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Monday, September 21, 2020

IN PLICATVRVM XII/XX

 

Giannone: «Non solo i corpi, ma, quel che è più, anche le anime, i cuori e gli spiriti de' sudditi si sottoposero a' suoi piedi e strinse fra ceppi e catene.»  (Pietro Giannone, Il Triregno. Del regno terreno, Del regno celeste, Del regno papale. Pietro Giannone (Ischitella), filosofo.Esponente di spicco dell'Illuinismo italiano. Discendente da una famiglia di avvocati (anche se il padre era uno speziale), a diciotto anni lasciò il paese natale Ischitella, nei pressi di Foggia, per intraprendere gli studi di giurisprudenza a Napoli.  Nella città partenopea conseguì la laurea entrando ben presto in contatto con filosofi vicini a Giambattista Vico e apprezzando le idee di Cartesio e Nicolas Malebranche.  Fu praticante presso Gaetano Argento, che disponeva di una vasta biblioteca, la frequentazione della quale fu essenziale per la sua formazione.  I suoi interessi non si limitarono soltanto al diritto ed alla filosofia, appassionandosi anche agli studi storici e dedicandosi per ben vent'anni alla stesura della sua opera storica più conosciuta Dell'istoria civile del regno di Napoli, che gli causò tuttavia numerosi problemi con la Chiesa per il suo contenuto.  Costretto a riparare a Vienna presso la corte asburgica, ottenne protezione e sovvenzioni dall'imperatore Carlo VI, il che gli permise di proseguire indisturbato i suoi studi filosofici e storici.  Il suo tentativo di rientrare in patria fu ostacolato dalla Chiesa, nonostante i buoni uffici dell'arcivescovo di Napoli recatosi a Vienna per convincerlo a tornare a Napoli, e fu costretto a trasferirsi a Venezia dove, apprezzatissimo dall'ambiente culturale della città, rifiutò sia la cattedra alla facoltà di giurisprudenza dell'Padova, sia un posto di consulente giuridico presso la Serenissima.  Nel 1735 il governo della Repubblica lo espulse, dopo averlo sottoposto a stretti controlli spionistici, per questioni inerenti alle sue idee sul diritto marittimo e nonostante la sua autodifesa con il trattato Lettera intorno al dominio del Mare Adriatico.  Dopo aver vagato per l'Italia (fu a Ferrara, Modena, Milano e Torino), giunse a Ginevra, patria del calvinismo, dove compose un altro lavoro dal forte sapore anticlericale Il Triregno. Del regno terreno, Del regno celeste, Del regno papale (pubblicato postumo solo nel 1895) che gli costò nuovamente la persecuzione delle alte sfere ecclesiastiche culminate con la sua cattura (1º aprile 1736, giorno di Pasqua) in un villaggio della Savoia, ove fu attirato con un tranello.  Rimasto nelle prigioni sabaude per dodici anni, fu costretto a firmare un atto di abiura (1738) che non gli valse tuttavia la libertà. Infatti, dal dicembre 1738 fu tenuto prigioniero nella fortezza di Ceva, dove scrisse alcuni dei suoi componimenti più famosi; vi rimase fino al 1744 per essere poi trasferito.  Morì nella prigione del mastio della Cittadella di Torino il 17 marzo 1748, all'età di 72 anni.  Discendenti Giovanni Giannone (1715-1806) Pietro Giannone II (1806-1869) Raffaele Giannone (1880-?) Augusta Giannone Catte (1904-1967) Dell'istoria civile del regno di Napoli Pubblicata nel 1723 in quattro volumi, l'opera ebbe enorme fortuna anche all'estero (Inghilterra, Francia e Germania), dove fu tradotta e studiata, mentre la Chiesa ne avversò le tesi ponendola all'Indice dei libri proibiti, comminando al filosofo una scomunica la quale obbligava il Giannone a riparare all'estero. I temi trattati nell'Istoria, sviluppati su precisi riferimenti giuridici, forniscono una lucida descrizione dello stato di degrado civile del Regno di Napoli, attribuendone le cause all'influenza preponderante della Curia romana. Il Giannone auspicava in primis con quest'opera, «il rischiaramento delle nostre leggi patrie e dei nostri propri istituti e costumi».  Il Triregno. Del regno terreno, Del regno celeste, Del regno papale  Il Triregno. Del regno terreno, ed. Laterza, 1940 Nel Triregno, opera aspramente avversata anch'essa dagli ambienti ecclesiastici, Giannone presenta la religione secondo un prospetto evolutivo: la Chiesa, col suo "regno papale", si contrappone al "regno terreno" degli Ebrei ma anche a quello "celeste" idealizzato dal Cristianesimo e il superamento del male, che lo Stato Pontificio così incarna, si realizzerà soltanto attraverso un cambiamento di rotta deciso, mediante ulteriore consapevolezza individuale raggiunta dall'uomo nel corso della sua vicenda Storica. Giannone indi teorizza uno Stato laico capace di sottomettere l'istituzione papale, anche mediante un'espropriazione dei beni materiali del clero. La Chiesa, secondo il filosofo, porta avanti una forma di negazione di quella libertà individuale che deve essere posta come fondamento giuridico e sociale.  Curiosità Al filosofo sono intestati vari istituti scolastici, tra cui lo storico Liceo classico Pietro Giannone di Caserta, dedicatogli nel 1868, quello di Benevento nel 1810, quello di Foggia nel 1885 e infine quello di San Marco in Lamis. Oggi a Foggia è intitolato a lui l'IISS "Giannone-Masi".  I plagi Nel Capitolo settimo della Storia della colonna infame, il Manzoni dedica al Giannone ampio spazio elencandone i numerosissimi plagi e gli errori che anche Voltaire gli rimprovera. Inizia paragonandolo a Lodovico Muratori e indicandolo come "scrittore più rinomato di lui" , poi aggiunge un lungo elenco (e raffronto) delle opere plagiate e degli autori, tra cui Giovan Battista Nani, Paolo Sarpi, Domenico Parrino, il Bufferio, il Costanzo e il Summonte: "...e chissà quali altri furti non osservati di costui potrebbe scoprire chi ne facesse ricerca". E conclude che se non si sa se fosse "pigrizia o sterilità di mente", fu certo "raro il coraggio".  Altre opere Autobiografia di Pietro Giannone, i suoi tempi, la sua prigionia, appendici, note e documenti inediti, Augusto Pierantoni, Roma, E. Perino, 1890; I discorsi storici sopra gli Annali di Tito Livio Apologia dei teologi scolastici Istoria del pontificato di Gregorio Magno L'Ape ingegnosa Edizioni online Pietro Giannone, Del regno celeste, Scrittori d'Italia 177, Bari, Laterza, 1940. 30 aprile . Pietro Giannone, Del regno papale, Scrittori d'Italia 178, Bari, Laterza, 1940. 30 aprile . Pietro Giannone, Del regno terreno, Scrittori d'Italia 176, Bari, Laterza, 1940. 30 aprile . Pietro Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli. 1, Napoli, Giovanni Gravier, 1770. 30 aprile . Pietro Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli. 2, Napoli, Giovanni Gravier, 1770. 30 aprile . Pietro Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli. 3, Napoli, Giovanni Gravier, 1770. 30 aprile . Pietro Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli. 4, Napoli, Giovanni Gravier, 1770. 30 aprile . Pietro Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli. 5, Napoli, Giovanni Gravier, 1770. 30 aprile . Note  Pietro Giannone, Istoria civile del regno di Napoli, Capolago, Tipografia Elvetica, 1840.  l'11 febbraio .  Ibidem, note da 80 a 89  Fausto Nicolini, Gli scritti e la fortuna di Pietro Giannone: ricerche bibliografiche, Bari, Laterza, 1913 Lino Marini, Pietro Giannone e il giannonismo a Napoli nel Settecento, Bari, Laterza, 1950 Brunello Vigezzi, Pietro Giannone riformatore e storico. Milano, Feltrinelli, 1961 Giannoniana: autografi, manoscritti e documenti della fortuna di Pietro Giannone, Sergio Bertelli, Milano-Napoli, Ricciardi, 1968 Giuseppe Ricuperati, L'esperienza civile e religiosa di Pietro Giannone., Milano-Napoli, Ricciardi, 1970. Lia Mannarino, Le mille favole degli antichi. Ebraismo e cultura europea nel pensiero religioso di Pietro Giannone, Firenze, Le Lettere, 1999. Giuseppe Ricuperati, La città terrena di Pietro Giannone: un itinerario tra crisi della coscienza europea e illuminismo radicale, Firenze, Olschki, 2001 Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Pietro Giannone Collabora a Wikiquote Citazionio su Pietro Giannone Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Pietro Giannone  Pietro Giannone, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Pietro Giannone, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Pietro Giannone, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Pietro Giannone, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  Andrea Merlotti, Pietro Giannone, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Pietro Giannone, su Liber Liber.  Opere di Pietro Giannone / Pietro Giannone (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Pietro Giannone, . Opere di Pietro Giannone, su Progetto Gutenberg. Pietro Giannone, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.  Pietro Giannone, Il Triregno.  1: Del regno terreno,  2: Del regno celeste,  3: Del regno papale (1940), testi integrali in più volumi dalla collana digitalizzata "Scrittori d'Italia" Laterza; Vita scritta da lui medesimo (1960), Feltrinelli, testo in versione digitale della Biblioteca Italiana, 2003.//filosofico.net/giannone.htm.

 

Gioberti -- gioberti: essential Italian philosopher, He was imprisoned and exiled for advocating  unification, and became a central political figure during the Risorgimento. His major political oeuvre, “Del primato morale e civile degli italiani,” argues for a federation of the  states. Gioberti’s philosophical theory, ontologism, in contrast to Hegel’s idealism, identifies the dialectics of Being with God’s creation. Gioberti condensed his theory in the formula: “Being creates the existent.” “L’essere crea l’essistente.” The dialectics of Being, which is the only necessary substance, is a “palingenesis,” or a return to its origin, in which the existent first departs from and imitates its creator (“mimesis”) and then returns to its creator (“methexis”). By intuition, the human mind comes in contact with God and discovers truth by retracing the dialectics of Being. However, knowledge of supernatural truths is given only by God’s revelation. His oeuvre also includes “Teorica del soprannaturale” and “Introduzione allo studio della filosofia.” Gioberti criticized modern philosophers such as Descartes for their psychologism  seeking truth from the human subject instead of from Being itself and its revelation. His thought is very influential in Italy. Vincenzo Gioberti (Torino, 5 aprile 1801Parigi, 26 ottobre 1852) presbitero, patriota e filosofo italiano, nonché il primo Presidente della Camera dei deputati del Regno di Sardegna, esponente di primo piano del Risorgimento italiano. Ricevuta la prima istruzione dai padri dell'Oratorio di San Filippo Neri con la prospettiva del sacerdozio, si laureò in teologia nel 1823 e, nel 1825, prese gli ordini sacerdotali. All'inizio condusse una vita ritirata, ma gradualmente acquisì sempre più interesse negli affari del suo paese e nelle nuove idee politiche come anche nella pubblicistica sui temi di attualità. Parzialmente influenzato da Mazzini, lo scopo principale della sua vita divenne l'unificazione dell'Italia sotto un unico regime: la sua emancipazione, non solo dai signori stranieri, ma anche da concetti reputati alieni al suo genio e sprezzanti del primato morale e civile degli italiani. Questo primato era associato nella sua mente alla supremazia papale, anche se inteso in un modo più letterario che politico.  Fu perciò notato dal re Carlo Alberto di Savoia, che lo nominò suo cappellano. La sua popolarità e l'influenza in campo privato, tuttavia, erano ragioni sufficienti per il partito della corona per costringerlo all'esilio; non era uno di loro e non poteva dipendervi. Sapendo questo, si ritirò dal suo incarico nel 1833, ma fu improvvisamente arrestato con l'accusa di complotto e, dopo quattro mesi di carcere, fu bandito dal Regno sabaudo senza processo. Gioberti andò prima a Parigi e, un anno dopo, a Bruxelles dove restò fino al 1845 per insegnare filosofia e assistere un amico nella direzione di una scuola privata. Nonostante ciò, trovò il tempo di scrivere diverse opere di importanza filosofica con particolare riferimento al suo paese e alla sua posizione.  Essendo stata dichiarata un'amnistia da Carlo Alberto nel 1846, Gioberti divenne libero di tornare in patria, ma si rifiutò di farlo fino alla fine del 1847. Al suo ritorno a Torino, il 29 aprile 1848, fu ricevuto con il più grande entusiasmo. Rifiutò la dignità di senatore che Carlo Alberto gli aveva offerto, preferendo rappresentare la sua città natale nella Camera dei deputati, della quale fu presto eletto presidente.  Il 16 dicembre 1848 cadde il governo. Il re nominò Gioberti nuovo presidente del Consiglio. Il suo governo terminò il 21 febbraio 1849. Con la salita al trono di Vittorio Emanuele II, nel marzo del 1849 la sua vita politica giunse alla fine. Per un breve periodo, infatti, ebbe un posto nel consiglio dei ministri, anche se senza portafoglio, ma un diverbio irriconciliabile non tardò a maturare. Fu allontanato da Torino con l'affidamento di una missione diplomatica a Parigi, da cui non fece più ritorno. Rifiutò la pensione che gli era stata offerta e ogni promozione ecclesiastica, visse in povertà e passò il resto dei suoi giorni a Bruxelles, dove si trasferì dedicandosi agli studi letterari. Morì improvvisamente di un colpo apoplettico il 26 ottobre 1852.  I primi due licei istituiti a Torino, nel 1865, celebrarono uno l'opera diplomatica di Cavour (il Liceo classico Cavour) e l'altro il pensiero, anche politico, di Gioberti (il Liceo classico Vincenzo Gioberti). Gli scritti di Gioberti sono più importanti della sua carriera politica; come le speculazioni di Rosmini-Serbati, contro cui scrisse, sono state definite l'ultima propaggine del pensiero medievale; anche il sistema di Gioberti, conosciuto come ontologismo, più nello specifico nelle sue più importanti opere iniziali, non è connesso con le moderne scuole di pensiero. Mostra un'armonia con la fede cattolica che spinse Victor Cousin a sostenere che la filosofia italiana era ancora fra i lacci della teologia e che Gioberti non era un filosofo.  Il metodo per lui è uno strumento sintetico, soggettivo e psicologico. Ricostruisce, come afferma, l'ontologia e comincia con la formula ideale, per cui l'Ens crea l'esistente ex nihilo. Dio è l'unico ente Ens; tutto il resto sono pure esistenze. Dio è l'origine di tutta la conoscenza umana (le idee), che è una e diciamo che si rispecchia in Dio stesso. È intuita direttamente dalla ragione, ma per essere utile vi si deve riflettere, e questo avviene tramite i mezzi del linguaggio. Una conoscenza dell'ente e delle esistenze (concrete, non astratte) e le loro relazioni reciproche, sono necessarie per l'inizio della filosofia.  Gioberti è, da un certo punto di vista, un platonico. Identifica la religione con la civiltà e nel suo trattato Del primato morale e civile degli Italiani giunge alla conclusione che la chiesa è l'asse su cui il benessere della vita umana si fonda. In questo afferma che l'idea della supremazia dell'Italia, apportata dalla restaurazione del papato come dominio morale, è fondata sulla religione e sull'opinione pubblica; tale opera sarà la base teorica del neoguelfismo. Nelle sue ultime opere, Rinnovamento e Protologia si dice che abbia spostato il suo campo sull'influenza degli eventi. La sua prima opera, scritta quando aveva 37 anni, aveva una ragione personale per la sua esistenza. Un giovane compagno d'esilio e amico Paolo Pallia, avendo molti dubbi e sfortune per la realtà della rivelazione e della vita futura, lo ispirò alla stesura de La teorica del sovrannaturale (1838). Dopo questa, sono passati in rapida successione dei trattati filosofici. La Teorica è stata seguita dall'Introduzione allo studio della filosofia in tre volumi (1839-1840), dove afferma le ragioni per richiedere un nuovo metodo e una nuova terminologia. Qui riporta la dottrina per cui la religione è la diretta espressione dell'idea in questa vita ed è un unicum con la vera civiltà nella storia. La Civiltà è una tendenza alla perfezione mediata e condizionata, alla quale la religione è il completamento finale se portato a termine. È la fine del secondo ciclo espresso dalla seconda formula, l'ente redime gli esistenti.  I saggi (inediti fino al 1846) su materie più leggere e più famose, Del bello e Del buono hanno seguito l'introduzione. Del primato morale e civile degl'Italiani e Prolegomeni sulla stessa e a breve trionfante esposizione dei Gesuiti, Il Gesuita moderno, pubblicato clandestinamente a Losanna da Stanislao Antonio Bonamici, ha senza dubbio accelerato il trasferimento di ruolo dalle mani religiose a quelle civili. È stata la popolarità di queste opere semi-politiche, aumentata da altri articoli politici occasionali e dal suo Rinnovamento civile d'Italia, che ha portato Gioberti ad essere acclamato con entusiasmo al ritorno nel suo paese natio. Tutte queste opere sono state perfettamente ortodosse e hanno contribuito ad attirare l'attenzione del clero liberale nel movimento che è sfociato, sin dai suoi tempi, nell'unificazione italiana. I Gesuiti, tuttavia, si sono raduttorno al Papa più fermamente dopo il suo ritorno a Roma e alla fine gli scritti di Gioberti furono messi all'indice. I resti delle sue opere, specialmente La filosofia della rivelazione e la Prolologia espongono i suoi punti di vista maturi in molte parti. Tutti gli scritti giobertiani, tra cui quelli lasciati nei manoscritti, sono stati pubblicati da Giuseppe Massari (Torino, 1856-1861). Il Ministero dei beni culturali ha affidato la redazione dell'edizione nazionale all'Istituto di Studi Filosofici "Enrico Castelli", presso l'Università La Sapienza di Roma  Opere Edizione nazionale delle opere edite e inedite di Vincenzo Gioberti in 38 volumi.  Prolegomeni del Primato morale e civile degli italiani, Enrico Castelli (1938) Primato morale e civile degli italiani, Ugo Redanò (1938) Introduzione allo studio della filosofia, Alessandro Cortese (2001) Teorica del sovrannaturale, 3 voll., Alessandro Cortese (1970) Del rinnovamento civile d'Italia (1850) Vincenzo Gioberti, Del rinnovamento civile d'Italia, Scrittori d'Italia 14,  1, Bari, Laterza, 1911. 29 giugno . Vincenzo Gioberti, Del rinnovamento civile d'Italia, Scrittori d'Italia 16,  2, Bari, Laterza, 1911. 29 giugno . Vincenzo Gioberti, Del rinnovamento civile d'Italia, Scrittori d'Italia 24,  3, Bari, Laterza, 1912. 29 giugno . Note  Cfr. lettera di V. Gioberti a G. Leopardi del 27 ottobre 1833 in Scritti vari inediti di Giacomo Leopardi dalle carte napoletane, Firenze, Successori Le Monnier, 1906, pagg. 442 sgg.. Gioberti visse in Rue des marais S. Germain, hotel du Pont des Arts n° 3.  In lingua latina: "dal nulla", vedi anche la locuzione Ex nihilo nihil fit di Lucrezio.  Bonamici Stanislao Antonio, su Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. 17 marzo .  Istituto Castelli-Roma Archiviato il 15 marzo 2008 in .  Anteprima disponibile su books.google.  Anteprima della II edizione disponibile su books.google.  Giuseppe Massari, Vita di Vincenzo Gioberti, Firenze, 1848. Antonio Rosmini Serbati, Vincenzo Gioberti e il panteismo, Milano, 1848. Charles Bohun Smyth, Christian Metaphysics, 1851. Bertrando Spaventa, La Filosofia di Gioberti, Napoli, 1854. Achille Mauri, Della vita e delle opere di Vincenzo Gioberti, Genova, 1853. Giuseppe Prisco, Gioberti e l'ontologismo, Napoli, 1867. Pietro Luciani, Gioberti e la filosofia nuova italiana, Napoli, 1866-1872. Domenico Berti, Di Vincenzo Gioberti, Firenze, 1881. Giorgio Rumi, Gioberti, Bologna, Il mulino, 1999. Mario Sancipriano, Vincenzo Gioberti: progetti etico-politici nel Risorgimento, Roma, Studium, 1997. Francesco Traniello, Da Gioberti a Moro: percorsi di una cultura politica, Milano, Angeli, 1990. Gianluca Cuozzo, Rivelazione ed ermeneutica. Un'interpretazione del pensiero filosofico di Vincenzo Gioberti alla luce delle opere postume, Milano, Mursia, 1999. Marcello Mustè, La scienza ideale. Filosofia e politica in Vincenzo Gioberti, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2000. Marcello Mustè, Il governo federativo, Roma, Gangemi, 2002. Alessio Leggiero, Il Gioberti Frainteso. Sulle tracce della condanna, Roma, Aracne, . Luigi Ferri, L'Histoire de la philosophie en Italie au XIX' siècle, Paris, 1869. Karl Werner, Die italienische Philosophie des 18 Jahrhunderts, ii. 1885. Raffaele Mariano, La Philosophie contemporaine en Italie, 1866. L'esauriente voce della Allgemeine Encyclopädie di Ersch e Gruber, a firma di R. Seydel Francesco Traniello, GIOBERTI, Vincenzo, in Dizionario biografico degli italiani,  55, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2001.  l'11 ottobre .   Società nazionale per la confederazione italiana Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Vincenzo Gioberti Collabora a Wikiquote Citazionio su Vincenzo Gioberti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Vincenzo Gioberti  Vincenzo Gioberti, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Vincenzo Gioberti, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  Vincenzo Gioberti, su accademicidellacrusca.org, Accademia della Crusca.  Vincenzo Gioberti, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.  Opere di Vincenzo Gioberti, su Liber Liber.  Opere di Vincenzo Gioberti, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Vincenzo Gioberti, .  Vincenzo Gioberti, su storia.camera.it, Camera dei deputati. Vincenzo Gioberti, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.  Marcello Mustè, Vincenzo Gioberti, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, .  PredecessorePresidente del Consiglio dei ministri del Regno di SardegnaSuccessoreFlag of Italy (1861–1946).svg Ettore Perrone di San Martinodicembre 1848febbraio 1849Agostino ChiodoV D M Presidenti del Consiglio dei ministri del Regno di Sardegna PredecessorePresidente della Camera dei deputatiSuccessore Nessuno8 maggio 184830 dicembre 1848Lorenzo Pareto. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Gioberti," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia

 

Gioia: Melchiorre Gioja o Gioia (Piacenza), filosofo. Dopo gli studi nel Collegio Alberoni veste l'abito talare, mantenendo tuttavia un orientamento di pensiero tutt'altro che ortodosso tanto in filosofia, per l'influenza dell'utilitarismo di Jeremy Bentham, dell'empirismo di John Locke e del sensismo di Étienne Bonnot de Condillac, quanto in teologia per l'influenza del pensiero di Giansenio.  Il suo interesse si rivolge ben presto anche alle questioni politiche: nel settembre 1796 vince il concorso bandito dalla Società di Pubblica Istruzione di Milano sul tema "Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità d'Italia", alla quale partecipano 52 concorrenti. La sua dissertazione, in cui sostiene la tesi di un'Italia libera, repubblicana, retta da istituzioni democratiche e basata su comuni elementi geografici, linguistici, storici e culturali, prefigura, come la maggioranza di quelle presentate, l'unità italiana, benché questa tesi non sia gradita ai francesi che in quel periodo occupano il nord Italia.   Ugo Foscolo in un ritratto di Fabre La notizia del premio ricevuto gli giunge però in carcere: nel frattempo Gioja è stato arrestato con l'accusa di aver celebrato a scopo di lucro più di una messa al giorno, anche se sono in realtà le sue idee politiche giacobine a renderlo inviso all'autorità. Gioja viene scarcerato nello stesso anno 1797 grazie, forse, alle pressioni di Napoleone Bonaparte, e ripara a Milano. Il Trattato di Campoformio, con la cessione di Venezia all'Austria da parte della Francia in cambio del riconoscimento austriaco della Repubblica Cisalpina, lo spinge però ben presto a diventare oppositore della Francia stessa.  Attività: giornalista, storiografo ed economista Dopo aver rinunciato al sacerdozio, si impegna nella professione giornalistica fondando diverse testate, ("Il Monitore Italiano"[collegamento interrotto] con Ugo Foscolo, "Il Censore", "La Gazzetta nazionale della Cisalpina", "Il Giornale filosofico politico"), stroncate una dopo l'altra dalla rigida censura austriaca per le posizioni sempre più apertamente patriottiche che Gioja stesso ed i suoi collaboratori vi sostengono. È dalle colonne del "Giornale Filosofico Politico" che nel 1799 scrive una lettera aperta al duca Ferdinando d'Asburgo-Este, in cui denuncia i danni patiti in carcere nel 1796; nello stesso anno però Napoleone Bonaparte viene sconfitto dalle truppe austriache nella Battaglia di Novi Ligure e Melchiorre Gioja viene arrestato nuovamente dagli austriaci, per essere scarcerato quattordici mesi dopo, in seguito alla vittoria francese nella Battaglia di Marengo.   Carlo Felice Biscarra, Museo Civico di Saluzzo: Arresto di Maroncelli e Pellico Nel 1801 Gioja viene nominato storiografo della Repubblica Cisalpina: l'anno successivo pubblica il trattato "Sul commercio de' commestibili e caro prezzo del vitto" , ispirato dai tumulti per il rincaro del pane, e "Il Nuovo Galateo". Nel 1803 viene rimosso dalla carica per le polemiche seguite alla pubblicazione e alla difesa del suo trattato "Teoria civile e penale del divorzio, ossia necessità, cause, nuova maniera d'organizzarla"  Gli studi di Statistica applicata all'Economia L'apprezzamento per i suoi solidi e realistici studi di economia e di statistica, ai quali sono prevalentemente rivolti il suo interesse e la sua attività, gli valgono però la nomina nel 1807 alla direzione del nascente Ufficio di Statistica: in questa veste inizia una febbrile attività fatta di studi corredati da tabelle, quadri sinottici, raffronti demografici, causa di nuove ed accese polemiche e della rimozione dall'incarico. Tale attività rese Gioja uno dei primi studiosi ad applicare i concetti di Statistica alla gestione economica dei conti pubblici (ad esempio per le tasse, gabelle, e così via).   Precursore di concetti giuridici e medico-legali  Grazie alle sue conoscenze statistiche ed economiche elabora concetti fortemente innovativi per l’epoca che ne fanno il precursore del moderno dibattito giuridico in materia di risarcimento del danno alla persona con una concezione che supera la questione patrimoniale.  Notissima in medicina legale la sua regola del calzolaio, che anticipa il concetto di riduzione della capacità lavorativa specifica:  "...un calzolaio, per esempio, eseguisce due scarpe e un quarto al giorno; voi avete indebolito la sua mano che non riesce più che a fare una scarpa; voi gli dovete dare il valore di una fattura di una scarpa e un quarto moltiplicato per il numero dei giorni che gli restano di vita, meno i giorni festivi.." .  E ancora, seppur meno noti, concetti come: "Ne' casi d'indebolimento o distruzione di forze industri, considerando il soddisfacimento come uguale al lucro giornaliero diminuito o distrutto, moltiplicato per la rimanente vita utile dell'offeso, noi restiamo molto al di sotto del valore reale, giacché una forza umana può essere riguardata come Mezzo di sussistenzaMezzo di godimentoMezzo di bellezzaMezzo di difesa   Filosofia della Statistica (libro originale)“Rendendo paralitico, per es., l'altrui braccio destro o la mano, voi togliete al musico il mezzo con cui si procura il vitto divertendo gli altri, al proprietario il mezzo con cui si sottrae alla noia divertendo se stesso, alla donna il mezzo con cui gestisce e porge con grazia, a chiunque il mezzo con cui si schernisce da mali eventuali difendendosi".  Si tratta di principi rivoluzionari per l’epoca, forse frutto di quel particolare mix di cultura che derivava dalla sua formazione che inizia da sacerdote e approda a concezioni rivoluzionarie; è il primo che riesce a prefigurare nell’uomo non solo una sorta di macchina che produce reddito, ma anche un soggetto  che attraverso il lavoro realizza la propria personalità.  In Italia oltre un secolo e mezzo dopo, negli anni ’80 del novecento, in sede giuridica inizierà il dibattito sul superamento del risarcimento del mero danno patrimoniale per tener conto degli aspetti relazionali e dinamici della persona riassunti nel concetto di danno biologico. Sul filone di queste tematiche nel 1994 gli veniva intestata a Pisa un'ssociazione scientifica medico giuridica che raccoglie giuristi, medici legali e assicuratori.  Il "Nuovo Galateo" Testo fondamentale nella storia dei Galatei, il "Nuovo Galateo" di Gioja fu scritto per contribuire alla civilizzazione del popolo della Repubblica Cisalpina. Il testo conosce ben tre edizioni. La prima del 1802 si sofferma in particolar modo sulla definizione laica di "pulitezza" intesa come ramo della civilizzazione, arte di modellare la persona e le azioni, i sentimenti, i discorsi in modo da rendere gli altri contenti di noi e di loro stessi. È divisa in tre parti: "Pulitezza dell'uomo privato", "Pulitezza dell'uomo cittadino", "Pulitezza dell'uomo di mondo".  Nella seconda edizione del 1820, Gioja ridimensiona il concetto di "pulitezza" come l'arte di modellare la persona, le azioni, i sentimenti, i discorsi in modo da procurarsi l'altrui stima ed affezione. La vecchia ripartizione è sostituita da: "Pulitezza Generale", "Pulitezza Particolare", "Pulitezza Speciale".  La terza edizione risale al 1822 dove Gioja, a differenza dell'edizioni precedenti, enfatizza l'importanza del concetto di "ragione sociale", considerato dall'autore il fondamento etico del galateo che avrebbe portato felicità e pace sociale mediante le buone maniere.  Massoneria Gioja fu membro della Loggia massonica "Reale Amalia Agusta" di Brescia, che prese il nome dalla moglie del principe Eugenio di Beauharnais, primo Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, loggia che fu attiva fino al 1814. A lui è intestata la loggia N. 1114 di Piacenza all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia.  Gli ultimi anni dopo il crollo della Repubblica Cisalpina  Del merito e delle ricompense Crollato il dominio napoleonico nel 1814, negli anni della Restaurazione Gioja produce le sue opere maggiori: il "Nuovo prospetto delle scienze economiche" (18151819), il trattato "Del Merito e delle Ricompense" (18181819), "Sulle manifatture nazionali" (1819), "L'ideologia" (1822): gli ultimi tre libri vengono messi all'Indice e il suo fecondo lavoro è interrotto da un nuovo arresto, dal 19 dicembre 1820 al 10 luglio 1821, con Pietro Maroncelli e Silvio Pellico, per aver cospirato contro l'Austria partecipando alla setta carbonara dei "Federati".  Dopo quest'ultima peripezia, nonostante i sospetti da parte del governo austriaco, Gioja ha finalmente davanti a sé qualche anno di serenità e compone la sua ultima opera, "La filosofia della statistica" (1826). Muore a Milano nel 1829, trovando sepoltura nel Cimitero della Mojazza, fuori Porta Comasina (per un periodo di tempo, si pensò erroneamente che il suo corpo fosse stato sepolto presso il vecchio Fopponino di Porta Vercellina): nel 1855 lo scrittore Ignazio Cantù, nel suo Milano, nei tempi antico, di mezzo e moderno: Studiato nelle sue vie; passeggiate storiche ne poteva ancora vedere la lapide tombale redatta in latino e scriveva:  «Nel cimitero vicino (il cimitero della Mojazza) fra tante ossa ignorate dormono senza fasto di mausoleo le ceneri di Melchiorre Gioia, di Gianbattista De-Cristoforis, di Luigi Sabatelli, di Giacomo Albertolli, e d'altri uomini insigni (...)»  Prende il suo nome il Liceo Classico di Piacenza.   Antonio Rosmini in un dipinto di Hayez Le critiche di Antonio Rosmini L'abate Antonio Rosmini, suo avversario in politica come in religione, lo accusò di pretendere di proporre un nuovo codice morale, fondato su principi palesemente opportunistici, mentre con disinvoltura richiedeva sussidi e regali dai titolari del potere politico per elogiarne le benemerenze nelle proprie pubblicazioni periodiche, e lo dichiarò pubblicamente un "ciarlatano".  Opere Melchiorre Gioia, Del merito e delle ricompense,  2, Filadelfia, s.n., 1830. Riflessioni sulla rivoluzione. Scritti politici 1798 Nuovo Galateo 1802 Il Nuovo prospetto delle scienze economiche 1815-1819 Melchiorre Gioia, Distribuzione delle ricchezze, Milano, presso Gio. Pirotta in santa Radegonda, 1815. Melchiorre Gioia, Produzione delle ricchezze,  2, Milano, presso Gio. Pirotta in santa Radegonda, 1815. Melchiorre Gioia, Consumo delle ricchezze, Milano, presso Gio. Pirotta in santa Radegonda, 1816. Melchiorre Gioia, Azione governativa sulla produzione, distribuzione, consumo delle ricchezze,  2, Milano, presso Gio. Pirotta in santa Radegonda, 1817. Sulle manifatture nazionali1819 Dell'ingiuria, dei danni, del soddisfacimento e relative basi di stima avanti i tribunali civili 1821 l’Ideologia 1822 Filosofia della statistica (1826) Note  Francesca Sofia nel Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in , indica la data del "19 gennaio" 1767. Ettore Rota nella Enciclopedia Italiana, edizione 1933, riporta "20 settembre" dello stesso anno.  Cfr. Arrigo Solmi, L'idea dell'unità italiana nell'età di Napoleone in Rassegna storica del Risorgimento, gennaio-marzo 1933.  Fonte: Francesca Sofia, Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in .  Fonte: Treccani.it L'Enciclopedia Italiana, riferimenti in .  Vittorio Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori,Mimesis-Erasmo, Milano-Roma, 2005146.  Ignazio Cantù, Milano, nei tempi antico, di mezzo e moderno: Studiato nelle sue vie; passeggiate storiche, 185539. 24 giugno .  Antonio Saltini, Maria Teresa Salomoni, Stefano Rossi, Via Emilia. Percorsi inusuali fra i comuni dell'antica strada consolare , Il Sole 24 oreEdagricole, Bologna 2003, pag. 224  Piero Barucci, Il pensiero economico di Melchiorre Gioia, Milano, Giuffre, 1965 (Biblioteca della rivista Economia e storia; 15). Manlio Paganella, Alle origini dell'unità d'Italia: il progetto politico-costituzionale di Melchiorre Gioia, Milano, Ares, 1999 (Faretra; 25). Francesca Sofia, «GIOIA (Gioja), Melchiorre», in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 55, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2001. Nicola Pionetti, Melchiorre Gioia: il progetto politico del 1796 per un'Italia unita e repubblicana, Piacenza, EdizioniLir, . Luisa Tasca, Galatei. Buone maniere e cultura borghese nell'Italia dell'Ottocento, Firenze, Le Lettere, 2004.  Gioia (metropolitana di Milano) Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Melchiorre Gioia Collabora a Wikiquote Citazionio su Melchiorre Gioia Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Melchiorre Gioia  Melchiorre Gioia, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Melchiorre Gioia, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Melchiorre Gioia, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, .  Melchiorre Gioia, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  (DE) Melchiorre Gioia (XML), in Dizionario biografico austriaco 1815-1950.  Opere di Melchiorre Gioia / Melchiorre Gioia (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Melchiorre Gioia, .  Melchiorre Gioia Giacobino abstract pubblicazione "MELCHIORRE GIOIA" e-book, progetto Piacenza Project Science. melchiorregioia.it/la-storia.

 

Giorello -- Giulio Giorello  (Milano) filosofo. Giulio Giorello conseguì due lauree: la prima in Filosofia presso l'Università degli Studi di Milano nel 1968 (sotto la guida di Ludovico Geymonat), la seconda in Matematica all'Università degli Studi di Pavia nel 1971. Insegnò quindi Meccanica razionale presso la Facoltà di Ingegneria dell'Università degli Studi di Pavia, per poi passare alla Facoltà di Scienze fisiche e matematiche dell'Università degli Studi di Catania, di Scienze fisiche presso l'Università degli Studi dell'Insubria, sede di Como, e al Politecnico di Milano.  Ricoprì dal 1978 al  la cattedra (già di Ludovico Geymonat) di Filosofia della scienza presso l'Università degli Studi di Milano; fu inoltre Presidente della SILFS (Società Italiana di Logica e Filosofia della Scienza) dal 2004 al 2008.  Diresse la collana Scienza e idee di Raffaello Cortina Editore e collaborò, come elzevirista, alle pagine culturali del quotidiano milanese Corriere della Sera. Vinse la IV edizione del Premio Nazionale Frascati Filosofia . Fu attivo in rassegne culturali insieme allo scrittore Luca Gallesi.  È morto a Milano il 15 giugno , presumibilmente per complicanze dovute al COVID-19. Tre giorni prima del decesso aveva sposato la compagna Roberta Pelachin. Il corpo è stato cremato al cimitero di Lambrate, ove le ceneri sono state poi portate nel Giardino del Ricordo, un luogo dove vengono sparse per essere assorbite dalla natura.  Pensiero Giorello divise i suoi interessi tra lo studio di critica e crescita della conoscenza con particolare riferimento alle discipline fisico-matematiche e l'analisi dei vari modelli di convivenza politica; dalle sue prime ricerche in filosofia e storia della matematica, i suoi interessi si erano poi ampliati verso le tematiche del cambiamento scientifico e delle relazioni tra scienza, etica e politica. La sua visione politica era di stampo liberal democratico e si ispirava, tra gli altri, al filosofo inglese John Stuart Mill.  Si occupò anche di storia della scienzain particolare le dispute novecentesche sul "metodo"e di storia delle matematiche (Lo spettro e il libertino). Nel 1981 curò con Marco Mondadori l'edizione italiana di Sulla libertà di John Stuart Mill. Giulio Giorello era ateo e scrisse al riguardo il libro Senza Dio. Del buon uso dell'ateismo.  Opere  Giulio Giorello fra il prof. Peter Atkins (il primo da sinistra) e Giuseppe Testa, direttore del Laboratorio di Epigenetica delle cellule staminali, alla conferenza mondiale Science for PeaceAula Magna Università Bocconi di Milano16 novembre  Saggi di storia della matematica, Milano, FER, 1974. Il pensiero matematico e l'infinito, Milano, UNICOPLI, Lo spettro e il libertino. Teologia, matematica, libero pensiero, Milano, A. Mondadori, 1985. Le ragioni della scienza, con Ludovico Geymonat, con la partecipazione e un'appendice di Fabio Minazzi, Roma-Bari, Laterza,Filosofia della scienza, Milano, Jaca Book, testo di Isabella Colonnello, Le stanze della ricerca, Milano, Mazzotta, Europa universitas. Tre saggi sull'impresa scientifica europea, con Tullio Regge e Salvatore Veca, Milano, Feltrinelli, 1993.  88-07-09038-4. Introduzione alla filosofia della scienza, Milano, R.C.S. libri & grandi opere, Quale Dio per la sinistra? Note su democrazia e violenza, con Pietro Adamo, Milano, UNICOPLI, La filosofia della scienza nel XX secolo, con Donald Gillies, Roma-Bari, Laterza, Lo specchio del reame. Riflessioni su potere e comunicazione, con Roberto Esposito, Carlo Sini e Danilo Zolo, Ravenna, Longo, Epistemologia applicata. Percorsi filosofici, e con Michele Di Francesco, Milano, CUEM,  I volti del tempo, e con Elio Sindoni, Corrado Sinigaglia, Milano, Bompiani, Prometeo, Ulisse, Gilgameš. Figure del mito, Milano, Cortina,  Di nessuna chiesa. La libertà del laico, Milano, Cortina, Dove fede e ragione si incontrano?, con Bruno Forte, Cinisello Balsamo, San Paolo, La libertà della vita, con Umberto Veronesi, Milano, Cortina,  Il decalogo. I dieci comandamenti commentati dai filosofi, II, Non nominare il nome di Dio invano, con Gabriele Mandel, con CD, Milano, Albo Versorio, Giulio Giorello relatore al convegno internazionale "Science for Peace", Milano 14 novembre  La scienza tra le nuvole. Da Pippo Newton a Mr Fantastic, con Pier Luigi Gaspa, Milano, Cortina, Kos. Rivista di medicina, cultura e scienze umane,  4: Dio, Patria e Famiglia (con Massimo Cacciari e Carlo Maria Martini), Milano, Editrice San Raffaele, 2000 Libertà. Un manifesto per credenti e non credenti, con Dario Antiseri, Milano, Bompiani,  Il peso politico della Chiesa, con Francesco D'Agostino, Cinisello Balsamo, San Paolo, Viaggio intorno all'Evoluzione (con E. Sciarra, F. Eugeni, C. Venturelli), R. Mascella, Zikkurat Edizioni&Lab, 2008. Harsanyi visto da Giulio Giorello e Simona Morini (con Simona Morini), Milano, Luiss University press, Lo scimmione intelligente. Dio, natura e libertà (con Edoardo Boncinelli), Milano, Rizzoli, 2009. Ricerca e carità. Due voci a confronto su scienza e solidarietà, con Carlo Maria Martini, Milano, Editrice San Raffaele,  Introduzione a Apostolos Doxiadis e Christos H. Papadimitriou, Logicomix, Parma, Guanda,  Lussuria. La passione della conoscenza, Bologna, Il Mulino, . Senza Dio. Del buon uso dell'ateismo, Milano, Longanesi, . Il tradimento. In politica, in amore e non solo, Milano, Longanesi, . Premio Nazionale Rhegium Julii Saggistica. La filosofia di Topolino, con Ilaria Cozzaglio, Parma, Guanda, .  Noi che abbiamo l'animo libero. Quando Amleto incontra Cleopatra, con Edoardo Boncinelli, Milano, Longanesi, SILFS Past Presidents, su silfs.it. 20 giugno .  ansa.it/sito/notizie/cultura/libri/approfondimenti//06/15/e-morto-il-filosofo-giulio-giorello_ca38aabe-c76a-47df-97b6-15494a58d870.html  corriere.it/cultura/20_giugno_16/morto-giorello-non-si-era-mai-arreso-ricovero-ritorno-ultimi-doni-20e01862-afac-11ea-a957-8b82646448cc.shtml È morto il filosofo Giulio Giorello, in la Repubblica, 15 giugno .  Comune di Milano, App di ricerca defunti Not 2 4get.  Un giardino per il ricordo al cimitero di LambrateVareseNews, in VareseNews, 11 ottobre 2004. 19 marzo .  Longanesi (collana Le spade),   premio Rhegium Julii, su circolorhegiumjulii.wordpress.com. 3 novembre .  Scuola di Milano Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Giulio Giorello Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giulio Giorello  Giulio Giorello, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Giulio Giorello / Giulio Giorello (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Giulio Giorello, .  di Giulio Giorello, su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff.   italiana di Giulio Giorello, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com.  Registrazioni di Giulio Giorello, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.  Giulio Giorello, su INDUCKS.  Giulio Giorello: fede e ragione, sul  RAI Filosofia, su filosofia.rai.it.

 

Giorgi: Pierpaolo De Giorgi (Cavallino) filosofo. Si laurea a Perugia in Filosofia Estetica con Sergio Givone, studia con l'etnologo Tullio Seppilli e con l'etnomusicologo Piero Arcangeli, dapprima cantautore solista, suona negli anni Settanta con il Gruppo popolare salentino e con i Tarantula, del quale è fondatore.  Lavora presso la RAI di Perugia e studia a lungo in senso specialistico il tarantismo e la pizzica.Già negli anni Ottanta è il primo[senza fonte] a intuire le possibilità della pizzica ed a cantarla anche come solista. Dal 1984 in poi insegna canti e musiche tradizionali del Salento in varie scuole statali. Tiene concerti ovunque, anche assieme a gruppi come la Nuova Compagnia di Canto Popolare.  Nel 1990 assieme al maestro depositario Amedeo de Rosa dà vita al gruppo Pierpaolo De Giorgi e i Tamburellisti di Torrepaduli, provocando in pochi anni una vera e propria rinascita della pizzica. Nel 1991 rivaluta la pizzica come vero e proprio genere musicale, utilizzando i materiali tradizionali e scrivendo assieme al cantautore Gino Ingrosso l'album Fantastica pizzica.  Studia etnomusicologia della “Grecìa salentina”, rivalutando i brani in "grico". Nel 1992 riceve la cittadinanza onoraria di Nemea in Grecia per meriti poetici e musicali. Assieme ai Tamburellisti di Torrepaduli e come solista tiene concerti in tutto il mondo e suona in teatri famosissimi come quello di Erode Attico ad Atene presso il Partenone.  Molti dei numerosi artisti e gruppi che si formano successivamente seguono la strada di De Giorgi. Nel 2000 scrive l'album Pizzica e rinascita, il più venduto dei Tamburellisti, che esce con “La Gazzetta del Mezzogiorno”. È curatore e traduttore del noto volume La danza delle spade e la tarantella di M. Schneider.  È direttore del Centro Regionale Servizi Educativi e Culturali LE/38. Collabora con la Cattedra di Estetica di Paolo Pellegrino dell'Università degli Studi di Lecce. Tiene ovunque conferenze e lezioni di etnomusicologia e di estetica.  Opere Volumi (poesia) Pierpaolo De GiorgiLuigi Marzo, Le strade che portano al Subasio passando dal Salento, prefazione di Donato Valli e Ilderosa Laudisa, Ed. Del Grifo, Lecce 1991. Volumi (ricerca) Pierpaolo De Giorgi, Tarantismo e rinascita: i riti musicali e coreutici della pizzica-pizzica e della tarantella, Lecce, Argo, 1999. Marius Schneider, La danza delle spade e la tarantella: saggio musicologico, etnografico e archeologico sui riti di medicina, traduzione e cura di Pierpaolo De Giorgi, Argo, Lecce 1999. Pierpaolo De Giorgi, Pizzica-Pizzica, la musica della rinascita. La tarantella del tarantismo e la sua resurrezione: struttura musicale, stato dell'arte e neotarantismo, Lecce, Pensa MultiMedia, 2002. Pierpaolo De Giorgi, L'estetica della tarantella: pizzica, mito e ritmo, Congedo Editore, Galatina, 2004. Pierpaolo De Giorgi, Pizzica e tarantismo: la carne del mito dall'etnomusicologia all'estetica musicale, Galatina, Edit Santoro, 2005. Pierpaolo De Giorgi, Il tarantismo come mito: dagli errori di De Martino alla rivalutazione del pensiero mitico, Galatina, Congedo, 2007. Pierpaolo De Giorgi, Il mito del tarantismo: dalla terra del rimorso alla terra della rinascita, Galatina, Congedo 2007. Pierpaolo De Giorgi, I poeti del vino, Galatina, Congedo, 2009. Pierpaolo De Giorgi, La pizzica, la taranta e il vino: il pensiero armonico, Galatina, Congedo, . Pierpaolo De Giorgi, La rinascita della pizzica, Galatina, Congedo, . Articoli e saggi Pierpaolo De Giorgi et.al., Husserl e la Krisis, 3ª in “Segni e comprensione”, Milano, 1985, gennaio-giugno 1987. Pierpaolo De Giorgi, Il francescanesimo tra idealità e storicità, 3ª in “Segni e comprensione”, Porzincula (S.Maria degli Angeli), 1985, gennaio-aprile 1989. Pierpaolo De Giorgi, Il canto popolare salentino, in , Il canto popolare salentino, Atti del I Convegno Nazionale di Studi Demologici Salentini, Copertino 15-16 novembre 1990, F. Noviello e D. Severino, Capone, Cavallino 1992. Pierpaolo De Giorgi, Il tarantismo secondo Schneider: nuove prospettive di ricerca, in , Quarant'anni dopo De Martino: il tarantismo, Atti del Convegno, Galatina 24-25 ottobre 1998,  I, Nardò 2000. Pierpaolo De Giorgi, La iatromusica carne del mito: la pizzica pizzica tra etnomusicologia ed estetica musicale, in , Mito e tarantismoPellegrino, Pensa MultiMedia, Lecce 2001. Pierpaolo De Giorgi, La pizzica pizzica immensa risorsa culturale del Sud, in , Terra salentina: i Sud e le loro arti, materiali del Convegno di Arnesano del 6-8 settembre 2001, La Stamperia, Leverano 2001. Pierpaolo De Giorgi, Il ritorno di Dioniso: a proposito di un libro di P. Pellegrino, in “Segni e comprensione”, a. XIX, n. 55, maggio-agosto 2005. Pierpaolo De Giorgi, Fra aborigeni e tarantismo, in , Settimana di promozione culturale pugliese a Sydney, C. Minichiello, Pensa MultiMedia, Lecce 2002. Pierpaolo De Giorgi, a cura di, Le tradizioni popolari nei disegni di Nino Severino, greco, Copertino 2004. Interventi poetici Pierpaolo De Giorgi, Diario di bordo, in , La czarda e il vento: antologia di autori contemporanei ungheresi e salentini, G. Conte, Congedo 1994. Pierpaolo De Giorgi, Poesia sintetica, in , Il cuore di Amleto: testi, grafiche e fotografie di autori contemporanei salentini e ungheresi, nota introduttiva di G. Conte, traduzioni di F. Baranyi e A. Menenti, Veszprém 1996. Pierpaolo De Giorgi, I fogli, numero uno, in “L'Immaginazione”. Pierpaolo De Giorgi, Chiedendo e schiodando, La vita amico è l'arte dell'incontro e Maestà delle volte, in Omaggio al Salento, Torgraf, Galatina 1990. Pierpaolo De Giorgi, In marcia di pace verso Assisi e Trilogia del molto e ben comunicare, in  Omaggio a Maglie cuore del Salento, Torgraf, Galatina 1991. Pierpaolo De Giorgi, Fantastica pizzica, in , Salentopoesia 91, settimo festival nazionale di poesia con musica e danza, Gallipoli 10-11 agosto 1991, Conte, Lecce 1991. Pierpaolo De Giorgi, Gheriglio in disegno e preghiera, in , Salentopoesia 92, ottavo festival nazionale di poesia con musica e danza, Lecce, 5-6 dicembre 1992, Conte, Lecce 1992. Pierpaolo De Giorgi, Isola nel Trasimeno, in , Salentopoesia 95, nono festival nazionale di poesia con musica e danza, Monteroni, 28-29 ottobre 1995, Conte, Lecce 1995. Pierpaolo De Giorgi, S'è cambiato il mondo? e Leggeri Cieli da Leggere, in Luigi Marzo: mostra di pittura, Spello 5-13 febbraio 1994, catalogo, Spello 1994. Pierpaolo De Giorgi, Lascio un cielo di luce cinica, in Sulle ali di Pegaso senza mai cadere. Marzo: mostra di pittura, Città della Pieve, 18 luglio-9 agosto 1998, Tipografia Pievese, Città della Pieve 1998. Discografia Album 1991Fantastica Pizzica (MCDiscoexpress) 1995Pizzica e Trance (MCDiscoexpress) 2000Pizzica e Rinascita (CDSorriso) 2003Il tempo della taranta: pizzica d'autore (CDDrim) 2005Pizzica grica: to paleo cerò (CDPlanet Music Studio) 2006Pizzica e RinascitaRistampa (CDC&M) 2009Taranta Taranta (CDIrma records)  Sito ufficiale, su pierpaolodegiorgi.it.

 

Giorgi: Raffaele De Giorgi (Vernole), filosofo. Insegna a Salento.  Consegue la maturità classica e si laurea in filosofia con lode a Roma, discutendo la tesi Prospettive della logica giuridica: la logica deontica. Dopo aver condotto studi e ricerche in molte università europee e aver insegnato presso il Max-Planck-Institut für europäische Rechtsgeschichte (Società Max Planck), la collaborazione più fruttuosa la ha con Niklas Luhmann, con il quale fonda nel 1990, il Centro Studi sul Rischio, presso l'Università degli Studi di Lecce, del quale è tutt'oggi direttore. Conduce molti studi e seminari in America meridionale, ottiene una Càtedra de Exelcia presso l'Universidad Nacionàl Autònoma de México. È stato preside di facoltà fino al , anno in cui è stato nominato direttore del Dipartimento di Studi giuridici dell'Università del Salento.  È uno dei maggiori studiosi italiani della Teoria dei sistemi sociali.  Opere Tra i suoi lavori:  Wahrheit und Legitimation im Recht, 1981 Materiali per una teoria sociologica del diritto, 1981 Manuale di diritto del lavoro e legislazione sociale, con Realino Marra, 1983 Azione e imputazione. Semantica e critica di un principio nel diritto penale, 1984 Teoria della società, con Niklas Luhmann, 1992 Direito, democracia e risco. Vinculos com o futuro, 1988 Scienza del diritto e legittimazione. Critica dell'epistemologia giuridica tedesca da Kelsen a Luhmann, 1998 Ridescrivere la questione meridionale, con Giancarlo Corsi, con un saggio di Niklas Luhmann, 1998 Mondi della società del mondo, con Stefano Magnolo, 2005 Direito, tempo e memoria, 2006 Temi di filosofia del diritto, 2006 Futuri passati. Il mondo visto da Campone, Adriana Prizreni,  Note  Sito Centro Studi sul rischio di Lecce  Curriculum del prof. Raffaele De Giorgi Facoltà di Giurisprudenza dell'Università del Salento.

 

Giovanni: Europarlamentare LegislatureIII, IV Gruppo parlamentareGruppo per la Sinistra Unitaria Europea; Gruppo socialista; Gruppo del Partito del socialismo europeo Incarichi parlamentari Presidente della Commissione per gli affari istituzionali Sito istituzionale Dati generali Partito politicoPartito Comunista Italiano; Partito Democratico della Sinistra; Democratici di Sinistra UniversitàUniversità degli Studi di Napoli Federico II Biagio De Giovanni (Napoli), filosofo. Ha aderito successivamente alla Rosa nel Pugno.  Simpatizzò per la monarchia e l'11 giugno 1946 fu tra coloro che presero parte agli scontri che causarono la strage di via Medina; in seguito avrebbe spiegato la sua partecipazione con queste parole: «Già leggevo Hegelero monarchico perché credevo all'unita dello Stato. (...) Scappai quando la situazione s'incanaglì».  Laureatosi in filosofia del diritto, alla facoltà di giurisprudenza all'Università Federico II di Napoli, con una tesi su Giambattista Vico, è stato docente nello stesso ateneo e successivamente ha insegnato presso l'Bari.  È stato poi docente di Dottrine politiche presso l'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" e titolare della cattedra Jean Monnet di Storia e politica dell'integrazione europea presso lo stesso ateneo. Dal 1981 al 1986 è stato il direttore della rivista "il Centauro. Rivista di filosofia e teoria politica", che annoverava, tra gli altri, collaboratori come Angelo Bolaffi, Massimo Cacciari, Umberto Curi, Roberto Esposito e Giacomo Marramao.  Dal 1987 al 1989 è stato rettore dell'Orientale.  È stato eletto deputato europeo alle elezioni del 1989, e riconfermato nel 1994, per le liste del PCI e del PDS. È stato presidente della Commissione per gli affari istituzionali, membro della Commissione per la gioventù, la cultura, l'istruzione, i mezzi di comunicazione e lo sport, della Delegazione per le relazioni con l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, della Commissione giuridica e per i diritti dei cittadini, della Delegazione per le relazioni con la Repubblica popolare cinese, della Delegazione per le relazioni con i paesi del Mashrek e gli Stati del Golfo.  Attualmente è ancora un intellettuale attivo e interessato alla politica italiana e campana, relatore in diversi seminari e incontri, su temi non solo filosofici; tuttora è continua e proficua la sua produzione pubblicistica.  Opere principali: “L'esperienza come oggettivazione: alle origini del problema moderno della scienza, La teoria politica delle classi nel Capitale,Hegel e il tempo storico della società borghese, Marx e la costituzione della praxis, Marx dopo Marx  (cf. Luigi Speranza, “Grice dopo Grice.” Impilcature: Not Grice! -- con Gianfranco Pasquino, La nottola di Minerva: PCI e nuovo riformismo, 1989. Dopo il comunismo, 1990. L'ambigua potenza dell'Europa, 2002. Da un secolo all'altro: politica e istituzioni a partire dal 1968, con Ciriaco De Mita e Roberto Racinaro, 2004. La filosofia e l'Europa moderna, 2004. Sul partito democratico. Opinioni a confronto, con Massimo Cacciari e Giuseppe Galasso, 2007. A destra tutta. Dove si è persa la sinistra?, 2009. Elogio della sovranità politica, Editoriale scientifica, .  Le Forme e la storia. Scritti in onore di Biagio De Giovanni, M. Montanari, F. Papa, G. Vacca, Napoli, Bibliopolis,  (in appendice  di Biagio de Giovanni, Luca Basile). Antonio Carioti I dimostranti monarchici abbattuti dalla mitraglia Archiviato il 7 marzo  in . Opere di Biagio De Giovanni, . Biagio De Giovanni, su Goodreads.  Biagio De Giovanni, su europarl.europa.eu, Parlamento europeo.  Registrazioni di Biagio De Giovanni, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.  Profilo biografico su Rai Educational Biagio De Giovanni, o la parabola di un intellettuale nel sito "europeanjournal.it.

