniz’s vision of a universal logical language began to be
realized only in the past 150 years. The notation is not yet standardized, but
the following varieties of logical operators in propositional and predicate
calculus may be noted. Given that ‘p’, ‘q’, ‘r’, etc., are propositional
variables, or propositions, we find, in the contexts of their application, the
following variety of operators (called truth-functional connectives). Negation:
‘-p’, ‘Ýp’, ‘p’, ‘p’ ’. Conjunction: ‘p • q’, ‘p & q’, ‘p 8 q’. Weak or
inclusive disjunction: ‘p 7 q’. Strong or exclusive disjunction: ‘p V q’, ‘p !
q’, ‘p W q’. Material conditional (sometimes called material implication): ‘p /
q’, ‘p P q’. Material biconditional (sometimes called material equivalence): ‘p
S q’, ‘p Q q’. And, given that ‘x’, ‘y’, ‘z’, etc., are individual variables
and ‘F’, ‘G’, ‘H’, etc., are predicate letters, we find in the predicate
calculus two quantifiers, a universal and an existential quantifier: Universal
quantification: ‘(x)Fx’, ‘(Ex)Fx’, ‘8xFx’. Existential quantification:
‘(Ex)Fx’, ‘(Dx)Fx’, ‘7xFx’. The formation principle in all the schemata
involving dyadic or binary operators (connectives) is that the logical operator
is placed between the propositional variables (or propositional constants)
connected by it. But there exists a notation, the so-called Polish notation,
based on the formation rule stipulating that all operators, and not only
negation and quantifiers, be placed in front of the schemata over which they are
ranging. The following representations are the result of application of that
rule: Negation: ‘Np’. Conjunction: ‘Kpq’. Weak or inclusive disjunction: ‘Apq’.
Strong or exclusive disjunction: ‘Jpq’. Conditional: ‘Cpq’. Biconditional:
‘Epq’. Sheffer stroke: ‘Dpq’. Universal quantification: ‘PxFx’. Existential
quantifications: ‘9xFx’. Remembering that ‘K’, ‘A’, ‘J’, ‘C’, ‘E’, and ‘D’ are
dyadic functors, we expect them to be followed by two propositional signs, each
of which may itself be simple or compound, but no parentheses are needed to
prevent ambiguity. Moreover, this notation makes it very perspicuous as to what
kind of proposition a given compound proposition is: all we need to do is to
look at the leftmost operator. To illustrate, ‘p7 (q & r) is a disjunction
of ‘p’ with the conjunction ‘Kqr’, i.e., ‘ApKqr’, while ‘(p 7 q) & r’ is a
conjunction of a disjunction ‘Apq’ with ‘r’, i.e., ‘KApqr’. ‘- p P q’ is
written as ‘CNpq’, i.e., ‘if Np, then q’, while negation of the whole
conditional, ‘-(p P q)’, becomes ‘NCpq’. A logical thesis such as ‘((p & q)
P r) P ((s P p) P (s & q) P r))’ is written concisely as ‘CCKpqrCCspCKsqr’.
The general proposition ‘(Ex) (Fx P Gx)’ is written as ‘PxCFxGx’, while a
truth-function of quantified propositions ‘(Ex)Fx P (Dy)Gy’ is written as
‘CPxFx9yGy’. An equivalence such as ‘(Ex) Fx Q(Dx)Fx’ becomes ‘EPxFxN9xNFx’,
etc. Dot notation is way of using dots to construct well-formed formulas that
is more thrifty with punctuation marks than the use of parentheses with their
progressive strengths of scope. But dot notation is less thrifty than the
parenthesis-free Polish notation, which secures well-formed expressions
entirely on the basis of the order of logical operators relative to
truth-functional compounds. Various dot notations have been devised. The
convention most commonly adopted is that punctuation dots always operate away
from the connective symbol that they flank. It is best to explain dot
punctuation by examples: (1) ‘p 7 (qr)’ becomes ‘p 7 .q Pr’; (2) ‘(p 7 q) Pr’
becomes ‘p 7 q. Pr’; (3) ‘(p P (q Q r)) 7 (p 7 r)’ becomes ‘p P. q Q r: 7. p
7r’; (4) ‘(- pQq)•(rPs)’ becomes ‘-p Q q . r Q s’. logically perfect language
logical notation 513 4065h-l.qxd 08/02/1999 7:40 AM Page 513 Note that here the
dot is used as conjunction dot and is not flanked by punctuation dots, although
in some contexts additional punctuation dots may have to be added, e.g., ‘p.((q
. r) P s), which is rewritten as ‘p : q.r. P s’. The scope of a group of n dots
extends to the group of n or more dots. (5) ‘- p Q (q.(r P s))’ becomes ‘- p. Q
: q.r P s’; (6)‘- pQ((q . r) Ps)’ becomes ‘~p. Q: q.r.Ps’; (7) ‘(- p Q (q . r))
P s’ becomes ‘- p Q. q.r: P s’. The notation for modal propositions made
popular by C. I. Lewis consisted of the use of ‘B’ to express the idea of
possibility, in terms of which other alethic modal notions were defined. Thus,
starting with ‘B p’ for ‘It is possiblethat p’ we get ‘- B p’ for ‘It is not
possible that p’ (i.e., ‘It is impossible that p’), ‘- Bp’ for ‘It is not
possible that not p’ (i.e., ‘It is necessary that p’), and ‘Bp’ for ‘It is
possible that not p’ (i.e., ‘It is contingent that p’ in the sense of ‘It is
not necessary that p’, i.e., ‘It is possible that not p’). Given this primitive
or undefined notion of possibility, Lewis proceeded to introduce the notion of
strict implication, represented by ‘ ’ and defined as follows: ‘p q .% .B (p.
-q)’. More recent tradition finds it convenient to use ‘A’, either as a defined
or as a primitive symbol of necessity. In the parenthesis-free Polish notation
the letter ‘M’ is usually added as the sign of possibility and sometimes the
letter ‘L’ is used as the sign of necessity. No inconvenience results from
adopting these letters, as long as they do not coincide with any of the
existing truthfunctional operators ‘N’, ‘K’, ‘A’, ‘J’, ‘C’, ‘E’, ‘D’. Thus we
can express symbolically the sentences ‘If p is necessary, then p is possible’
as ‘CNMNpMp’ or as ‘CLpMp’; ‘It is necessary that whatever is F is G’ as
‘NMNPxCFxGx’ or as ‘LPxCFxGx’; and ‘Whatever is F is necessarily G’ as
‘PxCFxNMNGx’ or as PxCFxLGx; etc.
SUB-JAECTUM -- subjectumThe
subjectum-praedicatum distinction -- in Aristotelian and traditional (and what
Grice calls NEO-traditionalism of Strawson) logic, the common noun, or
sometimes the intension or the extension of the common noun, that follows the
initial quantifier word (‘every’, ‘some’, ‘no’, etc.) of a sentence, as opposed
to the material subject, which is the entire noun phrase including the
quantifier and the noun, and in some usages, any modifiers that may apply. The
material subject of ‘Every number exceeding zero is positive’ is ‘every
number’, or in some usages, ‘every number exceeding zero’, whereas the
conceptual or formal subject is ‘number’, or the intension or the extension of
‘number’. Similar distinctions are made between the logical predicate and the
grammatical predicate: in the above example, ‘is positive’ is the material
predicate, whereas the formal predicate is the adjective ‘positive’, or
sometimes the property of being positive or even the extension of ‘positive’.
In standard first-order predicate calculus with identity, the formal subject of
a sentence under a given interpretation is the entire universe of discourse of
the interpretation.
Grice on syntactics, semantics, and
pramaticssyntactics -- description of the forms of the expressions of a
language in virtue of which the expressions stand in logical relations to one
another. Implicit in the idea of logical syntax is the assumption that allor at
least mostlogical relations hold in virtue of form: e.g., that ‘If snow is
white, then snow has color’ and ‘Snow is white’ jointly entail ‘Snow has color’
in virtue of their respective forms, ‘If P, then Q’, ‘P’, and ‘Q’. The form
assigned to an expression in logical syntax is its logical form. Logical form
may not be immediately apparent from the surface form of an expression. Both
(1) ‘Every individual is physical’ and (2) ‘Some individual is physical’
apparently share the subjectpredicate form. But this surface form is not the
form in virtue of which these sentences (or the propositions they might be said
to express) stand in logical relations to other sentences (or propositions),
for if it were, (1) and (2) would have the same logical relations to all sentences
(or propositions), but they do not; (1) and (3) ‘Aristotle is an individual’
jointly entail (4) ‘Aristotle is physical’, whereas (2) and (3) do not jointly
entail (4). So (1) and (2) differ in logical form. The contemporary logical
syntax, devised largely by Frege, assigns very different logical forms to (1)
and (2), namely: ‘For every x, if x is an individual, then x is physical’ and
‘For some x, x is an individual and x is physical’, respectively. Another
example: (5) ‘The satellite of the moon has water’ seems to entail ‘There is at
least one thing that orbits the moon’ and ‘There is no more than one thing that
orbits the moon’. In view of this, Russell assigned to (5) the logical form
‘For some x, x orbits the moon, and for every y, if y orbits the moon, then y
is identical with x, and for every y, if y orbits the moon, then y has water’. Refs.:
H. P. Grice, “Peirce, Mead, and Morris on the semiotic triadand why we don’t
study them at Oxford.” GriceseSystem G --
Calculussystem -- logistic system, a formal language together with a set of
axioms and rules of inference, or what many today would call a “logic.” The
original idea behind the notion of a logistic system is that the language,
axioms, rules, and attendant concepts of proof and theorem were to be specified
in a mathematically precise fashion, thus enabling one to make the study of
deductive reasoning an exact science. One was to begin with an effective
specification of the primitive symbols of the language and of which (finite)
sequences of symbols were to count as sentences or wellformed formulas. Next,
certain sentences were to be singled out effectively as axioms. The rules of
inference were also to be given in such a manner that there would be an
effective procedure for telling which rules are rules of the system and what
inferences they license. A proof was then defined as any finite sequence of
sentences, each of which is either an axiom or follows from some earlier
line(s) by one of the rules, with a theorem being the last line of a proof.
With the subsequent development of logic, the requirement of effectiveness has
sometimes been dropped, as has the requirement that sentences and proofs be
finite in length. Grice expands on this point by point in the second paragraph
of his second William James lecturehe calls the proponents of a system,
“formalists,” and later calls them ‘modernists,’ after Whitehead and Russell,
and as opposed to the ‘neo-traditionalists,’ or ‘traditionalists, or
informalists like Ryle but especially Strawson.
LECTUM: logos -- logical product, a
conjunction of propositions or predicates. The term ‘product’ derives from an
analogy that conjunction bears to arithmetic multiplication, and that appears
very explicitly in an algebraic logic such as a Boolean algebra. In the same
way, ‘logical sum’ usually means the disjunction of propositions or predicates,
and the term ‘sum’ derives from an analogy that disjunction bears with
arithmetic addition. In the logical literature of the nineteenth century, e.g.
in the works of Peirce, ‘logical product’ and ‘logical sum’ often refer to the
relative product and relative sum, respectively. In the work of George Boole,
‘logical sum’ indicates an operation that corresponds not to disjunction but
rather to the exclusive ‘or’. The use of ‘logical sum’ in its contemporary
sense was introduced by John Venn and then adopted and promulgated by Peirce.
‘Relative product’ was introduced by Augustus De Morgan and also adopted and
promulgated by Peirce. LECTUM: logos -- logicum
-- logos (plural: logoi) (Grecian, ‘word’, ‘speech’, ‘reason’), term
with the following main philosophical usages: rule, principle, law. E.g., in
Stoicism the logos is the divine order and in Neoplatonism the intelligible
regulating forces displayed in the sensible world. The term came thus to refer,
in Christianity, to the Word of God, to the instantiation of his agency in
creation, and, in the New Testament, to the person of Christ. (2) Proposition,
account, explanation, thesis, argument. E.g., Aristotle presents a logos from
first principles. Reason, reasoning, the rational faculty, abstract theory (as
opposed to experience), discursive reasoning (as opposed to intuition). E.g.,
Plato’s Republic uses the term to refer to the intellectual part of the soul. Measure,
relation, proportion, ratio. E.g., Aristotle speaks of the logoi of the musical
scales. Value, worth. E.g., Heraclitus speaks of the man whose logos is greater
than that of others. logicism, the thesis that mathematics, or at least some
significant portion thereof, is part of logic. Modifying Carnap’s suggestion
(in “The Logicist Foundation for Mathematics,” first published in Erkenntnis),
this thesis is the conjunction of two theses: expressibility logicism:
mathematical propositions are (or are alternative expressions of) purely
logical propositions; and derivational logicism: the axioms and theorems of
mathematics can be derived from pure logic. Here is a motivating example from
the arithmetic of the natural numbers. Let the cardinality-quantifiers be those
expressible in the form ‘there are exactly . . . many xs such that’, which we
abbreviate ¢(. . . x),Ü with ‘. . .’ replaced by an Arabic numeral. These
quantifiers are expressible with the resources of first-order logic with
identity; e.g. ‘(2x)Px’ is equivalent to ‘DxDy(x&y & Ez[Pz S (z%x 7
z%y)])’, the latter involving no numerals or other specifically mathematical
vocabulary. Now 2 ! 3 % 5 is surely a mathematical truth. We might take it to
express the following: if we take two things and then another three things we
have five things, which is a validity of second-order logic involving no
mathematical vocabulary: EXEY ([(2x) Xx & (3x)Yx & ÝDx(Xx & Yx)] /
(5x) (Xx 7 Yx)). Furthermore, this is provable in any formalized fragment of
second-order logic that includes all of first-order logic with identity and
secondorder ‘E’-introduction. But what counts as logic? As a derivation? As a
derivation from pure logic? Such unclarities keep alive the issue of whether
some version or modification of logicism is true. The “classical” presentations
of logicism were Frege’s Grundgesetze der Arithmetik and Russell and
Whitehead’s Principia Mathematica. Frege took logic to be a formalized fragment
of secondorder logic supplemented by an operator forming singular terms from
“incomplete” expressions, such a term standing for an extension of the
“incomplete” expression standing for a concept of level 1 (i.e. type 1). Axiom
5 of Grundgesetze served as a comprehension-axiom implying the existence of
extensions for arbitrary Fregean concepts of level 1. In his famous letter of
1901 Russell showed that axiom to be inconsistent, thus derailing Frege’s
original program. Russell and Whitehead took logic to be a formalized fragment
of a ramified full finite-order (i.e. type w) logic, with higher-order variables
ranging over appropriate propositional functions. The Principia and their other
writings left the latter notion somewhat obscure. As a defense of
expressibility logicism, Principia had this peculiarity: it postulated typical
ambiguity where naive mathematics seemed unambiguous; e.g., each type had its
own system of natural numbers two types up. As a defense of derivational
logicism, Principia was flawed by virtue of its reliance on three axioms, a
version of the Axiom of Choice, and the axioms of Reducibility and Infinity,
whose truth was controversial. Reducibility could be avoided by eliminating the
ramification of the logic (as suggested by Ramsey). But even then, even the
arithmetic of the natural numbers required use of Infinity, which in effect asserted
that there are infinitely many individuals (i.e., entities of type 0). Though
Infinity was “purely logical,” i.e., contained only logical expressions, in his
Introduction to Mathematical Philosophy (p. 141) Russell admits that it “cannot
be asserted by logic to be true.” Russell then ( 194–95) forgets this: “If
there are still those who do not admit the identity of logic and mathematics,
we may challenge them to indicate at what point in the successive definitions
and deductions of Principia Mathematica they consider that logic ends and
mathematics begins. It will then be obvious that any answer is arbitrary.” The
answer, “Section 120, in which Infinity is first assumed!,” is not arbitrary.
In Principia Whitehead and Russell jocularly say of Infinity that they “prefer
to keep it as a hypothesis.” Perhaps then they did not really take logicism to
assert the above identity, but rather a correspondence: to each sentence f of
mathematics there corresponds a conditional sentence of logic whose antecedent is
the Axiom of Infinity and whose consequent is a purely logical reformulation of
f. In spite of the problems with the “classical” versions of logicism, if we
count so-called higherorder (at least second-order) logic as logic, and if we
reformulate the thesis to read ‘Each area of mathematics is, or is part of, a
logic’, logicism remains alive and well. Ayer
liked to use ‘logical’ as an adjective. His positivism was not like Comte, it
was a “logical” positivism. logical positivism, also called positivism, a
philosophical movement inspired by empiricism and verificationism. While there
are still philosophers who would identify themselves with some of the logical
positivists’ theses, many of the central docrines of the theory have come under
considerable attack in the last half of this century. In some ways logical
positivism can be seen as a natural outgrowth of radical or British empiricism
and logical atomism. The driving force of positivism may well have been
adherence to the verifiability criterion for the meaningfulness of cognitive
statements. Acceptance of this principle led positivists to reject as
problematic many assertions of religion, morality, and the kind of philosophy
they described as metaphysics. The verifiability criterion of meaning. The radical
empiricists took genuine ideas to be composed of simple ideas traceable to
elements in experience. If this is true and if thoughts about the empirical
world are “made up” out of ideas, it would seem to follow that all genuine
thoughts about the world must have as constituents thoughts that denote items
of experience. While not all positivists tied meaning so clearly to the sort of
experiences the empiricists had in mind, they were convinced that a genuine
contingent assertion about the world must be verifiable through experience or
observation. Questions immediately arose concerning the relevant sense of
‘verify’. Extreme versions of the theory interpret verification in terms of
experiences or observations that entail the truth of the proposition in question.
Thus for my assertion that there is a table before me to be meaningful, it must
be in principle possible for me to accumulate evidence or justification that
would guarantee the existence of the table, which would make it impossible for
the table not to exist. Even this statement of the view is ambiguous, however,
for the impossibility of error could be interpreted as logical or conceptual,
or something much weaker, say, causal. Either way, extreme verificationism
seems vulnerable to objections. Universal statements, such as ‘All metal
expands when heated’, are meaningful, but it is doubtful that any observations
could ever conclusively verify them. One might modify the criterion to include
as meaningful only statements that can be either conclusively confirmed or
conclusively disconfirmed. It is doubtful, however, that even ordinary
statements about the physical world satisfy the extreme positivist insistence
that they admit of conclusive verification or falsification. If the evidence we
have for believing what we do about the physical world consists of knowledge of
fleeting and subjective sensation, the possibility of hallucination or
deception by a malevolent, powerful being seems to preclude the possibility of
any finite sequence of sensations conclusively establishing the existence or
absence of a physical object. Faced with these difficulties, at least some
positivists retreated to a more modest form of verificationism which insisted
only that if a proposition is to be meaningful it must be possible to find
evidence or justification that bears on the likelihood of the proposition’s
being true. It is, of course, much more difficult to find counterexamples to
this weaker form of verificationism, but by the same token it is more difficult
to see how the principle will do the work the positivists hoped it would do of
weeding out allegedly problematic assertions. Necessary truth. Another central
tenet of logical positivism is that all meaningful statements fall into two
categories: necessary truths that are analytic and knowable a priori, and
contingent truths that are synthetic and knowable only a posteriori. If a
meaningful statement is not a contingent, empirical statement verifiable
through experience, then it is either a formal tautology or is analytic, i.e.,
reducible to a formal tautology through substitution of synonymous expressions.
According to the positivist, tautologies and analytic truths that do not
describe the world are made true (if true) or false (if false) by some fact
about the rules of language. ‘P or not-P’ is made true by rules we have for the
use of the connectives ‘or’ and ‘not’ and for the assignments of the predicates
‘true’ and ‘false’. Again there are notorious problems for logical positivism.
It is difficult to reduce the following apparently necessary truths to formal
tautologies through the substitution of synonymous expressions: (1) Everything
that is blue (all over) is not red (all over). (2) All equilateral triangles
are equiangular triangles. (3) No proposition is both true and false.
Ironically, the positivists had a great deal of trouble categorizing the very
theses that defined their view, such as the claims about meaningfulness and
verifiability and the claims about the analytic–synthetic distinction.
Reductionism. Most of the logical positivists were committed to a
foundationalist epistemology according to which all justified belief rests
ultimately on beliefs that are non-inferentially justified. These
non-inferentially justified beliefs were sometimes described as basic, and the
truths known in such manner were often referred to as self-evident, or as
protocol statements. Partly because the positivists disagreed as to how to
understand the notion of a basic belief or a protocol statement, and even
disagreed as to what would be good examples, positivism was by no means a
monolithic movement. Still, the verifiability criterion of meaning, together
with certain beliefs about where the foundations of justification lie and
beliefs about what constitutes legitimate reasoning, drove many positivists to
embrace extreme forms of reductionism. Briefly, most of them implicitly
recognized only deduction and (reluctantly) induction as legitimate modes of
reasoning. Given such a view, difficult epistemological gaps arise between available
evidence and the commonsense conclusions we want to reach about the world
around us. The problem was particularly acute for empiricists who recognized as
genuine empirical foundations only propositions describing perceptions or
subjective sensations. Such philosophers faced an enormous difficulty
explaining how what we know about sensations could confirm for us assertions
about an objective physical world. Clearly we cannot deduce any truths about
the physical world from what we know about sensations (remember the possibility
of hallucination). Nor does it seem that we could inductively establish
sensation as evidence for the existence of the physical world when all we have
to rely on ultimately is our awareness of sensations. Faced with the possibility
that all of our commonplace assertions about the physical world might fail the
verifiability test for meaningfulness, many of the positivists took the bold
step of arguing that statements about the physical world could really be viewed
as reducible to (equivalent in meaning to) very complicated statements about
sensations. Phenomenalists, as these philosophers were called, thought that
asserting that a given table exists is equivalent in meaning to a complex
assertion about what sensations or sequences of sensations a subject would have
were he to have certain other sensations. The gap between sensation and the
physical world is just one of the epistemic gaps threatening the meaningfulness
of commonplace assertions about the world. If all we know about the mental
states of others is inferred from their physical behavior, we must still
explain how such inference is justified. Thus logical positivists who took
protocol statements to include ordinary assertions about the physical world
were comfortable reducing talk about the mental states of others to talk about
their behavior; this is logical behaviorism. Even some of those positivists who
thought empirical propositions had to be reduced ultimately to talk about
sensations were prepared to translate talk about the mental states of others
into talk about their behavior, which, ironically, would in turn get translated
right back into talk about sensation. Many of the positivists were primarily
concerned with the hypotheses of theoretical physics, which seemed to go far
beyond anything that could be observed. In the context of philosophy of
science, some positivists seemed to take as unproblematic ordinary statements
about the macrophysical world but were still determined either to reduce
theoretical statements in science to complex statements about the observable
world, or to view theoretical entities as a kind of convenient fiction,
description of which lacks any literal truth-value. The limits of a
positivist’s willingness to embrace reductionism are tested, however, when he
comes to grips with knowledge of the past. It seems that propositions
describing memory experiences (if such “experiences” really exist) do not
entail any truths about the past, nor does it seem possible to establish memory
inductively as a reliable indicator of the past. (How could one establish the
past correlations without relying on memory?) The truly hard-core reductionists
actually toyed with the possibility of reducing talk about the past to talk
about the present and future, but it is perhaps an understatement to suggest
that at this point the plausibility of the reductionist program was severely
strained.
Levi: Alessandro Levi
(Venezia), filosofo. Linceo. Figlio di Giacomo Levi, direttore delle
Assicurazioni Generali, e di Irene Levi Civita (sorella di Giacomo Levi
Civita), si laureò a Padova con una tesi su Delitto e pena nel pensiero dei
Greci, pubblicata l'anno successivo a Torino dai Fratelli Bocca, e recensita su
La Critica da Georges Sorel. Di idee
democratiche e socialiste, collaborò a Critica Sociale, e dopo l'avvento del
fascismo, al gruppo di Giustizia e Libertà. Prestò il giuramento di fedeltà al
fascismo, come il cugino Tullio Levi Civita decise di giurare "ma con
riserva", ossia scrivendo al rettore che "in alcun modo avrebbe
modificato l'indirizzo del proprio insegnamento". A seguito delle Leggi
razziali fasciste, fu estromesso dall'insegnamento della Filosofia a Catania. Fu
internato e prosciolto.. In seguito espatriò in Svizzera. Dopo la caduta del
fascismo tornò a insegnare a Firenze. Fu membro dell'Accademia Nazionale dei
Lincei. Opere principali: “Delitto e
pena nel pensiero dei greci, Torino, Fratelli Bocca, Sur le droit naturel dans
la philosophie de Spencer, Geneve, H. Kundig, Quelques remarques sur la
conception du droit naturel dans la philosophie de Vico, Heidelberg, Winter, La
societe et l'ordre juridique, Paris, O. Doin et fils, 1911 Sul concetto di
buona fede: appunti intorno ai limiti etici del diritto soggettivo, Genova,
Angelo Fortunato Formiggini, 1912 Filosofia del diritto e tecnicismo giuridico,
Bologna, Zanichelli, 1920 La filosofia politica di Giuseppe Mazzini, Bologna,
Zanichelli, 1922 La filosofia del diritto nel momento presente della scienza e
della vita sociale, Torino, UTET, 1922 Filippo Turati, Roma, Formiggini, 1924
Ricordi della vita e dei tempi di Ernesto Nathan, Firenze, F. Le Monnier, 1927
Il positivismo politico di Carlo Cattaneo, Bari, Laterza, Ricordi dei fratelli
Rosselli, Firenze, La Nuova Italia, La filosofia critica come problematica del
diritto, Milano, Giuffrè Editore, Scritti minori, Padova, CEDAM, Teoria
generale del diritto, Padova, CEDAM. Simonetta Fiori, I professori che dissero
"NO" al Duce, in La Repubblica, 16 aprile 2000. 18 febbraio . Sergio Romano, 1931: i professori giurano
fedeltà al fascismo. In: Corriere della Sera, 14.2.2006 (p. 39) Simonetta Carolini , "Pericolosi nelle
contingenze belliche". Gli internati dal 1940 al 1943, Roma 1987
(A.N.P.P.I.A.)176 Guido Fassò, Il
pensiero e l'opera di Alessandro Levi, Milano, Giuffré, 1953 Norberto Bobbio,
Alessandro Levi, "Il giornale dell'Universita", 1-2 (1954) Renato
Treves, La rinascita del diritto naturale e l'insegnamento di Alessandro Levi,
"Rivista di filosofia", v. 52, 1 (gen. 1961) Giovanni Marino, La
filosofia giuridica di Alessandro Levi tra positivismo e idealismo, Napoli,
Jovene, 1976 Liliana Aloisi, Alessandro Levi: la crisi del
"sottosuolo" positivistico, Napoli, Edizioni scientifiche italiane,
1982. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina
dedicata a Alessandro Levi Alessandro
Levi, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Alessandro Levi, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. (IT, DE, FR) Alessandro Levi, su
hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera. Alessandro Levi, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Alessandro Levi, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Alessandro Levi, . Una sua biografia, su liberalsocialisti.org.
Una recensione del suo Ricordi dei fratelli Rosselli, su ebraismi.it.
Liberatore: «Ma il difetto
molto comune degli Economisti è il mancare di giuste idee filosofiche, e con
ciò non ostante voler sovente filosofare» Matteo Liberatore (Salerno), filosofo.
Entrò nel collegio dei gesuiti di Napoli nel 1825 e, non ancora
sedicenne, chiese di far parte della Compagnia di Gesù, nella quale iniziò il
noviziato il 9 ottobre 1826. Terminati gli studi ecclesiastici ("con
inusuale successo", secondo quanto afferma la Catholic Enciclopedia),
insegnò filosofia per undici anni, dal 1837 fino alla rivoluzione del 1848,
anno in cui, a causa della stessa rivoluzione, si trasferì a Malta. Al ritorno
in Italia ebbe l'incarico di insegnare teologia. Nel 1841 fondò a Napoli,
con il filosofo e teologo Gaetano Sanseverino (1811-1865), il periodico
cattolico La Scienza e la Fede, con lo scopo di criticare le nuove idee del
razionalismo, dell'idealismo e del liberalismo, dalle pagine del quale veniva
sostenuta una strenua battaglia in favore del brigantaggio, interpretato come
movimento politico contrario all'unità d'Italia, ovvero: "La cagione del
brigantaggio è politica, cioè l'odio al nuovo governo". Lasciò
l'insegnamento nel 1850 per partecipare alla fondazione de La Civiltà
Cattolica, una rivista fondata dai gesuiti per difendere la Chiesa cattolica e
il papato e per diffondere la dottrina di san Tommaso d'Aquino. Pensiero
Liberatore fu uno degli estensori dell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII
insieme al domenicano cardinale Zigliara. Fu studioso della filosofia
scolastica di Tommaso ed iniziatore del cosiddetto neotomismo o neoscolastica:
gli storici della teologia cattolica lo considerano come colui che fece
rinascere la filosofia scolastica dell'Aquinate. Inaugurò questo movimento nel
1840 con la pubblicazione del Corso di filosofia. Portò avanti questo movimento
attraverso l'insegnamento nelle aule, con libri di testo sulla filosofia,con
articoli su La Civiltà Cattolica e altri periodici, con altri lavori maggiori,
e anche attraverso il suo lavoro di membro dell'Accademia Romana, alla quale fu
chiamato da Leone XIII. Combatté il razionalismo e l'ontologismo, così
come le idee del Rosmini. Con i padri Carlo Maria Curci, Carlo Piccirillo
e Raffaele Ballerini sostenne su La Civiltà Cattolica la tesi, per quei tempi
revisionista, secondo la quale il brigantaggio fu la legittima resistenza di un
popolo a una conquista non solo territoriale, ma soprattutto ideologica.
Carlos Sommervogel s.j. parla di più di quaranta lavori pubblicati dal
Liberatore, ed elenca i titoli di più di novecento articoli, includendo le
recensioni su La Civiltà Cattolica. Valutazione La Chiesa cattolica del
suo tempo vide in lui per più di mezzo secolo l'infaticabile campione della
verità nei campi della filosofia e della teologia. Fu difensore dei
diritti della Chiesa e studioso dei problemi della vita cristiana, delle
relazioni tra Chiesa e stato, tra la morale e la vita sociale. I filosofi
della sua scuola mettono in evidenza nei suoi scritti la acutezza dei giudizi,
la forza degli argomenti, la sequenza logica del pensiero, la stretta
osservazione dei fatti, la conoscenza dell'uomo e del mondo, la semplicità ed
eleganza dello stile. All'inizio Professoreera giudicato da molti nella Chiesa
cattolica il più grande filosofo dei suoi tempi. Si riteneva che vivesse
santamente, e si scorgeva in lui un profondo spirito religioso. È
considerato uno dei precursori del personalismo economico insieme al gesuita
Luigi Taparelli d'Azeglio e a Antonio Rosmini. Opere Tra i suoi scritti
più conosciuti vi sono vari compendi di logica, metafisica, etica e diritto
naturale, e in particolare: Dialoghi filosofici, Napoli 1840; 2. ed. 1851
Institutiones logicae et metaphysicae, Napoli 1840-42; Milano 1846 Theses ex
metaphysica selectae quas suscipit propugnandas Franciscus Pirenzio in collegio
neapolitano S. J. ab. divi Sebastiani Quinto Napoli 1842 Dialogo sopra
l'origine delle idee, Napoli, 1843 Il Panteismo trascendentale, dialogo, Napoli
1844 Il Progresso. Dialogo filosofico, 2. ed., Genova, 1846 Ethicae et juris
naturae elementa, Napoli, 1846; Roma, 1857 Elementi di filosofia, Napoli, 1848;
2. ed. 1850; Livorno, 1852;5.ed.Napoli, 1852, Institutiones Philosophicae, Napoli,
1851; 5ª ed., Roma Della Conoscenza intellettuale, Napoli, 1855; Roma, 1857
Compendium logicae et metaphysicae, Roma 1858 Sopra la teoria scolastica della
composizione sostanziale dei corpi, Roma 1861 Risposta ad una lettera anonima
sopra la teoria scolastica della composizione sostanziale dei corpi, Roma 1861
Dell'uomo, 2 vols., Roma, 1862 La Filosofia della Divina Commedia di Dante
Alighieri. (In Omaggio a Dante Aligh. dei Cattolici ital.), Roma, Ethica et Ius Naturae, Roma, 1866, Typis
civilitatis catholicae La Chiesa e lo Stato, Napoli, Real tipografia Giannini,
1872 Della composizione sostanziale dei corpi, Napoli, Real tipografia
Giannini, 1878 L'autocrazia dell'ente: Commedia in tre atti, Napoli 1880 Degli
universali. Confutazione della filosofia Rosminiana difesa da Mons. Ferre, Roma
1883-4 Principii di Economia Politica, Roma, A. Befani, 1889 Articoli
scelti: La proposta dell'imperatore germanico di un accordo
internazionale in favore degli operai, Civiltà Cattolica Le associazioni
operaie, Civiltà Cattolica Dell'intervenzione governativa nel regolamento del
lavoro, Civiltà Cattolica XIV (9) 1890 L'Enciclica Rerum Novarum del S. Padre
Leone XIII, De conditione opificium, Civiltà Cattolica La voce La Civiltà
Cattolica spiega nei dettagli il clima di "difesa" in cui la Chiesa
si sentiva in quel tempo. Per il
Liberatore il ritorno all'Aquinate doveva essere orientato alle sue dottrine
originarie: Liberatore era convinto che dopo di lui ben poco di nuovo aveva
prodotto il pensiero umano.
Brigantaggio. Legittima difesa del Sud. Gli articoli della "Civiltà
Cattolica" introduzione di Giovanni
Turco, Napoli, Editoriale Il Giglio, 2000
Per l'atteggiamento arroccato in difesa della Chiesa di quel tempo vedi
ad esempio Sillabo#La "cupa scia" del Sillabo Vincenzo Nardini, Manca di verità e si oppone
a San Tommaso la soluzione di un alto problema metafisico abbracciata dal... p.
Matteo Liberatore ..., Roma, fratelli Pallotta tipografi a S. Ignazio, 1862.
Lettere edificanti della provincia napoletana della Compagnia di Gesù, in La
Civiltà cattolica, Civiltà cattolica: 1850-1945, antologia Gabriele De Rosa,
I-IV, s.l. [ma San Giovanni Valdarno] 1973, ad ind.; Giuseppe Mellinato,
Carteggio inedito LiberatoreCornoldi in lotta per la filosofia tomistica
durante il secondo Ottocento, Roma 1993; Michele Volpe, I gesuiti nel
Napoletano, Napoli 1914, I, 192-206;
Paolo Dezza, Alle origini del neotomismo, Milano 1940, 65-73; Aldo Devizzi, La critica di p. Matteo
Liberatore all'ontologismo, in Rivista di filosofia neo-scolastica,Tommaso
Mirabella, Il pensiero politico del p. Matteo Liberatore ed il suo contributo
ai rapporti tra Chiesa e Stato, Milano 1956; M. Scaduto, Il pensiero politico
del p. Matteo Liberatore ed il contributo ai rapporti tra la Chiesa e lo Stato,
in Archivum historicum Societatis Iesu, Roger Aubert, Aspects divers du
néo-thomisme sous le pontificat de Léon XIII, in Aspetti della cultura
cattolica nell'età di Leone XIII, Giuseppe Rossini, Roma Gabriele De Rosa,
Storia del movimento cattolico in Italia, I-II, Bari 1966, ad ind.; Federico
Lombardi, La Civiltà cattolica e la stesura della "Rerum novarum".
Nuovi documenti sul contributo del p. Matteo Liberatore, in La Civiltà
cattolica, 1982, n. 1, 471-476;
Francesco Dante, Storia della "Civiltà cattolica", Roma Nomenclator
literarius theologiae catholicae, Carlos
Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, IV, coll. 1774-1803; Grande
antologia filosofica, Milano, Carlo Maria Curci Compagnia di Gesù La Civiltà
Cattolica Rerum Novarum Matteo
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openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Matteo Liberatore, . John Harding
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Company. Presentazione del libro su La
Civiltà Cattolica e il brigantaggio.
Liceti: Xilografia di Giovanni Battista Coriolano,
Fortunio Liceti (Rapallo), filosofo. Allievo ed erede di Cesare
Cremonini. Secondo una leggenda locale Fortunio Liceti nacque prematuro (6
mesi), venendo alla luce su una nave presa da tempesta lungo le coste tra Recco
e Rapallo. Sempre secondo la tradizione orale suo padre, che era un medico
famoso, lo mise in una scatola di cotone dentro un forno, come si faceva per far
schiudere le uova, inventando così il prototipo della moderna incubatrice. Dopo
aver compiuto i primi studi letterari nella sua città natale, Rapallo, venne
inviato a Bologna per compiere e approfondire gli studi legati alla filosofia e
alla medicina. Frontespizio della terza edizione del De monstruorum
natura, caussis, natura, et differentiis libri duo, Amsterdam, Andreas Frisius,
1665. Intorno al 1600, conclusi i corsi scientifici nella città bolognese, si
trasferì nella città toscana di Pisa dove insegnò presso l'università dal 1600
al 1609 logica e filosofia. Il 25 agosto 1609 ottenne la cattedra di
filosofia presso l'Padova. Passato all'Bologna, dove dal 1637 occupò la
cattedra di filosofia ordinaria, il 28 settembre 1645 fece ritorno a Padova
dove gli fu assegnata la cattedra di medicina teorica ordinaria presso
l'università. Il 10 aprile 1619 fu ascritto all'Accademia dei Ricovrati (oggi
Accademia Galileiana di scienze, lettere ed arti). «Quando, nel 1618,
comparve in cielo una cometa, si riaccese una controversia analoga a quella
suscitata dalla stella nova del 1604, ma questa volta le difese della teoria
aristotelica furono assunte dal Liceti ed il compito di attaccarla, partito
ormai Galileo, fu assunto dal suo successore sulla cattedra di matematica,
Giovanni Gloriosi, che se la prese appunto col Liceti. Questi rispose
pubblicando un suo De novis astris et cometis, in cui oltre a difendere
Aristotele egli criticava i moderni scienziati, tra i quali anche Galileo, ma
con espressioni molto rispettose e lusinghiere. A questo scritto Galileo fece
rispondere dal suo amico Mario Guiducci col Discorso sulle comete.» Morì
a Padova il 16 giugno 1657 e fu sepolto nella chiesa di Sant'Agostino, rasa al
suolo nel 1819 su ordinanza del governo austriaco. Nella sua vita scrisse
numerose opere di filosofia naturale e di medicina, tra le quali i due libri
più famosi intitolati De monstruorum causis, natura et differentis, stampati
nel 1616, più volte riediti (Padova 1634, con l'aggiunta di numerose illustrazioni,
Amsterdam 1665 e Padova 1668, con aggiunte di Gerard Blaes) e tradotti in
francese, nei quali riprese le soluzioni aristoteliche sul problema delle
anomalie genetiche, e i quattro volumi De spontaneo viventium ortu, nel 1618,
nei quali sostenne la generazione spontanea degli animali inferiori.
Altri testi importanti per la ricerca furono i volumi De lucernis antiquorum
reconditis, scritto nel 1621 e apprezzato da Claudius Berigardus, e la Silloge
Hieroglyphica, sive antiqua schemata gemmarum anularium del 1653. Trattò
inoltre la questione dell'anima delle bestie nel De feriis altricis animae del
1631. Le sue opere furono chiaramente ispirate ad Aristotele, in
particolare gli studi sul problema della generazione vivente e sul cosmo,
entrando talvolta in contrasto con Galileo Galilei, specialmente per quanto
riguarda la struttura dei cieli e della Luna, che Liceti considerava una sfera
perfetta e trasparente la cui luminosità non era un riflesso della luce solare,
ma veniva generata al suo interno. Al centro di questo dissenso cosmologico,
c'era, infatti, il tentativo di spiegare il fenomeno luminescente della pietra
di Bologna, che Liceti considerava un frammento di materia lunare. Alcuni
scritti del Liceti rimasero inediti a causa delle ampie discussioni riportate
sulle novità astronomiche del XVII secolo. «Nella congerie immensa dei
suoi scritti e commenti va notata la difesa della pietas d'Aristotele; quella
pietas così vivacemente messa in forse alcuni anni più tardi dal platonicissimo
cappuccino Valeriano Magno, che tacciò d'ateismo il sistema dello Stagirita. Il
Liceto invece disserta «de gradu pietatis Aristotelis erga Deum et homines», e
nell'opera sua «Philosophi sententiae plurimae, fidelium auditui durae,
salubribus explicationibus emollitae, ad pias aures accommodantur, illaeso
genuino sensu Aristotelis» . E ad epigrafe dell'opera sua si compiace del
distico Vulgus Aristotelem gravat impietate, Licetus Doctorem purgat. Numquid
uterque pius?» Nel 1777 la città di Padova ed il nobile genovese Carlo
Spinola di Roccaforte resero omaggio al filosofo facendo erigere una statua in
marmo scolpita dallo scultore padovano Francesco Rizzi. A Rapallo, sua
città natale, vi è dedicata una via nel centro storico e l'intitolazione
dell'Istituto Superiore Tecnico cittadino. Gli è stato dedicato il
cratere Licetus sulla Luna. Opere principali De centro et
circumferentia, 1640. Fortunio Liceti,
De regulari motu minimaque parallaxi cometarum caelestium disputationes, Vtini,
Nicola Schiratti, 1611. 19 giugno . Fortunio Liceti, De monstruorum natura,
caussis, natura, et differentiis libri duo, 1616. Fortunio Liceti, De spontaneo viventium ortu,
Vicetiae, Domenico Amadio, Francesco Bolzetta, 1618. 19 giugno . Fortunio Liceti, Encyclopaedia ad aram
mysticam Nonarii Terrigenae, Patauii, Gaspare Crivellari, 1630. 10 febbraio .
Fortunio Liceti, De feriis altricis animae nemeseticae disputationes, 1631.
Fortunio Liceti, Allegoria peripatetica de generatione, amicitia, et privatione
in aristotelicum aenigma elia lelia crispis, 1630. Fortunio Liceti, Ad aram
lemniam Dosiadae, poëtae vetustissimi et obscurissimi, encyclopaedia, Parisiis
: apud C. Cottard , 1635 Fortunio
Liceti, Ad Syringam publilianam encyclopaedia, Patauii, Livio Pasquato, Giacomo
Bortolo, 1635. 10 febbraio . Fortunio
Liceti, Ad Epei Securim Encyclopaedia Fortunii Liceti Genuensis philosophi, ac
medici, Bononiae, Giacomo Monti, 1637. 10 febbraio . Fortunio Liceti, De centro et circumferentia,
Vtini, Nicola Schiratti, 1640. 19 giugno .
Fortunio Liceti, De luminis natura et efficientia, Vtini, Nicola
Schiratti, 1640. 19 giugno . Fortunio
Liceti, Litheosphorus, siue De lapide Bononiensi lucem in se conceptam ab
ambiente claro mox in tenebris mire conservante, Vtini, Nicola Schiratti, 1640.
19 giugno . Fortunio Liceti, Ad alas
amoris diuini a Simmia Rhodio compactas, Patavii, Giulio Crivellari, 1640. 10
febbraio . Fortunio Liceti, De lucidis
in sublimi ingenuarum exercitationum liber, Patauii, Giulio Crivellari, 1641.
19 giugno . Fortunio Liceti, De Lunae Subobscura Luce prope coniunctiones,
1641. Fortunio Liceti, Hieroglyphica,
Patavii, Sebastiano Sardi, 1653. 19 giugno .
Fortunio Liceti, Hydrologiae peripateticae disputationes, Vtini, Nicola
Schiratti, 1655. 19 giugno . Fortunio
Liceti, Ad syringam a Theocrito Syracusio compactam et inflatam Encyclopaedia,
Vtini, Nicola Schiratti, 1655. 10 febbraio . Note Enrico Berti (1982)538. Fortunio Liceti, Traité des monstres, de leur
causes, de leur nature, & de leur differences, traduzione di Jan Palfijn,
Leida, Chez la veve de Bastiaan Schouten, 1708. Nuova traduzione abbreviata “De
la nature, des causes, des différences des monstres d'après Fortunio Liceti”,
François Houssay, prefazione di Louis Ombrédanne, Parigi 1937. Fabrizio Baldassarri, La pietra di Bologna da
Descartes a Spallanzani. Sviluppo di un modello scientifico tra curiosità,
metodo, analogia, esempio e prova empirica, Nel nome di Lazzaro. Saggi di
storia della scienza e delle istituzioni scientifiche tra il XVII e il XVIII
secolo. Eugenio Garin, La
filosofia, 2, Milano, Vallardi,
194755. Questo testo proviene in parte
dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera del
Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze (home page),
pubblicata sotto licenza Creative Commons CC-BY-3.0 Caspar Bartholin,
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Fortunio Liceti critique de Marsile Ficin, in Bruniana &
Campanelliana, 12, n. 2, 2006, 451-469, JSTOR 24335240. Filosofia Medicina Altri progetti Collabora a
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Agostini. Giuseppe Ongaro, Fortunio
Liceti, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Opere di Fortunio Liceti, su
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Fiction Database, Al von Ruff.
Liguori. Ritratto. Girolamo de
Liguori (Roma), filosofo. Si è dedicato in gioventù anche alla pedagogia,
all'impegno politico e al teatro. Ha frequentato il liceo classico presso i
padri gesuiti dell’Istituto Massimo di Roma. Studia poi giurisprudenza
all'università La Sapienza e durante gli anni universitari si impegna anche in
una intensa attività teatrale raccontata nel libro Scherzi della memoria
prefatto da Franco Ferrarotti. Nel 1959 è tra i fondatori del CUT (Centro
Universitario Teatrale) di Roma, stabilendo contatti con attori e registi quali
Giorgio Albertazzi, Anna Proclemer, Vittorio Gassman, Evi Maltagliati e molti
altri attori e registi, organizzando nel 1960 un grande convegno nell’aula
magna dell’Roma con Gassman e Lucignani su La Messinscena dell'Adelchi di
Manzoni. Si laurea nello stesso ateneo nel 1962 con una tesi in Filosofia del
diritto sullo scetticismo giuridico. Fresco di laurea viene nominato assistente
della disciplina alla cattedra di nuova istituzione presso l’Università degli
Studi di Lecce. Sposa Aurora, dalla quale avrà tre figli (Enrico, Eclita e
Mario). Vince per concorso la cattedra di storia e filosofia nei Licei e inizia
la carriera di docente nel Liceo Classico Calamo di Ostuni. Contemporaneamente
si impegna nell'insegnamento nelle scuole secondarie superiori e nell'attività
pedagogica, si dedica all'impegno politico e alla ricerca storica del pensiero
filosofico, pubblicando saggi, articoli e monografie per importanti editori,
stabilendo collaborazioni continuative culturali e scientifiche con specialisti
e centri di ricerca. Prende successivamente il titolo di dottore di ricerca in
filosofia presso le consorziate Bari, Urbino e Ferrara. Ha ricoperto nel corso
della sua carriera diversi incarichi universitari presso l'Trento, del Salento
ed ha partecipato come relatore a convegni scientifici internazionali presso le
Torino, Firenze, Lecce, Cassino, Napoli, ecc. Primi anni Sessanta.
Aula Magna dell'Università La Sapienza, Roma. G. de Liguori interviene al
convegno da lui organizzato insieme al CUT di Roma. Alle sue spalle seduto in
primo piano, Vittorio Gassman. Dopo aver vissuto per parecchi anni in Puglia ad
Ostuni, nel 1999 si trasferisce a Noceto, dove vive ancor oggi, vedovo dal
2007. Ha messo il suo vissuto culturale a disposizione del Comune di Noceto,
per l'ideazione e l'organizzazione di attività, nell'ambito della poesia e del
teatro, promosse dall'Assessorato alla Cultura. Primi anni
Sessanta. Aula magna dell'Università La Sapienza, Roma, G. de Liguori (in
piedi) con Giorgio Albertazzi, Anna Proclemer (di spalle) ed il regista Amedeo
Fago. Studi e ricerche Nella sua intensa attività di ricerca si è occupato di
storia del pensiero moderno, storia della filosofia e storia della scienza. Con
I baratri della ragione, viene riconosciuto come uno dei massimi studiosi
dell'opera di Arturo Graf, importante autore italiano del quale de Liguori ha
contribuito per primo a rivalutare il valore storico e culturale; ha scritto di
Leopardi, Kant, e Cartesio. Ha trattato il Positivismo italiano di Giuseppe
Sergi, Cesare Lombroso, Enrico Morselli e Tito Vignoli; dello scetticismo di
Giuseppe Rensi ponendolo in critica relazione tra Leopardi e Pirandello; ha
scritto del suo avo S. Alfonso M. de' Liguori e di altri autori noti e meno
noti come il gesuita anticartesiano Giovan Battista De Benedictis, detto
l'Aletino. Ha collaborato con l'Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani,
con la Domus Galileana di Pisa e con l'Istituto Italiano per gli Studi
filosofici di Napoli nonché con le più importanti riviste filosofiche, storiche
e letterarie nazionali. Ha pubblicato per Editori quali Laterza, Le
Monnier, La città del SoleIstituto italiano per gli Studi Filosofici, Lacaita e
molte altre. Nel corso dei suoi studi ha tenuto diversi rapporti
epistolari con eminenti personalità della letteratura, della filosofia e della
scienza, quali: Eugenio Garin, Norberto Bobbio, Corrado Augias, Walter Binni,
Ambrogio Donini, Franco Ferrarotti e Sebastiano Timpanaro, del quale sono state
pubblicate 12 lettere sulla rivista Il "Ponte". Impegno
politico 1967. Comune di Ostuni (BR) Intervento di G. de Liguori al
convegno da lui organizzato sul tema del Dialogo tra Maristi e Cattolici.
Seduto il Senatore Prof. Ambrogio Donini. Nel 1967 G. de Liguori, insieme ad
altri giovani intellettuali, fonda ad Ostuni (BR) il Circolo Culturale “Sic et
Non”, cui aderiscono e collaborano note personalità della politica e della
cultura quali il Senatore Prof. Ambrogio Donini, il meridionalista letterato
Tommaso Fiore, Lucio Lombardo Radice, matematico e fondatore e direttore di
“Riforma della scuola” e docenti delle Bari, Roma e Lecce. Il circolo si
impegna in complesse battaglie civili come quella per un dialogo tra marxisti e
cattolici, ed altre incombenti questioni sociali come la campagna per il
divorzio. Stringe intese, oltre che con moti uomini politici e studiosi di
chiara fama, con il gruppo dei cattolici del Gallo di Genova e coi fiorentini
seguaci di Giorgio La Pira, i quali si riunivano intorno alla rivista
“Testimonianze” diretta da padre Ernesto Balducci e Danilo Zolo, nonché con i
ragazzi della Scuola di Barbiana, diretta da Don Lorenzo Milani. Manifesto
editoriale del "Sic et Non" è la rivista Presenza, da lui diretta,
che testimonia questa attività politica allora pionieristica per una piccola
provincia del Sud Italia. I sette numeri pubblicati della rivista Presenza, e
altra documentazione di tale impegno politico, sono attualmente depositati
presso la Biblioteca Comunale di Ostuni (BR) intitolata a Francesco Trinchera e
comunque ampiamente documentati nell'unico libro autobiografico dello stesso
autore. Critica e commenti sull'opera di Girolamo de Liguori Carteggio
con illustri studiosi Norberto Bobbio: «[…] Il libro mi pare di grande
interesse, per l’ampiezza e la serietà della ricerca su un tema, se non
sbaglio, mai scandagliato a fondo, eppure importante nell'ambito più vasto
della storia della filosofia positiva, della critica letteraria e della cultura
torinese (argomento a me particolarmente caro). Sono convinto che si tratta di
un lavoro di prim'ordine, che rende giustizia a uno studioso e a uno scrittore
(e poeta) che è stato sì, ricordato più volte dai suoi discepoli, ma è stato
poi dimenticato dagli storici. Credo che questo libro sia un effettivo
contributo alla migliore di quel periodo della nostra storia che la cultura
idealistica aveva disdegnato: un contributo di cui soprattutto noi piemontesi
dobbiamo essere grati». Sebastiano Timpanaro: «[…] Mi sembra, e non lo dico per
adulazione, ma con piena sincerità, un'opera di livello davvero eccezionalmente
alto, per la caratterizzazione del protagonista e di tutto il suo ambiente, per
tutto ciò che finora ignoto essa porta alla luce. E’ venuto fuori cosi un
lavoro che molto di rado accade di leggere». Ambrogio Donini: «[…] Mi pare, ad
un primo esame, fondamentale per la conoscenza del periodo ancora poco
conosciuto. Apprezzo moltissimo tale metodo di indagine e la serietà della
documentazione. Uno studio di questo genere è certamente costato decenni di
intensa documentazione». Guido Oldrini: […] ho letto subito il volume su Arturo
Graf così ricco e con non poco profitto. Quando l’autore, in un punto se la
prende con gli storici della filosofia italiana che trascurano il Arturo Graf,
anzi noni menzionano affatto, mi sento in colpa; e tanto più in quanto io,
studioso della cultura napoletana, mi son lasciato sfuggire quei nessi di
Arturo Graf con Napoli che il volume di de Liguori illustra con tanta
passione». Franco Contorbia: «[…] poche volte accade di fare i conti con un
libro così fatto, stratificato, totalizzante […]; ad apertura di pagina si
avverte l’impegno, il grado di coinvolgimento appassionato con cui lei ha
condotto avanti negli anni una così impegnativa ricerca peculiare, quasi il
centro della sua esistenza intellettuale, il punto di arrivo (e a un tempo di
partenza) di un confronto che è culturale ma anche morale e politico. […] La
qualità di un tale lavoro, mi pare, fuori dell’ordinario». Donato Valli:
«L’autore ha consegnato alla critica e alla conoscenza uno studio così
complesso da poter essere considerato un esaustivo panorama della cultura del
secondo Ottocento italiano e non solo italiano […]». Recensioni di illustri
studiosi Paolo Rossi, «[…] L'autore… ha fatto emergere un quadro ricco e
articolato dove accanto alle ombre brillano alcune luci importanti». Recensione
sulla rivista «Panorama […]» riguardante il
di de Liguori Materialismo inquieto, edito da Laterza . Giorgio
Cosmacini, «[…] Il lavoro di de Liguori è largamente meritorio oltreché
ampiamente documentato». Recensione uscita su «Il Corriere della sera […]»
riguardante il di de Liguori
Materialismo inquieto, edito da Laterza. Mario Marti: «Dalle appassionate e
diuturne indagini dell’autore su Arturo Graf e il suo tempo è venuto fuori il
ponderoso, massiccio volume, che ho ricevuto come caro e preziosissimo dono.
Davvero lusinghiera la “presentazione” di un grande Maestro come Eugenio Garin,
e accattivante e simpatica l’”Avvertenza”. Tutto il resto è da leggere […]».
Recensione al volume di de Liguori su Graf, uscita sul «Giornale storico della
letteratura italiana». Corrado Augias: «[…] Quella di De Liguori è infatti una storia
meridionale che parte da una finzione narrativa di gusto classico ma così
classico da poterla ritrovare in alcuni capolavori tanto celebri che non vale
nemmeno la pena di citarli […]». Pubblicazioni (di Girolamo de Liguori) 1966,
Trasimaco aveva ragione, «La Rassegna pugliese», I, n 7/8 1966, Giustizia e
carità fra filosofia e vita, Ivi, n° 12 1967, Lo scetticismo giuridico di
Giuseppe Rensi, «Rivista Internazionale di Filosofia del diritto», a. XLIV,
fasc.II 1968, Una moderna enciclopedia del sapere, «La Rassegna pugliese», III,
n° ¾ 1971, Efirov e la filosofia italiana, «Problemi», gennaio-aprile, n°
25, 1130-1132 1971, Un Leopardi
antiprogressivo, «Dimensioni», a. XV, n°1 1971, In tema di materialismo
marxista, Ivi, a. V, n° 2 Vincenzo Gioberti e la filosofia leopardiana. Momenti
del conflitto tra l’ideologia cattolico borghese e la protesta leopardiana,
«Problemi», n° 28, 1178-1185 1980, Un
episodio di solitudine. Rassegna di studi su Arturo Graf Ivi, settembre-dicembre,
n° 59, 246-265 1981, Leopardi e i
gesuiti. Appunti per la storia della censura leopardiana, «La Rassegna della
Letteratura italiana», a. LXXXV, n° 1/2, gennaio-agosto 1981 Quel povero
“Diavolo” di Arturo Graf, «Giornale critico della Filosofia italiana», a. LX,
fasc. III, sett.-dic. 1982, Le «Scandalose razzie». Scienza, politica, fede in
Arturo Graf Ivi, fasc. III, gennaio-aprile,
66-106 1982, Scetticismo e religiosità in una rivista militante:
«Pietre» (1926-1928), in, , La filosofia italiana attraverso le riviste, A.
Verri, Micella, Lecce, 259-257 1983, La
condizione del senso. Per una riconsiderazione della lettura grafiana di
Leopardi (1890-1898), «La Rassegna della Lett. It.», Il mito e la storia. Le
ragioni dell’irrazionale in Arturo Graf, «Problemi», n° 66, 58-75 1983, Quella «dubitante religiosità».
Arturo Graf e il modernismo, «Giornale cr. della fil. It.», fasc. I,
genn.-apr., 91-107 1983, Mattia Doria
tra platonismo e riformismo, «GCFI», fasc. II,
226-233 1983, Il sodalizio Labriola-Arturo Graf negli anni della loro formazione
(1868-1876), «Studi Piemontesi», II
1983, Un anticartesiano di Terra d’Otranto: Giovambattista De Benedictis, in,
Miscellanea di Storia Ligure, Univ. di Genova a. V, n° 2, vo lII 1984,
Materialismo e positivismo. Questioni di metodo, in, Annali della Facoltà di
Lettere e Filosofia dell’Univ. di Bari, voll. XII-XIII 1985, Nota su Benedetto
Aletino e le polemiche anticartesiane a Napoli tra i secoli XVII e XVIII,
«Rivista di storia della filosofia», n° 2 1986, L’araba fenice: ossia la
filosofia nella secondaria, «Idee», n° 1 1986, I baratri della ragione. Arturo
Graf e la cultura del secondo Ottocento, Prefazione di E. Garin, Lacaita,
Manduria, 463 1986, Le ambiguità della
ragione. «Idee», n° 2/3 1986-1988, Per la storia della psicofisica in Italia.
Il materialismo psicofisico e il dibattito sulle teorie parallelistiche in
Italia tra Ottocento e Novecento: Filppo Masci e Adolfo Faggi, parte I,
«Teorie e modelli», n° triplo, 1/2/3,
69-84; parte II, n° 1, 63-83
1987, Di una rinnovata attenzione al materialismo ottocentesco, «Idee», n° 3/6
1987, Mito e scienza nell’antropologia e nella storiografia del positivismo
italiano, in, , La filosofia tra tecnica e mito, Atti del Convegno della SFI,
Assisi ediz. Porziuncola, ; poi in
«Dimensioni», Livorno, n° 42 1988, Materialismo inquieto. Vicende dello
scientismo in Italia nell’età del positivismo (1868-1911), Laterza Bari 1988,
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Siciliani, G. Invitto e N. Paparella, Capone, Lecce, I 1988, Presupposti epistemologici e immagine
della scienza in Enrico Morselli e Arturo Graf in , Filosofia e politica a
Genova nell’età del positivismo, Atti del Conv. dell’Associazione filosof.
Ligure, 14-16 maggio 1987, D. Cofrancesco,
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21-40; poi in Materialismo e scienze dell’uomo (v. n° 32 seguente, 1990)
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Kant. L’eredità della “Critica della ragion pura”, A. Fabris e L. Baccelli.
Introduzione di S. Marcucci, Angeli, Milano 1990, Materialismo e scienze
dell’uomo. Il dibattito su scienze e filosofia del secondo Ottocento, Lacaita,
Manduria 1990, La fondazione razionale della fede in Piero Martinetti,
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dell’evoluzione nella prospettiva monistica di E. Morselli, in. Il nucleo filosofico della scienza, Guido
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positivistico della “degenerazione”, in. , Salvatore Morelli. Emancipazione e
democrazia nell’Ottocento europeo, G. Conti Odorisio, Ed. Scientif. Ital.,
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[Romanzo] con pefazione di Corrado Augias Movimedia, Lecce , Pensatori
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di Alfonso de’ Liguori, in, Le metamorfosi dei linguaggi nel Settecento, Carlo
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donna come oggetto determinante nella invenzione cattolica del “peccato”di
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aprile-giugno, 104 e segg. Cerca altri
scritti di Girolamo de Liguori su Cataloghi e Collezioni digitali delle biblioteche
italiane. Scherzi della memoria. Mappa di un itinerario non turistico tra
politica e cultura in una provincia del Sud, (1963-1999). Prefazione di Franco
Ferrarotti; Postafazione di Nicola Siciliani de Cumis., Caltanissetta,
Salvatore Sciascia editore, 2008. Girolamo de Liguori, I baratri della
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Gemoynat Ludovico, LIII, DBI Treccani, 2000.
Lettere di S. Timpanaro a Girolamo de Liguori, in Il Ponte, a.l, nn
10-11, 2004, 160-181. Carteggio privato
(corrispondenza autografa) tra Girolamo de Liguori e i singoli autori
citati Paolo Rossi, Viaggio nel
Positivismo, in Panorama, n. 1149, Arnoldo Mondadori Editore, 24 aprile,
1988, 21-22. Girolamo de Liguori,
Materialismo inquieto. Vicende dello scientismo in Italia nell’età del positivismo
(1868-1911), Bari, Roma, Laterza, 1988,
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medico condannato al materialismo, in Corriere della Sera, 4 sett. 19884. Mario Marti, Recensione a I baratri della
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1987, 154-155. Girolamo de Liguori, Le sorelle Vadalà.
Quattro storie più una, [Romanzo], Prefazione di Corrado Augias, Lecce,
Movimedia, .
Lilla: Vincenzo Lilla
(Francavilla Fontana), filosofo. Formatosi
nelle scuole dei Padri Scolopi in Francavilla Fontana sin dall'età giovanile
aderì alle idee cattolico liberali divulgate dai pensatori della prima metà
dell'Ottocento: Gioberti, Minghetti, Balbo e Antonio Rosmini al quale dedicherà
molteplici studi subendone una marcata influenza. Presi gli ordini minori all'età di diciotto
anni e lasciata Francavilla nel 1863 per l'ostentata contrarietà di tutto il
clero di Francavilla alle sue idee patriottiche d'ispirazione giobertiana,
manifestate apertamente nel "Programma d'insegnamento filosofico"
pubblicato sul giornale il "Cittadino leccese", decise di trasferirsi
a Napoli ove, frequentando l'università, ebbe modo di confrontarsi con le idee
di Francesco De Sanctis, Bertrando Spaventa, Luigi Settembrini, Antonio Tari e
Augusto Vera. Appena laureato ottenne
l'insegnamento di filosofia nel Collegio di San Carlo alle Mortelle, nel
Collegio del tedesco Liebler e nel Liceo Martineli fondando successivamente,
assieme ad altri docenti e assumendone la direzione, il Liceo Rosmini di
Napoli. Durante questi anni videro la luce i primi lavori, "La provvidenza
e la libertà considerate nella civiltà", "Dio e il mondo", e
"La personalità originaria e la personalità derivata" nei quali
gettava le premesse degli studi filosofici e giuridici in cui si cimenterà per
tutta la vita: la storia della filosofia, la filosofia teoretica e la filosofia
del diritto; sviluppando altresì e precorrendo una moderna concezione del
rapporto tra "diritti umani e progresso scientifico" sin da La
scienza e la vita, titolo paradigmatico della monografia data alle stampe nel
1870. Successivamente, ordinato
sacerdote, divenne professore pareggiato di Enciclopedia giuridica e Filosofia
del diritto, all'Napoli e dal 1885 titolare della cattedra di Filosofia del
diritto in quella di Messina di cui fu preside dal 1894 fino alla morte. Furono
quelli gli anni più fecondi della produzione scientifica volta a perfezionare
la sua concezione dello Stato, approfondire le fonti rosminiane, confrontarsi
con le teorie evoluzionistiche di Herbert Spencer e contemporaneamente
intrattenere contatti epistolari con alcuni fra i maggiori filosofi, giuristi,
patrioti e storici dell'epoca quali: Rudolf von Jhering, Johann Caspar
Bluntschli, Édouard Le Roy, Niccolò Tommaseo, Gino Capponi e molti altri. Opere La personalità originaria e la
personalità derivata, Napoli, Tip. Rocco, 1868. Kant e Rosmini, Tip. G.
Borgarelli, Torino, 1869. La scienza e la vita, Torino, Tip. G. Borgarelli,
1870 La mente dell'Aquinate e la filosofia moderna, Torino, Tip. G. Borgarelli,
1873. Filosofia del diritto, 1880. Critica della dottrina etico-giuridica di J.
S. Mill, 1889. Le supreme dottrine filosofiche e giuridiche di G. B. Vico
rivendicate, 1894. La pretesa persona giuridica e le funzioni personali degli
enti morali , L. Gargiulo, 1895. Della Riforma religiosa civile di Nicola
Spedalieri, discorso letto in Messina nel primo centenario della sua morte,
tip. d'Amico, 1896. Le fonti del sistema filosofico di Antonio Rosmini, L.F.
Cogliati, 1897. Due meravigliose scoperte di Antonio Rosmini: l'essere
possibile e l'unità della storia dei sistemi ideologici, L.F. Cogliati, 1897.
Il Canonico Annibale Maria Di Francia e la sua Pia Opera di beneficenza,
Messina, Tip. Editrice San Giuseppe, 1902. Manuale di filosofia del diritto,
Milano, Società editrice libraria, 1903. Pagine estratte. Note Giorgio Martucci, Vincenzo Lilla e il suo
concetto dello stato Antonio Tarantino,
Diritti umani e progresso scientifico: Vincenzo Lilla Vittorio Polacco, La "Filosofia del
diritto" di Vincenzo Lilla: Note ed appunti, G.B. Randi, 1903. G. Sava, ,
Vincenzo Lilla, Scritti di filosofia storia e diritto, Milano, Giuffré 1983.
Antonio Tarantino, La filosofia della giustizia sociale di Vincenzo Lilla,
Milano, Giuffré, 1984. In occasione del
conferimento della "Cittadinanza onoraria (di Messina) alla memoria al
prof. don Lilla [collegamento interrotto], su nettunopress.it. 9-2-. Antonio
Tarantino, Diritti umani e progresso scientifico: Vincenzo Lilla di , su
emeroteca.provincia.brindisi.it. 9-2-. Giorgio Martucci, Vincenzo Lilla e il
suo concetto dello stato , su emeroteca.provincia.brindisi.it. l'11-2-. Vincenzo Lilla su Treccani.it, su
treccani.it. 9-2-. Lettere di Vincenzo Lilla a Rudolf von Jhering, su
books.google.it.
Limentani: Ludovico Limentani
(Ferrara) filosofo. Di formazione positivista, fu critico verso le sue forme
più schematiche e deterministiche. Nella sua formazione, a partire dagli studi
universitari a Padova, furono determinanti, oltre l'incontro con Roberto Ardigò
quelli con Giovanni Vailati e Giovanni Marchesini. I frutti maggiori del suo lavoro li diede
nell'insegnamento di filosofia morale a Firenze, dove ebbe colleghi come
Alessandro Levi e Francesco De Sarlo e allievi importanti quali Kurt Heinrich
Wolff, Eugenio Garin e Aurelio Pace storico dell'Africa Contemporanea
dell'UNESCO e padre dell'artista Joseph Pace. Fondamentali sono i suoi studi su
La previsione dei fatti sociali e La morale di Giordano Bruno. In particolare
negli studi su Giordano Bruno aveva dato un deciso rilievo alla biografia del
nolano, essendo da questo punto di vista un innovatore, rispetto agli studi di
un idealista come Giovanni Gentile che davano principaleper non dire
esclusivorisalto alla sua opera scritta.
Limentani fu allontanato dall'insegnamento universitario in quanto ebreo
con le leggi razziali fasciste del 1938.
Eugenio Garin, Ludovico Limentani, Tipografia Enrico Ariani, 1941,
Firenze Ludovico Limentani
nell'Enciclopedia Treccani Joseph Pace,
Filtranisme: una vita raccontata, intervista di Rogerio Bucci, Quattrocchi
Lavinio Arte17 e 18, , Anzio, Italia
Joseph Pace, Filtranisme, Quattrocchi Lavinio Arte, , Anzio, Italia L'Irremovibilità della Memoria: le filtranisme,
Mascia Ferri, Ed. Tibercopia, 2007, Roma
Ludovico Limentani in Dizionario BiograficoTreccani Piergiorgio Donatelli, «LIMENTANI, Ludovico»
in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 65, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2005.
Positivismo Roberto Ardigò Eugenio Garin Kurt Heinrich Wolff. Ludovico
Limentani, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Ludovico Limentani, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Ludovico Limentani, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Ludovico Limentani,
Limone. «Che cosa è, nel
mondo umano, la persona? Tutto. Che cosa è, nel mondo contemporaneo, la
persona? Nulla» Persona e memoria, Rubbettino. Giuseppe Limone (Atella di
Napoli), filosofo. La sua ricerca filosofica si inserisce nel solco del
"personalismo comunitario" tracciato dal filosofo francese Emmanuel
Mounier, fondatore della rivista Esprit.
Ha conseguito la laurea in Giurisprudenza all'Università Federico II di
Napoli e il dottorato in Filosofia all'Università "La Sapienza" di
Roma. Nel 1980 gli è stato conferito il Prix Emmanuel Mounier per una ricerca
sul personalismo. Ha studiato a Parigi e a Châtenay-Malabry, sede
dell'Association des amis d'Emmanuel Mounier, presso la Comunità dei muri
bianchi, cui appartenevano Paul Fraisse, Paul Ricœur, Paulette E. Mounier,
Jean-Marie Domenach e altri illustri intellettuali francesi. È Professore
presso la Seconda Università degli Studi di Napoli (oggi Università degli Studi
della Campania "Luigi Vanvitelli"). Insegna Filosofia della politica
e del diritto, Filosofia delle scienze sociali e Filosofia delle forme
simboliche. I suoi interessi di ricerca abbracciano aspetti epistemologici,
etici, filosofico-pratici e simbolici, congiunti in un approccio
transdisciplinare. Al centro della sua attenzione teoretica è il "problema
della persona". Dirige la collana
L'era di Antigone per Franco Angeli. Ha fondato e dirige la rivista
"Persona, periodico internazionale di studi e dibattito". È tra i fondatori
del Centro interuniversitario europeo di studi sulla simbolica,
"Symbolicum". Del suo contributo teorico al personalismo europeo ha
scritto Virgilio Melchiorre in Essere persona (Fondazione Achille e Giulia
Boroli, Milano 2007). È stato insignito del Premio Internazionale di Poesia
"Roberto Farina" alla carriera .
Pensiero, idea di persona Il pensiero di Giuseppe Limone sonda in
profondità l’idea di persona. Là dove la persona non è né la semplice
nobilitazione dell’essere umano in generale, né una singola unità seriale.
Della persona, dice Limone, si può dare idea, non concetto, perché l’idea è
aperta come la vita, mentre il concetto è chiuso. L’idea di persona, però, non
è l’idea di un quid ma di un quis, perché la persona è un chi, non un che; è
l’idea di un’essenza che non può essere separata dalla concreta singola
esistenza, originalissima e dotata di dignità. In quanto idea di un quis, la
persona si presenta come l’altro versante del teorema d’incompletezza di Gödel.
Nel pensiero di Limone, il significato della persona si delinea all’interno di
una costellazione in cui essa: -è realtà singolare e la sua idea; -è
prospettiva ontologica sussistente e la sua verità; -è la parte di un tutto che
solo parzialmente è parte, perché per altro verso si presenta come un tutto, in
quanto è irriducibile al tutto e indivisibile in sé; -è l’eccezione istituente
una regola che riesce, e non riesce, a farsene istituire; -è l’idea di qualcosa
che resiste alla possibilità di essere ricondotto a un’idea; -è l’idea di un
appartenere che resiste all’idea di appartenere. L’essere della persona
richiama, a suo modo, il problema delle antinomie di Russell. Un tale
arcipelago di paradossi costituisce, però, una forza virtuosa che interroga
ogni sistema. La persona si configura come invenzione teorica, paradosso logico
e misura epistemologica, e rappresenta il punto strutturale di base che
istituisce la visione filosofica del giuspersonalismo. Opere Lavori filosofici Tempo della persona e
sapienza del possibile: Valori, politica, diritto in Emmanuel Mounier, t. 1,
ESI, Napoli 1988. Tempo della persona e sapienza del possibile: Per una
teoretica, una critica e una metaforica del personalismo, t. 2, ESI, Napoli
1990. La catastrofe come orizzonte del valore, Monduzzi Editoriale, Milano .
Bellezza e persona, su “Aisthema. Philosophy, Theology, Aesthetics” n.1 () 2,
9-22. La macchina delle regole, la verità della vita. Appunti sul
fondamentalismo macchinico nell’era contemporanea, in La macchina delle regole,
la verità della vita, L’Era di Antigone, FrancoAngeli, Milano . Che cos’è il giuspersonalismo?
Il diritto di esistere come fondamento dell’esistere del diritto, Monduzzi
Editoriale, Milano . Ars boni et aequi. Ovvero i paralipòmeni della scienza
giuridica, in Ars boni et aequi. Il diritto fra scienza, arte, equità e
tecnica, L’Era di Antigone, FrancoAngeli, Milano . Filosofia e poesia come
passioni dell’anima civile. La persona fra potere e memoria in Persona n. 1,
Artetetra edizioni, Capua . Persona e memoria. Oltre la maschera: il compito
del pensare come diritto alla filosofia, Rubbettino, Soveria Mannelli . Poesia
Polifonia d’un vento (Salerno-Roma 1986). Dentro il tempo del sole
(Salerno-Roma 1987). Ore d’acqua (Salerno-Roma 1988). Incontrando il possibile
re (Salerno-Roma 1988). Notte di fine millennio (Bari 2004). Fenicia, sogno di
una stella a nord-ovest (Roma 2008). L'angelo sulle città, in onore del figlio
(Roma ). Le ceneri di Pasolini (Pasturana [Alessandria] ). Aforismi Aforismi di
un impiccato felice (Salerno-Roma 1998). Aforismi del passato duemila:
distruzioni per l'uso (Salerno-Roma 1999). Ossi di limone. Aforismi di uno
scostumato (Vatolla 2006). Sierra Limone. Dai taccuini fenici di Er Limonèro
(Vatolla 2006). Note
//emmanuel-mounier.org/qui-est-emmanuel-mounier/biographie/ E. Mounier, Ecrits sur le personnalisme, Points
Essais, 2000, Préface de P. Ricoeur, Editions du Seuil. E. Mounier, Refaire la Renaissance, Points
Essais, 2000, Préface de G. Coq, Editions du Seuil. Copia archiviata, su esprit.presse.fr. 26
gennaio 27 gennaio ). Copia archiviata, su emmanuel-mounier.org. 26
gennaio 27 gennaio ). V. Melchiorre, Essere persona, Fondazione A.
e G. Boroli, Milano 2007, p.127, 130-132, 134-135. Copia archiviata, su
fondazionerobertofarina.com. 26 gennaio 27
gennaio ). Sito ufficiale.
Lodovici -- samek
lodovicione of the two. Emanuele Samek Lodovici
Nota disambigua.svg DisambiguazioneSe stai cercando il senatore italiano
della Democrazia Cristiana, vedi Emanuele Samek Lodovici (politico). Emanuele
Samek Lodovici (Messina, 28 dicembre 1942Milano, 5 maggio 1981) filosofo e
accademico italiano. Il suo pensiero d'impronta metafisica si oppone al
materialismo e al riduzionismo. Esperto della filosofia di Plotino,
Sant'Agostino e Marx, si è occupato dello gnosticismo che a suo parere si trova
ripresentato in diverse filosofie e ideologie dell'età moderna e
contemporanea. Nacque a Messina, figlio del bibliotecario e
bibliografo Sergio Samek Lodovici (1907-1979), nativo di Carrara, che lo chiamò
come suo fratello maggiore, noto medico e politico. Rimase in Sicilia per breve
tempo per poi vivere sempre a Milano. Emanuele Samek Lodovici scampò a soli
cinque anni alla tragedia di Albenga, quando dopo il naufragio di
un'imbarcazione carica di bambini era stato inserito nel gruppo delle piccole
salme, ma il tempestivo intervento di un medico lo salvò. Il fratello maggiore
Renato Samek Lodovici (1939) noto giudice. Di formazione e cultura
cattoliche, studiò a Milano all'Università Cattolica del Sacro Cuore, dove si
laureò nel 1966 con una tesi intitolata «Filosofia classica e spiritualità
cristiana nel Commento di Sant'Agostino al Vangelo di San Giovanni», molto
apprezzata dalla storica della filosofia Sofia Vanni Rovighi che ne fece
pubblicare un estratto. Vinta una borsa di studio del Consiglio Nazionale delle
Ricerche, lavorò dal 1971 presso il Dipartimento di Scienze Religiose
dell'Università Cattolica, e nel frattempo insegnava filosofia e storia nei
licei, fra i quali il liceo scientifico statale Alberto Einstein ed il liceo
Monforte. Dal 1974 iniziò la collaborazione con Vittorio Mathieu
all'Università degli Studi di Torino, tenendo la docenza dei seminari del suo
corso; coordinò per la casa editrice Rusconi la collana I Classici del
Pensiero, che editava testi filosofici etico-metafisici a quell'epoca quasi
introvabili. Nel 1975 nacque il primogenito Giacomo Samek Lodovici, che seguirà
le sue orme di filosofo cattolico e docente. Nel 1979, pubblicò due monografie,
una su Agostino (con il contributo del C.N.R.), e l'altra sulla gnosi moderna,
che nel 1981, dopo la nascità della figlia Isabella, futuro pubblico ministero,
gli valsero la cattedra di Filosofia morale all'Università degli Studi di
Trieste. Ma poco dopo morì a Milano, a 38 anni, per complicazioni
postoperatorie dopo un intervento chirurgico ortopedico dovuto a fratture
multiple riportate in un incidente stradale. Il venerdì santo 17 aprile si
stava recando in automobile sulla tomba del padre al cimitero di Abbiategrasso
col fratello (alla guida) e la madre, quando fermi al semaforo vennero
violentemente tamponati da un camion. Lui ebbe la peggio, fratturandosi un
femore e undici costole, mantenendo comunque lucidità e l'abituale
buonumore. Venne sepolto al Cimitero Maggiore di Milano dove, dopo
esumazione, i suoi testi riposano collocati in celletta. In una lettera
inviatagli poco prima della sua morte, Augusto Del Noce si riferiva così a
questo ancora giovane pensatore: «Carissimo Samek, [...] Lei ha ormai la
possibilità di diventare un vero maestro. Né minimamente esagero nel dirLe che
non ne vedo altri fra coloro che hanno oggi meno di quarant’anni»
(Augusto Del Noce, lettera del 24 gennaio 1981.) Pensiero Dio come
relazionalità e non oggettualità Nella prima delle sue due opere fondamentali,
Dio e mondo, Samek Lodovici inizia considerando la grave accusa rivolta da
Heidegger alla metafisica, ovvero di non aver compreso che cos'è l'«essere» e
di aver reificato Dio, di averlo cioè reso una «cosa». Per Samek Lodovici
questa critica può essere legittima nei confronti della metafisica moderna ma
non nei riguardi della metafisica neoplatonica nella forma in cui è stata
mediata da Agostino. Samek individua il fulcro di tale metafisica nella
dottrina della «partecipazione» delle idee col mondo, in forza della quale il
rapporto di Dio col mondo è una relazione sostanziale e non oggettualità.
Dalla gnosi il riduzionismo antireligioso, il prometeismo marxista, il
relativismo, il femminismo In Metamorfosi della gnosi Samek Lodovici delinea
una fenomenologia della cultura contemporanea come influenzata da una mentalità
inconsciamente gnostica. Tale mentalità, secondo Samek, ha assunto in sé le
fondamentali tesi dello gnosticismo antico, ovvero la sostanziale negatività
del mondo, la possibilità di redenzione dalla oscurità del mondo attraverso un
sapere salvifico (gnosi) e la possibilità di un redenzione del mondo
realizzata, senza bisogno della grazia divina, dalla sola azione dell'uomo
tramite la politica e/o la scienza. Così, in contrapposizione al
Cristianesimo, nel pensiero gnostico la finitezza e la creaturalità vengono
disprezzate e rifiutate, con l'ambizione di creare l'Uomo Nuovo e la
Gerusalemme terrena. Insomma, sintesi del pensiero gnostico moderno (in quello
antico le cose sono leggermente diverse) è quella formulazione che trova il
proprio culmine nel «rifiuto di non poter essere Dio»; in tal modo nella
visione gnostica non è più Dio, ma l'uomo gnostico a identificarsi con
l'infinito, sgravato com'è da qualsiasi limite. Da ciò appaiono evidenti
gli obiettivi polemici e critici di ogni metamorfosi dello gnosticismo moderno
rappresentato nelle forme del riduzionismo antireligioso, del
prometeismo marxista, della filosofia radical-relativista diffusa
attraverso i media, della corruzione della memoria storica attuata anche
attraverso la corruzione del linguaggio ed infine nella strategia della
distruzione della famiglia, che è stata potentemente colpita in particolare con
la rivoluzione sessuale e con alcuni tipi di femminismo. Per quanto
riguarda la sua pars construens, Samek Lodovici afferma (e ciò in linea con Del
Noce) che proprio a partire dalla post-marxistica crisi del pensiero
secolarista (gnostico) si deve delineare non solo la possibilità ma addirittura
la necessità di ritornare alla tradizione metafisica occidentale, da lui
indicata sulla linea di Platone, Plotino e soprattutto Agostino, ovviamente in
dialogo con il pensiero moderno. La funzione del linguaggio In sintonia
con l'ermeneutica contemporanea, e pur evitandone le derive nichilistiche,
Samek Lodovici riconosce la struttura storicamente condizionante del linguaggio
nei confronti dell'esistenza e della conoscenza, secondo una sua favorita
formula per cui «chi non ha le parole non ha le cose», e d'altra parte il
filosofo riconosce anche la funzione inversa del linguaggio per cui, oltre che
elemento condizionante, esso è anche il mezzo con cui l'uomo storico può
trascendere i vincoli della storia e del linguaggio stesso (i baconiani «idola
fori» e «idola theatri») ed esprimere le verità eterne. Il fallimento
della ragione illuministica Samek Lodovici spesso rievoca la valenza
dell'autocoscienza della ragione e delle sue vastissime potenzialità, sia in
bene che in male, e a partire da queste, ne ricorda i limiti, i fallimenti
storici e le costitutive incapacità che emergono specialmente nel momento in
cui essa viene elevata ad una illuministica idolatria, concretizzandosi nella
moderna vita di massa che, secondo Samek Lodovici, «ha affermato la
libertà politica da ogni autorità spirituale, finendo per favorire il potere
dell’uomo sull’uomo; […] ha affermato la libertà dell’amore dalla morale per
vanificarlo nel sesso; ha affermato di lottare contro ogni religione in quanto
superstizione, solo per prepararne una più esiziale, quella della scienza e del
successo.» Piuttosto, per Samek Lodovici, una ragione accorta deve,
restando autonoma, interagire con la religione, per corroborarla e
giustificarla razionalmente o per cercarvi le risposte prime ed ultime.
La "cultura del ricordo" Tipica poi del pensiero samekiano è la
«cultura del ricordo», intesa come cultura non di una memoria archeologica
bensì di una memoria che guardando ai fallimenti del passato possa liberare il
presente dalle menzogne ideologiche e dai progetti utopistici che, ripetendosi
nella storia, hanno generato i totalitarismi del XX secolo, e che oggi
producono la dittatura del relativismo e del nichilismo. Così la memoria assume
una funzione spirituale nel senso che, con le parole di Samek Lodovici, «mi
rende migliore di quello che sono». La felicità La riflessione di
Emanuele Samek Lodovici è dunque nel complesso di carattere etico-sapienzale,
consapevole che in ogni agire umano si esplica la ricerca della felicità, una
ricerca che, per essere efficace e compiuta, deve però essere immune da
qualsiasi utopismo onirico: è alla luce di questa precisazione che Samek può
affermare che «non vi è nessuna felicità senza virtù, in altre parole non vi è
nessuna felicità senza quell'unica attività che è in grado di rendere l'uomo
pienamente umano», perciò «non si può pretendere che l'acquisto della felicità
non passi attraverso lo sforzo, la lotta, e in ultima analisi la sofferenza»,
ed è in tal modo che trovano un senso il limite umano e la sofferenza. Non
sfugge al filosofo milanese la coscienza della precarietà della felicità umana,
però questa «ben lungi dallo spingerci alla tristezza per l'insaziabilità
dell'uomo, va tuttavia vista […] ottimisticamente, come l'indizio che è
un'altra la felicità conforme al livello spirituale degli esseri umani», perché
«ultima hominis felicitas non est in hac vita». Opere La presenza di
Plotino nel «In Johannis Evangelium» di Sant'Agostino, in Contributi dell'Istituto di filosofia, I,
Vita e Pensiero, 1969 Sull'interpretazione di alcuni testi della “Lettera ai
Galati” in Marcione e Tertulliano, in «Aevum», Milano 5-6 (1972), 371-401 Agostino, in Questioni di storiografia filosofica, La
Scuola, Brescia 1974, 445-501 Dieci anni
di studi sul processo di Gesù e su Gesù e gli zeloti, Vita e Pensiero, 1972
Marxismo o Cristianesimo, Ares, 1976 Sessualità, matrimonio e concupiscenza in
Sant'Agostino, in , Etica sessuale e matrimonio nel cristianesimo delle
origini, Pubblicazioni dell'Università Cattolica, 1976 Tra cosmologia e
metafisica. Note sul concetto di cosmo, in , Il demoniaco nella musica,
Giappichelli, 1976 La felicità e la crisi della cultura radical-illuministica,
in La crisi della coscienza politica
contemporanea e il pensiero personalista, Libreria Editrice Gregoniana El
modelo gnostico como modelo explicativo del feminismo, in Etica y teologia ante la crisis
contemporanea, Atti del I Simposio Internacional de Teología, Universidad de
Navarra, Eunsa, Pamplona 1979, 419-428
Dio e mondo. Relazione, causa e spazio in Sant'Agostino, Edizioni Studium, 1979
Metamorfosi della gnosi. Quadri della dissoluzione contemporanea, Ares, 1979
Dominio dell'istante, dominio della morte. Alla ricerca di uno schema gnostico,
in «Archivio di Filosofia», Istituto di studi filosofici, Roma 1981, 469-480 La gnosi e la genesi delle forme, in
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Il gusto del sapere, Universitas, 1993 L'arte di non disperare. Una conferenza
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DBBI20. Samek Lodovici, Sergio, su aib.it. 7 gennaio .
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E. Samek Lodovici non è più con noiPer Emanuele. Lettera privata di Augusto del Noce
(scansione PDF) Metamorfosi della gnosi Il gusto del sapere Estratti di L'arte di non disperare Marina Picker, Il mio professore di filosofia,
Studi Cattolici, 1993. Grazia Maria Alabiso, Emanuele Samek Lodovici e la
critica dell'attacco macrostrutturale al cristianesimo, tesi di laurea,
Università degli Studi di Catania, Catania 1996. Giacomo Samek Lodovici,
Profili. Emanuele Samek Lodovici, Studi Cattolici, 2001. Andrea Sciffo, Le
maschere della gnosi contemporanea. Un ritratto del filosofo morto
prematuramente nel 1981, in «Avvenire», 28.5.199616. Gaspare Barbiellini
Amidei, Il filosofo che insegnò l'arte della speranza. Ricordo di Samek
Lodovici, in «Corriere della Sera»,
28.06.200137,//archiviostorico.corriere.it/2001/giugno/28/filosofo_che_insegno_arte_della_co_0_01062810775.shtml
Giuseppe Feyles, La battaglia di Samek, in «Tempi», 28
(2001)20,//tempi.it/la-battaglia-di-samek#.VSU3yPDUfyQ Sergio Fumagalli,
Emanuele Samek Lodovici e Augusto Del Noce: Gnosi e secolarizzazione, tesi di
dottorato, Pontificia Università della Santa Croce, Roma
2005,//sergiofumagalli.it/files/tesi.pdf Gianluca Taddeo, Verità e diritto nel
pensiero di Emanuele Samek Lodovici, tesi di laurea, Università degli Studi di
Trento, Trento 2008. Gianluca Segre, Emanuele Samek Lodovici, una vita per la
Verità, «la Bussola Quotidiana»,
5.5.,//lanuovabussolaquotidiana.com/it/archivioStoricoArticolo-emanuele-samek-lodoviciuna-vita-per-la-verit-1770.htm[collegamento
interrotto] Andrea Galli, Samek Lodovici e il ritorno della gnosi, in
«Avvenire», 5.5.. Gabriele De Anna , L'origine e la meta. Studi in memoria di
Emanuele Samek Lodovici con un suo inedito, Ares, Milano . Gnosticismo Cattolicesimo Augusto Del Noce
Eric Voegelin Vittorio Mathieu Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio
su Emanuele Samek Lodovici Sito
ufficiale, su emanuelesameklodovici.it.
Emanuele Samek Lodovici, su Santi, beati e testimoni, santiebeati.it. Estratto da Il gusto del sapere di Emanuele
Samek Lodovici da Universitas 14 (1993), n. 4,
18-22. Documentazione interdisciplinare di scienza e fede, sito
"disf.org". Gnosi moderna e secolarizzazione nell'analisi di Emanuele
Samek Lodovici e Augusto Del Noce di Sergio Fumagalli, Pontificia Università
della Santa Croce, facoltà di Filosofia, Roma, 2005. Samek Lodovici: la gnosi
come vero avversario della verità di Silvio Restelli, sito
"CulturaCattolica.
LodoviciGiacomo samek
lodovicianother philosopher.
Lombardi: Franco Lombardi
(Napoli), filosofo. Il padre Giovanni fu avvocato e docente di diritto e
procedura penale nell'Napoli, già allievo prediletto di Giovanni Bovio,
deputato prima e dopo il fascismo, autore di scritti vari di sociologia. La
madre Rosa Pignatari fu nipote di Ettore Ciccotti, nella cui casa era
cresciuta; tradusse in gioventù alcuni degli scritti di Karl Marx nelle Opere
edite dal Ciccotti. In tarda età Rosa Lombardi traduceva ancora, nel '46, la
Storia del movimento operaio di Edouard Dolleans. Laureato in Legge nel 1928, libero docente in
filosofia morale nel 1933, lavorava in filosofia da più di dieci anni quando
pubblicò il primo volume maggiore a stampa (Il mondo degli uomini, 1935). Dal
1943 fu professore di Storia della filosofia nell'Roma (facoltà di Magistero).
Dal 1956 fu Professore di Filosofia morale nella stessa università (facoltà di
Lettere e filosofia). Ivi diresse l'Istituto di filosofia dal 1958 al 1970 e
dal 1968 fu preside della facoltà. Già
presidente della Società Filosofica Italiana e (sin dalla fondazione) della
Società filosofica romana, diresse il "Centro di Ricerca per le Scienze
Morali e Sociali" presso l'Istituto di filosofia della Roma. Dal 1962 è
stato direttore della rivista De Homine cui si è affiancato, a partire dal
1968, il Bollettino Bibliografico per le Scienze morali e sociali. Dal 1966 è
entrato a far parte dell'Accademia nazionale dei Lincei e dal 1970
dell'Institut International de Philosophie.
Antifascista da sempre, partecipò alla lotta clandestina e prese parte
attivamente alla vita politica fino alla scissione del Partito Socialista
Italiano nel 1946. Ha viaggiato per studi e conferenze in quasi tutto il mondo
e insegnato in culture e lingue diverse. Nel 1963 gli fu conferito il premio
nazionale "Benedetto Croce" per la filosofia e nel 1970 il premio
nazionale del Presidente della Repubblica per le scienze morali, storiche e
filologiche, dall'Accademia dei Lincei e la Laurea honoris causa della
Marburgo. Opere Il mondo degli uomini, Firenze:
Le Monnier, 1935, (1 ed.), Volume I:L'esperienza e l'uomo. Fondamenti di una
filosofia umanistica, Volume II:Il mondo degli uomini; Il mondo degli
uomini,Firenze: G.C.Sansoni Editore, 1967 (2 ed.), Volume I: L'esperienza e
l'uomo, Volume II:Il mondo morale; Ludovico Feuerbach, Firenze: La Nuova
Italia, 1935,(1 ed.) Feuerbach e Marx, 2 ed. riveduta e accresciuta Soren
Kierkegaard, Firenze: La Nuova Italia, 1936, ) 1 ed.) Soren Kierkegaard,
Firenze: Sansoni, 1967 (2 ed.) La libertà del volere e l'individuo, Milano:
Fratelli Bocca, 1941 La filosofia critica, Roma: Tumminelli, 1944, (1 ed.),
Volume I:La formazione del problema kantiano, Volume II:Commento alla Critica
della ragion pura Kant vivo, Firenze: Sansoni, 1968 (2 ed.) Senso della
pedagogia, Roma: Armando Armando, 1963 (2 ed.); Firenze: Sansoni, 1971 (3 ed.)
Nascita del mondo moderno, Firenze: Sansoni, 1967 (2 ed) Concetto e problemi di
Storia della filosofia, Asti: Arethusa, 1956 (2 ed.); Firenze: Sansoni, 1970 (3
ed.) Le origini della filosofia europea nel mondo greco, Asti: Arethusa, 1954
Il concetto della libertà, Asti, Arethusa, 1955; Firenze: Sansoni, 1966 (3 ed.)
Dopo lo Storicismo, (2 ed.) Firenze: Sansoni, 1970 Ricostruzione filosofica,
Asti: Arethusa, 1956 La filosofia italiana negli ultimi 100 anni , Asti:
Arethusa, 1956 Il piano del nostro sapere, Asti: Arethusa, 1958; Firenze:
Sansoni, 1970 (2 ed.) La posizione dell'uomo nell'universo, Firenze: Sansoni,
1963 Problemi della libertà, Firenze: Sansoni, 1966 Filosofia e civiltà di
Europa, cinque tesi per una ricostruzione. Introduzione e Parte Prima, Firenze:
Sansoni, 1972 Saggi Manoscritti inediti Scritti vari di filosofia 1932-1943
Sinn und Bedeutung der Italien. Philosophie der Gegenwart Scritti politici
Filosofia e Società , Firenze: Sansoni, 1967 Filosofia e Società I e II,
Firenze: Sansoni, 1975 (2 ed.) Il senso della storia e altri saggi, Firenze:
Sansoni, 1965 Aforismi inattuali sull'arte, Firenze: Sansoni, 1965 Galilei,
Calvino, Rousseau: tre antesignani del tempo moderno, Firenze: Sansoni, 1968
Altri scritti Scritti per l'università, Firenze: Sansoni, 1974 Continuità e
Rottura, Firenze: Sansoni, 1975 Una svolta di civiltà, n.d.: ERI, 1981 Gaetano
Calabrò, Franco Lombardi, Torino: Edizioni di Filosofia, 1961 Atti del
Congresso internazionale di Filosofia, Milano: Castellani & C Editori,
1947, Volumew I:Il materialismo storico Atti del XVI Congresso internazionale
di Filosofia; Roma: Fratelli Bocca, 1953, Il problema della filosofia oggi
Varie Taccuini di viaggio Dodici canzoni napoletane, su versi di Salvatore Di
Giacomo, Firenze: Forlivesi, 1940
Franco Lombardi, Torino: Edizioni di Filosofia, 1961 European Philosophy Today: Zubiri, Heidegger,
Lombardi, Sartre, Kolakowski, Chicago: Quadrangle, 1965 «Lombardi, Franco», la voce in Enciclopedie
on line, sito "Treccani.it L'Enciclopedia italiana". La filosofia di
Franco Lombardi. Un contributo significativo per la costruzione della filosofia
italiana contemporanea di Francesca Ghione, 13 giugno 2006, Accademia dei
Lincei, in Biblioteca di Filosofi, SapienzaRoma. Franco Lombardi: Opere, saggi,
biografia in Biblio Media, su bibliomedia.it.
LombardiaGrice: “It is strange
that he was called Piero da Lombardia; it would be like ‘a lad from
shropshire.’ ‘Lombardia,’ unlike Ockham, ain’t a townbut a full regionIt’s
different with ‘veneto,’ which is toponymic and metonymic for Venice. But if
Milano was the main ever settlement in Lombardia this would be “Peter, the one
from Milan.”
Lombardo
Longano: Francesco Longano
(Ripalimosani), filosofo. Figlio di Vito Longano e Dorotea Gentile, fu allievo
di Zurlo, si trasferì a Campobasso dove
nel 1751 fu ordinato sacerdote e quindi a Napoli l’anno seguente, dove riprese
gli studi e divenne allievo dell'abate Antonio Genovesi. Trasferitosi poi a
Cerreto Sannita per qualche tempo, insegnando al locale seminario, quindi tornò
a Napoli dove sostituì come insegnante Genovesi. Fece parte della massoneria ed è considerato
un importante esponente dell'illuminismo italiano, fu sostenitore dello stretto
rapporto tra anima e corpo e di una visione dell'uomo nella sua interezza. Propugnò la rinascita dell'Italia
meridionale, proponendo un piano di riforme e il superamento del
feudalesimo. Opere Piano di un corpo di filosofia morale, o
sia Estratto d'un corso di Etica, di economia e dipolitica, composto dall'abate
Francesco Longano, lettore straordinario in dritto naturale nella regia Napoli,
Napoli, 1764. Dell'Uomo Naturale. Trattato dell'abate Francesco Longano,
Napoli, Giuseppe Raimondi,1767 .Saggio politico sul commercio tradotto dal
francese colle annotazioni dell'ab. Longano, Napoli, presso Vincenzo Flauto,
1778 .Raccolta di Saggi economici per gli abitanti delle due Sicilie,
Napoli, I, presso Domenico Sangiacomo, II, presso Giuseppe Campo, 1779 Dell'uomo e
della sua morale naturale Volume 1, Esame fisico, e morale dell'uomo, Napoli,
Michele Morelli, 1783 Dell'uomo, e sua morale naturale Volume 2, Della morale
naturale, Napoli, Michele Morelli, 1783 Dell'uomo Religioso e cristiano, I, Dell'uomo religioso, Napoli, 1786, Michele
Morelli Logica, o sia arte del ben pensare Viaggio per lo contado di Molise
nell'ottobre 1786 ovvero descrizione fisica, economica e politica del medesimo,
Napoli, 1788 Viaggio dell'abate Longano per la Capitanata, Napoli, Domenico Sangiacomo,
1790 Il Purgatorio ragionato, Francesco Lepore, postfazione di Sebastiano
Martelli, Campobasso, Palladino,
Philosophiae rationalis elementa
I, De arte logica, Neapoli, 1791;
II, De Scientia metaphysica, Neapoli, 1791, apud Vincentium Orsino; III, DeJure humanae, Neapoli, 1791. Note Biblioteca provinciale di FoggiaL'anno di
Genovesi , su bibliotecaprovinciale.foggia.it.
Gaetano, IL PENSIERO FILOSOFICO DI FRANCESCO LONGANO, su
webcache.googleusercontent.com. 5 dicembre .
Anna Maria Rao, L'amaro della feudalità: la devoluzione di Arnone e la
questione feudale a Napoli alla fine del '700, Guida Editori, 1984, 9788870422658. 5 dicembre . Francesco Rizzo, Francesco Longano e la
civiltà del Purgatorio: riformismo e anticlericalismo nella provincia molisana
del XVIII secolo, 9788862747028 Altri
progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Francesco Longano Stefano Borgna, Francesco Longano su
delpt.unina.it Antonio Trampus, Francesco Longano, in Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
longinus: Grecian
literary critic, author of a treatise “Peri hypsous.” The work is ascribed to
“Dionysius or Longinus” in the manuscript and is now tentatively dated to the
end of the first century A.D. The author argues for five sources of sublimity
in literature: (a) grandeur of thought and (b) deep emotion, both products of
the writer’s “nature”; (c) figures of speech, (d) nobility and originality in
word use, and (e) rhythm and euphony in diction, products of technical artistry.
The passage on emotion is missing from the text. The treatise, with
Aristotelian but enthusiastic spirit, throws light on the emotional effect of
many great passages of Greek literature; noteworthy are its comments on Homer
(ch. 9). Its nostalgic plea for an almost romantic independence and greatness
of character and imagination in the poet and orator in an age of dictatorial
government and somnolent peace is unique and memorable.
Losano: Mario
Giuseppe Losano (Casale Monferrato), filosofo. Si occupa di filosofia del
diritto e informatica giuridica. Laureato in giurisprudenza presso l'Università
degli Studi di Torino nel 1961-62 e libero docente di filosofia del diritto nel
1971, insegnò teoria generale del diritto presso la Facoltà di Scienze Politiche
dell'Università degli Studi di Milano dal 1969 al 2004. Dal 2002 al 2007 è
stato Professore di Introduzione all'Informatica Giuridica e di Filosofia del
Diritto presso le Facoltà di Giurisprudenza e di Scienze Matematiche e Fisiche
e presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche ed Economiche dell'Università
del Piemonte Orientale "Amedeo Avogadro", sede di Alessandria. Dal
2007 è stato Professore di Filosofia del Diritto presso la Facoltà di
Giurisprudenza della stessa università, dove ha anche insegnato Introduzione
all'Informatica Giuridica. Dal 2009 è professore emerito di Filosofia del
Diritto e Informatica Giuridica presso la stessa università. È professore nella
Scuola di Dottorato in Diritti e Istituzioni dell'Università degli Studi di
Torino e, inoltre, nel Corso di perfezionamento del Dipartimento di Scienze
Umane per la Formazione, Milano Bicocca. È stato professore visitante, in
Brasile, presso la Universidade do Estado de Minas Gerais, Belo Horizonte, e
"professor visitante permanente" presso la Universidade Federal da
Paraíba, João Pessoa, Brasile. È socio corrispondente dell'Accademia delle
Scienze di Torino e, in Brasile, della Academia Pernambucana de Letras, Recife,
e della Academia Sergipana de Letras, Aracaju. Assoziierter Wissenschaftler
am Max-Planck-Institut für Europäische Rechtsgeschichte, Frankfurt am Main [in
italiano?]. Si occupa di storia della filosofia del diritto; teoria
generale del diritto; circolazione mondiale delle idee giuridiche e sociali;
filosofia politica; diritti umani; geopolitica; informatica giuridica; privacy;
e-publishing; edizioni di archivi storici. Ha pubblicato in tre volumi un
completo panorama sull'evoluzione della nozione di sistema nel diritto dalle
origini ai giorni nostri. Ha curato i tre volumi dei carteggi inediti di Rudolf
von Jhering con vari giuristi tedeschi e austriaci, nonché le traduzioni
italiane di importanti opere di Rudolf von Jhering e di Hans Kelsen. In tedesco
ha curato l'edizione critica delle corrispondenze dal Giappone di Hermann Roesler.
In francese ha pubblicato l'inedito corso di filosofia del diritto tenuto a
Tokyo nel 1889 da Alessandro Paternostro. Come informatico giuridico, ha
pubblicato il primo manuale italiano di informatica giuridica e diritto
informatico in tre volumi e un progetto di legge sulla tutela della privacy;
presso l'Università degli Studi di Milano è stato presidente del "Centro
di calcolo automatico" (1982-1985 e 1985-1988); nel 2001 ha fondato il
corso triennale di laurea in informatica giuridica presso l'Università del
Piemonte Orientale, primo corso interfacoltà di questo genere in Italia, poiché
è inserito tanto nella Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali,
quanto nella Facoltà di Giurisprudenza. Come brasilianista, ha studiato il
filosofo Tobias Barreto e il maggior movimento sociale del Sud America, il
"Movimento Sem-Terra" (MST). Nel 1973 ha tenuto presso la Facoltà di
Giurisprudenza dell'São Paulo il primo corso brasiliano di informatica
giuridica. Ha finora pubblicato oltre 50 volumi e 500 saggi originali. Suoi
libri e saggi sono tradotti in 12 lingue. Prima di optare per il tempo
pieno all'università, è stato per anni consulente editoriale della Giulio
Einaudi Editore di Torino, poi del gruppo editoriale Elemond (Electa-Mondadori
di Milano), nonché consulente scientifico per l'informatica dell'amministratore
delegato della Siemens Data S.p.A. di Milano (in seguito Unidata e poi Siemens
Nixdorf). Riconoscimenti Nel 1971 gli è stato conferito il Prix
International des Hautes Synthèses, Nice (Francia). Nel 1971 gli è stato
conferito il Premio Honeywell per il giornalismo scientifico, Milano. Nel 1995
la fondazione tedesca Alexander von Humboldt gli ha conferito il premio per la
ricerca Alexander von Humboldt-Forschungspreis. Nel 2002 il Governo brasiliano
lo ha nominato Comendador da Ordem Nacional do Cruzeiro do Sul per meriti
culturali. Nel 2004 ha ricevuto il titolo di Dottore honoris causa dalla
Facoltà di Giurisprudenza dell'Hannover. Nel 2008 ha ricevuto il titolo di
Dottore honoris causa dell'Universidad de la República di Montevideo. Nel 2009
ha ricevuto il titolo di Dottore honoris causa dalla Facoltà di Giurisprudenza
dell'Universidad Carlos III, Madrid. Nel
il Governo austriaco gli ha conferito la Oesterreichisches Ehrenkreuz
für Wissenschaft und Kunst I. Klasse. Nel
ha ricevuto il titolo di Professor honoris causa dalla Universidade
Federal de Pernambuco (UFPE), Recife, Brasile. Nel è nominato Socio Onorario e Paul Harris
Fellow dal Rotary Club, Distretto 2032 di Casale Monferrato, Italia. Nel ha ricevuto la Medaglia d'oro dell'Ordine
degli Avvocati, Milano, Italia. Nel ha
ricevuto il titolo di Professor honoris causa dalla Universidade Federal da
Paraíba (UFPB), João Pessoa, Brasile. Opere principali Hans Kelsen, La dottrina
pura del diritto. Saggio introduttivo e traduzione di Mario G. Losano, Einaudi,
Torino 1966, CIII-418 (Nuova Biblioteca
Scientifica Einaudi). Hans Kelsen, La dottrina pura del diritto. Mario G.
Losano, Einaudi, Torino 1990, LXXXVII-425
(Nuova Universale Einaudi). La teoria di Marx ed Engels sul diritto e
sullo stato. Materiali per il seminario di filosofia del diritto, Università
Statale di Milano. Anno Accademico 1968-69, Cooperativa Libraria Università
Torinese, Torino 1969, V-188
Giuscibernetica. Macchine e modelli cibernetici nel diritto, Einaudi,
Torino 1969, 205 Libia 1970. Materiali
sui rapporti fra ideologia ed economia nel terzo mondo. Corso di filosofia
politica, Milano. Anno Accademico 1969-70, Cooperativa Libraria Università
Torinese, Torino 1970, II-159 Libia
1970. Materiali sui rapporti fra ideologia ed economia nel terzo
mondo.//daten.digitale-sammlungen.de/db/0010/bsb00105522/images/ . Rudolf von
Jhering, Lo scopo nel diritto. Mario G. Losano, Einaudi, Torino 1972,
CIII-419 Rudolf von Jhering, Lo scopo
nel diritto. Introduzione e cura di Mario G. Losano, Nino Aragno Editore,
Torino , 407 978-88-8419-674-3 Corso di
informatica giuridica, Cooperativa Universitaria Editrice Milanese, Milano
1971, VI-325 [Trad. in port.:
Informática jurídica, São Paulo 1976, XVI-255 ] Corso di informatica giuridica.
Seconda edizione ampliata: IL'elaborazione dei dati non numerici, Unicopli,
Milano 1981, XXIII-316 IIIl diritto
dell'informatica, Unicopli, Milano 1981,
XXV-(317-)543 Corso di
informatica giuridica. Terza edizione: IL'elaborazione dei dati non numerici,
Unicopli, Milano 1984, XXXI-317 [Trad.
spagn.: Curso de informática jurídica, Madrid 1984, 262 ] IIIl diritto
dell'informatica, Unicopli, Milano 1984, XXXI– [317-543] + 16 (seconda edizione, 1981) Lições de
informática jurídica, Editora Resenha Tributaria, São Paulo 1974, XVI-237 [ed. ital.: Lezioni pauliste di informatica
giuridica, Torino 1974, VII-205 ] Stato e automazione. L'esempio giapponese,
Etas Kompass, Milano 1974, 245 Babbage:
la macchina analitica. Un secolo di calcolo automatico, Etas Kompass, Milano
1974, IX-191 Scheutz: La macchina alle
differenze. Un secolo di calcolo automatico, Etas Libri, Milano 1974, 164 Machines arithmétiques. Invenzioni francesi
del Settecento. Testi originali con 15 tavole dell'epoca, Bottega d'Erasmo,
Torino 1976, VIII-117 I grandi sistemi
giuridici. Introduzione ai diritti europei ed extraeuropei, Einaudi, Torino
1978, XXIII-361 [trad. port.: Os grandes
sistemas jurídicos, Lisboa 1979, 307 ; trad. spagn.: Los grandes sistemas
jurídicos, Madrid 1981, 405 ] I grandi sistemi giuridici. Introduzione ai
diritti europei ed extraeuropei, Einaudi, Torino 1988, XXIX-370 (seconda edizione ampliata). I grandi sistemi
giuridici. Introduzione ai diritti europei ed extraeuropei, Laterza, RomaBari
2000, XIX-550 (terza edizione ampliata)
[Trad. romena: Marile sisteme juridice. Introducere în dreptul european şi
extraeuropean, Bucureşti 2005, 640
[trad. in port.: Os grandes sistemas jurídicos. Introdução aos sistemas
jurídicos europeus e extra-europeus. Tradução di Marcela Varejão, Martins
Fontes, São Paulo 2007, LVII-677 ] L'informatica legislativa regionale.
L'esperimento del Consiglio Regionale della Lombardia, Rosenberg & Sellier,
Torino 1979, 144 Forma e realtà in
Kelsen, Comunità, Milano 1981, 229
(Trad. in spagn.: Teoría pura del derecho. Evolución y puntos cruciales,
Bogotá 1992, XVI-267 ) Introducción a la informática jurídica, Universidad de
Palma de Mallorca, Palma 1982, 107
Automi arabi del XIII secolo. Dal "Libro sulla conoscenza degli
ingegnosi meccanismi", Luigi Maestri Editore, Milano 1982, 94 (con 12 tavole a colori); ristampato con il
titolo: Automi d'Oriente. "Ingegnosi meccanismi" arabi del XIII
secolo, Milano 2003, 127 Il diritto
economico giapponese. Seconda edizione ampliata con un'appendice sul diritto
coreano, Unicopli, Milano 1984, 138
(prima edizione: 1982) Der Briefwechsel zwischen Jhering und Gerber,
Münchener Universitätsschriften. Juristische Fakultät. Abhandlungen zur
rechtswissenschaftlichen Grundlagenforschung, Band 55/1, Teil 1, Verlag Rolf
Gremer, Ebelsbach 1984, XXII-693 Studien
zu Jhering und Gerber, Münchener Universitätsschriften. Juristische Fakultät.
Abhandlungen zur rechtswissenschaftlichen Grundlagenforschung, Band 55/2, Teil
2, Verlag Rolf Gremer, Ebelsbach 1984, XXIII-432 L'ammodernamento giuridico della Turchia
(1839-1926), Unicopli, Milano 1980, 150
L'ammodernamento giuridico della Turchia (1839-1926), Unicopli, Milano
1985, 155 (Seconda edizione, ristampata
anche nel 1990; prima edizione: 1980) Hermann Roesler, Berichte aus Japan
(1879-1880), Herausgegeben von Mario G. Losano, Unicopli, Milano 1984,
XXVII-398 Hermann Roesler, Berichte aus
Japan (1879-1880),//daten.digitale-sammlungen.de/db/0010/bsb00106246/images/ Corso
di informatica giuridica: IInformatica per le scienze sociali, Einaudi, Torino
1985, XXI-547 IIIl diritto privato
dell'informatica, Einaudi, Torino 1986, XVIII-298 IIIIl diritto pubblico dell'informatica,
Einaudi, Torino 1986, IV-348 Scritto con
la luce. Il disco compatto e la nuova editoria elettronica, Unicopli, Milano
1988, 128 Libertad informática y leyes
de protección de datos personales, Centro de Estudios Constitucionales, Madrid
1989, 213 L'informatica e l'analisi
delle procedure giuridiche, Unicopli, Milano 1989, 388 (prima edizione: 1984) (Trad. spagn.: La
informática y el análisis de los procedimientos jurídicos, Madrid 1991, 222 )
Diritto e CD-ROM. Esperienze italiane e tedesche a confronto. Mario G. Losano e
Lothar Philipps, Giuffrè, Milano 1990, VIII-117
Storie di automi. Dalla Grecia classica alla Belle Époque, Einaudi,
Torino 1990, XXVIII-154 (Trad. in port.:
Histórias de autômatos. Da Grécia Antiga à Belle Époque, São Paulo 1992, 147 )
Saggio sui fondamenti tecnologici della democrazia, Quaderni della
Fondazione Adriano Olivetti, 1991, 82
Disponibile on line a questo
indirizzo//fondazioneadrianolivetti.it/pubblicazioni.php?id_pubblicazioni=124
Informatika juridike. Përkthimi dhe parathënia nga Gjergj Sinani, Istituto per
la Documentazione Giuridica, Firenze 1994, 129
(Raccolta di saggi sull'informatica giuridica, già pubblicati in
italiano e qui tradotti in albanese). Sonne in der Tasche. Italienische Politik
seit 1992. Aus dem Italienischen von Moshe Kahn, Antje Kunstmann Verlag,
München 1995, 230 Der Briefwechsel
Jherings mit Unger und Glaser, Münchener Universitätsschriften. Juristische
Fakultät. Abhandlungen zur rechtswissenschaftlichen Grundlagenforschung, Band
78, Aktiv Verlag, Ebelsbach 1996, XIII-337
Renato Treves, sociologo tra il Vecchio e il Nuovo Mondo. Con il regesto
di un archivio ignoto e la di Renato
Treves, Unicopli, Milano 1998, VIII-210
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São Paulo 2002, XV-209 ; trad. spagn.: Hans KelsenUmberto Campagnolo, Derecho
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Alle origini della filosofia del diritto in Giappone. Il corso di Alessandro
Paternostro a Tokyo nel 1889. In appendice: A. Paternostro, Cours de
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9788894206401] Il portoghese Wenceslau de Moraes e il Giappone ottocentesco.
Con 25 sue corrispondenze nelle epoche Meiji e Taisho (1902-1913), Lexis,
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978-88-942064-6-3; digitale 9788894206449]
Lo spagnolo Enrique Dupuy e il Giappone ottocentesco. In appendice: Enrique
Dupuy, La transformación del Japón en la era Meiji, 1867-1894, Lexis, Torino ,
XXIII-407 [ 9788894206456 digitale
9788894206449] El valenciano Enrique Dupuy y el Japón del siglo XIX. En
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313 La Rete e lo Stato Islamico.
Internet e i diritti delle donne nel fondamentalismo islamico, Mimesis, Milano
, 169 978-88-575-3873-0 Norberto
Bobbio. Una biografia culturale, Carocci, Roma , 510 978-88-430-9269-7 Hans Kelsen, Due saggi
sulla democrazia in difficoltà (1920-1925). Mario G. Losano, Aragno, Torino ,
XXII-134 9-788884-198914 La libertà
d’insegnamento in Brasile e l’elezione del Presidente Bolsonaro, Mimesis, Milano
, 221 9788857556147 Sito di Mario G. Losano (con completa).
losurdo: losurdo, Italian
philosopher, expert not on Grice, but Nietzsche, “Nietzsche, ribelle
aristocratico” -- essential Italian philosopher.
Domenico Losurdo (Sannicandro di Bari, 14
novembre 1941Ancona, 28 giugno ) filosofo, saggista e storico italiano. Losurdo
si laureò nel 1963 all'Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo"
sotto la guida di Pasquale Salvucci con una tesi su Johann Karl Rodbertus.