 

Giraldi: Giovanni Battista Giraldi (Ventimiglia) filosofo.  Il padre di Giovanni Giraldi, originario di Dolceacqua e di estrazione contadina, dopo il servizio militare riuscì la scalata del successo al Casinò di Monte Carlo, affermandosi anche come uomo di grande saggezza e religiosità. La madre invece era originaria di Ventimiglia, dove Giovanni Giraldi stesso nacque e trascorse la sua infanzia, nono di undici figli. Sebbene la famiglia fosse benestante, egli soffriva per la grande conflittualità interna, continuamente vessato dalla sorella maggiore che non esitava ad usare violenza nei suoi confronti, mentre la madre non faceva parola con il padre di quanto assisteva. Giraldi racconta che in questo periodo riusciva a trovare pace solo in chiesa.  Con una bugia astuta Giraldi riuscì a scappare di casa, entrando in un collegio, dunque l'anno successivo si trasferì in un altro collegio di Roma, ove tuttavia non riuscì a trovare la tranquillità sperata. Nel 1939 si sposò con Armida Saliola, che gli darà due figli e resterà la compagna della sua vita sino alla morte sopraggiunta nel 1996. Giraldi riuscì a compiere studi classici a Roma, iscrivendosi poi all'Università. Egli non frequentava le lezioni delle materie filosofiche o letterarie curricolari, ma studiava per conto proprio. Tuttavia seguiva abbastanza regolarmente le lezioni di psicologia del professor Mario Ponzo, anche se non era materia d'esame.  Conseguì la prima laurea nel 1941 e prestò servizio militare durante la seconda guerra mondiale. Nel frattempo, dopo aver conseguito la prima laurea in discipline letterarie, si iscrisse per una seconda, questa in discipline filosofiche, che ottenne discutendo molto animatamente la tesi con Ugo Spirito, il quale ironizzò sulle sue pretese di "fare una nuova filosofia". Gli interessi letterari erano però prevalenti, a partire dalla sua prima opera creativa, il Bàrel, composto all'età di 24 anni in versi e poi rivisto in prosa, ma soprattutto ricerche letterarie, anche se le occasioni di pubblicazione si limitarono a degli studi sul Carrara: una ricerca sul Bucolicm Carmen uscì su Il giornale storico della letteratura italiana e una  delle opere su Rinascimento, e uno studio sul Rinaldo del Tasso pubblicato su Bergomum e sul Convivium diretto da Carlo Calcaterra.  Più facilmente venivano pubblicati gli studi filosofici di Giraldi che trovarono spazio su Il Saggiatore, rivista pedagogica e filosofica diretta da Gallo Galli e da Angiolo Gambaro, sulla Rivista Internazionale della filosofia del diritto di Giorgio Del Vecchio e molto sulla rivista Filosofia dell'Unicità di Antonio Consentino, che aveva conosciuto nell'ambiente della rivista milanese Humana. Nel 1959 conseguì finalmente la Libera Docenza e insegnò per molti anni Storia Generale della Filosofia presso l'Università Statale di Milano. Giovanni Giraldi ha fondato e diretto la casa editrice Pergamena, dopo la morte della moglie ceduta al figlio Giancarlo. Pergamena Editrice ha pubblicato due periodici specialistici, anch'essi fondati e diretti da Giovanni Giraldi: L'Idea liberale (1959-1992) e Sistematica (1968-).  La sua attività culturale, estesa a tutto lo scibile umano, è racchiusa in centinaia di opere e in numerosissimi articoli. Si segnalano tra questi le sue collaborazioni anche per Il Giornale d'Italia. Oltre a libri di filosofia, teologia, filologia e pedagogiaquelli che hanno goduto di maggiore notorietà sono il monumentale Dizionario di Estetica e Linguistica generale e la Storia della pedagogia, testi utilizzati prevalentemente in ambito universitarioGiovanni Giraldi ha scritto anche poesie, racconti e novelle confluite in alcune raccolte. È stato inoltre ripetutamente acquisito come consulente dall'Accademia Svedese per l'attribuzione del Premio Nobel per la letteratura; ha trascorso gli ultimi anni della sua vita a Noli, ove era cittadino onorario.  È morto nel suo centesimo anno di vita il 23 settembre  a Milano.  Pensiero Partendo dalla teoria gentiliana, che vede in tutto una "mediazione", e da quella di Antonio Consentino, che sostiene al contrario la totale "immediatezza", Giovanni Giraldi afferma che anche l'atto puro di Gentile, in quanto nuovo e spontaneo, non può che nascere senza alcuna mediazione, quindi è l'equivalente dell'immediatezza consentiniana, o del sentire puro. Egli pertanto prova a risolvere le contraddizioni di entrambe le posizioni in una sintesi hegeliana che possa superare sia il divenirismo gentiliano, sia il coscienzialismo antidivenirista di Consentino. La soluzione di Giraldi è che l'immediatezza sarebbe "sostanziata di mediazione, e viceversa". L'immediatezza è così colma di mediazione, perché senza di essa sarebbe cieca e una mediazione senza una immediatezza sarebbe nulla. Inoltre, per avere una identità distinguibile, si dovrebbe avere già dentro di sé quanto necessario per identificarsi e per distinguersi.  In Etica del sentimento (1955), ancorando il principio morale proprio alla sfera sentimentale, Giraldi si focalizza sul sentimento di libertà e propone nuove argomentazioni alla tesi di derivazione stoica del sentirsi responsabili, pur entro un tutto già dato. In Gnoseologia del Sentimento (1957) egli parte proprio dalla posizione del Consentino per ripercorrere gli itinerari di una filosofia dell'essere indiveniente e per affrontare gli aspetti dinamici e volontaristici dell'Io, cui Consentino, dall'alto della sua posizione teoretica, non sembrava interessato.  In Filosofia giuridica (1961) espone la concezione di diritto naturale quale sentimento fondamentale giuridico, condizione trascendentale di ogni diritto positivo, una posizione abbozzata in un intervento durante il III Congresso di Filosofia del Diritto a Catania. Pertanto il diritto naturale non sarebbe un codice sovrapponibile ad altri codici, ma la precondizione che permette alle leggi positive di essere leggi e non atti religiosi, estetici, scientifici o di altro tipo. Nella rivista L'Idea Liberale e in alcuni volumi, tra cui Storia del Liberalismo nel sec. XX (1990), si è occupato anche della riflessione su temi politici. Notevoli inoltre i saggi di pedagogia, cui ha dedicato anche una Storia della pedagogia che dagli anni sessanta è tra le più adottate in sede universitaria.  L'opera Storiografia come rettorica, del 1980, tende ad inquadrare l'unitarietà artistica e scientifica della ricostruzione storica, coerentemente con la tesi ciceroniana della historia opus oratorum maxime e con quella aristotelica dell'entimema, in altre parole quel sillogismo retorico che si differenzia da quello della necessità. In Epistemologia (1965) invoca una "demitizzazione" anche delle teorie cosmologiche e scientifiche più accreditate (l'evoluzionismo, la teoria del Big Bang, la meccanica quantistica), poiché a suo dire tenderebbero pure esse a cadere in paralogismi e contraddizioni logiche, nonostante gli apprezzabili sforzi a riferirsi a filosofie anche orientali da parte di alcuni notevoli scienziati (Albert Einstein, Werner Karl Heisenberg, Erwin Schrödinger, Paul Dirac).  Ad esempio nota che anche i migliori epistemologi che irridono il concetto di sostanza, di fatto, riferiscono i dati sperimentali ad una sottintesa sostanza soggiacente. In numerose opere dedicate alla religione, analizzata nelle molteplici forme di spiritualità, avanza la tesi che il proprium della religione sia la soteriologia, quindi non tanto il contenuto di una dottrina, ma la speranza di salvazione dal negativo della vita e della morte. Il principio cardine diventa dunque la speranza, e non più la fede, che viene ricondotta ad un ruolo funzionale alla realizzazione della salvezza.  L'analisi giraldiana della religiosità tenta perciò di emanciparsi dagli usuali preconcetti teologici o filosofici: se alla religione è stato assegnato per oggetto l'uomo immediatamente e Dio mediatamente, alla teologia Dio si dà immediatamente e l'uomo mediatamente. Altresì in Immortalità dell'anima (1992) mostra come sia improponibile lo sforzo di svincolare l'unità del Pensiero con la determinazione individualizzata della persona. Il Dizionario di Estetica e Linguistica generale (1975), con alcune integrazioni filologiche presenti in alcune successive pubblicazioni, alcune in Sistematica, si distingue anche per l'attenzione dedicata all'estetica orientale e sulle concezioni dei primitivi "di ieri e di oggi".  Per una filosofia della scelta e della decisione  Giovanni Giraldi nel  La proposta avanzata da Giovanni Giraldi per una filosofia della scelta e decisione si apre con una riflessione sul dogmatismo e l'agnosticismo, dalle quali l'autore vuole prendere le distanza. Non si considera dogmatico, perché gnoseologicamente il suo metodo gli consente di aderire ad un'idea solamente dopo la caduta di ogni riserva, ma ciò non lo porta neppure ad approdare ad una concezione scettica né agnostica, in quanto la non possibilità di dimostrare (ad esempio l'immortalità, la vita ultraterrena o l'esistenza di Dio) non equivale ad affermare la loro non esistenza.  Tra le numerose acquisizioni che lo difenderebbero dalle accuse incrociate di scetticismo e agnosticismo enumera la consapevolezza di un patrimonio di verità circa le possibilità di pensiero; la ricchezza dell'atto di conoscenza anche nelle forme meno esplicate; l'emancipazione dalla divisione del conoscere in intuizioni e concetto, sensazione e concetto; la pretestuosità di coloro che esigono una purezza del conoscere senza inquinamenti sentimentali; le aporie di una scienza oggettivante e insieme soggettivante al massimo e dell'arte che, mentre il mondo odierno nega il reale, si riferisce continuamente ad essa, particolarmente nella negazione.  Non potendosi dare una irruzione nel trascendente, è tuttavia possibile affermare la vasta pregnanza del trascendentale, in altre parole di un terreno comune per l'esperienza e il pensiero. Giraldi si considera pertanto idealista, nel senso che non esiste pensiero senza pensiero, spirito senza spirito, ideato senza ideante. Tuttavia, differentemente dalle posizioni gentiliane, non crede che affatto il pensiero sia liquido, tutt'altro; proprio perché l'idea diventa comune, e in essa il Pensiero trova la sua pace, occorre una verità fondamentalmente ferma, non mobilizzabile. Da questi presupposti sorge così una debita attenzione per la scelta e la decisione.  Distinguendo le scelte apparenti, che sono totalmente arbitrarie, da quelle reali, quando al termine dell'analisi si opera con un atto di buona volontà, una decisione autentica ci si trova di fronte ad un bivio metafisico: impossibilità di afferrare la realtà dei tre nominati reali (Dio, Anima e Mondo) e impossibilità di negarli. Sorge appunto la decisione autentica, cui si arriva solamente secondo una corretta formulazione di intenti e seguendo una fine immanente ad ogni forma di scelta. Aristotelicamentee anche kantianamentela causa finale riveste una primaria importanza. Se ogni uomo sceglie per sé, nessuna scelta avrebbe una portata teoretica di cogenza, ma aprirebbe le vie della libertà vera, dalla quale ne derivano conseguenze radicali e speculazioni abissali a partire da una decisione, che può essere quella dell'anima unica immortale, o quella del pensiero che viene ad essere dopo la materia, o la non esistenza di Dio. Ciò permetterebbe anche di evitare il depauperamento culturale, con una rivitalizzazione delle esperienze antiche.  La decisione personale di Giraldi propende per una concezione dell'anima unitaria, di stampo aristotelico-averroistico; se l'immortalità naturale di tomistica memoria è da lui considerata "la più materialistica, e più grezza", egli preferisce pensare ad una immortalità conseguita, oppure chiesta a Chi può donarla e concessa a chi la chiede. Sul mondo reale fisico resta una indecisione, ma propende verso un residuo di natura mentale, una sorta di noumeno mentalesulla scia di Immanuel Kant e Pasquale Galluppioltre il grande telone dei fenomeni. In questo caso però occorrerebbe rapportarlo ad una mente divina, perché parlare di mondo senza Dio non avrebbe connotazioni filosofiche. Infine, riguardo l'esistenza di Dio, punto in cui la scelta diviene decisione pura, egli tende a negare la validità delle dimostrazioni, pur scorgendo in esse una bella prova della potenza della mente umana. La conclusione non è però la non esistenza di Dio, ma la non dimostrazione della sua esistenza.  Chi ammette l'esistenza di Dio, tuttavia, deve assumere la radicalità di tale affermazione "guardando il mondo dagli occhi di Dio" e non facendo etsi deus non daretur. Chi prendesse la scelta teistica dovrebbe tacersi per sempre e rinunciare ad intenderlo. Giraldi mette in risalto anche la Volontà, definendola potenza fattiva dell'Idea, e constatandone il carattere generativo-spermatico, per collocare in una prospettiva differente il vitalismo dell'élan vital bergsoniano e della Wille di Schopenhauer. Questo permette di pensare l'Idea non solo quale conoscenza filosofica, ma anche negli aspetti attivi, vitali e di sentimento. Ad essere eroicamente divini non sono pertanto solo i pochi giunti al massime vette di autocoscienza teoretica, ma anche gli umili che vivono inconsapevoli della propria dignità divina, folgoranti però di una autocoscienza morale.  Bàrel Dal punto di vista poetico, l'opera principale di Giovanni Giraldi è il Bàrel, iniziato negli anni trenta e sorto dall'ispirazione di un progetto di Papini esposto nell'autobiografia Un uomo finito per un poema apocalittico, mai scritto. Altri spunti furono la lettura di Lord of the World di Robert Hugh Benson e dell'Apocalisse.  Il primo dei tre volumi di cui si compone il Bàrel, terminato in versi nel 1937, fu presentato a Eugenio Giovannetti de Il Giornale d'Italia, che propose come titolo Il Dio Eroico. Gli anni seguenti, segnati dalla Seconda Guerra Mondiale, furono l'occasione per trasporlo in prosa, operazione terminata nel 1944.Questa versione, appena terminata la guerra, fu proposta a vari editori ma che per una serie di sfortunate coincidenzeMondadori non disponeva della carta, e dopo alcuni anni, quando la carta è disponibile, cambia idea sulla pubblicazione; la casa editrice Api di Mazzucchelli nel frattempo fallìl'idea di pubblicazione venne temporaneamente accantonata. Nel frattempo alcuni versi furono pubblicati frammentariamente. Il 1964 fu l'anno del riordino delle due versioni in un unico libro che contenesse sia versi, sia prosa, in uno spiccato pluristilismo sperimentale. La pubblicazione avverrà, in tre libri, tra gli anni sessanta e gli anni settanta sotto lo pseudonimo I. Tanarda e poi in raccolte unitarie successive.  Il tema è insolito e il contenuto, con riferimenti religiosi e culturali di ogni tipo, non è di semplice accessibilità. Se il primo libro può essere collocato in un momento simbolico dell'arte, il secondo è classico e il terzo romantico, nei canoni dell'estetica hegeliana. Nel primo, Apocalisse grande, il protagonista Bàrel sovrappone le passioni alle idee; nel secondo, La cerca di Barel, ritorna in proporzioni umane e nel terzo, La morte degli dèi, scende negli abissi vertiginosi del Pensiero, che la poesia tenta di inseguire. È stato tradotto anche in lingua francese dalla poetessa e latinista Geneviève Immè dell'Pau.  Opere Organon Philosophicum Ironia, morale, educazione, Editrice Gheroni, Torino 1954. Etica del sentimento, Edizioni di "Filosofia dell'Unicità", 1955. Gnoseologia del sentimento, Pergamena Editrice, 1957. La filosofia giuridica, Edizioni di "Filosofia dell'Unicità", Milano 1961. Filosofia della religione. Lezioni accademiche, Edizioni di "Filosofia dell'Unicità", 1962. Epistemologia. Una nostra riforma della Logica Hegeliana, Pergamena Editrice, 1965. La Metafisica. Quattro discorsi, Pergamena Editrice, 1971. Iesous Eléutheros. La liberazione di Gesù: lettera sistematica ai miei figli, Pergamena Editrice, 1973. Dizionario di Estetica e di Linguistica generale, Pergamena Editrice, 1975. Studi successivi al 1975 nel periodico Sistematica. Res Publica. I. Educazione civica, Pergamena Editrice, 1977. Res Publica. II. Teoria dell'Ineguaglianza, Pergamena Editrice, 1978. Nel Pleròma. Da Dio alla Materia, Pergamena Editrice, 1979. Storiografia come rettorica. Autobiografia come filosofia, Pergamena Editrice, 1980. Memoriale Ambrosiano e Memoriale Italico, Pergamena Editrice, Dio, Pergamena Editrice, 1982. Estetica della Musica, Pergamena Editrice, 1984; seconda edizione 1997 con Colloquia Edizioni. Meditazioni Hegeliane, Pergamena Editrice, 1988. Meditazioni Platoniche, Pergamena Editrice, 1990. Capitoli sulla Scienza Moderna, Pergamena Editrice, 1991. L'immortalità dell'anima, Pergamena Editrice, Ricerche filosofiche La filosofia del sentimento di A. Consentino, in Quaderni del 2000, Milano 1952. Rabelais e l'educazione del principe, Edizioni Viola, Milano 1953; ora in Paideia grande. Un mistico bergamasco: Sisto Cucchi, Secomandi, 1953. Amiel Morale, pubblicato sulla rivista pedagogica e filosofica Il Saggiatore, Torino 1956. L'educazione dei ciechi, Armando Editore, Roma 1962. Società e Stato da Spedalieri a Marx, Pergamena Editrice, 1963. L'estetica italiana nella prima metà del secolo XX : figure e problemi., Nistri-Lischi, Pisa 1963. Storia della pedagogia, Armando Editore, Roma (I ediz. 1964, X ediz. 1984; "le edizioni successive alla X sono state scempiate da interventi dell'Editoreriporta Giraldi in Sistematica). Il pensiero politico tra Ottocento e Novecento, Pergamena Editrice, Adolfo Ferrière. Psicologia, attivismo, religione, Armando Editore, Roma 1964. Giuseppe Lomabardo Radice tra poesia e pedagogia, Armando Editore, Roma 1965 Giovanni Gentile. Filosofo dell'educazionePensatore politicoRiformatore della Scuola, Armando Editore, Roma 1968. Raffaello Lambruschini. Un uomo, una pedagogia, Armando Editore, Roma 1969. Silvio Tissi filosofo dell'ironia, Pergamena Editrice, 1972. Moralistica francese, Pergamena Editrice, 1972Saggi su Francesco di Sales, il Quietismo, La Rochefoucault, Prevost. Filosofi teoretici e Morali, Pergamena Editrice, 1975saggi su Condillac, Senancour, Rensi, Hume, Camus, Barié, Galli, Lazzarini, Castelli, Capitini. Gramsci e altri miti, Pergamena Editrice, 1979. Storia della filosofia, Trevisini Editore, Milano 1983. L'Italia nella dittatura e nella non democrazia, Pergamena Editrice, Paideia Grande, Pergamena Editrice, 1983Rabelais, Rosmini, Boncompagni, Gentile. Storia del Liberalismo nel sec. XX, Pergamena Editrice, 1990. Riviste Moltissimi saggi e studi di politica, religione, filosofia, filologia e critica sono stati pubblicati nelle seguenti riviste fondate da Giraldi stesso:  L'Idea Liberale, attiva dal 1959 al 1992. Sistematica, dal 1968, attiva sino al . Filologia Giovanni Michele Alberto Carrara, De fato et fortuna. IntroduzioneTestoNote Giovanni Giraldi, Tipografia A. Ronda, Milano 1954. Studi sul Rinascimento, Pergamena Editrice, Saggi su: Seneca e la filologia; Petrarca viaggiatore; Leonardo scrittore; Le fonti del Pontano lirico; Gli errori di Dante in un poema umanistico inedito; Il Rinaldo di T. Tasso; Il T. Tasso corregge il Floridante; Rime inedite di Cecco d'Ascoli. G. M. A. Carrara,  I, Opere Scelte, Giovanni Giraldi, Pergamena Editrice,G. M. A. Carrara,  II, Armiranda. Inedito umanistico, Giovanni Giraldi, Pergamena Editrice, 1976. Commedia inedita, testo latino e traduzione G. M. A. Carrara,  III, De choreis Musarum, Giovanni Giraldi, Pergamena Editrice, 1984. Testo sistematico latino. Segue un Saggio monografico sull'umanista. G. M. A. Carrara,  IV, Sermones objurgatorii, Giovanni Giraldi, Pergamena Editrice, 1984. Sui tragici greci. Da mio diario filologico, Pergamena Editrice, 1973. Filologia. Teoria e saggi, Pergamena Editrice. Su Dante con verità, Pergamena Editrice, 2003. Il Manzoni, in Sistematica, Pergamena Editrice, 2009. Gesù, Pergamena Editrice, . Poesia e prosa d'arte Collana dei "Tredici". La Scala, novelle e poesie; Casa Editrice Mutarsio, Torino 1938 Bàrel. I. Apocalisse grande (1965); II. La cerca di Bàrel (1971); III. La morte degli dèi (1977); in volume unico,  Pergamena Editrice. Hendecasyllabi aliaque scripta, Pergamena Editrice, 1964. L'aragosta. Romanzo Ligure, Pergamena Editrice, 1968. Il figlio di Pinocchio, Pergamena Editrice, 1976; Fratelli Frilli 2001 (recensioni). Il dono delle Muse. Cento novelle, Pergamena Editrice, 1981. Quadri Intemelii, Pergamena Editrice, 1988. Miniature. Codex aureus, Codex recens. Codex quadraticus, Pergamena Editrice, 1992. Cento tavole, alcune con testi latini parzialmente editi in Hendecasyllabi. Il Codex recens presenta soggetti del Bàrel; il Codex aureus è a soggetto libero e vario; il Codex quadraticus comprende le figure degli scacchi. Con rubriche annesse che spiegano tempi, temi, tecniche. Pergamene eseguite dal 1972 al 1977. Musa latina, Pergamena Editrice, 1990. Il ramo d'oro, Pergamena Editrice, 1992. Scritti in Italiano, Latino, Francese, Romanesco, Biblico. Profili di gente nel mio tempo, Pergamena Editrice, 1993. Splendido novellare, Pergamena Editrice, Cento racconti e novelle. Musis amicus, Pergamena Editrice, Versi e prose in Latino. Mimì o E tutto è amore, Pergamena Editrice, Sorridono i gigli. Liriche e restauro filologico di Saffo, Pergamena Editrice, 2002. Tevere amico, Pergamena Editrice, 2006. Pedagogia e Filosofia esposte nel dialetto Romanesco da un popolano di Trastevere. Paradiso, Pergamena Editrice, 2006. Faust mediterraneo, Pergamena Editrice, 2007. Atlantidos persis, Pergamena Editrice, 2008. François Villon, Il Testamento, traduzione e saggio critico Giovanni Giraldi, Pergamena Editrice, Amitiés françaises, Pergamena Editrice, 2008. Nel Sublime, Pergamena Editrice, 2009. Il mio Ponente, Pergamena Editrice, . Letture belle, Pergamena Editrice, . Note  Piero Pastorino, Pinocchio, un figlio nato da una bugia, in La Repubblica, 4 dicembre 20018 sez. Genova. 3 gennaio . «Giraldi, nato a Ventimiglia, docente universitario a Milano di Storia generale della filosofia, è stato ripetutamente consulente all'Accademia di Svezia per il conferimento dei Nobel per la letteratura. Ha al suo attivo un dizionario di estetica e linguistica, una storia della pedagogia e ha scritto novelle raccolte in due volumi. Vive a Noli, di cui è cittadino onorario.».  Piotr Zygulski, È morto Giovanni Giraldi, filosofo liberale, in Termometro Politico, 23 settembre . 23 settembre .  Giraldi37.  Giraldi43.  Pierre-Philippe Druet, Giovanni Giraldi, Silvio Tissi, filosofo dell'ironia, Revue Philosophique de Louvain,  John Dudley, Giovanni Giraldi, Sui tragici greci. Dal mio diario filologico, Revue Philosophique de Louvain, 1976,  74, nº 23439. Giraldi, Giovanni, Da "Autobiografia come filosofia" (Milano, 1980) e pagine integrative (1981 e ss.), in Sistematica, nnº 130-131, Milano, Pergamena, Angelo Grimaldi, Illuministi inglesi e francesi, in Disegno storico del costituzionalismo moderno, Roma, Armando, Giancarlo Ottaviani, La scuola del Risorgimento. Cinquant'anni della scuola italiana 1860-1910, Roma, Armando, 2009. Giovanni Semerano, La favola dell'indoeuropeo, Milano, Paravia Bruno Mondadori.

 

Girardi: Giulio Girardi (Il Cairo), filosofo. Dopo la nascita, vive con la famiglia a Parigi fino al 1931; si trasferisce in seguito con i genitori a Beirut (Libano), dove riceve la sua prima istruzione presso la scuola italiana retta dai domenicani.  Nel 1937, dopo la separazione dei genitori, con la madre e la sorella si trasferisce ad Alessandria d'Egitto; qui frequenta la scuola media italiana presso i salesiani. Nel 1939, maturata la sua scelta vocazionale, viene inviato in Italia, dove inizia gli studi superiori, poi quelli filosofici e teologici, per la formazione al sacerdozio nella Società salesiana di San Giovanni Bosco.  Completa gli studi filosofici nel 1950, con il dottorato in filosofia, discutendo la tesi sulla metafisica di san Tommaso d'Aquino. Compie inoltre gli studi di teologia presso l'Università Gregoriana di Roma dal 1951 al 1953 e presso la sede di Torino dell'Università Salesiana dal 1953 al 1955. Sempre a Torino, viene ordinato presbitero il 1º gennaio del 1955.  Docente universitario Già dal 1948 è docente di storia della filosofia e di metafisica presso la Facoltà salesiana di Torino; dal 1960 tiene gli stessi corsi anche all'Università Salesiana di Roma. Nonostante l'impegno accademico e la partecipazione ai lavori del Concilio Vaticano II in qualità di perito, la sua scelta di impegno con i movimenti di base e la presa di posizione per il marxismo fanno sì che nel 1969 venga espulso dall'ateneo salesiano per "divergenze ideologiche"; si trasferisce allora a Parigi, dove è docente di antropologia presso la facoltà di filosofia dell'Università Cattolica e di introduzione al marxismo presso l'Istituto di Scienze e Teologia delle religioni. Negli stessi anni, insegna antropologia, introduzione al marxismo e teologia della liberazione presso l'Istituto Superiore di Pastorale Lumen Vitae di Bruxelles. In quegli anni aderisce e promuove, in America Latina e in Europa, il movimento dei Cristiani per il Socialismo; il suo impegno esplicito, a livello ideologico e politico, a favore dei movimenti rivoluzionari e di liberazione, portano alla sua definitiva espulsione dall'Università Cattolica di Parigi nel 1973 e, l'anno successivo, dall'Istituto Lumen Vitae di Bruxelles. Si dimettono da quest'ultimo, per solidarietà, i suoi colleghi di docenza François Houtart, Gustavo Gutiérrez, Paulo Freire.  Prosegue tuttavia la docenza universitaria presso l'Lecce, insegnando filosofia della storia nell'anno 1977-'78, poi presso l'Sassari, ove insegna filosofia politica dal 1978 al 1996, quando si congeda dall'insegnamento.  Il Concilio e il suo impegno politico Nel 1962, Girardi viene invitato come esperto al Concilio Vaticano II, in qualità di profondo conoscitore del marxismo e delle problematiche dell'ateismo contemporaneo. Al Concilio, collabora alla progettazione e alla stesura dello Schema XIII, che darà vita alla Costituzione pastorale Gaudium et Spes.  Nel 1965, inizia la sua partecipazione al dialogo tra cristiani e marxisti, nelle varie sessioni a livello nazionale e internazionale. Alla sua ricerca filosofica, affianca un impegno sempre crescente con le realtà di base, in Italia e nel mondo, che iniziano a coniugare l'aggiornamento conciliare con l'impegno politico. La sua conoscenza dell'America Latina lo porta sempre più frequentemente in giro per il mondo; è tra i protagonisti della nascente teologia della liberazione, di cui è uno dei divulgatori in Europa.  Nel 1972, partecipa al primo incontro continentale dei Cristiani per il Socialismo, a Santiago del Cile; in seguito, dopo aver conosciuto dal vivo i più diversi paesi latinoamericani (Cile, Perù, Colombia, Messico, Cuba), trasporta in Europa il suo impegno nel movimento dei Cristiani per il Socialismo Nel 1974 diventa membro del Tribunale Russel II sull'America Latina; dal 1976 al , è membro del Tribunale Permanente dei Popoli.  Nel 1977, dopo essere stato espulso da tutte le università cattoliche in cui era docente, viene anche dimesso dalla congregazione salesiana e, successivamente, sospeso a divinis. Girardi continua il suo impegno di solidarietà con i popoli latinoamericani e la sua opera di animatore e formatore nelle comunità di base, così come negli organismi di riflessione e di dialogo tra cattolici e comunisti.  Nel 1980 compie la sua prima visita in Nicaragua, ove solidarizza con la rivoluzione sandinista e esprime la sua collaborazione con i vari movimenti ecumenici, indigeni e popolari di quella nazione. Il Fronte Sandinista gli assegnerà l'ordine Carlos Fonseca per il suo lavoro a fianco della popolazione nicaraguense.  Dal 1986 si reca anche a Cuba, ogni anno, collaborando con diverse istituzioni culturali ed ecumeniche; dal 1988 è impegnato nella solidarietà con il movimento indigeno, specialmente in Messico, Ecuador e Bolivia.  Nel 1989 è candidato come capolista alle elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Roma con Democrazia Proletaria.  Dal 1992 è impegnato con il movimento macroecumenico dell'Assemblea del popolo di Dio, in cui alle tradizionali tematiche della liberazione, si unisce la riscoperta delle origine etniche e indigene dei popoli sudamericani. Fino ai primi anni del nuovo secolo, continua ad occuparsi anche delle tematiche riguardanti l'educazione popolare e il nascente movimento per la pace.  Nel corso degli anni, non ha trascurato anche l'impegno in Italia, soprattutto nel campo della ricerca partecipativa sulle condizioni del mondo del lavoro e sulle trasformazioni della coscienza cristiana di fronte alle mutazioni del contesto sociale.  Nel 2005, con il suo ingresso nel movimento Noi Siamo Chiesa, propone in esso l'aggiornamento delle tematiche di impegno politico ed ecclesiale da lui coltivate in tanti anni di studio e di dialogo.  Assieme a un gruppo internazionale di teologi (unico italiano, assieme a Giovanni Franzoni e al giornalista Filippo Gentiloni), è stato promotore anche di un Appello alla chiarezza, un "manifesto" contro la beatificazione di Karol Wojtyła, uno dei pochi segnali critici rivolti al grande pubblico sulla figura di Giovanni Paolo II.  È stato anche cofondatore dell'Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba e della Fondazione Italiana Ernesto Che Guevara.  È scomparso nel  all'età di 86 anni, dopo una grave malattia durata sei anni.  Opere Metafisica della causa esemplare in San Tommaso d'Aquino, Torino, Società Editrice Internazionale, 1954. Ontologia, Torino, Società Editrice Internazionale, 1962. Theologia naturalis, Torino, Società Editrice Internazionale, 1962. Marxismo e cristianesimo, Assisi, Cittadella, 1966; 1969. Cristiani e marxisti a confronto sulla pace. Implicanze dottrinali, Assisi, Cittadella, 1967. Credenti e non credenti per un mondo nuovo, Firenze, Vallecchi, 1969. Cristianesimo e lotta di classe, Pistoia, Centro di documentazione, 1969. Speranza cristiana e speranza marxista, con Lucio Lombardo Radice, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1970. Cristianesimo, liberazione umana, lotta di classe, Assisi, Cittadella, La lotta di classe e gli esclusi, con Nicola Badaloni, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1972. Cristiani per il socialismo, perché? Questione cattolica e questione socialista, Assisi, Cittadella, 1975. Educare: per quale società?, Assisi, Cittadella, 1975. Fede cristiana e materialismo storico, Roma, Edizioni Borla, 1977. Coscienza operaia oggi. I nuovi comportamenti operai in una ricerca gestita dai lavoratori, a cura di, Bari, De Donato, 1980. Sulla crisi del marxismo. Relazione del seminario di studi tenuto a Bergamo (12-13 aprile 1980) presso il Centro La Porta, Bergamo, La Porta, Centro studi e documentazione, 1980. Intervento in Teologia della liberazione, Roma, Sapere 2000, 1985. La tunica lacerata. L'identità cristiana oggi fra liberazione e restaurazione, Roma, Borla, 1986.  88-263-0614-1. Sandinismo, marxismo, cristianesimo. La confluenza, Roma, Borla, 1986.  88-263-0640-0. Le rose non sono borghesi. Popolo e cultura del nuovo Nicaragua, a cura di, Roma, Borla, Rivoluzione popolare e occupazione del tempio. Il popolo cristiano del Nicaragua sulle barricate, Roma, Edizioni associate, 1989. Il popolo prende la Parola. Il Nicaragua per la teologia della liberazione, con José Maria Vigil, Roma, Borla, Dalla dipendenza alla pratica della libertà. Una comunità d'accoglienza s'interroga e interroga, ricerca partecipativa coordinata da, Roma, Borla,  La conquista dell'America. Dalla parte dei vinti, Roma, Borla, 1992.  88-263-0925-6. Il tempio condanna il Vangelo. Il conflitto sulla teologia della Liberazione fra il Vaticano e la CLAR, San Domenico, Fiesole, Cultura della pace,  Gli esclusi costruiranno la nuova storia? Il movimento indigeno, negro e popolare, Roma, Borla, 1994.  88-263-1076-9. Cuba dopo il crollo del comunismo, Roma, Borla, Samuel Ruiz. Sui sentieri indigeni della chiesa in Chiapas, con Alberto Grossi e Aluisi Tosolini, Parma, AlfaZeta, 1996. Cuba dopo la visita del papa. Marxismi, cristianesimi, religioni afroamericane alle soglie del terzo millennio, Roma, Borla, 1999.  88-263-1281-8. Riscoprire Gandhi. La violenza è l'ultima parola della storia?, Roma, Anterem, 1999; Roma, Icone, Seminando amore come il mais. L'insorgere dei popoli indigeni e il sogno di Leonidas Proano, Roma, Icone, 2001.  88-87494-19-3. Resistenza e alternativa al liberalismo e ai terrorismi, Milano, Punto Rosso, Che Guevara visto da un cristiano, Milano, Sperling & Kupfer,  Legalità informazione: girardi appoggia lo sciopero della fame di pannella e negri. | RadioRadicale.it, su radioradicale.it. 13 aprile  4 marzo ).  L'appello coi firmatari Archiviato, Il nostro fratello Giulio Girardi ci ha lasciato Noisiamochiesa.org  Comunità cristiana di base Cristiani per il Socialismo Teologia della liberazione Sandinismo Socialismo cristiano Forum Sociale Mondiale  Gli ottant'anni di Giulio Girardi di Valerio Gigante, 2006, sito Adista, Fatti, notizie, avvenimenti su mondo cattolico e realtà religiose. Sito Web dedicato a Giulio Girardi contiene una biografia e altro materiale.

 

Girgenti: Giuseppe Girgenti (Palermo), filosofo. Ha frequentato gli studi classici nella sua città natale presso il Liceo "Vittorio Emanuele II" (ove, fra gli altri, ha avuto come docenti Vincenzo Brighina, Mario Franchina, Francesco Armetta, Ubaldo Mirabelli e padre Pino Puglisi) e poi si è trasferito a Milano per gli studi universitari, presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore (ove, fra gli altri, ha seguito i corsi e i seminari di Gustavo Bontadini, Sofia Vanni Rovighi, Adriano Bausola, Virgilio Melchiorre e don Luigi Giussani); si è laureato in filosofia con Giovanni Reale nel 1989, con una tesi dal titolo Platonismo e Cristianesimo in San Giustino Martire; ha poi vinto un dottorato di ricerca nella stessa università, ed è andato a studiare prima a Monaco di iera con Werner Beierwaltes e poi a Parigi con Pierre Hadot; ha conseguito il titolo di dottore di ricerca nel 1994 con una dissertazione dal titolo Porfirio tra henologia e ontologia riproponendo la questione degli universali come origine del "pensiero forte". Dopo un biennio post-dottorale presso l'Università Cattolica di Milano, è diventato Assistenzprofessor presso l'Accademia Internazionale di Filosofia nel Principato del Liechtenstein, ove ha insegnato "Storia della Filosofia e Metodologia Filosofica" nel triennio 19972000; in questo periodo ha tenuto contatti regolari con Hans-Georg Gadamer; dal 2002 è passato a insegnare Storia della Filosofia Antica alla Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. È segretario delle collane Bompiani "Testi a fronte" e "Il pensiero occidentale".  Pensiero I suoi studi sono concentrati sul rapporto tra filosofia greca e Cristianesimo, e in particolare nell'influenza che il platonismo ha esercitato sui Padri della Chiesa. Per analizzare questo tema, ha applicato due categorie ermeneutiche create da Gadamer: la "storia degli effetti" (Wirkungsgeschichte) e la "fusione di orizzonti" (Horizontverschmelzung); secondo la storia degli effetti, come già in Beierwaltes, la storia della Patristica greca e latina deve essere considerata una fase importante della storia del platonismo antico, che fa da tramite rispetto a tutto il pensiero cristiano medioevale; secondo la fusione di orizzonti, il rapporto tra platonismo e Cristianesimo deve essere analizzato superando due opposte posizioni classiche: la "Praeparatio evangelica" di Eusebio di Cesarea, secondo cui la filosofia greca sarebbe stata di per sé una preparazione al Cristianesimo e la "Ellenizzazione del cristianesimo" di Adolf von Harnack, secondo cui nell'incontro con la filosofia greca il Cristianesimo avrebbe smarrito la vocazione originaria (e dovrebbe pertanto de-ellenizzarsi). La posizione mediana potrebbe contribuire a superare le rigidità del cristianesimo ortodosso e le chiusure del cristianesimo protestante.  Opere Porfirio negli ultimi 50 anni:  sistematica e ragionata della letteratura primaria e secondaria riguardante il pensiero porfiriano e i suoi influssi storici, Vita e Pensiero, Milano 1994; Giustino Martire, il primo cristiano platonico, Vita e Pensiero, Milano 1995; Il Pensiero forte di Porfirio, Vita e Pensiero, Milano 1996; Introduzione a Porfirio, Laterza, Roma-Bari 1997; La nuova interpretazione di Platone, G. Girgenti, Rusconi, Milano 1998; Incontri con Hans-Georg Gadamer, G. Girgenti, Bompiani, Milano 2000; Platone tra oralità e scrittura, G. Girgenti, Bompiani, Milano 2001; Atene e Gerusalemme. Una fusione di orizzonti, Il Prato, Padova ; Il bue squartato e altri macelli. La dolce filosofia, libro-intervista con Sossio Giametta, Mursia, Milano . Note  G. Giorello, Corriere della Sera, 1º giugno 1995  Scheda biografica, curriculum e  nel sito dell'Università Vita-Salute San Raffaele, su unisr.it.

 

Girotti: Armando Girotti (Adria), filosofo. Specializzato nelle metodologie  della filosofia. Trasferitosi da bambino con la famiglia a Pontelongo, Girotti si è laureato all'Padova, dove si è formato alla scuola dei filosofi Giovanni Santinello e Enrico Berti. Insieme a quest' ultimo ha pubblicato nel 2000 il libro Filosofia, dedicato all'insegnamento della materia.  Dopo aver lavorato alcuni anni come docente di storia e filosofia nel liceo Ippolito Nievo di Padova, fin dagli anni '70 si è interessato alle metodologie di insegnamento e apprendimento della filosofia, lavorando come consulente esterno per gli IRRSAE di Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino ed Emilia-Romagna e come Direttore dell'aggiornamento didattico per il Provveditorato agli studi di Padova, Vicenza, Venezia e Treviso. È incaricato dal Ministero della pubblica istruzione della realizzazione di materiali didattici finalizzati a innovare l'insegnamento della filosofia e di analizzare la didattica del Giappone all'interno di un progetto di scambio culturale con il paese asiatico.  Negli anni '80, dopo aver conseguito il Dottorato di ricerca in filosofia, tiene alcuni seminari per il Corso di Perfezionamento in Metodologia dell’insegnamento filosofico presso l’Padova.  Nel 1990 ha pubblicato Henri Gouhier e la sua storia storica della filosofia, prima opera in italiano dedicata al filosofo francese.  Ha collaborato alla terza edizione dell'Enciclopedia filosofica Bompiani, è saggista e redattore di Comunicazione filosofica, la rivista telematica della Società Filosofica Italiana, e dirige alcune collane di metodologia filosofica e di storia della filosofia.  Pensiero I suoi lavori iniziano a partire dal rapporto tra storiografia e filosofia, cioè se sia possibile una storia storica della filosofia (argomento riguardo al quale pubblica uno studio analizzando il pensiero di Henri Gouhier) che non scivoli nella storia filosofica della filosofia, cioè in una filosofia come decodificatrice della storia del pensiero.  Il primario interesse è rivolto alla formazione dei futuri docenti di filosofia, anche con stimolazioni pratiche. L’attenzione per le nuove metodologie, come la Didattica Breve, lo portano a definirne la lungimiranza, mostrandone anche l'aspetto pratico.  I suoi studi sulle metodologie di insegnamento lo portano a disapprovare le tecniche, a difesa delle strategie, quelle che, dice, insegnano a riflettere filosoficamente. A tal riguardo si è inserito nel dibattito sull’insegnamento della filosofia sostenendo che la diatriba tra le due scuole di pensiero, quella inerente alla didattica per problemi o secondo il profilo storico, perde di vista il dato primario, che non risiede tanto nei contenuti, quanto nel metodo di approccio finalizzato alla riflessione filosofica, quel metodo che insegna a “filosofare”. Gli esiti della sua ricerca perciò lo portano a sostenere l'esigenza di modificare l'insegnamento della filosofia in quanto lo scopo è che la didattica diventi filosofica e non rimanga semplice didattica della filosofia, teoreticamente sostenendone le motivazioni.  Le sue riflessioni teoretiche a difesa del Progetto Brocca, mostrandone le peculiarità, lo inducono a produrre Moduli anche su sollecitazione del Ministero dell'Istruzione e, per quanto riguarda la Philosophy for Children, trovandola troppo legata all'interpretazione della filosofia come avvio alla logica, ne critica la didattica finalizzata alle tecniche, privilegiando invece la "Filosofia con i bambini" che, cambiando il “for” in “with”, presta maggior attenzione alla psiche infantile.  I suoi studi sulla metodologia dell'insegnamento filosofico lo portano infine ad inserirsi nel dibattito "cervello-mente" con riferimenti alla complessità dell'io nel rapporto tra sapere ed emozione, sulla volontà,[25] nonché sul problema anima.[26]  Onorificenze Nel  è stato insignito della cittadinanza onoraria[27] dal Sindaco di Pontelongo Fiorella Canova.  Opere Henri Gouhier e la sua storia storica della filosofia, Unipress, Padova 1990. La filosofia per unità didattiche, Pagus, Treviso 1993. Aristotele, dal platonismo all’autonomia, Polaris, Faenza 1996. L’insegnamento della filosofia, dalla crisi alle nuove proposte, Unipress, Padova 1996. La filosofia di Schopenhauer, Polaris, Faenza 1998. GirottiBerti, Filosofia, Professione docente, La Scuola, Brescia 2000. GirottiMorini, Modelli di razionalità nella storia del pensiero, Sapere, Padova 2005. Discorso sui metodi, Pensa, Lecce 2005. Medioevo vs 2009, tra tabula rasa e innatismo, Sapere, Padova 2009. Riforma Gelmini e insegnamento della filosofia, Sapere, Padova . Essere e volere, Pensa multimedia, Lecce . Siamo completamente liberi di volere ciò che vogliamo?, Il Giardino dei Pensieri, Bologna . Aristotele, Diogene Multimedia, Bologna . Hegel, Diogene Multimedia, Bologna . Schopenhauer, Diogene Multimedia, Bologna . Siamo liberi di volere ciò che vogliamo?, Diogene Multimedia, Bologna . Girotti-Paris, Filosofia, bellezza e responsabilità, Diogene Multimedia, Bologna . Kant, Diogene Multimedia, Bologna . Cercasi anima disperatamente, Diogene Multimedia, Bologna . Giovanni Gentile, La filosofia nella scuola secondaria, Diogene Multimedia, Bologna . Il fico proibito dell’Eden e la giustificazione del male, Diogene Multimedia, Bologna . Un viaggio intorno all’ioDa Atene a Delfi dialogando, Diogene Multimedia, Bologna . Sul permesso di morire, Diogene Multimedia, Bologna . Note  Anna M. Bianchi, Enrico BertiArmando Girotti, Filosofia, su sfi.it.  l'8 gennaio .  Armando Girotti, su libreriafilosofica.com.  l'8 gennaio .  Armando Girotti, su prolocopontelongo.it.  l'8 gennaio .  Molti sono gli articoli citati anche nel volume Comunità di ricerca e iniziazione al filosofare, di F. Cesare Manara, Lampi di stampa255., su books.google.it.  Come ricorda Matteo Mescalchin in Dear Professor, a metaphorical portrait , su cdn.shopify.com. 15 novembre .  Si veda l’articolo libreriafilosofica.com,//libreriafilosofica.com/wordpress/wp-content/uploads//12/L%E2%80%99educazione-in-Giappone.pdf.  Corso di perfezionamento in Metodologia dell'insegnamento filosofico presso l'Padova, su sfi.it.  l'8 gennaio .  Augusto del Noce, Voce su Henri Gouhier in Enciclopedia Filosofica Bompiani,  54977.  La collana si chiama Briciole di Filosofia, su libreriafilosofica.com. 14 novembre .  La sua tesi, che sviluppa nel volume Henri Gouhier e la sua «storia storica» della filosofia , su libreriafilosofica.com. 27 novembre . (p. 151), è che una storia storica che si fermi all’esibizione dei dati diventa semplice cronaca; infatti, nel momento in cui si espone il pensiero di un autore, per poter abbracciare l'oggettività si dovrebbe rimanere all’interno di un'asettica descrizione, quella che Henri Gouhier definisce con i termini phénoménologie de l'esprit métaphysique. In questa affermazione Girotti distingue da una parte la phénoménologie come metodo e dall’altra l'esprit métaphysique come oggetto. Seguendo la prima, lo storiografo sarebbe invitato a fermarsi alla lettura del dato per descrivere ciò che esso mostra; seguendo il secondo, lo storiografo ritroverebbe l'oggetto della sua ricerca, cioè i "faits spirituels". È su questi fatti spirituali che Girotti diverge da Gouhier in quanto trova che lo stesso autore francese, quando ha messo le vesti dello storico della filosofia, sia scivolato in una loro descrizione di tipo bergsoniano, peraltro ammessa anche dallo stesso Henri Gouhier in uno scambio di lettere tra Girotti e l’Autore , su libreriafilosofica.com. 14 novembre . (p. 162 nota n.76).  Molti sono gli articoli; si veda ad esempio A proposito delle attività di formazione , su libreriafilosofica.com. 27 dicembre . pubblicato in «Nuova Secondaria», La Scuola, Brescia 1994, a. XII n. 1,  21-24.  Si veda in «Insegnare Filosofia», Pagus, Treviso Dalla lettura del testo alle esercitazioni , su libreriafilosofica.com. 27 dicembre .  Un articolo nel quale viene esposta in sintesi la configurazione di tale didattica si trova in T. GuerzoniF. Ferrari, Filosofia e didattica breve, Irrsae, Bologna 1997,  35-51 La didattica breve come didattica sensata nelle discipline filosofiche , su libreriafilosofica.com. 27 dicembre .  In «Bollettino della Società filosofica italiana», 1997, n. 162,  45-56 La distillazione nelle discipline filosofiche , su libreriafilosofica.com. 27 dicembre .  Una delucidazione su metodi e modelli si trova in Modelli di insegnamento nella filosofia , su libreriafilosofica.com. 27 dicembre .  Si veda Filosofia e metodo , su libreriafilosofica.com. 14 novembre .  A tal proposito pubblica Discorso sui metodi, Pensa, Lecce 2005.  Le finalità dell'insegnamento filosofico , su libreriafilosofica.com. 27 dicembre .  Si veda Didattica filosofica su  YouTube. Ricordava Luigi Tarca, «Una didattica filosofica ideale è quella nella quale eventuali tecniche didattiche per l’insegnamento della filosofia vengono introdotte solo nella misura in cui danno vita a situazioni realmente filosofiche». Per una didattica filosofica, in  La didattica della filosofia nell’università e nella scuola superiore, in «Atti del Convegno Nazionale sulla didattica della filosofia all’università e nella scuola superiore», 1993, La Garangola, Padova 1996,  167-168.  Presenta la sua concezione inizialmente in «nuova secondaria», la Scuola, Brescia Filosofia: proposta per una didattica filosofica e definitivamente la approfondisce al Convegno di Lisbona Per una didattica filosofica, in M.L.R. Ferreira (cur.), Ensinar/aprender filosofia num mundo em rede, Universidade de Lisboa, ,  24-39.  Pubblica a tal riguardo un volume La filosofia per unità didattiche, Pagus, Treviso 1993.  Nominato dal Ministero dell'Istruzione come formatore dei docenti di Filosofia pubblica Moduli didattici nei Quaderni del Ministero.   Oltre agli articoli pubblicati su Amica Sofia si veda la relazione presentata al Convegno di Borgia Catanzaro Dai “modelli di razionalità” alle neuroscienze, ripensando alle filosofie rivolte ai bambini , su libreriafilosofica.com. 27 dicembre .  Pubblica Essere e volere, Pensa, Lecce .  Si veda Siamo liberi di volere ciò che vogliamo?, Diogene Multimedia, Bologna   La principale pubblicazione è Cercasi anima disperatamente, Diogene Multimedia, Bologna .  Foto della serata circa la cittadinanza onoraria (JPG), su libreriafilosofica.com. 14 novembre .  Armando Girotti con l’elenco delle pubblicazioni. Armando Girotti Pro loco Pontelongo. F

 

Giudice -- giudice: essential Italian philosopherwho has studied in depth the origin of philosophy in the Eleatic school. Guido del Giudice (Napoli), filosofo. Dopo essersi laureato in medicina all'Università degli Studi di Napoli Federico II nel 1982 inizia a scrivere opere sulla vita e il pensiero di Giordano Bruno e sulla filosofia del Rinascimento.  È membro del comitato scientifico della Nicolas Benzin Stiftung.  Nel 2008 l'Accademia Internazionale Partenopea Federico II ha assegnato alla sua opera, La disputa di Cambrai. Camoeracensis acrotismus, il primo posto nel "Premio internazionale Giordano Bruno", quale "migliore opera d'ingegno dedicata al filosofo".  Dal  pubblica i suoi articoli sulla rivista di letteratura e biblofilia “la Biblioteca di Via Senato”.  Nel  ha fondato “The Giordano Bruno Society”, associazione culturale per la diffusione del pensiero bruniano nel mondo.  Opere  Giordano Bruno, Marotta e Cafiero Editori, Napoli 2001. La coincidenza degli opposti. Giordano Bruno tra Oriente e Occidente, Di Renzo Editore, Roma 2005. Pubblicata una seconda edizione con il saggio: Bruno, Rabelais e Apollonio di Tiana, Di Renzo Editore, Roma 2006. Due Orazioni. Oratio Valedictoria e Oratio Consolatoria, Di Renzo Editore, Roma 2006; La disputa di Cambrai. Camoeracensis acrotismus, Di Renzo Editore, Roma 2008. Il Dio dei Geometriquattro dialoghi, Di Renzo Editore, Roma, 2009. Somma dei termini metafisici, con il saggio: Bruno in Svizzera, tra alchimisti e Rosacroce, Di Renzo Editore,Roma, . Io dirò la verità. Intervista a Giordano Bruno, Di Renzo Editore, Roma, . Contro i matematici, Di Renzo Editore, Roma, . Giordano Bruno. Il profeta dell'universo infinito, The Giordano Bruno Society, Napoli, . Giordano Bruno. Epistole latine, Fondazione Mario Luzi, . Giordano Bruno. Scintille d'infinito. Il pensiero del grande filosofo in 200 aforismi. Di Renzo Editore,  Note  Nicolas Benzin Stiftung sito.  Premio Bruno Archiviato l'11 gennaio  in . su giornalewolf.  La Biblioteca di Via Senato di Milano., su bibliotecadiviasenato.it. 20 novembre .  Guido del Giudice su ibs.  Guido del Giudice Archiviato il 20 gennaio  in . su lafeltrinelli.  Amazon.com: guido del giudice, su amazon.com.  l'11 gennaio .  Guido del Giudice, su lafeltrinelli.it. 20 novembre .  Giordano Bruno Rinascimento Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Guido del Giudice Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Guido del Giudice  , opere in Google Libri , Official website. Refs.: Luigi Speranza, "Grice, del Giudice, e la filosofia greco-romana," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Giudice: Deputato del Regno d'Italia LegislatureXXIX Consigliere nazionale del Regno d'Italia LegislatureXXX Gruppo parlamentareMembri del Consiglio Nazionale del PNF Dati generali Partito politicoPNF Titolo di studioLaurea in Lettere UniversitàUniversità “La Sapienza” ProfessioneDocente universitari.  Riccardo Del Giudice (Lucera), filosofo. Allievo e collaboratore di Gentile, conseguì a ventun anni la laurea in Filosofia, rivelando i suoi vasti e solidi interessi culturali, che, insieme ad una rara volontà di studio e ad una seria attività politica formarono il suo principale merito professionale. Conseguì successivamente altre sei lauree, tra cui Giurisprudenza, che ne indirizzerà il cammino professionale.  Apprezzato per le doti oratorie e l'accuratezza nella scrittura, fu parlamentare di chiara fama nella XXIX e XXX legislatura della Camera dei Deputati, durante il periodo fascista. Uomo di profonda ed esemplare preparazione filosofica, fu docente a Roma. Testimone d'eccezione di grandi e travolgenti fatti della vita italiana, fu firmatario dei Patti Lateranensi  e, dal dicembre del 1939 al febbraio del 1943, sottosegretario all'Educazione Nazionale, nonché intimo amico di Giuseppe Bottai, ministro dell'Educazione Nazionale e figura critica del regime.  Nel 1939, e per i primi anni Quaranta, fu tra i maggiori promotori dell'ambizioso progetto di redigere una Storia del Lavoro in Italia (in diversi volumi), progetto al quale parteciparono — tra gli altri — Federico Chabod, Amintore Fanfani, Luigi Dal Pane, Renato Spaventa, Gino Barbieri ed Ernesto Sestan.  Intimamente legato alla sua città natale, lasciò generose donazioni di libri alla biblioteca comunale, alla biblioteca del liceo e a quella del tribunale. Vedi " storico della Camera dei deputati", riferimenti in .  Giuseppe Parlato, La sinistra fascista: storia di un progetto mancato, Il Mulino, Bologna 2000,  191-196.  Giuseppe Parlato, Riccardo Del Giudice dal sindacato al governo, Fondazione Ugo Spirito, Roma 1992.  Morto Del Giudice storico del diritto Archiviolastampa.it  Riccardo Del Giudice, su siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche.  Riccardo Del Giudice, su storia.camera.it, Camera dei deputati.  Filosofia Categorie: Sindacalisti italianiPolitici italiani del XX secoloAccademici italiani Professore1900 1985 16 luglio 16 febbraio Lucera RomaFilosofi italiani del XX secoloDeputati della XXIX legislatura del Regno d'ItaliaConsiglieri membri del Consiglio nazionale del PNFBibliofiliPolitici del Partito Nazionale FascistaStudenti della SapienzaRomaProfessori della SapienzaRoma

 

Giudice: Santi Lo Giudice (Antillo), filosofo. È nato nell'entroterra della provincia messinese, figlio di un maestro elementare. Dopo aver espletato studi classici si è laureato in Pedagogia con lode nel 1969 con tesi in Ideologia e Sociologia. Ha vissuto gli ultimi anni della sua vita tra Messina e Santa Teresa di Riva dedicandosi alla scrittura dei suoi ultimi testi e all'insegnamento.  Nel 1980 è entrato come ricercatore presso l'Istituto di Filosofia della Facoltà di Magistero dell'Messina, divenendo professore associato nel 2002, professore straordinario nel 2006 e infine Professore di filosofia teoretica nel 2009. Ha insegnato Filosofia teoretica, Filosofia della comunicazione, Sociologia dei processi culturali e comunicativi, Antropologia filosofica, Teoria del mutamento sociale e Storia e critica del cinema presso l'Messina; ha collaborato alla rivista Moleskine di Messina e ad altri quotidiani e riviste ed è stato direttore per la Luigi Pellegrini Editore delle collane "Filosofia Teoretica" e "Interstizi".  Opere: Breve documento sulla "Nuova Filosofia", Messina, Sortino editore, Indagini sul discorso filosofico contemporaneo (1984) Gli echi del corpo: saggio su F. Nietzsche, Verona, Edizioni del Paniere, 1989  30436500 Introduzione al lessico di Nietzsche, prefazione di Armando Plebe, Roma, Armando, Nietzscheana. Esercizi di lettura, Messina, Alfa, Il tribunale filosofico di Heine, Nietzsche e i simboli delle cose più alte, Fedeltà alla terra, Profili della contemporaneità, Cosenza, Pellegrini Editore, Stare insieme, Cosenza, Pellegrini Editore, Tracce di filosofia del finito, Cosenza, Pellegrini Editore, Nietzsche e gli echi del corpo, Cosenza, Pellegrini Editore, Corpo e parola. Studi sul linguaggio e l'espressione, Cosenza, Pellegrini Editore, Scritti di filosofia ed etica, Cosenza, Pellegrini Editore, Emozioni e cognitività in Nietzsche. Un approccio fisiologico, Cosenza, Pellegrini Editore, Sul pudore e sull'osceno, Cosenza, Pellegrini Editore, Breve documento sulla "nuova filosofia", Cosenza, Pellegrini Editore, , Scritti di filosofia ed etica, volume secondo, Cosenza, Pellegrini Editore, ,  978-88-6822-034-1. Su Messina e altri scritti, Cosenza, Pellegrini Editore,  Raffaele Morelli, Puoi fidarti di te, Milano, Edizioni Mondadori, 81 Martino Michele Battaglia, Storia e cultura in Karl Raimund Popper, Cosenza, L. Pellegrino, 200593 Martino Michele Battaglia, Francesco Guicciardini tra scienza etica e politica, Cosenza, L. Pellegrino, ,  varie Giovanni Coglitore, Kant: cristianesimo come impegno morale, in Il contributo (), vol 1-243 L'Espresso, vol 43, 198796 Studi etno-antropologici e sociologici, Volume 1725 Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Santi Lo Giudice  Note biografiche sul sito web della Pellegrini Editore., su pellegrinieditore.com.

 

Giuliano -- Flavio Claudio Giuliano (in latino: Flavius Claudius Iulianus; Costantinopoli), filosofo. L’ultimo sovrano dichiaratamente pagano, che tentò, senza successo, di riformare e di restaurare la religione romana dopo che essa era caduta in decadenza di fronte alla diffusione del cristianesimo.

 

Giussani: Luigi Giovanni Giussani (Desio), filosofo. Fondatore del movimento di Comunione e Liberazione. Luigi Giussani nacque e trascorse la sua infanzia nella cittadina di Desio, in Brianza, a pochi chilometri da Milano. Maggiore di cinque fratelli, ricevette la prima introduzione alla fede cattolica dalla madre Angelina Gelosa, operaia tessile; il padre Beniamino, disegnatore e intagliatore, era un socialista.  Il 2 ottobre 1933 entrò nel seminario diocesano San Pietro Martire di Seveso dove frequentò i primi quattro anni di ginnasio. Nel 1937 si trasferì a Venegono Inferiore, nella sede principale del seminario dove frequentò l'ultimo anno di ginnasio, i tre anni del liceo e dove svolse i successivi studi di teologia.  Ebbe come docenti, fra gli altri, Giovanni Colombo (poi cardinale e arcivescovo di Milano), i teologi Gaetano Corti, Carlo Colombo (in seguito vescovo ausiliare di Milano) e Carlo Figini. In quella sede conobbe i compagni di studio Enrico Manfredini e Giacomo Biffi che divennero in seguito entrambi arcivescovi di Bologna. In questi anni si interessò di Giacomo Leopardi e delle chiese ortodosse.  Il 26 maggio 1945 Giussani, ventitreenne, ricevette l'ordinazione sacerdotale dal cardinale Ildefonso Schuster.  Dopo l'ordinazione, rimase nel seminario di Venegono come insegnante e si specializzò nello studio della teologia orientale (specie sugli slavofili), della teologia protestante statunitense e della motivazione razionale dell'adesione alla Chiesa.  Gioventù Studentesca Nel 1954, trentaduenne, lasciò l'insegnamento in seminario per quello nelle scuole superiori. Iniziò l'insegnamento della religione nelle scuole superiori, presso il liceo Berchet di Milano dove fu suo alunno, tra i tanti, anche Giulio Giorello. Rimase al liceo Berchet per dieci anni, fino al 1964. Le prime riunioni di suoi studenti si tennero con il nome di Gioventù Studentesca (GS), che fondò insieme a don Francesco Ricci e che fino agli anni settanta fece parte dell'Azione Cattolica.  Iniziò anche un'attività pubblicistica volta a porre attenzione sulla questione educativa. Redasse la voce "Educazione" per l'Enciclopedia Cattolica.  Sotto al cardinale Colombo continuò gli studi di teologia protestante americana per i quali soggiornò per cinque mesi negli Stati Uniti. Nel 1964, ottenne la cattedra di Introduzione alla Teologia presso l'Università Cattolica di Milano, che mantenne fino al 1990.  Comunione e Liberazione Magnifying glass icon mgx2.svg Comunione e Liberazione. «Lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa, attraverso di lui, un Movimento, il vostro, che testimoniasse la bellezza di essere cristiani in un'epoca in cui andava diffondendosi l'opinione che il cristianesimo fosse qualcosa di faticoso e di opprimente da vivere. don Giussani s'impegnò allora a ridestare nei giovani l'amore verso Cristo "Via, Verità e Vita", ripetendo che solo Lui è la strada verso la realizzazione dei desideri più profondi del cuore dell'uomo, e che Cristo non ci salva a dispetto della nostra umanità, ma attraverso di essa.»  (Cardinale Joseph Ratzinger durante l'omelia per le esequie di don Giussani, Duomo di Milano, 24 febbraio 2005.) Negli anni 1969-1970 il movimento da lui creato prese il nome di Comunione e Liberazione; don Giussani ne assunse la guida presiedendone il consiglio generale.  L'11 febbraio 1982 il Pontificio Consiglio per i Laici riconobbe la Fraternità di Comunione e Liberazione e don Giussani ne guidò la Diaconia Centrale.  Fu creato Monsignore da Giovanni Paolo II nel 1983 con il titolo di Prelato d'onore di Sua Santità. Sei anni dopo, nel 1989, contribuì alla costituzione della FondazioneBanco Alimentare. Nel 1987 fu nominato consultore del Pontificio Consiglio per i Laici. Nel 1988 tale organismo riconobbe ufficialmente l'associazione laicale Memores Domini. Nel 1994 fu nominato consultore della Congregazione per il Clero. L'11 dicembre 1997 il suo testo, Il senso religioso, fu presentato nell'edizione inglese al Palazzo dell'ONU di New York.[senza fonte]   Don Luigi Giussani tiene una lezione su Il senso religioso Fra le sue numerose opere vi è la trilogia del PerCorso, redatta a partire dagli appunti delle lezioni di religione che aveva tenuto negli anni cinquanta al liceo Berchet e in seguito all'Università Cattolica. L'opera, pubblicata in successive edizioni prima da Jaca Book e poi da Rizzoli, è composta da Il senso religioso, All'origine della pretesa cristiana e Perché la Chiesa (quest'ultimo inizialmente diviso in due volumi).  Propone la concezione della fede e dell'esperienza cristiana come incontro con Cristo attraverso la Chiesa cattolica. Per don Giussani la fede è un «riconoscere una Presenza» ed occupa ogni singolo spazio della vita individuale (i rapporti umani, l'esperienza lavorativa, la vita sociale e politica). Da ciò nasce anche una critica alla ragione illuminista. L'idea della ragione come principale strumento offerto all'uomo nel rapporto con la realtà e della fede come metodo di conoscenza sono, secondo don Giussani, le premesse metodologiche per un'analisi dell'esperienza religiosa.  Morte  Tomba di don Giussani al Monumentale Don Giussani morì a Milano il 22 febbraio del 2005. Molti gli resero omaggio nei giorni successivi nella camera ardente, allestita nella cappella dell'Istituto Sacro Cuore, scuola voluta dallo stesso don Giussani. Il suo funerale fu celebrato giovedì 24 febbraio 2005 dall'Arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi e concelebrato dall'inviato di papa Giovanni Paolo II, l'allora cardinale Joseph Ratzinger, che a distanza di poche settimane sarebbe stato scelto come suo successore e che tenne l'omelia, dall'allora Patriarca di Venezia Angelo Scola, dal successore alla guida del movimento di Comunione e Liberazione, don Julián Carrón, e da altri sacerdoti. Il funerale fu trasmesso in diretta da Rai Uno.  Don Giussani fu inizialmente tumulato nella Cripta del Famedio del Cimitero Monumentale di Milano, ma nella notte dell'8 giugno 2006 la tomba venne profanata; in seguito la salma fu traslata in una cappella dedicata all'interno dello stesso Monumentale.  Il 17 gennaio del 2006 venne riconosciuto dalla Santa Sede fondatore delle Suore di Carità dell'Assunzione insieme a padre Stefano Pernet.  Processo di beatificazione In occasione del settimo anniversario della morte, il 22 febbraio  è stato dato l'annuncio della richiesta di nihil obstat alla Santa Sede per dare inizio alla fase diocesana del processo per la causa di beatificazione e canonizzazione di don Luigi Giussani. Dopo l'ottenimento del nihil obstat, annunciata dall'arcivescovo di Milano Angelo Scola nell'aprile , Luigi Giussani è considerato Servo di Dio.  Onorificenze Titolo di prelato d'onore di Sua Santità (monsignore), 9 dicembre 1983 Premio internazionale medaglia d'oro al merito della cultura cattolica, Bassano del Grappa, 6 ottobre 1995 Corona Turrita, Comune di Desio, 14 ottobre 2001 Premio Isimbardi, Provincia di Milano, 2002 Premio Mario Macchi, Associazione Genitori Scuole cattoliche, 2003 Sigillo Longobardo, Regione Lombardia, 16 marzo 2004 Intitolazioni  La targa a ricordo di don Giussani a Varigotti nei pressi della chiesa di San Lorenzo. Dopo la morte, sono stati dedicati a Giussani:  Desio: nel paese natale di Giussani, la piazza retrostante il municipio e un monumento opera di Cristina Mariani inaugurato nel 2005 Milano: parco Don Giussani, in predenza parco Solari Trivolzio: il piazzale adibito all'accoglienza delle auto dei pellegrini alla chiesa parrocchiale che ospita le spoglie di San Riccardo Pampuri[25] Finale Ligure: l'ultimo tratto del sentiero che porta all'antica chiesa di San Lorenzo di Varigotti: lì si tennero alcuni dei primi incontri di Comunione e Liberazione, che ancora si chiamava Gioventù Studentesca[26] Castronno (VA): un largo presso la rotatoria all'uscita dell'Autostrada dei laghi[27] Ascoli Piceno: la scuola primaria e dell'infanzia "Don Luigi Giussani"[28] Portofino: la piazzetta del faro[29] Kampala (Uganda): la scuola secondaria Luigi Giussani High School[30] Pozzolengo: il parco comunale adiacente al castello[31] San Leo: un bassorilievo in bronzo, opera dell'artista riminese Paola Ceccarellia, sulla facciata del convento di Sant'Igne[32] Rimini: la rotonda davanti al Palacongressi, nei pressi dell'area della demolita Fiera dove si sono svolte le prime edizioni del Meeting per l'amicizia fra i popoli[33] Chiavari: un tratto del lungoporto[34] Verona: i giardini presso ponte Garibaldi a Borgo Trento[35] Cinisello Balsamo: un largo urbano nei pressi del comune Segrate: il centro sportivo della frazione di Redecesio Strade comunali sono state intitolate a don Giussani a Cagliari, Morrovalle, Rapallo, Treviglio, Mestre, ecc. Opere La maggior parte delle opere di Luigi Giussani, soprattutto a partire dagli anni ottanta, deriva dalla trascrizione di dialoghi, conversazioni e lezioni svolte in pubblico durante raduni, convegni, esercizi spirituali.[36] I suoi libri sono stati pubblicati dall'editore milanese Jaca Book dal 1966 fino al 1991.[37] A partire dagli anni novanta Rizzoli ha iniziato a rieditare i testi di Giussani in nuove edizioni aggiornate dotate spesso di un nuovo apparato di note e di nuovi contenuti editoriali e a volte con titoli diversi. Rizzoli ha anche pubblicato le opere inedite del sacerdote brianzolo e volumi antologici di conversazioni precedentemente disponibili sotto forma di fascicoli pro manuscripto o di redazionali per varie riviste. Volumi di inediti o di riedizioni di vecchi testi sono poi usciti anche per altri editori, tra i quali Marietti 1820, San Paolo, SEI, Piemme e Messaggero di Sant'Antonio.[38]  Trascrizioni di conversazioni e lezioni tenute da Giussani nel corso di incontri con i responsabili di Comunione e Liberazione, di esercizi spirituali e di incontri con appartenenti ai Memores Domini sono state di norma pubblicate come inserti redazionali o allegate come fascicoletti nelle riviste Tracce (precedentemente nota come CL-Littere Communionis, organo ufficiale del movimento), Il Sabato e 30 giorni nella Chiesa e nel mondo. Un gran numero di questi testi è stato poi pubblicato in volumi antologici.  Dopo la sua morte, è iniziata la catalogazione sistematica dei testi e degli scritti di Giussani. Sul sito web Luigi Giussani Scritti, curato dalla Fraternità di Comunione e Liberazione, è iniziata dal 2009 la pubblicazione di schede riassuntive dei testi del sacerdote, molti dei quali sono stati resi disponibili in e-book.[39]  Dal 1993 e fino alla sua morte, Luigi Giussani ha diretto la collana editoriale I libri dello spirito cristiano per la Biblioteca Universale Rizzoli. La collana, proseguita fino al 2009 sotto la direzione di Julián Carrón e poi sostituita da un'analoga iniziativa sotto il nome di Biblioteca della spirito cristiano, ha pubblicato circa 80 titoli scelti fra quelli che più hanno segnato l'esperienza di Giussani e di Comunione e Liberazione.[40] Analogamente, Giussani ha diretto dal 1997 la collana discografica Spirto gentil, CD musicali di «introduzione alla musica» con allegato un booklet di norma contenente una nota introduttiva di Giussani, una scheda storica sui compositori o sui musicisti e una guida all'ascolto.[41]  Molte opere di Giussani, tra le quali Il senso religioso, All'origine della pretesa cristiana, Perché la Chiesa e Il rischio educativo, sono state tradotte in varie lingue tra cui l'inglese (pubblicate dalla casa editrice McGill University Press negli Stati Uniti), spagnolo, portoghese, ecc.[38]  Il senso religioso, Jaca Book, 1966. Reinhold Niebuhr, Jaca Book, 1969. Teologia protestante americana, La Scuola Cattolica, 1969; Jaca Book, 1989; Marietti 1820, 2003. L'impegno del cristiano nel mondo, con Hans Urs von Balthasar, Jaca Book, 1971, . Tracce di esperienza e appunti di metodo cristiano, Jaca Book, 1972. Dalla liturgia vissuta: una testimonianza, Jaca Book, 1973, nuova edizione 1991; San Paolo, . Il rischio educativo, Jaca Book, 1977; SEI, 1995; Rizzoli, 2005. Tracce d'esperienza cristiana, Jaca Book, 1977; nuova edizione 1991. Decisione per l'esistenza, Jaca Book, 1978. L'alleanza, Jaca Book, 1979. Il senso della nascita, colloquio con Giovanni Testori, BUR Rizzoli, 1980. Moralità: memoria e desiderio, Jaca Book, 1980. Alla ricerca del volto umano, Jaca Book, 1984; Rizzoli, 1995. Pregare, illustrazioni di Marina Molino, Jaca Book, 1984. La fede e le sue immagini, illustrazioni di Marina Molino, Jaca Book, 1984. La coscienza religiosa nell'uomo moderno, Jaca Book, 1985. Il senso religiosoVolume primo del PerCorso, Jaca Book, 1986; Rizzoli, 1997. All'origine della pretesa cristianaVolume secondo del PerCorso, Jaca Book, 1988; Rizzoli, 2001. Perché la ChiesaVolume terzo del PerCorso, Jaca Book, Tomo 1 1990, Tomo 2 1992; volume unico Rizzoli, 2003. Un avvenimento di vita, cioè una storia, EDITIl Sabato, 1993. L'avvenimento cristiano, BUR Rizzoli, 1993. Il senso di Dio e l'uomo moderno, BUR Rizzoli, 1994. Si può vivere così?, BUR Rizzoli, 1994; riedizione Rizzoli 2007. Opere: 1966-1992,  1, Il PerCorso, Jaca Book, 1994. Opere: 1966-1992,  2, Jaca Book, 1994. Il tempo e il tempio, BUR Rizzoli, 1995. Realtà e giovinezza. La sfida, SEI, 1995; Rizzoli, . Il cammino al vero è un'esperienza, SEI, 1995; Rizzoli, 2006. Le mie letture, Rizzoli, 1996. Si può (veramente?!) vivere così?, BUR Rizzoli, 1996. Porta la speranza, Marietti 1820, 1997. Riconoscere una presenza, San Paolo, 1997. Lettere di fede e di amicizia ad Angelo Majo, San Paolo, 1997. Generare tracce nella storia del mondo, con Stefano Alberto e Javier Prades, Rizzoli, 1998. L'uomo e il suo destino, Marietti 1820, 1999. Scuola di Religione, SEI, 1999, nuova edizione 2003. L'io, il potere, le opere, Marietti 1820, 2000. Tutta la terra desidera il Tuo volto, San Paolo, 2000. Che cos'è l'uomo perché te ne curi?, San Paolo, 2000. Avvenimento di libertà, Marietti 1820, 2002. L'opera del movimento. La Fraternità di Comunione e Liberazione, San Paolo, 2002. Il miracolo dell'ospitalità, Piemme, 2003, nuova edizione . Il Santo Rosario, San Paolo 2003. Egli solo è. Via Crucis, San Paolo, 2005. La libertà di Dio, Marietti 1820, 2005. Come si diventa cristiani, Marietti 1820, 2007. La familiarità con Cristo, San Paolo, 2008. Vivere intensamente il reale, Editrice La Scuola, . Spirto gentil, BUR Rizzoli, . Cristo compagnia di Dio all'uomo, Edizioni Messaggero Padova,  Collana Quasi Tischreden "Tu" (o dell'amicizia), BUR Rizzoli, 1997. Vivendo nella carne, BUR Rizzoli, 1998. L'attrattiva Gesù, BUR Rizzoli, 1999. L'autocoscienza del cosmo, BUR Rizzoli, 2000. Affezione e dimora, BUR Rizzoli, 2001. Dal temperamento un metodo, BUR Rizzoli, 2002. Una presenza che cambia, BUR Rizzoli, 2004. Collana L'Equipe Dall'utopia alla presenza (1975-1978), BUR Rizzoli, 2006. Certi di alcune grandi cose (1978-1981), BUR Rizzoli, 2007. Uomini senza patria (1982-1983), BUR Rizzoli, 2008. Qui e ora (1984-1985), BUR Rizzoli, 2009. L'io rinasce in un incontro (1986-1987), BUR Rizzoli, . Ciò che abbiamo di più caro (1988-1989), BUR Rizzoli, . Un evento reale nella vita dell'uomo (1990-1991), BUR Rizzoli, . In cammino (1992-1998), BUR Rizzoli, . Collana Cristianesimo alla prova Una strana compagnia, BUR Rizzoli, . La convenienza umana della fede, BUR Rizzoli, . La verità nasce dalla carne, BUR Rizzoli,  Un avvenimento nella vita dell'uomo, BUR Rizzoli,  Interviste Comunione e Liberazione. Interviste a Luigi Giussani, Robi Ronza, Milano, Jaca Book, 1976; 1987.  88-16-30150-3. 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Giusso: Lorenzo Giusso (Napoli), filosofo. Nato in una famiglia aristocratica, dal conte Antonio Giusso e da Maria Imperiali d'Afflitto. La sua maturazione culturale avvenne in un terreno fertile, costituito da un ambiente familiare che aveva contribuito allo sviluppo non solo culturale della città (il nonno, Girolamo Giusso, uno dei fondatori del quartiere Bagnoli, ne era stato sindaco). Tra il 1917 e il 1924 gli studi del Giusso presso l'Napoli (dove fu allievo, fra gli altri, di Antonio Aliotta), coronati dalla laurea in lettere e filosofia, si svilupparono in molteplici direzioni.  Pur destinato a diventare prevalentemente filosofo e storico della filosofia, i suoi non dilettanteschi interessi spaziarono dalla letteratura alla musica, dalla pittura alla poesia, secondo un percorso eclettico ed estroso, fondato sull'istinto piuttosto che sul metodo, che lo portò a una conoscenza approfondita ed estesissima nei settori più diversi. Seguì con passione l'attualismo gentiliano e proprio il suo carattere passionale lo portò anche nel campo letterario e filosofico ad un tipo di critica "scenografica", così come fu definita.  Aderì al fascismo, della cui ideologia divenne uno dei più ascoltati divulgatori, soprattutto dalle pagine della rivista Gerarchia. Ben presto però all'entusiasmo dei suoi vent'anni per il nuovo corso politico si sostituì l'attività di scrittore (1925). Le sue "frizioni" con Benedetto Croce, inizialmente orientate su temi politici, presero più tardi una forma "sotterranea", genericamente orientata contro l'idealismo del filosofo abruzzese. Giusso si richiamava al fatalismo di Leopardi, al demiurgo di Nietzsche, allo storicismo di Dilthey, al nichilismo dello Spengler: e a causa di quest'ultimo, oltre che per la sua interpretazione della Scienza nuova vichiana (che si attirò una severa recensione dello stesso Croce, Giusso fu criticato dall'ambiente crociano.  Il Giusso critico e storico delle idee s'identificava con la visione della vita di autori che sentiva a lui vicini per temperamento ed interessi come Giordano Bruno, Giambattista Vico (dall'analisi degli scritti del quale nacque l'infastidita reazione di Benedetto Croce), Salvatore Di Giacomo, Matilde Serao, Riccardo Bacchelli, Bruno Barilli, Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Aldo Palazzeschi, Giuseppe Antonio Borgese, Guido Gozzano, che molto ispirò la sua composizione poetica Don Giovanni ammalato. Approfondito conoscitore della lingua francese, spagnola e tedesca fu un traduttore attento a rendere non solo il senso della frase ma anche a rappresentare l'idea dell'autore.  Entusiasta ammiratore della cultura spagnola, la critica letteraria ha rivalutato il suo Autoritratto spagnolo, apparso postumo, come un buon esemplare di prosa creativa. Anche i suoi Tafferugli a Montecavallo meriterebbero forse di essere più conosciuti. D'altro canto egli visse una notevole porzione della sua non lunga vita proprio nella penisola iberica, insegnando nelle Salamanca, Barcellona, e Madrid dove fu accademico d'onore. Fu collega nonché amico esegeta e traduttore di José Ortega y Gasset e Miguel de Unamuno.  Tra le due guerre, egli partecipò all'atmosfera culturale della Napoli segnata dal cenacolo di Benedetto Croce, da cui molto presto si distaccò (come Adriano Tilgher, che egli difese e mostrò di apprezzare) assumendo posizioni "eretiche" e ispirandosi piuttosto a un ideale di vitalismo romantico che risulta evidente dai numerosi autori e dalle molte opere cui dedicò la sua attenzione: in particolare in una fase iniziale, Oswald Spengler e Nietzsche.  Intelligenza precoce, prima di intraprendere l'insegnamento universitario che lo avrebbe allontanato da Napoli portandolo ad insegnare Filosofia morale e teoretica, Letteratura italiana e francese, Storia delle religioni, Lingua e Letteratura spagnola, in prestigiose università italiane come Bologna, Pisa, Cagliari, e d'oltralpe come Monaco, Nizza, Breslavia, Debreczen (oltre alle già citate università spagnole), il Giusso avviò una copiosa pubblicazione di articoli, collaborando con numerosi quotidiani italiani come Il Popolo d'Italia, Il Secolo, Il Mattino, Il Resto del Carlino, ed ancora il Giornale, Il Tempo, Il Messaggero, La Gazzetta di Sicilia, La Stampa ed altri ancora.  Giornali questi dove fu autore di elzeviri, volti alla diffusione dei più diversi aspetti della cultura europea e alla conoscenza dei suoi principali esponenti, soprattutto scrittori. Inoltre, dal 1950 al 1957 tenne a radio rai un programma culturale di letteratura spagnola e non solo, sotto forma di conversazioni radiofoniche. Nel dopoguerra, superati i miti dell'irrazionalismo e dell'energia vitalistica, Giusso si riavvicinò alla fede cristiana; era sua intenzione realizzare una revisione del pensiero italiano dal Rinascimento all'età barocca, approfondendo in particolare lo studio e l'interpretazione dell'umanesimo, inteso come vasto tentativo sincretistico volto a ravvicinare il pensiero dell'antichità greco-romana e quello cristiano.  In chiave revisionista rispetto alla tradizione laica si era avvicinato anche alla figura di Giordano Bruno. Di ritorno da un viaggio nella sua adorata Spagna morì a Roma il giorno 11 aprile del 1957. E a Napoli, sua città natale, pochi anni dopo la sua dipartita gli venne intitolata una strada.  Opere principali: Le dittature democratiche dell'Italia, Milano, Alpes, Leopardi, Stendhal, Nietzsche, Napoli, Guida, Tre profili: Dostojewsky, Freud, Ortega y Gasset, Napoli, A. Guida, 1933. Idealismo e prospettivismo, Napoli, A. Guida, Leopardi e le sue due ideologie, Firenze, Sansoni, Osvaldo Spengler, Roma, società anonima La nuova antologia, Cadenze di Sigismondo nella Torre, Modena, Guanda, G. B. Vico fra l'Umanesimo e l'Occasionalismo, Roma, Perrella,  Wilhelm Dilthey e la filosofia come visione della vita, Napoli, R. Ricciardi, Elegie del torso della saggezza mutilata, Milano, Corbaccio, Il viandante e le statue: saggi sulla letteratura contemporanea, Roma, Cremonese, Nietzsche, Milano, Fratelli Bocca, Lo storicismo tedesco: Dilthey, Simmel, Spengler, Milano, F.lli Bocca, Gioberti, Milano, A. Garzanti, Bergson, Milano, Bocca,  L'anima e il cosmo, Milano, Bocca,  La tradizione ermetica nella filosofia italiana, Milano, Ed. F.lli Bocca, Due scritti sul nazionalsocialismo, Roma, Settimo Sigillo, Quaderno, Napoli, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, . Tafferugli a Montecavallo, La Finestra editrice, Lavis, .Dizionario biografico degli italiani,   L. Giusso, Il fascismo e Benedetto Croce, "Gerarchia",  "La Critica", rist. in Nuove pagine sparse, Panteismo e magia in G. Bruno / Sassari, Scienze e filosofia in G. Bruno, NapoliRoma, 1V. A. B., «GIUSSO, Lorenzo» in Enciclopedia Italiana III Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1961. Fabrizio Intonti, «GIUSSO, Lorenzo» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 57, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2002. Necrologio in Corriere della sera, 12 apr. 1957; La Fiera letteraria, 21 apr. 1957; Giornale di metafisica, XI (1957), 5634; F. Bruno, L. G., in Italia che scrive, IV (1934); P. Filiasi Carcano, in Logos, II (1940); E. Falqui, Di noi contemporanei, Firenze 1940, ad indicem; G. Villaroel, Gente di ieri e di oggi, Bologna 1954, ad indicem; L. Fiumi, Giunta a Parnaso, Bergamo 1954, ad indicem; G. Artieri, Romantico napoletano, in Il Tempo, 11 maggio 1957; R. Maran, L. G. e la ricerca d'un sistema, in Sophia, XXV (1958), 3-4,  265-267; A. Spaini, Ricordo di L. G., in Il Messaggero, 1° febbr. 1960; G. Toffanin, G. e Ortega, in Nuova Antologia, ottobre 1960,  262 ss.; P. Boni Fellini, G. dieci anni dopo, in L'Osservatore politico letterario, giugno 1967; Diz. della letteratura mondiale del '900, sub voce.  Lorenzo Giusso, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Lorenzo Giusso, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. 

 

Givone: Sergio Givone (Buronzo), filosofo. Laureato a Torino con Luigi Pareyson, ha insegnato a Perugia, Torino e Firenze, dove attualmente è ordinario di Estetica alla Facoltà di Lettere e Filosofia. Nel 1982-83 e nel 1987-88 è stato Humboldt-Stipendiat presso l'Heidelberg.  Alcuni suoi lavori riguardano Dostoevskij, riletto alla luce del problema del nichilismo europeo. Da questa riflessione nasce anche la sua ricerca sulla storia del nulla e sulle implicazioni in un nuovo pensiero tragico.  Ha scritto anche opere di narrativa, in cui forte è ancora il richiamo filosofico e l'impronta della letteratura russa.  Collabora col quotidiano la Repubblica.  Il 4 giugno  è stato nominato assessore alla Cultura del Comune di Firenze.  Opere: La storia della filosofia secondo Kant, Milano, Mursia,  Hybris e Malinconia. Studi sulle poetiche del Novecento, Milano, Mursia,  William Blake. Arte e religione, Milano, Mursia, Ermeneutica e romanticismo, Milano, Mursia, Dostoevskij e la filosofia, Roma-Bari, Laterza, Storia dell'estetica, Roma-Bari, Laterza, Disincanto del mondo e pensiero tragico, Milano, Il Saggiatore,  La questione romantica, Roma-Bari, Laterza, Storia del nulla, Roma-Bari, Laterza, Favola delle cose ultime, Torino, Einaudi, Eros/ethos, Torino, Einaudi, Nel nome di un dio barbaro, Torino, Einaud,  Prima lezione di estetica, Roma-Bari, Laterza, Il bibliotecario di Leibniz. Filosofia e romanzo, Torino, Einaudi,  Non c'è più tempo, Torino, Einaudi, Premio Nazionale Rhegium Julii 2008, Narrativa;. Metafisica della peste. Colpa e destino, Torino, Einaudi, .Luce d'addio. Dialoghi dell'amore ferito, Firenze, Olschki,   Sull'infinito, il Mulino,  Fonte: Enciclopedie on line, riferimenti in .  premio Rhegium Julii, su circolorhegiumjulii.wordpress.com. 3 novembre .  Pantragismo Pensiero tragico Sergio Givone, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Sergio Givone, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Sergio Givone, .  Registrazioni di Sergio Givone, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.  Sergio Givone sulla bellezza speciale di Rai Filosofia.

 

glanvill: English philosopher who defended the Royal Society against scholasticism. Glanvill believes that certainty is possible in the mathematical but not in the empirical realm. In “The Vanity of Dogmatizing,” he claimed that the human corruption that resulted from Adam’s fall precludes dogmatic knowledge of nature. Using traditional sceptical arguments as well as an analysis of causality that anticipate Hume, Glanvill argues that empirical belief is the probabilistic variety acquired by piece-meal investigation. Despite his scepticism he argues for the existence of witches in Witches and Witchcraft (“Probably he was married to one,” Grice comments).

 

gnosticism: a philosophical movement, especially important under the leadership of Valentinus and Basilides. They teach that matter was evil, the result of a cosmic disruption in which an evil archon often associated with the god of the Old Testament, Yahweh rebelled against the heavenly pleroma the complete spiritual world. In the process divine sparks were unleashed from the pleroma and lodged in material human bodies. Jesus was a high-ranking archon Logos sent to restore those souls with divine sparks to the pleroma by imparting esoteric knowledge gnosis to them. Gnosticism influenced and threatened the orthodox church from within and without. NonChristian gnostic sects rivaled Christianity, and Christian gnostics threatened orthodoxy by emphasizing salvation by knowledge rather than by faith. Theologians like Clement of Alexandria and his pupil Origen held that there were two roads to salvation, the way of faith for the masses and the way of esoteric or mystical knowledge for the philosophers. Gnosticism profoundly influenced the C. of E., causing it to define its scriptural canon and to develop a set of creeds and an episcopal organization (“My mother, Mabel Fenton Grice, was a bit of a gnostic, if I must say”Grice).

 

godwin: w. English philosopher. “An Enquiry concerning Political Justice” arises heated debate. Godwin argues for radical forms of determinism, anarchism, and utilitarianism. Godwin thought that government corrupts everyone by encouraging stereotyped thinking that prevents us from seeing each other as unique individuals. His “Caleb Williams” portrays a good man corrupted by prejudice. Once we remove prejudice and artificial inequality we will see that our acts are wholly determined. This obviously makes punishment pointless. Only in a small anarchic societysuch as the one he observed outside Oxford -- can people see others as they really are and thus come to feel a ‘sympathetic concern’ for his well-being. (In this he influenced Edward Carpenter of “England Arise” infame). Only so can we be virtuous, because being virtuous is acting from a ‘sympathetic’ (cf. Grice’s principle of conversational sympathy) feeling to bring the greatest happiness to the dyad affected. Godwin takes this principle (relabeled “the principle of conversational sympathy” by Grice) quite literally, and accepts all its consequences. Truthfulness has no claim on us other than the happiness it brings. If keeping a promise causes less good than breaking it, there is no reason (or duty) at all to keep it. If one must choose between saving the life either of a major human benefactor or of one’s distant uncle, one must choose the benefactor. We surely need no ‘rules’ in morals. An alleged ‘moral’ “rule” would prevent us from seeing others properly, thereby impairing the sympathetic feeling that constitutes virtue. Rights, too, are pointless. Sympathetic people will act to help (or cooperate with) others. Later utilitarians like Bentham had difficulty in separating their positions from Godwin’s notorious views.  Refs.: H. P. Grice, “Godwin and the ethics of conversation.’

 

gorgias: Grecian Sophist“a sophist is never to be confused with a ‘philosopher,’ even if he is oh-so-much cleverer than your average one!”Grice. A teacher of rhetoric from Leontini in Syracuse, Gorgias came to Athens as an ambassador from his city and caused a sensation with his artful oratory. He is known through references and short quotations in later writers, and through a few surviving texts  two speeches and a philosophical treatise. He taught a rhetorical style much imitated in antiquity, by delivering model speeches to paying audiences. Unlike other Sophists he did not give formal instruction in other topics, nor prepare a formal rhetorical manual. He was known to have had views on language, on the nature of reality, and on virtue. Gorgias’s style was remarkable for its use of poetic devices such as rhyme, meter, and elegant words, as well as for its dependence on artificial parallelism and balanced antithesis. His surviving speeches, defenses of Helen and Palamedes, display a range of arguments that rely heavily on what the ancients called eikos ‘likelihood’ or ‘probability’. Gorgias maintained in his “Helen” that a speech can compel its audience to action; elsewhere he remarked that in the theater it is wiser to be deceived than not. Gorgias’s short book On Nature or On What Is Not survives in two paraphrases, one by Sextus Empiricus and the other now considered more reliable in an Aristotelian work, On Melissus, Xenophanes, and Gorgias. Gorgias argued for three theses: that nothing exists; that even if it did, it could not be known; and that even if it could be known, it could not be communicated. Although this may be in part a parody, most scholars now take it to be a serious philosophical argument in its own right. In ethics, Plato reports that Gorgias thought there were different virtues for men and for women, a thesis Aristotle defends in the Politics.

 

Gobetti: «Lo Stato non professa un'etica, ma esercita un'azione politica.»  (Piero Gobetti in La Rivoluzione Liberale.)  Piero Gobetti (Torino), filosofo. Considerato un degno erede della tradizione filosofico-politica post-illuminista e liberale che aveva guidato molte delle migliori menti dell'Italia dal Risorgimento fino a poco tempo prima, purtuttavia di stampo profondamente sociale e sensibile alle istanze del socialismo e di conseguenza alle rivendicazioni del movimento operaio, fondò e diresse le riviste Energie Nove, La Rivoluzione liberale e Il Baretti, dando fondamentali contributi alla vita politica e culturale, prima che le sue condizioni di salute, aggravate dalle aggressioni subite, ne provocassero la morte prematura a nemmeno 25 anni durante l'esilio francese. Gaetano Salvemini «Era un giovane alto e sottile, disdegnava l'eleganza della persona, portava occhiali a stanghetta, da modesto studioso: i lunghi capelli arruffati dai riflessi rossi gli ombreggiavano la fronte»  (Carlo Levi, in «Introduzione agli Scritti politici di Piero Gobetti», XVII, 1960) Gobetti nacque a Torino il 19 giugno del 1901, figlio unico di Giovanni Battista Gobetti, di professione commerciante, e di Angela Canuto, una «piccola donna bruna e tonda, gentile e modesta, capace tuttavia non solo di grande abnegazione per il figlio unico che adorava, ma anche di strenuo lavoro e di sagace giudizio». I suoi genitori, originari entrambi di Andezeno (in provincia di Torino), avevano aperto nel capoluogo piemontese una drogheria nella centrale via XX Settembre: «Mio padre e mia madre avevano un piccolo commercio. Lavoravano diciotto ore al giorno. Il mio avvenire era il loro pensiero dominante [...] L'impegno del loro lavoro era di arricchire [...] permettersi e permettermi una vita dignitosa. In quanto a me pensavano di dovermi dare un'istruzione, quella che essi non avevano potuto avere».  Dopo gli studi elementari presso la scuola Giacinto Pacchiotti, s'iscrive al ginnasio Cesare Balbo: scriverà di sé di quegli anni, in terza persona, che «gli pesava un'amarezza, uno sconforto, che nei ragazzi di dodici anni segnano inquietudini fruttuose. Si vedeva troppo poco stimato, troppo solo, troppo malsicuro del domani. Aveva dei dubbi strani sulle sue stesse attitudini [...] Un'adolescenza che s'ispirava a motivi così integrali doveva dargli una tragica forza».  Trasferitosi poi, nel 1916, presso il liceo classicoVincenzo Gioberti, dove conosce Ada Prospero, sua futura moglie, ha per professore d'italiano Umberto Cosmo e per insegnante di filosofia Balbino Giuliano, un gentiliano che collabora alla rivista L'Unità di Gaetano Salvemini. Questi gli ispira quei sentimenti di patriottismo e di interventismo democratico che sono propri del Salvemini, spingendolo ad anticipare di un anno l'esame di maturità, superato nell'estate del 1918, per poter così andare, libero da impegni, volontario nella prima guerra mondiale.   Luigi Einaudi La guerra è ormai conclusa quando Piero, ad ottobre, s'iscrive presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Torino, la stessa che egli aveva già frequentato, ancora liceale, per seguirvi alcuni corsi di suo interesse: letteratura, arte, filosofia. Tra i suoi insegnanti vi sono Luigi Einaudi, da cui «rafforza il suo primitivo, spontaneo antistatalismo, in cui s'incontrano liberalismo, liberismo e quello stesso libertarismo che gli è congeniale» Luigi Farinelli, Gaetano Mosca, Giuseppe Prato, Francesco Ruffini e Gioele Solari, con il quale nel giugno del 1922 sosterrà la tesi di laurea, ottenuta a pieni voti, su La filosofia politica di Vittorio Alfieri.  Non solo: a settembre aveva scritto all'amica Ada di aver «deciso di fondare un periodico studentesco di cultura che s'occuperà di arte, letteratura, filosofia, questioni sociali [...] è fatto di soli giovani [...] si tratta di opera di intensificazione di cultura e di azione [...] e tutti i giovani devono aiutarla». E così, il 1º novembre del 1918, esce il primo numero del quindicinale Energie Nove, nel quale scrive di voler «portare una fresca onda di spiritualità nella gretta cultura di oggi [...] non c'è mai momento inopportuno per lavorare seriamente».  Ispirata alle idee liberali di Einaudi, è vicina all'Unità di Salvemini, del quale riporta, nel secondo numero, l'aspra critica alla classe dirigente italiana: «L'Italia ha vinto. Ma se avesse avuto una classe dirigente meno incolta, più consapevole delle sue tradizioni e dei suoi doveri, meno avida moralmente, l'Italia avrebbe vinto assai prima e assai meglio [...] È finita o sta per finire una guerra. Ne comincia un'altra. Più lunga, più aspra, più spietata». L'altra «guerra più lunga e spietata» è quella della riforma del Paese, una riforma che dev'essere, nelle intenzioni di Gobetti, innanzi tutto culturale e morale, e per la quale occorre «serietà e intensità al lavoro» secondo i motivi di quell'«idealismo militante che ha animato La Voce» di Giuseppe Prezzolini, altro nume ispiratore del giovanissimo Gobetti.  La Lega democratica  Giuseppe Prezzolini «Per Piero era doveroso partecipare in prima persona al dibattito politico e intellettuale contemporaneo.»  (Carlo Levi, in «Introduzione agli Scritti politici di Piero Gobetti», XXIII, 1960) Nell'aprile del 1918, Gobetti sospende la pubblicazione della rivista per poter partecipare, a Firenze, al I Congresso degli Unitari, i sostenitori della rivista di Salvemini, della quale egli è fondatore e rappresentante del Gruppo torinese. Può così conoscere di persona l'intellettuale pugliese e ne è entusiasta: «Salvemini è un genio. Me lo immaginavo proprio così. L'uomo che sviscerale questioni, che la fa smettere agli importuni e ti presenta tutte le soluzioni in due minuti, definitive […] Un'altra persona di cui sono entusiasta è Prezzolini, franco, semplice, pratico. Editore propriamente come lo pensavo io. L'editore più intelligente d'Italia». A seguito del Congresso, gli Unitari fondano la Lega democratica per il rinnovamento della politica nazionale, una formazione politica che non riuscirà nemmeno a presentarsi alle elezioni e avrà vita breve. Alle elezioni politiche dell'anno seguente, Salvemini si candideràcon successoin una formazione di ex-combattenti.  Salvemini deve aver compreso le qualità di Gobetti se arriva a offrirgli la direzione de L'Unità, una proposta che il giovane torinese, però, lascia cadere. Non si sente pronto per tanto impegno, come scrive nel suo diario, il 23 agosto: «Com'è vasta la cultura che devo conquistare! E non basta conquistare il vecchio. Sono giovane e devo anche produrre, creare quel po' che si può creare. […] Ho tutta la vita davanti per sedermi in campagna, davanti al camino, a mangiare pane e noci. Ho una responsabilità. Devo espormi in prima persona. Perciò faccio la rivista. […] Voglio impormi nel lavoro». E s'impone un piano di studi: «Gentile, ciò che non conosco ancora, rileggerò Croce […] avvierò lo studio del Marxismo: per ora non mi preme. Basta che mi formi un'idea generale di Marx e della critica marxista (Sorel, Labriola, ecc.). D'altra parte studio il bolscevismo, minutamente». Un suo grande ispiratore fu certamente il politico socialista francese Jean Jaurès.   Il primo numero di Energie Nove Queste note sembrano riflettere anche la polemica che, appena riprese le pubblicazioni il 5 maggio, Energie Nove aveva avuto con L'Ordine Nuovoal tempo sprezzantemente definito dallo stesso Gobetti un «giornaletto torinese di propaganda»di Togliatti, che aveva accusato Gobetti di idealismo astratto, e di Gramsci, che aveva definito velleitaria la Lega democratica, un «ricettario per cucinare la lepre alla cacciatora senza la lepre». Ora in Gobetti vi è il segno di un'inquietudine nuova, provocatagli dall'esperienza della rivoluzione russa e dallo sviluppo del movimento operaio, molto attivo a Torino. Pubblica due numeri unici sul socialismo, conosce personalmente Gramsci, stimandolo e venendone apprezzato, del quale pubblica un articolo, studia il russo con la fidanzataAdainsieme traducono Il figlio dell'uomo di Leonid Andreev, pubblicato dall'editore Sonzognoed a settembre scrive, criticando la politica sviluppata da d'Annunzio in forma di retorica, che «la politica oggi deve essere realizzata come forma di educazione. La simpatia che io provo per Trotzchi [sic] e Lenin sta nel fatto che essi in un certo modo sono riusciti a realizzare questo valore».  Sebbene restio a sposarla (emblematica fu la risposta «Grazie, non fumo…»), nella considerazione del rapporto con la fidanzata si rivela anche la sua profonda maturità e serietà morale: «Ho dovuto rifarmi un senso morale, un senso della vita forte a sedici anni, in gran parte a diciassette, e siccome me lo son fatto pensando a lei, gliene sarò grato sempre. Una fanciulla come io la sognavo sola poteva darmi un senso immediato di elevazione. Ho creduto in lei e la amo tanto perché mi fa credere ancora adesso».  Il 12 febbraio del 1920, la rivista Energie Nove cessa le pubblicazioni: «sentivo bisogno di maggiore raccoglimento e pensavo una elaborazione politica assolutamente nuova, le cui linee mi apparvero di fatto nel settembre al tempo dell'occupazione delle fabbriche. Devo la mia rinnovazione dell'esperienza salveminiana al movimento dei comunisti torinesi da una parte (vivi di un concreto spirito marxista) e dall'altra agli studi sul Risorgimento e sulla rivoluzione russa che ero venuto compiendo in quel tempo», e in giugno si consuma anche il distacco con la Lega democratica degli amici di Salvemini. Continua le traduzioni dal russo ed intraprende quelle dal francese dei modernisti cattolici Blondel e Laberthonnièrelo studio sulla filosofia di quest'ultimo gli è suggerito dal suo professore Gioele Solarie cerca di rintracciare le radici del Risorgimento italiano studiando la cultura piemontese del Sette-Ottocento.  Il movimento operaio  Antonio Gramsci «Io seguo con simpatia gli sforzi degli operai che realmente costruiscono un ordine nuovo. Non sento in me la forza di seguirli nell'opera loro, almeno per ora. Ma mi par di vedere che a poco a poco si chiarisca e si imposti la più grande battaglia del secolo. Allora il mio posto sarebbe dalla parte che ha più religiosità e spirito di sacrificio»  (Piero Gobetti, lettera ad Ada Prospero, 1920) Quando, ai primi di settembre, la FIAT e le altre maggiori fabbriche torinesi sono occupate dagli operai, Gobetti scrive: «Qui siamo in piena rivoluzione. Io seguo con simpatia gli sforzi degli operai che realmente costruiscono un mondo nuovo [...] il mio posto sarebbe necessariamente dalla parte che ha più religiosità e volontà di sacrificio. La rivoluzione si pone oggi in tutto il suo carattere religioso [...] Si tratta di un vero e proprio grande tentativo di realizzare non il collettivismo ma una organizzazione del lavoro in cui gli operai o almeno i migliori di essi siano quel che sono oggi gli industriali». Si tratta, a suo avviso, di una rivoluzione che se non rinnoverà gli uomini, e perciò neanche la nazione, potrà almeno rinnovare lo Stato, creando una nuova classe dirigente: «si può rinnovare lo Stato solo se la nazione ha in sé certe energie (come ora appunto accade) che improvvisamente da oscure si fanno chiare e acquistano possibilità e volontà di espansione».  La presa di distanza dall'azione politica di Salveminila sua ammirazione personale nei suoi confronti resterà comunque intattaè ora piena: gli rimprovera, come scriverà pochi anni dopo, diintendere l'azione politica unicamente come «una questione di morale e di educazione»: il suo «moralismo solenne, mentre costituisce il suo più intimo fascino, appare il segreto delle sue debolezze [...] La sua concezione razionalista si risolve in un'azione di illuminismo e di propagandismo, che può riuscire utile a una società di cultura, non a un partito».  Prosegue i suoi studi sul Risorgimento e sulla Russia, terminando in ottobre La Russia dei Soviet: è la volontà di comprendere funzioni e limiti di due esperienze rivoluzionarie, al cui centro è sempre il problema della formazione della classe politica che diriga un Paese e dei suoi rapporti con la popolazione. Ne conclude che il Risorgimento non può considerarsi un'esperienza rivoluzionaria, dal momento che i dirigenti politici che espresse rimasero estranei rispetto al popolo, diversamente dalla rivoluzione sovietica che, a suo avviso, ha espresso dirigenti come Lenin e Trotskij, che non sono soltanto dei bolscevichi, ma «uomini d'azioni che hanno destato un popolo e gli vanno ricreando un'anima» e, del resto, la creazione dal basso di un nuovo Stato, nel quale il popolo abbia fiducia proprio in quanto avvertito come opera propria, «è essenzialmente un'affermazione di liberalismo»  Sono concetti ripresi, il 30 novembre, in un articolo pubblicato su L'Educazione nazionale, il Discorso ai collaboratori di Energie Nove, nel quale individua nel movimento operaio un «valore nazionale»: la novità, venuta dalla Russia e che sembra farsi strada anche in Italia, consiste nel fatto che «il popolo diventa Stato. Nessun pregiudizio del nostro passato ci può impedire la visione del miracolo. Questo non avrebbero fatto i liberali, questo non possono fare dei marxisti. Il movimento operaio è un'affermazione che ha trasceso tutte le premesse. È il primo movimento laico d'Italia. È la libertà che s'instaura».  Il suo avvicinamento alle posizioni dei giovani comunisti dell'Ordine Nuovo ha anche il concreto effetto di una collaborazione e, dal gennaio del 1921, Gobetti diventa il critico teatrale della rivista. A luglio, a Torino, deve assolvere gli obblighi di leva: «la vita militare è la consacrazione di tutti gli egoismi e di tutte le meschinità [...] la meccanicità pervade ogni forma di vita; tutto si riduce a elemento, a vegetazione. La caserma è l'antitesi del pensiero».  La Rivoluzione Liberale  La Rivoluzione Liberale Il 12 febbraio del 1922, esce il primo numero della sua nuova rivista settimanale, La Rivoluzione liberale, in cui collaboreranno spesso anche Giustino Fortunato, Antonio Gramsci e Luigi Sturzo: l'obiettivo, come indicato nell'Avviso ai lettori, è pur sempre quello di Energie Nove, ossia di formare una classe politica nuova ma, ora si aggiunge, che sia cosciente «delle esigenze sociali nascenti dalla partecipazione del popolo alla vita dello Stato». E poiché l'Unità di Salvemini ha cessato le pubblicazioni nel dicembre scorso, La Rivoluzione Liberale intende proseguire quegli «sforzi di riorganizzazione morale che nell'Unità si avvertirono».  E nel Manifesto inaugurale espone il programma della rivista: «La Rivoluzione Liberale pone come base storica di giudizio una visione integrale e rigorosa del nostro Risorgimento; contro l'astrattismo dei demagoghi e dei falsi realisti esamina i problemi presenti nella loro genesi e nelle loro relazioni con gli elementi tradizionali della vita italiana; [...] e inverando le formule empirico-tradizionaliste del liberismo classico all'inglese, afferma una coscienza moderna dello Stato, [...] che prenda in considerazione anche i più sottili, ma non di certo trascurabili, trapassamenti dialettici della storia».  Il 26 marzo vi pubblica la Storia dei comunisti torinesi scritta da un liberale e a maggio dedica un numero intero all'emergente movimento fascista; il mese successivo consegue la laurea e, l'anno seguente, pubblicherà la sua tesi sull'Alfieri. Gobetti è vivamente colpito dagli scritti del patriota e federalista italiano Carlo Cattaneo, del quale è uscita in quei giorni un'antologia curata da Salvemini, che egli incontra a Torino il 10 agosto: «su Cattaneo ci siamo intesi, egli è assai vicino alle idee che gli ho espresso».  Su Cattaneo scrive, il 17 agosto, un articolo sull'Ordine Nuovosono i giorni della devastazione fascista della sede della rivista comunistafirmandosi Giuseppe Baretti: rappresentante della critica del processo unitario risorgimentale, Cattaneo fu emarginato dalla classe dirigente moderata. Eppure il Cattaneo «avversò non l'unità, ma l'illusione di risolvere con il mito dell'unità tutti i problemi che invece si potevano intendere soltanto nella loro specifica realtà autonoma, regionale [...] senza atteggiarsi a profeta, senza l'enfasi dell'apostolo, capì che il fondare una nazione non era impresa di letterati entusiasti, cercò nelle tradizioni un linguaggio di serietà, un ammaestramento di cautela [...] E lo condannarono alla solitudine e all'impopolarità, e diedero a lui, uomo positivo e realista, un ufficio di Cassandra, predicante al deserto».  L'avvento del fascismo  Piero Gobetti e Ada Prospero Favorito dall'inerzia dei Savoia e dalla complicità dei dirigenti liberali, il fascismo procede alla conquista del potere e Gobetti non s'illude che con esso si possa venire a compromessi e lo si possa acquistare alla causa democratica. Il 23 novembre scrive L'elogio della ghigliottina: bisogna sperare «che i tiranni siano tiranni, che la reazione sia reazione, che ci sia chi abbia il coraggio di levare la ghigliottina, che si mantengano le posizioni fino in fondo [...] Chiediamo le frustate, perché qualcuno si svegli, chiediamo il boia, perché si possa veder chiaro» e che «noi siamo come la dura scorza di una noce: proteggeremo i nostri ideali dalla sopraffazione con tutte le nostre forze e fin quando possibile».  L'11 gennaio del 1923, sposa Ada Prospero: vanno ad abitare nella sua casa natale di via XX Settembre 60, che diviene anche la sede della casa editrice che egli fonda, col suo nome, ad aprile: la Piero Gobetti editore, che pubblicherà, in poco più di due anni, oltre cento titoli[25]. In qualità d'editore, Gobetti porta in Italia, traducendoli, alcuni dei libri e degli autori simbolo del pensiero liberale classico, come John Stuart Mill. È tra i primi a pubblicare i libri di Luigi Einaudi ed è lui a pubblicare, nel 1925, la prima edizione di Ossi di seppia, una delle più famose raccolte di poesia di Eugenio Montale. I libri editi da Gobetti furono in molti casi dati alle fiamme o comunque distrutti sotto il fascismo e, per questo motivo, sono in molti casi introvabili, come il volume dedicato al deputato socialista Giacomo Matteotti, di cui esistono pochissime copie.  Tutti i suoi libri riportano in copertina un motto liberale, scritto in greco antico in modo circolare, che recita testualmente "Cosa ho a che fare io con gli schiavi?". Gobetti e la Prospero si trasferiranno poi in via Fabro 6, attuale sede del Centro di studi a lui intitolato. Il 6 febbraio è arrestato perché sospetto di «appartenenza a gruppi sovversivi che complottano contro lo Stato»: rilasciato cinque giorni dopo, subisce un nuovo arresto il 29 maggio, provocando un'interrogazione parlamentare alla quale il governo risponde che Gobetti «era stato redattore dell'Ordine Nuovo di Torino, giornale antinazionale; la rivista che egli dirige, conduce da tempo una campagna contro le istituzioni e il governo fascista; il prefetto si è perciò sentito in diritto di far operare una perquisizione e il fermo di Gobetti per misure di ordine pubblico».  Gobetti replica con una lettera ai giornali, ribadendo la sua funzione di oppositore del fascismo, e aggiunge, nei libri stampati dalle sue edizioni, il motto «Che ho a che fare io con gli schiavi?». Dopo aver preso le distanze dal Prezzolini, che ha scelto il disimpegno di fronte al fascismo, rinnega anche il suo originario gentilismo: il Gentile è incapace «di dar ragione di ogni fatto politico, nel suo semplicismo pratico la filosofia gentiliana mostra caratteristicamente i suoi limiti e la nessuna aderenza al reale».[26]  La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia Le tematiche liberali maggiormente sentite trovano una prima e ultima sistemazione in La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, frutto maturo delle esperienze giornalistiche precedenti, dato alle stampe nell'aprile del 1924. L'opera è divisa in quattro parti: L'eredità del Risorgimento, La lotta politica in Italia, La critica liberale, Il fascismo. La fretta con cui vuol dare alle stampe questo libro di lucida analisi politica gli impedisce di curare bene le parti marginali.  Così succede che "L'eredità del Risorgimento" venga solo abbozzata: «Il problema italiano non è di autorità, ma di autonomia: l'assenza di una vita libera fu attraverso i secoli l'ostacolo fondamentale per la creazione di una classe dirigente, per il formarsi di un'attività economica moderna e di una classe tecnica progredita». Un Risorgimento calato dall'alto, che di popolare non aveva nulla. La sfida era riempire di liberalità le istituzioni liberali formalmente create. Nel primo dopoguerra Gobetti assiste a qualcosa di assolutamente nuovo: la nascita dei partiti di massa (Partito Popolare (PPI) e Partito Comunista (PCd'I) saranno una prima versione dei due partiti più importanti della cosiddetta Prima Repubblica). Ma questo non basta.  «Per quattro anni la lotta politica non riuscì a dare la misura della lotta sociale». Una cosa erano le questioni politiche, un'altra le esigenze sociali, ma queste «non possono essere separate dalla politica al pari di come un felino astuto non si ciberà del formaggio ma ne farà da esca per il topo».[27] La seconda parte si divide in sei capitoli. Ciascun capitolo è un fattore della lotta politica: sono presenti liberali e democratici, popolari (sviluppate le figure di Giuseppe Toniolo, Filippo Meda e Luigi Sturzo), socialisti, comunisti (grande spazio dato a Antonio Gramsci), nazionalisti (emblematico il pensiero di Alfredo Rocco) e repubblicani.   Gobetti attorno al 1920 La terza parte è il cuore pulsante del saggio: una proposta concreta per fare politica senza dimenticare la società. La lotta di classe è per Gobetti strumento di formazione di una nuova élite, una via di rinnovamento popolare. Insomma, la lotta politica deve essere lotta sociale. In politica ecclesiastica, Gobetti si rifà alla pregiudiziale cavouriana della laicità, come necessità da mantenere (cosa che verrà invece negata dai Patti Lateranensi). Per la discussione sulle modalità d'elezione, Gobetti è convinto fautore della proporzionale. Il collegio uninominale aveva corrotto il rappresentante in tribuno.  Solo con la proporzionale gli interessi si organizzano, così che l'economia venga elaborata dalla politica. Di grandissima attualità è la parte dedicata al problema dei contribuenti: «Il contribuente italiano paga bestemmiando lo Stato. Non ha coscienza di esercitare, pagando, una vera e propria funzione sovrana. L'imposta gli è imposta. [...] Una rivoluzione di contribuenti in Italia in queste condizioni non è possibile per la semplice ragione che non esistono contribuenti». Era quindi necessario per lui raggiungere una maggiore maturità economica e sociale. Il popolo doveva comprendere l'importanza di contribuire nello Stato, e imparare il "valore dell'onestà". Per questo richiamava attenzione sul problema scolastico: in un mondo fatto per grossa parte da analfabeti o semianalfabeti, la questione era fondamentale. Mancava un numero sufficiente di maestri, perciò si sarebbe dovuto mobilitare chiunque in grado di saper insegnare (anche preti, massoni, bolscevichi e così via).  La questione non evitava di trattare l'aspetto economico: contro il parassitismo pensava che fosse utile tagliare stipendi e investimenti, così da distinguere la vocazione all'insegnamento dalla vocazione al parassitare. In politica estera prospettava un ruolo importante per l'Italia a Versailles. Era convinto della possibilità di ottenere un buon accordo attraverso una mediazione. Nella quarta ed ultima parte vi è una rapida esposizione del perché Gobetti si oppone con ogni mezzo al fascismo. Si è detto che per l'autore la lotta sociale deve essere portata in Parlamento e dar vita a una lotta politica efficiente ed efficace.  Benito Mussolini invece fece in modo da soffocare la lotta politica, quando questa più di ogni altra cosa era necessaria all'Italia. Così il Duce, per Gobetti, era «l'eroe rappresentativo di questa stanchezza e di questa aspirazione di riposo» che si esplicava nel tacito consenso della popolazione allo sradicamento di ogni lotta politica nella nazione. In modo profetico, da esperto conoscitore del pensiero di Hegel qual era, prevede e mette in guardia delle conseguenze della concessione del potere a Mussolini secondo le dinamiche della dialettica serva-signore, ipotizzando una guerra civile imminente. Il saggio è fortemente militante. Nella nota a conclusione dell'edizione, Gobetti è chiaro: cerca collaboratori, non lettori. Gobetti vuole la "rivoluzione liberale", cioè un nuovo liberalismo; nutre una forte avversione per il fascismo, anche perché non è qualcosa di nuovo ma, anzi, il risultato ottenuto da coloro che hanno governato l'Italia: è quindi una condanna della vecchia classe dirigente liberale.  Il fascismo nasce dall'invadenza del cattolicesimo e dalla demagogia dell'Italia liberale: "Fascismo come autobiografia della nazione", il fascismo è, insomma, solo l'incancrenirsi dei mali tradizionali della società italiana. La società tradizionale italiana reagisce sostenendo una forza conservatrice come quella del fascismo, anche se in realtà qualcosa di buono nell'Italia del primo dopoguerra vi era stato: il proletariato (soprattutto quello torinese) che tenta di assumere su di sé la responsabilità di mutare lo stato delle cose. La borghesia ha perso ogni funzione propositiva, è una classe parassitaria che si è adagiata e aspetta tutto dallo Stato; si blocca così ogni istanza di rinnovamento: la funzione liberale e libertaria è assunta dal proletariato. Le considerazioni politiche di Gobetti risentono della sua opinione sulla storia italiana, in Risorgimento senza eroi, Gobetti descrive questo periodo come un'epopea patriottarda di cui simbolo è Giuseppe Mazzini (tante parole, pochi fatti): al Risorgimento sono mancati il pragmatismo e il realismo.  Ci sono due eroi nel Risorgimento per Gobetti e sono Carlo Cattaneo e Cavour, due figure assai distanti tra loro ma accomunabili per il loro pragmatismo: Cattaneo piace a Gobetti per la sua volontà di operare, per la capacità di propugnare istanze pragmatiche e vuote di retorica; Cavour è uomo che media per raggiungere degli obiettivi, ha mire di lungo periodo. Il Risorgimento di Cattaneo è sconfitto, ma non quello di Cavour; entrambi, però, hanno instillato nella società italiana lo spirito della competizione e l'ideale di assunzione di responsabilità. La società italiana si regge su ruoli e cariche già predefiniti, è statica e stagnante: il proletariato, però, si ribella a ciò, rifugge situazioni già prestabilite per costruire una società nuova in cui ciascuno sarà libero di esprimersi.  La persecuzione, l'esilio e la morte  Giacomo Matteotti Nel maggio del 1924 Gobetti si reca in Francia, a Parigi e poi in Sicilia, a Palermo, per incontrare alcuni amici conosciuti durante il recente viaggio di nozze. I suoi spostamenti sono seguiti dalla polizia italiana e, il 1º giugno, Mussolini telegrafa al prefetto di Torino, Enrico Palmieri: «Mi si riferisce che noto Gobetti sia stato recentemente a Parigi e che oggi sia in Sicilia. Prego informarmi e vigilare per rendere nuovamente difficile vita questo insulso oppositore di governo e fascismo». Il prefetto obbedisce e, il 9 giugno, Gobetti viene percosso, la sua abitazione perquisita e le sue carte sequestrate. Come scrive a Emilio Lussu, la polizia sospetta che egli intrattenga rapporti in Italia e all'estero per organizzare le forze antifasciste.  È il giorno che precede la scomparsa di Giacomo Matteotti, il cui corpo verrà ritrovato solo in agosto, ma subito si ha la certezza che si tratti di un omicidio perpetrato da sicari fascisti. Gobetti ne traccia un profilo il 1º luglio: «Non ostentava presunzioni teoriche: dichiarava candidamente di non aver tempo per risolvere i problemi filosofici perché doveva studiare i bilanci e rivedere i conti degli amministratori socialisti [...] vide nascere nel Polesine il movimento fascista come schiavismo agrario, come cortigianeria servile degli spostati verso chi li pagava; come medievale crudeltà e torbido oscurantismo [...] Sentiva che per combattere utilmente il fascismo nel campo politico occorreva opporgli esempi di dignità con resistenza tenace. Farne una questione di carattere, di intransigenza, di rigorismo».  Auspica, dalle colonne della sua rivista, la formazione di "Gruppi della Rivoluzione Liberale", formati da uomini di tutti i partiti antifascisti, che combattano il fascismo, questo fenomeno politico che trae i motivi del suo successo e della sua conservazione dalla creazione di «un esercito di parassiti dello Stato». Occorre, a questo scopo, formare un'economia moderna con un'industria «libera da ogni protezionismo e da ogni paternalismo di Stato» e con «una classe proletaria politicamente intransigente[29] [...] aiutare i partiti seri e moderni a liberarsi dei costumi giolittiani [...] La guerra al fascismo è questione di maturità storica, politica, economica».[30]  Questi articoli e quello in cui accusa il deputato fascista, grande invalido di guerra, Carlo Delcroix, di manovre parlamentari definite «aborti morali», provocano il sequestro della rivista ed una violenta aggressione da parte di uno squadrone fascista. Persino un articolo di Tommaso Fiore contro il criminale fascista Amerigo Dumini, apparso su La Rivoluzione Liberale del 23 settembre, fornisce il pretesto al prefetto di Torino di sequestrare la rivista[31]. Con il Fiore e con Guido Dorso pubblica un Appello ai meridionali e con il Saluto all'altro Parlamento appoggia l'iniziativa aventiniana, dalla quale si aspetta un'opposizione intransigente e un esempio di rinnovamento dei costumi parlamentari italiani.  Il 23 dicembre del 1924, Gobetti fonda una nuova rivista, Il Baretti, alla quale collaborano, tra gli altri, Augusto Monti, Natalino Sapegno, Benedetto Croce e Eugenio Montale. Come La Rivoluzione Liberale è dedicata a temi storico-politici, così la nuova rivista vuole essere riservata alla critica letteraria e all'estetica. Il riferimento a Giuseppe Baretti, letterato italiano vissuto a lungo all'estero, e alla sua Frusta letteraria, esempio di polemica vivace e irriverente, sottintende, scrive Gobetti nel numero d'esordio, «una volontà di coerenza con le tradizioni di battaglia contro culture e letterature costrette nei limiti della provincia, chiuse dalle frontiere di dogmi angusti e di piccole patrie».  In ossequio alle direttive mussoliniane, proseguono i sequestri della sua rivista: «rimedieremo ai sequestri rifacendo l'edizione»scrive Gobetti il 1º febbraio del 1925e anche quel numero viene sequestrato con il pretesto di «scritti diffamatori dei poteri dello Stato e tendenti a screditare le forze nazionali». Pubblica la traduzione de La Libertà di John Stuart Mill, con la prefazione di Luigi Einaudi, il quale scrive che «quando, per fiaccare la voce dei ribelli, si assevera dai dominatori la unanimità del consenso, giova rileggere i grandi libri sulla libertà». Anche produrre «citazioni di scrittori del passato» che non collimino col pensiero del Regime può essere «tendenzioso» e perciò provocare, l'8 marzo, il sequestro della rivista, come accade anche il 21 marzo e il 7 giugno: l'8 giugno è arrestato Gaetano Salvemini, che ha pubblicato sul foglio clandestino Non Mollare l'articolo Mussolini il mandante. Altri sequestri de La Rivoluzione Liberale avvengono il 28 giugno e il 19 luglio.  Un periodo di serenità per Piero e la moglie Adache aspetta un bambinoè rappresentato da un viaggio a Parigi e a Londra; nella capitale francese, Gobetti pensa di stabilire una sua casa editrice: «Credo che solo da Parigi, solo in francese, solo con la solidarietà dello spirito francese un italiano possa fare con utilità un'opera pratica di intelligenza europea. S'intende senza chauvinisme francese». D'altra parte, Gobetti intende ancora rimanere in Italia: «rimarrò in Italia fino all'ultimo. Sono deciso a non fare l'esule».[32]   La tomba di Gobetti A metà agosto fanno ritorno a Torino e il 5 settembre è nuovamente vittima dei pestaggi squadristi, ma è ancora intenzionato a rimanere in Italia: «Bisogna amare l'Italia con orgoglio di europei e con l'austera passione dell'esule in patria»scrive nell'articolo Lettera a Parigi del 18 ottobre«per capire con quale serena tristezza e inesorabile volontà di sacrificio noi viviamo nella presente realtà fascista [...] le nostre malattie e le nostre crisi di coscienza non possiamo curarle che noi. Dobbiamo trovare da soli la nostra giustizia. E questa è la nostra dignità di antifascisti: per essere europei dobbiamo su questo argomento sembrare, comunque la parola ci disgusti, nazionalisti».  Il 27 ottobre, poiché «i ripetuti sequestri a nulla hanno valso, e che il periodico in parola, sotto l'aspetto di critiche e di discussioni politiche, economiche, morali e religiose, che vorrebbero assurgere ad affermazioni e sviluppi di principi dottrinari, mira in realtà, con irriverenti richiami, alla menomazione delle Istituzioni Monarchiche, della Chiesa, dei Poteri dello Stato, danneggiando il prestigio nazionale, e nel complesso può dar motivo a reazioni pericolose per l'ordine pubblico, persistendo in violazioni sempre più gravi ai vigenti decreti sulla stampa», il prefetto d'Adamo diffida «il Direttore responsabile del periodico La Rivoluzione Liberale, Prof. Piero Gobetti, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2 del R. D. 15 luglio 1923, n. 3288, e del R. D. 10 luglio 1924, n. 1081», ad adeguarsi alle direttive del Regime e poiché l'8 novembre la rivista disattende l'ordine, l'11 novembre il prefetto ingiunge la cessazione definitiva delle pubblicazioni e la soppressione della stessa casa editrice per «attività nettamente antinazionale». D'ora in avanti «sarò palesatamente costretto all'infelice dissenso [...] . La libertà d'opinione è stata soppressa come una rete che viene sradicata: senza possibilità di dialogare sono destinato ad essere sopraffatto. A cosa serve più, ora, fare finta?»[33]  Gobetti, che ora soffre anche di scompensi cardiaci, provocati o aggravati dalle violenze subite, pensa di lasciare l'Italia per proseguire in Francia l'attività editoriale. Il 28 dicembre, nasce a Torino il figlio Paolo (1925-1995), che durante la seconda guerra mondiale diventerà partigiano e poi giornalista per l'Unità, oltreché storico del cinema. Nel gennaio del 1926 scrive una lettera al suo mentore Giustino Fortunato: «Parto per Parigi dove farò l'editore francese, ossia il mio mestiere che in Italia mi è interdetto. A Parigi non intendo fare del libellismo, o della polemica spicciola come i granduchi spodestati di Russia; vorrei fare un'opera di cultura, nel senso del liberalismo europeo e della democrazia moderna».[34]  Il 3 febbraio del 1926, Gobetti parte da solo per Parigi: alla stazione di Genova viene a salutarlo Eugenio Montale. L'11 febbraio si ammala di una bronchite, che esacerba gravemente i suoi problemi cardiaci: trasportato il 13 del mese in una clinica di Neuilly-sur-Seine, vi muore alla mezzanotte del 15 febbraio del 1926, assistito da Francesco Fausto e Francesco Saverio Nitti, da Prezzolini e da Luigi Emery. È sepolto nel cimitero parigino di Père-Lachaise.  Opere La filosofia politica di Vittorio Alfieri, Torino, Gobetti, 1923. La frusta teatrale, Milano, Corbaccio, 1923. (Leggi su Wikisource) Felice Casorati. Pittore, Torino, Gobetti, 1923. Dal bolscevismo al fascismo. Note di cultura politica, Torino, Gobetti, 1923. Il teatro di Enrico Pea, in Enrico Pea, Rosa di Sion, Torino, Gobetti, 1923. Matteotti, Torino, Gobetti, 1924Postfazione di Marco Scavino, Edizioni di Storia e Letteratura, ,  9788863726541col titolo Per Matteotti. Un ritratto, Il Melangolo, Genova, 1994. La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, Bologna, Cappelli, 1924. Opere di Piero Gobetti edite e inedite I, Risorgimento senza eroi. Studi sul pensiero piemontese nel Risorgimento, Torino, Edizioni del Baretti, 1926. II, Paradosso dello spirito russo, Torino, Edizioni del Baretti, 1926. Opera critica I, Arte, religione, filosofia, Torino, Baretti, 1927. II, Teatro, letteratura, storia, Torino, Baretti, 1927. Scritti attuali, Roma, Capriotti, 1945. Coscienza liberale e classe operaia, Paolo Spriano, Torino, Einaudi, 1951. Opere complete di Piero Gobetti I, Scritti politici, Paolo Spriano, Torino, Einaudi, 1960. II, Scritti storici, letterari e filosofici, Paolo Spriano, Torino, Einaudi, 1969. III, Scritti di critica teatrale, Giorgio Guazzotti e Carla Gobetti, Torino, Einaudi, 1974. L'editore ideale. Frammenti autobiografici con iconografia, Franco Antonicelli, Milano, All'insegna del pesce d'oro, 1966. (Leggi su Wikisource) Energie nove, Torino, Bottega d'Erasmo, 1976. Il Baretti, Torino, Bottega d'Erasmo, 1977. Lettere dalla Sicilia, nota di Giovanna Finocchiaro Chimirri, introduzione di Nicola Sapegno, Palermo, Nuova editrice meridionale, 1988. Nella tua breve esistenza. Lettere 1918-1926, con Ada Gobetti, Ersilia Alessandrone Perona, Collana NUE n.205, Torino, Einaudi, 1991,  88-06-12536-2.Nuova ed. riveduta e integrata, Collana Piccola Biblioteca.Nuova serie, Einaudi, Con animo di liberale. Piero Gobetti e i popolari. Carteggi 1918-1926, Bartolo Gariglio, Milano, F. Angeli, Dizionario delle idee, Sergio Bucchi, Roma, Editori Riuniti, Antifascismo etico. Elogio dell'intransigenza, M. Gervasoni, Milano, M&B Publishing, 2001.  978-88-86083-83-6. Carteggio 1918-1922, Ersilia Alessandrone Perona, Torino, Einaudi, 2003.  88-06-16027-3. Che ho a che fare io con i servi? Zibaldone politico, Reggio Emilia, Aliberti, .  978-88-7424-818-6. Il giornalista arido Articoli (1918-1926), Collana Classici idel giornalismo, Torino, Aragno,  Carteggio 1923, Ersilia Alessandrone Perona, Torino, Einaudi, ,  Biografia di Gobetti  M. Brosio, Riflessioni su Piero Gobetti, 197413  P. Gobetti, L'editore ideale,P. Gobetti, L'editore ideale, cit.,  37-38  N. Bobbio, Italia fedele. Il mondo di Gobetti, 198615  Nella tua breve esistenza. Lettere P. Gobetti, Energie Nove, n. 2  Lettera ad Ada Prospero, 17 aprile 1919, in Nella tua breve esistenza, cit., l. 31  Diario, Piero Gobetti  L'editore ideale, cit.48  Carlo Levi, in «Introduzione agli Scritti politici di Piero Gobetti», II, 1960  P. Togliatti, I parassiti della cultura, in «L'Ordine Nuovo», I, 2; A. Gramsci, Contributi a una nuova dottrina dello Stato e del colpo di Stato, in «L'Ordine Nuovo», I, 5  Nella tua breve esistenza, cit., l. 162  Alberto Cabella, Elogio della libertà. Biografia di Piero Gobetti, Torino, Il Punto, L'editore ideale, cit.51  P. Gobetti, Rivoluzione liberale, 18 gennaio 1923  Nella tua breve esistenza, cit., l. 375-376  Ivi, l. 385  P. Gobetti, La Rivoluzione liberale, in «Scritti politici», 1960,  988-989  Scritti politici,  190-192  Nella tua breve esistenza, l. 421  Manifesto della Rivoluzione Liberale, 12 febbraio 19222  Nella tua breve esistenza, l. 563  Piero Gobetti, La rivoluzione Liberale, Elogio della Ghigliottina, 1922  Corrado Malandrini, Gobetti, Piero, in Dizionario Biografico degli Italiani  La Rivoluzione Liberale, I miei conti con l'idealismo attuale, 18 gennaio 1923  P. Gobetti, La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, cit., p.69  Carlo Levi, in «Introduzione agli Scritti politici di Piero Gobetti», XXIX, 1960  La Rivoluzione Liberale, Gruppi della Rivoluzione Liberale, 8 luglio 1924  La Rivoluzione Liberale, Come combattere il fascismo, 2 settembre 1924  Arturo Colombo, Geoffrey Hutchings, Piero Gobetti, GOBETTI AND MATTEOTTI, Il Politico,  46, No. 1/2 (MARZO-GIUGNO 1981),  167-207.  In , La cultura francese nelle riviste e nelle iniziative editoriali di Piero Gobetti, 1985134  Lettera ad Ada Prospero, 14 novembre 1924  Lelio Basso, Luigi Anderlini, Le riviste di Piero Gobetti, Feltrinelli, 196178  Giuseppe Prezzolini, Gobetti e «La Voce», Firenze, Sansoni, 1971 Manlio Brosio, Riflessioni su Piero Gobetti, Quaderni della Gioventù liberale italiana di Torino, 6, 1974 Giancarlo Bergami, Guida bibliografica degli scritti su Piero Gobetti, 1918-1975, Collana Opere di P. Gobetti, Torino, Einaudi, Paolo Spriano, Gramsci e Gobetti, Torino, Einaudi, 1977  978-88-06-46243-7 Antonio Carlino, Politica e dialettica in Piero Gobetti, Lecce, Milella, Paolo Bagnoli, Piero Gobetti. Cultura e politica di un liberale del Novecento, Firenze, Passigli, 1984  88-368-0016-5 Umberto Morra di Lavriano, Vita di Piero Gobetti, pref. di N. Bobbio, Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1984 , Piero Gobetti e la Francia, Milano, Franco Angeli, 1985 Luigi Anderlini, Gobetti critico, in Letteratura italiana. I critici,  V, Milano, Marzorati, 1987,  3233–3251 , Piero Gobetti e gli intellettuali del Sud, Napoli, Bibliopolis, Giacomo De Marzi, Piero Gobetti e Benedetto Croce, Urbino, Quattroventi,  Alberto Cabella, Elogio della libertà. Biografia di Piero Gobetti, Torino, Il Punto, Marco Gervasoni, L'intellettuale come eroe. Piero Gobetti e le culture del Novecento, Firenze, La Nuova Italia, Paolo Bagnoli, Il metodo della libertà. Piero Gobetti tra eresia e rivoluzione, Reggio Emilia, Diabasis, Bartolo Gariglio, Progettare il postfascismo. Gobetti e i cattolici, Milano, Franco Angeli, Giuseppe Virgilio, Piero Gobetti. La cultura etico-politica del primo Novecento tra consonanze e concordanze leopardiane, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, Angelo Fabrizi, «Che ho a che fare io con gli schiavi?». Gobetti e Alfieri, Firenze, Società Editrice Fiorentina, Flavio Aliquò Mazzei, Piero Gobetti. Profilo di un rivoluzionario liberale, Firenze, Pugliese,  Bartolo Gariglio , L'autunno delle libertàLettere ad Ada in morte di Piero Gobetti, Torino, Bollati Boringhieri,  Nunzio Dell'Erba, Piero Gobetti, in Id., Intellettuali laici nel '900 italiano, Padova, Vincenzo Grasso editore,    Danilo Ciampanella, Senza illusioni e senza ottimismi. Piero Gobetti. Prospettive e limiti di una rivoluzione liberale, Roma, Aracne,   88-548-4613-9  Socialismo liberale Liberalismo sociale Gaetano Salvemini Giovanni Amendola Benedetto Croce Vittorio Alfieri Giacomo Matteotti Il Baretti La Rivoluzione liberale Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Piero Gobetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Piero Gobetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Piero Gobetti  Piero Gobetti, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Piero Gobetti, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Piero Gobetti, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, .  Piero Gobetti, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Piero Gobetti, su Liber Liber.  Opere di Piero Gobetti, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. 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Gobbo  -- Federico GobboesperantistaHe has collaborated with philosophers.