Direttore dell'Istituto di Scienze filosofiche e pedagogiche "Pasquale
Salvucci" all'Urbino, insegnò storia della filosofia nella stessa
università presso la facoltà di Scienze della Formazione. Inoltre fu presidente
dell'hegeliana Società internazionale Hegel-Marx per il pensiero dialettico
(dal 1988), membro della Società di scienze di Leibniz a Berlino
(un'associazione di scienziati che si rifà alla settecentesca Accademia Reale
Prussiana delle Scienze nella tradizione di Gottfried Wilhelm Leibniz) e
direttore dell'associazione politico-culturale Marx XXI sino alla sua morte,
sopraggiunta il 28 giugno all'età di
settantasei anni per un cancro alla gola. Dalla militanza comunista alla
condanna dell'imperialismo statunitense, fino allo studio della questione
afroamericana e di quella dei nativi, Losurdo fu studioso anche partecipe della
politica nazionale e internazionale. Pensiero e opera Di
formazione marxista, descritto sia come un «marxista controcorrente» sia come
un «marxista eterodosso» e un «comunista militante», la sua produzione spazia
dai contributi allo studio della filosofia kantiana (la cosiddetta autocensura
di Immanuel Kant e il suo nicodemismo politico), alla rivalutazione
dell'idealismo classico tedesco, specie di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, nel
tentativo di riproporne l'eredità (sulla scia di György Lukács in particolare),
alla riaffermazione dell'interpretazione del marxismo tedesco e non (Antonio
Gramsci e i fratelli Bertrando e Silvio Spaventa), con incursioni nell'ambito
del pensiero nietzscheano (la lettura di un Friedrich Nietzsche radicale
aristocratico) e di quello heideggeriano (in particolare la questione
dell'adesione al nazismo di Martin Heidegger). La sua riflessione
filosofico-politica, attenta alla contestualizzazione del pensiero filosofico
nel proprio tempo storico, muove in particolare dai temi della critica radicale
del liberalismo, del capitalismo, del colonialismo e dell'imperialismo, nonché
della concezione tradizionale del totalitarismo (Hannah Arendt), nella
prospettiva di una difesa della dialettica marxista e del materialismo storico,
dedicandosi anche allo studio dell'antirevisionismo in ambito
marxista-leninista. Losurdo ha una visione molto critica della tradizione
intellettuale europea del liberalismo, in particolare della tradizione classica
e delle sue origini, sostenendo che pur pretendendo di enfatizzare l'importanza
della libertà individuale in pratica il liberalismo reale è a lungo
contrassegnato dalla sua esclusione di persone da questi diritti, con
conseguente sfruttamento come razzismo, schiavitù e genocidio. Losurdo afferma
che le origini del nazismo si trovano in quelle che considera politiche
colonialiste e imperialiste del mondo occidentale. Esaminando le posizioni
intellettuali e politiche degli intellettuali sulla modernità, Kant e Hegel
furono i più grandi pensatori della modernità mentre Nietzsche fu il suo più
grande critico. I suoi lavori, che lui stesso fa rientrare nell'ambito
della storia delle idee, riguardano inoltre l'indagine delle questioni di
storia e politica contemporanee, con una attenzione critica costante al
revisionismo storico e la polemica contro le interpretazioni di François Furet
e Ernst Nolte. In particolare critica una tendenza reazionaria tra gli storici
contemporanei revisionisti riconoscibile nel lavoro di autori come Nolte, che
traccia l'impeto dietro l'Olocausto agli eccessi della rivoluzione russa; o
Furet, che collega le purghe staliniane a una «malattia» originata dalla
rivoluzione francese. Secondo Losurdo l'intenzione di questi revisionisti è di
sradicare la tradizione rivoluzionaria in quanto le loro vere motivazioni hanno
poco a che fare con la ricerca di una maggiore comprensione del passato, ma si
trovano nel clima e nei bisogni ideologici delle classi politiche, come è più
evidente nel lavoro dei revivalisti imperiali anglofoni Paul Johnson e Niall
Ferguson. Fornisce inoltre una nuova prospettiva su rivoluzioni come quella
inglese, americana, francese, russa e quelle contro il colonialismo e
l'imperialismo. Si discosta anche dalle posizioni elogiative che la maggior
parte delle biografie prende nell'analisi di Mahatma Gandhi e la
nonviolenza. Losurdo volge la sua attenzione alla storia politica della
filosofia moderna tedesca da Kant a Karl Marx e del dibattito che su di essa si
sviluppa in Germania nella seconda metà dell'Ottocento e nel Novecento, per poi
procedere a una rilettura della tradizione del liberalismo, in particolare
partendo dalla critica e dalle accuse di ipocrisia rivolte a John Locke per la
sua partecipazione finanziaria alla tratta degli schiavi. Riprendendo ciò che
afferma Arendt nel 1951 in Le origini del totalitarismo, per Losurdo il vero
peccato originale del Novecento è nell'impero coloniale di fine Ottocento, dove
per la prima volta si manifesta il totalitarismo e l'universo
concentrazionario. Controversia degli storici Losurdo critica il concetto
di totalitarismo, sostenendo che fosse un concetto polisemico con origini nella
teologia cristiana e che applicarlo alla sfera politica richiedeva
un'operazione di schematismo astratto che utilizza elementi isolati della
realtà storica per collocare la Germania nazista e altri regimi fascisti e
l'Unione Sovietica e l'esperienza del socialismo reale e di altri Stati
socialisti nello stesso insieme, servendo così l'anticomunismo degli
intellettuali della guerra fredda piuttosto che riflettere la ricerca
intellettuale. Forte critico dell'equiparazione tra nazismo e comunismo
(in particolare quello sovietico) fatta da studiosi come François Furet e Ernst
Nolte,[25][26] ma anche da Hannah Arendt e Karl Popper,[27] nonché del concetto
di «olocausto rosso»,[25] il suo Stalin. Storia e critica di una leggenda nera,
libro pubblicato per la prima volta nel 2008, sollevò un dibattito sulla figura
di Iosif Stalin, sul quale a suo avviso peserebbe una sorta di leggenda nera
costruita per screditare tutto il comunismo. Porta l'esempio che nel lager vi
era volontà omicida esplicita in quanto l'ebreo che vi entrava era destinato a
non uscire più (vi è una despecificazione naturalistica) mentre nel gulag no
(si tratta di despecificazione politico-morale) e nel primo venivano rinchiusi
quelli che il nazismo chiamava Untermensch («sottouomini») mentre nel secondo
(in cui afferma finissero solo una parte dei dissidenti), pur essendo una pratica
da condannare, erano rinchiusi dissidenti da rieducare e non da eliminare.
Losurdo afferma che «il detenuto nel Gulag è un potenziale compagno [la guardia
stessa era tenuta a chiamarlo in questo modo] e dopo il 1937 [l'inizio del
biennio delle grandi purghe che seguono l'assassinio di Sergej Mironovič Kirov]
è comunque un cittadino».[25] Riprendendo anche l'opinione di Primo Levi
(internato ad Auschwitz, secondo cui il lager era moralmente più grave del
gulag) e contro Aleksandr Isaevič Solženicyn (internato in Siberia e che
affermava l'equiparazione della volontà sterminazionistica), Losurdo sostiene
che pur essendo grave che un Paese socialista nato per abolire lo sfruttamento
usi sistemi imperialisti e capitalisti, il gulag sia analogo a molti campi di concentramento
occidentali (i cui governi hanno sostenuto e sostengono di essere paladini
della libertà), che per certi versi furono anche più affini al lager in quanto
campo di sterminio e non di rieducazione, riprendendo la storia del genocidio
indiano. Egli sostiene anche che i campi di concentramento e le colonie penali
britanniche erano peggio di qualsiasi gulag, accusando anche politici come
Winston Churchill e Harry Truman di essere autori di crimini di guerra e
contro l'umanità pari (se non peggiori) di quelli che sono stati poi attribuiti
a Stalin.[25] Losurdo ritiene inoltre che i comunisti soffrano di autofobia,
cioè paura di se stessi e della propria storia, problema patologico che va
affrontato, a differenza dell'autocritica sana.[28] Despecificazione
politico-morale e despecificazione naturalistica La despecificazione è
l'esclusione di un individuo o di un gruppo dalla comunità dei civili. Esistono
due tipi di despecificazione: La despecificazione politico-morale (in
questo caso l'esclusione è dovuta a fattori politici o morali). La
despecificazione naturalistica (in questo caso l'esclusione è dovuta a fattori
biologici). Per Losurdo la despecificazione naturalistica è qualitativamente
peggiore rispetto a quella politico-morale. Infatti mentre quest'ultima offre
almeno una via di scampo mediante il cambio di ideologia, questo non è
possibile nel caso in cui sia in atto una despecificazione naturalistica, che è
irreversibile in quanto rimanda a fattori biologici che sono di per sé
immodificabili.[25][29] Inoltre a differenza di altri pensatori ritiene quindi
che l'olocausto degli ebrei non è incomparabile ed è quindi disposto ad
ammettere in questo caso una tragica peculiarità. La comparatistica che Losurdo
offre a proposito non vuole essere una relativizzazione o uno sminuire, ma
semplicemente considerare l'olocausto degli ebrei come incomparabile significa
perdere la prospettiva storica e dimenticarsi dell'olocausto nero (l'olocausto
dei neri) o dell'olocausto americano (l'olocausto dei nativi indiani d'America
ottenuto negli Stati Uniti mediante la continua deportazione sempre più a ovest
e la diffusione ad arte del vaiolo), oltre ad altri stermini di massa come il
genocidio armeno. Polemiche riguardanti Stalin Una recensione effettuata
nell'aprile del 2009 da Guido Liguori su Liberazione (organo ufficiale del
Partito della Rifondazione Comunista) di Stalin. Storia e critica di una
leggenda nera, libro in cui Losurdo critica la demonizzazione di Stalin
effettuata dalla storiografia maggioritaria e cerca di sottrarlo a quella che
definisce «la leggenda nera su di lui», è al centro di una polemica all'interno
della redazione del suddetto quotidiano. Venti redattori inviano una lettera di
protesta al direttore del giornale in cui si critica sia il tentativo di
riabilitazione di Stalin presente nel libro di Losurdo sia la recensione di
Liguori (giudicata troppo positiva nei confronti del libro), oltre che la
scelta del direttore del giornale di pubblicare tale recensione.[30] Il libro
riceve delle recensioni critiche per le sue affermazioni e per la metodologia
di lavoro utilizzata.[31][32][33] All'estero, soprattutto in Germania, i
critici di Losurdo lo accusano di essere un «neostalinista».[34][35][36][37]
Grover Furr, autore di Krusciov mentì e descritto come un «revisionista
storico»,[38] un «revisionista in una ricerca lunga una carriera per scagionare
Stalin»[39] e un «prezioso contributo alla scuola revisionista storica degli
studi sovietici e comunisti»,[40][41][42] elogia il lavoro di Losurdo, in
particolare quello su Stalin, iniziando un'amicizia reciproca.[43] Nel introduce Furr a un editore italiano che
pubblica la traduzione italiana di Khruschev mentì, per cui scrive
l'introduzione.[43][44] Nel aveva già
scritto l'introduzione e il retrocopertina del libro di Furr sull'assassinio di
Sergej Mironovič Kirov che rimane inedito.[43][45] Negli estratti di un
convegno organizzato nel 2003 per rivalutare la figura di Stalin a
cinquant'anni dalla morte critica le rivelazioni contenute nel rapporto segreto
di Nikita Sergeevič Chruščёv, l'allora segretario generale del Partito
Comunista dell'Unione Sovietica. Secondo Losurdo la cattiva fama di Stalin
deriverebbe non dai crimini commessi da quest'ultimo (paragod altri del suo
tempo), ma dalle falsità presenti in quel rapporto che Chruščёv lesse nel corso
del XX Congresso del febbraio 1956. Nella relazione al convegno dà credito a
una delle accuse principali che stavano alla base della sanguinosa repressione
staliniana contro gli oppositori, ovvero l'esistenza nell'Unione Sovietica
della «realtà corposa della quinta colonna» pronta ad allearsi col nemico.[46]
Losurdo ribadisce di non voler riabilitare Stalin, seppur calato nella sua
epoca, volendo presentare solo un'analisi dei fatti più neutrale e attuare un
revisionismo sull'esperienza generale del socialismo reale ritenuta passata, ma
utile da studiare per capire le dinamiche future del
socialismo.[25][26][32] Politica Losurdo apparteneva alla
corrente del marxismo-leninismo, ma ammirava anche l'interpretazione che Mao
Zedong diede della pluralità della lotta di classe, da collocare nel contesto
dell'attenzione che rivolge al processo di emancipazione femminile e dei popoli
colonizzati.[47] Vicino prima al Partito Comunista Italiano, poi al Partito
della Rifondazione Comunista e infine al Partito dei Comunisti Italiani,
confluito nel Partito Comunista d'Italia () e nel Partito Comunista Italiano
(), di cui è stato membro,[48] fu anche direttore dell'associazione
politico-culturale Marx XXI.[49] Critico del liberalismo,[50] della NATO
e dell'imperialismo, in particolare quello statunitense, Losurdo contestò
l'assegnazione del Premio Nobel per la pace al dissidente cinese Liu Xiaobo,
considerato un sostenitore aperto del colonialismo occidentale,[51] in
particolare per la sua idealizzazione del mondo occidentale[52] e per aver
affermato che ci sarebbe bisogno di «300 anni di colonialismo. In 100 anni di
colonialismo Hong Kong è cambiata fino a diventare ciò che è oggi. Data la
grandezza della Cina, ovviamente ci vorrebbero 300 anni per trasformarla in
quello che Hong Kong è oggi. E ho dei dubbi che 300 anni siano
abbastanza».[53][54] Opere Autocensura e compromesso nel pensiero
politico di Kant, Napoli, Bibliopolis, 1983. Hegel. Questione nazionale, restaurazione.
Presupposti e sviluppi di una battaglia politica, Urbino, Università degli
Studi, 1983. Tra Hegel e Bismarck. La rivoluzione del 1848 e la crisi della
cultura tedesca, Roma, Editori Riuniti, 1983.
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suoi critici, e con Gian Mario Cazzaniga e Livio Sichirollo, Urbino, Quattro
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della Germania e l'immagine di Hegel, Milano, Guerini, 1987. 88-7802-014-1. Metamorfosi del moderno. Atti
del Convegno. Cattolica, 18-20 settembre 1986, e con Gian Mario Cazzaniga e
Livio Sichirollo, Urbino, Quattro venti, 1988.
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uguaglianza, Stato, Roma, Editori Riuniti, 1988. 88-359-3143-6. Tramonto dell'Occidente? Atti
del Convegno organizzato dall'Istituto italiano per gli studi filosofici e
dalla Biblioteca comunale di Cattolica. Cattolica, 19-21 maggio 1988, e con Gian
Mario Cazzaniga e Livio Sichirollo, Urbino, Quattro venti, 1989. 88-392-0128-9. Antropologia, prassi,
emancipazione. Problemi del marxismo, e con Georges Labica e Jacques Texier,
Urbino, Quattro venti, 1990.
88-392-0166-1. Égalité-inégalité. Atti del Convegno organizzato
dall'Istituto italiano per gli studi filosofici e dalla Biblioteca comunale di
Cattolica. Cattolica, 13-15 settembre 1989, e con Alberto Burgio e Jacques
Texier, Urbino, Quattro venti, 1990. Prassi. Come orientarsi nel mondo. Atti del
convegno organizzato dall'Istituto Italiano per gli Studi filosofici e dalla
Biblioteca Comunale di Cattolica (Cattolica, 21-23 settembre 1989), e con Gian
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Friedrich Nietzsche Olocausto Josif Stalin Università degli Studi di Urbino
"Carlo Bo" Altri progetti Citazionio su Domenico
Losurdo Blog di Domenico Losurdo , su
domenicolosurdo.blogspot.com. Intervista a Domenico Losurdo sul RAI Filosofia , su filosofia.rai.it.
Intervista a Domenico Losurdo a RTV Svizzera , su youtube.com. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice, Losurdo, e Nietzsche, ribelle aristocratico,"
per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia.
lottery paradox, a paradox involving two
plausible assumptions about justification which yield the conclusion that a
fully rational thinker may justifiably believe a pair of contradictory
propositions. The unattractiveness of this conclusion has led philosophers to
deny one or the other of the assumptions in question. The paradox, which is due
to Henry Kyburg, is generated as follows. Suppose I am contemplating a fair lottery
involving n tickets (for some suitably large n), and I justifiably believe that
exactly one ticket will win. Assume that if the probability of p, relative to
one’s evidence, meets some given high threshold less than 1, then one has
justification for believing that p (and not merely justification for believing
that p is highly probable). This is sometimes called a rule of detachment for
inductive hypotheses. Then supposing that the number n of tickets is large
enough, the rule implies that I have justification for believing (T1) that the
first ticket will lose (since the probability of T1 (% (n † 1)/n) will exceed
the given high threshold if n is large enough). By similar reasoning, I will
also have justification for believing (T2) that the second ticket will lose,
and similarly for each remaining ticket. Assume that if one has justification
for believing that p and justification for believing that q, then one has
justification for believing that p and q. This is a consequence of what is
sometimes called “deductive closure for justification,” according to which one
has justification for believing the deductive consequences of what one
justifiably believes. Closure, then, implies that I have justification for
believing that T1 and T2 and . . . Tn. But this conjunctive proposition is
equivalent to the proposition that no ticket will win, and we began with the
assumption that I have justification for believing that exactly one ticket will
win.
Lottieri: Carlo
Lottieri (Brescia), filosofo. Allievo di Alberto Caracciolo, ha studiato a
Genova, Ginevra e Parigi, dove ha ottenuto un dottorato di ricerca sotto la
guida di Raymond Boudon, discutendo la tesi Idéologie et science dans la
sociologie politique de Gaetano Mosca. Ha collaborato con Václav
Bělohradský dell'Trieste. Nel maggio 2003 è divenuto ricercatore in filosofia
del diritto alla Facoltà di Giurisprudenza di Siena, dove per molti anni ha
insegnato Dottrina dello Stato. Sempre nel 2003, insieme ad Alberto Mingardi e
Carlo Stagnaro ha dato vita all'Istituto Bruno Leoni, un istituto che si ispira
alla tradizione intellettuale di Luigi Einaudi e Sergio Ricossa, e di cui egli
è direttore del dipartimento Teoria Politica. Da anni è collaboratore de Il
Giornale. Ha curato l'edizione di alcune opere di Bruno Leoni in lingua
inglese, spagnola, francese e ceca. Attualmente insegna Filosofia del
Diritto a Verona e Filosofia delle scienze sociali alla Facoltà di Teologia di
Lugano (Svizzera). Pensiero La riflessione teorica di Lottieri si
sviluppa all'interno del liberalismo classico e, grazie allo studio degli
autori elitisti, si delinea quale critica del sistema di dominio iscritto nei
regimi democratici rappresentativi e nelle loro proiezioni internazionali. I
primi lavori mostrano l'adesione a tale prospettiva, che rapidamente evolve
grazie al contatto con il pensiero libertarian, principalmente americano. È
esattamente in questo senso che Piero Vernaglione rileva come la filosofia
libertaria di Lottieri metta in discussione "la psicologia regolamentativa
e anti-innovativa del burocrate", avverso a ogni forma di rischio e
cambiamento. Il volume sulla teoria libertaria, dedicato a Murray N.
Rothbard, evidenzia l'adesione ai temi classici del pensiero liberale lockiano
e giusnaturalista (difesa della proprietà, del mercato, dell'autonomia
negoziale), ma anche il maturare di questioni che sono invece tutte interne al
realismo politico europeo: specie nel confronto con autori come Carl Schmitt,
Otto Brunner e, in Italia, Gianfranco Miglio. Mentre il testo sul
rapporto tra economia di mercato e ordine sociale/comunitario (Denaro e
comunità, del 2000) è una critica della sociologia, a cui è rimproverato di
avere frainteso la natura interpersonale della moneta e delle relazioni di
mercato, la monografia su Leoni pubblicata nel 2006 muove dal pensatore
torinese per delineare una filosofia libertaria anche oltre la lettera stessa
dell'autore di Freedom and the Law. In particolare, in questa fase della riflessione
Leoni viene individuato come uno studioso in grado di dare una maggiore
consapevolezza filosofico-giuridica alla teoria libertaria, fino ad ora
elaborata per lo più da economisti e teorici politici. Libri Denaro e
comunità. Relazioni di mercato e ordinamenti giuridici nella società liberale,
Napoli, Guida Editori, 2000 Il pensiero libertario contemporaneo. Tesi e
controversie sulla filosofia, sul diritto e sul mercato, Macerata, Liberilibri,
2001 Le ragioni del diritto. Libertà individuale e ordine giuridico nel
pensiero di Bruno Leoni, TreviglioSoveria Mannelli, FaccoRubbettino Editore,
2006 Come il federalismo fiscale può salvare il Mezzogiorno, scritto con
Piercamillo Falasca, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008 Credere nello Stato?
Teologia politica e dissimulazione da Filippo il Bello a WikiLeaks, Soveria
Mannelli, Rubbettino, Liberali e non.
Percorsi di storia del pensiero politico, Brescia, La Scuola, Guglielmo Ferrero in Svizzera. Legittimità,
libertà e potere, Roma, Studium, Every
New Right Is A Freedom Lost, Plano TX, Monolateral, Un'idea elvetica di libertà. Nella crisi
della modernità europea, Brescia, La Scuola,
Beni comuni, diritti individuali e ordine evolutivo, Torino, IBL
Libri, Note Idéologie et science dans la sociologie
politique de Gaetano Mosca (Book, 1993) [.org].
Carlo Lottieri Articoli recentiilGiornale.it. Bruno Leoni, La liberté et le droit, Paris,
Les Belles Lettres, 2006; Bruno Leoni, Pravo a svoboda, Praha, Liberalni
Institut, 2007; Bruno Leoni, Lecciones de Filosofía del Derecho, Madrid, Union
Editorial, 2008; Bruno Leoni, Law, Liberty and the Competitive Market, con una
prefazione di Richard A. Epstein, New Brunswick NJ, Transaction, 2008. Facoltà di Teologia di Lugano Archiviato il
28 maggio in .. A questa fase dell'elaborazione teorica
appartengono i seguenti scritti: “La catallaxie ou la loi de la jungle? La
théorie sociale de Hayek et les critiques des constructivistes”, Journal des
Économistes et des Études Humaines, mars 1993,
43-63; "Un élitisme technocratique et libéral. L'autorité et l'État
selon Mosca”, L'Année Sociologique, 1994 (ora anche in: Raymond BoudonMohamed
CherkaouiJeffrey C. Alexander, eds., The Classical Tradition in Sociology. The
European Tradition, II (The Emergence of European Sociology: IIThe Classical
Tradition [1880-1920]), London, Sage Publications, 1997, 1123-172; “Élitisme classique (Mosca et
Pareto) et élitisme libertarien: analogies et différences”, in: Alban Bouvier,
éd., Pareto aujourd'hui, Parigi, Presses Universitaires de France, 1999, 199-219.
Pierre Garello e Nikolay Nenovsky hanno evidenziato come negli scritti
di Lottieri sull'unificazione europea, in particolare, è cruciale l'opposizione
tra l'armonizzazione spontanea emergente dal basso e l'unificazione coercitiva;
si veda: Pierre GarelloNikolay Nenovsky, "Reflections on the Evolution of
Institutions in Post-Communist Countries"[collegamento interrotto],
working paper13. Un'analisi non dissimile si trova in uno studio di Josef Sima,
nel quale lo studioso boemo evidenzia che “Lottieri identifica quattro
superstizioni o quattro credenze erronee che sotto alla base dei tentativi di
creare un nuovo Stato chiamato ‘Europa': (1) l'idea che la libertà individuale
e il policentrismo giuridico causino tensioni e, in definitiva, conflitti; (2)
che il mercato derivi dall'ordine giuridico creato dallo Stato; (3) che
l'esistenza di una distinta identità europea esiga la costruzione di un singolo
Stato continentale; e (4) che un'Europa unificata sarebbe più armoniosa e
meglio in grado di sostenere lo sviluppo delle sue componenti più povere, come
quelle dell'Europa orientale" (Josef Sima, “From the Bosom of Communism to
the Central Control of EU Planners”, Journal of Libertarian Studies, 16, n.1, Winter 200264). Nel 2000, dopo la pubblicazione di Denaro e
comunità, sulle pagine culturali del Corriere della Sera Lottieri sarà
individuato come uno degli esponenti di un liberalismo particolarmente radicale
e volto a proporre una sorta di fuga dallo Stato: Dario Fertlio,
"Libertari 2001: la grande fuga dallo Stato, Corriere della Sera, 30
ottobre 2000. Una disamina molto criticaal limite dell'insulto personaledi tale
liberalismo libertarian si ha nella recensione che Ermanno Vitale nel 2002
dedicò al volume su Rothbard scritto a quattro mani da Lottieri assieme a
Enrico Diciotti (basato su un confronto assai franco tra prospettive molto
diverse): una recensione che, rivolgendosi al solo Diciotti, si chiudeva con
l'invito per il futuro “ad occuparsi di un autore più interessante con un autore
più interessante” (Ermanno Vitale, “Rothbard, un Trasimaco piccolo piccolo. E
una modestissima proposta”, Teoria politica, XVIII, n.3, 2002189). Piero Vernaglione, Il libertarismo. La
teoria, gli autori, le politiche, Soveria Mannelli, Rubbettino, 200356. Un riferimento garbatamente polemico alle
posizioni giusnaturaliste di Lottieri si trova in Dario Antiseri (Laicità. Le
sue radici, le sue ragioni, Rubbettino). La stessa contrapposizione è al fondo
di una discussione tra i due riguardante proprio i contenuti di quel
volume://blog.centrodietica.it/?p=2005.
Secondo Angelo Panebianco,questo libro di Lottieri rappresenta "una
presentazione completa e approfondita del pensiero libertario nelle sue diverse
varianti" (Angelo Panebianco, Il potere. lo stato, la libertà. La gracile
costituzione della società libera, Bologna, il Mulino, 200483), mentre Raimondo
Cubeddu evidenzia soprattutto l'"approccio libertario ai problemi
ecologici" (Raimondo Cubeddu, Politica e certezza, Napoli, Guida,
2000203). In un articolo di Lafaille
sono espresse alcune riserve nei riguardi delle tesi libertarie e
dell'ispirazione "anarchica" della teoria del diritto di Lottieri:
Frank Lafaille, "L'anarchisme juridique de Bruno Leoni" Archiviato il
26 marzo in ., Jus Politicum, 37. Nella
sua monografia su Leoni (L'ordine giuridico dei privati, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 2008) pure Grondona sviluppa alcune critiche nei riguardi
dell'interpretazione dello studioso torinese offerta da Lottieri, mentre in
maggiore sintonia con le sue posizioni si trova Andrea Favaro (Bruno Leoni.
Dell'irrazionalità della legge per la spontaneità dell'ordinamento, Napoli,
Edizioni Scientifiche Italiane, 2009225.
A giudizio di Panebianco, nei suoi scritti sul filosofo torinese
“Lottieri mostra che, contrariamente a un'opinione diffusa, le distanze fra la
concezione del diritto di Leoni e quella di Hayek sono notevoli. In ogni caso
non fu Hayek a influenzare Leoni ma il secondo a influenzare, almeno in parte,
il primo” (Angelo Panebianco, “Introduzione” a: Antonio Masala, a cura di, La
teoria politica di Bruno Leoni, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005, 10-11). Per un'equilibrata analisi del volume
si veda: Mauro Grondona, "Recensione a Carlo Lottieri, Le ragioni del
diritto"[collegamento interrotto], Nuova Giurisprudenza Ligure, n.1,
2007, 55-58. Altri progetti Collabora a
Wikiquote Citazionio su Carlo Lottieri Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia
Commons contiene immagini o altri file su Carlo Lottieri Articoli di Carlo Lottieri pubblicati su vari
quotidiani e riviste sito dell'Istituto Bruno Leoni.
Luca: Roberto Luca (Marostica), filosofo. Dopo
aver frequentato il Liceo Ginnasio G.B. Brocchi di Bassano del Grappa, si è
laureato in Filosofia nel 1978 presso l'Università degli Studi di Firenze, con
una tesi in Filosofia Antica su Platone con relatore Francesco Adorno. È nipote di Francesco Guidolin. I suoi studi
sono stati incentrati inizialmente sulla tematica dell’Eros greco attraverso la
traduzione commentata dei dialoghi platonici Simposio e Fedro. Ha mantenuto
però una costante apertura alla produzione letteraria, da Omero in poi, nella
convinzione che per quanto differenti possano essere i costumi o gli statuti
sociali, rimane un elemento per così dire “originario”, intrinsecamente umano,
nell’approccio con il desiderio, l’amore, l’amicizia, la sessualità.
Nell'ultimo lavoro Labirinti dell’Eros. Da Omero a Platone,pur sviluppandosi la
tematica all'interno di un arco di tempo definito, l’intento non è quello di
affrontare l’argomento in senso cronologico, ma di esprimere, senza costrizioni
di “percorsi prefigurati” una distinzione logico concettuale, attraverso la
quale conseguire, almeno, dei punti fermi nell'interpretazione dell’erotica
antica. Negli studi più recenti
l'interesse principale riguarda lo sviluppo del pensiero scientifico
platonico-pitagorico, sia nelle sue caratteristiche peculiari ed in rapporto
alla metafisica platonica, sia nell'accezione più ampia rispetto all'esigenza
di dare conto "dei fenomeni" (visibili /udibili). Per questa ragione,
l’attenzione principale è orientata alla tarda produzione platonica e al
pitagorismo di seconda generazione, che vengono analizzati anche attraverso i
risultati più recenti della fisica e della cosmologia contemporanee. Opere Platone, Simposio, Roberto Luca, La
Nuova Italia, Firenze,1985 Platone, Fedro, Roberto Luca, La Nuova Italia,
Firenze,1998 Eros & Epos: il lessico d'amore nei poemi omerici, L.S. Gruppo
editoriale, Quarto Inferiore (BO), 2001 Platone e la sapienza antica.
Matematica, filosofia e armonia, Marsilio Editori, Venezia, Labirinti
dell’Eros. Da Omero a Platone, con un saggio di Massimo Cacciari, Marsilio Editori,
Venezia, F
lucrezio: possibly the most important Italian
philosopher -- lucretius:
Roman poet, author of “De rerum natura,” an epic poem in six books. Lucretius’s
emphasis, as an orthodox Epicurean, is on the role of even the most technical
aspects of physics and philosophy in helping to attain emotional peace and
dismiss the terrors of popular religion. Each book studies some aspect of the
school’s theories, while purporting to offer elementary instruction to its
addressee, Memmius. Each begins with an ornamental proem and ends with a
passage of heightened emotional impact; the argumentation is adorned with
illustrations from personal observation, frequently of the contemporary Roman
and Italian scene. Book 1 demonstrates that nothing exists but an infinity of
atoms moving in an infinity of void. Opening with a proem on the love of Venus
and Mars (an allegory of the Roman peace), it ends with an image of Epicurus as
conqueror, throwing the javelin of war outside the finite universe of the
geocentric astronomers. Book 2 proves the mortality of all finite worlds; Book
3, after proving the mortality of the human soul, ends with a hymn on the theme
that there is nothing to feel or fear in death. The discussion of sensation and
thought in Book 4 leads to a diatribe against the torments of sexual desire.
The shape and contents of the visible world are discussed in Book 5, which ends
with an account of the origins of civilization. Book 6, about the forces that
govern meteorological, seismic, and related phenomena, ends with a frightening
picture of the plague of 429 B.C. at Athens. The unexpectedly gloomy end
suggests the poem is incomplete (also the absence of two great Epicurean
themes, friendship and the gods). Tito Lucrezio Caro
(in latino: Titus Lucretius Carus, pronuncia classica o restituta: [ˈtɪtʊs lʊˈkreːtɪ.ʊs
ˈkaː.rus] (Pompei), filosofo, seguace dell'epicureismo. Della vita di Lucrezio
ci è ignoto quasi tutto: egli non compare mai sulla scena politica romana, né
sembra esistere negli scritti dei contemporanei, in cui non viene mai citato,
eccezion fatta per la lettera di Cicerone ad Quintum fratrem II 9, contenuta
nella sezione Ad familiares, in cui il celebre oratore accenna all'edizione,
forse postuma, del poema di Lucrezio, che egli starebbe curando. Ma in
scrittori romani successivi egli viene spesso citato: ne parlano Seneca,
Frontone, Marco Aurelio, Quintiliano, Ovidio, Vitruvio, Plinio il Vecchio,
senza tuttavia fornire nuove informazioni sulla vita. Questo però dimostra che
non si tratta di un personaggio inventato. Un'altra fonte che lo cita è
San Girolamo nel suo Chronicon o Temporum liber, di cinque secoli dopo, in cui,
ispirandosi ad alcuni dubbi passi di Svetonio, ci dice che sarebbe nato morto suicida. Tale dato non concorda
tuttavia con quanto affermato da Elio Donato, maestro di Girolamo stesso,
secondo il quale Lucrezio sarebbe morto quando indossò la toga virile,
nell'anno in cui erano consoli per la seconda volta Crasso e Pompeo. Questo dato
ha fatto propendere a credere che Lucrezio mori nel 55 a.C., all'età di quarantatré anni.
Queste vengono comunemente considerate le uniche notizie biografiche tramandate
direttamente dall'antichità. Ignoto risulta anche il luogo di nascita,
che tuttavia taluni hanno creduto essere Ercolano, per la presenza di un
Giardino Epicureo in quest'ultima città, in particolare, dall'analisi di
numerose epigrafi risalenti all'epoca dell'autore latino, risulta evidente
un'ingente presenza del cognome Carus nell'antico territorio campano, secondo
la critica recente la suddetta indagine prova fermamente (nei limiti del
probabile) le origini campane di Lucrezio. Neppure la sua militanza politica
sembra essere ricostruibile: il desiderio di pace accennato prima non sembra
affatto ricordare il drammatico rancore dell'aristocratico, per altro
solitamente stoico, che vede sgretolarsi la Repubblica e la libertà, ma il
desiderio dell'"amico" epicureo, che vede nella pace e nel benessere
di tutti la possibilità di fare accoliti e viver serenamente. È tuttavia
rilevante il fatto che la sua opera De rerum natura sia dedicata a Memmio, fine
letterato e appassionato di cultura greca, ma anche e soprattutto membro di
spicco degli optimates. Tale era, del resto, il suo desiderio di pace da
auspicare alla fine del proemio della sua opera una "placida pace"
per i Romani. Questo anelito così forte alla pace è peraltro riscontrabile non
solo in Lucrezio, ma anche in Catullo, Sallustio, Cicerone, Catone l'Uticense e
perfino in Cesare: esso rappresenta il desiderio di un'intera società dilaniata
da un secolo di guerre civili e lotte intestine. La scarsità delle fonti
sulla sua vita ha portato molti a interrogarsi persino sulla stessa esistenza
del filosofo, a volte considerato solo uno pseudonimo sotto il quale si celava
un anonimo filosofo per alcuni un amico epicureo di Cicerone, Tito Pomponio
Attico, che si suicidò, o persino lo stesso Cicerone. Secondo lo storico
Luciano Canfora, è possibile ricostruire una scarna biografia di Lucrezio:
nacque ad Ercolano, dove aveva una villa la famiglia nobiliare di un possibile
parente, Marco Lucrezio Frontone) appartenente quasi sicuramente all'antica
famiglia nobile dei Lucretii (qualcuno ne fa invece un liberto della stessa
famiglia). Studiò l'epicureismo proprio ad Ercolano, dove si trovava un centro
della "filosofia del giardino", diretta da Filodemo di Gadara, allora ospite nella villa
di Lucio Calpurnio Pisone, il ricco suocero di Cesare (la cosiddetta "villa
dei papiri"). Avrebbe sofferto di sbalzi d'umore, chiamati oggi
disturbo bipolare, ma non sarebbe stato pazzo, ma di questo umore alterno
risentì il suo lavoro. In disaccordo con le guerre civili, avrebbe lasciato
Roma e non sarebbe morto suicida ma avrebbe viaggiato ad Atene, nei luoghi del
maestro Epicuro, e oltre, essendo forse il suo nome conosciuto da Diogene di
Enoanda, quindi quasi in Asia minore, nelle cui famose incisioni sotto il
portico della sua casa si ricorda un certo "Caro" (nome poco
diffuso), romano, e sapiente epicureo. Non si sa se il poema fosse
diffuso nell'oriente, quindi è possibile che Lucrezio si fosse davvero recato
in Grecia. Lucrezio, spinto da una delusione d'amore, si sarebbe allontanato
lasciando incompiuto il suo poema, affidato forse a Cicerone stesso (che
difatti non parla effettivamente di suicidio ma afferma: «Lucretii poemata, ut
scribis, ita sunt: multis luminibus ingenii, multae tamen artis» ("le
poesie di Lucrezio, come tu mi scrivi, sono dotate di molti lumi di talento, e
tuttavia di molta arte"), ma, forse, senza impazzire e morire (che fosse
suicidandosi o perché assassinato), esagerazione della fonte di Girolamo o di
qualche altro avversario di Lucrezio, e sarebbe stato forse volutamente confuso
dallo stesso Girolamo con Lucullo, onde screditare l'epicureismo. Il
destinatario dell'opera, Gaio Memmio, caduto in disgrazia ed espulso dal Senato
per condotta immorale, andò ad Atene, causando una nuova delusione a Lucrezio,
che, tornato a Roma, sarebbe morto. La
notizia di un "filtro d'amore" velenoso somministratogli da una donna
di facili costumi, amante gelosa di Lucrezio, viene riportata anche da Svetonio
nei confronti di Caligola e della moglie Milonia Cesonia; in questo caso è
apparsa una semplice diceria, e, data l'ispirazione svetoniana (dal perduto De
poetis) del passo di Girolamo su Lucrezio, anche lì sembra essere una
spiegazione semplicistica, dovuta alla poca conoscenza dei disturbi psichici
che si aveva all'epoca (anche per Caligola si parlò, difatti, come per
Lucrezio, di epilessia e malattie fisiche misteriose che l'avrebbero fatto
impazzire improvvisamente, come, nel caso di studiosi moderni, l'avvelenamento
da piombo, oltre che dei detti "filtri"). Se Lucrezio soffrì di
un disagio psichico, che lo avrebbe spinto a cercare sollievo nella filosofia,
non fu a causa di un veleno, e se il suicidio ci fu (il che potrebbe spiegare
l'abbandono improvviso del poema), la causa potrebbe essere stata di natura
politica — come sarà più tardi il caso di Catone Uticense —, ovverosia la
rovina del suo protettore Memmio e della sua cerchia culturale. Virgilio, che
lo rispettava anche se era passato dall'epicureismo, abbracciato in gioventù,
alle teorie pitagoriche, parla di lui nelle Georgiche e nelle Bucoliche,
definendolo "felix" (ossia "prediletto dalla dea Fortuna") e
non "folle". Secondo Guido Della Valle, la V ecloga, che parla della
morte di un personaggio chiamato Dafni (a volte identificato con Cesare, a
volte con Flacco, il fratello di Virgilio), potrebbe riferirsi invece alla
morte dello stesso Lucrezio, definita "immatura e innaturale", cioè
avvenuta per cause traumatiche. Il movente politico e morale del gesto potrebbe
essere la causa del silenzio attorno ad esso e del fiorire di aneddoti per
giustificarlo, dato che non si poteva cancellare la grandezza filosofica di
Lucrezio, con una sorta di damnatio memoriae di solito riservata ai nemici
politici. Essi erano spesso vittime delle liste di proscrizione dei
vincitori, come quella di Marco Antonio che colpirà Cicerone, e molti si
toglievano la vita, in quanto morte onorevole per i costumi romani; Virgilio e
Orazio, estimatori di Lucrezio, facevano parte della corte di Augusto, e
dovevano quindi allinearsi alla linea culturale dettata dall'imperatore,
assertore dell'antica moralità e diffusore della leggenda di Cesare (per cui
venivano cancellate le espressioni scomode di dissenso), e dal suo amico
Mecenate, in cui l'epicureismo, se non sfumato come in Orazio appuntocosì come
ogni opera che non fosse celebrativa del princeps e della grandezza di Roma non
trovava spazio, per cui Lucrezio verrà ricordato solo come grande poeta,
tralasciandone l'aspetto filosofico. Secondo Della Valle, quindi,
Lucrezio si sarebbe tolto la vita come gesto di protesta contro la classe
politica in ascesa, o perché condannato a morte da essa. Lucrezio, per il
periodo in cui è vissuto, personaggio scomodo: gli ideali epicurei di cui era
profondamente intriso corrodevano le basi del potere di una Roma alla vigilia
della congiura di Catilina. In un'epoca di tensioni repubblicane, infatti,
isolarsi dalla realtà politica nell'hortus epicureo significa sottrarsi ai
negotia politici e uscire di conseguenza anche dalla sfera d'influenza del
potere. Le più forti correnti stoiche, ostili all'epicureismo, avevano permeato
la classe dirigente romana in quanto più conformi alla tradizione guerriera
dell'Urbe. L'epicureismo era invece presente anche attraverso il citato
Filodemo e altri in Campania, dove Virgilio avrebbe approfondito la sua
conoscenza dell'epicureismo. Orazio non lo nomina, ma è evidente che lo
conosce, e ideologicamente gli è più vicino di altri. La natura poetica del De
rerum natura fa sì che Lucrezio col suo pessimismo esistenziale avanzi profezie
apocalittiche, visioni quasi allucinate, critiche e ambigue espressioni (Grice),
che accompagnano il poema. Alcuni teologi come San Girolamo ed altri, hanno
dato di lui l'immagine di un ateo psicotico in preda alle forze del male.
Appoggiandosi alla psicoanalisi qualcuno ha sostenuto che in certi bruschi
cambiamenti di immagine e di pensiero ci fossero i sintomi di una pazzia
delirante o di problemi di ordine psichico. In realtà l'ipotizzata pazzia di
Lucrezio appare oggi più plausibilmente un tentativo di mistificazione per
screditare il poeta, così come la presunta morte per suicidio sarebbe stato
l'esito di un modo di pensare perverso, che travia chi lo segue. L'ipotesi
dell'epilessia poi, viene avanzata sulla base dell'arcaica credenza che il
poeta fosse sempre un invasato; elemento quest'ultimo da collegare alla
credenza che gli epilettici fossero sacri ad Apollo e da lui ispirati nelle
loro creazioni. Comunque altri scrittori cristiani come Arnobio e Lattanzio
affermarono che egli non fosse pazzo e che non si fosse ucciso. L'ipotesi della
follia e del suicidio attestata dal Chronicon di Girolamo si fondava su
illazioni di Svetonio, peraltro di difficile verifica. Potrebbe anche esserci
stata una confusione dovuta all'abbreviazione “Luc.,” impiegata
indifferentemente nei codici latini per indicare i nomi di Lucillius, Lucullus
e Lucretius. Plutarco scrisse infatti di un certo Licinio Lucullo, politico,
generale e cultore dei piaceri, che morì dopo essere impazzito a causa di un
filtro d'amore. L'errore di interpretazione dell'abbreviazione “Luc.” potrebbe
così aver permesso lo scambio dei due personaggi. A causa dell'impossibilità di
ricostruire i momenti salienti della sua vita, dunque, il progetto filosofico
che egli volle esprimere è ricostruibile interamente solo dalla sua opera,
considerata tra le più vigorose d'ogni età. Bisogna ora individuare le
motivazioni che spinsero Lucrezio a scrivere il De rerum natura, che
fondamentalmente sono due. La prima è una ragione etico-filosofica, in quanto
Lucrezio, affascinato dalla filosofia epicurea, desiderava invitare il lettore
alla pratica di tale filosofia, incitandolo a liberarsi dall'angoscia della
morte e degli dèi. La seconda motivazione invece è di carattere storico.
Lucrezio era conscio che la situazione politica a Roma peggiorasse di giorno in
giorno: Roma era quadro ormai di continui scontri bellici e conseguenti
dissidi; giustappunto egli, con un evidente positivismo, voleva incoraggiare il
cittadino-lettore romano a non perdere la fiducia verso un successivo miglioramento
della situazione. Lucrezio si proponeva di rivoluzionare il cammino di Roma,
riportandolo all'epicureismo che era stato declinato in favore dello stoicismo.
La prima cosa da distruggere era la convinzione provvidenzialistica stoica e
più propriamente romana[31]: non c'era un dovere romano di civilizzare "l'orbe
terrifero e de le acque", come farà dire Virgilio alla Sibilla Cumana in
un colloquio con Enea[32]; non c'è una ragione seminale universale responsabile
della vita nel cosmo, destinata a deflagrare per poi ricominciare un nuovo,
identico, ciclo esistenziale, come voleva la fisica stoica, ma un mondo che non
è unico nell'universo, peraltro infinito, essendo uno dei tanti possibili. Non
c'è quindi nessun fine provvidenziale di Roma, essa è una Grande fra le Grandi,
ed un giorno perirà nel suo tempo.[31] La religione, considerata come
Instrumentum regni, deve essere non distrutta, ma integrata nel contesto del
viver civile come utile ma falsa. Egli afferma fin dal libro I del De rerum
natura[33]: «Tanto male poté suggerire la religione. Ma anche tu forse un
giorno, vinto dai terribili detti dei vati, forse cercherai di staccarti da
noi. Davvero, infatti, quante favole sanno inventare, tali da poter sconvolgere
le norme della vita e turbare ogni tuo benessere con vani timori! Giustamente,
poiché se gli uomini vedessero la sicura fine dei loro travagli, in qualche
modo potrebbero contrastare le superstizioni e insieme le minacce dei vati...
Queste tenebre, dunque, e questo terrore dell'animo occorre che non i raggi del
sole né i dardi lucenti del giorno disperdano, bensì la realtà naturale e la
scienza... E perciò, quando avremo veduto che nulla può nascere dal nulla,
allora già più agevolmente di qui potremo scoprire l'oggetto delle nostre
ricerche, da cosa abbia vita ogni essenza, e in qual modo ciascuna si compia
senza opera alcuna di dèi.[34]» Epicuro Lucrezio colpiva
direttamente la credenza negli dèi latini sostenendo che non c'è preghiera che
schiuda le fauci di una tempesta, giacché essa è regolata da leggi fisiche e
gli dèi, seppur esistenti e anche loro composti da atomi così sottili che ne
assicurano l'immortalità, non si curano del mondo né lo reggono; ma la
religione deve essere inglobata nella scoperta e nello studio della natura, che
rasserena l'animo e fa comprendere la vera natura delle cose: infatti l'unico
principio divino che regge il mondo è la Divina Voluptas, Venere: il piacere,
la vita stessa intesa come animazione regge l'universo, ed è l'unica cosa in
grado di fermare lo sfacelo che sta portando Roma alla fine: Marte, ovvero la
Guerra.[31] Proprio per questo, egli elogia Atene, creatrice di quegli
intelletti più grandi che hanno illuminato la natura e quindi l'uomo stesso, ed
in ultima istanza Epicuro, sole invitto della conoscenza rasserenatrice. Non
solo, egli stesso si sente quasi un poeta rasserenatore delle tempeste umane e
proprio per questo si sente profondamente affine ai poeti delle origini, il cui
luogo principe è in Empedocle (secondo infatti per elogi solo a Epicuro) ma con
una sola grande differenza: egli non è portatore di una verità divina fra le
umane genti, ma di una verità affatto umana, universale e per tutti, che
attecchirà ben presto per la salvezza di Roma.[31] Epicuro è comunque, per
Lucrezio, il più grande uomo mai esistito, come risulta dai tre inni a lui dedicati
(chiamati anche "trionfi" o "elogi"): «E dunque
trionfò la vivida forza del suo animo. E si spinse lontano, oltre le mura
fiammeggianti del mondo. E percorse con il cuore e la mente l'immenso universo,
da cui riporta a noi vittorioso quel che può nascere, quel che non può, e
infine per quale ragione ogni cosa ha un potere definito e un termine
profondamente connaturato. Perciò a sua volta abbattuta sotto i piedi la
religione è calpestata, mentre la vittoria ci eguaglia al cielo.[35]» Il
De rerum natura Magnifying glass icon mgx2.svg De rerum natura. De rerum
natura, 1570 È un poema didascalico in esametri, di genere
scientifico-filosofico, suddiviso in sei libri (raccolti in diadi),
comprendente un totale di 7415 versi, che illustrano fenomeni di dimensioni
progressivamente più ampie: dagli atomi (I-II) si passa al mondo umano (III-IV)
per arrivare ai fenomeni cosmici (V-VI).[36] Riproduce il modello prosastico e
filosofico epicureo e la struttura del poema Περὶ φύσεως di Empedocle (anche
un'opera di Epicuro aveva il medesimo titolo). Secondo i filologi vi sono
corrispondenze e simmetrie interne che corrisponderebbero ad un gusto
alessandrino. L'opera infatti è suddivisa in tre diadi, che hanno tutte un
inizio solare ed una fine tragica. Ogni diade contiene un inno ad Epicuro,
mentre il secondo e il terzo libro (in quest'ultimo è presente anche
un'esposizione della sua estetica) si aprono entrambi con un inno alla
scienza.[36] Essendo un poema didascalico, ha come modello Esiodo e
quindi anche Empedocle, che aveva preso il modello esiodeo come massimo
strumento per l'insegnamento della filosofia. Altri modelli potrebbero essere i
poeti ellenistici Arato e Nicandro di Colofone, che usavano il poema
didascalico come sfoggio di erudizione letteraria.[37] Il destinatario e
i destinatari Il dedicatario dell'opera è la Memmi clara propago (I 42), ovvero
il rampollo della famiglia dei Memmi, che solitamente si identifica con Gaio
Memmio.[38] Più in generale, si può dire che il destinatario che l'autore si
prefigge di conquistare è il giovane aperto ad ogni esperienza, che un giorno
prenderà il posto dei politici e attuerà quella rivoluzione propugnata con
tanto fervore da Lucrezio.[38] Ma, almeno con Memmio, egli fallì: da adulto
divenne un dissoluto, fraintendendo il significato di piacere catastematico
epicureo, e fu allontanato dal Senato probri causa, cioè per immoralità. Riparò
quindi in Grecia, dove scrisse poesie licenziose e dove ce lo menziona anche
Cicerone (nelle Ad Familiares), intenzionato a distruggere la casa e il
giardino in cui proprio Epicuro risiedette, per costruirsi un palazzo,
suscitando lo sdegno degli epicurei che fecero istanza a Cicerone stesso di
intervenire per impedirglielo, senza che però Cicerone ci riuscisse.[38]
Lo stile In un simile progetto Lucrezio scelse di doversi rifare ad un modello
di stile arcaico, che vedeva in Livio Andronico, ma soprattutto in Ennio e in
Pacuvio i modelli emuli, per motivi fra loro quanto meno vari: l'egestas
linguae (povertà della lingua)[39], lo vede costretto a dover arrangiare le
lacune terminologiche e tecnicistiche con l'arcaismo, ancora che proprio
Lucrezio, insieme a Cicerone, sia uno dei fondatori del lessico astratto e
filosofico latino, e a colmare e ancor meglio comprendere l'oscurità del
filosofo con la mielosa luce della poesia.[39] Discendendo più in profondità
nelle anguste gole del poema, si notano anche altri problemi cui dovette far
fronte: primo fra tutti, come tradurre parole di pregnanza filosofica in
latino, che ancora non aveva termini confacenti. Finché poté, egli evitò la
semplice translitterazione (ad es. "Atomus" per Ατομος) e preferì
invece usare altri termini presenti già nella sua lingua magari dandogli altra
accezione oppure (come mostrato anche sopra) creando neologismi. Ed è proprio
grazie all'arcaismo che Lucrezio riesce a rendere possibile tutto questo:
infatti era proprio dello stile arcaico il neologismo "munificenza"
ed anche un certo uso (convulso a detta di antichi e moderni) delle figure di
suono quali allitterazioni, consonanze, assonanze e omoteleuti.[39] Molto
importante è anche il fatto che Lucrezio non si limitò a trasmettere il
messaggio di Epicuro con un arido scritto filosofico, ma lo fece attraverso un
poema che, a differenza del rigoroso linguaggio razionale della filosofia,
parla per squarci imaginifici.[39][40] Filosofia di Lucrezio Magnifying
glass icon mgx2.svg Epicuro ed
Epicureismo. Ontologia Sul piano teorico l'opera di Lucrezio si caratterizza
come una puntualizzazione di quella epicurea con alcune esplicazioni che nel
suo referente greco non erano abbastanza chiare. Il concetto di parenklisis che
Lucrezio tradurrà con clinamen mancava di definizione chiara. Nella Lettera ad
Erodoto Epicuro poneva infatti la parenklisis al § 43[41], ma poi al § 61
parlava piuttosto di una deviazione per urto[42]. Il celebre passaggio
del libro II del De rerum natura dice: «Perciò è sempre più necessario
che i corpi deviino un poco; ma non più del minimo, affinché non ci sembri di
poter immaginare movimenti obliqui che la manifesta realtà smentisce. Infatti è
evidente, a portata della nostra vista, che i corpi gravi in se stessi non
possono spostarsi di sghembo quando precipitano dall’alto, come è facile
constatare. Ma chi può scorgere che essi non compiono affatto alcuna deviazione
dalla linea retta del loro percorso?[43]» Lucrezio precisa poi
ulteriormente le modalità del clinamen aggiungendo: «Infine, se ogni moto
è legato sempre ad altri e quello nuovo sorge dal moto precedente in ordine
certo, se i germi primordiali con l’inclinarsi non determinano un qualche
inizio di movimento che infranga le leggi del fato così che da tempo infinito
causa non sussegua a causa, donde ha origine sulla terra per i viventi questo
libero arbitrio, donde proviene, io dico, codesta volontà indipendente dai
fati, in virtù della quale procediamo dove il piacere ci guida, e deviamo il
nostro percorso non in un momento esatto, né in un punto preciso dello spazio,
ma quando lo decide la mente? Infatti senza alcun dubbio a ciascuno un proprio
volere suggerisce l’inizio di questi moti che da esso si irradiano nelle
membra.[44]» Per quanto riguarda la sfera del vivente Lucrezio la collega
direttamente agli atomi nel loro processo creativo[45],
scrivendo: «Così è difficile rescindere da tutto il corpo le nature
dell'animo e dell'anima, senza che tutto si dissolva. Con particelle elementari
così intrecciate tra loro fin dall’origine, si producono insieme fornite d’una
vita di eguale destino: ed è chiaro che ognuna di per sé, senza l’energia
dell’altra, le facoltà del corpo e dell’anima separate, non potrebbero aver
senso: ma con moti reciprocamente comuni spira dall’una e dall’altra quel senso
acceso in noi attraverso gli organi.[46]» Gnoseologia Magnifying glass
icon mgx2.svg Critiche alla
religione. Lucrezio, incisione di Michael Burghers, 1682 Secondo
Lucrezio, che riprende in maniera radicale la tesi già di Epicuro, la religione
è la causa dei mali dell'uomo e della sua ignoranza. Egli ritiene che la
religione offuschi la ragione impedendo all'uomo di realizzarsi degnamente e,
soprattutto, di poter accedere alla felicità, da raggiungere attraverso la
liberazione dalla paura della morte.[47] Il poema ha come argomenti principali
la lacerante antinomia fra ratio e religio, l'epicureismo e il progresso. La
ratio è vista da Lucrezio come quella chiarità folgorante della verità «che
squarcia le tenebre dell'oscurità», è il discorso razionale sulla natura del
mondo e dell'uomo, quindi la dottrina epicurea, mentre la religio è
ottundimento gnoseologico e cieca ignoranza, che lo stesso Lucrezio denomina
spesso con il termine "superstitio". Indica l'insieme di credenze e
dunque di comportamenti umani "superstiziosi" nei confronti degli dèi
e della loro potenza. Poiché la religio non si basa sulla ratio essa è falsa e
pericolosa.[37][47] Lucrezio afferma che sono evidenti le nefaste
conseguenze della religione e adduce come esempio il caso di Ifigenia, dicendo
poi che il mito è una rappresentazione falsata della realtà, come
nell'Evemerismo. La religione è perciò la causa principale dell'ignoranza e
dell'infelicità degli uomini.[47] Lucrezio riprende i temi principali
della dottrina epicurea, che sono: l'aggregazione atomistica e la
"parenklisis" (che egli ribattezza clinamen), la liberazione dalla
paura della morte, la spiegazione dei fenomeni naturali in termini meramente
fisici e biologici. Egli opera un completamento di essa in senso naturalistico
ed esistenzialistico, introducendo un elemento di pessimismo, assente in
Epicuro, probabilmente da attribuirsi a una personalità malinconica.[47]
Da un punto di vista ontologico, secondo Lucrezio, tutte le specie viventi
(animali e vegetali) sono state "partorite" dalla Terra grazie al
calore e all'umidità originari. Ma egli avanza anche un nuovo criterio
evoluzionistico: le specie così prodotte sono infatti mutate nel corso del
tempo, perché quelle malformate si sono estinte, mentre quelle dotate degli
organi necessari alla conservazione della vita sono riuscite a riprodursi.[48]
Tale concezione atea, materialista, antiprovvidenzialista e storica della
natura sarà ereditata e rielaborata da molti pensatori materialisti dell'età
moderna, in particolare gli illuministi Diderot, d'Holbach e La Mettrie,
anch'essi atei dichiarati e a loro volta divulgatori dell'ateismo; Lucrezio
sarà inoltre seguito da Ugo Foscolo e Giacomo Leopardi.[37][49] Lucrezio
nega ogni sorta di creazione, di provvidenza e di beatitudine originaria e afferma
che l'uomo si è affrancato dalla condizione di bisogno tramite la produzione di
tecniche, che sono trasposizioni della natura.[47] Per Lucrezio, però, il
progresso non è positivo a priori, ma solo finché libera l'uomo
dall'oppressione. Se è invece fonte di degradazione morale, lo condanna
duramente.[47] Anima e Animus Lucrezio introduce nel III libro del De
rerum natura una chiarificazione che nel mondo latino era stata trascurata
generando non poche confusioni, circa il concetto di animus in rapporto a quello
di anima[50]. Egli scrive: «Vi sono dunque calore e aria vitale nella
sostanza stessa del corpo, che abbandona i nostri arti morenti. Perciò, trovata
quale sia la natura dell'animo e dell'animaquasi una parte dell'uomo -, rigetta
il nome di armonia, recato ai musicisti già dall'alto Elicona, o che essi hanno
forse tratto d'altrove e trasferito a una cosa che prima non aveva un suo nome.
Tu ascolta le mie parole. Ora affermo che l'anima e l'animo sono tenuti Avvinti
tra loro, e formano tra sé una stessa natura. Ma è il capo, per così dire, è il
pensiero a dominare tutto il corpo: quello che noi denominiamo animo e mente e
che ha stabile sede nella zona centrale del petto. Qui palpitano infatti
l'angoscia e il timore, qui intorno le gioie provocano dolcezza; qui è dunque
la mente, l’animo. La restante parte dell’anima, diffusa per tutto il corpo,
obbedisce e si muove al volere e all’impulso della mente. Questa da sé sola
prende conoscenza, e da sé gioisce, quando nessuna cosa stimola l’anima e il
corpo.» ([51]) Lucrezio riprende il concetto ellenico di anima come
"soffio vitale che vivifica ed anima il corpo, ciò che i greci chiamavano
psyché. Questo soffio pervade tutto il corpo in ogni sua parte e lo abbandona
solo “con l'ultimo respiro". L'"animus" invece è identificabile
col "noùs" ellenico, traducibile in latino con mens. Dunque animus e
mens paiono essere o la stessa cosa o due elementi coniugati dell'unità
mentale. L'indicazione della “zona centrale del petto” come sede fa pensare al
concetto di “cuore”, ricorrente ancora oggi nel linguaggio comune per indicare
la sensibilità umana, centro dell'emozione e del sentimento. Parrebbe allora
che l'animus sia insieme e conoscenza e emozione, mentre l'anima è soffio
vitale.[47] L'angoscia esistenziale Il De rerum natura è ricchissimo di
elementi tipici dell'esistenzialismo moderno, riscontrabile specialmente in
Giacomo Leopardi, che dell'opera di Lucrezio era un profondo conoscitore, anche
se in realtà non è noto il lasso di tempo in cui Leopardi lesse Lucrezio.[52]
Questi elementi di angoscia hanno indotto alcuni studiosi a sottolineare il
pessimismo di fondo che si opporrebbe alla volontà di rinnovare il mondo a
partire dalla filosofia epicurea; in altre parole, in Lucrezio ci sarebbero due
spinte contrapposte; l'una dominata dalla razionalità e fiduciosa nel riscatto
dell'uomo, l'altra ossessionata dalla fragilità intrinseca degli esseri viventi
e dal loro destino di dolore e morte. Altri studiosi, però ritengono che
l'insistenza di Lucrezio sugli aspetti dolorosi della condizione umana non sia
altro che una strategia di propaganda, per fare emergere più fortemente la
funzione salvifica della ratio epicurea.[53] Note S'intende, ciechi alla dottrina di Epicuro. Sul luogo di nascita: anche se c'è chi
afferma fosse nato a Roma, si ritiene quasi all'unanimità che fosse originario
della Campania: di Napoli, di Ercolano, o, secondo recenti studi epigrafici, di
Pompei, dove il nomen e il cognomen Tito e Lucrezio sono attestati, e la gens
Lucretia aveva delle ville cfr: Biografia di Lucrezio; o perlomeno vi avesse
abitato a lungo cfr. Enrico Borla, Ennio Foppiani, Bricolage per un naufragio.
Alla deriva nella notte del mondo, nota 25, pag. 304; cfr. anche la Lucrezio
Caro, Tito su Enciclopedia Treccani
Sulla data di nascita: molti optano per il 98 a.C. o secondo altri 96
a.C. Secondo alcune fonti: Lucretius
testimonia vitae Luciano Canfora, Vita di Lucrezio, Sellerio, 1993 oppure 55 a.C., o secondo altri 53 a.C., cfr.
Paolo Di Sacco, Mauro Serio, "Odi et amoStoria e testi della letteratura
latina" 1 "L'età arcaica e la
repubblica", Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, Sezione 2, Modulo. Testimonianze
su Lucrezio Canfora. Lucrezio, De rerum
natura, I, 1-43. Lucrezio, De rerum
natura, I, 40. Enrico Fichera, I "templa
serena" e il pessimismo di Lucrezio: echi lucreziani nella letteratura,
Roma, Bonanno edizioni, 2001. G.
Lippold, Testo per Arndt-Bruckmann, Griech. u. röm. Porträts, tavv. 1211-1216,
Monaco 1942 Enciclopedia dell'arte
antica Cfr. Gerlo 1956. Benedetto
Coccia, Il mondo classico nell'immaginario contemporaneo Nel romanzo epistolare di Tiziano Colombi, Il
segreto di Cicerone, Palermo, Sellerio, 1993.
Nomi romani: glossario Canfora
199367. Cicerone, Ep. ad Quintum
fratrem, II 9. Stephen Greenblatt, The
Swerve, New York, W.W. Norton & Company, 2009, 53-54.
Lucrezio Canfora 199331. Classici: Lucrezio e il De rerum natura
Aldo Oliviero, Il suicidio di Lucrezio, su lafrontieraalta.com. 29
dicembre 13 ottobre ). Ettore Stampini, Il suicidio di Lucrezio,
Messina, Tipografia D'Amico, 1896. La
risposta di Virgilio a Lucrezio Guido
Della Valle (Napoli 1884-1962), pedagogista e docente universitario, autore di
Tito Lucrezio Caro e l'epicureismo campano, Napoli, Accademia Pontaniana,
1935. Lucrezio in Enciclopedia Italiana
Lucrezio: informazioni biografiche ibidem La natura delle
cose, Milano, Rizzoli, 1990, 62-85. Eneide, libro VI. La natura delle cose, cit. supra81. Lucrezio, La natura delle cose, vv. 101-106
cit., 81-85. La natura delle cose, cit. supra77. Il
De rerum natura di Lucrezio Introduzione a Lucrezio accesso=21
dicembre , su
www2.classics.unibo.it. Memmio su Enciclopedia Italiana Lo stile di
Lucrezio C. Craca, Le possibilità della
poesia. Lucrezio e la madre frigia in «De rerum natura» II 598-660, Bari,
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Bignone, Laterza 198445. Ibid.53. Lucrezio, La natura delle cose, Biagio Conte,
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cit. supra271. De rerum natura, III,
329-336 Diego Fusaro , Tito Lucrezio Caro, su filosofico.net. 21 dicembre
. De rerum natura, V, 784-859. Torquato Tasso segue Lucrezio
stilisticamente, non ideologicamente: vedasi la famosa similitudine del proemio
del libro IV (vv. 11-17) ripresa nel proemio della Gerusalemme liberata (I,
21-24). La natura delle cose, cit.
supra, 255-257. De rerum natura, III, vv. 130-146 Mario Pazzaglia, Antologia della letteratura
italiana. Lucrezio,
introduzione Edizioni De rerum natura, (Brixiae), Thoma Fer(r)ando
auctore, s.d. [ma 1473] (editio princeps) [De rerum natura] libri sex nuper
emendati, Venetiis, apud Aldum, 1500 (prima edizione aldina). In Carum
Lucretium poetam commentarij a Joanne Baptista Pio editi, Bononiae, in
ergasterio Hieronymi Baptistae de Benedictis, 1511 (prima edizione commentata).
De rerum natura libri sex a Dionysio Lambino emendati atque restituti &
commentariis illustrati, Parisiis, in Gulielmi Rovillij aedibus, 1563 (prima
edizione lambiniana). De rerum natura libri VI, Patavii, excudebat Josephus
Cominus, 1721 (prima edizione cominiana). De rerum natura libri sex, Revisione
del testo, commento e studi introduttivi di Carlo Giussani, 4 voll., Torino, E.
Loescher, 1896-98 (importante edizione critica, tuttora fondamentale). De rerum
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Napoli, Bibliopolis, 2002-09. Traduzioni italiane Della natura delle cose libri
sei tradotti da Alessandro Marchetti, Londra, per G. Pickard, 1717 (prima
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1969. La natura delle cose, Introduzione di Gian Biagio Conte, Traduzione di Luca
Canali, Testo latino e commento Ivano Dionigi, Milano, Rizzoli, 1990. La
natura, Introduzione, testo criticamente riveduto, traduzione e commento di
Francesco Giancotti, Milano, Garzanti, 1994 (Per la specifica sul De rerum natura si rimanda a
tale voce) V.E. Alfieri, Lucrezio, Firenze, Le Monnier, 1929. A.
Bartalucci, Lucrezio e la retorica, in: Studi classici in onore di Quintino
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1978. G. Bonelli, I motivi profondi della poesia lucreziana, Bruxelles,
Latomus, 1984. P. Boyancé, Lucrezio e l'epicureismo, Edizione italiana Alberto
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lucreziana tra topos e osservazione realistica, Bologna, Patron, . Luca Canali,
Lucrezio poeta della ragione, Roma, Editori Riuniti, 1963, IT\ICCU\SBL\0146228. Luciano Canfora, Vita di
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l'epicureismo campano, Seconda edizione con due nuovi capitoli, Napoli,
Accademia Pontaniana, 1935. A. Gerlo, Pseudo-Lucretius?, in: «L'Antiquité
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Lucrezio poeta epicureo. Rettificazioni, Roma, G. Bardi, 1961. F. Giancotti,
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la riscoperta di un libro perduto cambiò la storia della cultura europea,
traduzione di Roberta Zuppet, Milano, Rizzoli, , 1. H. Jones, La tradizione epicurea, Genova,
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carmine contineantur, Neapoli, A. Loffredo, [1963]. L. Perelli, Lucrezio poeta
dell'angoscia, Firenze, La Nuova Italia, 1969. L. Perelli , Lucrezio. Letture
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Bologna, Il Mulino, 1981. R. ScarciaE. ParatoreG. D'Anna, Ricerche di biografia
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88-304-1287-2. E. Cetrangolo, Lucrezio. Tragedia, Roma, Edizioni della Cometa,
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Piergiorgio Odifreddi, Come stanno le cose. Il mio Lucrezio, la mia Venere,
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Ratisbona. Opere di Tito Lucrezio Caro,
su Liber Liber. Opere di Tito Lucrezio
Caro, su Musisque Deoque. Opere di Tito
Lucrezio Caro, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Opere di Tito Lucrezio Caro / Tito Lucrezio
Caro (altra versione) / Tito Lucrezio Caro (altra versione) / Tito Lucrezio
Caro (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Tito
Lucrezio Caro, . Audiolibri di Tito Lucrezio Caro, su LibriVox. di Tito Lucrezio Caro, su Internet
Speculative Fiction Database, Al von Ruff. Tito Lucrezio Caro, su
Goodreads. De Rerum Natura: testo con
concordanze e liste di frequenza, su intratext.com.David Sedley, Lucretius, in
Edward N. Zalta , Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of
Language and Information (CSLI), Stanford.Lucretius. Une bibliographie
introductive au livre 3 du De rerum natura, su bsa.univ-lille3.fr. Intervista a
Luca Canali su passioni e razionalità in Lucrezio, dall'Enciclopedia
multimediale delle scienze filosofiche, su conoscenza.rai.it. Analisi critica
del pensiero di Lucrezio, su lucrezio.exactpages.com. V D M EpicureismoFilosofia
Letteratura Letteratura Categorie: Poeti
romaniFilosofi romani 15 ottobre RomaTito Lucrezio CaroAtomistiEpicureiFilosofi
ateiLucretiiStoria dell'evoluzionismoPre-esistenzialistiPersonalità
dell'ateismo. Refs.: Lucretius, in The Stanford Encyclopaedia, Luigi Speranza, "Grice, Lucrezio, e la natura
delle cose," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia.
Luporini: Cesare Luporini
(Ferrara), filosofo. Nei primi anni trenta si recò prima a Friburgo, dove
frequentò attivamente le lezioni di Martin Heidegger, e poi a Berlino, dove
poté seguire le lezioni di Nicolai Hartmann. Si laureò successivamente a
Firenze. Ha insegnato storia della filosofia nelle Cagliari, Pisa e Firenze.
Dopo un iniziale interesse per l'esistenzialismo, aderì al marxismo,
iscrivendosi al Partito Comunista Italiano, per il quale fu eletto senatore
nella terza legislatura (1958-1963). Tra le altre iniziative parlamentari, fu
cofirmatario, insieme ad Ambrogio Donini, di un progetto di legge (n. 359) del
21 gennaio 1959, per un'organica e progressista riforma della scuola, dal
titolo "Istituzione della scuola obbligatoria statale dai 6 ai 14
anni", considerata passaggio improrogabile per la democratizzazione della
vita civile. Con Ranuccio Bianchi Bandinelli, Romano Bilenchi e Marta Chiesi fu
tra i fondatori della rivista Società.
Collaborò, dagli anni sessanta in poi, ai periodici politico-culturali
del PCI, Il Contemporaneo, Rinascita, Critica marxista. Durante il dibattito
che, a seguito degli eventi del 1989, portò alla trasformazione del PCI in PDS,
si schierò decisamente contro la "svolta" di Occhetto, aderendo alla
mozione "due" di opposizione interna, in un'orgogliosa difesa e per
un rilancio della prospettiva e degli ideali comunisti. Deceduto nel 1993, i
suoi resti riposano nella cappella di famiglia al cimitero delle Porte Sante di
Firenze. La filosofia marxista Il
marxismo di Luporini è fondato su una critica radicale allo storicismo, sul
rifiuto di ogni concezione finalistica dello sviluppo storico: il comunismo,
quello marxista in particolare, non è assimilabile con la tematica tipicamente
storicista del progresso come traccia dell'evoluzione umana. Egli rifiuta
letture dogmatiche del marxismo e le sue deteriori forme di economicismo e
meccanicismo, ma, pur apprezzando lo strutturalismo di Althusser con cui cercò
di far dialogare tutto il marxismo italiano, non ne condivideva
l'anti-umanismo, in quanto il pensiero di Marx conservava per lui un profondo
umanesimo, anche negli scritti successivi alla "rottura epistemologica"
del 1845, in cui le strutture, cioè i modelli interpretativi della società, non
sono astratti ma in funzione degli individui concreti, umani. Nello stesso ambito marxista, tra i suoi
obiettivi polemici vi furono quelle posizioni che proponevano una
interpretazione di radicale discontinuità tra Karl Marx e Georg Hegel, cioè
quelle di Galvano Della Volpe e della sua scuola. Centrale è infatti per
Luporini la nozione di contraddizione, la marxiana "oggettività
reale", che lo pone comunque in relazione con Hegel. Il pensiero di Marx
deve essere considerato una concezione aperta e complessa, dove materialismo e
dialettica compongono una sintesi mai totalizzante (da qui il suo interesse
profondo per l'elaborazione di Antonio Gramsci) e parte fondamentale di una più
generale teoria dei condizionamenti umani.
Fondamentale è, per Luporini, il concetto di formazione
economico-sociale, espressione già utilizzata da Emilio Sereni, ma in senso
storicistico e cioè la possibilità per il marxismo di costituire modelli per
l'analisi degli specifici modi di produzione delle società capitaliste, nonché
per la previsione scientifica delle sue varie forme. La legge generale delle
formazioni economico-sociali è tratta dall’Introduzione del 1857 ai Lineamenti
fondamentali di critica dell'economia politica di Marx. La struttura economica
va indagata secondo logica scientifica e bisogna stabilire un "criterio
oggettivo", il momento dominante che condiziona tutti gli altri assetti
produttivi. L'approccio storico-genetico
non è un "continuum" evoluzionistico come nella tradizione
storicistica, è la fase dell'osservazione e descrizione empirica del fenomeno
dalla sua origine ed è secondario rispetto all'approccio genetico-formale, cioè
all'indagine che permette di stabilire la categoria dominante di una
determinata fase storica della produzione. Il modello de Il Capitale può dunque
aspirare all'universalità, ma anche alla flessibilità di applicazione. La
formalizzazione di un “modello” attraverso il metodo genetico, individua anche
il processo per cui i rapporti di produzione si riflettono in qualcos’altro, la
coscienza dei singoli, le relazioni intersoggettive e le radici stesse della
vita morale. È palese così il contrasto di Luporini ad ogni disegno
provvidenzialista e di ‘filosofia della storia’, e anche in questo si rende
chiaro il rapporto dialettico-oppositivo tra Hegel e Marx. Per quanto riguarda
Leopardi, secondo Luporini, la sua poesia non è permeata solo di pessimismo, ma
ci invita anch'essa alla resistenza attiva. La formazione filosofico-umanistica
del poeta infatti, illuminista e materialista, permette di leggere ad esempio,
nelle "magnifiche sorti e progressive" de "La Ginestra",
una possibilità di rinnovamento politico-sociale non in antitesi con la
concezione della 'natura matrigna', un compito storico degli esseri umani
altrimenti o comunque destill'infelicità esistenziale. Scritti Fino al 1979 esiste una completa e
accurata degli scritti di Luporini
Patrizia Guarnieri pubblicata in appendice a
Filosofia e politica: scritti dedicati a Cesare Luporini, Firenze, La
Nuova Italia, 1981, 419-456. Una completa e aggiornata, L. Fonnesu, è stata
pubblicata nel numero speciale dedicato a Luporini dalla rivista "Il
Ponte" in occasione del centenario della nascita: Cesare Luporini,
1909-1993. Firenze, Il Ponte Editore, Il Ponte, N.11, (2009) (cfr. 249-289).
Oltre agli studi sulla storia del pensiero moderno e a un'elaborazione
teorica del marxismo incentrata sui temi etici, si ricordano, fra le sue opere
principali: Situazione e libertà
nell'esistenza umana, Firenze, Le Monnier (1942), e II edizione, modificata e
aumentata, Firenze, Sansoni, (1945); terza edizione in C. Luporini, Situazione
e libertà nell'esistenza umana e altri scritti, Roma, Editori Riuniti, 1993. Filosofi
vecchi e nuovi, Firenze, Sansoni, (1947) Spazio e materia in Kant, Firenze,
Sansoni, (1961) Introduzione a K. Marx-F. Engels, L'ideologia tedesca, Editori
Riuniti, Roma, (1967) Dialettica e materialismo, Roma, Editori Riuniti, (1974).
Contiene oltre ad un'importante Introduzione (pagg.VII-LXVII), uno scritto
inedito del 1962 dal titolo Marxismo e soggettività (pagg.111-151) Il marxismo
e la cultura italiana del Novecento, in Storia d'Italia, V, I documenti,
Einaudi, (1975) Una raccolta di scritti in lingua spagnola sul concetto di
"formazione economico-sociale" in Marx sta in Cesare Luporini-Emilio
Sereni, El Concepto de Formación Económico Social, Cuadernos de Pasado y
Presente, 39, Ver Curiosidades, 1973 Un'incidenza notevolissima ebbe sugli
studi leopardiani il suo saggio Leopardi progressivo (1947). Riconoscimenti Nel 1954 Luporini è stato
insignito di un premio minore nell'ambito del Premio Viareggio Note
Sulle lezioni di Heidegger e Hartmann seguite da Luporini, vedi
l'aneddoto raccontato dal suo allievo Sergio Landucci in Antonio Gnoli,
Intervista a Sergio Landucci, "Repubblica", 18 febbraio E.Sereni, Da Marx a Lenin: la categoria di
"formazione economico-sociale", Quaderni di Critica marxista, nr.4,
1970, pag.2973. C.Luporini, Realtà e
storicità: economia e dialettica nel marxismo, in Critica marxista, IV, nr.1,
1966, 56-109 C.Luporini, Per l'interpretazione della
categoria 'formazione economico-sociale', in Critica marxista, 1977, XV,
3, 3-26.
C.Luporini, Le “radici” della vita morale, in Morale e società, Ed.Riuniti, Roma, 1966,
pag.58. vedi il saggio di S.Lanfranchi,
Dal Leopardi ottimista della critica fascista al Leopardi progressivo della
critica marxista, Laboratoire italien, 12/, anche in
laboratoireitalien.revues.org/662 Premio
letterario Viareggio-Rèpaci, su premioletterarioviareggiorepaci.it. 9 agosto .
Saggi critici su Luporini Eugenio Garin, Esistenza e libertà, in Critica
marxista, nr.6, 1986, pagg.5-14. Giorgio Mele, Esistenzialismo e significato
della libertà in Cesare Luporini, in Critica Marxista, nr.6, 1986,pagg.105-130.
Aldo Zanardo, Un orizzonte filosofico materialistico, in Critica marxista,
nr.6, 1986, pagg.15-42. Claudio La Rocca, Esistenzialismo e nichilismo.
Luporini e Michelstaedter, «Belfagor», LIV, n. 5, 30 settembre 1999, 521-538. Roberto Mapelli, Cesare Luporini e
il suo pensiero, con la prefazione di Fulvio Papi, Milano, ed. Punto Rosso,
2008. Cesare Luporini, 1909-1993. Firenze, Il Ponte Editore, Il Ponte, N.11,
(2009). Convegni Quarant'anni di
filosofia in Italia. La ricerca di Cesare Luporini, numero monografico di
"Critica marxista", 1986, n.6. Il fascicolo contiene gli atti delle
due "giornate di studio" sull'opera di Cesare Luporini organizzate
dalla Facoltà di Lettere e filosofia dell'Firenze e dalla fondazione Gramsci di
Roma, svoltesi a Firenze il 10 e 11 ottobre 1986. Il pensiero di Cesare Luporini,
Feltrinelli,1996. Nella loro maggior parte i contributi riprendono gli
interventi al Convegno promosso dall'Firenze e organizzato dal Dipartimento di
Filosofia, svoltosi a Firenze il 13 e 14 maggio 1994. Cesare Luporini, su Treccani.itEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Cesare Luporini, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Cesare Luporini, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Cesare
Luporini, . Pubblicazioni di Cesare
Luporini, su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et
de l'Innovation. Cesare Luporini, su
senato.it, Senato della Repubblica. Sito
web italiano per la filosofia -- Swifrassegna Cesare Luporini, su
swif.uniba.it. 15 gennaio 13 novembre ).
Cesare LuporiniBiblioteche dei Filosofi (SNS), su picus.unica.it. L'ultima
lezione di Cesare Luporini (una grande avventura intellettuale attraverso il
Novecento), su hyperpolis.it su Academia.edu.
Liceo -- lycæum: il peripato al liceo nel
lycobetto -- an extensive sanctuary of Apollo just east off Athens (“so my
“Athenian dialectic” has to be taken with a pinch of salt!”) -- the site of
public athletic (or gymnastic) facilities where Aristotle teaches, a center for
philosophy and systematic research in science and history organized there by
Aristotle and his associates; it begins as an informal play group, lacking any
legal status until Theophrastus, Aristotle’s colleague and principal heir,
acquires land and buildings there. By a principle of metonymy common in
philosophy (cf. ‘Academy’, ‘Oxford’, ‘Vienna’),‘Lycæum’ comes to refer
collectively to members of the school and their methods and ideas, although the
school remained relatively non-doctrinaire. Another ancient label for adherents
of the school and their ideas, apparently derived from Aristotle’s habit of
lecturing in a portico (peripatos) at the Lycæum, is ‘Peripatetic’. The school
had its heyday in its first decades, when members include Eudemus, author of
lost histories of mathematics; Aristoxenus, a prolific writer, principally on
music (large parts of two treatises survive); Dicaearchus, a polymath who
ranged from ethics and politics to psychology and geography; Meno, who compiled
a history of medicine; and Demetrius of Phaleron, a dashing intellect who
writes extensively and ruled Athens on behalf of dynasts. Under Theophrastus
and his successor Strato, the Lycæum produces
original work, especially in natural science. But by the midthird century B.C.,
the Lycæum had lost its initial vigor. To judge from meager evidence, it
offered sound education but few new ideas. Some members enjoyed political
influence, but for nearly two centuries, rigorous theorizing is displaced by
intellectual history and popular moralizing. In the first century B.C., the
school enjoyed a modest renaissance when Andronicus oversaw the first
methodical edition of Aristotle’s works and began the exegetical tradition that
culminated in the monumental commentaries of Alexander of Aphrodisias. Refs.:
H. P. Grice, “Oxonian dialectic and Athenian dialectic.”
Luzzago: Alessandro Luzzago (Brescia),
filosofo. Nato da Girolamo e da Paola Peschiera, in una delle più importanti
famiglie del patriziato cittadino i Luzzago. Fin da bambino fu educato alla
pratica devota e all'apostolato. Nel
convento di S.Antonio dei gesuiti dal 1570 si impegnò in un corso di filosofia.
Proprio in quel luogo dibatté in pubblico 737 argomenti filosofici. Fra il 1578
e il 1582, con l'aiuto del cardinale Carlo Borromeo, partecipò a Milano ai
corsi di teologia dei gesuiti di Brera. Soltanto nel 1586 si laureò a Padova in
filosofia e teologia. Luzzago era
desideroso di entrare a far parte della Compagnia di Gesù, ma le difficoltà
economiche della famiglia, causate da alcune transazioni inopportune del padre,
glielo impedirono. Nel 1595 fu nominato
conservatore dei Monti di Pietà, mentre nel 1597 fu eletto protettore della
Compagnia delle Dimesse di S. Orsola e di altri due istituti caritativi
bresciani: il Soccorso e le Zitelle. Riorganizzò e diede nuovo impulso,
inoltre, a un'altra istituzione sorta dopo il Concilio di Trento: la Scuola
della dottrina cristiana. Per gli studenti fondò la Congregazione di S.
Caterina da Siena. Per far sì che il suo operato continuasse, fondò la
Congregazione dello Spirito Santo, che raccolse i membri della classe dirigente
cittadina con l'obiettivo di cooperare più efficacemente e concordemente al sostegno
di tutte le buone istituzioni e mantenere un clima di concordia; infatti
Luzzago intercedeva per la conciliazione delle famiglie nobili bresciane spesso
in conflitto. La sua indole caritativa
emerse soprattutto quando, dal 1584, venne a far parte del Consiglio della
città, dove seppe armonizzare le strutture governative ed organismi canonici.
Nelle opere scritte dal Luzzago vi sono indicazioni per i cavalieri di Malta,
sulla carità, ispirati al modello della Compagnia di Gesù. Durante il suo viaggio
a Roma esaminò le strutture di beneficenza per poi proporle a Brescia. In
quest'occasione ebbe la possibilità di conoscere Filippo Neri. In un'epistola
del segretario del cardinale Gianfrancesco Morosini, risalente al 1595, Luzzago
venne informato che il papa, Clemente VIII, aveva preso in considerazione il
suo nome per la carica di arcivescovo di Milano. Luzzago morì il 7 maggio 1602 e fu sepolto
nella chiesa di S. Barnaba a Brescia. Nel 1878 le spoglie furono trasferite
nella chiesa di S. Maria della Pace, ove ancora riposano. Il culto Nel 1751 fu avviata presso la
Congregazione dei riti la causa di beatificazione del Luzzago. Nel 1899 Leone
XIII, riconosciute le sue virtù eroiche, gli conferì il titolo di venerabile. Note
Fonte: M. Rinaldi, Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in
. Antonio Cottinelli, Vita del
venerabile Alessandro Luzzago patrizio bresciano: dedicata ai comitati
parrocchiali, Tipografia e libreria Salesiana, 1883. Antonio Cistellini,
Alessandro Luzzago. Il movimento cattolico a Brescia, Morcelliana, 1998.
Antonio Fappani, Enciclopedia bresciana, Opera San Francesco di Sales, 2007.
Marco Rinaldi, «LUZZAGO, Alessandro», in Dizionario Biografico degli Italiani,
Volume 66, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2007. Simona Negruzzo,
L'allievo santo. Marcantonio Roccio precettore di Alessandro Luzzago, in
«Annali di Storia dell'Educazione e delle Istituzioni Scolastiche», 20, , 55–66. Simona Negruzzo, Dalla scuola dell'ajo
al collegio dei gesuiti: il caso del bresciano Alessandro Luzzago, in Dalla
virtù al precetto. L'educazione del gentiluomo tra '500 e '700, Brescia,
Fondazione Civiltà Bresciana, ,
39–69. Alessandro Luzzago, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Luzzato: Mosè Chaim
Luzzatto (detto il Ramchal)affresco ad Acri, Israele Mosè Luzzatto (in ebraico משה
חיים לוצאטו, Moshe Chaim Luzzatto, ma il nome si trova scritto anche come Moses
Chaim o Moses Hayyim), conosciuto anche con l'acronimo ebraico di RaMCHaL (o
RaMHaL, רמח"ל), (Padova), filosofo. La sua eredità è associata ai suoi
scritti sullo Zohar, anche se viene dai più ricordato per l'aspetto etico del
suo insegnamento, in particolare attraverso il trattato Mesillat Yesharim
("Il cammino dei giusti"). Nato nel ghetto di Padova, ricevette
un'educazione classica, sia ebraica che italiana, mostrando sin da giovanissimo
una predilezione per la letteratura. Egli potrebbe aver frequentato l'Padova e
certamente faceva parte di un gruppo di studenti che notoriamente si interessava
di misticismo e alchimia. Con la sua vasta conoscenza di studi religiosi, arti
e scienze divenne rapidamente la figura dominante di quel gruppo. I suoi
scritti dimostrano padronanza del Tanakh, del Talmud, dei commentari rabbinici
e dei codici della legge ebraica. Scrisse da ragazzo il dramma allegorico
Sansone e i filistei. Il punto di svolta nella sua vita avvenne all'età
di venti anni quando affermò di aver ricevuto istruzioni direttamente da un
essere mistico conosciuto come il magghid. Storie simili non erano estranee ai
circoli cabalistici ma non se n'era mai sentito parlare da qualcuno in così
giovane età. I suoi colleghi erano affascinati dai riassunti scritti di queste
divine lezioni, ma le autorità superiori dei rabbini veneziani erano molto
scettiche e minacciarono di scomunicarlo. Questi scritti (o dettati), dei
quali solo una piccola parte è sopravvissuta, descrivono la convinzione di
Luzzatto secondo la quale lui e i suoi seguaci rappresentassero figure chiave
nel dramma messianico che stava per iniziare. Identificando uno dei suoi
seguaci come il Messia figlio di Davide, assunse per se stesso il ruolo di Mosè
affermando che egli era la sua reincarnazione. Secondo Luzzatto Mosè era
collocato al di sopra del Messia ed era il vero catalizzatore per la
Redenzione. Minacciato di scomunica e dopo molte discussioni, Luzzatto
alla fine giurò di non trascrivere più le lezioni del magghid, né di insegnare
il misticismo. Nel 1735 Luzzatto lasciò l'Italia per Amsterdam, credendo che in
un ambiente più liberale sarebbe stato in grado di proseguire i suoi studi.
Passando dalla Germania fece appello alle locali autorità rabbiniche perché lo
proteggessero dalle minacce dei rabbini italiani. Questi rifiutarono,
costringendolo a firmare un documento in cui affermava che tutti gli
insegnamenti del magghid erano falsi. Quasi tutti i suoi scritti furono
bruciati e solo alcuni sopravvissero. Dagli scritti sullo Zohar, nel 1958,
riapparvero i 70 Tiqqunim Hadashim, inaspettatamente conservati nella
Biblioteca Bodleiana di Oxford. Questi Tikounim sono
"arrangiamenti" di pensieri ed espongono 70 diversi ed essenziali
modi per utilizzare l'ultimo verso del Chumash (Pentateuco). Insegnati parola
per parola in aramaico dal magghid del Ramchal, questi affiancano i 70 Tikouney
haZohar del Rashbi, i quali espongono le 70 fondamentali interpretazioni del
primo verso del Chumash. Amsterdam Quando finalmente Luzzatto raggiunse
Amsterdam fu in grado di continuare i suoi studi di Kabbalah relativamente
senza ostacoli. Guadagnandosi da vivere come tagliatore di diamanti, egli
continuò a scrivere ma si rifiutò di insegnare. È in questo periodo che scrisse
la sua grande opera, la Mesillat Yesharim (1740), essenzialmente un trattato
etico con un sottofondo mistico. Il libro, in 26 capitoli, rappresenta un
percorso, passo dopo passo, tramite il quale ogni persona ebrea può superare
l'inclinazione al peccato e raggiungere la santità. Redatto in un linguaggio
rabbinico molto distinto dai suoi precedenti scritti, è possibile che sia
stato scritto per trovare il legittimo riconoscimento all'interno della locale
comunità ebraica. Un altro eminente lavoro, Derekh ha-Shem ("La via
di Dio"), è un testo filosofico sullo scopo di Dio nella Creazione, nella
giustizia e nell'etica e sulle finalità della vita umana. Gli stessi argomenti
si ritrovano anche in un'opera più concisa, il Maamar Haikarim
("L'articolo sui princìpi") che come il Mesillat Yesharim è stato
recentemente tradotto in italiano. Ambedue le traduzioni sono disponibili in
rete. Il dialogo, definito socratico, Da'at Tevunoth ("La conoscenza
delle ragioni") fu scritto nella città olandese quale anello mancante tra
razionalità e Cabala, come una conversazione tra l'intelletto e l'anima che
riprese la logica della struttura dei dibattiti talmudici come mezzo per capire
e accettare il mondo che ci circonda. Uno fra i principali rabbini suoi
contemporanei, che ammirava gli scritti di Luzzatto, fu Eliyahu di Vilna, il
Gaon di Vilna (1720-1797), che era considerato il più autorevole saggio della
Torah dell'era moderna così come grande cabalista. Egli fu noto per aver detto,
dopo aver letto il Mesillat Yesharim che, se Luzzatto fosse stato ancora in
vita, avrebbe camminato da Vilna per raggiungerlo e imparare prostrandosi ai
suoi piedi. Vilna non è vicina all'Italia, separata da una distanza di circa
2050 km. Egli affermò che, letta l'opera, i primi otto capitoli non contenevano
una parola superflua. Anche Dov Ber di Mezeritch lodò il "Chassid di
Padova" e mise i suoi lavori tra quelli chassidici. Luzzatto scrisse
anche poesie e drammi molti dei quali laici (anche se molti studiosi
identificano anche in questi lavori toni mistici). I suoi scritti sono
influenzati fortemente dai poeti ebraici spagnoli e da autori italiani
contemporanei. Il cantore della sinagoga sefardita di Amsterdam, Abraham
Caceres, collaborò con Luzzatto per mettere in musica diverse sue poesie.
Acri Lapide tombaria (Tziyun) del Ramhal a Tiberiade, Israele Frustrato
dall'impossibilità di insegnare la Cabala ebraica, Luzzatto lasciò Amsterdam
per la Terra Santa nel 1743, stabilendosi a San Giovanni d'Acri. Tre anni dopo
(il 26 Iyar 5506) lui e la sua famiglia morirono di peste. Solo cento anni dopo
Luzzatto venne riscoperto dal Movimento Mussar, che adottò i suoi lavori etici.
Fu il grande etico della Torah, il rabbino Israel Salanter (1810-1883), a
mettere il Mesillat Yesharim al centro del Mussar (etico), il curriculum delle
principali Yeshivot dell'Europa orientale. Gli scrittori della Haskalah,
l'Illuminismo ebraico, per i suoi scritti laici lo dichiararono fondatore della
moderna letteratura ebraica. Anche suo cugino, il poeta Ephraim Luzzatto
(1729–1792), esercitò una notevole influenza sugli albori della moderna poesia
ebraica.) Sebbene sia stato stabilito dagli studiosi che la sua tomba si
trova a Kfar Yassif, il posto della sua sepoltura è tradizionalmente collocato
vicino al saggio del Talmud rabbino Akiva di Tiberiade, nel nord di
Israele. La sinagoga che egli costruì, e nella quale pregò, fu rasa la suolo
dal governante beduino della città, Daher el-Omar, nel 1758, che ci costruì
sopra una moschea. Al suo posto gli ebrei di Acri ricevettero una piccola
costruzione al nord della moschea che funziona tuttora come sinagoga e porta il
nome del Ramchal; durante gli ultimi anni la sinagoga è stata restaurata ed è
stata aperta al vasto pubblico. Nel 2007 sono stati celebrati i 300 anni
dalla sua nascita. Opere Queste, probabilmente, sono le maggiori opere di
Luzzatto: Ma'aseh Shimshon ("La storia di Sansone"); Lashon
Limudim ("Una lingua per insegnare"); Migdal Oz ("Una Torre di
Forza"); Zohar Kohelet ("Lo Zohar al Libro di Ecclesiaste");
Shivim Tikikunim ("Settanta Tikkunim"): in parallelo con i settanta
Tikkunei Zohar; Zohar Tinyanah ("Un secondo Zohar"): non esiste più;
Klallot Haillan o Klalut Hailan ("Gli elementi principali dell'Albero
[della Vita]"): sinopsi dell'opera cabalistica basilare dell'ARI; Ma'amar
Hashem ("Un discorso su Dio"); Ma'amar HaMerkava ("Un discorso
sul Carro"); Ma'amer Shem Mem-Bet ("Un discorso sulle 42 lettere del
Nome [di Dio]"); Ma'amar HaDin ("Un discorso sul Giudizio
[Divino]"); Ma'amar HaChochma o Maamar Ha'hokhma ("Un discorso sulla
Saggezza"): si concentra su Rosh haShana, Yom Kippur e Pesach da una prospettiva
cabalistica; Ma'amar HaGeulah ("Un discorso sulla Redenzione" o
"La Grande Redenzione"); Ma'amar HaNevuah ("Un discorso sulla
Profezia"); Mishkanei Elyon o Mishkane 'Elyon ("Torri
Esaltate"): un'interpretazione cabalstica del Tempio Santo con
un'illustrazione della dimensioni del Terzo Tempio; Ain Yisrael ("Il Pozzo
d'Israele"); Ain Yaakov ("Il Pozzo di Giacobbe"); Milchamot
Hashem ("Le Guerre di Dio"): che difende la Cabala ebraica contro i
suoi detrattori; Kinnaot Hashem Tzivakot o Kinat H' Tsevaot ("Difese
ardenti per il Signore degli Eserciti"): offre particolari sulla
redenzione e sul Messia; Adir Bamarom ("[Dio è] Potente nell'Alto"),
commentario della Iddrah Rabbah ("La Grande Camera della
Trebbiatura"): sezione dello Zohar; Iggrot Pitchei Chochma v'Da'at o Klale
Pit'he 'Hokhma Veda'at ("Lettere [che servono] come Introduzione alla
Saggezza e alla Conoscenza"): spiega certi principi eruditi della fede
ebraica secondo la Cabala; Sefer Daniel ("Il Libro di Daniele"):
commentario esoterico di questa opera biblica; Tiktu Tephilot ("515
Preghiere"): si focalizza sulle preghiere per la rivelazione della
sovranità di Dio; Kitzur Kavvanot ("Intenzioni abbreviate"): permette
al lettore di avere una panoramica delle preghiere e intendimenti dell'ARI;
Ma'amar HaVechuach ("Discorso [che serve come] argomento"): mette a
confronto un cabalista con un razionalista, ognuno che cerca di difendere il
proprio punto di vista; Klach Pitchei Chochma o Kala'h Pitkhe 'Hokhma
("138 introduzioni alla Saggezza"): una delle opere più importanti
del Ramchal, poiché espone il suo pensiero sulla natura simbolica degli scritti
dell'ARI e delle rispettive spiegazioni del Ramchal; Areichat Klallot HaEilan
("Dizionario dei Principali Elementi dell'Albero [della Vita]");
Klallim ("Elementi Principali"): serie di brevi presentazioni sui
maggiori principi dei sistemi cabalistici; Da'at Tevunot o Da'ath Tevunoth
("Il Cuore conosce" o "Sapere le ragioni"): opera che
spiega la dualità del positivo e negativo che esiste a tutti i livelli della realtà,
affermando che questa è la base per cui Dio "mostra il Suo Volto o Lo
occulta" all'umanità, e la doppia esistenza del bene e del male; Peirush
al Midrash Rabbah ("Commentario di Midrash Rabbah"): non tanto
cabalistico quanto simbolico; Derech Hashem o Derekh Hashem ("La Via di
Dio"): una delle sue opere più rinomate. Un'esposizione succinta delle
fondamenta della fede ebraica, che tratta anche degli obblighi dell'umanità su
questa terra e le sue relazioni con Dio; Ma'amar al HaAggadot ("Discorso
sull'Aggadah"): che spiega che la letteratura aggadica non è letterale ma
metaforica; Ma'amar HaIkkurim o Maamar Ha'ikarim ("Discorso sulle Cose
Fondamentali"): breve esposizione delle fondamenta della religione ebraica
simile a "La Via di Dio" e che concerne certe altre tematiche; Derech
Chochma o Sepher Derekh 'Hokhma ("La Via della Saggezza"): che serve
come dialogo tra un giovane e un saggio, con quest'ultimo che prepara un corso
sulla Torah che duri tutta la vita e culmini con lo studio della Cabala;
Vichuach HaChocham V'HaChassid ("L'argomentazione tra il Saggio e il
Pio"): che è in verità la prima stesura di Messilat Yesharim recentemente
ritrovato; Messilat Yesharim o Mesilat Yesharim ("Il Percorso del
Giusto"): la sua opera più famosa che permette ai lettori di arricchirsi gradualmente
in devozionescritto quando aveva 33 anni (nel 1740); Sefer HaDikduk ("Il
Libro della Grammatica"); Sefer HaHigayon ("Il Libro della
Logica"): espone il giusto modo di pensare e analizzare; Ma'amar al
HaDrasha ("Un discorso sulle Omelie"): incoraggia lo studio di
Cabala e Mussar; Sefer Hamalitza ("Il Libro dello Stile"): offre
l'arte di scrivere accuratamente e di esprimersi correttamente; Derech Tevunot
("La Via della Comprensione"): spiega il modo di pensare talmudico;
LaYesharim Tehilla ("Sia lode al Giusto"): un'opera drammatica.
Note Yirmeyahu Bindman , Rabbi Moshe Chaim Luzzatto: His Life and Works,
Jason Aronson Inc., 1995. Solamente nel
secolo precedente un altro giovane mistico, Sabbatai Zevi (m.1676) aveva scosso
il mondo ebraico affermando di essere il Messia. Anche se a un certo punto Zevi
aveva convinto quasi tutti i rabbini europei e medio-orientali della sua
affermazione, l'episodio si concluse con la sua ritrattazione e successiva
conversione all'Islam. L'intera comunità ebraica si stava appena riprendendo da
quell'episodio, così le similitudini tra gli scritti di Luzzatto e quelli di
Zevi furono visti in maniera particolarmente pericolosa. Come scrive Gershom
Scholem: "The heated controversy about the revelations of Moses Hayyim Luzzatto
in Padua, which began in 1727, and the messianic tendencies of his group
engaged much attention in the following ten years. Although even in their
secret writings Luzzatto, Moses David Valle, and their companions repudiated
the claims of Shabbetai Zevi and his followers, they were without doubt deeply
influenced by some of the paradoxical teachings of Shabbatean Kabbalah,
especially those concerning the metaphysical prehistory of the Messiah's soul
in the realm of the kelippot. Luzzatto formulated these ideas in a manner which
removed the obviously heretical elements but still reflected, even in his
polemics against the Shabbateans, much of their spiritual universe. He even
tried to find a place for Shabbetai Zevi, though not a messianic one, in his scheme
of things." (articolo "SHABTAI ZVI (1626–1676)" in :
Encyclopaedia Judaica) "Rabbi Moses Hayyim Luzzatto", su Jewish
Virtual Library, IV paragrafo. 19/06/ Il libro è stato tradotto da Massimo Giuliani
presso le edizioni San Paolo, nel 2000.
88-215-4237-8 Tre tappe,
distribuite nel primi 12 capitoli, sono vigilanza (zehirut), dedizione
(zerizut) e innocenza (neqiut) per diventare giusto (zaddik) e, nei capitoli
successivi, altre sei tappe: ascesi (perishut), purezza (taharah), pietà
(chasidut), umiltà (ʿanavà), timore del peccato (jirat hachet) e santità
(qedushà) per raggiungere Dio e rettificare la Shekhinah. Secondo il suo impianto Dio ha creato il
mondo a servizio dell'uomo, il cui scopo è la comunione (devequt) con il suo
Creatore attraverso il compito di aggiustare e migliorare il mondo stesso. Tra
buona e cattiva inclinazione, ogni uomo svolge la sua battaglia per raggiungere
la via maestra. Sul sito. Jonathan Rietti, "Deepening one's
relationship with God" , serie di lezioni in formato audio, su Gateways
Online. Moshe Hayyim Luzzatto, The Way
of God (ebraico: Derech Hashem) (6ª ed. riveduta 1998), Gerusalemme, Feldheim
Publishers15, 978-0-87306-344-9 Google Maps, Maps.google.com, 1º gennaio
1970. 19 giugno . Questa formula è uno
dei maggiori pregi che un saggio può dire nel lodare un altro. Alfred Sendrey, The music of the Jews in the
Diaspora (up to 1800), 1971: "...Moses Hayyim Luzzatto, che visse ad
Amsterdam dal 1736 al 1743, scrisse le poesie e Abraham Caceres la
musica." Cfr. anche Journal of
synagogue music: 53 Cantors Assembly of America1974: "Nei testi delle
poesie composte per questa occasione dai rabbini di Amsterdam, Isaac Aboab da
Fonseca (vedi nota su Luzzatto... in seguito messe in musica da Abraham
Caceres, appare anche in questo importante manoscritto musicale, sul fol.
l5b-l6a..." Abraham J. Twerski,
Lights Along the Way: Timeless Lessons for Today from Rabbi Moshe Chaim
Luzzatto's Mesillas Yesharim, Mesorah Publications, 1995, Introd. e s.v.
"Poetry and literature".
"La Sinagoga del Ramchal", su I Segreti dell'Antica Acri Le informazioni bibliografiche provengono
principalmente da Ramchal, Torah.org. 19 giugno
10 maggio ). Moseh Chajijm
Luzzatto, Centotrentotto porte di sapienza [estratto], in Mistica ebraica, Giulio
Busi, Einaudi, Torino 1995, 591–624.
Moseh Chajijm Luzzatto, Il sentiero dei giusti, Massimo Giuliano, San Paolo,
Cinisello Balsamo 2000 8821542378
L'epistolario di Mošeh Ḥayyim Luzzatto, Natascia Danieli, Giuntina, Firenze
2006 8880572717 Moshe Chaim Luzzatto,
KLaCh Pischey Chokhmah. 138 Aperture di Saggezza, Providence University,
2007 9781897352236 Moshe Chaim Luzzatto,
Derech Ha-shem: La Via Di Dio, Providence University, 2007 978-1897352229 Moshè Chayìm Luzzatto,
Articolo sui principi: Amsterdam 1743, trad. di Ralph Anzarouth, Morashà,
Milano Gadi LuzzattoMauro Perani (edd.),
Ramhal. Pensiero ebraico e kabbalah tra Padova ed Eretz Israel, Esedra,
Padova Cabala lurianica Cinque Mondi
Ebraismo in Italia Letteratura mussar Shekhinah Storia degli ebrei in Italia
Tzimtzum Altri progetti Collabora a Wikibooks Wikibooks contiene testi o
manuali su Mosè Luzzatto Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons
contiene immagini o altri file su Mosè Luzzatto Mosè Luzzatto, su Enciclopedia
Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
Mosè Luzzatto, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Mosè Luzzatto, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Mosè Luzzatto, .
Biografia di Luzzatto, su jewishvirtuallibrary.org.Lezioni online sul RAMCHAL,
su torah.org.Estratti di Derech Etz Chaim del Ramchal, su
dafyomireview.com.Video di una lezione sul Ramhal di Dr. Henry Abramson V D M
Tree-of-Life Flower-of-Life Stage.svg Cabala ebraica Tree-of-Life
Flower-of-Life Stage.svg.
machiavelli: possibly Italy’s
greateset philosopher -- the Italian political theorist commonly considered the
most influential political thinker of the Renaissance. Born in Florence, he was
educated in the civic humanist tradition. He was secretary to the second
chancery of the republic of Florence, with responsibilities for foreign affairs
and the revival of the domestic civic militia. His duties involved numerous
diplomatic missions both in and outside Italy. With the fall of the republic,
he was dismissed by the returning Medici regime. He lived in enforced
retirement, relieved by writing and occasional appointment to minor posts.
Machaivelli’s writings fall into two genetically connected categories: chancery
writings (reports, memoranda, diplomatic writings) and essays, the chief among
them The Prince, the Discourses, the Art of War, Florentine Histories, and the
comic drama Mandragola. With Machiavelli a new vision emerges of politics as
autonomous activity leading to the creation of free and powerful states. This
vision derives its norms from what humans do rather than from what they ought
to do. As a result, the problem of evil arises as a central issue: the
political actor reserves the right “to enter into evil when necessitated.” The
requirement of classical, medieval, and civic humanist political philosophies
that politics must be practiced within the bounds of virtue is met by
redefining the meaning of virtue itself. Machiavellian virtù is the ability to
achieve “effective truth” regardless of moral, philosophical, and theological
restraints. He recognizes two limits on virtù: fortuna, understood as either chance or as a
goddess symbolizing the alleged causal powers of the heavenly bodies; and (the
agent’s own temperament, bodily humors, and the quality of the times. Thus, a
premodern astrological cosmology and the anthropology and cyclical theory of
history derived from it underlie his political philosophy. History is seen as
the conjoint product of human activity and the alleged activity of the heavens,
understood as the “general cause” of all human motions in the sublunar world.
There is no room here for the sovereignty of the Good, nor the ruling Mind, nor
Providence. Kingdoms, republics, and religions follow a naturalistic pattern of
birth, growth, and decline. But, depending on the outcome of the struggle
between virtù and fortuna, there is the possibility of political renewal; and
Machiavelli saw himself as the philosopher of political renewal. Historically,
Machiavelli’s philosophy came to be identified with Machiavellianism), the
doctrine that the reason of state recognizes no moral superior and that, in its
pursuit, everything is permitted. Although Machiavelli himself does not use the
phrase ‘reason of state’, his principles have been and continue to be invoked
in its defense. Niccolò di Bernardo dei Machiavelli
noto semplicemente come Niccolò Machiavelli (Firenze, 3 maggio 1469Firenze, 21
giugno 1527) è stato uno storico, filosofo, scrittore, drammaturgo, politico e
diplomatico italiano, secondo cancelliere della Repubblica Fiorentina dal 1498
al 1512. Niccolò Machiavelli (stampa primi Ottocento) Considerato,
come Leonardo da Vinci, un uomo universale, nonché figura controversa nella
Firenze dei Medici, è noto come il fondatore della scienza politica moderna, i
cui principi base emergono dalla sua opera più famosa, Il Principe, nella quale
è esposto il concetto di ragion di stato e la concezione ciclica della storia.
Questa definizione, secondo molti, descrive in maniera compiuta sia l'uomo sia
il letterato più del termine machiavellico, entrato peraltro nel linguaggio
corrente ad indicare un'intelligenza acuta e sottile, ma anche spregiudicata e,
proprio per questa connotazione negativa del termine, negli ambiti letterari
viene preferito il termine "machiavelliano". L'ortografia del
cognome è, purtroppo, ambigua: la versione "Macchiavelli", quella
della statua a lui dedicata agli Uffizi, in attesa di chiarimenti dell'Ufficio
Culturale del museo o dell'Accademia della Crusca, andrebbe considerata
ugualmente corretta in lingua italiana. L'analisi della firma del filosofo,
riportata qui accanto, farebbe propendere per la "c" singola[senza
fonte]. «Nacqui povero, ed imparai prima a stentare che a godere.»
(N. Machiavelli, Lettera a Francesco Vettori.) Niccolò Machiavelli (scritto
anche Macchiavelli sulla statua a lui dedicata all'ingresso degli Uffizi)
nacque a Firenze, terzo figlio, dopo le sorelle Primavera (1465) e Margherita
(1468) e prima del fratello Totto (1475-1522); figlio di Bernardo (1432-1500) e
di Bartolomea Nelli (1441-1496). Anticamente originari della Val di Pesa, i
Machiavelli sono attestati popolani guelfi residenti almeno dal XIII secolo a
Firenze, dove occuparono uffici pubblici ed esercitarono il commercio. Il padre
Bernardo era tuttavia di così poca fortuna da esser considerato, non si sa
quanto veritieramente, figlio illegittimo: dottore in legge, risparmiatore per
carattere o per necessità, ebbe interesse agli studi di umanità, come risulta
da un suo Libro di Ricordi che è anche la principale fonte di notizie
sull'infanzia di Niccolò. La madre, secondo un suo lontano pronipote, avrebbe
composto laude sacre, rimaste peraltro sconosciute, dedicate proprio al figlio
Niccolò. Nel 1476 Niccolò cominciò a studiare latino con un certo Matteo,
l'anno dopo si dedicava allo studio della grammatica con Battista da Poppi,
all'aritmetica nel 1480 e l'anno seguente affrontava le prove scritte di
componimento in latino. Opere in questa lingua esistevano nella biblioteca
paterna: la I Deca di Tito Livio e quelle di Flavio Biondo, opere di Cicerone,
Macrobio, Prisciano e Marco Giuniano Giustino. Adulto, maneggerà anche Lucrezio
e la Historia persecutionis vandalicae di Vittore Uticense. Non conobbe invece
il greco antico, ma poté leggere le traduzioni latine di alcuni degli storici
più importanti, soprattutto Tucidide, Polibio e Plutarco, da cui trasse
importantissimi spunti per la sua riflessione sulla Storia. S'interessò alla
politica anche prima di avere degli incarichi istituzionali, come dimostra una
sua lettera del 9 marzo 1498, la seconda che di lui ci è pervenutala prima è
una richiesta al cardinale Giovanni Lopez, del 2 dicembre 1497, affinché si
adoperi a riconoscere alla sua famiglia un terreno contestato dalla famiglia
dei Pazziindirizzata probabilmente all'amico Ricciardo Becchi, ambasciatore
fiorentino a Roma, nella quale egli si esprime in modo critico contro Girolamo
Savonarola. Due sono le fasi che scandiscono la vita di Niccolò
Machiavelli: nella prima parte della sua esistenza egli è impegnato soprattutto
negli affari pubblici; nella successiva nella scrittura di testi di portata
teorica e speculativa. A partire dal 1512 si apre la seconda fase segnata dal
forzato allontanamento dello storico e filosofo toscano dalla politica
attiva. «Della persona fu ben proporzionato, di mezzana statura, di
corporatura magro, eretto nel portamento con piglio ardito. I capelli ebbe
neri, la carnagione bianca ma pendente all'ulivigno; piccolo il capo, il volto
ossuto, la fronte alta. Gli occhi vividissimi e la bocca sottile, serrata,
parevano sempre un poco ghignare. Di lui più ritratti ci rimangono, di buona
fattura, ma soltanto Leonardo, col quale ebbe pur che fare ai suoi prosperi
giorni, avrebbe potuto ritradurre in pensiero, col disegno e i colori, quel
fine ambiguo sorriso» (Roberto Ridolfi, Vita di Niccolò
Machiavelli22) Caterina Sforza Riario, ritratta da Lorenzo di Credi.
Niccolò aveva già presentato al Consiglio dei Richiesti, il 18 febbraio 1498,
la propria candidatura a segretario della Seconda Cancelleria della Repubblica
fiorentina, ma gli fu preferito un candidato savonaroliano. Pochi giorni però
dopo la fine dell'avventura politica e religiosa del frate ferrarese, il 28
maggio Machiavelli fu nuovamente designato ed eletto il 15 giugno dal Consiglio
degli Ottanta, elezione ratificata dal Consiglio maggiore il 19 giugno 1498,
probabilmente grazie all'autorevole raccomandazione del Primo segretario della
Repubblica, Marcello Virgilio Adriani, che il Giovio asserisce essere stato suo
maestro. Per quanto i compiti delle due Cancellerie siano stati spesso
confusi, generalmente alla prima si attribuivano gli affari esterni, e alla
seconda quelli interni e la guerra: ma i compiti della seconda Cancelleria,
presto unificati con quelli della Cancelleria dei Dieci di libertà e pace,
consistevano nel tenere i rapporti con gli ambasciatori della Repubblica,
cosicché, essendogli stata affidata, il 14 luglio, anche questa ulteriore
responsabilità, Machiavelli finì per doversi occupare di una tale somma di
compiti da essere storicamente considerato, senza ulteriori distinzioni, il
«Segretario fiorentino». Era il tempo nel quale, conclusa l'avventura
italiana di Carlo VIII, la maggiore preoccupazione di Firenze era volta alla
riconquista di Pisaresasi indipendente dopo che Piero de' Medici l'aveva data
in pegno al re di Francia- e alleata di Venezia che, intendendo impedire
l'espansione fiorentina, aveva invaso il Casentino, occupandolo a nome dei
Medici. Il pericolo venne fronteggiato dal capitano di ventura Paolo Vitelli, e
la mediazione del duca di Ferrara Ercole I, il 6 aprile 1499, riconsegnò il
Casentino a Firenze, autorizzandola altresì a riprendersi Pisa. In marzo venne
inviato a Pontedera, dove erano acquartierate le milizie del signore di
Piombino, Jacopo d'Appiano, alleato di Firenze. In maggio scrisse il
Discorso della guerra di Pisa per il magistrato dei Dieci: poiché «Pisa bisogna
averla o per assedio o per fame o per espugnazione, con andare con artiglieria
alle mura», esaminate diverse soluzioni, si esprime favorevole a un assedio di
«un quaranta o cinquanta dì ed in questo mezzo trarne tutti gli uomini da
guerra potete, e non solamente cavarne chi vuole uscire, ma premiare chi non ne
volesse uscire, perché se ne esca. Dipoi, passato detto tempo, fare in un
subito quanti fanti si può; fare due batterie, e quanto altro è necessario per
accostarsi alle mura; dare libera licenza che se ne esca chiunque vuole, donne,
fanciulli, vecchi ed ognuno, perché ognuno a difenderla è buono; e così
trovandosi i Pisani voti di difensori dentro, battuti dai tre lati, a tre o
quattro assalti sarìa impossibile che reggessero». Il 16 luglio 1499 si
presentò a Forlì alla contessa Caterina Sforza Riario, nipote di Ludovico il
Moro e madre di Ottaviano Riario, che era stato al soldo dei fiorentini, per
rinnovare l'alleanza e ottenere uomini e munizioni per la guerra pisana.