 

Gonnella: Patrizio Gonnella (Bari), filosofo. Prresidente dell'Associazione Antigone, che dal 1991 si occupa di giustizia penale, carceri, diritti umani e prevenzione della tortura. È docente di Sociologia del Diritto presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università Roma Tre. È esperto del Consiglio d’Europa nel monitoraggio dei luoghi di privazione della libertà. Fa parte dell’Assessment Committee dell’Npm Observatory. È editorialista del Manifesto, cura un blog sul sito de l’Espresso e conduce, insieme a Susanna Marietti, la trasmissione Jailhouse Rock su Radio Popolare che incrocia i temi della musica con quelli delle prigioni. Tra il  e il  è stato presidente della Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili.    Attivismo in materia di giustizia, diritti umani e carceri Si è sempre occupato di giustizia, carceri e diritti umani. Dal 2005 è presidente nazionale dell'Associazione Antigone. È stato fondatore dell'Osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione, rete di organizzazioni non governative e universitarie che coinvolge partner di otto paesi europei.  Tra il  e il  è presidente della Coalizione Italiana per i Diritti e le Libertà Civili (Cild), un'organizzazione di secondo livello composta da oltre quaranta associazioni, nata per rafforzare l'attività di advocacy e di contenzioso giudiziario strategico su tutte le libertà civili in Italia. Attualmente è componente del direttivo della Coalizione.  Ha partecipato in qualità di esperto a missioni di monitoraggio dei luoghi di privazione della libertà per conto del Consiglio d’Europa.  Ha svolto diversi incarichi attinenti al mondo della giustizia e dei diritti umani. Dal 1993 al 1998 ha ricoperto incarichi di direzione degli istituti penali di Padova, Pisa, Pianosa e San Gimignano. Dal 1998 al 2001 ha svolto le funzioni di collaboratore parlamentare occupandosi principalmente di diritti umani e giustizia. Tra il 2001 e il  ha ricoperto incarichi presso amministrazioni locali, regionali e nazionali occupandosi principalmente di welfare, giustizia e diritti umani.  Attività giornalistica È editorialista dal 1999 del quotidiano Il Manifesto sui temi della giustizia, della pena e dei diritti umani. Ha scritto per vari quotidiani e periodici. Cura il blog “Libertà civili” sul sito dell'Espresso. Ha scritto tra il 1998 e il  sui temi del carcere e della giustizia per il quotidiano di informazione economica Italia Oggi. È autore e conduttore, insieme a Susanna Marietti, di una trasmissione radiofonica di musica e informazione su e dal carcereJailhouse Rockche va in onda su un network di radio locali.  Attività accademica Laureatosi in giurisprudenza nel 1990, si è specializzato nel 1996 in Istituzioni e Tecniche di promozione e tutela dei diritti umani presso l'Università degli Studi di Padova, per poi divenire Dottore di Ricerca nel  in Diritto europeo su base storico comparatistica presso l'Roma Tre.  È ricercatore presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre, dove insegna sociologia del diritto.  È animatore della clinica legale in ambito penitenziario che gestisce propri sportelli di informazione legale presso le carceri romane.  Ha partecipato in qualità di relatore a centinaia di seminari in Italia e all’estero presso Università, istituti di formazione, istituzioni. Ha periodicamente svolto attività di formazione sui temi della pena anche per l’amministrazione penitenziaria e per la Scuola superiore della magistratura.  Opere Monografie Il diritto (non) ci salverà, Il Manifesto,  Detenuti stranieri in Italia. Norme, numeri e diritti, Editoriale Scientifica, . Carceri. I confini della dignità, Jacabook, . La tortura in Italia, Derive Approdi, . Jailhouse Rock, cento musicisti dietro le sbarre, (insieme a Susanna Marietti), Arcana, . Il carcere spiegato ai ragazzi, (insieme a Susanna Marietti), Il Manifesto libri, . Patrie galere, (insieme a Stefano Anastasia), Carocci, 2005. Sviluppo urbano e criminalità a Roma, (insieme a Massimiliano Bagaglini e Francesca Vianello), Sinnos, 2003. Il collasso delle carceri italiane. Sotto la lente degli ispettori europei, (insieme a Laura Astarita e Susanna Marietti), Sapere 2000-Consiglio d'Europa, 2003. Volumi curati Bisogna aver visto. Il carcere nella riflessione degli antifascisti (insieme a Dario Ippolito), Edizioni dell’Asino, . I paradossi del diritto. Scritti in omaggio a Eligio Resta (insieme a Stefano Anastasia), Roma TrE-Press,  Giustizia e carceri secondo papa Francesco (insieme a Marco Ruotolo), Jaca Book, . Onorare gli impegni. L'Italia e le norme internazionali contro la tortura, (insieme ad Antonio Marchesi), Sinnos, 2006. Inchiesta sulle carceri italiane, (insieme a Stefano Anastasia), Carocci, 2002. Il Carcere trasparente. Primo rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione (insieme a Stefano Anastasia e Mauro Palma), Castelvecchi, 2000. Bisogna aver visto. Il carcere nella riflessione degli antifascisti (insieme a Dario Ippolito), Edizioni dell’Asino, . I paradossi del diritto. Scritti in omaggio a Eligio Resta (insieme a Stefano Anastasia), Roma TrE-Press,  Giustizia e carceri secondo papa Francesco (insieme a Marco Ruotolo), Jaca Book, . Onorare gli impegni. L'Italia e le norme internazionali contro la tortura, (insieme ad Antonio Marchesi), Sinnos, 2006. Inchiesta sulle carceri italiane, (insieme a Stefano Anastasia), Carocci, 2002. Il Carcere trasparente. Primo rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione (insieme a Stefano Anastasia e Mauro Palma), Castelvecchi, 2000. Note  Benvenuto sul sito dell'Associazione Antigone  Homepage Cild ItaliaCoalizione Italiana Libertà e Diritti Civili Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Patrizio Gonnella  Sito ufficiale dell'Associazione Antigone, su associazioneantigone.it. Sito ufficiale della Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili, su cilditalia.org. Filosofia Categorie: Attivisti italiani 1966 BariDiritto penitenziario

 

Goretti:  Cesare Goretti (Torino), filosofo. Laureatosi in Giurisprudenza all'Torino nel 1909 (relatore è il filosofo del diritto Gioele Solari), Goretti frequenta successivamente l'Accademia scientifico-letteraria di Milano (che sarebbe confluita nel 1924 nell'Milano), dove incontra Piero Martinetti; lì nel 1921 si laurea in Filosofia.  Nel 1926 è segretario del VI Congresso Nazionale di Filosofia, organizzato dalla Società filosofica italiana e presieduto da Piero Martinetti; il Congresso è sciolto dalle autorità fasciste dopo appena due giorni. Il 31 marzo 1926 Martinetti e Goretti firmano la lettera di protesta indirizzata al rettore Luigi Mangiagalli, nel quale si "protesta in nome della libertà degli studi e della tradizione italiana contro un atto di violenza che impedisce l'esercizio della discussione filosofica ed invano pretende di vincolare la vita del pensiero".  Nel 1931, al momento del giuramento di fedeltà al Fascismo, necessario per entrare nella carriera universitaria o per proseguirla, Goretti si rifiuta e resta così al di fuori della carriera accademica; svolge attività professionale a Milano, effettua traduzioni di testi filosofici e collabora alla "Rivista di filosofia" (anche quale componente del comitato direttivo). Frequenta, come altri filosofi antiscolastici ed antifascisti la casa di Luigi Fossati (1871-1945, bibliofilo ex sacerdote e docente, poi allievo del Martinetti e direttore di Rivista di filosofia) in Via Ciro Menotti a Milano.  In prossimità della morte, avvenuta nel 1943, Piero Martinetti lascia la sua biblioteca privata in legato a Nina Ruffini (nipote di Francesco Ruffini), Gioele Solari e Cesare Goretti. La Biblioteca verrà poi conferita dai rispettivi eredi nel 1955 alla "Fondazione Piero Martinetti per gli studi di storia filosofica e religiosa" di Torino; oggi è posta nel palazzo del Rettorato dell'Torino, presso la Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia.  Solo nel secondo dopoguerra Goretti è riammesso nel mondo universitario e nel 1948 assume per concorso la cattedra di Filosofia del diritto; insegna all'Ferrara fino alla morte.  Il Comune di Ferrara ha intitolato una via a Cesare Goretti, "filosofopatriota".  L'animale come soggetto di diritto Prolifico filosofo del diritto, autore di scritti su Kant, Sorel, Bradley, traduttore di varie opere filosofiche (Afrikan Špir, Bradley, Thomas Hill Green), a Goretti si deve il primo intervento che qualifica l'animale come “soggetto di diritto”.  Nel 1926 Piero Martinetti aveva pubblicato “La psiche degli animali” in cui aveva sottolineato che gli animali possedevano intelletto e coscienza e, in generale, un vita interiore, come emergeva dagli “atteggiamenti, i gesti, la fisionomia”; questa vita interiore è “forse estremamente diversa e lontana” da quella umana” ma “ha anch'essa i caratteri della coscienza e non può essere ridotta ad un semplice meccanismo fisiologico”.  Nel 1928 Goretti va oltre, fino ad affermare che gli animali sono veri e propri “soggetti di diritto” e che l'animale ha una “coscienza giuridica” e una percezione del giuridico. In tal modo ha anticipato tematiche proprie della bioetica e dell'etologia; nonostante l'originalità e l'innovatività delle posizioni assunte, il suo scritto non ha avuto fortuna ed è stato del tutto trascurato dal dibattito animalista e negli studi di etologia.  «Come non possiamo negare all'animale in modo sia pure crepuscolare l'uso della categoria della causalità, così non possiamo escludere che l'animale partecipando al nostro mondo non abbia un senso oscuro di quello che può essere la proprietà, l'obbligazione. Casi innumerevoli dimostrano come il cane sia custode geloso della proprietà del suo padrone e come ne compartecipi all'uso. Oscuramente deve operare in esso questa visione della realtà esteriore come cosa propria, che nell'uomo civile arriva alle costruzioni raffinate dei giuristi. È assurdo pensare che l'animale che rende un servizio al suo padrone che lo mantiene agisca soltanto istintivamente. [...] Deve pure sentire in sé per quanto oscuramente e in modo sensibile questo rapporto di servizi resi e scambiati. Naturalmente l'animale non potrà arrivare al concetto di ciò che è la proprietà, l'obbligazione; basta che dimostri esteriormente di fare uso di questi principî che in lui operano ancora in modo oscuro e sensibile.»  (Cesare Goretti, L’animale quale soggetto di diritto, 1928) L'istitutismo giuridico Cesare Goretti è ritenutounitamente al filosofo del diritto francese Jean Rayesponente dell’istitutismo giuridico.  Nella filosofia del diritto occidentale del XX secolo, si individuano tre teorie dell'"istituzionalità nel giuridico" (Lorini):  istitutismo: teoria del diritto quale insieme di istituti giuridici; gli istituti sono concepiti in Goretti "come una sorta di azioni coordinate, costituenti un equilibrio tipico e costante di finalità che si fissano in un complesso di mezzi" e in Ray "come costruzioni giuridiche" istituzionalismo: teoria del diritto quale istituzione (Santi Romano, Maurice Hauriou). neo-istituzionalismo: il diritto è rappresentato da fatti istituzionali (Neil McCormick, Ota Weinberger). Opere Monografie Il carattere formale della filosofia giuridica kantiana, Casa Editrice Isis, Milano, 1922; Il sentimento giuridico nell'opera di Giorgio Sorel, Casa Editrice "Il Solco", Città di Castello, 1922; Sorel, Athena, Milano, 1928; I fondamenti del diritto, Libreria Editrice Lombarda, Milano, 1930; Il liberalismo giuridico di Maurice Hauriou, Tip. Editrice L. Di Pirola, Milano, 1933; Contributo allo studio della norma giuridica in relazione agli atti giuridici, Tip. G. Bianciardi, Lodi, 1938; Concetti ed istituti giuridici, Tip. G. Bianciardi, Lodi, 1940; La normatività giuridica, CEDAM, Padova, 1950. Altre opere L'opera ed il pensiero di Thomas Hill Green, in A. C. Bradley, Thomas Green Hill, Etica, Bocca, Torino, 1925 Il trattato politico di Spinoza, "Rivista di filosofia", 1927, 235 L'animale quale soggetto di diritto, "Rivista di filosofia", 1928, 348 Recensione di Carl Schmitt, Die Diktatur. Von den Anfängen des modernen Souveränitätsgedankens bis zum proletarischen Klassenkampf, Duncher & Humblot, München-Leipzig, ed. 1928, "Rivista di Filosofia", 1929, 375 Recensione di R. Smend, Verfassung und Verfassungsrecht, 1926, "Rivista di Filosofia", 1929, 386 Introduzione a A. Spir, La giustizia, Libreria Editrice Lombarda, Milano, 1930 Il saggio politico sulla costituzione del Württenberg, "Rivista di filosofia", 1931, 408 Sul valore della distinzione tra legge e norma, "Rivista di filosofia", 1932, 125 La filosofia praticaW. Schuppe, "Rivista di filosofia", 1933, 124 Il valore della filosofia di F. H. Bradley, "Rivista di filosofia", 1933, 332 Il saggio del Brentano sull'origine della conoscenza etica, "Rivista di filosofia", 1934, 141 L'idea di patria, "Rivista di filosofia", 1935, 68 L'idealismo rappresentativo di O. Hamelin, "Rivista di filosofia", 1935, 325 Recensione di Piero Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, in "Rivista di filosofia", 1936, 187 La metafisica della conoscenza in Thomas Hill Green, "Rivista di filosofia", 1936, 97 Il dolore nel pessimismo di A. Spir, "Rivista di filosofia", 1937, 227 Il valore dell'individualità, "Rivista di filosofia", 1938, 226 Dal Saint-Simon al neo-saintsimonismo, "Rivista di filosofia", 1939, 312 Diritti e doveri giuridici in relazione alla norma giuridica, "Archivio della Cultura italiana", 1941, 251 L'istituzione dell'eforato, "Archivio della Cultura italiana", 1941, 251 Il significato di una valutazione tecnica della realtà, "Archivio della Cultura italiana", 1943, 5 Piero Martinetti (1872-1943), "Archivio della Cultura italiana", 1943, 81 L'impiego delle categorie o dei concetti puri ed il valore della coazione e dei postulati nella filosofia giuridica kantiana, "Annali della Ferrara",  VII, parte III (Facoltà di Giurisprudenza), 1947-48, 87 Recensione di Aurelio Candian, Avvocatura, Milano, 1949 in "Annali della Ferrara",  VII, parte III (Facoltà di Giurisprudenza), 1947-48, 163 Il liberalismo di Emile Faguet, "Rivista internazionale di filosofia del diritto", 1949, 163 Istituzioni in senso tecnico ed istituti giuridici nella concezione realistica di Santi Romano, "Annali della Ferrara",  VIII, anni accademici 1948-49 e 1949-50, 183 Il valore delle massime di equità, "Scritti giuridici in onore di Francesco Carnelutti",  I, Filosofia e teoria generale del diritto, Cedam, Padova, 1950, 295 L'umanesimo critico di Anatole France, "Rivista internazionale di filosofia del diritto", 1950, 439 Recensione di Rudolf Muller-Erzbach, "Rivista trimestrale di diritto e procedura civile", 1952, 1170 Rileggendo il Filomusi Guelfi, "Rivista internazionale di filosofia del diritto", 1951, 165 Il pensiero filosofico di Piero Martinetti, "Memorie dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna. Classe di Scienze Morali", Serie V,  II, Bologna, 1951, 1 Alcune considerazioni critiche sul diritto sociale, "Annali della Ferrara", Sezione X. Scienze Giuridiche.  I, 1950-51 e 1951-52, 1 Il valore dell'acquisto ideale nella filosofia giuridica di Kant, "Rivista internazionale di filosofia del diritto", 1951, 496 Sulla sociologia dei gruppi sociali, "Scritti di sociologia e politica in onore di Luigi Sturzo", Zanichelli, Bologna,  Isu luigisturzo.it. 13 novembre . Scritti su Cesare Goretti Gioele Solari, Recensione di C. Goretti, I fondamenti del diritto, in "Rivista di filosofia", 1931, 63 Norberto Bobbio, Cesare Goretti (1886-1952), in "Rivista internazionale di filosofia del diritto", 1952, 505 Giulio Bruni Roccia, Filosofia e realizzazione spirituale in Cesare Goretti, in "Rivista internazionale di filosofia del diritto", 1955, 486 Rinaldo Orecchia, voce Cesare Goretti della Enciclopedia filosofica,  II Venezia-Roma, Istituto per la Collaborazione culturale, 1957 Rinaldo Orecchia, Cesare Goretti, in Rinaldo Orecchia, Maestri italiani di filosofia del diritto del secolo XX, Bulzoni editore, Roma, 1978, 93 Silvana Castignone, I diritti animali: la prospettiva utilitaristica, "Materiali per una storia della cultura giuridica", 1983, 397 Francesco D'Agostino, I diritti degli animali, "Rivista internazionale di filosofia del diritto", 1994, 78 Valerio Pocar, Gli animali non umani, Laterza, Roma-Bari, 1998 Piero Martinetti, Pietà verso gli animali (Alessandro Di Chiara), Il melangolo, Genova, 1999 Paolo Di Lucia, La rilevanza di Cesare Goretti per la bioetica e l'etologia, "Annuario di itinerari filosofici", II, "Piacere, dolore, senso", Mimesis, Milano, 2000, 143 Giuseppe Lorini, Atti giuridici istituzionali, in Giuseppe Lorini (cur.), Atto giuridico, Adriatica, Bari, Paolo Di Lucia, Filosofia del diritto, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002, 83 Giuseppe Colombo, La filosofia come soteriologia: l'avventura spirituale e intellettuale di Piero Martinetti, Vita e Pensiero, Milano, 2005 Carlo Galli, Carl Schmitt nella cultura italiana (1924-1978). Storia, bilancio, prospettive di una presenza problematica, "Storicamente", , n. 6 testo online, su storicamente.org. 15 novembre . Giuseppe Lorini, Due a priori del diritto: l'a priori del giuridico in Cesare Goretti vs l'a priori giuridico in Adolf Reinach, in Francesca De Vecchi (cur.), Fenomenologia del diritto. Adolf Reinach, Mimesis, Milano,  Attilio Pisanò, Diritti deumanizzati: animali, ambiente, generazioni future, specie umana, Giuffrè, Milano, , 39 Note  Lettera n. 50, Piero Martinetti e Cesare Goretti a Luigi Mangiagalli, 31 marzo 1926, in Piero Martinetti Lettere (1919-1942), Firenze, 55.  Massimo Mori, Rivista di filosofia, "Segni e comprensione", maggio-agosto 2004, 25, su segniecomprensione.it. 15 novembre  7 marzo ).  Brixia Sacra. Memorie storiche della Diocesi di Brescia, 1971  Gioele Solari, Luigi Fossati (1871-1945). Necrologio, "Rivista di filosofia", 1945, 3  Giuseppe Colombo, La filosofia come soteriologia: l'avventura spirituale e intellettuale di Piero Martinetti, Vita e Pensiero, Milano, Luigi FossatiArchivi del Garda, in Archivi del Garda. 7 maggio .  500Errore: 500  Paolo Di Lucia, Filosofia del diritto, Raffaello Cortina editore, Milano, 2002, 81  Attilio Pisanò, Diritti deumanizzati: animali, ambiente, generazioni future, specie umana, Giuffrè, Milano, 39  Piero Martinetti, La psiche degli animali in Saggi e discorsi, Paravia, Torino, 1926, ore in Pietà verso gli animali (Alessandro De Chiara), Il Melangolo, Genova, 1999  Cesare Goretti, L'animale come soggetto di diritto, in Rivista di filosofia, 1928, 348 ss.; per estratto in Paolo Di Lucia, Filosofia del diritto, Raffaello Cortina editore, Milano, 2002, 83 s.  Paolo Di Lucia, Filosofia del diritto, Raffaello Cortina editore, Milano, 2002, 82  Attilio Pisanò, Diritti deumanizzati: animali, ambiente, generazioni future, specie umana, Giuffrè, Milano, , 39 s.  Istitutismo è un neologismo coniato da Pietro Piovani, Mobilità, sistematicità, istituzionalità della lingua e del diritto, Giuffré, Milano, 1962, 46; cfr. Giuseppe Lorini, Dimensioni giuridiche dell'istituzionale, Cedam, Padova, 2000, 6  Giuseppe Lorini, Dimensioni giuridiche dell'istituzionale, Cedam, Padova, 2000, 9  Cosa resta dell'istituzionalismo giuridico, “L'ircocervo”, 2004  Lorenzo Passerini Glazel, Tetracotomomia delle istituzioni in René-Georges Renard, "Saggi in ricordo di Aristide Tanzi", Giuffré, Milano, 2009, 364, nota 28  Massimo Brutti, Alcuni usi del concetto di struttura nella conoscenza giuridica, "Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno", 1974-75, 763 Archiviato il 21 maggio 2009 in .  Neil McCormickOta Weinberger, Il diritto come istituzione, M. La Torre, Milano, 1990  M. La Torre, Norme, istituzioni, valori. Per una teoria istituzionalistica del diritto, Bari, 1999.  Istituzionalismo Diritti degli animali Filosofia del diritto Piero Martinetti Gioele Solari Jean Ray (giurista) Giuramento di fedeltà al Fascismo Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Cesare Goretti  Paolo di Lucia (cur.), PaviaCentro di filosofia sociale, Cesare Goretti (biografia,  di e su Goretti), su cfs.unipv.it. 5 novembre  4 febbraio 2007). Giorgio Saracco, Omaggio a Piero Martinetti (18721943), su giorgiosaracco.it. 4 novembre  3 marzo ). Fondazione Casa e Archivio Piero Martinetti (ONLUS), su fondazionepieromartinetti.org. C. Goretti, Sulla sociologia dei gruppi sociali, in "Scritti di sociologia e politica in onore di Luigi Sturzo", Zanichelli, Bologna,  II, 1953, 253 , su luigisturzo.it

 

Gori: Gino Gori (Roma), filosofo.È noto soprattutto come autore di narrativa, come critico e come teorico dell'arte teatrale e specificamente del suo rinnovamento in chiave modernista.  Opere Il mantello di Arlecchino (Roma 1913); Er libbro rosso de la guera (Roma 1915); Le bruttezze della Divina Commedia (Alatri 1920); Le bellezze della Divina Commedia (Milano 1921); Studi di estetica dell'irrazionale (Milano 1921); Il mulino della luna (Milano 1924); L'irrazionale, in due volumi: Filosofia ed estetica. Sistema di una nuova scienza del bello; L'eroe e la falce. Scorcio architettonico di letteratura europea dalle origini ai nostri giorni (Foligno 1924); Cagliostro (Milano 1925); Il teatro contemporaneo e le sue correnti caratteristiche di pensiero e di vita nelle varie nazioni (Torino-Milano-Roma 1924); L'oca azzurra (Roma 1925); Il grande amore (Firenze 1926); Scenografia. La tradizione e la rivoluzione contemporanea (Roma 1926); Il grottesco nell'arte e nella letteratura (Milano 1927).  P.D. Giovanelli, Gino Gori. L'irrazionale e il teatro, Roma, Bulzoni, 1978. U. Piscopo, Gino Gori, in E. Godoli , Dizionario del futurismo, Firenze, 2001.  U. Piscopo, Gori, Gino, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.

 

grammaticum: Grice: “strictly, I’m a grammarian, for I’m a B. A. and M. A. in litterae humaniores, and litterae is nothing but a rought transliteration of Grecian ‘grammatike tekhne’ -- Is there a ‘grammar’ of gestures? How loose can an Oxonian use ‘grammar’? Sometimes geography, sometimes botany“Grammatica” the Romans never cared to translate. Although ‘literature’ is the cognate.For some reasons, the Greeks were obsessed with the alphabetIt was a trivial ‘art’. Like ‘logic,’ and philosophy is NOT an art or ‘techne.’ A philosopher is not a technicianand hardly an artist like William Morris (his ‘arts and crafts’ is a joke since it translates in Latin to ‘ars et ars,’ and ‘techne kai techne’). The sad thing is that at MIT, as Grice knew, Chomsky is appointed professor of philosophy, and he mainly writes about ‘grammar’! Later, Chomsky tries to get more philosophical, but chooses the wrong paradigmCartesianism, the ghost in the machine, in Ryle’s parlance. Odly, Oxonians, who rarely go to grammar schools, see ‘grammar’ as a divinity, and talk of the logical grammar of a Ryleian agitation, say. It sounds high class because there is the irony that an Oxonian philosopher is surely not a common-or-garden grammarian, involved in the grammar of, say, “Die Deutsche Sprache.” The Oxonian is into the logical grammar. It is more of a ‘linguistic turn’ expression than the duller ‘conceptual analysis,’ or ‘linguistic philosophy.’ cf. logical form, and Russell, “grammar is a pretty good guide to logical form.” while philosophers would use grammar jocularly, Chomsky didnt. The problem, as Grice notes, is that Chomsky never tells us where grammar ends (“or begins for that matter.”) “Consider the P, karulising elatically.” When Carnap introduces the P, he talks syntax, not grammar. But philosophers always took semiotics more seriously than others. So Carnap is well aware of Morriss triad of the syntactics, the semantics, and the pragmatics. Philosophers always disliked grammar, because back in the days of Aelfric, philosophia was supposed to embrace dialectica and grammatica, and rhetorica. “It is all part of philosophy.” Truth-conditional semantics and implicatura. grammar, a system of rules specifying a language. The term has often been used synonymously with ‘syntax’, the principles governing the construction of sentences from words perhaps also including the systems of word derivation and inflection  case markings, verbal tense markers, and the like. In modern linguistic usage the term more often encompasses other components of the language system such as phonology and semantics as well as syntax. Traditional grammars that we may have encountered in our school days, e.g., the grammars of Latin or English, were typically fragmentary and often prescriptive  basically a selective catalog of forms and sentence patterns, together with constructions to be avoided. Contemporary linguistic grammars, on the other hand, aim to be descriptive, and even explanatory, i.e., embedded within a general theory that offers principled reasons for why natural languages are the way they are. This is in accord with the generally accepted view of linguistics as a science that regards human language as a natural phenomenon to be understood, just as physicists attempt to make sense of the world of physical objects. Since the publication of Syntactic Structures 7 and Aspects of the Theory of Syntax 5 by Noam Chomsky, grammars have been almost universally conceived of as generative devices, i.e., precisely formulated deductive systems  commonly called generative grammars  specifying all and only the well-formed sentences of a language together with a specification of their relevant structural properties. On this view, a grammar of English has the character of a theory of the English language, with the grammatical sentences and their structures as its theorems and the grammar rules playing the role of the rules of inference. Like any empirical theory, it is subject to disconfirmation if its predictions do not agree with the facts  if, e.g., the grammar implies that ‘white or snow the is’ is a wellformed sentence or that ‘The snow is white’ is not. The object of this theory construction is to model the system of knowledge possessed by those who are able to speak and understand an unlimited number of novel sentences of the language specified. Thus, a grammar in this sense is a psychological entity  a component of the human mind  and the task of linguistics avowedly a mentalistic discipline is to determine exactly of what this knowledge consists. Like other mental phenomena, it is not observable directly but only through its effects. Thus, underlying linguistic competence is to be distinguished from actual linguistic performance, which forms part of the evidence for the former but is not necessarily an accurate reflection of it, containing, as it does, errors, false starts, etc. A central problem is how this competence arises in the individual, i.e., how a grammar is inferred by a child on the basis of a finite, variable, and imperfect sample of utterances encountered in the course of normal development. Many sorts of observations strongly suggest that grammars are not constructed de novo entirely on the basis of experience, and the view is widely held that the child brings to the task a significant, genetically determined predisposition to construct grammars according to a well-defined pattern. If this is so, and since apparently no one language has an advantage over any other in the learning process, this inborn component of linguistic competence can be correctly termed a universal grammar. It represents whatever the grammars of all natural languages, actual or potential, necessarily have in common because of the innate linguistic competence of human beings. The apparent diversity of natural languages has often led to a serious underestimation of the scope of universal grammar. One of the most influential proposals concerning the nature of universal grammar was Chomsky’s theory of transformational grammar. In this framework the syntactic structure of a sentence is given not by a single object e.g., a parse tree, as in phrase structure grammar, but rather by a sequence of trees connected by operations called transformations. The initial tree in such a sequence is specified generated by a phrase structure grammar, together with a lexicon, and is known as the deep structure. The final tree in the sequence, the surface structure, contains the morphemes meaningful units of the sentence in the order in which they are written or pronounced. For example, the English sentences ‘John hit the ball’ and its passive counterpart ‘The ball was hit by John’ might be derived from the same deep structure in this case a tree looking very much like the surface structure for the active sentence except that the optional transformational rule of passivization has been applied in the derivation of the latter sentence. This rule rearranges the constituents of the tree in such a way that, among other changes, the direct object ‘the ball’ in deep structure becomes the surface-structure subject of the passive sentence. It is thus an important feature of this theory that grammatical grammar grammar 352   352 relations such as subject, object, etc., of a sentence are not absolute but are relative to the level of structure. This accounts for the fact that many sentences that appear superficially similar in structure e.g., ‘John is easy to please’, ‘John is eager to please’ are nonetheless perceived as having different underlying deep-structure grammatical relations. Indeed, it was argued that any theory of grammar that failed to make a deep-structure/surface-structure distinction could not be adequate. Contemporary linguistic theories have, nonetheless, tended toward minimizing the importance of the transformational rules with corresponding elaboration of the role of the lexicon and the principles that govern the operation of grammars generally. Theories such as generalized phrase-structure grammar and lexical function grammar postulate no transformational rules at all and capture the relatedness of pairs such as active and passive sentences in other ways. Chomsky’s principles and parameters approach 1 reduces the transformational component to a single general movement operation that is controlled by the simultaneous interaction of a number of principles or subtheories: binding, government, control, etc. The universal component of the grammar is thus enlarged and the contribution of languagespecific rules is correspondingly diminished. Proponents point to the advantages this would allow in language acquisition. Presumably a considerable portion of the task of grammar construction would consist merely in setting the values of a small number of parameters that could be readily determined on the basis of a small number of instances of grammatical sentences. A rather different approach that has been influential has arisen from the work of Richard Montague, who applied to natural languages the same techniques of model theory developed for logical languages such as the predicate calculus. This so-called Montague grammar uses a categorial grammar as its syntactic component. In this form of grammar, complex lexical and phrasal categories can be of the form A/B. Typically such categories combine by a kind of “cancellation” rule: A/B ! B P A something of category A/B combines with something of category B to yield something of category A. In addition, there is a close correspondence between the syntactic category of an expression and its semantic type; e.g., common nouns such as ‘book’ and ‘girl’ are of type e/t, and their semantic values are functions from individuals entities, or e-type things to truth-values T-type things, or equivalently, sets of individuals. The result is an explicit, interlocking syntax and semantics specifying not only the syntactic structure of grammatical sentences but also their truth conditions. Montague’s work was embedded in his own view of universal grammar, which has not, by and large, proven persuasive to linguists. A great deal of attention has been given in recent years to merging the undoubted virtues of Montague grammar with a linguistically more palatable view of universal grammar.  Refs.: One source is an essay on ‘grammar’ in the H. P. Grice Papers, BANC.

 