Ottenne solo vaghe promesse dalla contessa che era già impegnata a sostenere lo
zio nella difficile difesa del Ducato milanese dalle mire di Luigi XII e
dovette ripartire senza aver nulla ottenuto. Era nuovamente a Firenze in
agosto, quando le artiglierie fiorentine, provocata una breccia nelle mura
pisane, aprivano la via alla conquista della città, ma il Vitelli non seppe
sfruttare l'occasione e temporeggiò finché la malaria non ebbe ragione delle
sue truppe, costringendolo a togliere l'assedio il 14 settembre. Invano ritentò
l'impresa: sospettato di tradimento, quello che «era il più reputato capitano
d'Italia» fu decapitato. Nessuna prova vi era che il Vitelli fosse stato
corrotto dai Pisani ma la giustificazione di Machiavelli, a nome della
Repubblica, in risposta alle critiche di un cancelliere di Lucca, fu che «o per
non havere voluto, sendo corropto, o per non havere potuto, non avendo la
compagnia, ne sono nati per sua colpa infiniti mali ad la nostra impresa, et
merita l'uno o l'altro errore, o tuct'a due insieme che possono stare, infinito
castigo». Conquistato il Ducato di Milano, in risposta alla richieste
fiorentine Luigi XII mandò suoi soldati a risolvere l'impresa di Pisa le cui
mura furono bensì abbattute nel luglio del 1500 ma né gli svizzeri né i
francesi entrarono in città anzi, lamentando che Firenze non li pagasse,
levarono l'assedio e sequestrarono il commissario fiorentino Luca degli
Albizzi, che fu rilasciato solo dietro riscatto. A Machiavelli, presente ai
fatti, non restava che informare la Repubblica, che decise di mandarlo in
Francia, insieme con Francesco della Casa, per cercare nuovi accordi che
risolvessero finalmente la guerra di Pisa. Il cardinale di Rouen
Georges d'Amboise Il 6 agosto 1500 raggiunsero la corte francese a Nevers,
presentando al re e al ministro, cardinale di Rouen, le rimostranze per il
cattivo comportamento dei loro soldati; sapendo che Firenze non aveva al
momento denari sufficienti a finanziare l'impresa, invitarono Luigi a
intervenire direttamente nella guerra, al termine della quale la Repubblica
avrebbe ripagato la Francia di tutte le spese. Il rifiuto dei francesiche
richiedevano a Firenze il mantenimento degli svizzeri rimasti accampati in
Lunigiana e minacciavano la rottura dell'alleanzamise i legati fiorentini,
privi di istruzioni dalla Repubblica, in difficoltà, acuite dalla ribellione di
Pistoia e dalle iniziative che frattanto aveva preso in Romagna Cesare Borgia,
i cui ambiziosi e oscuri piani potevano anche indirizzarsi contro gli interessi
fiorentini. Occorreva, pagando, mantenere buoni rapporti con la
Franciascriveva da Tours il 21 novembree guardarsi dalle macchinazioni del
papa: così, ottenuto dalla Signoria il denaro richiesto dalla Francia,
Machiavelli poteva finalmente ritornare a Firenze il 14 gennaio 1501. Quella
lunga permanenza nella corte francese verrà dislocata negli opuscoli (entrambi
del 1510) De natura Gallorum, dove i francesi verranno descritti come
«humilissimi nella captiva fortuna; nella buona insolenti [ ... ] più cupidi
de' danari che del sangue [ ... ] vani et leggieri [ ... ] più tosto tachagni
che prudenti», con una bassa opinione degli Italiani, e nel successivo Ritratto
delle cose di Francia, dove, spostandosi su un piano d'analisi prettamente
politica, finisce col fare della Francia l'esemplare dello stato moderno.
Soprattutto egli insiste sul nesso fra la prosperità della monarchia e il
raggiunto processo di unificazione nazionale, sentito come la lezione peculiare
delle "cose di Francia". Cesare Borgia «Questo signore è
molto splendido e magnifico, e nelle armi è tanto animoso che non è sì gran
cosa che non gli paia piccola, e per gloria e per acquistare Stato mai si
riposa né conosce fatica o periculo: giugne prima in un luogo che se ne possa
intendere la partita donde si lieva; fassi ben volere a' suoi soldati; ha
cappati e' migliori uomini d'Italia: le quali cose lo fanno vittorioso e
formidabile, aggiunte con una perpetua fortuna» (Machiavelli, Lettera ai
Dieci del 26 giugno 1502) La minaccia del Borgia si fece presto concreta:
fermato dalle minacce della Francia quando tentava d'impadronirsi di Bologna,
si volse contro Piombino, entrando nel territorio della Repubblica e cercando
di imporle tributi, dai quali Firenze fu nuovamente fatta salva dall'intervento
di Luigi. Fra una missione a Pistoia e un'altra a Siena, Niccolò ebbe tempo di
sposare, nell'autunno del 1501, Marietta Corsini, donna di modesta origine,
dalla quale avrà sei figli: Primerana, Bernardo, Lodovico, Guido, Piero e
Baccina. Padrone di Piombino il 3 settembre 1501, il Borgia, per mezzo del suo
sodale Vitellozzo Vitelli s'impadronì di Arezzo, dove si stabilì Piero de'
Medici, poi delle terre di Valdichiana, di Cortona, di Anghiari e di Borgo San
Sepolcro e di lì passò a investire Camerino e Urbino, chiedendo nel contempo di
intavolare trattative con Firenze che, nel frattempo, vistasi stretta dai due
Borgia, padre e figlio, aveva rinnovato gli accordi con la Francia. Il 22
giugno 1502, lo stesso giorno della caduta della città nelle mani di Cesare,
partirono per Urbino Machiavelli e il vescovo di Volterra, Francesco Soderini,
fratello di Piero: ricevuti il 24 giugno, si sentirono ordinare di cambiare il
governo della Repubblica, pena la sua inimicizia. La crisi fu superata grazie
all'intervento delle armi francesi: avvicinandosi queste ad Arezzo, la città fu
sgomberata e restituita, insieme con le altre terre, ai Fiorentini. Riferimento
a questi casi è il breve scritto dell'anno successivo, Del modo di trattare i
popoli della Valdichiana ribellati, nel quale, preso esempio dal comportamento
tenuto dagli antichi Romani in caso di ribellioni, rimprovera il governo
fiorentino di non aver trattato severamente la ribelle città di Arezzo. Pensa
che come i Romani «fecero giudizio differente per esser differente il
peccato di quelli popoli, così dovevi fare voi, trovando ancora nei vostri
ribellati differenza di peccati [ ... ] giudico ben giudicato che a Cortona,
Castiglione, il Borgo, Foiano, si siano mantenuti i capitoli, siano vezzeggiati
e vi siate ingegnati riguadagnarli con i beneficii [ ... ] ma io non approvo
che gli Aretini, simili ai Veliterni ed Anziani non siano stati trattati come
loro. [ ... ] I Romani pensarono una volta che i popoli ribellati si debbano o
beneficare o spegnere e che ogni altra via sia pericolosissima.» Di
fronte a quelli che apparivano tempi nuovi e tempestosi, nei quali occorreva
che uomini capaci prendessero pronte risoluzioni, come prima riforma
nell'organizzazione dello Stato fiorentino fu resa vitalizia la carica di
gonfaloniere, affidata, il 15 settembre 1502, a Pier Soderini, che appariva
uomo accetto tanto agli ottimati che ai popolani. La prima missione che egli
affidò a Machiavelli fu quella di prendere nuovamente contatto col Borgia il
quale, formalmente capitano delle truppe pontificie e finanziato da quello
Stato, intendeva tuttavia agire nel proprio interesse e in quello della sua
famiglia, stringendo un nuovo patto col Luigi XII e ottenendone libertà
d'azione nei suoi piani di espansione, non solo nei confronti di signorotti
quali gli Orsini, i Baglioni e il Vitelli, già suoi alleati, ma anche contro lo
stesso Bentivoglio di Bologna. Seguendo la tradizionale politica di alleanza
con la Francia, Firenzepur diffidando del Valentinointendeva confermargli la
sua amicizia, per non essere investita dai suoi aggressivi disegni.
Machiavelli giunse a Imola dal Borgia il 7 ottobre, confidandogli che Firenze
non aveva aderito all'offerta di amicizia propostale dagli Orsini e dai
Vitelli, congiurati a Magione contro il duca Valentino, e ne ricevette in
cambio un'offerta di alleanza, alla quale Niccolò, affascinato dalla figura di
Cesare Borgia, guardava con favore più di quanto non facesse il governo
fiorentino. Fu al seguito del Valentino per tutta la durata di quei tre mesi di
campagna militare e, il 1º gennaio 1503, due ore dopo l'uccisione a tradimento
di Vitellozzo e di Oliverotto da Fermo, ne raccolse le parole «savie e
affezionatissime» per i Fiorentini, invitati nuovamente a unirsi a lui per
avventarsi contro Perugia e Città di Castello. Firenze, a questo punto, decise
di mandare presso il Borgia un ambasciatore accreditato, Jacopo Salviati, così
che il nostro Segretario il 20 gennaio lasciò il campo di Città della Pieve per
fare ritorno a Firenze. Vitellozzo Vitelli, ritratto da Luca
Signorelli. «Vitellozo, Pagolo et duca di Gravina in su muletti ne andorno
incontro al duca, accompagnati da pochi cavagli; et Vitellozo disarmato, con
una cappa foderata di verde, tucto aflicto se fussi conscio della sua futura
morte, dava di sé, conosciuta la virtù dello huomo et la passata sua fortuna,
qualche ammiratione [ ... ] Arrivati adunque questi tre davanti al duca, et
salutatolo humanamente, furno da quello ricevuti con buono volto [ ... ] Ma,
veduto il duca come Liverotto vi mancava [ ... ] adciennò con l'occhio a don
Michele, al quale lLeverotto era demandata, che provedessi in modo che
Liverotto non schapassi [ ... ] Liverotto havendo facto riverenza, si
adcompagnò con gli altri; et entrati in Senigagla, et scavalcati tutti ad lo
alloggiamento del duca, et entrati seco in una stanza secreta, furno dal duca
fatti prigioni [ ... ] venuta la nocte [ ... ] al duca parve di fare admazare
Vitellozzo e Liverotto; et conductogli in uno luogo insieme, gli fe'
strangolare [ ... ] Pagolo et el duca di Gravina Orsini furno lasciati vivi per
infino che il duca intese che a Roma el papa haveva preso el cardinale Orsino,
l'arcivescovo di Firenze et messer Jacopo da Santa Croce; dopo la quale nuova,
a dì 18 di giennaio, ad Castel della Pieve furno anchora loro nel medesimo modo
strangolati» (Machiavelli, Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino
nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il
duca di Gravina Orsini, giugno-agosto 1503) La morte di Alessandro VI
privò Cesare Borgia delle risorse finanziarie e politiche che gli occorrevano
per mantenere il ducato di Romagna, che si dissolse tornando a frammentarsi
nelle vecchie signorie, mentre Venezia s'impadronì di Imola e di Rimini. Dopo
il brevissimo pontificato di Pio III, Machiavelli fu inviato a Roma il 24
ottobre 1503 per il conclave che il 1º novembre elesse Giulio II. Raccolse le
ultime confidenze del Valentino, del quale pronosticò la rovina imminente, e
cercò di comprendere le intenzioni politiche del nuovo papa, che egli sperava
s'impegnasse contro i Veneziani, le cui mire espansionistiche erano temute da
Firenze: «O la sarà una porta che aprirà loro tutta Italia, o fia la rovina
loro», scrive il 24 novembre. A Roma gli giunse la notizia della nascita
del secondogenito Bernardo: «Somiglia voi, è bianco come la neve, ma gli ha il
capo che pare velluto nero, et è peloso come voi, e da che somiglia voi parmi
bello», gli scrive la moglie Marietta il 24 novembre. E Machiavelli, che
lungamente in questo scorcio di tempo aveva frequentato la casa del cardinal
Soderini, al quale forse prospettò già il suo progetto di costituire una
milizia nazionale che sostituisse l'infida soldatesca mercenaria, il 18
dicembre s'avviò per Firenze. In Francia Ingresso a Genova di Luigi
XII, 1508. Le fortune della Francia in Italia sembrarono declinare dopo la
cacciata dal Napoletano ad opera dell'armata spagnola di Gonzalo Fernández de
Córdoba. Firenze, alleata di Luigi XII, e timorosa delle prossime iniziative
della Spagna, del papa e della nemica tradizionale, la Siena di Pandolfo
Petrucci, era interessata a conoscere i progetti del re e a questo scopo alla
sua corte mandò Machiavelli «a vedere in viso le provvisioni che si fanno e
scrivercene immediate, e aggiungervi la coniettura e iudizio tuo». Il 22
gennaio 1504 Machiavelli era a Milano per conferire con il luogotenente Charles
II d'Amboise, che non credeva in un attacco spagnolo in Lombardia e rassicurò
Niccolò sull'amicizia francese per Firenze. Raggiunse la corte e
l'ambasciatore Niccolò Valori a Lione il 27 gennaio, ricevendo uguali
rassicurazioni dal cardinale di Rouen e da Luigi stesso. In marzo ripartiva per
Firenze e di qui si recava per pochi giorni a Piombino da Jacopo d'Appiano, per
sondare la posizione di quel signorotto. È di questo tempo la stesura del suo
primo Decennale, una storia dei fatti notevoli occorsi degli ultimi dieci anni
volta in terzine: Machiavelli non è poeta, anche se invoca Apollo nell'esordio
del poemetto, ma a noi interessa il suo giudizio sull'attualità della vicenda
politica italiana e su quel che attende Firenze: «L'imperador, con
l'unica sua prole vuol presentarsi al successor di Pietro al Gallo il colpo
ricevuto duole; e Spagna che di Puglia tien lo scetro va tendendo a' vicin
laccioli e rete, per non tornar con le sue imprese a retro; Marco, pien di
paura e pien di sete, fra la pace e la guerra tutto pende; e voi di Pisa troppa
voglia avete [ .... ] Onde l'animo mio tutto s'infiamma or di speranza, or di
timor si carca tanto che si consuma a dramma a dramma, perché saper vorrebbe
dove, carca di tanti incarchi debbe, o in qual porto, con questi venti, andar
la vostra barca. Pur si confida nel nocchier accorto ne' remi, nelle vele e
nelle sarte; ma sarebbe il cammin facile e corto se voi el tempio riapriste a
Marte» (Decennale primo, vv 529-549) I tentativi d'impadronirsi di Pisa
fallirono ancora: battuta a Ponte a Cappellese il 27 marzo 1505, Firenze doveva
anche guardarsi dalle manovre dei signori ai loro confini. Machiavelli andò a
Perugia l'11 aprile per conferire col Baglioni, ora alleato con gli Orsini, con
Lucca e con Siena, poi a Mantova, per cercare invano accordi con il marchese
Giovan Francesco Gonzaga e il 17 luglio a Siena. In settembre, fallì un nuovo
assalto a Pisa e Machiavelli ne trasse spunto per presentare la proposta della
creazione di un esercito cittadino. Rimasti diffidenti i maggiorenti della cittàche
temevano che un esercito popolare potesse costituire una minaccia per i loro
interessima appoggiato dal Soderini, Machiavelli si mosse per mesi nei borghi
toscani a far leva di soldati, istruiti «alla tedesca», e finalmente, il 15
febbraio 1506, Firenze poté vedere la prima parata di una milizia «nazionale»
che peraltro non avrà nessun ruolo nella successiva conquista di Pisa e si
rivelerà di scarso affidamento nella difesa di Prato del 1512. Con la pace
concordata con la Francia nell'ottobre 1505, la Spagna, con Ferdinando II
d'Aragona, aveva preso definitivamente possesso del Regno di Napoli. I piccoli
stati della penisola attendevano ora le mosse di Giulio II, deciso a imporre la
sua egemonia nell'Italia centrale: nel luglio, il papa chiese a Firenze di
partecipare alla guerra che egli intendeva muovere al signore di Bologna,
Giovanni Bentivoglio, che era alleato, come Firenze, dei francesi, e perciò
teoricamente amico, oltre che confinante, dei Fiorentini. Si trattava di
temporeggiare, osservando gli sviluppi dell'impresa del papa al quale fu
mandato Machiavelli, che lo incontrò a Nepi il 27 agosto 1506. Giulio II
gli dimostrò di godere dell'appoggio della Francia, che aveva promesso di
inviare truppe in suo aiuto, cosicché fu agevole a Machiavelli promettere aiuti
a sua voltadopo però che fossero arrivati quelli di re Luigie seguì papa Giulio
che, con la sua corte curiale e pochi armati se n'andava a Perugia, ottenendo,
il 13 settembre, la resa senza combattimento di Giampaolo Baglioni che, con
stupore e rimprovero del Machiavelli e, un giorno, anche del Guicciardini, non
ebbe il coraggio di opporsi alle poche forze allora a disposizione del Papa. La
corte papale, dopo aver atteso a Cesena fino a ottobre l'arrivo dei francesi e,
dopo questi, dei Fiorentini di Marcantonio Colonna, entrò trionfante a Bologna
l'11 novembre. Machiavelli, tornato a Firenze già alla fine d'ottobre, s'occupò
ancora dell'istituzione delle milizie fiorentine: il 6 dicembre furono creati i
Nove ufficiali dell'Ordinanza e Milizia fiorentina, eletti dal popolo,
responsabili militari della Repubblica. In Germania Massimiliano I
d'Asburgo Il nuovo anno 1507 si aprì con le minacce del passaggio in Italia del
«Re dei Romani» Massimiliano, intenzionato a ribadire le proprie pretese di dominio
sulla penisola, a espellere i francesi e a farsi incoronare a Roma «imperatore
del Sacro Romano Impero». Si valutò a Firenze la possibilità di finanziargli
l'impresa in cambio della sua amicizia e del riconoscimento dell'indipendenza
della Repubblica: il 27 giugno fu inviato a questo scopo l'ambasciatore
Francesco Vettori e, il 17 dicembre, lo stesso Machiavelli. Giunse a Bolzano,
dove Massimiliano teneva corte, l'11 gennaio 1508 e le lunghe trattative
sull'esborso preteso da Massimiliano s'interruppero quando i Veneziani,
sconfiggendolo più volte, gli fecero comprendere la velleità dei suoi sogni di
gloria. Da questa esperienza Machiavelli trasse tre scritti, il Rapporto
delle cose della Magna, composto il 17 giugno 1508, il giorno dopo il suo rientro
a Firenze, il Discorso sopra le cose della Magna e sopra l'Imperatore, del
settembre 1509, e il più tardo Ritratto delle cose della Magna, del 1512, una
rielaborazione del primo Rapporto. Rileva la grande potenza della Germania, che
«abunda di uomini, di ricchezze e d'arme»; le popolazioni hanno «da mangiare e
bere e ardere per uno anno: e così da lavorare le industrie loro, per potere in
una obsidione [assedio] pascere la plebe e quelli che vivono delle braccia, per
uno anno intero sanza perdita. In soldati non spendono perché tengono li uomini
loro armati ed esercitati; e li giorni delle feste tali uomini, in cambio delli
giuochi, chi si esercita collo scoppietto, chi colla picca e chi con una arme e
chi con un'altra, giocando tra loro onori et similia, e quali tra loro poi si
godono. In salari e in altre cose spendono poco: talmente che ogni comunità si
truova ricca in publico». Importano e consumano poco perché «le loro
necessità sono assai minori delle nostre», ma esportano molte merci «di che
quasi condiscono tutta la Italia [...] e così si godono questa loro rozza vita
e libertà e per questa causa non vogliono ire alla guerra se non sono
soprappagati e questo anche non basterebbe loro, se non fussino comandati dalle
loro comunità. E però bisogna a uno imperadore molti più denari che a uno altro
principe». Tanta forza potenziale, che potrebbe fare la grandezza politica e
militare dell'Imperatore, è limitata dalle divisioni delle comunità governate
dai singoli principi, una realtà simile a quella italiana: nessun principe
tedesco vuole favorire l'imperatore, «perché, qualunque volta in proprietà lui
avessi stati o fussi potente, è domerebbe e abbasserebbe e principi e
ridurrebbeli a una obedienzia di sorte da potersene valere a posta sua e non
quando pare a loro: come fa oggi il re di Francia, e come fece già il re Luigi,
quale con l'arme e ammazzarne qualcuno li ridusse a quella obedienzia che
ancora oggi si vede». La conquista di Pisa Decisa a concludere le
operazioni militari contro Pisa, Firenze mandò Machiavelli a far leve di
soldati: in agosto condusse soldati prelevati da San Miniato e da Pescia
all'assedio della città irriducibile. Riunite altre milizie, si incaricò di
tagliare i rifornimenti bloccando l'Arno; poi, il 4 marzo del 1509, andò prima
a Lucca a intimare a quella Repubblica di cessare ogni aiuto ai Pisani e, il
14, si recò a Piombino, incontrando gli ambasciatori di Pisa per cercare invano
un accordo di resa. Raccolte nuove truppe, in maggio era presente all'assedio:
Pisa, ormai stremata, trattava finalmente la pace. Machiavelli accompagnò i
legati pisani a Firenze dove, il 4 giugno 1509 fu firmata la resa e l'8 giugno
poté entrare in Pisa con i commissari Niccolò Capponi, Antonio Filicaia e
Alamanno Salviati. Un ben più vasto incendio era intanto divampato
nell'Italia settentrionale: stipulata un'alleanza a Cambrai, Francia, Spagna,
Impero e papato si avventavano contro la Repubblica veneziana che a maggio
cedeva i suoi possedimenti lombardi e romagnoli e, in giugno, anche Verona, Vicenza
e Padova, consegnate a Massimiliano. Firenze, da parte sua, doveva finanziare
la nuova impresa imperiale: consegnato un primo acconto in ottobre, il 21
novembre Machiavelli era a Verona per consegnare il saldo a Massimiliano, che
era stato però costretto alla ritirata dalla controffensiva veneziana, resa
possibile dalla rivolta popolare contro i nuovi padroni. E Machiavelli
commentava dei «due re, che l'uno può fare la guerra e non vuol farla, l'altro
ben vorrebbe farla e non può», riferendosi a Luigi e a Massimiliano che se
n'era tornato in Germania a chiedere soldati e denari ai principi
tedeschi. Atteso inutilmente il ritorno dell'Imperatore, il 2 gennaio
1510 Machiavelli se ne tornò a Firenze. Venezia si salvò soprattutto grazie
alle divisioni degli alleati: mentre Luigi XII aveva tutto l'interesse di
ridurre all'impotenza Venezia per avere le mani libere nella pianura padana,
Giulio II la voleva abbastanza forte da opporsi alla Francia senza averne
contrasto alle proprie ambizioni di espansione. Per Firenze, amica della
Francia ma non nemica del papa, era necessario spiegarsi con il re francese, e
Machiavelli fu mandato a Blois, dove Luigi teneva la corte, incontrandolo il 17
giugno 1510. Machiavelli confermò l'amicizia con la Francia ma disse di
dubitare che la Repubblica potesse impegnarsi in una guerra contro Giulio II,
in grado di volgere contro Firenze forze troppo superiori: meglio sarebbe stata
una mediazione che evitasse il conflitto e sottraesse, oltre tutto, Firenze
dalla responsabilità di un impegno nel quale era difficile trarre un guadagno.
Dovette tornare a Firenze il 19 ottobre, convinto che la guerra fosse
ineluttabile. Le vittorie militari non furono sfruttate da Luigi XII e la sua
indizione di un concilio a Pisa, che condannasse il papa, provocò l'interdetto
di Giulio II contro Firenze. Il 22 settembre 1511 Machiavelli era ancora in
Francia, ottenendo dal re soltanto un breve rinvio del concilio: dalla Francia
andò a Pisa e riuscì a ottenere il trasferimento del concilio a Milano.
Il ritorno dei Medici a Firenze Le fortune di Luigi XII volgevano al tramonto:
sconfitto dalla nuova coalizione guidata dal papa, era costretto ad abbandonare
la Lombardia, lasciando Firenze politicamente isolata e incapace di resistere
alle armi spagnole. Il 31 agosto 1512 Pier Soderini fuggì a Siena, i Medici
rientrarono a Firenze: disfatto il vecchio governo, il 7 novembre anche
Machiavelli venne rimosso dal suo incarico, il successivo 10 novembre fu
confinato e multato della grande somma di mille fiorini e il 17 gli fu
interdetto l'ingresso a Palazzo Vecchio. Giuliano de' Medici duca
di Nemours Il nuovo regime processò Pietro Paolo Boscoli e Agostino Capponi,
accusati di aver complottato contro Giuliano de' Medici, condannandoli a morte.
Anche Machiavelli è sospettato: arrestato il 12 febbraio 1513, fu anche
torturato (gli fu somministrata la corda o, com'era chiamata allora a Firenze,
la "colla"). Scrisse allora a Giuliano di Lorenzo de' Medici duca di
Nemours due sonetti, per ricordargli, ma senza averne l'aria e in forma
scherzosa, la sua condizione di carcerato: «Io ho, Giuliano, in gamba un
paio di geti e sei tratti di fune in sulle spalle; l'altre miserie mie non vo'
contalle, poiché così si trattano i poeti Menon pidocchi queste parieti
grossi e paffuti che paion farfalle, né mai fu tanto puzzo in Roncisvalle o in
Sardigna fra quegli arboreti quanto nel mio sì delicato ostello» Giulio
II moriva intanto proprio in quei giorni e dal conclave uscì eletto l'11 marzo
il cardinale de' Medici con il nome di Leone X: era la fine dei pericoli di
guerra per Firenze e anche il tempo dell'amnistia. Uscito dal carcere,
Machiavelli cercò di ottenere favori dai Medici attraverso l'ambasciatore
Francesco Vettori e lo stesso Giuliano, ma invano. Si ritirò allora nel suo
podere dell'Albergaccio, a Sant'Andrea in Percussina, tra Firenze e San
Casciano in Val di Pesa. L'esilio dalla politica. «Il Principe» Qui, tra
le giornate rese lunghe dall'ozio forzato, comincia a scrivere i Discorsi sopra
la prima Deca di Tito Livio che, forse nel luglio 1513, interrompe per metter
mano al suo libro più famoso, il De Principatibus, dal solenne titolo latino ma
scritto in volgare e perciò divenuto ben più noto come Il Principe. Lo dedica
dapprima a Giuliano di Lorenzo de' Medici e, dopo la morte di questi nel 1516,
a Lorenzo de' Medici, figlio di Piero "fatuo"; ma il libro uscì solo
postumo, nel 1532. Certo, non doveva farsi illusioni che un Medici potesse mai
essere quel «redentore» atteso dall'Italia contro «questo barbaro dominio», ma
da un Medici si attendeva almeno la sua propria «redenzione» dall'inattività
cui era stato relegato dal ritorno a Firenze di quella famiglia. Sperava
che l'amico Vettori, ambasciatore a Roma, si facesse interprete del suo
«desiderio [...] che questi signori Medici mi cominciasseino adoperare», dal
momento «che io sono stato a studio all'arte dello stato [...] e doverrebbe
ciascheduno aver caro servirsi d'uno che alle spese d'altri fussi pieno
d'esperienza. E della fede mia non si doverrebbe dubitare, perché, avendo
sempre osservato la fede, io non debbo imparare ora a romperla; e chi è stato
fedele e buono quarantatré anni che io ho, non debbe potere mutare natura; e
della fede e bontà mia ne è testimonio la povertà mia». Delle ombre della sua
povertà, ma anche delle sue luci, Machiavelli scrive al Vettori in quella che è
la più famosa lettera della nostra letteratura: L'Albergaccio di
Machiavelli a Sant'Andrea in Percussina «Venuta la sera, mi ritorno in casa ed
entro nel mio scrittoio; e in su l'uscio mi spoglio quella veste cotidiana,
piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito
condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui uomini, dove, da loro
ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e che io nacqui
per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandargli della ragione
delle loro azioni; e quelli per loro umanità mi rispondono; e non sento per
quattro ore di tempo alcuna noia; sdimentico ogni affanno, non temo la povertà,
non mi sbigottisce la morte; tutto mi trasferisco in loro. E perché Dante dice
che non fa scienza sanza lo ritenere lo avere inteso, io ho notato quello di
che per la loro conversazione ho fatto capitale, e composto uno opuscolo de
Principatibus» (Lettera a Francesco Vettori, 10 dicembre 1513) Ritornato
il 3 febbraio 1514 a Firenze, continuò a sperare a lungo che il Vettori, al
quale spedì il manoscritto del Principe, lo facesse introdurre in qualche
incarico nell'amministrazione cittadina, ma invano. Tutto dipendeva dalla
volontà del papa, e Leone non era affatto intenzionato a favorire chi non si
era mostrato, a suo tempo, favorevole agli interessi di Casa Medici.
Machiavelli, da parte sua, scriveva al Vettori di aver «lasciato i pensieri
delle cose grandi e gravi» e di non dilettarsi più di «leggere le cose antiche,
né ragionare delle moderne: tutte si sono converse in ragionamenti dolci». Si
era infatti innamorato di una «creatura tanto gentile, tanto delicata, tanto
nobile e per natura e per accidente, che io non potrei né tanto laudarla né
tanto amarla che la non meritasse più». La guerra, ripresa in Italia
dalla discesa del nuovo re di Francia Francesco I, si concluse nel settembre
1515 con la sua grande vittoria a Marignano (oggi Melegnano) contro la vecchia
«Lega santa»: Leone X dovette accettare il dominio francese in Lombardia e la
stipula a Bologna di un concordato che riconosceva il controllo reale sul clero
francese. Si rifece impossessandosi, per conto del nipote Lorenzo, capitano
generale dei Fiorentini, del Ducato di Urbino. A quest'ultimo invano dedicava
Machiavelli il suo Principe: la sua esclusione dalla gestione degli affari di
Firenze continuava. Nel 1516 o 1517 si diede a frequentare gli «Orti
Oricellari», latineggiamento che indica i giardini del Palazzo di Cosimo
Rucellai, dove si riunivano letterati, giuristi ed eruditi come Luigi Alamanni,
Jacopo da Diacceto, Jacopo Nardi, Zanobi Buondelmonti, Antonfrancesco degli
Albizi, Filippo de' Nerli e Battista della Palla. Qui vi lesse probabilmente
qualche capitolo di quell'Asino, poemetto in terzine che voleva essere una
contaminazione fra l'Asino d'oro di Apuleio e la Divina Commedia dantesca, ma
che lasciò presto interrotto: e al Rucellai e al Buondelmonti dedicò i Discorsi
sopra la prima Deca di Tito Livio, scritti dal 1513 al 1519. Machiavelli si era
già cimentato, quando ricopriva l'incarico di segretario della Repubblica, in
composizioni teatrali: una imitazione dell'Aulularia di Plauto e una commedia,
Le maschere, ispirata a Nebulae di Aristofane, sono tuttavia perdute. Al 1518
risale il suo capolavoro letterario, la commedia Mandragola, nel cui prologo
egli inserisce un accenno autobiografico «scusatelo con questo, che
s'ingegna con questi van pensieri fare el suo tristo tempo più suave, perch'altrove
non have dove voltare el viso; ché gli è stato interciso mostrar con altre
imprese altra virtue, non sendo premio alle fatiche sue.» Intorno a
quest'anno vanno collocate la traduzione dell'Andria di Terenzio e stesura
della novella di Belfagor arcidiavolo o Novella del demonio che pigliò moglieil
suo titolo preciso è attualmente stabilito in Favolail cui tema di fondo è la
visione pessimistica dei rapporti che legano gli esseri umani, tutti intesi al
proprio interesse a danno, se necessario, di quello di ciascun altro. Il
ritorno alla vita politica Lorenzo de' Medici morì nel 1519, lasciando il
governo di Firenze al cardinale Giulio. Costui, favorevole a Machiavelli, lo
incaricò della stesura di una storia della città sotto lauta retribuzione. Machiavelli,
galvanizzato dall'incarico, diede alle stampe nel 1521 l’Arte della guerra,
dedicandola allo stesso cardinal Giulio. Nello stesso anno fu inviato in
missione diplomatica a Carpi presso il governatore Francesco Guicciardini di
cui, pur avendo opposte visioni della Storia, divenne buon amico. Nel 1525
cercò di guadagnare il favore di papa Clemente VII offrendogli le Istorie
fiorentine. Nel frattempo giunsero la revoca ufficiale dell'interdizione dalla
vita pubblica e l'affidamento di missioni militari in Romagna in collaborazione
col Guicciardini. L'ultima interdizione dalla vita pubblica e la morte
Nel 1527 i Medici furono cacciati da Firenze e venne instaurata nuovamente la
repubblica. Machiavelli si propose come candidato alla carica di segretario della
repubblica, ma venne respinto in quanto ritenuto colluso coi Medici e
soprattutto con papa Clemente VII. La delusione per Machiavelli fu
insopportabile. Ammalatosi repentinamente, cominciò a peggiorare vistosamente
fino alla morte, sopraggiunta il 21 giugno 1527. Abbandonato da tutti, fu
sepolto nel corso di una modesta cerimonia funebre nella tomba di famiglia
nella basilica di Santa Croce. Nel 1787 la città di Firenze fece costruire un
monumento nella basilica stessa; esso raffigura la Diplomazia assisa su un
sarcofago marmoreo. Sulla lastra frontale sono incise le parole Tanto nomini
nullum par elogium (Nessun elogio sarà mai degno di tanto nome). Pensiero
Machiavelli e il Rinascimento Con il termine machiavellico si è spesso indicato
un atteggiamento spregiudicato e disinvolto nell'uso del potere: un buon
principe deve essere astuto per evitare le trappole tese dagli avversari,
capace di usare la forza se ciò si rivela necessario, abile manovratore negli
interessi propri e del suo popolo. Ciò si accompagna a un travaglio personale
che Machiavelli sentiva nella sua attività quotidiana e di teorico, secondo una
tradizione politica che già in Cicerone affermava: "un buon politico deve
avere le giuste conoscenze, stringere mani, vestire in modo elegante, tessere
amicizie clientelari per avere un'adeguata scorta di voti". Con
Machiavelli l'Italia ha conosciuto il più grande teorico della politica.
Secondo Machiavelli la politica è il campo nel quale l'uomo può mostrare nel
modo più evidente la propria capacità di iniziativa, il proprio ardimento, la
capacità di costruire il proprio destino secondo il classico modello del faber
fortunae suae. Nel suo pensiero si risolve il conflitto fra regole morali e
ragion di Stato che impone talvolta di sacrificare i propri princìpi in nome
del superiore interesse di un popolo. La politica deve essere autonoma da
teologia e morale e non ammette ideali, è un gioco di forze finalizzate al bene
della collettività e dello stato. La politica, svincolata da dogmatismi e princìpi
teorici, guarda alla realtà effettuale, ai "fatti": "Mi è parso
più conveniente andare dietro alla verità effettuale della cosa piuttosto che
alla immaginazione di essa". Si tratta di una visione antropocentrica che
si richiama all'Umanesimo quattrocentesco ed esprime gli ideali del
Rinascimento. Magnifying glass icon mgx2.svgRinascimento
italiano. Nel Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua, opera di non
certa attribuzione e che non fu pubblicata, Machiavelli dà un giudizio severo
su Dante Alighieri, col quale inscena un dialogo nell'opera. Dante è
rimproverato di negare la matrice fiorentina della lingua della Commedia. Il
passo assume i caratteri dell'invettiva contro il poeta concittadino, accusato
di aver infangato la reputazione di Firenze: «[...] Dante il quale in
ogni parte mostrò d'esser per ingegno, per dottrina et per giuditio huomo
eccellente, eccetto che dove egli hebbe a ragionare della patria sua, la quale,
fuori d'ogni humanità et filosofico instituto, perseguitò con ogni spetie d'ingiuria.
E non potendo altro fare che infamarla, accusò quella d'ogni vitio, dannò gli
uomini, biasimò il sito, disse male de' costumi et delle legge di lei; et
questo fece non solo in una parte de la sua cantica, ma in tutta, et
diversamente et in diversi modi: tanto l'offese l'ingiuria dell'exilio, tanta
vendetta ne desiderava! [...] Ma la Fortuna, per farlo mendace et per ricoprire
con la gloria sua la calunnia falsa di quello, l'ha continuamente prosperata et
fatta celebre per tutte le province cristiane, et condotta al presente in tanta
felicità et sì tranquillo stato, che se Dante la vedessi, o egli accuserebbe sé
stesso, o ripercosso dai colpi di quella sua innata invidia, vorrebbe essendo
risuscitato di nuovo morire.» (Niccolò Machiavelli, Discorso o dialogo
intorno alla nostra lingua) Poi, durante un altro scambio immaginario con
Dante, Machiavelli rimprovera il carattere "goffo",
"osceno", addirittura "porco" del registro utilizzato
nell'Inferno: «N. Dante mio, io voglio che tu t'emendi, et che tu consideri
meglio il parlare fiorentino et la tua opera; et vedrai che, se alcuno s'harà
da vergognare, sarà più tosto Firenze che tu: perché, se considererai bene a
quel che tu hai detto, tu vedrai come ne' tuoi versi non hai fuggito il goffo,
come è quello: "Poi ci partimmo et n'andavamo introcque";
non hai fuggito il porco, com'è quello: "che merda fa di quel che si
trangugia"; non hai fuggito l'osceno, com'è: "le mani
alzò con ambedue le fiche"; e non avendo fuggito questo, che
disonora tutta l'opera tua, tu non puoi haver fuggito infiniti vocaboli patrii
che non s'usano altrove che in quella [...]» (Niccolò Machiavelli,
Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua) La concezione della storia
Autografo delle Historiae Fiorentinae Per Machiavelli la storia è il punto di
riferimento verso il quale il politico deve sempre orientare la propria azione.
La storia fornisce i dati oggettivi su cui basarsi, i modelli da imitare, ma
indica anche le strade da non ripercorrere. Machiavelli si basa su una concezione
ciclica della storia: "Tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li
medesimi". Ma ciò che allontana Machiavelli da una visione deterministica
della storia è l'importanza che egli attribuisce alla virtù, ovvero alla
capacità dell'uomo di dominare il corso degli eventi utilizzando opportunamente
le esperienze degli errori compiuti nel passato, nonché servendosi di tutti i
mezzi e di tutte le occasioni per la più alta finalità dello stato, facendo
anche violenza, se necessario, alla legge morale. Non a caso il Principe,
nella conclusione, abbandona il suo taglio cinico e pragmatico per esortare i
sovrani italiani, con una scrittura più solenne e venata di un certo idealismo,
a riconquistare la sovranità perduta e a cacciare l'invasore straniero. Non c'è
rassegnazione nel Principe, né tanto meno sfiducia nei confronti dell'uomo. La
storia è il prodotto dell'attività politica dell'uomo per finalità terrene
esclusivamente pratiche. Lo stato, oggetto di tale attività, nella situazione
politica e nel pensiero del tempo si identifica con la persona del
principe. Di conseguenza l'attività politica è riservata solo ai grandi
protagonisti, ai pochi capaci di agire, non al "vulgo" incapace di
decisione e di coraggio. L'obiettivo è creare o conservare lo stato, una
creazione individuale legata alle qualità e alla sorte del suo fondatore: la
fine del principe può determinare la fine del suo stato, come capitò ad esempio
a Cesare Borgia. Il Machiavelli ha dunque un'importanza fondamentale per la
scoperta che la politica è una forma particolare autonoma di attività umana, il
cui studio rende possibile la comprensione delle leggi da cui è perennemente
retta la storia; da quella scoperta discende, come suo naturale fondamento, una
vigorosa concezione della vita, incentrata unicamente sulla volontà e sulla
responsabilità dell'uomo. Una errata interpretazione del Novecento fece
del Machiavelli un precursore del movimento unitario italiano, ma la parola
nazione ha assunto l'attuale significato solo a partire dalla seconda metà del
Settecento, mentre il Machiavelli la usò in senso particolaristico e cittadino
(es. nazione fiorentina o, nel senso più generico di popolo, moltitudine).
Tuttavia, Machiavelli propugnava un principato in grado di reggersi sull'unità
etnica [senza fonte] dell'Italia; così facendo, e denunciando in tal modo una
chiara coscienza dell'esistenza di una civiltà italiana[senza fonte],
Machiavelli predicava la liberazione dell'Italia sotto il patrocinio di un
principe, criticando il dominio temporale dei Papi che spezzava in due la
penisola. Ma l'unità d'Italia resta in Machiavelli un problema solo
intuito. Non si può dubitare che avesse concepito l'idea dell'unità italiana,
ma tale idea restò indeterminata, poiché non trovò appigli concreti nella realtà,
restando perciò a livello di utopia, cui solo dava forma la figura ideale del
principe nuovo. Machiavelli dunque intraprese un viaggio che identificò come
spirituale in giro per il mondo. In seguito, tornato in patria, ebbe una nuova
visione sia del "popolo" che della "nazione" (di qui quello
che oggi definiamo rinnovamento culturale). Il principe o De
Principatibus Magnifying glass icon mgx2.svgIl Principe. Niccolò
Machiavelli nello studio, Stefano Ussi, 1894 Emblematico è il modo di trattare
argomenti delicati, quali le mosse necessarie al Principe per organizzare uno
stato ed ottenerne uno stabile e duraturo consenso. Per esempio vi troviamo
indicazioni programmatiche, quali l'utilità nello "spegnere" gli
stati abituati a vivere liberi di modo da averli sotto il proprio diretto
controllo (metodo preferito al creare un'amministrazione locale
"filo-principesca" o al recarvisi e stabilirvisi personalmente,
metodo però sempre tenuto da conto in modo da avere un occhio sempre presente
sulle proprie terre, e stabilire una figura rispettata e conosciuta in
loco). Altro elemento caratteristico del trattato sta nella scelta
dell'atteggiamento da tenere nei confronti dei sudditi, culminante nell'annosa
questione del "s'elli è meglio essere amato che temuto o e converso"
(Cap. XVII[25]). La risposta corretta si concretizzerebbe in un ipotetico
principe amato e temuto, ma essendo difficile o quasi impossibile per una
persona umana l'essere ambedue le cose, si conclude decretando che la posizione
più utile viene ad essere quella del Principe temuto (pur ricordando che mai e
poi mai il Principe dovrà rendersi odioso nei confronti del popolo, fatto che
porrebbe i prodromi della propria caduta). Qua appare indubbiamente la
concezione realistica e la concretezza del Machiavelli, il quale non viene a
proporre un ipotetico Principe perfetto, ma irrealizzabile nel concreto, bensì
una figura effettivamente possibile e soprattutto "umana".
Ulteriore atteggiamento principesco dovrà l'essere metaforicamente sia "volpe"
che "leone", in modo da potersi difendere dalle avversità sia tramite
l'astuzia (volpe) che tramite la violenza (leone). Mantenendo un solo
atteggiamento dei due non ci si potrà difendere da una minaccia violenta o di
astuzia. Spesso alla figura evocata dal Principe di Machiavelli viene associata
la figura di un uomo privo di scrupoli, di un cinismo estremo, nemico della
libertà. Inoltre gli viene erroneamente associata la frase "il fine
giustifica i mezzi", che invece mai enunciò. Questo perché la parola
"giustifica" evoca sempre un criterio morale, mentre Machiavelli non
vuole "giustificare" nulla, vuole solo valutare, in base ad un altro
metro di misura, se i mezzi utilizzati sono adatti a conseguire il fine
politico, l'unico fine da perseguire è il mantenimento dello Stato.
Machiavelli nella stesura del Principe si rifà alla reale situazione che gli si
presentava attorno, una situazione che necessitava essere risolta con un atto
deciso, forte, violento. Machiavelli non vuole proporre dei mezzi giustificati
da un fine, egli pone un programma politico che qualunque Principe che voglia
portare alla liberazione dell'Italia, da troppo tempo schiava, dovrà seguire.
Fuori dai suoi intenti una giustificazione morale dei punti suggeriti: egli
stende un vademecum necessariamente utile a quel Principe che finalmente vorrà
impugnare le armi. Alle accuse di sola illiberalità od autoritarismo, si può
dare una risposta leggendo il capitolo IX, "De Principatu Civili",
ritratto di un principe nascente dal e col consenso del popolo, figura ben più
solida del Principe nato dal consesso dei "grandi", cioè dei grandi
proprietari feudali. Non esiste un unico tipo di principato, ma per ognuno
troviamo un'ampia trattazione di pregi e dei difetti. Controversie sul
Principe «Quel grande / che temprando lo scettro a' regnatori gli allor ne
sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue»
(Ugo Foscolo, Dei sepolcri) La gelida obiettività e un certo cinismo con cui
Machiavelli descriveva il comportamento freddo, razionale ed eventualmente
spietato che un capo di Stato deve mettere in atto, colpì i critici. Così, da
una parte vi è la linea di pensiero tradizionale, secondo la quale "Il
Principe" è un trattato di scienza politica destinato al governante, che
tramite esso saprà come affrontare i problemi, spesso drammatici, posti dal suo
ruolo di garante della stabilità dello stato. Dall'altra, troviamo
un'interpretazione secondo cui il trattato di Machiavelli, che era
originariamente un repubblicano, ha come vero scopo quello di mettere a nudo, e
quindi chiarire, le atrocità compiute dai principi dell'epoca, a vantaggio del
popolo, che di conseguenza avrebbe le dovute conoscenze per attuare le
precauzioni al fine di stare in guardia e difendersi quando si dimostra
necessario. Il principe è visto anche come figura assai drammatica, la quale,
per il bene dello stato stesso, non si può permettere di lasciare spazio al
proprio carattere, diventando così quasi un uomo-macchina.[26][27] Secondo
alcuni, Machiavelli venne in realtà accusato da subito di nicodemismo, e:
«...di non aver mirato ad altro, in quel libro, che a condurre il tiranno a
precipitosa rovina, allettandolo con precetti a lui graditi...»
(Attribuita a Niccolò Machiavelli[28]) Magnifying glass icon mgx2.svgMachiavellismo
§ L'antimachiavellismo e il repubblicanesimo. Gli esponenti di questa seconda
interpretazione (la cosiddetta "interpretazione obliqua", diffusa dal
XVII secolo, e avanzata per la prima volta da Alberico Gentili nel 1585[29]
ispirandosi a Reginald Pole[30], poi ripresa da Traiano Boccalini e in seguito
Baruch Spinoza)[31], furono numerosi soprattutto in ambito illuminista (anche
se venne rifiutata da Voltaire[32]), che vedeva in Machiavelli un precursore
della politica laica e del repubblicanesimo: la sostennero, dal Settecento,
Jean-Jacques Rousseau[33], Vittorio Alfieri[34], Giuseppe Baretti[35], Giuseppe
Maria Galanti[36], gli enciclopedisti[37] (in primis Denis Diderot[3 Opere
Discorso 8] e Jean Baptiste d'Alembert), Ugo Foscolo e Giuseppe Parini[39],
e ha avuto diffusione soprattutto nell'Ottocento, prima e durante il
Risorgimento[26]; ne è un esempio quello che Foscolo scrive nei
"Sepolcri": «Io quando il monumento / vidi ove posa il corpo di quel
grande / che temprando lo scettro a' regnatori / gli allor ne sfronda, ed alle
genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue». Forse alcuni di essiad
esempio, per quanto riguarda Foscolo, è un'ipotesi alternativa di Spongano e
riportata anche da Mario Pazzagliaritenevano anche che, pur essendo Il principe
un'opera fatta per i tiranni e i governanti, fosse utile lo stesso per svelare
al popolo gli intrighi del potere, ritenendo valida l'interpretazione obliqua,
qualunque fossero le intenzioni di Machiavelli.[40] In generale, per i
sostenitori di questa lettura, Il principe avrebbe, come le satire (ad esempio
Una modesta proposta di Jonathan Swift), uno scopo opposto a quello apparente,
come avverrà anche per alcuni scritti di epoca romantica (Lettera semiseria di
Grisostomo di Giovanni Berchet o alcune Operette Morali di Giacomo
Leopardi[41]). In epoca più recente, tuttavia, nella maggioranza dei
critici è prevalsa la prima interpretazione, quella tradizionale, dal quale
risalta la libertà e concretezza, anche spregiudicata, del pensiero di Machiavelli,
che non descrive mondi utopici, ma il mondo reale della politica dei suoi
tempi[42], e la sua concezione anticipatrice del realismo politico e della
cosiddetta realpolitik.[43] L'interpretazione obliqua è stata riproposta in
modo minoritario, ad esempio in alcuni monologhi del drammaturgo e attore Dario
Fo.[44] Il modello linguistico prescelto da Machiavelli è fondato sull'uso
vivo più che sui modelli letterari; lo scopo, esplicito soprattutto nel
Principe, di scrivere qualcosa di utile e chiaramente espressivo lo induce a
scegliere spesso modi di dire proverbiali di immediata evidenza. Il lessico
impiegato dall'autore si rifà a quello boccacciano, è ricco di parole comuni e
i latinismi, seppure abbondanti, provengono per lo più dal gergo cancelleresco.
Nelle sue opere ricoprono un ruolo assai rilevante anche le metafore, i
paragoni e le immagini. La concretezza è una delle caratteristiche salienti,
l'esempio concreto ed essenziale, tratto dalla storia sia antica che recente, è
sempre preferito al concetto astratto. In generale si parla di uno stile
"fresco", come lo ebbe a definire il filosofo Nietzsche in Al di là
del bene e del male, con un riferimento particolare all'uso della paratassi, a
una certa sentenziosità delle frasi, costruite secondo un criterio di chiarezza
a scapito di un maggior rigore logico-sintattico. Machiavelli rende evidenti
concetti che, se espressi con un linguaggio più elaborato, sarebbero molto
difficili da decifrare, e riesce a esprimere le sue tesi con originale capacità
espositiva. Opere Discorso fatto al magistrato de' Dieci sopra le cose di
Pisa (1499) Parole da dirle sopra la provvisione del danaio (1503) Descrizione
del modo tenuto dal Duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli,
Oliverotto da Fermo, il Signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini (1503) De
natura Gallorum (1510) Ritratto delle cose di Francia (1510) Ritratto delle
cose della Magna (1512) Il Principe (1513)Testo su Wikisource Discorsi sopra la
prima deca di Tito Livio (1513 –1519) Dell'arte della guerra (15191520) La vita
di Castruccio Castracani da Lucca (1520) Istorie fiorentine (1525)Riedizione
Istorie fiorentine, Venezia, 1546. Discorso o dialogo intorno alla nostra
lingua (pubblicato nel 1730) Decennali Mandragola (1518), commedia teatrale
Belfagor arcidiavolo (15181527) Epistolario (14971527) L'asino (1517) Edizioni
critiche in pubblico dominio: Legazioni, commissarie, scritti di governo.
Fredi Chiappelli. Laterza, Roma-Bari. Drammaturgie minori Clizia (1525) Andria,
traduzione-rifacimento dell'Andria di Terenzio Onori Nel 2009 Alitalia gli ha
dedicato uno dei suoi Airbus A320-216 (EI-DTI). Nella cultura di massa Il
suo nome, modificato in "Makaveli", venne usato dal rapper
statunitense Tupac Shakur tra il 1995 e il 1996 per firmare molte sue canzoni e
un album uscito postumo. Niccolò Machiavelli viene proposto anche nel
videogioco Assassin's Creed 2 e il seguito Assassin's Creed: Brotherhood, in
veste di Assassino. Proprio in quest'ultimo assume un ruolo particolarmente
importante, insieme ad altri personaggi dell'Italia rinascimentale. Niccolò
Machiavelli è, assieme a John Dee, il principale antagonista della serie di
romanzi fantasy I segreti di Nicholas Flamel, l'immortale (come capo dei
servizi segreti francesi), scritta da Michael Scott. Nella mostra "Il
Principe di Niccolò Machiavelli e il suo tempo. 1513-" (Roma, Complesso
del Vittoriano, Salone Centrale, 25 aprile-16 giugno ), promossa dall'Istituto
dell'Enciclopedia Italiana e dalla sezione italiana di Aspen Institute, la
sezione "Machiavelli e il nostro tempo: usi e abusi" presenta, tra
altre "opere", Figurine Liebig, pacchetti di sigarette, schede
telefoniche, trading card, cartoline, francobolli, giochi da tavolo e
videogiochi dedicati a Machiavelli[45] Cinema e televisione Nella serie I
Borgia di Neil Jordan è interpretato da Julian Bleach. Machiavel è una band
belga, catalogabile sotto il genere progressive rock, attiva dal 1974. Il nome
della band è un chiaro omaggio a Niccolò Machiavelli. Nella serie I Medici è
interpretato da Vincenzo Crea> Edizione nazionale delle opere Edizione
Nazionale delle Opere di Niccolò Machiavelli, Salerno Editrice di Roma:
Il principe, Mario Martelli, corredo filologico Nicoletta Marcelli, I/1,
536, 2006, 978-88-8402-520-3
Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, Francesco Bausi, L'arte della
guerra. Scritti politici minori, Giorgio Masi, Jean Jacques Marchand, Denis
Fachard, I/3, XV-726, 2001,
978-88-8402-338-4 Opere storiche, Alessandro Montevecchi, Carlo
Varotti, II, 2 tomi 1052, ,
978-88-8402-675-0 Teatro. Andria-Mandragola-Clizia, Pasquale
Stoppelli, III/1, XXIX-456, ,
978-88-6973-191-4 Scritti in poesia e in prosa, Antonio Corsaro, Paola
Cosentino, Emanuele Cutinelli-Rèndina, Filippo Grazzini, Nicoletta Marcelli,
coordinam. di Francesco Bausi, III/2, XXXVI-652, ,
978-88-8402-770-2 Legazioni, Commissarie, Scritti di governo
(1498-1500), Jean-Jacques Marchand, V/1, 570, 2002,
978-88-8402-377-7 Legazioni. Commissarie. Scritti di governo
(1501-1503), V/2, 650, 2003,
978-88-8402-408-4 Legazioni. Commissarie. Scritti di governo
(1503-1504), Jean-Jacques Marchand, Matteo Melera-Morettini, V/3, 596, 2005,
978-88-8402-504-3 Legazioni. Commissarie. Scritti di governo Denis
Fachard, Emanuele Cutinelli-Rèndina,
V/4, 596, 2006, 978-88-8402-509-8 Legazioni. Commissarie.
Scritti di governo (1505-1507), Jean-Jacques Marchand, Andrea Guidi, Matteo
Melera-Morettini, V/5, VIII-596, 2009, 978-88-8402-642-2 Legazioni. Commissarie.
Scritti di governo (1507-1510), Denis Fachard, Emanuele Cutinelli-Rèndina, Legazioni. Commissarie. Scritti di governo
(1510-1527), Jean-Jacques Marchand, Andrea Guidi, Matteo Melera-Morettini. La famosa frase "Il fine giustifica il
mezzo" (o "i mezzi"), usata spesso come esempio di
machiavellismo, è del critico letterario Francesco de Sanctis, con riferimento
ad interpretazioni fuorvianti del pensiero di Machiavelli espresso nel
Principe. Il passo di De Sanctis, dal capitolo XV della sua Storia della
letteratura italiana, dedicato a Machiavelli, recita: "Ci è un piccolo
libro del Machiavelli, tradotto in tutte le lingue, il Principe, che ha gittato
nell'ombra le altre sue opere. L'autore è stato giudicato da questo libro, e
questo libro è stato giudicato non nel suo valore logico e scientifico, ma nel
suo valore morale. E hanno trovato che questo libro è un codice di tirannia,
fondato sulla turpe massima che il fine giustifica i mezzi, e il successo loda
l'opera. E hanno chiamato machiavellismo questa dottrina. Molte difese sonosi
fatte di questo libro ingegnosissime, attribuendosi all'autore questa o quella
intenzione più o meno lodevole. Così n'è uscita una discussione limitata e un
Machiavelli rimpiccinito".
Celebrazioni per il V centenario del Principe di Machiavelli, Accademia
della Crusca, 29 novembre . 1º novembre
(archiviato il 1º novembre ).
Archivio dell'Opera di Santa Maria del Fiore, Libri dei battesimi: A dì
4 di detto maggio 1469 Niccolò Piero e Michele di m. Bernardo Machiavellidi
Santa Trinita, nacque a dì 3 a hore 4, battezzato a dì 4 Dal Villani, nella sua Cronica I Ricordi vanno dal 30 settembre 1474 al 19
agosto 1487 In Discorsi di Architettura
del senatore Giovan Battista Nelli, 1753
La sua trascrizione del De rerum natura è nel manoscritto Vaticano
Rossiano 884 L. Canfora, Noi e gli antichi,
Milano P. Giovio, Elogia clarorum
virorum, 1546, 55v: «Constat [...] a Marcello Virgilio [...] graecae atque
latinae linguae flores accepisse» R.
Ridolfi, cit.45 Lettera 11, ottobre 1499. Riccardo Bruscagli, "Niccolò
Machiavelli"(1975). Il Senato
romano fece distruggere Velletri e indebolì Anzio sottraendole la flotta: cfr.
Livio, VIII, 13 "La sua vicinanza a
Pier Soderini, vexillifer perpetuus dal 1502, si accentua progressivamente in
uno sforzo di sottrarre Firenze a un immobilismo indotto dal timore di un potere
esecutivo più forte e irrispettoso di una lunga tradizione di libertà
repubblicano-oligarchica": Grazzini, Filippo, Ante res perdita, post res
perditas : dalle dediche del Decennale primo a quella del Principe, Interpres :
rivista di studi quattrocenteschi : XXXIII, 170, Roma : Salerno, . Lettera dell'8 gennaio 1503 È un'ipotesi del Ridolfi, cit.115 Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio,
I, 27: «Giovanpagolo, il quale non stimava essere incesto e publico parricida,
non seppe, o, a dir meglio, non ardì, avendone giusta occasione, fare una
impresa, dove ciascuno avesse ammirato l'animo suo, e avesse di sé lasciato
memoria eterna, sendo il primo che avesse dimostro a' prelati quanto sia poco
uno che vive e regna come loro; ed avessi fatto una cosa, la cui grandezza
avesse superato ogni infamia, ogni pericolo, che da quella potesse
dependere» Nella sua Storia d'Italia, il
Guicciardini esprime lo stesso giudizio di Machiavelli Ritratto delle cose della Magna, in «Tutte le
opere storiche, politiche e letterarie442»
Lettera ai Dieci, 1º dicembre 1509
Il carcere, la tortura e il ritiro all'Albergaccio, su viv-it.org. 16
novembre (archiviato il 16 novembre
). Ottenendo un giudizio evasivo: cfr.
la lettera del Vettori del 18 gennaio 1514
Lettera a Francesco Vettori, 3 agosto 1514 David Quint, Armi e nobiltà : Machiavelli,
Guicciardini e le aristocrazie cittadine, Cadmo, Studi italiani. Anno XXI, N.
1, GEN.-GIU. 2009. De credulitate et
pietate; et an sit melius amari quam timeri, vel e contra. Il machiavellismo,
su dizionariostoria.wordpress.com. 20 novembre
(archiviato il 1º dicembre ).
Machiavellismo, Treccani, su treccani.it. 20 novembre (archiviato il 1º dicembre ). Citata in Niccolò Machiavelli, Periodici
Mondadori, 1968 p.128 A. Gentili, De
legationibus, III, 2 R. Pole, Apologia
ad Carolum V Caesarem de Unitate Ecclesiae
che talvolta elogiarono però anche alcuni consigli pragmatici dati al
principe, come quello della religione come instrumentum regnii; ad esempio
Voltaire, nel capitolo Se sia utile mantenere il popolo nella superstizione,
del Trattato sulla tolleranza, afferma l'utilità, entro certi limiti, di una
forma di religione razionale per il popolo
La fortuna di Machiavelli nei secoli, su windoweb.it. 16 novembre (archiviato il 4 marzo ). «Machiavelli era un uomo giusto e un buon
cittadino; ma, essendo legato alla corte dei Medici, non poteva velare il
proprio amore per la libertà nell'oppressione che imperava nel suo paese. La
scelta di Cesare Borgia come proprio eroe, ben evidenziò il suo intento
segreto; e la contraddizione insita negli insegnamenti del Principe e in quelli
dei Discorsi e delle Istorie fiorentine ben dimostra quanto questo profondo
pensatore politico è stata finora studiato solo dai lettori superficiali o corrotti.
La Corte pontificia vietò severamente la diffusione di quest'opera. Ci credo
... in fondo, quanto scritto la ritrae fedelmente. (...) il libro dei
repubblicani (...) fingendo di dare lezioni ai re, ne ha date di grandi ai
popoli». (Jean Jacques Rousseau, Il contratto sociale, III, 6) «Dal solo suo libro Del Principe si
potrebbero qua e là ricavare alcune massime immorali e tiranniche, e queste
dall'autore son messe in luce (a chi ben riflette) molto più per disvelare ai
popoli le ambiziose ed avvedute crudeltà dei principi che non certamente per
insegnare ai principi a praticarne... all'incontro, il Machiavelli nelle
Storie, e nei Discorsi sopra Tito Livio, ad ogni sua parola e pensiero, respira
libertà, giustizia, acume, verità, ed altezza d'animo somma, onde chiunque ben
legge, e molto sente, e nell'autore s'immedesima, non può riuscire se non un
fuocoso entusiasta di libertà, e un illuminatissimo amatore d'ogni politica
virtù» (Del principe e delle lettere, II, 9)
«Con quel libro, se la sapessimo tutta, egli si pensò forse di pigliare,
come si suol dire, due colombi ad una fava: presentando dall'un lato a' suoi
Fiorentini come schietta e naturale una caricata e mostruosa immagine d'un
sovrano assoluto, affinché si risolvessero a non averne mai alcuno; e cercando
dall'altro di tirare insidiosamente i Medici a governarsi in guisa che
s'avessero poi a snodolare il collo, seguendo i fraudolenti precetti da lui con
molta adornezza sciorinati in quella sua dannata opera.» G.M. Galanti, Elogio di N. Machiavelli
cittadino e segretario fiorentino
Alessandro Arienzo, Gianfranco Borrelli, Anglo-American Faces of
Machiavelli, 2009; pag. 364 Voce
"Machiavellismo" dell'Encyclopedie
Franco Ferrucci, Il teatro della fortuna: potere e destino in
Machiavelli e Shakespeare, Fazi Editore, 2004; pag. 108 Mario Pazzaglia, Note ai Sepolcri, in
Antologia della letteratura italiana, vol I
cfr. l'inizio del Dialogo di Tristano e di un amico. Introduzione a: Alfredo Oriani, Niccolò
Machiavelli //repubblica.it/rubriche/la-parola//06/24/news/realpolitik-37893071/
Archiviato il 2 febbraio in .
Realpolitik Video di Dario Fo che parla
di Machiavelli (trasmissione tv Vieni via con me, su youtube.com. 9
dicembre (archiviato il 2 dicembre
). Il Principe di Niccolò Machiavelli e
il suo tempo. 1513-, Catalogo della mostra, Roma Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, , 470-95 La su Machiavelli è sterminata. Tentativi di
redigerla sono stati realizzati da Achille Norsa, Il principio della forza nel
pensiero politico di Niccolò Machiavelli, seguito da un contributo
bibliografico [1740‑1935], Milano 1936; Silvia Ruffo Fiore, Niccolò
Machiavelli: an annotated bibliography of modern criticism and scholarship
[1935‑88], New York‑Westport‑London 1990; Daria Perocco, Rassegna di studi
sulle opere letterarie del Machiavelli (1969‑1986), in "Lettere
italiane", XXXIX (1987), 544‑579;
Emanuele Cutinelli‑Rendina, Rassegna di studi sulle opere politiche e storiche
di Niccolò Machiavelli (1969‑1992), in "Lettere italiane", XLVI
(1994), 123‑172. Nel l'Istituto della Enciclopedia Italiana
Treccani ha pubblicato in 3 volumi l'opera Machiavelli: enciclopedia
machiavelliana. Di seguito una selezione di studi dal 1970. Monografie
principali (dal 1970) Felix Gilbert, Machiavelli e la vita culturale del suo
tempo, Bologna, Il mulino, 1972 Claude Lefort, Le travail de l'oeuvre
Machiavel, Paris, Gallimard, 1972 Jean-Jacques Marchand, Niccolò Machiavelli. I
primi scritti politici Nascita di un pensiero e di uno stile, Padova, Antenore,
1975 Riccardo Bruscagli, Niccolò Machiavelli, Firenze, La Nuova Italia
editrice, 1ª edizione: aprile 1975 Roberto Ridolfi, Vita di Niccolò
Machiavelli, Firenze, Sansoni, 1978 (ultima ed.) Federico Chabod, Scritti su
Machiavelli, Torino, Einaudi, 1980 (ultima ed.) John Greville Agard Pocock, Il
momento machiavelliano: il pensiero politico fiorentino e la tradizione
repubblicana anglosassone, Bologna, Il mulino, 1980 Carlo Dionisotti,
Machiavellerie, Torino, Einaudi, 1980 Gennaro Sasso, Niccolo Machiavelli, 1: Il pensiero politico; 2: La storiografia, Bologna, Il Mulino, 1993
(1ª ed. Napoli 1958) Giuliano Procacci, Machiavelli nella cultura europea
dell'età moderna, Roma-Bari, Laterza, 1995 Gennaro Sasso, Machiavelli e gli
antichi e altri saggi, I-IV, Milano-Napoli, Ricciardi, 1987-97 Maurizio Viroli,
Il sorriso di Niccolò, storia di Machiavelli, Roma-Bari, Laterza, 1998 Emanuele
Cutinelli-Rendina, Chiesa e religione in Machiavelli, Pisa, Istituti editoriali
e poligrafici internazionali, 1998 Ugo Dotti, Machiavelli rivoluzionario: vita
e opere, Roma, Carocci, 2003 Francesco Bausi, Machiavelli, Roma, Salerno
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cognizione delle storie, Roma, Carocci, 2006 Corrado Vivanti, Niccolò
Machiavelli: i tempi della politica, Roma, Donzelli, 2008 Andrea Guidi, Un
segretario militante. Politica, diplomazia e armi nel Cancelliere Machiavelli,
Bologna, il Mulino, 2009 Gabriele Pedullà, Machiavelli in tumulto. Conquista,
cittadinanza e conflitto nei 'Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio',
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Guicciardini Teoria della ragion di Stato Istorie fiorentine Barbara Salutati
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Machiavelli, su machiavelli.letteraturaoperaomnia.org. Opere di Niccolò
Machiavelli con giunta di un nuovo indice generale delle cose notabili, 9
voll., Milano, per Giovanni Silvestri,Rassegna bibliografica degli studi
machiavelliani (2000-). Una ricognizione dei contributi scientifici dedicati al
Machiavelli negli ultimi decenni. Refs.: Luigi
Speranza, "Grice e Machiavelli," per il club anglo-italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
mctaggart: Irish philosopher, the leading
British personal idealist. Aside from his childhood and two extended visits to
New Zealand, McTaggart lived in Cambridge as a student and fellow of Trinity
College. His influence on others at Trinity, including Russell and Moore, was at
times great, but he had no permanent disciples. He began formulating and
defending his views by critically examining Hegel. In Studies in the Hegelian
Dialectic (1896) he argued that Hegel’s dialectic is valid but subjective,
since the Absolute Idea Hegel used it to derive contains nothing corresponding
to the dialectic. In Studies in Hegelian Cosmology (1901) he applied the
dialectic to such topics as sin, punishment, God, and immortality. In his
Commentary on Hegel’s Logic (1910) he concluded that the task of philosophy is
to rethink the nature of reality using a method resembling Hegel’s dialectic.
McTaggart attempted to do this in his major work, The Nature of Existence (two
volumes, 1921 and 1927). In the first volume he tried to deduce the nature of
reality from self-evident truths using only two empirical premises, that
something exists and that it has parts. He argued that substances exist, that
they are related to each other, that they have an infinite number of substances
as parts, and that each substance has a sufficient description, one that
applies only to it and not to any other substance. He then claimed that these
conclusions are inconsistent unless the sufficient descriptions of substances
entail the descriptions of their parts, a situation that requires substances to
stand to their parts in the relation he called determining correspondence. In
the second volume he applied these results to the empirical world, arguing that
matter is unreal, since its parts cannot be determined by determining
correspondence. In the most celebrated part of his philosophy, he argued that
time is unreal by claiming that time presupposes a series of positions, each
having the incompatible qualities of past, present, and future. He thought that
attempts to remove the incompatibility generate a vicious infinite regress.
From these and other considerations he concluded that selves are real, since
their parts can be determined by determining correspondence, and that reality
is a community of eternal, perceiving selves. He denied that there is an
inclusive self or God in this community, but he affirmed that love between the
selves unites the community producing a satisfaction beyond human
understanding.
Madera: Romano
Màdera (Varese), filosofo. È professore a Milano. Ha insegnato
all'Università della Calabria e all'Università Ca' Foscari di Venezia. È
membro dell'Associazione italiana di psicologia analitica (AIPA),
dell'International Association for Analytical Psychology (IAAP), del
Laboratorio analitico delle immagini (LAI, associazione per lo studio del gioco
della sabbia nella pratica analitica), e fa parte della redazione della Rivista
di psicologia analitica. Insieme al filosofo italiano Luigi Vero Tarca ha
fondato, alla fine degli anni novanta del XX secolo, i Seminari aperti di
pratiche filosofiche di Venezia e di Milano. È tra i fondatori e i
docenti di PhiloPratiche filosofiche a Milano. Studioso del pensiero di
Carl Gustav Jung, ha definito la sua proposta nel campo della ricerca e della
cura del senso "analisi biografica a orientamento filosofico",
formando nel 2007 la società degli analisti filosofi (SABOF). Il pensiero
Romano Màdera è il fondatore dell'analisi biografica a orientamento filosofico
(ABOF), pratica filosofica volta a utilizzare e a trasformare il metodo
psicoanalitico, nata agli inizi Professoree oggi praticata in diverse città
italiane. La pratica dell'analista filosofo si rivolge alle dimensioni
“sane” ed è volta alla ricerca di senso dell'esistenza dell'analizzante:
orientamento filosofico è inteso come ricerca di senso che, a differenza della
filosofia come modo di vivere dell’antichità, parte dalla biografia
storicamente, culturalmente e socialmente incarnata. Questo è un tentativo di
risposta alla crisi, a partire dal XX secolo, delle istituzioni
tradizionalmente riconosciute come orientanti l’esistenza; l'analista filosofo
si propone di riformulare su base biografica i processi educativi e formativi
integrandoli con le psicologie del profondo. L’aver cura “terapeutica”
dell’insieme della personalità e della vita dei gruppi è stato da sempre
vocazione della filosofia, riproposta come contenitore di diversi approcci e
discipline delle scienze umane, dalla psicoanalisi alla pedagogia. Il senso è
inteso come il fattore terapeutico fondamentale. L'ABOF non
si occupa della cura delle psicopatologie, a meno che l'analista filosofo
non sia anche uno psicoterapeuta, psicologo o psichiatra. Essendo l'ABOF
una pratica filosofica, sono richiesti all'analista non solo la competenza
professionale ma anche l'indirizzo vocazionale della sua vita alla filosofia,
dedicandosi agli esercizi filosofici personali e comunitari. L'ambito di
esperienze e teorie da cui deriva riunisce l'eredità delle psicologie del
profondo, la filosofia intesa nel suo valore terapeutico e come stile di vita,
la pedagogia del corpo e le pratiche di meditazione, la psicologia sistemica,
il metodo autobiografico e biografico, la narrazione delle storie di vita in
una prospettiva sociologica. Opere Identità e feticismo, Moizzi, Milano
1977 Dio il Mondo, Coliseum, Milano 1989 L'alchimia ribelle, Palomar, Bari 1997
C.G. Jung. Biografia e teoria, Bruno Mondadori, Milano 1998 L'animale
visionario, Il Saggiatore, Milano 1999 “Mia philosophikê askêsê”, in ê
sunantêsê, n. 16, 2005 “Ti einai ê philosophika prosanatolismenê biographikê
analusê?”, in ê sunantêsê, n. 18, 2005 La filosofia come stile di vita (con
L.V.Tarca), Bruno Mondadori, Milano, 2003, tr. inglese Philosophy as Life Path,
Ipoc, Milano 2007 Il nudo piacere di vivere, Arnoldo Mondadori, Milano 2006
"Che cosa è l'analisi biografica a orientamento filosofico", in Pratiche
filosofiche e cura di sé, Bruno Mondadori, Milano 2006 “C.G. Jung come
precursore di una filosofia per l'anima”, in , Il senso di psiche. Una
filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica, novembre 2007, 76/2007,
n. s. n. 24 “C.G. Jung: Forerunner of a Philosophy for the Soul”, in European
Journal of Psychoanalysis, II, 24, 2009 La carta del senso. Psicologia del
profondo e vita filosofica, Raffaello Cortina Editore, Milano, , tr. inglese
Approaching the Navel of the Darkened Soul. Depht Psychology and Philosophical
Practices, Ipoc, Una filosofia per
l'anima. All'incrocio di psicologia analitica e pratiche filosofiche (Chiara
Mirabelli), Ipoc, Milano “Empirisme ou
une philosophie pour l’ame?”, in Recherches Germaniques, Université de
Strasbourg, Hors série n. 9, “The
Missing Link: from Jung to Hadot and Vice Versa”, in Eranos. Its Magical Past
and Alluring Future: the Spirit of a Wondrous Place, Spring, n. 92, Carl Gustav Jung. L'opera al rosso,
Feltrinelli, Milano “The Quest for
Meaning after God’s Death in an Era of Chaos”, in , Jung’s Red Book for our
Time: Searching for Soul under Postmodern Conditions, 2, Chiron Publications, Asheville, NC Sconfitta e utopia. Identità e feticismo
attraverso Marx e Nietzsche, Mimesis, Milano
“Che tipo di sapere potrebbe essere quello della psicoanalisi?”, in
Psiche. Rivista di cultura psicoanalitica, n. 2, Màdera R., “Dalla pseudospeciazione al capro
espiatorio", in , Tabula rasa. Neuroscienze e culture, Fondazione
Intercultura , 15, Màdera R., "The psychic counterpoise to
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Campanello L., Sono vivo ed è solo l'inizio, Mursia, Milano Daddi A. I., Filosofia del profondo,
formazione continua, cura di sé. Apologia di una psicoanalisi misconosciuta,
Ipoc, Milano, Daddi A. I., “Principio
Misericordia, perfezionismo morale e nuova etica. La proposta màderiana per
l'Occidente del terzo millennio”, in I. Pozzoni , Rassegna storiografica
decennale, Limina Mentis, Monza, Diana
M., Contaminazioni necessarie. La cura dell'anima tra religioni, psicoterapia,
counselling filosofici, Moretti&Vitali, Bergamo 2008 Galimberti U., Nuovo
dizionario di psicologia. Psichiatria, psicoanalisi, neuroscienze, voce
“Biografico, Metodo”, Feltrinelli, Milano
Gamelli I., Mirabelli C., Non solo a parole. Corpo e narrazione nella
formazione e nella cura, Raffaello Cortina, Milano Janigro N. , La vocazione della psiche,
Einaudi, Torino Janigro N.,
Psicoanalisi. Un’eredità al futuro, Mimesis, Milano Malinconico A. , "Dialettica di
redazione (ancora in tema di analisi biografica a orientamento
filosofico)", in , Il senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista
di psicologia analitica, novembre 2007, 76/2007, n. s. n. 24 Malinconico A.,
Psicologia Analitica e mito dell’immagine. Dialogando con Paolo Aite,
Biblioteca di Vivarium, Milano Montanari
M., “Hadot e Foucault. Per una filosofia del profondo”, in , Il senso di
psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica, novembre
2007, 76/2007, n. s. n. 24 Montanari M., La filosofia come cura, Mursia,
Milano Montanari M., Vivere la
filosofia, Mursia, Milano Moreni L. ,
“Intervista a tre analisti filosofi”, in , Il senso di psiche. Una filosofia
per l'anima, Rivista di psicologia analitica, Ways to go beyond the nihilistic
alienation Sull’analisi biografica a
orientamento filosofico Analisi biografica
e cura di sé Una nuova formazione alla
cura Psiche e città. La nuova politica
nelle parole di analisti e filosofi
Quattordici punti sull’analisi biografica a orientamento filosofico Dalla pseudospeciazione al capro
espiatorio Romano Màdera et l’analyse
biographique à orientation philosophique.
Maffetone: Sebastiano
Maffettone (Napoli), filosofo. Laureatosi in giurisprudenza all'Università
degli studi di Napoli Federico II nel 1971, dal 1975 al 1976 è stato borsista
presso l'Oxford e dal 1977 al 1980 ha studiato per conseguire un master presso
l'Londra. Campi di interesse Ha
contribuito al dibattito scientifico internazionale sui temi della bioetica e
dell'etica dell'economia e della politica. In particolare ha avuto il merito di
introdurre in Italia il pensiero di John Rawls, tentando di ricostruire i
principi del liberalismo applicandoli al contesto della globalizzazione
economica. Incarichi Ha insegnato in
diverse università italiane e internazionali, come Harvard, Columbia, Tufts
University, Boston College, University of Pennsylvania, Nuova Delhi, London
School of Economics, Sciences-Po (Paris). È direttore del dipartimento di
scienze politiche della LUISS Guido Carli, dove insegna filosofia
politica. Dal è consigliere delegato alla cultura del
governatore della Regione Campania Vincenzo De Luca e presidente della
Fondazione Ravello. Opere: I fondamenti del liberalismo, Laterza, Etica
Pubblica, Il Saggiatore, La pensabilità del mondo Il Saggiatore, Rawls:
un'introduzione, Laterza, . Rawls, Polity Press, . Un mondo migliore. Giustizia
globale tra Leviatano e Cosmopoli, Luiss University Press, . Karl Marx nel XXI
secolo, Luiss University Press, . Note
Pagina web di Sebastiano Maffettone
Biografia di Sebastiano Maffettone
Cv del docente Archiviato l'11 novembre
in . Opere di Sebastiano Maffettone, .
Registrazioni di Sebastiano Maffettone, su RadioRadicale.it, Radio
Radicale. Sebastiano
MaffettonePubblicazioni, LUISS Guido Carli, . 6 gennaio (archiviato dall'url originale l'11 novembre
). Sebastiano Maffettone. Rassegna di articoli SWIF Sito web Italiano per la
Filosofia. Università degli Studi di Bari.
Magalotti – Medaglione nel
Museo della Specola, Firenze. Il conte Lorenzo Magalotti (Roma), filosofo. Appartenente
ad una famiglia dell'aristocrazia fiorentina, nacque a Roma, dove il padre
Orazio era prefetto dei corrieri pontifici, pochi mesi dopo la morte
dell'omonimo zio cardinal. La madre si chiamava Francesca Venturi. Studiò nel
Collegio Romano, un seminario dei Gesuiti, e successivamente nell'Pisa, dove fu
allievo di Viviani e di Malpighi. Segretario del cardinale Leopoldo de'
Medici, fu nominato segretario dell'Accademia del Cimento (fondata dal cardinale).
Fece parte anche dell'Accademia della Crusca e dell'Accademia dell'Arcadia col
nome di Lindoro Elateo. Dall'esperienza al Cimento nacquero i Saggi di naturali
esperienze, ossia le relazioni dell'attività dell'Accademia del Cimento. Passò
al servizio di Cosimo III de' Medici, granduca di Toscana, iniziando così
un'attività diplomatica che lo portò a una lunga serie di viaggi per tutta
l'Europa (raccolse in diverse opere le sue vivaci e brillanti relazioni di
viaggio). Ottenne il titolo di conte e la nomina ad ambasciatore residente a
Vienna, sede dalla quale venne improvvisamente rimosso per ragioni
rimaste ignote e legate verosimilmente a dissensi di natura politica
col granduca. Si ritirò allora a vita privata nei suoi possedimenti e
successivamente chiese di entrare a far parte della Confederazione
dell'Oratorio di San Filippo Neri; ma si pentì anche di questa decisione, e si
ritirò definitivamente nella sua villa di Lonchio. Si dedicò alla filosofia. La
sua produzione poetica petrarcheggiante non è ritenuta all'altezza delle sue
relazioni scientifiche, tranne forse delle canzonette anacreontiche derivanti
da traduzioni dalla lingua greca di testi dello stesso Anacreonte. Tradusse
inoltre il Paradiso perduto del Milton e un poemetto georgico di John Philips
(The Cyder). Un apporto positivo hanno invece recato i documenti della sua
amicizia con Charles de Saint-Évremond. Pubblicò anche vari scritti di
divulgazione scientifica, da cui traspare la sua particolare attenzione per la
filosofia naturale di Galileo. Opere: Frontespizio di Lettere scientifiche ed
erudite di Lorenzo Magalotti (Firenze) Canzonette anacreontiche di Lindoro
Elateo, pastore arcade, Delle lettere familiari del conte Lorenzo Magalotti e
di altri insigni uomini a lui scritte, Firenze, Diario di Francia, M.L. Doglio, Palermo,
Sellerio. La donna immaginaria, canzoniere del conte Lorenzo Magalotti con
altre di lui leggiadrissime composizioni inedite, raccolte e pubblicate da
Gaetano Cambiagi al nobilissimo signore Vincenzo Maria Alamanni patrizio
fiorentino marchese di Trentola, e Barone di Lodano ecc., Lucca. Lettere del
conte Lorenzo Magalotti gentiluomo fiorentino dedicate all'Ecc.mo e Clar.mo
Sig. Senatore Carlo Ginori Cav. dell'Ordine di S. Stefano, Segretario delle
Riformagioni e delle Tratte, Lucca. Lettere contro l'ateismo, Venezia. Lettere
odorose, E. Falqui, Milano. Lettere scientifiche. Lettere erudite del conte
Lorenzo Magalotti gentiluomo trattenuto, e del Consiglio di Stato dell'Altezza
Reale del Serenissimo Granduca di Toscana, Firenze 1727. Opere dei discepoli di
Galileo Galilei, ed. naz. G. Abetti e P. Pagnini, I, dedicato all'Accademia del Cimento,
Firenze. Saggi di naturali esperienze fatte nell'Accademia del cimento sotto la
protezione del Serenissimo Principe Leopoldo di Toscana e descritte dal
Segretario di essa Accademia, Milano. Scritti di corte e di mondo, Enrico
Falqui, Roma. Varie operette del conte Lorenzo Magalotti con giunta di otto
lettere su le terre odorose d'Europa e d'America dette volgarmente buccheri ora
pubblicate per la prima volta, Roma. Cesare Preti e Luigi Matt, Lorenzo
Magalotti, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Saggi di
naturali esperienze fatte nell'Accademia del Cimento sotto la protezione del
serenissimo principe Leopoldo di Toscana e descritte dal segretario di essa
Accademia, In Firenze: per Giuseppe Cocchini all'Insegna della Stella,
1666 La donna immaginaria canzoniere del
celebre conte Lorenzo Magalotti ora per la prima volta dato alla luce e
dedicato alle nobilissime dame italiane, in Firenze: appresso Andrea Bonducci,
1762 Canzonette anacreontiche di Lindoro
Elateo pastore arcade, in Firenze : per Gio. Gaetano Tartini, e Santi Franchi,
1723 Il sidro poema in due canti di
Giovanni Filips tradotto dall'inglese in toscano dal celebre conte Lorenzo
Magalotti ora per la prima volta stampato con altre traduzioni, e componimenti
di vari autori, in Firenze: appresso Andrea Bonducci, 1749 Charles de Marguetel de Saint-Denis de
Saint-Évremond, Opere slegate : precedute da un carteggio tra Magalotti e
Saint-Évremond, tradotte in toscano da Lorenzo Magalotti, edizione critica
Luigi De Nardis, Roma: Edizioni dell'Ateneo, 1964 Questo testo proviene in parte dalla relativa
voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo.
Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze (home page), pubblicata sotto
licenza Creative Commons CC-BY-3.0 Elogio storico del conte Lorenzo Magalotti
nell'edizione de La donna immaginaria canzoniere del conte Lorenzo Magalotti
con altre di lui leggiadrissime composizioni inedite, raccolte e pubblicate da
Gaetano Cambiagi, In Lucca: nella stamperia di Gio. Riccomini, XIII-XLV, 1762 . Felice Del Beccaro,
Magalotti, Lorenzo (1637-1712), in Vittore Branca , Dizionario critico della
letteratura italiana, Torino, UTET, Lorenzo Magalotti, Relazioni di viaggio in
Inghilterra, Francia e Svezia, Bari, G. Laterza, 1968. 24 febbraio . Altri
progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a
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su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Federico Millosevich, Lorenzo Magalotti, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Cesare Preti e Luigi Matt, Lorenzo Magalotti,
in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Lorenzo Magalotti, su
accademicidellacrusca.org, Accademia della Crusca. Opere di Lorenzo Magalotti, su Liber
Liber. Opere di Lorenzo Magalotti, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Lorenzo Magalotti, . Testi on-line Relazioni di viaggio in
Inghilterra, Francia e Svezia Lettere
scientifiche ed erudite Comento sui
primi cinque canti dell'Inferno di Dante, e quattro lettere del conte Lorenzo
Magalotti Canzonette anacreontiche di
Lindoro Elateo pastore arcade Lettere
scientifiche ed erudite La donna
immaginaria Novelle (il volume contiene anche opere di altri
autori) Gli amori innocenti di Sigismondo conte d'Arco con la Principessa
Claudia Felice d'Inspruch.
Maggi: Vincenzo Maggi
(Pompiano), filosofo. La famiglia aveva possedimenti e anche un negozio di
farmacia. Il padre Francesco, uomo di lettere, fu il suo primo maestro.
Studiò filosofia a Padova con Bagolino e frequentò attivamente gli ambienti
culturali della città. Si laureò e
divenne professore supplente di filosofia nello Studio di Padova, con uno
stipendio iniziale di 47 fiorini. Alla morte di Marcantonio Passeri ottenne la cattedra
di filosofia e rimase ad insegnare a Padova. Membro dell'«Accademia degli
Infiammati», strinse amicizia con Daniele Barbaro, Bartolomeo Lombardi,
Alessandro Piccolomini, Sperone Speroni, Bernardino Tomitano, Benedetto Varchi,
entrò quindi a far parte del circolo di Pietro Bembo, frequentando insigni
estimatori di Erasmo da Rotterdam, come Aonio Paleario, Benedetto Lampridio e
Emilio degli Emigli. Conobbe il cardinale Reginald Pole, il vescovo Pier Paolo
Vergerio, Marcantonio Flaminio e Alvise Priuli. Fu in Germania dove incontrò
Erasmo da Rotterdam. Il dibattito sulla questione della lingua e sui temi
estetici legati soprattutto all'interpretazione della Poetica aristotelica
condusse alla preparazione di un commento allo scritto di Aristotele che, iniziato
da Lombardi. per la prematura morte di questi fu proseguito, concluso e fatto
pubblicare da Maggi, con altra sua opera dedicata ad Orazio, a Venezia: le In
Aristotelis librum de Poetica communes explanationes: Madii vero in eundem
librum propriae annotationes, dedicato al cardinale Cristoforo Madruzzo. Maggi
lasciò Padova per entrare al servizio del duca Ercole II d'Este come precettore
del figlio Alfonso e, insieme, per insegnare filosofia nell'Ferrara. Si
conservano appunti delle sue lezioni sulla Poetica. Anche della vita culturale
della città estense Maggi fu protagonista, divenendo principe dell'«Accademia dei Filareti», che
vantava membri come Ercole Bentivoglio, Alfonso Calcagnini, Lilio Gregorio
Giraldi e Giovan Battista Giraldi Cinzio, oltre a essere amico degli umanisti
Giovan Battista Pigna, Francesco Porto e Bartolomeo Ricci, che gli diede
pubblicamente merito di essere stato «il primo interprete della Poetica di
Aristotele». Del 1545 è l'orazione Mulierum praeconium o De mulierum praestantia,
dedicata ad Anna d'Este, la figlia di Ercole e di Renata di Francia, che nello
stesso anno fu tradotta in volgarenon dal Maggicon il titolo Un brieve trattato
dell'eccellentia delle donne. L'edizione di questo scritto comprende anche una
anonima Essortatione a gli huomini perché non si lascino superar dalle donne,
attribuita a Ortensio Lando, che si pone come corollario dell'orazione del
Maggi. Alla chiusura temporanea dell'Università, il Maggi ritornò a
Brescia per motivi familiari e culturali, partecipando alle riunioni
dell'Accademia di Rezzato, fondata da Giacomo Chizzola. Abitò nella quadra
della cittadella vecchia, in contrada Santo Spirito: dalla polizza
d'estimo, presentata al comune di Brescia, sappiamo che era sposato con
Francesca, figlia del nobile Paris Rosa, dalla quale ebbe cinque figli. A
Brescia sedeva nel Consiglio Generale e fu incluso nell'elenco dei consiglieri
comunali della città destilla reggenza delle podestarie maggiori del
territorio. Fu destinato alla Podestaria di Orzinuovi, ma vi rinunciò, come
rinunciò anche alla podestaria di Salò, e partecipò alle sedute del Consiglio
Generale. Opere: Un brieve trattato dell'eccellentia delle donne, Brescia,
Turlini 1545. In Aristotelis librum de Poetica communes explanationes: Madii
vero in eundem librum propriae annotationes, Venetiis, Valgrisi, 1550 (con
Bartolomeo Lombardi). De ridiculis, in Horatii librum de arte poetica
interpretatio, Venetiis, Valgrisi, 1550. Lectiones philosophicae, Firenze, Biblioteca
Riccardiana, ms. Expositio in libros de
Coelo et Mundo, Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms D. 494. Expositio de Coelo,
de Anima, Milano, Biblioteca Ambrosiana, mss G. 69, R. 114. Quaestio de
visione, Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms P. 71. Espositio super primo Coelo,
Piacenza, Biblioteca Passerini-Landi, ms Pollastrelli 98. Mulierum praeconium,
Modena, Biblioteca Estense, ms Estensis latinus 174. Oratio de cognitionis
praestantia, Ferrariae, apud Franciscum Rubeum de Valentia 1557. Consilia
philosophica Vincentii Madii et Jo. Bap. Pignae in favorem serenissimi
Ferrariae ducis in ea praecedentia, Archivio di Stato, Casa e Stato, Modena. Note
In Alessandro Sardi, Estensis latinus 88, Modena, Biblioteca
Estense. Giulio Bertoni, Nota su
Vincenzo Maggi, in «Giornale storico della letteratura italiana», Conor Fahy,
Un trattato di Vincenzo Maggi sulle donne e un'opera sconosciuta di Ortensio
Lando, in «Giornale storico della letteratura italiana»,Francesco Bruni,
Sperone Speroni e l'Accademia degli Infiammati, in «Filologia e letteratura»,
XIII, 1968, 24–71. Bernard Weinberg ,
Trattati di retorica e poetica, III, Roma-Bari, Laterza, 1974. Anthony J. E.
Harmsen, La théorie du ridicule chez Madius et le classicisme néerlandais, in
«Acta Conventus neolatini Bononiensis», Binghamton, NY, 1985, 491–499. Enrico Bisanti, Vincenzo Maggi,
interprete tridentino della Poetica di Aristotele, Brescia, Geroldi, 1991.
Giorgio Tortelli, Quattro Maggi in cerca d'autore, in «Quaderni del
Lombardo-Veneto», Padova 1999, n. 48,
18–22. Vincenzo Maggi, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Vincenzo
Maggi, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Vincenzo Maggi, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Vincenzo Maggi, su Liber Liber. Opere di Vincenzo Maggi, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl.
Magi: Gianluca Magi (Pesaro),
filosofo. Ha insegnato Storia delle religioni in Cina e Storia della filosofia
all'Urbino. È docente di Storia e filosofia della religione indiana alla
Facoltà di Sociologia nello stesso ateneo. Si è dedicato alla cultura
orientale, e in particolare all'induismo, buddhismo, sufismo, taoismo,
tantrismo studiandone, in particolare, gli aspetti psicologici (psicologia
transpersonale). È uno degli autori italiani che ha maggiormente contribuito
alla elaborazione teorico-pratica e alla diffusione della psicologia
transpersonale. Nel 1996 ha fondato, in convenzione con l'Urbino, la
Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa di Rimini, centro di
ricerca composto da docenti universitari che si occupano di mediare il pensiero
orientale e occidentale in campo filosofico e psicologico. Dal 2005 ne è stato
il direttore scientifico e dal è stato affiancato
nella direzione da Franco Battiato. Nel
lascia la direzione scientifica e le docenze con un asciutto comunicato
per fondare a Pesaro Incognita ◦ Advanced Creativity, centro
transdisciplinareche amplia gli orizzonti dell'esperienza precedente e
concepito come il successore dei Circoli letterari parigini del XVII secolo,
del Cabaret Voltaire dadaista di Zurigo e del programma televisivo Bitte, keine
Réclame dello stesso Franco Battiatoche dirige sempre con il musicista
catanese. La sede di "Incognita" ospita la "AC Mind
School", co-diretta dalla studiosa di estetica e orientalista Grazia
Marchianò, moglie di Elémire Zolla, Scuola che si propone di fondere l'
Immaginazione in una lega con le nuove e accreditate ricerche scientifiche, in
chiave cognitiva per il XXI secolo; tesoreggiando ‘l’intelligenza del cuore’ e
ciò che si è inteso per ‘principio dell’interiorità’ in Oriente, Occidente e in
ciò che sopravvive dei mondi indigeni . In seguito all'incontro con
Franco Battiato, avvenuto nel 2003 a Rimini, in occasione della mostra pittorica
"Misticismo d'Oriente e d'Occidente", ha instaurato una
collaborazione con il musicista, che scrisse la presentazione de I 36
stratagemmi (Edizioni Il Punto d'Incontro; dal , BestBUR), libro che ottiene un
grande successo di pubblico (39 ristampe e tradotto in 32 Paesi) e ampia
risonanza mediatica. Nel 2005 partecipa al programma televisivo Bitte, keine
Réclame, condotto da Battiato per la Rai, occupandosi di strategia
taoista. Molto rare sono le apparizioni televisive di Magi, che è
intervenuto sporadicamente all'interno del canale Sky TG 24. Il suo
libro, Il Gioco dell'Eroe. Le porte della percezione per essere straordinario
in un mondo ordinario, con la presentazione di Franco Battiato, uscito nel
maggio del , vede un clamoroso successo. Il suo nuovo libro, I 64 Enigmi.
L'antica sapienza cinese per vincere nel mondo contemporaneo, edito da Sperling
& Kupfer uscito il 14 aprile , è segnalato da Wuz.it al primo posto dei
libri più attesi del . Il giorno stesso della sua uscita balza ai primi posti
della classifica dei libri più venduti. Nel marzo esce Lo stato intermedio, scritto in coppia
con Franco Battiato. Nel libro Magi e Battiato conversano sull'argomento
rimosso dei nostri tempi: la morte. La conversazione abbraccia l'orizzonte
ampio degli ambiti cari agli autori: filosofia occidentale, filosofia indiana,
filosofia cinese, buddhismo, sufismo, mistica, psicologia transpersonale,
sciamanesimo, esperienze ai confini della morte. Il 5 settembre , esce un
aggiornamento ampliato del Gioco dell'Eroe con un nuovo sottotitolo La porta
dell'Immaginazione e nuova traccia audio dal titolo "Follow the White
Rabbit" creata e prodotta da Cristoforo Magi, figlio dell'autore; è
segnalato da Wuz.it al primo posto dei libri più attesi del e ottiene i primi posti della classifica dei
libri più venduti . La presentazione dell'opera è sempre a firma di Franco
Battiato. È un vegetariano dichiarato.. Pensiero Si è focalizzato
sui modelli di pensiero asiatici per approfondirne, oltre la portata metafisica
e autorealizzativa, i concetti di efficacia ed efficienza: nel libro I 36
stratagemmi declina il taoismo nei suoi aspetti di strategia psicologica; nel
saggio "Le arti marziali della parola" all'interno della sua curatela
del libro di Liang Shiqiu, La nobile arte dell'insulto (Einaudi) evidenzia come
l'arte del combattimento diventi arte retorica e dialettica; nei libri Il dito
e la luna, La via dell'umorismo e Il tesoro nascosto mostra il rilievo
psicopedagogico della comunicazione metaforica e umoristica delle narrazioni
buddhiste e sufi. Ha inoltre elaborato e sviluppato la dimensione della
psicologia transpersonale all'interno del Gioco dell'Eroe , disciplina da lui
creata e imperniata sulla capacità umana dell'immaginazione. Opere Il
dharma del sacrificio del mondo, Panozzo, 1997; La filosofia del linguaggio
eterno, Urbino, 1997; Quaderno indiano, Scuola superiore di filosofia orientale
e comparativa di Rimini, 2002; Il dito e la luna, Il Punto d'Incontro, 2002
[introduzione di Gabriele Mandel (edizione tedesca: Der verborgene Schatz,
Random House Kailash Verlag, 2009); I 36 stratagemmi, Il Punto d'Incontro, 2003
(dal , BestBur; edizione tedesca: 36 Strategeme. Die chinesische Kunst der
Strategie, Random House Kailash Verlag, 2009; edizione spagnola: Las 36 estratagemas.
El arte secreto de la estrategia china, Obelisco Ediciones, 2009; edizione
portoghese: "Os 36 Estratagemas Chineses", Esfera dos Livros, );
Sanjiao. I tre pilastri della sapienza, Il Punto d'Incontro, 2006; Liang
Shiqiu, La nobile arte dell'insulto, Einaudi, 2006 [e con il saggio
introduttivo di Gianluca Magi "Le arti marziali della parola" e
l'introduzione di Michele Serra, 89];
Uscite dal sogno della veglia. Viaggio attraverso le filosofie indiane della
Liberazione, Scuola superiore di filosofia orientale e comparativa di Rimini,
2008; La Via dell'umorismo, Il Punto d'Incontro, 2008 (edizione tedesca:Lieber
ein intelligenter Feind als ein dummer Freund, Random House Arkana Verlag,
2009); La vita è uno stato mentale. Ovvero La conta dei frutti delle azioni nel
mondo evanescente secondo l'insegnamento di Phalu il Kashmiro, Bompiani, 2009.
Kauṭilya, Il Codice del Potere (Arthaśāstra). Arte della guerra e della
strategia indiana, Edizioni Il Punto d'Incontro, [traduzione dal sanscrito, commento e introduzione
"Lo yoga segreto del perfetto sovrano" di Gianluca Magi] 978-88-8093-707-4. Il Gioco dell'Eroe, Il
Punto d'Incontro, . Libro/CD con prefazione di Franco Battiato; I 64 Enigmi,
Sperling & Kupfer, . Lo stato intermedio, scritto con Franco Battiato, Arte
di Essere, . Il tesoro nascosto. 100 lezioni sufi, Sperling & Kupfer, . Il
Gioco dell'Eroe. La porta dell'Immaginazione, Il Punto d'Incontro, . Nuova
edizione ampliata con nuova traccia audio. Prefazione di Franco Battiato. 101
burle spirituali, Sperling & Kupfer, . Prefazione di Alejandro Jodorowsky.
Contributi a opere enciclopediche Per la seconda edizione, in dodici volumi,
dell’Enciclopedia filosofica, promossa dal Centro Studi Filosofici di Gallarate
ed edita da Bompiani nel 2006 (poi dal Corriere della Sera nel ), ha scritto le
voci di filosofia indiana: Ahimsa; Ājīvika; Āraṇyaka; Brahman; Brāhmaṇa;
Buddhismo; Cārvāka; Darśana; Dharma; Hindūismo; India; Jainismo; Karman; Māyā;
Mīmāmsā; Mokṣa; Nāgārjuna; Nirvāṇa; Nyāya; Oṃ o aum; Sāṃkhya; Śaṅkara; Śivaismo;
Upaniṣad; Vaiśeṣika; Veda; Vedānta; Viṣṇuismo; Yoga. Filosofia indiana in:
Virgilio Melchiorre , Filosofie nel mondo, Bompiani, Milano Al cinema Ha recitato un cameo, nel ruolo di
se stesso, nel film Niente è come sembra, 2006 di Franco Battiato, a fianco del
regista e scrittore cileno Alejandro Jodorowsky. Jodorowsky ha scritto in
seguito la presentazione del libro di Magi La Via dell'umorismo. Premi e
riconoscimenti Premio internazionale Letteratura “ArteSpirito”. Note Blog di Gianluca Magi 3 marzo . «Nel 1996
fondai a Rimini la “Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa”.
Oggi mi congedo dalla Direzione scientifica e dalla docenza dei miei vari
Corsi. Le cose belle hanno un inizio e una fine. Ai tanti Allievi di questi
ventidue anni, un grato saluto. Non mi ritirerò nel mondo delle idee, che per
un platonico può anche apparire una promozione. I tempi sono maturi per
l’upgrade: “Incognita” a Pesaro. Per spaziare in temi altissimi con una
narrazione transdisciplinare. Attraverso immaginazione, religioni, filosofie,
arti e scienze. Sempre in compagnia di Franco Battiato». Incognita. Advanced Creativity Il Secolo XIX 18 settembre (Roberto Onofrio) " 'Incognita' di
Pesaro. Diario di viaggio nell'Oltre, un'immersione interiore al di là dello
spazio-tempo"31 Il Secolo XIX 26
giugno (Roberto Onofrio) "Advanced
Creativity Mind School. Per capire l'entrata nell'epoca del post-umano"41 Per il titolo del suo album Dieci
stratagemmi, Franco Battiato si è ispirato a I 36 stratagemmi di Gianluca Magi.
Il sottotitolo dell'album "Attraversare il mare per ingannare il
cielo" è il primo stratagemma dei trentasei che compongono che il
libro. ibs.it Stralcio della quinta puntata (youtube) Modelli strategici cinesi ed occidentali
(youtube) Corriere della Sera 5
agosto (Edoardo Camurri) wuz.it
Panorama.it (Anna Mazzone) wuz.it Panorama.it (Oriana Allegri) Il Secolo XIX 20 dicembre (Roberto Onofrio) "Aprite le porte
all'Immaginazione, c'è un mondo oltre la quotidianità"42 Gianluca Magi, I 64 Enigmi, Sperling &
Kupfer, Milano 61: «Diversi anni fa, in un’intervista, mi chiesero perché sono
vegetariano. La mia risposta fu molto sintetica (e la penso ancora così): Non
mangio animali. Non riesco a digerire l'agonia». La Repubblica 3 maggio 2006 (Michele Serra);
Il Riformista 6 aprile 2006 (Luca Mastrantonio); Il Venerdì di Repubblica 26
maggio 2006 (Brunella Schisa) Il Gioco
dell'Eroe, Il Punto d'Incontro, . Libro/CD con prefazione di Franco Battiato Il Gioco dell'EroeGianluca Magi Scena del film ove compaiono Gianluca Magi e
Alejandro Jodorowsky (youtube) La Via
dell'umorismo, Il Punto d'Incontro, Vicenza 20089 La Stampa 27 giugno (Il Premio è stato conferito dalle autorità
della Repubblica di San Marino con la motivazione: «Lo scrittore che ha
costruitoattraverso la sua produzione e l'attività della Scuola Superiore di
Filosofia Orientale e Comparativa di Riminiponti di comunicazione tra le
antiche saggezze d'Oriente e d'Occidente, attualizzandone, in teoria e in
pratica, il loro messaggio filosofico, psicologico e spirituale per l'uomo
contemporaneo»). Gli altri premi sono stati conferiti a: Franco Battiato
(Musica), Alejandro Jodorowsky (Teatro), Franco Mussida (Arti visive), Silvano
Agosti (Cinema), Massimo Gramellini (Giornalismo), Gabriele La Porta
(Televisione). Induismo Buddhismo
Sufismo Taoismo Alchimia Tantrismo Psicologia transpersonale Storia della
filosofia occidentale. Sito ufficiale di Gianluca Magi (in cinque lingue)
Incognita ◦ Advanced Creativity "Psicologia transpersonale. Che
cos'è?" Video Lectio brevis di Gianluca Magi. Riflessioni di Gianluca Magi
sul Senso della vita su riflessioni.it
Magnani: essential
Italian philosopher, not to be confussed with Tenessee Williams’s favourite
actress, Anna Magnani --. Lorenzo Magnani (Sannazzaro de' Burgondi), filosofo. Lorenzo
Magnani.jpg È Professore di Filosofia della scienza presso la Sezione di
Filosofia del Dipartimento di Studi Umanistici dell'Pavia, dove dirige il
Computational Philosophy Laboratory. Dedicatosi allo studio della storia e
della filosofia della geometria fin dagli studi universitari, i suoi interessi
si sono poi rivolti all'analisi della tradizione neopositivista e
postpositivista. Si è poi dedicato al tema della scoperta scientifica e del
ragionamento creativo: soggiorni in USA presso la Carnegie Mellon University
(1992) prima e poi presso la McGill University (1992, 1993) hanno favorito
l'approfondimento di alcune tematiche riguardanti il ragionamento diagnostico
in medicina in collegamento con il problema dell'abduzione, presto diventato
fondamentale nella sua ricerca. A partire dal 1993, inizialmente in
collaborazione con Nancy J. Nersessian e Paul Thagard, e grazie a soggiorni ed
attività di insegnamento presso il Georgia Institute of Technology (1993, 1995,
1998-2001) di Atlanta e la University of Waterloo in Canada (1993) la sua
attenzione si è anche indirizzata verso il cosiddetto model-based reasoning.
Con Nancy J. Nersessain e Paul Thagard è stato fondatore coorganizzatore, a
partire dal 1998, di una serie di conferenze sul Model-Based Reasoning (MBR).
L'attività di Weissman Distinguished visiting professor presso il Baruch
College della City University of New York ha favorito l'attenzione per i
problemi di filosofia della tecnologia e di etica, recentemente rivolti anche
al tema trascurato in filosofia dell'analisi della violenza. I suoi
interessi di ricerca includono dunque la filosofia della scienza, la logica, le
scienze cognitive, l'intelligenza artificiale e la filosofia della medicina,
nonché i rapporti fra etica e tecnologia e tra etica e violenza. Ha contribuito
a diffondere a livello internazionale il problema dell'abduzione con il suo
primo libro sul tema dal titolo Abduction in Reason and Science. La sua ricerca
storico-scientifica ha riguardato principalmente la geometria e la filosofia
della geometria del XIX e XX secolo. È stato (2006-) visiting professor presso
la Sun Yat-sen University in Cina. Ha diretto e dirige vari programmi di
ricerca accademici internazionali in collaboratione con USA, EU, e Cina.
L'Università Ştefan cel Mare di Suceava, Romania ha conferito a Lorenzo Magnani
la Laurea honoris causa Lorenzo Magnani dirige la Collana di Libri
SAPEREStudies in Applied Philosophy, Epistemology and Rational Ethics, Springer
Science+Business Media.. Citazioni e giudizi critici sul suo lavoro sono
riportati dalla Stanford Enciclopedia of Philosophy alle voci: Models in
Science, Scientific Discovery, Information Technology and Moral Values.
Nel è stato nominato membro della
International Academy for the Philosophy of the Sciences (AIPS). Opere
(elenco parziale) In italiano Conoscenza come dovere. Moralità distribuita in
un mondo tecnologico (2006) Filosofia della violenza () Rispetta gli altri come
cose (); In inglese Abduction, Reason, and Science. Processes of Discovery and
Explanation (Kluwer Academic/Plenum Publishers, New York, 2001). Edizione
cinese 2006;; Philosophy and Geometry. Theoretical and Historical Issues
(Kluwer, Dordrecht, 2001); Morality in a Technological World. Knowledge as a
Duty (Cambridge University Press, Cambridge, 2007) sviluppa una teoria
filosofica dei rapporti fra tecnologia ed etica in una prospettiva
naturalistica e cognitiva. Abductive Cognition. The Epistemological and
Eco-Cognitive Dimensions of Hypothetical Reasoning (Springer Science+Business
Media, Heidelberg/Berlin, 2009); Understanding Violence. The Intertwining of
Morality, Religion, and Violence: A Philosophical Stance (Springer
Science+Business Media, Heidelberg/Berlin, ). The Abductive Structure of
Scientific Creativity. An Essay on the Ecology of Cognition (Springer
Science+Business Media, Cham, Switzerland, ). Libri collettivi, numeri speciali
di riviste e libri in cinese Ha curato libri in cinese, atti di convegni, libri
collettivi e numerosi numeri speciali di riviste accademiche internazionali. In
collaborazione con T. Bertolotti ha curato il volume Handbook of Model-Based
Science presso l'editore Springer, Switzerland, . Note Web Page del Dipartimento di Studi
Umanistici Computational Philosophy
Laboratory Web Site [Cfr. le varie
pagine dedicate a questi convegni
in//www-3.unipv.it/webphilos_lab/cpl/index.php Computational Philosophy
Laboratory], Dipartimento di Studi Umanistici, Sezione di Filosofia, Pavia,
Pavia (Italia)] Sun Yat-sen Award Cerimonia
Book Series SAPERE Web Page Copia
archiviata, su lesacademies.org. 25 settembre
26 settembre ). ; Edizione
cinese: Philosophy and Geometry Morality in a Technological WorldAcademic and
Professional BooksCambridge University Press
Abductive Cognition Understanding
Violence The Abductive Structure of
Scientific Creativity Author Web
Page Handbook of Model-Based
Science Lorenzo Magnani: Logica e
possibilità, su RAI Filosofia, su filosofia.rai.it. Lorenzo Magnani: Filosofia
della violenza, su RAI Filosofia, su filosofia.rai.it. Refs.
Luigi Speranza, "Grice e Magnani," per il Club Anglo-Italiano -- The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
magnitude, extent or size of a thing with
respect to some attribute; technically, a quantity or dimension. A quantity is
an attribute that admits of several or an infinite number of degrees, in
contrast to a quality (e.g., triangularity), which an object either has or does
not have. Measurement is assignment of numbers to objects in such a way that
these numbers correspond to the degree or amount of some quantity possessed by
their objects. The theory of measurement investigates the conditions for, and
uniqueness of, such numerical assignments. Let D be a domain of objects (e.g.,
a set of physical bodies) and L be a relation on this domain; i.e., Lab may
mean that if a and b are put on opposite pans of a balance, the pan with a does
not rest lower than the other pan. Let ; be the operation of weighing two
objects together in the same pan of a balance. We then have an empirical
relational system E % ‹ D, L, ; (. One can prove that, if E satisfies specified
conditions, then there exists a measurement function mapping D to a set Num of
real numbers, in such a way that the L and ; relations between objects in D
correspond to the m and ! relations between their numerical values. Such an
existence theorem for a measurement function from an empirical relational
system E to a numerical relational system, N % ‹ Num, m ! (, is called a
representation theorem. Measurement functions are not unique, but a uniqueness
theorem characterizes all such functions for a specified kind of empirical
relational system and specified type of numerical image. For example, suppose
that for any measurement functions f, g for E there exists real number a ( 0
such that for any x in D, f(x) % ag(x). Then it is said that the measurement is
on a ratio scale, and the function s(x) % ax, for x in the real numbers, is the
scale transformation. For some empirical systems, one can prove that any two
measurement functions are related by f % ag ! b, where a ( 0 and b are real
numbers. Then the measurement is on an interval scale, with the scale
transformation s(x) % ax ! b; e.g., measurement of temperature without an
absolute zero is on an interval scale. In addition to ratio and interval
scales, other scale types are defined in terms of various scale
transformations; many relational systems have been mathematically analyzed for
possible applications in the behavioral sciences. Measurement with weak scale
types may provide only an ordering of the objects, so quantitative measurement
and comparative orderings can be treated by the same general methods. The older
literature on measurement often distinguishes extensive from intensive
magnitudes. In the former case, there is supposed to be an empirical operation
(like ; above) that in some sense directly corresponds to addition on numbers.
An intensive magnitude supposedly has no such empirical operation. It is
sometimes claimed that genuine quantities must be extensive, whereas an
intensive magnitude is a quality. This extensive versus intensive distinction
(and its use in distinguishing quantities from qualities) is imprecise and has
been supplanted by the theory of scale types sketched above.
mansel: philosopher,
a prominent defender of Scottish common sense philosophy. Mansel was the
Waynflete professor of metaphysical philosophy and ecclesiastical history at
Oxford, and the dean of St. Paul’s. Much of his philosophy was derived from
Kant as interpreted by Hamilton. In “Prolegomena Logica,” Mansel defines logic
as the science of the laws of thought, while in “Metaphysics,” he argues that
human faculties are not suited to know the ultimate nature of things. He drew
the religious implications of these views in his most influential work, The
Limits of Religious Thought, by arguing that God is rationally inconceivable
and that the only available conception of God is an analogical one derived from
revelation. From this he concluded that religious dogma is immune from rational
criticism. In the ensuing controversy Mansel was criticized by Spenser, Thomas
Henry Huxley, and J. S. Mill.
PLURI-VALUED/UNI-VALUE LOGIC -- many-valued
logic, a logic that rejects the principle of bivalence: every proposition is
true or false. However, there are two forms of rejection: the truth-functional
mode (many-valued logic proper), where propositions may take many values beyond
simple truth and falsity, values functionally determined by the values of their
components; and the truth-value gap mode, in which the only values are truth
and falsity, but propositions may have neither. What value they do or do not
have is not determined by the values or lack of values of their constituents.
Many-valued logic has its origins in the work of Lukasiewicz and
(independently) Post around 1920, in the first development of truth tables and
semantic methods. Lukasiewicz’s philosophical motivation for his three-valued
calculus was to deal with propositions whose truth-value was open or “possible”e.g.,
propositions about the future. He proposed they might take a third value. Let 1
represent truth, 0 falsity, and the third value be, say, ½. We take Ý (not) and
P (implication) as primitive, letting v(ÝA) % 1 † v(A) and v(A P B) % min(1,1 †
v(A)!v(B)). These valuations may be displayed: Lukasiewicz generalized the idea
in 1922, to allow first any finite number of values, and finally infinitely,
even continuum-many values (between 0 and 1). One can then no longer represent
the functionality by a matrix; however, the formulas given above can still be
applied. Wajsberg axiomatized Lukasiewicz’s calculus in 1931. In 1953
Lukasiewicz published a four-valued extensional modal logic. In 1921, Post
presented an m-valued calculus, with values 0 (truth), . . . , m † 1 (falsity),
and matrices defined on Ý and v (or): v(ÝA) % 1 ! v(A) (modulo m) and v(AvB) %
min (v(A),v(B)). Translating this for comparison into the same framework as
above, we obtain the matrices (with 1 for truth and 0 for falsity): The strange
cyclic character of Ý makes Post’s system difficult to interpretthough he did
give one in terms of sequences of classical propositions. A different
motivation led to a system with three values developed by Bochvar in 1939,
namely, to find a solution to the logical paradoxes. (Lukasiewicz had noted
that his three-valued system was free of antinomies.) The third value is
indeterminate (so arguably Bochvar’s system is actually one of gaps), and any
combination of values one of which is indeterminate is indeterminate;
otherwise, on the determinate values, the matrices are classical. Thus we
obtain for Ý and P, using 1, ½, and 0 as above: In order to develop a logic of
many values, one needs to characterize the notion of a thesis, or logical
truth. The standard way to do this in manyvalued logic is to separate the
values into designated and undesignated. Effectively, this is to reintroduce
bivalence, now in the form: Every proposition is either designated or
undesignated. Thus in Lukasiewicz’s scheme, 1 (truth) is the only designated
value; in Post’s, any initial segment 0, . . . , n † 1, where n‹m (0 as truth).
In general, one can think of the various designated values as types of truth,
or ways a proposition may be true, and the undesignated ones as ways it can be
false. Then a proposition is a thesis if and only if it takes only designated
values. For example, p P p is, but p 7 Ýp is not, a Lukasiewicz thesis.
However, certain matrices may generate no logical truths by this method, e.g.,
the Bochvar matrices give ½ for every formula any of whose variables is
indeterminate. If both 1 and ½ were designated, all theses of classical logic
would be theses; if only 1, no theses result. So the distinction from classical
logic is lost. Bochvar’s solution was to add an external assertion and
negation. But this in turn runs the risk of undercutting the whole
philosophical motivation, if the external negation is used in a Russell-type
paradox. One alternative is to concentrate on consequence: A is a consequence
of a set of formulas X if for every assignment of values either no member of X
is designated or A is. Bochvar’s consequence relation (with only 1 designated)
results from restricting classical consequence so that every variable in A
occurs in some member of X. There is little technical difficulty in extending
many-valued logic to the logic of predicates and quantifiers. For example, in
Lukasiewicz’s logic, v(E xA) % min {v(A(a/x)): a 1. D}, where D is, say, some
set of constants whose assignments exhaust the domain. This interprets the
universal quantifier as an “infinite” conjunction. In 1965, Zadeh introduced
the idea of fuzzy sets, whose membership relation allows indeterminacies: it is
a function into the unit interval [0,1], where 1 means definitely in, 0
definitely out. One philosophical application is to the sorites paradox, that
of the heap. Instead of insisting that there be a sharp cutoff in number of
grains between a heap and a non-heap, or between red and, say, yellow, one can
introduce a spectrum of indeterminacy, as definite applications of a concept
shade off into less clear ones. Nonetheless, many have found the idea of
assigning further definite values, beyond truth and falsity, unintuitive, and
have instead looked to develop a scheme that encompasses truthvalue gaps. One
application of this idea is found in Kleene’s strong and weak matrices of 1938.
Kleene’s motivation was to develop a logic of partial functions. For certain
arguments, these give no definite value; but the function may later be extended
so that in such cases a definite value is given. Kleene’s constraint,
therefore, was that the matrices be regular: no combination is given a definite
value that might later be changed; moreover, on the definite values the
matrices must be classical. The weak matrices are as for Bochvar. The strong
matrices yield (1 for truth, 0 for falsity, and u for indeterminacy): An
alternative approach to truth-value gaps was presented by Bas van Fraassen in
the 1960s. Suppose v(A) is undefined if v(B) is undefined for any subformula B
of A. Let a classical extension of a truth-value assignment v be any assignment
that matches v on 0 and 1 and assigns either 0 or 1 whenever v assigns no
value. Then we can define a supervaluation w over v: w(A) % 1 if the value of A
on all classical extensions of v is 1, 0 if it is 0 and undefined otherwise. A
is valid if w(A) % 1 for all supervaluations w (over arbitrary valuations). By
this method, excluded middle, e.g., comes out valid, since it takes 1 in all
classical extensions of any partial valuation. Van Fraassen presented several
applications of the supervaluation technique. One is to free logic, logic in
which empty terms are admitted. .
Magni: Valeriano Magni,
soprannominato il Monaco lungo (Milano), filosofo. Appartenente all'ordine dei
frati cappuccini, fu missionario apostolico in Europa centrale. Discendente
da una famiglia aristocratica milanese, Valeriano Magni nacque a Milano il
15 ottobre 1586 dal conte Costantino Magni e da Ottavia Carcassola. Nel 1588,
la famiglia si trasferì a Praga, dove, nel 1598 nacque suo fratello
Francesco. Entrò nei cappuccini della provincia boema nel 1602 a Praga
prendendo il nome di Valeriano da Milano. Dopo l'ordinazione, divenne un famoso
predicatore e professore di filosofia entrando, grazie al suo insegnamento,
nelle grazie dell'imperatore. Presto fu eletto Provinciale della Provincia
austro-boema dell'ordine e divenne apprezzato consigliere dell'imperatore e di
altri principi europei. Nel 1616 il re di Polonia Sigismondo III gli affidò la
missione cappuccina nel suo paese. Nel 1621 l'imperatore Ferdinando II lo inviò
in missione diplomatica in Francia. Tra il 1622 e il 1623 fu uno dei
consiglieri del duca Massimiliano I di iera. Dopo la battaglia della Montagna
Bianca, sostenne l'arcivescovo di Praga Ernesto Adalberto d'Harrach nella
ricattolicizzazione della popolazione e nelle riforme diocesane. Nel 1630 prese
parte in nome dell'imperatore ai negoziati con il cardinale Richelieu sulla
successione ereditaria al trono di Mantova. Nel 1635 divenne consulente
teologico nei negoziati per la pace di Praga e dal 1645 fu missionario
apostolico per l'elettorato di Sassonia, Assia, Brandeburgo e Danzica. Nel
luglio del 1647 riprodusse a Varsavia di fronte al re e alla corte
l'esperimento di Torricelli usando un tubo riempito di mercurio per produrre il
vuoto. Nel 1652 riuscì a convertire il conte Ernesto d'Assia-Rheinfels e
sua moglie. Dopo che l'Praga venne affidata ai Gesuiti nel 1623, entrò in
contrasto con i gesuiti, che lo fecero arrestare a Vienna nel 1655. Fu
rilasciato dalla prigione per intervento dell'Imperatore e tornò a Salisburgo,
dove morì quello stesso anno. Opere Frutto della sua polemica con i
protestanti è l'opera De acatholicorum credendi regula judicium (1628/31), in
cui sosteneva che senza l'autorità della Chiesa, la Bibbia da sola non era
sufficiente come regola di fede per i cristiani. Trattò lo stesso argomento nel
libro Judicium de acatholicorum et catholicorum regula credendi (1641), le cui
debolezze argomentative scatenarono la controffensiva dei protestanti. Negli
scritti filosofici e nella sua attività di insegnamento, Magni si occupò di
metodologia, logica, epistemologia, cosmologia, metafisica, matematica e
scienze naturali. Rifiutò i principi aristotelico-scolastici, ispirandosi alle
dottrine di Platone, Agostino e Bonaventura. Opere scelte Apologia contra
imposturas Jesuitarum, 1661. Christiana et catholica defensio adversus
Societatem Jesu, 1661. Opus philosophicum, 1660 Commentarius de homine infami
personato sub titulis Iocosi Severi Medii, 1654. Concussio fundamentorum
ecclesiae catholicae, iactata ab Herm. Conringi ..., 1654. Conringiana
concussio Sanctissimi in Christo papae catholici retorta ..., 1654. Echo
Absurditatum Ulrici de Neufeld Blesa, 1646. Epistola ... de responsione H.
Conringii, 1654. Epistola Valeriani Magni Fratris Capucini ..., 1654. Epistola
de quaestione utrum Primatus Rom. Pontificis ..., 1653. Principia et specimen
philosophiae, 1652. Acta disputationis habitae Rheinfelsae apud S. Goarem,
1652. Organum theologicum, 1643. Methodus convincendi et revocandi haereticos,
1643. De luce mentium, 1642. Judicium de catholicorum ei acatholicorum regula
credendi, 1628, 1641. De atheismo Aristotelis ad Mersennum, 1647. Valeriano Magni, Demonstratio ocularis, loci
sine locato: corporis successiuè moti in vacuo..., Bononiae, typis haeredis
Victorij Benatij, 1648. 19 giugno . Note Vedi la voce nella Enciclopedia
Italiana, riferimenti in . David
Wootton, The Invention of Science: A New History of the Scientific Revolution,
Penguin UK, . Eugenio Garin, History of
Italian Philosophy, 1, Rodopi,
2008652. (DE) Franz Heinrich Reusch,
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J. Cygan, Valerianus Magni (1586-1661). “Vita prima”, operum recensio et
bibliographia, Romae, 1989. J. Cygan, Opera Valeriani Magni velut manuscripta
tradita aut typis impressa, «Collectanea Franciscana», 1972 (XLII), 119–178, 309-352. G. Abgottspon Von
StaldenriedValerianus Magni Kapuciner (1586-1661). Sein Leben im allgemeinen,
seine apostolische Tätigkeit in Böhmen im besonderen. Ein Beitrag zur
Geschichte der katholischen Restauration im 17. Jahrhundert,
Olten-Freiburg/Br.1939). Stanislav Sousedik, Valerián Magni. 1586-1661.
Kapitola z kulturních dějin Čech 17. století, Praha, 1983. (DE) Heinz
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1987, 3-428-00196-6659-661 (online).
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von Harrach e la Controriforma in Europa centrale (1620-1667), premessa di
Adriano Prosperi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2005, 88-8498-255-3. Massimo Bucciantini, «La
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Firenze, Leo S. Olschki, 2009, 300-301. Alfredo Di Napoli, Valeriano Magni da
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LombardiNuova serie 2, Edizioni Biblioteca Francescana, Milano . 978-88-7962-237-0 Fonti
Biographisch-Bibliographisches Kirchenlexikon, su bautz.de. Relatio veridica de
pio obitu R.P. Valeriani Magni, Lione 1662; Ludwig von Pastor, Storia dei papi,
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Deutschen in Böhmen, XLVII248; Augustin Maria Ilg, Geist des heiligen
Franziskus Seraphikus: dargestellt in Lebensbildern aus der Geschichte des
Kapuziner-Ordens, Augusta 1876. Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Valeriano Magni Valeriano Magni, su Treccani.itEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Heinrich Kretschmayr, Valeriano Magni, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere di Valeriano Magni, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di
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Louis Mayeul Chaudon, Magni, (Valerien), in Nouveau dictionnaire
historique, 5, Paris, G. Leroy, 1789.
Mainardini -- mainardinimarsilio
di padova -- Marsilius of Padua, in Italian, Marsilio dei Mainardini, Italian
political theorist. He served as rector of the University of Paris between 1312
and 1313; his anti-papal views forced him to flee Paris (1326) for Nuremberg,
where he was political and ecclesiastic adviser of Louis of aria. His major
work, Defensor pacis (“Defender of Peace,” 1324), attacks the doctrine of the
supremacy of the pope and argues that the authority of a secular ruler elected
to represent the people is superior to the authority of the papacy and
priesthood in both temporal and spiritual affairs. Three basic claims of
Marsilius’s theory are that reason, not instinct or God, allows us to know what
is just and conduces to the flourishing of human society; that governments need
to enforce obedience to the laws by coercive measures; and that political power
ultimately resides in the people. He was influenced by Aristotle’s ideal of the
state as necessary to foster human flourishing. His thought is regarded as a
major step in the history of political philosophy and one of the first defenses
of republicanism. -- marsilio:
essential Italian philosopher. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e
Marsilio," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia.
Maistre: Il conte Joseph-Marie
de Maistre, filosofo. scrittore, politico e giurista italiano. Citazioni di
Joseph de Maistre Bisogna predicare senza sosta ai popoli i benefici
dell'autorità, e ai re i benefici della libertà. (da Memoires politiques et
correspondance diplomatique) Il faut prêcher sans cesse aux peuples les
bienfaits de l'autorité, et aux rois les bienfaits de la liberté. Credi forse
che sarei stato maggiormente grato a tua madre se, anziché farmi te e tuo
fratello, avesse scritto un bellissimo romanzo? (da una lettera alla figlia;
citato nella Prefazione di Alfredo Cattabiani a J. De Maistre, Le Serate di San
Pietroburgo, Rusconi Editore) La donna non può essere superiore che come donna,
ma dal momento in cui vuole emulare l'uomo, non è che una scimmia. (da una
lettera alla figlia; citato in Julius Evola, Ricognizioni. Uomini e problemi,
Edizioni Mediterranee, Roma, 1985 (1974)188) Le false opinioni somigliano alle
monete false: coniate da qualche malvivente e poi spese da persone oneste, che perpetuano
il crimine senza saperlo. (da Correspondance inédite: Lettre à M. l'Amiral
Tchitchagof; in Œuvres complètes) Non sono gli uomini che guidano la
rivoluzione, è la rivoluzione che guida gli uomini. (da Considération sur la
France) Ogni popolo ha il governo che si merita. Toute nation a le gouvernement
qu'elle mérite. (da Correspondance diplomatique) Qualsiasi autorità, ma
soprattutto quella della Chiesa, deve opporsi alle novità senza lasciarsi
spaventare dal pericolo di ritardare la scoperta di qualche verità,
inconveniente passeggero e vantaggio del tutto inesistente, paragonato al danno
di scuotere le istituzioni e le opinioni correnti. (da Exame de la philosophie
de Bacon) Senza il potere temporale de' Papi il mondo politico non poteva
camminare, e quanto più siffatto potere sarà attivo, meno guerre vi saranno,
giacch'egli è il cui visibile interesse non altro domanda che pace. (da Del
papa, Dalla tipografia di Porcelli, seconda versione italiana, Napoli, 1823,
libro III94) [Giudizio sui Sardi quale responsabile della cancelleria sabauda]
Sono più selvaggi dei selvaggi perché il selvaggio non conosce la luce, il
sardo la odia... Razza refrattaria a tutti i sentimenti, a tutti i gusti e a
tutti i talenti che onorano l'umanità. Le serate di San Pietroburgo Ad un tal
banchetto [eucaristia] gli uomini tutti diventan UNO, satollandosi di un cibo
che è uno, e tutto in tutti. All'intendimento di rendere quanto si poteva ad un
certo grado sensibile questa trasformazione nella unità, si compiacquero gli antichi
Padri di desumere le loro comparazioni dalla spiga, e dal grappolo, i quali
sono i materiali del mistero. Poiché in quella guisa stessa che molti grani di
frumento, o di uva non altro formano che un pane, ed una bevanda, così quel
pane e quel vino mistici che alla sacra mensa ci vengono somministrati,
distruggono l'Io, e ci attraggono nella inconcepibile loro unità. (1827, II153)
Dove esiste un altare là esiste anche una religione. [Sul boia] È un uomo? Sì:
Dio lo accoglie nei suoi templi e gli permette di pregare. Non è un criminale;
tuttavia nessuna lingua accetta di affermare, per esempio, che sia un uomo
virtuoso, un onesto, che sia degno di stima, ecc. Nessun elogio morale gli può
essere tributato, perché ogni elogio morale presuppone un rapporto con gli
uomini, mentre egli non ne ha alcuno. E tuttavia ogni grandezza, ogni potere,
ogni subordinazione dipendono dal boia: egli è l'orrore e il legame
dell'associazione umana. Togliete dal mondo questo agente incomprensibile, e
nello stesso istante l'ordine lascia il posto al caos, i troni si inabissano e
la società scompare. Dio, autore della sovranità, lo è pure del castigo; fra
questi due poli ha gettato la nostra terra: "ché Jehova è il padrone dei
cardini della terra, e su di essi fa girare il mondo". Gli uomini quindi
non soltanto hanno cominciato con la scienza, ma con una scienza diversa dalla
nostra e ad essa superiore, perché partiva da un punto più alto, il che la
rendeva anche molto pericolosa. E questo vi spiega come mai la scienza, al suo
inizio, fu sempre misteriosa e restò chiusa nell'ambito dei templi, dove infine
si spense quando questa fiamma non poté servire ad altro che a bruciare. I
simboli greci di Nicea e di Costantinopoli, e quello di sant'Atanasio, non
contengono essi forse la mia fede? Io sono della Religione di san Ignazio, di
san Giustino, di sant'Atanasio, di san Gregorio Nisseno, di san Cirillo, di san
Basilio, di san Gregorio Nazianzeno , di san Epifanio, di tutti quei Santi
insomma che sono sui vostri altari e dei quali portate i nomi, e segnatamente
di san Giovanni Crisostomo, di cui avete conservata la liturgia. Io ammetto
quanto quei grandi e santi personaggi hanno ammesso; mi rammarico di quanto si
son essi rammaricati; accolgo inoltre come Vangelo, tutti i concili ecumenici
convocati nella Grecia asiatica, o nella Grecia europea. Vi domando ora, si può
essere più greco? (1827, I207) In ogni grande divisione della specie umana, la
morte ha scelto un certo numero d'animali a cui essa commise di divorare gli
altri; così vi sono degl'insetti da preda, dei rettili da preda, dei pesci da
preda, degli uccelli da preda, e dei quadrupedi da preda. Non vi ha un istante
della di lui durata, in cui l'essere vivente non venga divorato da un altro.
Superiormente alle numerose razze d'animali è collocato l'uomo, la cui mano
struggitrice nulla risparmia di ciò che vive; esso uccide per nutrirsi, uccide
per vestirsi, uccide per ornarsi, uccide per difendersi, uccide per solazzarsi,
uccide per uccidere. L'ammirazione sfrenata con cui troppe persone circondano
Voltaire è il segno infallibile d'un animo corrotto. Che non ci s'illuda: se
qualcuno, percorrendo la propria biblioteca, si sente attratto verso le Œuvres
de Ferney, Dio non lo ama affatto. Spesso ci si è presi gioco dell'autorità
ecclesiastica che condanna i libri in odium auctoris; in verità
niente è più giusto di ciò: rifiutate gli onori a colui che abusa del suo
genio. Se questa legge fosse severamente osservata, si vedrebbero rapidamente
sparire i libri avvelenati; ma poiché non dipende da noi promulgarla,
guardiamoci almeno dal piombare nell'eccesso ben più reprensibile dell'esaltare
senza misura scrittori colpevoli, e, tra questi, soprattutto Voltaire. Egli ha
pronunciato contro se stesso, senza accorgersene, una sentenza terribile,
affermando che uno spirito corrotto non fu mai sublime. Non c'è nulla di più
vero, giacché Voltaire, con i suoi cento volumi, non fu mai più che spiritoso;
faccio eccezione delle tragedie, dove la natura dell'opera lo costrinse ad
esprimere dei nobili sentimenti estranei al suo carattere; ma anche sul palco,
su cui trionfa, egli non riesce ad ingannare gli spettatori più sagaci. Nei
suoi pezzi migliori, egli rassomiglia ai suoi due grandi rivali, come il più
abile ipocrita rassomiglia ad un santo. (Les Soirées de Saint-Pétersbourg, in
Œuvres complètes, Lyon, 18913, tomo IV,
206-210). La spada della giustizia non ha fodero. Le glaive de la
justice n'a point de fourreau. (da Les soirées de Saint-Pétersbourg, Paris, 182142)
La vera religione ha più che diciotto secoli di vita; essa nacque il giorno in
cui nacquero i giorni. [...] quando gli uomini, che sempre pregarono in virtù
di una religione rivelata [...], si sono avvicil deismo, che non è nulla e non
può nulla, hanno smesso a poco a poco di pregare; e ora li vedete curvi sulla
terra, intenti unicamente a leggi e studi fisici, avendo perduto anche il
minimo sentimento della loro dignità naturale. La disgrazia di questi uomini è
tale che essi non possono nemmeno più desiderare la propria rigenerazione, non solo
per la ben nota ragione che «non si può desiderare ciò che non si conosce», ma
perché trovano nel loro abbrutimento non so quale terribile fascino che è un
castigo spaventoso. (169) Se non esistesse alcun male morale sulla terra, non
ci sarebbe, di conseguenza, alcun male fisico. Tutti i dolori sono punizioni, e
ogni punizione è inflitta in eguale misura per amore e per giustizia. Saggio
sul principio generatore delle costituzioni e delle altre istituzioni umane Uno
dei grandi errori di un secolo che li professò tutti [il 1700], fu di credere
che una costituzione politica potesse essere scritta e creata a priori, mentre
ragione ed esperienza si uniscono per dimostrare che una costituzione è
un'opera divina e che proprio ciò che vi è di più fondamentale e di più
essenzialmente costituzionale nelle leggi di una nazione non potrebbe mai
essere scritto. Si è spesso creduto di fare dello spirito di ottima lega
domandando ai francesi in che libro fosse scritta la legge salica; ma Jéróme
Bignon rispondeva molto a tono, e forse senza neanche immaginare fino a che
punto avesse ragione, che essa era scritta nei cuori dei francesi. L'uomo,
poiché agisce, crede di agire da solo; e poiché ha la coscienza della sua
libertà, dimentica la sua dipendenza. Nell'ordine fisico intende ragione, e
sebbene possa, per esempio, piantare una ghianda, innaffiarla, ecc., è capace
tuttavia di convenire che non è lui a fare le querce, poiché vede l'albero
crescere e perfezionarsi senza che il potere umano vi abbia parte e poiché, d'altra
parte, non è stato lui a fare la ghianda; ma nell'ordine sociale, in cui è
presente e operante, si mette a credere di essere realmente l'autore diretto di
tutto ciò che si fa per suo mezzo: in un certo senso, è la cazzuola che si
crede architetto. Locke ha cercato il carattere della legge nell'espressione
delle volontà riunite; bisogna proprio essere fortunati, per trovare cosi il
carattere che esclude precisamente l'idea di legge. Se c'è qualcosa di
universalmente noto è il paragone di Cicerone a proposito del sistema di
Epicuro, che voleva costruire un mondo con gli atomi che cadono a caso nel
vuoto. Crederei più facilmentediceva il grande oratoreche un pugno di lettere,
gettate in aria, cadendo possano disporsi in modo da formare un poema. Migliaia
di bocche hanno ripetuto e celebrato questo pensiero, ma non vedo tuttavia
nessuno che abbia pensato a dargli il compimento che gli manca. Supponiamo che
un pugno di caratteri tipografici, gettati a piene mani dall'alto di una torre,
vengano a formare, caduti al suolo, l'Athalie di Racine. Che ne risulterà? Che
un'intelligenza ha presieduto alla caduta e alla disposizione dei caratteri. Il
buon senso non concluderà mai diversamente. Se l'educazione non è restituita ai
sacerdoti e se la scienza non è collocata ovunque al secondo posto, i mali che
ci attendono sono incalcolabili; saremo abbrutiti dalla scienza, ed è l'estremo
grado dell'abbrutimento. Quando si pensa che una detestabile coalizione di
ministri perversi, di magistrati in delirio e di ignobili settari ha potuto, ai
nostri giorni distruggere questa meravigliosa istituzione [i Gesuiti] e farsene
un vanto, sembra di vedere quel folle che metteva trionfalmente il piede su un
orologio dicendogli: ti saprò ben impedire di far rumore. Ma che dico mai? Un folle
non è colpevole! Citazioni su Joseph de Maistre Come dovevano splendere quelle
architetture [di San Pietroburgo] al principio del secolo scorso, quando Joseph
de Maistre descriveva nella prima delle sue Soirées de Saint-Péters-bourg
l'incanto d'una sera estiva sulla Neva. (Mario Praz) Il Conte di Maistre era
più veramente un grande scrittore, un ardito pensatore che un diplomatico. Vi
aveva nel suo spirito e nel suo cuore tale una soprabbondanza di vita, una sì
perfetta tenacità dell'idea che parevagli essere la verità rivelata o
dimostrata del raziocinio, ch'egli portavala in trionfo così alto quanto
all'umana debolezza è permesso. I mezzani provvedimenti dello spirito di parte,
gl'indugi dell'intelletto, le difficoltà di tempo e di luogo, niente faceva ostacolo
a questa vigoria del genio che si stendeva sopra tutti i subbietti che
trattava, e che in ciascuno di essi lasciava una profonda impressione. (Jacques
Crétineau-Joly) Il più grande dei reazionari, Joseph de Maistre, era
'anticapitalista' ben prima, e con più fondato argomentare, di Franco Fortini.
(Roberto Calasso) Maestro occulto del romanticismo europeo [...] ispiratore dei
reazionari e nello stesso tempo interprete sottile della Tradizione. (Alfredo
Cattabiani) Nella radicale polemica contro le tesi di Rousseau — autore di una
sconvolgente introduzione di errori — de Maistre non risparmia colpi. Dalla
convinzione che il suo avversario rimproverasse ogni giorno il Signore per non
averlo fatto nascere nobile e duca lo bolla aspramente chiamandolo più volte
plebeo. Ispirarsi oggi a Rousseau può non essere culturalmente — per tanti
versi — molto illuminante. Ma nella rigidità del modello di de Maistre proprio
non trovo spunti di approvazione. Né mi sembra entusiasmante quello che scrive
sulla possibilità teorica di uccidere il tiranno, il quale per il resto è
intoccabile totalmente super leges. (Giulio Andreotti) Nella Savoia sono nati i
grandi scrittori francesi, come de Maistre. (Pietro Citati) Joseph de Maistre, Le serate di Pietroburgo,
I, Biblioteca cattolica, Napoli, 1827. Joseph de Maistre, Le serate di
Pietroburgo, II, Biblioteca cattolica, Napoli, 1827. Joseph de Maistre, Le
serate di Pietroburgo o Colloqui sul governo temporale della Provvidenza,
Alfredo Cattabiani, trad. it. Lorenzo Fenoglio e Anna Rosso, Nino Aragno Editore,
Torino, .
Malfitano: Giovanni Malfitano
(Siracusa), filosofo italiano. Nacque da Carmelo, commerciante e
navigatore, e Santa Veneziano. Era l'ultimo di sette fratelli. Frequentò il
Liceo Classico Tommaso Gargallo, dove iniziò a nutrire l'interesse per la
materie scientifiche. Già da giovanissimo frequentava assiduamente una nota
farmacia del centro storico della città natale acquisendo notevole interesse
per la chimica e la biologia. Si iscrisse dunque alla facoltà di chimica
dell'Università degli Studi di Catania per frequentare le lezioni del professor
Alberto Peratoner. Malfitano continuò gli studi universitari a Palermo, dove si
trasferì nel 1892 al seguito di Peratoner e ottenne la laurea nel 1894 nel
capoluogo siciliano. Nel 1895 decise di abbandonare la Sicilia per
spostarsi a Milano, dove intraprese una breve carriera lavorativa nel campo
della chimica industriale agli stabilimenti Pirelli. Contemporaneamente
frequentava la scuola di microbiologia dell'Università degli Studi di Pavia,
retta all'epoca da Camillo Golgi, futuro Premio Nobel per la medicina nel 1906.
Stimolato dall'ambiente favorevole, Malfitano pubblicò nel 1897 il suo primo
scritto: Comportamento dei microrganismi sotto l'effetto delle compressioni gassose.
Il giovane siracusano iniziava in questo modo a farsi notare da colleghi e
professori, sia per la materia dei suoi studi, sia per il carattere disponibile
e solare, come ricorda in un suo libro Antonio Pensa, celebre anatomista
milanese. L'incarico a Parigi La carriera del giovane Malfitano prese una
svolta definitiva nel 1899, quando, durante un congresso internazionale a
Pavia, venne notato dal futuro successore di Louis Pasteur, Emile Duclaux. Il
siracusano venne dunque invitato a trasferirsi nel 1900 a Parigi, avendo
ricevuto l'offerta di un impiego all'istituto Pasteur. Una volta arrivato nella
capitale francese, Malfitano si dedicò in un primo momento alla microbiologia,
pubblicando come risultati delle sue ricerche: Protease de l'aspergillus niger
(1900), Influence de l'oxygen sur la proteolyse en presence de Clorophorme
(1902) e Bactericidie charbonneuse (1904). Dal 1905, invece, lo scienziato
italiano, decise di ritornare a studiare la chimica pura, campo d'indagine
scientifica che lo rese definitivamente famoso. I suoi studi sulla chimica
colloidale, arrivarono a dimostrare la natura elettrochimica delle micelle, e
riuscì a misurare con notevole precisione la conducibilità elettrica dei
colloidi. In campo pratico, Malfitano mise a punto i cosiddetti ultrafiltri,
necessari per gli studi in campo teorico sui colloidi. Nel 1908 lo scienziato
siracusano divenne capo di un laboratorio chimico all'Istituto Pasteur, dove
mantenne l'incarico fino al 1913. Gli studi di Giovanni Malfitano si interruppero
durante la prima guerra mondiale. Al termine di essa, lo scienziato sposò Vera,
una studentessa di nazionalità russa. Subito dopo il grande conflitto
ebbe inizio l'elaborazione della più nota dottrina del chimico siracusano,
ovvero la teoria delle complessità crescenti, concetto alla luce del quale
Malfitano non indagò solo le micelle, ma l'esistenza in generale. Nel 1927
pubblicò Complexité et micelle, e nel 1934 Les composés micellaires selon la
notion de complexité croissant. Le conclusioni di Malfitano non vennero
accettate da subito, ma si dovette attendere l'esperimento del premio Nobel
Theodor Svedberg che dimostrò l'esattezza delle intuizioni di Malfitano.
La teoria delle Complessità Crescenti Malfitano elaborò negli anni Venti una
teoria che tentava di spiegare la materia, attraverso l'esame dei diversi
livelli atomici e molecolari che la caratterizzano strutturalmente. La materia,
secondo lo scienziato siracusano, è suddivisibile in atomi, molecole,
plurimolecole (polimeri e complessi) e micelle. In ognuna delle classi citate
si possono distinguere tre tipi di unità materiali: ioniche, polari e
ionopolari. La Filosofia dei quattro Complessi e la Geometria Superiore
L'analisi compiuta sulla materia venne estesa in campo sociologico da Malfitano,
il quale tentò di ricondurre la complessità socio-antropologica, alla
complessità atomica. I quattro ordini di complessi che costituiscono il mondo
sono dunque: i complessi materiali (livello atomico e molecolare), i complessi
biologici (livello istologico e citologico), complessi sociali (l'essere umano)
e al culmine di un'ipotetica piramide i complessi ideologici (ideazione,
conoscenza e convinzioni). L'ultimo passo della speculazione in campo
filosofico di Malfitano era il concetto di Geometria Superiore, un'armonia
equilibrata e simmetrica che domina gli eventi e la materia, una variabile
fondamentale e al tempo stesso fuggevole dell'esistenza, un concetto che
rappresenta la libertà. In ultima analisi, il compito dello scienziato era
dunque quello di comprendere le leggi dell'armonia ordinatrice del cosmo e di
preservarne la bellezza e l'equilibrio. La malattia e il decesso Lo
scienziato siracusano, che soleva spesso tornare in Sicilia seppur per brevi
periodi, dovette rinunciare a questa abitudine. L'aggravarsi della sua
malattia, una cecità che gradualmente lo privò della vista, e le sue
convinzioni antifasciste, non gli permisero di rivedere il paese natale dalla
fine degli anni Trenta. Giovanni Malfitano morì il 6 aprile 1941
nell'alloggio assegnatogli dell'Istituto Pasteur dove aveva trascorso gran
parte della sua vita. Curiosità Giovanni Malfitano pubblicava le sue
convinzioni filosofiche servendosi dello pseudonimo "Aporema",
termine che indicava l'impossibilità di ottenere una risposta precisa dallo
studio di un problema. Malfitano introdusse per primo a Siracusa la moda
di bere il latte acido, quello che abitualmente viene chiamato yogurt, come era
già frequente nella capitale francese. Durante una tempesta patita in
mare nel dicembre 1855, Carmelo Malfitano aveva fatto voto a Santa Lucia,
patrona siracusana, di sposare un'orfana se fosse riuscito a tornare incolume
sulla terraferma. Carmelo sposò per questo motivo il 16 dicembre del 1855 Santa
Veneziano, sedicenne orfana di entrambi i genitori. Da tale unione nacque
Giovanni. Note Ad
Repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa,
Tyche121. Ad repellendam Pestem
Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche122. Antonio Pensa, Ricordi di vita universitaria
(1892-1970), (Citato nel testo Ad Repellendam Pestem Storie di Medici e di
Sanità nella terra di Aretusa p.122), Cisalpino79-80. Archivio Istituto Pasteur, su
webext.pasteur.fr. Ad repellendam
Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche123. Ad repellendam Pestem Storie di Medici e
Sanità nella terra di Aretusa, Tyche124.
Ad repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa,
Tyche126. Ad repellendam Pestem Storie
di Medici e Sanità, Tyche125. Ad
repellendam Pestem. Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche,
Siracusa, , 121-126 Giovanni Malfitano,
in Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni Malfitano, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Malipiero: Troilo Malipiero
(Venezia), filosofo. Nacque da Angelo di Troilo e da Emilia Fracassetti.
Entrambi i genitori erano patrizi: il padre proveniva dalla storica casata dei
Malipiero (ramo "delle Procuratie Vecchie"), mentre la madre apparteneva
a una famiglia di mercanti bergamaschi nobilitata nel 1704. Nel 1808 il Malipiero dichiarava di abitare
in un palazzo a Santa Maria Zobenigo (ereditato dal padre dopo l'estinzione di
un'altra linea della famiglia), cui si aggiungevano quattro botteghe nei
centralissimi quartieri di Rialto e San Moisè; altre cinque case si trovavano
tra Santa Margherita, San Gregorio e San Martino. Il 17 febbraio 1796 esordì in politica con
l'elezione a savio agli Ordini. Il 23 gennaio 1797 divenne provveditore alle
Pompe, ma non riuscì a prendere possesso della carica a causa della caduta
della Repubblica, il 12 maggio successivo. A questo punto, il Malipiero lasciò
la vita pubblica per dedicarsi alla scrittura. Fu un autore poliedrico, capace
di spaziare dall'attualità politica alla letteratura e alla tragedia di ambito
neoclassico. La prima opera pubblicata è
il saggio di matematica Dimostrazione sulla triplicazione e trisezione
dell'angolo effettuato colla retta e col cerchio, ma più tardi si cimentò nella
filosofia presentando l'opuscolo “Saggio sugli sforzi della passione
nell'intelletto e su' di lei effetti nel cuore,” in cui sostiene di moderare il
razionalismo perché nell'animo umano esso convivi in armonia con le
passioni. Questa idea, in contrasto con
quanto asserito da Jean-Jacques Rousseau, fu ribadita ne La felicità della
nazione realizzata dal politico e dal sovrano, uno dei suoi primi scritti
politici. In questo lavoro Malipiero prese in esame la tendenza allo sfarzo di
una parte della società, analizzando come i governi avessero reagito al
fenomeno in epoche diverse. Nell'opera emerge la condanna al lusso sfrenato, ma
anche all'appiattimento estremo dettato da rivoluzionari e giacobini. Lo stesso pensiero moderato è ripreso nel “Trionfo
della ragione ossia Confutazione del sistema del contratto sociale di Gian
Giacomo Rousseau” (ristampato, senza grosse variazioni, come “Il trionfo della
verità nella difesa dei diritti del trono ossia Confutazione del contratto
sociale.” Grice: “I find this interesting, since I also oppose contractualism
to rationalism!” -- Qui il Malipiero cercò di dimostrare come la migliore forma
di governo non fosse la democrazia, ma la monarchia. La sua linea anti-rivoluzionaria fu affermata
anche quando si tenne distante dagli organi della Municipalità istituita sul
modello, o ‘sistema’ del contratto. Accolse perciò con favore l'arrivo degli
Austriaci, come dimostrano il Testamento della spirata libertà cisalpina e
l'annesso sonetto Confronto fra il genio della Romana Repubblica e quello
dell'Austria. Di grande importanza è
quanto emerge nella Voce della verità, una memoria autografa inviata al
governatore austriaco Mailath von Székhely all'indomani del suo insediamento a
Venezia, nel 1801. Nell'opera, divisa in capitoli dedicati ai problemi
dell'amministrazione asburgica (polizia, zecca, commercio, diritto ecc.), il
Malipiero si chiede quale dovesse essere il criterio di scelta per la nuova
classe dirigente veneziana. Dimostrandosi critico nei confronti degli ex
funzionari della Repubblica di Venezia (ceto a cui lui stesso apparteneva),
nominati non in base ai meriti, ma per favoritismo, auspicava di non concedere
spazio a coloro che vivevano nel lusso, poiché entravano in politica solo per
il proprio tornaconto, e soprattutto verso i trasformisti che cambiavano
opinioni con l'avvicendarsi delle amministrazioni. Con questo lavoro anticipò le scelte del
governo austriaco che, in effetti, estromise il patriziato dalla vita politica
e assegnando le cariche amministrative a personalità lombarde o delle province
ereditarie. Si dedicò, con un certo
successo, anche alla stesura di tragedie, a tema biblico, storico o mitologico,
che potessero presentare allo spettatore esempi da seguire o da evitare. Tra
queste “Il sacrifizio di Abramo,” “Camillo,” “Prometeo ossia La prodigiosa
civilizzazione delle genti,” “Medea.” Altre opere degne di nota sono La bottega
del caffè. Quadro critico morale, Lo scultore e la luce, azione mitologica in
apoteosi del cav. Canova, Il conte Ugolino in fondo alla torre di Pisa.
Sciolti, Atabiba ed Huascar. Azione tragica di spettacolo; La Verità nello
spirito dei tempi e nel nuovo carattere di nostra età (sul congresso di
Verona), Zanghira e Lemanza. Quadro poetico nelle nozze MalipieroMartinengo
dalle Palle; Elogio di Giovanni II del
mr. co. Martinengo dalle Palle; Descrizione della Montagna ov'è la chiesa della
Madonna della Corona nelle alture di Montebello. Fu confermato nobile
dell'Impero Austriaco, assieme ai figli Angelo e Angela, nati dal matrimonio
con Contarina di Vincenzo Pisani. Michele Gottardi, MALIPIERO, Troilo, in
Dizionario biografico degli italiani,
68, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Mamiani: Maurizio Mamiani (San
Secondo Parmense), filosofo. Linceo. Membro dell'Accademia dei Lincei ha
insegnato Storia del pensiero scientifico all'Parma, Udine e Ferrara. Si è occupato soprattutto di Isaac Newton,
del quale ha trascritto un trattato inedito sull'Apocalisse, di Cartesio e
dell'origine delle enciclopedie moderne.
Opere principali: “J. M. Guyau Abbozzo di una morale senza obbligazione
né sanzione,” Firenze, Le Monnier, Isaac Newton filosofo della natura. Le
lezioni di ottica e la genesi del metodo newtoniano, Firenze, La Nuova Italia,
1976 Teorie dello spazio da Descartes a Newton, Milano, FrancoAngeli, La mappa del sapere. La classificazione delle
scienze nella Cyclopaedia di E. Chambers, Milano, FrancoAngeli, Il prisma di Newton,
Roma-Bari, Laterza, Introduzione a Newton, Roma-Bari: Laterza, Trattato
sull'Apocalisse, Torino, Bollati Boringhieri, Isaac Newton, Firenze, Giunti, Storia
della scienza moderna, Roma-Bari, Laterza, Scienza e Sacra scrittura nel XVII
Secolo, Napoli, Vivarium. Isaac Newton,
Trattato sull'Apocalisse, Maurizio Mamiani, Torino, Bollati Boringhieri, Scienza
e teologia fra Seicento e Ottocento: studi in memoria di Maurizio Mamiani,
Chiara Giuntini e Brunello Lotti, Firenze, Olschki, Studi sul pensiero
scientifico fra Seicento e Ottocento. Ricordando Maurizio Mamiani, "I
castelli di Yale", Saggi n. 2, Il Poligrafo, Padova 2004. Maurizio Mamiani, La Rivoluzione scientificaI
domini della conoscenza: La sintesi newtoniana in Storia della Scienza, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Maurizio Mamiani, Newton e l'Apocalisse.
Mancini: «La filosofia è il passaggio dal senso al
significato, attraverso le mediazioni culturali, dottrinali, attraverso la
struttura del puro pensare e attraverso le mediazioni della prassi.»
Italo Mancini (Schieti), filosofo. Dopo
aver studiato in Seminario a Fano si laureò in filosofia all'Università
Cattolica di Milano nella quale ha successivamente insegnato per dieci anni
come assistente e docente di Filosofia della religione. Nel 1965 Carlo Bo lo
vuole all'Urbino, dove insegna prima filosofia della religione e storia del cristianesimo,
poi filosofia teoretica presso la Facoltà di magistero e, negli ultimi
anni filosofia del diritto presso la Facoltà di giurisprudenza. Studioso dei
massimi teologi del Novecento, ha curato le edizioni italiane degli scritti di
Karl Barth, Rudolf Bultmann e Dietrich Bonhoeffer pubblicando, su quest'ultimo,
anche una biografia e un'analisi dottrinale. Ha fondato l'Istituto superiore di
scienze religiose di Urbino, oggi intitolato a lui, unico esempio, per molti
anni, di "facoltà teologica" in una università laica. Tra i
filosofi, si è dedicato molto a Immanuel Kant, pubblicando (nel 1981 e nel
1988) in due tomi Guida alla Critica della ragion pura, contribuendo
notevolmente alla diffusione del suo pensiero in ambito cattolico. In questo
senso è ancora più importante "Kant e la teologia", che Italo Mancini
pubblicò nel 1975. In quest'opera Mancini tratta la filosofia della religione
kantiana, fondata su una concezione morale rigorosa resa possibile
dall'Imperativo categorico, che prospetta una trascendenza per l'uomo,
attraverso i postulati dell'immortalità dell'anima e dell'esistenza di Dio.
Questa filosofia della religione, in cui Kant mette in rapporto la religione
razionale con la religione rivelata (e che si contraddistingue per i concetti
di Male radicale e di Chiesa invisibile), è considerata da Mancini feconda
anche per la teologia cattolica alla luce del Concilio Vaticano II. Negli anni
'70 ProfessoreItalo Mancini si è anche confrontato con Marx e il Marxismo,
allora dominanti nella cultura filosofica e politica italiana. In Marx, Mancini
tiene in grande considerazione il concetto di Alienazione, presente soprattutto
nei Manoscritti economico-filosofici del 1844. Questo concetto, che esprime
l'estraneazione dell'operaio in rapporto al lavoro salariato, a causa dei modi
di produzione capitalistici, capaci di sfruttare il lavoro come fosse una
merce, deve essere stimolo per la Dottrina Sociale della Chiesa. Ciò che
Mancini critica in Marx è l'ateismo e il materialismo, attraverso l'uso della
dialettica hegeliana in una prospettiva materialistica (materialismo storico):
questa concezione infatti mette in discussione la libertà dell'uomo, inteso
come persona, riducendolo all'insieme dei suoi rapporti economici. Italo
Mancini ha inoltre fatto parte della redazione della rivista internazionale di
teologia Concilium. È stato autore di numerosi libri di notevole spessore e di
grande successo editoriale. Ha fondato nel 1981 la rivista di filosofia e
teologia Hermeneutica, che esce per numeri monografici, nota sia a livello
nazionale che internazionale ed edita da Morcelliana. La sua posizione di
pensiero verteva su un cristianesimo di matrice liberale e democratica
d'impronta sociale, che cercava uno spazio autonomo e libero, dando
un'importante risposta da credente alla cultura laicista e marxista di quegli
anni sulle orme del Concilio Vaticano II. Pubblicazioni Ontologia
fondamentale, La Scuola, Brescia 1958 Il giovane Rosmini. I. La metafisica
inedita, Argalìa, Urbino 1963 Filosofi esistenzialisti (Heidegger, Marcel,
Wahl, Gilson, Lotze), Argalìa, Urbino 1964 Linguaggio e salvezza, Vita e
Pensiero, Milano 1964 Filosofia della religione, Abete, Roma 1968 Bonhoeffer,
Vallecchi, Firenze 1969 Teologia ideologia utopia, Queriniana, Brescia 1974
Kant e la teologia, Cittadella, Assisi 1975 Futuro dell'uomo e spazio per
l'invocazione, L'Astrogallo, Ancona 1975 Con quale comunismo? La Locusta,
Vicenza, 1976 Con quale cristianesimo, Coines, Roma, 1977 Novecento teologico,
Vallecchi, Firenze 1977 Teologia ideologia utopia, Queriniana, Brescia 1978
Fede e cultura, con Giuseppe Ruggeri, Genova, Marietti 1979 Come continuare a
credere, Rusconi, Milano 1980 Negativismo giuridico, QuattroVenti, Urbino 1981
Guida alla Critica della ragion pura, I,
QuattroVenti, Urbino 1982 Lettera a un laureando, Urbino, Quattroventi 1982 Il
pensiero negativo e la nuova destra, Mondadori, Milano 1983 Il quinto evangelio
come violenza ermeneutica, in “Apocalisse e ragione”, testi di Carlo Bo e
altri, Urbino, Quattroventi 1983, “Hermeneutica” 3, 29-139 Filosofia della prassi, Morcelliana,
Brescia 1986 Tre follie, Camunia, Milano 1986 Guida alla Critica della ragion
pura, II. L'Analitica, QuattroVenti,
Urbino 1988 Il male radicale per Kant, in “La ragione e il male. Atti del terzo
colloquio su filosofia e religione”, 8-10 maggio 1986; Genova, Marietti
1988, 53-72 De profundis per la
dialettica, in “Metafisica e dialettica”, Genova, Tilgher 1988, 153-214 Tornino i volti, Marietti, Genova
1989 Giustizia per il creato, Urbino, Quattroventi 1990, coll. "Il nuovo
Leopardi" L'Ethos dell'Occidente. Neoclassicismo etico, profezia
cristiana, pensiero critico moderno, Marietti, Genova 1990 Scritti cristiani.
Per una teologia del paradosso, Marietti, Genova 1991 Opere postume Diritto e
società. Studi e testi, Urbino, Quattroventi 1993 Come leggere Maritain,
Brescia, Morcelliana 1993 Ethos e cultura nella cooperazione di credito,
Piergiorgio Grassi, Urbino, Associazione per la ricerca religiosa “S.
Bernardino”, Quattroventi 1994 Bonhoeffer (postfazione di Piergiorgio Grassi),
Morcelliana, Brescia 1995 Frammento su Dio, Andrea Aguti (a cura), prefazione
di Graziano Ripanti, Brescia, Morcelliana 2000 Per Aldo Moro. Al di là della
politica, Carlo BoMario LuziItalo Mancini, Urbino, Quattroventi 2008 Opere scelte.
Voll. 1-3, Brescia, Morcelliana 2007- Onorificenze Grande Ufficiale Ordine al
Merito della Repubblica Italiananastrino per uniforme ordinariaGrande Ufficiale
Ordine al Merito della Repubblica Italiana — Roma, 27 dicembre 1966 su Mancini Giorgio Rognini, Metafisica e
sofferenza. Un itinerario critico con Italo Mancini, Verona, Mazziana 1983
Andrea Milano, Rivelazione ed ermeneutica. Karl Barth, Rudolf Bultmann, Italo
Mancini, Urbino, Quattroventi 1988, "Biblioteca di Hermeneutica"
Piergiorgio Grassi, Intervista a Italo Mancini sulla teologia contemporanea,
Urbino, Quattroventi 1992, coll. "Il nuovo Leopardi" Enrico Moroni (a
cura), La filosofia politica nel pensiero di Italo Mancini, Urbino,
Quattroventi 1994 Francesco D'Agostino, Italo Mancini, filosofo del diritto,
Urbino, Quattroventi 1994, coll. "Il nuovo Leopardi" G. RipantiP.
Grassi (a cura), Kerigma e prassi, Brescia, Morcelliana, Hermeneutica 1995
Gustavo Pansini (a cura), Studi in memoria di Italo Mancini, Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane 1999 Galliano Crinella (a cura), Italo Mancini. Dalla
teoresi classica alla modernità come problema, Roma, Edizioni Studium 2000
Antonio Areddu, Cristianesimo e marxismo nel pensiero di Italo Mancini. Una
rilettura in memoriam, Pistoia, Petite Plaisance 2001 Italo Mancini tra
filosofia e teologia, in "Riv. di teologiaAsprenas", I (2003), A.
Pitta (a cura), numero monografico dedicato a Italo Mancini G. RipantiP. Grassi
(a cura), Filosofia, teologia, politica. A partire da Italo Mancini, Brescia, Morcelliana,
Hermeneutica 2004 Mariangela Petricola, Pensare la differenza. La questione di
Dio nell'epoca della disgregazione del senso. Una rilettura con Italo Mancini,
in “Dialegesthai. Riv. telematica di filosofia", XII
();//mondodomani.org/dialegesthai/mpet01.htm Mariangela Petricola, Pensare Dio.
Il cristianesimo differente di Italo Mancini, Assisi, Cittadella Editrice Antonio Ascione, Fedele a Dio e alla terra.
L'avventura intellettuale di Italo Mancini, Benevento, Passione Educativa Valeria Sala, Italo Mancini. Filosofo del
diritto, Torino, Giappichelli , "Recta Ratio" Altri progetti
Collabora a Wikiquote Citazionio su Italo Mancini Italo Mancini, su sapere.it, De
Agostini. Italo Mancini, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Seminario in memoriam, su pesaronotizie.com.
Centro socio culturale "Don Italo Mancini" presso il suo paese natale
Schieti, su centroitalomancini.it. 15 gennaio
22 gennaio ). Pagina sul social network Facebook, su facebook.com. cronologica , su uniurb.it. L'Istituto di
Scienze Religiose fondato da Italo Mancini, su uniurb.it. Biblioteca personale
"Ca' Fante", su uniurb.it. Rivista "Hermeneutica" fondata
da Italo Mancini, su uniurb.it. A. Aguti, Italo Mancini, in Il pensiero filosofico-religioso
italiano.org.
Mangione: Corrado Mangione
(Bagnara Calabra), filosofo. Professore a Milano: «uno dei padri della
rinascita degli studi di logica in Italia nella seconda metà del secolo scorso»..
Diresse le due collane matematiche della casa editrice Progresso tecnico
editoriale di Milano, appendice della Aldo Martello editore, dedicata alla
pubblicazione di una serie di opuscoli tascabili di divulgazione scientifica
nel campo della matematica e della chimica.
Presso l'editore Boringhieri di Torino ha diretto la serie Testi e
manuali della scienza contemporanea. “Serie di logica matematica.” Ha contribuito alla Storia del pensiero
filosofico e scientifico pubblicata da Ludovico Geymonat per Garzanti con
specifici contributi sulla storia della logica moderna e contemporanea. Ha
successivamente ampliato e sistematizzato tali contributi nella Storia della
logica. Da Boole ai nostri giorni (con la collaborazione di Silvio Bozzi):
l'opera costituisce un ampio ed esaustivo lavoro di ricognizione e sintesi
sugli ambiti di ricerca e sui risultati della logica contemporanea. Per Franco Muzzio & C. Editore ha diretto
la collana editoriale Muzzio scienze.
Insieme a Edoardo Ballo, Silvio Bozzi, Gabriele Lolli e Paolo Pagli, ha
curato, per Bollati Boringhieri, l'edizione italiana delle opere di Kurt
Gödel. Pubblicazioni Elementi di logica
matematica, Torino, Boringhieri, Rózsa Péter, Giocando con l'infinito:
matematica per tutti, traduzione di Giulio Giorello, Milano, Feltrinelli
(curatore, con Gabriele Lolli) Matematica
e calcolatore, Le Scienze quaderni, Milano, Scienza e filosofia: saggi in onore
di Ludovico Geymonat, Milano, Garzanti (con Silvio Bozzi) Storia della logica,
CUEM (con Silvio Bozzi) Storia della
logica. Da Boole ai nostri giorni, Garzanti libri, Gottlob Frege. Logica e
aritmetica, scritti raccolti Corrado Mangione con prefazione di Ludovico
Geymonat, Torino, Boringhieri. Logic and Philosophy in Italy. Some trends and
perspectives. Essays in Honor of Corrado Mangione, Edoardo Ballo e Miriam
Franchella, Polimetrica Publisher (raccolta di studi in onore di Corrado
Mangione) Emanuele Vinassa de Regny,
«Corrado Mangione: breve storia di una lunga amicizia», in: Logic and philosophy in Italy: some trends
and perspectives. Essays in Honor of Corrado Mangione. Franco Prattico,
«Pubblicate tutte le opere del grande logico austriaco» dalla Repubblica,
articolo disponibile sul database SWIF dell'Bari.
Manfredi. Liber de homine. Girolamo Manfredi (Bologna),
filosofo. Sappiamo che il padre si chiamava Antonio, mentre i suoi fratelli si
laurearono in diritto canonico ed ebbero notevoli incarichi. Nel 1453 era
"studens in artibus" a Bologna, ma concluse gli studi a Ferrara e si
laureò nel 1455. A Ferrara entrò in contatto con circoli umanistici. Insegnò logica
a Bologna; entrò negli ordini minori e nel 1459 ebbe la tonsura. Nel 1466 ottenne il dottorato in medicina
all'Parma, continuando a insegnare a Bologna nel 1465–66. Continuò poi a
insegnare varie materie a Bologna, fino alla morte. Riceveva un compenso
superiore alla media ed è il docente più citato nei Libri partitorum. Esercitò
l'astrologia e fu attaccato, fra gli altri, da Giovanni Pico della Mirandola
(Disputationes adversus astrologiam divinatricem). Collaborò con Cola Montano e Galeotto Marzio.
Scrisse opere divulgative in volgare. La sua opera Il Perché fu un successo per
secoli. Opere Girolamo Manfredi,
Tractato de la pestilentia, Bologna, Johann Schriber, 1478. 14 aprile .
Girolamo Manfredi, Prognosticon anni 1490 [ita], Bologna, Bazaliero Bazalieri, 1489.
14 aprile . Girolamo Manfredi, Liber de homine [ita], Impressum Bononiae, Ugo
Ruggeri, 1497. 14 aprile . Girolamo
Manfredi, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Girolamo Manfredi, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
Manicone: Michelangelo
Manicone (Vico del Gargano), filosofo. Manicone è una delle personalità più
caratteristiche del suo tempo della Capitanata. Padre Michelangelo
Manicone nacque a Vico del Gargano (Foggia) il 4 marzo 1745, ma la data, le
circostanze e le cause della sua morte, fino a qualche anno fa, erano avvolte
da una fitta nebbia comedel restomolti periodi della sua vita; tuttavia è stata
stabilita come data di morte il 18 aprile 1810 nel convento di San Francesco ad
Ischitella. La che lo riguarda è
scarna e lacunosa, nonostante il fascino della sua persona e delle sue idee.
Era definito il “monacello rivoluzionario” (a causa della sua bassa
statura, che sembrerebbe di 1,40 m). La sua indole illuministica consisteva in
una sete di sapere che non si placava con il dogmatismo, ma con l'esperienza
diretta, lo studio approfondito dei fenomeni naturali e della scienza,
un'osservazione empirica che poteva fornire una risposta valida e concreta alle
varie problematiche e quindi un aiuto pratico all'uomo, al suo benessere e
sviluppo, alla sua felicità. Ciò gli costò l'inimicizia di chi, seppur in pieno
illuminismo, diffidava e demonizzava la scienza. Lo sviluppo
economico-sociale che teorizzava Padre Manicone consisteva in uno sviluppo
connesso e, per certi versi, dipendente dall'ambiente, perché egli riteneva che
la natura fosse una fonte primaria di ricchezza e la sua distruzione avrebbe
potuto segnare la fine dello sviluppo. Manicone può essere considerato un
profeta dello sviluppo sostenibile, perché in pieno Settecento, quando le
industrie erano inesistenti, ebbe un'ampiezza di vedute che gli consentì di
prevedere le conseguenze disastrose che avrebbe portato l'uso improprio e
scriteriato delle risorse naturali. Le opere in cui Manicone tratta, tra
gli altri, il tema dello sviluppo sostenibile, sono La Fisica Appula (cioè
dell'Apulia) e La Fisica Daunica (cioè della Daunia, antico nome della
Capitanata). Secondo il “monacello”, uno dei peggiori atti compiuti dall'uomo
del suo tempo era la cesinazione selvaggia dei boschi garganici, un tempo
rigogliosi, come anche attesto da Orazio nelle Epistole: «Garganum mugire putes
nemus». Manicone riferisce che il disboscamento del promontorio iniziò
nel 1764, con il taglio “barbaro” dei pini nel territorio “Difesa” di Vico del
Gargano e la cesinazione degli ischi ad Ischitella, talmente “furiosa” che, ad
inizio Ottocento, l'Abate Longano denunciò la carenza di legna da ardere per
gli ischitellani. La causa di questo disboscamento fu la volontà di
destinare i suoli a coltura, anche quelli non adatti a questo scopo e più utili
al pascolo e alla produzione di legname, vista la “rocciosità” della terra sul
promontorio del Gargano. Manicone spiega anche la diminuzione della fauna
selvatica nel Gargano, sempre dovuta alla cesinazione, che diminuiva i
nascondigli per gli animali selvatici, e li rendeva più vulnerabili. Ne
“La Fisica Appula”, il frate dedica un intero libro al Mefitismo (insalubrità
dell'aria) e alle cause che lo generano. Egli sostiene che l'inquinamento può
avere cause naturali o accidentali (provocate dall'uomo), può essere anche
indigeno (proprio della zona) o esotico (derivante da altre zone). Secondo il
Manicone le principali cause accidentali del mefitismo erano: 1. Le condizioni
igieniche precarie delle strade e delle abitazioni; 2. L'insana abitudine di
depositare gli escrementi nelle strade; 3. La sepoltura dei centro abitato (consuetudine abolita nel 1804
con l'Editto di Saint-Cloud, ma anticipata nel 1792 a Vico del Gargano da
Pietro de Finis, che fece costruire il cimitero monumentale di San Pietro); 4.
Il taglio dei boschi (invece gli alberi sono importanti perché emettono
ossigeno e assorbono anidride carbonica). Lo studio del frate sul territorio
garganico fu talmente minuzioso da fargli notare un mutamento climatico dalla
metà del Settecento all'Ottocento; in alcune zone del Gargano, ci furono sbalzi
di temperatura che provocarono un sensibile calo di precipitazioni nevose e
mitigarono parecchio gli inverni. Secondo il Manicone, la causa è attribuibile
al disboscamento iniziato nel 1764: il taglio delle foreste avrebbe consentito
al sole di riscaldare prima e maggiormente i suoli e soprattutto non avrebbe
bloccato i venti provenienti da Nord e da Sud, quindi le zone meridionali
rispetto alle alture garganiche si sarebbero raffreddate a causa dell'arrivo
della Tramontana da Nord, mentre nel Gargano settentrionale sarebbero arrivati
maggiormente i venti caldi del Sud. Un rimboschimento avrebbe reso più fertili
le terre coltivabili, ma Manicone stesso, dopo aver dato questo suggerimento,
esprime la consapevolezza di “aver cantato ai sordi”. Viaggiò molto per
l'Europa, studiando Medicina a Vienna e a Berlino, Scienze Fisiche a Londra e
Scienze Naturali a Bruxelles. È noto soprattutto per il suo trattato, La
Fisica Appula (1806), un'opera di cinque tomi, in cui analizza le
caratteristiche fisiche delle terre di Puglia e soprattutto del Gargano.
Al Manicone è intitolato il Centro Studi e Documentazione del Parco Nazionale
del Gargano sito presso il Convento di San Matteo a San Marco in Lamis.
Descrizione di Vico Del Gargano nella Fisica daunica Al tempo di Manicone la
popolazione vichese era di 6131 abitanti, circa lo stesso numero di residenti
effettivi attuali. L'area abitata era più ristretta e consisteva nel nucleo
originario (Casale, Civita e Terra) e i quartieri nuovi di San Marco, Carmine,
la Misericordia e Fuoriporta. L'incuria delle istituzioni si manifestava nella
scarsa attenzione verso l'igiene delle acque del Casale (quartiere
affollatissimo), originariamente buone e dolci ma inquinate dall'incuria
generale; anche le strade strette e ombrose della Civita erano soggette ad
abbandono e perennemente sporche. Soltanto i quartieri nuovi erano larghi,
puliti e soleggiati. Le Istituzioni mancavano anche laddove era
necessario rendere più agevole il lavoro dei contadini e dei pastori vichesi,
costruendo strade per diminuire gli ostacoli a cui erano sottoposti
quotidianamente questi uomini quando si recavano nelle loro campagne, poste
spesso in profonde valli o zone impervie. La popolazione vichese era
laboriosa e onesta e non c'erano grandi disuguaglianze economiche, tuttavia
Manicone descrive i suoi compaesani come barbari e incivili, infatti non hanno
riguardo per l'ambiente, ad esempio i pastori lasciano distruggere dalle loro
bestie le pianticelle fruttifere e le vigne, sono dediti all'alcol e spesso ciò
li porta a risse feroci. Le donne sono laboriose come gli uomini e sempre
gentili, il frate però critica fortemente l'usanza vichese, e delle donne dei
paesi del Sud in generale, di urlare e strepitare ai funerali, di portare il
lutto a vita e di vestire sfarzosamente i defunti; il primo comportamento
denota la selvatichezza della popolazione, il secondo uso può essere
anti-economico e negativo per la società e il terzo è uno spreco di denaro,
dato in pasto ai vermi. Un difetto presente in tutte le abitazioni
vichesi dell'epoca era il forno in casa, che poteva provocare incendi domestici
e inquinare l'aria interna. Dopo il 1764 a Vico molti boschi furono
tagliati per lasciare spazio ai campi di grano, ma ciò fu improduttivo
economicamente e causò lo smottamento dei terreni in pendenza, non più
trattenuti dalle radici delle piante. Nella raccolta dell'ulivo, i vichesi
distruggevano gli alberi, picchiando forte con i bastoni per far cadere le
olive; questa errata abitudine provocava la mutilazione della pianta e una
maggiore esposizione al freddo, e conseguentemente minori raccolti per gli anni
successivi. Per Manicone, il mancato sviluppo del Gargano era da imputare
anche alla pigrizia e indolenza dei suoi abitanti, che non erano capaci di
valorizzare i loro prodotti (olive, agrumi, vino, fichi, etc.) e talvolta
acquistavano prodotti meno pregiati e ad alto prezzo da altre regioni. Al
fine di comprendere come le istituzioni del tempo fossero distanti dalle reali
necessità della popolazione, è interessante la situazione che riguardò l'uso
delle acque di Canneto, infatti veniva impedito ai vichesi (anche con la forza)
di utilizzare l'acqua per l'irrigazione dei campi, perché avrebbero disturbato
l'attività di un mulino sito nel territorio di Rodi Garganico. Il giudice diede
ragione ai rodiani ma, per fortuna, questa sentenza ingiusta e ingiustificata
fu annullata dalla Regia Camera. Dalla lettura di alcune pagine delle
opere di padre Michelangelo Manicone è emerso che, pur cambiando i tempi, gli
usi, le risorse a disposizione, le conoscenze e le attività, l'uomo garganico
(e non solo) viveva e produceva nell'ottica del profitto immediato,
sottovalutando gli effetti che avrebbero potuto causare i suoi comportamenti
errati nella vita della futura comunità. Opere di Michelangelo Manicone.
Mannelli: Filippo Amantea
Mannelli (Grimaldi), filosofia. Nato nel 1878 in un paese del Cosentino,
Grimaldi, frequentò il ginnasio a Cosenza. Successivamente si trasferì con la
famiglia prima ad Aosta, dove terminò gli studi liceali, e poi a Roma per
intraprendere gli studi di giurisprudenza. Nella capitale s'interessò sempre
più al mondo politico e dopo la laurea, conseguita con il massimo dei voti,
ritornò a Cosenza e nel 1914 venne eletto Consigliere Provinciale. Nel 1915, proprio in qualità di membro del
consiglio provinciale, si adoperò in prima persona per arricchire e promuovere
l'ampliamento della Biblioteca Provinciale di Cosenza Letterato e poeta prolifico (la cui opera più
importante è la poesia Come le nuvole), si dedicò in tempi e con modi diversi
all'attività di approfondimento e divulgazione. Nel 1932 firmò una traduzione (in
seguito ampiamente citata e riutilizzata) dal tedesco della Xenia di
Goethe. Fu saggista e redattore; negli
anni cinquanta Professorefu tra i maggiori contributori della più importante
rivista di arti e lettere della regione, la Calabria Letteraria. Fu per più di una decade, dal 1952 alla sua
morte, presidente eletto dell'Accademia Cosentina, l'istituzione accademica
calabrese che vanta un'esistenza plurisecolare e che nel XVI secolo ebbe come
presidente Bernardino Telesio. Opere
Filippo Amantea Mannelli, Inaugurandosi il monumento al caduti grimaldesi:
scultura di Duilio Cambellotti[collegamento interrotto], Reggio Calabria,
Editore Il Giornale di Calabria, 1927. Johan Wolfgang Goethe, traduzione
metrica: Filippo Amantea Mannelli, Xenien (traduzione in italiano)[collegamento
interrotto], Roma [Leipzig], Paravia, 1932 [1871]. Filippo Amantea Mannelli, Le
storiche Terme Luigiane : passato-presente-futuro, Cosenza, Cronaca di
Calabria, 1960. Filippo Amantea Mannelli, L'Accademia Cosentina nella sua storia
secolare e nell'oggi, Cosenza, Tip. Vincenzo Serafino, 1954. Note Biografia di Filippo Amantea Mannelli in
Calabriaonline.com Michele Chiodo,
L'Accademia cosentina e la sua biblioteca. Società e cultura in Calabria. Xenia Edizione Paravia[collegamento
interrotto]. Anna Vincenza Aversa,
Dopoguerra calabrese: cultura e stampa, 1945/79, Editore Pellegrini, Catanzaro,
1932. Accademia Cosentina Biblioteca
Civica di Cosenza Goethe Poesia
"Mamma" da "Come le nuvole” su Grimaldi2000 Grimaldesi da
ricordare, su digilander.libero.it. Biografia di Filippo Amantea Mannelli in
Calabriaonline.com
Mantovani: Mauro Mantovani
(Moncalieri), filosofo. Consegue il dottorato di ricerca in filosofia,
ecclesiastico e civile, ed il dottorato in Teologia presso la Pontificia
Università San Tommaso D’Aquino "Angelicum" nel . È Professore di
Filosofia Teoretica . Decano della Facoltà di Filosofia della UPS dal 2006 al ,
dal al
è stato Decano della Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale
della UPS, e dal è Rettore della
Università Pontificia Salesiana. Altre
attività Da ottobre è Presidente della
Conferenza dei Rettori delle Università ed Istituzioni Pontificie Romane
(CRUIPRO). Dal è Accademico Ordinario
della Pontificia Accademia San Tommaso D’Aquino. È vicepresidente della Società
Internazionale Tommaso D’Aquino (S.I.T.A.). Nel
è stato insignito del Premio Mediterraneo “Portatore di Pace”. Posizioni Gli ambiti delle sue ricerche spaziano
sulla Filosofia della Storia, l'Ontologia, la Teologia filosofica, e loro rapporti
con la scienza. Ha compiuto studi sulla storia del tomismo, in particolare
sulla seconda scolastica spagnola. È uno dei maggiori studiosi e conoscitori
del realismo dinamico e delle opere del filosofo Tommaso Demaria. Opere Fede e ragione: opposizione,
composizione? / Mauro Mantovani, Scaria Thuruthiyil, Mario Toso, Roma , LAS,
1999, 8821304124. Quale globalizzazione?
: l'uomo planetario alle soglie della mondialità / Mauro Mantovani, Scaria
Thuruthiyil, Roma, LAS, 2000,
8821304396. Eleos: l'affanno della ragione: fra compassione e
misericordia / Maurizio Marin e Mauro Mantovani, Roma, LAS, 2002, 882130504X. Sulle vie del tempo. Un confronto
filosofico sulla storia e sulla libertà, Roma, LAS, 2002, 88-213-0483-3. Paolo VI: fede, cultura,
università / Mauro Mantovani e Mario Toso; con la collaborazione di Teresa
Greco, Giuseppe R. M. Motta e Oliviero Riggi, Roma, LAS, 2003, 8821305333. An Deus sit (Summa Theologiae I,
q. 2). Los comentarios de la «primera Escuela» de Salamanca, Salamanca 2007; Fede,
cultura e scienza / Mauro Mantovani e Marilena Amerise; con la collaborazione
di Tomasz Trafny , Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2008, 8820978806. Didattica delle scienze: temi,
esperienze, prospettive / Cristián Desbouts e Mauro Mantovani, Città del
Vaticano: Libreria editrice vaticana, ,
9788820983901. La discussione sull’esistenza di Dio nei teologi
domenicani a Salamanca dal 1561 al 1669. Studio sui testi di Sotomayor, Mancio,
Medina, Astorga, Báñez e Godoy, RomaSalamanca ,
9788482602554. Oltre la crisi: prospettive per un nuovo modello di
sviluppo: il contributo del pensiero realistico dinamico di Tommaso Demaria /
Mauro Mantovani, Alberto Pessa, Oliviero Riggi (a cura), Roma, LAS, , 978-88-213-0808-6. Momenti del logos: ricerche
del "progetto LERS" (logos, episteme, ratio, scientia) : in memoria
di Marilena Amerise e di Marco Arosio / Flavia Carderi, Mauro Mantovani,
Graziano Perillo, Roma, Nuova cultura, ,
9788861347656. Per una finanza responsabile e solidale: problemi e prospettive
/ Massimo Crosti e Mauro Mantovani, Roma, LAS, , 9788821308826. Una ricognizione sulla Summa
Theologiae di Tommaso d'Aquino / Mauro Mantovani, in Un pensiero per abitare la
frontiera: sulle tracce dell'ontologia trinitaria di Klaus Hemmerle / P. Coda,
A. Clemenzia, J. Tremblay (edd.), RomaIncisa Valdarno, Città NuovaIstituto
universitario Sophia, , 9788831133920
Traduzioni, curatele e commenti Lorenzo Cretti , La quarta navigazione: realtà
storica e metafisica organico-dinamica/Prefazione prof. Mauro Mantovani e
Postfazione del prof. Mario Toso, Associazione Nuova Costruttività -Tipografia
Novastampa, Verona, 2004. Francisco de Vitoria, Sul matrimonio (Introduzione,
traduzione e commento di M. Mantovani), Roma, ,
8854887862. Scritti teologici inediti. Tommaso Demaria; Mauro Mantovani
e Roberto Roggero, Roma,Editrice LAS, .
978-88-213-1278-6. Note
Universidad Pontificia de Salamanca, su upsa.es. 2 novembre . Pontifical University of Saint Thomas
Aquinas, su Angelicum. 2 novembre .
AVEPRO, su avepro.glauco.it. 2 novembre . L’Università Salesiana, un servizio per
l’educazione e la comunicazioneLa Stampa, su lastampa.it, 2 marzo . 2 novembre
. Autorità accademiche, su UNISAL. 2
novembre . «Il nostro impegno per la
“civiltà dell’amore”. Come vuole don Bosco»La Stampa, su lastampa.it, 3
settembre . 2 novembre .
CRUIPROConferenza Rettori delle Università e Istituzioni Pontificie
Romane, su cruipro.net. 2 novembre .
redazione, Nuovi accordi di cooperazione interuniversitaria, su
FarodiRoma, 28 giugno . 2 novembre .
Pontificia Accademia di S. Tommaso D'Aquino, su cultura.va. 2 novembre
. Direttorio, su S.I.T.A.. 2 novembre
. PREMI MEDITERRANEO, su
fondazionemediterraneo.org. 2 novembre .
A DON MAURO MANTOVANI IL PREMIO MEDITERRANEO "PORTATORE DI PACE"
. 2 novembre . Young4Young, Mauro
Mantovani, “Vita tua, vita mea”: l'insegnamento di Tommaso Demaria è più che
mai attuale [collegamento interrotto], su Young4young. 2 novembre . Fondazione Adriano Olivetti, su fondazioneadrianolivetti.it.
Marassi: Massimo Marassi
(Cardano al Campo), filosofo. Allievo di Melchiorre, si è laureato a Milano con una tesi sulla differenza
ontologica in Martin Heidegger, sotto la direzione di Melchiorre e con la
correlazione di Gustavo Bontadini. Ha discusso una tesi di dottorato dal titolo
Il profilo della presenza. Heidegger e il regno della pluralità, elaborata
sotto la supervisione di Melchiorre e Grassi. Insegna filosofia a Milano. Ha
coordinato l'edizione dell'Enciclopedia filosofica (Bompiani, Milano 2006). Dal è Direttore del Dipartimento di Filosofia
dell'Università Cattolica di Milano. Dal
dirige la Rivista di filosofia neo-scolastica. Dirige per la casa editrice AlboVersorio la
collana Epoche ed è membro del comitato scientifico del festival La Festa della
Filosofia. PSi è occupato di storia
dell'umanesimo (Bruni, Alberti, Vico), della neoscolastica tedesca (Rahner,
Lotz), di ermeneutica (Schleiermacher, Heidegger, Grassi, Gadamer), di
filosofia trascendentale (Kant), del pensiero postmoderno. I temi della sua
ricerca ruotano attorno a tre temi principali: la riflessione sui modelli
storico-teorici della filosofia della storia, l'interpretazione dell'umanesimo
italiano in riferimento alla dimensione storica e morale, l'analisi della
fondazione trascendentale del sapere.
Opere principali: “Ermeneutica della differenza. Saggio su Heidegger,
Vita e Pensiero, Milano, Edizione italiana di Friedrich D.E. Schleiermacher,
Ermeneutica, Rusconi, Milano, Bompiani, Milano; Edizione italiana di Immanuel
Kant, Critica del giudizio, Bompiani, Milano 2004, n.e. riveduta e
ampliata Metafisica e metodo
trascendentale. Johannes B. Lotz e la struttura dell'esperienza, Vita e
Pensiero, Milano; Metamorfosi della
storia. Momus e Alberti, Mimesis, Milano/ Coordinamento generale e direzione
redazionale della Enciclopedia filosofica, Bompiani, Milano. Pagina Docente
dell'Università Cattolica, su docenti.unicatt.it.
Marchesini: Giovanni
Marchesini (Noventa Vicentina), filosofo. Esponente del positivismo. Alievo di Roberto Ardigò, il maggiore
esponente del positivismo filosofico italiano , Giovanni Marchesini fu docente
all'Padova ove insegnò filosofia morale e pedagogia . Condirettore con Enea
Zamorani, dal 1899, della Rivista di Filosofia Pedagogia e Scienze Affini, che
nel 1901 mutò il nome in Rivista di Filosofia e Scienze affini, ne divenne poi
direttore nel 1904 e proprietario l'anno successivo, fino alla chiusura della
pubblicazione nel 1908 . Diresse, anche, un Dizionario delle scienze
pedagogiche, edito dalla Società Editrice Libraria di Milano nel 1929 . Tra i
suoi numerosi scritti, oltre ad opere di filosofia, psicologia e pedagogia,
anche diversi manuali per le scuole. Tradusse, inoltre, un testo del filosofo
empirista britannico John Locke Pensieri sull'educazione, edito da Sansoni nel
1922 e più volte ristampato . Morì a
Padova, a circa sessantatré anni, nel 1931.
Opere (selezione) Il problema della vita, Montagnana, Tip. di A. Spighi,
1889. Saggio sulla naturale unità del pensiero, Firenze, Sansoni, 1895.
Elementi di psicologia ad uso dei licei tratti dalle opere filosofiche del
prof. Roberto Ardigò, Firenze, Sansoni, 1895. Elementi di logica secondo le
opere di R. Ardigò, St. Mill, A. Bain ecc., prefazione di Roberto Ardigò,
Firenze, Sansoni, 1896. Elementi di morale, ad uso anche dei licei, secondo le
opere degli scienziati moderni, prefazione di Roberto Ardigò, Firenze, Sansoni,
1896. La crisi del positivismo e il problema filosofico, Torino, F.lli Bocca,
1898. Le amicizie di collegio (con prefazione di E. Morselli e in
collaborazione col Dott. Obici), Roma, Società Ed. "Dante Alighieri
", 1898. Elementi di pedagogia : Con un'appendice di cento scelte
citazioni, Firenze, Sansoni, 1899. Doveri e diritti : ad uso delle scuole
tecniche e complementari, Milano-Palermo, R. Sandron, 1900. La teoria
dell'utile : principi etici fondamentali e applicazioni, Milano-Palermo, R.
Sandron, 1900. Il Simbolismo nella conoscenza e nella morale, Torino, Fratelli
Bocca Editori, 1901. Il dominio dello spirito, ossia Il problema della personalità
e il diritto all'orgoglio, Torino, F.lli Bocca, 1902. Corso sistematico di
pedagogia generale , Torino, Paravia, 1907. Il principio della indissolubilità
del matrimonio e il divorzio, Padova-Verona, Fratelli Drucker, 1902. Elementi
di logica, ed. interamente rifusa, Firenze, Sansoni, 1905. Disegno storico
delle dottrine pedagogiche, Roma, Athenaeum, 1913. La dottrina positiva delle
idealità, Roma, Athenaeum, 1913. L'educazione morale, Milano, F. Vallardi,
1914. I problemi fondamentali della educazione, 2ª ed. riveduta e ampliata,
Torino, Paravia, 1922. I problemi dell'Emilio di G. G. Rousseau, Firenze, R.
Bemporad e Figlio, 1925. La finzione dell'educazione o la pedagogia del Come
se, Torino, Paravia, 1925. L'educazione del soldato, con 50 problemi per
esercitazioni, Firenze, Ed. La Voce, 1925. Il problema della scienza nella
storia delle scienze : per i licei scientifici, Milano, Signorelli, 1927.
Dizionario delle scienze pedagogiche : opera di consultazione pratica con un
indice sistematico, direttore Giovanni Marchesini, collaboratori: Antonio
Aliotta, Giuseppe Aliprandi e altri, Milano, Soc. Edit. Libraria, 1929.
Note Vedi Treccani.it L'Enciclopedia
Italiana. Riferimenti in . Vedi il testo
di Mariantonella , citato in 20. Ultima
ristampa: Firenze, Sansoni, 1968.
Mariantonella , Giovanni Marchesini e la «Rivista di filosofia e scienze
affini». La crisi del positivismo italiano, Collana di filosofia, Franco
Angeli, . Roberto Ardigò Positivismo
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Giovanni Marchesini Collabora a Wikiquote Citazionio su Giovanni
Marchesini Marchesini ‹-ʃ-›, Giovanni la
voce nella Treccani.it L'Enciclopedia Italiana. F
Marchesini: Roberto Marchesini
(Bologna), filosofo. Cardine della sua proposta filosoficariconducibile, seppur
con caratteristiche proprie, alla più ampia corrente del Post-humanè lo
smascheramento di quell'errore prospettico che pone l'uomo al centro e a misura
dei suoi predicati. «Comincerò il mio viaggio dal prato più bello, quello
che l'aria non abbandona un istante, il sole vi si intrappola da splendere pur
di notte ed i profumi vergini coesistono con quelli gravidi. È qui che il dio
Pan cadde la notte dei tempi, da qui iniziò il suo girovagare incerto,
all'unico desiderio d'amare» (R. Marchesini, Il dio Pan16) Indice 1
Formazione 2 Ricerche di entomologia ed etologia cognitiva 3 Bioetica e diritti
animali 4 Zooantropologia 5 Etologia filosofica 6 Post-human 7 Narrativa 8
Progetti esteri 9 Collaborazioni editoriali 10 Note 11 Opere scelte 11.1
Bioetica, diritti animali, pedagogia e scienze cognitive 11.2 Zooantropologia
11.3 Etologia filosofica 11.4 Posthuman 11.5 Arte 11.6 Narrativa 12 Altri
progetti 13 i Formazione Da sempre
affascinato dalla natura e, in particolare, dal regno animale, consegue la laurea
in Medicina Veterinaria presso l'Bologna nei primi anni ottanta. Ricerche
di entomologia ed etologia cognitiva Parallelamente agli anni di formazione
universitaria, spinto da un forte interesse verso il comportamento animale,
stringe una feconda collaborazione e amicizia con l'etologo Giorgio Celli, con
il quale inizia a indagare le interazioni sociali degli imenotteri. Per cinque
anni conduce ricerche “sul campo” e, con l'ausilio della macrofotografia, è in
grado di immortalare quegli attimi di vita animale altrimenti nvisibili
all'occhio nudo: rituali di corteggiamento, di accoppiamento e di trofallassi
tra gli insetti che diventeranno il viatico per tutta la sua ricerca
futura. Nei suoi studi di entomologia approfondisce l'analisi dei sistemi
feromonali che saranno tema di alcune pubblicazioni e della successiva ricerca
sul comportamento e sul benessere animale. Nella seconda metà degli anni
ottanta, sotto la guida del professor Franco Pezza, dell'Università degli Studi
di Milano, studia i metodi di allevamento, i parametri di benessere nelle
aziende zootecniche, i fattori di incidenza del rischio in zootecnia, le
modalità di individuazione dei sinistri, pubblicando alcuni lavori sulla
medicina veterinaria delle assicurazioni. Inizia così la sua
collaborazione con diversi atenei sui temi del comportamento animale, tenendo
corsi e master di etologia applicata e medicina comportamentale. Alla metà
degli anni novanta entra nel Consiglio Direttivo della Società di
Scienze Comportamentali Applicate (SISCA) di cui diverrà Presidente
focalizzando la propria attenzione sul comportamento degli animali domestici,
sugli stili di relazione interspecifica, sui problemi e sulle patologie
comportamentali. Osservando sul campo le espressioni comportamentali e i
processi di apprendimento degli animali, inizia a considerare anacronistici e
contraddittori i modelli esplicativi tradizionali. In sintesi, quello che
Marchesini propone nel panorama delle scienze cognitive è un superamento dei
tre modelli interpretativi al comportamento animalequello behaviorista, quello
etologico classico e quello antropomorficoin virtù di un modello mentalistico
unitario (un'unità necessaria che la mente, come fenomeno unico, richiede), che
valga sia per i processi consapevoli che inconsapevoli e che descriva
espressione e apprendimento in termini elaborativi dell'informazione, sistemici
o composizionali dellecomponenti, solutivi e non reattivi, evolutivi e
relazionali nella realizzazione ontogenetica. Questo porterà alla pubblicazione
di tre testi dal forte impatto innovativo: Intelligenze plurime (2008) e
Modelli cognit ivi e comportamento animale () ed Etologia cognitiva. Alla
ricerca della mente animale () Gli assunti di base della proposta di
Marchesini sono i seguenti: il soggetto è immerso in un campo di possibilità
filogenetiche che definiscono il tipo di intelligenza propensionale o
specie-specificada cui l'idea di pluralità cognitiva dove le diverse
intelligenze sono comparabili ma non commensurabili; il processo ontogenetico
di costruzione dell'identità si realizza grazie alle dotazioni innate, che
ricche di virtualità evolutive, possono essere organizzate in una molteplicità
di modida cui l'idea di rapporto dimensionale o direttamente proporzionale di
innato e appreso; l'espressione del soggetto è sempre proattiva, mossa cioè da
un obiettivo, e quindi frutto di una condizione problematica che il soggetto
cerca di risolvere attraverso ricette solutive fino al raggiungimento
dell'obiettivoda cui il superamento del concetto di rinforzo. Vi è quindi una
ridefinizione della soggettività animale, come possesso del suo qui e ora, e
come capacità di mettere in dialogo tutte quelle istanze (ontogenetiche e
filogenetiche) che gli appartengono nella sua relazione con il mondo. Bioetica
e diritti animali Alla fine degli anni ottanta si iscrive alla facoltà di
Lettere e Filosofia dell'Bologna, con l'intento di sondare il rapporto
uomo-natura da una prospettiva pedagogico-filosofica. In questi anni
inizia a portare nelle scuole percorsi progettati appositamente a misura di
bambini per permettere loro di conoscere la varietà del mondo animale evitando
letture antropomorfiche, quelle viziate, ad esempio, dai sedimentati repertori
culturali. È in questi anni che avviene uno degli snodi cardine nell'attività
di Marchesini: egli si accorge che le potenzialità che è in grado di esprimere
il binomio bambinoanimale (o più in generale uomoanimale) è da ricercarsi non
nella performatività quanto piuttosto nelle dinamiche che la relazione, unica e
irripetibile, è in grado di generare. L'animale coinvolto nelle attività
didattiche non è più un oggetto dal quale attingerequasi fosse una fonte
miracolosaelementi benefici al percorso formativo del bambino, ma è nel suo
essere soggetto e capace di stipulare un patto con il proprio interlocutore che
lo fa divenire elemento imprescindibile di ogni percorso formativo.
L'esperienza condotta all'interno delle scuole porta Marchesini alla stesura
del volume Natura e pedagogia (1996), inizialmente nato per divenire la sua
tesi di laurea, ma pubblicato prima della conclusione degli studi umanistici.
Le attività con i bambini lo conducono in tutta Italia portando in evidenza due
aspetti: il divorzio che si è andato realizzando tra l'uomo e le altre
specie nella cultura contemporanea, con bambini che non sono in grado di
relazionarsi con gli animali e spesso nemmeno conoscono le specie domestiche;
la svalutazione degli animali e l'incapacità della società contemporanea di
avere consapevolezza dell'importanza della relazione con le altre specie per lo
sviluppo della personalità. Per Marchesini la svalutazione operata dalla
società contemporanea parte dalla perdita di quel rapporto di convivenza e di
ospitalità che viceversa ancora caratterizzava la cultura rurale. Nasce così il
Concetto di soglia (1996) che esprime il bisogno di uscire dalla dicotomia
novecentesca dell'antropomorfismo e della reificazione dell'eterospecifico.
Temi già affrontati in due saggi precedenti, Animali di città (1997), critico
verso l'antropomorfizzazione degli animali da compagnia, Oltre il Muro (1993),
critico verso la reificazione dei cosiddetti animali da utilità. Sono gli anni
in cui riflette sul pensiero animalista e sulla bioetica animale fondando,
insieme a colei che diventerà la sua storica collaboratrice, Sabrina Golfetto,
la casa editrice Apeiron con lo scopo di creare un luogo dove ospitare
riflessioni e dibattiti su tali tematiche. Sono gli anni in cui abbraccia,
senza più abbandonarlo, il vegetarianesimo e dà vita assieme a Luisella
Battaglia e a Margherita Hack a un'intensa attività convegnistica che confluirà
nella collana Quaderni di bioetica di cui sarà direttore. Nel sostituisce Leonardo Caffo, che ne era stato
fondatore e primo direttore, nella direzione di Animal Studies: Rivista Italiana
di Antispecismo. Nel maggio esce
per le Edizioni Sonda Contro i diritti degli animali? Proposta per un
antispecismo postumanista. Il saggio affronta il tema dello specismo passando
in rassegna le incongruenze e le incoerenze nascoste nelle maglie di un
dibattito filosofico e culturale che pretende di sospendere l'antropocentrismo,
rimanendo all'interno di una cornice umanistica. Il testo vede i commenti
finali di Stefano Rodotà, Boria Sax, Luigi Lombardi Vallauri e Ubaldo
Fadini. Zooantropologia Negli anni novanta, porta la neonata zooantropologia
in Italia, disciplina all'interno della quale compie una sistematizzazione sia
a livello teorico, accanto alle antropologhe Eleonora Fiorani e Sabrina
Tonutti, sia a livello applicativo con la delineazione di protocolli operativi
nelle aree educative e assistenziali. Per ciò che concerne la
zooantropologia teorica, l'ipotesi di fondo proposta da Marchesini, e
riconducibile alla sua teoria della zootropia, è che gli animali nel corso
della storia non abbiano funto solo da produttori di prestazioni o di
collezioni di modelli da imitare ma altresì da alterità referenziale nei
processi antropopoietici. Marchesini sviluppa il concetto di "referenza
animale", inteso come contributo di cambiamento offerto all'uomo dalla
relazione con l'eterospecifico. Per Marchesini, per esempio, gli uccelli
non hanno insegnato all'uomo l'arte di volareil modo di realizzare questa
attivitàma gli hanno ispirato la dimensione esistenziale del volare. Per
Marchesini i predicati umanicome la danza, la musica, la cosmesi, la tecnicavanno
considerati come frutti ibridi, esito cioè dell'incontro relazionale con le
altre specie. Il motore della cultura umana è quindi per Marchesini
rintracciabile nell'incontro con l'alterità animale che, nella forma di una
vera e propria epifania, è stato capace di re-direzionare l'uomo lontano dal
suo centro filogenetico e dalla sua solipsia di specie dando vita a nuove
possibilità esistenziali. Per ciò che concerne la
zooantropologia applicata, opera una trasformazione in alcuni settori
delle attività di relazione con gli animali, dalla pet therapy alla pedagogia
cinofila, impostando i "protocolli dimensionali", vale a dire
individuando nel rapporto delle dimensioni di relazione, ciascuna dotata di
specificità sia di ordine relazionale che referenziale. In pet therapy lavorare
secondo l'approccio dimensionale significa evitare l'incontro generico tra un
paziente e un animale ma individuare le dimensioni di relazione che sono utili
al fruitore secondo i suoi bisogni specifici e renderle operative attraverso
attività specifiche. Allo scopo di formare nuovi operatori in grado di
lavorare secondo i protocolli dimensionali nel 1997 fonda, sempre assieme a
Sabrina Golfetto, SIUA (Scuola di Interazione Uomo-Animale) con sede a
Bologna. Nel 2002 si fa co-promotore di Carta Modena (Carta dei Valori e
dei Principi della Pet-Relationship) che riceve il patrocinio del Ministero
della Salute. Il documento mira a tutelare, all'interno del panorama della
attività assistite dagli animali (A.A.A.) sia il fruitore, il benessere
dell'animale coinvolto e il principio relazionale che dal binomio
scaturisce. Etologia filosofica Nel
Roberto Marchesini pubblica Etologia filosofica. Alla ricerca della
soggettività animale con il quale inaugura la riflessione ontologica sul
carattere di soggettività animale, vale a dire su che cosa differenzia un
oggetto da un essere vivente. Nel testo Marchesini rilegge l'ontologia animale
in termini di "desiderio". Essere animale significa prima di tutto
"essere desiderante", una condizione di non-equilibrio che rende gli
animali protagonisti de loro divenire nonché capaci di definire il corso della
filogenesi di specie. L'etologia filosofica diviene ben presto un campo
di ricerca entro il quale Roberto Marchesini e altri autori (in modo particolare
la filosofa belga Vinciane Despret e l'etologo francese Dominique Lestel)
dialogano allo scopo di ridefinire i contorni di ciò che intendiamo con essere
animale. Post-human Sempre negli anni novanta, inizia la ricerca
filosofica di Marchesini che va a innestarsi nella costellazione di studi
definita come post-human. È di questo periodo la collaborazione con
studiosi come Antonio Caronia e Roberto Terrosi nella direzione di una
ridefinizione dell'umano quale entità ibrida, puntualizzato nel dettato di
Marchesini che vede l'uomo non più misura del mondo ma nemmeno misura di se
stesso. In tale corrente filosofica ci sono per Marchesini le giuste premesse
per poter articolare la propria riflessione in quanto il concetto di alterità
nel progetto post-human assume un significato molto più vasto, abbracciando di
fatto le entità non umane animali e macchiniche. Collabora con la rivista
Virus diretta da Francesca Alfano Miglietti, inaugurando una nuova estetica
basata sull'ibrido come manifestazione contemporanea del sublime. In tale luce
il Manifesto del Teriomorfismo postulato da Marchesini rappresenta il documento
attraverso il quale gli artisti rifiutano il dettato antropocentrico e
riconoscono la natura ibrida di ogni processo creativo. All'interno di
tale campo d'indagine Marchesini sancisce il sodalizio con l'artista tedesca
Karin Andersen che porterà alla pubblicazione di Animal Appeal (2003) e a una
feconda collaborazione che travalica i campi disciplinari e rivela ancora una
volta i debiti che la cultura, in questo caso l'arte, ha contratto con le
alterità. Nel 1998 conosce Alfredo Salsano, storico, sociologo ed editor
della casa editrice Bollati Boringhieri, che affascinato dal lavoro di
Marchesini decide di pubblicare un primo saggio sul rapporto tra bios e techne
dal titolo La fabbrica delle chimere (1999), testo che si pone a cavallo tra le
precedenti esperienze in zooantropologia e bioetica e la nuova riflessione
postumanistica. Nel 2002 esce Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza,
testo corposo, concettualmente denso e dalla molteplicità di riferimenti, che
ha suscitato un grande dibattito nel mondo accademico portando il suo autore a
divenire punto di riferimento per ogni ricognizione che vada ad indagare i
rapporti che intercorrono tra vivente (sia esso umano o animale) e tecnica.
Sempre nel medesimo anno fonda Il Centro Studi Filosofia Postumanista allo
scopo di promuovere e sviluppare in Italia le tematiche legate al post-human da
diverse prospettive, arte, letteratura, cinema, new media, formazione.
Innumerevoli saranno poi le pubblicazioni sul pensiero postumanista, che
vedranno nel 2009 la pubblicazione del saggio Il tramonto dell'uomo. Inoltre,
traduce, cura e scrive la postfazione dell'edizione italiana del testo The Companion
Species Manifesto (2003) della filosofa americana Donna Haraway. Il 30
luglio esce per Mimesis Epifania
animale. L'oltreuomo come rivelazione nel quale Marchesini evidenzia come la
cultura non vada pensata in modo antropocentrico come l'esito autarchico di un
processo creativo interamente svolto dall'uomo, pur avvalendosi di materiale
zoomorfo, ma come una rivelazioneepifaniaispirata dal non umano. Nel Roberto Marchesini torna in libreria con un
volume interamente dedicato al rapporto tra bios e tecnica, Tecnosfera.
Proiezioni per un futuro postumano (Castelvecchi). Il libro rilegge il connubio
tra essere umano e tecnologia come una partnership emersa dal corredo
filogenetico della specie Sapiens, mettendo in luce le potenzialità ibridatrici
e plasmatrici della tecnologia. Da questa prospettiva, ogni invenzione, ogni
scoperta, ha un effetto epifanico; apre, cioè, una nuova dimensione di
imprevisto e di opportunità che modifica i confini e la percezione di ciò che
definiamo umano. Narrativa Il mondo degli insetti così minuziosamente
osservato negli anni ottanta, risulta essere particolarmente evocativo anche da
un punto di vista estetico e narrativo tant'è che nel 1988 Marchesini dà alla
luce la raccolta di racconti lirici Il dio Pan, frutto in parte anche delle
osservazioni compiute tra gli imenotteri. Nei brevi racconti dedicati al
dio agreste della mitologia greca, Marchesini cerca di sfatare il mito di una
natura, da un lato meccanicistica (mera esecutrice dei dettami della genetica)
e dall'altro lato bucolica e idealizzata che nulla o poco rappresenta ciò che
l'autore mira ad affrescare: una natura reale, un mondo del vivente a volte
crudele ma in grado di interconnettere profondamente tutti i suoi abitanti: la
preda e il predatore, la cavalletta e la mantide. Il testo, recepito
positivamente dall'ambiente culturale bolognese, porta Marchesini a stretto
contatto con il poeta Roberto Roversi, altra figura che influenzerà
profondamente la sua attività futura portandola a spingersi in plurimi
territori e a cavallo di numerosi discipline: dalla narrativa alla poesia,
passando per la filosofia. Nel 1998 pubblica il romanzo Uscendo da Lauril
mentre nel 2000 la raccolta di racconti Specchio animale che ospita la
postfazione del poeta e scrittore Francesco Leonetti. Con la pubblicazione di
Uscendo da Lauril in particolare, Marchesini intraprende l'esperimento di
trasferire sul piano narrativo le evocazioni postumanistiche partendo dalla
poetica cyber-punk. In entrambi i lavori è possibile ritrovare quegli elementi
che contraddistinguono la speculazione filosofica di Marchesini: la dialettica
tra identità alterità, il rifiuto di qualsiasi mito della purezza originaria e
di ogni forma di antropocentrismo. Il 14 novembre esce per la casa editrice Mursia Ricordi di
animali, l'autobiografia di Marchesini volta a raccogliere la storia di vita
dell'etologo osservata tramite la lente dei numerosi animali che ne hanno
scandito le tappe fondamentali. Nel
è invece la volta de La filosofia del giardiniere, pubblicato dalla
Graphe edizioni nella collana Parva. Il libro è composto di due parti, nella
prima il lettore è condotto dalle parole a passeggiare nel giardino, novello
atelier darwiniano, con stupore e riverenza. Nella seconda sono le immagini di
alcuni giardini del mondo a far continuare la riflessioni sulla cura, portate
avanti da Marchesini. Roberto Marchesini nel Centro Studi di
Galliera (Bologna) Progetti esteri Roberto Marchesini tiene regolarmente
conferenze in diversi paesi del mondo tra i quali: Stati Uniti, dove dal tiene annualmente una lecture presso
l'Harvard, Brasile, Messico, Cile, India, Australia, Francia, dove nel 2009 è
stato ospite della Sorbona, Spagna, Portogallo. Il 21 aprile è uscito per
la rivista Angelaki: Journal of the Theoretical Humanities il numero
"Philosophical Ethology III: Roberto Marchesini" Jeffrey Bussolini,
Brett Buchanan e Matthew Chrulew che raccoglie i passaggi più significativi del
lavoro di Marchesini tradotti in inglese. Nel esce invece per Springer, Over the human. Post-humanism
and the concept of animal epiphany, volume che presenta al pubblico anlglofono
la proposta postuamista di Roberto Marchesini e, in modo particolare, il
concetto di epifania animale. I suoi lavori sono stati tradotti in
inglese, portoghese, spagnolo e francese e tedesco. Collaborazioni
editoriali Roberto Marchesini è autore di oltre quaranta volumi, più di un
centinaio di saggi apparsi in opere collettanee e riviste accademiche, scrive
inoltre sulle pagine culturali di vari quotidiani nazionali tra cui Il
manifesto e La Stampa. Ha avuto infine una lunga collaborazione con
Tuttoscienze'. Da ottobre cura inoltre
la rubrica etologia a cadenza settimanale "Gli animali che dunque
siamo" per Il Corriere della Sera. Note Roberto Marchesini, Intelligenza emotiva
versus intelligenza cognitiva, in Pluriverso,
3, La Nuova Italia, R. Marchesini, Introduzione all'edizione italiana di
H. Montagner, Il bambino, l'animale, la scuola, Bologna, Perdisa, 2001,
VII-XI R.Marchesini, R. Trespidi, V.
Falabella, B. Salvini, G. Cocca, La via vegetariana per un mondo migliore,
Vimercate, La spiga vegetariana, 1992
Riferimento a pagina
2://novalogos.it/drive/File/LIBRO%20ANIMAL%20STUDIES%201-.pdf
//novalogos.it//drive/File/animalstudies(5).pdf
Rosi Braidotti, The Posthuman, John Wiley & Sons, R. Marchesini, Teriomorfismo, Bologna,
Apeiron, La rubrica etologica di
Roberto Marchesini per Il Corriere della Sera, su corriere.it. Opere scelte
Bioetica, diritti animali, pedagogia e scienze cognitive R. Marchesini, Oltre al
muro, Torino, Franco Muzzio Editore, R. Marchesini, Natura e pedagogia, Roma,
Theoria, 1996. R. Marchesini, Il concetto di soglia, Roma, Theoria, 1996. R.
Marchesini, Io e la natura, Forlì-Cesena, Macro Edizioni, 1998. R. Marchesini,
La fabbrica delle chimere. Biotecnologie applicate agli animali, Torino,
Bollati Boringhieri, R. Marchesini, Bioetica e scienza veterinarie, Edizioni
Scientifiche Italiane, R. Marchesini, "Intelligenza emotiva versus
intelligenza cognitiva", In Pluriverso, Firenze, La Nuova Italia, R.
Marchesini, Bioetica e biotecnologie. Questioni morali nell'era biotech,
Bologna, Apeiron, R. Marchesini, Intelligenze plurime. Manuale di scienze
cognitive animali, Bologna, Peridsa, 2 R. Marchesini, Il galateo per il cane,
Milano, Giunti, R. Marchesini, Modelli cognitivi e comportamento animale.
Coordinate di interpretazione e protocolli applicativi, Isernia, Eva, R. Marchesini, A Cognitive-Relational Approach
to Animal Expression: Revisiting Cognitive Paradigms, in Methode. Analytic Perspective,
Torino, R. Marchesini, Contro i diritti
degli animali? Proposta per un antispecismo postumanista, Alessandria, Edizioni
Sonda, R. Marchesini, Vivere con il
cane. Come migliorare il rapporto fra cani, adulti e bambini, Firenze, De
Vecchi, 88-412-0859-7. R. Marchesini, Il
bambino e l'animale. Fondamenti per una pedagogia zooantropologica, Roma,
Anicia, R. Marchesini, Etologia cognitiva. Alla ricerca della mente animale,
Bologna, Apeiron, , R. Marchesini, M. Celentano, Pluriversi cognitivi.
Questioni di filosofia ed etologia, Milano, Mimesis, R. Marchesini, Geometrie
esistenziali. Le diverse abilità nel mondo animale, Bologna, Apeiron, Zooantropologia R. Marchesini ,
Zooantropologia. Animali e umani: analisi di un rapporto, Como, Red, R.
Marchesini, Animali in città. Manuale di zooantropologia urbana, Como, Red, R.
Marchesini, L. Battaglia, M. Kilani, A. Rivera, Homo Sapiens e mucca pazza.
Antropologia del rapporto con il mondo animale, Bari, Dedalo, R. Marchesini,
Fondamenti di zooantropologia. Zooantropologia applicata, Bologna, Perdisa, R.
Marchesini e S. Tonutti, Manuale di zooantropologia, Roma, Meltemi, R. Marchesini e S. Tonutti, Il codice degli
animali magici, Firenze, De Vecchi, R. Marchesini, L'identità del cane. Storia
di un dialogo tra specie (ristampa riveduta e aggiornata), Bologna, Apeiron, ,R.
Marchesini, L'identità del gatto. La forza della convivialità, Bologna,
Apeiron, , R. Marchesini, Cane & Gatto. Due stili a confronto, Bologna,
Apeiron, Etologia filosofica R. Marchesini, Etologia filosofia. Alla ricerca
della soggettività animale, Milano, Mimesis,
R. Marchesini, Emancipazione dell'animalità, Milano, Mimesis, Posthuman R. Marchesini, Posthuman. Verso
nuovi modelli di esistenza, Torino, Bollati Boringhieri, R. Marchesini, Il
problema del corpo, tra umanesimo e postumanesimo, in Janus,R. Marchesini,
Tecnoscienza e approccio postumanistico, in Millepiani, R. Marchesini, Il
tramonto dell'uomo. La prospettiva postumanista, Bari, Dedalo, R. Marchesini,
Filosofia postumanista e antispecismo, in Liberazioni. Rivista di critica
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di. E. Adorni, Aprilia, Novalogos, ,R. Marchesini, Epifania animale.
L'oltreuomo come rivelazione, Milano, Mimesis, R. Marchesini, Ibridazioni e processi
evolutivi, in Formazione e post-umanesimo. Sentieri pedagogici nell'età della
tecnica, Milano, Raffello Cortina, , R.
Marchesini, Etologia filosofica. Alla ricerca della soggettività animale, con
postfazione di Felice Cimatti, Milano, Mimesis, R. Marchesini, S. Iovino, E.
Adorni, Special Issue of Relations. Beyond Anthropocentism " Past the
human: narrative ontologies and ontological stories", Milano, Led, . R.
Marchesini, Alterità. L'identità come relazione, con prefazione di Ubaldo
Fadini, Modena, Mucchi Editore, R. Marchesini, Tecnosfera. Proiezioni per un
futuro postumano, Roma, Castelvecchi, , R. Marchesini, Eco-ontologia. L'essere
come relazione, Bologna, Apeiron, R. Marchesini, Beyond Anthropocentrism.
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Polimorfismo, multimodalità, neobarocco, N. Dusi e C. Saba, Silvana Editore, , R. Marchesini, "Ontani. Argonauta
dell'ibridazione", in Luigi Ontani incontra Giorgio Morandi. Casamondo,
Danilo Montanari Editore, . Narrativa R. Marchesini, Il Dio Pan. Racconti
lirici, Firenze, Firenze Libri, 1988ora Graphe.it edizioni, Perugia , R.
Marchesini, Uscendo da Lauril, Roma, Theoria, R. Marchesini, Specchio animale.
Racconti di ibridazione, Roma, Castelvecchi, R. Marchesini, Ricordi di animali, Milano,
Mursia, R. Marchesini, Il cane secondo me. Vi racconto quello che ho imparato dai
cani, Alessandria, Sonda, R. Marchesini,
La filosofia del giardiniere. Riflessioni sulla cura, Perugia, Graphe.it edizioni.
Blog ufficiale, su
marchesinietologia.it. Opere di Roberto Marchesini, . italiana di Roberto Marchesini, su Catalogo
Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com. Registrazioni di Roberto Marchesini, su
RadioRadicale.it, Radio Radicale. Pagina
di Roberto Marchesini su Academia.edu. Sito ufficiale SIUA (Scuola di
Interazione Uomo-Animale). Sito ufficiale del Centro Studi Filosofia
Postumanista diretto da Roberto Marchesini.
Marchetti: Alessandro
Marchetti (Empoli), filosofo. Professore di filosofia, poi di matematica
all'Pisa, continuò le ricerche di Galileo nel campo della meccanica, come il
suo contemporaneo Vincenzo Viviani. Collaborò con il medico Giuseppe Del Papa,
lettore di logica e filosofia nell'ateneo pisano. Oltre che matematico, fu anche poeta —
scrisse, infatti, alcune rime religiose, morali ed eroiche —, ma l'opera cui
deve la sua fama è la traduzione del De rerum natura di Lucrezio, con il titolo
“Della natura delle cose.” Considerata come il manifesto del razionalismo
cartesiano, la traduzione di Marchetti influì notevolmente sul gusto arcadico
per la purezza della lingua e l'eleganza dello stile. La diffusione di idee atee e materialiste
attirò sul Marchetti l'accusa di empietà. Pur rifugiatosi nella poesia, non
riuscì ad evitare le indagini del Sant'Uffizio, ispirate soprattutto dal
gesuita lucchese Giovanni Francesco Vanni. Per altre sue opere di successo fu
attaccato dagli oppositori di Galileo.
Fece parte di numerose accademie: Accademia dei Disuniti, Accademia
dell'Arcadia, Accademia dei Fisiocritici, Accademia dei Risvegliati, Accademia
della Crusca e Accademia Fiorentina.
Opere: De resistentia solidorum, Florentiae, typis Vincentij Vangelisti
& Petri Matini (opera abbastanza interessante, basata sulla teoria
galileiana, cui Marchetti dà una struttura assiomatica rigorosa. Tratta in
larga parte il problema dei solidi di uniforme resistenza, precedendo di mezzo
secolo l'importante trattato di Luigi Guido Grandi). Exercitationes mechanicae,
Pisis, ex typographia Io. Ferretti. Della natura delle comete. Lettera scritta
all'illustriss. sig. Francesco Redi, In Firenze, alla Condotta, 1684. Saggio
delle rime eroiche morali e sacre dedicato all'altezza reale di Ferdinando
principe di Toscana, In Firenze, nella stamperia di Cesare Bindi, Anacreonte
tradotto dal testo greco in rime toscane da Alessandro Marchetti accademico
della Crusca e da lui dedicato all'altezza reale di Ferdinando principe di
Toscana, In Lucca, per Leonardo Venturini. Tito Lucrezio Caro, Della natura
delle cose libri sei tradotti da Alessandro Marchetti, Londra, per Giovanni
Pickard. Vita e poesie d'Alessandro Marchetti da Pistoja filosofo e matematico
all'illustrissimo sig. cavaliere Francesco Feroni marchese di Bellavista
patrizio fiorentino e accademico della Crusca, Venezia, appresso Pietro
Valvasense (Contiene poesie postume con la Vita scritta dal figlio
Francesco). Gustavo Costa, Epicureismo e
pederastia. Il Lucrezio e l'Anacreonte di Alessandro Marchetti secondo il
Sant'Uffizio, Firenze, L.S. Olschki, . MARCHETTI, Alessandro, in Dizionario di
filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Cesare Preti, MARCHETTI,
Alessandro, in Dizionario biografico degli italiani, 69, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Mario Saccenti, Lucrezio in
Toscana. Studio su Alessandro Marchetti, Firenze, L.S. Olschki, 1966. De rerum natura Razionalismo Alessandro
Marchetti, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Giulio Natali, Alessandro
Marchetti, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Alessandro Marchetti, su
accademicidellacrusca.org, Accademia della Crusca. Opere di Alessandro Marchetti, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl.
Marchi: Vittore Arnaldo Marchi
(Potenza), filosofo. Generale di corpo d’armata italiano, Medaglia d'oro dei
Benemeriti dell'Educazione Nazionale. Professore
dell'Roma “La Sapienza” di Storia della Filosofia e Filosofia della Religione,
curò la pubblicazione di diverse riviste in cui si confrontarono alcuni
studiosi del primo Novecento italiano come Bernardino Varisco. Tra queste Dio e
Popolo e “L'idealismo realistico.” Dio e Popolo, rivista di ispirazione
mazziniana, accoglie scritti miranti alla ricostruzione della filosofia
religiosa di Giuseppe Mazzini e i rapporti tra religione e stato; nega
l'ateismo e persegue l'ideale di “repubblica”. “L'idealismo realistico,”
rivista attiva tra gli anni 1924 e 1931 circa, raccoglie saggi e teorie
filosofiche di stampo antigentiliano. A
lui è dedicato il Premio tesi di Laurea “Vittore Marchi”, bandito
dall'Università degli Studi Roma Tre per i neolaureati che abbiano sostenuto
tesi su un argomento concernente il pensiero filosofico antico degne di essere
pubblicate; e il parco "Vittore Arnaldo Marchi" a Roma, Municipio
IV. Pubblicazioni principali: “Ricostruzione
della filosofia religiosa di Mazzini, in Dio e Popolo, 1911; La missione di
Roma nel mondo, Atanòr Ed., 1915; Il concetto e il metodo della storia della
filosofia, 1919; Filosofia e religione, La perseveranza Ed., Potenza 1922; La
filosofia morale e giuridica di Giovanni Gentile, Stabilimento Tipografico
F.lli Marchi, Camerino 1923; Relazione tra la filosofia teoretica e la
filosofia pratica, in L'idealismo realistico, Roma 1924; Le prove
dell'esistenza di Dio, in L'idealismo realistico, Roma 1924. Riconoscimenti
Medaglia d'oro ai Benemeriti dell'Educazione Nazionale Gli è stato dedicato un
parco a Roma. Antonio Gramsci (J. A. Buttigiec), Prison notebooks 1, New York, Columbia University Press, G. De Turris, Fenomenologia dell'individuo
assoluto, Roma, Edizioni Mediterranee. //uniroma3.it/news.php?news=603.
Marchi: Luigi De Marchi
(Brescia, 17 luglio 1927Roma, 24 luglio ) è stato uno psicologo e saggista
italiano. Psicoterapeuta di formazione reichiana, umanista, autore di
scritti talvolta controversi perché a scopo provocatorio, si definiva Solista
ed amava stare «fuori dall'Accademia». Psicologo clinico e sociale,
politologo e autore di numerosi saggi pubblicati in Europa e in America, è
stato protagonista di varie battaglie per i diritti civili e sessuali,
riuscendo nel 1971, con una sentenza della Corte Suprema[non chiaro] sulla
“Vertenza tra il Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Emilio Colombo, e
il Prof. Luigi De Marchi”, ad ottenere la revoca dei divieti penali
all'informazione e all'assistenza anticoncezionale e ad avviare la
realizzazione di una rete di migliaia di consultori sessuologici e familiari
pubblici.[senza fonte] Nei primi anni cinquanta è stato tra i fondatori
dell'AIED, guidando per 20 anni l'Associazione in qualità di Segretario
Nazionale. De Marchi ha dato per oltre quarant'anni un contributo determinante
non solo alla segnalazione della pericolosità dell'esplosione demografica (da
lui definita “la madre di tutte le tragedie”) e dei suoi corollari (fame,
guerre, genocidi, disastri ambientali, disoccupazione di massa, migrazioni
disperate, crisi energetica mondiale) ma anche al chiarimento dei meccanismi
psicologici che hanno finora impedito di comprendere e di affrontare questa
tragedia planetaria. In particolare, negli anni ‘70, ha dimostrato con alcuni
fotoromanzi interpretati da noti attori (Paola Pitagora, Ugo Pagliai, Paola
Gassman, Marco Zavattini e Mario Valdemarin) che i messaggi mass-mediatici
associati alla psicologia motivazionale sono lo strumento più efficace per
indurre le masse alla regolazione delle nascite: una tesi oggi confermata da
varie organizzazioni internazionali. Negli anni dal '60 all'‘80 De Marchi
è stato presidente italiano di tre importanti Scuole di Psicoterapia da lui
fondate: quella psico-corporea di Wilhelm Reich, quella bioenergetica di
Alexander Lowen e quella umanistica di Carl Rogers. A partire dai primi
anni ‘80 De Marchi matura un diverso punto di vista nei confronti degli
approcci teorici di Reich, Lowen e Rogers (a suo parere non avevano colto fino
in fondo l'importanza della coscienza e dell'angoscia della morte nella genesi
delle patologie psichiche umane) e propone nel 1984 una teoria della cultura e
della nevrosi in un libro (“Scimmietta ti amo -Psicologia Cultura Esistenza: da
Neanderthal agli scenari atomici ” Ed.Longanesi“Lo shock primario”, Ultima Ed.
2002, Rai-Eri) che nell'edizione tedesca viene proclamato “Libro del Mese”. Nel
1986 fonda a Roma l'Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale, oggi
diretto dalla dr.ssa Antonella Filastro. Pioniere europeo della ricerca
psico-sociale, De Marchi è stato Presidente Onorario della Società Italiana di
Psicologia Politica . I suoi contributi in questo campo sono stati: 1) la
fondazione della Psicopolitica (un metodo di analisi psicologica dei fenomeni
socio-culturali che da trent'anni propone una “lettura” psicologica di tali
fenomeni, diversa da quelle di carattere marxista, idealista o istituzionalista
finora prevalse, con risultati fallimentari, nelle scienze sociali e politiche
tradizionali); 2) l'elaborazione d'una nuova "Psicologia Politica
Liberale" . Dai primi anni novanta De Marchi si è interessato anche al
teatro e alla televisione, creando programmi di cui Federico Fellini scrisse
nel '92: “Ecco una nuova televisione culturale di cui c'è, oggi, bisogno”. E
per oltre due anni ha condotto un programma di psicologia su RaiUno ” La chiave
d'oro” con l'attore Rodolfo Baldini. Paolo Guzzanti ha scritto di lui: “De
Marchi è un felice incrocio tra Bertrand Russell e Woody Allen”.
Attivista per il riconoscimento dei diritti alla contraccezione, al divorzio,
all'interruzione di gravidanza e all'eutanasia, ha fondato il CISA (Centro
informazioni sterilizzazione aborto) che negli anni settanta anticipò la legge
sull'aborto in Italia, e l'AIED (Associazione italiana per l'educazione
demografica). Ha costantemente sostenuto l'importanza del problema della
crescita demografica e dei problemi economici, ecologici, sociali e psicologici
ad essa connessi. Pur essendo favorevole alla chiusura dei manicomi, ha
criticato la legge Basaglia in quanto scaricava sulle famiglie il problema dei
malati psichiatrici pericolosi; parlando dei delitti in famiglia, De Marchi
evidenziò come il nucleo familiare resti il luogo principale in cui avvengono
gli omicidi, a suo giudizio "frutto del fallimento" della legge 180
sulla salute mentale. Egli propose «una riforma radicale e l'apertura di
cliniche psichiatriche che non siano i vecchi manicomi ma strutture umanizzate,
oltre che di centri per l'attività riabilitativa». Aderente al Partito
Radicale, ha tenuto per tredici anni, dal 1995 al 2008, la rubrica bisettimanale
"Controluce" su Radio Radicale, in cui ha trattato temi che venivano
altrove trattati con conformismo: il sesso e l'amore, la procreazione e la
contraccezione, le malattie e la morte, il lavoro e le rendite, la libertà e
l'autoritarismo. È stato autore della "Teoria liberale della lotta
di classe", sviluppata nel 2000 nel volume O noi o loro!. Istituto
di Psicologia Umanistica Esistenziale "LUIGI DE MARCHI"IPUE Modello,
Fondatori e Storia della Scuola Questa voce è da wikificare Questa voce o sezione
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progetto di riferimento. Luigi De Marchi è mosso dalle radici comuni teoriche
ed epistemologiche riconducibili alla fenomenologia e all'esistenzialismo,
fondamentali correnti filosofiche del ‘900, e da alcuni autori significativi
del movimento della psicologia umanistico-esistenziale americana ed europeain
particolare Carl Rogers, Otto Rank, Viktor Frankl, Ludwig Binswanger, Medard
Boss, Karl Jaspers, Eugène Minkowski. Eredita la particolare concezione
dell'uomo e della vita, che rivendica all'essere umano il diritto e la capacità
di scelta. Consapevole della sovrabbondanza di Scuole Psicologiche esistenti
in Italia esitò prima di fondare l'Istituto di Psicologia Umanistica
Esistenziale (IPUE). Per molti anni preferì lavorare nell'ambito di
indirizzi già affermati, che sentiva geniali e creativi e nel ventennio
1960-1980 fu l'iniziatore della Scuola Reichiana in Italia Presidente
dell'Istituto di Bioenergetica W. Reich di Roma e per 6 anni Presidente
dell'Istituto di Psicologia Rogersiana (FDI) e inoltre concorse a riscoprire e
valorizzare l'opera pionieristica di Otto Rank con la pubblicazione della sua
opera: "Otto Rank pioniere misconosciuto" Melusina Editrice
1992. Negli anni 80 esperienze personali drammatiche e ricerche in campo
clinico e antropologico imposero alla sua attenzione l'importanza dell'angoscia
di morte come uno dei più importanti fattori che contribuiscono alla sofferenza
psicologica e psicopatologica. Sentì allora l'esigenza di creare una
nuova Scuola che riuscisse a riconoscere la rilevanza di questa angoscia
primaria dell'uomo e di sviluppare un approccio originale, pluralista e non
dogmatico alla sofferenza umana, fondato sull'integrazione sinergica delle tre
dimensioni, di approccio simultaneoall'essere umano in terapia verbale,
corporea ed esistenziale. Si tratta di un modello che nasce sulla scia
della filosofia esistenziale, dalla quale eredita la concezione dell'uomo e
della vita che rivendica all'essere umano il diritto e la capacità di scelta e,
intende: (1) offrire la possibilità di elaborare e affrontare le tremende
tensioni esistenziali di ogni essere umano anche nel percorso di malattia
psichica e somatica nel clima di contatto empatico, di solidarietà,
convogliando nel processo terapeutico il grande potenziale di crescita e
comunicazione del paziente, la sua conoscenza dei propri bisogni, la sua
creatività, l'apporto decisivo della sua esperienza. 2) che si presenta
multidimensionale, integrato e non dogmatico alla sofferenza umana e psichica e
costantemente aperto ad arricchire la propria prospettiva teorica e clinica
attraverso un confronto critico e di fertilizzazione con altri approcci
psicoterapici, e interviene su 4 dimensioni fondamentali dell'esperienza
umana: la dimensione empatico relazionale, che definisce il nostro modo di
essere nel mondo con gli altri; la dimensione corporea, che spesso esprime
sotto forma di tensioni e dolori muscolari la sofferenza psicologica; la
dimensione esistenziale, che riconosce l'importanza del senso che si riesce a
dare alla propria esistenza; la dimensione cognitiva, che riconosce la
rilevanza sintomatica della sofferenza psicologica e psicopatologica.