gramsci: a. political leader whose imprisonment by the Fascists for his involvement with the Communist Party had the ironical result of sparing him from Stalinism and enabling him to better articulate his distinctive political philosophy. Gramsci welcomes the Bolshevik Revolution as a “revolution against Capital” rather than against capitalism: as a revolution refuting the deterministic Marxism according to which socialism could arise only by the gradual evolution of capitalism, and confirming the possibility of the radical transformation of social institutions. In 1 he supported creation of the  Communist Party; as its general secretary from 4, he tried to reorganize it along more democratic lines. In 6 the Fascists outlawed all opposition parties. Gramsci spent the rest of his life in various prisons, where he wrote more than a thousand s of notes ranging from a few lines to chapterlength essays. These Prison Notebooks pose a major interpretive challenge, but they reveal a keen, insightful, and open mind grappling with important social and political problems. The most common interpretation stems from Palmiro Togliatti, Gramsci’s successor as leader of  the  Communists. After the fall of Fascism and the end of World War II, Togliatti read into Gramsci the so-called  road to socialism: a strategy for attaining the traditional Marxist goals of the classless society and the nationalization of the means of production by cultural means, such as education and persuasion. In contrast to Bolshevism, one had to first conquer social institutions, and then their control would yield the desired economic and political changes. This democratic theory of Marxist revolution was long regarded by many as especially relevant to Western industrial societies, and so for this and other reasons Gramsci is a key figure of Western Marxism. The same theory is often called Gramsci’s theory of hegemony, referring to a relationship between two political units where one dominates the other with the consent of that other. This interpretation was a political reconstruction, based primarily on Gramsci’s Communist involvement and on highly selective passages from the Notebooks. It was also based on exaggerating the influence on Gramsci of Marx, Engels, Lenin, and Gentile, and minimizing influences like Croce, Mosca, Machiavelli, and Hegel. No new consensus has emerged yet; it would have to be based on analytical and historical spadework barely begun. One main interpretive issue is whether Gramsci, besides questioning the means, was also led to question the ends of traditional Marxism. In one view, his commitment to rational persuasion, political realism, methodological fallibilism, democracy, and pluralism is much deeper than his inclinations toward the classless society, the abolition of private property, the bureaucratically centralized party, and the like; in particular, his pluralism is an aspect of his commitment to the dialectic as a way of thinking, a concept he adapted from Hegel through Croce.  Antonio Gramsci, nome completo, così come registrato nell'atto di battesimo, Antonio Sebastiano Francesco Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891Roma, 27 aprile 1937), politico, filosofo, politologo, giornalista, linguista e critico letterario italiano. Nel 1921 fu tra i fondatori del Partito Comunista d'Italia, divenendone esponente di primo piano e segretario dal 1924 al 1927, ma nel 1926 venne ristretto dal regime fascista nel carcere di Turi. Nel 1934, in seguito al grave deterioramento delle sue condizioni di salute, ottenne la libertà condizionata e fu ricoverato in clinica, dove trascorse gli ultimi anni di vita.  Considerato uno dei più importanti pensatori del XX secolo, nei suoi scritti, tra i più originali della tradizione filosofica marxista, Gramsci analizzò la struttura culturale e politica della società. Elaborò in particolare il concetto di egemonia, secondo il quale le classi dominanti impongono i propri valori politici, intellettuali e morali a tutta la società, con l'obiettivo di saldare e gestire il potere intorno a un senso comune condiviso da tutte le classi sociali, comprese quelle subalterne. Gli antenati paterni di Antonio Gramsci erano originari della città di Gramshi in Albania, e potrebbero essere giunti in Italia fin dal XVI secolo, durante la diaspora albanese causata dall'invasione turca. Documenti d'archivio attestano che nel Settecento il trisavolo Gennaro Gramsci, sposato con Domenica Blajotta, possedeva a Plataci, comunità ‘’arbëreshë’’ del distretto di Castrovillari, delle terre poi ereditate da Nicola Gramsci (1769-1824). Questi sposò Maria Francesca Fabbricatore, e dal loro matrimonio nacque a Plataci Gennaro Gramsci (1812-1873), che intraprese la carriera militare nella gendarmeria del Regno di Napoli e, quando era di stanza a Gaeta, sposò Teresa Gonzales, figlia di un avvocato napoletano di origini spagnole. Il loro secondo figlio fu Francesco (1860-1937), il padre di Antonio Gramsci.  Le origini albanesi erano conosciute dallo stesso Antonio Gramsci, che tuttavia le immaginava più recenti, come scriverà alla cognata Tatiana Schucht dal carcere di Turi, il 12 ottobre del 1931:  «[...] io stesso non ho alcuna razza; mio padre è di origine albanese (la famiglia scappò dall'Epiro durante la guerra del 1821, ma si italianizzò rapidamente). Tuttavia la mia cultura è italiana, fondamentalmente questo è il mio mondo; non mi sono mai accorto di essere dilaniato tra due mondi. L'essere io oriundo albanese non fu messo in giuoco perché anche Crispi era albanese, educato in un collegio albanese.»   Ghilarza: casa museo Antonio Gramsci Francesco era studente in legge quando morì il padre; dovendo trovare subito un lavoro, nel 1881 partì per la Sardegna per impiegarsi nell'Ufficio del registro di Ghilarza. In questo paese, che allora contava circa 2.200 abitanti, conobbe Giuseppina Marcias (1861-1932), figlia di un esattore delle imposte e proprietario di alcune terre. La sposò nel 1883, malgrado l'opposizione dei familiari, rimasti in Campania, che consideravano i Marcias una famiglia di rango inferiore alla propria dal punto di vista sociale e culturale: Giuseppina aveva studiato fino alla terza elementare. Dal matrimonio nascerà Gennaro (1884-1965) e, dopo che Francesco Gramsci fu trasferito da Ghilarza ad Ales, Grazietta (1887-1962), Emma (1889-1920). Antonio Gramsci nasce ad Ales secondo il registro delle nascite dello stato civile del comune il 22 gennaio 1891 e registrato con i nomi di Antonio, Francesco; secondo il registro dei battesimi della parrocchia di San Pietro e Paolo nasce il giorno dopo, il 23 gennaio 1891, e viene registrato con i nomi di Antonio, Sebastiano, Francesco.  Sette mesi dopo la nascita di Antonio, Francesco Gramsci fu trasferito, come gerente dell'Ufficio del Registro, a Sorgono e qui nacquero gli altri figli, Mario (1893-1945), Teresina (1895-1976) e Carlo (1897-1968). Antonio a due anni si ammalò del morbo di Pott, una tubercolosi ossea che in pochi anni gli deformò la colonna vertebrale e gli impedì una normale crescita: adulto, Gramsci non supererà il metro e mezzo di altezza; i genitori pensavano che la sua deformità fosse la conseguenza di una caduta e anche Antonio rimase convinto di quella spiegazione. Ebbe sempre una salute delicata: a quattro anni, soffrendo di emorragie e convulsioni, fu dato per spacciato dai medici, tanto che la madre comprò la bara e il vestito per la sepoltura.  Il padre Francesco fu arrestato il 9 agosto 1898, con l'accusa di peculato, concussione e falsità in atti, e il 27 ottobre 1900 venne condannato al minimo della pena con l'attenuante del «lieve valore»: 5 anni, 8 mesi e 22 giorni di carcere, da scontare a Gaeta; priva del sostegno dello stipendio del padre, la famiglia Gramsci trascorse anni di estrema miseria, che la madre affrontò vendendo la sua parte di eredità, tenendo a pensione il veterinario del paese e guadagnando qualche soldo cucendo camicie. Proprio per le sue delicate condizioni di salute Antonio cominciò a frequentare la scuola elementare soltanto a sette anni: la concluse nel 1903 con il massimo dei voti, ma la situazione familiare non gli permise di iscriversi al ginnasio. Già dall'estate precedente aveva iniziato a dare il suo contributo all'economia domestica lavorando 10 ore al giorno nell'Ufficio del catasto di Ghilarza per 9 lire al mesel'equivalente di un chilo di pane al giornosmuovendo «registri che pesavano più di me e molte notti piangevo di nascosto perché mi doleva tutto il corpo».   Antonio Gramsci nel 1906 Il 31 gennaio 1904 Francesco Gramsci, grazie a un'amnistia, anticipò di tre mesi la fine della sua pena: inizialmente guadagnò qualcosa come segretario in un'assicurazione agricola, poi, riabilitato, fece il patrocinante in conciliatura e infine fu riassunto come scrivano nel vecchio Ufficio del catasto, dove lavorò per il resto della sua vita. Così, pur affrontando gli abituali sacrifici, i genitori poterono iscrivere il quindicenne Antonio nel Ginnasio comunale di Santu Lussurgiu, a 18 chilometri da Ghilarza, «un piccolo ginnasio in cui tre sedicenti professori sbrigavano, con molta faccia tosta, tutto l'insegnamento delle cinque classi».  Con tale preparazione un poco avventurosa, riuscì tuttavia a prendere la licenza ginnasiale a Oristano nell'estate del 1908 e a iscriversi al Liceo classico Giovanni Maria Dettori di Cagliari, stando a pensione, prima in un appartamento in via Principe Amedeo 24, poi, l'anno dopo, in corso Vittorio Emanuele 149, insieme con il fratello Gennaro, il quale, terminato il servizio di leva a Torino, lavorava per cento lire al mese in una fabbrica di ghiaccio del capoluogo sardo.  La modesta preparazione ricevuta nel ginnasio si fece sentire, perché inizialmente Gramsci nelle diverse materie ottenne appena la sufficienza, ma riuscì a recuperare in fretta: del resto, leggere e studiare erano i suoi impegni costanti. Non si concedeva distrazioni, non soltanto perché avrebbe potuto permettersele solo con grandi sacrifici, ma anche perché l'unico vestito che possedeva, per lo più liso, non lo incoraggiava a frequentare né gli amici, né i locali pubblici. A scuola, mostrò uno spiccato interesse per le discipline umanistiche e per lo studio della storia, anche perché il cattivo insegnamento ricevuto in matematica gli fece perdere l'interesse per la materia.  Nel frattempo, il giovane Gramsci, iniziò a seguire le vicende politiche. Il fratello Gennaro, che era tornato in Sardegna militante socialista, ai primi del 1911 divenne cassiere della Camera del lavoro e segretario della sezione socialista di Cagliari: «Una grande quantità di materiale propagandistico, libri, giornali, opuscoli, finiva a casa. Nino, che il più delle volte passava le sere chiuso in casa senza neanche un'uscita di pochi momenti, ci metteva poco a leggere quei libri e quei giornali». Leggeva anche i romanzi popolari di Carolina Invernizio, di Anton Giulio Barrili e quelli di Grazia Deledda, ma questi ultimi non li apprezzava, considerando folkloristica la visione che della Sardegna aveva la scrittrice sarda; leggeva Il Marzocco e La Voce di Giuseppe Prezzolini, Papini, Emilio Cecchi «ma in cima alle sue raccomandazioni, quando mi chiedeva di ritagliare gli articoli e di custodirli nella cartella, stavano sempre Croce e Salvemini».  Alla fine della seconda classe liceale, alla cattedra di lettere italiane del Liceo salì il professor Raffa Garzia, radicale e anticlericale, direttore de L'Unione Sarda, quotidiano legato alle istanze sarde, rappresentate, in Parlamento da Francesco Cocco-Ortu, allora impegnato in una dura opposizione al ministero di Luigi Luzzatti. Gramsci instaurò con il Garzia un buon rapporto, che andava oltre il naturale discepolato: invitato ogni tanto a visitare la redazione del giornale, ricevette nell'estate del 1910 la tessera di giornalista, con l'invito a «inviare tutte le notizie di pubblico interesse»: e il 25 luglio Gramsci ebbe la soddisfazione di vedersi stampato il suo primo scritto pubblico, venticinque righe di cronaca ironica su un fatto avvenuto nel paese di Aidomaggiore.  In un tema dell'ultimo anno di liceo, che ci è conservato, Gramsci scriveva, tra l'altro, che «Le guerre sono fatte per il commercio, non per la civiltà [...] la Rivoluzione francese ha abbattuto molti privilegi, ha sollevato molti oppressi; ma non ha fatto che sostituire una classe all'altra nel dominio. Però ha lasciato un grande ammaestramento: che i privilegi e le differenze sociali, essendo prodotto della società e non della natura, possono essere sorpassate». La sua concezione socialista, qui chiaramente espressa, va unita, in questo periodo, all'adesione all'indipendentismo sardo, nel quale egli esprimeva, insieme con la denuncia delle condizioni di arretratezza dell'isola e delle disuguaglianze sociali, l'ostilità verso le classi privilegiate del continente, fra le quali venivano compresi, secondo una polemica mentalità di origine contadina, gli stessi operai, concepiti come una corporazione elitaria fra i lavoratori salariati.  Poco dopo Gramsci conoscerà da vicino la realtà operaia di una grande città del Nord: nell'estate del 1911, il conseguimento della licenza liceale con una buona votazionetutti otto e un nove in italianogli prospetta la possibilità di continuare gli studi all'Università. Nell'autunno del 1911, il Collegio Carlo Alberto di Torino bandì un concorso, riservato a tutti gli studenti poveri licenziati dai Licei del Regno, offrendo 39 borse di studio, ciascuna equivalente a 70 lire al mese per 10 mesi, per poter frequentare l'Torino: Gramsci fu uno dei due studenti di Cagliari ammessi a sostenere gli esami a Torino. «Partii per Torino come se fossi in stato di sonnambulismo. Avevo 55 lire in tasca; avevo speso 45 lire per il viaggio in terza classe delle 100 avute da casa». Il 27 ottobre 1911 conclude gli esami: li supera classificandosi nono; al secondo posto è uno studente genovese venuto da Sassari, Palmiro Togliatti.  Si iscrive alla Facoltà di Lettere, ma le settanta lire al mese non bastano nemmeno per le spese di prima necessità: oltre alle tasse universitarie, deve pagare venticinque lire al mese per l'affitto della stanza di Lungo Dora Firenze 57, nel popolare quartiere di Porta Palazzo, e il costo della luce, della pulizia della biancheria, della carta e dell'inchiostro, e ci sono i pasti«non meno di due lire alla più modesta trattoria»e la legna e il carbone per il riscaldamento: privo anche di un cappotto, «la preoccupazione del freddo non mi permette di studiare, perché o passeggio nella camera per scaldarmi i piedi oppure devo stare imbacuccato perché non riesco a sostenere la prima gelata». Sono frequenti le richieste di denaro alla famiglia che però, da parte sua, non se la passava di certo molto meglio.  L'Università degli Studi di Torino vantava professori di alto livello e di diversa formazione: Luigi Einaudi, Francesco Ruffini, Vincenzo Manzini, Pietro Toesca, Achille Loria, Gioele Solari e poi il giovane linguista Matteo Bartoli, che si legò di amicizia con Gramsci, come fece anche l'incaricato di letteratura italiana Umberto Cosmo, contro il quale, nel 1920, indirizzò però un articolo violentemente polemico. Anni dopo, durante la dura esperienza in carcere, continuò comunque a ricordarlo con simpatia«serbo del Cosmo un ricordo pieno di affetto e direi di venerazione [...] era e credo sia tuttora di una grande sincerità e dirittura morale con molte striature di quella ingenuità nativa che è propria dei grandi eruditi e studiosi»ricordando anche che, con questi e con molti altri intellettuali dei primi quindici anni del secolo, malgrado divergenze di varia natura, egli avesse questo in comune: «partecipavamo in tutto o in parte al movimento di riforma morale e intellettuale promosso in Italia da Benedetto Croce, il cui primo punto era questo, che l'uomo moderno può e deve vivere senza religione rivelata o positiva o mitologica o come altro si vuol dire. Questo punto anche oggi mi pare il maggior contributo alla cultura mondiale che abbiano dato gli intellettuali moderni italiani».   Angelo Tasca Gramsci si ritrovò a casa per le elezioni politiche del 26 ottobre 1913, dopo la fine della guerra italo-turca contro l'Impero ottomano per la conquista della Libia; votavano per la prima volta anche gli analfabeti, ma la corruzione e le intimidazioni erano le stesse delle elezioni precedenti. In Sardegna, il timore che l'allargamento della base elettorale favorisse i socialisti portò al blocco delle candidature di tutte le forze politiche contro i candidati socialisti, indicati come il comune nemico da battere. In quest'obiettivo, "sardisti" e "non-sardisti" si trovarono d'accordo e deposero le vecchie polemiche. Gramsci scrisse di quest'esperienza elettorale al compagno di studi Angelo Tasca, giovane dirigente socialista torinese, il quale affermò che Gramsci «era stato molto colpito dalla trasformazione prodotta in quell'ambiente dalla partecipazione delle masse contadine alle elezioni, benché non sapessero e non potessero ancora servirsi per conto loro della nuova arma. Fu questo spettacolo, e la meditazione su di esso, che fece definitivamente di Gramsci un socialista».  Tornò a Torino ai primi di novembre del 1913, andando ad affittare una stanza all'ultimo piano del palazzo di via San Massimo 14, oggi Monumento nazionale; dovrebbe datarsi a questo periodo la sua iscrizione al Partito socialista. Si trovò in ritardo con gli esami, con il rischio di perdere il contributo della borsa di studio, a causa di «una forma di anemia cerebrale che mi toglie la memoria, che mi devasta il cervello, che mi fa impazzire ora per ora, senza che mi riesca di trovare requie né passeggiando, né disteso sul letto, né disteso per terra a rotolarmi in certi momenti come un furibondo». Riconosciuto «afflitto da grave nevrosi» gli fu concesso di recuperare gli esami nella sessione di primavera.[25]  Prese anche lezioni private di filosofia dal professore Annibale Pastore, il quale scrisse poi che «il suo orientamento era originalmente crociano ma già mordeva il freno e non sapeva ancora come e perché staccarsi [...] voleva rendersi conto del processo formativo della cultura agli scopi della rivoluzione [...] come fa il pensare a far agire [...] come le idee diventano forze pratiche». Gramsci stesso scriverà di aver sentito anche la necessità di «superare un modo di vivere e di pensare arretrato, come quello che era proprio di un sardo del principio del secolo, per appropriarsi un modo di vivere e di pensare non più regionale e da villaggio, ma nazionale» ma anche «di provocare nella classe operaia il superamento di quel provincialismo alla rovescia della palla di piombo [come il Sud Italia era generalmente considerato nel Nord] che aveva le sue profonde radici nella tradizione riformistica e corporativa del movimento socialista».[26]  L'iscrizione al partito gli permise di superare in parte un lungo periodo di solitudine: ora frequentava i giovani compagni di partito, fra i quali erano Tasca, Togliatti, Terracini: «uscivamo spesso dalle riunioni di partito [...] mentre gli ultimi nottambuli si fermavano a sogguardarci [...] continuavamo le nostre discussioni, intramezzandole di propositi feroci, di scroscianti risate, di galoppate nel regno dell'impossibile e del sogno».[27]  Nell'Italia che ha dichiarato la propria neutralità nella Prima guerra mondiale in corsoneutralità affermata anche dal Partito socialistascrive per la prima volta sul settimanale socialista torinese Il Grido del Popolo, il 31 ottobre 1914, l'articolo Neutralità attiva e operante in risposta a quello apparso il 18 ottobre sull'Avanti! di Mussolini Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva e operante,[28] senza però poter comprendere quale svolta politica stesse preparando l'allora importante e popolare esponente socialista.  Sostenne il 13 aprile 1915 quello che sarà, senza che lo sapesse ancora, il suo ultimo esame all'Università; il suo impegno politico si fece crescente con l'entrata in guerra dell'Italia e con il suo ingresso nella redazione torinese dell'Avanti!. Dal 1916 Gramsci trascorse gran parte delle sue giornate all'ultimo piano nel palazzo dell'Alleanza Cooperativa Torinese al numero 12 di corso Siccardi (oggi Galileo Ferraris), dove, in tre stanze, erano situate la sezione giovanile del partito socialista e le redazioni de Il Grido del Popolo e del foglio piemontese dell'Avanti!, che comprendeva la rubrica della cronaca torinese, Sotto la Mole; in entrambi i giornali Gramsci pubblicava di tutto, dai commenti sulla situazione interna ed estera agli interventi sulla vita di partito, dagli articoli di polemica politica alle note di costume, dalle recensioni dei libri alla critica teatrale.[29] Dirà più tardi di aver scritto in dieci anni di giornalismo «tante righe da poter costituire quindici o venti volumi di quattrocento pagine, ma esse erano scritte alla giornata e dovevano morire dopo la giornata»[30] e di aver contribuito «molto prima di Adriano Tilgher» a rendere popolare il teatro di Pirandello: «ho scritto sul Pirandello, dal 1915 al 1920, tanto da mettere insieme un volumetto di duecento pagine e allora le mie affermazioni erano originali e senza esempio: il Pirandello era o sopportato amabilmente o apertamente deriso».[31]  Della commedia di Pirandello Pensaci, Giacomino! scrisse che «è tutto uno sfogo di virtuosismo, di abilità letteraria, di luccichii discorsivi.[32] I tre atti corrono su un solo binario. I personaggi sono oggetto di fotografia piuttosto che di approfondimento psicologico: sono ritratti nella loro esteriorità più che in una intima ricreazione del loro essere morale. È questa del resto la caratteristica dell'arte di Luigi Pirandello, che coglie della vita la smorfia, più che il sorriso, il ridicolo, più che il comico: che osserva la vita con l'occhio fisico del letterato, più che con l'occhio simpatico dell'uomo artista e la deforma per un'abitudine ironica che è l'abitudine professionale più che visione sincera e spontanea», mentre considerò Liolà[33] «il prodotto migliore dell'energia letteraria di Luigi Pirandello. In esso il Pirandello è riuscito a spogliarsi delle sue abitudini retoriche. Il Pirandello è un umorista per partito preso [...] troppo spesso la prima intuizione dei suoi lavori viene a sommergersi in una palude retorica di una moralità inconsciamente predicatoria, e di molta verbosità inutile».  Il fu Mattia Pascal, secondo Gramsci, è una sorta di prima stesura del Liolà che, liberato dalla zavorra moralistica della vita, si è rinnovato diventando una pura rappresentazione, «una farsa che si riattacca ai drammi satireschi della Grecia antica, e che ha il suo corrispondente pittorico nell'arte figurativa vascolare [...] è una vita ingenua, rudemente sincera [...] una efflorescenza di paganesimo naturalistico, per il quale la vita, tutta la vita è bella, il lavoro è un'opera lieta, e la fecondità irresistibile prorompe da tutta la materia organica».  Severo fu invece il giudizio sul Così è (se vi pare):[34] dalla tesipseudologisticache la verità in sé non esista, Pirandello «non ha saputo trarre dramma [...] e neppure motivo a rappresentazione viva e artistica di caratteri, di persone vive che abbiano un significato fantastico, se non logico. I tre atti di Pirandello sono un semplice fatto di letteratura [...] puro e semplice aggregato di parole che non creano né una verità né un'immagine [...] il vero dramma l'autore l'ha solo adombrato, l'ha accennato: è nei due pseudopazzi che non rappresentano però la loro vera vita, l'intima necessità dei loro atteggiamenti esteriori, ma sono presentati come pedine della dimostrazione logica». Rivolgendosi ai giovani, scrisse da solo il numero unico del giornale dei giovani socialisti La Città futura, uscito l'11 febbraio 1917. Qui mostra la sua intransigenza politica, la sua ironia, anche contro i socialisti riformisti, il fastidio verso ogni espressione retorica ma anche la sua formazione idealistica, i suoi debiti culturali nei confronti di Croce, superiori perfino a quelli dovuti a Marx: «in quel tempo»scriverà«il concetto di unità di teoria e pratica, di filosofia e politica, non era chiaro in me e io ero tendenzialmente crociano».[35]  Nel marzo 1917 lo zar di Russia Nicola II è facilmente rovesciato da pochi giorni di manifestazioni popolari, per lo più spontanee, che chiedono pane e la fine dell'autocrazia: viene instaurato un moderato governo liberale e, insieme, si ricostituiscono i Soviet, forme di rappresentanza su base popolare già creati nella precedente Rivoluzione russa del 1905; le notizie giungono in Italia parziali e confuse: i quotidiani «borghesi» sostengono che si tratta dell'avviamento di un processo di democratizzazione in Russia, sull'esempio della grande Rivoluzione francese, mentre Gramsci è convinto che «la rivoluzione russa è [...] un atto proletario ed essa naturalmente deve sfociare nel regime socialista [...] i rivoluzionari socialisti non possono essere giacobini: essi in Russia hanno solo attualmente il compito di controllare che gli organismi borghesi [...] non facciano essi del giacobinismo».[36]  Con il ritorno in Russia di Lenin, che pone subito il problema della pace immediata e della consegna del potere ai Soviet, la lotta politica si radicalizza. Gramsci è convinto che Lenin abbia «suscitato energie che più non morranno. Egli e i suoi compagni bolscevichi sono persuasi che sia possibile in ogni momento realizzare il socialismo». Gramsci nega esplicitamente la necessità dell'esistenza di condizioni obiettive affinché una rivoluzione trionfi, quando scrive che i bolscevichi «sono nutriti di pensiero marxista. Sono rivoluzionari, non evoluzionisti. E il pensiero rivoluzionario nega il tempo come fattore di progresso. Nega che tutte le esperienze intermedie tra la concezione del socialismo e la sua realizzazione debbano avere nel tempo e nello spazio una riprova assoluta e integrale».[37] È l'anticipazione dell'articolo, più famoso, che scriverà subito dopo la notizia del successo della Rivoluzione d'ottobre.  Anche in Italia la guerra interminabile, costata già centinaia di migliaia di morti e di mutilati, la penuria dei generi alimentari, la sconfitta di Caporetto e la stessa eco provocata dalla rivoluzione russa portarono a insofferenze che a Torino sfociarono, il 23 agosto 1917, in un'autentica sommossa spontanea duramente repressa dal governo: oltre 50 morti, più di duecento feriti, la città dichiarata zona di guerra con la conseguente applicazione della legge marziale, arresti a catena che colpirono non solo i diretti responsabili ma, indiscriminatamente, anche gli elementi politici d'opposizione e segnatamente l'intero nucleo della sezione socialista, con l'accusa di istigazione alla rivoluzione. In conseguenza dell'emergenza venutasi a creare, la direzione della Sezione socialista torinese venne assunta da un comitato di dodici persone, del quale fece parte anche Gramsci, il quale rimane l'unico redattore de Il Grido del Popolo che cesserà le pubblicazioni il 19 ottobre 1918.   Gramsci nel 1922 I bolscevichi avevano preso il potere in Russia il 7 novembre 1917, ma per settimane in Europa giunsero solo notizie deformate, confuse e censurate, finché il 24 novembre l'edizione nazionale dell'Avanti! uscì con un editoriale dal titolo La rivoluzione contro il Capitale, firmato da Gramsci:[38]  «La rivoluzione dei bolscevichi è materiata di ideologia più che di fatti [...] essa è la rivoluzione contro il Capitale di Carlo Marx. Il Capitale di Marx era, in Russia, il libro dei borghesi, più che dei proletari. Era la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un'era capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale prima che il proletariato potesse neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua rivoluzione. I fatti hanno superato le ideologie. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico [...] se i bolscevichi rinnegano alcune affermazioni del Capitale, non ne rinnegano il pensiero immanente, vivificatore. Essi non sono «marxisti», ecco tutto; non hanno compilato sulle opere del Maestro una dottrina esteriore di affermazioni dogmatiche e indiscutibili. Vivono il pensiero marxista, quello che non muore mai, che è la continuazione del pensiero idealistico italiano e tedesco, che in Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e naturalistiche».[39]  In realtà Marx, almeno negli ultimi anni, non aveva escluso che un Paese arretrato potesse giungere al socialismo saltando fasi di sviluppo capitalistico:[40] ma qui interessa rilevare tanto la visione di Gramsci ancora idealistica, volontaristica, dell'azione politica, quanto la critica che di fatto Gramsci rivolgeva ai dirigenti socialisti europei, e italiani in particolare, di concepire lo sviluppo storico in modo meccanicistico.  Finita la guerra e usciti dal carcere i dirigenti torinesi del partito, dal 5 dicembre 1918 Gramsci lavorò unicamente all'edizione piemontese dell'Avanti!, che allora si stampava in via Arcivescovado 3, insieme con alcuni giovani colleghi: Giuseppe Amoretti, Alfonso Leonetti, Mario Montagnana, Felice Platone; ma egli e altri giovani socialisti torinesi, come Tasca, Togliatti e Terracini, intendevano ormai esprimere, dopo l'esperienza della rivoluzione russa, esigenze nuove nell'attività politica, che non sentivano rappresentate dalla Direzione nazionale del partito: «L'unico sentimento che ci unisse, in quelle nostre riunioni, era quello suscitato da una vaga passione di una vaga cultura proletaria; volevamo fare, fare, fare; ci sentivamo angustiati, senza un orientamento, tuffati nell'ardente vita di quei mesi dopo l'armistizio, quando pareva immediato il cataclisma della società italiana».[41] Il 1º maggio 1919 uscì il primo numero dell'Ordine nuovo con Gramsci segretario di redazione e animatore della rivista. La rivista ebbe un avvio incerto: all'inizio «il programma fu l'assenza di un programma concreto, per una vana e vaga aspirazione ai problemi concreti [...] nessuna idea centrale, nessuna organizzazione intima del materiale letterario pubblicato» Tasca intendeva farne una pubblicazione culturale: «per "cultura" intendeva "ricordare", non intendeva "pensare", e intendeva "ricordare" cose fruste, cose logore, la paccottiglia del pensiero operaio [...] fu una rassegna di cultura astratta, di informazione astratta, con la tendenza a pubblicare novelline orripilanti e xilografie bene intenzionate; ecco cosa fu l'Ordine nuovo nei suoi primi numeri [...]».[42]  Gramsci intendeva invece definirlo su posizioni nettamente operaistiche, ponendo all'ordine del giorno la necessità d'introdurre nelle fabbriche italiane nuove forme di potere operaio, i consigli di fabbrica, sull'esempio dei Soviet russi: «Ordimmo, io e Togliatti, un colpo di Stato redazionale; il problema delle commissioni interne fu impostato esplicitamente nel n. 7 della rassegna [...] il problema dello sviluppo della commissione interna divenne problema centrale, divenne l'idea dell'Ordine nuovo; era esso posto come problema fondamentale della rivoluzione operaia, era il problema della "libertà" proletaria. L'Ordine nuovo divenne, per noi e per quanti ci seguivano, "il giornale dei Consigli di fabbrica"; gli operai amarono l'Ordine nuovo [...] perché negli articoli del giornale ritrovavano una parte di se stessi, la parte migliore di se stessi; perché sentivano gli articoli dell'Ordine nuovo pervasi dallo stesso loro spirito di ricerca interiore: "Come possiamo diventar liberi? Come possiamo diventare noi stessi?". Perché gli articoli dell'Ordine nuovo non erano fredde architetture intellettuali, ma sgorgavano dalla discussione nostra con gli operai migliori, elaboravano sentimenti, volontà, passioni reali».[42]  Diversamente dalle Commissioni interne, già esistenti all'interno dalle fabbriche, che venivano elette soltanto dagli operai iscritti ai diversi sindacati, i Consigli dovevano essere eletti indistintamente da tutti gli operai e avrebbero dovuto, nel progetto degli ordinovisti, non tanto occuparsi dei consueti problemi sindacali, ma porsi problemi politici, fino al problema della stessa organizzazione, della gestione operaia della fabbrica, sostituendosi al capitalista: nel settembre 1919, alla FIAT furono eletti i primi Consigli.  La Confindustria, nella sua Conferenza nazionale del marzo 1920, espresse chiaramente «la necessità che la borghesia del lavoro attinga in se stessa [...] il mezzo per un'energica azione contro deviazioni e illusioni»[43] e il 20 marzo i tre maggiori industriali torinesi, Olivetti, De Benedetti e Agnelli fecero presente al prefetto Taddei la loro volontà di ricorrere all'arma della serrata delle fabbriche contro «l'indisciplina e le continue esorbitanti pretese degli operai».[44]  Così quando in occasione di una controversia sindacale nelle Industrie Metallurgiche tre membri delle commissioni interne furono licenziati e gli operai protestarono con lo sciopero, l'Associazione degli industriali metalmeccanici rispose il 29 marzo con la serrata di tutte le fabbriche torinesi. La lotta si estese fino allo sciopero generale proclamato a Torino il 15 aprile e in alcune province piemontesi, mentre il governo presidiava il capoluogo con migliaia di soldati. I tentativi degli ordinovisti di allargare la protesta, se non in tutta l'Italia, almeno nei maggiori centri industriali del paese, fallì e alla fine d'aprile gli operai furono costretti a riprendere il lavoro senza avere ottenuto nulla.  Lo sciopero fallì per la resistenza degli industriali ma anche per l'isolamento in cui la Camera del Lavoro, controllata dai socialisti riformisti, contrari alla costituzione dei Consigli operai, e lo stesso Partito socialista lasciarono i lavoratori torinesi; l'8 maggio Gramsci pubblicò sull'Ordine Nuovo una sua relazione,[45] approvata dalla Federazione torinese, che denunciava l'inefficienza e l'inerzia del Partito. Dopo aver sostenuto che era matura la trasformazione dell'«ordine attuale di produzione e di distribuzione» in un nuovo ordine che desse «alla classe degli operai industriali e agricoli il potere di iniziativa nella produzione», alla quale si opponevano gli industriali e i proprietari terrieri, appoggiati dallo Stato, Gramsci rilevava che «le forze operaie e contadine mancano di coordinamento e di concentrazione rivoluzionaria perché gli organismi direttivi del Partito socialista hanno rivelato di non comprendere assolutamente nulla della fase di sviluppo che la storia nazionale e internazionale attraversa nell'attuale periodo [...] il Partito socialista assiste da spettatore allo svolgersi degli eventi, non ha mai un'opinione sua da esprimere [...] non lancia parole d'ordine che possano essere raccolte dalle masse, dare un indirizzo generale, unificare e concentrare l'azione rivoluzionaria [...] il Partito socialista è rimasto, anche dopo il Congresso di Bologna,[46] un mero partito parlamentare, che si mantiene immobile entro i limiti angusti della democrazia borghese [...]».   Il numero dell'11 dicembre 1920 Rilevò la mancanza di omogeneità nella composizione del partito, in cui continuavano a essere presenti riformisti e «opportunisti», contrari agli indirizzi della III Internazionale. Non solo: «mentre la maggioranza rivoluzionaria del partito non ha avuto una espressione del suo pensiero e un esecutore della sua volontà nella direzione e nel giornale, gli elementi opportunisti invece si sono fortemente organizzati e hanno sfruttato il prestigio e l'autorità del Partito per consolidare le loro posizioni parlamentari e sindacali [...] se il Partito non realizza l'unità e la simultaneità degli sforzi, se il Partito si rivela un mero organismo burocratico, senza anima e senza volontà, la classe operaia istintivamente tende a costituirsi un altro partito e si sposta verso tendenze anarchiche [...]».  Il Partito socialista non svolge alcuna funzione di educazione e di spiegazione di quanto sta avvenendo nella scena internazionale, dalla quale esso è assente, non partecipando nemmeno alle riunioni dell'Internazionale comunista, le cui tesi non sono riportate nell'Avanti!. Analogamente, le edizioni socialiste non stampano le pubblicazioni comuniste: «valga per tutte il volume di Lenin Stato e rivoluzione». Occorre pertanto, secondo Gramsci, che il Partito socialista acquisti «una sua figura precisa e distinta: da partito parlamentare piccolo borghese deve diventare il partito del proletariato rivoluzionario che lotta per l'avvenire della società comunista [...] i non comunisti rivoluzionari devono essere eliminati dal Partito [...] ogni avvenimento della vita proletaria nazionale e internazionale deve essere immediatamente commentata [...] per trarne argomenti di propaganda comunista e di educazione delle coscienze rivoluzionarie [...] le sezioni devono promuovere in tutte le fabbriche, nei sindacati, nelle cooperative, nelle caserme la costituzione di gruppi comunisti [...] l'esistenza di un Partito comunista coeso e fortemente disciplinato [...] è la condizione fondamentale e indispensabile per tentare qualsiasi esperimento di Soviet [...] il Partito deve lanciare un manifesto nel quale la conquista rivoluzionaria del potere politico sia posta in modo esplicito [...]».[47] La risoluzione dell'Internazionale comunista che chiedeva ai partiti socialisti l'allontanamento dei riformisti, venne disattesa dal Partito Socialista Italiano. Infatti, a dispetto dell'approvazione e dell'avallo ottenuto dagli ordinovisti da parte di Lenin nel corso del II Congresso dell'Internazionale,[48] alla quale il PSI aveva aderito con il congresso di Bologna tenuto nell'ottobre del 1919, i vecchi dirigenti del partito erano riluttanti di fronte alla svolta politica e sociale realizzatasi nel dopoguerra.  In Italia, le rivendicazioni salariali, rese necessarie dall'elevato indice d'inflazione, non trovavano accoglienza presso gli industriali. Il 30 agosto 1920, a Milano, a seguito della serrata dell'Alfa Romeo, 300 fabbriche furono occupate dagli operai: la FIOM appoggiò l'iniziativa, ordinando l'occupazione di tutte le fabbriche metalmeccaniche d'Italia, con la speranza che una tale, estrema iniziativa provocasse l'intervento del governo a favore di una soluzione delle trattative. All'inizio di settembre tutte le maggiori fabbriche d'Italia erano occupate da mezzo milione di operai, parte dei quali armati, sia pure in modo rudimentale; alla FIAT di Torino, tuttavia, ci fu una novità: dell'ufficio di Giovanni Agnelli prese possesso l'operaio comunista Giovanni Parodi e i Consigli di fabbrica decisero di continuare la produzione, per dimostrare che una grande fabbrica poteva funzionare anche in assenza del proprietario.   Giovanni Giolitti Di fronte alla neutralità del governo Giolitti e alla decisione della Confindustria di non cedere, il 10 settembre, nell'assemblea milanese che vide riuniti i dirigenti del Partito socialista e della Camera del Lavoro, questi ultimi si dimisero lasciando la gestione della difficile situazione al Partito, che tuttavia non aveva alcuna intenzione di prolungare l'agitazione: la proposta estrema dell'allargamento delle occupazioni a tutte le fabbriche del paese e alle campagne fu respinta dalla maggioranza dei rappresentanti. Un accordo salariale raggiunto con la mediazione di Giolitti pose termine, alla fine di settembre, alle occupazioni delle fabbriche.  Quell'esperienza dimostrò tanto la mancanza di una strategia dei dirigenti socialisti quanto l'impreparazione degli stessi operai a iniziative rivoluzionarie, per le quali occorrevano organizzazione e disciplina. In previsione del prossimo XVII Congresso del Partito socialista, Gramsci scrisse[49] che «la costituzione del Partito comunista crea le condizioni per intensificare e approfondire l'opera nostra: liberati dal peso morto degli scettici, dei chiacchieroni, degli irresponsabili, liberati dall'assillo di dover continuamente, nel seno del Partito, lottare contro i riformisti e gli opportunisti, di dover sventare le loro insidie, di dover analizzare e criticare i loro atteggiamenti equivoci e la loro fraseologia pseudo-rivoluzionaria, noi potremo dedicarci interamente al lavoro positivo, all'espansione del nostro programma di rinnovamento, di organizzazione, di risveglio delle coscienze e delle volontà».  Nell'ottobre 1920 si riunì a Milano il gruppo favorevole alla costituzione di un partito comunista e Amadeo Bordiga, Luigi Repossi, Bruno Fortichiari, Gramsci, Nicola Bombacci, Francesco Misiano e Umberto Terracini costituirono il Comitato provvisorio della frazione comunista del Partito Socialista.  La fondazione del Partito comunista  Il congresso di Livorno La scissione si realizzò il 21 gennaio 1921, nel Teatro San Marco di Livorno, con la nascita del «Partito Comunista d'Italia, sezione italiana dell'Internazionale». Il comitato centrale fu composto dagli astensionisti (Amadeo Bordiga, Ruggero Grieco, Giovanni Parodi, Cesare Sessa, Ludovico Tarsia e Bruno Fortichiari), dagli ex-massimalisti (Nicola Bombacci, Ambrogio Belloni, Egidio Gennari, Francesco Misiano, Anselmo Marabini, Luigi Repossi e Luigi Polano) e dagli ordinovisti Gramsci e Terracini.  Dal 1º gennaio 1921 Gramsci diresse l'Ordine nuovo, divenuto ora uno dei quotidiani comunisti insieme con Il Lavoratore di Trieste e Il Comunista di Roma, quest'ultimo diretto da Togliatti. Non venne eletto deputato alle elezioni del 15 maggio: Gramsci non ha capacità oratorie, è ancora giovane e anche la sua conformazione fisica non lo agevola nell'apprezzamento di molti elettori.  Alla fine di maggio partì per Mosca, designato a rappresentare il Partito italiano nell'esecutivo dell'Internazionale comunista. Vi arrivò già malato e nell'estate fu ricoverato in un sanatorio per malattie nervose di Mosca. Qui conobbe una degente russa, Eugenia Schucht, membro del Partito, figlia di Apollon Schucht, dirigente del Pcus e amico personale di Lenin,[50] che aveva vissuto alcuni anni in Italia e, attraverso di lei, la sorella Giulia (Julka) (1896-1980) che, violinista, aveva abitato diversi anni a Roma diplomandosi al Conservatorio Santa Cecilia.  Giulia, ventiseienne, è bella, alta, ha un aspetto romantico; Gramsci ne è conquistato: ricorderà «il primo giorno che [...] non osavo entrare nella tua stanza perché mi avevi intimidito [...] al giorno che sei partita a piedi e io ti ho accompagnato fino alla grande strada attraverso la foresta e sono rimasto tanto tempo fermo per vederti allontanare tutta sola, col tuo carico da viandante, per la grande strada, verso il mondo grande e terribile [...] ho molto pensato a te, che sei entrata nella mia vita e mi hai dato l'amore e mi hai dato ciò che mi era sempre mancato e mi faceva spesso cattivo e torbido».[51] E quell'immagine di lei, viandante in un mondo grande e terribile, con il suo senso doloroso di distacco, ritornerà ancora dal carcere: «Ricordi quando sei ripartita dal bosco d'argento [...] ti ho accompagnata fino all'orlo della strada maestra e sono rimasto a lungo a vederti allontanare [...] così ti vedo sempre mentre ti allontani a passi brevi, col violino in una mano e nell'altra la tua borsa da viaggio, così pittoresca».[52] Si sposano nel 1923 e avranno due figli, Delio, nato il 10 agosto 1924, e Giuliano, nato il 30 agosto 1926. Il figlio di quest'ultimo (nato nel 1965), porta il nome del nonno, vive a Mosca e pratica la musica medievale.[53] Giulia diverrà nel 1924 membro della OGPU, il servizio di Sicurezza sovietico.[54]   La moglie di Gramsci e i figli Delio e Giuliano A differenza di Bordiga, tutto inteso a salvaguardare la «purezza» programmatica del partito, e perciò contrario a qualunque iniziativa al di fuori della dittatura del proletariato, Gramsci guardava anche a obiettivi democratici, intermedi, raggiungibili utilizzando le contraddizioni presenti negli strati sociali e le forze che potevano rappresentare elementi di rottura, come il movimento sindacale cattolico di Guido Miglioli e l'intellettualità progressista liberale di cui Piero Gobetti è allora tra i maggiori rappresentanti.[55] Tuttavia nei suoi scritti fino al 1926 ribadisce che l'obiettivo finale era la eliminazione dello stato borghese e la dittatura del proletariato e anche nei suoi scritti successivi non si riscontrano critiche al regime sovietico.  Nel III Congresso dell'Internazionale comunista, di fronte al riflusso dell'ondata rivoluzionaria rappresentata dalle sconfitte delle esperienze comuniste in Germania e in Ungheria, si decise la tattica del fronte unito con la socialdemocrazia. Bordiga e la maggioranza dei dirigenti comunisti italiani si oppose, elaborando le Tesi di Roma, base programmatica del II Congresso del Partito, tenuto a Roma nel marzo del 1922. Gramsci vi aderì ma scrisse di aver «accettato le tesi di Amadeo perché esse erano presentate come una opinione per il Quarto Congresso [dell'Internazionale comunista] e non come un indirizzo di azione. Ritenevamo di mantenere così unito il partito attorno al suo nucleo fondamentale, pensavamo che si potesse fare ad Amadeo questa concessione [...] senza nuove crisi e nuove minacce di scissione nel seno del nostro movimento».[56]  Nel IV Congresso dell'Internazionale, tenutosi dal 5 novembre al 5 dicembre 1922, di fronte all'avvento al potere di Mussolini, ai delegati comunisti italiani fu posta con ancora maggior forza la necessità di fondersi con corrente socialista degli internazionalisti, capeggiata da Giacinto Menotti Serrati, e di costituire un nuovo Esecutivo, mettendo in minoranza Bordiga, sempre contrario a ogni accordo. Lo stesso Bordiga fu arrestato al suo rientro in Italia nel febbraio 1923 e, in settembre, a Milano, furono incarcerati anche i rappresentanti del nuovo Esecutivo: Gramsci restò così il massimo dirigente del Partito e nel novembre del 1923 si trasferì a Vienna per seguire più da vicino la situazione italiana. Fu allora che egli ritenne necessario rompere con la politica di Bordiga: «Il suo stesso carattere inflessibile e tenace fino all'assurdo ci obbliga [...] a prospettarci il problema di costruire il partito ed il centro di esso anche senza di lui e contro di lui. Penso che sulle quistioni di principio non dobbiamo più fare compromessi come nel passato: vale meglio la polemica chiara, leale, fino in fondo, che giova al partito e lo prepara ad ogni evenienza».[57]  Il 12 febbraio 1924 uscì a Milano il primo numero del nuovo quotidiano comunista l'Unità e dal primo marzo la nuova serie del quindicinale l'Ordine nuovo. Il titolo del giornale, da lui scelto, venne giustificato dalla necessità dell'«unità di tutta la classe operaia intorno al partito, unità degli operai e dei contadini, unità del Nord e del Mezzogiorno, unità di tutto il popolo italiano nella lotta contro il fascismo».Alle elezioni del 6 aprile venne eletto deputato al parlamento, potendo così rientrare a Roma, protetto dall'immunità parlamentare, il 12 maggio 1924. Quello stesso mese, nei dintorni di Como, si tenne un convegno illegale dei dirigenti delle Federazioni comuniste italiane: pubblicamente, si fingevano dipendenti di un'azienda milanese in gita turistica, con tanto di pubblici discorsi fascisti e inni a Mussolini,[58] mentre, a parte, discutevano dei problemi del partito.  Nel convegno si affrontò il «caso Bordiga», il quale aveva rifiutato la candidatura al Parlamento, era in rotta con la maggioranza dell'Internazionale e rifiutava ogni azione politica comune con le altre forze politiche di sinistra. Delle tre mozioni presentate, che rispecchiavano le tre correnti in seno al Partito, la corrente di destra di Tasca, di centro di Gramsci e Togliatti, e di sinistra di Bordiga, questa raccolse l'adesione della grande maggioranza dei delegati, confermando la notevole importanza di cui il rivoluzionario napoletano godeva nel Partito.  Il 10 giugno un gruppo di fascisti rapì e uccise il deputato socialista Giacomo Matteotti; sembrò allora che il fascismo stesse per crollare per l'indignazione morale che in quei giorni percorse il Paese, ma non fu così; l'opposizione parlamentare scelse la linea sterile di abbandonare il Parlamento, dando luogo alla cosiddetta Secessione dell'Aventino: i liberali speravano in un appoggio della Monarchia, che non venne, i cattolici erano ostili tanto ai fascisti che ai socialisti e questi ultimi erano ostili a tutti, comunisti compresi. Gramsci avanzò al «Comitato dei sedici»il nucleo dirigente dei gruppi aventinianila proposta di proclamare lo sciopero generale che però fu respinta; i comunisti uscirono allora dal «Comitato delle opposizioni» aventiniane il quale, secondo Gramsci, non aveva alcuna volontà di agire: ha una «paura incredibile che noi prendessimo la mano e quindi manovra per costringerci ad abbandonare la riunione».[59]   Giacomo Matteotti Malgrado le divisioni dell'opposizione antifascista, Gramsci credeva che la caduta del regime fosse imminente: «Il regime fascista muore perché non solo non è riuscito ad arrestare, ma anzi ha contribuito ad accelerare la crisi delle classi medie iniziatasi dopo la guerra. L'aspetto economico di questa crisi consiste nella rovina della piccola e media azienda [...] il monopolio del credito, il regime fiscale, la legislazione sugli affitti hanno stritolato la piccola impresa commerciale e industriale: un vero e proprio passaggio di ricchezza si è verificato dalla piccola e media alla grande borghesia [...] L'apparato industriale ristretto ha potuto salvarsi dal completo sfacelo solo per un abbassamento del livello di vita della classe operaia premuta dalla diminuzione dei salari, dall'aumento della giornata di lavoro [...] La disgregazione sociale e politica del regime fascista ha avuto la sua piena manifestazione di massa nelle elezioni del 6 aprile. Il fascismo è stato messo nettamente in minoranza nella zona industriale [...] Le elezioni del 6 aprile [...] segnarono l'inizio di quella ondata democratica che culminò nei giorni immediatamente successivi all'assassinio dell'on. Matteotti [...] le opposizioni avevano acquistato dopo le elezioni un'importanza politica enorme; l'agitazione da esse condotta nei giornali e nel Parlamento per discutere e negare la legittimità del governo fascista [...] si ripercuoteva nel seno dello stesso Partito nazionale fascista, incrinava la maggioranza parlamentare. Di qui l'inaudita campagna di minacce contro le opposizioni e l'assassinio del deputato unitario [...]» «Il delitto Matteotti dette la prova provata che il Partito fascista non riuscirà mai a diventare un normale partito di governo, che Mussolini non possiede dello statista e del dittatore altro che alcune pittoresche pose esteriori; egli non è un elemento della vita nazionale, è un fenomeno di folklore paesano, destinato a passare alla storia nell'ordine delle diverse maschere provinciali italiane, più che nell'ordine dei Cromwell, dei Bolívar, dei Garibaldi».[60]  S'ingannava, perché l'inerzia dell'opposizione non riuscì a dare alternative del blocco sociale in cui la piccola borghesia teme il «salto nel buio» della caduta del regime e i fascisti riprendono coraggio e ricominciano le violenze squadriste: in una delle tante viene aggredito anche Gobetti. E dopo il 12 settembre, quando il militante comunista Giovanni Corvi uccide in un tram il deputato fascista Armando Casalini, per vendicare la morte di Matteotti, la repressione s'inasprisce. Il 20 ottobre Gramsci propose vanamente che l'opposizione aventiniana si costituisca in «Antiparlamento», in modo da segnare nettamente la distanza e svuotare di significato un Parlamento di soli fascisti; il 26 partì per la Sardegna, per intervenire al Congresso regionale del partito e per rivedere i famigliari. Il 6 novembre si congedò dalla madre, che non avrebbe più rivisto.   Benito Mussolini Il 12 novembre 1924 il deputato comunista Luigi Repossi rientrò in Parlamento, dove sedevano solo i deputati fascisti e i loro alleati, per commemorare Matteotti a nome di tutto il suo partito; il 26 vi rientrò anche tutto il gruppo parlamentare comunista, a segnare l'inutilità dell'esperienza aventiniana. Il 27 dicembre 1924 il quotidiano di Giovanni Amendola Il Mondo pubblicò le dichiarazioni di Cesare Rossi, già capo ufficio stampa di Mussolini, a proposito del delitto Matteotti: «Tutto quanto è successo è avvenuto sempre per la volontà diretta o per l'approvazione o per la complicità del duce» e il 3 gennaio 1925 Mussolini, in un discorso rimasto famoso, a confermare quella testimonianza, dichiara alla Camera dei deputati di assumersi «la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto», dando il via a una nuova azione repressiva.  In febbraio Gramsci andò a Mosca, per stare con la moglie e conoscere finalmente il figlio Delio. Tornato in Italia a maggio, il 16 tenne il suo primoe unicodiscorso in Parlamento[61], davanti all'ex compagno di partito Mussolini, ora Primo ministro, che aveva descritto l'anno prima come un capo che «è divinizzato, è dichiarato infallibile, è preconizzato organizzatore e ispiratore di un rinato Sacro Romano Impero [...] Conosciamo quel viso: conosciamo quel roteare degli occhi nelle orbite che nel passato dovevano, con la loro ferocia meccanica, far venire i vermi alla borghesia e oggi al proletariato. Conosciamo quel pugno sempre chiuso alla minaccia [...] Mussolini [...] è il tipo concentrato del piccolo-borghese italiano, rabbioso, feroce impasto di tutti i detriti lasciati sul suolo nazionale da vari secoli di dominazione degli stranieri e dei preti: non poteva essere il capo del proletariato; divenne il dittatore della borghesia, che ama le facce feroci quando ridiventa borbonica».[62][63]  Con il pretesto di colpire la Massoneria, il governo aveva predisposto un disegno di legge per disciplinare l'attività di associazioni, enti e istituti: continuamente interrotto, Gramsci respinse il pretesto che il governo si era dato, «perché la Massoneria passerà in massa al Partito fascista e ne costituirà una tendenza, è chiaro che con questa legge voi sperate di impedire lo sviluppo di grandi organizzazioni operaie e contadine».  E ironizzando: «Qualche fascista ricorda ancora nebulosamente gli insegnamenti dei suoi vecchi maestri, di quando era rivoluzionario e socialista, e crede che una classe non possa rimanere tale permanentemente e svilupparsi fino alla conquista del potere, senza che essa abbia un partito e un'organizzazione che ne riassuma la parte migliore e più cosciente. C'è qualcosa di vero, in questa torbida perversione degli insegnamenti marxisti».  Concluse: «Voi potete conquistare lo Stato, potete modificare i codici, potete cercar di impedire alle organizzazioni di esistere nella forma in cui sono esistite fino adesso ma non potete prevalere sulle condizioni obbiettive in cui siete costretti a muovervi. Voi non farete che costringere il proletariato a ricercare un indirizzo diverso da quello fin oggi più diffuso nel campo dell'organizzazione di massa. Ciò noi vogliamo dire al proletariato e alle masse contadine italiane, da questa tribuna: che le forze rivoluzionarie italiane non si lasceranno schiantare, il vostro torbido sogno non riuscirà a realizzarsi». Dal 20 al 26 gennaio 1926 si svolse clandestinamente a Lione il III Congresso del Partito.[64] Vi parteciparono 70 delegati, con tutti i maggiori responsabili, Bordiga, Gramsci, Tasca, Togliatti, Grieco, Leonetti, Scoccimarro: vi era anche Serrati, che aveva lasciato da poco il Partito socialista di cui era stato a lungo dirigente di primo piano. Assisteva, a nome dell'Internazionale, Jules Humbert-Droz.[65] Gramsci presentò le Tesi congressuali elaborate insieme con Togliatti.[66]  Con un capitalismo debole e l'agricoltura base dell'economia nazionale, in Italia si assiste al compromesso fra industriali del Nord e proprietari fondiari del Sud, ai danni degli interessi generali della maggioranza della popolazione. Il proletariato, in quanto forza sociale omogenea e organizzata rispetto alla piccola borghesia urbana e rurale, che ha interessi differenziati, viene visto, nelle Tesi, «come l'unico elemento che per la sua natura ha una funzione unificatrice e coordinatrice di tutta la società.»[67]  Secondo Gramsci il fascismo non è, come invece ritiene Bordiga, l'espressione di tutta la classe dominante, ma è il frutto politico della piccola borghesia urbana e della reazione degli agrari che ha consegnato il potere alla grande borghesia, e la sua tendenza imperialistica è l'espressione della necessità, da parte delle classi industriali e agrarie, «di trovare fuori del campo nazionale gli elementi per la risoluzione della crisi della società italiana» che tuttavia permette, per la sua natura oppressiva e reazionaria, una soluzione rivoluzionaria delle contraddizioni sociali e politiche; le due forze sociali idonee a dar luogo a questa soluzione sono il proletariato del Nord e i contadini del Mezzogiorno.[68] A questo scopo, il Partito andrà bolscevizzato, ossia organizzato per cellule di fabbrica caratterizzate da una "disciplina di ferro" negando al suo interno la possibilità dell'esistenza delle frazioni.  Il Congresso approvò le Tesi a grande maggioranza (oltre il 90%) ed elesse il Comitato centrale con Gramsci segretario del Partito.[69] Da allora, la sinistra comunista di Bordiga non ebbe più un ruolo influente nel Partito. Le Tesi di Lione, realizzate da Gramsci, ribadirono con una certa durezza le posizioni del Pcd’I «la socialdemocrazia sebbene abbia ancora la sua base sociale, per gran parte, nel proletariato per quanto riguarda la sua ideologia e la sua funzione politica cui adempie, deve essere considerata non come un'ala destra del movimento operaio, ma come un'ala sinistra della borghesia e come tale deve essere smascherata». In questa relazione venne sviluppata la cosiddetta bolscevizzazione del partito: «spetti al partito russo una funzione predominante e direttiva nella costruzione di una Internazionale comunista… La organizzazione di un partito bolscevico deve essere, in ogni momento della vita del partito, una organizzazione centralizzata, diretta dal Comitato centrale non solo a parole, ma nei fatti. Una disciplina proletaria di ferro deve regnare nelle sue file… La centralizzazione e la compattezza del partito esigono che non esistano nel suo seno gruppi organizzati i quali assumano carattere di frazione. Un partito bolscevico si differenzia per questo profondamente dai partiti socialdemocratici».[70] Tornato a Romada via Vesalio si era trasferito in via Morgagniebbe il tempo di passare alcuni mesi con la famigliala moglie Giulia e il piccolo Delio, oltre alle cognate Eugenia e Tatianache abitano tuttavia in un altro appartamento, in via Trapani: le squadre fasciste, superato da tempo lo smarrimento provocato dal delitto Matteotti, avevano piena libertà d'azione e non era prudente coinvolgere i familiari in loro possibili aggressioni; il 4 ottobre, a Firenze, era stato ucciso l'ex-deputato socialista Gaetano Pilati, la stessa casa di Gramsci era stata messa a soqquadro dalla polizia il 20 ottobre. Mentre gli esponenti dell'opposizione antifascista prendevano la via dell'emigrazioneGobetti, che muore il 6 febbraio 1926, venticinquenne, a Parigi, in conseguenza delle bastonate squadriste, Amendola, Salveminiun processo farsa condannava a una pena simbolica gli assassini di Matteotti, difesi dal capo-squadrista Roberto Farinacci.  La moglie Giulia, che aspettava il secondo figlio Giuliano, lasciò l'Italia il 7 agosto e il mese dopo fu la volta della cognata Eugenia a tornare a Mosca con il figlio Delio: Gramsci non l'avrebbe più rivisto.   Giustino Fortunato Elaborando temi già affrontati nelle Tesi di Lione, in settembre Gramsci iniziò a scrivere un saggio sulla questione meridionale, intitolato Alcuni temi sulla quistione meridionale, in cui analizzò il periodo dello sviluppo politico italiano dal 1894, anno dei moti dei contadini siciliani, seguito nel 1898 dall'insurrezione di Milano repressa a cannonate dal governo Di Rudinì. Secondo Gramsci, la borghesia italiana, impersonata politicamente da Giovanni Giolitti, di fronte all'insofferenza delle classi emarginate dei contadini meridionali e degli operai del Nord, piuttosto che allearsi con le forze agrarie, cosa che avrebbe dovuto comportare una politica di libero scambio e di bassi prezzi industriali, scelse di favorire il blocco industriale-operaio, con la conseguente scelta del protezionismo doganale, unita a concessione di libertà sindacali.  Di fronte alla persistenza dell'opposizione operaia, manifestatasi anche contro i dirigenti socialisti riformisti, Giolitti cercò un accordo con i contadini cattolici del Centro-Nord. Il problema è allora, per Gramsci, di perseguire una politica di opposizione che rompa l'alleanza borghesia-contadini, facendo convergere questi ultimi in un'alleanza con la classe operaia.  La società meridionale, secondo Gramsci, è costituita da tre classi fondamentali: braccianti e contadini poveri, politicamente inconsapevoli; piccoli e medi contadini, che non lavorano la terra ma dalla quale ricavano un reddito che permette loro di vivere in città, spesso come impiegati statali: costoro disprezzano e temono il lavoratore della terra, e fanno da intermediari al consenso fra i contadini poveri e la terza classe, costituita dai grandi proprietari terrieri, i quali a loro volta contribuiscono alla formazione dell'intellettualità nazionale, con personalità del valore di Benedetto Croce e di Giustino Fortunato e sono, con quelli, i principali e più raffinati sostenitori della conservazione di questo blocco agrario. Croce e Fortunato sono, per Gramsci, «i reazionari più operosi della penisola»,[71] «le chiavi di volta del sistema meridionale e, in un certo senso, sono le due più grandi figure della reazione italiana».[72]  Per poter spezzare questo blocco occorrerebbe la formazione di un ceto di intellettuali medi che interrompa il flusso del consenso fra le due classi estreme, favorendo così l'alleanza dei contadini poveri con il proletariato urbano. Tuttavia Gramsci non aveva un'opinione positiva sui contadini, nel 1926 scrisse: «Il solo organizzatore possibile della massa contadina meridionale è l'operaio industriale, rappresentato dal nostro partito»[73] «Non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione [...] vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini»  (Antonio Gramsci, Lettera alla madre, 10 maggio 1928) In Unione Sovietica è in corso la lotta fra la maggioranza di Stalin e Bucharin e la minoranza di sinistra del Partito comunista, guidata da Trotskij, Zinov'ev e Kamenev, che critica la politica della NEP, la quale favorisce i contadini ricchi a svantaggio degli operai, e la rinuncia alla rivoluzione socialista mondiale attraverso la costruzione del «socialismo in un solo paese» che porterebbe all'involuzione del movimento rivoluzionario.[74] Il dissidio, che porta all'esclusione di Zinov'ev dall'Ufficio politico del Partito sovietico, si era fatto sempre più aspro con la costituzione in frazione della minoranza[75] e si era esteso anche all'interno del Partito comunista tedesco, provocando una scissione. [senza fonte] Il 18 ottobre 1926 il New York Times, forse su ispirazione di Lev Trotsky, pubblicava il testamento di Lenin, con i suoi noti rilievi sul carattere di Stalin e sul pericolo rappresentato dal troppo potere che la carica di segretario del Partito gli concedeva.[76]  Su incarico dell'Ufficio politico, Gramsci scrisse a metà ottobre una lettera al Comitato centrale del Partito sovietico.[77] Egli si mostra preoccupato per «l'acutezza delle polemiche» che potrebbero portare a una scissione che «può avere le più gravi ripercussioni, non solo se la minoranza di opposizione non accetta con la massima lealtà i principi fondamentali della disciplina rivoluzionaria di Partito, ma anche se essa, nel condurre la sua lotta, oltrepassa certi limiti che sono superiori a tutte le democrazie formali». Riconosciuto ai dirigenti sovietici il merito di essere stati «l'elemento organizzatore e propulsore delle forze rivoluzionarie di tutti i paesi», li rimprovera di star «distruggendo l'opera vostra, voi degradate e correte il rischio di annullare la funzione dirigente che il partito comunista dell'URSS aveva conquistato per l'impulso di Lenin: ci pare che la passione violenta delle quistioni russe vi faccia perdere di vista gli aspetti internazionali delle quistioni russe stesse, vi faccia dimenticare che i vostri doveri di militanti russi possono e debbono essere adempiuti solo nel quadro degli interessi del proletariato internazionale».   Palmiro Togliatti Nel merito del fondamento del contrastola contraddizione di un proletariato formalmente «dominante» in URSS, ma in condizioni economiche molto inferiori alla classe «dominata»Gramsci appoggia la posizione della maggioranza, rilevando che «è facile fare della demagogia su questo terreno ed è difficile non farla quando la quistione è stata messa nei termini dello spirito corporativo e non in quelli del leninismo, della dottrina dell'egemonia del proletariato [...] è in questo elemento la radice degli errori del blocco delle opposizioni e l'origine dei pericoli latenti che nella sua attività sono contenuti. Nella ideologia e nella pratica del blocco delle opposizioni rinasce in pieno tutta la tradizione della socialdemocrazia e del sindacalismo che ha impedito finora al proletariato occidentale di organizzarsi in classe dirigente».  Gramsci concludeva esortando all'unità: «I compagni Zinov'ev, Trockij, Kamenev hanno contribuito potentemente a educarci per la rivoluzione [...] sono stati tra i nostri maestri. A loro specialmente ci rivolgiamo come ai maggiori responsabili dell'attuale situazione perché vogliamo essere sicuri che la maggioranza del comitato centrale del partito comunista dell'URSS non intenda stravincere nella lotta e sia disposta a evitare le misure eccessive. L'untà del nostro partito fratello di Russia è necessaria per lo sviluppo e il trionfo delle forze rivoluzionarie mondiali; a questa necessità ogni comunista e internazionalista deve essere disposto a fare maggiori sacrifizi. I danni di un errore compiuto dal partito unito sono facilmente superabili; i danni di una scissione o di una prolungata condizione di scissione latente possono essere irreparabili e mortali».[78]  Togliatti, allora a Mosca quale rappresentante italiano all'Internazionale, criticò le ultime considerazioni che ripartivano, seppure in modo diseguale, le responsabilità delle due fazioni, credendo ancora nella illusoria possibilità di una compattezza del gruppo dirigente sovietico: a suo avviso, invece, «d'ora in poi l'unità della vecchia guardia leninista non sarà più o sarà assai difficilmente realizzata in modo continuo».[79]  Non ci sarà tempo e occasione per approfondire la questione: lo stesso giorno in cui il Comitato centrale comunista doveva riunirsi clandestinamente a Genova, il 31 ottobre 1926, Mussolini subì a Bologna un attentato senza conseguenze personali, che provoca una tale pressione poliziesca da far fallire il convegno. L'attentato Zamboni costituì il pretesto per l'eliminazione degli ultimi, minimi residui di democrazia: il 5 novembre il governo sciolse i partiti politici di opposizione e soppresse la libertà di stampa. L'8 novembre, in violazione dell'immunità parlamentare, Gramsci venne arrestato nella sua casa e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli.[80] Il giorno successivo fu dichiarato decaduto, insieme agli altri deputati aventiniani.[81]  Dopo un periodo di confino a Ustica, dove ritrovò, tra gli altri, Bordiga, il 7 febbraio 1927 fu detenuto nel carcere milanese di San Vittore. Qui ricevette, in agosto, la visita del fratello Mario, le cui scelte politiche erano state opposte alle suegià federale di Varese, ora si occupava di commercioe, soprattutto, quella della cognata Tatiana, la persona che si manterrà sempre, per quanto possibile, in contatto con lui. L'istruttoria andò per le lunghe, perché vi erano difficoltà a montare su di lui accuse credibili: fu anche fatto avvicinare da due agenti provocatoriprima un tale Dante Romani e poi un certo Corrado Melanima senza successo.[82]  Il processo a ventidue imputati comunisti, fra i quali Umberto Terracini, Mauro Scoccimarro e Giovanni Roveda, iniziò finalmente a Roma il 28 maggio 1928; Mussolini aveva istituito il 1º febbraio 1927 il Tribunale Speciale Fascista. Presidente è un generale, Alessandro Saporiti, giurati sono cinque consoli della milizia fascista, relatore l'avvocato Giacomo Buccafurri e accusatore l'avvocato Michele Isgrò, tutti in uniforme; intorno all'aula, «un doppio cordone di militi in elmetto nero, il pugnale sul fianco ed i moschetti con la baionetta in canna»[83] Gramsci è accusato di attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, apologia di reato e incitamento all'odio di classe.[84] Il pubblico ministero Isgrò concluse la sua requisitoria con una frase rimasta famosa: «Bisogna impedire a questo cervello di funzionare per venti anni»;[85] e infatti Gramsci, il 4 giugno, venne condannato a venti anni, quattro mesi e cinque giorni di reclusione;[86] il 19 luglio raggiunse il carcere di Turi, in provincia di Bari. Fin da quando si trovava in carcere a Milano, Gramsci era intenzionato a occuparsi «intensamente e sistematicamente di qualche soggetto» che lo «assorbisse e centralizzasse la sua vita interiore».[87] L'8 febbraio 1929, nel carcere di Turi, il detenuto 7.047 ottenne finalmente l'occorrente per scrivere e iniziò la stesura dei suoi Quaderni del carcere. Il primo quaderno si apre proprio con una bozza di 16 argomenti, alcuni dei quali saranno abbandonati, altri inseriti e altri ancora svolti solo in parte. Caratteristico era il suo modo di lavorare: quasi tutti i giorni, per alcune ore, camminando all'interno della cella, rifletteva sulle frasi da scrivere e poi si chinava sul tavolino, scrivendo senza sedersi, un ginocchio appoggiato sullo sgabello, per riprendere a camminare e a pensare.[88] A fare da tramite tra Gramsci e il mondo esterno, e in particolare con Piero Sraffa e tramite questi col Pcus e il PCd'I, fu la cognata Tatiana Schucht, essendo la moglie di Gramsci tornata in Unione Sovietica.  Intanto, il VI Congresso dell'Internazionale comunista, tenutosi a Mosca dal luglio al settembre 1928, aveva stabilito l'impossibilità di accordi con la socialdemocrazia, che veniva anzi assimilata allo stesso fascismo.[89] Era la tesi di Stalin il quale, liquidata l'opposizione di Trockij, eliminava anche l'influenza di Bucharin che, già suo alleato contro la sinistra di Trockij, era rimasto il suo principale oppositore da destra.[90] Al nuovo orientamento dell'Internazionale, riaffermato nel X Plenum del Comitato esecutivo nel luglio 1929, dovevano adeguarsi i Partiti nazionali, espellendo, se necessario, i dissidenti.[89] Il Partito comunista d'Italia si adeguò alle scelte dell'Internazionale, espellendo Angelo Tasca in settembre e in successione, ma con l'accusa di trotskismo, prima, il 30 marzo del 1930, Bordiga,[91] poi, il 9 giugno, fu la volta di Alfonso Leonetti, Pietro Tresso e Paolo Ravazzoli.[92]  Gramsci teneva, durante l'ora d'aria, dei "colloqui-lezioni" con i compagni di partito: non esistono dirette testimonianze delle opinioni espresse da Gramsci riguardo alla «svolta» politica del movimento comunista, ma può costituire un indiretto riferimento un rapporto che un suo compagno di carcere, Athos Lisa, amnistiato nel 1933, inviò subito al Centro estero comunista.[93] Secondo quella relazione, Gramsci riferì la teoria della necessità dell'alleanza fra operai del Nord e contadini meridionali che già stava elaborando nei suoi Quaderni: «L'azione per la conquista degli alleati diviene per il proletariato cosa estremamente delicata e difficile. D'altra parte, senza la conquista di questi alleati, è precluso al proletariato ogni serio movimento rivoluzionario». Qui s'intende che il proletariatola classe operaiadebba allearsi con i contadini e la piccola borghesia: «Se si tiene conto delle particolari condizioni nei limiti delle quali va visto il grado di sviluppo politico degli strati contadini e piccoli borghesi in Italia, è facile comprendere come la conquista di questi strati sociali comporti per il partito una particolare azione [...]»   Foto segnaletica di Gramsci del 1933 «La lotta per la conquista diretta del potere è un passo al quale questi strati sociali potranno solo accedere per gradi [...] il primo passo attraverso il quale bisogna condurre questi strati sociali è quello che li porti a pronunciarsi sul problema istituzionale e costituzionale. L'inutilità della Monarchia è ormai compresa da tutti i lavoratori [...] a questo obiettivo deve improntarsi la tattica del partito senza tema di apparire poco rivoluzionario. Deve fare sua prima degli altri partiti in lotta contro il fascismo la parola d'ordine della Costituente». Ma l'azione del partito «deve essere intesa a svalutare tutti i programmi di riforma pacifica dimostrando alla classe lavoratrice come la sola soluzione possibile in Italia risieda nella rivoluzione proletaria».  La richiesta di una Costituente, e dunque di un'iniziativa politica che si ponesse obiettivi intermedi, avrebbe comportato necessariamente una convergenza, per quanto temporanea, con altre forze antifasciste, e se è difficile considerare tale linea politica come «socialdemocratica», durante le discussioni nel cortile del carcere qualche suo compagno arrivò a sostenere che egli era ormai fuori del Partito comunista: probabilmente le reazioni di alcuni «erano esasperate dal clima di detenzione» ma certo le posizioni di Gramsci dovevano apparire «in contrasto con la linea politica indicata in quegli anni dal Partito comunista».[94]  È in questo periodo che Gramsci venne a contatto con Sandro Pertini, esponente del PSI e detenuto anch'egli alla Casa Penale di Turi. I due, nonostante i pensieri politici differenti, divennero grandi amici e Pertini, anche dopo la scarcerazione, ricordò spesso nei suoi discorsi il compagno di prigionia e le tristi condizioni di salute che lo stroncavano[95]. Dal 1931 Gramsci, oltre al morbo di Pott di cui soffriva fin dall'infanzia, fu colpito da arteriosclerosi e poté così ottenere una cella individuale; cercò di reagire alla detenzione studiando ed elaborando le proprie riflessioni politiche, filosofiche e storiche, tuttavia le condizioni di salute continuarono a peggiorare e in agosto ebbe un'improvvisa e grave emorragia.   La tomba di Gramsci nel Cimitero acattolico di Roma Anche la moglie Giulia, in Russia, era sofferente di una seria forma di depressione e rare erano le sue lettere al marito che, all'oscuro dei motivi dei suoi lunghi silenzi, sentiva crescere intorno a sé il senso di un opprimente isolamento. Scriveva alla cognata: «Non credere che il sentimento di essere personalmente isolato mi getti nella disperazione [...] io non ho mai sentito il bisogno di un apporto esteriore di forze morali per vivere fortemente la mia vita [...] tanto meno oggi, quando sento che le mie forze volitive hanno acquistato un più alto grado di concretezza e di validità. Ma mentre nel passato mi sentivo quasi orgoglioso di sentirmi isolato, ora invece sento tutta la meschinità, l'aridità, la grettezza di una vita che sia esclusivamente volontà».[96]  Quando la madre morì, il 30 dicembre 1932, i familiari preferirono non informarlo; il 7 marzo 1933 ebbe una seconda grave crisi, con allucinazioni e deliri. Si riprese a fatica, senza farsi illusioni sul suo immediato futuro: «Fino a qualche tempo fa io ero, per così dire, pessimista con l'intelligenza e ottimista con la volontà [...] Oggi non penso più così. Ciò non vuol dire che abbia deciso di arrendermi, per così dire. Ma significa che non vedo più nessuna uscita concreta e non posso più contare su nessuna riserva di forze».[97]  Eppure lo stesso codice penale dell'epoca, all'art. 176, prevedeva la concessione della libertà condizionata ai carcerati in gravi condizioni di salute. A Parigi si costituì un comitato, di cui fecero parte, fra gli altri, Romain Rolland e Henri Barbusse, per ottenere la liberazione sua e di altri detenuti politici, ma solo il 19 novembre Gramsci venne trasferito nell'infermeria del carcere di Civitavecchia e poi, il 7 dicembre, nella clinica del dottor Cusumano a Formia, sorvegliato in camera e all'esterno. Il 25 ottobre 1934 Mussolini accolse finalmente la richiesta di libertà condizionata, ma Gramsci non rimase libero nei suoi movimenti, tanto che gli fu impedito di andare a curarsi altrove, perché il governo temeva una sua fuga all'estero; solo il 24 agosto 1935 poté essere trasferito nella clinica "Quisisana" di Roma, dove giunse in gravi condizioni, poiché oltre al morbo di Pott e all'arteriosclerosi soffriva di ipertensione e di gotta.  Il 21 aprile 1937 Gramsci passò dalla libertà condizionata alla piena libertà, ma era ormai in gravissime condizioni: morì all'alba del 27 aprile, a quarantasei anni, di emorragia cerebrale, nella stessa clinica Quisisana.[98] Il giorno seguente la cremazione si svolsero i funerali, cui parteciparono soltanto il fratello Carlo e la cognata Tatiana: le ceneri, inumate nel cimitero del Verano, furono trasferite l'anno seguente nel Cimitero acattolico di Roma, nel Campo Cestio. I 33 Quaderni del carcere, non destinati da Gramsci alla pubblicazione, contengono riflessioni e appunti elaborati durante la reclusione; iniziati l'8 febbraio 1929, furono definitivamente interrotti nell'agosto 1935 a causa della gravità delle sue condizioni di salute. Furono numerati, senza tener conto della loro cronologia, dalla cognata Tatiana Schucht, che li affidò all'Ambasciata sovietica a Roma da dove furono inviati a Mosca e, successivamente, conseg Palmiro Togliatti.[99]  Dopo la fine della guerra i Quaderni, curati dal dirigente comunista Felice Platone sotto la supervisione di Palmiro Togliatti, furono pubblicati dall'editore Einaudiunitamente alle sue Lettere dal carcere indirizzate ai familiariin sei volumi, ordinati per argomenti omogenei, con i titoli:  Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, nel 1948 Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, nel 1949 Il Risorgimento, nel 1949 Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno, nel 1949 Letteratura e vita nazionale, nel 1950 Passato e presente, nel 1951 Nel 1975 i Quaderni furono pubblicati Valentino Gerratana secondo l'ordine cronologico della loro elaborazione. Sono stati raccolti in volume anche tutti gli articoli scritti da Gramsci nell'Avanti!, ne Il Grido del Popolo e ne L'Ordine Nuovo.  Il pensiero di Gramsci L'egemonia Magnifying glass icon mgx2.svg  Egemonia culturale. Conquistare la maggioranza politica di un Paese vuol dire che le forze sociali, che di tale maggioranza sono espressione, dirigono la politica di quel determinato paese e dominano le forze sociali che a tale politica si oppongono: significa ottenere l'egemonia.  