Note Un esempio di testo provocatorio,
scritto senza avere alcuna competenza in infettivologia, è il seguente sulla
cospirazione dell'AIDS: Luigi De Marchi, AIDS......affare multi Miliardario, su
mednat.org. 16 giugno . e Aids, la grande truffa continua (2003) in: L. De
Marchi, Il nuovo pensiero forte. Marx è morto, Freud è morto e io mi sento
molto meglio (2007); altri scritti di critica, più documentati, hanno
riguardato le sue critiche alle prassi della chemioterapia dei tumori e gli
effetti collaterali, come in Kaputt tutta la ricerca sul cancro? (1999), sempre
in De Marchi, op. cit. Addio a Luigi De
Marchi lo psicologo che inventò l'AiedRepubblica.it Addio a Luigi De Marchi, lo psicologo che
inventò l'Aied L. De Marchi, Il SolistaAutobiografia
d'un italiano fuori dal coro, Edizioni Interculturali (2003) Luca Bagatin, articolo su Politica Magazine,
su lucabagatin.ilcannocchiale.it. l'8
aprile (archiviato dall'url originale
l'8 ottobre 2009). Opere Sesso e civiltà, Laterza (1960) introduzione: Wilhelm
Reich, Teoria dell'orgasmo e altri scritti, Lerici (1961) Sociologia del sesso,
Laterza (1963) Repressione sessuale e oppressione sociale, Sugar (1964) Wilhelm
ReichBiografia di un'idea, Sugar (1970) Psicopolitica, SugarCo (1975) Vita e
opere di Wilhelm Reich (2 volumi), SugarCo (1981) Scimmietta ti amo, Longanesi
(1983) Lo shock primario. Le radici del fanatismo da Neandertal alle Torri
Gemelle, RAI-ERI (1984; poi 2002)
978-88-397-1208-0 Poesia del desiderio, La Nuova Italia (1992; poi 1998
Seam 978-88-8179-162-0) Perché la Lega,
Mondadori (1993) Il Manifesto dei LiberistiLe idee-forza del nuovo Umanesimo
Liberale, Seam (1995) 978-88-8179-044-9
Aids. La grande truffa (con Fabio Franchi), Roma, Seam (1996) 978-88-8179-048-7 O noi o loro!Produttori
contro Burocrati, ecco la vera lotta di classe della Rivoluzione Liberale,
Bietti (2000) 978-88-8248-111-7 Il
SolistaAutobiografia d'un italiano fuori dal coro, Edizioni Interculturali
(2003) 978-88-88375-14-4 Psicoterapia
umanistica. L'anima del corpo: sviluppi europei (con Antonio Lo Iacono, Maria
Rita Parsi), Franco Angeli (2006)
978-88-464-7426-1 Wilhelm Reich Una formidabile avventura scientifica e
umana (con Vincenzo Valenzi), Macro Edizioni (2007) 978-88-7507-859-1 Il nuovo pensiero forteMarx
è morto, Freud è morto e io mi sento molto meglio, Spirali (2007) 978-88-7770-796-3 Svolta a destra? Ovvero non
è conservatore chi combatte parassiti, fannulloni e sfruttatori, Armando Curcio
Editore (2008) 978-88-95049-43-4
Articoli Luigi De Marchi, La Psicologia Umanistica EsistenzialeRivista delle
Psicoterapie, Roma “La Sapienza”, 2, n.
2, 1997 Associazione italiana per
l'educazione demografica (AIED) Wilhelm Reich
Blog ufficiale, su luigidemarchi.blogspot.com. Opere di Luigi De Marchi, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Luigi De Marchi, . Registrazioni di Luigi De Marchi, su
RadioRadicale.it, Radio Radicale.
Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale "Luigi De
Marchi"IPUE, su ipue.it. Archivio IPUE, su luigidemarchi.wordpress.com.
Archivio della rubrica "Controluce" che Luigi De Marchi teneva su
Radio Radicale, su radioradicale.it. Renato Vignati Luigi De Marchi, un
pionieredella psicologia italiana in Psychomedia (PM, 8 settembre ) Renato
Vignati Lo sguardo sulla persona. Psicologia delle relazioni umane,
Libreriauniversitaria.it edizioni, Padova.
Marconi: Diego Marconi
(Torino), filosofo. Professore a Torino, ha studiato con Luigi Pareyson a
Torino e con Nicholas Rescher, Wilfrid Sellars e Richmond H. Thomason a
Pittsburgh, dove ha scritto la sua tesi di Ph.D. su Hegel. Grice: “In Italy, it
is not considered Italian to get your PhD without – not within – Italy.
Similarly, at Oxford, you cannot get your B. A. Lit. Hum. anywhere else if you want to be regarded as
Oxonian. That’s why I never considered B. A. O. Williams an Oxonian!” -- Noto
per i suoi contributi sul pensiero di Wittgenstein, tra cui la tesi di laurea,
è stato tra i primi in Italia a promuovere la collaborazione dei filosofi con
informatici e scienziati cognitivi. In questo campo ha presentato diversi
risultati, specie riguardo al problema dell'analisi del linguaggio. Su questi
temi ha pubblicato Lexical Competence (MIT Press) e Filosofia e scienza
cognitiva (Laterza). Ha curato con Maurizio Ferraris la nuova edizione della
Enciclopedia filosofica Garzanti ed è stato presidente della Società Italiana
di Filosofia Analitica (SIFA) e membro fondatore della European Society for
Analytic Philosophy (ESAP). Opere: “Il
mito del linguaggio scientifico: studio su Wittgenstein, Milano, Mursia, Dizionari e enciclopedie, Torino,
Giappichelli, L'eredità di Wittgenstein, Roma-Bari, Laterza, Lampi di Stampa; Lexical
Competence, MIT Press, La competenza lessicale, Roma-Bari, Laterza, La filosofia del linguaggio. Da Frege ai giorni
nostri, Torino, Utet, Filosofia e scienza cognitiva, Roma-Bari, Laterza, Per la
verità. Relativismo e la filosofia, Torino, Einaudi, Verità, menzogna (con
Roberto Vignolo), Trento, Il Margine, ; Il mestiere di pensare. La filosofia
nell'epoca del professionismo, Torino, Einaudi, . Curatele La formalizzazione
della dialettica: Hegel, Marx e la logica contemporanea, Torino, Rosenberg
& Sellier, Guida a Wittgenstein: Il
«Tractatus», dal «Tractatus» alle «Ricerche», Matematica, Regole e Linguaggio
privato, Psicologia, Certezza, Forme di vita. Saggi di M. Andronico, R.
CasatiFrascolla, D. Marconi, M. Messeri, L. Perissinotto, A. Voltolini,
Roma-Bari, Laterza, Filosofia analitica, Prospettive teoriche e revisioni
storiografiche (con Michele Di Francesco e Paolo Parrini), Milano, Guerini e
associati, Knowledge and meaning. Topics in Analytic Philosophy, Vercelli,
Mercurio, Scritti sulla tolleranza (John Locke), Torino, UTET, Saggi su Marconi
Il significato eluso. Saggi in onore di Diego Marconi (Marilena Andronico,
Alfredo Paternoster e Alberto Voltolini), numero monografico della «Rivista di
estetica», Marconi, Diego, in Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Intervista a Diego Marconi di Michele Herbstritt,
Rivista italiana di filosofia analitica, sito dell'Università degli Studi di
Milano.
Mariano: Raffaele Mariano
(Capua), filosofo. Fedelissimo allievo di Vera, si occupò di filosofia e storia
delle religioni. Fu docente di Storia della Chiesa presso l'Napoli negli anni
tra il 1885 al 1904. La sua indagine fu prevalentemente orientata verso
l'interpretazione del pensiero di Hegel con argomentazioni comuni agli
esponenti della destra hegeliana ottocentesca. Mariano filosofo e critico
Come filosofo può essere collocato insieme al suo maestro in quella tendenza
affermatasi nella seconda metà dell'Ottocento che privilegiava
l'interpretazione sistematica e razionale rispetto a quella rivoluzionaria dei
testi di Hegel, denominata hegelismo ortodosso. Nelle sue interpretazioni
inserì talvolta temi non strettamente legati al pensiero di Hegel affermando
tra l'altro che "la filosofia deve essere compiuta dalla religione"
(Dall'idealismo nuovo a quello di Hegel, Motivi, risonanze e variazioni sulle
dottrine hegeliane), trattando riguardo a "ciò che dell'idealismo di Hegel
è morto e di ciò che non può morire", argomento precedentemente trattato
da Benedetto Croce, il quale risponde aspramente alle argomentazioni proposte
da Mariano sul 6º numero del 1908 de "La critica. Rivista di Letteratura,
Storia e Filosofia" diretta dallo stesso Croce: «il Mariano non ha
mai capito nulla di tutto ciò che vi è di più sostanziale in Hegel come non ha
meditata seriamente nessuna grande filosofia; e (ora si può aggiungere) non ne
ha mai letto le opere. Immaginarsi che il Mariano si afferma hegeliano, mentre
sostiene che la conoscenza non è assoluta; che rimane insuperabile il mistero;
che dio esiste fuori del mondo e sarebbe dio anche senza il mondo; e che la
filosofia deve essere compiuta dalla religione!Insomma, ciò che di Hegel
"non può morire" sarebbe ciò che Hegel non ha mai detto perché
affatto indegno della sua mente altissima.» Nel 1864 si schierò a favore
del mantenimento della pena di morte in un dibattito sul tema, in accordo con
il suo maestro Augusto Vera ( La pena di morte. Considerazioni in appoggio del
prof. Vera, 1864, Napoli. ), uno dei più autorevoli difensori del mantenimento
di questa pratica. È ancora Croce che commenta con grave disappunto
l'argomento: «Notiamo in ultimo che sempre riecheggiando i vaniloqui del
Vera, il Mariano si professa filosofico difensore della pena di morte (p. IX):
come se la maggiore o minore opportunità di mettere i delinquenti in
segregazione cellulare, o d'impiccarli, ghigliottinarli, garrottarlie
impalarli, costituisse una questione filosofica. Ma il Mariano ama tutte le
cause generose; e non è da meravigliare se per esse trascenda persino i limiti
della filosofia.» Fu anche saggista con un gusto per la "critica
della critica" (cit."Storia Letteraria d'Italia, Volume III, Armando
Balduino") sia letteraria che filosofica, non trascurando l'arte che
annetteva strettamente alla morale. Rivolse la sua indagine anche al
rinascimento con un Saggio biografico critico su Giordano Bruno La vita e l'uomo,
1881 . Pubblicò anche una monografia "apologetica" del suo
maestro Augusto Vera, Augusto Vera, 1886. Mariano storico La sua
produzione fu in un secondo momento soprattutto riferita alla storia, in
particolare la storia del cristianesimo e quella delle religioni in genere,
argomenti affini anche alla materia insegnata presso l'università napoletana.
Non sono presenti particolari innovazioni nella sua ricerca, ma fu uno dei
primi a discutere la tesi proposta dal Croce riguardo alla riduzione della
storia al concetto generale dell'arte. Opere: “Lassalle e il suo
Eraclito. Saggio sulla filosofia hegeliana,” (Cf. Speranza e ill suo Grice:
saggio sulla pragmatica oxoniense”), 1865. “Il Risorgimento italiano secondo i
principi della filosofia della storia,” La philosophie contemporaine en Italie. Essai
de philosophie hégélienne, “La libertà di coscienza,” Milano, Hoepli, Strauss e
Vera. Saggio critico, Roma, Tip. Civelli, “L'individuo e lo Stato nel rapporto
economico e sociale. Saggio, Milano, Treves, Il Machiavelli del Villari, Roma, Loescher,
(cf. “Il Grice dello Speranza”) Un nuovo libro su Leopardi, Roma, Tip. Botta, La
pena di morte. Considerazioni in appoggio del prof. Vera, Napoli. Il p. Carlo Maria Curci, Milano, Vallardi, Augusto
Vera. Necrologio, «Annuario Napoli», Dio secondo Platone, Aristotele ed Hegel,
«Acc. SMP Napoli. Atti», Biografie del
Machiavelli, 1Arte e religione, Il
brutto e il male nell'arte. Il brutto e il male nel romanzo moderno, Dall'idealismo
nuovo a quello di Hegel, Motivi, risonanze e variazioni sulle dottrine
hegeliane, La vita e l'uomo, I rapporti dello Stato con la religione, Firenze,
Civelli, Il problema religioso in Italia, Roma, Civelli, La riforma
ecclesiastica in Italia, «Il diritto», Cristianesimo, cattolicesimo e civiltà, Papato
e socialismo ai giorni nostri. Studio, Roma, Tip. Artero e comp., Buddismo e
cristianesimo,La Storia è una scienza o un'arte?, «Fanfulla della Domenica», 1La
conversione del mondo pagano al cristianesimo, Il cristianesimo dei primi
secoli, 1902. Riconoscimenti La città d'origine del filosofo, Capua, gli ha
dedicato una strada, sede, tra l'altro, del Banco di Napoli. La targa riporta
il cognome Mariani anziché Mariano, errore che nessuna amministrazione ha
ancora provveduto a correggere. La
Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da Benedetto Croce,
6, 1908. Armando Balduino , Storia letteraria d'ItaliaL'Ottocento, III, Piccin Nuova Libraria, 1997. Piero di
Giovanni , Giovanni Gentile, La filosofia italiana tra idealismo e anti-idealismo,
Milano, cf. Luigi Speranza, “La pragmatica conversazionale: tra griceianismo e
anti-griceianismo.” FrancoAngeli, Paolo Malerba, Luciano Malusa, , sito della
Società filosofica italiana Guido
Calogero, «MARIANO, Raffaele» in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana.
Marin: Giovanni Marin
(Venezia), filosofo. Nato a Venezia dal nobile Rosso Marin, studiò con profitto
sotto l'insegnamento dell'umanista Vittorino da Feltre a Venezia, dal quale
apprese la lingua greca, latina e la retorica. Frequentò il ginnasio, presso il
quale recitò eloquenti orazioni in encomio agli uomini illustri veneziani. Si
laureò in diritto all'Università degli studi di Padova. Nel 1440 fu
ambasciatore della Repubblica di Venezia presso gli Estensi e quindi presso la
Repubblica di Firenze. Note Rosmini,
261-265. Carlo de' Rosmini, Idea
dell'ottimo precettore nella vita e disciplina di Vittorino da Feltre e de' suoi
discepoli, Rovereto.
Marliani: Giovanni Marliani (Milano),
filosofo. Era figlio del patrizio
milanese Castello Marliani. Studiò medicina all'Pavia, dove fu allievo del
matematico Biagio Pelacani. Divenne medico nel 1440 ed entrò nel Collegio dei
fisici milanesi e intraprese una carriera nell'insegnamento passando per
diverse cattedre: medicina, fisica, filosofia e astrologia. Nel 1448 era attivo
presso lo Studio di Milano e nel 1452 tornò a Pavia. Con l'ascesa della dinastia degli Sforza a
capo del Ducato di Milano, Giovanni, appartenente alla famiglia Marliani
tradizionalmente ghibellina, aumentò il proprio prestigio. Il padre Castello
nel 1450 razionatore della Camera delle entrate straordinarie. Nel 1466
Giovanni e il fratello Daniele ottennero la concessione in esenzione dei
diritti di sfruttamento delle acque del Secchia nei pressi di Moglia, nel
Mantovano. Alla morte del duca Francesco
Sforza, nel 1467 Giovanni Marliani scrisse una lettera al nuovo duca Galeazzo
Maria Sforza in cui dichiarava di essere stato richiesto da molti Studi in diverse
città d'Italia, sperando di poter essere trasferito da Pavia a Milano e di
ricevere un aumento di salario, vista anche la sua numerosa famiglia. Il
Consiglio segreto di Milano intercedette presso lo Sforza in favore di
Giovanni, esaltando la sua fama anche oltre i confini del Ducato. Il duca
Galeazzo Maria, dopo alcuni indugi, acconsentì per conferirgli un'assegnazione
annua di 1 000 fiorini, il più alto salario riconosciuto a chiunque nel Ducato.
Sotto la reggenza di Ludovico il Moro ottenne i dazi di Gallarate e della sua
pieve. I suoi studi di matematica sulle
frazioni, di fisica sui problemi di statica, moto e velocità, di meccanica e di
termologia, Giovanni Marliani lo portarono ad essere tra i più grandi
scienziati dell'epoca e riuscì a mettere in discussione Thomas Bradwardine e Alberto
di Sassonia. Nella sua opera Quaestio de
caliditate corporum humanorum tempore hyemis et estati set de antiperistasi
(1472), il Marliani distinse la temperatura dell'organismo dalla quantità e
dalla produzione del calore naturale del corpo e sostenne che la produzione del
calore naturale è più elevata in inverno che in estate. Nel 1467 si recò a Novara dal conte Gaspare
Vimercati, colpito da problemi respiratori e nel 1469 curò Rinaldo d'Este da
una gravissima malattia che lo colse durante una visita alla corte milanese.
Nel 1482 Giovanni Marliani raggiunse i vertici della propria carriera e prestò
le sue doti di medico a Federico I Gonzaga.
Giovanni Marliani morì nel 1483 e fu sepolto nella cappella milanese della
Marliani, nella chiesa di Santa Maria delle Grazie. Le opere del Marliani furono oggetto di
studio da parte di Leonardo Da Vinci, che lo cita in diverse occasioni nel suo
Codice Atlantico. Ebbe tre figli: Paolo,
Gerolamo e Pietro Antonio, la discendenza del primo dei quali ottenne all'inizio
Professoreil titolo di conte di Busto Arsizio. Il nipote Luigi, figlio del
fratello Daniele, fu medico e Consigliere segreto di Ludovico il Moro e di
Massimiliano Sforza; divenne poi medico personale degli imperatori Massimiliano
I e Carlo V d'Asburgo e di Filippo I re di Spagna, per poi diventare vescovo
della diocesi di Tui, in Galizia. Opere
Quaestio de caliditate corporum humanorum tempore hyemis et estati set de
antiperistasi (1472) Disputatio cum Iohanne Arculano de diversis materiis ad
philosophiam et medicinam pertinentibus Quaestio de proportione motuum in
velocitate (1464) Algebra Algorismus de minutiis De secta philosophorum
Probatio cuiusdam sententiae Calculatoris de motu locali (1460) Giovanni Marliani, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Marotta: Gerardo Marotta (Napoli),
filosofo. Si è laureato in giurisprudenza con il massimo dei voti
all'Università degli Studi di Napoli "Federico II", presentando una
tesi in filosofia del diritto dal titolo La concezione dello Stato nel pensiero
della filosofia tedesca e nella sinistra hegeliana. In seguito si è interessato presto di storia,
letteratura e filosofia, avvicinandosi dapprima all'Istituto Italiano per gli
Studi Storici fondato da Benedetto Croce, poi fondando l'associazione Cultura
Nuova che diresse fino al 1953 organizzando manifestazioni e conferenze rivolte
ai giovani che richiamarono tutte le più grandi personalità della cultura
Italiana. Nel 1975, incoraggiato dagli
auspici dell'allora Presidente dell'Accademia Nazionale dei Lincei Enrico
Cerulli, della Sig.ra Elena Croce, figlia del celebre filosofo, del prof.
Pietro Piovani e del prof. Giovanni Pugliese Carratelli, fondò a Napoli
l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, del quale è stato Presidente fino
alla morte. Marotta ha donato,
all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, la propria biblioteca
personale, con una dotazione di oltre 300.000 volumi frutto di trent'anni di
appassionata ricerca. Il 25 gennaio è morto a Napoli all'età di 89 anni a causa
dell'aggravamento dei problemi respiratori che lo avevano afflitto dopo un
ricovero ospedaliero per una caduta.
Premi e riconoscimenti Per i suoi importantissimi apporti al mondo della
filosofia e della cultura in generale ha avuto numerosi riconoscimenti da
centri di ricerca e di formazione di rilievo internazionale. Ha vinto la sezione Premio Speciale del
Premio Cimitile nel 1999. Gli è stata conferita la laurea ad honorem in
Filosofia dall'Bielefeld, dall'Università Erasmus di Rotterdam, dalla Sorbona
di Parigi e dalla Seconda Napoli, e in Pedagogia dall'Università degli Studi di
Urbino. Ha ricevuto la Medaglia d'oro per i benemeriti della cultura ed il
Diploma d'onore del Parlamento europeo per l'opera svolta in favore della cultura
europea. All'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici è stato conferito,
nell'aula magna dell'Roma, il Prix International pour la Paix. Jacques
Mühlethaler per l'attività svolta a favore della pace fra i popoli.
"Bidone d'Oro" per la cultura del Movimento artistico culturale
"Esasperatismo Logos & Bidone" , il 10 Ottobre 2008. Note Gaetano Capaldo, È morto Gerardo Marotta,
addio al fondatore dell’Istituto Studi Filosofici, su Diario Partenopeo, 26
gennaio . 26 gennaio 26 gennaio ). Yves Hersant (cur.), Al vero filosofo ogni
terreno è patria : Hommage à Gerardo Marotta, Les Belles Lettres, Paris 1996.
Claudio Piga (cur.), Per Gerardo Marotta. Scritti editi e inediti raccolti
dagli amici di Gerardo Marotta, Arte Tipografica, Napoli 1999. Altri progetti
Collabora a Wikiquote Citazionio su Gerardo Marotta Collabora a Wikimedia
Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Gerardo
Marotta Registrazioni di Gerardo
Marotta, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.
Biografia di Gerardo Marotta in Cinquantamila Giorni de Il Corriere
della Sera.
Marramao -- marrameo:
essential Italian philosopher. Giacomo Marramao (Catanzaro), filosofo. Allievo
di Eugenio Garin, nel 1969 si è laureato in Filosofia all'Firenze. Dal 1971 al
1975 ha proseguito gli studi all'Francoforte, lavorando soprattutto intorno ai
diversi filoni del marxismo italiano ed europeo. Nel 1971 ha pubblicato
Marxismo e revisionismo in Italia, rintracciando in Gentile la chiave di volta
filosofica del marxismo italiano. Dal 1976 al 1995 ha insegnato "Filosofia
della politica" e "Storia delle dottrine politiche" presso
l'Istituto Universitario Orientale di Napoli. Nel 1979 è uscito il suo libro Il
politico e le trasformazioni, nel quale ha posto a confronto le tematiche del
marxismo europeo degli anni '20-30 con le analisi delle trasformazioni del
politico di Carl Schmitt (del cui pensiero egli è stato uno dei primi
riscopritori). A partire dal volume Potere e secolarizzazione (1983) è venuto
elaborando una teoria simbolica del potere (e del nesso politica-tempo)
incentrata sulla ricostruzione ‘archeologica' dei presupposti del razionalismo
occidentale. Fondamentali, nel dibattito
politico-culturale e filosofico degli anni Ottanta, le sue collaborazioni a due
riviste: Laboratorio politico (1981-1983) diretto da Mario Tronti e il Centauro
(1981-1986), diretto da Biagio de Giovanni.
È stato direttore scientifico della Fondazione Basso-Issoco, membro del
Collège International de Philosophie di Parigi e professore honoris causa
all'Bucarest. Nel 2005 la Presidenza della Repubblica francese gli ha conferito
l'onorificenza delle "Palmes Académiques". Nel 2009 ha ricevuto il
Premio internazionale di filosofia "Karl-Otto Apel" e nel il titolo di doctor honoris causa in
Filosofia dalla Universidad Nacionál de Córdoba (Argentina). Ha conseguito altri premi: Premio Pozzale
Luigi Russo a Passaggio a Occidente e Premio di filosofia "Viaggio a
Siracusa" a La passione del presente.
Insegna filosofia politica e filosofia teoretica presso il Dipartimento
di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell'Università degli Studi Roma
Tre. Nel
è nominato professore emerito.
Pensiero Muovendo dallo studio del marxismo italiano ed europeo
(Marxismo e revisionismo in Italia, 1971; Austromarxismo e socialismo di sinistra
fra le due guerre, 1977), ha analizzato le categorie politiche della modernità
(Potere e secolarizzazione, 1983), proponendone, in dialogo con i francofortesi
(Il politico e le trasformazioni, 1979) e con M. Weber (L'ordine disincantato,
1985), una ricostruzione simbolico-genealogica. Secondo questa lettura, che
riprende le ipotesi storico-filosofiche di Karl Löwith, nelle forme moderne di
organizzazione sociale si depositano significati che derivano da un processo di
secolarizzazione dei contenuti religiosi, ossia dalla riproposizione in
dimensione mondana dell'orizzonte simbolico cristiano. In particolare, la
secolarizzazione ha il suo centro in un processo di «temporalizzazione della
storia», in virtù del quale le categorie del tempo (che traducono l'escatologia
cristiana in una generica apertura al futuro: progresso, rivoluzione,
liberazione, etc.) assumono centralità crescente nelle rappresentazioni
politiche della modernità. Su queste considerazioni, riprese anche in Dopo il
Leviatano (1995nuova edizione ampliata ), Passaggio a Occidente. Filosofia e
globalizzazione (2003nuova edizione 2009), La passione del presente (2008),
Contro il potere (), si è innestata via via una tematizzazione esplicita del
problema filosofico della temporalità, che per molti aspetti anticipa sia le
tesi oggi in voga intorno alla "accelerazione" e al rapporto
politica-velocità, sia i temi dello spatial turn, della "svolta
spaziale" contemporanea. Contro le concezioni bergsoniana e heideggeriana,
che delineano con sfumature diverse una forma pura della temporalità, più
originaria rispetto alle sue rappresentazioni/spazializzazioni, Marramao
argomenta l'inscindibilità del nesso tempo-spazio e, richiamandosi tra l'altro
alla fisica contemporanea, riconduce la struttura del tempo a un profilo
aporetico e impuro, rispetto a cui la dimensione dello spazio costituisce il
riferimento formale per pensarne i paradossi. (Minima temporalia, 1990nuova
edizione 2005e Kairós. Apologia del tempo debito, 1992nuova edizione 2005). Note
Lectio magistralis del Prof. Giacomo Marramao e consegna emeritato, su
filosofiacomunicazionespettacolo.uniroma3.it, Università degli Studi Roma Tre,
11 dicembre . l'8 marzo 31 marzo ).
Enciclopedia di filosofia, Garzanti libri, Milano, 2004 ( 9788811505150);
Benso S., Marramao's Kairós: The Space of “Our” Time in the Time of Cosmic
Disorientation, in “Human Studies”, anno 2008, n. 31 A. Baird, History and
Kairos, in “History and Theory”, 50,
Issue 1, 120–128. Figure del conflitto. Studi in onore di Giacomo
Marramao, a c. di A. Martinengo, Valter Casini Editore, Roma 2006. D. Antiseri,
S. Tagliabue, Storia della filosofia,
14: Filosofi italiani contemporanei, Bompiani, Milano 2008, 328–339 ( 9788845264474). Altri progetti
Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file
su Giacomo Marramao Opere di Giacomo Marramao, . Registrazioni di Giacomo Marramao, su
RadioRadicale.it, Radio Radicale.
(selezione) , su host.uniroma3.it. Pagina personale nel sito
dell'Università degli Studi Roma Tre, su host.uniroma3.it. Video intervista a
Giacomo Marramao al Festival della Filosofia 2008, su asia.it.Luigi Speranza,
"Grice e Marrameo," The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia.
martineau: English
philosopher of religion and ethical intuitionist. As a minister and a
professor, Martineau defended Unitarianism and opposed pantheism. In A Study of
Religion Martineau agreed with Kant that reality as we experience it is the
work of the mind, but he saw no reason to doubt his intuitive conviction that
the phenomenal world corresponds to a real world of enduring, causally related
objects. He believed that the only intelligible notion of causation is given by
willing and concluded that reality is the expression of a divine will that is
also the source of moral authority. In Types of Ethical Theory he claimed that
the fundamental fact of ethics is the human tendency to approve and disapprove
of the motives leading to voluntary actions, actions in which there are two
motives present to consciousness. After freely choosing one of the motives, the
agent can determine which action best expresses it. Since Martineau thought
that agents intuitively know through conscience which motive is higher, the
core of his ethical theory is a ranking of the thirteen principal motives, the
highest of which is reverence.
materia-forma
distinction, the -- forma: ideatumCicero was a bit at a loss when trying to
translate the Greek eidos or idea. For ‘eidos’ he had forma, but the Romans
seemed to have liked the sound of ‘idea,’ and Martianus Capella even coined
‘ideal,’ which Kant and Grice later used. idea, in the seventeenth and
eighteenth centuries, whatever is immediately before the mind when one thinks.
The notion of thinking was taken in a very broad sense; it included perception,
memory, and imagination, in addition to thinking narrowly construed. In
connection with perception, ideas were often (though not alwaysBerkeley is the
exception) held to be representational images, i.e., images of something. In
other contexts, ideas were taken to be concepts, such as the concept of a horse
or of an infinite quantity, though concepts of these sorts certainly do not
appear to be images. An innate idea was either a concept or a general truth,
such as ‘Equals added to equals yield equals’, that was allegedly not learned
but was in some sense always in the mind. Sometimes, as in Descartes, innate
ideas were taken to be cognitive capacities rather than concepts or general
truths, but these capacities, too, were held to be inborn. An adventitious
idea, either an image or a concept, was an idea accompanied by a judgment
concerning the non-mental cause of that idea. So, a visual image was an
adventitious idea provided one judged of that idea that it was caused by
something outside one’s mind, presumably by the object being seen. From Idea
Alston coined ‘ideationalism’ to refer to Grice’s theory. “Grice’s is an
ideationalist theory of meaning, drawn from Locke.”Alston calls Grice an ideationalist, and Grice takes it as a
term of abuse. Grice would occasionally use ‘mental.’ Short and Lewis have
"mens.” “terra corpus est, at mentis ignis est;” so too, “istic est de
sole sumptus; isque totus mentis est;”
f. from the root ‘men,’ whence ‘memini,’
and ‘comminiscor.’ Lewis and Short render ‘mens’ as ‘the mind,
disposition; the heart, soul.’ Lewis and Short have ‘commĭniscor,’
originally conminiscor ), mentus, from ‘miniscor,’ whence also ‘reminiscor,’
stem ‘men,’ whence ‘mens’ and ‘memini,’
cf. Varro, Lingua Latina 6, § 44. Lewis and Short render the verb as,
literally, ‘to ponder carefully, to reflect upon;’ ‘hence, as a result of
reflection; cf. 1. commentor, II.), to devise something by careful thought, to
contrive, invent, feign. Myro is perhaps unaware of the implicatura of ‘mental’
when he qualifies his -ism with ‘modest.’ Grice would seldom use mind (Grecian
nous) or mental (Grecian noetikos vs. æsthetikos). His sympathies go for more
over-arching Grecian terms like the very Aristotelian soul, the anima, i. e.
the psyche and the psychological. Grice discusses G. Myro’s essay, ‘In defence
of a modal mentalism,’ with attending commentary by R. Albritton and S. Cavell.
Grice himself would hardly use mental, mentalist, or mentalism himself, but
perhaps psychologism. Grice would use mental, on occasion, but his Grecianism
was deeply rooted, unlike Myro’s. At Clifton and under Hardie (let us recall he
came up to Oxford under a classics scholarship to enrol in the Lit. Hum.) he
knows that mental translates mentalis translates nous, only ONE part, one
third, actually, of the soul, and even then it may not include the ‘practical
rational’ one! Cf. below on ‘telementational.’
formalism: Cicero’s
translation for ‘idealism,’ or ideism -- the philosophical doctrine that
reality is somehow mind-correlative or mind-coordinatedthat the real objects
constituting the “external world” are not independent of cognizing minds, but
exist only as in some way correlative to mental operations. The doctrine
centers on the conception that reality as we understand it reflects the
workings of mind. Perhaps its most radical version is the ancient Oriental
spiritualistic or panpsychistic idea, renewed in Christian Science, that minds
and their thoughts are all there isthat reality is simply the sum total of the
visions (or dreams?) of one or more minds. A dispute has long raged within the
idealist camp over whether “the mind” at issue in such idealistic formulas was
a mind emplaced outside of or behind nature (absolute idealism), or a
nature-pervasive power of rationality of some sort (cosmic idealism), or the
collective impersonal social mind of people in general (social idealism), or
simply the distributive collection of individual minds (personal idealism).
Over the years, the less grandiose versions of the theory came increasingly to
the fore, and in recent times virtually all idealists have construed “the
minds” at issue in their theory as separate individual minds equipped with
socially engendered resources. There are certainly versions of idealism short of
the spiritualistic position of an ontological idealism that (as Kant puts it at
Prolegomena, section 13, n. 2) holds that “there are none but thinking beings.”
Idealism need certainly not go so far as to affirm that mind makes or
constitutes matter; it is quite enough to maintain (e.g.) that all of the
characterizing properties of physical existents resemble phenomenal sensory
properties in representing dispositions to affect mind-endowed creatures in a
certain sort of way, so that these properties have no standing without
reference to minds. Weaker still is an explanatory idealism which merely holds
that an adequate explanation of the real always requires some recourse to the
operations of mind. Historically, positions of the generally idealistic type have
been espoused by numerous thinkers. For example, Berkeley maintained that “to
be [real] is to be perceived” (esse est percipi). And while this does not seem
particularly plausible because of its inherent commitment to omniscience, it
seems more sensible to adopt “to be is to be perceivable” (esse est percipile
esse). For Berkeley, of course, this was a distinction without a difference: if
something is perceivable at all, then God perceives it. But if we forgo
philosophical reliance on God, the matter looks different, and pivots on the
question of what is perceivable for perceivers who are physically realizable in
“the real world,” so that physical existence could be seennot so implausiblyas
tantamount to observability-in-principle. The three positions to the effect
that real things just exactly are things as philosophy or as science or as
“common sense” takes them to bepositions generally designated as Scholastic,
scientific, and naive realism, respectivelyare in fact versions of epistemic
idealism exactly because they see reals as inherently knowable and do not
contemplate mind-transcendence for the real. Thus, the thesis of naive
(“commonsense”) realism that ‘External things exist exactly as we know them’
sounds realistic or idealistic according as one stresses the first three words
of the dictum or the last four. Any theory of natural teleology that regards
the real as explicable in terms of value could to this extent be counted as
idealistic, in that valuing is by nature a mental process. To be sure, the good
of a creature or species of creatures (e.g., their well-being or survival) need
not be something mind-represented. But nevertheless, goods count as such
precisely because if the creatures at issue could think about it, they would
adopt them as purposes. It is this circumstance that renders any sort of
teleological explanation at least conceptually idealistic in nature. Doctrines
of this sort have been the stock-in-trade of philosophy from the days of Plato
(think of the Socrates of the Phaedo) to those of Leibniz, with his insistence
that the real world must be the best possible. And this line of thought has
recently surfaced once more in the controversial “anthropic principle” espoused
by some theoretical physicists. Then too it is possible to contemplate a
position along the lines envisioned in Fichte’s Wissenschaftslehre (The Science
of Knowledge), which sees the ideal as providing the determining factor for the
real. On such a view, the real is not characterized by the science we actually
have but by the ideal science that is the telos of our scientific efforts. On
this approach, which Wilhelm Wundt characterized as “ideal-realism”
(Idealrealismus; see his Logik, 1, 2d
ed., 1895), the knowledge that achieves adequation to the real idea, clear and
distinct idealism (adaequatio ad rem) by adequately characterizing the true
facts in scientific matters is not the knowledge actually afforded by
present-day science, but only that of an ideal or perfected science. Over the
years, many objections to idealism have been advanced. Samuel Johnson thought
to refute Berkeley’s phenomenalism by kicking a stone. He conveniently forgot
that Berkeley goes to great lengths to provide for stoneseven to the point of
invoking the aid of God on their behalf. Moore pointed to the human hand as an
undeniably mind-external material object. He overlooked that, gesticulate as he
would, he would do no more than induce people to accept the presence of a hand
on the basis of the handorientation of their experience. Peirce’s “Harvard Experiment”
of letting go of a stone held aloft was supposed to establish Scholastic
realism because his audience could not control their expectation of the stone’s
falling to earth. But an uncontrollable expectation is still an expectation,
and the realism at issue is no more than a realistic thought-exposure. Kant’s
famous “Refutation of Idealism” argues that our conception of ourselves as
mindendowed beings presupposes material objects because we view our
mind-endowed selves as existing in an objective temporal order, and such an
order requires the existence of periodic physical processes (clocks, pendula,
planetary regularities) for its establishment. At most, however, this argument
succeeds in showing that such physical processes have to be assumed by minds,
the issue of their actual mind-independent existence remaining unaddressed.
(Kantian realism is an intraexperiential “empirical” realism.) It is sometimes
said that idealism confuses objects with our knowledge of them and conflates
the real with our thought about it. But this charge misses the point. The only
reality with which we inquirers can have any cognitive commerce is reality as
we conceive it to be. Our only information about reality is via the operation
of mindour only cognitive access to reality is through the mediation of
mind-devised models of it. Perhaps the most common objection to idealism turns
on the supposed mind-independence of the real: “Surely things in nature would
remain substantially unchanged if there were no minds.” This is perfectly
plausible in one sense, namely the causal onewhich is why causal idealism has
its problems. But it is certainly not true conceptually. The objector has to
specify just exactly what would remain the same. “Surely roses would smell just
as sweet in a minddenuded world!” Well . . . yes and no. To be sure, the
absence of minds would not change roses. But roses and rose fragrance and
sweetnessand even the size of rosesare all factors whose determination hinges
on such mental operations as smelling, scanning, measuring, and the like.
Mind-requiring processes are needed for something in the world to be
discriminated as a rose and determined to bear certain features.
Identification, classification, property attribution are all required and by
their very nature are all mental operations. To be sure, the role of mind is
here hypothetical. (“If certain interactions with duly constituted observers
took place, then certain outcomes would be noted.”) But the fact remains that
nothing could be discriminated or characterized as a rose in a context where
the prospect of performing suitable mental operations (measuring, smelling,
etc.) is not presupposed. Perhaps the strongest argument favoring idealism is
that any characterization of the real that we can devise is bound to be a
mind-constructed one: our only access to information about what the real is is
through the mediation of mind. What seems right about idealism is inherent in
the fact that in investigating the real we are clearly constrained to use our
own concepts to address our own issuesthat we can learn about the real only in
our own terms of reference. But what seems right about realism is that the
answers to the questions we put to the real are provided by reality
itselfwhatever the answers may be, they are substantially what they are because
it is reality itself that determines them to be that way. -- idealism,
Critical. . materia et forma. Materia-forma
distinction, the: One
of Grice’s twelve labours is against Materialism -- Cicero’s translation of
hyle, ancient Greek term for matter. Aristotle brought the word into use in
philosophy by contrast with the term for form, and as designating one of the
four causes. By hyle Aristotle usually means ‘that out of which something has
been made’, but he can also mean by it ‘that which has form’. In Aristotelian
philosophy hyle is sometimes also identified with potentiality and with
substrate. Neoplatonists identified hyle with the receptacle of Plato. Materia-forma distinction, the forma:
Grice always found ‘logical form’ redundant (“Surely we are not into
‘matter’that would be cheap!”)“‘materia-forma’ is the unity, as the Grecians
well knew.”- hylomorphism, the doctrine, first taught by Aristotle, that
concrete substance consists of form in matter (hyle). The details of this
theory are explored in the central books of Aristotle’s Metaphysics (Zeta, Eta,
and Theta). Materia-forma
distinction, the. Then there’s hylozoism: from Greek hyle, ‘matter’, and zoe,
‘life’), the doctrine that matter is intrinsically alive, or that all bodies,
from the world as a whole down to the smallest corpuscle, have some degree or
some kind of life. It differs from panpsychism though the distinction is
sometimes blurredin upholding the universal presence of life per se, rather
than of soul or of psychic attributes. Inasmuch as it may also hold that there
are no living entities not constituted of matter, hylozoism is often criticized
by theistic philosophers as a form of atheism. The term was introduced
polemically by Ralph Cudworth, the seventeenth-century Cambridge Platonist, to
help define a position that is significantly in contrast to soul–body dualism
(Pythagoras, Plato, Descartes), reductive materialism (Democritus, Hobbes), and
Aristotelian hylomorphism. So understood, hylozoism had many advocates in the
eighteenth and nineteenth centuries, among both scientists and naturalistically
minded philosophers. In the twentieth century, the term has come to be used,
rather unhelpfully, to characterize the animistic and naive-vitalist views of
the early Greek philosophers, especially Thales, Anaximenes, Heraclitus, and
Empedocleswho could hardly count as hylozoists in Cudworth’s sophisticated
sense. If anything
characterizes ‘analytic’ philosophy, then it is presumably the emphasis placed
on analysis. But as history shows, there is a wide range of conceptions of
analysis, so such a characterization says nothing that would distinguish
analytic philosophy from much of what has either preceded or developed
alongside it. Given that the decompositional conception is usually offered
as the main conception, it might be thought that it is this that characterizes
analytic philosophy, even Oxonian 'informalists' like Strawson.But this
conception was prevalent in the early modern period, shared by both the British
Empiricists and Leibniz, for example. Given that Kant denied the
importance of de-compositional analysis, however, it might be suggested that
what characterizes analytic philosophy is the value it places on such
analysis. This might be true of G. E. Moore's early work, and of one
strand within analytic philosophy; but it is not generally true. What
characterizes analytic philosophy as it was founded by Frege and Russell is the
role played by logical analysis, which depended on the development of modern logic. Although
other and subsequent forms of analysis, such as 'linguistic' analysis, were
less wedded to systems of FORMAL logic, the central insight motivating logical
analysis remained. Pappus's account of method in ancient Greek geometry
suggests that the regressive conception of analysis was dominant at the time —
however much other conceptions may also have been implicitly involved.In the
early modern period, the decompositional conception became widespread.What
characterizes analytic philosophy—or at least that central strand that
originates in the work of Frege and Russell—is the recognition of what was
called earlier the transformative or interpretive dimension of analysis.Any
analysis presupposes a particular framework of interpretation, and work is done
in interpreting what we are seeking to analyze as part of the process of
regression and decomposition. This may involve transforming it in some
way, in order for the resources of a given theory or conceptual framework to be
brought to bear. Euclidean geometry provides a good illustration of
this. But it is even more obvious in the case of analytic geometry, where
the geometrical problem is first ‘translated’ into the language of algebra and
arithmetic in order to solve it more easily.What Descartes and Fermat did for
analytic geometry, Frege and Russell did for analytic PHILOSOPHY. Analytic
philosophy is ‘analytic’ much more in the way that analytic geometry (as
Fermat's and Descartes's) is ‘analytic’ than in the crude decompositional sense
that Kant understood it. The interpretive dimension of philosophical
analysis can also be seen as anticipated in medieval scholasticism and it is
remarkable just how much of modern concerns with propositions, meaning,
reference, and so on, can be found in the medieval
literature. Interpretive analysis is also illustrated in the nineteenth
century by Bentham's conception of paraphrasis, which he characterized
as "that sort of exposition which may be afforded by transmuting into
a proposition, having for its subject some real entity, a proposition which has
not for its subject any other than a fictitious entity." Bentham, a
palaeo-Griceian, applies the idea in ‘analyzing away’ talk of ‘obligations’,
and the anticipation that we can see here of Russell's theory of descriptions
has been noted by, among others, Wisdom and Quine in ‘Five Milestones of
Empiricism.'vide: Wisdom on Bentham as palaeo-Griceian.What was crucial in
analytic philosophy, however, was the development of quantificational theory,
which provided a far more powerful interpretive system than anything that had
hitherto been available. In the case of Frege and Russell, the system into
which statements were ‘translated’ was predicate calculus, and the divergence
that was thereby opened up between the 'matter' and the logical 'form' meant
that the process of 'translation' (or logical construction or deconstruction)
itself became an issue of philosophical concern. This induced greater
self-consciousness about our use of language and its potential to mislead us (the
infamous implicaturums, which are neither matter nor form -- they are
IMPLICATED matter, and the philosopher may want to arrive at some IMPLICATED
form -- as 'the'), and inevitably raised semantic, epistemological and
metaphysical questions about the relationships between language, logic, thought
and reality which have been at the core of analytic philosophy ever
since. Both Frege and Russell (after the latter's initial flirtation
with then fashionable Hegelian Oxonian idealism -- "We were all Hegelians
then") were concerned to show, against Kant, that arithmetic (or number
theory, from Greek 'arithmos,' number -- if not geometry) is a system of
analytic and not synthetic truths, as Kant misthought. In the Grundlagen,
Frege offers a revised conception of analyticity, which arguably endorses and
generalizes Kant's logical as opposed to phenomenological criterion, i.e.,
(ANL) rather than (ANO) (see the supplementary section on
Kant): (AN) A truth is analytic if its proof depends only on general
logical laws and definitions. The question of whether arithmetical truths
are analytic then comes down to the question of whether they can be derived
purely logically. This was the failure of Ramsey's logicist project.Here
we already have ‘transformation’, at the theoretical level — involving a
reinterpretation of the concept of analyticity.To demonstrate this, Frege
realized that he needed to develop logical theory in order to 'FORMALISE' a
mathematical statements, which typically involve multiple generality or multiple
quantification -- alla "The altogether nice girl loves the
one-at-at-a-time sailor" (e.g., ‘Every natural number has a
successor’, i.e. ‘For every natural number x there is another natural number y
that is the successor of x’). This development, by extending the use of
function-argument analysis in mathematics to logic and providing a notation for
quantification, is essentially the achievement of his Begriffsschrift,
where he not only created the first system of predicate calculus but also, using
it, succeeded in giving a logical analysis of mathematical induction (see Frege
FR, 47-78). In Die Grundlagen der Arithmetik, Frege goes on to
provide a logical analysis of number statements (as in "Mary had two
little lambs; therefore she has one little lamb" -- "Mary has a
little lamb" -- "Mary has at least one lamb and at most one
lamb"). Frege's central idea is
that a number statement contains an assertion about a 'concept.'A statement
such as Jupiter has four moons.is to be understood NOT as *predicating* of
*Jupiter* the property of having four moons, but as predicating of the
'concept' "moon of Jupiter" the second-level property " ... has
at least and at most four instances," which can be logically
defined. The significance of this construal can be brought out by
considering negative existential statements (which are equivalent to number
statements involving "0"). Take the following negative
existential statement: Unicorns do not exist. Or
Grice's"Pegasus does not exist.""A flying horse does not exist."If
we attempt to analyze this decompositionally, taking the 'matter' to leads us
to the 'form,' which as philosophers, is all we care for, we find ourselves
asking what these unicorns or this flying horse called Pegasus are that have
the property of non-existence!Martin, to provoke Quine, called his cat
'Pegasus.'For Quine, x is Pegasus if x Pegasus-ises (Quine, to abbreviate,
speaks of 'pegasise,' which is "a solicism, at Oxford."We may then be
forced to posit the Meinongian subsistence — as opposed to existence — of a
unicorn -- cf. Warnock on 'Tigers exist' in "Metaphysics in Logic" --
just as Meinong (in his ontological jungle, as Grice calls it) and Russell did
('the author of Waverley does not exist -- he was invented by the literary
society"), in order for there to be something that is the subject of our
statement. On the Fregean account,
however, to deny that something exists is to say that the corresponding concept
has no instance -- it is not possible to apply 'substitutional quantification.'
(This leads to the paradox of extensionalism, as Grice notes, in that all void
predicates refer to the empty set). There is no need to posit any
mysterious object, unless like Locke, we proceed empirically with complex ideas
(that of a unicorn, or flying horse) as simple ideas (horse, winged). The
Fregean analysis of (0a) consists in rephrasing it into (0b), which can then be
readily FORMALISED as(0b) The concept unicorn is not instantiated. (0c) ~(∃x) Fx. Similarly, to say that God
exists is to say that the concept God is (uniquely) instantiated, i.e., to deny
that the concept has 0 instances (or 2 or more instances). This is
actually Russell's example ("What does it mean that (Ex)God?")But cf.
Pears and Thomson, two collaborators with Grice in the reprint of an old
Aristotelian symposium, "Is existence a predicate?"On this view,
existence is no longer seen as a (first-level) predicate, but instead,
existential statements are analyzed in terms of the (second-level) predicate is
instantiated, represented by means of the existential quantifier. As Frege
notes, this offers a neat diagnosis of what is wrong with the ontological
argument, at least in its traditional form (GL, §53). All the problems
that arise if we try to apply decompositional analysis (at least straight off)
simply drop away, although an account is still needed, of course, of concepts
and quantifiers. The possibilities that this strategy of
‘translating’ 'MATTER' into 'FORM' opens up are enormous.We are no longer
forced to treat the 'MATTER' of a statement as a guide to 'FORM', and are
provided with a means of representing that form. This is the value of
logical analysis.It allows us to ‘analyze away’ problematic linguistic MATERIAL
or matter-expressions and explain what it is going on at the level of the FORM,
not the MATTERGrice calls this 'hylemorphism,' granting "it is confusing
in that we are talking 'eidos,' not 'morphe'." This strategy was employed,
most famously, in Russell's theory of descriptions (on 'the' and 'some') which
was a major motivation behind the ideas of Wittgenstein's Tractatus.SeeGrice,
"Definite descriptions in Russell and in the vernacular"Although
subsequent philosophers were to question the assumption that there could ever
be a definitive logical analysis of a given statement, the idea that this or
that 'material' expression may be systematically misleading has
remained. To illustrate this, consider the following examples from
Ryle's essay ‘Systematically Misleading Expressions’:
(Ua) Unpunctuality is reprehensible.Or from Grice's and Strawson's
seminar on Aristotle's Categories:Smith's disinteresteness and altruism are in
the other room.Banbury is an egoism. Egoism is reprehensible Banbury is malevolent.
Malevolence is rephrensible. Banbury is an altruism. Altruism and
cooperativeness are commendable. In terms of second-order predicate calculus.
If Banbury is altruist, Banbury is commendable. (Ta) Banbury hates
(the thought of) going to hospital. Ray Noble loves the very thought
of you. In each case, we might be tempted to make unnecessary 'reification,' or
subjectification, as Grice prefers (mocking 'nominalisation' -- a category
shift) taking ‘unpunctuality’ and ‘the thought of going to hospital’ as referring
to a thing, or more specifically a 'prote ousia,' or spatio-temporal
continuant. It is because of this that Ryle describes such expressions as
‘systematically misleading’. As Ryle later told Grice, "I would have
used 'implicaturally misleading,' but you hadn't yet coined the thing!"
(Ua) and (Ta) must therefore be rephrased: (Ub) Whoever is
unpunctual deserves that other people should reprove him for being
unpunctual. Although Grice might say that it is one harmless thing to
reprove 'interestedness' and another thing to recommend BANBURY himself, not
his disinterestedness. (Tb) Jones feels distressed when he thinks of what he
will undergo IF he goes to hospital. Or in more behaviouristic
terms: The dog salivates when he salivates that he will be given food.(Ryle
avoided 'thinking' like the rats). In this or that FORM of the MATTER,
there is no overt talk at all of ‘unpunctuality’ or ‘thoughts’, and hence
nothing to tempt us to posit the existence of any corresponding
entities. The problems that otherwise arise have thus been ‘analyzed
away’. At the time that he wrote ‘Systematically Misleading
Expressions’, Ryle too, assumed that every statement has a form -- even
Sraffa's gesture has a form -- that was to be exhibited correctly.But when he
gave up this assumption (and call himself and Strawson 'informalist') he did
not give up the motivating idea of conceptual analysis—to show what is wrong
with misleading expressions. In The Concept of Mind Ryle sought to explain
what he called the ‘category-mistake’ involved in talk of the mind as a kind of
‘Ghost in the Machine’. "I was so fascinated with this idea that when
they offered me the editorship of "Mind," on our first board meeting
I proposed we changed the name of the publication to "Ghost." They
objected, with a smile."Ryle's aim is to “'rectify' the conceptual
geography or botany of the knowledge which we already possess," an idea
that was to lead to the articulation of connective rather than 'reductive,'
alla Grice, if not reductionist, alla Churchland, conceptions of analysis, the
emphasis being placed on elucidating the relationships BETWEEN this or that
concepts without assuming that there is a privileged set of intrinsically basic
or prior concepts (v. Oxford Linguistic Philosophy). For Grice,
surely 'intend' is prior to 'mean,' and 'utterer' is prior to 'expression'. Yet
he is no reductionist. In "Negation," introspection and
incompatibility are prior to 'not.'In "Personal identity," memory is
prior to 'self.'Etc. Vide, Grice, "Conceptual analysis and the
defensible province of philosophy."Ryle says, "You might say that if
it's knowledge it cannot be rectified, but this is Oxford! Everything is
rectifiable!" What these varieties of conceptual analysis suggest, then,
is that what characterizes analysis in analytic philosophy is something far
richer than the mere ‘de-composition’ of a concept into its
‘constituents’. Although reductive is surely a necessity.The alternative
is to take the concept as a 'theoretical' thing introduced by Ramseyfied description
in this law of this theory.For things which are a matter of intuition, like all
the concepts Grice has philosophical intuitions for, you cannot apply the
theory-theory model. You need the 'reductive analysis.' And the analysis NEEDS
to be 'reductive' if it's to be analysis at all! But this is not to say that
the decompositional conception of analysis plays no role at all. It can be
found in Moore, for example.It might also be seen as reflected in the approach
to the analysis of concepts that seeks to specify the necessary and sufficient
conditions for their correct employment, as in Grice's infamous account
of 'mean' for which he lists Urmson and Strawson as challenging the
sufficiency, and himself as challenging the necessity! Conceptual analysis
in this way goes back to the Socrates of Plato's early dialogues -- and Grice
thought himself an English Socrates -- and Oxonian dialectic as Athenian
dialectic-- "Even if I never saw him bothering people with boring
philosophical puzzles."But it arguably reached its heyday with Grice.The
definition of ‘knowledge’ as ‘justified true belief’ is perhaps the second most
infamous example; and this definition was criticised in Gettier's classic essay
-- and again by Grice in the section on the causal theory of 'know' in WoW --
Way of Words.The specification of necessary and sufficient conditions may no
longer be seen as the primary aim of conceptual analysis, especially in the
case of philosophical concepts such as ‘knowledge’, which are fiercely
contested.But consideration of such conditions remains a useful tool in the
analytic philosopher's toolbag, along with the implicaturum, what Grice called
his "new shining tool" "even if it comes with a new shining
skid!"The use of ‘logical form,’ as Grice
and Strawson note, tends to be otiose. They sometimes just use ‘form.’ It’s
different from the ‘syntactic matter’ of the expression. Matter is strictly
what Ammonius uses to translate ‘hyle’ as applied to this case. When Aristotle
in Anal. Pr. Uses variable letters that’s the forma or eidos; when he doesn’t
(and retreats to ‘homo’, etc.) he is into ‘hyle,’ or ‘materia.’ What other form
is there? Grammatical? Surface versus deep structure? God knows. It’s not even
clear with Witters! Grice at least has a theory. You draw a skull to
communicate there is danger. So you are concerned with the logical form of
“there is danger.” An exploration on logical form can start and SHOULD INCLUDE
what Grice calls the ‘one-off predicament,” of an open GAIIB.” To use
Carruthers’s example and Blackburn: You draw an arrow to have your followers
choose one way on the fork of the road. The logical form is that of the
communicatum. The emissor means that his follower should follow the left path.
What is the logical form of this? It may be said that “p” has a simplex logical
form, the A is Bpredicate calculus, or ‘predicative’ calculus, as Starwson more
traditionally puts it! Then there is molecular complex logical form with
‘negation,’ ‘and’, ‘or’, and ‘if.’. you can’t put it in symbols, it’s not worth
saying. Oh, no, if you can put it in symbols, it’s not worth saying. Grice
loved the adage, “quod per litteras demonstrare volumus, universaliter
demonstramus.” material
adequacy, the property that belongs to a formal definition of a concept when
that definition characterizes or “captures” the extension (or material) of the
concept. Intuitively, a formal definition of a concept is materially adequate
if and only if it is neither too broad nor too narrow. Tarski advanced the
state of philosophical semantics by discovering the criterion of material
adequacy of truth definitions contained in his convention T. Material adequacy
contrasts with analytic adequacy, which belongs to definitions that provide a
faithful analysis. Defining an integer to be even if and only if it is the
product of two consecutive integers would be materially adequate but not
analytically adequate, whereas defining an integer to be even if and only if it
is a multiple of 2 would be both materially and analytically adequate. materia/forma distinction, materia-inmateria
distinction --: immaterialism, Materia-forma -- formale/informale
distinction: informal logic: Grice preferred ‘material’ logic“What Strawson
means by ‘informal logic’ is best expressed by ‘ordinary-language logic,’
drawing on Bergmann’s distinction between the ordinary and the ideal.” Also
called practical logic, the use of logic to identify, analyze, and evaluate
arguments as they occur in contexts of discourse in everyday conversations. In
informal logic, arguments are assessed on a case-by-case basis, relative to how
the argument was used in a given context to persuade someone to accept the
conclusion, or at least to give some reason relevant to accepting the
conclusion. One of Grice’s twelve labours is with Materialism. Immaterialism is
the view that objects are best characterized as mere collections of qualities:
“a certain colour, taste, smell, figure and consistence having been observed to
go together, are accounted one distinct thing, signified by the name apple” (Berkeley,
Principles, 1). So construed, immaterialism anticipates by some two hundred
years a doctrine defended in the early twentieth century by Russell. The
negative side of the doctrine comes in the denial of material substance or
matter. Some philosophers had held that ordinary objects are individual
material substances in which qualities inhere. The account is mistaken because,
according to immaterialism, there is no such thing as material substance, and
so qualities do not inhere in it. Immaterialism should not be confused with
Berkeley’s idealism. The latter, but not the former, implies that objects and
their qualities exist if and only if they are perceived. materia-forma distinction, the: forma: form, in metaphysics,
especially Plato’s and Aristotle’s, the structure or essence of a thing as
contrasted with its matter. Plato’s theory of Forms is a realistic ontology of
universals. In his elenchus, Socrates sought what is common to, e.g., all
chairs. Plato believed there must be an essence
or Form common to everything
falling under one concept, which makes anything what it is. A chair is a chair
because it “participates in” the Form of Chair. The Forms are ideal “patterns,”
unchanging, timeless, and perfect. They exist in a world of their own cf. the Kantian
noumenal realm. Plato speaks of them as self-predicating: the Form of Beauty is
perfectly beautiful. This led, as he realized, to the Third Man argument that
there must be an infinite number of Forms. The only true understanding is of
the Forms. This we attain through anamnesis, “recollection.” 2 Aristotle agreed
that forms are closely tied to intelligibility, but denied their separate
existence. Aristotle explains change and generation through a distinction
between the form and matter of substances. A lump of bronze matter becomes a
statue through its being molded into a certain shape form. In his earlier
metaphysics, Aristotle identified primary substance with the composite of
matter and form, e.g. Socrates. Later, he suggests that primary substance is
form what makes Socrates what he is the
form here is his soul. This notion of forms as essences has obvious
similarities with the Platonic view. They became the “substantial forms” of
Scholasticism, accepted until the seventeenth century. Kant saw form as the a
priori aspect of experience. We are presented with phenomenological “matter,”
which has no meaning until the mind imposes some form upon it. Grice finds the
‘logical’ in ‘logical form’ otiose. “Unless we contrast it with logical
matter.” Refs.: Grice, “Form: logical and other.” A formal fallacy is an
invalid inference pattern that is described in terms of a formal logic. There
are three main cases: 1 an invalid or otherwise unacceptable argument
identified solely by its form or structure, with no reference to the content of
the premises and conclusion such as equivocation or to other features,
generally of a pragmatic character, of the argumentative discourse such as
unsuitability of the argument for the purposes for which it is given, failure
to satisfy inductive standards for acceptable argument, etc.; the latter
conditions of argument evaluation fall into the purview of informal fallacy; 2
a formal rule of inference, or an argument form, that is not valid in the
logical system on which the evaluation is made, instances of which are
sufficiently frequent, familiar, or deceptive to merit giving a name to the
rule or form; ad 3 an argument that is an instance of a fallacious rule of
inference or of a fallacious argument form and that is not itself valid. The
criterion of satisfactory argument typically taken as relevant in discussing
formal fallacies is validity. In this regard, it is important to observe that
rules of inference and argument forms that are not valid may have instances
which may be another rule or argument form, or may be a specific argument that
are valid. Thus, whereas the argument form i P, Q; therefore R a form that
every argument, including every valid argument, consisting of two premises
shares is not valid, the argument form ii, obtained from i by substituting
P&Q for R, is a valid instance of i: ii P, Q; therefore P&Q. Since ii
is not invalid, ii is not a formal fallacy though it is an instance of i. Thus,
some instances of formally fallacious rules of inference or argument-forms may
be valid and therefore not be formal fallacies. Examples of formal fallacies
follow below, presented according to the system of logic appropriate to the
level of description of the fallacy. There are no standard names for some of
the fallacies listed below. Fallacies of sentential propositional logic.
Affirming the consequent: If p then q; q / ‘If Richard had his nephews
murdered, then Richard was an evil man; Richard was an evil man. Therefore,
Richard had his nephews murdered.’ Denying the antecedent: If p then q; not-p /
, not-q. ‘If North was found guilty by the courts, then North committed the
crimes charged of him; North was not found guilty by the courts. Therefore,
North did not commit the crimes charged of him.’ Commutation of conditionals: If
p then q / , If q then p. ‘If Reagan was a great leader, then so was Thatcher.
Therefore, if Thatcher was a great leader, then so was Reagan.” Improper
transposition: If p then q / , If not-p then not-q. ‘If the nations of the
Middle East disarm, there will be peace in the region. Therefore, if the
nations of the Middle East do not disarm, there will not be peace in the
region.’ Improper disjunctive syllogism affirming one disjunct: p or q; p / ,,
not-q. ‘Either John is an alderman or a ward committeeman; John is an alderman.
Therefore, John is not a ward committeeman.’ This rule of inference would be
valid if ‘or’ were interpreted exclusively, where ‘p or EXq’ is true if exactly
one constituent is true and is false otherwise. In standard systems of logic, however,
‘or’ is interpreted inclusively. Fallacies of syllogistic logic. Fallacies of
distribution where M is the middle term, P is the major term, and S is the
minor term. Undistributed middle term: the middle term is not distributed in
either premise roughly, nothing is said of all members of the class it
designates, as in form, grammatical formal fallacy 316 316 Some P are M ‘Some politicians are
crooks. Some M are S Some crooks are thieves. ,Some S are P. ,Some politicians
are thieves.’ Illicit major undistributed major term: the major term is
distributed in the conclusion but not in the major premise, as in All M are P
‘All radicals are communists. No S are M No socialists are radicals. ,Some S
are ,Some socialists are not not P. communists.’ Illicit minor undistributed
minor term: the minor term is distributed in the conclusion but not in the
minor premise, as in All P are M ‘All neo-Nazis are radicals. All M are S All
radicals are terrorists. ,All S are P. ,All terrorists are neoNazis.’ Fallacies
of negation. Two negative premises exclusive premises: the syllogism has two
negative premises, as in No M are P ‘No racist is just. Some M are not S Some
racists are not police. ,Some S are not P. ,Some police are not just. Illicit
negative/affirmative: the syllogism has a negative premise conclusion but no
negative conclusion premise, as in All M are P ‘All liars are deceivers. Some M
are not S Some liars are not aldermen. ,Some S are P. ,Some aldermen are
deceivers.’ and All P are M ‘All vampires are monsters. All M are S All
monsters are creatures. ,Some S are not P. ,Some creatures are not vampires.’
Fallacy of existential import: the syllogism has two universal premises and a
particular conclusion, as in All P are M ‘All horses are animals. No S are M No
unicorns are animals. ,Some S are not P. ,Some unicorns are not horses.’ A
syllogism can commit more than one fallacy. For example, the syllogism Some P
are M Some M are S ,No S are P commits the fallacies of undistributed middle,
illicit minor, illicit major, and illicit negative/affirmative. Fallacies of
predicate logic. Illicit quantifier shift: inferring from a universally
quantified existential proposition to an existentially quantified universal
proposition, as in Ex Dy Fxy / , Dy Ex Fxy ‘Everyone is irrational at some time
or other /, At some time, everyone is irrational.’ Some are/some are not
unwarranted contrast: inferring from ‘Some S are P’ that ‘Some S are not P’ or
inferring from ‘Some S are not P’ that ‘Some S are P’, as in Dx Sx & Px / ,
Dx Sx & -Px ‘Some people are left-handed / , Some people are not
left-handed.’ Illicit substitution of identicals: where f is an opaque oblique
context and a and b are singular terms, to infer from fa; a = b / , fb, as in
‘The Inspector believes Hyde is Hyde; Hyde is Jekyll / , The Inspector believes
Hyde is Jekyll.’ Forma gives rise to
formalism (or the formalists), which Grice contrasts with Ryle and Strawson’s
informalism (the informalists). Formalism is described by Grice as the the view
that mathematics concerns manipulations of symbols according to prescribed
structural rules. It is cousin to nominalism, the older and more general
metaphysical view that denies the existence of all abstract objects and is
often contrasted with Platonism, which takes mathematics to be the study of a
special class of non-linguistic, non-mental objects, and intuitionism, which
takes it to be the study of certain mental constructions. In sophisticated
versions, mathematical activity can comprise the study of possible formal manipulations
within a system as well as the manipulations themselves, and the “symbols” need
not be regarded as either linguistic or concrete. Formalism is often associated
with the mathematician formalism formalism 317
317 David Hilbert. But Hilbert held that the “finitary” part of
mathematics, including, for example, simple truths of arithmetic, describes
indubitable facts about real objects and that the “ideal” objects that feature
elsewhere in mathematics are introduced to facilitate research about the real
objects. Hilbert’s formalism is the view that the foundations of mathematics
can be secured by proving the consistency of formal systems to which
mathematical theories are reduced. Gödel’s two incompleteness theorems
establish important limitations on the success of such a project. And then
there’s “formalization,” an abstract representation of a theory that must
satisfy requirements sharper than those imposed on the structure of theories by
the axiomatic-deductive method. That method can be traced back to Euclid’s
Elements. The crucial additional requirement is the regimentation of
inferential steps in proofs: not only do axioms have to be given in advance,
but the rules representing argumentative steps must also be taken from a
predetermined list. To avoid a regress in the definition of proof and to
achieve intersubjectivity on a minimal basis, the rules are to be “formal” or
“mechanical” and must take into account only the form of statements. Thus, to
exclude any ambiguity, a precise and effectively described language is needed
to formalize particular theories. The general kind of requirements was clear to
Aristotle and explicit in Leibniz; but it was only Frege who, in his
Begriffsschrift 1879, presented, in addition to an expressively rich language with
relations and quantifiers, an adequate logical calculus. Indeed, Frege’s
calculus, when restricted to the language of predicate logic, turned out to be
semantically complete. He provided for the first time the means to formalize
mathematical proofs. Frege pursued a clear philosophical aim, namely, to
recognize the “epistemological nature” of theorems. In the introduction to his
Grundgesetze der Arithmetik 3, Frege wrote: “By insisting that the chains of
inference do not have any gaps we succeed in bringing to light every axiom,
assumption, hypothesis or whatever else you want to call it on which a proof
rests; in this way we obtain a basis for judging the epistemological nature of
the theorem.” The Fregean frame was used in the later development of mathematical
logic, in particular, in proof theory. Gödel established through his
incompleteness theorems fundamental limits of formalizations of particular
theories, like the system of Principia Mathematica or axiomatic set theories.
The general notion of formal theory emerged from the subsequent investigations
of Church and Turing clarifying the concept of ‘mechanical procedure’ or
‘algorithm.’ Only then was it possible to state and prove the incompleteness
theorems for all formal theories satisfying certain very basic representability
and derivability conditions. Gödel emphasized repeatedly that these results do
not establish “any bounds for the powers of human reason, but rather for the
potentialities of pure formalism in mathematics.” As Grice notes, to ormalize: narrowly
construed, to formulate a subject as a theory in first-order predicate logic;
broadly construed, to describe the essentials of the subject in some formal
language for which a notion of consequence is defined. For Hilbert, formalizing
mathematics requires at least that there be finite means of checking purported
proofs. The formalists speak of a
‘formal’ language, “but is it a language?”Grice. formal language: H. P. Grice,
“Bergmann on ideal language versus ordinary language,” a language in which an
expression’s grammaticality and interpretation if any are determined by
precisely defined rules that appeal only to the form or shape of the symbols
that constitute it rather than, for example, to the intention of the speaker.
It is usually understood that the rules are finite and effective so that there
is an algorithm for determining whether an expression is a formula and that the
grammatical expressions are uniquely readable, i.e., they are generated by the
rules in only one way. A paradigm example is the language of firstorder
predicate logic, deriving principally from the Begriffsschrift of Frege. The
grammatical formulas of this language can be delineated by an inductive
definition: 1 a capital letter ‘F’, ‘G’, or ‘H’, with or without a numerical
subscript, folformalism, aesthetic formal language 318 318 lowed by a string of lowercase letters
‘a’, ‘b’, or ‘c’, with or without numerical subscripts, is a formula; 2 if A is
a formula, so is -A; 3 if A and B are formulas, so are A & B, A P B, and A
7 B; 4 if A is a formula and v is a lowercase letter ‘x’, ‘y’, or ‘z’, with or
without numerical subscripts, then DvA' and EvA' are formulas where A' is
obtained by replacing one or more occurrences of some lowercase letter in A
together with its subscripts if any by v; 5 nothing is a formula unless it can
be shown to be one by finitely many applications of the clauses 14. The
definition uses the device of metalinguistic variables: clauses with ‘A’ and
‘B’ are to be regarded as abbreviations of all the clauses that would result by
replacing these letters uniformly by names of expressions. It also uses several
naming conventions: a string of symbols is named by enclosing it within single
quotes and also by replacing each symbol in the string by its name; the symbols
‘7’, ‘‘,’’, ‘&’, ‘P’, ‘-’ are considered names of themselves. The
interpretation of predicate logic is spelled out by a similar inductive
definition of truth in a model. With appropriate conventions and stipulations,
alternative definitions of formulas can be given that make expressions like ‘P
7 Q’ the names of formulas rather than formulas themselves. On this approach,
formulas need not be written symbols at all and form cannot be identified with
shape in any narrow sense. For Tarski, Carnap, and others a formal language
also included rules of “transformation” specifying when one expression can be
regarded as a consequence of others. Today it is more common to view the
language and its consequence relation as distinct. Formal languages are often
contrasted with natural languages, like English or Swahili. Richard Montague,
however, has tried to show that English is itself a formal language, whose
rules of grammar and interpretation are similar to though much more complex than predicate logic. Then there’s formal learnability theory, the
study of human language learning through explicit formal models typically
employing artifical languages and simplified learning strategies. The
fundamental problem is how a learner is able to arrive at a grammar of a
language on the basis of a finite sample of presented sentences and perhaps
other kinds of information as well. The seminal work is by E. Gold 7, who
showed, roughly, that learnability of certain types of grammars from the
Chomsky hierarchy by an unbiased learner required the presentation of
ungrammatical strings, identified as such, along with grammatical strings.
Recent studies have concentrated on other types of grammar e.g., generative
transformational grammars, modes of presentation, and assumptions about
learning strategies in an attempt to approximate the actual situation more
closely. If Strawson and Ryle are into ‘informal logic,’ Hilbert ’t. Formal
logic, versus ‘material logic,’ is the science of correct reasoning, going back
to Aristotle’s Prior Analytics, based upon the premise that the validity of an
argument is a function of its structure or logical form. The modern embodiment
of formal logic is symbolic mathematical logic. This is the study of valid
inference in artificial, precisely formulated languages, the grammatical
structure of whose sentences or well-formed formulas is intended to mirror, or
be a regimentation of, the logical forms of their natural language
counterparts. These formal languages can thus be viewed as mathematical models
of fragments of natural language. Like models generally, these models are
idealizations, typically leaving out of account such phenomena as vagueness,
ambiguity, and tense. But the idea underlying symbolic logic is that to the
extent that they reflect certain structural features of natural language
arguments, the study of valid inference in formal languages can yield insight
into the workings of those arguments. The standard course of study for anyone
interested in symbolic logic begins with the classical propositional calculus
sentential calculus, or PC. Here one constructs a theory of valid inference for
a formal language built up from a stock of propositional variables sentence
letters and an expressively complete set of connectives. In the propositional
calculus, one is therefore concerned with arguments whose validity turns upon
the presence of two-valued truth-functional sentence-forming operators on
sentences such as classical negation, conjunction, disjunction, and the like.
The next step is the predicate calculus lower functional calculus, first-order
logic, elementary quantification theory, the study of valid inference in
first-order languages. These are languages built up from an expressively
complete set of connectives, first-order universal or existential quantifiers,
individual variables, names, predicates relational symbols, and perhaps
function symbols. Further, and more specialized, work in symbolic logic might
involve looking at fragments of the language of the propositional or predicate calculus,
changing the semantics that the language is standardly given e.g., by allowing
truth-value gaps or more than two truth-values, further embellishing the
language e.g., by adding modal or other non-truth-functional connectives, or
higher-order quantifiers, or liberalizing the grammar or syntax of the language
e.g., by permitting infinitely long well-formed formulas. In some of these
cases, of course, symbolic logic remains only marginally connected with natural
language arguments as the interest shades off into one in formal languages for
their own sake, a mark of the most advanced work being done in formal logic
today. Some philosophers (“me
included”Grice) speak of “formal semantics,” as opposed to Austin’s informal
linguistic botanising -- the study of the interpretations of formal languages.
A formal language can be defined apart from any interpretation of it. This is
done by specifying a set of its symbols and a set of formation rules that
determine which strings of symbols are grammatical or well formed. When rules
of inference transformation rules are added and/or certain sentences are
designated as axioms a logical system also known as a logistic system is
formed. An interpretation of a formal language is roughly an assignment of
meanings to its symbols and truth conditions to its sentences. Typically a
distinction is made between a standard interpretation of a formal language and
a non-standard interpretation. Consider a formal language in which arithmetic
is formulable. In addition to the symbols of logic variables, quantifiers,
brackets, and connectives, this language will contain ‘0’, ‘!’, ‘•’, and ‘s’. A
standard interpretation of it assigns the set of natural numbers as the domain
of discourse, zero to ‘0’, addition to ‘!’, multiplication to ‘•’, and the
successor function to ‘s’. Other standard interpretations are isomorphic to the
one just given. In particular, standard interpretations are numeral-complete in
that they correlate the numerals one-to-one with the domain elements. A result
due to Gödel and Rosser is that there are universal quantifications xAx that
are not deducible from the Peano axioms if those axioms are consistent even
though each An is provable. The Peano axioms if consistent are true on each
standard interpretation. Thus each An is true on such an interpretation. Thus
xAx is true on such an interpretation since a standard interpretation is
numeral-complete. However, there are non-standard interpretations that do not
correlate the numerals one-to-one with domain elements. On some of these
interpretations each An is true but xAx is false. In constructing and
interpreting a formal language we use a language already known to us, say,
English. English then becomes our metalanguage, which we use to talk about the
formal language, which is our object language. Theorems proven within the
object language must be distinguished from those proven in the metalanguage.
The latter are metatheorems. One goal of a semantical theory of a formal
language is to characterize the consequence relation as expressed in that
language and prove semantical metatheorems about that relation. A sentence S is
said to be a consequence of a set of sentences K provided S is true on every
interpretation on which each sentence in K is true. This notion has to be kept
distinct from the notion of deduction. The latter concept can be defined only
by reference to a logical system associated with a formal language.
Consequence, however, can be characterized independently of a logical system,
as was just done.
Materialism: one of the twelve labours of
H. P. Grice. d’Holbach, Paul-Henri-Dietrich, Baron, philosopher, a leading
materialist and prolific contributor to the Encyclopedia. He dharma d’Holbach,
Paul-Henri-Dietrich 231 231 was born in
the Rhenish Palatinate, settled in France at an early age, and read law at
Leiden. After inheriting an uncle’s wealth and title, he became a solicitor at
the Paris “Parlement” and a regular host of philosophical dinners attended by
the Encyclopedists and visitors of renown Gibbon, Hume, Smith, Sterne,
Priestley, Beccaria, Franklin. Knowledgeable in chemistry and mineralogy and
fluent in several languages, he tr. G. scientific works and English
anti-Christian pamphlets into . Basically, d’Holbach was a synthetic thinker,
powerful though not original, who systematized and radicalized Diderot’s
naturalism. Also drawing on Hobbes, Spinoza, Locke, Hume, Buffon, Helvétius,
and La Mettrie, his treatises were so irreligious and anticlerical that they
were published abroad anonymously or pseudonymously: Christianity Unveiled
1756, The Sacred Contagion 1768, Critical History of Jesus 1770, The Social
System 1773, and Universal Moral 1776. His masterpiece, the System of Nature
1770, a “Lucretian” compendium of eighteenth-century materialism, even shocked
Voltaire. D’Holbach derived everything from matter and motion, and upheld
universal necessity. The self-sustaining laws of nature are normative. Material
reality is therefore contrasted to metaphysical delusion, self-interest to
alienation, and earthly happiness to otherworldly optimism. More vindictive
than Toland’s, d’Holbach’s unmitigated critique of Christianity anticipated
Feuerbach, Strauss, Marx, and Nietzsche. He discredited supernatural
revelation, theism, deism, and pantheism as mythological, censured Christian
virtues as unnatural, branded piety as fanatical, and stigmatized clerical
ignorance, immorality, and despotism. Assuming that science liberates man from
religious hegemony, he advocated sensory and experimental knowledge. Believing
that society and education form man, he unfolded a mechanistic anthropology, a
eudaimonistic morality, and a secular, utilitarian social and political
program.
maximum: Grice uses ‘maximum’ variously. “Maximally effective
exchange of information.” Maximum is used in decision theory and in value
theory. Cfr. Kasher on maximin. “Maximally effective exchange of information”
(WOW: 28) is the exact phrase Grice uses, allowing it should be generalised. He
repeats the idea in “Epilogue.” Things did not change.
Mcdougall: Irish philosophical
psychologist. He was probably the first to define psychology as the science of
behavior (Physiological Psychology, 1905; Psychology: The Science of Behavior,
1912) and he invented hormic (purposive) psychology. By the early twentieth
century, as psychology strove to become scientific, purpose had become a
suspect concept, but following Stout, McDougall argued that organisms possess
an “intrinsic power of self-determination,” making goal seeking the essential
and defining feature of behavior. In opposition to mechanistic and
intellectualistic psychologies, McDougall, again following Stout, proposed that
innate instincts (later, propensities) directly or indirectly motivate all
behavior (Introduction to Social Psychology, 1908). Unlike more familiar
psychoanalytic instincts, however, many of McDougall’s instincts were social in
nature (e.g. gregariousness, deference). Moreover, McDougall never regarded a
person as merely an assemblage of unconnected and quarreling motives, since
people are “integrated unities” guided by one supreme motive around which
others are organized. McDougall’s stress on behavior’s inherent purposiveness
influenced the behaviorist E. C. Tolman, but was otherwise roundly rejected by
more mechanistic behaviorists and empiricistically inclined sociologists. In
his later years, McDougall moved farther from mainstream thought by championing
Lamarckism and sponsoring research in parapsychology. Active in social causes,
McDougall was an advocate of eugenics (Is America Safe for Democracy?, 1921).
low-subjective contraster: in WoW: 140, Grice distinguishes between a subjective
contraster (such as “The pillar box seems red,” “I see that the pillar box is
red,” “I believe that the pillar box is red” and “I know that the pillar box is
red”) and an objective contraster (“The pillar box is red.”) Within these
subjective contraster, Grice proposes a sub-division between nonfactive
(“low-subjective”) and (“high-subjective”). Low-subjective contrasters are “The
pillar box seems red” and “I believe that the pillar box is red,” which do NOT
entail the corresponding objective contraster. The high-subjective contraster,
being factive or transparent, does. The entailment in the case of the
high-subjective contraster is explained via truth-coniditions: “A sees that the
pillar box is red” and “A knows that the pillar box is red” are analysed ‘iff’
the respective low-subjective contraster obtains (“The pillar box seems red,”
and “A believes that the pillar box is red”), the corresponding objective
contraster also obtains (“The pillar box is red”), and a third condition
specifying the objective contraster being the CAUSE of the low-subjective
contraster. Grice repeats his account of suprasegmental. Whereas in “Further
notes about logic and conversation,” he had focused on the accent on the
high-subjective contraster (“I KNOW”), he now focuses his attention on the
accent on the low subjective contraster. “I BELIEVE that the pillar box is
red.” It is the accented version that gives rise to the implicaturum, generated
by the utterer’s intention that the addressee’s will perceive some restraint or
guardedness on the part of the utterer of ‘going all the way’ to utter a claim
to ‘seeing’ or ‘knowing’, the
high-subjective contraster, but stopping short at the low-subjective
contraster.
martian
conversational implicaturum: “Oh, all the difference in the world!” Grice
converses with a Martian. About Martian x-s that the pillar box is
red. (upper x-ing organ) Martian y-s that the pillar box is red. (lower y-ing
organ). Grice: Is x-ing that the pillar box is red LIKE y-ing that the
pillar-box is red? Martian: Oh, no; there's all the difference in the world!
Analogy x smells sweet. x tastes sweet. Martian x-s the the pillar box is
red-x. Martian y-s that the pillar box is red-y. Martian x-s the pillar box is
medium red. Martian y-s the pillar box is light red.
maximal consistent set, in formal logic,
any set of sentences S that is consistenti.e., no contradiction is provable
from Sand maximally soi.e., if T is consistent and S 0 T, then S % T. It can be
shown that if S is maximally consistent and s is a sentence in the same
language, then either s ors (the negation of s) is in S. Thus, a maximally
consistent set is complete: it settles every question that can be raised in the
language.
maximin strategy, a strategy that
maximizes an agent’s minimum gain, or equivalently, minimizes his maximum loss.
Writers who work in terms of loss thus call such a strategy a minimax strategy.
The term ‘security strategy’, which avoids potential confusions, is now widely
used. For each action, its security level is its payoff under the worst-case
scenario. A security strategy is one with maximal security level. An agent’s
security strategy maximizes his expected utility if and only if (1) he is
certain that “nature” has his worst interests at heart and (2) he is certain
that nature will be certain of his strategy when choosing hers. The first
condition is satisfied in the case of a two-person zero-sum game where the
payoff structure is commonly known. In this situation, “nature” is the other
player, and her gain is equal to the first player’s loss. Obviously, these
conditions do not hold for all decision problems.
Maxwell’s pataphysics -- hammer: Scots
physicist who made pioneering contributions to the theory of electromagnetism,
the kinetic theory of gases, and the theory of color vision. His work on
electromagnetism is summarized in his Treatise on Electricity and Magnetism
(1873). In 1871 he became Cambridge University’s first professor of
experimental physics and founded the Cavendish Laboratory, which he directed
until his death. Maxwell’s most important achievements were his field theory of
electromagnetism and the discovery of the equations that bear his name. The
field theory unified the laws of electricity and magnetism, identified light as
a transverse vibration of the electromagnetic ether, and predicted the
existence of radio waves. The fact that Maxwell’s equations are
Lorentz-invariant and contain the speed of light as a constant played a major
role in the genesis of the special theory of relativity. He arrived at his
theory by searching for a “consistent representation” of the ether, i.e., a
model of its inner workings consistent with the laws of mechanics. His search
for a consistent representation was unsuccessful, but his papers used
mechanical models and analogies to guide his thinking. Like Boltzmann, Maxwell
advocated the heuristic value of model building. Maxwell was also a pioneer in
statistical physics. His derivation of the laws governing the macroscopic
behavior of gases from assumptions about the random collisions of gas molecules
led directly to Boltzmann’s transport equation and the statistical analysis of
irreversibility. To show that the second law of thermodynamics is
probabilistic, Maxwell imagined a “neat-fingered” demon who could cause the
entropy of a gas to decrease by separating the faster-moving gas molecules from
the slower-moving ones.
Marsili: Alessandro Marsili
(Siena), filosofo. Si laureò in filosofia a Siena. Fu nominato “lettore” di
filosofia nello Studio senese. Conobbe Galileo dopo il processo in casa
dell'arcivescovo di Siena Ascanio Piccolomini. Nel 1638 passò alla cattedra di
filosofia nello Studio pisano, dove dal 1662 esercitò la carica di
Provveditore. Fu membro dell'Accademia del Cimento, ma le sue convinzioni
dichiaratamente aristoteliche gli impedirono di coglierne lo spirito
innovatore. Propose un esperimento per capire se lo spazio lasciato libero nel
tubo barometrico durante l'esperienza torricelliana contenesse esalazioni di
mercurio. Museo Galileo, su catalogo.museogalileo.it. Federica Favino,
Alessandro Marsili, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana.
Martelli: Michele Martelli
(San Marco in Lamis), filosofo. Ha insegnato filosofia all'Università degli
Studi di Urbino "Carlo Bo" per quasi quarant'anni. Laureatosi in filosofia, ha partecipato a
lungo alla lotta politica in formazioni marxiste nate a cavallo del Sessantotto.
Diventato docente nell'Urbino negli anni Settanta, ha insegnato, tra l'altro,
Filosofia della storia e Filosofia morale. Ha diretto il master interfacoltà
«Management etico e Governance delle Organizzazioni». Collabora con MicroMega
(periodico). Pensiero Nel passato i suoi
studi si sono concentrati sul pensiero di Nietzsche, Gramsci, e di numerosi
autori del Novecento, affrontando alcune tra le più dibattute vicende e
problematiche filosofico-politiche dell'ultimo secolo. Negli ultimi anni si è
occupato di temi di forte attualità, elaborando l'idea di una filosofia volta
ad una critica radicale del dogmatismo e del fondamentalismo religioso e in
generale di ogni forma di assolutismo che minacci la libertà di pensiero, i
diritti civili, le istituzioni democratiche e la pace tra i popoli. Il suo
attuale impegno di saggista è rivolto in particolare alla difesa della laicità,
contro l'interventismo politico delle gerarchie ecclesiastiche e vaticane. Opere La felicità e i suoi nemici. Apologia
dell'agnosticismo, Manifestolibri, .
978-88-7285-871-4 Il laico impertinente. Laicità e democrazia nella
crisi italiana, Manifestolibri, La Chiesa è compatibile con la Democrazia?,
Manifestolibri, . 88-7285-698-1 Italy,
Vatican State, Fazi editore, . Quando Dio entra in politica, Fazi editore, Senza
dogmi. L'antifilosofia di Papa Ratzinger, Editori riuniti, Teologia del
terrore. Filosofia, religione, politica dopo l'11 settembre, Manifestolibri,
2006 (nuova edizione economica 2008)
88-7285-534-9. Il secolo del male. Riflessioni sul Novecento, Manifestolibri,
Etica e storia. Croce e Gramsci a confronto, La città del sole, I filosofi e
l'Urss. Per una critica del «Socialismo reale», La città del sole, 1999. 88-8292-018-6 Gramsci filosofo della
politica, Unicopli, 1996. 88-400-0418-1
Nietzsche inattuale, Quattroventi, 1989.
88-392-0080-0 Filosofia e società nel giovane Nietzsche, Quattroventi,
1983. Università degli studi di Urbino
"Carlo Bo" Antonio Gramsci Friedrich Nietzsche Laicità Il laico impertinente: il blog di Michele
Martelli, su michelemartelli.blogspot.com.
Martinetti: «Di sé soleva dire di essere un
neoplatonico trasmigrato troppo presto nel nostro secolo» (Cesare
Goretti) Piero Martinetti (Pont Canavese), filosofo. Professore di
filosofia, in particolare filosofia teoretica e morale; si distinse per essere
stato uno dei pochi docenti universitari, nonché l'unico filosofo universitario
italiano, che rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà al Fascismo. Pier Federico Giuseppe Celestino Mario
Martinetti fu il primo dei quattro figli (tre maschi e una femmina, senza
contare una bambina che morì piccolissima) dell'avvocato Francesco Martinetti e
di Rosalia Bertogliatti. Studi Dopo aver frequentato il Liceo classico Carlo
Botta di Ivrea, si iscrisse all'Università degli Studi di Torino, dove ebbe
come insegnanti Giuseppe Allievo, Romualdo Bobba, Pasquale D'Ercole, Giovanni
Flechia e Arturo Graf, laureandosi in filosofia nel 1893 all'età di 21 anni,
con una tesi su Il Sistema Sankhya. Studio sulla filosofia indiana discussa con
Pasquale D'Ercole, docente di filosofia teoretica. La tesi viene pubblicata a
Torino da Lattes nel 1896 e, grazie all'interessamento di Giuseppe Allievo,
risulta vincitrice del Premio Gautieri. Dopo la laurea Martinetti fece un
soggiorno di due semestri presso l'Lipsia, dove poté venire a conoscenza del
fondamentale studio di Richard Garbe sulla filosofia Sāṃkhya da poco
pubblicato. Si può dunque "ipotizzare che tra gli scopi del viaggio vi
fosse anzitutto quello di approfondire gli studi indianistici, iniziati a
Torino con Giovanni Flechia e Pasquale D'Ercole." L'insegnamento
Martinetti insegnò dapprima filosofia nei licei di Avellino, Correggio,
Vigevano, Ivrea, e per finire al Liceo Alfieri di Torino (1904-1905). Nel
1904 pubblicò la monumentale Introduzione alla metafisica. I Teoria della
conoscenza, chedopo che ebbe conseguito nel 1905 la libera docenza in Filosofia
teoretica all'Torinogli valse di vincere il concorso per le cattedre di
filosofia teoretica e morale dell'Accademia scientifico-letteraria di Milano
(che nel 1923 diventò Regia Università degli Studî) nella quale insegnò dal
novembre del 1906 al novembre del 1931. Nel 1915 divenne socio
corrispondente della classe di Scienze morali dell'Istituto lombardo di scienze
e lettere, fondato nel 1797 da Napoleone sul modello dell'Institut de
France. Il rifiuto della politica e la critica della guerra Martinetti fu
una singolare figura di intellettuale indipendente, estraneo alla tradizione
cattolica come ai contrasti politici che viziarono il suo tempo, non aderì né
al Manifesto degli intellettuali fascisti di Gentile né al Manifesto degli
intellettuali antifascisti di Croce. Fu uno dei rari intellettuali che
criticarono la prima guerra mondiale; scrisse infatti che la guerra è
«sovvertitrice degli ordini sociali pratici ed un'inversione di tutti i valori
morali [...] dà un primato effettivo alla casta militare che è sia
intellettualmente sia moralmente l'ultima di tutte subordinando ad essa le
parti migliori della nazione [...] strappa gli uomini ai loro focolari e li
getta in mezzo ad una vita fatta di ozio, di violenze e di dissolutezze.»
Nel 1923, in seguito a quelle che qualificò di "circostanze
pesantissime" (la marcia su Roma e la successiva nomina di Mussolini a
presidente del Consiglio il 31 ottobre 1922), rifiutò la nomina a socio
corrispondente della Reale Accademia Nazionale dei Lincei. La Società di
studi filosofici e religiosi Mentre nelle sue lezioni universitarie sviluppava
un sistema di filosofia della religione, il 15 gennaio 1920 Martinetti inaugurò
a Milano una Società di studi filosofici e religiosi, formata da un gruppo di
amici in "piena e perfetta indipendenza da ogni vincolo dogmatico"
dove si riunirono autorevoli intellettuali del panorama filosofico e
intellettuale italiano dell'epoca e in cui organizzò una serie di conferenze.
Le prime conferenze furono tenute da Antonio Banfi e da Luigi Fossati oltre
che, naturalmente, da Martinetti, le cui tre relazioni, riunite sotto il titolo
comune di Il compito della filosofia nell'ora presente, segneranno la sua
rottura con Giovanni Gentile. In seguito ad una denuncia per «vilipendio della
eucaristia», presentata da un certo Ricci al rettore Luigi Mangiagalli il 2
febbraio 1926, dovette sottoscrivere un memoriale in difesa dei propri corsi
sulla filosofia della religione. Il Congresso Nazionale di Filosofia del
1926 Nel marzo 1926, incaricato dalla "Società Filosofica Italiana",
organizzò e presiedette il "VI Congresso Nazionale di
Filosofia". L'evento fu sospeso dopo solo due giorni dal rettore
Luigi Mangiagalli a causa di agitatori politici fascisti e cattolici. Il
congresso fu poi chiuso d'imperio dal questore: da un lato incise l'opposizione
di P. Agostino Gemelli, fondatore e rettore dell'Università Cattolica, che
faceva parte del Comitato organizzatore (quale rappresentante dell'Università
Cattolica) ma che, per scelta di Martinetti, non era tra i relatori; dall'altro
lato la partecipazione, fortemente voluta da Martinetti, di Ernesto Buonaiuti, scomunicato
"expresse vitandus" dal Sant'Uffizio, dette ai filosofi cattolici
neoscolastici la scusa per ritirarsi dal congresso[25]. Come scrive Pier
Giorgio Zunino: «Le minute cronache del congresso hanno già messo in luce
come Martinetti nell'assolvere al compito di organizzatore dell'incontro,
assunto con una apparente riluttanza, operasse assai poco da ingenuo filosofo
fuori dal mondo. Al contrario, ricorrendo a una certa qual abile ruse egli mise
assieme un programma che costituiva quanto di più ostico potesse risultare ai
palati dei cattolici fascisti sia dei filosofi di regime.» Il 31 marzo
del 1926 Martinetti firma con Cesare Goretti (segretario del Congresso) una
lettera di protesta al rettore Mangiagalli[26]: «Compiamo il dovere d'informarla
che conforme al suo ordine il congresso si è sciolto senza incidenti.
Sciogliendosi ha votato all'unanimità il seguente ordine del giorno di
protesta: Il Congresso della Società filosofica italiana riunito in Milano:
avuta comunicazione che è stato rivolto alla Presidenza un invito superiore
achiudere i lavori del Congresso. Protesta in nome della libertà degli studi e
della tradizione italiana contro un atto di violenza che impedisce l'esercizio
della discussione filosofica ed invano pretende di vincolare la vita del
pensiero.» La Rivista di filosofia A partire dal 1927 Martinetti fu il
direttore della Rivista di filosofia, ma per prudenza il suo nome non vi
comparve mai come tale.[27]. Tra i collaboratori della rivista vi furono: Ennio
Carando, Maria Venturini, Norberto Bobbio, Ludovico Geymonat, Luigi Fossati
(che ufficialmente ne era il direttore responsabile), Gioele Solari, Alessandro
Levi, Giulio Grasselli, Cesare Goretti[28]. Il rifiuto del giuramento di
fedeltà al Fascismo Nel dicembre 1931, quando il ministro dell'educazione
nazionale Balbino Giuliano impose ai professori universitari il Giuramento di
fedeltà al Fascismo, Martinetti fu uno dei pochi a rifiutare fin dal primo
momento[29]: La lettera di rifiuto del giuramento 13 dicembre 1931
Eccellenza! Ieri sono stato chiamato dal Rettore di questa Università che
mi ha comunicato le Sue cortesi parole, e vi ha aggiunto, con squisita
gentilezza, le considerazioni più persuasive. Sono addolorato di non poter
rispondere con un atto di obbedienza. Per prestare il giuramento richiesto
dovrei tenere in nessun conto o la lealtà del giuramento o le mie convinzioni
morali più profonde: due cose per me egualmente sacre. Ho prestato il
giuramento richiesto quattro anni or sono, perché esso vincolava solo la mia
condotta di funzionario: non posso prestare quello che oggi mi si chiede,
perché esso vincolerebbe e lederebbe la mia coscienza. Ho sempre diretta
la mia attività filosofica secondo le esigenze della mia coscienza, e non ho
mai preso in considerazione, neppure per un momento, la possibilità di
subordinare queste esigenze a direttive di qualsivoglia altro genere. Così ho
sempre insegnato che la sola luce, la sola direzione ed anche il solo conforto
che l'uomo può avere nella vita è la propria coscienza; e che il subordinarla a
qualsiasi altra considerazione, per quanto elevata essa sia, è un sacrilegio.
Ora col giuramento che mi è richiesto io verrei a smentire queste mie
convinzioni ed a smentire con esse tutta la mia vita; l'E.V. riconoscerà che
questo non è possibile. Con questo non intendo affatto declinare
qualunque eventuale conseguenza della mia decisione: soltanto sono lieto che
l'E.V. mi abbia dato la possibilità di mettere in chiaro che essa procede non
da una disposizione ribelle e proterva, ma dalla impossibilità morale di andare
contro ai principî che hanno retto tutta la mia vita. Dell'E.V.
dev.mo Dr. Piero Martinetti In una lettera a Guido Cagnola del 21
dicembre 1931[30] Martinetti scrive: «Ella ora saprà che io sono uno
degli undici (su 1225 professori universitari! ne arrossisco ancora) che hanno
rifiutato il giuramento di fedeltà fascista e che perciò sono stati o saranno
fra breve espulsi dall'università. Mi consolo d'essere in buona compagnia:
Ruffini, Carrara, De Sanctis (lo storico), Levi Della Vida (l'orientalista),
Volterra (il matematico), Buonaiuti e qualche altro. Mi rincresce non tanto la
cosa, quanto il modo: e mi rincresce che si sia fatto e si faccia rumore
intorno al mio nome. Ma come fare? Giurare per me era tanto impossibile quanto
una impossibilità fisica: sarei morto d'avvilimento.» E in un'altra
lettera ad Adelchi Baratono del 27 dicembre 1931[31]: «Io non ho voluto
giurare (e così credo molti degli undici) per un motivo religioso, per non
subordinare le cose di Dio alle cose della terra: dove sta per andare il
rispetto della coscienza? Ciò è triste e annuncia oscuramente un avvenire
triste per tutti, anche per i persecutori.» Come scrive al proposito
Fabio Minazzi[32]: «Martinetti ha infine opposto un netto rifiuto a
sottostare al giuramento preteso e voluto dalla dittatura fascista, nel 1931,
da tutti i docenti universitari italiani. Giustamente occorre sempre sottrarre,
criticamente, questo straordinario gesto martinettiano, invero assai
emblematico, da ogni ottundente e vacua retorica antifascista, onde
comprenderlo in tutta la sua genesi specifica. Nel caso di Martinetti non può
allora essere certamente negato, in sintonia con Franco Alessio, il carattere
dichiaratamente religioso di questa sua scelta che, non per nulla, lo ha infine
indotto ad essere l'unico filosofo italiano universitario che ha avuto
l'incredibile capacità critica di sottrarsi nettamente e senza compromessi
all'imposizione del regime fascista. In questa prospettiva Martinetti non ha
giurato proprio perché nutriva una particolare percezione critica dello stesso
"giuramento" in connessione con i suoi più profondi convincimenti
morali che avevano peraltro guidato tutta la sua attività di docente e di
filosofo. Tuttavia, nel riconoscere questa precisa matrice religiosa della sua
scelta, non deve essere neppure negato il suo specifico valore e il suo preciso
significato civile, culturale e anche filosofico.» Scrive in proposito
Amedeo Vigorelli[33]: «Una certaretorica resistenziale si è impadronita anche
di Martinetti, impedendo un approfondimento più serio e radicale dei tratti
originali del suo antifascismo […] L'atto di Martinetti non era cioè solo un
monito contro l'oppressione totalitaria e antidemocratica, ma contro ogni forma
di politica compromissoria e concordataria, contro l'ambiguo connubio fra
religione e politica, sintomo di una profonda immaturità religiosa e premessa
di forme più o meno larvate di condizionamento della libertà di coscienza, non
sempre si ama ricordare che l'avversione di Martinetti al fascismo era innanzi
tutto avversione a ogni forma di retorica nazionalistica, ma anche
all'esaltazione demagogica delle masse popolari. Prima che della dittatura
fascista, Martinetti fu critico altrettanto risoluto del socialismo marxista e
della democrazia, di cui colse gli aspetti degenerativi dell'affarismo e
dell'ultraparlamentarismo» Il ritiro In seguito a questo suo rifiuto,
Martinetti venne messo in pensione d'autorità[34], e dal 1932 fino alla morte
si dedicò unicamente agli studi personali di filosofia[35], ritirandosi nella
villa di Spineto, frazione di Castellamonte, vicino al suo paese di
nascita.[36] In questo lasso di tempo tradusse i suoi classici preferiti (Kant,
Schopenhauer), studiò approfonditamente Spinoza e ultimò la trilogia (iniziata
con la Introduzione alla metafisica e continuata nel 1928 con La libertà)
scrivendo Gesù Cristo e il Cristianesimo (1934); Il Vangelo è del 1936; Ragione
e fede venne completato nel 1942. Martinetti propose come suoi successori
Adelchi Baratono per l'insegnamento della filosofia e Antonio Banfi per
l'insegnamento della Storia della Filosofia all'Università degli Studi di
Milano[37]. L'antifascismo di Martinetti Lontano da ogni forma di impegno
politico e critico severo sia nei confronti del socialismo marxista che delle
degenerazioni del parlamentarismo, Martinetti, a partire dal 1925, prese ad
annotare minuziosamente sul suo diario gli episodi di corruzione e di violenza
in cui erano coinvolti esponenti fascisti. così ad esempio il 28 marzo 1928, a
fronte di una serie di scandali annotava "è dunque l'associaz[ione] dei
malviventi d'Italia!"[38] . Nel 1934 scriveva: "Come persuadersi che
uno stato senza leggi, senza traccia di onestà pubblica, sostenuto soltanto dal
terrore che desta nel popolo inerme un'organizzazione di ribaldi messa al
servizio del despota, odiata da tutte le rette coscienze, disprezzata dagli
intelligenti possa resistere, senza condurre il popolo che lo soffre
all'estrema rovina?"[39]. Martinetti si scagliava nei suoi appunti contro
il dispotismo che accomunava socialismo marxista e fascismo: "Tutto deve
servire alla propaganda e alla educazione di stato. Non vi è più libertà di
pensiero, non vi è più pensiero" (1937)[40]. A questo proposito
Amedeo Vigorelli evidenzia[41] «il valore pedagogico, di educazione alla
libertà, che l'esempio morale di Martinetti ebbe per quella generazione di
intellettuali antifacisti, che trovò negli anni Trenta un decisivo punto di
riferimento nella “Rivista di filosofia”, da lui informalmente diretta»
L'arresto e il carcere Martinetti fu arrestato in casa di Gioele Solari,
dov'era ospite, in seguito a una delazione fatta da Pitigrilli (Dino Segre),
agente dell'OVRA (delazione che porterà all'arresto e alla condanna al confino
di Franco Antonicelli, Giulio Einaudi, Vittorio Foa, Michele Giua, Carlo Levi,
Massimo Mila, Augusto Monti, Cesare Pavese, Carlo Zini e di due studenti,
Vindice Cavallera e Alfredo Perelli, e all'ammonizione di Norberto Bobbio), e
dal 15 al 20 maggio 1935 fu incarcerato a Torino[42] per sospetta connivenza
con gli attivisti antifascisti di Giustizia e Libertà, benché fosse del tutto
estraneo alla congiura antifascista degli intellettuali che facevano
riferimento alla casa editrice Einaudi.[43] Al momento dell'arresto, a detta
della signora Solari, Martinetti disse una frase che aveva già sentito
pronunciargli più volte: "Io sono un cittadino europeo, nato per
combinazione in Italia".[44]. La morte Il suo declino fisico
cominciò nel settembre 1941, in seguito a una trombosi che menomò le sue
capacità mentali, consecutiva ad una caduta accidentale da un pero nella tenuta
di Spineto[45]. Alla fine del 1942 subì una prima operazione alla prostata.
"L'11 gennaio 1943 la sorella Teresa scriveva a Cagnola: "Il Professore
è da oltre un mese degente in quest'ospedale, ove venne d'urgenza trasportato
ed operato in seguito ad intossicamento urico grave. L'intervento chirurgico
avviene in questo caso in due tempi: operazione preliminare alla vescica, per
ovviare immediatamente alla causa diretta dell'intossicamento, e susseguente
operazione alla prostata che ne è la causa originale. La prima operazione già
venne effettuata e con buon esito, e l'operatore non attende che il tempo
opportuno per procedere alla seconda."[46]. Martinetti fu ricoverato
all'ospedale Molinette di Torino, sfollato a Cuorgnè, dove morì il 23 marzo
1943, dopo aver disposto che nessun prete intervenisse con alcun segno sul suo
corpo.[47] Il funerale e la cremazione Nonostante "l'invito del
parroco di Spineto di non dare onore alla salma dell'eretico, ateo e scandaloso
anche nella morte perché aveva disposto di essere cremato"[48], una decina
di persone seguirono l'autofurgone che portò il corpo di Martinetti alla
stazione, da dove partì in treno per Torino, per la cremazione[49].
L'eredità intellettuale In prossimità della morte Martinetti lascia la sua
biblioteca privata in legato a Nina Ruffini (nipote di Francesco Ruffini),
Gioele Solari e Cesare Goretti[50] . La Biblioteca verrà poi conferita dai
rispettivi eredi nel 1955 alla "Fondazione Piero Martinetti per gli studi
di storia filosofica e religiosa" di Torino; oggi è posta nel palazzo del
Rettorato dell'Torino, presso la Biblioteca della Facoltà di Lettere e
Filosofia.[51] La sua casa di Spineto è attualmente sede della
"Fondazione Casa e Archivio Piero Martinetti", che intende promuovere
la diffusione del suo pensiero e della sua opera a livello
internazionale. Filosofia La filosofia di Martinetti è un'interpretazione
originale dell'idealismo post-kantiano, nella linea dell'idealismo
razionalistico trascendente che va da Platone a Kant, nel senso di un dualismo
panteista trascendente, un'interpretazione che lo avvicina a quel post-kantiano
atipico che fu Africano Spir (1837-1890), il quale (ancor più di Kant, Schopenhauer
o Spinoza) fu il filosofo preferito di Martinetti, quello a cui fu più
particolarmente legato, sulquale scrisse molti studi e un denso saggio
monografico steso verso il 1908-1912 (rimasto inedito e pubblicato postumo nel
1990) e al quale fece consacrare il terzo numero del 1937 della Rivista di
filosofia[52], filosofo che fu come lui profondamente inattuale.[53].
Come scrive Emilio Agazzi: «Il Martinetti professò una altissima stima
per l'opera di questo solitario filosofo, tanto da considerarla
"immortale": in essa infatti vedeva un tentativo d'un rinnovamento
speculativo-religioso di tutta la filosofia.[54]» Scrive al proposito
Franco Alessio[55]: «Il carattere speculativo dell'interpretazione di P.
Martinetti dipese da particolarissime circostanze. La speculazione di A. Spir
esercitò sul pensiero suo un influsso profondo sin dagli inizi; e anche nella
costruzione dell'idealismo trascendente di P. Martinetti la speculazione di A.
Spir rivestì un peso pressoché decisivo. Oltre che in Kant, in Schopenhauer e
in Spinoza, le radici e la linfa dell'idealismo di P. Martinetti si trovano
nella speculazione di A. Spir. In nessun altro pensatore A. Spir occupò tanto
spazio ed ebbe un pari rilievo. D'altra parte, senza perdere la configurazione
sua propria, il pensiero di Spir viene trasposto da Martinetti entro la sua
propria filosofia, riferito in modo diretto al suo proprio pensiero, così
intimamente consonante con quello di Spir e cresciuto, per così dire, anche su
di esso. Proprio questo condusse P. Martinetti a penetrare e nell'atto stesso a
svolgere in armonia con il proprio il pensiero di A. Spir e questo si trova
come penetrato e attraversato da quello di P. Martinetti. In nessun altro
pensatore A. Spir fu tanto intimamente valorizzato e, in qualche misura,
continuato in ciò che della sua speculazione parve propriamente
essenziale.[56]» Come scrive Amedeo Vigorelli[57]: «La lettura di
Martinetti insiste sul nucleo metafisico del suo [di Spir] pensiero, che gli
pare incarnare "la forma pura della visione religiosa".
L'affermazione fondamentale, in cui per Martinetti si riassume tutta la
filosofia dello Spir, è quella della dualità fondamentale tra il vero
esserel'Unità incondizionata, assoluta e trascendente in cui si esprime il
divinoe l'essere apparente e molteplice rivelato dal mondo dell'esperienza.
L'approccio alla rivelazione di tale realtà dualista mediante la teoria della
conoscenza (l'idealismo gnoseologico di Spir) non è che premessa e introduzione
all'autentico nucleo metafisico della sua filosofia, consistente in una forma
di dualismo acosmista. Il dualismo di realtà e apparenza è in effetti esso
stesso apparente: "non è fra due effettive realtà, ma fra un'unica realtà
assoluta e l'irrealtà in cui il mondo sprofonda."» Si può così dire
che in Martinetti[58]: «il motivo desunto probabilmente da Spir, il contrasto
tra "anormale" (il mondo dell'esperienza empirico e molteplice) e
"norma" (il principio d'identità, rivelazione incoativa del divino in
noi) si spoglia qui dell'originario aspetto dualista per confluire in una
visione coerentemente monista dell'esperienza di coscienza. Monismo
coscienzialista, quello martinettiano, che non sfocia però in una forma di
panteismo, in quanto il termine finale di questa unificazione formale rimane trascendente.
L'unica realtà metafisica assolutasi afferma in conclusioneè l'"Unità
formale assoluta", che trascende l'intero processo dell'esperienza, che di
tale unità è solo un'espressione simbolica.» Della filosofia di Spir,
Martinetti mantenne sostanzialmente inalterata la morale, di derivazione
kantiana, aveva d'altronde dichiarato che dopo Kant "nessun filosofo serio
può non essere in Etica "kantiano". Secondo Augusto Del Noce:
"L'intero percorso del pensiero martinettiano parte dal suo anticlericalismo"
[59], e aggiunge: "la natura del suo anticlericalismo lo portava a
detestare la Massoneria. Ripetutamente mi disse di non essere mai stato
massone, di essere anzi assolutamente contrario a questa Chiesa cattolica di
segno rovesciato." Questo suo anticlericalismo l'ha, sempre secondo Del
Noce, portato ad un antimarxismo, il marxismo essendo "secondo i termini
in cui egli si sarebbe espresso, la massima secolarizzazione concepibile della
religione"[60]. E Del Noce conclude: "Ora a mio giudizio il pensiero
di Martinetti si situa appunto come momento conclusivo del pessimismo religioso
e come la sua posizione più coerente e rigorosa [61]. La riflessione
religiosa L'antologia Il Vangeloscrive Martinetti«lasciando da parte l'elemento
leggendario e dogmatico, cerca di disporre il materiale evangelico nell'ordine
logicamente più appropriato. Tutto quello che i vangeli contengono di
essenziale per la nostra coscienza religiosa è stato qui conservato.» Il
risultato di questo ordinamento logico è l'espunzionein quanto elaborazione
teologica successiva ai lòghia di Gesù o ancora propria all'ebraismo da cui
Gesù stesso non è immunedel Vangelo di Giovanni, degli Atti degli Apostoli,
delle Lettere (anche le Lettere di Paolo) e dell'Apocalisse. Gesù di Nazaret, e
non di Betlemme, è un profeta ebraico, l'ultimo e il più grande dei profeti.
Non quindi Figlio di Dio, nemmeno resuscitato dalla morte, né apparso realmente
ai suoi, Gesù in quanto Messia annuncia un regno messianico a cui succederebbe
escatologicamente il regno dei cieli, quello di Dio. Tuttavia non chiarendo
tale avvento escatologico, di fatto Gesù è soprattutto un maestro di dottrina
morale che esorta a rinunciare al mondo per unirsi spiritualmente e
interiormente a Dio, il bene supremo, amando il prossimo. Per Martinetti
bisogna aspirare ad una "Chiesa invisibile", in cui si possano
compendiare i valori moralmente più elevati di tutte le culture religiose,
dando vita così ad una società universale fraternamenteunita, egli
scrive: «In tutti i tempi, ma specialmente nelle età come la nostra, la
vera Chiesa non risiede in alcuna delle chiese visibili che ci offrono il
triste spettacolo dei loro dissensi, ma nell'unione invisibile di tutte le
anime sincere che si sono purificate dall'egoismo naturale e nel culto della
carità e della giustizia hanno avuto la rivelazione della verità e la promessa
della vita eterna.[62]» Gesù Cristo e il Cristianesimo fu messo sotto
sequestro dalla Prefettura non appena stampato (1934)[63], come Martinetti
scrive a Guido Cagnola: «Il mio libro venne terminato di stampare il 2
agosto e in tale giorno furono mandati i 3 es.[emplari] al Prefetto. Il 3 di
mattina venne il permesso; alle 17 dello stesso giorno esso era ritirato. Per
quali influenze? Io non lo so. Così il libro stette due mesi in sospeso: il 10
ottobre giunse (da Roma) il decreto definitivo di sequestro.» Con decreto
del 3 dicembre 1937 Gesù Cristo e il Cristianesimo, Il Vangelo e Ragione e fede
furono messi all'Indice dei libri proibiti della Chiesa cattolica[64]. La
rinascita del pensiero filosofico-religioso martinettiano scaturisce alla fine
degli anni novanta del secolo scorso in virtù della rinnovata proposta
ermeneutica del filosofo Alessandro Di Chiara che cura l'inedito L'Amore, Il
Vangelo (Genova 1998) e Pietà verso gli animali (Genova 1999); in particolare
l'interpretazione elaborata da Di Chiara mette in luce gli aspetti gnostici
della filosofia della religione martinettiana per poi proporne una rilettura in
chiave kantiana anche attraverso un confronto con alcune sette separatiste
vicine alla tradizione spirituale dei quaccheri. La nonviolenza Nel 1938
Aldo Capitini rese visita a Martinetti, che a proposito della nonviolenza gli
disse: "Forse se discutessi con lei mi convincerei, ma ora come ora le
assicuro che se mi fosse detto che con l'uccisione di diecimila persone si
estirperebbe il male che c'è in Europa, firmerei la sentenza senza
esitazione." [65]. La riflessione sugli animali Negli scritti La
psiche degli animali e Pietà verso gli animali, Martinetti sostiene che gli
animali, così come gli esseri umani, possiedono intelletto e coscienza, quindi
l'etica non deve limitarsi alla regolazione dei rapporti infraumani, ma deve
estendersi a ricercare il benessere e la felicità anche per tutte quelle forme di
vita senzienti (cioè provviste di un sistema nervoso) che come l'uomo sono in
grado di provare gioia e dolore: «Nella relazione sulla psiche degli
animali Martinetti tra l'altro affronta il problema dello scandalo morale
suscitato dall'indifferenza delle grandi religioni positive occidentali di
fronte all'inaudita sofferenza degli animali provocata dagli uomini: gli
animali hanno una forma dell'intelligenza e della ragione, sono esseri affini a
noi, possiamo leggere nei loro occhi l'unità profonda che ad essi ci
lega.[66]» Martinetti cita le prove di intelligenza che sanno dare
animali come cani e cavalli, ma anche la stupefacente capacità organizzativa
delle formiche e di altri piccoli insetti, che l'uomo ha il dovere di
rispettare, prestando attenzione a non distruggere ciò che la natura
costruisce. Nel proprio testamento Martinetti dispose che una somma
significativa fosse versata alla Società Protettrice degli Animali; egli
personalmente nutriva per gli animali una profonda pietà e tale sentimento lo aveva
persuaso a darsi al vegetarismo, una scelta che assumeva per lui quasi il
carattere di un valore religioso. Scrive al proposito Amedeo
Vigorelli: «La scelta del vegetarianesimo non era "generica
simpatia, e neppure un ideale politico, bensì meditato atteggiamento
filosofico", da porsi in relazione sia con la sua profonda conoscenza
della filosofia indiana sia con convinzioni radicate in una personale
metafisica, sulla "unicità" della sostanza vivente e sul destino di
"perennità" dello spirito.[67]» La scelta della cremazione
Martinetti fu un fautore della cremazione[68] e una testimonianza "ci dice
come Martinetti portasse sempre con sé, in una busta, le ceneri di sua
madre."[69] Secondo Paviolo, "Per i Martinetti la cremazione era una
specie di tradizione familiare e la cosa appare strana in quei tempi nei quali,
specie nei piccoli centri era pressoché ignota a tutti, e oggetto di scandalo
per il gran rumore che, in questi casi, ne facevano i parroci."[70] Non è
però da escludere, nel caso preciso di Piero Martinetti, che questa scelta,
come quella del vegetarianesimo, avesse anche una relazione con il suo
interesse per la filosofia indiana, e dunque un valore filosofico e religioso.
I suoi resti sono tumulati nel cimitero di Castellamonte in provincia di
Torino. Opere Una " martinettiana" C. Ferronato si trova
nel fascicolo speciale della Rivista di Filosofia Pietro Rossi: Piero
Martinetti nel cinquantenario della morte, Dopo questa data, di Martinetti sono
stati pubblicati: Ragione e fede, Italo Sciuto, Gallone, Milano, 1997;
Luca Natali, Morcelliana, Brescia, . Il Vangelo, Alessandro Di Chiara, il nuovo
melangolo, Genova, 1998. L'amore, Alessandro Di Chiara, Il nuovo melangolo,
Genova, 1998. Pietà verso gli animali, Alessandro Di Chiara, Il nuovo melangolo,
Genova, 1999. La religione di Spinoza. Quattro saggi, Amedeo Vigorelli, Ghibli,
Milano, 2002. La Libertà, Aragno, Torino, 2004. Schopenhauer, Mirko Fontemaggi,
Il nuovo Melangolo, Genova, 2005. Breviario spirituale, Anacleto Verrecchia,
UTET, Torino, 2006. L'educazione della volontà, Domenico Dario Curtotti,
Edizioni clandestine, Marina di Massa, 2006 Sulla teoria della conoscenza in
Kant, Luca Natali, Franco Angeli, Milano, 2008 Pier Giorgio Zunino , Piero
Martinetti, Lettere (1919-1942), Firenze, Olschki, ,Gesù Cristo e il
Cristianesimo, prefazione di Massimo Cacciari, Castelvecchi, Roma, ; edizione
critica Luca Natali, introduzione di Giovanni Filoramo, Morcelliana, Brescia, ,
Il Vangelo: un'interpretazione, Castelvecchi, Roma, Baruch Spinoza, Etica, esposizione e commento
di Piero Martinetti, Castelvecchi, Roma, . Il numero, introduzione di Niccolò
Argentieri, Castelvecchi, Roma, Luca
Natali , Le carte di Piero Martinetti, Firenze, Olschki, , Scritti su Spinoza,
Francesco Saverio Festa, Castelvecchi, Roma, . Riconoscimenti Nella seduta del
Senato Accademico dell’Università degli Studi di Milano del 19 settembre , è
stata approvata ufficialmente la decisione del Dipartimento di Filosofia di
intitolarsi alla figura di Piero Martinetti[72]. La città di Roma gli ha
intitolato una piazza il 27 gennaio , nel Giorno della Memoria[73]. A Milano
Piero Martinetti figura "tra i nuovi Giusti che saranno onorati al Monte
Stella dal " nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo. Cesare Goretti,
"Piero Martinetti", Archivio della Cultura Italiana 1943, f.
I81. Simonetta Fiori, I professori che
dissero "NO" al Duce, in La Repubblica, 16 aprile 2000. 18 febbraio
. «Ebbe molta influenza sulla scelta che
Martinetti fece di iscriversi alla facoltà di Filosofia, fu suo professore, ma
non un Maestro. [...] Scrisse di lui Martinetti: "Era un uomo; quando
andai a visitarlo l'ultima volta, pochi giorni prima della sua morte, mi disse
di avere un'unica certezza, che dopo questa vita non c'è nulla. Le mie idee
erano assolutamente opposte alle sue, su questo come su tutti gli altri punti.
Ma non potei non ammirare la fermezza delle sue convinzioni"»: Paviolo. «che morì proprio durante l'iter scolastico
di Martinetti ma che ebbe con lui, forse per la comune origine canavesana, un
particolare rapporto»: Paviolo 200320.
«Di una reale affinità tra Martinetti e i suoi maestri torinesi si può
parlare forse solo in un caso: quello di Arturo Graf, del cui dualismo e
pessimismo si può trovare qualche traccia nel pensiero del Nostro e alla cui
poesia, piena di dolente (e a tratti cupa) riflessività filosofica, Martinetti
tornerà anche negli anni maturi, come a una sorgente di ispirazione e conforto
spirituale. Più documentata è l'influenza sul giovane Martinetti di un'altra
singolare figura di poeta-filosofo: quel Pietro Ceretti da Intra (noto anche
con lo pseudonimo poetico di Alessandro Goreni e con quello di Theophilo
Eleuthero), alla cui postuma riscoperta si adoperarono intensamente Pasquale
D'Ercole e Vittore Alemanni, nell'ultimo decennio del secolo scorso e ai primi
del nostro»: Vigorelli 1998, 46-47. «Nel breve verbale relativo all'esame di
laurea (qui il laureando è indicato come Pietro Martinetti) si dice
semplicemente che "il Candidato ha sostenuto durante quaranta minuti innanzi
alla commissione la disputa prescritta, sopra la dissertazione da lui
presentata e sopra le tesi annesse alla medesima; e ha sostenuto anche la prova
pratica assegnatagli dalla Commissione"»: Paviolo 200320. La tesi ottenne la votazione di 99/110: «Il
lavoro di tesi non ebbe, come noto, il riconoscimento che meritavaanche a
motivo di certe resistenze accademiche nel settore filologico della Torinoe
forse per questo il giovane studioso sentì il bisogno di attingere direttamente
alle fonti dell'erudizione tedesca, fuori dal chiuso ambiente provinciale. Del
resto l'intento di Martinetti era più filosofico che filologico, e la prima
suggestione a interessarsi del Samkhya poté venirgli, piuttosto che dalle
lezioni di Flechia, dalla conversazione con Pasquale D'Ercole, docente di
Filosofia teoretica [...] Proprio del Samkhya D'Ercole si era interessato
alcuni anni primi in una breve Memoria uscita sulla Rivista Italiana di
Filosofia diretta da Luigi Ferri»: Vigorelli 1998, 42-44.
Dell'interesse costante di Martinetti per la filosofia indiana
testimonia il corso di lezioni tenuto a Milano nel 1920, pubblicato a Milano
nel 1981 da Celuc libri: Piero Martinetti, La sapienza indiana. Corredata da
un'antologia di testi Indù e Buddhisti.
"Ma è antefatto significativo, giacché lascia intravedere ancora
una volta, questa volta sotto il rispetto particolare dei primi contatti di
Martinetti coi testi di A. Spir, l'importanza della permanenza a Lipsia
(1894-1895) nella formazione filosofica di Martinetti. Nella Lipsia conosciuta
da Martinetti sopravviveva Drobitsch, l'antico maestro herbartiano di Spir e
dalla Lipsia di Martinetti si diffondevano le edizioni di A. Spir entro il moto
allora nascente in Germania dell'interesse per la filosofia sua." Franco
Alessio, introduzione a Piero Martinetti, Il pensiero di Africano Spir, Torino,
Albert Meynier, 1990IV-V. Richard Garbe,
Die Samkhya-Philosophie, eine Darstellung des indischen Rationalismus nach der
Quellen, Leipzig, H. Haessel, 1894.
Vigorelli 199832, nota 4. Anno
che fu per lui particolarmente duro, vedi: Piero Martinetti, "Lettere ai
famigliari dalla Siberia dell'Italia meridionale", Fabio Minazzi, Il
Protagora, gennaio-giugno, Lettere
, 18-19, nota 37. «Prima che della dittatura fascista,
Martinetti fu critico altrettanto risoluto del socialismo marxista e della
democrazia, di cui colse gli aspetti degenerativi dell'affarismo e
dell'ultraparlamentarismo»: Vigorelli 1998292.
"non si vede in chi e in che cosa un uomo come Martinettiche, per
sua scelta culturale ma anche per disposizione personale, agiva in modo
disgiunto da ogni partito, movimento, gruppoavrebbe pouto trovare un legame per
immettersi in un flusso di attivo antifascismo." Pier Giorgio Zunino,
"Tra dittatura e inquisizione. Piero Martinetti negli anni del
Fascismo", in: Piero Martinetti, Lettere, Firenze, XIX. Vigorelli 1998167. «Ringrazio la S.V. Ill.ma della cortese
partecipazione e la prego di esprimere la mia profonda gratitudine ai membri di
codesta R. Accademia che hanno voluto conferirmi un sì ambito onore. Ma
circostanze pesantissime, sulle quali non è il caso di [parola illeggibile] mi
vietano nel modo più reciso di poterlo accettare»: Lettera n. 18, Piero
Martinetti a Vittorio Scialoja, presidente della Reale Accademia Nazionale dei
Lincei, 26 agosto 1923, in: Lettere ,
19. Vigorelli Vigorelli, Lettera
n. 47, Piero Martinetti a Luigi Mangiagalli, 21 marzo 1926, in: Lettere ,
51-53. «Il Congressonon ha altro fine
che di essere una manifestazione della filosofia italiana in quanto libera e
appartata da ogni contingenza del momento: come deve essere in qualunque tempo
la filosofia»: Lettera n. 37, Piero Martinetti a Tommaso Gallarati Scotti,
14 dicembre 1925, in: Lettere , p.42.
Che accusò Martinetti,ricambiato, di disonestà intellettuale nel
riguardo della filosofia scolastica, cf. Helmut Goetz, Il giuramento rifiutato.
I docenti universitari e il regime fascista, Firenze, 2000192. Per Martinetti «Padre Gemelli è tutto fuorché
un filosofo»: Lettera n. 31, Piero Martinetti a Bernardino Varisco, 29
settembre 1925, in: Lettere 33. Helmut
Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista,
Firenze, 2000, 3.4 Il congresso di filosofia del 1926, 245-263.
«Tutto l'affare è una montatura (come del resto anche il ritiro dei
cattolici dal Congresso), la quale ha la sua origine nel fatto che io non ho
permesso al P. Gemelli di spadroneggiare nel Congresso e di prepararvi qualcuna
delle sue rappresentazioni ciarlatanesche»: Lettera n. 46, Piero Martinetti a
Bernardino Varisco, 15 marzo 1926, in:Lettere , 49-50. Lettera n. 50, Piero Martinetti e Cesare
Goretti a Luigi Mangiagalli, 31 marzo 1926, in: Lettere , p.55. «Quando Martinetti, con il rifiuto del
giuramento di fedeltà al fascismo, abbandonò l'insegnamento non rinunciò a
quegli incarichi o a quelle adesioni che non erano a tale giuramento connesse:
guardò di non compromettere quella sua creatura che era diventata La Rivista di
Filosofia e non ne volle la direzione "effettiva", ma continuò
l'intensa e puntuale collaborazione redazionale sino a che le sue condizioni di
salute glielo permisero»: Vigorelli 199839.
Vigorelli 1998, 299-318. Lettera n. 104, Piero Martinetti a Balbino
Giuliano, 13 dicembre 1931, in: Lettere , 101-103. Lettera n. 106, Piero Martinetti a Guido
Cagnola, 21 dicembre 1931, in: Lettere , 105-107. Lettera n. 108, Piero Martinetti a Adelchi
Baratono, 21 dicembre 1931, in: Lettere , 107-108. Presentazione a: Davide Assael, Alle origini
della Scuola di Milano: Martinetti, Barié, Banfi, Milano, 200918. Vigorelli «Ella già saprà certamente che io,
in seguito all'affare del negato giuramento, sono stato collocato a riposo. Non
appartengo quindi più all'Milano e non posso più esserle utile che
indirettamente»: Lettera n. 116, Piero Martinetti a Carlo Emilio Gadda, 17
marzo 1932, in: Lettere 114. «del resto
io sono perfettamente sereno come chi ha fatto ciò che doveva fare: e non mi
sarà discaro poter d'ora innanzi applicare tutto il mio tempo ai miei studi,
cioè agli studi veramente miei, fatti per mè, per la mia personalità e la mia
vita»: Lettera n. 110, Piero Martinetti a Vittorio Enzo Alfieri, 4 gennaio
1932, in: Lettere , p.109. Sulla cui
porta fece mettere un'indicazione che diceva: "Piero Martinettiagricoltore":
Paviolo 200368. «Perciò appunto non ho
dimenticato i tuoi interessi e sarei lieto che fossi tu a succedermi. In questo
senso ho scritto, "richiesto da Castiglioni stesso", che ora è
preside, a Castiglioni. Ho consigliato lui e con lui la facoltà ad accaparrarsi
te per la F.[ilosofia] e Banfi per la St.[oria] d.[ella] F.[ilosofia]»: Lettera
n. 108, Piero Martinetti a Adelchi Baratono, 21 dicembre 1931, in: Lettere ,
107-108. Vigorelli 1998293. Vigorelli 1998296. Vigorelli 1998297-298. Vigorelli 1998299. "Nel registro di entrata delle Carceri
Nuove di Torino egli è l'unico che nella scheda personale si faccia registrare,
nell'apposita voce, come "ateo", mentre tutti gli altri non di
religione israelitica (ossia Bobbio, Einaudi, Pavese, Antonicelli, Salvatorelli
e così via) si dichiarano "cattolici"alcune schede, peraltro, tra cui
quella di Mila, sono andate perse (il registro è conservato all'Archivio di
Stato di Torino, sezioni riunite, Casa circondariale di Torino, Registro
matricole 1935, n. 1559)", in: Lettere.
"Martinetti [...] veniva rinchiuso in una cella sulla cui porta
veniva apposto il cartellino "Politico: sorveglianza particolare". Il
giorno successivo cominciavano gli interrogatori che si ripetevano finché dopo
alcuni giorni d'arresto il Martinetti veniva finalmente scarcerato.",
Michelangelo Giorda, Piero Martinetti, Castellamonte, 199314. Paviolo 200362. «Devo darle una notizia terrificante,
relativamente. Lunedì passato 8 corrente sono caduto malamente da una pianta,
per fortuna senza gravi conseguenze di nessuna specie, salvo un leggero
tramortimento durato qualche ora»: Lettera n. 241, Piero Martinetti a Nina
Ruffini, 16 settembre 1941, in: Lettere 231.
Cit. in: Lettere 245. «Si può
comunque, in base a testimonianze diverse, ritenere che Martinetti sia deceduto
all'Ospedale Molinette sfollato a Cuorgnè, ove si tentò inutilmente di salvarlo
e che il corpo sia stato immediatamente trasferito (abitudine che rimase in uso
per decenni in circostanze analoghe) alla casa d'abitazione, per evitare
lungaggini burocratiche e maggiori spese funerarie. [...] L'atto di morte
recita: " il giorno 23 del mese di marzo dell'anno 1943 alle ore quattro e
minuti zero, nella casa posta in frazione Spineto n. 106 è morto Martinetti
Piero, anni 70, residente in Torino, professore pensionato"»: Paviolo
200381. Paviolo 200382. "Per ultimo desidero di essere cremato e
che le mie ceneri riposino nel Camposanto di Castellamonte", frase finale
del testamento di Piero Martinetti, Paviolo. Il testamento di Martinetti, da
lui riscritto il 2 novembre 1942, "in una grafia incerta e in una forma in
cui non si trova lo stile abituale del nostro filosofo"(Paviolo 2003105)
fu considerato da sua sorella Teresa come estorto: "Le opere che al tempo
del decesso di Piero erano ancora solo allo stato di manoscritto vennero
devolute ai beneficiari della biblioteca, la quale, a dirtelo in assoluta
confidenza, cadde in mano a tre estranei alla famiglia, per un testamento fatto
fare a nostra insaputa a Piero, a oltre un anno da che era stato colpito da un
insulto di trombosi al cervello [...] la preziosa biblioteca, che per volontà
recisa, assoluta di Piero a me da Lui ripetutamente espressa alcuni mesi prima
che fosse colpito dalla trombosi, doveva andare all'Milano, prese altre vie e e
sta presentemente ancora peregrinando in attesa di destinazione
definitiva." Lettera del 25 settembre 1947 di Teresa Martinetti al cugino
Giuseppe Bertogliatti, in: Paviolo 200397.
Fondazione Casa e Archivio Piero Martinetti «Allo Spir, un singolare pensatore solitario,
al quale mi legano tante affinità e tante simpatie, sarà dedicato il fascic. 3
della "Riv. di Filosofia", che non mancherò di spedirle a suo tempo.
Quante dottrine dello Spir, specialmente nel rapporto morale e religioso,
sembrano pensate per il nostro tempo! Ma esse passeranno, come passarono,
inavvertite. La lucequesto passo del quarto Vangelo lo Spir volle inciso sul
suo sepolcrovolle penetrare le tenebre, ma le tenebre non l'accolsero»: Lettera
n. 164, Piero Martinetti a Nina Ruffini, 26 gennaio 1937, in: Lettere 155.. «io sono sempre stato un filosofo inattuale»:
Lettera n. 258, Piero Martinetti a Giorgio Borsa, 1942, in: Lettere 244. Emilio Agazzi, La filosofia di Piero
Martinetti, Milano, Unicopli, 123. «Ma è
stato Alessio a dimostrare l'importanza e l'anteriorità, rispetto ad altri
autori, della lettura di Spir per la maturazione della metafisica
martinettiana»: Vigorelli 1998,
66-67. Franco Alessio, op. cit.
II. Vigorelli Vigorelli Piero Martinetti, Breviario spirituale,
Bresci, Torino, 1972282. Lettera n. 143,
Piero Martinetti a Guido Cagnola, 17 ottobre 1934, in: Lettere. Sulla
riflessione religiosa di Martinetti vedi Franco Alessio, L'idealismo religioso
di Piero Martinetti, Brescia, Morcelliana, 1950 (Tesi di Pavia: relatore
Michele Federico Sciacca) Paviolo
2003120. Paviolo 200328. Amedeo Vigorelli, "Martinetti e
Capitini: attualità di un confronto", in: Amedeo Vigorelli, La nostra
inquietudine. Martinetti, Banfi, Rebora, Cantoni, Paci, De Martino, Rensi,
Untersteiner, Dal Pra, Segre, Capitini, Bruno Mondadori, Milano, 2007174. "e si conversò a lungo della inumazione
e della cremazione (aveva fatto cremare il cadavere della mamma, per avere
vicine le sue ceneri)" Aldo Capitini, Antifascismo tra i giovani, Célèbes
Trapani, 196657. Paviolo 200317. Paviolo 200383. "L'eretico Martinetti, italiano per
caso", Recensione di Raffaele Liucci su Il fatto quotidiano, 6
gennaio Archiviato il 24 settembre in . sul sito Liberacittadinanza.it Il Dipartimento di Filosofia "Piero
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razzisti spettano ai professori eroi che dissero no al fascismo", Corriere
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Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Piero Martinetti / Piero Martinetti (altra
versione), in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Piero Martinetti, in Dizionario biografico
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siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo Unificato per le
Soprintendenze Archivistiche. Opere di
Piero Martinetti, su Liber Liber. Opere
di Piero Martinetti, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Piero
Martinetti, . Opere di Piero Martinetti
digitalizzate sul sito delle Collezioni e fondi digitali dell'Torino e
all'interno della Collezione digitale Pubblico dominio a Torino / Turin Public
Domain su , a cura del Progetto Pubblico dominio a Torino. Biblioteca della
Fondazione Piero Martinetti, Torino. Fondazione Casa e Archivio Piero
Martinetti, su fondazionepieromartinetti.org. Piero Martinetti, Diego Fusaro
sul sito Filosofico.net. Pierre-Philippe
Druet, "Idéalisme et transcendance chez Piero Martinetti" in: Revue
philosophique de Louvain, Giuseppe
Colombo, La filosofia come soteriologia, estratti.
Martini: Lorenzo Martini
(Cambiano), filosofo. Nato in un piccolo centro della provincia torinese,
Lorenzo Martini compì studi classici a Chieri e poi, ospitato al Real Collegio
delle Province di Torino, si rivolse allo studio delle scienze naturalistiche.
Con la laurea in medicina nel 1815, cui seguirà anche quella in filosofia,
ottenne l'insegnamento al predetto Istituto, prima di conseguire una brillante
carriera nell'ateneo torinese. Qui, infatti, ottenne prima la docenza in
fisiologia (1820) e poi quella di medicina legale, cattedra quest'ultima,
istituita nel 1832, di cui fu il primo insegnante in assoluto. Dell'Torino fu anche rettore, negli anni in
cui ebbe numerosi riconoscimenti, tra cui l'onorificenza di cavaliere
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Ma non mancarono episodi tragici, allorché, pochi anni dopo le nozze, perse
la moglie (figlia del chimico Giovanni Antonio Giobert), dalla quale ancora non
aveva avuti igli, né li avrebbe avuti in seguito, visto che non si risposò, per
dedicarsi completamente all'insegnamento e alla stesura di saggi e manuali
nelle discipline mediche. In questo filone, il più ricco, vanno almeno
segnalati gli Elementa physiologiae (1821) e il corso in dodici volumi sulle
Lezioni di fisiologia (1835-36), così come i tre volumi dell'Introduzione alla
medicina legale (1825), accanto agli Elementa medicinae forensis, politiae
medicae et hygienes (1832), cui avrebbe fatto seguito il Manuale di medicina
legale (1839). Il variegato percorso
saggistico di Lorenzo Martini non si limitò (e non si esaurì) a studi a
carattere medico-fisiologico e medico-legale. Anzi, forte del curriculum
studiorum seguito fin da giovanissimo, cercò di approfondire i pensatori
classici, come nel caso del compendio dedicato a Platone del 1844, di cui
peraltro riuscì a terminare il manoscritto poco prima di morire, arrivando
persino a stilare, nel 1840, sia pure non in forma sistematica, una Storia
della filosofia. Risultati migliori li
ebbe, tuttavia, nel campo educativo-pedagogico. Questo indirizzo è
testimoniato, oltre che dal saggio sulla Riforma della prima educazione del
1834, dai dodici volumi dell'Emilio pubblicati tra il 1821 e il 1823. Qui,
facendo leva della sua vasta cultura, tratta emblematicamente di argomenti in
cui si fondono, senza soluzione di continuità, il "viver sano" e il
"maritaggio", il "governo della famiglia" e la felicità, le
"tendenze morali" e la "moderazione nella prosperità",
passando per i modi attraverso i quali "sopportare le
avversità". Opere Medicina Elementa
physiologiae, Tip. Pica, Torino 1821. Dei vantaggi che la medicina apporta alle
nazioni, Tip. Chirio e Mina, Torino 1823. Introduzione alla medicina legale, 3
voll., Tip. Marietti, Torino 1825. La medicina curativa di Leroy, Tip.
Marietti, Torino 1825. Prime linee di polizia medica, Tip. Fontana, Milano
1828. Della scienza del cuore, Tip. Fontana, Milano 1829. Della colera indica,
Tip. Fodratti, Torino 1831. Elementa medicinae forensis, politiae medicae et
hygienes, 4 voll., Tip. Marinetti, Torino 1832 Manuale di polizia medica, Tip.
Fontana, Milano 1828. Manuale d'igiene, Tip. Fontana, Milano 1829. Lezioni di
fisiologia, 12 voll., Tip. Pomba, Torino 1831. Patologia generale, 2 voll.,
Tip. Elvetica, Capolago 1834. Invito a' medici piemontesi all'occasione del
cholera-morbus, Tip. Cassone e Marzorati, Torino 1835. Storia della fisiologia,
8 voll., Tip Cassone e Marzorati, Torino 1835-1836. Manuale di medicina legale,
Tip. Fontana, Milano 1839. Filosofia e Pedagogia Emilio, 12 voll., Tip.
Marietti, Torino 1821-1823. Della solitudine, Tip. Marietti, Torino 1824.
Narciso o regalo agli sposi, Tip. Marietti, Torino 1824. Guerra e pace dei
sensi, Tip. Marietti, Torino 1825. Emilio o sia del governo della vita, Tip.
Fontana, Milano 1829. Discorsi filadelfici, ossia fasti dell'ingegno italiano,
Tip. Marietti, Torino 1832. Riforma della prima educazione, Tip. Marietti,
Torino 1834. Della sapienza dei greci, Tip. Cassone e Marzorati, Torino 1836.
Storia della filosofia, 3 voll., Tip. Pirotta, Milano 1840 Platone compendiato
e comentato, Tip. Elvetica, Capolago 1844. Biografie Alcune vite di donne
celebri, 2 voll., Tip. Fontana, Milano 1829-1830. De clarissimo viro Thoma
Tosio ex ordine Oratorum sacrae facultatis professore in regio Taurinensi
Athenaeo, Tip. Regia, Torino 1830. Vita del conte Gian-Francesco Napolio, Tip.
Bocca, Torino 1836. Vita Francisci Canevarii, Torino 1837. Cenni biografici di
Lagrangia, Tip. Cassone e Marzorati, Torino 1840. Curatele A. von Haller,
Poesie scelte, Stamp. Reale, Torino 1822. J.L. Alibert, Riflessioni sulla
fisiologia delle passioni o nuova dottrina de' sentimenti morali, Tip.
Marietti, Torino 1825. F. Redi, Consulti medici, Tip. Elvetica, Capolago 1831.
D. Alighieri, La Divina Commedia, 3 voll., Tip. Marietti, Torino 1840.
Note G.L. Gianelli, L'uomo ed i codici
nel nuovo Regno d'Italia. Commentario medico-legale, in «Politecnico.
Repertorio mensile di studi applicati alla prosperità e cultura sociale», IX, Milano 1860643. G. Corniani, I secoli della letteratura
italiana dopo il suo risorgimento, F. Predari,
VIII, Utet, Torino 1856,
222-226. Si veda S.G.M. Berruti,
Saggio sulla vita e sugli scritti del professore cavaliere Lorenzo Martini,
s.e., Bologna 1847. L. Martini, Emilio,
12 voll., Tip. Marietti, Torino 1821-1823.
S.G.M. Berruti, Saggio sulla vita e sugli scritti del professore
cavaliere Lorenzo Martini, s.e., Bologna 1847. G. Corniani, I secoli della
letteratura italiana dopo il suo risorgimento, F. Predari, VIII, Utet, Torino 1856. G.B. Gerini, Due
medici pedagogisti. Maurizio Bufalini e Lorenzo Martini, Tip. Bona, Torino
1909. G.L. Gianelli, L'uomo ed i codici nel nuovo Regno d'Italia. Commentario
medico-legale, in «Politecnico. Repertorio mensile di studi applicati alla
prosperità e cultura sociale», IX,
Milano 1860. Opere di Lorenzo Martini,
su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Lorenzo Martini.
Martino: Ernesto de Martino (Napoli),
filosofo. Dopo la laurea a Napoli con una tesi in Storia delle religioni sui
gephyrismi eleusini sotto la direzione di Adolfo Omodeo, si interessa alle
discipline etnologiche. Si iscrive ai GUF e alla Milizia Universitaria,
collaborando a L'Universale di Berto Ricci e facendo circolare in una cerchia
ristretta di collaboratori un Saggio sulla religione civile poi rimasto
inedito. L'ingresso nel circolo crociano «Erano quelli gli anni in cui
Hitler sciamanizzava in Germania e in Europa, e ancora lontano era il giorno in
cui le rovine del palazzo della Cancelleria avrebbero composto per questo
atroce sciamano europeo la bara di fuoco in cui egli tentava di seppellire il
genere umano: ed erano anche gli anni in cui una piccola parte della gioventù
italiana cercava asilo nelle severe e serene stanze di Palazzo Filomarino per
risillabare il discorso elementarmente umano altrove impossibile, persino nella
propria famiglia». Il suo primo libro, Naturalismo e storicismo
nell'etnologia (1941), è un tentativo di sottoporre l'etnologia al vaglio
critico della filosofia storicista di Benedetto Croce. Secondo de Martino,
l'etnologia solo attraverso la filosofia storicista avrebbe potuto riscattarsi
dal suo naturalismo (tratto che accomuna, per de Martino, tanto la scuola
sociologica francese che gli indirizzi "pseudostorici" tedeschi e
viennesi). Fu lo stesso Croce a introdurre il giovane de Martino all'editore
Laterza, suggerendo la pubblicazione del libro, in cui, nonostante qualche
ingenuità, si può già scorgere in nuce l'idea del successivo lavoro sul
"magismo etnologico". Scritto negli anni della seconda guerra
mondiale e pubblicato nel 1948, Il mondo magico è il libro nel quale Ernesto de
Martino elabora alcune delle idee che rimarranno centrali in tutta la sua opera
successiva. Qui de Martino costruisce la sua interpretazione del magismo
come epoca storica nella quale la labilità di una "presenza" non
ancora determinatasi, viene padroneggiata attraverso la magia, in una dinamica
di crisi e riscatto. In quel periodo, de Martino comincia a militare nei
partiti di sinistra. Prima, dal 1945, lavora come segretario di federazione, in
Puglia, per il Partito Socialista Italiano; influenzato da Gramsci e da Carlo
Levi, cinque anni dopo, entra a far parte del Partito Comunista Italiano. Anche
per questa ragione, negli anni che seguono, de Martino comincia a interessarsi
sempre di più allo studio etnografico delle società contadine del sud Italia,
in contemporanea con le inchieste di Vittorini e l’opera documentaristica di Cesare
Zavattini. Di questa fase, talvolta detta "meridionalista", fanno
parte le opere più note al grande pubblico: Morte e pianto rituale, Sud e
magia, La terra del rimorso. Innovativo nelle sue ricerche fu l'approccio
multidisciplinare, che lo portò a costituire un'équipe di ricerca etnografica.
La terra del rimorso è la sintesi delle sue ricerche sul campo (il Salento)
affiancato da uno psichiatra (Giovanni Jervis), una psicologa (L.
Jervis-Comba), un'antropologa culturale (Amalia Signorelli), un etnomusicologo
(Diego Carpitella), un fotografo (Franco Pinna) e dalla consulenza di un medico
(S. Bettini). Nello studio del fenomeno del tarantismo vengono utilizzati anche
filmati girati tra Copertino, Nardò e Galatina. A queste monografie segue la
pubblicazione dell'importante raccolta di saggi Furore Simbolo Valore
(1962). De Martino è stato collaboratore di Raffaele Pettazzoni
all'Università "La Sapienza" di Roma, nell'ambito della Scuola romana
di Storia delle religioni. Come ordinario di Storia delle religioni e di
Etnologia, dal dicembre 1958 fino alla morte ha insegnato all'Cagliari, dove ha
avuto uno stuolo di allievi. Con Alberto Mario Cirese, Giovanni Lilliu, Cesare
Cases, la sua assistente Clara Gallini, e in seguito altri studiosi, quali
Placido Cherchi, Giulio Angioni, Pietro Clemente, e Pier Giorgio Solinas,
saranno esponenti di una significativa, sebbene mai formalizzata, scuola
antropologica all'Cagliari, della quale de Martino è considerato uno dei
fondatori. È considerato uno dei più importanti antropologi dell’età
contemporanea, fondatore in Italia dell’umanesimo etnografico e
dell’etnocentrismo critico. La presenza La presenza in senso
antropologico, nella definizione di de Martino è intesa come la capacità di
conservare nella coscienza le memorie e le esperienze necessarie per rispondere
in modo adeguato ad una determinata situazione storica, partecipandovi
attivamente attraverso l'iniziativa personale e andandovi oltre attraverso
l'azione. La presenza significa dunque esserci (il "da-sein" heideggeriano)
come persone dotate di senso, in un contesto dotato di senso. Il rito aiuta
l'uomo a sopportare una sorta di "crisi della presenza" che esso
avverte di fronte alla natura, sentendo minacciata la propria stessa vita. I
comportamenti stereotipati dei riti offrono rassicuranti modelli da seguire,
costruendo quella che viene in seguito definita come
"tradizione". Ernesto de Martino, 11 agosto 1956,
spedizione in Lucania Se si vuole rintracciare in de Martino un filo comune e
unitario tra l’influenza marxista e gramsciana della “triade meridionalista”
(esplicita anche attraverso la sua militanza diretta nel PCI negli anni ‘50) di
Morte e pianto rituale (1958), Sud e magia (1959) e La terra del rimorso
(1961), e gli appunti e i dossiers preparati per La fine del mondo, in cui è
presente un’elaborazione filosofica più marcatamente sui piani ontologico,
esistenzialista e fenomenologico e che vedranno la luce solo posteriormente
(1ed.1977) dal riordino delle carte ad opera di Angelo Brelich e Clara Gallini,
bisogna rendere centrale il nesso tra presenza/crisi/riscatto e il processo di
destorificazione del negativo ad opera dell’ethos del trascendimento;
l’immaginazione simbolica collettiva è la realizzazione di un’ethos del
trascendimento che, come un mito di fondazione per il senso di appartenenza o
la sacralizzazione dell’”oggetto” per scopi espiatori, rende possibile il
superamento di una crisi, della “presenza” in quanto soggetto che opera nella
natura, che rischia di perdersi in essa senza riscatto (escaton). Il soggetto
dunque si ricolloca nella storia tramite la cultura, e la crisi si rivela
esistenziale nel rapporto tra se’ e il mondo “altro da se’”. Ma la crisi
affonda sempre nelle materiali condizioni di vita e nelle modalità concrete di
una prassi che deve tendere e tende incessantemente alla trasformazione
rivoluzionaria (che è escatologica nelle religioni) come base insopprimibile
della costituzione di sè come soggetto: “Vi è dunque un principio
trascendentale che rende intellegibile l’utilizzazione e le altre
valorizzazioni, e questo principio è l’ethos trascendentale del trascendimento
della vita nel valore: attività dunque, ma ethos, dover-essere-nel-mondo per il
valore, per la valorizzante attività che fa mondo il mondo, e lo fonda e lo sostiene.”
Costante, inoltre, nella ricerca sul campo, come nelle analisi ed elaborazioni
degli ultimi anni, fu l’indagine sul valore euristico assegnato ai dati psicopapatologici,
sempre legato a una riflessione critica sulla trasferibilità delle relative nozioni
in contesti culturali diversi e sulle loro implicazioni sul piano antropologico
e filosofico più generale: dalla figura dello sciamano come “Cristo magico” ne
Il mondo magico, ai fenomeni di dissociazione e possessione (influenzato dalle
letture di Shirokogoroff e Pierre Janet) nei riti della taranta, fino alle note
sulle “apocalissi psicopatologiche” ne La fine del mondo. Il folklore
progressivo Il concetto di folklore, come concezione del mondo regressiva,
secondo le “osservazioni sul folklore” del Quaderno XXVII di Gramsci “un
agglomerato indigesto di frammenti di concezioni del mondo (..) e superstiti
documenti mutili e contaminati”, ma anche di positiva creatività delle classi
subalterne (come i canti popolari), in opposizione alla cultura dotta delle
élite dirigenti, fu oggetto di riflessione dell’antropologo partenopeo a
partire dal 1949, con il saggio “Intorno ad una storia del mondo popolare
subalterno”, pubblicato su Società sul nr.3 di quell’anno, in cui riprende
studi e indagini della nuova etnologia sovietica (Tolstov, Hippius, Cicerov,
ispirati da V.J. Propp). Nel giugno 1951 in un articolo lo definì come
“proposta consapevole del popolo contro la propria condizione socialmente
subalterna, o che commenta, esprime in termini culturali, le lotte per
emanciparsene.” Il concetto fu poi ripreso, discusso problematicamente e
allargato in particolare da A.M.Cirese (in rapporto a Gramsci) e Luigi M.
Lombardi Satriani (il folklore come cultura di contestazione). I
“folkloristi” erano stati oggetto di critica di de Martino già nella sua prima
opera del 1941, Naturalismo e storicismo nell’etnologia, in quanto puri
descrittori e catalogatori con criterio naturalistico e non storico-culturale:
per cui il folklore rimane, pur categorizzato come “progressivo”, come fenomeno
di indagine antropologica nei termini più complessivi di cultura
popolare. Crisi della presenza e destorificazione del negativo In quanto
alla “crisi della presenza” come spaesamento, ne La fine del mondo, Ernesto de
Martino racconta di una volta in Calabria quando, cercando una strada, egli e i
suoi collaboratori fecero salire in auto un anziano pastore perché indicasse
loro la giusta direzione da seguire, promettendogli di riportarlo poi al posto
di partenza. L'uomo salì in auto pieno di diffidenza, che si trasformò via via
in una vera e propria angoscia territoriale, non appena dalla visuale del
finestrino sparì alla vista il campanile di Marcellinara, il suo paese. Il
campanile rappresentava per l'uomo il punto di riferimento del suo circoscritto
spazio domestico, senza il quale egli si sentiva realmente spaesato. Quando lo
riportarono indietro in fretta l'uomo stava penosamente sporto fuori dal
finestrino, scrutando l'orizzonte per veder riapparire il campanile. Solo
quando lo rivide, il suo viso finalmente si riappacificò. In un altro
esempio, per esprimere il medesimo concetto, De Martino racconta degli Achilpa,
cacciatori e raccoglitori australiani, nomadi da sempre e per sopravvivenza,
che avevano però l'usanza di piantare al centro del loro accampamento un palo
sacro, intorno al quale celebravano un rito ogni volta che
"approdavano" in un luogo nuovo. Il giorno che il palo si spezzò, i
membri della tribù si lasciarono morire, sopraffatti dall'angoscia. Il concetto
di spaesamento, come una condizione molto "rischiosa" in cui gli
individui temono di perdere i propri riferimenti domestici, che in qualche modo
fungono da "indici di senso", viene inserito dunque da de Martino
nelle sue categorie di “crisi della presenza” e destorificazione del
negativo. La crisi della presenza caratterizza allora quelle condizioni
diverse nelle quali l'individuo, al cospetto di particolari eventi o situazioni
(malattia, morte, conflitti morali, migrazione), sperimenta un'incertezza, una
crisi radicale del suo essere storico (della "possibilità di esserci in
una storia umana", scrive de Martino) in quel dato momento scoprendosi
incapace di agire e determinare la propria azione. La destorificazione del
negativo permette l'universalizzazione della propria condizione umana in una
dimensione mitico-simbolica, mediata dalla religione e presente nel rito.
Secondo Amalia Signorelli, antropologa ee collaboratrice della spedizione nel
Salento, "Il dato esistenziale che ha scatenato la crisi (morte,
malattia, paura e altro ancora) viene mentalmente astratto dal contesto storico
per entro il quale è stato esperito e viene ricondotto a un tempo e a una
vicenda mitici". Se il mito è narrazione, il rito è un comportamento
orientato ad uno scopo e ripetuto con parole e gesti di significato altamente
simbolico. È così che mito, rito e simbolo diventano un circuito volto alla
soluzione della crisi, astraendo dalla storia reale in cui agisce il
negativo. Quando è il negativo a prevalere, e questo accade in fasi particolarmente
drammatiche dell’esistenza umana (come la morte di una persona cara), può
manifestarsi una crisi radicale, una “funesta miseria esistenziale”, per cui
l’ethos del trascendimento non riesce più a risolvere la crisi nel valore e la
mancata valorizzazione fa perdere anche l’operabilità sul reale. L’attività
etica della valorizzazione è necessaria per impedire la destrutturazione
dell”esserci”, in quanto il “vitale” vede per intero invaso il suo spazio,
quello dell’intersoggettività e il rapporto con il mondo. Avviene allora che
“la presenza abdica senza compenso”. Ernesto De Martino e Muzi
Epifani, 1956, durante una missione in Lucania L'elaborazione del lutto ed il
pianto rituale antico Magnifying glass icon mgx2.svg Morte di Gesù negli studi antropologici e
Planctus. Tra il 1952 e il 1956, l’etnologo organizza una serie di spedizioni
di ricerca in Lucania, accompagnato da un’equipe interdisciplinare, tra cui
Vittoria De Palma, anche lei etnologa e compagna di vita e con l’utilizzo di
strumenti quali il magnetofono e la cinepresa, innovativi rispetto all’indagine
folklorica classica. Riconnettendosi a Il mondo magico, decide di concentrarsi
sul lamento funebre e la “crisi del cordoglio”, ai segni, al simbolismo delle
ritualità legate ad una crisi esistenziale tra le più gravi, come quella che
segue la perdita di un caro, e il pianto e il dolore collettivi che
rappresentano la “crisi della presenza”, della propria e di tutti, minacciata
dalla morte. Il pericolo del lutto è dunque quello dell’annullamento
totale. In Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto
di Maria, 1958, affronta anche il senso della morte di Cristo in rapporto alla
condizione esistenziale dell'uomo nel mondo ed al momento traumatico della
esperienza della morte dei propri cari. Di fronte alla "crisi del
cordoglio" che può portare al crollo esistenziale, emerge la esigenza di
elaborare culturalmente il lutto, nella forma socialmente codificata del rito.
La consolazione offerta dal credo religioso riconduce a forme sopportabili la
carica drammatica del lutto, riferendola simbolicamente alla morte tragica di
Cristo sulla croce, forme che consentono di ritrovarsi uguali nel dolore, ma
che diventano anche promessa di resurrezione. «È possibile interpretare
la genesi del protocristianesimo come esemplarizzazione di una storica
risoluzione del cordoglio che trasforma Gesù morto in Cristo risorto e il morto
che torna nel morto-risorto presente nella chiesa e nel banchetto eucaristico.
Le apparizioni di Cristo dopo la morte testimoniano la Resurrezione e la
presenza di Cristo nella chiesa sino al compimento del piano temporale di
salvezza. Dopo l'Ascensione la discesa dello S.S. inaugura l'epoca in cui il
morto-risorto è con i credenti sino alla fine, per donare la spinta alla
testimonianza missionaria. (291:) "Il Cristianesimo diventa un grande
rituale funerario per una morte esemplare risolutiva del vario morire storico e
come pedagogia del distacco e del trascendimento rispetto a ciò che muore (il
che poteva aver luogo solo in quanto il morto era l'unto dell'Uomo-Dio)".
Abbiamo un esempio storico di soluzione della crisi e la garanzia mediante la
fede della presenza del Risorto nella comunità. La celebrazione eucaristica
rappresenta contemporaneamente l'evento passato di un Cristo al centro del
piano temporale di salvezza (mito che garantisce e fonda la salvezza futura) e
l'evento futuro della definitiva Parusia.» De Martino indaga la
persistenza, nelle realtà marginalizzate della Lucania, del pianto funebre,
come “riplasmazione” del planctus irrelativo, rito antichissimo e diffuso prima
del Cristianesimo in tutta l'area mediterranea. La destorificazione dell’evento
luttuoso, soggettivamente vissuto, permette di riportarlo ad una dimensione
mitico-rituale, e dunque al superamento della crisi. Su questi temi si è
soffermata una sua studentessa e collaboratrice, la scrittrice Muzi Epifani,
nella commedia La fuga, scritta a dieci anni dalla sua scomparsa. Opere
Naturalismo e storicismo nell'etnologia, Laterza, Bari, 1941; n. ed. con
introduzione e cura di Stefano De Matteis, Argo, Lecce, 1997. Il mondo magico:
prolegomeni a una storia del magismo, Einaudi, Torino, 1948; n. ed.
Boringhieri, Torino, 1973 (con introduzione di Cesare Cases e in appendice
testi di Benedetto Croce, Enzo Paci, Raffaele Pettazzoni e Mircea Eliade) Morte
e pianto rituale nel mondo antico: dal lamento pagano al pianto di Maria,
Einaudi, Torino, 1958, Premio Viareggio Saggistica; n. ed. Bollati Boringhieri,
Torino, 2000 (con introduzione di Clara Gallini) Sud e magia, Feltrinelli,
Milano, 1959; n. ed. 2002 (con introduzione di Umberto Galimberti). Sud e magia
La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud, Il Saggiatore,
Milano, 1961 Furore, simbolo, valore, Il Saggiatore, Milano, 1962; poi
Feltrinelli, Milano, 1980 (con introduzione di Luigi M. Lombardi Satriani) e
ivi 2002 (con introduzione di Marcello Massenzio) Magia e civiltà. Un'antologia
critica fondamentale per lo studio del concetto di magia nella civiltà
occidentale, Garzanti, Milano, 1962 Mondo popolare e magia in Lucania, a cura e
con prefazione di Rocco Brienza, Basilicata, Roma-Matera, 1975 La fine del
mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali, Clara Gallini, con
introduzione di Clara Gallini e Marcello Massenzio, Einaudi, Torino, 1977 La
collana viola: lettere 1945-1950 (con Cesare Pavese), Pietro Angelini, Bollati
Boringhieri, Torino, 1991 Scritti minori su religione, marxismo e psicoanalisi,
Roberto Altamura e Patrizia Ferretti, Nuove edizioni romane, Roma, 1993
Compagni e amici: lettere di Ernesto de Martino e Pietro Secchia, Riccardo Di
Donato, La nuova Italia, Firenze, 1993 Storia e metastoria: i fondamenti di una
teoria del sacro, introduzione e cura di Marcello Massenzio, Argo, Lecce, 1995
Note di campo: spedizione in Lucania, 30 settembre31 ottobre 1952, edizione
critica Clara Gallini, Argo, Lecce, 1995 L'opera a cui lavoro: apparato critico
e documentario alla Spedizione etnologica in Lucania, Clara Gallini, Argo,
Lecce, 1996 Una vicinanza discreta: lettere (con Renato Boccassino), Francesco
Pompeo, Oleandro, Roma, 1996 I viaggi nel Sud di Ernesto de Martino, Clara
Gallini e Francesco Faeta, fotografie di Arturo Zavattini, Franco Pinna e
Ando Gilardi, Bollati Boringhieri, Torino, 1999 Panorami e spedizioni: le
trasmissioni radiofoniche del 1953-54, Luigi M. Lombardi Satriani e Letizia
Bindi, Bollati Boringhieri, Torino, 2002 Musiche tradizionali del Salento: le
registrazioni di Diego Carpitella ed Ernesto de Martino (1959, 1960), a cura e
testi di Maurizio Agamennone, Squilibri, Roma, 2005 (con 2 cd) Scritti
filosofici, Roberto Pastina, il Mulino, Bologna, 2005 Dal laboratorio del mondo
magico: carteggi 1940-1943, Pietro Angelini, Argo, Lecce, 2007 Ricerca sui
guaritori e la loro clientela, Adelina Talamonti, Argo, Lecce, 2008 (con
introduzione di Clara Gallini) Etnografia del tarantismo pugliese. I materiali
della spedizione nel Salento del 1959, Amalia Signorelli e Valerio Panza,
Introduzione e commenti di Amalia Signorelli, Argo, Lecce . La fine del mondo.
Contributo all'analisi delle apocalissi culturali, nuova edizione Giordana
Charuty, Daniel Fabre, Marcello Massenzio, Einaudi, Torino. E. de Martino, Promesse e minacce
dell'etnologia, in Id., Furore Simbolo Valore, Milano, ERNESTO DE MARTINO, su filosofico.net. 19
luglio . Giulio Angioni, Una scuola
antropologica sarda?, in Giulio Angioni et al. (Luciano Marrocu, Francesco
Bachis, Valeria Deplano), La Sardegna contemporanea. Idee, luoghi, processi
culturali, Roma, Donzelli, Ernesto De Martino, cap.VI “Antropologia e marxismo”
par. “Marxismo e religione”, in La fine del mondoContributo all’analisi delle
apocalissi culturali, Einaudi, Ernesto de Martino, Il folklore progressivo, in
l’Unita’, 28 giugno 1956. Amalia Signorelli,
Ernesto De MartinoTeoria antropologica e metodologia della ricerca, L'asino
d'oro ed., , pag.89. Il mondo magico,
1973ª ed., Torino, (1948)93. Ernesto de
Martino, La Fine del Mondo, Einaudi, Torino, 1977. Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su
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Equinox. Clara Gallini e Francesco Faeta , I viaggi nel Sud di Ernesto de
Martino, fotografie di Arturo Zavattini, Franco Pinna, e Ando Gilardi, Bollati
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Benedetto Croce Vittorio Lanternari Claude Lévi-Strauss Diego Carpitella
Tarantismo Carlo Tullio Altan Alberto Mario Cirese Giulio Angioni Antropologia
culturale Placido Cherchi Scuola antropologica di Cagliari Antonio Gramsci
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Ernesto de Martino, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Mariannita
Lospinoso, DE MARTINO, Ernesto, in Enciclopedia Italiana, IV Appendice,
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l'antropologia, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Recensione a Morte e pianto rituale. Dal
lamento funebre antico al pianto di Maria. Recensione a Il mondo magico.
Prolegomeni a una storia del magismo. Ernesto de MartinoPagina autore
LiberCensor.net di Ernesto de Martino
(formato pdf) Istituto Ernesto De Martino, su iedm.it. Società di Mutuo
Soccorso Ernesto de Martino, su smsdemartino.noblogs.org. 2 settembre 10 gennaio ). Interpretazioni
dell'apocalisse: le tre edizioni de LA FINE DEL MONDO di Ernesto de Martino, su
L’analisi e la classe Ernesto de Martino, "Intorno a una storia del mondo
popolare subalterno",1949 su Academia.edu.
Masci: Deputato del Regno
d'Italia LegislatureXIX, XX Senatore del Regno d'Italia LegislatureXXIV Dati
generali Titolo di studioLaurea in scienze giuridiche e politiche
amministrative ProfessioneDocente universitario, filosofo. Filippo Masci (Francavilla
al Mare), filosofo. Senatore del Regno italiano. Nato in una famiglia
della borghesia abruzzese, perse il padre Guglielmo all'età di 4 anni.
Frequentò il collegio Giambattista Vico di Chieti e, completati gli studi
liceali, fu allievo del professor Mola, che gli insegnò filosofia, scienze e
matematica. Iniziò nel 1862 gli studi di giurisprudenza all'Napoli, dove si
laureò nel 1866, ed in seguito studiò scienze politico-amministrative. Cominciò
ad approfondire le sue conoscenze filosofiche grazie alle lezioni tenute da
Bertrando Spaventa nella stessa città. Influenzato dalla sua formazione
universitaria e dallo stesso Spaventa, al centro dei suoi primi studi c'era il
pensiero di Kant e Hegel. Nel 1875 ottenne la cattedra di professore
reggente di filosofia presso il liceo di Chieti, prima dell'abilitazione che
gli fu consegnata nel 1879 a Pisa. Inoltre sempre nel 1875 venne nominato
vincitore di un concorso della Reale Accademia delle scienze morali e politiche
grazie ad un saggio sulla Critica della ragion pura. Nel 1882 divenne libero
docente di filosofia teoretica all'Napoli e, l'anno successivo, di storia della
filosofia presso l'Pavia. Nel 1883 abbandonò l'insegnamento a Chieti per
recarsi a Padova, dove era stato nominato professore straordinario di filosofia
morale. All'istituto scolastico lasciò numerosi scritti sulla filosofia antica.
Un anno dopo divenne Professore all'Napoli. Nel 1893 ottenne la carica di
rettore dell'Napoli e nel 1894 di consigliere comunale della medesima città.
Nel corso della sua carriera politica fu eletto deputato dal collegio di Ortona
al Mare per la XIX legislatura (1895-1897) e fu un sostenitore di Gabriele
D'Annunzio. Nel 1913 entrò nel Senato del Regno, dove intervenne più volte sul
tema dell'istruzione pubblica. Sosteneva la maggiore importanza della
formazione classica rispetto a quella tecnica o scientifica nelle scuole
secondarie. Liceo scientifico "Filippo Masci" a Chieti Fu
Presidente dell'Accademia di lettere ed arti della Società Reale di Napoli,
socio della Regia Accademia dei Lincei, membro del Consiglio superiore
dell'Istruzione Pubblica e di altre istituzioni culturali. Nel 1918 presso
l'Accademia dei Lincei difese l'importanza di Kant e Fichte in contrasto con le
parole di Luigi Luzzati che li aveva criticati per essere filosofi tedeschi.
Dopo la morte avvenuta il 7 dicembre 1922, fu eretto un busto commemorativo a
Francavilla al Mare e nel 1923 il neonato liceo scientifico di Chieti fu
intitolato in suo onore. Vita privata Nel corso della sua carriera di
insegnante conobbe Edoardo Scarfoglio e Gabriele D'Annunzio, che continuò a
frequentare negli anni successivi. Inoltre fu tenuto in grande considerazione
da Bertrardo Spaventa. Nel 1888 sposò una lontana parente di sua madre, entrambe
appartenenti alla famiglia Tattoni di Bellante. Dal matrimonio nacquero tre
figli. Il pensiero Poco prima di morire pubblicò Pensiero e conoscenza,
in cui sono racchiusi gli aspetti più importanti del suo pensiero, che oggi è
poco studiato. Ebbe molteplici interessi (filosofia, psicologia, sociologia,
pedagogia, diritto e storia) ed è considerato uno dei più importanti esponenti
italiani del neokantismo, avendo rifiutato sia alcune posizioni filosofiche di
Spaventa, sia l'affermato positivismo di Roberto Ardigò, che escludeva ogni
possibile principio "a priori" della conoscenza. La ripresa della
filosofia di Immanuel Kant fu segnata dalla convinzione che fosse sbagliato
ridurre la realtà a pura rappresentazione, ma anche dal tentativo di studiare
la genesi psicologica delle categorie di Kant e quindi negare la loro
formulazione numericamente rigida. Nel Materialismo psicofisico cercò di
dimostrare l'unità tra anima e natura in una concezione psicofisica della
realtà, ma i suoi lavori furono criticati da Giovanni Gentile, anche a causa
della mancata adesione al neoidealismo. Opere Le forme dell'intuizione,
Del Vecchio, Chieti 1881. Le teorie sulla formazione naturale dell'istinto.
Memoria letta alla R. Accademia di Scienze Morali e Politiche della Società
Reale di Napoli. Napoli: Tipografia della Regia Università, 1893 Il
materialismo psico-fisico e la dottrina del parallelismo in psicologia, “Atti
dell'Accademia di Napoli”, Napoli 1901. Intellettualismo e pragmatismo, “Atti
della Regia Accademia delle Scienze morali e politiche”, Napoli, 1911. Quantità
e misura nei fenomeni psichici. Memoria letta all'Accademia di Scienze Morali e
Politiche della Società Reale di Napoli. Napoli: Federico Sangiovanni &
Figlio, 1915 Della misura indiretta in psicologia. Conoscenza scientifica e
conoscenza matematica. Napoli: Federico Sangiovanni & Figlio, 1916 Credenza
e conoscenza, “Atti dell'Accademia di Napoli”, Napoli, 1920. Pensiero e
conoscenza, Bocca Editori, Torino 1922. Onorificenze Commendatore dell'Ordine della
Corona d'Italianastrino per uniforme ordinariaCommendatore dell'Ordine della
Corona d'Italia Ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaronastrino per
uniforme ordinariaUfficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Note
Schede di personalità abruzzesi importanti nel campo della filosofia, Regione
Abruzzo. 15 luglio 23 agosto ).
Storia del liceo F. Masci e biografia, Liceo F. Masci. 15 luglio 28 settembre 2007). Discorso di commiato per la morte di Filippo
Masci, su notes9.senato.it. 15 luglio .
Alfonso Pietrangeli, Filippo Masci e il suo neocriticismo, Cedam, Padova
1962. Luigi Gentile, Filippo Masci : dal criticismo kantiano al monismo
psicofisico, Noubs, Chieti 2003. Giuseppe Landolfi Petrone, MASCI, Filippo, in
Dizionario biografico degli italiani,
71, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2008. 26 agosto . Altri
progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o
altri file su Filippo Masci Filippo
Masci, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Filippo Masci, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere di Filippo Masci, su Liber Liber.
Opere di Filippo Masci, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Filippo Masci, su storia.camera.it, Camera
dei deputati. Filippo Masci, su Senatori
d'Italia, Senato della Repubblica.
Masi: Giuseppe Masi (Firenze),
filosofo. È stato professore incaricato di Storia della filosofia antica presso
la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Bologna. Giuseppe Masi nacque a Firenze
il 4 aprile 1915, da Enrico Masi, generale dell'Esercito Italiano, e Leda
Nutini. Ha compiuto i suoi studi a Bologna, conseguendo la maturità classica
presso il liceo statale L. Galvani. Iscrittosi alla Facoltà di Giurisprudenza
dell'Bologna, vi si laureò con lode nel 1937, con una tesi sul diritto di
famiglia negli Statuti Bolognesi. Tra il 1937 e il 1938 assolse agli obblighi
di leva e nel 1939 fu trattenuto alle armi in base alle disposizioni di
emergenza del periodo. Congedato, riprese gli studi iscrivendosi alla Facoltà
di Filosofia dell'Bologna, dove conseguì, nel 1941, la laurea con lode,
discutendo col prof. Felice Battaglia la tesi: Individuo, società, famiglia nel
pensiero di Antonio Rosmini. La tesi gli valse l'ammissione, con borsa di
studio, al corso biennale di perfezionamento in Filosofia scolastica
all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dopo il primo anno, fu
richiamato alle armi nel periodo bellico, dall'8 ottobre del 1942 fino
all'armistizio dell'8 settembre 1943. Ottenuto il congedo definitivo, fu
nominato assistente volontario alla cattedra di Filosofia morale dell'Bologna,
dal 1945 al 1957, svolgendo numerosi corsi di letture e di esercitazioni per
gli studenti, soprattutto su argomenti di filosofia moderna e contemporanea. Nel
1954 si è sposato con Anna Bergamini, con cui rimarrà insieme fino alla sua
scomparsa nel 1998. Nel 1955 ha conseguito la libera docenza in Filosofia
teoretica. Dal 1956 al 1962 è nominato e riconfermato professore incaricato di
Storia della filosofia presso la Facoltà di Magistero dell'Bologna. Nel 1964 è
nominato professore incaricato di Storia della filosofia antica presso la
Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Bologna. A partire dall'anno accademico
1972-73 è professore incaricato stabilizzato di Storia della filosofia antica.
Ivi svolse, negli anni seguenti, corsi monografici su Aristotele, accompagnati
da corsi istituzionali e seminariali di storia della filosofia greca in
generale. Manterrà questa nomina per oltre un ventennio, fino al pensionamento.
È stato anche per numerosi anni Professore di Storia e Filosofia in diversi
licei di Bologna e provincia. Interessi
La sua vita è stata caratterizzata da molteplici pubblicazioni sia di materia
scientifica che letteraria, nonché da collaborazioni a numerose riviste
filosofiche (Rivista di filosofia neo-scolastica, Giornale di Metafisica),
volumi collettivi, riviste di novelle (Zenith, Excelsior). In particolare, i
suoi romanzi, le sue novelle scritte fin dall'età giovanile e le sue raccolte
di poesie sono stati pubblicati con lo pseudonimo Alfredo Grimaldi. Ha
partecipato ai principali convegni e congressi, come quelli del Centro Studi
Filosofici di Gallarate, come attesta la sua collaborazione alla Enciclopedia
filosofica quel Centro. Si è occupato anche di estetica cinematografica in una
serie di saggi, pubblicati nella rivista Bianco e Nero, del Centro Sperimentale
di Cinematografia. Tra le numerose
passioni e interessi che hanno caratterizzato la sua vita vanno inoltre
ricordati: La passione per l'arte e la
storia dell'arte, che lo hanno condotto nel corso della sua vita a collezionare
numerose opere d'arte, oggi presenti nella donazione alla Pinacoteca comunale
di Pieve di Cento I numerosi viaggi, che
lo hanno portato in quasi tutto il mondo, con particolare interesse per
l'Egitto e la sua storia antica. Giudizi
sulle opere "L'interesse storiografico che muove il Masi alla
ricostruzione del pensiero di Kierkegaard da un profondo e originale impegno
teoretico, volto ad approfondire il concetto metafisico di
"analogia", cui il discorso di Kierkegaard, come l'A. si propone di
illustrare nel suo saggio, risulta fortemente legato. Sotto un profilo
strettamente storiografico, il Masi approda, attraverso un'attenta rilettura
delle "opere edificanti" di Kierkegaard, ad un'interpretazione che
ridimensiona questo pensatore, scoraggiando molti luoghi comuni della
critica.." (A. BABOLIN). "Nel
linguaggio filosofico contemporaneo l'aggettivo "platonico", riferito
a una qualsiasi entità, vuole denotare l'immobilità astorica, il suo permanere
in un'assoluta identità con sé medesima al di sopra delle alterne vicende del
divenire. Ciò deriva da una tradizione ermeneutica del pensiero platonico. Uno
degli aspetti più rilevanti del volume del Masi risiede appunto nello sforzo
operato a demitizzare una tale ermeneutica... questa ricerca del Masi
costituisce un lucido esempio di come oggi una filosofia, che si presenta
spiritualistica e umanistica, sappia ripiegarsi a cogliere con consapevolezza
trasparente e spregiudicata, le proprie radici alle fonti più vive della
tradizione culturale dell'Occidente" (A. BABOLIN). "Le zitelle è un libro divertente,
curioso, strano. Il pregio maggiore di questo libro è di essere tutto su di uno
stesso tema musicale" (Fabio Tombari)
Opere Saggistica Ha scritto numerosi saggi di filosofia: La determinazione della possibilità
dell'esistenza in Kierkegaard (1949), Bologna La ricerca della verità in Karl
Jasper (1953), Bologna La libertà in Heidegger (1961), Bologna M. Heidegger,
Introduzione alla metafisica, trad. it. dal tedesco di G.Masi (1968), Milano J,
Wahl, Verso la fine dell'ontologia, trad. it. dal francese con introduzione e
note di G. Masi (1971), Milano Disperazione e speranza. Saggio sulle categorie
kierkegaardiane (1971), Padova Il potere della ragione. Eraclito, Platone,
Hegel (1971), Padova Il problema aristotelico, 2 voll. (1974), Bologna
L'esistenzialismo tedesco in “Grande antologia filosofica. Il pensiero
contemporaneo” (1976), Milano Il pensiero ellenistico (1981), Bologna
L'uni-equivocità dell'essere in Aristotele (1989), Genova: Casa Editrice
Tilgher Lo spiritualismo egiziano antico. Il pensiero religioso egiziano
classico (1994), Bologna: CLUEB Lo spiritualismo ellenistico. La grande svolta
del pensiero occidentale (1995), Bologna: CLUEB Lo spiritualismo cristiano
antico. Dalle origini a Calcedonia (1996), Bologna: CLUEB Origène o della
riconciliazione universale (1997), Bologna Lo spiritualismo indiano. Dalle
Upanishad al Buddha (1998), Bologna: CLUEB Lo spirito magico. Saggi sul
pensiero primitivo (1999), Bologna: CLUEB Studi sul pensiero antico e dintorni
(2000), Bologna L'idea barocca. Lezioni sul pensiero del Seicento (2000),
Bologna: CLUEB Il concetto di cultura (2001), Bologna: CLUEB Platone, Il Timeo,
riduzione, traduzione, introduzione e commento Giuseppe Masi (2001), Bologna:
CLUEB Dell'eternità, e altri argomenti (2002), Bologna: CLUEB Narrativa
Penombre (1940), Torino: Casa Editrice A.B.C. Scritti con lo pseudonimo Sirio
Stella: L'esile ombra (1938), Torino: Casa
Editrice A.B.C. Scritti con lo pseudonimo Alfredo Grimaldi: Le zitelle (1972), Milano: Todariana Editrice
Il cane cinese (1982), Roma: Vincenzo Lo Faro Editore Il gatto siamese (1984),
Roma: Vincenzo Lo Faro Editore Il figlio dell'ufficiale (1985) Marta (1985)
L'ultima estate (1987), Firenze: Firenze Libri La carriera di un libertino
(1987) La dea bambina (1991), Firenze: Firenze Libri Oltre le dune (1992),
Firenze: Firenze Libri Le donne (1999), Roma: Gabrieli Editore L'ignoto. Il
sogno (2001), Firenze: L'Autore Libri Tra le quinte del liceo. L'orologio a
Pendolo (2002), Firenze: L'Autore Libri Il palloncino rosso e altri racconti
(2002), Firenze: L'Autore Libri La partenza (2003), Firenze: L'Autore Libri Il
sogno (2004), Roma: Gabrieli Editore Angelina e altri racconti (2004), Firenze:
L'Autore Libri La croce di Sant'Elpidio. Il cane cinese, Firenze Il lupo di
Sestola (2005), Firenze: L'Autore Libri Poesia Apollo e Dafne (1968), Padova:
L'Edicola Le stagioni e i giorni (1969), Padova: L'Edicola Poesie con lo
pseudonimo Alfredo Grimaldi: La tomba
d'erba (1969), Padova: L'Edicola Maremma tu (1970), Milano: Todariana
EditricePremio Montediana di poesia, 1971
A. BABOLIN, rec. a Disperazione e speranza, in "Riv. di Fil. Neosc.",
A. BABOLIN, rec. a il potere della
ragione, in: "Riv. di Fil. Neosc.", F. TOMBARI, rec. a Le zitelle,
1972, Milano: Todariana Editrice Nunzio
Incardona.
Massarenti: Armando Massarenti
(Eboli), filosofo. Dal 12 giugno è responsabile del supplemento culturale Il
Sole-24 Ore-Domenica, dove si occupa, dal 1986, di storia e filosofia della
scienza, filosofia morale e politica, etica applicata, e dove tiene la rubrica
Filosofia minima. Armando Massarenti
vive a Milano, dove dirige il supplemento culturale Domenica de Il Sole 24 Ore. Nel 1991 ha scritto, con Antonio Da Re,
L'etica da applicare. Nel 1996 ha redatto, insieme a Carlo Flamigni, Maurizio
Mori e Angelo Maria Petroni, il Manifesto di bioetica laica, che ha suscitato
un vasto dibattito.[senza fonte] È stato membro dell'Osservatorio di Bioetica
della Fondazione Einaudi di Roma e dal
fa parte del Comitato etico della Fondazione Umberto Veronesi,
presieduto da Giuliano Amato. Dal 1999 è direttore della rivista Etica ed
economia (Nemetria). Ha curato e
introdotto diversi volumi di argomento filosofico-scientifico, come
L'ingranaggio della libertà di David Friedman (Liberilibri, Macerata 1997), la
Storia dell'astronomia di Giacomo Leopardi (La vita felice, Milano 1997),
Rifare la filosofia di John Dewey (Donzelli, Roma 1998). Per Feltrinelli ha curato e introdotto il
volume Laicismo indiano (Milano, 1998), una raccolta di saggi del Premio Nobel
per l'economia 1998 Amartya Sen. Ha
curato il numero monografico della Rivista di Estetica dedicato al dibattito su
"Analitici e continentali" (1998) e, con Vittorio Possenti, il volume
Nichilismo, relativismo, verità. Un dibattito (Rubbettino, Soveria Mannelli,
2001) Per Il Sole 24 ORE ha curato la
collana I Grandi Filosofi (trenta volumi sui protagonisti della storia del
pensiero, da Socrate a Wittgenstein, per i quali ha anche scritto le
prefazioni, 2006-2007, confluite ne Il filosofo tascabile). Nel è in corso di pubblicazione una serie analoga
dedicata ai grandi della scienza. Nel
2006 ha scritto Il lancio del nano e altri esercizi di filosofia minima per il
quale gli sono stati conferiti il Premio Filosofico Castiglioncello 2007 e il
premio di saggistica "Città delle Rose" 2007. Il lancio del nano è
anche oggetto di un esperimento didattico, promosso dalla Società Filosofica
Italiana (Sfi), attraverso il quale viene proposto un modo nuovo di motivare
gli studenti allo studio della filosofia e alla capacità di argomentare in
proprio. Dal libro è stato tratto anche uno spettacolo teatrale, per la regia
di Claudio Longhi (prodotto da Mimesis).
Con Gilberto Corbellini e Pino Donghi ha curato e in parte scritto il
volume Bi(bli)oetica. Istruzioni per l'uso (Einaudi, 2006), un dizionario di
bioetica sui generis, dal quale il regista Luca Ronconi ha tratto l'omonimo
spettacolo teatrale andato in scena a Torino, per il progetto Domani delle
Olimpiadi invernali 2006. Nel 2008 ha
scritto Staminalia. le cellule etiche e i nemici della ricerca, una
ricostruzione del dibattito etico e scientifico sulla ricerca sulle staminali,
recensito, tra gli altri, da Elena Cattaneo sulla rivista Nature. Nel 2009 ha scritto Il filosofo tascabile.
Dai presocratici a Wittgenstein. 44 ritratti per una storia del pensiero in
miniatura. In contemporanea è uscito Stramaledettamente logico. Esercizi
filosofici su pellicola (Laterza, Roma-Bari, 2009) una raccolta di saggi su
cinema e filosofia (di Claudia Bianchi, Roberto Casati, Achille Varzi, Nicla
Vassallo) di cui ha scritto introduzione e saggio conclusivo. Ha insegnato come professore a contratto
nelle Bologna, Lugano, Siena, Milano. Dirige per Mondadori Università la
collana "Scienza e filosofia".
Fa parte delle giurie di due premi per la divulgazione scientifica: il
Premio Giovanni Maria Pace, promosso dalla SISSA di Trieste, il Premio
letterario Galileo per la divulgazione scientifica, legato al Campiello
(Padova), e il premio letterario Merck Serono. È stato anche nella giuria del
Premio del Giovedì "Marisa Rusconi", conferito ogni anno a Milano a
un romanzo italiano opera prima. Per la
sua attività giornalistica e pubblicistica ha vinto diversi premi: nel 1993 il
Premio Dondi per la Storia della Scienza, delle tecniche e dell'Industria
(Padova); nel 2000 il Premio Voltolino per la divulgazione scientifica (Pisa);
nel 2007 il Premio Mente e Cervello (Torino); nel il premio Capri, il premio Argil e il premio
Capalbio; nel il Premio Città di
Como. Opere L'etica da applicare. Una
morale per prendere decisioni, con Antonio Da Re, Milano, Il Sole-24 Ore libri,
1991. 88-7187-087-5. Il lancio del nano
e altri esercizi di filosofia minima, Parma, Guanda, 2006. 88-8246-950-6. Staminalia. Le cellule Etiche
e i nemici della ricerca, Parma, Guanda, 2008.
978-88-6088-910-2. Il filosofo tascabile. Dai presocratici a
Wittgenstein. 44 ritratti per una storia del pensiero in miniatura, Parma,
Guanda, 2009. 978-88-6088-889-1.
Dizionario delle idee non comuni, Parma, Guanda, . 978-88-6088-851-8. Filosofia, sapere di non
sapere. Le domande che hanno caratterizzato lo sviluppo del pensiero, con
Emiliano Di Marco, con la collaborazione di Maria Amelia Mannella, 3 voll.,
Firenze, D'Anna, -. Perché pagare le tangenti è razionale ma non vi conviene e
altri saggi di etica politica, Parma, Guanda, .
978-88-6088-763-4. Istruzioni per rendersi felici. [Come il pensiero
antico salverà gli spiriti moderni], Milano, Guanda, . 978-88-235-0479-0. La buona logica. Imparare
a pensare, con Paolo Legrenzi, Milano, Cortina, . 978-88-6030-785-9. Metti l'amore sopra ogni
cosa. Una filosofia per stare bene con gli altri, Milano, Mondadori, . 978-88-04-66972-2. Altri progetti Collabora a
Wikiquote Citazionio su Armando Massarenti Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Armando Massarenti Armando Massarenti, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Armando Massarenti / Armando
Massarenti (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di
Armando Massarenti, . Registrazioni di
Armando Massarenti, su RadioRadicale.it, Radio Radicale. Il lancio del nano e altri esercizi di
filosofia minima, su italialibri.net. 31 dicembre . Armando Massarenti:
tangenti e moralità, su filosofia.rai.it.
Mastri – Opere: Disputationes
in octo libros Physicorum Aristotelis, typis Ludovici Grignani, Romae. Disputationes
in Organum Aristotelis, typis Marci Ginami, Venetiis 1639. Disputationes in
libros De celo et Metheoris, typis Marci Ginami, Venetiis 1640. Disputationes
in libros De generatione et corruptione, typis Marci Ginami, Venetiis 1640.
Disputationes in Aristotelis Stagiritæ libros De anima, typis Marci Ginammi,
Venetiis 1643. Disputationes in Aristotelis Stagiritæ libros Physicorum, typis
Marci Ginammi, Venetiis 1644 (2ª ediz.). Institutiones logicæ, quas vulgo
summulas, vel logicam parvam, nuncupant, typis Marci Ginammi, Venetiis 1646.
Disputationes in Organum Aristotelis, typis Marci Ginammi, Venetiis 1646 (2ª
ediz.). Disputationes in XII Aristotelis stagiritæ libros Metaphysicorum, 2
voll., typis Marci Ginammi, Venetiis 1646-47. Disputationes in libros De coelo et
Metheoris, typis Marci Ginammi, Venetiis [1648ca.]. Scotus et scotistæ Bellutus
et Mastrius expurgati a probrosis querelis ferchianis, apud Franciscum Succium
thypographum cameralem, Ferrariæ 1650. Disputationes in libros De generatione
et corruptione, typis Marci Ginammi, Venetiis 1652. Disputationes theologicæ in
primum librum Sententiarum, apud Iohannes Iacobum Hertz, Venetiis 1655.
Disputationes theologicæ in secundum librum Sententiarum, apud Franciscum
Stortum, Venetiis 1659. Disputationes theologicæ in tertium librum
Sententiarum, apud Valvasensem, Venetiis 1661. Disputationes theologicæ in
quartum librum Sententiarum, apud Valvasensem, Venetiis 1664. Theologia moralis
ad mentem dd. Seraphici et Subtilis concinnata, apud Ioannem Iacobum Herz,
Venetiis 1671. Disputationes in Aristotelis Stagiritæ libros De anima,
sumptibus Francisci Brogiolli, Venetiis 1671 (2ª ediz.). Theologia moralis, 1683 Edizioni Theologia moralis, edizione del 1709 (Milano,
Fondazione Mansutti). Bartolomeo Mastri,
Philosophiae ad mentem Scoti, 1,
Venetiis, Nicolò Pezzana, 1708. 22 aprile .
Bartolomeo Mastri, Philosophiae ad mentem Scoti, 2, Venetiis, Nicolò Pezzana, 1708. 22 aprile
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mentem Scoti, 3, Venetiis, Nicolò
Pezzana, 1708. 22 aprile . Bartolomeo
Mastri, Philosophiae ad mentem Scoti, 4,
Venetiis, Nicolò Pezzana, 1708. 22 aprile .
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Bartholomaeus Mastrius. Mit Dokumentation der Metaphysik in der scotistischen
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da Meldola (1602-1673) "riformatore" dell'Accademia degli Imperfetti,
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théologie naturelle: Bartolomeo Mastri, in Les Études philosophiques, n. 1,
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Mansutti, Quaderni di sicurtà. Documenti di storia dell'assicurazione, M.
Bonomelli, schede bibliografiche di C. Di Battista, note critiche di F.
Mansutti. Milano: Electa, 214. Hermann
Busenbaum Bonaventura Belluto Giovanni Duns Scoto Altri progetti Collabora a
Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su
Bartolomeo Mastri Bartolomeo Mastrio, su
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versione), . Gregory Cleary, Bartolomeo Mastri, in Catholic Encyclopedia,
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Massolo: Arturo Massolo
(Palermo), filosofo. Dopo aver intrapreso gli studi presso il Liceo Classico
Vittorio Emanuele II, si laurea all’Palermo nel 1934, con una tesi dal titolo
Il problema dell’individuo nella filosofia di Antonio Rosmini, con Vito
Fazio-Allmayer. Giovanissimo, fu autore di alcuni volumi di poesia. In seguito ad un periodo di docenza nei licei
di Perugia, Catanzaro e Livorno, Arturo Massolo ha insegnato dal 1945 al 1960
all’Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo" e dal 1961 al 1966
all'Pisa. Il suo pensiero, la sua
attività e i suoi scritti hanno influenzato importanti figure del dibattito
filosofico del secondo Novecento, come Cesare Luporini, Nicola Badaloni, Livio
Sichirollo, Pasquale Salvucci, Gian Mario Cazzaniga, Massimo Barale, Remo
Bodei, Domenico Losurdo. Gli scambi
epistolari avuti con numerosi intellettuali (tra cui spiccano i nomi di
Giovanni Gentile, Ugo Spirito, Carlo Bo, Franco Fortini, Luigi Russo, Aldo
Capitini, Eric Weil) mostrano l’alta considerazione di cui Massolo godeva
all’interno del panorama culturale del secondo dopoguerra. Nel 1945 partecipò alla fondazione della
rivista Società, entrando tuttavia nel comitato di redazione soltanto nel 1958.
La rivista, nel primo anno della sua uscita, ospitò tre importanti saggi di
Massolo: Esistenzialismo e borghesismo (1945), La hegeliana dialettica della
quantità (1945), L’essere e la qualità in Hegel (1945). Nell’ultimo periodo della sua vita, ideò e
fondò la collana «Socrates» dell’editore Vallecchi, con la quale pubblicò tre
volumi: Filosofia e politica di Eric Weil, Vita di Hegel di Karl Rosenkranz e
Dialettica e speranza di Ernst Bloch.
Arturo Massolo morì improvvisamente a Pisa nel 1966. Pensiero I suoi studi su Hegel, inclini a
valorizzare la filosofia della storia e la dimensione realistica del filosofo
tedesco, contrastano tanto la lettura del neoidealismo italiano (Croce e
Gentile) quanto quella di Galvano Della Volpe. Nell’ambito della sua
riflessione Massolo ha posto le basi teoriche per una nuova ed originale
rilettura del rapporto Hegel-Marx, tanto da essere considerato da alcuni
interpreti l’avviatore dell’hegelo-marxismo in Italia. I suoi interessi teoretici si sono rivolti
principalmente alla filosofia classica tedesca da Kant ad Hegel, della quale ha
studiato, per più di un decennio, i principali momenti storico-teorici. In antitesi all’esegesi del neoidealismo
italiano, che tendeva ad attribuire alle filosofie di Fichte, Schelling ed
Hegel il superamento della finitezza umana che Kant aveva posto a fondamento
della sua filosofia, Massolo ha proceduto alla rilettura della genesi
dell’idealismo tedesco con l’idea che esso abbia storicizzato i dualismi
kantiani in un processo che si compie nella Fenomenologia dello spirito di
Hegel. Nelle fasi più mature della sua
riflessione ha tematizzato in vari saggi la problematica della scissione della
coscienza comune (Filosofia e coscienza comune, oggi, 1953), l’idea della
completa politicizzazione del filosofare (Politicità del filosofo, 1954;
Frammento etico-politico, 1958), ed il problema della storia della filosofia
con particolare riferimento al ruolo della «coscienza riflettente» del
filosofo, nonché al rapporto dialettico tra Pensiero e Realtà nella
«città-storia» (La storia della filosofia come problema, 1955). Nell’ultimo periodo della sua vicenda
intellettuale si è dedicato alla questione della dialettica intesa come
dialogo, ovvero quell’elemento dialettico-razionale mediante il quale è
possibile conciliare le differenti rappresentazioni dell’oggetto
storico-sociale e le contraddizioni all’interno della comunità. Tramite queste riflessioni, che lo hanno condotto
a porsi in diretta polemica con Nietzsche ed Heidegger, Massolo ha contrastato
l’idea del sapere come visione solitaria del singolo ed ha concettualizzato
l’idea del sapere come processo essenzialmente dialogico e comunicativo (La
storia della filosofia e il suo significato, 1961). Opere principali Mattutino: versi, con
prefazione di Vito Mercadante, Palermo, A. Trimarchi, 1927 Il libro
dell'adolescenza: poema, con introduzione di Federico De Maria, Palermo, Convivio,
1929 Storicità della metafisica, Firenze, Le Monnier, 1944 Introduzione alla
analitica kantiana, Firenze, Sansoni, 1946 Fichte e la filosofia, Firenze,
Sansoni, 1948 Il primo Schelling, Firenze, Sansoni, 1953 Prime ricerche di
Hegel, («Pubblicazioni dell’Urbino», serie di Lettere e Filosofia, X), Urbino,
1959 La storia della filosofia come problema ed altri saggi, Firenze, Vallecchi
1955 Logica hegeliana e filosofia contemporanea: saggi, Pasquale Salvucci,
Firenze, Giunti-Bemporad, 1967. Della propedeutica filosofica e altre pagine
sparse, Urbino, Montefeltro (post., 1996).
Sergio Landucci, Arturo Massolo, "Belfagor, 21/5 (settembre
1966), 546-562 Remo Bodei, Arturo
Massolo, "Critica storica", 2 (31 marzo 1967), 181-203 Studi in onore di Arturo Massolo,
Livio Sichirollo, Urbino, Argalia, 1967 Nicola Badaloni, Ricordo di Arturo
Massolo, "Giornale critico della filosofia italiana", degli scritti
di Arturo Massolo, Alberto Burgio, Urbino, QuattroVenti, 1986 Il filosofo e la
città: studi su Arturo Massolo, Nicola De Domenico e Gianni Puglisi, Venezia,
Marsilio, 1988 Opere di Arturo Massolo.
Mastrofini: Marco Mastrofini
(Monte Compatri), filosofo. Si occupò di filosofia, teologia, filologia,
matematica finanziaria: è noto soprattutto per il volume Le discussioni
sull'Usura (1831) in cui sostenne che non è reato far fruttare il danaro e che
né la Sacra Scrittura, né i Vangeli, né la tradizione ecclesiastica vietavano
di ottenere un giusto interesse per danaro dato a prestito. Questo diede luogo
a molte discussioni ma anche apprezzamenti lusinghieri da economisti dell'epoca
e dall'opinione pubblica. In precedenza,
nel 1803, aveva scritto un'opera di economia finanziaria, il Piano per riparare
la moneta erosa relativa all'inflazione nello Stato Pontificio, opera
largamente utilizzata per la riforma finanziaria dello Stato, intrapresa da Pio
VII. L'edificio del Collegio Romano ove
Mastrofini insegnò A 23 anni venne nominato professore di filosofia e
matematica presso il Seminario Tuscolano di Frascati, dopo essere stato
ordinato sacerdote dal Cardinale Stuart Duca di York. Nel 1798/1799, nel pieno
della crisi della Repubblica Romana, si trasferì a Roma dove venne nominato
professore di eloquenza presso il Collegio Romano. Nel 1800 tornò ad insegnare
filosofia e matematica a Frascati. Nel 1814 si trasferì definitivamente a Roma
dove assume la carica di Consultore della "Nuova Congregazione
cardinalizia per gli affari totius orbis".
Nel 1808 produce le traduzioni dei capolavori di Lucio Anneo Giulio Floro
Sulle cose romane e di Lucio Ampelio Sulle cose memorabili del mondo e degli
imperi. Nel 1812 traduce dal greco Le Antichità romane di Dionigi di
Alicarnasso. Nel 1814 venne pubblicato
un suo saggio sull'italiano, in due volumi, Teoria e Prospetto, ossia dipinto
critico dei verbi italiani coniugati, specialmente degli anomali o mal noti
nelle cadenze, opera che portò un grande contributo allo studio dell'italiano,
utilizzata dall'Accademia della Crusca nella revisione del dizionario della
lingua italiana. Nel 1832 pubblicò Della
maniera di misurare le lesioni enormi nei contratti e nel 1834 uno studio sulla
patria potestà e filiazione, che ebbe larga eco nei circoli giuridici romani,
essendo allora in corso una causa di riconoscimento di paternità per
successione tra i Torlonia e i Cesarini.
Piazza di Monte Citorio (1890-1900) Nell'edificio dove abitava e morì,
in piazza di Monte Citorio n. 121, nel 1875 il Comune di Roma appose una lapide
con il seguente ricordo: «Abitò in
questa casa e vi morì il 3 marzo 1845 Marco Mastrofini che dotto in filologia,
teologo e filosofo assai più grande che celebrato fissò le incerte leggi dei
verbi investigò felicemente con l’uso della ragione i misteri della scienza
divina S.P.Q.R.» Venne sepolto a Monte
Compatri presso il Convento di San Silvestro.
Opere Dissertazione filosofica, Roma 1790 Piano per riparare la moneta
erosa, Roma 1803 Ritratti poetici, storici, critici dei personaggi più famosi
nell'antico e nuovo Testamento, 3 Roma,
1807; Traduzione da Lucio Anneo Floro “Sulle cose romane”, Roma, 1808; Traduzione
da Lucio Ampelio “Sulle cose memorabili del mondo e degli imperi”, Roma, 1808;
Traduzione dal greco da Dionigi di Alicarnasso “Le Antichità romane”, Roma,
1812; Dizionario dei verbi italiani Roma, 1814; Metaphisica sublimior de Deo
triun et uno, Roma, 1816; Traduzione da Appiano “Storia delle guerre civili dei
Romani", Roma, 1826; Traduzione da Arriano “La Storia”, Roma, 1820;
ristampata da Sonzongo con il titolo “Delle cose d'Italia” nel 1826; Le
usureLibri tre, Roma, 1831.; Amplissimi frutti da raccogliere sul calendario
gregoriano, Roma, 1834; L'anima umana e i suoi stati, Roma, 1842; Teorica dei
nomi, Roma, 1855; Teorica e prospetto de' verbi italiani conjgeniti, Roma,
1844. Riconoscimenti La città natale ha dedicato al suo nome la Biblioteca comunale,
situata sul colle di Borgo Ghetto, inaugurata nel 2003 e una piazza cittadina.
Roma Capitale gli ha intitolato una via nella zona di Monte Mario. Note
Biblioteca Comunale Monte Compatri in "Sistema bibliotecario.
Provincia di Roma". Istituzione del
15 settembre 1956. Sito. Sistema informativo toponomastica di Roma
Capitale. Donato Tamblè, «MASTROFINI,
Marco», in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 72, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2008. Marco
Mastrofini, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Opere di Marco Mastrofini, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Marco Mastrofini.
Masullo: Deputato della Repubblica Italiana
Legislature VI Gruppo parlamentare MistoCircoscrizione Campania CollegioNapoli
Incarichi parlamentari Componente della Commissione Istruzione e Belle Arti
Componente della Commissione parlamentare per il parere al governo sulle norme
delegate in materia di stato giuridico del personale della scuola Sito
istituzionale Senatore della Repubblica Italiana LegislatureVII, XII, XIII
Gruppo parlamentarePCI, Progressisti, DS CircoscrizioneCampania CollegioNapoli
I (VII Legislatura), Boscotrecase-Nola (XII e XIII Leg.) Incarichi parlamentari
Membro della Commissione per la biblioteca (XIII Leg.) Membro della Commissione
Istruzione pubblica e beni culturali (XIII Leg.) Membro della Commissione
parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi
radiotelevisivi (XIII Leg.) Sito istituzionale Dati generali Partito politicoPCI
(1972-1991) PDS Titolo di studio laurea in Filosofia e Giurisprudenza
Professioneavvocato e docente universitario. Aldo Masullo (Avellino), filosofo.
Laureato in Filosofia e in Giurisprudenza, è stato dal 1955 libero docente e
dal 1967 Professore di filosofia teoretica. Successivamente, ha insegnato
filosofia morale presso l'Napoli. Ha trascorso vari periodi di ricerca e
di insegnamento in Germania. Dal 1984 al 1990 è stato direttore del
Dipartimento di Filosofia dell'Napoli. È stato socio dell'Accademia
Pontaniana, della Società Nazionale di Scienze Lettere ed Arti di Napoli e
dell'Accademia Pugliese delle Scienze. È stato insignito della medaglia
d'oro del Ministero per la Pubblica Istruzione. Candidato nelle liste del
Partito Comunista Italiano prima e in quelle dei Democratici di Sinistra poi,
dal 1972 al 1976 ha ricoperto la carica di Deputato, mentre dal 1976 al 1979 e
dal 1994 al 2001 è stato Senatore della Repubblica. È scomparso il 24
aprile ; aveva compiuto 97 anni a Pasqua, il 12 dello stesso mese. È stato
attivo e operoso fino all'ultimo, e ha rilasciato la sua ultima intervista il 5
aprile del . La formazione Trascorre i primi dieci anni della sua vita a
Torino. Nel 1933 si trasferisce con la propria famiglia a Nola (NA), dove compie
gli studi superiori frequentando il liceo classico statale Giosuè
Carducci. Masullo tra il 1940 e il 1944 frequenta il corso di laurea in
Filosofia all'Napoli. Si laurea con Emilia Nobile discutendo una tesi sul
filosofo francese Julien Benda. L'Napoli era dominata prevalentemente dal
pensiero di Benedetto Croce; esistevano comunque altri personaggi capaci di una
riflessione autonoma e originale come fu Antonio Aliotta che con il suo
sperimentalismo offrì importanti stimoli al giovane Masullo. Masullo tra
il 1945 e il 1947 prende una seconda laurea in Giurisprudenza con una tesi in
Filosofia del diritto. Esercita la professione di avvocato penalista tra il
1947 e il 1951. Nel frattempo studia l'esistenzialismo che andava diffondendosi
in Italia. Nello stesso periodo è assistente volontario alle cattedre di
filosofia e tiene seminari per Emilia Nobile, Antonio Aliotta, Guido Della
Valle. Masullo compie la sua formazione filosofica a Napoli soprattutto
con Cleto Carbonara. Carbonara era impegnato attraverso i suoi studi di
estetica a ripensare l'attualismo gentiliano. La sua posizione prende il nome
di materialismo critico. Tra il 1953 e il 1957, attraverso il confronto con
Carbonara, Masullo si addestra al rigore concettuale e inizia ad elaborare
una propria posizione originale. Nella formazione e nella costruzione
della prospettiva filosofica di Masullo si combinano diverse componenti. Il
neoidealismo, crociano e gentiliano, lo sperimentalismo di Antonio Aliotta, e,
tra idealismo e materialismo, il materialismo critico di Cleto Carbonara.
Masullo però, mosso dalle proprie inquietudini e dalle impressioni suscitate
dai tragici eventi bellici, studia anche l'esistenzialismo e lo spiritualismo.
Infine il bisogno di comprendere l'uomo concreto e le sue reali tribolazioni lo
conducono ad avvicinarsi alla fenomenologia. Il soggiorno di studio a
Friburgo del 1957-58 gli consente di approfondire lo studio della fenomenologia
e di conoscere il pensiero del neurologo e filosofo tedesco Viktor von
Weizsäcker, il quale aveva introdotto nel linguaggio filosofico e scientifico
il concetto di «patico». Esistenzialismo, spiritualismo, idealismo e
fenomenologia sono correnti di pensiero variamente intrecciate tra di loro. Ciò
che attraversa trasversalmente questi movimenti di pensiero è la radicale
problematizzazione del rapporto tra pensiero e vita, tra il pensiero e il suo
negativo, ciò che pensiero non è. Il pensiero Intuizione e discorso
(1955) è un testo in cui, avvalendosi degli stimoli che provenivano dalla epistemologia,
Masullo si confronta con l'idealismo attualistico e storicistico per riflettere
sul carattere “difettivo” della coscienza e sul suo rapporto con la
conoscenza. Masullo in Intuizione e discorso sostiene che i poli del
fatto e dell'idea, del senso e della coscienza, della vita e delle forme dello
spirito sono legati da un vincolo dialettico. Voler ridurre l'uno all'altro
conduce ad un idealismo soggettivistico o ad un empirismo cieco alle dimensioni
dello spirito. Bisogna comprendere le modalità del vincolo che lega spirito e
corpo. Il pensiero che voglia essere critico, cioè che non voglia ingannarsi,
deve riconoscere che esso si fonda su processi biologici e fisiologici che gli
sono irriducibili. Nel 1957-58 Masullo approfondisce in Germania lo studio
della fenomenologia, ancora poco diffusa in Italia. A Friburgo frequenta i
circoli husserliani capeggiati dall'allievo di Husserl Eugen Fink e conosce
l'opera del neurologo e filosofo Viktor Von Weizsacker del quale Masullo
svilupperà il concetto di "patico". Masullo stesso, tornato in
Italia, traduce e commenta alcuni testi di Husserl in un piccolo libriccino
ormai introvabile (Logica, psicologia, filosofia. Un'introduzione alla
fenomenologia, Napoli, Il Tripode, 1961) il cui contenuto in parte è poi confluito
nel successivo truttura, soggetto, prassi. Masullo considera Husserl
un grande esploratore della coscienza. Husserl cerca di dare un fondamento
filosofico alle scienze positive indagando il modo in cui la coscienza
costituisce il mondo che la scienza prende ad oggetto delle proprie particolari
ricerche. Masullo però, elaborando gli stimoli dell'antropologia medica di
Weizsacker, lavora al passaggio dalla fenomenologia alla patosofia.
Struttura, soggetto, prassi (1962, 1994) è il testo che documenta il
rinnovamento della ricerca di Masullo. Egli fa riferimento alle scienze
positive per mostrare che la coscienza è qualcosa di vivo e concreto e non è
«intellettualisticamente sofisticata», trasparente a sé stessa, come vorrebbero
le filosofie speculative le quali riducono la vita psichica alla vita cosciente
e non tengono conto o minimizzano il peso della dimensione psichica inconscia,
svalutata come qualcosa di filosoficamente irrilevante. S. Non è
possibile una conoscenza diretta, per introspezione/riflessionecome vorrebbero
le filosofie speculativedi ciò che pensiero non è. Il pensiero come esperienza
intersoggettiva, sociale (lo Spirito, il Soggetto) può conoscere i suoi
prodotti, i pensieri, il pensato, ma non può conoscersi come processo, esperienza
del pensare, atto, tempo, «paticità» (cioè il pensare come esperienza
soggettiva, esistenza). D'altronde il pensiero come processo non può essere
conosciuto neanche per inferenza da parte delle scienze positivo-sperimentali.
Queste possono misurare i processi, ma non possono misurarne i vissuti.
Lo scacco, il limite della conoscenza è l'apertura alla prassi e all'etica:
riconoscere il nesso operativo tra senso e significato, crisi e ordine,
«patico» e cognitivo, corpo e mente. Masullo poi analizza i grandi
modelli idealistici e fenomenologici della soggettività. In particolare,
seguendo un'indicazione di Fichte, sviluppa la tesi secondo la quale il
fondamento dell'uomo, cioè la condizione per la quale l'uomo assume i caratteri
della soggettività (libertà, storia, ricerca, progetto, autodeterminazione) è
l'intersoggettività. Di questo fondamento Masullo analizza le modalità di
funzionamento. Masullo, con i suoi studi sulla «intersoggettività» e il
«fondamento» degli anni sessanta e settanta (Lezioni sull'intersoggettività.
Fichte e Husserl, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1963; La storia e la
morte, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1964; La comunità come
fondamento. Fichte, Husserl, Sartre, Napoli, Libreria Scientifica Editrice,
1965; Il senso del fondamento, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1967,
2007; Antimetafisica del fondamento, Napoli, Guida, 1971), analizza le
«operazioni nascoste» in base alle quali si costituisce l'io e in base alle
quali si costituisce l'oggettività del mondo e individua nella originaria
struttura intersoggettiva il fondamento del mondo umano. Il fondamento è la
comunità, ma essa funzionalmente rimane nascosta all'io per permettergli di
istituirsi ed operare, come ben spiega nell'importante saggio Il fondamento
perduto (1984), in cui rielabora e sviluppa spunti presenti negli ultimi
capitoli di Il senso del fondamento (1967) e raccoglie in modo compiuto i
risultati teoretici di due decenni di ricerche intorno al tema della
comunità-intersoggettività come fondamento. Masullo pubblica inoltre il testo
Fichte. L'intersoggettività e l'originario (1986), in cui riprende e aggiorna
il saggio su Fichte contenuto in La comunità come fondamento. Fichte, Husserl,
Sartre (1965). Nel 1980 pubblica Metafisica. Storia di un'idea. Il
capitolo finale, Il sentimento metafisico, è l'indicazione del passaggio a una
nuova fase del pensiero di Masullo, una fase in cui il tema
dell'intersoggettività lascia il posto alla esplorazione delle dimensioni del
vissuto del soggetto, quindi lascia il posto ai temi della paticità, del senso,
del tempo. In effetti anche i suoi corsi universitari di quegli anni
rivelano questo momento di transizione. Negli anni ottanta i corsi
universitari di Masullo sono dedicati in parte ancora al tema dell'intersoggettività
(1981/82 e 1985/86) ma vengono trattati anche i temi caratteristici della
seconda stagione della sua riflessione: nel corso universitario del 1982/83
Masullo tratta della “difettività del soggetto”; nel corso del 1984/85 invece
si occupa di “comprensione del tempo e interpretazione morale”; fino ad
arrivare ai corsi dei primi anni novanta (Masullo termina il proprio
insegnamento alla metà del 1995) definitivamente centrati su “i patemi della
ragione e l'inter-esse etico” (vedi il corso del 1993/94). Nei successivi
studi su «tempo», «senso», «paticità» (Filosofie del soggetto e diritto del
senso, Genova, Marietti, 1990; Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva della
salvezza, Roma, Donzelli, 1995; Paticità e indifferenza, Genova, Il Melangolo,
2003) Masullo sostiene che il pensiero critico, nella sua incapacità di pensare
il passaggio, il processo, la trasformazione, il cambiamento (come egli aveva
sostenuto fin dal 1955 in La problematica del continuo in Aristotele e Zenone
di Elea, seppure solo sul piano logico) è incapace anche di pensare la
soggettività, la quale è una forma particolare di cambiamento, è tempo,
prodursi delle differenze all'interno di un campo strutturato, fortemente
centralizzato, l'organismo umano, portatore della coscienza di sé. In
questi studi degli anni ottanta e novanta Masullo considera le modalità
affettive e psicobiologiche dell'esser soggetto. Filosofie del soggetto e
diritto del senso (1990) raccoglie cinque saggi pubblicati tra il 1982 e il
1989, nei quali Masullo si confronta con Kant, Hegel, Dilthey, Heidegger e
Merleau-Ponty, i quali storicamente hanno posto il tema della soggettività non
riconoscendo però la differenza tra «significato» e «senso». Masullo rivendica
il «diritto del senso» ad essere riconosciuto nella sua radicale e irriducibile
diversità dal significato. Molto più rilevante nella costruzione della
sua prospettiva filosofica è invece il saggio intitolato Il tempo e la grazia.
Per un'etica attiva della salvezza (1995), nel quale Masullo illustra la sua
concezione della frammentazione della soggettività a partire da alcune
considerazioni sui concetti di esperienza e di tempo. I lessici delle lingue
europee antiche e moderne consentono di distinguere la dimensione orizzontale
dell'esperienza propriamente detta (έμττεŀρία, experientia, Erfahrung) la quale
ha un carattere prevalentemente cognitivo rispetto alla dimensione verticale
dell'esperienza meno propriamente detta (πάθος, affectio, Erlebnis), cioè il
vissuto, il quale ha invece un carattere affettivo anziché cognitivo. Da una
parte abbiamo il giudizio su ciò che abbiamo provato, dall'altra abbiamo il
provare come avvertimento immediato dell'accadermi di qualcosa. Ciò
introduce a un'ulteriore precisazione filologica che riguarda la differenza tra
il cambiamento e il tempo. Il tempo non è il cambiamento. Il cambiamento è il
continuo prodursi delle differenze nell'organizzazione delle forme della vita.
Il tempo è l'avvertimento interiore di questo cambiamento, cioè l'avvertimento
di sé attraverso il cambiamento. L'uomo, a differenza degli altri
viventi, è intrinsecamente tempo. Egli istituisce il tempo nel senso che mette
in relazione i cambiamenti a dei sistemi oggettivi di riferimento, ma ancor più
radicalmente l'uomo è tempo in quanto avverte i cambiamenti del mondo esterno
solo in relazione al proprio modificarsi. Questo avvertimento, il «senso»,
è l'indice della soggettività. L'avvertimento della perdita, il senso del
cambiamento, in una parola il tempo, accende l'allucinazione del sé, scatena il
desiderio di permanenza. Parallelamente alla esplorazione della
soggettività, in Il tempo e la grazia Masullo segue gli sviluppi di
un'emergente epistemologia caratterizzata anch'essa dalla contingenza e
irreversibilità del tempo fisico così come la cosmogenetica ce lo illustra. Il
versante umanistico e quello scientifico convergono nel disegnare
un'antropologia la cui etica non è più la moderna e rassicurante etica reattiva
che salva la società con le sue formulazioni sull'ordine del mondo. L'etica
che Masullo vede in prospettiva scaturire da questo nuovo contesto è un'etica
attiva che salva il tempo, cioè il soggetto, dal vivere la perdita prodotta dal
cambiamento come «disgrazia», mutilazione. La perdita è un momento necessario
nella vita di un essere, l'umano, che non semplicemente cambia, ma si rinnova e
costruisce intenzionalmente il proprio futuro. Una volta riconosciuto il
diritto del senso ad essere inteso nella sua irriducibilità al cognitivo
(1990); una volta esplorato il campo del senso-tempo-patico alla luce della
psicanalisi, della letteratura e della filologia; una volta riconosciute le
epocali trasformazioni degli scenari epistemologici, antropologici ed etici
(1995), Masullo nel testo del 2003, Paticità e indifferenza, si chiede quale può
essere ancora, in questo nuovo contesto, il ruolo della filosofia. La filosofia
è «saper assaporare i sapori della vita, gustare a fondo i sensi vissuti, …
elevare i sensi sensibili a sensi ideali e cogliere nei sensi ideali la
possibilità dei sensibili, è la “sapienza del patico” ovvero, se si ricalca
interamente l'etimo greco, è la “patosofia”». Da un pensiero così
articolato derivano alcune indicazioni e cautele etico-pedagogiche. Essendo
l'uomo intrinsecamente temporale, essendo la temporalità umana irreversibile,
l'uomo non può essere fatto oggetto di conoscenza come un qualsiasi ente.
Masullo distingue la conoscenza dalla cura. Egli inoltre distingue le
esperienze (che sono comunicabili e sono i materiali sui quali si costruisce la
conoscenza) dai vissuti (che sono invece costitutivamente «incomunicativi» in
quanto riguardano l'immediatezza del sentire individuale che non è mai
trasparente neanche all'individuo stesso che li vive). La conoscenza è la
dimensione orizzontale dell'esistenza. Essa guarda alla universalità. Mentre la
cura ne è la dimensione verticale. Essa invece guarda alla unicità-identità, ai
vissuti da assaporare e da sublimare in valori da condividere. Mentre la
ricerca di Masullo prosegue in questi anni curvando verso nuove direzioni,
pubblica alcuni nuovi libri. Nel 2005 scrive Filosofia morale per una collana
di libri che illustrano ciascuno il nucleo delle varie discipline filosofiche.
In effetti Filosofia morale non è un elenco di temi, personaggi, concetti ma un
percorso molto personale all'interno delle questioni e dei nodi fondanti della
disciplina: la specificità della filosofia morale e la distinzione tra morale
ed etica; il bene quale orientamento dell'azione umana; il soggetto della vita
morale, la persona; il dovere, la responsabilità e il vincolo che ci lega agli
altri. Nel 2008 invece scrive, intervistato dal giornalista de Il
Mattino, Claudio Scamardella, Napoli siccome immobile. Scamardella, in uno
degli ennesimi momenti difficili per la città di Napoli, cerca la figura di un
saggio, di un'autorità morale capace di interpretare il presente e prefigurare
il futuro di questa città malata. Trova questa figura in Aldo Masullo, filosofo
ma anche protagonista della vita civile e politica della città con concrete
iniziative quali, nel 2006, gli incontri con i giovani e la popolazione
nell'ambito del “Manifesto per salvare Napoli”. Il libro è un lungo dialogo
sulle tante debolezze della città presente che si conclude con un'analisi delle
risorse che danno speranza nel futuro. Masullo nel ha pubblicato La libertà e le occasioni, che
sviluppa il tema del suo ultimo seminario all'Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici di Napoli. L'impegno politico Negli anni sessanta e settanta
la contestazione studentesca segnalava il bisogno di rinnovamento
dell'università italiana. Masullo, per i caratteri originali del proprio
insegnamento, è considerato dagli studenti uno dei professori progressisti.
Egli in quegli anni (1972-1976) fu eletto deputato come indipendente nelle
liste del Partito Comunista Italiano, ed in seguito come senatore, si occupò sempre dei problemi
del sistema scolastico. Inoltre come parlamentare europeo lavorò al fianco di
Nilde Iotti nella Commissione legale. All'inizio degli anni ottanta
alcuni importanti provvedimenti modificano l'organizzazione didattica e
gestionale dell'università (vengono istituiti i dottorati di ricerca,
riordinate le scuole di specializzazione, creati i Dipartimenti). Terminato
l'impegno parlamentare Masullo dirige per due mandati il nuovo Dipartimento di
Studi Filosofici dell'Napoli intitolato ad Antonio Aliotta. Anche attraverso
questo incarico egli incide sulle direzioni della ricerca filosofica a
Napoli. Masullo si mette di nuovo al servizio della politica quando dopo
la crisi politica e sociale degli anni ottanta, agli inizi degli anni novanta
si verifica un generale risveglio della coscienza collettiva. A livello locale
egli dapprima anima per oltre un anno, a partire dal 1991, le “Assise di
Palazzo Marigliano”, un movimento che si opponeva al progetto NeoNapoli
previsto dal preliminare di Piano Regolatore.l, del quale ottenne il rigetto,
suggerendo la demolizione e il rifacimento integrale dei Quartieri Spagnoli.
Forte della popolarità acquistata con questa esperienza è capolista del PDS
nelle elezioni amministrative del giugno 1992 e poi, nel marzo del 1993,
protagonista a Napoli della innovativa esperienza della "giunta del
sindaco". A livello di politica nazionale Masullo dal 1994 al 2001 è
di nuovo impegnato per due legislature al Senato. Egli è membro della
Commissione di vigilanza dei servizi radiotelevisivi e, come negli anni
settanta, della Commissione per l'istruzione pubblica e i beni culturali in
anni nei quali i provvedimenti relativi a istruzione, università e ricerca sono
numerosi e importanti. Amante dei libri e della cultura dei bambini, lo
spessore del Maestro filosofo emerge inoltre quando in aula si discutono
disegni di legge relativi a temi quali l'ergastolo o la procreazione
assistita. Opere Intuizione e discorso, Napoli, Libreria scientifica
editrice, 1955. La problematica del continuo nel pensiero di Zenone di Elea e
di Aristotele, Napoli, Libreria scientifica editrice, 1956. Struttura soggetto
prassi, Napoli, Libreria scientifica editrice, 1962; 1964; Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, La comunità come fondamento, Napoli, Libreria
scientifica editrice, 1965; Antimetafisica del fondamento, Napoli, Guida
editori 1971; Fichte. L'intersoggettività e l'originario, Napoli, Guida
editori, 1986; Filosofie del soggetto e diritto del senso, Genova, Marietti, Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva
della salvezza, Roma, Donzelli, Metafisica. Storia di un'idea, Roma, Donzelli,
La potenza della scissione. Letture hegeliane, Napoli, Edizioni Scientifiche
Italiane, geografia e storia dell'idea di libertà, con Michele Cataudella e
Aldo Alessandro Mola, Reggio Calabria, Falzea. Paticità e indifferenza, Genova,
Il Nuovo Melangolo, 2003.
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Giuseppe Cantillo e Chiara de Luzenberger, Napoli, Editoriale Scientifica, Filosofia morale, Roma, Editori Riuniti, Scienza
e coscienza tra parola e silenzio: atti del convegno (Monte Compatri, 2003),
Pietro Ciaravolo, Roma, Aracne Editrice, Il senso del fondamento, Napoli, Libreria
scientifica editrice, 1967; Giuseppe Cantillo e Chiara de Luzenberger, Napoli,
Editoriale scientifica, Napoli siccome immobile. Aldo Masullo intervistato da
Claudio Scamardella, Napoli, Guida, La
libertà e le occasioni, Milano, Jaca Book, I linguaggi della follia e i passi della
salvezza. Il lavoro psichiatrico di Sergio Piro, in Sergio Piro. Maestri e
allievi, Napoli, Editoriale Scientifica, . Medaglia d'oro ai benemeriti della
scuola, della cultura e dell'artenastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'oro
ai benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte — Roma, 2 giugno 1986
Cittadinanza Onoraria della Città di Napolinastrino per uniforme ordinariaCittadinanza
Onoraria della Città di Napoli — Napoli, 8 giugno Note
PIERLUIGI PANZA, Morto Aldo Masullo, Napoli perde il filosofo della
coscienza, su Corriere della Sera, 24 aprile . 2 maggio . Addio Aldo Masullo, la grazia della filosofia
e della politica, su rainews.it, Napoli, 25 aprile . Addio Aldo Masullo, la grazia della filosofia
e della politica, su ansa.it, 25 aprile .
Rossella Avella, Morto Aldo Masullo: chi era il più grande filosofo
della seconda metà del ‘900 (VIDEO), su interris.it, 25 aprile . Presidenza della Repubblicadettaglio del
conferimento dell'onorificenza
Conferimento della Cittadinanza Onoraria della Città di Napoli ad Aldo
Masullo Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Aldo Masullo
Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file
su Aldo Masullo Sito ufficiale, su
aldomasullo.com 1º maggio ). Aldo
Masullo, su storia.camera.it, Camera dei deputati. Aldo Masullo / Aldo Masullo (altra versione)
/ Aldo Masullo (altra versione), su senato.it, Senato della Repubblica. Registrazioni di Aldo Masullo, su
RadioRadicale.it, Radio Radicale.
Intervista al filosofo Aldo Masullo di Aniello Fioccola, Web Magazine
dell'Università degli Studi di Napoli l'Orientale.
Matassi: Elio Matassi (San
Benedetto del Tronto), filosofo. Allievo di Garroni, è stato Professore di
Filosofia morale, coordinatore scientifico della sezione Filosofia,
Comunicazione, Storia e Scienze del Linguaggio del Dipartimento di Filosofia,
Comunicazione e Spettacolo dell'Università Roma Tre; in precedenza era stato
direttore del Dipartimento di Filosofia (2006-). Si è occupato anche di
Estetica musicale. È stato Presidente
della Società Filosofica Romana e ha fatto parte del comitato direttivo
nazionale della SFI (Società Filosofica Italiana). È stato nel comitato d'onore della Fondazione
Amadeus. Presidente dell’Accademia Estetica Internazionale di Rapallo,
responsabile della sezione filosofica del Consiglio scientifico del Centro
italo-tedesco di Villa Sciarra (Roma), membro della giunta del CAFIS
dell'Università Roma Tre. È stato anche membro del Comitato scientifico della
Fondazione Résonnance dell'Losanna. Ha
diretto la collana Musica e Filosofia per la Mimesis Edizioni di Milano e
quella su I Dilemmi dell'Etica per la casa editrice Epos di Palermo. Ha tenuto
un blog sul "Fatto quotidiano" sui temi che legano la filosofia alle
dimensioni del contemporaneo. Ha collaborato con la rubrica Ricercare, dedicata
alla filosofia della musica, al mensile Amadeus e al mensile Stilos. È stato
direttore della collana Italiana per Orthotes Editrice (Napoli). È stato anche
membro del comitato scientifico-direttivo delle seguenti riviste: Colloquium
philosophicum, Paradigmi,Quaderni di estetica e di critica, Bollettino di studi
sartriani, Filosofia e questioni pubbliche, Links, Lettera Internazionale,
Phasis, Itinerari, Prospettiva Persona, Metabolè, Babel online, Civitas et
Humanitas. Annali di cultura etico-politica. Per quanto concerne il settore
estetico-musicale è presente nel comitato direttivo della rivista
internazionale Ad Parnassum. A Journal of Eighteenth-and Nineteenth-Century
Instrumental Music, di Hortus Musicus, Civiltà musicale, Orpheus, Itamar.
Revista de Investigación Musical: Territorios para el Arte. Ha ricoperto la presidenza di giuria per il
Premio Frascati Filosofia dal 2009.
Menzione speciale della giuria all'VIII premio internazionale di
saggistica “Salvatore Valitutti”, ottobre 2001, per Bloch e la musica
(2001) È stato uno dei principali
collezionisti al mondo di incisioni relative alle esecuzioni delle sinfonie e
della liederistica di Gustav Mahler (circa mille tra vinili e compact
disc). Pensiero Si è occupato di
filosofia tedesca dell'Ottocento e del Novecento, in particolare del pensiero
di Hegel, delle scuole hegeliane, del Neocriticismo tedesco, del marxismo occidentale
e della scuola di Francoforte. Il suo primo lavoro (1977) è stato dedicato alle
Vorlesungen hegeliane di filosofia del diritto e all'interpretazione fornitane
da Eduard Gans. Nel lavoro successivo, del 1979, si è occupato del pensiero del
giovane György Lukács, in particolare dal 1907 al 1918, utilizzando per la
prima volta il celebre manoscritto "Dostoevskij" si è poi occupato
del filosofo frisone Frans Hemsterhuis, l'autore della celebre Lettera sui
Desideri, tradotta in tedesco da Johann Gottfried Herder e del dialogo Alessio
o dell'età dell'oro, tradotto in tedesco da Friedrich Heinrich Jacobi. Le sue più recenti ricerche hanno riguardato
la filosofia della musica moderna e contemporanea e in particolare su quella di
Ernst Bloch, di Walter Benjamin e di Theodor Adorno, fino ad elaborare
un'originale filosofia dell'ascolto, le cui suggestioni si possono rintracciare
nella teoria musicale moderna di Ernst Kurth, elaborata nei Fondamenti del
contrappunto lineare. In tale prospettiva di ricerca, filosofia della musica e
filosofia dell'ascolto sono strettamente compenetrate, fino a diventare il
paradigma di una rivoluzione formativa che mette al centro del sistema
educativo contemporaneo la musica nella sua declinazione storico-teorica come
in quella pratica. All'interno di tale
prospettiva svolge un ruolo centrale Wolfgang Amadeus Mozart, il "più
ascoltante tra gli ascoltanti" come lo definì Martin Heidegger. Opere Questa voce è da wikificare Questa voce
o sezione sull'argomento filosofi non è ancora formattata secondo gli standard.
Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di . Segui i suggerimenti del
progetto di riferimento. Le Vorlesungen-Nachschriften hegeliane di filosofia
del diritto, Roma, Sansoni, 1977 Il giovane Lukàcs. Saggio e sistema, Napoli,
Guida, 1979 Hemsterhuis. Istanza critica e filosofia della storia, Napoli,
Guida, 1983 Eredità hegeliane, Napoli, Morano, 1992 Terra, Natura, Storia,
Soveria Mannelli, Rubettino, 1995 Bloch e la musica, Salerno, Fondazione
Filiberto Menna, Marte editore, 2001 Musica, Napoli, Guida, 2004 (traduzione
francese in corso) La bellezza (insieme a Walter Pedullà e Fulcro Pratesi),
Soveria Mannelli, Rubettino, 2005 Th. W. Adorno: l'estetica. L'etica (insieme a
Elena Tavani), Donzelli, Roma 2005 L'idea di musica assoluta, Nietzsche e
Benjamin, Rapallo, Il ramo, 2007 Kierkegaard e la condizione desiderante. Le
seduzioni dell'estetico (insieme a Isabella Adinolfi) Il nuovo melangolo,
Genova 2009 Filosofia dell'ascolto, Rapallo, Il ramo, Il giovane Lukàcs. Saggio e sistema, ristampa
con una nuova introduzione, Milano, Mimesis Edizioni, . La Pausa del Calcio,
Rapallo, Il ramo . Pensare il calcio, Rapallo, Il Ramo . Escucha y comunidad:
desde el "Fragmento filosofico-politico (W. Benjamin) a la
"Investigaciones filosoficas sobre las situaciones musicales" (G.
Anders), ITAMAR, 3, 1889-1713 Sur l'échange pervers entre
thèodicée et anthropoligie. LA RÈGLE DU JEU, El espiritu faustiano y la musica.
ITAMAR, 1889-1713 Kierkegaard, el Don
Juan de Mozart y el demoniaco. MUSICAL CARPET: PHILOSOPHIE OF THE HISTORY OF
MUSIC CONTRA THE SOCIOLOGY OF MUSIC. AD PARNASSUM, HESSE UND DIE
"NEUPYTAGIRUSCHE MUSIKLEHRE". HERMANN-HESSE-JAHRBUCH, Adaemonic/Daemonic Spirit of Music: E.T.A.
Hoffmann's Review of Beethoven's Fifth Symphomy and the Apology of Instrumental
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II APRILE153-163, 1722-3954
INSTRUMENTAL MUSIC IN W.H. WACKERONDER. AD PARNASSUM, "Musical Concepts":Philosophy of the
History of Music 'contra' the Sociology of Music. In: Instrumental Music and
the Industrial Revolution.