Vi è distinzione fra direzioneegemonia intellettuale e moralee dominioesercizio della forza repressiva: «Un gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che tende a liquidare o a sottomettere anche con la forza armata, ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere); dopo, quando esercita il potere ed anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare ad essere anche dirigente».[100]  La crisi dell'egemonia si manifesta quando, anche mantenendo il proprio dominio, le classi sociali politicamente dominanti non riescono più a essere dirigenti di tutte le classi sociali, non riuscendo più a risolvere i problemi di tutta la collettività e a imporre la propria concezione del mondo. A quel punto, la classe sociale subalterna, se riesce a indicare concrete soluzioni ai problemi lasciati irrisolti dalla classe dominante, può diventare dirigente e, allargando la propria concezione del mondo anche ad altri strati sociali, può creare un nuovo «blocco sociale», cioè una nuova alleanza di forze sociali, divenendo egemone. Il cambiamento dell'esercizio dell'egemonia è un momento rivoluzionario che inizialmente avviene a livello della sovrastrutturain senso marxiano, ossia politico, culturale, ideale, morale –, ma poi trapassa nella società nel suo complesso investendo anche la struttura economica, e dunque tutto il «blocco storico», termine che in Gramsci indica l'insieme della struttura e della sovrastruttura, ossia i rapporti sociali di produzione e i loro riflessi ideologici. Analizzando la storia italiana e il Risorgimento in particolare, Gramsci rileva che la classe popolare non trovò un proprio spazio politico e una propria identità, poiché la politica dei liberali di Cavour concepì «l'unità nazionale come allargamento dello Stato piemontese e del patrimonio della dinastia, non come movimento nazionale dal basso, ma come conquista regia».[101] Gramsci ritiene che l'azione della borghesia avrebbe potuto assumere un carattere rivoluzionario se avesse acquisito l'appoggio di vaste masse popolari, in particolare dei contadini, che costituivano la maggioranza della popolazione. Il limite della rivoluzione borghese in Italia consistette nel non essere capeggiata da un partito giacobino, come in Francia, dove le campagne, appoggiando la Rivoluzione, furono decisive per la sconfitta delle forze della reazione aristocratica.   Cavour Il partito politico italiano allora più avanzato fu il Partito d'Azione di Mazzini e Garibaldi, che non seppe impostare il problema dell'alleanza delle forze borghesi progressive con la classe contadina: Garibaldi in Sicilia distribuì le terre demaniali ai contadini, ma gli stessi garibaldini repressero le rivolte contadine contro i baroni latifondisti. Per conquistare l'egemonia contro i moderati guidati da Cavour, il Partito d'Azione avrebbe dovuto «legarsi alle masse rurali, specialmente meridionali, essere giacobino [...] specialmente per il contenuto economico-sociale: il collegamento delle diverse classi rurali che si realizzava in un blocco reazionario attraverso i diversi ceti intellettuali legittimisti-clericali poteva essere dissolto per addivenire ad una nuova formazione liberale-nazionale solo se si faceva forza in due direzioni: sui contadini di base, accettandone le rivendicazione di base [...] e sugli intellettuali degli strati medi e inferiori».[102]  Al contrario, i cavourriani seppero mettersi alla testa della rivoluzione borghese, assorbendo tanto i radicali che una parte dei loro stessi avversari. Questo avvenne perché i moderati cavourriani ebbero un rapporto organico con i loro intellettuali che erano proprietari terrieri e dirigenti industriali come i politici che essi rappresentavano. Le masse popolari restarono passive nel raggiunto compromesso fra i capitalisti del Nord e i latifondisti del Sud.  Il Piemonte assunse la funzione di classe dirigente, anche se esistevano altri nuclei di classe dirigente favorevoli all'unificazione: ma «questi nuclei non volevano dirigere nessuno, cioè non volevano accordare i loro interessi e aspirazioni con gli interessi e aspirazioni di altri gruppi. Volevano dominare, non dirigere e ancora: volevano che dominassero i loro interessi, non le loro persone, cioè volevano che una forza nuova, indipendente da ogni compromesso e condizione, divenisse arbitra della Nazione: questa forza fu il Piemonte», che ebbe una funzione paragonabile a quella di un partito.  «Questo fatto è della massima importanza per il concetto di rivoluzione passiva, che cioè non un gruppo sociale sia il dirigente di altri gruppi, ma che uno Stato, sia pure limitato come potenza, sia il dirigente del gruppo che di esso dovrebbe essere dirigente e possa porre a disposizione di questo un esercito e una forza politica-diplomatica». Che uno Stato si sostituisca ai gruppi sociali locali nel dirigere la lotta di rinnovamento «è uno dei casi in cui si ha la funzione di dominio e non di dirigenza di questi gruppi: dittatura senza egemonia».[103] E dunque per Gramsci il concetto di egemonia si distingue da quello di dittatura: questa è solo dominio, quella è capacità di direzione. Nei suoi scritti tuttavia Gramsci non prese mai posizione contro la dittatura del proletariato né espresse critiche significative al regime sovietico in Russia.  Le classi subalterne  Gustave Courbet, Lo spaccapietre Le classi subalternesottoproletariato, proletariato urbano, rurale e anche parte della piccola borghesianon sono unificate e la loro unificazione avviene solo quando giungono a dirigere lo Stato, altrimenti svolgono una funzione discontinua e disgregata nella storia della società civile dei singoli Stati, subendo l'iniziativa dei gruppi dominanti anche quando ad essi si ribellano.  Il "blocco sociale", l'alleanza politica di classi sociali diverse, formato, in Italia, da industriali, proprietari terrieri, classi medie, parte della piccola borghesia, non è omogeneo, essendo attraversato da interessi divergenti, ma una politica opportuna, una cultura e un'ideologia o un sistema di ideologie impediscono che quei contrasti di interessi, permanenti anche quando siano latenti, esplodano provocando la crisi dell'ideologia dominante e la conseguente crisi politica dell'intero sistema di potere.  In Italia, l'esercizio dell'egemonia delle classi dominanti è ed è stata parziale: tra le forze che contribuiscono alla conservazione di tale blocco sociale è la Chiesa cattolica, che si batte per mantenere l'unione dottrinale tra fedeli colti e incolti, tra intellettuali e semplici, tra dominanti e dominati, in modo da evitare fratture irrimediabili che tuttavia esistono e che essa non è in realtà in grado di sanare, ma solo di controllare: «la Chiesa romana è sempre stata la più tenace nella lotta per impedire che ufficialmente si formino due religioni, quella degli intellettuali e quella delle anime semplici », una lotta che ha fatto risaltare «la capacità organizzatrice nella sfera della cultura del clero» che ha dato «certe soddisfazioni alle esigenze della scienza e della filosofia, ma con un ritmo così lento e metodico che le mutazioni non sono percepite dalla massa dei semplici, sebbene esse appaiano "rivoluzionarie" e demagogiche agli "integralisti" ».[104]  Anche la dominante cultura d'impronta idealistica, esercitata dalle scuole filosofiche crociane e gentiliane, non ha «saputo creare una unità ideologica tra il basso e l'alto, tra i semplici e gli intellettuali», tanto che essa, anche se ha sempre considerato la religione una mitologia, non ha nemmeno «tentato di costruire una concezione che potesse sostituire la religione nell'educazione infantile», e questi pedagogisti, pur essendo non religiosi, non confessionali e atei, «concedono l'insegnamento della religione perché la religione è la filosofia dell'infanzia dell'umanità, che si rinnova in ogni infanzia non metaforica».[105] La cultura laica dominante utilizza la religione proprio perché non si pone il problema di elevare le classi popolari al livello di quelle dominanti ma, al contrario, intende mantenerle in una posizione di subalternità.  Le classi dominanti hanno derubricato a folklore la cultura delle classi subalterne. Gramsci annota l'8 febbraio 1929, nel I Quaderno, che il folklore «non deve essere concepito come una bizzarria, una stranezza, una cosa ridicola, una cosa tutt'al più pittoresca; ma deve essere concepito come una cosa molto seria e da prendere sul serio», e va studiato in quanto «concezione del mondo e della vita [...] di certi strati della società [...] determi tempo e nello spazio», cioè del popolo inteso come «l'insieme delle classi strumentali e subalterne di ogni forma di società finora esistita». È dunque necessario «mutare lo spirito delle ricerche folkloriche, oltre che approfondirle ed estenderle».[106][107]  La coscienza di classe  Karl Marx La frattura tra gli intellettuali e i semplici può essere sanata da quella politica che «non tende a mantenere i semplici nella loro filosofia primitiva del senso comune, ma invece a condurli a una concezione superiore della vita». L'azione politica realizzata dalla «filosofia della prassi»così Gramsci chiama il marxismo, non solo per l'esigenza di celare quanto scrive alla repressiva censura carcerariaopponendosi alle culture dominanti della Chiesa e dell'idealismo, può condurre i subalterni a una «superiore concezione della vita. Se afferma l'esigenza del contatto tra intellettuali e semplici non è per limitare l'attività scientifica e per mantenere una unità al basso livello delle masse, ma appunto per costruire un blocco intellettuale-morale che renda politicamente possibile un progresso intellettuale di massa e non solo di scarsi gruppi intellettuali».[108] La via che conduce all'egemonia del proletariato passa dunque per una riforma culturale e morale della società.  Tuttavia l'uomo attivo di massacioè la classe operaia,non è, in generale, consapevole né della funzione che può svolgere né della sua condizione reale di subordinazione, Il proletariato, scrive Gramsci, «non ha una chiara coscienza teorica di questo suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasforma. La sua coscienza teorica anzi può essere in contrasto col suo operare»; esso opera praticamente e nello stesso tempo ha una coscienza teorica ereditata dal passato, accolta per lo più in modo acritico. La reale comprensione critica di sé avviene «attraverso una lotta di egemonie politiche, di direzioni contrastanti, prima nel campo dell'etica, poi della politica per giungere a una elaborazione superiore della propria concezione del reale». La coscienza politica, cioè l'essere parte di una determinata forza egemonica, «è la prima fase per una ulteriore e progressiva autocoscienza dove teoria e pratica finalmente si unificano».[108]  Ma autocoscienza critica significa creazione di un gruppo di intellettuali, organici alla classe, perché per distinguersi e rendersi indipendenti occorre organizzarsi, e non esiste organizzazione senza intellettuali, «uno strato di persone specializzate nell'elaborazione concettuale e filosofica».[109]  Già Machiavelli indicava nei moderni Stati unitari europei l'esperienza che l'Italia avrebbe dovuto far propria per superare la drammatica crisi emersa nelle guerre che devastarono la penisola dalla fine del Quattrocento. Il Principe di Machiavelli «non esisteva nella realtà storica, non si presentava al popolo italiano con caratteri di immediatezza obiettiva, ma era una pura astrazione dottrinaria, il simbolo del capo, del condottiero ideale; ma gli elementi passionali, mitici [...] si riassumono e diventano vivi nella conclusione, nell'invocazione di un principe realmente esistente».[110]   Niccolò Machiavelli In Italia non si ebbe una monarchia assoluta che unificasse la nazione perché dalla dissoluzione della borghesia comunale si creò una situazione interna economico-corporativa, politicamente «la peggiore delle forme di società feudale, la forma meno progressiva e più stagnante: mancò sempre, e non poteva costituirsi, una forza giacobina efficiente, la forza appunto che nelle altre nazioni ha suscitato e organizzato la volontà collettiva nazional-popolare e ha fondato gli Stati moderni».[111]  A questa forza progressiva si oppose in Italia la «borghesia rurale, eredità di parassitismo lasciata ai tempi moderni dallo sfacelo, come classe, della borghesia comunale». Forze progressive sono i gruppi sociali urbani con un determinato livello di cultura politica, ma non sarà possibile la formazione di una volontà collettiva nazionale-popolare, «se le grandi masse dei contadini lavoratori non irrompono simultaneamente nella vita politica. Ciò intendeva il Machiavelli attraverso la riforma della milizia, ciò fecero i giacobini nella Rivoluzione francese; in questa comprensione è da identificare un giacobinismo precoce del Machiavelli, il germe, più o meno fecondo, della sua concezione della rivoluzione nazionale».[111]  Modernamente, il Principe invocato dal Machiavelli non può essere un individuo reale, concreto, ma un organismo e «questo organismo è già dato dallo sviluppo storico ed è il partito politico: la prima cellula in cui si riassumono dei germi di volontà collettiva che tendono a divenire universali e totali»; il partito è l'organizzatore di una riforma intellettuale e morale, che concretamente si manifesta con un programma di riforma economica, divenendo così «la base di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume».[105]  Perché un partito esista, e diventi storicamente necessario, devono confluire in esso tre elementi fondamentali:  «Un elemento diffuso, di uomini comuni, medi, la cui partecipazione è offerta dalla disciplina e dalla fedeltà, non dallo spirito creativo ed altamente organizzativo [...] essi sono una forza in quanto c'è chi li centralizza, organizza, disciplina, ma in assenza di questa forza coesiva si sparpaglierebbero e si annullerebbero in un pulviscolo impotente» «L'elemento coesivo principale [...] dotato di forza altamente coesiva, centralizzatrice e disciplinatrice e anche, anzi forse per questo, inventiva [...] da solo questo elemento non formerebbe un partito, tuttavia lo formerebbe più che il primo elemento considerato. Si parla di capitani senza esercito, ma in realtà è più facile formare un esercito che formare dei capitani» «Un elemento medio, che articoli il primo col secondo elemento, che li metta a contatto, non solo fisico, ma morale e intellettuale».[112] Gramsci negli scritti compresi fra il 1919 e il 1926 ribadì i principi espressi dalla Terza Internazionale, insistendo sulla "disciplina ferrea" del partito e contestando qualsiasi forma di "frazionismo". Socialisti e sindacalisti venivano pesantemente criticati e messi sullo stesso piano del regime fascista. Per Gramsci, tutti gli uomini sono intellettuali, dal momento che «non c'è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare l'homo faber dall'homo sapiens»,[113] in quanto, indipendentemente della sua professione specifica, ognuno è a suo modo «un filosofo, un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale», ma non tutti gli uomini hanno nella società la funzione di intellettuali.  Storicamente si formano particolari categorie di intellettuali, «specialmente in connessione coi gruppi sociali più importanti e subiscono elaborazioni più estese e complesse in connessione col gruppo sociale dominante». Un gruppo sociale che tende all'egemonia lotta «per l'assimilazione e la conquista ideologica degli intellettuali tradizionali [...] tanto più rapida ed efficace quanto più il gruppo dato elabora simultaneamente i propri intellettuali organici».[111]  L'intellettuale tradizionale è il letterato, il filosofo, l'artista e perciò, nota Gramsci, «i giornalisti, che ritengono di essere letterati, filosofi, artisti, ritengono anche di essere i veri intellettuali», mentre modernamente è la formazione tecnica a formare la base del nuovo tipo di intellettuale, un costruttore, organizzatore, persuasorema non assolutamente il vecchio oratore, formatosi sullo studio dell'eloquenza «motrice esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni»il quale deve giungere «dalla tecnica-lavoro alla tecnica-scienza e alla concezione umanistica storica, senza la quale si rimane specialista e non si diventa dirigente».[114]  Il gruppo sociale emergente, che lotta per conquistare l'egemonia politica, tende a conquistare alla propria ideologia l'intellettuale tradizionale mentre, nello stesso tempo, forma i propri intellettuali organici. L'organicità degli intellettuali si misura con la maggiore o minore connessione con il gruppo sociale cui essi fanno riferimento: essi operano tanto nella società civilel'insieme degli organismi privati in cui si dibattono e si diffondono le ideologie necessarie all'acquisizione del consenso, apparentemente dato spontaneamente dalle grandi masse della popolazione alle scelte del gruppo sociale dominantequanto nella società politica, dove si esercita il «dominio diretto o di comando che si esprime nello Stato e nel governo giuridico». Gli intellettuali sono così «i commessi del gruppo dominante per l'esercizio delle funzioni subalterne dell'egemonia sociale e del governo politico, cioè: 1) del consenso spontaneo dato dalle grandi masse della popolazione all'indirizzo impresso alla vita sociale dal gruppo fondamentale dominante [...] 2) dell'apparato di coercizione statale che assicura legalmente la disciplina di quei gruppi che non consentono».[115]  Come lo Stato, nella società politica, tende a unificare gli intellettuali tradizionali con quelli organici, così nella società civile il partito politico, ancor più compiutamente e organicamente dello Stato, elabora «i propri componenti, elementi di un gruppo sociale nato e sviluppatosi come economico, fino a farli diventare intellettuali politici qualificati, dirigenti, organizzatori di tutte le attività e le funzioni inerenti all'organico sviluppo di una società integrale, civile e politica».[109] Il compito della “riforma intellettuale e morale” non potrà che essere ancora degli intellettuali organici, non cristallizzati, che la determineranno e organizzeranno, adeguando la cultura anche alle sue funzioni pratiche, addivenendo a una nuova organizzazione della cultura. Il partito comunista si pone, per Gramsci, come sintesi attiva di questo processo: intellettuale collettivo di avanguardia, la direzione politica di classe lotterà per l'egemonia. Il partito comunista, per Gramsci, è intellettuale collettivo; e l'intellettuale comunista è organico alla classe e dunque a questo collettivo perché fa parte del blocco storico-sociale che deve costruire il nuovo mondo. Pur essendo sempre stati legati alle classi dominanti, ottenendone spesso onori e prestigio, gli intellettuali italiani non si sono mai sentiti organici, hanno sempre rifiutato, in nome di un loro astratto cosmopolitismo, ogni legame con il popolo, del quale non hanno mai voluto riconoscere le esigenze né interpretare i bisogni culturali.  In molte linguein russo, in tedesco, in franceseil significato dei termini «nazionale» e «popolare» coincidono: «in Italia, il termine nazionale ha un significato molto ristretto ideologicamente e in ogni caso non coincide con popolare, perché in Italia gli intellettuali sono lontani dal popolo, cioè dalla nazione e sono invece legati a una tradizione di casta, che non è mai stata rotta da un forte movimento popolare o nazionale dal basso: la tradizione è libresca e astratta e l'intellettuale tipico moderno si sente più legato ad Annibal Caro o a Ippolito Pindemonte che a un contadino pugliese o siciliano».[116]  Dall'Ottocento, in Europa, si è assistito a un fiorire della letteratura popolare, dai romanzi di appendice del Sue o di Ponson du Terrail, ad Alexandre Dumas, ai racconti polizieschi inglesi e americani; con maggior dignità artistica, alle opere del Chesterton e di Dickens, a quelle di Victor Hugo, di Émile Zola e di Honoré de Balzac, fino ai capolavori di Fëdor Michajlovič Dostoevskij e di Lev Tolstoj. Nulla di tutto questo in Italia: qui la letteratura non si è diffusa e non è stata popolare, per la mancanza di un blocco nazionale intellettuale e morale tanto che l'elemento intellettuale italiano è avvertito come più straniero degli stranieri stessi. Fa eccezione, per Gramsci, il melodramma, che ha tenuto in qualche modo in Italia il ruolo nazionale-popolare sostenuto altrove dalla letteratura.   Alessandro Manzoni ritratto da Francesco Hayez Il pubblico italiano cerca la sua letteratura all'estero perché la sente più sua di quella nazionale: è questa la dimostrazione del distacco, in Italia, fra pubblico e scrittori: «Ogni popolo ha la sua letteratura, ma essa può venirgli da un altro popolo [...] può essere subordinato all'egemonia intellettuale e morale di altri popoli. È questo spesso il paradosso più stridente per molte tendenze monopolistiche di carattere nazionalistico e repressivo: che mentre si costruiscono piani grandiosi di egemonia, non ci si accorge di essere oggetto di egemonie straniere; così come, mentre si fanno piani imperialistici, in realtà si è oggetto di altri imperialismi». Hanno fallito nel compito di elaborare la coscienza morale del popolo, non diffondendo in esso un moderno umanesimo, tanto gli intellettuali laici quanto i cattolici: la loro insufficienza è «uno degli indizi più espressivi dell'intima rottura che esiste tra la religione e il popolo: questo si trova in uno stato miserrimo di indifferentismo e di assenza di una vivace vita spirituale; la religione è rimasta allo stato di superstizione [...] l'Italia popolare è ancora nelle condizioni create immediatamente dalla Controriforma: la religione, tutt'al più, si è combinata col folclore pagano ed è rimasta in questo stadio».[117]  Sono rimaste famose le note di Gramsci sul Manzoni: lo scrittore più autorevole, più studiato nelle scuole e probabilmente il più popolare, è una dimostrazione del carattere non nazionale-popolare della letteratura italiana; ecco le parole dai Quaderni del carcere, confrontandolo con Tolstoj: «Il carattere aristocratico del cattolicismo manzoniano appare dal compatimento scherzoso verso le figure di uomini del popolo (ciò che non appare in Tolstoj), come fra Galdino (in confronto di frate Cristoforo), il sarto, Renzo, Agnese, Perpetua, la stessa Lucia [...] i popolani, per il Manzoni, non hanno vita interiore, non hanno personalità morale profonda; essi sono animali e il Manzoni è benevolo verso di loro proprio della benevolenza di una cattolica società di protezione di animali [...] niente dello spirito popolare di Tolstoi, cioè dello spirito evangelico del cristianesimo primitivo. L'atteggiamento del Manzoni verso i suoi popolani è l'atteggiamento della Chiesa Cattolica verso il popolo: di condiscendente benevolenza, non di immediatezza umana [...] vede con occhio severo tutto il popolo, mentre vede con occhio severo i più di coloro che non sono popolo; egli trova magnanimità, alti pensieri, grandi sentimenti, solo in alcuni della classe alta, in nessuno del popolo [...] non c'è popolano che non venga preso in giro e canzonato [...] Vita interiore hanno solo i signori: fra Cristoforo, il Borromeo, l'Innominato, lo stesso don Rodrigo [...] il suo atteggiamento verso il popolo non è popolare-nazionale ma aristocratico».[118]  Una classe che muova alla conquista dell'egemonia non può non creare una nuova cultura, che è essa stessa espressione di una nuova vita morale, un nuovo modo di vedere e rappresentare la realtà; naturalmente, non si possono creare artificialmente artisti che interpretino questo nuovo mondo culturale, ma «un nuovo gruppo sociale che entra nella vita storica con atteggiamento egemonico, con una sicurezza di sé che prima non aveva, non può non suscitare dal suo seno personalità che prima non avrebbero trovato una forza sufficiente per esprimersi compiutamente». Intanto, nella creazione di una nuova cultura, è parte la critica della civiltà letteraria presente, e Gramsci vede nella critica svolta da Francesco De Sanctis un esempio privilegiato:   Francesco De Sanctis ritratto da Saverio Altamura «La critica del De Sanctis è militante, non frigidamente estetica, è la critica di un periodo di lotte culturali, di contrasti tra concezioni della vita antagonistiche. Le analisi del contenuto, la critica della struttura delle opere, cioè della coerenza logica e storica-attuale delle masse di sentimenti rappresentati artisticamente, sono legate a questa lotta culturale: proprio in ciò pare consista la profonda umanità e l'umanesimo del De Sanctis [...] Piace sentire in lui il fervore appassionato dell'uomo di parte che ha saldi convincimenti morali e politici e non li nasconde». Il De Sanctis opera nel periodo risorgimentale, in cui si lotta per creare una nuova cultura: di qui la differenza con il Croce, che vive sì gli stessi motivi culturali, ma nel periodo della loro affermazione, per cui «la passione e il fervore romantico si sono composti nella serenità superiore e nell'indulgenza piena di bonomia». Quando poi quei valori culturali, così affermatisi, sono messi in discussione, allora in Croce «subentra una fase in cui la serenità e l'indulgenza s'incrinano e affiora l'acrimonia e la collera a stento repressa: fase difensiva non aggressiva e fervida, e pertanto non confrontabile con quella del De Sanctis».[119]  Per Gramsci, una critica letteraria marxistica può avere nel critico campano un esempio, dal momento che essa deve fondere, come De Sanctis fece, la critica estetica con la lotta per una cultura nuova, criticando il costume, i sentimenti e le ideologie espresse nella storia della letteratura, individuandone le radici nella società in cui quegli scrittori si trovavano a operare.  Non a caso, Gramsci progettava nei suoi Quaderni un saggio che intendeva intitolare «I nipotini di padre Bresciani», dal nome del gesuita Antonio Bresciani (1798-1862), tra i fondatori e direttore della rivista La Civiltà Cattolica e scrittore di romanzi popolari d'impronta reazionaria; uno di essi, L'ebreo di Verona, fu stroncato in un famoso saggio del De Sanctis. I nipotini di padre Bresciani sono, per Gramsci, gli intellettuali e i letterati contemporanei portatori di una ideologia reazionaria, sia essa cattolica che laica, con un «carattere tendenzioso e propagandistico apertamente confessato».[120]  Fra i «nipotini» Gramsci individua, oltre a molti scrittori ormai dimenticati, Antonio Beltramelli, Ugo Ojetti«la codardia intellettuale dell'uomo supera ogni misura normale»Alfredo Panzini, Goffredo Bellonci, Massimo Bontempelli, Umberto Fracchia, Adelchi Baratono«l'agnosticismo del Baratono non è altro che vigliaccheria morale e civile [...] Baratono teorizza solo la propria impotenza estetica e filosofica e la propria coniglieria»Riccardo Bacchelli«nel Bacchelli c'è molto brescianesimo, non solo politico-sociale, ma anche letterario: la Ronda fu una manifestazione di gesuitismo artistico»Salvator Gotta, «di Salvator Gotta si può dire ciò che il Carducci scrisse del Rapisardi: Oremus sull'altare e flatulenze in sagrestia; tutta la sua produzione letteraria è brescianesca», Giuseppe Ungaretti.  Secondo Gramsci «la vecchia generazione degli intellettuali è fallita (Papini, Prezzolini, Soffici, ecc.) ma ha avuto una giovinezza. La generazione attuale non ha neanche questa età delle brillanti promesse, Titta Rosa, Angioletti, Malaparte, ecc.). Asini brutti anche da piccoletti».[121] Benedetto Croce, il più autorevole intellettuale dell'epoca, secondo Gramsci aveva dato alla borghesia italiana gli strumenti culturali più raffinati per delimitare i confini fra gli intellettuali e la cultura italiana, da una parte, e il movimento operaio e socialista dall'altra; è allora necessario mostrare e combattere la sua funzione di maggior rappresentante dell'egemonia culturale che il blocco sociale dominante esercita nei confronti del movimento operaio italiano. Come tale, il Croce combatte il marxismo, cercando di negarne validità nell'elemento che egli individua come decisivo: quello dell'economia; Il Capitale di Marx sarebbe per lui un'opera di morale e non di scienza, un tentativo di dimostrare che la società capitalistica è immorale, diversamente dalla comunista, in cui si realizzerebbe la piena moralità umana e sociale. La non scientificità dell'opera maggiore di Marx sarebbe dimostrata dal concetto del plusvalore: per Croce, solo da un punto di vista morale si può parlare di plusvalore, rispetto al valore, legittimo concetto economico.   Benedetto Croce Questa critica del Croce è in realtà un semplice sofisma: il plusvalore è esso stesso valore, è la differenza tra il valore delle merci prodotte dal lavoratore e il valore della forza-lavoro del lavoratore stesso. Del resto, la teoria del valore di Marx deriva direttamente da quella dell'economista liberale inglese David Ricardo la cui teoria del valore-lavoro «non sollevò nessuno scandalo quando fu espressa, perché allora non rappresentava nessun pericolo, appariva solo, come era, una constatazione puramente oggettiva e scientifica. Il valore polemico e di educazione morale e politica, pur senza perdere la sua oggettività, doveva acquistarla solo con la Economia critica [Il Capitale di Marx]».[122]  La filosofia crociana si qualifica come storicismo, ossia, seguendo il Vico, la realtà è storia e tutto ciò che esiste è necessariamente storico ma, conformemente alla natura idealistica della sua filosofia, la storia è storia dello Spirito, dunque storia speculativa, di astrazionistoria della libertà, della cultura, del progressonon è la storia concreta delle nazioni e delle classi: «La storia speculativa può essere considerata come un ritorno, in forme letterarie rese più scaltre e meno ingenue dallo sviluppo della capacità critica, a modi di storia già caduti in discredito come vuoti e retorici e registrati in diversi libri dello stesso Croce. La storia etico-politica, in quanto prescinde dal concetto di blocco storico, in cui contenuto economico-sociale e forma etico-politica si identificano concretamente nella ricostruzione dei vari periodi storici, è niente altro che una presentazione polemica di filosofemi più o meno interessanti, ma non è storia [...] la storia del Croce rappresenta figure disossate, senza scheletro, dalle carni flaccide e cascanti anche sotto il belletto delle veneri letterarie dello scrittore».[123]  L'operazione conservatrice del Croce storico fa il paio con quella del Croce filosofo: se la dialettica dell'idealista Hegel era una dialettica dei contrariuno svolgimento della storia che procede per contraddizionila dialettica crociana è una dialettica dei distinti: commutare la contraddizione in distinzione significa operare un'attenuazione, se non un annullamento dei contrasti che nella storia, e dunque nelle società, si presentano. Tale operazione si manifesta nelle opere storiche del Croce: la sua Storia d'Europa, iniziando dal 1815 e tagliando fuori il periodo della Rivoluzione francese e quello napoleonico, «non è altro che un frammento di storia, l'aspetto passivo della grande rivoluzione che si iniziò in Francia nel 1789, traboccò nel resto d'Europa con le armate repubblicane e napoleoniche, dando una potente spallata ai vecchi regimi e determinandone non il crollo immediato come in Francia, ma la corrosione riformistica che durò fino al 1870».[124] Analoga è l'operazione operata dal Croce nella sua Storia d'Italia dal 1871 al 1915 la quale affronta unicamente il periodo del consolidamento del regime dell'Italia unita e si «prescinde dal momento della lotta, dal momento in cui si elaborano e radunano e schierano le forze in contrasto [...] in cui un sistema etico-politico si dissolve e un altro si elabora [...] in cui un sistema di rapporti sociali si sconnette e decade e un altro sistema sorge e si afferma, e invece [Croce] assume placidamente come storia il momento dell'espansione culturale o etico-politico» Gramsci, fin dagli anni universitari, fu un deciso oppositore di quella concezione fatalistica e positivistica del marxismo, presente nel vecchio partito socialista, per la quale il capitalismo necessariamente era destinato a crollare da sé, facendo posto a una società socialista. Questa concezione mascherava l'impotenza politica del partito della classe subalterna, incapace di prendere l'iniziativa per la conquista dell'egemonia.  Anche il manuale del bolscevico russo Nikolaj Bucharin, edito nel 1921, La teoria del materialismo storico manuale popolare di sociologia, si colloca nel filone positivistico: «la sociologia è stata un tentativo di creare un metodo della scienza storico-politica, in dipendenza di un sistema filosofico già elaborato, il positivismo evoluzionistico [...] è diventata la filosofia dei non filosofi, un tentativo di descrivere e classificare schematicamente i fatti storici, secondo criteri costruiti sul modello delle scienze naturali. La sociologia è dunque un tentativo di ricavare sperimentalmente le leggi di evoluzione della società umana in modo da prevedere l'avvenire con la stessa certezza con cui si prevede che da una ghianda si svilupperà una quercia. L'evoluzionismo volgare è alla base della sociologia che non può conoscere il principio dialettico col passaggio dalla quantità alla qualità, passaggio che turba ogni evoluzione e ogni legge di uniformità intesa in senso volgarmente evoluzionistico».[125]  La comprensione della realtà come sviluppo della storia umana è solo possibile utilizzando la dialettica marxianadella quale non vi è traccia nel Manuale del Bucharinperché essa coglie tanto il senso delle vicende umane quanto la loro provvisorietà, la loro storicità determinata dalla prassi, dall'azione politica che trasforma le società.  Le società non si trasformano da sé: già Marx aveva rilevato come nessuna società si ponga compiti per la cui soluzione non esistano già le condizioni almeno in via di apparizione né essa si dissolve, se prima non ha svolto tutte le forme di vita che le sono implicite. Il rivoluzionario si pone il problema di individuare esattamente i rapporti tra struttura e sovrastruttura per giungere a una corretta analisi delle forze che operano nella storia di un determinato periodo. L'azione politica rivoluzionaria, la prassi, per Gramsci è anche catarsi che segna «il passaggio dal momento meramente economico (o egoistico-passionale) al momento etico-politico cioè l'elaborazione superiore della struttura in superstruttura nella coscienza degli uomini. Ciò significa anche il passaggio dall'oggettivo al soggettivo e dalla necessità alla libertà. La struttura, da forza esteriore che schiaccia l'uomo, lo assimila a sé, lo rende passivo, si trasforma in mezzo di libertà, in strumento per creare una nuova forma etico-politica, in origine di nuove iniziative. La fissazione del momento catartico diventa così, mi pare, il punto di partenza di tutta la filosofia della prassi; il processo catartico coincide con la catena di sintesi che sono risultate dallo svolgimento dialettico».   Friedrich Engels La dialettica è dunque strumento di indagine storica, che supera la visione naturalistica e meccanicistica della realtà, è unione di teoria e prassi, di conoscenza e azione. La dialettica è «dottrina della conoscenza e sostanza midollare della storiografia e della scienza della politica» e può essere compresa solo concependo il marxismo «come una filosofia integrale e originale che inizia una nuova fase nella storia e nello sviluppo mondiale in quanto supera (e superando ne include in sé gli elementi vitali) sia l'idealismo che il materialismo tradizionali espressione delle vecchie società. Se la filosofia della prassi [il marxismo] non è pensata che subordinatamente a un'altra filosofia, non si può concepire la nuova dialettica, nella quale appunto quel superamento si effettua e si esprime».[126]  Il vecchio materialismo è metafisica; per il senso comune la realtà oggettiva, esistente indipendentemente dall'uomo, è un ovvio assioma, confortato dall'affermazione della religione per la quale il mondo, creato da Dio, si trova già dato di fronte a noi. Ma per Gramsci va rifiutata «la concezione della realtà oggettiva del mondo esterno nella sua forma più triviale e acritica» dal momento che «a questa può essere mossa l'obbiezione di misticismo».[127] Se noi conosciamo la realtà in quanto uomini, ed essendo noi stessi un divenire storico, anche la conoscenza e la realtà stessa sono un divenire.  Come potrebbe esistere un'oggettività extrastorica ed extraumana e chi giudicherà di tale oggettività? «La formulazione di Engels che l'unità del mondo consiste nella sua materialità dimostrata dal lungo e laborioso sviluppo della filosofia e delle scienze naturali contiene appunto il germe della concezione giusta, perché si ricorre alla storia e all'uomo per dimostrare la realtà oggettiva. Oggettivo significa sempre umanamente oggettivo, ciò che può corrispondere esattamente a storicamente soggettivo [...] . L'uomo conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per tutto il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario; ma questo processo di unificazione storica avviene con la sparizione delle contraddizioni interne che dilaniano la società umana, contraddizioni che sono la condizione della formazione dei gruppi e della nascita delle ideologie [...]. C'è dunque una lotta per l'oggettività (per liberarsi dalle ideologie parziali e fallaci) e questa lotta è la stessa lotta per l'unificazione culturale del genere umano. Ciò che gli idealisti chiamano spirito non è un punto di partenza ma di arrivo, l'insieme delle soprastrutture in divenire verso l'unificazione concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario».[128] La formazione linguistica di Antonio Gramsci inizia durante gli anni universitari a Torino con la frequentazione delle lezioni di linguistica generale del prof. Matteo Bartoli. Dal Bartoli Gramsci apprende che la lingua è un "prodotto sociale" e che non può essere studiata senza tenere conto della storia generale: ciò vuol dire che non è possibile comprendere i mutamenti di una data lingua senza riflettere sui mutamenti sociali, culturali e politici del popolo che la parla.[129] È stato notato che Gramsci fece aderire le teorie apprese dal Bartoli alle letture filosofiche che lo formarono politicamente; in primo luogo all'Ideologia Tedesca di Karl Marx, dove il filosofo affermava che la lingua, come la coscienza, appartiene alla sfera degli istituti sovrastrutturali, cioè al mondo dell'organizzazione politica e giuridica della società.[129]  Le più interessanti riflessioni linguistiche gramsciane sono contenute nei Quaderni del carcere e riguardano da una parte la questione della lingua in Italia, ovvero lo studio delle ragioni che hanno reso difficile la diffusione di una lingua nazionale italiana, dall'altra il tema dell'insegnamento linguistico nelle scuole primarie. Soprattutto il secondo tema è di fondamentale importanza per Gramsci, perché riguarda direttamente il riscatto culturale delle grandi masse popolari e la creazione di uno spirito nazionale in grado di superare ogni forma di particolarismo regionale.  L'indagine storica I Quaderni del carcere sono costellati in maniera asistematica di molte note dedicate a problemi di caratteri linguistico; queste note tracciano una vera e propria storia della lingua italiana e racchiudono le riflessioni di Gramsci in merito alla cosiddetta questione della lingua in Italia. Questo tipo di argomento si riallaccia a un altro importante tema dei Quaderni ovvero lo studio delle responsabilità degli intellettuali italiani per la formazione di uno spirito nazionale unitario. A tal proposito Gramsci scrive: «mi pare che, intesa la lingua come elemento della cultura e quindi della storia generale e come manifestazione precipua della nazionalità e popolarità degli intellettuali, questo studio non sia ozioso e puramente erudito».[130]  Nell'affrontare una ricostruzione storica delle vicende linguistiche italiane Gramsci cerca dei termini di confronto con altri paesi europei come la Francia: mentre in Francia il volgare viene usato per la prima volta nella storia per redigere un documento ufficiale di carattere politico-istituzionale, in Italia il volgare appare per la registrazione di documenti privati legati al commercio o a questioni giuridiche:  «l'origine della differenziazione storica tra Italia e Francia si può trovare testimoniata nel giuramento di Strasburgo (verso l'841), cioè nel fatto che il popolo partecipa attivamente alla storia (il popolo-esercito) diventando il garante dell'osservanza dei trattati tra i discendenti di Carlo Magno; il popolo-esercito garantisce giurando in volgare, cioè introduce nella storia nazionale la sua lingua, assumendo una funzione politica di primo piano, presentandosi come volontà collettiva, come elemento di una democrazia nazionale. Questo fatto demagogico dei Carolingi di appellarsi al popolo nella loro politica estera è molto significativo per comprendere lo sviluppo della storia francese e la funzione che vi ebbe la monarchia come fattore nazionale. In Italia i primi documenti di volgare sono dei giuramenti individuali per fissare la proprietà su certe terre dei conventi, o hanno un carattere antipopolare («Traite, traite, fili de le putte»).»  (A. Gramsci, Quaderni del carcere, V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975646.) In Francia i gruppi dirigenti si rendono conto dell'importanza del popolo negli affari di Stato: la demagogia di cui parla Gramsci è da intendere, oltre che come strumento di propaganda, anche come un nuovo atteggiamento politico in grado di crearsi «una propria civiltà statale integrale»,[131] in cui si stabilisce un rapporto diretto tra governati e governanti: il popolo diventa testimone di un fatto storico legittimato dal suo giuramento.  Gramsci ricorda nei suoi appunti come in Italia l'uso del volgare si diffonda con l'avvento dell'età comunale, non solo per la redazione di documenti privati, tipo atti notarili o giuramenti, ma anche per la creazione di opere letterarie: in particolare, il volgare toscano, lingua della borghesia, ottiene un certo successo anche nelle altre regioni. Gramsci scrive: «fino al Cinquecento Firenze esercita una egemonia culturale, connessa alla sua egemonia commerciale e finanziaria (papa Bonifazio VIII diceva che i fiorentini erano il quinto elemento del mondo) e c'è uno sviluppo linguistico unitario dal basso, dal popolo alle persone colte, rinforzato dai grandi scrittori fiorentini e toscani. Dopo la decadenza di Firenze, l'italiano diventa sempre più la lingua di una casta chiusa, senza contatto vivo con una parlata storica».[132]  Da questo momento si verifica una cristallizzazione della lingua. I promotori del nuovo volgare, provenienti dalla borghesia, non scrivono più nella lingua della loro classe d'origine perché con essa non intrattengono più nessun rapporto, nella visione di Gramsci essi «vengono assorbiti dalle classi reazionarie, dalle corti, non sono letterati borghesi, ma aulici».[133] In questo senso, Gramsci vede sciupata l'occasione di una diffusione graduale del volgare toscano su scala nazionale, occasione compromessa soprattutto dalla frammentazione politica della penisola e dal carattere elitario dei ceti intellettuali italiani.  Gramsci affronta con maggior vigore la questione della lingua italiana in relazione al periodo post-unitario; nella seconda metà dell'Ottocento il nuovo Stato Italiano era per gran parte dialettofono, mentre l'italiano veniva usato solo a livello letterario e come lingua delle istituzioni. La scarsa diffusione di una lingua nazionale testimoniava la frammentazione politica e culturale del popolo italiano; questo fenomeno veniva avvertito come un problema politico, soprattutto da molti intellettuali di tendenze democratiche come Alessandro Manzoni.  Nella sua ricostruzione storica Gramsci scrive che «anche la questione della lingua posta dal Manzoni riflette questo problema, il problema della unità intellettuale e morale della nazione e dello Stato, ricercato nell'unità della lingua»;[134] eppure, sebbene Gramsci riconosca al Manzoni di aver compreso la questione linguistica italiana come una questione politica e sociale, si distingue dall'autore lombardo nel modo di interpretare la risoluzione del problema.   Graziadio Isaia Ascoli Durante il suo apprendistato glottologico presso il professor Bartoli a Torino Gramsci aveva avuto modo di confrontare le posizioni del Manzoni con quelle di Graziadio Isaia Ascoli, autore del Proemio al primo numero dell'Archivio Glottologico italiano del 1873. Mentre Manzoni prevedeva la diffusione di una lingua nazionale sul modello fiorentino imposta per decreto statale e per mezzo di maestri di scuola di origine toscana, Ascoli concepiva la nascita di una lingua nazionale come il frutto di un'unificazione culturale prima ancora che linguistica.  Secondo Ascoli l'unità culturale e linguistica, prima di tutto, deve avere un centro irradiante, cioè un determinato 'municipio' in cui si concentrano e da cui provengono gli elementi essenziali della vita nazionale: beni di consumo, stimoli culturali, mode, ritrovati della tecnica, istituti statali e giuridici, ecc. Se quel dato municipio riuscirà a stabilire un primato politico, economico e culturale su tutta la nazione, riuscirà anche a diffondere, per conseguenza, il suo particolare idioma. Per Ascoli «una lingua nazionale altro non può e non deve essere, se non l'idioma vivo di una data città; deve cioè per ogni parte coincidere con l'idioma spontaneamente parlato dagli abitatori contemporanei di quel dato municipio, che per questo capo viene a farsi principe, o quasi stromento livellatore, dell'intiera nazione».[135] Ascoli, nel suo Proemio, prende la Francia come esempio per avvalorare la sua tesi; infatti l'unità linguistica francese corrisponde all'egemonia politico-culturale della città di Parigi:  «La Francia attinge da Parigi la unità della sua favella, perché Parigi è il gran crogiuolo in cui si è fusa e si fonde l'intelligenza della Francia intera. Dal vertiginoso movimento del municipio parigino parte ogni impulso dell'universa civiltà francese; [...] viene da Parigi il nome, perché da Parigi vien la cosa. E la Francia avendo in questo municipio l'unità assorbente del suo pensiero, vi ha naturalmente pur quella dell'animo suo; e non solo studia e lavora, ma si commuove, e in pianto e in riso, così come la metropoli vuole; e quindi è necessariamente dell'intiera Francia l'intiera favella di Parigi».»  (G. I. Ascoli, Proemio, AGI, n. I, 1873X) Gramsci ricalca la lezione ascoliana nei suoi Quaderni, dove scrive: «poiché il processo di formazione, di diffusione, e di sviluppo di una lingua nazionale unitaria avviene attraverso tutto un complesso di processi molecolari, è utile avere consapevolezza di tutto il processo nel suo complesso, per essere in grado di intervenire attivamente in esso col massimo di risultato. Questo intervento non bisogna considerarlo come decisivo e immaginare che i fini proposti saranno tutti raggiunti nei loro particolari, che cioè si otterrà una determinata lingua unitaria: si otterrà una lingua unitaria, se essa è una necessità e l'intervento organizzato accelererà i tempi del processo già esistente; quale sia per essere questa lingua non si può prevedere e stabilire [...]».[136]  L'insegnamento linguistico Gramsci, nel Quaderno 29 alla nota Focolai di irradiazione linguistiche nella tradizione e di un conformismo nazionale linguistico nelle grandi masse compila un elenco di tutti gli strumenti utili alla diffusione di una lingua unitaria: «1) La scuola; 2) i giornali; 3) gli scrittori d'arte e quelli popolari; 4) il teatro e il cinematografo sonoro; 5) la radio; 6) le riunioni pubbliche di ogni genere, comprese quelle religiose; 7) i rapporti di conversazione tra i vari strati della popolazione più colti e meno colti [...] ; 8) i dialetti locali, intesi in sensi diversi (dai dialetti più localizzati a quelli che abbracciano complessi regionali più o meno vasti: così il napoletano per l'Italia meridionale, il palermitano o il catanese per la Sicilia ecc.)».[137]  Al primo posto di questo elenco troviamo la scuola; per tradizione, a scuola, gli insegnanti introducono gli alunni allo studio di una lingua attraverso la grammatica normativa. Gramsci definisce la grammatica normativa come una «fase esemplare, come la sola degna di diventare, organicamente e totalitarmente, la lingua comune di una nazione, in lotta e in concorrenza con le altre fasi e tipi o schemi che esistono già [...]».[138]  Le riflessioni gramsciane in materia di grammatica si pongono in netto contrasto con la riforma della scuola realizzata da Giovanni Gentile nel 1923. La riforma, in linea con l'impianto filosofico idealista gentiliano, prevedeva che l'apprendimento della lingua nazionale nelle classi elementari si basasse sull'espressione viva o parlata e non sulla grammatica, considerata questa come una disciplina astratta e meccanica. Nell'ottica gramsciana questo metodo apparentemente liberale racchiude uno spiccato carattere classista, in quanto gli scolari appartenenti alle classi sociali più alte sono avvantaggiati dal fatto che apprendono l'italiano in famiglia, mentre gli scolari del basso popolo possono contare su una comunicazione familiare realizzata esclusivamente in dialetto. In questo senso lo studio della grammatica si presenta come uno strumento in grado di livellare le differenze sociali degli scolari permettendo a tutti la conoscenza della lingua nazionale.  Secondo Gramsci la conoscenza della lingua nazionale presso le classi subalterne è fondamentale per la loro organizzazione politica. Un proletariato dialettofono non può partecipare alla vita politica di una nazione e non può sperare di crearsi un ceto intellettuale in grado di competere con i ceti intellettuali tradizionali. I dialetti non devono sparire, ma restare funzionali a un tipo di comunicazione familiare che non può garantire, per cause interne al suo sistema, «la comunicazione di contenuti culturali universali, caratteristici della nuova cultura esercitata dal proletariato»[139]  Gramsci prestò attenzione anche alle lingue morte. Da giovane espresse in più occasioni l'idea che lo studio del latino e del greco fosse particolarmente utile nella formazione scolastica degli individui, in quanto esse potevano abituare gli alunni allo studio rigoroso ed educarli a pensare storicamente. Inoltre, contestò il nazionalismo degli studi e criticò ripetutamente gli intellettuali che, durante la prima guerra mondiale, chiedevano che fossero messe al bando le edizioni dei testi antichi e le grammatiche greche e latine compilate da autori tedeschi[140].  Anche nei Quaderni del carcere si soffermò sulla questione e ribadì l'utilità intrinseca del latino e del greco, osservando che erano strumenti importanti nella fase della formazione scolastica nella quale è necessario un insegnamento "disinteressato", cioè non legato a questioni pratiche. Gramsci, però, sottolineò anche che in futuro lo studio delle lingue morte avrebbe dovuto essere sostituito da altre materie: era un cambiamento difficile, ma necessario, per promuovere la formazione di un nuovo tipo di intellettuale.[141] Scrisse nel Quaderno 12:  Bisognerà sostituire il latino e il greco come fulcro della scuola formativa e lo si sostituirà, ma non sarà agevole disporre la nuova materia o la nuova serie di materie in un ordine didattico che dia risultati equivalenti di educazione e formazione generale della personalità, partendo dal fanciullo fino alla soglia della scelta professionale. In questo periodo infatti lo studio o la parte maggio re dello studio deve essere (e apparire ai discenti) disinteressato, non avere cioè scopi pratici immediati o troppo immediati, deve essere formativo, anche se «istruttivo», cioè ricco di nozioni concrete.  (A. Gramsci, Quaderni del Carcere, V. Gerratana, Einaudi, Torino 19751546)Influenze sul pensiero di Gramsci  Fiabe intrecciate, 2007, Omaggio a Antonio Gramsci, di Maria Lai, Piazzale del Museo Stazione dell'arte Niccolò Machiavelli — influenzò fortemente la teoria dello Stato di Gramsci. Karl Marx — filosofo, storico, critico dell'economia politica e fondatore del materialismo storico Friedrich Engels Lenin Antonio Labriola — primo notevole teorico marxista italiano, riteneva che la principale caratteristica del marxismo fosse quella di aver creato uno stretto nesso fra la storia e la filosofia Georges Sorel — sindacalista francese e scrittore che ha respinto il principio dell'inevitabilità del progresso storico. Vilfredo Pareto — economista e sociologo italiano, noto per la sua teoria sull'interazione fra masse ed élite. Benedetto Croce — liberale italiano, filosofo anti-marxista e idealista il cui pensiero fu sottoposto da Gramsci a critica attenta e approfondita. Pensatori influenzati da Gramsci Magnifying glass icon mgx2.svg  Gramscianesimo. Zackie Achmat Eqbal Ahmad Jalal Al-e-Ahmad Louis Althusser Perry Anderson Giulio Angioni Michael Apple Giovanni Arrighi Zygmunt Bauman Homi K. Bhabha Gordon Brown Alberto Burgio Judith Butler Alex Callinicos Partha Chatterjee Marilena Chauí Noam Chomsky Alberto Mario Cirese Hugo Costa Robert W. Cox Alain de Benoist Biagio de Giovanni Ernesto de Martino Umberto Eco John Fiske Michel Foucault Paulo Freire Eugenio Garin Eugene D. Genovese Stephen Gill Paul Gottfried Stuart Hall Michael Hardt Chris Harman David Harvey Hamish Henderson Eric Hobsbawm Samuel P. Huntington Alfredo Jaar Bob Jessop Ernesto Laclau Subcomandante Marcos José Carlos Mariátegui Chantal Mouffe Antonio Negri Luigi Nono Michael Omi Pier Paolo Pasolini Antonio Pigliaru Michelangelo Pira Juan Carlos Portantiero Nicos Poulantzas Gyan Prakash William I. Robinson Edward Saïd Ato Sekyi-Otu Gayatri Chakravorty Spivak Piero Sraffa Edward Palmer Thompson Giuseppe Vacca Paolo Virno Cornel West Raymond Williams Howard Winant Ludwig Wittgenstein Eric Wolf Howard Zinn Gramsci al cinema e in televisione Il delitto Matteotti, regia di Florestano Vancini, (1973) Antonio GramsciI giorni del carcere, regia di Lino Del Fra, (1977) Vita di Antonio Gramsci, regia di Raffaele Maielloserie TV (1981) Gramsci, film in forma di rosa, regia di Gabriele Morleocortometraggio (2005) Gramsci 44, regia di Emiliano Barbucci () Nel mondo grande e terribile, regia di Daniele Maggioni, Maria Grazia Perria e Laura Perini () Gramsci nel teatro Compagno Gramsci, di Maricla Boggio e Franco Cuomo, regia di Maricla Boggio, (1971-72) Gramsci nella musica Quello lì (compagno Gramsci), canzone di Claudio Lolli contenuta nell'album Un uomo in crisi. Canzoni di morte. Canzoni di vita (1973) Piazza Fontana, canzone dei Yu Kung contenuta nell'album Pietre della mia gente (1975) Nino, canzone dei Gang contenuta nell'album Sangue e Cenere () Gramsci, il teatro e la musica È nota la passione di Gramsci per il teatro e per la musica, che si può leggere nelle lettere scritte a Tania[142]. Egli ha scritto circa il melodrama “verdiano” che per lui segnava l’apertura dei teatri al pubblico, svolgendo una funzione conoscitiva, pedagogica e politica in senso generale. Per Gramsci l’opera diviene l’arte più popolare e i teatri aperti i luoghi dove si esercitava parte del conflitto politico.  Una frase quasi ironica di Gramsci da citare, per quanto riguarda l’importanza dell’opera per l’Italia: “siccome il popolo non è letterato e di letteratura conosce solo il libretto d'opera ottocentesco, avviene che gli uomini del popolo melodrammatizzino”[143].  Nelle sue lettere si può leggere anche riguardo alla moda europea del jazz; egli sostiene che questa musica aveva conquistato uno strato dell’Europa colta e aveva creato un vero fanatismo[144].Opere Alcuni temi della questione meridionale, in Lo Stato Operaio, a. IV, n. 1, gennaio 1930, ma ottobre 1926. Opere di Antonio Gramsci (12 voll.) Lettere dal carcere, Torino, Einaudi, 1947; premio Viareggio[145], con centodiciannove lettere inedite, 1965. I quaderni dal carcere Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Torino, Einaudi, 1948. Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, Torino, Einaudi, 1948. Il Risorgimento, Torino, Einaudi, 1949. Note sul Machiavelli sulla politica e sullo stato moderno, Torino, Einaudi, 1949. Letteratura e vita nazionale, Torino, Einaudi, 1950. Passato e presente, Torino, Einaudi, 1951. L'Ordine Nuovo. 1919-1920, Torino, Einaudi, 1954. Scritti giovanili. 1914-1918, Torino, Einaudi, 1958. Sotto la mole. 1916-1920, Torino, Einaudi, 1960. Socialismo e fascismo. L'Ordine Nuovo 1921-1922, Torino, Einaudi, 1966. La costruzione del Partito comunista. 1923-1926, Torino, Einaudi, 1971. L'albero del riccio, Milano, Milano-sera, 1948. Americanismo e fordismo, Milano, Ed. cooperativa Libro popolare, 1949. Ultimo discorso alla Camera. 16 maggio 1925, Padova, R. Guerrini, 1958. Antologia popolare degli scritti e delle lettere di Antonio Gramsci, Roma, Editori Riuniti, 1957. Il Vaticano e l'Italia, Roma, Editori Riuniti, 1961. Note sulla situazione italiana 1922-1924, Milano, Rivista storica del socialismo, 1962. 2000 pagine di Gramsci Nel tempo della lotta. 1914-1926, Milano, Il Saggiatore, 1964. Lettere edite e inedite. 1912-1937, Milano, Il Saggiatore, 1964. Elementi di politica, Roma, Editori Riuniti, 1964. La formazione dell'uomo. Scritti di pedagogia, Roma, Editori Riuniti, 1967. Scritti politici La guerra, la rivoluzione russa e i nuovi problemi del socialismo italiano, 1916-1919, Roma, Editori Riuniti, 1967. Il Biennio rosso, la crisi del socialismo e la nascita del Partito comunista, 1919-1921, Roma, Editori Riuniti, 1967. Il nuovo partito della classe operaia e il suo programma. La lotta contro il fascismo, 1921-1926, Roma, Editori Riuniti, 1973. Scritti 1915-1921, Milano, I quaderni de Il corpo, 1968. Dibattito sui Consigli di fabbrica, Roma, La nuova sinistra, 1971. Paolo Spriano , Scritti politici, Roma, Editori Riuniti, 1971. L'alternativa pedagogica, Firenze, La nuova Italia, 1972. I consigli e la critica operaia alla produzione, Milano, Servire il popolo, 1972. La lotta per l'edificazione del Partito comunista, Milano, Servire il popolo, 1972. Il pensiero di Gramsci, Roma, Editori Riuniti, 1972. Il pensiero filosofico e storiografico di Antonio Gramsci, Palermo, Palumbo, 1972. Resoconto dei lavori del III congresso del P.C.D.I. (Lione, 26 gennaio 1926), Milano, Cooperativa editrice distributrice proletaria, 1972. Scritti sul sindacato, Milano, Sapere, 1972. Sul fascismo, Roma, Editori Riuniti, 1973. Quaderni del carcere Quaderni 1-5. (1929-1932), Torino, Einaudi, 1975. Quaderni 6-11. (1930-1933), Torino, Einaudi, 1975. Quaderni 12-29. (1932-1935), Torino, Einaudi, 1975. Apparato critico, Torino, Einaudi, 1975. La rivoluzione italiana, Roma, Newton Compton, 1976. Arte e folclore, Roma, Newton Compton, 1976. Scritti 1915-1921. Inediti da Il Grido del Popolo e dall'Avanti. Con una antologia da Il Grido del Popolo, Milano, Moizzi, 1976. Ricordi politici e civili, Pavia 1977. Scritti nella lotta. Dai consigli di fabbrica, alla fondazione del partito, al Congresso di Lione, Livorno, Edizioni Gramsci, 1977. Scritti sul sindacato, Roma, Nuove edizioni operaie, 1977. A Delio e Giuliano, Milano, N. Milano, 1978. I consigli di fabbrica, Milano, Amici della casa Gramsci di Ghilarza, Centro milanese, 1978. Favole di libertà, Firenze, Vallecchi, 1980. Scritti 1913-1926 Cronache torinesi. 1913-1917, Torino, Einaudi, 1980. La città futura. 1917-1918, Torino, Einaudi, 1982. Il nostro Marx. 1918-1919, Torino, Einaudi, 1984. L'Ordine nuovo, 1919-1920, Torino, Einaudi, 1987. Nuove lettere di Antonio Gramsci. Con altre lettere di Piero Sraffa, Roma, Editori Riuniti, 1986. Forse rimarrai lontana.... Lettere a Iulca, 1922-1937, Roma, Editori Riuniti, 1987. Gramsci al confino di Ustica. Nelle lettere di Gramsci, di Berti e di Bordiga, Roma, Editori Riuniti, 1987. Le sue idee nel nostro tempo, Milano, l'Unità, 1987. Lettere dal carcere, con nuove lettere in parte inedite, 2 voll., Roma, l'Unità, 1988. Il rivoluzionario qualificato. Scritti 1916-1925, Roma, Delotti, 1988. Il giornalismo, Roma, Editori Riuniti, 1991. Lettere, 1908-1926, Torino, Einaudi, 1992. Per una preparazione ideologica di massa: introduzione al primo corso della scuola interna di partito, aprile-maggio 1925, Napoli, Laboratorio politico, 1994. Scritti di economia politica, Bollati Boringhieri, Torino 1994. Vita attraverso le lettere, 1908-1937, Torino, Einaudi, 1994. Disgregazione sociale e rivoluzione. Scritti sul Mezzogiorno, Napoli, Liguori, 1996. Piove, Governo ladro. Satire e polemiche sul costume degli italiani, Roma, Editori Riuniti, 1996. Contro la legge sulle associazioni segrete, Roma, Manifestolibri, 1997. Lettere, 1926-1935, Torino, Einaudi, 1997. Le opere, Roma, Editori Riuniti, 1997. Critica letteraria e linguistica, Roma, Lithos, 1998. Il lettore in catene. La critica letteraria nei Quaderni, Roma, Carocci, 2004. La nostra città futura. Scritti torinesi, 1911-1922, Roma, Carocci, 2004. Pensare l'Italia, Roma, Nuova iniziativa editoriale, 2004. Scritti sulla Sardegna. La memoria familiare, l'analisi della questione sarda, Nuoro, Ilisso, 2008. Scritti rivoluzionari. Dal biennio rosso al Congresso di Lione (1919-1926), Orlando Micucci, Camerano, Gwynplaine, 2008. Quaderni del carcere. Edizione anastatica dei manoscritti, 18 voll., Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana-Cagliari-L'Unione Sarda, 2009. Epistolario 1906-1922, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Epistolario gennaio-novembre 1923, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Antologia, Antonio A. Santucci, prefazione di Guido Liguori, Roma, Editori Riuniti university press, . Il teatro lancia bombe nei cervelli. Articoli, critiche, recensioni 1915-1920, Fabio Francione, Mimesis Edizioni . La taglia della storia. Idea e prassi della rivoluzione, NovaEuropa Edizioni, .Note  Luigi Manias, Antonio Sebastiano Francesco Gramsci, Marmilla Cultura, 28 gennaio . 17 aprile .  International Gramsci Society, su internationalgramscisociety.org.  Genealogia dei Gramsci (JPG), su albanianews.it.  Luigi Manias, Ma quando è nato Antonio Gramsci?, Marmilla Cultura, 21 gennaio . 17 aprile .  Luigi Manias, Ales. La sua storia. I suoi problemi, Marmilla Cultura, 14 marzo . 17 aprile .  Così Gramsci ricordava con ironia l'episodio, nella lettera dal carcere alla cognata Tatiana, il 7 settembre 1931, aggiungendo che «una zia sosteneva che ero risuscitato quando lei mi unse i piedini con l'olio di una lampada dedicata a una Madonna e perciò, quando mi rifiutavo di compiere gli atti religiosi, mi rimproverava aspramente, ricordando che alla Madonna dovevo la vita»  «Noi eravamo tutti molto piccoli. Lei dunque doveva anche accudire alla casa. Trovava il tempo per i lavori di cucito rinunziando al sonno». Così ricordava quegli anni la sorella Teresina Gramsci, in Fiori, 199518  Lettera a Tatiana Schucht, 3 ottobre 1932: così Gramsci scriveva per invitare la cognata a non eccedere nelle sue preoccupazioni sulla sua vita di carcerato. La lettera prosegue infatti: «Ho conosciuto quasi sempre solo l'aspetto più brutale della vita e me la sono sempre cavata, bene o male»  Lettera a Tatiana Schucht, 12 settembre 1932  Numerose sono le richieste di denaro al padre: il 10 febbraio 1910 gli scrive di essere «proprio indecente con questa giacca che ha già due anni ed è spelacchiata e lucida [...] oggi non sono andato a scuola perché mi son dovuto risuolare le scarpe» e, il 16 febbraio, che «per non farvi vergognare non sono uscito di casa per dieci giorni interi»  Fonzo,  15-22.  Testimonianza in Fiori, 199565  Testimonianza della sorella Teresina in Fiori, 199566  Fiori, 199566.  L'articolo è riportato in Fiori, 199569.  Riportato in A. Gramsci, Scritti politici53-55.  Antonio Gramsci, Dizionario di Storia, Treccani  [...] «io pensavo allora che bisognava lottare per l'indipendenza nazionale della regione: "Al mare i continentali". Poi ho conosciuto la classe operaia di una città industriale e ho capito ciò che realmente significavano le cose di Marx che avevo letto prima per curiosità intellettuale». Cfr. A. Gramsci, lettera a Giulia Schucht, 6 marzo 1924, in A. Gramsci, Lettere 1908-1926, 1992,  271-273.  Gramsci e l'isola laboratorio, La Nuova Sardegna  A. Gramsci. Lettere. 1908-192655  Progettando, in carcere, uno studio di linguistica comparata, mai realizzato, in una lettera dal carcere del 19 marzo 1927 alla cognata Tatiana, ricorda come «uno dei maggiori "rimorsi" intellettuali della mia vita è il dolore profondo che ho procurato al mio buon professor Bartoli dell'Torino, il quale era persuaso essere io l'arcangelo destinato a profligare definitivamente i "neogrammatici"» della linguistica. Tuttavia già nel 2003 l'economista Amartya Sen aveva avanzato l'ipotesi che il passaggio ai giochi linguistici di Ludwig Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche fosse stato ispirato dai Quaderni dal carcere. Nel suo recente studio Gramsci and Wittgenstein: an intriguing connection, Franco Lo Pipero ha aggiunto nuovi elementi che dimostrano il collegamento fra Gramsci e Wittgenstein tramite Piero Sraffa. Infatti il filosofo viennese venne a conoscenza del Quaderno 29 nel 1935, grazie proprio al suo amico Sraffa che aveva conosciuto a Cambridge nel 1929  Lettera dal carcere del 23 febbraio 1931: in essa Gramsci ricorda ancora un simpatico e patetico episodio. Dopo la rottura avvenuta ala fine del 1920, a causa di quell'articolo che fece «piangere come un bambino e stette chiuso in casa [il Cosmo] per alcuni giorni», essi s'incontrarono nel 1922 nell'Ambasciata d'Italia a Berlino, dove il professore era segretario: «il Cosmo mi si precipitò addosso, inondandomi di lacrime e di barba e dicendo a ogni momento: Tu capisci perché! Tu capisci perché! Era in preda a una commozione che mi sbalordì, ma mi fece capire quanto dolore gli avessi procurato nel 1920 e come egli intendesse l'amicizia per i suoi allievi di scuola»  Lettera dal carcere a Tatiana Schucht del 17 agosto 1931  In Fiori, 1995103  In Fiori, 1995105  In Fiori, 1995,  108-9  In Fiori, 1995112  In A. Gramsci, Scritti politici, I56-59  Davico12.  Lettera dal carcere a Tatiana Schucht del 7 settembre 1931  Lettera dal carcere a Tatiana Schucht del 19 marzo 1927  Recensione del 24 marzo 1917  Recensione del 4 aprile 1917  Recensione del 5 ottobre 1917  Spriano, 1972,  373.  Note sulla rivoluzione russa, ne Il Grido del Popolo, 29 aprile 1917, in Gramsci, 1971,  59-60  I massimalisti russi, ne Il Grido del Popolo, 28 luglio 1917, in Gramsci, 197166  Spriano, 1972260.  La rivoluzione contro il «Capitale», nell'Avanti!, 24 novembre 1918, in Gramsci, 1971,  80-1  Nella lettera dell'8 marzo 1881 Marx scriveva a Vera Zasulič che la tipica proprietà comune agricola russa poteva essere salvata dalla distruzione minacciata dallo sviluppo dei rapporti capitalistici: «Per salvare la comune russa, occorre una rivoluzione russa. Se la rivoluzione scoppierà a tempo opportuno, se l'intelligencija concentrerà tutte le forze «vive del paese» nell'assicurare alla comune agricola un libero spiegamento, allora la comune ben presto evolverà come elemento di rigenerazione della società russa e, insieme, di superiorità sui paesi ancora asserviti dal regime capitalistico». Inoltre, nella prefazione all'edizione russa del Manifesto del 1882, Marx ed Engels avevano scritto che «l'odierna proprietà comune potrà servire di partenza per una evoluzione comunista». È anche vero, tuttavia, almeno nel caso della lettera alla Zasulič, che Gramsci all'epoca non poteva conoscerne il contenuto, perché il documento sarebbe stato reso pubblico solo nel 1924. (Cfr. Ettore Cinella, L'altro Marx, Della Porta Editori, Pisa-Genova, , 142-143).  A. Gramsci, Ordine Nuovo, 14 agosto 1920  A. Gramsci, ibidem  Corriere della Sera, 9 marzo 1920  Archivio Centrale dello Stato, Min. Int., Dir. Gen. PS, 1920, C 2, b 50  Ordine Nuovo, 8 maggio 1920, in Scritti politici, II,  102-108  Concluso l'8 ottobre 1919 con un ordine del giorno che prospettava la conquista violenta del potere e la dittatura del proletariato  Per un rinnovamento del Partito socialista, ne L’ordine Nuovo, 8 maggio 1920, in Gramsci, 1971,  315-21  Il 30 luglio Lenin, nel suo discorso all'Internazionale Comunista, invitando a espellere dal partito socialista l'ala destra riformista, disse che «all'indirizzo dell'Internazionale Comunista corrisponde l'indirizzo dei militanti dell'Ordine Nuovo e non l'indirizzo dell'attuale maggioranza dei dirigenti del partito socialista e del loro gruppo parlamentare». Lenin, Opere, XXV, p.355  Ordine Nuovo, 4 dicembre 1920, in Scritti politici, II172  GRAMSCI La sposa mandata da Lenin  Lettera del 30 giugno 1924, in A. Gramsci, Lettere 1908-1926  Lettera dal carcere del 18 aprile 1927  Un profilo di Antonio Gramsci junior, su channelingstudio.ru.  Su alcune note di uno sconosciuto bolscevico Vladimir Diogotche sosteneva, fra l'altro, di essere a conoscenza di un tentativo di rovesciamento della monarchia italiana da parte di Nitti in accordo con i socialistilo storico Jaroslav Leontiev ha sostenuto nel 1999 che la conoscenza tra Gramsci e la Schucht sia stata "pilotata" da Lenin in persona: cfr. Link archivio del Corriere  Amendola,  13 e 97.  In Togliatti, In Togliatti, 1974255  Lettera di Gramsci a Giulia Schucht, 21 luglio 1924  Lettera a Giulia Schucht, 22 giugno 1924  La crisi italiana, ne L’Ordine Nuovo, 1º settembre 1924, in Gramsci, 1971,  577-9  Camera dei Deputati, XXVII legislatura del Regno d'Italia, Tornata di sabato 16 maggio 1925 .  "Capo" , in L'Ordine Nuovo, 1º marzo 1924; pubblicato successivamente col titolo di Lenin capo rivoluzionario, in l'Unità, 6 novembre 1924.  «Capo», ne L’ordine Nuovo, 1º marzo 1924, in Gramsci, 1971,  540-3  Anche alle autorità francesi fu nascosto lo svolgimento del Congresso. Sul III CongressoSpriano, Storia del Partito comunista italiano, I, ca 29-30  Spriano, 1976(1),  498-500.  Spriano, 1976(1)490.  Spriano, 1976(1),  491-2.  Spriano, 1976(1),  492-4.  Spriano, 1976(1)511.  Antonio Gramsci, Tesi di Lione, Lione, 1925.  Antonio Gramsci, La questione meridionale, Editori Riuniti, 2005, p.184  «Alcuni temi della quistione meridionale». Stato operaio, gennaio 1930. Citato in Rosario Villari, Il Sud nella Storia d'Italia. Antologia della Questione meridionale, Roma-Bari, Laterza, 1981480  Antonio Gramsci, Cinque anni di vita del partito, L'Unità, 1926.  Fiori, 1995247.  Spriano, 1976(2),  43-5.  Aurelio Lepre, Il prigioniero. Vita di Antonio Gramsci, Editori Laterza, Bari, 199884.  La lettera, non datata, si ritiene scritta il 14 ottobre: fu pubblicata per la prima volta in Francia da Tasca nel 1938. Su tutta la questione della lotta interna nel partito comunista sovietico di questo periodoSpriano, cit., II, ca 3 e 5  A. Gramsci, Lettere 1908-1926, cit.,  455-462.  Lettera di Togliatti a Gramsci, 18 ottobre 1926  Commissione di assegnazione al confino di Roma, ordinanza del 18.11.1926 contro Antonio Gramsci (“Dirigenti e deputati del PCd'I dichiarati decaduti il 2 novembre 1926”). In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, L'Italia al confino 1926-1943. Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali dal novembre 1926 al luglio 1943, Milano 1983 (ANPPIA/La Pietra),  IV1312  Tornata di martedì 9 novembre 1926 , Camera dei deputati6389-6394. 23 marzo .  Fiori, 1995, cap. 23.  In Fiori, 1995, cap. 24  Sentenza n. 58 del 20.2.1928 contro Antonio Gramsci e altri (“Ricostituzione di partito disciolto, propaganda, cospirazione, istigazione alla lotta armata ecc.”). In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, L'Italia dissidente e antifascista. Le ordinanze, le Sentenze istruttorie e le Sentenze in Camera di consiglio emesse dal Tribunale speciale fascista contro gli imputati di antifascismo dall'anno 1927 al 1943, Milano 1980 (ANPPIA/La Pietra),  I260-261  Amendola142.  Spriano, 197741.  Lettera a Tatiana Schucht del 19 marzo 1927  Fiori, 1995, cap. 26.  Fiori, 1995289.  Fiori, 1995288.  Risoluzione per l'espulsione di Amedeo Bordiga  Fiori, 1995291.  Pubblicato in «Rinascita», 12 dicembre 1964  In «Rinascita», cit.  Dalla biografia di Pertini pubblicata nel sito web del Circolo Sandro Pertini di Genova: «Chiesi al maresciallo dei carabinieri che comandava la scorta se poteva dirmi dove mi portavano. Quando questi fece il nome di Turi me ne rallegrai. Ero contento perché sapevo che là avrei incontrato Antonio Gramsci, un uomo che avevo sempre ammirato per il suo coraggio». «A Turi incontrai Gramsci in un angolo del cortile dove coltivava un'aiuola di fiori; era piccolo di statura e con due gobbe: una davanti ed una di dietro. Mi avvicinai a lui, mi presentai, gli affermai che venivo da Santo Stefano e che ero onorato di fare la sua conoscenza. Gli davo del lei e lo chiamavo Onorevole Gramsci. Lui si mise a ridere, dicendomi: "Perché mi dai del lei? Siamo antifascisti, vittime del Tribunale speciale tutti e due", "Io gli ricordai che per loro, i comunisti, noi eravamo dei social-traditori". Gramsci disse di lasciar stare quella polemica penosa. Ci vedemmo dopo qualche giorno e Gramsci parlò di Turati e Treves in maniera che mi sembrò offensiva ed io risposi con durezza. Il giorno dopo Gramsci si scusò, dicendo che il suo era un giudizio politico, non aveva avuto intenzione di offendere le persone, e capiva la mia reazione in favore di due compagni che si trovavano in Francia. Da allora diventammo buoni amici. Parlavamo a lungo insieme anche perché era stato isolato dai suoi. Per certi versi costoro lo consideravano un traditore e chiedevano la sua espulsione dal partito, come poi fecero anche con Camilla Ravera. In cella Gramsci era perseguitato dai carcerieri: credo che l'ordine di non lasciarlo dormire arrivasse direttamente da Roma. Io andai dal direttore del carcere a protestare perché i carcerieri, ogni volta che Gramsci si addormentava, lo svegliavano facendo scorrere sulle sbarre della finestra dei bastoni, con la scusa di controllare che le sbarre non fossero state segate per un'evasione. Dissi al direttore che se la situazione non fosse cambiata, avrei scritto una lettera al ministero. Il risultato fu che Gramsci, già gravemente malato di tubercolosi poté dormire tranquillo. Le mie proteste costrinsero il direttore del carcere di Turi a concedere a Gramsci anche alcuni quaderni, delle matite, un tavolino ed una sedia. Così poterono nascere i quaderni dal carcere. La mia amicizia con Gramsci mi mise in contrasto con il direttore del carcere e forse non fu estraneo al mio trasferimento a Pianosa, all'inizio del 1932».  Lettera a Tatiana Schucht, 3 agosto 1931  Lettera a Tatiana Schucht, 29 maggio 1933  Alla fine degli anni settanta cominciò a circolare la voce secondo la quale Gramsci in punto di morte si sarebbe convertito alla fede cattolica. Tale affermazione venne però ritrattata dallo stesso religioso che l’aveva inavvertitamente messa in circolazione, chiamando a supporto della smentita l’allora cappellano della clinica Quisisana. Nonostante le chiare argomentazioni della rettifica, trent’anni dopo la medesima tesi fu riproposta da un altro sacerdote. Essendo priva di riscontri documentali e di prove testimoniali, la teoria della conversione di Gramsci non è mai stata avvalorata dagli storici. Cfr. S.Fio., Antonio Gramsci e il sacerdote pentito, La Repubblica, 27 novembre 2008. 17 giugno . e Il Vaticano: «Gramsci trovò la fede», Il Corriere della Sera, 25 novembre 2008. 17 giugno .  C. Daniele , Togliatti editore di Gramsci, Carocci, 2005,  14-29  Quaderni del carcere, Il Risorgimento70  Antonio Gramsci, Il Risorgimento, Einaudi, Torino, 194946.  Quaderni del carcere, cit.81  Quaderni del carcere, cit.,  106-107  Quaderni del carcere, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce7-8  Quaderni del carcere, cit.8  Quaderni del carcere, ed. Gerratana,  Cirese, 197665 e ss.; Baratta, 2007; Giulio Angioni, Gramsci e il folklore come cosa seria, in Fare, dire, sentire. L'identico e il diverso nelle culture, Il Maestrale, ,  206-221.  Quaderni del carcere, cit.11  Quaderni del carcere, cit.12  Quaderni del carcere, Note sul Machiavelli,  3-4  Quaderni del carcere, cit.7  Quaderni del carcere, cit.,  23-24  Quaderni del carcere, Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, p.6  Quaderni del carcere, cit., p.7  Quaderni del carcere, cit.9  Quaderni del carcere, Letteratura e vita nazionale127  Quaderni del carcere, cit.131  Quaderni del carcere, cit.86 e segg.  Quaderni del carcere, cit.,  5-6  Quaderni del carcere, cit.179  Quaderni del carcere, cit.185  Quaderni del carcere, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce210  Quaderni del carcere, cit.204  Quaderni del carcere, cit.192-193  Quaderni del carcere, cit.125  Quaderno del carcere, cit.132  Quaderni del carcere, cit.,  141-142  Quaderni del carcere, cit.142  L. Rosiello, Problemi e orientamenti linguistici negli scritti di Antonio Gramsci, Quaderni dell'Istituto di glottologia di Bologna, 195739  A. Gramsci, Quaderni del carcere, V. Gerratana, Torino, Einaudi, A. Gramsci, Quaderni del carcere, V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975646.  A. Gramsci, Quaderni del carcere, V. Gerratana, Torino, Einaudi, A. Gramsci, Quaderni del carcere, V. Gerratana, Torino, Einaudi, A. Gramsci, Quaderni del carcere, V. Gerratana, Torino, Einaudi, 19752188.  G. I. Ascoli, Proemio, AGI, n. I, 1873IX  A. Gramsci, 'Quaderni del carcere', V. Gerratana, Torino, Einaudi,  A. Gramsci, Quaderni del carcere, V. Gerratana, Torino, Einaudi, 19752345.  A. Gramsci, 'Quaderni del carcere', V. Gerratana, Torino, Einaudi, 19752343.  L. 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green: t. h., Grice: “The rather idiotic German philosopher at Oxford, Schiller, thought that Dodgson meant Green when he said that the snark may be served with greens.” --  absolute idealist and social philosopher. The son of a clergyman, Green studied and taught at Oxford. His central concern was to resolve what he saw as the spiritual crisis of his age by analyzing knowledge and morality in ways inspired by Kant and Hegel. In his lengthy introduction to Hume’s Treatise, he argued that Hume had shown knowledge and morality to be impossible on empiricist principles. In his major work, “Prolegomena to Ethics,” Green contended that thought imposed relations on sensory feelings and impulses whose source was an eternal consciousness to constitute objects of knowledge and of desire. Furthermore, in acting on desires, rational agents seek the satisfaction of a self that is realized through their own actions. This requires rational agents to live in harmony among themselves and hence to act morally. In Lectures on the Principles of Political Obligation Green transformed classical liberalism by arguing that even though the state has no intrinsic value, its intervention in society is necessary to provide the conditions that enable rational beings to achieve self-satisfaction. 