978-88-8109-468-4 Ernst Kurth als moderner Klassiker: die Philosophie
des Zuhoerens. In: Klassische Moderne. WÜRZBURG:Koenigshausen & Neumann
Georg Lukàcs und das Jahr 1968 in der italienischen Kultur. In: RUDIGER
DANNEMANN A CURA DI. Lukàcs und 1968. Eine Spurensuche. 978-3-89528-707-7 Vladimir Jankélévitch et
l'écoute mortelle. In: En dialogue avec Vladimir Jankélévitch. 978-2-7116-4363-9 Hesse und die
neupythagoreische Musiklehre. In: Hermann-Hesse-Jahrbuch, Band 3 L'esthétique
musical en tant que philosophie, in In:
ELIO MATASSI. Perspectives de l'esthétique musicale entre théorie et histoire.
p. 85-96, PARIS:L'Harmattan,
978-2-296-03392-4 L'Ineffable et l'utopique comme dimension de l'écoute:
Jankelévitch et Bloch Vladimir
Jankélévitch. L'empreinte du passeur, sous la direction du Francoise Schwab et
Jean-Marc Rovièr. In: ELIO MATASSI. Vladimir Jankélévitch. L'empreinte du
passeur, sous la direction du Francoise Schwab et Jean-Marc Rovièr. p. 119-136,
CERISY-LA SALLE:EDITION LE MANUSCRIT BEAUTY AND TEMPORALITY IN HEMSTERHUIS'S
LETTRE SUR LA SCULPTURE. In: MELICA C. CURATORE. HEMSTERHUIS: A EUROPEAN
PHILOSOPHER REDISCOVERED. p. 143-154, NAPOLI:Vivarium, Die Musikphilosophie bei
W. Benjamin und G.ANDERS. In: . Theologie und Politik a c. di B.Witte. BERLINO:Eric
Schmidt Verlag, Sur la peinture
Hernéutique: Pier Augusto Breccia, "le messager d'alterité", in Pier
Augusto Breccia "Le langage chiffré dell'Etre". In: Du Nihilism à
l'hermenéutique ÉCOUTE MUSICALE ET PLAISIR ESTHÉTIQUE CHEZ ERNST BLOCH. In:
D'HUBERT DAMISCH. Y VOIR MIEUX, Y REGARDER DE PLUS PRES. UNICO153-161, PARIS: Éditions rue d'Ulm; Hemsterhuis FranciscusLettera sulla scultura;
a c. di Elio Matassi. Palermo: Aesthetica, 1994; 88-7726-034-3 Trauerspiel und Oper bei Walter
Benjamin. In: Klang und Musik bei Walter Benjamin, hrsg. von Tobias Robert
Klein, Wilhelm Fink, Muenchen , Funktion der Kunst und absoluter Idealismus bei
Hegel, in "Kunst-Religion-Politik", Alain Patrick Olivier, Elizabeth
Weisser-Lohmann, Fink, Muenchen, Sur la peinture Hernéutique: Pier Augusto
Breccia, “le messager d’alterité”, in Pier Augusto Breccia “Le langage chiffré
dell’Etre”. In: Du Nihilism à l’hermenéutique Altri progetti Collabora a
Wikiquote Citazionio su Elio Matassi
Francesca Iannelli, Elio Matassi über Musik und Philosophie, in
"Musik und Aesthetik", Convegno su "La bellezza", presso il
Centro di Studi Rosminiani di Stresa, Elio Matassi Musica e
Creatività[collegamento interrotto] Intervista a Rai Notte "La musica
assoluta" Inconscio e Magia Intervento al Teatro dell'Opera di Roma
il 5 maggio Intervento al seminario di formazione del PD
Le parole e le cose dei democratici Pisa, Palazzo dei Congressi [collegamento
interrotto] Intervento alla Summer School della Fondazione Italiani-Europei,
sui rapporti tra democrazia e capitalismo, 5 maggio . Commento al concerto jazz di Massimo Donà,
"Tutti in gioco", Porto Civitanova, 6 settembre 2009 Bloch e la musica. Utopia a misura d'uomo.
Intervista al prof. Elio Matassi
Prefazione a Ernst Bloch, Ornamenti, Arte, filosofia, letteratura,
Micaela Latini, Armando, Roma, , 9–14.
La pausa del calcioElio Matassi su RAI Filosofia, su filosofia.rai.it. Il
Potere e la Gloria. Juventus e InterElio Matassi su Il Fatto Quotidiano, su
ilfattoquotidiano.it. Micaela Latini, intervista a Elio Matassi su Amare, ieri,
di G. Anders, rivista on-line «SWIF-Recensioni filosofiche», 6 febbraio 2005,
link (consultato il 18.02.). Micaela Latini, Doppia risonanza sul mondo (a
proposito di "Musica" di Elio Matassi, Napoli 2004), “Il Manifesto”,
28.01.05; Carlo Serra, Recensione a "Musica", di Elio Matassi,
Napoli, Filosofia Filosofo del XX secoloFilosofi italiani Professore1945 22 settembre 17 ottobre San Benedetto del
Tronto Roma
Matera: Alano da Matera
(Matera), filosofo. Alano fu uno dei più grandi studiosi e divulgatori di
Astrologia occidentale e filosofia dell'epoca. Visse nella seconda metà del
secolo XIII e insegnò dapprima a Matera, sua città natale e successivamente
occupò la cattedra di astronomia a Napoli.
Visse nel periodo in cui la Contea materana era dominio degli Angioini e
su richiesta del re di Francia Filippo IV detto "il bello", il re di
Napoli Carlo II d'Angiò, detto "lo zoppo", inviò Alano a Parigi. Lì
fu docente presso l'Università e divenne noto come Dottore universale,
profondamente versato in teologia, filosofia e astrologia.. In quegli anni
infatti astronomia e astrologia venivano collegate poiché si credeva che gli
astri potessero esercitare un influsso sulle azioni umane. Nei periodi di soggiorno a Matera, egli
abitava, secondo il cronista Eustachio Verricelli: «nella contrada di Lo
Lapillo tra il castello et il puzzo dove sorge l’acqua della fontana hera la
sua vigna con una casuccia di pietre, piccola, mal fatta casa propria di
filosofo quale oggidì si chiama la vigna et casa di Alano»; si trattava della
collina dove poi fu edificato il Castello Tramontano. In quella casetta il
grande studioso passava intere notti ad osservare il cielo e gli astri con
strumenti rudimentali. Di Alano, secondo
il Cassaneo, è il motto latino presente nel libro “Gloria Mundi” «Gutta cavat
lapidem non bis, sede saepe cadendo, sic tu proficias non bis, sed saepe
studendo («La goccia perfora la pietra non colpendola due volte con forza,
bensì colpendola continuamente, così tu trai profitto studiando non due volte
ma continuamente»). È l'esortazione con cui invita i giovani a raddoppiare
impegno e curiosità sulla strada della conoscenza. Secondo alcuni, il perfetto orientamento
delle facciate della Cattedrale di Matera e del suo campanile lungo i punti
cardinali si deve alle osservazioni astronomiche di Alano. A Matera una strada, trasversale di via
Nazionale, tra le vie Salvemini e Di Vittorio, è dedicata ad Alano. Note
Giustino Fortunato, Badie, feudi e baroni della Valle di Vitalba, Volume
3, ed. P. Lacaita, 1968178 Personaggi
della storia materana, Altrimedia Edizioni 1999, per i Quaderni della
Biblioteca provinciale di Matera
Marcello Morelli, Storia di Matera, ed. F. lli Montemurro, 1963,
p.164 Francesco Paolo Volpe, Memorie
storiche di Matera, ed. Atesa, 1818 p.61
'Dizionario corografico del Reame di Napoli, ed. Civelli, 1852
p.587 Biografie dei personaggi illustri
di Matera, sassiweb.it. 12 luglio 7
gennaio ). Antonio Giampietro,
Personaggi della storia materana[collegamento interrotto], Matera, Altrimedia
Edizioni.
Mathieu: Vittorio Mathieu
(Varazze), filosofo. Dopo il liceo, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza
di Torino. Si laureò in filosofia teoretica nel 1946 all'Torino con Augusto
Guzzo, filosofo rappresentante dello spiritualismo cristiano ed autore di
importanti studi su Immanuel Kant (un pensatore che sarebbe stato centrale
nella vita intellettuale di Mathieu). Libero docente nella stessa materia
nel 1956, dal 1958 ne è stato professore incaricato, e dal 1961 Professore di
filosofia teoretica all'Trieste. Primo vincitore del concorso di Storia della
filosofia del 1960, dal 1967 è stato ordinario di filosofia fino al ruolo di
professore emerito di filosofia morale, nell'Torino. Dal 1972 al 1980 è
stato membro del Comitato 08 del CNR. Dal 1976 al 1980 è stato membro e poi
vicepresidente del Consiglio esecutivo dell'UNESCO (Parigi). È stato membro del
Comitato Nazionale di Bioetica. Attualmente è socio dell'Accademia dei Lincei e
membro del Comitato Premi della Fondazione Balzan. Nel 1994 ha fondato
con Silvio Berlusconi, Lucio Colletti ed altri il movimento politico Forza
Italia. Nel 1996 si è candidato al Senato della Repubblica nel collegio di
Settimo Torinese: sostenuto dal centrodestra (ma non dalla Lega Nord), Mathieu
ottenne il 33,2% e venne sconfitto dal rappresentante dell'Ulivo Giancarlo
Tapparo. Con il sindaco di Brindisi Domenico Mennitti ha dato vita alla
Fondazione Ideazione, per il cui quotidiano online ha curato una rubrica fino
alla chiusura della testata. Nel luglio
(in connessione con la sua carica di presidente del collegio dei
probiviri del PdL che è chiamato a giudicare l'operato dei finiani di
Generazione Italia) diversi organi di stampa riprendono la voce, già circolante
da tempo, di una sua adesione all'Opus Dei. A tale proposito sono giunte alla
redazione del Corriere della Sera che aveva pubblicato la notizia le smentite
sia dell'Opus Dei che dell'interessato. Pensiero filosofico Mathieu ha
offerto contributi significativi in almeno quattro ambiti della ricerca
filosofica: la filosofia della scienza; la storia della filosofia;
l'estetica; la filosofia civile. Filosofia della scienza Ha indagato i limiti
interni ed i limiti esterni della scienza. Tale indagine ha avuto due filosofi
del passato come suoi principali punti di riferimento: Immanuel Kant e Henri
Bergson. Mathieu ha infatti ripreso e sviluppato le classiche ricerche di Kant
sui limiti interni della scienza e sulla sua fondazione. A tale riguardo, non
ancora ventiseienne, nel 1949, pubblicò il saggio "Limitazione qualitativa
della conoscenza umana" a cui fece seguito, nel 1960, "L'oggettività
nella scienza e nella filosofia moderna e contemporanea". Seguendo
Henri Bergson, ha valorizzato anche altre forme della conoscenza e della
espressività umane non riducibili alle scienze naturali, ma non per questo ad
esse opposte. Mathieu ha infatti sempre ritenuto che la realtà, e segnatamente
la realtà umana, non possa essere esaurita dalla scienza, e richieda invece una
costante attività interpretativa. L'uomo, dunque, è chiamato ad essere
scienziato della natura ed ermeneuta della cultura. Sarebbe però
riduttivo non ricordare che i contributi di Mathieu alla filosofia della
scienza riguardano una pluralità estremamente diversificata di temi. Ad
esempio, sono del 1970 due studi pionieristici sull'applicabilità del teorema
di Gödel al diritto. Kurt Gödel aveva scoperto nel 1931 che non si può
dimostrare la coerenza di un sistema logico all'interno del sistema stesso;
Mathieu ritiene che, almeno analogicamente, la scoperta di Gödel possa
applicarsi al problema della fondazione di un sistema giuridico. Per Mathieu,
un'autorità non può legittimarsi da sola in modo formale e, dunque, anche il
diritto richiede fondamenti esterni: l'efficacia e la giustizia. Storia
della filosofia Ha realizzato alcune traduzioni fondamentali. E forse il
contributo maggiore di Mathieu alla storia della filosofia è consistito proprio
in un'opera che combina traduzione e ricostruzione critica, ovvero l'opus
postumum di Kant, pubblicato nel 1963. Tale opera affronta questioni teoriche
tutt'oggi aperte (soprattutto nella fisica e nella biologia teoriche), come il
problema della forma degli oggetti solidi o il problema del vivente, cioè il
problema della vita in quanto tale e non ridotta a semplice. Mathieu ha
curato poi le edizioni italiane di molte opere di Leibniz: si è trattato di un
ampio lavoro che si è raccolto in quattro principali volumi: "Scritti
politici e di diritto naturale" (1951), "Leibniz e des Bosses"
(1960), "Saggi filosofici e lettere" (1963), "Saggi di teodicea:
sulla bontà di Dio, sulla libertà dell'uomo, sull'origine del male"
(1991). Estetica L'estetica di Mathieu, pur nella varietà dei temi
trattati, rimanda ad una problematica essenzialmente ontologica: lo svelarsi
dell'ente. Cioè, l'opera d'arte è heideggerianamente concepita come il modo
attraverso cui gli uomini possono cogliere il passaggio dal nulla
all'essere. Di estetica è anche l'ultimo libro di Mathieu: "Goethe e
il suo diavolo custode", edito nel 2002 per i tipi di Adelphi. Al centro
di questa ricerca vi è la figura di Mefistofele, analizzata in tutta la sua
profondità e capacità genealogica. Nei suoi volumi
sull'estetica della musica sviluppa la tesi affascinante che ascoltare la
musica è un ascoltare il silenzio: «Grande è la potenza significante di
ciò che non significa nulla, perché è il nulla a far emergere l'essere delle
cose. E la musica e la luce si situano proprio in questo iato insuperabile fra
l'essere e il nulla.» Filosofia civile Entro i molteplici contributi di
Mathieu alla filosofia civile, si staglia netta, per importanza e originalità,
una triade di libri dedicati a quello che potremmo chiamare "stato
spirituale dell'Occidente". Si tratta di tre opere scritte dal 1972 al
1980, in un periodo dunque estremamente critico per l'Italia, ma che mantengono
ancora una grande attualità. Mathieu fa percepire al lettore il pericolo
valoriale in cui è venuto a trovarsi l'Occidente e pone in essere una critica
serrata alle ideologie totalitarie o nichiliste. In questo senso, vi è un'aria
di famiglia con i lavori di quei filosoficome ad esempio José Ortega y Gasset e
Max Horkheimerche hanno prospettato i rischi di un'eclisse dell'individuo nella
società tecnologica di massa. Note
un articolo sul Corriere della Sera
rettifica sul Corriere della Sera
smentita sul Corriere della Sera
Bergson, Torino, 1954; La filosofia trascendentale e l'Opus postumum di
Kant, Torino, 1958; Leibniz e Des Bosses, Torino, 1960; L'oggettività nella
scienza e nella filosofia contemporanea, Torino, 1960; Il problema
dell'esperienza, Trieste, 1963; Dio nel "Libro d'ore" di R. M. Rilke,
Olschki, 1968; Dialettica della libertà, Napoli, 1970; La speranza nella
rivoluzione, Milano, 1972; Vincenzo Filippone-Thaulero, Salerno 1973; Temi e
problemi della filosofia contemporanea, Roma, 1977; (opera frutto di una serie
di lezioni alla Radio Svizzera Italiana) Perché punire, Milano, 1980; Cancro in
Occidente, Milano, 1983; La voce, la musica, il demoniaco. Con un saggio
sull'interpretazione musicale, Spirali, 1983; Filosofia del denaro, Roma, 1985;
Elzeviri swiftiani, Spirali, 1986; La mia prospettiva filosofica, Barone
Francesco; Mathieu Vittorio; Melchiorre Virgilio, Gregoriana Libreria Editrice,
1988; Gioco e lavoro, Spirali, 1989; La speranza nella rivoluzione, Spirali,
1992; Il problema del nazionalismo, Mathieu Vittorio; Cotta Sergio, Japadre,
1992; Perché leggere Plotino, Rusconi Libri, 1992; L'opus postumum di Kant,
Bibliopolis, 1992; Tipologia dei sistemi e origine della loro unità, Accademia
dei Lincei, 1994; Orfeo e il suo canto. Scritti (1952-1993), Zamorani, 1996; Il
nulla, la musica, la luce, Spirali, 1996; Il problema della fedeltà
ermeneutica, Mathieu Vittorio; Paoletti Laura, Armando Editore, 1998; Per una
cultura dell'essere, Armando Editore, 1998; L'uomo animale ermeneutico,
Giappichelli, 2001; Le radici classiche dell'Europa, Spirali, 2002; Goethe e il
suo diavolo custode, Adelphi, 2002; Privacy e dignità dell'uomo. Una teoria
della persona, Giappichelli, 2004; Come leggere Plotino, Bompiani, 2004; Perché
punire. Il collasso della giustizia penale, Liberilibri, 2008; Introduzione a
Leibniz, Laterza, 2008; In tre giorni, Mursia, ; La filosofia, Marcovalerio, . Immanuel Kant Henri Bergson Altri progetti
Collabora a Wikiquote Citazionio su Vittorio Mathieu Rubrica di Vittorio Mathieu sul quotidiano
online Ideazione, su ideazione.com. Articolo del fatto quotidiano, su
ilfattoquotidiano.it. 3 agosto 1º agosto
). Chiarimento del portavoce dell'Opus Dei sulla non appartenenza di Vittorio
Mathieu alla Prelatura dell'Opus Dei, su archiviostorico.corriere.it.
Maturi: Sebastiano Maturi
(Amorosi), filosofo. Docente prima nei licei e poi nell'Napoli. Dopo i primi
studi nella cittadina natale, si trasferì a Napoli ove conseguì la licenza
liceale. La frequentazione di Bertrando Spaventa e di Augusto Vera, lo
introdusse alla filosofia hegeliana
destinata ad esercitare nel suo pensiero un'influenza duratura. Laureatosi in giurisprudenza nel 1866, tre anni
dopo vinse un concorso per uditore giudiziario . Ottenuta l'abilitazione, insegnò filosofia
nei licei di varie città . Nel 1891, conseguita la libera docenza, tenne corsi
di filosofia hegeliana nell'Napoli fino al 1894, quando ritornò
all'insegnamento liceale presso l'istituto Umberto I della città partenopea
. Dal 1898 iniziò una corrispondenza con
Croce e Gentile, i maggiori esponenti dell'idealismo italiano, ai quali fu
legato da un rapporto di amicizia. Opere
Soluzione del problema fondamentale della filosofia (1869) La filosofia di
Giordano Bruno (1878) L'ideale del pensiero umano ossia la esistenza assoluta
di Dio (1882) Uno sguardo generale sulle forme fondamentali della vita (1888)
L'idea di Hegel (1891) La filosofia e la metafisica (1894) Principî di
filosofia (1897) Una relazione scolastica (1907) Note Vedi G.L. Petrone, in Dizionario Biografico
degli Italiani, riferimenti in . Mario
Dal Pra, Il pensiero di Sebastiano Maturi, Milano, Bocca, 1943. Augusto Guzzo,
Maturi, Brescia, Morcelliana, 1946. Antonio Gisondi, Forme dell'Assoluto.
Idealismo e filosofia tra Maturi, Croce e Gentile, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 2002. Giletta Giovanni, "Filosofia hegeliana e religione.
Osservazioni su Sebastiano Maturi", Benevento, ed. Natan, . Hegelismo Idealismo Neoidealismo italiano
Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a
Sebastiano Maturi Guido Calogero,
«MATURI, Sebastiano» in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1934. Giuseppe Landolfi Petrone, «MATURI, Sebastiano» in Dizionario
Biografico degli Italiani, Volume 72, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana.
Maturi: Walter Maturi
(Napoli), filosofo. Compì la sua formazione culturale a Napoli dove si laureò
con lo storico Michelangelo Schipa, uno dei firmatari del manifesto degli
intellettuali antifascisti redatto nel 1925 da Benedetto Croce. Del suo
maestro, per la lezione di rigore storico che gli aveva impartito, Maturi
conservò sempre un commosso ricordo ed ebbe modo di esprimere pubblicamente la
sua gratitudine in occasione della morte di Schipa, pronunciandone nel 1939 il
necrologio. Maturi seguì con attenzione ed interesse, ma anche con
spirito critico, le lezioni di Benedetto Croce conseguendo una seconda laurea
in filosofia con Giovanni Gentile con una tesi su Joseph de Maistre.
Impostato sulla lezione crociana è il saggio La crisi della storiografia
politica italiana del 1930 a cui seguì quello dedicato a Gli studi di storia
moderna e contemporanea, inserito nel primo dei due volumi dell'opera del 1950
Cinquant'anni di vita intellettuale italiana in onore di Croce. Il suo
primo lavoro Il concordato del 1818 tra la Santa Sede e le Due Sicilie
pubblicato nel 1929 fu giudicato positivamente dalla critica storica di Adolfo
Omodeo che lo recensì ne La Critica del 1930. Dallo stesso anno Maturi
frequentò la Scuola storica per l'età moderna e contemporanea diretta da
Gioacchino Volpe e dal 1935 al 1941 fu segretario e bibliotecario dell'Istituto
storico per l'età moderna e contemporanea. Fu collaboratore
dell'Enciclopedia italiana per la quale scrisse numerose voci tra le quali
quella dedicata al "Risorgimento" ispirata alle sue idee
liberali. A causa di questo episodio, nonostante il suo disinteresse per
la vita politica attiva, Maturi fu allontanato per il periodo 1936-37
dall'Istituto storico per l'età moderna e contemporanea. Nelle sue opere
di storia politica i suoi punti di riferimento furono Benedetto Croce,
Friedrich Meinecke, Gaetano Salvemini, Gioacchino Volpe. Dapprima come
incaricato di Storia del Risorgimento e poi come ordinario nel 1939 tenne le
sue lezioni all'Pisa dove ebbe modo di scrivere numerose opere come alcune
importanti voci nel IV volume del Dizionario di politica a cura del Partito
nazionale fascista (1940), il saggio Partiti politici e correnti di pensiero
nel Risorgimento (1942), l'accurata biografia Il principe di Canosa
(1944). I corsi di storia della storiografia tenuti a Pisa furono
continuati all'Università degli Studi di Torino nel 1948 quando ebbe la
cattedra di Storia del Risorgimento e quella di Storia delle dottrine politiche
che occupò sino alla sua inaspettata scomparsa. Le sue lezioni di
quest'ultimo periodo furono raccolte nell'opera postuma Interpretazioni del
Risorgimento (1962) considerata di primaria importanza dagli storici.
Opere Interpretazioni del Risorgimento , coll. Biblioteca di cultura storica
Einaudi, 1962 808 Note XXIX dell'Enciclopedia italiana, 1936 Accademia delle scienze di Torino Archiviato
il 27 settembre 2007 in . In memoria di
Walter Maturi, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Roma
1962. Interpretazioni storiografiche del
Risorgimento Walter Maturi, in
Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Walter Maturi, in Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Maurizi: Marco Maurizi (Roma),
filosofo. Si è laureato in filosofia della storia presso l'Università degli
Studi di Roma "Tor Vergata" e ha conseguito il dottorato di ricerca
nella medesima università discutendo una tesi su Cusano e il concetto di non
altro da cui è nato il volume La nostalgia del totalmente non altro. Cusano e
la genesi della modernità (Rubbettino, 2007). Dopo un periodo di formazione in
Germania attualmente svolge la sua attività di ricerca presso l'Università
degli Studi di Bergamo. Ha pubblicato le sue ricerche su alcune prestigiose
riviste come la Rivista di filosofia neo-scolastica, il Journal of Critical
Animal Studies, Dialegesthai, Alfabeta2, Lettera Internazionale, e collaborando,
inoltre, con i quotidiani Liberazione e L'Osservatore Romano. Ha poi
partecipato alla stesura del secondo volume di L'Altronovecento. Comunismo
eretico e pensiero critico (Jaca Book, ) ed è il traduttore e curatore
dell'edizione italiana di Georg Lukács, Coscienza di classe e storia. Codismo e
dialettica, Alegre, Roma 2007, di Ralph Acampora, Fenomenologia della
Compassione, Edizioni Sonda, Casale Monferrato, , e ha tradotto, con G.
Dalmasso, J. Derrida, Teoria e prassi. Corso dell'École Normale Supérieure
1975-1976, Jaca Book, Milano, . Ha contribuito alla fondazione delle riviste
scientifiche "Liberazioni" e Animal Studies. Rivista italiana di
antispecismo. Pensiero Maurizi ha suddiviso i suoi interessi di ricerca
tra la filosofia dialettica (Cusano, Hegel, Marx, Adorno), la teoria critica
della società e le implicazioni politiche di una visione "sociale"
dell'antispecismo a partire da una rielaborazione del pensiero della scuola di
Francoforte. Tanto le sue ricerche su Adorno, quanto quelle su Cusano si
incentrano sul tentativo di porre in evidenza il tema della storicità
dell'umano non in termini di un astratto e formale
"essere-nel-tempo", quanto più propriamente nel vedere nell'essere
storico, in tutta la sua determinatezza, l'irriducibile istanza di verità
dell'umano stesso: l'essere storico è in tal senso irriducibile ad ogni
ontologia dell'essere temporale seppure ciò non porti necessariamente ad un
relativismo storicista. Prendendo spunto dalla lettura critico-negativa di
Hegel portata avanti da Adorno, infatti, Maurizi sostiene la leggibilità e
razionalità della storia come segno del dominio, l'universale storico non come
traccia di un positivo che si farebbe strada attraverso il negativo delle
vicende umane, bensì come questo stesso negativo che informa di sé la civiltà,
imprimendo ad essa la direttrice di un progresso della razionalità strumentale
che è l'antitesi della redenzione. La sua rilettura del pensiero della
filosofia di Francoforte ha così costituito un punto di partenza per una ridefinizione
dell'opposizione natura/cultura e lo ha portato ad estendere la critica ai
meccanismi di dominio anche al controllo e allo sfruttamento del non umano, e
più in generale della Natura. Il suo pensiero riguardo alla filosofia
antispecista è in continuità con quello espresso dal sociologo David Nibert ed
in netta opposizione all'utilitarismo di Peter Singer criticato da Maurizi come
un antispecista metafisico. Un punto centrale nell'argomentazione filosofica di
Marco Maurizi, che rende originale il suo lavoro rispetto a quello degli altri
teorici dei diritti animali, riguarda l'interpretazione in termini
storico-sociali dello specismo. Ogni attività intellettuale «antispecista»,
secondo Maurizi, consiste quindi essenzialmente nel fare propria questa scelta
di campo: sottolineare come la questione animale sia un aspetto irrinunciabile
di ogni ipotesi di trasformazione dell'esistente. Secondo Maurizi
l'antispecismo è dunque essenzialmente politico
e non possiamo affrontare, come fanno Peter Singer o Tom Regan, la
questione animale da una prospettiva astrattamente morale. All'attività di
filosofo, Maurizi ha così affiancato quella di attivista per i diritti animali,
intrecciando l'attività speculativa con quella politica; risultato di questa
attività è il libro Al di là della Natura: gli animali, il capitale e la
libertà (Novalogos, ). Maurizi è stato inoltre fondatore delle riviste di
critica antispecista Liberazioni e Animal Studies, della rivista online Asinus
Novus che prende il nome dal suo breve testo Asinus Novus: lettere dal carcere
dell'umanità (Ortica, ). Nel
l'associazione Per Animalia Veritas raccoglie alcuni suoi scritti che
rappresentano un sunto aggiornato del suo pensiero sulla filosofia antispecista:
Cos'è l'antispecismo politico (Per Animalia Veritas, ). Sulla scia delle
riflessioni adorniane, Maurizi ha anche lavorato sulla filosofia della musica e
la teoria critica musicale. Le sue teorie sull'antispecismo politico sono
abbondantemente discusse nel libro di Lorenzo Guadagnucci Restiamo Animali:
vivere vegan è una questione di giustizia (Terre di Mezzo, ), da Matthias Rude
Antispeziesismus. Die Befreiung von Mensch und Tier in der Tierrechtsbewegung
und der Linken (Schmetterling, Stuttgart ) e altri autori della scena
antispecista di lingua tedesca. Opere principali Adorno e il tempo del
non-identico, Jaca Book, 2004 La nostalgia del totalmente non altro. Cusano e
la genesi della modernità, Rubettino, 2007 Al di là della Natura: gli animali,
il capitale e la libertà, Novalogos,
Asinus Novus: lettere dal carcere dell'umanità, Ortica, . Cos'è
l'antispecismo politico, Per animalia veritas, . L'io sospeso. L'immaginario
tra psicanalisi e sociologia, Jaca Book, . Chimere e passaggi. Cinque
attraversamenti del pensiero di Adorno, Mimesis, . con Michael Hardt e Massimo
Filippi, Altra specie di politica, Mimesis . con Baptiste Le Goc, Musica per il
pensiero. Filosofia del progressive italiano, Mincione, . La vendetta di
Dioniso: la musica contemporanea da Schönberg ai Nirvana, Jaca Book, . Quanto
lucente la tua inesistenza. L'Ottobre, il Sessantotto e il socialismo che
viene, Jaca Book, . Note Intervento di
M. Maurizi su questi temi per la Casa della Cultura di Milano:
youtube.com/watch?v=ZNfJrRx-7fo
Intervista a Marco Maurizi su questo tema a cura del collettivo
Tierrechtsgruppe Zürich (Zurigo)://tierrechtsgruppe-zh.ch/?p=1344 M. Maurizi La genesi dell'ideologia specista
in Liberazioni://liberazioni.org/articoli/MauriziM-04.htm Archiviato il 16
aprile in . M. Maurizi Per una cultura antispecista in
Asinus Novus: rivista di antispecismo e filosofia: Copia archiviata, su
asinusnovus.wordpress.com. 21 maggio 31
luglio ). Intervento M. Maurizi per il
primo convegno nazionale antispecista: youtube.com/watch?v=JwZiW4ngrag Intervista a M. Maurizi e L. Caffo sulle
nuove prospettive dell'animalismo: youtube.com/watch?v=2rI70YSXCKI Testo recensito da L. Pigliucci per la
rivista "Lo Straniero" di Aprile : Copia archiviata, su
asinusnovus.wordpress.com. 21 maggio 10
maggio ). Intervista di F. Pullia sul
quotidiano "Notizie Radicali" del 19/03/: Copia archiviata, su
notizie.radicali.it. 21 maggio 24
febbraio ). Una recensione del testo:
Copia archiviata, su asinusnovus.wordpress.com. 27 agosto 29 agosto ).
B. Le GocM. Maurizi, Musica per il pensiero. Filosofia del progressive
italiano, Mincione, Roma . Antispecismo
Diritti degli animali Scuola di Francoforte Altri progetti Collabora a
Wikiquote Citazionio su Marco Maurizi
Asinus Novus. Antispecismo e Filosofia, su asinusnovus.net. Animal
Studies. Rivista Italiana di Antispecismo, su rivistaanimalstudies.wordpress.com.
Mazzantini: Carlo Mazzantini
(Reconquista) filosofo. Nato in Argentina da genitori italiani, fu ufficiale
nell'esercito italiano durante la prima guerra mondiale, subito dopo si laureò
a'Torino in filosofia, sotto la guida del conte Juvalta e sostenendo una tesi
su “La speranza dell'immortalità.” Insegnò
dapprima in scuole cattoliche torinesi, per poi divenire docente incaricato nel
1937 presso l'ateneo del capoluogo piemontese; divenuto professore di ruolo di
storia della filosofia nel 1942 presso l'Cagliari, dal 1949 insegnò all'Genova,
e dal 1959 fu nuovamente a Torino. Fra i
suoi più celebri allievi, Augusto del Noce. Studioso di Martin Heidegger,
dedicò ampi studi al rapporto fra Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Fu socio
corrispondente, dal 1953, dell'Accademia delle Scienze di Torino. Opere principali La speranza
nell'immortalità, Torino, Paravia, 1923. La lotta per l'evidenza. Studi di
metafisica e gnoseologia, Roma, Studium, 1929. Il problema delle verità
necessarie e la sintesi a priori del Kant, Torino, Edizioni de L'erma, 1935.
Filosofia perenne e personalità filosofiche, Padova, Cedam, 1942. Il tempo.
Studio filosofico, Como, E. Cavalleri, 1942. La filosofia nel filosofare umano.
Storia del pensiero antico, Torino; Roma, Marietti, 1949. Filosofia e storia
della filosofia, Firenze, [s.n.], 1955. Il problema filosofico del libero
arbitrio nelle controversie teologiche del secolo XIII, Torino, S. Gheroni,
1962 La filosofia di G. Scoto Eriugena, Corso di storia della filosofia
medioevale, Torino, Tirrenia, 1964. L'etica di Kant e di Schopenhauer, Torino,
Tirrenia, 1965. Il tempo e quattro saggi su Heidegger, Parma, Studium Parmense,
1969. Note Il ragguaglio dell'attività
culturale e artistica dei cattolici in Italia, Libreria Editrice Fiorentina,
1930380. Carlo Mazzantini, in
Filosofia, 22, Edizioni di
"Filosofia", 1971522. L.
Bagetto, Il pensiero della possibilità: la filosofia torinese come storia della
filosofia, Paravia, 1995152. Giornale di
metafisica, 22, Società Editrice
Internazionale, 1972152. Accademia delle
Scienze di Torino «Mazzantini, Carlo» in
Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009.
Prospettive del pluralismo filosofico. Spunti di indagine nel confronto tra
Erminio Juvalta e Carlo Mazzantini di Andrea Paris, 2 febbraio 2006, in Il
giornale di filosofia.
Mazzarella: Deputato della Repubblica Italiana LegislatureXVI
CircoscrizioneXIX (Campania 1) Incarichi parlamentari Membro della VII
Commissione (Cultura, Scienza e Istruzione) Sito istituzionale Dati generali
Partito politicoPartito Democratico ProfessioneOrdinario di Filosofia Teoretica
nell’Napoli “Federico II”. Eugenio Mazzarella (Napoli), filosofo. Professore di
filosofia teoretica presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, è
tra i principali interpreti italiani del pensiero di Martin Heidegger. Deputato
al Parlamento nella XVI Legislatura per il Partito Democratico. Dopo essersi laureato presso l'Università
degli Studi di Napoli “Federico II” con Aldo Masullo, inizia la sua attività di
ricerca come borsista DAAD in Germania, e successivamente presso l'Salerno. In
seguito è professore incaricato di Estetica presso l'Università dell'Aquila.
Dopo essere stato professore associato di Filosofia Teoretica presso l'Catania
e di Filosofia della storia presso l'Napoli “Federico II”, diventa professore
straordinario di Storia della filosofia presso la Facoltà di Magistero
dell'Salerno e dal 1993 Professore di Filosofia Teoretica presso l'Napoli
“Federico II”. Dal 1995 al 2005 dirige il Dottorato di Ricerca in “Scienze
Filosofiche” dell'Napoli “Federico II” e dal 1999 al 2005 cura la
programmazione e le relazioni internazionali per la Facoltà di Lettere e
Filosofia, di cui è Preside dal 2005 al 2008. Nel 2008 viene eletto deputato
del Parlamento italiano, divenendo componente della VII Commissione Cultura
della Camera. Opere In una delle sue
opere principali, Tecnica e Metafisica. Saggio su Heidegger, Mazzarella indaga
i processi decostruttivo-ermeneutici sottintesi all'heideggeriana storia della
metafisica occidentale, fino a formulare un'ipotesi "ecologica"(in
senso originario, come pensiero relativo all'abitare dell'uomo) relativa alle
interpretazioni del "logos" eracliteo e della categoria aristotelica
della "physis" riscontrate nei saggi successivi alla cosiddetta
"svolta" del pensiero di Heidegger.
In Vie d'uscita. L'identità umana come programma stazionario metafisico,
le aporie di una metafisica del fondamento sono affiancate alla dimensione
tecnica della contemporaneità, intesa storicisticamente come epoca del
compimento del nichilismo. Centrale diventa l'idea di un
"essere-alla-vita", categoria che richiama in modo lampante
l'"essere-nel-mondo" di heideggeriana memoria; le questioni
teoretiche vengono così ridotte a questioni etiche riguardanti un'ontologia
minima, ove la filosofia prima si trasformi in filosofia seconda, lasciando il
posto ad un programma metafisico-antropologico di custodia e mantenimento della
e nella propria epoca. L'essere-alla-vita necessita di intendere la cultura
come “endiadi di natura e storia, ma in questa endiadi natura prima ancora che
storia”. Pensare e credere. Tre scritti
cristiani rappresenta un altro orizzonte del pensiero di Mazzarella; il
rapporto tra religione rivelata e filosofia si gioca sullo sfondo di una
prospettiva storicista di matrice diltheyana, sebbene non siano esenti dalla
riflessione Hegel, Schelling e la teologia dialettica contemporanea.
Interessante è la prospettiva di una religione come "integrazione" e
apertura all'amore fraterno, configurato nel concetto di
"agape". I suoi scritti sono
in ogni caso contrassegnati, com'è tipico della recente scuola di pensiero
napoletana, sorta sulla scia delle dottrine di Benedetto Croce, da una ripresa
di temi propri dello storicismo (Nietzsche e la storia. Storicità e ontologia
della vita). In un dialogo costante con
i teologi più liberali e moderni, quale ad es. Bruno Forte, Mazzarella si è
occupato specificamente dei temi della bioetica, coniugando il tema della
tutela della vita alla ripresa del concetto di sacralità (Sacralità e
vita). In Opera media ha inoltre messo
in luce un talento poetico non indifferente, che gli è valso l'apprezzamento
della critica e diversi riconoscimenti. Ha composto quattro raccolte di poesie,
e pubblicato singoli componimenti in diverse antologie. Nel 1974 è stato
finalista al Premio di poesia “Città di Vita”, Firenze, e nel 1999 ha vinto il
Premio Speciale “La finestra” al Premio Nazionale di poesia “Alessandro Tanzi”
per il volume Un mondo ordinato. Opere
Tecnica e metafisica. Saggio su Heidegger, Guida, Napoli, 1981; Nietzsche e la
storia. Storicità e ontologia della vita, Guida, Napoli, 1983, 2ª ed. 2000;
Storia metafisica ontologia. Per una storia della metafisica tra otto e
novecento, Morano, Napoli, 1987; Ermeneutica dell'effettività. Prospettive
ontiche dell'ontologia heideggeriana, Guida, Napoli, 1993, 2ª ed. 2002;
Filosofia e teologia di fronte a Cristo, Cronopio, Napoli, 1996; Sacralità e
vita, Quale etica per la bioetica?, Guida, Napoli, 1998; Heidegger oggi, E.
Mazzarella, Il Mulino, Bologna, 1998; Pensare e credere. Tre scritti cristiani,
Morcelliana, Brescia, 1999; Vie d'uscita. L'identità umana come programma
stazionario metafisico, Il melangolo, Genova, 2004; Opera media. Poesie, Il
melangolo, Genova, 2004; Lirica e filosofia, Morcelliana, Brescia, 2007; Vita
Politica Valori. Sensibilità individuali e sentire comunitario, Guida, Napoli,
; Anima madre 2004-, ArtstudioPaparo, Napoli, . L'uomo che deve rimanere,
Quodlibet, Macerata, . Note S. Venezia ,
Nota bio-bibliografica, in P. Amato, M. T. Catena, N. Russo , L'ethos
teoretico. Scritti in onore di Eugenio Mazzarella265, Napoli, Guida, . Altri
progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Eugenio Mazzarella Archivio degli articoli di Eugenio Mazzarella
nel sito "ilsussidario.net". Curriculum vitae, pubblicazioni e
attività di ricerca nel sito dell'Università degli Studi di Napoli Federico II,
su docenti.unina.it.
Mazzei: essential Italian
philosopher. Ritratto. Filippo Mazzei, conosciuto anche come Philip Mazzei e
talvolta erroneamente citato con la storpiatura del cognome come Philip Mazzie
(Poggio a Caiano), filosofo. Massone e cadetto di una nobile famiglia toscana
di viticoltori, probabilmente risalente all'XI secolo e ancora esistente nel
XXI secolo, fu personaggio energico ed eclettico, illuminista, promulgatore
delle libertà individuali, dei diritti civili e della tolleranza religiosa.
Visse una vita avventurosa e movimentata, con alterne fortune economiche.
Sebbene sia sconosciuto al grande pubblico, partecipò attivamente alla guerra
d'indipendenza americana come agente mediatore all'acquisto di armi per la
Virginia, ed è ritenuto dagli storici uno dei padri della Dichiarazione
d'Indipendenza americana, in quanto intimo amico dei primi cinque presidenti
statunitensi: George Washington, John Adams, James Madison, James Monroe e
soprattutto Thomas Jefferson, di cui fu ispiratore, vicino di casa, socio in
affari e con cui rimase in contatto epistolare fino alla morte. Iniziato
alla Massoneria, fu poi spettatore privilegiato della rivoluzione
francese. La sua figura storica è riemersa alla fine Professoregrazie
all'infittirsi degli studi accademici in occasione del bicentenario della
rivoluzione americana, fino ad essere onorato in occasione del 250º
anniversario della sua nascita nel 1980 con un'emissione filatelica congiunta
speciale delle poste italiane e statunitensi. Dopo gli studi
compiuti tra Prato e Firenze, nel 1752, in seguito a dissapori con il fratello
maggiore Jacopo sulla gestione del patrimonio familiare, si stabilì a Pisa e
poi a Livorno, intraprendendo con successo l'attività di medico. Dopo solo due
anni lasciò la città e si trasferì a Smirne (Turchia) come chirurgo a seguito
di un medico locale. Nel 1754 giunse a Londra dove, dopo un iniziale
periodo irto di difficoltà economiche che lo vide arrangiarsi con
l'insegnamento dell'italiano, riuscì nel corso dei tre lustri successivi ad
arricchirsi con il commercio dei prodotti mediterranei, principalmente del
vino, inserendosi lentamente nei salotti dell'alta borghesia londinese.
Una breve parentesi italiana si concluse con un precipitoso ritorno in
Inghilterra, a seguito di una denuncia al tribunale dell’Inquisizione per
“importazione di libri proibiti”. L'illuminismo e le idee di libertà religiosa
che animavano il Mazzei, ben tollerate nella Londra di fine XVIII secolo, erano
ancora tabù nella realtà italiana. La Rivoluzione americana In questi
circoli londinesi Filippo Mazzei conobbe Benjamin Franklin e Thomas Adams, che
da lì a pochi anni sarebbero stati tra i protagonisti della rivoluzione
americana. Le colonie americane si autogovernavano, perlomeno sulle
questioni locali, tramite assemblee di delegati liberamente eletti dai
capifamiglia, e l'ordinamento giuridico era ispirato al meglio della
legislazione inglese, che pure in quegli anni era probabilmente la più
avanzata, garantista e liberale che esistesse. Invitato dagli amici
d'oltreoceano, spinto sia dalla curiosità dell'inedita forma di governo, ma
soprattutto dalla disponibilità di terre e quindi dalla prospettiva di
impiantare nel nuovo mondo coltivazioni mediterranee, nel 1773 Mazzei si
trasferì in Virginia, con al seguito un gruppo di agricoltori toscani. A lui si
unirono anche una vedova Maria Martin, che egli sposò nel 1778, e l'amico Carlo
Bellini che tra il 1779 e il 1803 sarebbe divenuto il primo insegnante di
italiano in un'università americana, il College of William and Mary in Virginia.
Inizialmente diretto in altro sito, Mazzei si fermò presso la tenuta di
Monticello per incontrare Thomas Jefferson, con il quale già intratteneva
rapporti epistolari e vantava amicizie comuni, e fu da lui convinto a
trattenersi in loco, arrivando a cedere circa 0,75 km² della sua tenuta in
favore dell'italiano. Da questa cessione nacque la tenuta di Colle (il nome
deriva da Colle di Val d'Elsa, perché il Mazzei aveva preso ad esempio la
campagna attorno alla città toscana), successivamente ampliata. Lo univa a
Jefferson un sodalizio commerciale, con il primo impianto di una vigna nella
colonia della Virginia, ma soprattutto un sodalizio intellettuale, frutto di
una comune visione politica e di ideali condivisi, che si sarebbe protratto per
oltre 40 anni. Il livello delle frequentazioni americane trascinò
velocemente Mazzei, arrivato con mere intenzioni imprenditoriali, nella vita
politica della ribollente colonia della Virginia. Fu autore di veementi libelli
contro l'opprimente dominazione inglese, inneggianti alla libertà ed
all'uguaglianza. Alcuni di questi scritti furono tradotti in inglese dallo
stesso Jefferson, che rimase influenzato da tali ideali, tanto da ritrovare
successivamente alcune frasi di Mazzei trasposte nella Dichiarazione
d'indipendenza degli Stati Uniti d'America. Eletto speaker dell'assemblea
parrocchiale dopo solo sei mesi dal suo arrivo in Virginia, ebbe modo di
esporre le sue idee sulla libertà religiosa e politica a un vasto oratorio,
composto anche di persone umili e ignoranti, che lo ascoltavano assorte. Un suo
scritto, Instructions of the Freeholders of Albemarle County to their Delegates
in Convention, redatto come istruzioni per i delegati della contea di Albemarle
alla convenzione autoconvocatasi dopo lo scioglimento forzato dell'assemblea
della Virginia imposto dal governatore inglese, fu utilizzato da Jefferson come
bozza per il primo tentativo di scrittura della costituzione dello Stato della
Virginia. La sua affermazione politica seguiva di pari passo i rovesci
economici, perché il clima e il terreno della Virginia non si erano dimostrati
particolarmente graditi a vite e olivo, e nel 1774 un'eccezionale gelata aveva
distrutto buona parte delle stentate coltivazioni impiantate con tanta
fatica. Naturalizzato cittadino della Virginia, volontario delle prime
ore nella guerra d'indipendenza americana, nel 1778 fu inviato in Europa da
Jefferson e Madison per cercare prestiti, acquistareo meglio,
contrabbandarearmi e ottenere informazioni politiche e militari utili alla
nascente nazione. In questo periodo scrisse articoli, fece interventi
pubblici e cercò di avviare rapporti commerciali e politici tra gli Stati
europei e la Virginia. Per tali servizi fu ufficialmente retribuito dallo Stato
dell Virginia dal 1779 al 1784. Rientrato in Virginia nel 1783, con suo
grande disappunto non fu nominato console. Ricevette I'incarico di
amministratore della contea di Albemarle, ma solo due anni dopo nel 1785 lasciò
per l'ultima volta il suolo americano, mantenendo comunque contatti epistolari
con molti di quelli che sono definiti “padri della patria” statunitensi e in
particolare con Jefferson, che ebbe modo di reincontrare successivamente a
Parigi. Sua moglie rimase fino alla sua morte nel 1788 alla tenuta del Colle,
che Mazzei nel 1783 aveva donato alla figliastra, Margherita Maria Martini e al
di lei marito, il francese Justin Pierre Plumard, Comte De Rieux. La
Rivoluzione francese e le vicende europee Targa a Pisa, sulla casa in cui
morì Filippo Mazzei A Parigi, nel 1788 pubblicò una voluminosa opera in quattro
volumi Recherches historiques et politiques sur les États-Unis de l'Amérique
Septentrionale. Si trattava della prima storia della rivoluzione americana
pubblicata in francese. L'opera è tuttora una preziosa fonte di informazioni sul
movimento che innescò la rivoluzione americana. Il successo del libro e
la notorietà delle sue idee, uniti alla costante attività di propaganda a
favore dei neonati Stati Uniti d'America, lo fece venire in contatto con re
Stanislao Augusto di Polonia, illuminato sovrano liberale, di cui divenne prima
consigliere e poi rappresentante a Parigi. Da questa posizione
privilegiata poté seguire la rivoluzione francese, di cui condannò la deriva
giacobina. Preso atto della rovina economica, nel 1791 si trasferì a Varsavia,
assumendo la cittadinanza polacca e contribuendo alla stesura della
costituzione. Dopo un anno passato a Varsavia, a seguito della
spartizione della Polonia nel 1792 rientrò definitivamente in Toscana,
stabilendosi a Pisa. Lì nel 1796 sposò Antonina Tonini, da cui ebbe una figlia,
Elisabetta, nel 1798. Il disincantato Mazzei, nel 1799 oramai
settantenne, fu testimone dell'arrivo delle truppe repubblicane francesi a Pisa
e poi della loro cacciata, e fu coinvolto pur senza danni nei successivi processi
intentati dal bargello ai liberali pisani che si riunivano durante la breve
occupazione al Caffè dell'Ussero sul lungarno. Ultimi anni Mazzei
visse quietamente altri 17 anni, dedicandosi ai propri studi di orticoltura e
limitandosi a frequentare una ristretta cerchia di salotti praticati da giovani
liberali, di cui era ispiratore. Nel 1802, in conseguenza del dissolvimento
della Polonia operata da Russia e Prussia nel 1795, lo zar Alessandro I si
accollò i debiti della corte polacca e Mazzei poté fruire di un vitalizio.
Mazzei rimase sempre nostalgico della Virginia e dei suoi amici americani, che
ne auspicavano il ritorno e con i quali mai interruppe il contatto epistolare.
Nonostante i ripetuti progetti di un viaggio in America, Mazzei non fu mai capace
di affrontare questa nuova avventura. Ebbe modo di assistere all'ascesa e alla
caduta di Napoleone Bonaparte e scrisse le proprie memorie, pubblicate nel
1848, oltre trent'anni dopo la sua morte a Pisa nel 1816. Opere di
Filippo Mazzei In lingua francese Filippo Mazzei: Recherches Historiques et
Politiques sur les Etats-Unis de l'Amérique Septentrionale, Paris 1788, 4
volumi. (Ne esiste la traduzione anche in lingua italiana vedere più sotto)
Filippo Mazzei, Stanislao Re di Polonia, Lettres de Philippe Mazzei et du roi
Stanislas-Auguste de Pologne., Roma: Istituto storico italiano per l'età
moderna e contemporanea, 1982 In lingua italiana Filippo Mazzei: Ricerche
storiche e politiche sugli Stati Uniti dell'America Settentrionale, Firenze,
Ponte alle Grazie, 1991, 624
8879281704. Filippo Mazzei: Memorie della vita e delle peregrinazioni
del fiorentino Filippo Mazzei, Gino Capponi, Lugano, Tip. della Svizzera
Italiana, 1845-1846, 2 volumi. Filippo Mazzei: Del commercio della seta fatto
in Inghilterra dalla Compagnia delle Indie Orientali (manoscritto inedito di
Filippo Mazzei1769), Silvano Gelli, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano,
2001. Filippo Mazzei. Le istruzioni per i delegati alla convenzione
maggio-settembre 1776 (testo in italiano e inglese), Firenze, Morgana, 2001,
64 8885698859. Opere di suor Margherita
Marchione o In lingua italiana Filippo Mazzei: Scelta di scritti e
lettere: I: 1765-1788. Agente di Virginia
durante la rivoluzione americana;
XLVII-582 II: 1788-1791. Agente
del Re di Polonia durante la Rivoluzione Francese; XVI-703, XVII-633 III: 1792-1816. Cittadino del Mondo; XVII-633 Prato, 1984, Ediz.del Palazzo per
Cassa di Risparmi e Depositi di Prato. Marchione Margherita: Istruzioni per
essere liberi ed eguali, Cisalpino-Gogliardica, Milan, 1984, 160pp 8820504812. Marchione Margherita: The
Adventurous Life of Philip MazzeiLa vita avventurosa di Filippo Mazzei
(bilingue ingleseitaliano), University Press of America, Lanham, MD, 1995, 235
In lingua inglese Philip Mazzei: My Life and Wanderings, ed. Margherita
Marchione American Institute of Italian Studies, Morristown, NJ, 1980, 437
Traduzione in lingua inglese dell'autobiografia di Mazzei Philip Mazzei:
Selected Writings and Correspondence:
IVirginia's Agent during the American Revolution, XLVIII, 585; IIAgent for the King of Poland during the
French Revolution, 802; IIIWorld
Citizen, 623 Cassa di Risparmi e Depositi, Prato, 1983. Marchione Margherita:
Philip Mazzei: Jefferson's "Zealous Whig", American Institute of Italian
Studies, Morristown, NJ, 1975, 352 Marchione Margherita: The Adventurous Life
of Philip MazzeiLa vita avventurosa di Filippo Mazzei (bilingue
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Morristown, NJ, 1984, 49 Marchione Margherita, Philip Mazzei: World Citizen
(Jefferson's "Zealous Whig"), University Press of America, Lanham,
MD, 1994, 158 Curiosità Broom icon.svg Questa sezione contiene «curiosità» da
riorganizzare. Contribuisci a migliorarla integrando se possibile le
informazioni all'interno dei paragrafi della voce e rimuovendo quelle
inappropriate. A inizio degli anni 2000, fra alcuni intellettuali toscani
appassionati della figura di Mazzei, è circolata la speculazione che Mazzei
potrebbe aver ispirato persino la bandiera statunitense, adottata dal Congresso
nel 1777, un anno dopo la Dichiarazione d'Indipendenza. La suggestione nasce
dall'importanza che l'alternanza dei colori rosso e bianco ha nell'araldica
toscana e non solo e di cui un esempio famoso è l'insegna di Ugo di Toscana.
Mazzei potrebbe forse aver discusso anche di araldica con gli altri patrioti
americani, ma le radici storiche della bandiera americana sono, in realtà,
nella Grand Union Flag. In ricordo di Mazzei è stato istituito il premio
The Bridge. La cerimonia è stata istituita dall'American University of Rome,
per celebrare un toscano che insieme ai padri costituenti degli Stati Uniti
d'America diede vita alla stesura della dichiarazione d'indipendenza. Sua era
la frase: «Tutti gli uomini sono per natura liberi ed indipendenti».
Note Paolo Russo, Nasce a Firenze un
museo che racconta la massoneria, in La Repubblica, Firenze, 27 febbraio . 28
novembre (archiviato il 3 marzo ).,
Riferito al primo museo dedicato alla storia della Massoneria in Italia. Washington D.C. Italian Genealogy Club, su
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degli Stati Uniti d'America Italoamericani Dichiarazione d'indipendenza degli
Stati Uniti Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una
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Thomas Jefferson e gli scultori carraresi per la costruzione del Campidoglio
degli Stati Uniti (di Nicola Guerra)
[collegamento interrotto], su farefuturofondazione.it. Premio Filippo
Mazzei, su premiofilippomazzei.com. Sito dal quale è possibile scaricare il
libro Memorie della vita e delle peregrinazioni del fiorentino Filippo Mazzei
in formato *.pdf, su books.google.com. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice e Mazzei," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Mazzini: Giuseppe Mazzini (Genova), filosofo. Esponente
di punta del patriottismo risorgimentale, le sue idee e la sua azione politica
contribuirono in maniera decisiva alla nascita dello Stato unitario italiano;
le condanne subite in diversi tribunali d'Italia lo costrinsero però alla
latitanza fino alla morte. Le teorie mazziniane furono di grande importanza
nella definizione dei moderni movimenti europei per l'affermazione della
democrazia attraverso la forma repubblicana dello Stato.Mazzini nacque a
Genova, allora capoluogo dell'omonimo dipartimento francese costituito il 13
giugno del 1805 da parte del regime di Napoleone Bonaparte, il 22 giugno del
1805, terzogenito dei quattro figli (tre femmine ed un maschio). Il padre,
Giacomo Mazzini (1767-1848), fu medico e docente universitario d'anatomia
originario di Chiavari, una cittadina del Tigullio (all'epoca capoluogo del
dipartimento francese degli Appennini, successivamente parte della provincia di
Genova), figura politicamente attiva nella scena pubblica locale, sia durante
l'epoca della precedente Repubblica Ligure, sia, in tempi successivi,
dell'Impero napoleonico. Alla madre, Maria Drago (1774-1852), una fervente
giansenista originaria di Pegli (un comune autonomo, accorpato nel comune di
Genova nel 1926), Mazzini fu molto legato per tutta la vita. Affettuosamente
chiamato "Pippo" dalla famiglia, una volta terminati gli studi
superiori presso il cittadino Liceo classico Cristoforo Colombo, a 18 anni si
iscrisse alla facoltà di medicina dell'Università degli Studi di Genova, come
voleva suo padre, mastando a un racconto della madrevi rinunciò dopo essere
svenuto al primo esperimento di necroscopia. La casa di Giuseppe
Mazzini a Genova in cui oggi si trovano l'Istituto Mazziniano e il museo del
Risorgimento Si iscrisse allora a giurisprudenza, dove si segnalò per la sua
ribellione ai regolamenti di stampo religioso che imponevano di andare a messa
e di confessarsi; a 25 anni fu arrestato perché, proprio in chiesa, si rifiutò
di lasciare il posto ai cadetti del Collegio Reale d'Austria. Lo appassionava
la letteratura: si innamorò delle letture di Goethe, Shakespeare e Ugo Foscolo
(pur senza condividerne la filosofia materialista), restando così colpito dalle
Ultime lettere di Jacopo Ortis da volersi vestire sempre di nero, in segno di
lutto per la patria oppressa. La passione per la letteratura, insieme a
quella per la musica (era un abile suonatore di chitarra), la ebbe per tutta la
vita: oltre agli autori citati, lesse Dante, Schiller, Alfieri, i grandi poeti
romantici come Lord Byron, Percy Bysshe Shelley, Keats, Wordsworth, Coleridge e
i narratori come Alexandre Dumas padre e le sorelle Brontë. Nel 1821 ebbe il
suo trauma rivelatore: al passaggio a Genova dei Federati piemontesi reduci dal
loro tentativo di rivolta, nel giovane Mazzini si affacciò per la prima volta
il pensiero «che si poteva, e quindi si doveva, lottare per la libertà della
Patria». Cominciò ad esercitare la professione nello studio di un
avvocato, ma l'attività che lo impegnava era quella di giornalista presso
l'Indicatore genovese, sul quale Mazzini iniziò a pubblicare recensioni di
libri patriottici; la censura lasciò fare per un po', ma poi soppresse il
giornale. Nel 1826 scrisse il primo saggio letterario, Dell'amor patrio di
Dante, pubblicato poi nel 1837. Il 6 aprile del 1827 ottenne la laurea in
diritto civile e in diritto canonico (in utroque iure). Nello stesso anno entrò
nella carboneria, della quale divenne segretario in Valtellina. Attività
cospirativa «Ebbi a lottare con il più grande dei soldati, Napoleone. Giunsi a
mettere d'accordo tra loro imperatori, re e papi. Nessuno mi dette maggiori
fastidi di un brigante italiano: magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la
tempesta, ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un
commediante, infaticabile come un innamorato, il quale ha nome: Giuseppe
Mazzini.» (Klemens von Metternich, Memorie ed. Bonacci, 1991) La
casa di Mazzini in Laystall Street a Londra, dove abitò per molto tempo Per la
sua attività cospirativa fu arrestato su ordine di Carlo Felice di Savoia e
detenuto a Savona nella Fortezza del Priamar per un breve periodo, tra il
novembre 1830 e il gennaio 1831. Durante la detenzione ideò e formulò il
programma di un nuovo movimento politico chiamato Giovine Italia che, dopo
essere stato liberato per mancanza di prove, presentò e organizzò nel 1831 a
Marsiglia in Francia dove fu costretto a rifugiarsi in esilio. I motti
dell'associazione erano Dio e popolo e Unione, Forza e Libertà e il suo scopo
era l'unione degli stati italiani in un'unica repubblica con un governo centrale
quale sola condizione possibile per la liberazione del popolo italiano dagli
invasori stranieri. Il progetto federalista infatti, secondo Mazzini, poiché
senza unità non c'è forza, avrebbe fatto dell'Italia una nazione debole,
naturalmente destinata a essere soggetta ai potenti stati unitari a lei vicini;
il federalismo inoltre avrebbe reso inefficace il progetto risorgimentale,
facendo rinascere quelle rivalità municipali, ancora vive, che avevano
caratterizzato la peggiore storia dell'Italia medioevale. La
sentenza di condanna a morte del 1833 L'obiettivo repubblicano e unitario
avrebbe dovuto essere raggiunto con un'insurrezione popolare condotta
attraverso una guerra per bande. Durante l'esilio in Francia, Mazzini ebbe una
relazione con la nobildonna mazziniana e repubblicana Giuditta Bellerio Sidoli,
vedova di Giovanni Sidoli, giovane e ricco patriota di Montecchio Emilia che
aveva sposato all'età di 16 anni. Giuditta aveva condiviso con il marito la
fede politica che, portandolo a cospirare contro la corte estense, aveva
costretto la coppia a esiliare in Svizzera. Nel 1829 Giovanni, colpito da una
grave malattia polmonare, morì a Montpellier. Poiché la vedova non aveva
ricevuto alcuna condanna, ritornò a Reggio Emilia presso la famiglia del marito
con i suoi quattro figli: Maria, Elvira, Corinna e Achille. Dopo il fallimento
dei moti del 1831 Giuditta dovette fuggire in Francia dove conobbe Mazzini a
cui si legò sentimentalmente. Nel 1832 nacque Joseph Démosthène Adolphe
Aristide Bellerio Sidoli detto Adolphe (secondo Bruno Gatta, quasi sicuramente
figlio di Mazzini) che, lasciato dalla madre in affidamento, morì a soli tre
anni nel 1835. Dopo il vano tentativo del 1831 di portare dalla parte
liberale il nuovo re Carlo Alberto di Savoia con la celebre lettera firmata
"un italiano", il 26 ottobre 1833, insieme a Pasquale Berghini e
Domenico Barberis, Mazzini fu condannato in contumacia a "morte
ignominiosa" dal Consiglio Divisionario di Guerra, presieduto dal maggior
generale Saluzzo Lamanta. La condanna venne poi revocata nel 1848, quando Carlo
Alberto decise di concedere un'amnistia generale. Notizia
dell'arresto di Giuseppe Mazzini, Gazzetta piemontese del 16 agosto 1870
Rifugiatosi nel 1834 nella cittadina svizzera di Grenchen, nel canton Soletta, vi
rimase sino a quando fu arrestato dalla polizia cantonale che gli ingiunse di
lasciare la Confederazione entro 24 ore. Per impedirne l'allontanamento
l'assemblea dei cittadini di Grenchen conferì al giovane profugo la
cittadinanza con 122 voti a favore e 22 contrari, invalidata però dal governo
cantonale. Mazzini, nascostosi nel frattempo, fu scoperto e dovette lasciare la
Svizzera assieme ad altri esuli, tra i quali Agostino e Giovanni Ruffini.
Nel 1837 cominciò il lungo soggiorno a Londra (che, con alcune interruzioni,
come nel 1849, durò fino al 1868), dove Mazzini raccolse attorno a sé esuli
italiani e persone favorevoli al repubblicanesimo in Italia, dedicandosi, per
vivere, all'attività di insegnante dei figli degli italiani; qui conobbe e
frequentò anche diverse personalità inglesi, tra cui Mary Shelley (vedova del
poeta P.B. Shelley), Anne Isabella Milbanke (vedova di Lord Byron, idolo di
gioventù di Mazzini), il filosofo ed economista John Stuart Mill, Thomas
Carlyle e sua moglie Jane Welsh, lo scrittore Charles Dickens, che finanziò la
sua scuola. Il poeta decadente Algernon Swinburne gli dedicò Ode a Mazzini.
Nello stesso quartiere di Mazzini visse anche Karl Marx. Durante il
soggiorno londinese Mazzini ebbe una lunga relazione di amicizia con la
famiglia Craufurd, documentata da copiosa corrispondenza epistolare dal 1850 al
1872. Sempre a Londra ebbe rapporti con la famiglia di William Henry Ashurst e
con il genero di questi, il politico britannico James Stansfeld, la cui
consorte Caroline Ashurst Stansfeld era sostenitrice della società
"Society of the Friends of Italy". Per la causa dell'unificazione
italiana Mazzini collaborò anche con il secolarista George Holyoake.
Fondò poi altri movimenti politici per la liberazione e l'unificazione di vari
stati europei: la Giovine Germania, la Giovine Polonia e infine la Giovine
Europa. Quest'ultima, fondata nell'aprile 1834 a Berna in accordo con altri
rivoluzionari stranieri, aveva tra i suoi principi ispiratori la costituzione
degli Stati Uniti d'Europa. In questa occasione Mazzini estese dunque il
desiderio di libertà del popolo italiano (che si sarebbe attuato con la
repubblica) a tutte le nazioni europee. L'associazione rivoluzionaria europea
aveva come scopo specifico l'agire dal basso in modo comune e, usando strumenti
insurrezionali e democratici, realizzare nei singoli stati una coscienza
nazionale e rivoluzionaria. Sulla scia della Giovine Europa Mazzini nel 1866
fonda anche l'Alleanza Repubblicana Universale. Il movimento della
Giovine Europa ebbe anche un forte ruolo di promozione dei diritti della donna,
come testimonia l'opera di numerose mazziniane, tra cui la citata Bellerio
Sidoli, ma anche Cristina Trivulzio di Belgiojoso e Giorgina Saffi, la moglie
di Aurelio Saffi, uno dei più stretti collaboratori di Mazzini e suo erede per
quanto riguarda il mazzinianesimo politico. Mazzini continuò a perseguire il
suo obiettivo dall'esilio e tra le avversità con inflessibile costanza,
convinto che questo fosse il destino dell'Italia e che nessuno avrebbe potuto
cambiarlo. Tuttavia, nonostante la sua perseveranza, l'importanza delle sue
azioni fu più ideologica che pratica. Dopo il fallimento dei moti del
1848, durante i quali Mazzini era stato a capo della breve Repubblica Romana
insieme ad Aurelio Saffi e Carlo Armellini, i nazionalisti italiani
cominciarono a vedere nel re del Regno di Sardegna e nel suo Primo Ministro
Camillo Benso conte di Cavour le guide del movimento di riunificazione. Ciò
volle dire separare l'unificazione dell'Italia dalla riforma sociale e politica
invocata da Mazzini. Cavour fu abile nello stringere un'alleanza con la Francia
e nel condurre una serie di guerre che portarono alla nascita dello stato
italiano tra il 1859 e il 1861, ma la natura politica della nuova compagine statale
era ben lontana dalla repubblica mazziniana. A Londra, nel 1850, per
reagire alla caduta della Repubblica Romana e in continuità con essa, Mazzini
fondò il Comitato Centrale Democratico Europeo e il Comitato Nazionale
Italiano, lanciando il Prestito Nazionale Italiano, le cui cartelle portavano
appunto lo stemma della Repubblica romana del 1849 e l'intitolazione del
prestito «diretto unicamente ad affrettare l'indipendenza e l'unità d'Italia».
A garanzia del prestito le cartelle recavano la firma degli ex triumviri
Mazzini, Saffi e, in assenza dell'irreperibile Armellini, Mattia Montecchi. La
diffusione delle cartelle nel Lombardo-Veneto ebbe come immediata conseguenza
la ripresa dell'attività cospirativa e rivoluzionaria, soprattutto a Mantova..
Dopo l'Unità e ultimi anni Il 25 febbraio 1866 Messina fu chiamata al voto per
eleggere i suoi deputati al nuovo parlamento di Firenze. Mazzini era candidato,
nel secondo collegio, ma non poté fare campagna elettorale perché esule a
Londra. Pendevano sul suo capo due condanne a morte: una inflitta dal tribunale
di Genova per i moti del 1857 (il 19 novembre 1857, in primo grado, il 20 marzo
1858 in appello); un'analoga condanna a morte era stata inflitta dal tribunale
di Parigi per complicità in un attentato contro Napoleone III.
Inaspettatamente, Mazzini vinse con larga messe di voti (446). Il 24 marzo,
dopo due giorni di discussione, la Camera annullava l'elezione in virtù delle
condanne precedenti. Il letto di morte di Mazzini, distrutto dagli aerei
degli Stati Uniti durante il bombardamento di Pisa del 1943 Maschera
mortuaria di Mazzini, gesso, Domus Mazziniana, Pisa Due mesi dopo gli elettori
del secondo collegio di Messina tornarono alle urne: vinse di nuovo Mazzini. La
Camera, dopo una nuova discussione, il 18 giugno riannullò l'elezione. Il 18
novembre Mazzini viene rieletto una terza volta; dalla Camera, questa volta,
arrivò la convalida. Mazzini, tuttavia, anche nel caso fosse giunta un'amnistia
o una grazia, decise di rifiutare la carica per non dover giurare fedeltà allo
Statuto Albertino, la costituzione dei monarchi sabaudi. Egli infatti non
accettò mai la monarchia e continuò a lottare per gli ideali
repubblicani. Nel 1868 lasciò Londra e si stabilì in Svizzera, a Lugano.
Due anni dopo furono amnistiate le due condanne a morte inflitte al tempo del
Regno di Sardegna: Mazzini quindi poté rientrare in Italia e, una volta
tornato, si dedicò subito all'organizzazione di moti popolari in appoggio alla
conquista dello Stato Pontificio. L'11 agosto partì in nave per la Sicilia, ma
il 14, all'arrivo nel porto di Palermo, fu tratto in arresto (la quarta volta
nella sua vita) e recluso nel carcere militare di Gaeta. Nel febbraio
1871, partito da Basilea e in viaggio nel passo del San Gottardo, conobbe in una
carrozza Friedrich Nietzsche, allora poco conosciuto filologo e docente. Questo
incontro sarà testimoniato dallo stesso Nietzsche anni dopo. Costretto di
nuovo all'esilio, riuscì a rientrare in Italia sotto il falso nome di Giorgio
Brown (forse un riferimento a John Brown[25]) a Pisa, il 7 febbraio del 1872.
Qui, malato già da tempo, visse nascosto nell'abitazione di Pellegrino
Rosselli, antenato dei fratelli Rosselli e zio della moglie di Ernesto Nathan,
fino al giorno della sua morte, avvenuta il 10 marzo dello stesso anno, quando
la polizia stava ormai per arrestarlo nuovamente. Traversie della
salma Mazzini morente, Silvestro Lega La notizia della sua morte si
diffuse rapidamente, commuovendo l'Italia; il suo corpo fu imbalsamato dallo scienziato
Paolo Gorini, appositamente fatto accorrere da Lodi su incarico di Agostino
Bertani: Gorini disinfettò la salma per permettere l'esposizione. Una folla
immensa partecipò ai funerali, svoltisi nella città toscana il pomeriggio del
14 marzo, accompagnando il feretro al treno in partenza per Genova, dove venne
sepolto al Cimitero monumentale di Staglieno. Le esequie furono
accompagnate dalla musica della storica Filarmonica Sestrese C. Corradi G.
Secondo. Successivamente Gorini ricominciò a lavorare sul corpo di Mazzini,
onde pietrificarlo secondo la sua tecnica di mummificazione; terminò il lavoro
qualche anno dopo. Nel 1946 avvenne la ricognizione della mummia, che fu
sistemata ed esposta al pubblico in occasione della nascita della Repubblica
Italiana[26]: da allora riposa nuovamente nel sarcofago del mausoleo.
Mausoleo Benché sia incerta l'affiliazione di Mazzini alla Massoneria fu
l'associazione stessa a commissionare il mausoleo all'architetto mazziniano
Gaetano Vittorino Grasso che lo realizzò in stile neoclassico adornandolo con
alcuni simboli massonici. Il sepolcro reca all'esterno la scritta
"Giuseppe Mazzini" e all'interno sono presenti numerose bandiere
tricolori repubblicane e iscrizioni lasciate da gruppi mazziniani o da
personalità come Carducci,[27]. Sulla lapide è scolpita la scritta
"Giuseppe Mazzini. Un Italiano"[28], che era la firma da lui apposta
nella lettera a Carlo Alberto, e l'epitaffio: «Il corpo a Genova, il nome ai
secoli, l'anima all'umanità» Affiliazione massonica Testimonianze di
alcuni personaggi storici e una corrispondenza dello stesso Mazzini, citati
nell'opera dello studioso Luigi Polo Friz[29] fanno ritenere che verosimilmente
Mazzini, a differenza di altri celebri personaggi dell'epoca, come Garibaldi,
non sia mai stato affiliato alla massoneria, anche se questa ha ripreso molti
degli ideali mazziniani, simili ai suoi. La principale obbedienza
italiana, l'unica attiva all'epoca di Mazzini in Italia, il Grande Oriente
d'Italia, afferma l'impossibilità di provare l'appartenenza di Mazzini, che
pure ebbe influenza nella società, anche se non partecipò mai alla vita
dell'associazione, occupato com'era nella causa della "sua" società
segreta, la Giovine Italia. In effetti Mazzini fu carbonaro, ma la Carboneria
fu presto distinta dalla massoneria.[30] Indro Montanelli afferma invece
che probabilmente Mazzini fu massone[31]. Dello stesso parere è Massimo Della
Campa, che in una "Nota su Mazzini" fa riferimento al libro
dell'ex-Gran Maestro del grande Oriente d'Italia Giordano Gamberini, Mille
volti di massoni (Ed. Erasmo, Roma, 1976), che a p. 119 scrive a proposito di
Mazzini: «Iniziato nel 1834 a Genova , secondo G. Fazzari e F. Borsari (Luce e
concordia, 1° giugno 1886, dispense 3 e 4, pag. 23, colonna III). Ricevette dal
Fr. Passano il 32° grado del R.S.A.A., necessario per corrispondere in
Carboneria al livello di Vendita Suprema, nelle carceri di Savona. Con decreto
del S. C. di Palermo il 18 giugno 1866 ricevette l'aumento di luce al 33° grado
e la qualifica di membro onorario del medesimo Supremo Consiglio. Fu membro
onorario delle LL. Lincoln di Lodi e Stella d'Italia di Genova. Scrivendo a
Logge, Corpi rituali e Fratelli usò sempre i segni massonici. [...] Nessun
contemporaneo mise mai in dubbio l'appartenenza di Mazzini alla
Massoneria.» Mazzini stesso sembrerebbe però smentire la sua
partecipazione all'associazione in una lettera del 12 giugno 1867 al massone
Federico Campanella, Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio del Rito
scozzese antico ed accettato di Palermo, in cui, restituendogli le carte che
questi gli aveva fatto recapitare scriveva: «La Massoneria accettando da
anni e anni ogni uomo, senza dichiarazioni d'opinioni politiche, s'è fatta
assolutamente inutile a ogni scopo nazionale. Per farne qualche cosa
bisognerebbe prima una misura d'eliminazione ed una di revisione delle file,
poi una formula nazionale o politica per l'iniziazione... Chi vuol intendere
intenda[32].»Pensiero politico «La patria è la casa dell'uomo, non dello
schiavo» (Giuseppe Mazzini, Ai giovani d'Italia) Per comprendere a pieno
la dottrina politica di Mazzini bisogna rifarsi al pensiero religioso che
ispira il periodo della Restaurazione seguito alla caduta dell'impero
napoleonico.[33] Idee diffuse in Europa all'epoca di Mazzini Nuova
concezione romantica della storia Foto di Giuseppe Mazzini dal Fondo
Comandini, Biblioteca Malatestiana Nasceva allora una nuova concezione della
storia[34] che smentiva quella degli illuministi basata sulla capacità degli
uomini di costruire e guidare la storia con la ragione. Le vicende della
Rivoluzione francese e il periodo napoleonico avevano dimostrato che gli uomini
si propongono di perseguire alti e nobili fini che s'infrangono dinanzi alla
realtà storica. Il secolo dei lumi era infatti tramontato nelle stragi del
Terrore e il sogno di libertà nella tirannide napoleonica che, mirando alla
realizzazione di un'Europa al di sopra delle singole nazioni, aveva determinato
invece la ribellione dei singoli popoli proprio in nome del loro sentimento di
nazionalità. Secondo questa visione romantica dunque la storia non è
guidata dagli uomini ma è Dio che agisce nella storia; esisterebbe dunque una
Provvidenza divina che s'incarica di perseguire fini al di là di quelli che gli
uomini si propongono di conseguire con la loro meschina ragione.[35] Da questa
concezione romantica della storia, intesa come opera della volontà divina si
promanano due visioni contrapposte: una è la prospettiva reazionaria che vede
nell'intervento di Dio nella storia una sorta di avvento di un'apocalisse che
metta fine alla storia degli uomini. Napoleone I è stato, con le sue
continue guerre, l'Anticristo di questa apocalisse: Dio segnerà la fine della
storia malvagia e falsamente progressiva e allora agli uomini non rimarrà che
volgersi al passato per preservare e conservare quanto di buono era stato
realizzato. Si cercherà dunque in ogni modo di cancellare tutto ciò che è
accaduto dalla Rivoluzione a Napoleone restaurando il passato. La
concezione reazionaria contro cui Mazzini combatté strenuamente assume un
aspetto politico-religioso che troviamo nel pensiero di François-René de
Chateaubriand che nel Génie du christianisme (Genio del Cristianesimo)
attaccava le dottrine illuministiche prendendo le difese del cristianesimo e
soprattutto nell'ideologia mistica teocratica di Joseph de Maistre, che arriva
nell'opera Du pape (Il papa) (1819) al punto di auspicare un ritorno
dell'alleanza tra il trono e l'altare riproponendo il modello delle comunità
medioevali protette dalla religione tradizionale contro le insidie del
liberalismo e del razionalismo.[36] Un'altra prospettiva, che nasce
paradossalmente dalla stessa concezione della storia guidata dalla divinità, è
quella che potremo definire liberale che vede nell'azione divina una volontà
diretta, nonostante tutto, al bene degli uomini escludendo che nei tempi nuovi
ci sia una sorta di vendetta di Dio che voglia far espiare agli uomini la loro
presunzione di creatori di storia. È questa una visione provvidenziale,
dinamica della storia che troviamo in Saint Simon con la concezione di un nuovo
cristianesimo per una nuova società o in Lamennais che vede nel cattolicesimo
una forza rigeneratrice della vita sociale. Una concezione progressiva quindi
che è presente in Italia nell'opera letteraria di Alessandro Manzoni e nel
pensiero politico di Gioberti con il progetto neoguelfo e nell'ideologia
mazziniana. Concezione mazziniana «Costituire [...] l'Italia in Nazione
Una, Indipendente, Libera, Repubblicana» (G. Mazzini, Istruzione generale
per gli affratellati nella Giovine Italia) Magnifying glass icon mgx2.svgMazzinianesimo.
Dio e popolo «Noi cademmo come partito politico. Dobbiamo risorgere come
partito religioso. L'elemento religioso è universale, immortale: universalizza
e collega. Ogni grande rivoluzione ne serba impronta, e lo rivela nella propria
origine o nel fine che si propone. Per esso si fonda l'associazione. Iniziatori
d'un nuovo mondo, noi dobbiamo fondare l'unità morale, il cattolicismo
Umanitario[37][38]» Monumento a Giuseppe Mazzini sull'Aventino a
Roma Il pensiero politico mazziniano deve dunque essere collocato in questa
temperie di romanticismo politico-religioso che dominò in Europa dopo la
rivoluzione del 1830 ma che era già presente nei contrasti al Congresso di
Vienna tra gli ideologi che proponevano un puro e semplice ritorno al passato
prerivoluzionario e i cosiddetti politici che pensavano che bisognasse operare
un compromesso con l'età trascorsa. Alcuni storici hanno fatto risalire
la concezione religiosa di Mazzini all'educazione ricevuta dalla madre fervente
giansenista (almeno fino agli anni '40 fa spesso riferimenti biblici ed
evangelici[38]) o ad una vicinanza ideale col protestantesimo e le chiese
riformate ma, secondo altri, la visione religiosa di Mazzini non coinciderebbe
con quella di nessuna religione rivelata.[39] Il personale concetto
mazziniano di Dio, che per alcuni tratti è avvicinabile al deismo
settecentesco, con evidenti influssi della religiosità civica e preromantica di
Rousseau, per altri versi al Dio panteistico degli stoici, è alla base di una
religiosità che tuttavia esige la laicità dello Stato (questo nonostante la
dichiarata contraddizione poiché se, come egli crede, politica e religione
coincidono, non avrebbe senso separare la sua concezione teologica da quella
politica)[40] e l'assenza di intermediari tra Dio e il popolo: per ciò e per il
ruolo avuto nella storia umana e italiana, Mazzini definì il Papato "la
base d'ogni autorità tirannica".[41] Un altro influsso sulla concezione
religiosa mazziniana è stato visto nella considerazione che egli ebbe per la
religione civile di ispirazione romana e per l'ammirazione verso la "Prima
Roma", antica e pagana, che passando per la Seconda (cristiana e
medievale), avrebbe preparato il campo alla Terza Roma futura; un mito questo,
romantico-neoclassico, che sarà fatto proprio da Carducci e poi dal fascismo,
con il filosofo Berto Ricci (1905-1941), e dalla massoneria con l'esoterista
Arturo Reghini (1878-1946)[42][43][44] e avvicina il mazzinianesimo anche al
culto massonico del Grande Architetto dell'Universo. In realtà Mazzini
rifiuta non solo l'ateismo (è questa una delle divisioni ideologico-teoriche
che egli ebbe con altri repubblicani come Pisacane[45]) e il materialismo
(«...L'ateismo, il materialismo non hanno, sopprimendo Dio, una legge morale
superiore per tutti e sorgente del Dovere per tutti...»[46]), ma anche il
trascendente, in favore dell'immanente: egli crede nella reincarnazione[47],
per poter migliorare di continuo il mondo e migliorare sé stessi. Una
concezione questa tratta probabilmente da Platone o dalle religioni orientali
come l'induismo e il buddismo, religioni alle quali Mazzini si era
interessato.[48] Giuseppe Mazzini e Gioacchino da Fiore Come altri
patrioti, letterati[49], rivoluzionari delle società segrete francesi, inglesi
e italiane Mazzini vide nell'abate calabrese Gioacchino da Fiore (circa
1130-1202), l'autore di una profezia riguardante l'avvento della Terza Età o
Età dello Spirito Santo quando sarebbe sorta la Terza Italia che sarebbe
rinata, libera dalle dominazioni straniere[50], come la nazione che avrebbe
esercitato un primato sulle altre per la presenza della Chiesa cattolica: tema
questo poi ripreso da Vincenzo Gioberti nel suo Primato morale e civile degli Italiani.
Mazzini ebbe grande interesse per Gioacchino tanto da volergli dedicare un
trattato rimasto inedito Joachino, appunti per uno studio storico sull'abate
Gioacchino[51], che considerava un suo precursore per gli ideali sociali e
politici da realizzare tramite un'unità spirituale e storica. Religione
civile La sua è stata anche definita una religione civile dove la politica
svolgeva il ruolo della fede[52] e dove la divinità si incarna in modo
panteista nell'Universo e nell'Umanità stessa, che attua la Legge che nel
Progresso si rivela.[38] Egli afferma di credere «che Dio è Dio, e l'Umanità è
il suo Profeta»[40], che «il Popolo» è «immagine di Dio sulla terra»[40] e vi è
«un Dio solo, autore di quanto esiste, Pensiero vivente, assoluto, del quale il
nostro mondo è raggio e l'Universo una incarnazione».[38] Per lui non conta che
la sua intima credenza sia razionale o no, come il Dio di Voltaire e Newton che
è invocato come la causa prima dell'ordine naturale, poiché «Dio esiste. Noi
non dobbiamo né vogliamo provarvelo: tentarlo, ci sembrerebbe bestemmia, come
negarlo, follia. Dio esiste, perché noi esistiamo» anche se, specifica,
«l'universo lo manifesta con l'ordine, con l'armonia, con l'intelligenza dei
suoi moti e delle sue leggi».[40] Mazzini era altresì convinto che fosse
ormai presente nella storia un nuovo ordinamento divino nel quale la lotta per
raggiungere l'unità nazionale assumeva un significato provvidenziale. «Operare
nel mondo significava per il Mazzini collaborare all'azione che Dio svolgeva,
riconoscere ed accettare la missione che uomini e popoli ricevono da Dio».[53]
Per questo bisogna «mettere al centro della propria vita il dovere, senza
speranza di premio, senza calcoli di utilità».[53] Quello di Mazzini era un
progetto politico, ma mosso da un imperativo religioso che nessuna sconfitta,
nessuna avversità avrebbe potuto indebolire. «Raggiunta questa tensione di
fede, l'ordine logico e comune degli avvenimenti veniva capovolto; la disfatta
non provocava l'abbattimento, il successo degli avversari non si consolidava in
ordine stabile.».[53] La storia dell'umanità dunque sarebbe una
progressiva rivelazione della Provvidenza divina che, di tappa in tappa, si
dirige verso la meta predisposta da Dio. Esaurito il compito del Cristianesimo,
chiusasi l'era della Rivoluzione francese ora occorreva che i popoli
prendessero l'iniziativa per «procedere concordi verso la meta fissata al
progresso umano».[53] Ogni singolo individuo, come la collettività, tutti
devono attuare la missione che Dio ha loro affidato e che attraverso la
formazione ed educazione del popolo stesso, reso consapevole della sua
missione, si realizzerà attraverso due fasi: Patria e Umanità. Patria e
umanità Targa in onore di Mazzini sulla casa londinese Senza una patria
libera nessun popolo può realizzarsi né compiere la missione che Dio gli ha
affidato; il secondo obiettivo sarà l'Umanità che si realizzerà
nell'associazione dei liberi popoli sulla base della comune civiltà europea
attraverso quello che Mazzini chiama il banchetto delle Nazioni sorelle. Un
obiettivo dunque ben diverso da quella confederazione europea immaginata da
Napoleone dove la Francia avrebbe esercitato il suo primato egemonico di Grande
Nation. La futura unità europea non si realizzerà attraverso una gara di
nazionalismi ma attraverso una nobile emulazione dei liberi popoli per
costruire una nuova libertà. Il processo di costruzione europea, secondo
Mazzini, doveva svolgersi prima di tutto attraverso l'affermazione delle
nazionalità oppresse, come quelle facenti parte dell'Impero asburgico, e poi
anche di quelle che non avevano ancora raggiunto la loro unità nazionale.
Iniziativa italiana In questo processo unitario europeo spetta all'Italia
un'alta missione: quella di riaprire, conquistando la sua libertà, la via al
processo evolutivo dell'Umanità: la redenzione nazionale italiana apparirà
improvvisa come una creazione divina al di fuori di ogni inutile e inefficace
metodo graduale politico diplomatico di tipo cavouriano. L'iniziativa italiana
che avverrà sulla base della fraternità tra i popoli e non rivendicando alcuna
egemonia, come aveva fatto la Francia, consisterà quindi nel dare l'esempio per
una lotta che porterà alla sconfitta delle due colonne portanti della reazione,
di quella politica dell'Impero Asburgico e di quella spirituale della Chiesa
cattolica. Raggiunti gli obiettivi primari dell'unità e della Repubblica
attraverso l'educazione e l'insurrezione del popolo, espressi dalla formula di
Pensiero ed azione, l'Italia darà quindi il via a questo processo di
unificazione sempre più vasta per la creazione di una terza civiltà formata
dall'associazione di liberi popoli. Funzione della politica Il
mausoleo di Giuseppe Mazzini nel cimitero monumentale di Staglieno, realizzato
dall'architetto mazziniano Gaetano Vittorino Grasso (1849-1899) La politica è
scontro tra libertà e dispotismo e tra queste due forze non è possibile
trovare un compromesso: si sta svolgendo una guerra di principi che non ammette
transazioni; Mazzini esorta la popolazione a non accontentarsi delle riforme
che erano degli accomodamenti gestiti dall'alto: non radicavano, cioè, nello
spirito del tempo quella libertà e quell'uguaglianza di cui il popolo aveva
bisogno. La logica della politica è logica di democrazia e libertà, non accettabili
dalle forze reazionarie; contro di esse è necessaria una brusca rottura
rivoluzionaria: alla testa del popolo vi dovrà essere la classe colta (che non
può più sopportare il giogo dell'oppressione) e i giovani (che non possono più
accettare le anticaglie dell'antico regime). Questa rivoluzione deve portare
alla Repubblica, la quale garantirà l'istruzione popolare. La
rivoluzione, che è anche pedagogico strumento di formazione di virtù personali
e collettive, deve iniziare per ondate, accendendo focolai di rivolta che
incitino il popolo inconsapevole a prendere le armi. Una volta scoppiata la
rivoluzione si dovrà costituire un potere dittatoriale (inteso come potere
straordinario alla maniera dell'Antica Roma, non come tirannide) che gestisca
temporaneamente la fase post-rivoluzionaria. Il governo verrà restituito al
popolo non appena il fine della rivoluzione verrà raggiunto, il prima
possibile. La Giovane Italia deve educare alla gestione della cosa
pubblica, ad essere buoni cittadini, non è, perciò, esclusivamente uno
strumento di organizzazione rivoluzionaria. Il popolo deve avere diritti e
doveri, mentre la Rivoluzione Francese si è concentrata esclusivamente sui
diritti individuali: fermandosi ai diritti dell'individuo aveva dato vita ad
una società egoista; l'utile per una società non va mai considerato secondo il
bene di un singolo soggetto ma secondo il bene collettivo.[54] Mazzini non
crede nell'eguaglianza predicata dal marxismo e al sogno della proprietà comune
sostituisce il principio dell'associazionismo, che è comunque un superamento
dell'egoismo individuale.Questione sociale Mazzini affrontò la questione
sociale negli scritti più tardi, ad esempio nei Doveri dell'uomo (1860). Egli
rifiuta il marxismo, convinto com'è che per spingere il popolo alla rivoluzione
sia prioritario indicargli l'obiettivo dell'unità, della repubblica e della
democrazia. Mazzini fu tra i primi a considerare la grave questione sociale
presente che era soprattutto in Italia la questione contadina, come gli indicava
Carlo Pisacane,[55] ma egli pensava che questa dovesse essere affrontata e
risolta solo dopo il raggiungimento dell'unità nazionale e non attraverso lo
scontro delle classi, ma con una loro collaborazione (interclassismo), da
raggiungersi però organizzando l'associazionismo e il mutualismo fra gli
operai, il soggetto più debole. Foto di Mazzini Un programma il suo
di solidarietà nazionale che se non contemplava l'autonomia culturale e
politica del proletariato non si rivolse solo al ceto medio cittadino, agli
intellettuali, agli studenti, fra i quali raccolse i consensi più ampi, ma
anche agli artigiani e ai settori più consapevoli dei propri diritti fra gli
operai. Mazzini criticò il marxismo e fu da Karl Marx biasimato per gli
aspetti dottrinali idealistici e per gli atteggiamenti profetici che egli
assumeva nel suo ruolo di educatore religioso e politico del popolo. Marx,
risentito per gli attacchi di Mazzini al comunismo, da lui definito col termine
inglese «dictatorship» (cioè «dittatura»), lo definì in alcuni articoli
«teopompo» (cioè «inviato di Dio») e «papa della chiesa democratica», dandogli
anche sprezzantemente del «vecchio somaro» e paragonandolo a Pietro l'Eremita.
Forte sarà il contrasto tra Marx e l'inviato personale di Mazzini (oltre che con
Garibaldi che ne prese le difese) alla Prima Internazionale.[56][57]
Mazzini criticava i socialisti per il proclamato internazionalismo dei loro
tempi, venato di anarchismo e di forte negazionismo, per l'attenzione da essi
rivolta verso gli interessi di una sola classe: il proletariato. Inoltre egli
definiva arbitrario e impossibile a pretendere l'abolizione della proprietà
privata: così si sarebbe dato un colpo mortale all'economia che non avrebbe
premiato più i migliori. La critica maggiore era rivolta contro il rischio che
le ideologie socialiste estremistiche portassero a un totalitarismo: egli
previde con lungimiranza quello che avverrà con la Rivoluzione d'ottobre del
1917 in Russia, cioè la formazione di una nuova classe di padroni politici e lo
schiacciamento dell'individuo nella macchina industriale del socialismo
reale.[58] Da queste critiche ne venne la valutazione negativa di Mazzini
sulla rivolta che portò alla Comune di Parigi del 1871. Mentre per Marx e
Michail Bakunin quello della Comune era stato un primo tentativo di distruggere
lo stato accentratore borghese realizzando dal basso un nuovo tipo di stato,
Mazzini, legato al concetto di Stato-nazione romantico, invece criticò la
Comune vedendo in essa la fine della nazione, la minaccia di uno smembramento
della Francia. Per salvaguardare l'economia e allo stesso tempo per tutelare i
più poveri, Mazzini punta su una forma di lavoro cooperativo: l'operaio dovrà
guardare oltre una lotta basata solo sul salario ma promuovere spazi via via crescenti
di economia sociale con elementi di «piena responsabilità e proprietà
sull'impresa». Mazzini puntava sul superamento in senso sociale e
democratico del capitalismo imprenditoriale classico, anticipando in questo sia
le teorie distribuzioniste sia le teorie che esaltano il valore
dell'associazione fra i produttori. In Doveri dell'uomo scrisse: «Non bisogna
abolire la proprietà perché oggi è di pochi; bisogna aprire la via perché i
molti possano acquistarla. Bisogna richiamarla al principio che la renda
legittima, facendo sì che solo il lavoro possa produrla.[59]» La sua
influenza sulla prima fase del movimento operaio fu per questo molto importante
e anche il fascismo, in particolare la sua corrente repubblicana e
socializzatrice, si ispirerà al pensiero economico mazziniano come terza via
corporativa tra il modello capitalista e quello marxista. Cospirazioni e
fallimento dei moti mazziniani Mazzini in una fotografia con autografo
scattata da Domenico Lama I moti mazziniani, ispirati ad un'ideologia repubblicana
e antimonarchica furono considerati sovversivi e quindi perseguiti da tutte le
monarchie italiane dell'epoca. Per i governi costituiti i mazziniani altro non
erano che terroristi e come tali furono sempre condannati. «Trovai tutti
persuasi che la Giovine Italia era pazzia; pazzia le sette, pazzie il
cospirare, pazzie le rivoluzioncine fatte sino a quel giorno, senza capo né
coda» (Massimo d'Azeglio, Degli ultimi casi di Romagna) Giovine Italia
(1831) «Su queste classi [...] così fortemente interessate al mantenimento
dell'ordine sociale le dottrine sovversive della Giovine Italia non hanno
presa. Perciò ad eccezione dei giovani presso i quali l'esperienza non ha
ancora modificate le dottrine assorbite nell'atmosfera eccitante della scuola,
si può affermare che non esiste in Italia se non un piccolissimo numero di
persone seriamente disposte a mettere in pratica i principi esaltati di una
setta inasprita dalla sventura.» (Camillo Benso conte di Cavour[60])
Magnifying glass icon mgx2.svg Giovine Italia. Busto di Mazzini a Central
Park a New York Nel 1831 Mazzini si trovava a Marsiglia in esilio dopo
l'arresto e il processo subito l'anno prima in Piemonte a causa della sua
affiliazione alla Carboneria. Non potendosi provare la sua colpevolezza infatti
la polizia sabauda lo costrinse a scegliere tra il confino in un paesino del
Piemonte e l'esilio. Mazzini preferì affrontare l'esilio e nel febbraio del
1831 passò in Svizzera, da qui a Lione e infine a Marsiglia. Qui entrò in
contatto con i gruppi di Filippo Buonarroti e col movimento sainsimoniano
allora diffuso in Francia. Con questi si avviò un'analisi del fallimento
dei moti nei ducati e nelle Legazioni pontificie del 1831. Si concordò sul
fatto che le sette carbonare avevano fallito innanzitutto per la
contraddittorietà dei loro programmi e per l'eterogeneità delle classi che ne
facevano parte. Non si era riusciti poi a mettere in atto un collegamento più
ampio delle insurrezioni per le ristrettezze provinciali dei progetti politici,
com'era accaduto nei moti di Torino del 1821 quand'era fallito ogni tentativo
di collegamento con i fratelli lombardi. Infine bisognava desistere, come nel
1821, dal ricercare l'appoggio dei principi e, come nei moti del '30-31, dei
francesi. Con la fondazione della Giovine Italia nel 1831 il movimento
insurrezionale andava organizzato su precisi obiettivi politici: indipendenza,
unità, libertà. Occorreva poi una grande mobilitazione popolare poiché la
liberazione italiana non si poteva conseguire attraverso l'azione di pochi
settari ma con la partecipazione delle masse. Rinunciare infine ad ogni
concorso esterno per la rivoluzione: «La Giovine Italia è decisa a giovarsi
degli eventi stranieri, ma non a farne dipendere l'ora e il carattere
dell'insurrezione».[61] La bandiera della Giovine Italia Gli
strumenti per raggiungere queste mete erano l'educazione e l'insurrezione.
Quindi bisognava che la Giovane Italia perdesse il più possibile il carattere
di segretezza, conservando quanto necessario a difendersi dalle polizie, ma
acquistasse quello di società di propaganda, un'«associazione tendente
anzitutto a uno scopo di insurrezione, ma essenzialmente educatrice fino a quel
giorno e dopo quel giorno»[62]anche attraverso il giornale La Giovine Italia,
fondato nel 1832del messaggio politico della indipendenza, dell'unità e della
repubblica. Negli anni 1833 e 1834, durante il periodo dei processi in
Piemonte e il fallimento della spedizione di Savoia, l'associazione scomparve
per quattro anni, ricomparendo solo nel 1838 in Inghilterra. Dieci anni dopo,
il 5 maggio 1848, l'associazione fu definitivamente sciolta da Mazzini, che
fondò al suo posto l'Associazione Nazionale Italiana. Fallimento del moto
in Savoia (1833) Entusiastiche adesioni al programma della Giovane Italia si
ebbero soprattutto tra i giovani in Liguria, in Piemonte, in Emilia e in
Toscana che si misero subito alla prova organizzando negli anni 1833 e 1834 una
serie di insurrezioni che si conclusero tutte con arresti, carcere e condanne a
morte. Nel 1833 organizza il suo primo tentativo insurrezionale che aveva come
focolai rivoluzionari Chambéry, Torino, Alessandria e Genova dove contava vaste
adesioni nell'ambiente militare. Prima ancora che l'insurrezione
iniziasse la polizia sabauda a causa di una rissa avvenuta fra i soldati in
Savoia, scoprì e arrestò molti dei congiurati, che furono duramente perseguiti
poiché appartenenti a quell'esercito sulla cui fedeltà Carlo Alberto aveva
fondato la sicurezza del suo potere. Fra i condannati figuravano i fratelli Giovanni
e Jacopo Ruffini, amico personale di Mazzini e capo della Giovine Italia di
Genova, l'avvocato Andrea Vochieri e l'abate torinese Vincenzo Gioberti. Tutti
subirono un processo dal tribunale militare, e dodici furono condan morte, fra
questi anche il Vochieri, mentre Jacopo Ruffini pur di non tradire si uccise in
carcere mentre altri riuscirono a salvarsi con la fuga. Tentativo
d'invasione della Savoia e moto di Genova (1834) Magnifying glass icon mgx2.svgInvasione
della Savoia del 3 febbraio 1834. L'incontro di Mazzini con Giuseppe
Garibaldi nella sede della Giovine Italia Il fallimento del primo moto non
fermò Mazzini, convinto che era il momento opportuno e che il popolo lo avrebbe
seguito. Si trovava a Ginevra, quando assieme ad altri italiani e alcuni
polacchi, organizzava un'azione militare contro lo stato dei Savoia. A capo
della rivolta aveva messo il generale Gerolamo Ramorino, che aveva già preso
parte ai moti del 1821, questa scelta però si rivelò un fallimento, perché il
Ramorino si era giocato i soldi raccolti per l'insurrezione e di conseguenza
rimandava continuamente la spedizione, tanto che quando il 2 febbraio 1834, si
decise a passare con le sue truppe il confine con la Savoia, la polizia, ormai
allertata da tempo, disperse i volontari con molta facilità. Nello stesso
tempo doveva scoppiare una rivolta a Genova, sotto la guida di Giuseppe
Garibaldi, che si era arruolato nella marina da guerra sarda per svolgere
propaganda rivoluzionaria tra gli equipaggi. Quando giunse sul luogo dove
avrebbe dovuto iniziare l'insurrezione però, non trovò nessuno, e così rimasto
solo, dovette fuggire. Fece appena in tempo a salvarsi dalla condanna a morte
emanata contro di lui, salendo su una nave in partenza per l'America del Sud
dove continuerà a combattere per la libertà dei popoli. Mazzini, invece,
poiché aveva personalmente preso parte alla spedizione con Ramorino, fu espulso
dalla Svizzera e dovette cercare rifugio in Inghilterra. Lì continuò la propria
azione politica attraverso discorsi pubblici, lettere e scritti su giornali e
riviste, aiutando a distanza gli italiani a mantenere il desiderio di unità e
indipendenza. Anche se l'insuccesso dei moti fu assoluto, dopo questi eventi la
linea politica di Carlo Alberto mutò, temendo che reazioni eccessive potessero
diventare pericolose per la monarchia. Tempesta del dubbio (1836) «La
vita mi pesa, ma credo sia debito di ciascun uomo di non gettarla, se non
virilmente o in modo che rechi testimonianza della propria credenza.»
(Giuseppe Mazzini, lettera di risposta ad Angelo Usiglio, Londra, 1837) Altri
tentativi pure falliti si ebbero a Palermo, in Abruzzo, nella Lombardia
austriaca, in Toscana. Il fallimento di tanti generosi sforzi e l'altissimo
prezzo di sangue pagato fecero attraversare a Mazzini quella che egli chiamò la
tempesta del dubbio, una fase di depressione, in cui, come in gioventù, come
ricorda nelle Note autobiografiche, pensò anche al suicidio, da cui uscì
religiosamente convinto ancora una volta della validità dei propri ideali politici
e morali. Dall'esilio di Londra (1837), dopo essere stato espulso dalla
Svizzera, riprese quindi il suo apostolato insurrezionale. Nello stesso periodo
esce il saggio La filosofia della musica sulla rivista L'italiano pubblicata a
Parigi.Fratelli Bandiera (1844) Magnifying glass icon mgx2.svgFratelli
Bandiera. Esecuzione dei fratelli Bandiera a Cosenza Nobili, figli
dell'ammiraglio Francesco Bandiera e, a loro volta, ufficiali della Marina da
guerra austriaca, aderirono alle idee mazziniane e fondarono una loro società
segreta, l'Esperia[63] e con essa tentarono di effettuare una sollevazione
popolare nel Sud Italia. Il 13 giugno 1844, i fratelli Emilio e Attilio
Bandiera partirono da Corfù (dove avevano una base allestita con l'ausilio del
barese Vito Infante) alla volta della Calabria seguiti da 17 compagni, dal
brigante calabrese Giuseppe Meluso e dal corso Pietro Boccheciampe. Il 15 marzo
dello stesso anno era loro giunta infatti la notizia dello scoppio di una
rivolta a Cosenza che essi credevano condotta nel nome di Mazzini. In realtà
non solo la ribellione non aveva alcuna motivazione patriottica ma era già
stata domata dall'esercito borbonico. Il 16 giugno 1844 quando sbarcarono
alla foce del fiume Neto, vicino a Crotone, appresero che la rivolta era già
stata repressa nel sangue e al momento non era in corso alcuna ribellione
all'autorità del re. Il Boccheciampe, appresa la notizia che non c'era alcuna
sommossa a cui partecipare, sparì e andò al posto di polizia di Crotone per
denunciare i compagni. I due fratelli vollero lo stesso continuare l'impresa e
partirono per la Sila. Subito iniziarono le ricerche dei rivoltosi ad
opera delle guardie civiche borboniche, aiutate da comuni cittadini che
credevano i mazziniani dei briganti; dopo alcuni scontri a fuoco, vennero
catturati (meno il brigante Giuseppe Meluso, buon conoscitore dei luoghi, che
riuscì a sfuggire alla cattura) e portati a Cosenza, dove i fratelli Bandiera
con altri 7 compagni vennero fucilati nel Vallone di Rovito il 25 luglio 1844.
Il re Ferdinando II ringraziò la popolazione locale per il grande attaccamento
dimostrato alla Corona e la premiò concedendo medaglie d'oro e d'argento e
pensioni generose. «Mazzini, colpito da tanta fermezza e da tanta sventura,
restò commosso da quell'efferata barbarie e celebrò la memoria di quei martiri
in un opuscolo uscito a Parigi nel 1845».[64] Mazzini vedendo nel loro
sacrificio la realizzazione dei propri ideali così scriveva in un opuscolo a
loro dedicato: «Il martirio non è sterile mai. Il martirio per un'Idea è la più
alta formula che l'Io umano possa raggiungere per esprimere la propria
missione; e quando un giusto sorge di mezzo a' suoi fratelli giacenti ed
esclamaecco: questo è il vero, e io, morendo, l'adorouno spirito di nuova vita
si trasfonde per tutta l'umanità [...]. I sagrificati di Cosenza hanno
insegnato a noi tutti che l'uomo deve vivere e morire per le proprie credenze:
hanno provato al mondo che gl'Italiani sanno morire: hanno convalidato per
tutta l'Europa l'opinione che una Italia sarà. [...] Voi potete uccidere pochi
uomini, ma non l'Idea. l'Idea è immortale[65]» Repubblica Romana (1849) Magnifying
glass icon mgx2.svgRepubblica Romana (1849). Bandiera della Repubblica
Romana Dopo i moti del 1848-49, Mazzini fu a capo, con Aurelio Saffi e Carlo
Armellini della Repubblica Romana, soppressa dalla reazione francese nel 1849.
Fu l'ultima rivolta a cui Mazzini prese parte direttamente. Moto di
Milano (1853) e sollevazione in Valtellina (1854) Magnifying glass icon mgx2.svgRivolta
di Milano (1853). Ispirato al mazzinianesimo e alle ideologie socialiste fu il
moto di Milano del 1853, a cui tuttavia Mazzini non prese parte, e che fallì;
analoga sorte ebbe la rivolta in Valtellina dell'anno seguente. Nel moto
milanese si mise in luce Felice Orsini, che di lì a poco avrebbe rotto con
Mazzini e organizzato l'attentato a Napoleone III, fermamente condannato dal
genovese poiché risoltosi in una strage di cittadini innocenti.
Spedizione di Sapri (1857) Magnifying glass icon mgx2.svgSpedizione di
Sapri. Carlo Pisacane Il piano originale, secondo il metodo
insurrezionale mazziniano, prevedeva di accendere un focolaio di rivolta in
Sicilia dove era molto diffuso il malcontento contro i Borboni, e da lì
estenderla a tutto il Mezzogiorno d'Italia. Successivamente invece si pensò più
opportuno partendo dal porto di Genova di sbarcare a Ponza per liberare alcuni
prigionieri politici lì rinchiusi, per rinforzare le file della spedizione e
infine dirigersi a Sapri, che posta al confine tra Campania e Basilicata, era
ritenuta un punto strategico ideale per attendere dei rinforzi e marciare su
Napoli. Il 25 giugno 1857 Carlo Pisacane s'imbarcò con altri ventiquattro
sovversivi, tra cui Giovanni Nicotera e Giovan Battista Falcone, sul piroscafo
di linea Cagliari, della Società Rubattino, diretto a Tunisi. Il 26 giugno
sbarcò a Ponza dove, sventolando il tricolore, riuscì agevolmente a liberare
323 detenuti, poche decine dei quali per reati politici per il resto
delinquenti comuni, aggregandoli quasi tutti alla spedizione. Il 28, il
Cagliari ripartì carico di detenuti comuni e delle armi sottratte al presidio
borbonico. La sera i congiurati sbarcarono a Sapri, ma non trovarono ad
accoglierli quelle masse rivoltose che si attendevano. Anzi furono affrontati dalle
falci dei contadini ai quali le autorità borboniche avevano per tempo
annunziato lo sbarco di una banda di ergastolani evasi dall'isola di
Ponza. Il 1º luglio, a Padula vennero circondati e 25 di loro furono
massacrati dai contadini. Gli altri, per un totale di 150, vennero catturati e
consegi gendarmi. Pisacane, con Nicotera, Falcone e gli ultimi superstiti,
riuscirono a fuggire a Sanza dove furono ancora aggrediti dalla popolazione:
perirono in 83; Pisacane e Falcone si suicidarono con le loro pistole, mentre
quelli scampati all'ira popolare furono poi processati nel gennaio del 1858.
Condan morte, furono graziati dal Re, che tramutò la pena in ergastolo.
Senso dell'impresa Pur essendo quella di Sapri un'impresa tipicamente
mazziniana, condotta «senza speranza di premio», in effetti essa rispondeva
alle idee politiche di Pisacane che si era allontanato dalla dottrina del
Maestro per accostarsi a un socialismo libertario espresso dalla formula
"Libertà e associazione". Contrariamente a Mazzini che riguardo alla
questione sociale proponeva una soluzione interclassista solo dopo aver risolto
il problema unitario, Pisacane pensava infatti che per arrivare ad una
rivoluzione patriottica unitaria e nazionale occorresse prima risolvere la
questione contadina che era quella della riforma agraria. Come lasciò scritto
nel suo testamento politico in appendice al Saggio sulla rivoluzione, «profonda
mia convinzione di essere la propaganda dell'idea una chimera e l'istruzione
popolare un'assurdità. Le idee nascono dai fatti e non questi da quelle, ed il
popolo non sarà libero perché sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando
sarà libero». Vicino agli ideali mazziniani era Pisacane invece quando
aggiungeva nello stesso scritto che quand'anche la rivolta fallisse «ogni mia
ricompensa io la troverò nel fondo della mia coscienza e nell'animo di questi
cari e generosi amici... che se il nostro sacrificio non apporta alcun bene
all'Italia, sarà almeno una gloria per essa aver prodotto figli che vollero
immolarsi al suo avvenire»[66]. La spedizione fallita ebbe in effetti il merito
di riproporre all'opinione pubblica italiana la questione napoletana, la
liberazione cioè del Mezzogiorno italiano dal malgoverno borbonico che il
politico inglese William Ewart Gladstone definiva «negazione di Dio eretta a
sistema di governo». Infine il tentativo di Pisacane sembrava riproporre la
possibilità di un'alternativa democratico-popolare come soluzione al problema
italiano: era un segnale d'allarme che costituì per il governo di Vittorio
Emanuele II uno stimolo ad affrettare i tempi dell'azione per realizzare la
soluzione diplomatico militare dell'unità italiana. Appoggio a Garibaldi
e ultimi tentativi Mazzini appoggiò moralmente la spedizione dei Mille di
Giuseppe Garibaldi, che egli considerava una valida opposizione a Cavour. Dopo
l'Unità riprese la lotta repubblicana, ma le persecuzioni della polizia sabauda
e le condizioni di salute limitarono i suoi ultimi tentativi.
Controversie Stampa raffigurante Mazzini con l'epitaffio della tomba a
Staglieno Conflitto con Cavour Giuseppe Mazzini, che dopo la sua attività
cospirativa degli anni 1827-1830 fu esiliato dal governo piemontese a Ginevra,
fu uno strenuo oppositore della guerra di Crimea, che costò un'ingente perdita
di soldati al regno sardo. Egli rivolse un appello ai militari in partenza per
il conflitto: «Quindicimila tra voi stanno per essere deportati in Crimea. Non
uno forse tra voi rivedrà la propria famiglia. Voi non avrete onore di
battaglie. Morrete, senza gloria, senza aureola, di splendidi fatti da
tramandarsi per voi, conforto ultimo ai vostri cari. Morrete per colpa di
governi e capi stranieri. Per servire un falso disegno straniero, l'ossa vostre
biancheggeranno calpestate dal cavallo del cosacco, su terre lontane, né alcuno
dei vostri potrà raccoglierle e piangervi sopra. Per questo io vi chiamo, col
dolore dell'anima, "deportati".» (Giuseppe Mazzini[67]) Quando
nel 1858, Napoleone III scampò all'attentato teso da Felice Orsini e Giovanni
Andrea Pieri, il governo di Torino incolpò Mazzini (Cavour lo avrebbe definito
"il capo di un'orda di fanatici assassini"[68] oltreché "un
nemico pericoloso quanto l'Austria"),[69] poiché i due attentatori avevano
militato nel suo Partito d'Azione. Secondo Denis Mack Smith, Cavour aveva in
passato finanziato i due rivoluzionari a causa della loro rottura con Mazzini
e, dopo l'attentato a Napoleone III e la conseguente condanna dei due, alla
vedova di Orsini fu assicurata una pensione.[70] Cavour al riguardo fece
anche pressioni politiche sulla magistratura per far giudicare e condannare la
stampa radicale.[71] Egli, inoltre, favorì l'agenzia Stefani con fondi segreti
sebbene lo Statuto vietasse privilegi e monopoli ai privati.[72] Così l'agenzia
Stefani, forte delle solide relazioni con Cavour divenne, secondo il saggista
Gigi Di Fiore, un fondamentale strumento governativo per il controllo mediatico
nel Regno di Sardegna.[73] Mazzini, intanto, oltre ad aver condannato il gesto
di Orsini e Pieri, espose un attacco nei confronti del primo ministro,
pubblicato sul giornale Italia del popolo: «Voi avete inaugurato in Piemonte un
fatale dualismo, avete corrotto la nostra gioventù, sostituendo una politica di
menzogne e di artifici alla serena politica di colui che desidera risorgere. Tra
voi e noi, signore, un abisso ci separa. Noi rappresentiamo l'Italia, voi la
vecchia sospettosa ambizione monarchica. Noi desideriamo soprattutto l'unità
nazionale, voi l'ingrandimento territoriale» (Giuseppe Mazzini[74])Timori
di Mazzini per la cessione della Sardegna Estratto di articolo di
giornale inglese Mazzini temeva che Cavour, dopo la cessione della Savoia e di
Nizza, potesse cedere anche la Sardegna, una delle cosiddette “tre
Irlande”,[75][76] sulla base di altri supposti accordi segreti di Cavour con la
Francia, in cambio di una definitiva unificazione italiana, accordi che
preoccupavano anche l’Inghilterra, la quale era intervenuta presso Cavour per
avere rassicurazioni sul fatto che non sarebbe stato ceduto altro territorio
italiano alla Francia: «Il 22 maggio 1860, Lord John Russell commentava a Sir
James Hudson, in Torino, di dire al Conte di Cavour, che il Governo inglese,
informato di un disegno per la cessione della Sardegna alla Francia, protestava
e chiedeva promessa formale di non cedere territorio italiano. Il dispaccio era
comunicato il 26 a Cavour.» (da Scritti editi e inediti di Giuseppe
Mazzini, per cura della Commissione editrice degli scritti di Giuseppe Mazzini,
Roma, 1884, XIII,[77]) Riguardo alla
cessione della Sardegna alla Francia, Mazzini affermava anche: «[...]
[L]'opposizione minacciosa dell’Inghilterra e la nostra, possono renderlo
praticamente impossibile.» (da Scritti editi ed inediti di Giuseppe
Mazzini, per cura della Commissione editrice degli scritti di Giuseppe Mazzini,
Roma, 1884, XIII) Alcune affermazioni di
Giovanni Battista Tuveri, esponente del cattolicesimo federalista, deputato per
due volte al Parlamento Subalpino e amico di Mazzini, confermano la possibilità
di accordi segreti relativi alla cessione della Sardegna alla Francia per una
definitiva unificazione del resto della penisola: «Vicino a Mazzini ed a
Cattaneo, ma con una propria originalità di pensiero, il Tuveri fu sempre
fedele alle sue convinzioni federaliste o, in mancanza di meglio, autonomiste,
né esitò ad impegnarsi nell'azione pratica quando nel 1860-61 circolò
insistente la voce che Cavour, dopo Nizza e la Savoia, intendesse cedere alla
Francia anche la Sardegna.[78]» Anche il giornale britannico "The
Illustrated London News" del 27 luglio 1861 citava l'inopportunità di
cedere la Sardegna alla Francia, commento che aveva suscitato reazioni nella
stampa francese e fatto suggerire altre ipotesi.[79] Ruolo storico di
Mazzini Mazzini nel 1846 Mazzini suscitò «continuamente energie,
affascinò per quarant'anni ogni ondata di gioventù [...] e intanto gli anziani
gli sfuggivano».[80] Quasi tutti i grandi personaggi del Risorgimento aderirono
al mazzinianesimo ma pochi vi restarono. Il contenuto religioso profetico del
pensiero del Maestro, in un certo modo rivelatore di una nuova fede,
imbrigliava l'azione politica. Mazzini infatti non aveva «la duttilità e la
mutevolezza necessaria per dominare e imprigionare razionalmente le forze». Per
questo occorreva una capacità di compromesso politico propria dell'uomo di
governo come fu Cavour; «[i]l compito di Mazzini fu invece quello di creare
l'"animus"». Quando sembrava che il problema italiano non avesse via
d'uscita «ecco per opera sua la gioventù italiana sacrificarsi in una suprema
protesta. I sacrifici parevano sterili», ma invece risvegliavano l'opinione
pubblica italiana e europea. La tragedia della Giovine Italia «impose il
problema italiano a una sempre più vasta sfera d'Italiani: che reagì sì con un
programma più moderato ma infine entrò in azione e quegli stessi ex mazziniani
che avevano rinnegato il Maestro aderendo al moderatismo riformista alla fine
dovettero abbandonare ogni progetto federalista e acconsentire all'entusiasmo
popolare suscitato dalle idee mazziniane di un riordinamento unitario
italiano».[81] Le idee politiche di Mazzini furono alla base della
nascita del Partito Repubblicano Italiano nel 1895. Tramite la Costituzione
della Repubblica Romana, ispirata al mazzinianesimo e considerata un modello
per molto tempo, fu uno dei pensatori le cui idee furono alla base della
Costituzione Italiana del 1948. Inoltre ebbe una grande influenza anche fuori
dall'Italia: politici occidentali come Thomas Woodrow Wilson (con i suoi
Quattordici Punti) e David Lloyd George e molti leader post-coloniali tra i
quali Gandhi, Golda Meir, David Ben-Gurion, Nehru e Sun Yat-sen consideravano
Mazzini il proprio maestro e il testo mazziniano Dei doveri dell'uomo come la
propria "Bibbia" morale, etica e politica.[82] Mazzini conteso
tra fascismo e antifascismo Mazzini sul letto di morte L'eredità ideale e
politica del pensiero di Giuseppe Mazzini è stata a lungo oggetto di dibattito
tra opposte interpretazioni, in particolare durante il Fascismo e la
Resistenza. Già nel settembre 1922, prima dell'avvento del fascismo, il
cinquantenario della sua morte fu celebrato con una serie di francobolli. In
seguito, nel Ventennio fascista Mazzini fu oggetto di citazioni in libri,
articoli, discorsi, fino al punto d'essere considerato una sorta di precursore
del regime di Mussolini.[83]. Secondo un appunto diaristico (intitolato
"Ripresa mazziniana") di Giuseppe Bottai, però, l'utilizzo che ne
fece Mussolini fu sempre strumentale[84]. La popolarità di Mazzini
durante il periodo fascista è dovuta anche ai numerosi repubblicani che
confluirono nei Fasci di combattimento, iniziando il loro percorso di
avvicinamento a Mussolini durante la battaglia interventista, soprattutto nelle
aree dove maggiore era la presenza del PRI, cioè in Romagna e nelle Marche. Nel
1917, sulle pagine de L'Iniziativa, l'organo di stampa del PRI, si guardava a
Mussolini come al «magnifico bardo del nostro interventismo».[85]
Particolare fu il caso di Bologna, città in cui i repubblicani Pietro Nenni,
Guido e Mario Bergamo presero parte attivamente nel 1919 alla fondazione del
primo Fascio di combattimento emiliano per poi abbandonarlo poco dopo
diventando avversari del fascismo. Tra i più famosi repubblicani che aderirono
al fascismo vi furono Italo Balbo (che si era laureato con una tesi su "Il
pensiero economico e sociale di Mazzini" e del quale lo storico Claudio
Segrè ha scritto: «Balbo, prima di aderire al Fascismo nel '21, esitò a
lasciare i repubblicani fino all'ultimo momento e considerò la possibilità di
mantenere la doppia iscrizione»[86]), Curzio Malaparte e Berto Ricci, che nel
fascismo vedeva la perfetta sintesi fra «la Monarchia di Dante e il Concilio di
Mazzini».[87] L'intellettuale mazziniano Delio Cantimori, nella prima
fase del suo percorso politico che lo portò prima ad aderire al fascismo poi al
comunismo, considerava il fascismo «compimento della rivoluzione nazionale
iniziatasi con il Risorgimento, che doveva riuscire dove il processo
risorgimentale e il cinquantennio successivo avevano fallito: nell'inserimento
e nell'integrazione delle masse nello stato nazionale, nella creazione di una
più vera democrazia, ben diversa dal "parlamentarismo" e lontana
dall'"affarismo", dal "particolarismo",
dall'"inerzia" che avevano caratterizzato l'Italia liberale».[88].