 

gregorio il grande: Grice: “Poor Gregorio Magno had to fight with the Lonbards, and the sad thing is he lost!” --  I, Saint, called Gregory the Great,  a pope and Roman political leader. Born a patrician, he was educated for public office and became prefect of Rome in 570. In 579, he was appointed papal representative in Constantinople, returning to Rome as counselor to Pope Pelagius II in 586. He was elected Pope Gregory I in 590. When the Lombards attacked Rome in 594, Gregory bought them off. Constantinople would neither cede nor defend Italy, and Gregory stepped in as secular ruler of what became the Papal States. He asserted the universal jurisdiction of the bishop of Rome, and claimed patriarchy of the West. His writings include important letters; the Moralia, an exposition of the Book of Job summarizing Christian theology; Pastoral Care, which defined the duties of the clergy for the Middle Ages; and Dialogues, which deals chiefly with the immortality of the soul, holding it could enter heaven immediately without awaiting the Last Judgment. His thought, largely Augustinian, is unoriginal, but was much quoted in the Middle Ages. Grice takes inspiration on Shropshire’s argument for the immortality of the soul from Gregorio Magno (Dialogo, IV). Papa Gregorio I, detto papa Gregorio Magno ovvero il Grande (Roma, 540 circaRoma, 12 marzo 604), è stato il 64º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica, dal 3 settembre 590 fino alla sua morte. La Chiesa cattolica lo venera come santo e dottore della Chiesa. Anche le Chiese ortodosse lo venerano come santo.  gregorio magnus papa Gregorio Magno Sebbene il suo pontificato si sia svolto in uno dei periodi più bui della storia italiana, conservò una incrollabile fiducia nella forza del Cristianesimo; anima tra le più luminose del Medioevo europeo, svolse il suo ministero racchiuso in un corpo minuto e sempre malato, ma dotato di una grandissima forza morale. Gregorio Magno nacque verso la metà del VI secolo [540?] da Silvia, appartenente a una ricca famiglia siciliana, e da Gordiano, appartenente all'aristocrazia senatoriale, la classe dominante dell'antica Roma che aveva mantenuto prestigio economico e sociale, nonostante la caduta dell'Impero. Non è affatto dimostrata, invece, la sua relazione di parentela con la Gens Anicia, che spesso è stata richiamata per sottolineare le nobili origini del futuro Gregorio I.  La sua formazione culturale non è di elevato livello. A differenza di Agostino e Cassiodoro, non si formò con lo studio dei grandi autori dell'aetas aurea (Sallustio, Orazio, Virgilio, Ovidio), bensì con quella tradizione letteraria impoverita che era propria della sua epoca, dell'età tardo-antica. Perciò la sua "ars grammatica" fu limitata e lo stile che denota i suoi scritti è in linea con quello degli scrittori tardo-antichi del V e VI secolo. Di questi imitava, in particolare, solo poche figure retoriche come l'anafora ed il gusto dell'esempio e dell'aneddoto moralizzante. La sua conoscenza del diritto era limitata allo studio di Cicerone, da cui riprende anche definizioni e nozioni filosofiche della scuola stoica e, per come era già stato fatto dalla tradizione patristica, le inserisce nella dottrina morale cristiana.  A Roma si stava diffondendo la fama di Benedetto da Norcia, monaco e fondatore di una nuova Regola. Espresse l'intenzione di farsi monaco egli stesso. Ma i parenti e gli amici, per tenerlo vicino a sé, ottennero dall'imperatore Giustino II la prestigiosa carica di praefectus urbi Romae (prefetto della città di Roma), la carica istituzionale più importante di nomina imperiale in Italia dopo quella di esarca. In questa veste è citato in un documento databile all'anno 573. Devoto ammiratore di Benedetto da Norcia, Gregorio impegnò tutte le sue notevoli sostanze per l'assistenza ai bisognosi e per trasformare i suoi possedimenti a Roma e in Sicilia in altrettanti monasteri. Egli stesso si fece monaco rinunciando all'altissima carica pubblica; fondò un monastero nella propria abitazione sul colle Celio intitolandolo a S. Andrea ad Clivum Scauri. Nella vita cenobitica si dedicò con assiduità alla contemplazione dei misteri di Dio nella lettura della Bibbia. Non poté dimorare a lungo nel convento perché nel 578 ricevette un altro incarico importante: divenne, per nomina di papa Benedetto I, uno dei sette diaconi della Chiesa di Roma. L'anno dopo il successore Pelagio II lo inviò come apocrisario presso la corte di Costantinopoli per chiedere aiuti contro i Longobardi. Lì restò per sei anni e si guadagnò la stima della famiglia imperiale e dello stesso imperatore Maurizio, salito al trono nel 582, di cui tenne a battesimo il figlio Teodosio. Nel 584 ottenne per Roma l'aiuto che il papa aveva chiesto, ma fu di tale modesta entità che non servì a risolvere i problemi per i quali era stato invocato.  Al rientro a Roma, nel 586, Gregorio tornò nel monastero sul Celio; vi rimase però per pochi anni, perché morto il 7 febbraio 590 papa Pelagio II, vittima di una pestilenza, fu chiamato al soglio pontificio dall'entusiasmo dei credenti e dalle insistenze del clero e del senato di Roma. Gregorio cercò di resistere alle insistenze del popolo, inviando una lettera all'imperatore Maurizio in cui lo pregava di intervenire non ratificando l'elezione, ma il praefectus urbi di Roma, di nome Germano, o forse il fratello di Gregorio, intercettò la lettera e la sostituì con la petizione del popolo che chiedeva la ratifica della sua elezione a pontefice. In attesa della risposta, Gregorio si astenne da ogni attività propria del suo ruolo, che venne svolta da una sorta di triumvirato ecclesiastico.   L'arcangelo Michele (detto l'Angelo di Castello), opera (1753) di Peter Anton von Verschaffelt (1710-1793) L'inverno 589-590 fu particolarmente funesto per la penisola italiana. Alle violenze perpetrate dai Longobardi si aggiunse una stagione eccessivamente inclemente, con nubifragi e inondazioni che colpirono particolarmente il settentrione, causando vittime e danni incalcolabili. Ma anche il Tevere ebbe una piena particolarmente consistente, che inondò gran parte della città provocando vittime e danni ingenti; ne seguì un'epidemia di peste (Pelagio II morì di peste in questo periodo). Poiché ancora nell'estate del 590 la situazione non accennava a tornare alla normalità, in una predica del 29 agosto Gregorio esortò i fedeli alla penitenza, e per implorare l'aiuto divino organizzò una solenne processione per tre giorni consecutivi alla basilica di Santa Maria Maggiore.  Secondo la tradizione, mentre Gregorio attraversava, alla testa della processione, il ponte che collegava l'area del Vaticano con il resto della città (chiamato allora "Ponte Elio" o "Ponte di Adriano", oggi Ponte Sant'Angelo), ebbe la visione dell'Arcangelo Michele che, in cima alla Mole Adriana, rinfoderava la sua spada. La visione (che secondo alcune fonti fu condivisa da tutti i partecipanti alla processione) venne interpretata come un segno celeste preannunciante l'imminente fine dell'epidemia, cosa che effettivamente avvenne. Da allora i romani cominciarono a chiamare la Mole Adriana "Castel Sant'Angelo" e, a ricordo del prodigio, posero più tardi sullo spalto più alto la statua di un angelo in atto di rinfoderare la spada. Ancora oggi nel Museo Capitolino è conservata una pietra circolare con impronte dei piedi che, secondo la tradizione, sarebbero quelle lasciate dall'Arcangelo quando si fermò per annunciare la fine della peste.  Finalmente arrivò da Costantinopoli la ratifica all'elezione pontificale; sebbene Gregorio (che probabilmente non sapeva che la sua lettera era stata sostituita) rinnovasse le sue reticenze alla missione a cui era chiamato, il 3 settembre 590 venne consacrato papa. L'ascesa quasi "forzata" al soglio pontificio lo turbò profondamente e provocò in lui una sincera contrarietà, che solo la fede incrollabile e la convinzione di poter svolgere un ruolo di guida per la redenzione dell'umanità intera, riuscirono a fargli superare. Nonostante le riserve all'accettazione del compito che lo attendeva, fu amministratore energico, sia nelle questioni sociali e politiche per supportare i bisognosi di aiuto e protezione, sia nelle questioni interne della Chiesa; sebbene fosse fisicamente piuttosto esile e cagionevole di salute, si dimostrò uomo di azione, pratico e intraprendente. E infatti uno dei primi doveri che si impose fu la moralizzazione ed epurazione della Curia romana, in cui erano presenti troppi personaggi, laici ed ecclesiastici, che avevano interessi ben diversi da quelli spirituali e di carità; molti incarichi furono dunque attribuiti a monaci benedettini. L'altro dovere primario cui si dedicò fu quello insito nel ruolo di vescovo di Roma, utilizzando i beni propri e quelli derivanti dalle donazioni dei privati, non a beneficio di vescovi e diaconi, ma in favore del popolo della città di Roma che, come lamenta in una sua predica, è "oppressa da uno smisurato dolore, si spopola di cittadini; assalita dal nemico, non è più che un cumulo di macerie".  Molti furono i provvedimenti intesi a un riordino dell'istituzione monastica e alla regolamentazione dei rapporti di quella con l'organizzazione ecclesiastica e i vescovi in particolare. Assicurò una maggiore autonomia giuridica per i monasteri, la cui vita economica non doveva in alcun modo subire l'ingerenza dei vescovi, chiamati a compiti spirituali; regolamentò i rapporti tra scelta monacale e vita familiare, generalmente dando la priorità ai diritti della seconda; sottrasse, quanto più possibile, gli ecclesiastici ai tribunali civili, non solo in ossequio a una tradizione radicata, ma soprattutto perché non aveva alcuna fiducia delle autorità longobarde e bizantine, particolarmente corruttibili; molti vescovi forse non erano da meno, ma su di loro poteva comunque esercitare la sua autorità.  Preoccupato del sussistere dell'eresia ariana nel 594 rivolse accorate lettere ai vescovi Costanzo di Milano e Venanzio di Luni per esortarli a porvi rimedio.  Tentativi di pace con i Longobardi Gregorio compì anche mosse politiche. Nonostante avesse più volte invocato invano l'aiuto militare dell'Impero, i Longobardi continuavano a devastare l'Italia facendo fuggire il clero e catturando prigionieri che dovette riscattare direttamente con le sue sostanze personali. Inoltre nel 591 il duca longobardo di Spoleto Ariulfo intraprese una politica espansionistica ai danni dei Bizantini, conquistando le città del corridoio che collegava Roma con Ravenna e assediando la stessa Roma, da cui si ritirò solo dopo aver estorto un tributo.  Nonostante le richieste, nessun aiuto venne dall'esarca di Ravenna, che «...rifiuta di combattere i nostri nemici e vieta a noi di concludere la pace». Papa Gregorio, infatti, premeva per una tregua tra Imperiali e Longobardi affinché ritornasse la pace nella penisola e si ponesse fine alle devastazioni belliche, ma Romano, l'esarca, non era d'accordo e fece di tutto per ostacolarlo, al punto che l'anno successivo si mosse per rompere le trattative che Gregorio aveva intavolato con il duca di Spoleto per una pace separata, riconquistando le città del corridoio umbro e rompendo le trattative di pace che Gregorio aveva avviato con i Longobardi.  La campagna di Romano provocò la reazione di re Agilulfo, che riprese Perugia e poi nel 593 pose l'assedio a Roma. Gregorio si trovò a dover provvedere, a fronte di un inefficiente esercito imperiale (oltretutto mal pagato) il cui aiuto latitava, alla difesa di Roma, e per evitare ulteriori sofferenze e lutti alla città si vide costretto a convincere Agilulfo a levare l'assedio pagando di tasca propria 5 000 libbre d'oro e offrendo al re longobardo l'assicurazione del pagamento annuo di un ingente tributo. In questo modo Gregorio si sostituiva, arbitrariamente, all'autorità civile cittadina e al senato, che di fatto non avevano ormai più alcun ruolo politico riconosciuto; e se al re longobardo interessava solo il denaro, il popolo romano riconobbe in Gregorio l'unico salvatore[25].  Questa, e le continue, successive, inutili insistenze per una pace, subirono la disapprovazione dell'imperatore Maurizio che, concordando con la politica dell'esarca, accusò il papa d'infedeltà all'Impero e di stupidità per i suoi tentativi di negoziazione. Gregorio scrisse all'imperatrice per ricordarle come dopo tanti anni di oppressione da parte dei Longobardi, gli imperatori d'Oriente ben poco avevano fatto e speso in favore di Roma (e molto invece per Ravenna, loro ultimo avamposto in terra italiana), mentre la città e la Chiesa avevano bisogno di sopravvivere in pace; ma scrisse anche all'imperatore:  «...Mi è stato detto di essere stato ingannato da Ariulfo, e sono stato definito "sempliciotto",... che significa indubbiamente che sono uno sciocco. E io stesso debbo confessare che avete ragione... Se non lo fossi, non avrei mai accettato di patire tutti i mali che ho sofferto qui per le spade dei Longobardi.  Voi non credete a quello che dico riguardo ad Ariulfo, riguardo al fatto che sarebbe disposto a passare dalla parte della Repubblica, accusandomi di dire menzogne. Dato che una delle responsabilità di un prete è di servire la verità, è un grave insulto essere accusati di menzogna. Sento, inoltre, che viene riposta più fiducia nelle asserzioni di Leone e Nordulfo, invece che alle mie... Ma quello che mi affligge è che la stessa tempra che mi accusa di falsità permette ai Longobardi di condurre giorno dopo giorno tutta l'Italia prigioniera sotto il loro giogo, e mentre nessuna fiducia è riposta nelle mie asserzioni, le forze del nemico crescono sempre di più...»  (Papa Gregorio Magno, Epistole, V,40.[26].) E non risparmia le accuse all'esarca Romano, «la cui malizia è persino peggiore delle spade dei Longobardi, tanto che i nemici che ci massacrano sembrano dolci in comparazione con i giudici della Repubblica che ci consumano con la rapina...»[27]  Le trattative con i Longobardi, comunque, continuarono, e subirono un'accelerazione grazie anche all'aiuto del nuovo esarca di Ravenna Callinico. Alla fine del 598, Longobardi e Imperiali firmarono finalmente una pace, che probabilmente però era solo una tregua armata che durò solo tre anni, nonostante Paolo Diacono la definisca "fermissima". Gregorio ne approfittò immediatamente per estendere i suoi interventi in favore dei bisognosi anche a province lontane da Roma che dunque, prive ormai di un vero potere centrale (a parte quello longobardo che poco si curava di problemi economici e sociali delle popolazioni italiche), erano sempre più portate a riconoscere come unica guida di riferimento quella del vescovo di Roma, la cui azione "non è tuttavia indirizzata al rafforzamento dell'autorità politica della Chiesa", chiarisce Rosario Villari, in quanto "Gregorio non ha programmi di potere; aspira anzi in conformità con la sua vocazione monacale al distacco dal mondo, a convertire il maggior numero di non credenti, a riformare la Chiesa per renderla più attiva e capace di svolgere in pieno questo compito urgente"[28].   La regina Teodolinda in una miniatura delle Cronache di Norimberga  Icona di papa Gregorio I In coerenza con questa visione della missione della Chiesa si pone il suo programma di evangelizzazione e conversione dei Visigoti di Spagna di re Recaredo I, e dei Longobardi, coi quali, dopo la pace del 598, riuscì a stabilire rapporti di buon vicinato avviando la loro conversione dall'eresia ariana grazie anche all'influente sostegno della regina Teodolinda. Analogo sforzo missionario svolse in favore dei Britanni, presso i quali Gregorio inviò 40 monaci benedettini per cristianizzare le popolazioni; fu infatti grazie all'aiuto dei re dei Franchi, con i quali Gregorio fu in continui rapporti e in eccellente relazione, e in particolare della regina Brunechilde, che riuscì a ottenere la conversione della Britannia, affidandola ad Agostino, priore del convento di Sant'Andrea a Roma, poi consacrato vescovo di Canterbury.  Non sono chiari i motivi che spinsero Gregorio all'opera di cristianizzazione di un paese tanto lontano (e da tanto tempo perso alla romanità), quando c'erano altri popoli più vicini a Roma, e mentre era in corso l'emergenza longobarda. Le fonti medievali hanno tentato di fornire una spiegazione ricorrendo alla leggenda secondo la quale Gregorio, quand'era ancora monaco, si sarebbe convinto della necessità di convertire la Britannia per aver visto alcuni giovani schiavi britannici esposti per la vendita, bellissimi di aspetto e pagani, tanto da aver esclamato, rammaricato: "Non Angli, ma Angeli dovrebbero esser chiamati…". Comunque in meno di due anni diecimila Angli, compreso il re del Kent Ethelbert, si convertirono[29]. Era questo un grande successo della politica di Gregorio, che mirava a eliminare gli avversari della Chiesa e ad accrescere l'autorità del papato con la conversione dei "barbari".  Rapporti con Costantinopoli  San Gregorio in cattedra, lo scriba e la colomba, da una miniatura del Registrum Gregorii Oltre che per i problemi connessi alla pace con i Longobardi, i rapporti con l'imperatore Maurizio non sempre furono cordiali per vari altri motivi.  Quando l'Imperatore, per fermare la fuga dei decurioni i quali, per sfuggire alle loro responsabilità sicuramente onerose, entravano in monastero, promulgò un editto con cui vietava ai funzionari pubblici e ai soldati privati di farsi monaci, Gregorio protestò: se non aveva nulla da obiettare sulla prima parte della legge (quella riguardante i funzionari pubblici), obiettò invece sulla proibizione ai soldati imperiali di diventare «soldati di Cristo», ovvero di entrare a far parte del clero[30].  Dal 594 al 599 il motivo della disputa fu Massimo, vescovo di Salona, accusato dal papa di simonia; Massimo, favorito dalla corte imperiale, poté mantenere il seggio e arrivò addirittura ad accusare Gregorio di aver fatto uccidere il vescovo dalmata Malco, inviato in Italia per rendere conto su una presunta cattiva amministrazione del patrimonio papale e deceduto improvvisamente in esilio[31].  Lo scontro con l'imperatore divenne particolarmente aspro nel 595. quando il Patriarca di Costantinopoli Giovanni IV Nesteutes si proclamò "Patriarca ecumenico", dichiarandosi di autorità pari al papa. Di fronte alle proteste di Gregorio, il patriarca cercò il sostegno dell'Imperatore, che scrisse al papa esortandolo a porre fine alla questione, avendo la Chiesa bisogno di pace, e non di controversie religiose. Gregorio rispose lodando l'Imperatore per la volontà di riportare la pace nella Chiesa, ma precisando, con toni decisi, che della contesa era responsabile il Patriarca, che aveva usurpato un titolo non suo: "Quando noi lasciamo la posizione che ci spetta, e assumiamo noi stessi onori indecenti, alleiamo i nostri peccati con le forze dei barbari... Maestri di umiltà e generali di superbia, noi nascondiamo i denti da lupo dietro un volto da pecora. … Colui che ricevette le chiavi del Regno dei Cieli... non fu mai chiamato Apostolo Universale; e ora il più Santo Uomo, il mio vescovo collega Giovanni rivendica il titolo di Vescovo Universale. … Tutta l'Europa è nelle mani dei Barbari... e, malgrado tutto, i preti ... cercano ancora per se stessi e fanno sfoggio di nuovi e profani titoli di superbia!"[32]. Ma da Costantinopoli non giunse alcun segnale distensivo, e anzi il successore di Giovanni Nesteutes, Ciriaco II, mantenne il titolo di "Patriarca ecumenico" che i patriarchi di Costantinopoli non abbandonarono più nonostante un decreto dell'Imperatore Foca (successore di Maurizio) avesse riconosciuto il primato della Chiesa di Roma. Gregorio reagì assumendo il titolo di Servus Servorum Dei, che da allora fu mantenuto dai pontefici romani.  Amministrazione interna Nei territori dell'Esarcato d'Italia che ricadevano sotto la responsabilità amministrativa della Sede di Pietro, i cosiddetti Patrimonia, Gregorio seppe far fronte, aiutato da una rete di funzionari, ai problemi di approvvigionamento alimentare che le continue alluvioni, carestie e pestilenze rendevano particolarmente gravi; ebbe cura degli acquedotti e favorì l'insediamento dei coloni eliminando ogni residuo di servitù della gleba. Riuscì a intrattenere rapporti epistolari anche con il re della Barbagia, Ospitone, e cercò di dissuadere quella popolazione dall'idolatria e dal paganesimo, convertendo Ospitone stesso al Cristianesimo. L'interesse per le popolazioni delle isole tirreniche, Sicilia, Sardegna e Corsica[33], lo indusse a intercedere in loro favore presso l'imperatrice Costantina affinché venisse ridotta l'elevata pressione fiscale e fosse posto un freno alla rapacità dei funzionari, che costringevano i genitori a vendere i figli e molti a emigrare in territorio longobardo, mentre le proprietà venivano arbitrariamente confiscate[34].  Gregorio Magno protesse la Colonna Traiana. Il monumento, nonostante fosse stato eretto per celebrare le imprese militari di un imperatore pagano, fu salvaguardato e conservato per i posteri[35] Papa Gregorio riorganizzò a fondo la liturgia romana, ordinando le fonti anteriori e componendo nuovi testi. L'epistolario (ci sono pervenute 848 lettere) e le omelie al popolo documentano ampiamente sulla sua molteplice attività e dimostrano la sua grande familiarità con i Testi sacri.  Promosse quella modalità di canto tipicamente liturgico che da lui prese il nome di "gregoriano": il canto rituale in lingua latina adottato dalla Chiesa cattolica, che comportò, di conseguenza, l'ampliamento della Schola cantorum. Paolo Diacono (scrive verso il 780), pur ricordando molte tradizioni giunte fino a lui, non ha una parola sul canto né sulla Schola. Alcune illustrazioni di manoscritti dal IX al XIII secolo tramandano una leggenda secondo la quale Gregorio avrebbe dettato i suoi canti a un monaco, alternando la dettatura a lunghe pause; il monaco, incuriosito, avrebbe scostato un lembo del paravento di stoffa che lo separava dal pontefice, per vedere cosa egli facesse durante i lunghi silenzi, assistendo così al miracolo di una colomba (che rappresenta naturalmente lo Spirito Santo), posata su una spalla del papa, che gli dettava a sua volta i canti all'orecchio. In realtà i manoscritti più antichi contenenti i canti del repertorio gregoriano risalgono al IX secolo e pertanto non si sa se lui stesso ne abbia composto qualcuno.  Opere  Pagina delle Homiliae in Evangelia Scritti esegetici Expositio super Cantica canticorumopera che si compone di un prologo e di un commento ai primi otto versetti del Cantico dei cantici; Moralia in Jobopera costituita da 35 libri in cui viene commentato il libro veterotestamentario di Giobbe; La paternità di un commento al primo libro dei Re originariamente attribuito a Gregorio è stata recentemente riconosciuta a Pietro Divinacellus, un monaco di Cava de' Tirreni morto intorno al 1156 [36].  Scritti omiletici Homiliae in Evangelia- opera costituita da 40 omelie sui Vangeli; Homiliae in Hiezechihelem prophetamopera costituita da 22 omelie su Ezechiele; Altre opere Sacramentarium Gregorianumcon cui riformò il canone della messa, rendendola più semplice ma più solenne; Antiphonarius centola nuova redazione del libro dei canti liturgici (attribuzione dubbia); Dialoghiopera costituita da 4 libri: Libro su santi italiani a lui coevi; Libro monografico su san Benedetto da Norcia; Libro su santi italiani a lui coevi; Libro sul destino dell'anima dopo la morte e su alcune profezie. Regula Pastoralisun manuale per la vita e l'opera dei vescovi e in generale di coloro che ricoprono il ministero pastorale; Le Epistolaeun registrum di circa 850 lettere, fonte primaria di informazioni sull'epoca di Gregorio[37]; Il Liber Pontificalis, il testo ufficiale che ha riportato per secoli l'attività dei pontefici di Roma, presenta Gregorio esclusivamente sotto l'aspetto dell'attività religiosa, stranamente tacendo su tutti i contatti e le scelte politiche da lui effettuate, sia con i Longobardi sia con i Bizantini[38]. Papa Gregorio I morì il 12 marzo 604 dopo aver sofferto per vari anni di gotta e fu sepolto nella Basilica di San Pietro.  Nel rito romano la sua memoria liturgica ricorre il 3 settembre; in rito bizantino il giorno del suo ricordo è il 12 marzo.  Dal Martirologio Romano (ed. 2001):  «12 marzoA Roma presso san Pietro, deposizione di san Gregorio I, papa, detto Magno, la cui memoria si celebra il 3 settembre, giorno della sua ordinazione.»  «3 settembreMemoria di san Gregorio Magno, papa e dottore della Chiesa: dopo avere intrapreso la vita monastica, svolse l'incarico di legato apostolico a Costantinopoli; eletto poi in questo giorno alla Sede Romana, sistemò le questioni terrene e come servo dei servi si prese cura di quelle sacre. Si mostrò vero pastore nel governare la Chiesa, nel soccorrere in ogni modo i bisognosi, nel favorire la vita monastica e nel consolidare e propagare ovunque la fede, scrivendo a tal fine celebri libri di morale e di pastorale. Morì il 12 marzo.»  Il Proprio del santo in rito romano contiene la seguente colletta:[39]  «Deus, qui pópulis tuis indulgéntia cónsulis et amóre domináris, da spíritum sapiéntiae, intercedénte beáto Gregório papa, quibus dedísti régimen disciplínae, ut de proféctu sanctárum óvium fiant gáudia aetérna pastórum. Per Dominum nostrum Iesum Christum»  San Gregorio Magno è patrono principale di:  Valdobbiadene (provincia di Treviso e diocesi di Padova), San Gregorio Magno (provincia di Salerno), San Gregorio di Catania (provincia e arcidiocesi di Catania), Manduria (provincia di Taranto e diocesi di Oria), la cui chiesa madre custodisce la reliquia di un frammento d'osso del suo braccio destro, Vizzini (provincia di Catania e diocesi di Caltagirone), San Gregorio da Sassola (provincia di Roma e diocesi di Tivoli), Crispano (città metropolitana di Napoli e diocesi di Aversa), Roverbella (provincia e diocesi di Mantova), San Gregorio nelle Alpi (provincia di Belluno e diocesi di Belluno-Feltre), San Gregorio d'Ippona (provincia di Vibo Valentia), Configni (provincia di Rieti), Casola, frazione del comune di Domicella (provincia di Avellino e diocesi di Nola), dove sarebbe custodita una reliquia d'osso della sua mano destra. San Gregorio, fazione del comune di Veronella (provincia di Verona e diocesi di Vicenza) Note  G. Pepe, Il Medio Evo barbarico d'Italia, 1971, pag. 117.  Sofia Boesch Gajano, GREGORIO I, papa, santo, in Dizionario Biografico degli ItalianiVolume 59, Roma 2002  Claudio Mareschini, Gregorio Magno e la cultura classica, in "Studi Classici e Orientali",  56, ,  87-107  Bernardo Maria Amico, Leggendario de’ Santi benedettini in cui si espongono le vite di cento Santi dell’Ordine di S. Benedetto, Venezia, 1726126 e segg.  Gregorio I santo, in Enciclopedia dei Papi, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2000. 1º settembre .  Gregorio scrisse di sé «ego quoque tunc urbanam praeturam gerens pariter subscripsi», ma poiché in una variante del testo praeturam è sostituita da praefecturam, dalle sue epistole non è possibile sapere con esattezza se fu "prefetto dell'Urbe" o piuttosto "pretore dell'Urbe".  L'apocrisario era il rappresentante permanente della Santa Sede presso la corte di Costantinopoli; la carica fu istituita da papa Leone I.  C. Rendina, I Papi. Storia e segreti, pagg. 157 e segg.  La fonte, Gregorio di Tours (X, 1), è ambigua: è incerto se Germanus vada interpretato come il nome proprio del prefetto urbano, oppure in questo caso significhi "fratello".  "Dal tempo di Noè non si ricordava un diluvio simile", commenterà Paolo Diacono (come riportato in C. Rendina, op. cit., pag. 160).  La processione e le modalità di svolgimento sono riferite puntualmente dal Gregorovius in base a quanto riportato nelle cronache di Gregorio di Tours e di Paolo Diacono (C. Rendina, op. cit., pag. 160).  Willy Pocino, Le curiosità di Roma, Roma, Tradizioni italiane Newton, 2009,  91-92.C. Rendina, op. cit.,  160 e segg.Indro Montanelli e Roberto Gervaso L'Italia dei secoli bui, Rizzoli, 1965235.  Castel Sant'Angelo, activitaly.it.  Secondo una tradizione leggendaria risalente all'XI secolo tentò anche la fuga, nascondendosi nei boschi della Sabina, dove i Romani lo scovarono e lo riportarono indietro, accolto trionfalmente in città (C. Rendina162).  Lo storico tedesco Franz Xaver Seppelt rileva che nella sua "riluttanza ad accedere alla sede di San Pietro non si dovrà però scorgere solamente quella modestia convenzionale, che si ha modo di notare in innumerevoli elezioni di vescovi nel Medio Evo, non sempre sincera. La tristezza di Gregorio e la sua scarsa condiscendenza ad accettare l'importantissima carica erano dovute essenzialmente al dover abbandonare definitivamente la vita di solitudine del monastero, …; i sentimenti di Gregorio erano senza dubbio radicati profondamente e rispondevano alla natura del suo animo" (come riportato in C. Rendina162).  C. Rendina162.  G. Pepe127.  G.Montefinale, Guida turistica alle antiche chiese ed ai resti cenobitici di Porto Venere  G. Ravegnani, I Bizantini in Italia, 200495.  G. Ravegnani, op. cit.,  95-99.  Romano non poteva tollerare l'insubordinazione del Pontefice, sia perché stava trattando con il nemico senza alcuna autorizzazione imperiale, sia perché la pace in quel momento avrebbe riconosciuto il possesso longobardo del corridoio umbro  Paolo Diacono, Historia Langobardorum, IV, 8.  Nell'occasione scrisse poi all'imperatore Maurizio: «Con i miei stessi occhi, ho visto i romani legati come cani da una corda al collo che venivano condotti via per essere venduti come schiavi in Francia» (G. Ravegnani, op. cit., pag. 98).  I. MontanelliR. Gervaso, op. cit.,  238 e segg.P. Brezzi, La civiltà del Medioevo europeo, 1978116.  G. Pepe137.  Come riportato in G. Ravegnani99.  Papa Gregorio Magno, Epistole, V, 42.  C. Rendina, op. cit.,  162 e segg.  C. Azzara, Le invasioni barbariche, Il Mulino, 1999,  110 e segg.  Papa Gregorio Magno, Epistole, III, 66.  Papa Gregorio Magno, Epistole, IV, 47.  Papa Gregorio Magno, Epistole, V,20.  Queste ultime erano comprese nell'Esarcato d'Africa.  Papa Gregorio Magno, Epistole, V,41  Foro di Traiano, su romasegreta.it. 31 maggio .  G. I. Gargano, Introduzione, in Gregorio Magno, Commento al primo libro dei Re, Roma, Città Nuova, edizione critica: Dag Norberg, S. Gregorii Magni registrum epistularum libri I-VII, Corpus Christianorum Series Latina 140, Brepols, Turnhout, 1982Dag Norberg, S. Gregorii Magni registrum epistularum libri VII-XIV, Corpus Christianorum Series Latina 140A, Brepols, Turnhout, 1982  S. Gasperri, Italia longobarda, Laterza, , pag. 76.  Missale Romanum cum lectionibus ex decreto sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli  VI promulgatum , 4: tempus per annum: hebdomadae XXII-XXXIV, Roma, Libreria Editrice Vaticana, 1977688.   Papa Gregorio I, Dialogi, Roma, Tipografia del Senato, 1924. 16 aprile .  Papa Gregorio I, Dialogi. 1, Palermo, Scuola Tip. Boccone Del Povero, 1913. 16 aprile .  Papa Gregorio I, Dialogi. 3, Palermo, Scuola Tip. Boccone Del Povero, 1932. 16 aprile . Papa Gregorio I, Homiliae in Evangelia, Impresso a Mediolano, mediante la gratia di Dio de li prudenti homini Leonardo Pachel e Uldericho scinzcenceller de allamagna per loro industria, MCCCCLXXVIIII adi XX del mese de augusto. 16 aprile . Paolo Brezzi, La civiltà del Medioevo europeo,  I, Eurodes, Roma, 1978. Indro Montanelli-Roberto Gervaso, L'Italia dei secoli bui, Rizzoli, Milano, 1965. Gabriele Pepe, Il Medio Evo barbarico d'Italia, Einaudi, Torino, 1971. Giorgio Ravegnani, I Bizantini in Italia, Mulino, Bologna, 2004. Claudio Rendina, I Papi. Storia e segreti, Newton Compton, Roma, 1983.  Messe gregoriane Evangeliario di Teodolinda San Santulo San Venanzio Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a papa Gregorio I Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina in lingua latina dedicata a papa Gregorio I Collabora a Wikiquote Citazionio su papa Gregorio I Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su papa Gregorio I  Papa Gregorio I, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . 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Sofia Boesch Gajano, Papa Gregorio I, in Enciclopedia dei Papi, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2000. Udienza Generale, 4 giugno 2008, Benedetto XVI, su vatican.va. Fana idolorum destrui minime debeant. Gregorio Magno e la conversione dei templi pagani al culto cristiano, Palladio, NS, XXVI, 52, ,  5-20., su academia.edu.Scheda di San Gregorio. Incisione di Anton Wierix. Collezione De Verda, su colecciondeverda.com. Moralia in Iob (Msc.Bibl.41), una digitalizzazione del manoscritto dalla Biblioteca di Stato di Bamberga PredecessorePapa della Chiesa cattolicaSuccessoreEmblem of the Papacy SE.svg Papa Pelagio II3 settembre 59012 marzo 604Papa Sabiniano.