Inizialmente la tesi delle origini risorgimentali del fascismo fu fatta propria
anche dai comunisti: nel 1931 Palmiro Togliatti, polemizzando con il movimento
Giustizia e Libertà e il suo fondatore Carlo Rosselli, in un articolo su Lo
Stato operaio criticò il Risorgimento e indicò in Mazzini un precursore del
fascismo[89]: «La tradizione del Risorgimento vive quindi nel fascismo, ed è
stata da esso sviluppata fino all'estremo. Mazzini, se fosse vivo, plaudirebbe
alle dottrine corporative, né ripudierebbe i discorsi di Mussolini su "la
funzione dell'Italia nel mondo". La rivoluzione antifascista non potrà
essere che una rivoluzione "contro il Risorgimento", contro la sua
ideologia, contro la sua politica, contro la soluzione che esso ha dato al
problema della unità dello Stato e a tutti i problemi della vita
nazionale[90].» La stessa posizione fu assunta nel 1933 da Giorgio
Amendola, durante il confino a Ponza, nel primo di due corsi sul Risorgimento
tenuti per i confinati, per poi rivedere tale impostazione nel secondo corso,
dopo la svolta unitaria del 1934 (che segnò l'inizio della politica del fronte
popolare con la conclusione di un "patto d'unità d'azione" con i
socialisti), allorché insistette sulle origini risorgimentali del movimento
operaio[91]. I fascisti, inoltre, rivendicavano una continuità con il
pensiero mazziniano anche riguardo l'idea di patria, la concezione spirituale
della vita, l'importanza dell'educazione di massa come strumento per creare un
"uomo nuovo" e una dottrina economica ispirata alla collaborazione tra
le classi sociali.[92] Lo storico Massimo Baioni scrive a proposito della
contemporanea celebrazione nel 1932 del 50º anniversario della morte di
Garibaldi e del decennale della Marcia su Roma: «Le principali manifestazioni
del 1932 sembravano confermare il nesso tra il bisogno di presentare il
fascismo come erede delle migliori tradizioni nazionali e la volontà non meno
forte ad enfatizzarne le componenti moderne, che avrebbero dovuto distinguerlo
come originale esperimento politico e sociale».[93] Negli anni della
Resistenza (1944-1945) la situazione si complica maggiormente: il fascismo
della Repubblica Sociale Italiana "intensificò naturalmente i richiami a
Mazzini: ad esempio la data del giuramento della Guardia nazionale repubblicana
venne fissata il 9 febbraio, giorno della proclamazione, quasi un secolo prima,
della Repubblica romana che aveva avuto alla sua testa il «triumviro»
Mazzini",[94][95] ma anche gli antifascisti, in particolare i partigiani
di Giustizia e Libertà di Carlo Rosselli, iniziano a richiamarsi sempre più
apertamente al rivoluzionario genovese. Proprio Rosselli scrisse nel 1931 ad
uno studioso inglese: «Agiamo nello spirito di Mazzini, e sentiamo
profondamente la continuità ideale fra la lotta dei nostri antenati per la
libertà e quella di oggi».[96] A seguito della caduta del fascismo e
dell'armistizio di Cassibile, a partire dal 1943 la lotta contro il
nazifascismo vide la partecipazione dei repubblicani (il cui partito era stato
sciolto dal Regime nel 1926) anche attraverso la formazione di proprie unità
partigiane denominate Brigate Mazzini.[97] Anche un comandante partigiano,
proposto per la medaglia d'oro al valor militare, Manrico Ducceschi, ispirò la
sua azione all'ideologia mazziniana adottando in onore di Mazzini il nome di
battaglia di "Pippo", lo stesso pseudonimo usato dal patriota
genovese.[98] Opere Atto di fratellanza della Giovane Europa (1834), in
Giuseppe Mazzini, Edizione nazionale degli scritti., Imola, s.e., 1908, 4, pag. 3. Dei doveri dell'uomo Fede ed avvenire
Editore Mursia Doveri dell'Uomo Editori Riuniti university pressRoma 978-88-6473-039-4 Pensieri sulla democrazia
in Europa, trad. Salvo Mastellone, Feltrinelli, Milano, , 978-88-07-82176-9 Andrea Tugnoli , La pittura
moderna in Italia, Bologna, CLUEB, Antologia di scritti Dal Risorgimento
all'Europa Mursia 9788842548447
Periodici diretti da Giuseppe Mazzini L'apostolato popolare Il nuovo
conciliatore L'educatore Le Proscrit. Journal de la République Universelle Il
tribunoNote La Civiltà cattolica, Volume
2; Volume 18, La Civiltà Cattolica, 1901 p. 264. «La politica acquista
pathos religioso, e sempre più col procedere del secolo... la nazione diventa
patria: e la patria la nuova divinità del mondo moderno. Nuova divinità e come
tale sacra.» in F. Chabod, L'idea di nazione, Laterza, Bari 1967 Da Dei doveri dell'uomoFede e avvenire, Paolo
Rossi, Mursia, Milano 1965-1984 L'uomo nuovo in Indro Montanelli,
L'Italia giacobina e carbonara, Rizzoli, Milano 1972 Susanne Schmid, Michael Rossington, The Reception
of P.B. Shelley in Europe Citato
nell'Edizione nazionale degli Scritti di Giuseppe Mazzini a cura della
Commissione per l'edizione nazionale degli Scritti di Giuseppe Mazzini,
Cooperativa tipografico-editrice P. Galeati, 1926; per la citazione vedi anche:
Memoriale Mazzini-Domus Mazziniana; Introduzione a Jessie White Mario, Vita di
Giuseppe Mazzini su Castelvecchi Editore; Giuseppe Santonastaso, Edgar Quinet e
la religione della libertà, pag. 156, edizioni Dedalo, 1968; Francesco Felis,
Italia unità o disunità? Interrogativi sul federalismo, Armando editore, , pag.
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gennaio in . Gilles Pécout, Il lungo Risorgimento: la
nascita dell'Italia contemporanea (1770-1922), Pearson Italia S.p.a., 1999 p.
101 Patria, nazione e stato tra unità e
federalismo. Mazzini, Cattaneo e Tuveri, CUEC, University Press-Ricerche
storiche, 2007 88-8467-381-X La tesi del figlio sicuramente di Mazzini è
sostenuta in Bruno Gatta, Mazzini una vita per un sogno, Guida Editori, Il
dubbio invece che si trattasse veramente di un figlio di Mazzini è espresso in
Luigi Ambrosoli (Giuseppe Mazzini: una vita per l'unità d'Italia, ed. P.
Lacaita, 1993): «Ma proprio il ritardo con cui venne comunicata a Mazzini la
notizia della morte di Adolphe fa sorgere qualche dubbio sulla supposizione,
per le altre ragioni accennate ben fondata, che si trattasse di suo figlio».
Dubbi simili vengono riportati in Salvo Mastellone, Mazzini e la "Giovine
Italia", 1831-1834, Volume 2, Domus Mazziniana, 1960 («D'altra parte, è da
aggiungere che nelle lettere inedite a Ollivier, che pubblichiamo, Mazzini, pur
parlando di Giuditta come della propria amica, se accenna ad Adolphe come
figlio di Giuditta, non allude al bambino come proprio figlio: ...») Domenico Barberis, in Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Mazzini a Londra È l'autrice del romanzo gotico Frankenstein
(Frankenstein: or, The Modern Prometheus), pubblicato nel 1818. Curò le
edizioni delle poesie del marito Percy Bysshe Shelley, poeta romantico e
filosofo. Era figlia della filosofa Mary Wollstonecraft, antesignana del
femminismo, e del filosofo e politico William Godwin. Susanne Schmid, Michael Rossington, The
Reception of P.B. Shelley in Europe
Miranda Seymour, Mary Shelley, capitolo 32 Giuseppe Mazzini, il cospiratore senza
segreti Lettere di Mazzini ad Aurelio
Saffi e alla famiglia CraufordGiuseppe MazzatintiSoc. Ed. Dante
Alighieri1906 Politica e storiaFilippo
Buonarroti e altri studidi Pia Onnis RosaEdizioni di storia e letteraturaRoma
1971pag. 467 Mazzini «pavese» e l'Unità
d'Europa Quando Mazzini scatenò il
patatrac sognando la Repubblica MAZZINI,
GIUSEPPE, su pbmstoria.it. 17 luglio 1º
agosto ). Legnago a Giuseppe Mazzini,
Grafiche Stella, S. Pietro di Legnago (Verona) 200551. Giacomo Scarpelli, La scimmia, l'uomo e il
superuomo. Nietzsche: evoluzioni e involuzioni
Pensiero di Mazzini, brigantaggio.net
1946: la Repubblica nasce nel nome di Mazzini, su pri.it. 20 giugno 7 gennaio ).
Carducci scrisse una famosa lirica intitolata Mazzini i cui versi finali
sono rimasti nella storia: «E un popol morto dietro a lui si mise. / Esule
antico, al ciel mite e severo / Leva ora il volto che giammai non rise, /Tu
solpensandoo ideal, sei vero». La stessa
semplice scritta volle Giovanni Spadolini, politico e storico repubblicano,
sulla propria tomba a Firenze Luigi Polo
Friz, La massoneria italiana nel decennio post unitario: Lodovico Frapolli,
Franco Angeli, 1998 p.151 e sgg. Storia
della Massoneria in Italia. L'influenza di Giuseppe Mazzini nella Massoneria
Italiana Archiviato il 7 gennaio in
. La stanza di MontanelliL' unità d'
Italia e la Massoneria Giuseppe Mazzini
massone? A.Desideri, Storia e
storiografia, II, pag. 333, Ed. D'Anna, Messina-Firenze 1997 «Gli sconvolgimenti operati dalla Rivoluzione
francese avevano fatto dubitare a molti uomini della razionalità della storia,
così altamente proclamata nel secolo precedente. L'unica alternativa allo
scetticismo parve allora la fede in una forza arcana operante
provvidenzialmente nella storia» in A. Desideri, Ibidem «S'identificò la storia della civiltà con la
storia della religione, e si scorse una forza provvidenziale non solo nelle
monarchie, ma sin nel carnefice, che non potrebbe sorgere e operare nella sua
sinistra funzione se non lo suscitasse, a tutela della giustizia, Iddio: tanto
è lungi dall'essere operatore e costruttore di storia l'arbitrio individuale e
il raziocino logico». Adolfo Omodeo, L'età del Risorgimento italiano, pag. 24,
Napoli, 1955 «Così il genere umano è in
gran parte naturalmente servo e non può essere tolto da questo stato altro che
soprannaturalmente... senza il cristianesimo, niente libertà generale. e senza
il papa non si dà vero cristianesimo operoso, potente, convertitore,
rigeneratore, conquistatore, perfezionante.» (cfr. J. De Maistre, Il Papa,
trad. di T. Casini, Firenze 1926) G.
Mazzini, Fede e avvenire, At the University Press, 1921 p.51 G. Mazzini,
Fede e avvenire «Egli aveva una visione
utopica, romantica e anche sincretistica della religione, che egli considerava
come il contributo, in termini di princìpi universali, delle varie confessioni
e fedi alla storia collettiva.» Senato.it Archiviato il 12 aprile 2008 in
. Doveri dell'uomo, II G. Mazzini,
Dei doveri dell'uomo Fusatoshi Fujisawa,
La terza Roma. Dal Risorgimento al Fascismo, Tokyo, 2001. Mazzini il patriota scomodo Arturo Reghini a metà strada tra fascismo e
massoneria «Noi dissentivamo su diversi
punti: sulle idee religiose, ch'ei non guardava, errore comune al più, se non
attraverso le credenze consunte e perciò tiranniche dell'oggi; sul cosiddetto
socialismo, che riducevasi a una mera questione di parole dacché i sistemi
esclusivi, assurdi, immorali delle sétte francesi erano ad uno ad uno da lui
respinti e sulla vasta idea sociale fatta oggimai inseparabile in tutte le
menti d'Europa dal moto politico io andava forse più in là di lui: sopra una o
due cose delle minori spettanti all'ordinamento della futura milizia; e talora sul
modo d'intendere l'obbligo che abbiamo tutti di serbar fede al Vero. Ma il
differire di tempo in tempo sui modi d'antivedere l'avvenire non ci toglieva
d'essere intesi sulle condizioni presenti e sulla scelta dei rimedi» (Giuseppe
Mazzini su Carlo Pisacane) Lettera a
Ernesto Forte Londra 23 gennaio 1867
«Noi crediamo in una serie infinita di reincarnazioni dell'anima, di
vita in vita, di mondo in mondo, ciascuna delle quali rappresenta un
miglioramento ulteriore…» (Mazzini, in E. Bratina, op. cit., pag. 70); «La vita
d'un'anima è sacra, in ogni suo periodo: nel periodo terreno come negli altri
che seguiranno; bensì, ogni periodo dev'esser preparazione all'altro, ogni
sviluppo temporale deve giovare allo sviluppo continuo ascendente della vita
immortale che Dio trasfuse in ciascuno di noi e nella umanità complessiva che
cresce con l'opera di ciascuno di noi» (Dei doveri dell'uomo, II). Leggeva Dumas e i testi buddisti Il volto
inaspettato di Mazzini Il Foscolo, che
scriveva di aver visto da giovinetto a Venezia un "libercolo"
attribuito a Gioacchino, in cui erano indicati i papi futuri, affermava che la
fama dell'abate era "santissima" fin dalla fine del sec. XVI, tanto
che il filosofo francese Montaigne, desiderava di poter vedere questa
"meraviglia": «le livre de Joachim Abbé Calabrois, qui prédisait tous
les papes futurs, leurs noms et formes»
G. da Fiore, Concordia Veteris et Novi testamenti, VI, 16 Bianca Rosa, Gli appunti manoscritti di
Giuseppe Mazzini, Impronta, Torino 1977
Roland Sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile, con
postfazione di Sauro Mattarelli, Roma-Bari, Laterza, 2000 A.Omodeo,
Introduzione a G. Mazzini, Scritti scelti, Mondadori, Milano 1934 Mattarelli, Sauro, "Duties and rights in
the thought of Giuseppe Mazzini" in Journal of Modern Italian Studies, 13,
no. 4 (December 2008): 480-485.
«L'Italia trionferà quando il contadino cambierà spontaneamente la marra
con il fucile». in C. Pisacane, Saggio sulla rivoluzione, ed. Universale
Economica, Milano 1956 Mazzini:
comunismo vuol dire dittatura Il
"Manifesto" di Marx? Scritto contro Mazzini Doveri dell'uomo, capitolo XI, punto 3° G. Mazzini, Doveri dell'uomo, cap.XI (in
Andrea Baravelli, L'Italia liberale, ArchetipoLibri, p.114
A. Gacino-Canina, Economisti del Risorgimento, Torino, UTET, 1953. G. Mazzini, Istruzione generale per gli
affiliati nella Giovine Italia in Scritti editi e inediti, II, Imola,
1907. G. Mazzini, op. cit. Nome col quale i greci indicavano l'Italia
antica Luigi Stefanoni, Giuseppe Mazzini:
notizie storiche ..., Presso L'Editore Carlo Barbini, 186388 Giuseppe Mazzini, Ricordi dei fratelli
Bandiera e dei loro compagni di martirio in Cosenza il 25 luglio 1844:
Documentati colla loro corrispondenza, Dai torchi della Signora Lacombe, 1845 C. Pisacane op. cit. "Volantino pubblicato su "Italia
del popolo", 25 febbraio 1855
Giancarlo De Cataldo, Chi ha paura di Mazzini?, in lastampa.it. 17
settembre 27 settembre ). Denis Mack Smith, Mazzini, Rizzoli, Milano,
1993, pag. 158 Denis Mack Smith, op.
cit., pag. 173 Denis Mack Smith, Gigi Di
Fiore, Controstoria dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento,
Milano, Gigi Di Fiore, op. cit., pag. 62.
Alberto Cappa, Cavour, G. Laterza & figli, 1932, pag. 249. definizione di Cavour riportata da The
Morning Post nº 26.878 del 9 febbraio 1860 “We have three Irelands, in
Sardinia, Genoa and Savoy La terza
IrlandaGli scritti sulla Sardegna di Carlo Cattaneo e Giuseppe Mazzini, Carlo
Cattaneo, Giuseppe Mazzini, Francesco Cheratzu, 8pagg. MazziniLa SardegnaTip.
A. DebatteLivorno1896pagg. 5,6,7
Risorgimento Rassegna The Illustrated London News 27 luglio 1861nº 1100
pag. 76 In Armando Saitta, Antologia di
critica storica, Volume 3, Laterza, 1964167
Le citazioni sono tratte da A. Omodeo, Introduzione a Giuseppe Mazzini,
Scritti scelti, Mondatori, Milano, 1934.
Giuseppe Mazzini (Diego Fusaro)
Paolo Benedetti“Mazzini in Camicia nera”edito nel volume XXII 2007 della
Fondazione 'Ugo La Malfa' Dal diario di
Giuseppe Bottai alla data del 14 ottobre 1943: «Spesso, all'uscita dei cento e
più volumi dell'edizione nazionale [degli scritti di Mazzini], ho trovato il
Duce, a palazzo Venezia, immerso nelle folte pagine. O meglio, v'immergeva, a
ferire di pugnale, il suo metallico tagliacarte: e ne tirava fuori brandelli di
Mazzini. A quando a quando il brandello antifrancese, anti-illuminista,
antinglese, antisocialista, etc. etc. Brandelli, mai tutt'intero, nella sua
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Passalacqua (1972). Il generale (miniserie televisiva), sceneggiato RAI, regia
di Luigi Magni (1987). Mazzini è interpretato da Flavio Bucci. Noi credevamo di
Mario Martone (). Mazzini è interpretato da Toni Servillo. Anita Garibaldi,
miniserie di Rai 1 (); interpretato da Alessandro Lombardo. L'alba della
libertà, cortometraggio, regia di Emanuela Morozzi (). Associazione Mazziniana Italiana Domus
Mazziniana Doveri dell'uomo Mazzinianesimo Monumento a Giuseppe Mazzini (Firenze)
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PredecessoreTriumviro della Repubblica RomanaSuccessoreFlag of the Roman
Republic (19th century).svg Aurelio Saliceti29 marzo 18491º luglio 1849Aurelio
Saliceti.
Mazzoni -- Jacopo Mazzoni La pala di Jacopo Mazzoni (Stagionato)
all'Accademia della Crusca Jacopo Mazzoni (Cesena), filosofo. Cesenate di
nascita, compì i suoi studi di lettere a Bologna e quelli di filosofia a
Padova. Membro dell'Accademia della Crusca, fu tra i preferiti del papa
Gregorio XIII che lo avrebbe voluto prelato; Mazzoni preferì proseguire nella
carriera universitaria. Dapprima fu all'Macerata, ed in seguito a Pisa, dove
ebbe la cattedra di filosofia dal novembre 1588 al 1597. Nella città della
torre pendente, conobbe un giovane insegnante di matematica, Galileo Galilei,
con il quale instaurò ottimi rapporti. Nel 1597 fu invitato ad insegnare
all'Università La Sapienza di Roma. Benché avesse da poco preso questa
cattedra, seguì il cardinale Pietro Aldobrandini nei suoi incarichi a Ferrara ed
in seguito a Venezia. Ammalatosi sulla strada del ritorno, si recò nella sua
Cesena, dove si spense il 10 aprile 1598.
Opere Difesa della Commedia di Dante Grazie alla sua preparazione
letteraria, giunse alla notorietà per il suo tomo Difesa della Commedia di
Dante, pubblicato a Bologna inizialmente nel 1572 sotto lo pseudonimo di Donato
Roffia e poi l'anno successivo sotto il suo vero nome, in cui criticò
aspramente Leonardo Salviati. Nel testo egli risponde ad alcune contestazioni
fatte alle sue elucubrazioni sul sommo poeta Dante Alighieri. Parimenti nel
libro si occupa anche di argomentazioni pertinenti alla filosofia ed alla
poetica. In universam Platonis et
Aristotelis philosophiam praeludia Interessato anche all'astronomia, Mazzoni
espone le sue teorie in quello che risulta il suo testo più importante ovvero
In universam Platonis et Aristotelis philosophiam preludia pubblicato nel 1597.
In questo libro egli sostiene il sistema geocentrico aristotelico contro la
sempre più diffusa e apprezzata teoria copernicana eliocentrica. Questo volume
è divenuto molto noto poiché Galileo Galilei, dopo averlo letto, gli inviò una
lettera, datata 30 maggio 1597, nella quale difendeva Copernico e le sue
teorie. Questa missiva rappresenta la più antica testimonianza dell'adesione
alla teoria eliocentrica di Galileo Galilei.
Note Jacopo Mazzoni, Prefazione,
in Mario Rossi , Discorso di Giacopo Mazzoni in difesa della
"Commedia" del divino poeta Dante, S. Lapi, 18986. 16 luglio . Opere
principali Jacopo Mazzoni, Discorso de' dittongi, Cesena, appresso Bartolomeo
Rauerio, 1572. 5 luglio . Jacopo Mazzoni, Discorso in difesa della Comedia del
divino. poeta contro il discorso di Ridolfo Castravilla, Cesena, per Bartolomeo
Rauerij, 1573. 5 luglio . Jacopo
Mazzoni, De triplici hominum vita, activa nempè, contemplativa, et religiosa
methodi tres, quaestionibus quinque millibus, centum et nonagintaseptem
distinctae. In quibus omnes Platonis, et Aristotelis, multae vero aliorum
Graecorum, Arabum et Latinorum in universo scientiarum orbe discordiae
componuntur, Caesenae, Rauerius, 1576. 5 luglio . Jacopo Mazzoni, Della difesa
della Comedia di Dante. Distinta in sette libri, 1, Cesena, appresso Bartolomeo Rauerij, 1587.
5 luglio . Jacopo Mazzoni, Della difesa della Comedia di Dante. Distinta in
sette libri, 2, Cesena, Verdoni, 1688. 5
luglio . Discorso intorno alla Risposta e alle Opposizioni fattegli dal sig.
Francesco Patricio, pertenente alla storia del poema Dafni, o Litiersa di
Sositeo poeta della Pleiade, Cesena nel 1587, B. Raverio. Jacopo Mazzoni,
Ragioni delle cose dette, e d'alcune autorità citate da Iacopo Mazzoni nel
Discorso della storia del poema Dafni, o Litiersa di Sositeo, Cesena, per
Bartolomeo Rauerij, 1587. 5 luglio . Jacopo
Mazzoni, In universam Platonis et Aristotelis philosophiam praeludia, Venetiis,
Guerilius, 1597. 5 luglio . Bernard Weinberg, A History of Literary Criticism
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Medigo: Elia del Medigo
(Candia), filosofo. Nato sotto il nome di Elijah Mi-Qandia o Elijah mi-Qandia
ben Moshe del Medigo, chiamato anche nei manoscritti come Elia Delmedigo o Elia
Ben Moshe del Medigo. Ebbe una disputa con Judah Minz, sostenuto dal talmudista
Elijah Mizrachi. Elia del Medigo fu
conosciuto dai suoi contemporanei in latino come Helias Hebreus Cretensis o in
italiano Elia Del Medigo di Candia (c. 1458c. 1493). Secondo Jacob Joshua Ross,
"mentre gli studenti non ebrei di Delmedigo possono averlo classificato
come un Averroista, chiaramente vedeva se stesso come un seguace di
Maimonide". Ma, secondo altri studiosi, Delmedigo era chiaramente un
convinto seguace delle dottrine di Averroè, anche quelle più radicali: unità
dell'intelletto, eternità del mondo, autonomia della ragione dai confini della
religione rivelata. Nato a Candia,
nell'isola di Creta, (all'epoca facente parte della Repubblica di Venezia),
dove la sua famiglia era emigrata dalla Germania, ha trascorso dieci anni a
Roma e a Padova nel nord Italia, tornando a Candia alla fine della sua
vita. È ricordato per una serie di
traduzioni, commentari su Averroè (Ibn Rushd in arabo) (in particolare un
commento di Substantia Orbis di Averroè del 1485), per la sua influenza su
molti neoplatonici italiani del primo Rinascimento (soprattutto Giovanni Pico
della Mirandola) e per il suo trattato sulla filosofia ebraica, Sefer Beḥinat
ha-Dat (esame della religione), pubblicato molti anni dopo la sua morte, nel
1629. Biografia Del Medigo ha avuto
un'educazione religiosa tradizionale a Candia, dimostrando notevole ampiezza di
vedute. Oltre alla scuola rabbinica, ha studiato filosofia e aveva una buona
conoscenza di italiano, greco, così come latino ed ebraico. È probabile che
abbia studiato medicina, e potrebbe essere stato con quella intenzione che
originariamente si recò a Padova, dove l'Università era il più importante
centro per la filosofia aristotelica tradizionale in Italia. Dal 1480 era a
Venezia, dove scrisse Quaestio utrum mundus sit effectus, e si mantenne
formando classi di filosofia aristotelica, frequentato dai figli di famiglie
ricche e importanti. Si trasferì a
Perugia e insegnato a classi l'"aristotelismo radicale", cioè,
pesantemente interpretati con le idee di Averroè e altri commentatori islamici.
Del Medigo è divenne abbastanza noto come il maggiore "Averroista" in
Italia. Mentre a Perugia, incontrò Pico della Mirandola e scrisse due pamphlet
per lui. Un altro studente importante di
del Medigo di a quel tempo era Domenico Grimani, veneziano, che poi divenne il
cardinale della Basilica di San Marco. Grimani si dimostrò essere un mecenate
generoso e, con il suo incoraggiamento, del Medigo scrisse diversi manoscritti
che ricevettero ampia diffusione tra i filosofi italiani. Rimase in stretto contatto con Pico della
Mirandola, in viaggio verso Firenze, il sito dell'Accademia Platonica di
Marsilio Ficino, per dare lezioni e per tradurre manoscritti dall'ebraico al
latino per Pico, anche se i due filosofi non collaborarono mai su uno specifico
lavoro. Alla fine, però, Del Medigo non
era cabalista, e divenne disinteressato con la direzione sincretica che Pico e
i suoi colleghi stavano prendendo, in una tendenza a combinare i concetti di
magia, ermetismo e la Kabbalah con Platone e il neoplatonismo. Oltre alla sua crescente delusione per Pico,
era un po' screditato dal contraccolpo della prigionia di Pico e
dall'interdizione da parte del Vaticano delle sue 900 tesi. Inoltre erano sorte
tensioni tra del Medigo e la comunità ebraica italiana per i suoi interessi
intellettuali laici e le sue amicizie con studiosi cristiani. Come conseguenza
delle difficoltà finanziarie vissute sulla scia dello sfavore per Pico della
Mirandola, del Medigo decise di lasciare l'Italia per sempre. Tornò a Creta,
dove visse gli ultimi anni della sua vita. Durante questo periodo, del Medigo
tornò al pensiero ebraico, scrivendo il Sefer Bechinat Ha-dath per i suoi
studenti, in cui ha chiarito il suo disaccordo con le teorie magiche e
cabalistiche che hanno ispirato l'Orazione sulla dignità dell'uomo di Pico, ed
esposto la sua convinzione che un essere umano non può aspirare a diventare un
dio, e che l'ebraismo richiede che un uomo deve "lottare per la
razionalità, sobrietà e la realizzazione dei [suoi] limiti umani." Delmedigo argomentò contro l'antichità della
Kabbalah, rilevando che non era nota per i saggi del Talmud, per i Gheonim o
per Rashi. Egli negò anche che Rabbi Shimon bar Yochai sia stato l'autore dello
Zohar, dal momento che l'opera cita chi ha vissuto dopo la morte di Rabbi
Shimon bar Yohai. Inoltre, egli attaccò gli allegoristi esoterici tra filosofi
ebrei. In un'altra sezione del suo lavoro Delmedigo discusse il ragionamento
intellettuale sottostante i comandamenti della Torah (ta'amei ha-mitzvot). Nella cultura di massa Elia del Medigo è
probabile che sia l'ispirazione per il personaggio Giuda del Medigo, nel
"The Secret Book of Grazia dei Rossi" (libro segreto di Grazia dei
Rossi) di Jacqueline Park. Note Joseph Solomon Delmedigo, Matzref
la-Chokmah3b; idem, Elim29; Mizrachchi, Responsa, nr. 56. Stanford Encyclopedia of Philosophy article
on del Medigo -- 'geni', titolo
onorifico attribuito ai capi delle accademie ebraiche dal sesto fino
all'undicesimo secolo in Babilonia, Siria e Palestina; brillante studioso
ebreo... Jewish Encyclopedia, articolo su -- AverroeismJacob Ross Stanford
Encyclopedia of Philosophy article on del Medigo -- Elijah DelmedigoPaul Oskar
Kristeller, Eight Philosophers of the Italian Renaissance. Stanford University
Press (Stanford California, 1964.)Sefer Behinat Hadat of Elijah Del-Medigo,
(critical edition) with introduction, notes and commentary by Jacob Joshua
Ross, Tel-Aviv: Chaim Rosenberg School of Jewish Studies, 1984 Giovanni Licata,
La via della ragione. Elia del Medigo e l'averroismo di Spinoza, Eum, Macerata,
, 1–422,
978-88-6056-352-1. Il libro contiene testo in ebraico e traduzione in
italiano del "Sefer Beḥinat ha-Dat" di Elia del MedigoThe Medieval
WorldEurope 1100-1350 by Friedrich Heer.David Geffen: Insights into the Life
and Thought of Elijah Medigo Based on His Published and Unpublished Works. In:
Proceedings of the American Academy for Jewish Research. 41/42 (1973–1974), S.
69-86. (online su Abonnenten)Jacob S. Levinger: DELMEDIGO, ELIJAH BEN MOSES
ABBA. in: Encyclopaedia Judaica, 2' edizione, Vol 5, Detroit / New York u.a.
2007, 978-0-02-865933-6, S. 542–543 Ermeneutica talmudica Esegesi ebraica
Responsa ebraici Storia degli ebrei in Italia Talmud Eruditi bizantini nel
Rinascimento Sienasito italiano
Ashkenaziti Biografia di Elia del Medigo, sul Dizionario biografico degli
italianiEnciclopedia Treccani Online Richard Gottheil, Isaac BroydéElia del
Medigo, in Jewish Encyclopedia, New York, Funk & Wagnalls, 1901-1906.Cfr.
rispettivo articolo s.v. "DELMEDIGO, ELIJAH CRETENSIS BEN MOSES
ABBA", con la di cui sopra.
Meis: Deputato del Regno di
Napoli Durata mandato18481849 CircoscrizioneAbruzzo Citra Collegio Chieti
Deputato del Regno d'Italia Durata mandato18611867 LegislatureVIII, IX Sito
istituzionale Dati generali Titolo di studioLaurea in Medicina e chirurgia
ProfessioneDocente universitario, Medico chirurgo. Angelo Camillo De Meis
(Bucchianico), filosofo. Figlio di un medico aderente alla carboneria e di
ideali mazziniani, nacque a Bucchianico, dove compì i primi studi: li proseguì
presso il Regio collegio di Chieti e poi a Napoli, dove fu allievo dei
letterati Basilio Puoti e Francesco De Sanctis, del filosofo Bertrando Spaventa
e del medico Pietro Ramaglia. Si laureò in medicina teorico-pratica e nel 1841
divenne socio dell'Accademia degli Aspiranti naturalisti, di cui diventerà
presidente nel 1848; fu poi medico aggiunto dell'Ospedale degli Incurabili e
aprì una scuola privata di grande successo, dove insegnò anatomia, patologia,
fisiologia e scienze naturali. Fu poi rettore del Collegio Medico di
Napoli. Dopo la promulgazione della
costituzione nel Regno di Napoli, venne eletto deputato per la circoscrizione
Abruzzo Citra: sostenne la protesta di Pasquale Stanislao Mancini contro la
repressione operata dalle truppe borboniche contro i manifestanti del 15 maggio
e l'accusa di tradimento al re. Fu
quindi costretto all'esilio: dopo un soggiorno a Genova e a Torino, si stabilì
a Parigi. Esercitò gratuitamente la professione di medico per gli esuli e gli
emigrati italiani; insegnò antropologia all'università ed entrò in contatto con
il mondo scientifico parigino, diventando assistente del fisiologo Claude
Bernard e ottenendo da Armand Trousseau l'incarico di insegnare semeiotica
medica. Strinse anche un proficuo rapporto con il filosofo Victor Cousin.
Rientrò in Italia nel 1853, prima a Torino e poi a Modena, dove insegnò
fisiologia all'Università. Tornò a
Napoli nel 1860 e divenne assistente di Francesco De Sanctis, ministro
dell'istruzione nel governo provvisorio, e venne eletto Membro straordinario
del Consiglio Superiore della Pubblica istruzione. Fu deputato al Parlamento del Regno d'Italia
dal 1861 al 1867, sedendo tra i ministeriali.
Busto di Angelo Camillo De Meis al Pincio (Roma) Non si sa né dove né
quando fu iniziato in Massoneria, è certo tuttavia che nel 1867 fu membro della
Loggia Felsinea di Bologna. Dal 1863 fu
professore di Storia della medicina presso l'Bologna, dove morì nel 1891. Il suo naturalismo lo spinse a cercare un
fondamento filosofico-spirituale alle scienze della natura, che egli trovò
nell'idealismo di Hegel. Fu anche amico intimo e collega del filosofo Pietro
Siciliani, del quale condivise in parte la speculazione intorno al positivismo. Venne citato, di passaggio, nel romanzo di
Luigi Pirandello Il fu Mattia Pascal.
Nel 1936 fu costruito il nuovo palazzo della Biblioteca provinciale di
Chieti, in piazza Tempietti romani, dedicata a De Meis. Note
Vittorio Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Erasmo ed., Roma,
2005, 100-101. De Meis Angelo Camillo, su treccani.it. Il protagonista del romanzo infatti ascolta
casualmente, durante un viaggio in treno, una conversazione fra due eruditi, e
dato che è uscita la notizia della sua morte, sceglie come proprio nuovo
cognome "Meis", traendolo da "De Meis". Il nome sarà
"Adriano", udito dal fu Mattia nella stessa conversazione, che
attribuiva a Camillo De Meis la tesi che due statue nella città di Peneade rappresentassero
Cristo e la Veronica (colei che si sostiene abbia asciugato il viso di Gesù
durante il calvario). In queste pagine del romanzo pirandelliano (capitolo
VII), Mattia Pascal prova uno straordinario senso di ebbrezza legato alla
propria libertà. F. Tessitore, «DE MEIS,
Angelo Camillo» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 38, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1990. R. Colapietra, Angelo Camillo De
Meis politico “militante”, Napoli, Guida Editori, 1993. Altri progetti
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De Meis Angelo Camillo De Meis, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Angelo Camillo De Meis, in Enciclopedia
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Angelo Camillo De Meis, in Dizionario biografico degli italiani,
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Opere di Angelo Camillo De Meis, .
Angelo Camillo De Meis, su storia.camera.it, Camera dei deputati. Angelo Camillo De Meis di Giacomo de
Crecchio, in Biblioteche dei filosofi, Scuola Normale Superiore di
PisaCagliari. «De Meis, Angelo Camillo » in L'Unificazione, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana.
Melandri: Enzo Melandri
(Genova), filosofo. Laureatosi a 'Bologna, è lettore a Kiel in Germania. Ha poi
insegnato filosofia in diversi atenei italiani (Lecce, Trieste e Bologna). Parallelamente
all'attività universitaria, ha collaborato a lungofin dalla fine degli anni
cinquantacon la casa editrice Il Mulino e alla rivista omonima, per le quali ha
svolto attività di consulenza, con traduzioni e curatele di alcuni volumi,
pubblicando con essa alcuni dei suoi lavori più significativi. I suoi volumi
più importanti vertono sulla fenomenologia di Husserl, sul concetto di analogia
e sul principio di simmetria. Tra le sue curatele, anche presso altre case
editrici (Cappelli, Faenza, Laterza, Ponte alle Grazie, Giuffrè, Pitagora
ecc.), ci sono studi che vanno dalla scienza politica di Gerhard Ritter e di
Jürgen Habermas, alla fenomenologia di Alfred Schütz, dalla logica di Irving
Marmer Copilowski e dalla filosofia del linguaggio di Ernst Hoffmann o dai
paradossi di Bernard Bolzano (e poi la storia della logica di Heinrich Scholz),
agli studi di metodologia scientifica di Arthur Pap, a quelli di psicologia
della percezione di Alexius Meinong o di Christian von Ehrenfels, e
dall'estetica di Eduard Trier alla «metaforologia» di Hans Blumenberg ecc. Ha istituito un gruppo interdisciplinare di
studi su Gottfried Leibniz, in seguito affiliato col nome di «Sodalitas
Leibnitiana» alla Leibniz-Gesellschaft di Hannover. Ha anche collaborato attivamente
alle attività del «Centro di studi per la filosofia mitteleuropea» (con sede a
Trento); partecipando alla realizzazione
di «Topoi», rivista internazionale di filosofia. Sempre in quegli anni ha dato
vita agli «Annali dell'Istituto di discipline filosofiche dell'Bologna», poi
trasformatisia nella rivista semestrale «Discipline filosofiche», ancora attiva
e di cui è stato il primo direttore. Tra
i suoi testi, spicca per centralità di pensiero “La linea e il circolo,” definito
da Giorgio Agamben "un capolavoro della filosofia europea del
Novecento". Il filo conduttore di
tutta la riflessione di Melandri è il rapporto tra pensiero logico e pensiero
analogico. Mentre il primo tende a svilupparsi mediante un concetto d'identità
elementare, legato alla "discontinuità" del principio di non
contraddizione, il secondo si fonda invece sul principio di continuità, legato
alla figura oppositiva della contrarietà, che ammette una transizione tra gli
opposti. Ora, queste due forme di pensiero non sono affatto inconciliabili, ma
complementari, in quanto fondate non su strutture assiomatiche, ma su una
diversa direzione costitutiva dell'esperienza. Questa diversità prospettica si
realizza, secondo Melandri, nella fenomenologia husserliana, di cui egli tende
a evidenziare l'«empirismo radicale» connesso alle strutture
costitutivo-trascendentali della soggettività e ben distinto, dunque, da quell'idealismo
entro cui troppo spesso si è voluto rubricare l'atteggiamento fenomenologico.
In ultima istanzacongiungendo istanze aristoteliche e husserlianeMelandri
assume una concezione dell'essere fondamentalmente equivoca, nell'ambito della
quale l'intenzionalità si presenta, al tempo stesso, come principio formale
logico e funtore operativo analogico. Inoltre, Melandri espone questi contenuti
filosofici attraverso un metodo d'indagine e d'insegnamento del tutto
particolare, che viene così descritto dal suo
allievo, Stefano Besoli, filosofo a Bologna: «A lezione, si può dire che
Melandri non parlasse, ma pensasse ad alta voce [...] dando l'illusione,
quantomai benefica ed essenzialmente terapeutica, di pensare insieme con lui.
Si aveva l'impressione di assistere, dunque, a un pensiero in corso d'opera, e
più propriamente ciò che accadeva era un'esperienza di pensiero condivisa,
giacché la condivisione era appunto la condizione stessa della buona riuscita
di tale esperienza». Opere: “I paradossi
dell'infinito nell'orizzonte fenomenologico,” poi come introduzione a Bernard
Bolzano, I paradossi dell'infinito, Cappelli, Bologna. Logica ed esperienza in
Husserl , “La scienza moderna come criterio storiografico,” “Alcune note in
margine all'«Organon» aristotelico; “Considerazioni critiche sui
«syncategorematica»,” n "Lingua e stile", Voci: Esistenzialismo,
Logica e Logistica nell'enciclopedia “Filosofia,” Giulio Preti, Feltrinelli,
Milano. Kurt Lewin: la psicologia come scienza galileiana, poi in Sette variazioni in tema di psicologia
e scienze sociali; "Michel Foucault: l'epistemologia delle scienze
umane", in «Lingua e stile». “E logicamente corretto l'uso dell'analogia
nel diritto? ("Zoon Politikon. Bolk e l'antropogenesi", in «Che
Fare», consultabile qui://libercensor.net/contenuti/enzo-melandri-bolk-e-l-antropogenesi
consultabile qui://nilalienum.it/Sezioni//Scienze/MelBolk.html; “La linea e il
circol: studio logico-filosofico sull'analogia,” Bologna: il Mulino rist. Macerata: Quodlibet, (prefazione di
Giorgio Agamben, appendice di Stefano Besoli e Roberto Brigati, Salvatore Limongi. Nota in margine all'«episteme»
di Foucault» in "Lingua e stile", La realtà e l'immagine:
introduzione (in Hans Barth, Verità e ideologia); Sulla crisi attuale della
filosofia, in "Il Mulino", Pour une analyse des langages mixtes, in
"Versus", L'analogia, la proporzione, la simmetria, Isedi, Milano. I
generi letterari e la loro origine, in "Lingua e stile", ora
Quodlibet, Macerata, . L'inconscio e la dialettica, Bologna: Cappelli, rist.
come "Sigmund Freud: L'inconscio e la dialettica", in Id.,Sette
variazioni in tema di psicologia e scienze sociali, Bologna: Pitagora; rist. L'inconscio e la dialettica, Macerata:
Quodlibet . “Karl Bühler. La crisi della psicologia come introduzione a una
nuova teoria linguistica”, in Riccardo Morello (cur.), Anima ed esattezza.
Letteratura e scienza nella cultura austriaca tra '800 e '900, Marietti: Casale
Monferrato, rist. in Id., Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali,
Bologna: Pitagora, Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali,
Pitagora, BolognaAppendice. Matematica e logica in psicologia. Applicazione
propria (determinante) o impropria (analogico-riflettente), -- APPLICAZIONE
DETERMINANTE vs. APPLICAZIONE ANALOGICO-RIFLETTENTE --. (Claudio Muti). in Sette variazioni in tema
di psicologia e scienze sociali, Pitagora, Bologna, rist. in Id., L'inconscio e
la dialettica, Macerata: Quodlibet, "Per una filologia del sublime",
in "Studi di estetica", La novità degli ultimi tremila anni, in
"Il Mulino", "Faenza" e Marisa Vescovo, L’oblio affligge la
memoria, consultabile
qui://sergiomonari.it/apparati-critici/1984-loblio-affligge-la-memoria/ La comunicazione
e la retorica, Contro il simbolico. Dieci lezioni di filosofia, Quodlibet,
Macerata, postfazione di Luca Guidetti) Sul concetto di descrizione nella
psicologia fenomenologica, in "Intersezioni", Su quel che è dato, in
"Il Verri", Le «Ricerche logiche» di Husserl: introduzione e commento
alla prima ricerca, Il Mulino, Bologna, "Su quel che c'è, e quel che immaginiamo
che ci sia (o della principale equivocazione del termine
'rappresentazione')", in «Discipline filosofiche», Iconsultabile qui:
carmillaonline.com//09/14/su-quel-che-c-e-quel-che-ci-immaginiamo-che-ci-sia-2/
"Il problema della comunicazione", in «Paradigmi», "Tempo e
temporalità nell'orizzonte fenomenologico", in «Discipline filosofiche», .
"La crisi dei grandi sistemi e l'avvento della filosofia
esistenziale" in M. Ariati e I.
Negrini, Questo nostro tempo. Studi e riflessioni sull'evolversi della nostra
epoca, Bologna: "Filosofia come
critica della conoscenza e impegno interdisciplinare" (1979), in "Tratti".
S. Besoli, Il percorso intellettuale di
Enzo Melandri, in Studi su Enzo Melandri, Faenza, Agamben, Giorgio,
"Archeologia di un'archeologia", in E. Melandri, La linea e il
circolo. Studio logico-filosofico sull'analogia, Macerata: Quodlibet, Agamben,
Giorgio, "Al di là dei generi letterari", in E. Melandri, I generi
letterari e la loro origine, Macerata: Quodlibet , 7–14. Ambrosetti, Massimo, Enzo Melandri
sugli stoici, Roma: Aracne . Ambrosetti, Massimo, "Una lettura melandriana
di Epitteto", in "dianoia", Besoli, Stefano, "Il percorso
fenomenologico di Enzo Melandri", in Federica Buongiorno, Vincenzo Costa,
Roberta Lanfredini (cur.), La fenomenologia in Italia. Autori, scuole,
tradizioni, Roma: Inschibboleth , trad. en. "The Phenomenological Path of
Enzo Melandri", in Federica Buongiorno, Vincenzo Costa, Roberta Lanfredini
(eds), Phenomenology in Italy. Contributions to Phenomenology, Cham: Springer
, Besoli, Stefano e Franco Paris (cur.),
Studi su Enzo Melandri. Atti della giornata di studi. Faenza, 22 maggio 1996,
Faenza: Polaris 2000. Bonfanti, Angelo, Le forme dell'analogia. Studi sulla
filosofia di Enzo Melandri, Roma: Aracne . Cimatti, Felice, "Postfazione:
Psicoanalisi e rivoluzione", in E. Melandri, L'inconscio e la dialettica,
Macerata: Quodlibet sinistrainrete.info/cultura/12714-felice-cimatti-psicanalisi-e-rivoluzione.html
Lagna, Marco e Paulo Fernando Lévano, "Contro l’isomorfismo. Il rapporto
soggetto-oggetto secondo Enzo Melandri, in «Philosophy Kitchen», VI, 4 (), 104–16. Matteuzzi, Maurizio,
"Prefazione", in Massimo Ambrosetti, Enzo Melandri sugli stoici,
Roma: Aracne , Palombini, Lorenzo,
"Dal chiasma ontologico al chiasma trascendentale. Forme di razionalità
nel pensiero di Enzo Melandri", in «Philosophy Kitchen», Possati, Luca M.,
La ripetizione creatrice. Melandri, Derrida e lo spazio dell'analogia,
Milano-Udine: Mimesis . Sini, Carlo, "Lo schematismo figurale", in
Stefano Besoli e Franco Paris (cur.), Studi su Enzo Melandri, Faenza:
Polaris Solerio, Alessia, "Enzo Melandri: Through
the Looking-Glass", in Attilio Bruzzone e Paolo Vignola (cur.), Margini
della filosofia contemporanea, Napoli-Salerno: Orthotes. Le opere di Enzo
Melandri edite da Quodlibet, che ne ha annunciato l'edizione completa.
Discipline Filosofiche, rivista semestrale di filosofia. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Melandri,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria.
Melchiorre: Virgilio Guido
Dante Melchiorre (Chieti), filosofo. Dopo essere stato ammesso al Collegio
Augustinianum, inizia a frequentare la Facoltà di Filosofia all'Università
Cattolica del Sacro Cuore, dove si laurea nel 1953. Terminati gli studi, nel medesimo ateneo ha
iniziato la carriera accademica come assistente volontario di Filosofia della
storia, per poi insegnare Filosofia morale presso la Facoltà di Lettere e
Filosofia dell'Venezia. Richiamato alla
Cattolica di Milano, ha ricoperto in qualità di Professore la cattedra di
Filosofia morale, per poi insegnare Filosofia teoretica. Dal 1967 al 1995 ha
diretto, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Cattolica, la
Scuola di specializzazione in Comunicazioni sociali. Nel 2008 è stato nominato professore emerito
dell'Università Cattolica di Milano. È
sposato con Clelia Bamfi e ha tre figli, Luca, Pietro e Giovanna. Opere Arte ed esistenza, Firenze 1956 Il
metodo di Mounier, Milano 1960 Il sapere storico, Brescia 1963 La coscienza
utopica, Milano 1970 L'immaginazione simbolica, Bologna 1972 Metacritica
dell'eros, II ed. Milano 1987 Ideologia, utopia, religione, Milano 1980 Essere
e parola, Milano, IV ed. 1993 Corpo e persona, Genova 1987 Studi su
Kierkegaard, II ed. Genova 1998 Analogia e analisi trascendentale. Linee per
una nuova lettura di Kant, Milano 1991 Figure del sapere, Milano 1994 La via
analogica, Milano 1966 Creazione, creatività, ermeneutica, Brescia 1997 I segni
della storia, Ghezzano La Fontina, 1998 Al di là dell'ultimo, Milano 1998 Sulla
speranza, Brescia 2000 Ethica, Genova 2000 Dialettica del senso. Percorsi di
fenomenologia ontologica, Milano 2002 Qohelet, o la serenità del vivere,
Brescia 2006 Essere persona, Milano 2007 Breviario di metafisica, Brescia Il nome indicibile, Milano Profilo di Virgilio Melchiorre nel sito
dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Recensione del volume Essere
persona. Natura e struttura di Armando Rigobello, in Acta Philosophica, Rivista
internazionale di filosofia. Unità e pluralità del vero: filosofie, religioni,
culture. I diversi volti della verità Relazione del prof. Melchiorre al 65º
Convegno del Centro Studi FilosoficiGallarate , video integrale nel sito
CattedraRosmini.org. Virgilio Melchiorre, Rai EducationalEnciclopedia
Multimediale delle Scienze Filosofiche.
Melli -- Autore:Giuseppe Melli
Jump to navigationJump to search Schede di autorità I: 0000 0000 6138 8345 :
71768486 : -71768486 : 495/224408 Giuseppe Melli (18611939), professore e
filosofo italiano. Collabora a Wikiquote Citazioni su Wikiquote Nuvola apps xmag.pngCerca citazioni su
Giuseppe Melli... Opere La filosofia di
Schopenauer (Indice) Felice Tocco,
Firenze, 1911 Il professor Felice Tocco, Firenze, 1912 Commemorazione di
Pasquale Villari, letta il 16 giugno 1918, Firenze, 1918 La filosofia greca da
Epicuro ai Neoplatonici, Firenze, 1922 Socrate, Lanciano, 1922 Categorie: 1861 1939AutoriAutori del XIX secoloAutori
del XX secoloAutori italiani del XIX secoloAutori italiani del XX
secoloProfessoriFilosofiProfessori del XIX secoloProfessori del XX
secoloFilosofi del XIX secoloFilosofi del XX secoloAutori italianiProfessori
italianiFilosofi italiani
Mercuriale: Girolamo Mercuriale o Mercuriali (Forlì), filosofo. Celebre
per avere per primo teorizzato l'uso della ginnastica su base medica. Suoi sono
anche il primo trattato sulle malattie cutanee e un'importante opera, forse la
prima mai scritta, di pediatria. Ritratto
di Girolamo Mercuriale raffigurato nella versione in italiano del "De arte
gymnastica" Dopo aver studiato medicina all'Bologna ed aver conseguito nel
1555 la laurea all'Padova, dove ebbe modo di conoscere personalmente il medico
veneziano Vettor Trincavella, seguì a Roma il Gran Cardinale Alessandro
Farnese. A causa della sua fama, infatti, i forlivesi lo inviarono come legato
presso il papa Pio IV, dove rimase sette anni. Qui Girolamo Mercuriali pare
aver composto il suo celeberrimo trattato sulla ginnastica. Fu poi professore di medicina pratica in entrambe
le università dove aveva studiato. A Padova, in particolare, tra il 1569 ed il
1587, trascorse un periodo molto fecondo, in cui scrisse ben dodici libri,
alcuni dei quali basati sugli appunti presi dagli studenti durante le lezioni.
Si recò poi a Pisa, dove divenne primo medico di Ferdinando I de' Medici e poté
godere di una certa fama come clinico. Curò anche altre importanti personalità
del suo tempo, tra cui l'imperatore Massimiliano II, che lo nominò cavaliere e
conte palatino. Merita di essere citato un famoso episodio che vede Girolamo
Mercuriale convocato a Venezia insieme a molti altri medici illustri,
consultati per decifrare una misteriosa epidemia che colpiva la città.
Mercuriale escluse fin dall'inizio un caso di peste, in quanto solo una minima
percentuale della popolazione si era ammalata e il contagio restava comunque
molto limitato. Dopo una settimana però la malattia ebbe un decorso
impressionante, colpendo un terzo della popolazione veneziana tra cui anche
alcuni familiari del medico stesso. Sorprendentemente però tale evento non ebbe
gravi conseguenze sulla carriera di Mercuriale che, anzi, durante lezioni che
tenne nel 1577 a proposito della peste, continuò a difendere la sua posizione
riguardo allo sfortunato caso veneziano.
Nel 1598 fece restaurare una cappella dell'Abbazia di San Mercuriale di
Forlì, trasformandola in cappella di famiglia, da allora nota come
"cappella Mercuriali", dove egli stesso venne sepolto. Ai monaci di
San Mercuriale, Girolamo lasciò in eredità la sua biblioteca, purché essi si
impegnassero a tenere tre lezioni settimanali di fisica e di logica. Ricevuti i
libri, i monaci, per custodirli e renderli fruibili a tutti, aprirono una
biblioteca pubblica. Nel 1906, a
celebrazione ed a ricordo di Girolamo Mercuriali, fu murata nella cappella una
lapide, tuttora esistente, con le seguenti parole: Questo marmo ricorda ai
posteri che i cattolici forlivesi il dì XI novembre 1906 commemorando presso la
sua tomba GIROLAMO MERCURIALI riaffermavano il connubio eterno nei secoli tra
la scienza e la fede. Opere Frontespizio del De arte gymnastica De morbis muliebribus Cultore dell'opera
ippocratica (Censura et dispositio operum Hippocratis, 1583, in cui discusse in
modo critico le opere del medico), fu autore di De arte gymnastica (1569), la
prima opera moderna che consideri scientificamente il rapporto tra l'educazione
fisica e la salute, ma anche un testo sulla storia dell'attività ginnica. Oltre
a questo originale argomento scrisse opere di pediatria, di balneoterapia, di
malattie della pelle, di tossicologia. Fra i suoi numerosi discepoli italiani e
stranieri, si segnala lo svizzero Gaspard Bauhin. Alcune altre sue opere sono: De morbis cutaneis, il primo trattato sulle
malattie della pelle De morbis puerorum De compositione medicamentorum De
morbis muliebribus, Venezia, 1601. De venenis et morbis venenosis De
decoratione De morbis ocularum et aurium Nomothelasmus seu ratio lactandi
infantes Note Roy Porter , Dizionario
Biografico della Storia della Medicina e delle Scienze Naturali (Liber
Amicorum), The Wellcome Institute for the History of Medicine, London118 Roy Porter 118 Citato in M. Landi, Credere, dubitare,
conoscere Geronimo Mercuriali, in Catholic Encyclopedia, New York, Encyclopedia
Press, 1913. De Hieronymi Mercuriale
vita et scriptis Victorius Ciarrocchi, LatinitasOpus Fundatum in Civitate
Vaticana. Sito ufficiale della Santa Sede Dizionario Biografico della Storia
della Medicina e delle Scienze Naturali (Liber Amicorum), Roy Porter , The
Wellcome Institute for the History of Medicine, London Dictionary of medical
biography; Volume 4, M-R, W.F. Bynum and Helen Bynum, Greenwood press, London
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scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza
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Girolamo Mercuriale, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Agostino
Palmerini, Girolamo Mercuriale, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Giuseppe
Ongaro, Girolamo Mercuriale, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Girolamo Mercuriale, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Girolamo
Mercuriale / Girolamo Mercuriale (altra versione), . Girolamo Mercuriale, in
Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.
Merker: Nicolao Merker
(Trento), filosofo. Si laurea in Filosofia all'Messina. Trascorse un periodo di
ricerche in Germania negli anni 1954-'55. Allievo di Galvano Della Volpe,
diviene libero docente di Storia della Filosofia e docente incaricato di Storia
delle dottrine politiche all'Messina. Dal 1972 è docente ordinario di Storia
della Filosofia nello stesso ateneo. Dal 1974 è ordinario all'Università La
Sapienza di Roma alla Facoltà di Lettere e Filosofia, e poi alla facoltà di
Filosofia. Ha curato edizioni italiane
di classici dell'età della Riforma, dell'Illuminismo e dell'idealismo tedeschi,
nonché di Marx, Engels e dell'austromarxismo. Dopo essersi occupato dei
problemi lasciati aperti dalla Seconda guerra mondiale, si è occupato dell'idea
di nazione, dell'ideologia colonialista e infine del fenomeno populista. Da
ricordare la sua opera di divulgazione della storia della filosofia. Inoltre
egli ha scritto ben trenta voci per l'enciclopedia filosofica della Bompiani,
fra cui le più importanti sono su Heinrich Heine, Thomas Mann, Stefan
Zweig. Opere Le origini della logica hegeliana.
Hegel a Jena, Milano, Feltrinelli, 1961. L'illuminismo tedesco. Età di Lessing,
Bari, Laterza, 1968. Lessing e il suo tempo, con altri, Cremona, Libreria del
Convegno, 1972. Marxismo e storia delle idee, Roma, Editori Riuniti, 1974.
Storia della filosofia, VIII, La filosofia moderna. Il Settecento, con Paolo
Casini, Milano, Vallardi, 1975. Alle origini dell'ideologia tedesca.
Rivoluzione e utopia nel giacobinismo, Roma-Bari, Laterza, 1977. Storia della
filosofia, diretta da, 3 voll., Roma, Editori Riuniti, 1982; 1984; Storia delle
filosofie, diretta da, 3 voll., Firenze, Giunti Marzocco, 1988. Karl Marx
(1818–1883), Roma, Editori Riuniti, 1983.
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interpretazioni della rivoluzione francese, Torino, Einaudi, 1989. 88-06-11562-6. La Germania. Storia di una
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concezione materialistica della storia, Roma, Editori Riuniti, 1986 e . 978-88-6473-248-0. Immanuel Kant, Che cos'è
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Wilhelm Friedrich Hegel, Dizionario delle idee, Roma, Editori Riuniti,
1996. 88-359-4048-6. Richard Osborne,
Storia della filosofia a fumetti, Roma, Editori Riuniti, 1998. 88-359-4427-9. Otto Bauer, La questione
nazionale, Roma, Editori Riuniti, 1999 e .
978-88-6473-249-7. Note La
discreta classe delle idee. E’ morto Nicolao Merker, articolo del 18
febbraio sul sito di Rifondazione
Comunista Il contesto è il filo
d'Arianna. Studi in onore di Nicolao Merker, Stefano Gensini, Raffaella
Petrilli, Luigi Punzo, Pisa, ETS, 2009.
978-88-467-2337-6. Tommaso Valentini, “Ideologia della nazione” e
“populismo etnico”. Le riflessioni storico-filosofiche di Nicolao Merker, in
Raffaele Chiarelli , Il populismo tra storia, politica e diritto, Rubbettino
Editore, Soveria Mannelli , Curriculum vitae , su uniurb.it.
Messere: Gregorio Messere,
indicato anche come Missere o Messerio (Torre Santa Susanna), filosofo. Ricevuti
i primi rudimenti del sapere dai chierici locali, i suoi genitori (Pietro
Messere e Teodora Di Leo), sebbene non agiati, decisero di fargli frequentare
il seminario di Oria, assecondando così il suo vivo desiderio di intraprendere
la carriera ecclesiastica, qui dimostrò sin da subito una profonda passione per
lo studio. All'età di 24 anni, fu ordinato sacerdote per poi ritornare al paese
natìo, dove divenne un maestro di grande dottrina. Da autodidatta si applicò
allo studio della filosofia, della matematica, della storia ecclesiastica e
civile, nonché anche alla musica e al canto. Incolpato dell'omicidio di un
giovane chierico, fu messo in prigione nelle carceri del Vescovo di Oria, dove
rimase rinchiuso per sette anni, tuttavia non si lasciò mai abbattere dallo
sconforto; anzi, procuratosi alcuni libri, il Messere si applicò allo studio
della lingua greca, per la quale già aveva dimostrato una forte
predisposizione. Dopo un lungo e dibattuto processo, la sentenza finale lo
dichiarò innocente e assolto da qualsiasi reato. Risentito con i suoi
concittadini per averlo ingiustamente ritenuto reo, dichiarò che il suo paese
mai più lo avrebbe rivisto. Fu così che Gregorio Messere partì per Napoli, dove
rimase fino alla morte. Nella città partenopea ebbe modo di affinare e
approfondire la sua cultura, divenendo un personaggio di rilievo nel mondo
intellettuale napoletano del tempo. La grande conoscenza della lingua greca gli
conferì grande notorietà nonché una cattedra di Lettura Greca, che mantenne
fino all'anno della morte, presso l'Università degli studi di Napoli. Tale
cattedra, soppressa probabilmente nel 1627, era stata nuovamente istituita nel
1681 a spese di Giuseppe Valletta, filosofo, letterato e giureconsulto
dell'epoca ed amico del Messere. Valletta aveva una profonda stima per il
Messere, il quale fu assiduo frequentatore della sua casa non solo quale
insegnante dei suoi figli e nipoti, ma anche perché divenuta luogo di riunioni
dei più eruditi intellettuali del tempo. Fra i suoi molti allievi che assistevano
alle sue lezioni, ne ebbe alcuni divenuti celebri, si annoverano Gennaro
d’Andrea, Antonio Barra, Gregorio Caloprese, Gianvincenzo Gravina, lo stesso
Giuseppe Valletta, Niccolò Capasso, Andrea Mazzarella da Cerreto, Matteo
Egizio, Tommaso Donzelli ed altri. Morì nel 1708, ai suoi funerali
parteciparono tutti i professori dell'Università e altri illustri personaggi;
fu sepolto nella cappella dove riposano le ceneri del letterato Giovanni
Pontano. Giambattista Vico, noto filosofo suo amico, gli dedicò un breve
madrigale dal titolo Ghirlanda di timo per Argeo Caraconasio. Gregorio Messere e il contesto culturale
meridionale di fine Seicento Il mondo culturale napoletano della seconda metà
del '600 fu caratterizzato da importanti innovazioni a livello filosofico,
scientifico, civile e politico. Tale fervore culturale aprì la strada alla
nascita di un numero notevole di accademie, che divennero luoghi di discussione
aperta e di diffusione di nuove idee filosofiche e scientifiche. A Napoli le
principali accademie del tempo furono soprattutto quella degli Investiganti e
quella di Medinaceli. Che il Messere sia stato membro autorevole di entrambe le
accademie e frequentatore di circoli e salotti letterari napoletani è
testimoniato da non pochi documenti, tra cui manoscritti e altri a stampa
conservati nella Biblioteca Nazionale di Napoli; le sue lezioni ebbero un così
folto seguito di giovani tanto da far suscitare invidie fra i letterati
fanatici dell'erudizione i quali, a furia di schernirlo per la sua ellenofilia,
diffusero in Napoli addirittura la moda letteraria della macchietta dello
pseudogrecista, satireggiata pure dal Vico nella terza Orazione inaugurale. Fu
anche tra i primi membri dell'Arcadia fondata dal Crescimbeni e dal Gravina,
ove gli fu attribuito il nome pastorale greco di Argeo Coraconasio, “dalle
campagne dell'isola Coraconaso”. Nel 1703 fu fondata a Napoli la Colonia
“Sebezia” dell'Arcadia e anche qui il Messere fu tra i primi iscritti. L'aver ripristinato l'insegnamento della
lingua greca in Napoli valse al Messere non solo il titolo di “ristoratore
della greca erudizione”, ma contribuì alla ripresa dello studio di Omero,
influenzandone il pensiero poetico e filosofico del tempo. Notevole fu
l'influenza che egli ebbe sulla formazione del pensiero del Gravina. Essenziale
nella vita culturale di Gregorio Messere fu anche l'amicizia con Giuseppe
Valletta, suo allievo. La conoscenza che Gregorio Messere aveva della filosofia
fu ugualmente vasta tanto che gli valse l'appellativo di “novello Socrate” e
quando si riferivano a lui veniva anche chiamato il “Socrate dei nostri
tempi”. Le opere Gregorio Messere non fu
solo un insigne grecista, ma anche un poeta. Compose infatti circa 60
componimenti, tra distici, tetrastici, serenate, sonetti, madrigali ed
epigrammi sia in italiano che in greco e in latino, utilizzando talvolta uno
stile che il Lombardo definisce “stile mezzano e semplice”, di carattere
pastorale. Molti di questi componimenti sono custoditi in un codice della
Biblioteca Nazionale di Madrid in Spagna. Un suo epigramma è contenuto in una
lettera del 21 gennaio 1681 che Giovanni Canale inviò al Magliabechi. Non mancò
di scrivere componimenti di carattere burlesco e giocoso, in cui contrapponeva
l'immediatezza della satira e del dialetto alla ricercatezza esasperata della
poesia del Seicento. Il Messere, come poeta, si esercitò soprattutto
nell'Accademia di Medinacoeli, dove era uso chiudere la seduta accademica con
la recitazione di componimenti poetici. Compose finanche versi che celebravano
importanti eventi del regno; tra i più salienti, si ricordano quelli, in latino
e greco, contenuti nel volume scritto in occasione della recuperata salute di
Carlo II di Spagna; da ricordare sono anche gli emblemata contenuti nel volume
scritto per i funerali di D. Caterina d'Aragona, e a cui si ispirò Giambattista
Vico nel 1708 in occasione dei funerali di due uomini illustri Tra le tante collaborazioni con letterati del
suo tempo, degna di nota è quella che ebbe con Giambattista Vico per la
pubblicazione del 1705 di un volume in occasione del genetliaco di Filippo v di
Spagna, tre sono i componimenti contenuti in esso, due in greco e uno in
latino. Il Messere fu anche collaboratore di una Miscellanea dal titolo Vari
componimenti in lode dell'eccellentissimo signore d. Francesco Benavides conte
di S. Stefano. Fatta eccezione per alcuni componimenti inseriti in Miscellanee
poetico-celebrative, del Messere non esistono opere a stampa. E a ciò ne dà
spiegazione il Lombardo quando afferma che egli fu uomo umile e schivo tutto
dedito all'educazione dei giovani più che ai propri interessi personali, anzi
la sua modestia fu tale che pensò bene di distruggere i propri scritti. Le lezioni accademiche Le lezioni accademiche
di cui si dispone sono quelle che Gregorio Messere tenne nell'Accademia
istituita a Palazzo Reale dal viceré duca di Medinaceli. I codici delle lezioni
sono conservati attualmente presso la Biblioteca Nazionale di Madrid e in
quella di Napoli. Due di queste lezioni trattano di poesia e furono tenute nel
1699, qui il Messere argomenta sulla funzione e natura della poesia, dei suoi
rapporti con la storia nonché sul problema delle origini della poesia stessa.
Tre altre lezioni sono di carattere storico, esattamente: due sulla vita di
Nerva e una sulla vita di Decio. Il codice napoletano contiene anche un
Discorso vario in cui sono presenti motivi autobiografici e una lezione
sull'origine delle maschere. L'Accademia di Medinaceli non ebbe lunga vita e,
nonostante la sua chiusura avvenuta nel 1701 a causa di rivolgimento politico,
Gregorio Messere continuò ad essere personaggio illustre nel panorama
intellettuale e culturale napoletano, come dimostra il fatto di essere
annoverato tra i primi membri dell'Arcadia sotto la custodia Crescimbeni e
successivamente della colonia napoletana “Sebezia”. Note
Storia della litteratura italiana
Biografia degli uomini illustri del regno di Napoli Le vite degli Arcadi illustri scritte da
diversi autori, e pubblicate d'ordine delle generale adunanza da Giovanni Mario
Crescimbeni, parte seconda, Roma 1710,
47-59 (biografia scritta da Gaetano Lombardo). Clementina Cantillo,
Filosofia, poesia e vita civile in Gregorio Messere: un contributo alla storia
del pensiero meridionale tra '600 e '700, Morano, Napoli 1996. Angelo De
Prezzo, Storia delle origini di Torre Santa Susanna, Tiemme, Manduria 1997.
Imma Ascione, Seminarium doctrinarum: l'Napoli nei documenti del '700,
1690-1734, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1997. Fabrizio Lomonaco,
Gregorio Messere, la poesia e l'impegno civile tra Gravina e Vico, in
"Diritto e Cultura", VIII (1998), 1,
167-173. Lezioni dell'Accademia di Palazzo del duca di Medinaceli:
Napoli 1698-1701, Michele Rak, Napoli, Istituto italiano per gli studi
filosofici.
Micalori: Della sfera mondiale
, 1626 Questa voce è orfana Questa voce sull'argomento teologi è orfana, ovvero
priva di collegamenti in entrata da altre voci. Inseriscine almeno uno
pertinente e non generico e rimuovi l'avviso. Giacomo Micalori, filosofo. Professore
a Urbino. Opere Giacomo Micalori, Della
sfera mondiale, In Urbino, Marco Antonio Mazzantini, 1626. 14 giugno . Giacomo
Micalori, Antapocrisi, In Roma, Francesco Roma Cavalli, 1635.
Miccoli: Paolo Miccoli, filosofo. La divertente commedia umana
Incipit Chi si accinge alla lettura dell' Elogio della follia di Erasmo farebbe
bene a non dimenticare taluni antecedenti biografici dell'autore che spiegano
meglio l'ironia bonaria dell'opuscolo. Li richiamiamo. Geer Geertsz,
latinizzato secondo il costume degli umanisti in Desiderio Erasmo, nacque a
Rotterdam (Olanda) nel 1466 (o, secondo altri, nel 1469), figlio di illegittimo
coniugio. La famiglia paterna, in auge nella borghesia di Gouda, come
apprendiamo dallo stesso Erasmo, si oppose alle nozze riparatrici del figlio,
costringendolo, con inganno, a far intraprendere la carriera ecclesiastica al
malcapitato giovanotto. Citazioni Come
umanista Erasmo si sente apparentato alla società dalla duttile forza della
parola che ne saggia criticamente le valenze in termini di ironia, sarcasmo,
gioco allusivo, bonarietà lungimirante, tolleranza magnanima, moralismo
contenuto. (p. 8) Fin dalla dedica dell'opuscolo a Tommaso Moro si arguisce che
l'autore non vuol propinare sapientia austera e compassata, ma buon senso
brioso che permei di sé la vita quotidiana della gente, fosse anche
dell'imperatore Marco Aurelio che sul letto di morte, lui filosofo, esclama, a
un certo momento: «Sentenzio me cacavi!»... (p. 8) La sapienza dei dotti è
tanto altezzosa quanto sterile, diversamente dal buon senso che cambia in
meglio l'esistenza non sofisticata. (p. 8) Sotto la penna dell'insigne umanista
olandese si fronteggiano al femminile Sapientia e Stultitia: la prima, per
voler essere austera ad ogni costo, diventa stolta; la seconda, in quanto
«forza vitale irrazionale e creatrice», si palesa veramente saggia alla resa
dei conti. (p. 8) L' Elogio della follia conserva un fascino di imperitura
attualità. Lo si desume dall'analisi di Histoire de la Folie, dove Michel
Foucault evidenzia il confine sfumato tra ragione e sragione in epoca di alta
tecnologia, e altresì dalle invettive di Nietzsche contro lo smunto
bibliotecario, lo stitico correttore di bozze, il pallido burocrate
stipendiato, emblemi tutti del moderno «uomo alessandrino». (p. 11) Explicit
Erasmo conosce e cita perfino pagine della Bibbia a riprova della bontà dei
doni che Follia concede ai mortali. Un modo questo, di prendere in giro
anzitempo la presunzione dispotica delle società economicistiche che intendono
mantenere sotto loro tutela il cittadino «minorenne» sempre bisognoso di dande
e mordacchie. Gli autori classici sono, tra l'altro, spiriti lungimiranti. A
tali società alienanti di oggi e di domani William Blake, con spirito
erasmiano, potrebbe ripetere: «esuberanza è bellezza». [Paolo Miccoli, La divertente commedia umana,
introduzione a Erasmo da Rotterdam, Elogio della Follia, TEN, 2002. 88-9289-712-5] Introduzione a "Vita di Gesù"
Incipit Il contesto storico culturale della Vita di Gesù La recente edizione
storico-critica delle Opere complete di Hegel consente di far chiarezza sulle
discussioni e congetture che hanno tenuto a lungo il campo nella letteratura
hegeliana a proposito dei cosiddetti «Scritti teologici giovanili», la cui
indole cronologica vengono ora sancite su base filologica e critica più
accorta. Più che ai titoli apposti da Herman Nohl ai vari frammenti e più che
alle congetture sulla data probabile di tali scritti, è più fruttuoso rifarsi
agli anni di formazione filosofica e teologica di Hegel nello Stift di Tubinga
(1788-93) e reperire nel curriculum studiorum le ascendenze prossime che hanno
influenzato maggiormente l'autore in una speculiare lettura dei quattro
Evangelisti, da cui desume Das Leben Jesu (1795). Citazioni Gli interessi culturali di Hegel,
negli anni tubinghesi, sono prevalentemente filosofici, incentivati dalla
lettura di Rousseau, Jacobi, Lessing, Kant, Fichte su temi sociopolitici ed
etico-religiosi. (p. VII) Hegel, studioso di filosofia, si sente chiamato a
lumeggiare «spiritualmente» la situazione storica del suo tempo e a porre le
premesse di carattere razionale per l'avvento di un «ordine uguale di tutti gli
spiriti». (p. X) Il lettore del Leben Jesu si accorge subito di trovarsi di
fronte a una forma di scrittura audace, che desacralizza e sdivinizza la
persona di Gesù, riducendolo a maestro di morale sublime. (XI) [Paolo Miccoli,
introduzione a Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Vita di Gesù (Das Leben Jesu),
traduzione di Anselmo Aportone, TEN 1993
Miccolis: Stefano Miccolis (Corato), filosofo. Considerato uno
dei massimi studiosi di Antonio Labriola.
Dal suo paese natio si trasferì a Perugia per gli studi universitari,
laureandosi in filosofia a pieni voti, a soli 21 anni, con una tesi dal titolo
«Il pensiero politico crociano e la genesi del liberalismo». Abilitatosi tre
anni dopo cum laude all'insegnamento di storia e filosofia, professore in vari
licei della provincia, occupò una cattedra stabile presso l'Istituto tecnico
per geometri a Perugia, accostando l'insegnamento di estetica all'Accademia di
belle arti "Pietro Vannucci". Sempre giovanissimo divenne
responsabile del settore culturale del PCI per la regione Umbria; ma, preso
dagli studî e dall'insegnamento, lasciò l'incarico, comunque seguendo sempre le
vicende politiche con attenzione e passione. La sua è stata una formazione
liberale: considerava suoi padri spirituali Antonio Labriola, Benedetto Croce,
Piero Gobetti. Dalla fine degli anni Settanta la sua vita sarà rivolta allo
studio del filosofo cassinese Antonio Labriola, da Miccolis ritenuto «un buon
punto per capire la storia d'Italia». Nascerà quindi il Carteggio labrioliano,
in cinque volumi, presentato da Claudio Cesa all'Accademia dei Lincei nel 2006,
edito per gli auspici e con il contributo dell'Istituto italiano per gli studi storici
e dell'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" e favorito
dalla consultazione, nel frattempo divenuta possibile, delle carte Labriola del
Fondo Dal Pane, acquistato dalla Società napoletana di storia patria. Su tale
monumentale lavoro è stato scritto: «un evento letterario, probabilmente
l'acquisizione più importante tra le fonti della cultura italiana postunitaria;
e, di più, senza esagerazione, si presenta come un capolavoro ecdotico, per
accuratezza filologica ed esaustività del commento. Miccolis era certo divenuto
col tempo l'esperto più sicuro della impervia grafia del suo autore, della
quale conosceva ogni piega e ogni anomalia, dei contesti politici e culturali
in cui Labriola si muoveva, […] della spezzettata, dispersa e contorta labrioliana, difficile da padroneggiare: si
era anche impadronito, in base a una sensibilità linguistica non comune, del
"vocabolario" dell'Autore in tutte le sue sfumature, ed era perciò in
grado di respingere o di dubitare di attribuzioni di testi, datazioni improbabili,
letture sghembe». Miccolis scrisse inoltre sistematicamente per varie riviste
(Rivista di storia della filosofia, il Giornale critico della filosofia
italiana, Belfagor, Critica storica, Nuovi studi politici, etc.); numerosi sono
i suoi saggi e notevoli gli ulteriori apporti documentari alla labrioliana. Negli ultimi anni collaborò
intensamente con l'Istituto italiano per gli studi storici e la Fondazione
Biblioteca Benedetto Croce: aveva il compito di revisionare i carteggi
crociani, e sotto il suo controllo passavano i volumi dell'Edizione nazionale
delle opere di Croce. È stato anche uno dei principali animatori dell'Edizione
nazionale delle opere di Labriola, per la quale aveva contribuito a definire il
piano editoriale, i criteri metodologici, e il problema del rapporto tra
l'opera edita di Labriola e il fondo manoscritto della Società napoletana di
storia patria. Note Adnkronos, Filosofi, E' morto Stefano Miccolis,
massimo studioso di Antonio Labriolia, Bari, Alessandro SAVORELLI, Stefano
Miccolis, Rivista di storia della filosofia, , fasc. 2. Opere principali A.
Labriola, Il carteggio di Antonio Labriola conservato nel Fondo Dal Pane, S.
Miccolis, «Archivio storico per le provincie napoletane», «Con la Sua calligrafia che mi ricorda i papiri
greci...». La filologia, la guerra, la Crusca nel carteggio di Croce con
Pistelli e Teresa Lodi, a c. di S. Miccolis e A. Savorelli, in Gli archivi
della memoria, Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 1996, 91–126, (rist. in Gli archivi della memoria e
il Carteggio Salvemini-Pistelli, a c. di R. Pintaudi, Firenze, Biblioteca
Medicea Lauenziana, Polistampa, 2004,
118–126) A. Labriola, La politica italiana nel 1871-1872. Corrispondenze
alle « Basler Nachrichten », S. Miccolis, Napoli, Bibliopolis, 1998 A.
Labriola, Carteggio, S. Miccolis, Napoli, Bibliopolis, 2000-2006 S. Miccolis,
Labriola, Antonio, in Dizionario biografico degli italiani, A. Labriola,
L'università e la libertà della scienza, S. Miccolis, Torino, Aragno, 2007. A.
Labriola, Giordano Bruno. Scritti editi ed inediti (1888-1900), S. Miccolis e
A. Savorelli, Napoli, Bibliopolis, 2008 S. Miccolis, Antonio Labriola. Saggi
per una biografia politica, A. Savorelli e Stefania Miccolis, Milano,
UNICOPLI, S. Miccolis, Gli scritti
politici di Antonio Labriola editi da Stefano Miccolis, A. Savorelli e Stefania
Miccolis, Napoli, Bibliopolis, G.
Bucci, Stefano Miccolis, il ricordo a un anno dalla morte, "Corato
live", 10 dicembre W. Gianinazzi,
M. Prat, In memoriam Stefano Miccolis (1945-2009), "Mil neuf cent",
n° 28, 201. A. Savorelli, Stefano Miccolis, «Rivista di storia della
filosofia», fasc. 2., a. LXV, , 355–359
. A. Meschiari, Stefano Miccolis studioso di Antonio Labriola, «Rivista di storia
della filosofia».
Mieli. «Spero che la lettura di questo libro
favorisca la liberazione del desiderio gay presso coloro che lo reprimono e
aiuti quegli omosessuali manifesti, che sono ancora schiavi del sentimento di
colpevolezza indotto dalla persecuzione sociale, a liberarsi della falsa colpa»
(Elementi di critica omosessuale, 1977). Mario Mieli (Milano), filosofo. Attivista
e scrittore italiano, teorico degli studi di genere. È considerato uno dei
fondatori del movimento omosessuale italiano, nonché uno tra i massimi teorici
del pensiero nell'attivismo omosessuale italiano. Legato al marxismo
rivoluzionario, è noto soprattutto come eponimo del Circolo di cultura
omosessuale Mario Mieli e per il suo saggio Elementi di critica omosessuale
pubblicato nella sua prima edizione da Einaudi nel 1977. Mario Mieli
nacque a Milano nel 1952, penultimo dei sette figli di Walter Mieli e di
Liderica Salina. Il padre, ebreo e originario di Alessandria d'Egitto, viveva a
Milano dalla metà degli anni venti e aveva fondato con successo un'azienda di
filati, divenuta in seguito una delle più importanti nella torcitura e nella
lavorazione della seta. La madre, milanese, era insegnante di lingue.
Sposati dal 1936, durante la seconda guerra mondiale i coniugi Mieli erano
sfollati a Lora, frazione di Como. Mario crebbe in questa cittadina, pur
mantenendo forti legami con Milano dove il padre continuava a lavorare e a
risiedere. Il giovane Mario si stabilì definitivamente nel capoluogo
lombardo quando si iscrisse al liceo classico Giuseppe Parini, raggiunto due
anni dopo dalla sorella minore Paola, alla quale fu sempre molto legato. Già in
questi anni diede dimostrazione della sua viva intelligenza e dichiarò la
propria omosessualità. Secondo quanto testimoniato dal compagno Milo De
Angelis, nel 1969 fondò un circolo di poesia che divenne anche un luogo di
incontro per omosessuali. Fu pienamente coinvolto nella contestazione ed evocò
questo periodo nel suo romanzo autobiografico Il risveglio dei faraoni. A
causa della sua miopia fu esonerato dal servizio militare e nel 1971, alla fine
del liceo, si trasferì a Londra per perfezionare l'inglese, come già avevano
fatto altri suoi familiari. Qui frequentò il "Gay Liberation Front"
venendo a contatto con l'attivismo omosessuale nella sua fase più intensa,
subito dopo i moti di Stonewall. Tornato in Italia nel 1971, a soli 19 anni fu,
insieme ad Angelo Pezzana, tra i soci fondatori del celebre Fuori! a Torino,
prima associazione italiana del movimento di liberazione omosessuale
italiano. Convinto assertore di una rivoluzione gay in chiave marxista,
nel 1974 si allontanò dal Fuori! insieme a tutta la cellula milanese
dell'associazione quando questa si legò al Partito Radicale. Nello stesso
anno fondò a Milano i Collettivi Omosessuali Milanesi e nel 1976 i Collettivi
parteciparono al Festival del proletariato giovanile di Parco Lambro, dove
Mieli lanciò dal palco lo slogan Lotta dura, Contronatura!. Si laureò in
filosofia morale con una tesi, poi pubblicata con modifiche, da Einaudi nel
1977 con il titolo di Elementi di critica omosessuale e che divenne un
fondamento delle teorie di genere in Italia e, in misura minore, all'estero,
venendo tradotto e pubblicato in inglese nel 1980 con il titolo Homosexuality
and liberation: elements of a gay critique ed in spagnolo con il titolo Elementos
de crítica homosexual nel 1979 dall'editrice Anagrama. Elementi fu uno dei
testi base dei collettivi autonomi gay. Mario Mieli fu uno dei primi a
contestare apertamente le categorie di genere vestendosi quasi sempre con abiti
femminili. Nel frattempo si dedicava al teatro, destando scandalo nella
mentalità dell'epoca con opere come lo spettacolo La Traviata Norma. Ovvero:
Vaffanculo... ebbene sì! (1976). Dava volutamente scandalo anche per il modo in
cui si presentava, utilizzò anche immagini e ruoli per portare avanti la
propria battaglia dei diritti individuali inalienabili. Nel corso della sua
esistenza, cercò di superare i limiti, fece uso di droghe e si dette a pratiche
sempre più estreme, inclusa la coprofagia. Nel 1974, durante un viaggio a
Londra, Mieli, vicino già all'antipsichiatria, iniziò a interessarsi di
psicoanalisi; in dicembre fu nuovamente arrestato, quando, seminudo e in preda
a una crisi psichica, fu fermato nell'aeroporto di Heathrow, in cerca di un
poliziotto con cui avere un rapporto sessuale. Prima venne incarcerato, poi
messo nella sezione psichiatrica del Marlborough Day hospital, assistito dai
familiari venuti dall'Italia in attesa del processo. Venne ricondotto a
Milano, dopo la condanna a pagare una multa, e ricoverato in una clinica
psichiatrica per un mese. Una volta dimesso, su consiglio del suo psicoanalista
Giovanni Carlo Zapparoli, i genitori gli diedero un appartamento autonomo.
L'anno seguente viaggiò ad Amsterdam e di nuovo a Londra e si laureò con lode
in filosofia. Poco dopo lasciò l'appartamento che gli avevano trovato e
interruppe la terapia psichiatrica. Al V congresso del Fuori!, che sancì
la sua rottura col movimento e con Angelo Pezzana, Mieli prese la parola, si
dichiarò transessuale e parlò della sua esperienza di malattia mentale («sono
stato definito uno schizofrenico paranoide, sono stato in ospedale, in
manicomio per questo motivo») e di omosessualità. Dopo questo periodo si dedicò
alla stesura degli Elementi di critica omosessuale. Negli ultimi anni di
vita si dedicò all'esoterismo e all'alchimia, abbastanza isolato dal resto del
movimento omosessuale, e lavorando al romanzo Il risveglio dei faraoni,
pubblicato postumo nel 1994. Morì suicida infilando la testa nel forno
della sua abitazione di Milano nel 1983 all'età di soli 30 anni, dopo un lungo
periodo di depressione. Tra i motivi del suo gesto estremo fu l'ostruzionismo
che il padre, influente industriale milanese, aveva fatto per impedire la
pubblicazione della sua ultima opera, Il risveglio dei faraoni, ritenendolo
troppo autobiografico e lesivo dell'onore famigliare. A lui è intitolato il
Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli sorto a Roma nello stesso anno della
morte. Il pensiero Il transessualismo universale Il pensiero di Mario Mieli
consiste nel ritenere che ogni persona è potenzialmente transessuale se non
fosse condizionata, fin dall'infanzia, da un certo tipo di società che,
attraverso quella che Mieli chiamava "educastrazione", costringe a
considerare l'eterosessualità come "normalità" e tutto il resto come
perversione. Per transessualità Mieli non intende quello che si intende oggi
nella comune accezione del termine, ma l'innata tendenza polimorfa e
"perversa" dell'uomo, caratterizzata da una pluralità delle tendenze
dell'Eros e da l'ermafroditismo originario e profondo di ogni individuo.
La liberazione omosessuale in chiave marxista Mieli fu tra i primi studiosi ed
attivisti del Movimento di Liberazione Omosessuale Italiano, accanto a
Ferruccio Castellano, Massimo Consoli, Elio Modugno e Angelo Pezzana. Tutti
partivano dalla certezza che la liberazione dall'ancestrale omofobia dovesse
fondarsi sulla consapevolezza della propria identità, censurata fin dalla
nascita dalla cultura dominante, da loro ritenuta antropologicamente sessuofoba
e pervicacemente omofoba. Da queste basi partivano per abbattere la
discriminazione plurisecolare nei confronti di chi non si identificava nella
sessualità assiomaticamente definita come naturale e normale. Mieli abbracciò
immediatamente il marxismo, cercando di rimodularlo sulle istanze della lotta
di liberazione ed emancipazione omosessuale e ritenendo la società capitalista
intrinsecamente omofoba. Rilettura della psicanalisi Negli Elementi di
critica omosessuale, Mieli volle rielaborare alcuni degli spunti teorici della
teoria della sessualità di Freud, attraverso la lettura che, tra gli anni
Cinquanta e Sessanta, ne aveva fatto Herbert Marcuse. Marcuse, infatti, in
opere come Eros e civiltà (1955) e L'uomo a una dimensione (1964), aveva voluto
fondere marxismo e psicanalisi. Fu proprio Freud, infatti, a sostenere che
l'orientamento sessuale poteva prendere qualsiasi "direzione",
riconducendo "eterosessualità" e "omosessualità" a semplici
varianti della sessualità umana in senso lato. Una non escluderebbe l'altra, e
anzi, in potenza, tutti saremmo pluri-sessuali, "polimorfi" o, più
semplicemente, bi-sessuali. In base a questa riflessione, Mieli riteneva
che si dovesse denunciare come assurda e inconsistente l'opposizione ideologica
"eterosessuale" vs "omosessuale", essendo viziato il
principio stesso di "mono-sessualità". A questa prospettiva
unilaterale, che riteneva incapace di cogliere la natura ambivalente e dinamica
della dimensione sessuale, Mieli ha preferito opporre un principio di eros
libero, molteplice e polimorfo. Per Mieli era tragicamente ridicola «la
stragrande maggioranza delle persone, nelle loro divise mostruose da maschio o
da "donna" [...]. Se il travestito appare ridicolo a chi lo incontra,
tristemente ridicolissima è per il travestito la nudità di chi gli rida in
faccia». Tim Dean, psicoanalista dell'Buffalo, che redasse l'appendice
dell'edizione Feltrinelli di Elementi di critica omosessuale, affermava: «Nel
processo politico di ristrutturazione della società (...) Mieli non esita a
includere nel suo elenco di esperienze redentive la pedofilia, la necrofilia e
la coprofagia» e «ridefinisce drasticamente il comunismo descrivendolo come
riscoperta dei corpi (...) In questa comunicazione alla Bataille di forme
materiali, la corporeità umana entra liberamente in relazioni egualitarie
multiple con tutti gli esseri della terra, inclusi "i bambini e i nuovi
arrivati di ogni tipo, corpi defunti, animali, piante, cose" annullando
"democraticamente" ogni differenza non solo tra gli esseri umani ma
anche tra le specie». A questa rivoluzione sociale sono di ostacolo
determinati elementi, ritenuti da Mieli come «pregiudizi di certa canaglia
reazionaria» che, trasmessi con l'educazione, hanno la colpa di «trasformare
troppo precocemente il bambino in adulto eterosessuale». Il tema della
pedofilia Da provocatore dei "benpensanti", quale è stato tutta la
breve vita, facendo esplicitamente riferimento a Sigmund Freud, Mieli affrontò
a modo suo anche il tema della sessualità infantile, per questo andando
incontro a forti critiche. I bambini, secondo il pensiero di Mieli, potevano
"liberarsi" dai pregiudizi sociali e trovare la realizzazione della
loro "perversità poliforme" grazie ad adulti consapevoli di quanto
sopra asserito: «Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non
tanto l'Edipo, o il futuro Edipo, bensì l'essere umano potenzialmente libero.
Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente
rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia
aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l'amore con loro.
Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi
amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza,
educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica. La società
repressiva eterosessuale costringe il bambino al periodo di latenza; ma il
periodo di latenza non è che l’introduzione mortifera all’ergastolo di una
«vita» latente. La pederastia, invece, «è una freccia di libidine scagliata
verso il feto» (Francesco Ascoli)» (Elementi di critica omosessuale, pag.
62, 2002) Nella nota 88 si legge: «Per pederastia intendo il desiderio
erotico degli adulti per i bambini (di entrambi i sessi) e i rapporti sessuali
tra adulti e bambini. Pederastia (in senso proprio) e pedofilia vengono
comunemente usati come sinonimi» (Elementi di critica omosessuale, pag. 62,
2002) Il tema dell'alterazione psichica, della follia Mieli faceva uso di
sostanze stupefacenti, attraverso le quali mirava a superare lo stato di
normalità in cui riteneva le persone intrappolate. Riteneva che nevrosi,
follia, paranoia, delirio e, soprattutto, la schizofrenia, al pari
dell'omosessualità fossero caratteristiche latenti in tutti gli esseri umani e,
con riferimento a Jung, che tali condizioni permettessero «la (ri)scoperta di
quella parte di noi che Jung definirebbe “Anima” oppure “Animus”». In
riferimento all'omosessualità, Mieli considerava che potesse essere una porta
verso il lato inesplorato della personalità, in analogia con la follia: «La
paura dell’omosessualità che distingue l’homo normalis è anche terrore della
“follia” (terrore di se stesso, del proprio profondo). Così, la liberazione
omosessuale si pone davvero come ponte verso una dimensione decisamente altra:
i francesi, che chiamano folles le checche, non esagerano». Opere Comune
futura, con Francesco Santini, 1974 (pamphlet) Elementi di critica omosessuale,
Einaudi, Torino, 1977 Elementi di critica omosessuale, Gianni Rossi Barilli e
Paola Mieli, Feltrinelli, Milano, 2002 Elementi di critica omosessuale, Gianni
Rossi Barilli e Paola Mieli, Feltrinelli, Milano, Towards a Gay Communism, pubblicazione
pirata, Londra, 1980 (pamphlet) Towards a Gay Communism, Pluto Press,
Londra, Il risveglio dei faraoni,
preservato da Marc de' Pasquali e Umberto Pasti, Cooperativa Colibri, Milano,
1994 Il risveglio dei faraoni, Alfonso Sarrio Solidago, dR Edizioni,
Milano, Oro, eros e armonia, Gianpaolo
Silvestri e Antonio Veneziani, Edizioni Croce, 2002 Oro, eros e armonia,
Gianpaolo Silvestri e Antonio Veneziani, Edizioni Croce, E adesso, Silvia De Laude, Edizioni
Clichy, Teatro La Traviata Norma.
Ovvero: Vaffanculo... ebbene sì!, 1977 Film su Mario Mieli Gli anni amari,
regia di Andrea Adriatico () Note Tommaso
Giartosio, Perché non possiamo non dirci: letteratura, omosessualità, mondo,
Feltrinelli Editore, 2004,
9788807103681. 19 settembre . Gianni Rossi Barilli, Il movimento
gay in Italia, Feltrinelli Editore, 1999,
9788807815591. 19 settembre . Laura Schettini, Mario Mieli, in
Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, . 23 dicembre . Mario Mieli,
Ideologia. Progetto omosessuale rivoluzionario, in Elementi di critica omosessuale
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Fuori! LGBT Marc de' Pasquali Movimento di liberazione omosessuale
Omosessualità Queer Storia dell'omosessualità in Italia Studi di genere Teoria
queer Transessualismo Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Mario
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italiano, su culturagay.it. Chi era Mario Mieli (articolo sul gay.tv), su gay.tv 12 maggio 2009). Circolo
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italianiScrittori italiani Professore1952 1983 21 maggio 12 marzo Milano
MilanoAttivisti per i diritti delle persone LGBT in ItaliaStudi di genereTeoria
queerMorti per suicidioPedofiliaTrans*PederastiaPersone che hanno fatto coming
outNecrofilia
Miraglia Senatore del Regno
d'Italia Dati generali Professione docente universitario.. Luigi Miraglia
(Reggio), filosofo. Senatore del Regno nella XXI Legislatura. Si laureò all'Napoli, dopodiché insegnò
filosofia del diritto nella stessa università, ed economia politica alla Scuola
superiore di agricoltura di Portici.
Seguì una corrente di pensiero eclettica, ad esso contemporanea, che
mirava all'integrazione di pratiche giuridiche ed ispirazioni filosofiche. Fu
sindaco di Napoli dal 30 novembre del 1901 fino al giorno della sua scomparsa,
avvenuta due anni dopo. Pubblicazioni
Tra le più famose si ricordano:
Condizioni storiche e scientifiche del diritto di preda (Napoli, 1871);
I principî fondamentali dei diversi sistemi di filosofia del diritto e la
dottrina etico-giuridica di G. F. Hegel (Napoli, 1873); Filosofia del diritto
(2ª ed., Napoli, 1893). Note Nella sua
biografia ufficiale per la Treccani è nato a Reggio nell'Emilia, mentre nella
sua scheda storico-professionale sul sito del Senato si riporta a Reggio di
Calabria Giuseppe Ermini, MIRAGLIA,
Luigi, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
1934, luigi-miraglia. 31 ottobre . Luigi
Miraglia (latinista) Sindaci di Napoli Senatori della XXI legislatura del Regno
d'Italia Luigi Miraglia, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Luigi Miraglia, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Luigi Miraglia, . Luigi Miraglia, su Senatori d'Italia, Senato
della Repubblica.
Misefari Bruno Misefari Bruno Misèfari al
confino di Ponza, nei primi anni trenta Bruno Misefari conosciuto anche con lo
pseudonimo anagrammatico Furio Sbarnemi (Palizzi), filosofo. All'anagrafe Bruno
Vincenzo Francesco Attilio Misefari, era fratello di Enzo (politico calabrese
del P.C.I., storico e poeta), di Ottavio (calciatore reggino tra i più conosciuti
nei primi anni del secolo; giocò nella Reggina e nel Messina) e di Florindo
(biologo, attivista della Lega Sovversiva Studentesca e del gruppo "Bruno
Filippi"). Dopo aver frequentato la scuola elementare del piccolo
paese di nascita in provincia di Reggio Calabria, a undici anni si trasferì con
lo zio proprio a Reggio Calabria. Già da adolescente, influenzato dalle
frequentazioni di socialisti e anarchici in casa dello zio, partecipò
attivamente alla fondazione e allo sviluppo di un circolo giovanile socialista
(intitolato ad A. Babel, rivoluzionario tedesco dell'Ottocento). Iniziò a
collaborare al giornale Il Lavoratore, organo della Camera del Lavoro di Reggio
Calabria, firmando gli articoli come "Lo studente". Collaborò nello
stesso periodo a Il Riscatto, periodico socialista-anarchico stampato a
Messina; e con Il Libertario, stampato a La Spezia e diretto da Pasquale
Binazzi. Il 5 marzo 1912, a causa della sua attività antimilitarista esercitata
all'interno del Circolo contro la Guerra italo-turca, fu arrestato e condannato
a due mesi e mezzo di carcere per «istigazione alla pubblica
disobbedienza». Fu nei due anni successivi che Bruno si convertì dal
socialismo all'anarchia. Ciò avvenne soprattutto con la frequentazione (già dal
1910) da parte di Giuseppe Berti, suo professore di fisica presso
l'"Istituto Tecnico Raffaele Piria". Nel 1912 si trasferì a
Napoli e si iscrisse al Politecnico, dopo avere studiato fisica e matematica
alle superiori, e anche per non dispiacere al padre, proseguì tali studi. Pesò
inoltre su questa decisione il fatto che in quegli anni, dopo la tragica
distruzione della città di Reggio Calabria a causa del terremoto del 1908, il
lavoro che garantiva le maggiori certezze era proprio quello dell'ingegnere.
Nondimeno continuò per proprio conto gli studi a lui prediletti: politica,
filosofia, letteratura, come aveva fatto fino ad allora. A Napoli si fece
subito avanti nell'ambiente anarchico. Il movimento a Napoli contava allora di
un centinaio di aderenti. Nel 1915 si rifiutò di partecipare al corso
allievi ufficiali a Benevento e fu condannato a quattro mesi di carcere
militare. Diserterà una seconda volta il 28 settembre 1916, trovando rifugio
nella campagna del beneventano in casa di un contadino. Tornato a Reggio
Calabria, il 5 marzo 1916 interruppe una manifestazione interventista nella
centrale Piazza Garibaldi, salendo sul palco e pronunciando un discorso
antimilitarista. Venne per questo motivo arrestato e condotto presso il carcere
militare di Acireale; sette mesi dopo venne trasferito presso quello di
Benevento. Da lì riuscì ad evadere grazie alla complicità di un amico
secondino. Fu tuttavia intercettato alla frontiera del confine svizzero; ancora
incarcerato, riuscì nuovamente nella fuga nel giugno del 1917. Il 19
giugno 1917 toccò il territorio svizzero, ma i gendarmi lo condussero al
carcere di Lugano. Giunte dalla Calabria le informazioni su di lui, essendo un
uomo politico, dopo quindici giorni fu lasciato libero con la facoltà di
scegliere il luogo di residenza. Indicò subito Zurigo, dove sapeva di potere
rintracciare Francesco Misiano, suo caro amico e noto esponente politico
socialista, anche lui accusato di diserzione. A Zurigo trovò ospitalità presso
la famiglia Zanolli, dove si innamorò della giovane Pia, che diventerà sua
compagna di vita. Durante il periodo di esilio in Svizzera, Bruno
svolgeva attività politica tenendo i contatti con Luigi Bertoni e con altri
gruppi anarchici elvetici, collaborando anche al giornale: Il Risveglio
Comunista Anarchico. Svolse una serie di conferenze in varie città della
Svizzera. Bruno si autoannunciava con un suo pseudonimo anagrammatico Furio
Sbarnemi. A Zurigo frequenta la Cooperativa socialista di Militaerstrasse 36 e
la libreria internazionale di Zwinglistrasse gestita dai disertori Giuseppe
Monnanni, Francesco Ghezzi e Enrico Arrigoni; in questi ambienti conosce anche
Angelica Balabanoff. Il 16 maggio 1918 venne arrestato per un complotto
inventato dalla polizia. Fu incolpato innocentemente con l'accusa di avere fomentato
una rivolta nella città e di «aver fabbricato bombe a scopo rivoluzionario».
Con lui furono arrestati diversi attivisti politici, tra i quali lo stesso
Francesco Misiano (che fu poi rilasciato perché socialista e non anarchico).
Rimase in carcere per sette mesi, e venne poi espulso dalla Svizzera nel luglio
1919. Grazie ad un regolare passaporto per la Germania, ottenuto per ragioni di
studio, si recò a Stoccarda. Lì entrò in contatto con Clara Zetkin (che gli
rilascia una lunga intervista sul movimento rivoluzionario in Germania) e
Vincenzo Ferrer. Nell'ottobre nel 1919 poté rientrare in patria, in seguito
all'amnistia promulgata dal governo Nitti. Nel dicembre del 1919 è a Napoli e
poi a Reggio Calabria. Anni ventiIl ritorno in Italia Il 1920 fu un
periodo intenso per la vita militante di Bruno Misefari. A Napoli partecipò
come oratore a molte manifestazioni, si prodigò a favore dei suoi compagni
colpiti dalla repressione, denunciò le provocazioni della polizia; tenne
numerose conferenze e comizi. Con il dentista anarchico Giuseppe Imondi, stampò
alcuni numeri del giornale: L'Anarchia. In autunno fu chiamato a Taranto a
svolgere il compito di segretario propagandista presso la locale Camera del
Lavoro Sindacale. Tra la fine del 1920 e l'inizio del 1921 ebbe stretti
contatti con Errico Malatesta, Camillo Berneri, Pasquale Binazzi, Armando
Borghi, Giuseppe Di Vittorio e altri esponenti dell'anarchismo e del
sovversivismo italiano. Nel 1921 si impegnò su più fronti per la campagna a
favore degli anarchici Sacco e Vanzetti. Nello stesso periodo (1920-21) fu
corrispondente di: Umanità Nova, settimanale anarchico diretto da Errico
Malatesta e collaborò al periodico: L'Avvenire Anarchico di Pisa. Nel
1922 Bruno Misefari continuò i suoi studi a Napoli con qualche salto a Reggio
Calabria con la sua compagna Pia Zanolli (che sposò nel 1931). Il 18 agosto
1923 si laureò in ingegneria presso il Politecnico di Napoli. Successivamente
si iscrisse anche alla facoltà di filosofia. Nonostante l'avvento del
fascismo, nel 1924 fondò un giornale libertario, L'Amico del popolo, che però
dopo il quarto numero fu soppresso dalle autorità. Nel primo numero del
giornale, Bruno Misefari scrisse un editoriale dal titolo Chi sono e cosa
vogliono gli anarchici. Lo scritto è l'espressione del suo pensiero
libertario: «L'anarchismo è una tendenza naturale, che si trova nella
critica delle organizzazioni gerarchiche e delle concezioni autoritarie, e nel
movimento progressivo dell'umanità e perciò non può essere una utopia.»
(Bruno MisefariL'Amico del Popolo) Da esperto di geologia, progettò per primo
in Calabria l'industria del vetro e fondò nel 1926 a Villa S.Giovanni, la prima
vetreria in Calabria (Società Vetraria Calabrese). In quegli stessi anni subì
però persecuzioni continue da parte del regime. Fu cancellato dall'Albo di
categoria e non poté più firmare progetti. Gli venne mossa l'accusa di avere
«attentato ai poteri dello Stato, per il proposito di uccidere il re e
Mussolini». Fu prosciolto dopo venticinque giorni di carcere. Anni trenta
Nel 1931, la polizia ravvisò in un discorso di commemorazione durante il
funerale di un amico (tra l'altro un industriale fascista, Giuseppe Zagarella)
un'ispirazione anarchica e pertanto lo propose per l'assegnazione al confino.
Il 31 marzo 1931 fu arrestato, in carcere si sposò con Pia Zanolli, in luglio
fu inviato per il confino, prigioniero a Ponza. Tuttavia sembra che tale
provvedimento fosse stato determinato da altri motivi. Misefari, che era
ingegnere minerario, si era attivamente impegnato nello sfruttamento su larga
scala di giacimenti di quarzo, materia prima per l'industria vetraria, che fino
a quell'epoca dipendeva, in gran parte, dai silicati stranieri.
Bruno Misèfari Assunto come direttore tecnico della Società Vetraria Calabrese
(di cui era stato finanziatore e Presidente il succitato Zagarella) egli si era
dovuto ben presto scontrare con l'assenteismo e l'inettitudine del consiglio di
amministrazione che si schierò contro di lui con l'intenzione di eliminarlo in
qualsiasi modo, ricorrendo anche ad espedienti politici. Giustizia e Libertà,
in un articolo anonimo datato 21 dicembre 1933 dal titolo «Politica e
affarismo. Il caso di un ingegnere libertario», attribuisce la causa del
confino alle manovre dei suoi ex soci. Durante il confino stringe amicizia con
Domizio Torrigiani, Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, il quale lo
affilia alla Massoneria. L'amnistia del decennale del fascismo lo liberò
dal confino dopo due anni. Ma tornato in Calabria vide il vuoto intorno a
sé; scrive infatti a sua moglie: "Amnistiato sì, però a quale prezzo: la
salute sconquassata, senza un soldo, senza prospettive per l'avvenire".
Nel novembre del 1933 gli viene diagnosticata l'esistenza di un tumore alla
testa. Nel 1934 va e viene con la moglie da Zurigo a Reggio Calabria. Nel 1935
riesce a trovare il capitale necessario per l'impianto di uno stabilimento per
lo sfruttamento della silice a Davoli (in provincia di Catanzaro). Nel
1936 le sue condizioni di salute peggiorano a causa del tumore. Il 12 giugno
1936 perde conoscenza, viene ricoverato in stato gravissimo nella clinica
romana del Senatore Giuseppe Bastianelli, e lì si spense la sera stessa.
Il pensiero Bruno Misefari, ancora ragazzo, studente, cominciò a ribellarsi
contro l'ingiustizia del mondo che lo circondava: Palizzi Superiore, un paese
tra i monti dove il castello feudale dei signori locali dominava la valle, dove
si ammucchiavano piccole e povere case desolate di contadini. E si ribellò a
quel mondo, costruito secondo quell'immagine topografica che portava impresso
nella memoria: sopra, chi comanda e non lavora, sotto, chi subisce e lavora. E
ancora ragazzo cominciò a sognare un mondo in cui quella gerarchia fosse
sovvertita prima, distrutta poi. Poteva scegliere di ispirarsi al socialismo
marxistico o al socialismo libertario. Del primo apprezzava l'analisi
dell'antagonismo tra le classi, ma mostrava perplessità circa i mezzi proposti
dalla diagnosi marxistica per fronteggiare il pericolo di una rivincita
dell'avversario di classe. Inclinò perciò verso il socialismo libertario.
«Nel comunismo libertario io sarò ancora anarchico? Certo. Ma non di meno sono
oggi un amante del comunismo. L'anarchismo è la tendenza alla perfetta felicità
umana. esso dunque è, e sarà sempre, ideale di rivolta, individuale o
collettivo, oggi come domani.» (Bruno MisefariTaccuino personale) La
scelta della diserzione fu coerente con il suo obiettivo di combattere non la
guerra degli stati, ma a fianco degli oppressi di tutto il mondo contro il loro
nemico, tenendo alta la bandiera dell'internazionalismo. Pur sottoposto senza
tregua alla persecuzione della polizia e all'inquisizione della magistratura,
fu sempre al suo posto accanto a coloro che lavoravano e soffrivano. Come ogni
rivoluzionario sincero e coerente, pagò col carcere e col confino la sua fede
in un ideale. Chi sono gli anarchici Secondo Bruno Misefari, essere
anarchici voleva dire per prima cosa proclamare, contro ogni violenza,
l'inviolabilità della vita umana. Inoltre significava lottare per l'abolizione
della proprietà privata e a favore della socializzazione dei mezzi di
produzione e di scambio. Proprio per questo gli anarchici sono, di fondo, dei
socialisti. A questo esperimento di vita sociale andava affiancata la lotta
contro lo Stato, che ne impediva la realizzazione. E la lotta contro lo Stato
non poteva essere vittoriosa se non con la rivoluzione. Dunque gli anarchici
sono socialisti, antistatali e rivoluzionari. Elemento fondamentale della
lotta, secondo Misefari, era l'allargamento di essa alla sfera internazionale.
È comunque una lotta che non si fa violenta. Misefari è fortemente pacifista,
contrario all'uso della forza e della violenza armata. L'anarchico è inoltre
antireligioso: la religione infatti è considerata "fattore di abbrutimento
per l'umanità". Antimilitarismo Per Misefari la guerra è pura
barbarie, speculazione capitalistica consumata in nome dello Stato.
«L'esistenza del militarismo è la dimostrazione migliore del grado di
ignoranza, di servile sottomissione, di crudeltà, di barbarie a cui è arrivata
la società umana. Quando della gente può fare l'apoteosi del militarismo e
della guerra senza che la collera popolare si rovesci su di essa, si può
affermare con certezza assoluta che la società è sull'orlo della decadenza e perciò
sulla soglia della barbarie, o è una accolita di belve in veste umana.»
Religione La religione è considerata come un anestetico delle facoltà critiche
della mente umana. Sarebbe proprio la religione a imprigionare le energie
morali dell'uomo, a inebetire lo spirito critico e di riflessione. Perciò i
popoli più religiosi sarebbero i meno progrediti e i più afflitti dalla
tirannia, mentre, laddove la religione sparisce, lì è florida la libertà e il
benessere. «È il più solido puntello del capitalismo e dello Stato, i due
tiranni del popolo. Ed è anche il più temibile alleato dell'ignoranza e del
male.» La Donna È forte nel pensiero di Misefari la volontà di
sottolineare l'uguaglianza sociale tra uomo e donna. In anni difficili e
lontani dalle battaglie del femminismo di metà Novecento, egli afferma che la
donna nobilita e abbellisce la condizione di vita umana. È dovere della donna
lottare per risollevarsi da una condizione di inferiorità, che è tale in virtù
di un "delitto sociale" e non dovuta a leggi di natura. «Donne,
in voi e per voi è la vita del mondo: sorgete, noi siamo uguali!» Arte
Misefari vive di sogni, di ideali. Nella sua concezione non esiste un artista,
che sia poeta, filosofo, persino scienziato, che si sia mai messo al servizio
della menzogna. Se tutti potevano essere vili, un artista non poteva. «Un
poeta o uno scrittore, che non abbia per scopo la ribellione, che lavori per
conservare lo status quo della società, non è un artista: è un morto che parla
in poesia o in prosa. L'arte deve rinnovare la vita e i popoli, perciò deve
essere eminentemente rivoluzionaria.» Poesia composta nel 1912 da Bruno
Misefari: FALCO RIBELLE «Un giovane falco che drizza il libero volo
Ne l'alto, ove sono i fulgori di soli immortali Un giovane falco ribelle o
piccoli, io sono. Mi spinge ne' campi ignorati, un acre desio Di sante ideali
battaglie, di luce e di gloria. Mi splende nell'occhio la speme di certe
vittoria, Mi parla nel core la voce sinfonica, dolce D'un caro sublime
Pensiero, ch'è Bene ed Amore. Ho giovini l'ale e robuste, o venti, o cicloni, O
fulmini immani feroci, vi lancio la sfida. Voi soli potete pugnare col giovine
falco, Chè Luce, chè Forza, chè Vita multanime siete. Ma voi, piccoli, no. Coi
vermi guazzate nel fango, Dal fango mirate del falco il libero volo.»
Frammenti «Prima di pensare di rivoluzionare le masse, bisogna essere sicuri di
aver rivoluzionato noi stessi» «Ogni uomo è figlio dell'educazione e
della istruzione che riceve da fanciullo» «Gli Anarchici non seguono le
leggi fatte dagli uominiquelle non li riguardanoseguono invece le leggi della
natura» «Prima l'educazione del cuore, poi l'educazione della
mente» «Socialismo vuol dire uguaglianza, vuol dire libertà. Ma
l'uguaglianza non può essere senza libertà; come la libertà non può essere
senza l'uguaglianza: dunque socialismo e anarchia sono due termini dello stesso
binomio, sono i due inseparabili fattori della redenzione proletaria.»
«Quando la giustizia non sarà la durda infame delle tirannidi, quando l'amore
non sarà deriso, quando il ferro non sarà legge e l'oro non sarà dio, quando la
libertà sarà religione e sola nobiltà il lavoro, allora, solo allora, il mio
rifiuto della guerra sarà benedetto.» «M'è questa notte eterna assai men
grave del dì che mi mostrò viltà dei forti e pecorilità di plebi schiave. Lungi
da quì il pianto: sto ben coi morti!» (epitaffio) Opere complete Bruno
Misefari, Schiaffi e carezze, Roma, Morara, 1969. Bruno Misefari, Diario di un
disertore, La Nuova Italia, 1973., Entrambi i testi sono stati pubblicati
postumi sotto lo pseudonimo Furio Sbarnemi. Note Le schede biografiche di alcuni esponenti
anarchici calabresi, A/Rivista Anarchica, febbraio . 2 marzo . Antonioli, p.190. Antonioli,
p.191. E. Misefari. Antonioli, p.192. Pia Zanolli era nata a Belluno il 21 ottobre
1896. Dopo il matrimonio con Misefari, fu iscritta nell'albo dei sovversivi
pericolosi, venendo poi arrestata col marito a Domodossola nel dicembre 1919.
(cfr.: A/Rivista Anarchica) Chi sono e
cosa vogliono gli anarchici, ed. settembre . Antonioli, p.193. Pia Zanolli, L'Anarchico di Calabria, Roma,
La Nuova Italia, 1972. Bruno Misefari, Utopia? No, Pia Zanolli, Roma, ALBA
Centro Stampa, 1976. Enzo Misefari, Bruno, biografia di un fratello, Milano,
Zero in condotta, 1989. Maurizio Antonioli, Gianpietro Berti, Santi Fedele,
Pasquale Luso, Dizionario biografico degli anarchici italianiVolume 2, Pisa,
Biblioteca Franco Serantini, 2004,
88-86389-87-6. Bruno Misefari, Schiaffi, Carezze e altro, Pino
Vermiglio, Laureana di Borrello, Ogginoi, 2009. Furio Sbarnemi, Diario di un
disertore, Camerano (AN), Gwynplaine, ,
978-88-95574-14-1. Bruno Misefari, in Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Bruno Misefari, su siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo
Unificato per le Soprintendenze Archivistiche.
Opere di Bruno Misefari, su Liber Liber.
Opere di Bruno Misefari, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Bruno
Misefari, . Archivio Bruno Misefari presso l'International Institute of Social
History di Amsterdam, su iisg.amsterdam, 04-02-. Fondo Bruno Misefari presso la
Fondazione Lelio e Lisli Basso di Roma, su fondazionebasso.it. 04-02-. Gli
anarchici contro il fascismo, celebre articolo di Giorgio Sacchetti.
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ReplyDeletetre farfalle logistics