 

gregory of Nyssa, Saint, Grecian theologian and mystic who tried to reconcile Platonism with Christianity. As bishop of Cappadocia in eastern Asia Minor, he championed orthodoxy and was prominent at the First Council of Constantinople. He related the doctrine of the Trinity to Plato’s ideas of the One and the Many. He followed Origen in believing that man’s material great chain of being Gregory of Nyssa 354   354 nature was due to the fall and in believing in the Apocatastasis, the universal restoration of all souls, including Satan’s, in the kingdom of God. 

 

grice: as a count noun“Lots of grice in the fields.”One Scots to another -- count noun, a noun that can occur syntactically a with quantifiers ‘each’, ‘every’, ‘many’, ‘few’, ‘several’, and numerals; b with the indefinite article, ‘an’; and c in the plural form. The following are examples of count nouns CNs, paired with semantically similar mass nouns MNs: ‘each dollar / silver’, ‘one composition / music’, ‘a bed / furniture’, ‘instructions / advice’. MNs but not CNs can occur with the quantifiers ‘much’ and ‘little’: ‘much poetry / poems’, ‘little bread / loaf’. Both CNs and MNs may occur with ‘all’, ‘most’, and ‘some’. Semantically, CNs but not MNs refer distributively, providing a counting criterion. It makes sense to ask how many CNs?: ‘How many coins / gold?’ MNs but not CNs refer collectively. It makes sense to ask how much MN?: ‘How much gold / coins?’ One problem is that these syntactic and semantic criteria yield different classifications; another problem is to provide logical forms and truth conditions for sentences containing mass nouns. grice: English philosopher, born in Harborne, “in the middle of nowhere,” as Strawson put it(“He was from London, Strawson was”) -- whose work concerns perception and philosophy of language, and whose most influential contribution is the concept of a conversational implicaturum and the associated theoretical machinery of conversational ‘postulates.’ The concept of a conversational implicaturum is first used in his ‘presentation’ on the causal theory of perception and reference. Grice distinguishes between the ‘meaning’ of the words used in a sentence and what is implied by the utterer’s choice of words. If someone says “It looks as if there is a red pillar box in front of me,” the choice of words implies that there is some doubt about the pillar box being red. But, Grice argues, that is a matter of word choice and the sentence itself does not ‘impl’  that there is doubt. The term ‘conversational implicaturum’ was introduced in Grice’s William James lectures published in 8 and used to defend the use of the material implication as a logical translation of ‘if’. With Strawson “In Defence of Dogma”, Grice gives a spirited defense of the analyticsynthetic distinction against Quine’s criticisms. In subsequent systematic papers Grice attempts, among other things, to give a theoretical grounding of the distinction. Grice’s oeuvre is part of the Oxford ordinary language tradition, if formal and theoretical. He also explores metaphysics, especially the concept of absolute value. There is the H. P. Grice SocietyOther organisations Grice-related are “The Grice Club,” “The Grice Circle,” and “H. P. Grice’s Playgroup.” grice’s complexe significabile, plural: -- Grice used to say jocularly that he wasn’t commited to propositions; only to propositional complexes -- complexe significabilia, also called complexum significabile, in medieval philosophy, what is signified only by a complexum a statement or declarative sentence, by a that-clause, or by a dictum an accusative ! infinitive construction, as in: ‘I want him to go’. It is analogous to the modern proposition. The doctrine seems to have originated with Adam de Wodeham in the early fourteenth century, but is usually associated with Gregory of Rimini slightly later. Complexe significabilia do not fall under any of the Aristotelian categories, and so do not “exist” in the ordinary way. Still, they are somehow real. For before creation nothing existed except God, but even then God knew that the world was going to exist. The object of this knowledge cannot have been God himself since God is necessary, but the world’s existence is contingent, and yet did not “exist” before creation. Nevertheless, it was real enough to be an object of knowledge. Some authors who maintained such a view held that these entities were not only signifiable in a complex way by a statement, but were themselves complex in their inner structure; the term ‘complexum significabile’ is unique to their theories. The theory of complexe significabilia was vehemently criticized by late medieval nominalists.  Refs.: The main reference is in ‘Reply to Richards.’ But there is “Sentence semantics and propositional complexes,” c. 9-f. 12, BANC. grice’s combinatory logic, a branch of logic that deals with formal systems designed for the study of certain basic operations for constructing and manipulating functions as rules, i.e. as rules of calculation expressed by definitions. The notion of a function was fundamental in the development of modern formal or mathematical logic that was initiated by Frege, Peano, Russell, Hilbert, and others. Frege was the first to introduce a generalization of the mathematical notion of a function to include propositional functions, and he used the general notion for formally representing logical notions such as those of a concept, object, relation, generality, and judgment. Frege’s proposal to replace the traditional logical notions of subject and predicate by argument and function, and thus to conceive predication as functional application, marks a turning point in the history of formal logic. In most modern logical systems, the notation used to express functions, including propositional functions, is essentially that used in ordinary mathematics. As in ordinary mathematics, certain basic notions are taken for granted, such as the use of variables to indicate processes of substitution. Like the original systems for modern formal logic, the systems of combinatory logic were designed to give a foundation for mathematics. But combinatory logic arose as an effort to carry the foundational aims further and deeper. It undertook an analysis of notions taken for granted in the original systems, in particular of the notions of substitution and of the use of variables. In this respect combinatory logic was conceived by one of its founders, H. B. Curry, to be concerned with the ultimate foundations and with notions that constitute a “prelogic.” It was hoped that an analysis of this prelogic would disclose the true source of the difficulties connected with the logical paradoxes. The operation of applying a function to one of its arguments, called application, is a primitive operation in all systems of combinatory logic. If f is a function and x a possible argument, then the result of the application operation is denoted fx. In mathematics this is usually written fx, but the notation fx is more convenient in combinatory logic. The G. logician M. Schönfinkel, who started combinatory logic in 4, observed that it is not necessary to introduce color realism combinatory logic functions of more than one variable, provided that the idea of a function is enlarged so that functions can be arguments as well as values of other functions. A function Fx,y is represented with the function f, which when applied to the argument x has, as a value, the function fx, which, when applied to y, yields Fx,y, i.e. fxy % Fx,y. It is therefore convenient to omit parentheses with association to the left so that fx1 . . . xn is used for  . . . fx1 . . . xn. Schönfinkel’s main result was to show how to make the class of functions studied closed under explicit definition by introducing two specific primitive functions, the combinators S and K, with the rules Kxy % x, and Sxyz % xzyz. To illustrate the effect of S in ordinary mathematical notation, let f and g be functions of two and one arguments, respectively; then Sfg is the function such that Sfgx % fx,gx. Generally, if ax1, . . . ,xn is an expression built up from constants and the variables shown by means of the application operation, then there is a function F constructed out of constants including the combinators S and K, such that Fx1 . . . xn % ax1, . . . , xn. This is essentially the meaning of the combinatory completeness of the theory of combinators in the terminology of H. B. Curry and R. Feys, Combinatory Logic 8; and H. B. Curry, J. R. Hindley, and J. P. Seldin, Combinatory Logic,  II 2. The system of combinatory logic with S and K as the only primitive functions is the simplest equation calculus that is essentially undecidable. It is a type-free theory that allows the formation of the term ff, i.e. self-application, which has given rise to problems of interpretation. There are also type theories based on combinatory logic. The systems obtained by extending the theory of combinators with functions representing more familiar logical notions such as negation, implication, and generality, or by adding a device for expressing inclusion in logical categories, are studied in illative combinatory logic. The theory of combinators exists in another, equivalent form, namely as the type-free l-calculus created by Church in 2. Like the theory of combinators, it was designed as a formalism for representing functions as rules of calculation, and it was originally part of a more general system of functions intended as a foundation for mathematics. The l-calculus has application as a primitive operation, but instead of building up new functions from some primitive ones by application, new functions are here obtained by functional abstraction. If ax is an expression built up by means of application from constants and the variable x, then ax is considered to define a function denoted lx.a x, whose value for the argument b is ab, i.e. lx.a xb % ab. The function lx.ax is obtained from ax by functional abstraction. The property of combinatory completeness or closure under explicit definition is postulated in the form of functional abstraction. The combinators can be defined using functional abstraction i.e., K % lx.ly.x and S % lx.ly.lz.xzyz, and conversely, in the theory of combinators, functional abstraction can be defined. A detailed presentation of the l-calculus is found in H. Barendregt, The Lambda Calculus, Its Syntax and Semantics 1. It is possible to represent the series of natural numbers by a sequence of closed terms in the lcalculus. Certain expressions in the l-calculus will then represent functions on the natural numbers, and these l-definable functions are exactly the general recursive functions or the Turing computable functions. The equivalence of l-definability and general recursiveness was one of the arguments used by Church for what is known as Church’s thesis, i.e., the identification of the effectively computable functions and the recursive functions. The first problem about recursive undecidability was expressed by Church as a problem about expressions in the l calculus. The l-calculus thus played a historically important role in the original development of recursion theory. Due to the emphasis in combinatory logic on the computational aspect of functions, it is natural that its method has been found useful in proof theory and in the development of systems of constructive mathematics. For the same reason it has found several applications in computer science in the construction and analysis of programming languages. The techniques of combinatory logic have also been applied in theoretical linguistics, e.g. in so-called Montague grammar. In recent decades combinatory logic, like other domains of mathematical logic, has developed into a specialized branch of mathematics, in which the original philosophical and foundational aims and motives are of little and often no importance. One reason for this is the discovery of the new technical applications, which were not intended originally, and which have turned the interest toward several new mathematical problems. Thus, the original motives are often felt to be less urgent and only of historical significance. Another reason for the decline of the original philosophical and foundational aims may be a growing awareness in the philosophy of mathematics of the limitations of formal and mathematical methods as tools for conceptual combinatory logic combinatory logic clarification, as tools for reaching “ultimate foundations.”  grice’s “The Three-Year-Old’s Guide to Russell’s Theory of Types,” with an advice to parents by P. F. Starwson -- type theory, broadly, any theory according to which the things that exist fall into natural, perhaps mutually exclusive, categories or types. In most modern discussions, ‘type theory’ refers to the theory of logical types first sketched by Russell in The Principles of Mathematics 3. It is a theory of logical types insofar as it purports only to classify things into the most general categories that must be presupposed by an adequate logical theory. Russell proposed his theory in response to his discovery of the now-famous paradox that bears his name. The paradox is this. Common sense suggests that some classes are members of themselves e.g., the class of all classes, while others are not e.g., the class of philosophers. Let R be the class whose membership consists of exactly those classes of the latter sort, i.e., those that are not members of themselves. Is R a member of itself? If so, then it is a member of the class of all classes that are not members of themselves, and hence is not a member of itself. If, on the other hand, it is not a member of itself, then it satisfies its own membership conditions, and hence is a member of itself after all. Either way there is a contradiction. The source of the paradox, Russell suggested, is the assumption that classes and their members form a single, homogeneous logical type. To the contrary, he proposed that the logical universe is stratified into a regimented hierarchy of types. Individuals constitute the lowest type in the hierarchy, type 0. For purposes of exposition, individuals can be taken to be ordinary objects like chairs and persons. Type 1 consists of classes of individuals, type 2 of classes of classes of individuals, type 3 classes of classes of classes of individuals, and so on. Unlike the homogeneous universe, then, in the type hierarchy the members of a given class must all be drawn from a single logical type n, and the class itself must reside in the next higher type n ! 1. Russell’s sketch in the Principles differs from this account in certain details. Russell’s paradox cannot arise in this conception of the universe of classes. Because the members of a class must all be of the same logical type, there is no such class as R, whose definition cuts across all types. Rather, there is only, for each type n, the class Rn of all non-self-membered classes of that type. Since Rn itself is of type n ! 1, the paradox breaks down: from the assumption that Rn is not a member of itself as in fact it is not in the type hierarchy, it no longer follows that it satisfies its own membership conditions, since those conditions apply only to objects of type n. Most formal type theories, including Russell’s own, enforce the class membership restrictions of simple type theory syntactically such that a can be asserted to be a member of b only if b is of the next higher type than a. In such theories, the definition of R, hence the paradox itself, cannot even be expressed. Numerous paradoxes remain unscathed by the simple type hierarchy. Of these, the most prominent are the semantic paradoxes, so called because they explicitly involve semantic notions like truth, as in the following version of the liar paradox. Suppose Epimenides asserts that all the propositions he asserts today are false; suppose also that that is the only proposition he asserts today. It follows immediately that, under those conditions, the proposition he asserts is true if and only if it is false. To address such paradoxes, Russell was led to the more refined and substantially more complicated system known as ramified type theory, developed in detail in his 8 paper “Mathematical Logic as Based on the Theory of Types.” In the ramified theory, propositions and properties or propositional functions, in Russell’s jargon come to play the central roles in the type-theoretic universe. Propositions are best construed as the metaphysical and semantical counterparts of sentences  what sentences express  and properties as the counterparts of “open sentences” like ‘x is a philosopher’ that contain a variable ‘x’ in place of a noun phrase. To distinguish linguistic expressions from their semantic counterparts, the property expressed by, say, ‘x is a philosopher’, will be denoted by ‘x  is a philosopher’, and the proposition expressed by ‘Aristotle is a philosopher’ will be denoted by ‘Aristotle is a philosopher’. A property . . .x  . . . is said to be true of an individual a if . . . a . . . is a true proposition, and false of a if . . . a . . . is a false proposition where ‘. . . a . . .’ is the result of replacing ‘x  ’ with ‘a’ in ‘. . . x  . . .’. So, e.g., x  is a philosopher is true of Aristotle. The range of significance of a property P is the collection of objects of which P is true or false. a is a possible argument for P if it is in P’s range of significance. In the ramified theory, the hierarchy of classes is supplanted by a hierarchy of properties: first, properties of individuals i.e., properties whose range of significance is restricted to individuals, then properties of properties of individuals, and so on. Parallel to the simple theory, then, the type of a property must exceed the type of its possible arguments by one. Thus, Russell’s paradox with R now in the guise of the property x  is a property that is not true of itself  is avoided along analogous lines. Following the  mathematician Henri Poincaré, Russell traced the type theory type theory 935   935 source of the semantic paradoxes to a kind of illicit self-reference. So, for example, in the liar paradox, Epimenides ostensibly asserts a proposition p about all propositions, p itself among them, namely that they are false if asserted by him today. p thus refers to itself in the sense that it  or more exactly, the sentence that expresses it  quantifies over i.e., refers generally to all or some of the elements of a collection of entities among which p itself is included. The source of semantic paradox thus isolated, Russell formulated the vicious circle principle VCP, which proscribes all such self-reference in properties and propositions generally. The liar proposition p and its ilk were thus effectively banished from the realm of legitimate propositions and so the semantic paradoxes could not arise. Wedded to the restrictions of simple type theory, the VCP generates a ramified hierarchy based on a more complicated form of typing. The key notion is that of an object’s order. The order of an individual, like its type, is 0. However, the order of a property must exceed the order not only of its possible arguments, as in simple type theory, but also the orders of the things it quantifies over. Thus, type 1 properties like x  is a philosopher and x  is as wise as all other philosophers are first-order properties, since they are true of and, in the second instance, quantify over, individuals only. Properties like these whose order exceeds the order of their possible arguments by one are called predicative, and are of the lowest possible order relative to their range of significance. Consider, by contrast, the property call it Q x  has all the first-order properties of a great philosopher. Like those above, Q also is a property of individuals. However, since Q quantifies over first-order properties, by the VDP, it cannot be counted among them. Accordingly, in the ramified hierarchy, Q is a second-order property of individuals, and hence non-predicative or impredicative. Like Q, the property x  is a first-order property of all great philosophers is also second-order, since its range of significance consists of objects of order 1 and it quantifies only over objects of order 0; but since it is a property of first-order properties, it is predicative. In like manner it is possible to define third-order properties of individuals, third-order properties of first-order properties, third-order properties of second-order properties of individuals, third-order properties of secondorder properties of first-order properties, and then, in the same fashion, fourth-order properties, fifth-order properties, and so on ad infinitum. A serious shortcoming of ramified type theory, from Russell’s perspective, is that it is an inadequate foundation for classical mathematics. The most prominent difficulty is that many classical theorems appeal to definitions that, though consistent, violate the VCP. For instance, a wellknown theorem of real analysis asserts that every bounded set of real numbers has a least upper bound. In the ramified theory, real numbers are identified with certain predicative properties of rationals. Under such an identification, the usual procedure is to define the least upper bound of a bounded set S of reals to be the property call it b some real number in S is true of x  , and then prove that this property is itself a real number with the requisite characteristics. However, b quantifies over the real numbers. Hence, by the VCP, b cannot itself be taken to be a real number: although of the same type as the reals, and although true of the right things, b must be assigned a higher order than the reals. So, contrary to the classical theorem, S fails to have a least upper bound. Russell introduced a special axiom to obviate this difficulty: the axiom of reducibility. Reducibility says, in effect, that for any property P, there is a predicative property Q that is true of exactly the same things as P. Reducibility thus assures that there is a predicative property bH true of the same rational numbers as b. Since the reals are predicative, hence of the same order as bH, it turns out that bH is a real number, and hence that S has a least upper bound after all, as required by the classical theorem. The general role of reducibility is thus to undo the draconian mathematical effects of ramification without undermining its capacity to fend off the semantic paradoxes.  grice’s play group -- H. P. Grice’s playgroup: after the death of J. L. Austin, Grice kept the routine of the Saturday morning with a few new rules. 1. Freedom. 2. Freedom, and 3. Freedom.grice’s theory-theory: Grice’s word for ‘first philosophy.’‘striking originality, eh?’ grice’s personalism: Grice: “I finished the thing and did not know what to titlemy mother said, “Try ‘personal identity.’ She was a personal trinitarian.” -- a version of personal idealism that flourished in the United States principally at Boston  from the late nineteenth century to the mid-twentieth century. Its principal proponents were Borden Parker Bowne 1847 0 and three of his students: Albert Knudson 18733; Ralph Flewelling 18710, who founded The Personalist; and, most importantly, Edgar Sheffield Brightman 43. Their personalism was both idealistic and theistic and was influential in philosophy and in theology. Personalism traced its philosophical lineage to Berkeley and Leibniz, and had as its foundational insight the view that all reality is ultimately personal. God is the transcendent person and the ground or creator of all other persons; nature is a system of objects either for or in the minds of persons. Both Bowne and Brightman considered themselves empiricists in the tradition of Berkeley. Immediate experience is the starting point, but this experience involves a fundamental knowledge of the self as a personal being with changing states. Given this pluralism, the coherence, order, and intelligibility of the universe are seen to derive from God, the uncreated person. Bowne’s God is the eternal and omnipotent being of classical theism, but Brightman argued that if God is a real person he must be construed as both temporal and finite. Given the fact of evil, God is seen as gradually gaining control over his created world, with regard to which his will is intrinsically limited. Another version of personalism developed in France out of the neo-Scholastic tradition. E. Mounier 550, Maritain, and Gilson identified themselves as personalists, inasmuch as they viewed the infinite person God and finite persons as the source and locus of intrinsic value. They did not, however, view the natural order as intrinsically personal.grice’s personhood: Grice: “I finished the thing and did not know how to title. My mother, a confessed personal trinitarian, suggested, ‘personal identity.’’ -- the condition or property of being a person, especially when this is considered to entail moral and/or metaphysical importance. Personhood has been thought to involve various traits, including moral agency; reason or rationality; language, or the cognitive skills language may support such as intentionality and self-consciousness; and ability to enter into suitable relations with other persons viewed as members of a self-defining group. Buber emphasized the difference between the I-It relationship holding between oneself and an object, and the IThou relationship, which holds between oneself and another person who can be addressed. Dennett has construed persons in terms of the “intentional stance,” which involves explaining another’s behavior in terms of beliefs, desires, intentions, etc. Questions about when personhood begins and when it ends have been central to debates about abortion, infanticide, and euthanasia, since personhood has often been viewed as the mark, if not the basis, of a being’s possession of special moral status.  griceian. Grice disliked the spelling “Gricean” that some people in the New World use. “Surely my grandmother was right when she said she had become a Griceian by marrying a Grice!” grice: g. r.Welsh philosopher who taught at Norwich. Since H. P. Grice and G. R. Grice both wrote on the contract and morality, one has to be careful. Griceian elenchus: a cross-examination or refutation. Typically in Plato’s early dialogues, Socrates has a conversation with someone who claims to have some sort of knowledge, and Socrates refutes this claim by showing the interlocutor that what he thinks he knows is inconsistent with his other opinions. This refutation Grice calls a ‘conversational elenchus.’ “It is not entirely negative, for awareness of his own ignorance is supposed to spur one’s conversational interlocutor to further inquiry, and the concepts and assumptions employed in the refutations serve as the basis for positive Griceian, and implicatural, treatments of the same topic.” “Now, in contrast, I’ll grant you that a type of “sophistic elenchi” that one sometimes sees at Oxford, usually displayed  by Rhode scholars from the New World or the Colonies, under the tutelage of me or others in my group, may be merely eristic.” “They aim simply at the refutation of an opponent by any means.” “That is why, incidentally, why Aristotle calls a fallacy that only *appear* to be a refutation a “sophistici elenchi.”  Cf. ‘eristic.’ And Grice on the epagoge/diagoge distinction.  Grice’s “sc.”: as the elliptical disimplicaturum -- ellipsis as implicaturum: an expression from which a ‘part’ has been deleted.. “I distinguish between the expression-whole and the expression-part.” The term Grice uses for ‘part’ is ‘incomplete’ versus ‘complete,’ and it’s always for metabolical ascriptions primarily. Thus Grice has "x (utterance-type) means '. . .' " which is a specification of timeless meaning for an utterance-type ad which can be either (i a) “complete” or (i b) non-complete (partial) or incomplete]. He also has "x (utterance-type) meant here '...'", which is a specification of applied timeless meaning for an utterance-type which again can be either (2a) complete or (2b) partial, non-complete, or incomplete. So ellipsis can now be redefined in terms of the complete-incomplete distinction. “Smith is” is incomplete. “Smith is clever” is complete.  “Uusually for conciseness.” As Grice notes, “an elliptical or incomplete sentence is often used to answer a questions without repeating material occurring in the question; e. g.  ‘Grice’ may be the answer to the question of the authorship of “The grounds of morality” or to the question of the authorship of “Studies in the Way of Words.” ‘Grice’ can be seen as an ‘elliptical’ name when used as an ellipsis of ‘G. R. Grice’ or “H. P. Grice” and “Grice” can be seen as an elliptical *sentence* when used as an ellipsis for ‘G. R. Grice is the author of ‘The Grounds of Morality”” or “H. P. Grice is the author of Studies in the Way of Words.’Other typical elliptical sentences are: ‘Grice is a father of two [+> children]’, ‘Grice, or Godot, arrived for the tutorial past twelve [+> midnight]’. A typical ellipsis that occurs in discussion of ellipses involves citing the elliptical sentences with the deleted material added in brackets often with ‘sc.’ or ‘scilicet’“Grice is a father of two (sc. Children),” Grice, or Godot, as we tutees call him, arrived for the tutorial past twelve (sc. midnight)” -- instead of also presenting the complete sentence. As Grice notes, ellipsis can also occurs above the sentential level, e.g. where well-known premises are omitted in the course of argumentation, as in “Grice is an Englishman; he is, therefore, brave.” ‘Enthymeme,’ literally, ‘in-the-breast,’ designates an elliptical argument expression from which one or more premise-expressions have been deleted, “or merely implicated.” -- ‘elliptic ambiguity’ designates ambiguity arising from ellipsis, as does ‘elliptic implicaturum.’ “Sc.” Grice calls “elliptical disimplicaturum.”Grice’s ego: “Oddly, while I and we, and thou and you are persons, ‘it’ is notthe “THIRD” person is a joke!” -- “I follow Buber in distinguishing ‘ego’ from ‘tu.’ With conversation, there’s the ‘we,’ too.”  “If you were the only girl in the world, there would not be a need for the personal pronoun ‘ego’”Grice to his wife, on the day of their engagement. “I went to Oxford. You went to Cambridge. He went to the London School of Economics.” egocentric particular, a word whose denotation is determined by identity of the speaker and/or the time, place, and audience of his utterance. Examples are generally thought to include ‘I,’ ‘you’, ‘here’, ‘there’, ‘this’, ‘that’, ‘now’, ‘past’, ‘present’, and ‘future’. The term ‘egocentric particular’ was introduced by Russell in An Inquiry into Meaning and Truth 0. In an earlier work, “The Philosophy of Logical Atomism” Monist, 819, Russell called such words “emphatic particulars.” Some important questions arise regarding egocentric particulars. Are some egocentric particulars more basic than others so that the rest can be correctly defined in terms of them but they cannot be correctly defined in terms of the rest? Russell thought all egocentric particulars can be defined by ‘this’; ‘I’, for example, has the same meaning as ‘the biography to which this belongs’, where ‘this’ denotes a sense-datum experienced by the speaker. Yet, at the same time, ‘this’ can be defined by the combination ‘what I-now notice’. Must we use at least some egocentric particulars to give a complete description of the world? Our ability to describe the world from a speaker-neutral perspective, so that the denotations of the terms in our description are independent of when, where, and by whom they are used, depends on our ability to describe the world without using egocentric particulars. Russell held that egocentric particulars are not needed in any part of the description of the world.  -- egocentric predicament, each person’s apparently problematic position as an experiencing subject, assuming that all our experiences are private in that no one else can have them. Two problems concern our ability to gain empirical knowledge. First, it is hard to see how we gain empirical knowledge of what others experience, if all experience is private. We cannot have their experience to see what it is like, for any experience we have is our experience and so not theirs. Second, it is hard to see how we gain empirical knowledge of how the external world is, independently of our experience. All our empirically justified beliefs seem to rest ultimately on what is given in experience, and if the empirically given is private, it seems it can only support justified beliefs about the world as we experience it. A third major problem concerns our ability to communicate with others. It is hard to see how we describe the world in a language others understand. We give meaning to some of our words by defining them by other words that already have meaning, and this process of definition appears to end with words we define ostensively; i.e., we use them to name something given in experience. If experiences are private, no one else can grasp the meaning of our ostensively defined words or any words we use them to define. No one else can understand our attempts to describe the world.  Egoism: cf. H. P. Grice, “The principle of conversational self-love and the principle of conversational benevolence,” any view that, in a certain way, makes the self central. There are several different versions of egoism, all of which have to do with how actions relate to the self. Ethical egoism is the view that people ought to do what is in their own selfinterest. Psychological egoism is a view about people’s motives, inclinations, or dispositions. One statement of psychological egoism says that, as a matter of fact, people always do what they believe is in their self-interest and, human nature being what it is, they cannot do otherwise. Another says that people never desire anything for its own sake except what they believe is in their own self-interest. Altruism is the opposite of egoism. Any ethical view that implies that people sometimes ought to do what is in the interest of others and not in their self-interest can be considered a form of ethical altruism. The view that, human nature being what it is, people can do what they do not believe to be in their self-interest might be called psychological altruism. Different species of ethical and psychological egoism result from different interpretations of self-interest and of acting from self-interest, respectively. Some people have a broad conception of acting from self-interest such that people acting from a desire to help others can be said to be acting out of self-interest, provided they think doing so will not, on balance, take away from their own good. Others have a narrower conception of acting from selfinterest such that one acts from self-interest only if one acts from the desire to further one’s own happiness or good. Butler identified self-love with the desire to further one’s own happiness or good and self-interested action with action performed from that desire alone. Since we obviously have other particular desires, such as the desires for honor, for power, for revenge, and to promote the good of others, he concluded that psychological egoism was false. People with a broader conception of acting from self-interest would ask whether anyone with those particular desires would act on them if they believed that, on balance, acting on them would result in a loss of happiness or good for themselves. If some would, then psychological egoism is false, but if, given human nature as it is, no one would, it is true even if self-love is not the only source of motivation in human beings. Just as there are broader and narrower conceptions of acting from self-interest, there are broader and narrower conceptions of self-interest itself, as well as subjective and objective conceptions of self-interest. Subjective conceptions relate a person’s self-interest solely to the satisfaction of his desires or to what that person believes will make his life go best for him. Objective conceptions see self-interest, at least in part, as independent of the person’s desires and beliefs. Some conceptions of self-interest are narrower than others, allowing that the satisfaction of only certain desires is in a person’s self-interest, e.g., desires whose satisfaction makes that person’s life go better for her. And some conceptions of self-interest count only the satisfaction of idealized desires, ones that someone would have after reflection about the nature of those desires and what they typically lead to, as furthering a person’s self-interest.  See index to all Grice’s books with indexthe first three of them.Grice’s genitorial programmeA type of ideal observer theory -- demiurge from Grecian demiourgos, ‘artisan’, ‘craftsman’, a deity who shapes the material world from the preexisting chaos. Plato introduces the demiurge in his Timaeus. Because he is perfectly good, the demiurge wishes to communicate his own goodness. Using the Forms as a model, he shapes the initial chaos into the best possible image of these eternal and immutable archetypes. The visible world is the result. Although the demiurge is the highest god and the best of causes, he should not be identified with the God of theism. His ontological and axiological status is lower than that of the Forms, especially the Form of the Good. He is also limited. The material he employs is not created by him. Furthermore, it is disorderly and indeterminate, and thus partially resists his rational ordering. In gnosticism, the demiurge is the ignorant, weak, and evil or else morally limited cause of the cosmos. In the modern era the term has occasionally been used for a deity who is limited in power or knowledge. Its first occurrence in this sense appears to be in J. S. Mill’s Theism 1874.  gricese: While Grice presented Gricese as refutation of Vitters’s idea of a private language “I soon found out that my wife and my two children were speaking Gricese, as was my brother Derek!” -- english, being English or the genius of the ordinary. H. P. Grice refers to “The English tongue.” A refusal to rise above the facts of ordinary life is characteristic of classical Eng. Phil.  from Ireland-born Berkeley to Scotland-born Hume, Scotland-born Reid, and very English Jeremy Bentham and New-World Phil. , whether in transcendentalism Emerson, Thoreau or in pragmatism from James to Rorty. But this orientation did not become truly explicit until after the linguistic turn carried out by Vienna-born Witters, translated by C. K. Ogden, very English Brighton-born Ryle, and especially J. L. Austin and his best companion at the Play Group, H. P. Grice, when it was radicalized and systematized under the name of a phrase Grice lauged at: “‘ordinary’-language philosophy.” This preponderant recourse to the ordinary seems inseparable from certain peculiar characteristics of the English Midlanders such as H. P. Grice, such as the gerund that often make it difficult if not impossible to translate. It is all the more important to emphasize this paradox because English Midlander philosopher, such as H. P. Grice, claims to be as simple as it is universal, and it established itself as an important philosophical language in the second half of the twentieth century, due mainly to the efforts of H. P. Grice. English, but especially Oxonian Phil.  has a specific relationship to ‘ordinary’ language (even though for Grice, “Greek and Latin were always more ordinary to meand people who came to read Eng. at Oxford were laughed at!”), as well as to the requirements of everyday life, that is not limited to the theories of the Phil.  of language, in which an Eng. philosopher such as H. P. Grice appears as a pioneer. It rejects the artificial linguistic constructions of philosophical speculation that is, Met. and always prefers to return to its original home, as Witters puts it: the natural environment of everyday words Philosophical Investigations. Thus we can discern a continuity between the recourse to the ordinary in Scots Hume, Irish Berkeley, Scots Reid, and very English Jeremy Bentham and what will become in Irish London-born G. E. Moore and Witters after he started using English, at least orally and then J. L. Austin’s and H. P. Grice’s ‘ordinary’-language philosophy. This continuity can be seen in several areas. First, in the exploitation of all the resources of the language, which is considered as a source of information and is valid in itself. Second, in the attention given to the specificities—and even the defects, or ‘implicatura,’ as Grice calls them —of the vernacular --  which become so many philosophical characteristics from which one can learn. Finally, in the affirmation of the naturalness of the distinctions made in and by ordinary language, seeking to challenge the superiority of the technical language of Philosophy —the former being the object of an agreement deeper than the latter. Then there’s The Variety of Modes of Action. The passive. There are several modes of agency, and these constitute both part of the genius of the language and a main source of its problems in tr.. Agency is a strange intersection of points of view that makes it possible to designate the person who is acting while at the same time concealing the actor behind the act—and thus locating agency in the passive subject itself v. AGENCY. A classic difficulty is illustrated by the following sentence from J. Stuart Mill’s To gauge the naturalness of the passive construction in English, it suffices to examine a couple of newspaper headlines. “Killer’s Car Found” On a retrouvé la voiture du tueur, “Kennedy Jr. Feared Dead.” On craint la mort du fils Kennedy; or the titles of a philosophical essay, “Epistemology Naturalized,” L’Épistémologie naturalisée; Tr.  J. Largeault as L’Épistémologie devenue naturelle; a famous article by Quine that was the origin of the naturalistic turn in American Phil.  and “Consciousness Explained” La conscience expliquée by Daniel Dennett. We might then better understand why this PASSIVE VOICE kind of construction—which seems so awkward in Fr.  compared with the active voice— is perceived by its Eng. users as a more direct and effective way of speaking. More generally, the ellipsis of the agent seems to be a tendency of Eng. so profound that one can maintain that the phenomenon Lucien Tesnière called diathèse récessive the loss of the agent has become a characteristic of the Eng. language itself, and not only of the passive. Thus, e. g. , a Fr.  reader irresistibly gains the impression that a reflexive pronoun is lacking in the following expressions. “This book reads well.” ce livre se lit agréablement. “His poems do not translate well.” ses poèmes se traduisent difficilement. “The door opens.” la porte s’ouvre. “The man will hang.” l’homme sera pendu. In reality, here again, Eng. simply does not need to mark by means of the reflexive pronoun se the presence of an active agent. Do, make, have Eng. has several terms to translate the single Fr.  word faire, which it can render by to do, to make, or to have, depending on the type of agency required by the context. Because of its attenuation of the meaning of action, its value as emphasis and repetition, the verb “to do” has become omnipresent in English, and it plays a particularly important role in philosophical texts. We can find a couple of examples of tr. problems in the Oxonian seminars by J. L. Austin. In Sense and Considerations on Representative Government: “I must not be understood to say that” p. To translate such a passive construction, Fr.  is forced to resort to the impersonal pronoun on and to put it in the position of an observer of the “I” je as if it were considered from the outside: On ne doit pas comprendre que je dis que p. But at the same time, the network of relations internal to the sentence is modified, and the meaning transformed. Necessity is no longer associated with the subject of the sentence and the author; it is made impersonal. Philosophical language also makes frequent use of the diverse characteristics of the passive. Here we can mention the crucial turning point in the history of linguistics represented by Chomsky’s discovery Syntactic Structures,  of the paradigm of the active/ passive relation, which proves the necessity of the transformational component in grammar. A passive utterance is not always a reversal of the active and only rarely describes an undergoing, as is shown by the example She was offered a bunch of flowers. In particular, language makes use of the fact that this kind of construction authorizes the ellipsis of the agent as is shown by the common expression Eng. spoken. For a philosopher, the passive is thus the privileged form of an action when its agent is unknown, indeterminate, unimportant, or, inversely, too obvious. Thus without making his prose too turgid, in Sense and Sensibilia Austin can use five passives in less than a page, and these can be translated in Fr.  only by on, an indeterminate subject defined as differentiated from moi. “It is clearly implied, that “Now this, at least if it is taken to mean The expression is here put forward We are given, as examples, familiar objects The expression is not further defined On sous-entend clairement que Quant à cela, du moins si on l’entend au sens de On avance ici l’expression On nous donne, comme exemples, des objets familiers On n’approfondit pas la définition de l’expression . . . 1 Langage, langue, parole: A virtual distinction. Contrary to what is too often believed, the Eng. language does not conflate under the term language what Fr.  distinguishes following Saussure with the terms langage, langue, and parole. In reality, Eng. also has a series of three terms whose semantic distribution makes possible exactly the same trichotomy as Fr. : First there’s Grice’s “tongue,”which serves to designate a specific language by opposition to another; speech, which refers more specifically to parole but which is often translated in Fr.  by discours; and language in the sense of faculté de langage. Nonetheless, Fr. ’s set of systematic distinctions can only remain fundamentally virtual in English, notably because the latter refuses to radically detach langue from parole. Thus in Chrestomathia, Bentham uses “tongue” (Bentham’s tonguein Chrestomathia) and language interchangeably and sometimes uses language in the sense of langue: “Of all known languages the Grecian [Griceian] is assuredly, in its structure, the most plastic and most manageable. Bentham even uses speech and language as equivalents, since he speaks of parts of speech. But on the contrary, he sometimes emphasizes differences that he ignores here. And he proceeds exactly like Hume in his essay Of the Standard of Taste, where we find, e. g. , But it must also be allowed, that some part of the seeming harmony in morals may be accounted for from the very nature of language. The word, virtue, with its equivalent in every tongue, implies praise; as that of vice does blame. REFS.: Bentham, Jeremy. ChrestomathiEd.  by M. J. Smith and W. H. Burston. Oxford: Clarendon, . Hume, D. . Of the Standard of Taste. In Four Dissertations. London: Thoemmes Continuum, . First published in 175 Saussure, F. de. Course in General Linguistics. Ed.  by Bally and Sechehaye. Tr.  R. Harris. LaSalle, IL: Open Court, . First published in circulation among these forms. This formal continuity promotes a great methodological inventiveness through the interplay among the various grammatical entities that it enables.  The gerund: The form of -ing that is the most difficult to translate Eng. is a nominalizing language. Any verb can be nominalized, and this ability gives the Eng. philosophical language great creative power. “Nominalization,” as Grice calls it, is in fact a substantivization without substantivization: the verb is not substantivized in order to refer to action, to make it an object of discourse which is possible in any language, notably in philosophical Fr.  and G. , but rather to nominalize the verb while at the same time preserving its quality as a verb, and even to nominalize whole clauses. Fr.  can, of course, nominalize faire, toucher, and sentir le faire, le toucher, even le sentir, and one can do the same, in a still more systematic manner, in G. . However, these forms will not have the naturalness of the Eng. expressions: the making and unmaking the doing and undoing, the feeling, the feeling Byzantine, the meaning. Above all, in these languages it is hard to construct expressions parallel to, e. g. , the making of, the making use of, my doing wrongly, “my meaning this,” (SIGNIFICATUM, COMMUNICATUM), his feeling pain, etc., that is, mixtures of noun and verb having—and this is the grammatical characteristic of the gerund — the external distribution of a nominal expression and the internal distribution of a verbal expression. These forms are so common that they characterize, in addition to a large proportion of book titles e. g. , The Making of the Eng. Working Class, by E. P. Thomson; or, in Phil. , The Taming of Chance, or The taming of the true, by I. Hacking, the language of classical Eng. Phil. . The gerund functions as a sort of general equivalent or exchanger between grammatical forms. In that way, it not only makes the language dynamic by introducing into it a permanent temporal flux, but also helps create, in the language itself, a kind of indeterminacy in the way it is parsed, which the translator finds awkward when he understands the message without being able to retain its lightness. Thus, in A Treatise of Human Nature, Hume speaks, regarding the idea, of the manner of its being conceived, which a Fr.  translator might render as sa façon d’être conçue or perhaps, la façon dont il lui appartient d’être conçue, which is not quite the same thing. And we v. agency and the gerund connected in a language like that of Bentham, who minimizes the gaps between subject and object, verb and noun: much regret has been suggested at the thoughts of its never having yet been brought within the reach of the Eng. reader ChrestomathiTranslators often feel obliged to render the act expressed by a gerund by the expression le fait de, but this has a meaning almost contrary to the English. With its gerund, Eng. avoids the discourse of fact by retaining only the event and arguing only on that basis. The inevitable confusion suggested by Fr.  when it translates the Eng. gerund is all the more unfortunate in this case because it becomes impossible to distinguish when Eng. uses the fact or the case from when it uses the gerund. The importance of the event, along with the distinction between trial, case, and event, on the one hand and happening on the other, is Sensibilia, he has criticized the claim that we never perceive objects directly and is preparing to criticize its negation as well: I am not going to maintain that we ought to embrace the doctrine that we do perceive material things. Je ne vais pas soutenir que nous devons embrasser la doctrine selon laquelle nous percevons vraiment les choses matérielles. Finally, let us recall Austin’s first example of the performative, which plays simultaneously on the anaphoric value of do and on its sense of action, a duality that v.ms to be at the origin of the theory of the performative, I do take this woman to be my lawful wedded wife—as uttered in the course of the marriage ceremony Oui à savoir: je prends cette femme pour épouse’énoncé lors d’une cérémonie de mariage; How to Do Things with Words. On the other hand, whereas faire is colored by a causative sense, Eng. uses to make and to have—He made Mary open her bags il lui fit ouvrir sa valise; He had Mary pour him a drink il se fit verser un verre—with this difference: that make can indicate, as we v., coercion, whereas have presupposes that there is no resistance, a difference that Fr.  can only leave implicit or explain by awkward periphrases. Twentieth-century Eng. philosophers from Austin to Geach and Anscombe have examined these differences and their philosophical implications very closely. Thus, in A Plea for Excuses, Austin emphasizes the elusive meaning of the expression doing something, and the correlative difficulty of determining the limits of the concept of action—Is to sneeze to do an action? There is indeed a vague and comforting idea that doing an action must come down to the making of physical movements. Further, we need to ask what is the detail of the complicated internal machinery we use in acting. Philosophical Papers No matter how partial they may be, these opening remarks show that there is a specific, intimate relation between ordinary language and philosophical language in English language Phil. . This enables us to better understand why the most Oxonian philosophers are so comfortable resorting to idiomatic expressions cf. H. Putnam and even to clearly popular usage: “Meanings ain’t in the head.” It ain’t necessarily so.As for the title of Manx-ancestry Quine’s famous book From a Logical Point of View, which at first seems austere, it is taken from a calypso song: “From a logical point of view, Always marry women uglier than you. The Operator -ing: Properties and Antimetaphysical Consequences -ing: A multifunctional operator Although grammarians think it important to distinguish among the forms of -ing—present participles, adjectives, the progressive, and the gerund—what strikes the reader of scientific and philosophical texts is first of all the free in Phil. , You are v.ing something Austin, Sense and Sensibilia, regarding a stick in water; I really am perceiving the familiar objects Ayer, Foundations of Empirical Knowledge. The passage to the form be + verb + -ing indicates, then, not the progressiveness of the action but rather the transition into the metalanguage peculiar to the philosophical description of phenomena of perception. The sole exception is, curiously, to know, which is practically never used in the progressive: even if we explore the philosophical and epistemological literature, we do not find “I am knowing” or he was knowing, as if knowledge could not be conceived as a process. In English, there is a great variety of what are customarily called aspects, through which the status of the action is marked and differentiated in a more systematic way than in Fr.  or G. , once again because of the -ing ending: he is working / he works / he worked / he has been working. Unlike what happens in Slavic languages, aspect is marked at the outset not by a duality of verbal forms but instead by the use of the verb to be with a verb ending in -ing imperfect or progressive, by opposition to the simple present or past perfect. Moreover, Grice mixes several aspects in a single expression: iterativity, progressivity, completion, as in it cannot fail to have been noticed Austin, How to Do Things. These are nuances, or implicate, as Labov and then Pinker recently observed, that are not peculiar to classical or written Eng. but also exist in certain vernaculars that appear to be familiar or allegedly ungrammatical. The vernacular seems particularly sophisticated on this point, distinguishing “he be working” from “he working” —that is, between having a regular job and being engaged in working at a particular moment, standard usage being limited to “he is working” Pinker, Language Instinct. Whether or not the notion of aspect is used, it seems clear that in Eng. there is a particularly subtle distinction between the different degrees of completion, of the iterativity or development of an action, that leads Oxonian philosophers to pay more attention to these questions and even to surprising inventions, such as that of ‘implicaturum,’ or ‘visum,’ or ‘disimplicaturum.’ The linguistic dissolution of the idea of substance  Fictive entities Thus the verb + -ing operation simply gives the verb the temporary status of a noun while at the same time preserving some of its syntactic and semantic properties as a verb, that is, by avoiding substantivization. It is no accident that the substantiality of the I think asserted by Descartes was opposed by virtually all the Eng. philosophers of the seventeenth century. If a personal identity can be constituted by the making our distant perceptions influence each other, and by giving us a present concern for our past or future pains or pleasures Hume, Treatise of Human Nature, it does not require positing a substance: the substantivization of making and giving meets the need. We can also consider the way in which Russell Analysis of Matter, ch.27 makes his reader understand far more easily than does Bachelard, and without having to resort to the category of an epistemological obstacle, that one can perfectly well posit an atom as a series of events without according it the status of a substance. crucial in discussions of probability. The very definition of probability with which Bayes operates in An Essay towards Solving a Problem, the first great treatise on subjective probability, is based on this status of the happening, the event conceived not in terms of its realization or accomplishment but in terms of its expectation: The probability of any event is the ratio between the value at which an expectation depending on the happening of the event ought to be computed, and the value of the thing expected upon its happening.  The progressive: Tense and aspect If we now pass from the gerund to the progressive, another construction that uses -ing, a new kind of problem appears: that of the aspect and temporality of actions. An interesting case of tr. difficulty is, e. g. , the one posed by Austin precisely when he attempts, in his presentation of performatives, to distinguish between the sentence and the act of saying it, between statement and utterance: there are utterances, such as the uttering of the sentence is, or is part of, the doing of an action How to Do Things. The tr. difficulty here is caused by the combination in the construction in -ing of the syntactical flexibility of the gerund and a progressive meaning. Does the -ing construction indicate the act, or the progressiveness of the act? Similarly, it is hard to choose to translate “On Referring” P. F. Strawson as De la référence rather than as De l’action de référer. Should one translate On Denoting Russell as De la dénotation the usual tr. or as Du dénoter? The progressive in the strict sense—be + verb + -ing— indicates an action at a specific moment, when it has already begun but is not yet finished. A little farther on, Austin allows us to gauge the ease of Eng. in the whole of these operations. “To utter the sentence is not to describe my doing of what I should be said in so uttering to be doing. The Fr.  tr. gives, correctly: Énoncer la phrase, ce n’est pas décrire ce qu’il faut bien reconnaître que je suis en train de faire en parlant ainsi, but this remains unsatisfying at best, because of the awkwardness of en train de. Moreover, in many cases, en train de is simply not suitable insofar as the -ing does not indicate duration: e. g. , in At last I am v.ing . It is interesting to examine from this point of view the famous category of verbs of perception, verbum percipiendi. It is remarkable that these verbs v., hear can be in some cases used with the construction be + verb + -ing, since it is generally said even in grammar books that they can be used only in the present or simple past and not in the progressive. This rule probably is thought to be connected with something like the immediacy of perception, and it can be compared with the fact that the verbs to know and to understand are also almost always in the present or the simple past, as if the operations of the understanding could not be presented in the progressive form and were by definition instantaneous; or as if, on the contrary, they transcended the course of time. In reality, there are counterexamples. “I don’t know if I’m understanding you correctly”; You are hearing voices; and often Oxonian Phil. , which makes their tr. particularly indigestible, especially in Fr. , where -ismes gives a very Scholastic feel to the classifications translated. In addition to the famous term realism, which has been the object of so many contradictory definitions and so many debates over past decades that it has been almost emptied of meaning, we may mention some common but particularly obscure for anyone not familiar with the theoretical context terms: “cognitivism,” noncognitivism, coherentism, eliminativism, consequentialism, connectionism, etSuch terms in which moral Phil.  is particularly fertile are in general transposed into Fr.  without change in a sort of new, international philosophical language that has almost forgone tr.. More generally, in Eng. as in G. , words can be composed by joining two other words far more easily than in Fr. —without specifying the logical connections between the terms: toothbrush, pickpocket, lowlife, knownothing; or, for more philosophical terms: aspect-blind, language-dependent, rule-following, meaning-holism, observer-relative, which are translatable, of course, but not without considerable awkwardness.  Oxonian philosophese.  Oxonian Phil.  seems to establish a language that is stylistically neutral and appears to be transparently translatable. Certain specific problems—the tr. of compound words and constructions that are more flexible in Eng. and omnipresent in current philosophical discourse, such as the thesis that la thèse selon laquelle, the question whether la question de savoir si, and my saying that le fait que je dise que—make Fr.  tr.s of contemporary Eng. philosophical texts very awkward, even when the author writes in a neutral, commonplace style. Instead, these difficulties, along with the ease of construction peculiar to English, tend to encourage non-Oxonian analytical philosophers to write directly in Gricese, following the example of many of their European colleagues, or else to make use of a technical vernacular we have noted the -isms and compounds that is frequently heavy going and not very inventive when transRomang terms which are usually transliterated. This situation is certainly attributable to the paradoxical character of Gricese, which established itself as a philosophical language in the second half of the twentieth century: it is a language that is apparently simple and accessible and that thus claims a kind of universality but that is structured, both linguistically and philosophically, around major stumbling blocks to do, -ing, etthat often make it untranslatable. It is paradoxically this untranslatability, and not its pseudo-transparency, that plays a crucial role in the process of universalization. . IThe Austinian Paradigm: Ordinary Language and Phil.  The proximity of ordinary language and philosophical language, which is rooted in classical English-language Phil. , was theorized in the twentieth century by Austin and can be summed up in the expression “‘ordinary’-language philosophy”. Ordinary language Phil.  is interested This sort of overall preeminence in Eng. of the verbal and the subjective over the nominal and the objective is clear in the difference in the logic that governs the discourse of affectivity in Fr.  and in English. How would something that one is correspond to something that one has, as in the case of fear in Fr.  avoir peur? It follows that a Fr. man—who takes it for granted that fear is something that one feels or senses—cannot feel at home with the difference that Eng. naturally makes between something that has no objective correlative because it concerns only feeling like fear; and what is available to sensation, implying that what is felt through it has the status of an object. Thus in Eng. something is immediately grasped that in Fr.  v.ms a strange paradox, viz. that passion, as Bentham notes in Deontology, is a fictive entity. Thus what sounds in Fr.  like a nominalist provocation is implicated in the folds of the Eng. language. A symbolic theory of affectivity is thus more easily undertaken in Eng. than in Fr. , and if an ontological conception of affectivity had to be formulated in English, symmetrical difficulties would be encountered.  Reversible derivations Another particularity of English, which is not without consequences in Phil. , is that its poverty from the point of view of inflectional morphology is compensated for by the freedom and facility it offers for the construction of all sorts of derivatives. Nominal derivatives based on adjectives and using suffixes such as -ity, -hood, -ness, -y. The resulting compounds are very difficult to differentiate in Fr.  and to translate in general, which has led, in contemporary Fr.  tr.s, to various incoherent makeshifts. To list the most common stumbling blocks: privacy privé-ité, innerness intériorité, not in the same sense as interiority, vagueness caractère vague, goodness bonté, in the sense of caractère bon, rightness  justesse, “sameness,” similarité, in the sense of mêmeté, ordinariness, “appropriateness,” caractère ordinaire, approprié, unaccountability caractère de ce dont il est impossible de rendre compte. Adjectival derivatives based on nouns, using numerous suffixes: -ful, -ous, -y, -ic, -ish, -al e.g., meaningful, realistic, holistic, attitudinal, behavioral. Verbal derivatives based on nouns or adjectives, with the suffixes -ize, -ify, -ate naturalize, mentalize, falsify, and even without suffixes when possible e.g., the title of an article “How Not to Russell Carnap’s Aufbau,” i.e., how not to Russell Carnap’s Aufbau. d. Polycategorial derivatives based on verbs, using suffixes such as -able, -er, -age, -ismrefutable, truthmaker. The reversibility of these nominalizations and verbalizations has the essential result of preventing the reification of qualities or acts. The latter is more difficult to avoid in Fr.  and G. , where nominalization hardens and freezes notions compare intériorité and innerness, which designates more a quality, or even, paradoxically, an effect, than an entity or a domain. But this kind of ease in making compounds has its flip side: the proliferation of -isms in liberties with the natural uses of the language. The philosophers ask, e. g. , how they can know that there is a real object there, but the question How do I know? can be asked in ordinary language only in certain contexts, that is, where it is always possible, at least in theory, to eliminate doubt. The doubt or question But is it a real one? has always must have a special basis, there must be some reason for suggesting that it ’t real, in the sense of some specific way in which it is suggested that this experience or item may be phoney. The wile of the metaphysician consists in asking Is it a real table? a kind of object which has no obvious way of being phoney and not specifying or limiting what may be wrong with it, so that I feel at a loss how to prove it is a real one. It is the use of the word real in this manner that leads us on to the supposition that real has a single meaning the real world, material objects, and that a highly profound and puzzling one. Austin, Philosophical Papers This analysis of real is taken up again in Sense and Sensibilia, where Austin criticizes the notion of a sense datum and also a certain way of raising problems supposedly on the basis of common opinion e. g. , the common opinion that we really perceive things—but in reality on the basis of a pure construction. To state the case in this way, Austin says, is simply to soften up the plain man’s alleged views for the subsequent treatment; it is preparing the way for, by practically attributing to him, the so-called philosophers’ view. Phil. ’s frequent recourse to the ordinary is characterized by a certain condescension toward the common man. The error or deception consists in arguing the philosopher’s position against the ordinary position, because if the in what we should say when. It is, in other words, a Phil.  of language, but on the condition that we never forget that we are looking not merely at words or ‘meanings,’ whatever they may be but also at the realities we use the words to talk about, as Austin emphasizes A Plea for Excuses, in Philosophical Papers. During the twentieth century or more precisely, between the 1940s and the s, there was a division of the paradigms of the Phil.  of language between the logical clarification of ordinary language, on the one hand, and the immanent examination of ordinary language, on the other. The question of ordinary language and the type of treatment that it should be given—a normative clarification or an internal examination—is present in and even constitutive of the legacy of logical positivism. Wittgenstein’s work testifies to this through the movement that it manifests and performs, from the first task of the Phil.  of language the creation of an ideal or formal language to clarify everyday language to the second the concern to examine the multiplicity of ordinary language’s uses. The break thus accomplished is such that one can only agree with Rorty’s statement in his preface to The Linguistic Turn that the only difference between Ideal Language Philosophers and Ordinary Language Philosophers is a disagreement about which language is ideal. In the renunciation of the idea of an ideal language, or a norm outside language, there is a radical change in perspective that consists in abandoning the idea of something beyond language: an idea that is omnipresent in the whole philosophical tradition, and even in current analytical Phil. . Critique of language and Phil.  More generally, Austin criticizes traditional Phil.  for its perverse use of ordinary language. He constantly denounces Phil. ’s abuse of ordinary language—not so much that it forgets it, but rather that it exploits it by taking 2 A defect in the Eng. language? Between according to Bentham Eng. philosophers are not very inclined toward etymology—no doubt because it is often less traceable than it is in G.  or even in Fr.  and discourages a certain kind of commentary. There are, however, certain exceptions, like Jeremy Bentham’s analysis of the words “in,” “or,” “between,” “and,” etc., -- cf. Grice on “to” and “or”“Does it make sense to speak of the ‘sense’ of ‘to’?” -- through which Eng. constructs the kinds of space that belong to a very specific topiLet us take the case of between, which Fr.  can render only by the word entre. Both the semantics and the etymology of entre imply the number three in Fr. , since what is entre intervenes as a third term between two others which it separates or brings closer in Lat., in-ter; in Fr., en tiers; as a third. This is not the case in English, which constructs between in accord with the number two in conformity with the etymology of this word, by tween, in pairs, to the point that it can imagine an ordering, even when it involves three or more classes, only in the binary mode: comon between three? relation between three?—the hue of selfcontradictoriness presents itself on the very face of the phrase. By one of the words in it, the number of objects is asserted to be three: by another, it is asserted to be no more than two. To the use thus exclusively made of the word between, what could have given rise, but a sort of general, howsoever indistinct, perception, that it is only one to one that objects can, in any continued manner, be commodiously and effectually compared. The Eng. language labours under a defect, which, when it is compared in this particular with other European langues, may perhaps be found peculiar to it. By the derivation, and thence by the inexcludible import, of the word between i.e., by twain, the number of the objects, to which this operation is represented as capable of being applied, is confined to two. By the Roman inter—by its Fr.  derivation entre—no such limitation v.ms to be expressed. Chrestomathia REFS.: Bentham, Jeremy. ChrestomathiEd.  by M. J. Smith and W. H. Burston. Oxford: Clarendon, To my mind, experience proves amply that we do come to an agreement on what we should say when such and such a thing, though I grant you it is often long and difficult. I should add that too often this is what is missing in Phil. : a preliminary datum on which one might agree at the outset. We do not claim in this way to discover all the truth that exists regarding everything. We discover simply the facts that those who have been using our language for centuries have taken the trouble to notice. Performatif-Constatif Austinian agreement is possible for two reasons:  Ordinary language cannot claim to have the last word. Only remember, it is the first word Philosophical Papers. The exploration of language is also an exploration of the inherited experience and acumen of many generations of men ibid..  Ordinary language is a rich treasury of differences and embodies all the distinctions men have found worth drawing, and the connections they have found worth marking, in the lifetimes of many generations. These are certainly more subtle and solid than any that you or I are likely to think up in our arm-chairs of an afternoon ibid.. It is this ability to indicate differences that makes language a common instrument adequate for speaking things in the world. Who is we? Cavell’s question It is clear that analytical Phil. , especially as it has developed in the United States since the 1940s, has moved away from the Austinian paradigm and has at the same time abandoned a certain kind of philosophical writing and linguistic subtlety. But that only makes all the more powerful and surprising the return to Austin advocated by Stanley Cavell and the new sense of ordinary language Phil.  that is emerging in his work and in contemporary American Phil. . What right do we have to refer to our uses? And who is this we so crucial for Austin that it constantly recurs in his work? All we have, as we have said, is what we say and our linguistic agreements. We determine the meaning of a given word by its uses, and for Austin, it is nonsensical to ask the question of meaning for instance, in a general way or looking for an entity; v. NONSENSE. The quest for agreement is founded on something quite different from signification or the determination of the common meaning. The agreement Austin is talking about has nothing to do with an intersubjective consensus; it is not founded on a convention or on actual agreements. It is an agreement that is as objective as possible and that bears as much on language as on reality. But what is the precise nature of this agreement? Where does it come from, and why should so much importance be accorded to it? That is the question Cavell asks, first in Must We Mean What We Say? and then in The Claim of Reason: what is it that allows Austin and Witters to say what they say about what we say? A claim is certainly involved here. That is what Witters means by our agreement in judgments, and in language it is based only on itself, on the latter exists, it is not on the same level. The philosopher introduces into the opinion of the common man particular entities, in order then to reject, amend, or explain it. The method of ordinary language: Be your size. Small Men. Austin’s immanent method comes down to examining our ordinary use of ordinary words that have been confiscated by Phil. , such as ‘true’ and ‘real,’ in order to raise the question of truth: Fact that is a phrase designed for use in situations where the distinction between a true statement and the state of affairs about which it is a truth is neglected; as it often is with advantage in ordinary life, though seldom in Phil. . So speaking about the fact that is a compendious way of speaking about a situation involving both words and world. Philosophical Papers We can, of course, maintain along with a whole trend in analytical Phil.  from Frege to Quine that these are considerations too small and too trivial from which to draw any conclusions at all. But it is this notion of fact that Austin relies on to determine the nature of truth and thus to indicate the pertinence of ordinary language as a relationship to the world. This is the nature of Austin’s approach: the foot of the letter is the foot of the ladder ibid.. For Austin, ordinary words are part of the world: we use words, and what makes words useful objects is their complexity, their refinement as tools ibid.: We use words to inform ourselves about the things we talk about when we use these words. Or, if that v.ms too naïve: we use words as a way of better understanding the situation in which we find ourselves led to make use of words. What makes this claim possible is the proximity of dimension, of size, between words and ordinary objects. Thus philosophers should, instead of asking whether truth is a substance, a quality, or a relation, take something more nearly their own size to strain at ibid.. The Fr.  translators render size by mesure, which v.ms excessively theoretical; the reference is to size in the material, ordinary sense. One cannot know everything, so why not try something else? Advantages of slowness and cooperation. Be your size. Small Men. Conversation cited by Urmson in A Symposium Austin emphasizes that this technique of examining words which he ended up calling linguistic phenomenology (and Grice linguistic botany) is not new and that it has existed since Socrates, producing its slow successes. But Grice is the first to make a systematic application of such a method, which is based, on the one hand, on the manageability and familiarity of the objects concerned and, on the other hand, on the common agreement at which it arrives in each of its stages. The problem is how to agree on a starting point, that is, on a given. This given or datum, for Grice, is Gricese, not as a corpus consisting of utterances or words, but as the site of agreement about what we should say when. Austin regards language as an empirical datum or experimental dat -- Bayes, T. . An Essay towards Solving a Problem in the Doctrine of Chances, with Richard Price’s Foreword and Discussion. 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Human speech and activity, sanity and community, rest upon nothing more, but nothing less, than this. It is a vision as simple as it is and because it is  terrifying. Must We Mean What We Say? The fact that our ordinary language is based only on itself is not only a reason for concern regarding the validity of what we do and say, but also the revelation of a truth about ourselves that we do not always want to recognize: the fact that I am the only possible source of such a validity. That is a new understanding of the fact that language is our form of life, precisely its ordinary form. Cavell’s originality lies in his reinvention of the nature of ordinary language in American thought and in the connection he establishes—notably through his reference to Emerson and Thoreau, American thinkers of the ordinary—between this nature of language and human nature, finitude. It is also in this sense that the question of linguistic agreements reformulates that of the ordinary human condition and that the acceptance of the latter goes hand in hand with the recognition of the former. In Cavell’s Americanization of ordinary language Phil.  there thus emerges a radical form of the return to the ordinary. But ’t this ordinary, e. g. , that of Emerson in his Essays, precisely the one that the whole of Eng. Phil.  has been trying to find, or rather to feel or taste, since its origins? Thus we can compare the writing of Emerson or James, in texts like Experience or Essays in Radical Empiricism, with that of the British empiricists when they discuss experience, the given, and the sensible. This is no doubt one of the principal dimensions of philosophical writing in English: always to make the meaning more available to the senses. J.-Pierre Cléro Sandra Laugier REFS.: Austin, J. L. How to Do Things with Words. Oxford: Clarendon, . . Performatif-Constatif. In La philosophie analytique, ed.  by J. Wahl and L. Beck. : Editions du Minuit, . Tr. in Performative-Constative. In Phil.  and Ordinary Language, ed.  by E. Caton. Urbana: University of Illinois Press, . . Philosophical Papers. Ed.  by J. O. Urmson and G. J. Warnock. Oxford: Clarendon, . . Sense and SensibiliOxford: Clarendon, . Ayer, J. The Foundations of Empirical Knowledge. London: Macmillan, 1940. ENTREPRENEUR 265 form the basis of the kingdom by means of calculated plans; to the legal domain: someone who contravenes the hierarchical order of the professions and subverts their rules; finally, to the economic domain: someone who agrees, on the basis of a prior contract an established price to execute a project collection of taxes, supply of an army, a merchant expedition, construction, production, transaction, assuming the hazards related to exchange and time. This last usage corresponds to practices that became more and more socially prominent starting in the sixteenth century. Let us focus on the term in economics. The engagement of the entrepreneur in his project may be understood in various ways, and the noun entrepreneur translated in various ways into English: by contractor if the stress is placed on the engagement with regard to the client to execute the task according to conditions negotiated in advance a certain time, a fixed price, firm price, tenant farming; by undertaker now rare in this sense when we focus on the engagement in the activity, taking charge of the project, its practical realization, the setting in motion of the transaction; and by adventurer, enterpriser, and projector, to emphasize the risks related to speculation. At the end of the eighteenth century, the Fr.  word entreprise acquired the new meaning of an industrial establishment. Entrepreneur accordingly acquired the sense of the head or direction of a business of production superintendent, employer, manager. In France, at the beginning of the eighteenth century, the noun entrepreneur had strong political connotations, in particular in the abundant pamphlets containing mazarinades denouncing the entrepreneurs of tax farming. The economist Pierre de Boisguilbert wrote the Factum de la France, the largest trial ever conducted by pen against the big financiers, entrepreneurs of the wealth of the kingdom, who take advantage of its good administration its political economy in the name of the entrepreneurs of commerce and industry, who contribute to the increase in its wealth. Boisguilbert failed in his project of reforming the tax farm, or tax business, and it was left to a clever financier, Richard Cantillon, to create the economic concept of the entrepreneur. Chance in Business: Risk and Uncertainty There is no trace of Boisguilbert’s moral indignation in Cantillon’s Essai sur la nature du commerce en générale Essay on the nature of commerce in general. Having shown that all the classes and all the men of a State live or acquire wealth at the expense of the owners of the land bk. 1, ch.12, he suggests that the circulation and barter of goods and merchandise, like their production, are conducted in Europe by entrepreneurs and haphazardly bk. 1, of ch.1 He then describes in detail what composes the uncertain aspect of the action of an entrepreneur, in which he acts according to his ideas and without being able to predict, in which he conceives and executes his plans surrounded by the hazard of events. The uncertainty related to business profits turns especially on the fact that it is dependent on the forms of consumption of the owners, the only members of society who are independent—naturally independent, Cantillon specified. Entrepreneurs are those who are capable of breaking ÉNONCÉ Énoncé, from the Roman enuntiare to express, divulge; from ex out and nuntiare to make known; a nuntius is a messenger, a nuncio, ranges over the same type of entity as do proposition and phrase: it is a basic unit of syntax, the relevant question being whether or not it is the bearer of truth values. An examination of the differences among these entities, and the networks they constitute in different languages especially in English: sentence, statement, utterance, appears under PROPOSITION. V. also DICTUM and LOGOS, both of which may be acceptably Tr.  énoncé. Cf. PRINCIPLE, SACHVERHALT, TRUTH, WORD especially WORD, Box  The essential feature of an énoncé is that it is considered to be a singular occurrence and thus is paired with its énonciation: v. SPEECH ACT; cf. ENGLISH, LANGUAGE, SENSE, SIGN, SIGNIFIER/SIGNIFIED, WITTICISM. v.  DISCOURSE ENTREPRENEUR FR.  ENG. adventurer, contractor, employer, enterpriser, entrepreneur, manager, projector, undertaker, superintendent v.  ACT, AGENCY, BERUF, ECONOMY, LIBERAL, OIKONOMIA, PRAXIS, UTILITY. Refs.: G. J. Warnock, “English philosophy,” H. P. Grice, “Gricese,” BANC. griceian casuistry: the case-analysis approach to the interpretation of general moral rules. Casuistry starts with paradigm cases of how and when a given general moral rule should be applied, and then reasons by analogy to cases in which the proper application of the rule is less obvious  e.g., a case in which lying is the only way for a priest not to betray a secret revealed in confession. The point of considering the series of cases is to ascertain the morally relevant similarities and differences between cases. Casuistry’s heyday was the first half of the seventeenth century. Reacting against casuistry’s popularity with the Jesuits and against its tendency to qualify general moral rules, Pascal penned a polemic against casuistry from which the term never recovered see his Provincial Letters, 1656. But the kind of reasoning to which the term refers is flourishing in contemporary practical ethics. grice’s handwave. A sort of handwave can mean in a one-off act of communication something. It’s the example he uses. By a sort of handwave, the emissor communicates either that he knows the route or that he is about to leave the addressee. Handwave signals. Code. Cfr. the Beatles’s HELP. Explicatum: We need some bodyImplicaturum: Not just Any Body. Why does this matter to the philosopher? The thing is as follows. Grice was provoked by Austin. To defeat Austin, Grice needs a ‘theory of communication.’ This theory applies his early reflections on the intentional side to an act of communication. This allows him to explain the explicatum versus the implicaturum. By analysing each, Grice notes that there is no need to refer to linguistic entities. So, the centrality of the handwave is an offshoot of his theory designed to defeat Austin. Gice: “Blame Paget for my obsession with the hand.”Refs.: Paget, “Ta-ta: when the hands are full, use your mouth.”H. P. Grice, The utterer’s hand-wave.”grice’s creatures: the pirots. The programme  he calls ‘creature construction.’ “I could have used the ‘grice,’ which was extinct by the time I was born.” grice’s myth. Or Griceian mythsThe Handbook of Griceian mythology. At one point Grice suggests that his ‘genitorial programme’ a kind of ideal-observer theory is meant as ‘didactic,’ and for expository purposes. It seems easier, as , as Grice and Plato would agree, to answer a question about the genitorial programme rather than use a first-person approach and appeal to introspection. Grice refers to the social contract as a ‘myth,’ which may still explain, as ‘meaning’ does. G. R. Grice built his career on this myth. This is G. R. Grice, of the social-contract fame. Cf. Strawson and Wiggins comparing Grice’s myth with Plato’s, and they know what they are talking about. grice’s martian chronicle -- Twin-Earthas opposed to Mars -- a fictitious planet first visited by Hilary Putnam in a thought experiment inspired by H. P. Grice in “Some remarks about the senses” -- designed to show, among other things, that “ ‘meanings’ just ain’t in the head” “The Meaning of ‘Meaning’,” 5. Twin-Earth is exactly like Earth with one notable exception: ponds, rivers, and ice trays on Twin-Earth contain, not H2O, but XYZ, a liquid superficially indistinguishable from water but with a different chemical constitution. According to Putnam, although some inhabitants of Twin-Earth closely resemble inhabitants of Earth, ‘water’, when uttered by a Twin-Earthling, does not mean water. Water is H2O, and, on Twin-Earth, the word ‘water’ designates a different substance, XYZ, Twin-water. The moral drawn by Putnam is that the meanings of at least some of our words, and the significance of some of our thoughts, depend, in part, on how things stand outside our heads. Two “molecular duplicates,” two agents with qualitatively similar mental lives, might mean very different things by their utterances and think very different thoughts. Although Twin-Earth has become a popular stopping-off place for philosophers en route to theories of meaning and mental content, others regard Twin-Earth as hopelessly remote, doubting that useful conclusions can be drawn about our Earthly circumstances from research conducted there.  Suppose that long-awaited invasion of the Martians takes place, that they turn out to be friendly creatures and teach us their language. We get on all right, except that we find no verb in their language which unquestionably corresponds to our verb “see.” Instead we find two verbs which we decide to render as “x” and “y”: we find that (in their tongue) they speak of themselves as x-ing, and also as y-ing, things to be of this and that color, size, and shape. Further, in physical appearance they are more or less like ourselves, except that in their heads they have, one above the other, two pairs of organs, not perhaps exactly like one another, but each pair more or less like our eyes: each pair of organs is found to be sensitive to light waves. It turns out that for them x-ing is dependent on the operation of the upper organs, and y-ing on that of the lower organs. The question which it seems natural to ask is this: Are x-ing and y-ing both cases of seeing, the difference between them being that x-ing is seeing with the upper organs, and y-ing is seeing with the lower organs? Or alternatively, do one or both of these accomplishments constitute the exercise of a new sense, other than that of sight? If we adopt, to distinguish the senses, a combination of suggestion (I) with one or both of suggestions (III) or (IV), the answer seems clear: both x-ing and y-ing are seeing, with different pairs of organs. But is the question really to be settled so easily? Would we not in fact want to ask whether x-ing something to be round was like y-ing it to be round, or whether when something x-ed blue to them this was like or unlike its y-ing blue to them? If in answer to such questions as these they said, “Oh no, there’s all the difference in the world!” then I think we should be inclined to say that either x-ing or y-ing (if not both) must be something other than seeing: we might of course be quite unable to decide which (if either) was seeing. (I am aware that here those whose approach is more Wittgensteinian than my own might complain that unless something more can be said about how the difference between x-ing and y-ing might “come out” or show itself in publicly observable phenomena, then the claim by the supposed Martians that x-ing and y-ing are different would be one of which nothing could be made, which would leave one at a loss how to understand it. First, I am not convinced of the need for “introspectible” differences to show themselves in the way this approach demands (I shall not discuss this point further); second, I think that if I have to meet this demand, I can. One can suppose that one or more of these Martians acquired the use of the lower y-ing organs at some comparatively late date in their careers, and that at the same time (perhaps for experimental purposes) the operation of the upper x-ing organs was inhibited. One might now be ready to allow that a difference between Some Remarks about the Senses 47 x-ing and y-ing would have shown itself if in such a situation the creatures using their y-ing organs for the first time were unable straightaway, without any learning process, to use their “color”-words fluently and correctly to describe what they detected through the use of those organs.) It might be argued at this point that we have not yet disposed of the idea that the senses can be distinguished by an amalgam of suggestions (I), (III), and (IV); for it is not clear that in the example of the Martians the condition imposed by suggestion (I) is fulfilled. The thesis, it might be said, is only upset if x-ing and y-ing are accepted as being the exercise of different senses; and if they are, then the Martians’ color-words could be said to have a concealed ambiguity. Much as “sweet” in English may mean “sweet-smelling” or “sweet-tasting,” so “blue” in Martian may mean “blue-x-ing” or “blue-y-ing.” But if this is so, then the Martians after all do not detect by x-ing just those properties of things which they detect by y-ing. To this line of argument there are two replies: (1) The defender of the thesis is in no position to use this argument; for he cannot start by making the question whether x-ing and y-ing are exercises of the same sense turn on the question (inter alia) whether or not a single group of characteristics is detected by both, and then make the question of individuation of the group turn on the question whether putative members of the group are detected by one, or by more than one, sense. He would be saying in effect, “Whether, in x-ing and y-ing, different senses are exercised depends (inter alia) on whether the same properties are detected by x-ing as by y-ing; but whether a certain x-ed property is the same as a certain y-ed property depends on whether x-ing and y-ing are or are not the exercise of a single sense.” This reply seems fatal. For the circularity could only be avoided by making the question whether “blue” in Martian names a single property depend either on whether the kinds of experience involved in x-ing and y-ing are different, which would be to reintroduce suggestion (II), or on whether the mechanisms involved in x-ing and y-ing are different (in this case whether the upper organs are importantly unlike the lower organs): and to adopt this alternative would, I think, lead to treating the differentiation of the senses as being solely a matter of their mechanisms, thereby making suggestion (I) otiose. (2) Independently of its legitimacy or illegitimacy in the present context, we must reject the idea that if it is accepted that in x-ing and y-ing different senses are being exercised, then Martian color-words will be ambiguous. For ex hypothesi there will be a very close correlation between things x-ing blue and their y-ing blue, far closer 48 H. P. Grice than that between things smelling sweet and their tasting sweet. This being so, it is only to be expected that x-ing and y-ing should share the position of arbiters concerning the color of things: that is, “blue” would be the name of a single property, determinable equally by x-ing and y-ing. After all, is this not just like the actual position with regard to shape, which is doubly determinable, by sight and by touch? While I would not wish to quarrel with the main terms of this second reply, I should like briefly to indicate why I think that this final quite natural comparison with the case of shape will not do. It is quite conceivable that the correlation between x-ing and y-ing , in the case supposed, might be close enough to ensure that Martian color-words designated doubly determinable properties, and yet that this correlation should break down in a limited class of cases: for instance, owing to some differences between the two pairs of organs, objects which transmitted light of a particular wavelength might (in standard conditions) x blue but y black. I suggest, then, that given the existence of an object which, for the Martians, standardly x-ed blue but y-ed black (its real color being undecidable), no conclusion could be drawn to the effect that other objects do, or could as a matter of practiSome Remarks about the Senses 51 cal possibility be made to, x one way and y another way either in respect of color or in respect of some other feature within the joint province of x-ing and y-ing. Refs.: H. P. Grice, “Some remarks about the senses,” in WoW --. Coady, “The senses of the Martians.” Grice’s folksy psychology: Grice loved Ramsey, “But Ramsey was born before folk-psychology, so his ‘Theories’ is very dense.”” one sense, a putative network of principles constituting a commonsense theory that allegedly underlies everyday explanations of human behavior; the theory assigns a central role to mental states like belief, desire, and intention. Consider an example of an everyday commonsense psychological explanation: Jane went to the refrigerator because she wanted a beer and she believed there was beer in the refrigerator. Like many such explanations, this adverts to a so-called propositional attitude  a mental state, expressed by a verb ‘believe’ plus a that-clause, whose intentional content is propositional. It also adverts to a mental state, expressed by a verb ‘want’ plus a direct-object phrase, whose intentional content appears not to be propositional. In another, related sense, folk psychology is a network of social practices that includes ascribing such mental states to ourselves and others, and proffering explanations of human behavior that advert to these states. The two senses need distinguishing because some philosophers who acknowledge the existence of folk psychology in the second sense hold that commonsense psychological explanations do not employ empirical generalizations, and hence that there is no such theory as folk psychology. Henceforth, ‘FP’ will abbreviate ‘folk psychology’ in the first sense; the unabbreviated phrase will be used in the second sense. Eliminativism in philosophy of mind asserts that FP is an empirical theory; that FP is therefore subject to potential scientific falsification; and that mature science very probably will establish that FP is so radically false that humans simply do not undergo mental states like beliefs, desires, and intentions. One kind of eliminativist argument first sets forth certain methodological strictures about how FP would have to integrate with mature science in order to be true e.g., being smoothly reducible to neuroscience, or being absorbed into mature cognitive science, and then contends that these strictures are unlikely to be met. Another kind of argument first claims that FP embodies certain strong empirical commitments e.g., to mental representations with languagelike syntactic structure, and then contends that such empirical presuppositions are likely to turn out false. One influential version of folk psychological realism largely agrees with eliminativism about what is required to vindicate folk psychology, but also holds that mature science is likely to provide such vindication. Realists of this persuasion typically argue, for instance, that mature cognitive science will very likely incorporate FP, and also will very likely treat beliefs, desires, and other propositional attitudes as states with languagelike syntactic structure. Other versions of folkpsychological realism take issue, in one way or another, with either i the eliminativists’ claims about FP’s empirical commitments, or ii the eliminativists’ strictures about how FP must mesh with mature science in order to be true, or both. Concerning i, for instance, some philosophers maintain that FP per se is not committed to the existence of languagelike mental representations. If mature cognitive science turns out not to posit a “language of thought,” they contend, this would not necessarily show that FP is radically false; instead it might only show that propositional attitudes are subserved in some other way than via languagelike representational structures. Concerning ii, some philosophers hold that FP can be true without being as tightly connected to mature scientific theories as the eliminativists require. For instance, the demand that the special sciences be smoothly reducible to the fundamental natural sciences is widely considered an excessively stringent criterion of intertheoretic compatibility; so perhaps FP could be true without being smoothly reducible to neuroscience. Similarly, the demand that FP be directly absorbable into empirical cognitive science is sometimes considered too stringent as a criterion either of FP’s truth, or of the soundness of its ontology of beliefs, desires, and other propositional attitudes, or of the legitimacy of FP-based explanations of behavior. Perhaps FP is a true theory, and explanatorily legitimate, even if it is not destined to become a part of science. Even if FP’s ontological categories are not scientific natural kinds, perhaps its generalizations are like generalizations about clothing: true, explanatorily usable, and ontologically sound. No one doubts the existence of hats, coats, or scarves. No one doubts the truth or explanatory utility of generalizations like ‘Coats made of heavy material tend to keep the body warm in cold weather’, even though these generalizations are not laws of any science. Yet another approach to folk psychology, often wedded to realism about beliefs and desires although sometimes wedded to instrumentalism, maintains that folk psychology does not employ empirical generalizations, and hence is not a theory at all. One variant denies that folk psychology employs any generalizations, empirical or otherwise. Another variant concedes that there are folk-psychological generalizations, but denies that they are empirical; instead they are held to be analytic truths, or norms of rationality, or both at once. Advocates of non-theory views typically regard folk psychology as a hermeneutic, or interpretive, enterprise. They often claim too that the attribution of propositional attitudes, and also the proffering and grasping of folk-psychological explanations, is a matter of imaginatively projecting oneself into another person’s situation, and then experiencing a kind of empathic understanding, or Verstehen, of the person’s actions and the motives behind them. A more recent, hi-tech, formulation of this idea is that the interpreter “runs a cognitive simulation” of the person whose actions are to be explained. Philosophers who defend folk-psychological realism, in one or another of the ways just canvassed, also sometimes employ arguments based on the allegedly self-stultifying nature of eliminativism. One such argument begins from the premise that the notion of action is folk-psychological  that a behavioral event counts as an action only if it is caused by propositional attitudes that rationalize it under some suitable actdescription. If so, and if humans never really undergo propositional attitudes, then they never really act either. In particular, they never really assert anything, or argue for anything since asserting and arguing are species of action. So if eliminativism is true, the argument concludes, then eliminativists can neither assert it nor argue for it  an allegedly intolerable pragmatic paradox. Eliminativists generally react to such arguments with breathtaking equanimity. A typical reply is that although our present concept of action might well be folk-psychological, this does not preclude the possibility of a future successor concept, purged of any commitment to beliefs and desires, that could inherit much of the role of our current, folk-psychologically tainted, concept of action.  grice’s computatio sive logica -- computability, roughly, the possibility of computation on a Turing machine. The first convincing general definition, A. N. Turing’s 6, has been proved equivalent to the known plausible alternatives, so that the concept of computability is generally recognized as an absolute one. Turing’s definition referred to computations by imaginary tape-processing machines that we now know to be capable of computing the same functions whether simple sums and products or highly complex, esoteric functions that modern digital computing machines could compute if provided with sufficient storage capacity. In the form ‘Any function that is computable at all is computable on a Turing machine’, this absoluteness claim is called Turing’s thesis. A comparable claim for Alonzo Church’s 5 concept of lcomputability is called Church’s thesis. Similar theses are enunciated for Markov algorithms, for S. C. Kleene’s notion of general recursiveness, etc. It has been proved that the same functions are computable in all of these ways. There is no hope of proving any of those theses, for such a proof would require a definition of ‘computable’  a definition that would simply be a further item in the list, the subject of a further thesis. But since computations of new kinds might be recognizable as genuine in particular cases, Turing’s thesis and its equivalents, if false, might be decisively refuted by discovery of a particular function, a way of computing it, and a proof that no Turing machine can compute it. The halting problem for say Turing machines is the problem of devising a Turing machine that computes the function hm, n % 1 or 0 depending on whether or not Turing machine number m ever halts, once started with the number n on its tape. This problem is unsolvable, for a machine that computed h could be modified to compute a function gn, which is undefined the machine goes into an endless loop when hn, n % 1, and otherwise agrees with hn, n. But this modified machine  Turing machine number k, say  would have contradictory properties: started with k on its tape, it would eventually halt if and only if it does not. Turing proved unsolvability of the decision problem for logic the problem of devising a Turing machine that, applied to argument number n in logical notation, correctly classifies it as valid or invalid by reducing the halting problem to the decision problem, i.e., showing how any solution to the latter could be used to solve the former problem, which we know to be unsolvable.  computer theory, the theory of the design, uses, powers, and limits of modern electronic digital computers. It has important bearings on philosophy, as may be seen from the many philosophical references herein. Modern computers are a radically new kind of machine, for they are active physical realizations of formal languages of logic and arithmetic. Computers employ sophisticated languages, and they have reasoning powers many orders of magnitude greater than those of any prior machines. Because they are far superior to humans in many important tasks, they have produced a revolution in society that is as profound as the industrial revolution and is advancing much more rapidly. Furthermore, computers themselves are evolving rapidly. When a computer is augmented with devices for sensing and acting, it becomes a powerful control system, or a robot. To understand the implications of computers for philosophy, one should imagine a robot that has basic goals and volitions built into it, including conflicting goals and competing desires. This concept first appeared in Karel C v apek’s play Rossum’s Universal Robots 0, where the word ‘robot’ originated. A computer has two aspects, hardware and programming languages. The theory of each is relevant to philosophy. The software and hardware aspects of a computer are somewhat analogous to the human mind and body. This analogy is especially strong if we follow Peirce and consider all information processing in nature and in human organisms, not just the conscious use of language. Evolution has produced a succession of levels of sign usage and information processing: self-copying chemicals, self-reproducing cells, genetic programs directing the production of organic forms, chemical and neuronal signals in organisms, unconscious human information processing, ordinary languages, and technical languages. But each level evolved gradually from its predecessors, so that the line between body and mind is vague. The hardware of a computer is typically organized into three general blocks: memory, processor arithmetic unit and control, and various inputoutput devices for communication between machine and environment. The memory stores the data to be processed as well as the program that directs the processing. The processor has an arithmetic-logic unit for transforming data, and a control for executing the program. Memory, processor, and input-output communicate to each other through a fast switching system. The memory and processor are constructed from registers, adders, switches, cables, and various other building blocks. These in turn are composed of electronic components: transistors, resistors, and wires. The input and output devices employ mechanical and electromechanical technologies as well as electronics. Some input-output devices also serve as auxiliary memories; floppy disks and magnetic tapes are examples. For theoretical purposes it is useful to imagine that the computer has an indefinitely expandable storage tape. So imagined, a computer is a physical realization of a Turing machine. The idea of an indefinitely expandable memory is similar to the logician’s concept of an axiomatic formal language that has an unlimited number of proofs and theorems. The software of a modern electronic computer is written in a hierarchy of programming languages. The higher-level languages are designed for use by human programmers, operators, and maintenance personnel. The “machine language” is the basic hardware language, interpreted and executed by the control. Its words are sequences of binary digits or bits. Programs written in intermediate-level languages are used by the computer to translate the languages employed by human users into the machine language for execution. A programming language has instructional means for carrying out three kinds of operations: data operations and transfers, transfers of control from one part of the program to the other, and program self-modification. Von Neumann designed the first modern programming language. A programming language is general purpose, and an electronic computer that executes it can in principle carry out any algorithm or effective procedure, including the simulation of any other computer. Thus the modern electronic computer is a practical realization of the abstract concept of a universal Turing machine. What can actually be computed in practice depends, of course, on the state of computer technology and its resources. It is common for computers at many different spatial locations to be interconnected into complex networks by telephone, radio, and satellite communication systems. Insofar as users in one part of the network can control other parts, either legitimately or illegitimately e.g., by means of a “computer virus”, a global network of computers is really a global computer. Such vast computers greatly increase societal interdependence, a fact of importance for social philosophy. The theory of computers has two branches, corresponding to the hardware and software aspects of computers. The fundamental concept of hardware theory is that of a finite automaton, which may be expressed either as an idealized logical network of simple computer primitives, or as the corresponding temporal system of input, output, and internal states. A finite automaton may be specified as a logical net of truth-functional switches and simple memory elements, connected to one another by computer theory computer theory idealized wires. These elements function synchronously, each wire being in a binary state 0 or 1 at each moment of time t % 0, 1, 2, . . . . Each switching element or “gate” executes a simple truth-functional operation not, or, and, nor, not-and, etc. and is imagined to operate instantaneously compare the notions of sentential connective and truth table. A memory element flip-flop, binary counter, unit delay line preserves its input bit for one or more time-steps. A well-formed net of switches and memory elements may not have cycles through switches only, but it typically has feedback cycles through memory elements. The wires of a logical net are of three kinds: input, internal, and output. Correspondingly, at each moment of time a logical net has an input state, an internal state, and an output state. A logical net or automaton need not have any input wires, in which case it is a closed system. The complete history of a logical net is described by a deterministic law: at each moment of time t, the input and internal states of the net determine its output state and its next internal state. This leads to the second definition of ‘finite automaton’: it is a deterministic finite-state system characterized by two tables. The transition table gives the next internal state produced by each pair of input and internal states. The output table gives the output state produced by each input state and internal state. The state analysis approach to computer hardware is of practical value only for systems with a few elements e.g., a binary-coded decimal counter, because the number of states increases as a power of the number of elements. Such a rapid rate of increase of complexity with size is called the combinatorial explosion, and it applies to many discrete systems. However, the state approach to finite automata does yield abstract models of law-governed systems that are of interest to logic and philosophy. A correctly operating digital computer is a finite automaton. Alan Turing defined the finite part of what we now call a Turing machine in terms of states. It seems doubtful that a human organism has more computing power than a finite automaton. A closed finite automaton illustrates Nietzsche’s law of eternal return. Since a finite automaton has a finite number of internal states, at least one of its internal states must occur infinitely many times in any infinite state history. And since a closed finite automaton is deterministic and has no inputs, a repeated state must be followed by the same sequence of states each time it occurs. Hence the history of a closed finite automaton is periodic, as in the law of eternal return. Idealized neurons are sometimes used as the primitive elements of logical nets, and it is plausible that for any brain and central nervous system there is a logical network that behaves the same and performs the same functions. This shows the close relation of finite automata to the brain and central nervous system. The switches and memory elements of a finite automaton may be made probabilistic, yielding a probabilistic automaton. These automata are models of indeterministic systems. Von Neumann showed how to extend deterministic logical nets to systems that contain selfreproducing automata. This is a very basic logical design relevant to the nature of life. The part of computer programming theory most relevant to philosophy contains the answer to Leibniz’s conjecture concerning his characteristica universalis and calculus ratiocinator. He held that “all our reasoning is nothing but the joining and substitution of characters, whether these characters be words or symbols or pictures.” He thought therefore that one could construct a universal, arithmetic language with two properties of great philosophical importance. First, every atomic concept would be represented by a prime number. Second, the truth-value of any logically true-or-false statement expressed in the characteristica universalis could be calculated arithmetically, and so any rational dispute could be resolved by calculation. Leibniz expected to do the computation by hand with the help of a calculating machine; today we would do it on an electronic computer. However, we know now that Leibniz’s proposed language cannot exist, for no computer or computer program can calculate the truth-value of every logically true-orfalse statement given to it. This fact follows from a logical theorem about the limits of what computer programs can do. Let E be a modern electronic computer with an indefinitely expandable memory, so that E has the power of a universal Turing machine. And let L be any formal language in which every arithmetic statement can be expressed, and which is consistent. Leibniz’s proposed characteristica universalis would be such a language. Now a computer that is operating correctly is an active formal language, carrying out the instructions of its program deductively. Accordingly, Gödel’s incompleteness theorems for formal arithmetic apply to computer E. It follows from these theorems that no program can enable computer E to decide of an arbitrary statecomputer theory computer theory 166   166 ment of L whether or not that statement is true. More strongly, there cannot even be a program that will enable E to enumerate the truths of language L one after another. Therefore Leibniz’s characteristica universalis cannot exist. Electronic computers are the first active or “live” mathematical systems. They are the latest addition to a long historical series of mathematical tools for inquiry: geometry, algebra, calculus and differential equations, probability and statistics, and modern mathematics. The most effective use of computer programs is to instruct computers in tasks for which they are superior to humans. Computers are being designed and programmed to cooperate with humans so that the calculation, storage, and judgment capabilities of the two are synthesized. The powers of such humancomputer combines will increase at an exponential rate as computers continue to become faster, more powerful, and easier to use, while at the same time becoming smaller and cheaper. The social implications of this are very important. The modern electronic computer is a new tool for the logic of discovery Peirce’s abduction. An inquirer or inquirers operating a computer interactively can use it as a universal simulator, dynamically modeling systems that are too complex to study by traditional mathematical methods, including non-linear systems. Simulation is used to explain known empirical results, and also to develop new hypotheses to be tested by observation. Computer models and simulations are unique in several ways: complexity, dynamism, controllability, and visual presentability. These properties make them important new tools for modeling and thereby relevant to some important philosophical problems. A humancomputer combine is especially suited for the study of complex holistic and hierarchical systems with feedback cf. cybernetics, including adaptive goal-directed systems. A hierarchical-feedback system is a dynamic structure organized into several levels, with the compounds of one level being the atoms or building blocks of the next higher level, and with cyclic paths of influence operating both on and between levels. For example, a complex human institution has several levels, and the people in it are themselves hierarchical organizations of selfcopying chemicals, cells, organs, and such systems as the pulmonary and the central nervous system. The behaviors of these systems are in general much more complex than, e.g., the behaviors of traditional systems of mechanics. Contrast an organism, society, or ecology with our planetary system as characterized by Kepler and Newton. Simple formulas ellipses describe the orbits of the planets. More basically, the planetary system is stable in the sense that a small perturbation of it produces a relatively small variation in its subsequent history. In contrast, a small change in the state of a holistic hierarchical feedback system often amplifies into a very large difference in behavior, a concern of chaos theory. For this reason it is helpful to model such systems on a computer and run sample histories. The operator searches for representative cases, interesting phenomena, and general principles of operation. The humancomputer method of inquiry should be a useful tool for the study of biological evolution, the actual historical development of complex adaptive goal-directed systems. Evolution is a logical and communication process as well as a physical and chemical process. But evolution is statistical rather than deterministic, because a single temporal state of the system results in a probabilistic distribution of histories, rather than in a single history. The genetic operators of mutation and crossover, e.g., are probabilistic operators. But though it is stochastic, evolution cannot be understood in terms of limiting relative frequencies, for the important developments are the repeated emergence of new phenomena, and there may be no evolutionary convergence toward a final state or limit. Rather, to understand evolution the investigator must simulate the statistical spectra of histories covering critical stages of the process. Many important evolutionary phenomena should be studied by using simulation along with observation and experiment. Evolution has produced a succession of levels of organization: selfcopying chemicals, self-reproducing cells, communities of cells, simple organisms, haploid sexual reproduction, diploid sexuality with genetic dominance and recessiveness, organisms composed of organs, societies of organisms, humans, and societies of humans. Most of these systems are complex hierarchical feedback systems, and it is of interest to understand how they emerged from earlier systems. Also, the interaction of competition and cooperation at all stages of evolution is an important subject, of relevance to social philosophy and ethics. Some basic epistemological and metaphysical concepts enter into computer modeling. A model is a well-developed concept of its object, representing characteristics like structure and funccomputer theory computer theory 167   167 tion. A model is similar to its object in important respects, but simpler; in mathematical terminology, a model is homomorphic to its object but not isomorphic to it. However, it is often useful to think of a model as isomorphic to an embedded subsystem of the system it models. For example, a gas is a complicated system of microstates of particles, but these microstates can be grouped into macrostates, each with a pressure, volume, and temperature satisfying the gas law PV % kT. The derivation of this law from the detailed mechanics of the gas is a reduction of the embedded subsystem to the underlying system. In many cases it is adequate to work with the simpler embedded subsystem, but in other cases one must work with the more complex but complete underlying system. The law of an embedded subsystem may be different in kind from the law of the underlying system. Consider, e.g., a machine tossing a coin randomly. The sequence of tosses obeys a simple probability law, while the complex underlying mechanical system is deterministic. The random sequence of tosses is a probabilistic system embedded in a deterministic system, and a mathematical account of this embedding relation constitutes a reduction of the probabilistic system to a deterministic system. Compare the compatibilist’s claim that free choice can be embedded in a deterministic system. Compare also a pseudorandom sequence, which is a deterministic sequence with adequate randomness for a given finite simulation. Note finally that the probabilistic system of quantum mechanics underlies the deterministic system of mechanics. The ways in which models are used by goaldirected systems to solve problems and adapt to their environments are currently being modeled by humancomputer combines. Since computer software can be converted into hardware, successful simulations of adaptive uses of models could be incorporated into the design of a robot. Human intentionality involves the use of a model of oneself in relation to others and the environment. A problem-solving robot using such a model would constitute an important step toward a robot with full human powers. These considerations lead to the central thesis of the philosophy of logical mechanism: a finite deterministic automaton can perform all human functions. This seems plausible in principle and is treated in detail in Merrilee Salmon, ed., The Philosophy of Logical Mechanism: Essays in Honor of Arthur W. Burks,0. A digital computer has reasoning and memory powers. Robots have sensory inputs for collecting information from the environment, and they have moving and acting devices. To obtain a robot with human powers, one would need to put these abilities under the direction of a system of desires, purposes, and goals. Logical mechanism is a form of mechanism or materialism, but differs from traditional forms of these doctrines in its reliance on the logical powers of computers and the logical nature of evolution and its products. The modern computer is a kind of complex hierarchical physical system, a system with memory, processor, and control that employs a hierarchy of programming languages. Humans are complex hierarchical systems designed by evolution  with structural levels of chemicals, cells, organs, and systems e.g., circulatory, neural, immune and linguistic levels of genes, enzymes, neural signals, and immune recognition. Traditional materialists did not have this model of a computer nor the contemporary understanding of evolution, and never gave an adequate account of logic and reasoning and such phenomena as goaldirectedness and self-modeling.  grice’s four conversational categoriesthe category of conversational mode: Only Kant would call it function. While Grice could be jocular, in an English way, about the number of maxims within each categoryhe surely would not like to joke as far as to be cavalier about the NUMBER of categories: Four was the number of functions from which the twelve categories rramify, Kant, or “Ariskant,” but Grice takes the function for the category -- four is for Ariskantian Grice. This is Aristotle’s hexis. This category posed a special conceptual problem to Grice. Recall that his categories are invoked only by their power to generate conversational implciata. But a conversational implicaturum is non-detachable. That is, being based on universalistic principles of general rationality, it cannot attach to an EXPRESSION, less so to the ‘meaning’ of an EXPRESSION: “if” and “provided” are REALISATIONS of the concept of the conditionality. Now, the conversational supra-maxim, ‘be perspicuous’ [sic], is supposed to apply NOT to the content, or matter, but to the FORM. (Strictly, quantitas and qualitas applies to matter, RELATIO applies to the link between at least two matters). Grice tweaks things in such a way that he is happy, and so am I. This is a pun on Aristkant’s Kategorie (Ammonius, tropos, Boëthius, modus, Kant Modalitat). Gesichtspuncte der Modalität in assertorische, apodiktische und problematische hat sich aus der Aristotelischen Eintheilung hervorgebildet (Anal. Dr. 1, 2): 7@ợc gócois atv n 100 incozy h kỹ kvayxns Úndozav û toù {VJÉZEo fai Úndozev: Doch geht diese Aristotelische Stelle vielmehr auf die analogen objectiven Verhältnisse, als auf den subjectiven Gewissheitsgrad. Der Zusatz Svvatóv, įvsezóuevov, és åviyans, jedoch auch eine adverbiale Bestimmung wie taméws in dem Satze ý σελήνη ταχέως αποκαθίσταται, heisst bei Ammonius τρόπος (zu περί ερμ. Cap. 12) und bei Boëthius modus. Kant (Kritik der r. Vern. § 9-11; Prolegom. $ 21, Log. § 30) gründet die Eintheilung nach der Modalität auf die modalen Kategorien: Möglichkeit und Unmöglichkeit, Dasein und Nichtsein, Nothwendigkeit und Zufälligkeit, wobei jedoch die Zusammenstellung der Unmöglichkeit, die eine negative Nothwendigkeit ist, mit der Möglichkeit, und ebenso der Zufälligkeit, die das nicht als nothwendig erkannte Dasein bezeichnet, mit der Nothwendigkeit eine Ungenauigkeit enthält: die Erkenntniss der Unmöglichkeit ist nicht ein problematisches, sondern ein (negativ-) apodiktisches Urtheil (was Kant in der Anwendung selbst anerkennt, indem er z. B. Krit. der r. V. S. 191 die Formel: es ist unmöglich etc. als Ausdruck einer apodiktischen Gewissheit betrachtet), und die Erkenntniss des Zufälligen ist nicht ein apodiktisches, sondern ein assertorisches Urtheil. Ausserdem aber hat Kant das subjective und objective Element in den Kategorien der Qualität und Modalität nicht bestimmt genug unterschieden.grice’s four conversational categoriesthe category of conversational quality: Only Kant would call it ‘function.’ While Grice could be cavalier about the number of maxims falling under the category of conversational quality, he surely would not be cavalier about the number of categories themselves. Four were the functions from which the twelve categories ramify for Ariskant, and four were for Grice: he takes the function from Kant, but the spirit from Aristotle.  This is Aristotle’s universal, poiotes. This was originally the desideratum of conversational candour. At that point, there was no Kantian scheme of categories in the horizon. Candour Grice arbitrarily contrasts with clarityand so the desideratum of conversational candour sometimes clashes with the desideratum of conversational clarity. One may not be able to provide a less convoluted utterance (“It is raining”) but use the less clear, but more candid, “It might be raining, for all I know.” A pun on Aristkan’s Kategorie, poiotes, qualitas, Qualitat.  Expressions which are in no way composite signify substance, quantity, quality, relation, place, time, position, state, action, or affection. To sketch my meaning roughly, examples of substance are 'man' or 'the horse', of quantity, such terms as 'two cubits long' or 'three cubits long', of quality, such attributes as 'white', 'grammatical'.grice’s four conversational categoriesthe category of conversational quantity: Only Kant would call it function. While Grice could be cavalier about the number of maxims falling under quantity, he was not about the number of categories itself. Four was the number of functions out of which the twelve categories spring for Ariskant, and four was for Grice. He takes the function (the letter) from Kant, but the spirit from Aristotle. This is Aristotle’s universal, posotes. Grice would often use ‘a fortiori,’ and then it dawned on him. “All I need is a principle of conversational fortitude. This will give the Oxonians the Graeco-Roman pedigree they deserve.’  a pun on Ariskant’s Kategorie, posotes, quantitas, Quantitat. Grice expands this as ‘quantity of information,’ or ‘informative content’which then as he recognises overlaps with the category of conversational quality, because ‘false information’ is a momer. Expressions which are in no way composite signify substance, quantity, quality, relation, place, time, position, state, action, or affection. To sketch my meaning roughly, examples of substance are 'man' or 'the horse', of quantity, such terms as 'two cubits long' or 'three cubits long'grice’s four conversational categoriesthe category of conversational relation: Only Kant would call it function. While Grice could be cavalier about the number of maxims under the category of relation, he was not about the number of categories: four were the number of functions out of which the twelve categories spring for Ariskant and four were for Grice: he takes the letter (function) from Kant, and the spirit from Aristotle. This is Aristotle’s ‘pros ti.’ f there are categories of being, and categories of thought, and categories of expression, surely there is room for the ‘conversational category.’ A pun on Ariskant’s Kategorie (pros ti, ad aliquid, Relation). Surely a move has to relate to the previous move, and should include a tag as to what move will relate. Expressions which are in no way composite signify substance, quantity, quality, relation, place, time, position, state, action, or affection. To sketch my meaning roughly, examples of substance are 'man' or 'the horse', of quantity, such terms as 'two cubits long' or 'three cubits long', of quality, such attributes as 'white', 'grammatical'. 'Double', 'half', 'greater', fall under the category of relation.grice’s predicament.  S draws a pic- "one-off predicament"). ... Clarendon, 1976); and Simon Blackburn, Spreading the Word (Oxford: Clarendon, 1984) ... But there is an obvious way of emending the account. Grice points out. ... Blackburn helpfully suggests that we can cut through much of this complexity by ... The above account is intended to capture the notion of one-off meaning. Walking in a forest, having gone some way ahead of the rest of the party, I draw an arrow at a fork of a path, meaning that those who are following me should go straight on. Gricean considerations may be safely ignored. Only when trying to communicate by nonconventional means ("one-off predicament," Blackburn, 1984, chap. Blackburn's mission is to promote the philosophy of language as a pivotal enquiry ... and dismissed; the Gricean model might be suitable to explain one-off acts. The Gricean mechanism with its complex communicative intentions has a clear point in what Blackburn calls “a one-off predicament”a situation in which an ...grice’s shaggy-dog story: While Grice would like to say that it should be in the range of a rational creature to refer and to predicate, what about the hand wave? By his handwave, the emissor means that _HE_ (subject) is a knower of the road (or roate), the predicate after the copula or that he, the emissor, subject, is (the copula) about to leave his emisseebut there is nothing IN THE MATTER (the handwave) that can be ‘de-composed’ like that. The FORM attaches to the communicatum directly. This is strange, but not impossible, and shows Grice’s programme. Because his idea is that a communicatum need not a vehicile which is syntactically structured (as “Fido is shaggy”). This is the story that Grice tells in his lecture. He uses a ‘shaggy-dog’ story to explain TWO main notions: that of ‘reference’ or denotatio, and that of predicatio. He had explored that earlier when discussing, giving an illustration “Smith is happy”, the idea of ‘value,’ as correspondence, where he adds the terms for ‘denote’ and ‘predicatio,’ or actually, ‘designatio’ and ‘indicatio’, need to be “explained within the theory.” In the utterance ‘Smith is happy,’ the utterer DESIGNATES an item, Smith. The utterer also INDICATES some class, ‘being happy.’ Grice introduces a shorthand, ‘assign’, or ‘assignatio,’ previous to the value-satisfaction, to involve both the ‘designatio’ and the ‘indicatio’. U assigns the item Smith to the class ‘being happy.’ U’s intention involves A’s belief that U believes that “the item belongs to the class, or that he ASSIGNS the item to the class. A predicate, such as 'shaggy,' in my shaggy-dog story, is a part of a bottom-up, or top-bottom, as I prefer, analysis of this or that sentences, and a predicate, such as 'shaggy,' is the only indispensable 'part,' or 'element,' as I prefer, since a predicate is the only 'pars orationis,' to use the old phrase, that must appear in every sentence. In a later lecture he ventures with ‘reference.’ Lewis and Short have “rĕferre,” rendered as “to bear, carry, bring, draw, or give back,” in a “transf.” usage, they render as “to make a reference, to refer (class.),” asa in “de rebus et obscuris et incertis ad Apollinem censeo referendum; “ad quem etiam Athenienses publice de majoribus rebus semper rettulerunt,” Cic. Div. 1, 54, 122.” While Grice uses ‘Fido,’ he could have used ‘Pegasus’ (Martin’s cat, as it happens) and apply Quine’s adage: we could have appealed to the ex hypothesi unanalyzable, irreducible attribute of being Pegasus, adopting, for its expression, the verb 'is-Pegasus', or 'pegasizes'. And Grice could have played with ‘predicatio’ and ‘subjectio.’ Grice on subject.  Lewis and Short have “sūbĭcĭo,” (less correctly subjĭcĭo ; post-Aug. sometimes sŭb- ), jēci, jectum, 3, v. a. sub-jacio.  which they render as “to throw, lay, place, or bring under or near (cf. subdo),” and in philosophy, “subjectum , i, n. (sc. verbum), as “that which is spoken of, the foundation or subject of a proposition;”  “omne quicquid dicimus aut subjectum est aut de subjecto aut in subjecto est. Subjectum est prima substantia, quod ipsum nulli accidit alii inseparabiliter, etc.,” Mart. Cap. 4, § 361; A Dogm. Plat. 334, 4 et saep.—.” Note that for Mart. Cap. the ‘subject,’ unlike the ‘predicate’ is not a ‘syntactical category.’ “Subjectum est prima substantia,” The subject is a prote ousia. As for correlation, Grice ends up with a reductive analysis. By uttering utterance-token V, the utterer U correlates predicate P1 with (and only with) each member of P2 (R)(R') (1) U effects that (x)(R P1x x P1) and (2) U intends (1), and (3) U intends that (y)(R' P1y y P1), where R' P1 is an expression-type such that utterance-token V is a sequence consisting of an expression-token p1 of expression-type P1 and an expression-token p2  of expression-type P2, the R-co-relatum of which is a set of which y is a member. And he is back with ‘denotare. Lewis and Short have “dēnŏtare,” which they render as “to mark, set a mark on, with chalk, color, etc.: “pedes venalium creta,”  It is interesting to trace Grice’s earliest investigations on this. Grice and Strawson stage a number of joint seminars on topics related to the notions of meaning, categories, and logical form. Grice and Strawson engage in systematic and unsystematic philosophical exploration. From these discussions springs work on predication and categories, one or two reflections of which are acknowledge at two places (re: the reductive analysis of a ‘particular,’ “the tallest man that did, does, or will exist” --) in Strawson’s “Particular and general” for The Aristotelian Societyand “visible” as Grice puts it, but not acknowledged, in Strawson’s “Individuals: an essay in descriptive metaphysics.””grice’s theory-theory: “I am perhaps not too happy with the word ‘theory,’ as applied to this, but that’s Ramsey for you” (WoW: 285). Grice’s theory-theory: A theory of mind concerning how we come to know about the propositional attitudes of others. It tries to explain the nature of ascribing certain thoughts, beliefs, or intentions to other persons in order to explain their actions. The theory-theory holds that in ascribing beliefs to others we are tacitly (check) applying a theory that enables us to make inferences about the beliefs behind the actions of others. The theory that is applied is a set of rules embedded in folk psychology. Hence, to anticipate and predict the behavior of others, one engages in an intellectual process moving by inference from one set of beliefs to another. This position contrasts with another theory of mind, the simulation theory, which holds that we need to make use of our own motivational and emotional resources and capacities for practical reasoning in explaining actions of others. “So called ‘theory-theorists’ maintain that the ability to explain and predict behaviour is underpinned by a folk-psychological theory of the structure and functioning of the mindwhere the theory in question may be innate and modularised, learned individually, or acquired through a process of enculturation.” Carruthers and Smith (eds.), Theories of Theories of Mind. Grice needs a theory. For those into implicatura and conversation as rational cooperation, when introducing the implicaturum he mentions ‘pre-theoretical adequacy’ of the model. So he is thinking of the conversational theory as a theory in the strict sense, with ‘explanatory’ and not merely taxonomical power. So one task is to examine in which way the conversational theory is a theory that explains, rather than merely ad hoc ex post facto commentary.  Not so much for his approach to mean. He polemises with Rountree, of Somerville, that you dont need a thory to analyse mean. Indeed, you cannot have a theory to analyse mean, because mean is a matter of intuition, not a theoretical concept. But Grice appeals to theory, when dealing with willing. He knows what willing means because he relies on a concept of folk-science. In this folk-science, willing is a theoretical concept. Grice arrived at this conclusion by avoiding the adjective souly, and seeing that there is no word to describe willing other than by saying it is a psychoLOGICAL concept, i.e. part of a law within that theory of folk-science. That law will include, by way of ramsified naming or describing willing as a predicate-constant. Now, this is related to metaphysics. His liberal or ecunmenical metaphysics is best developed in terms of his ontological marxism presented just after he has expanded on this idea of willing as a theoretical concept, within a law involving willing (say, Grices Optimism-cum-Pesimism law), within the folk-science of psychology that explains his behaviour. For Aristotle, a theoria, was quite a different animal, but it had to do with contemplatio, hence the theoretical (vita contemplativa) versus the practical (vita activa). Grices sticking to Aristotle’srare use of theory inspires him to develop his fascinating theory of the theory-theory.  Grice realised that there is no way to refer to things like intending except with psychological, which he takes to mean, belonging to a pscyhological theory. Grice was keen to theorise on theorising. He thought that Aristotle’s first philosophy (prote philosophia) is best rendered as Theory-theory. Grice kept using Oxonian English spelling, theorising, except when he did not! Grice calls himself folksy: his theories, even if Subjects to various types of Ramseyfication, are popular in kind! And ceteris paribus! Metaphysical construction is disciplined and the best theorising the philosopher can hope for! The way Grice conceives of his theory-theory is interesting to revisit. A route by which Grice hopes to show the centrality of metaphysics (as prote philosophia) involves taking seriously a few ideas. If any region of enquiry is to be successful as a rational enterprise, its deliverance must be expressable in the shape of one or another of the possibly different types of theory. A characterisation of the nature and range of a possible kind of theory θ is needed. Such a body of characterisation must itself be the outcome of rational enquiry, and so must itself exemplify whatever requirement it lays down for any theory θ in general. The characterisation must itself be expressible as a theory θ, to be called, if you like, Grice politely puts it, theory-theory, or meta-theory, θ2. Now, the specification and justification of the ideas and material presupposed by any theory θ, whether such account falls within the bounds of Theory-theory, θ2 would be properly called prote philosophia (first philosophy) and may turn out to relate to what is generally accepted as belonging to the Subjects matter of metaphysics. It might, for example, turn out to be establishable that any theory θ has to relate to a certain range of this or that Subjects item, has to attribute to each item this or that predicate or attribute, which in turn has to fall within one or another of the range of types or categories. In this way, the enquiry might lead to recognised metaphysical topics, such as the nature of being, its range of application, the nature of predication and a systematic account of categories. Met. , philosophical eschatology, and Platos Republic, Thrasymachus, social justice, Socrates, along with notes on Zeno, and topics for pursuit, repr.in Part II, Explorations in semantics and  metaphysics to WOW , metaphysics, philosophical eschatology, Platos Republic, Socrates, Thrasymachus, justice, moral right, legal right, Athenian dialectic. Philosophical eschatology is a sub-discipline of metaphysics concerned with what Grice calls a category shift. Grice, having applied such a technique to Aristotle’s aporia on philos (friend) as alter ego, uses it now to tackle Socratess view, against Thrasymachus, that right applies primarily to morality, and secondarily to legality. Grice has a specific reason to include this in his WOW Grices exegesis of Plato on justice displays Grices take on the fact that metaphysics needs to be subdivided into ontology proper and what he calls philosophical eschatology, for the study of things like category shift and other construction routines. The exploration of Platos Politeia thus becomes an application of Grices philosophically eschatological approach to the item just, as used by Socrates (morally just) and Thrasymachus (legally just). Grice has one specific essay on Aristotle in PPQ. So he thought Plato merited his own essay, too! Grices focus is on Plato’s exploration of dike. Grice is concerned with a neo-Socratic (versus neo-Thrasymachean) account of moral justice as conceptually (or axiologically) prior to legal justice. In the proceeding, he creates philosophical eschatology as the other branch to metaphysics, along with good ol ontology. To say that just crosses a categorial barrier (from the moral to the legal) is to make a metaphysical, strictly eschatological, pronouncement. The Grice Papers locate the Plato essay in s.  II, the Socrates essay in s.  III, and the Thrasymachus essay, under social justice, in s. V. Grice is well aware that in his account of fairness, Rawls makes use of his ideas on personal identity. The philosophical elucidation of fairness is of great concern for Grice. He had been in touch with such explorations as Nozicks and Nagels along anti-Rawlsian lines. Grices ideas on rationality guide his exploration of social justice. Grice keeps revising the Socrates notes. The Plato essay he actually dates. As it happens, Grices most extensive published account of Socrates is in this commentary on Platos Republic: an eschatological commentary, as he puts it. In an entertaining fashion, Grice has Socrates, and neo-Socrates, exploring the logic and grammar of just against the attack by Thrasymachus and neo-Thrasymachus. Grices point is that, while the legal just may be conceptually prior to the moral just, the moral just is evaluationally or axiologically prior. Refs.: There is a specific essay on ‘theorising’ in the Grice Papers, but there are scattered sources elsewhere, such as “Method” (repr. in “Conception”), BANC.grice’s three-year-old’s guide to Russell’s theory of types, with an advice to parents by Strawson: Grice put forward the empirical hypothesis that a three-year old CAN understand Russell’s theory of types. “In more than one way.” This brought confusion in the household, with some members saying they could not“And I trust few of your tutees do!” Russell’s influential solution to the problem of logical paradoxes. The theory was developed in particular to overcome Russell’s paradox, which seemed to destroy the possibility of Frege’s logicist program of deriving mathematics from logic. Suppose we ask whether the set of all sets which are not members of themselves is a member of itself. If it is, then it is not, but if it is not, then it is. The theory of types suggests classifying objects, properties, relations, and sets into a hierarchy of types. For example, a class of type 0 has members that are ordinary objects; type 1 has members that are properties of objects of type 0; type 2 has members that are properties of the properties in type 1; and so on. What can be true or false of items of one type can not significantly be said about those of another type and is simply nonsense. If we observe the prohibitions against classes containing members of different types, Russell’s paradox and similar paradoxes can be avoided. The theory of types has two variants. The simple theory of types classifies different objects and properties, while the ramified theory of types further sorts types into levels and adds a hierarchy of levels to that of types. By restricting predicates to those that relate to items of lower types or lower levels within their own type, predicates giving rise to paradox are excluded. The simple theory of types is sufficient for solving logical paradoxes, while the ramified theory of type is introduced to solve semantic paradoxes, that is, paradoxes depending on notions such as reference and truth. “Any expression containing an apparent variable is of higher type than that variable. This is the fundamental principles of the doctrines of types.” Russell, Logic and Knowledge. Grice’s commentary in “In defense of a dogma,” The H. P. Grice Papers, BANC. grice’s complementary class: the class of all things not in a given class. For example, if C is the class of all red things, then its complementary class is the class containing everything that is not red. This latter class includes even non-colored things, like numbers and the class C itself. Often, the context will determine a less inclusive complementary class. If B 0 A, then the complement of B with respect to A is A  B. For example, if A is the class of physical objects, and B is the class of red physical objects, then the complement of B with respect to A is the class of non-red physical objects.  griceism. Gricese. At Oxford, it was usual to refer to Austin’s idiolect as Austinese. In analogy with Grecism, we have a Gricism, a Griceian cliché. Cf. a ‘grice’ and ‘griceful’ in ‘philosopher’s lexicon.’ Gricese is a Latinism, from -ese, word-forming element, from Old French -eis (Modern French -ois-ais), from Vulgar Latin, from Latin -ensem-ensis "belonging to" or "originating in." Grice’s grue and grellow, -- and bleen: H. P. Grice was fascinated by Goodman’s ‘grue’ paradox and kept looking for the crucial implicaturum. “The paradox is believed to be mainly as arising within the theory of induction, but I’ve seen Strawson struggling with gruesome consequences in his theory of deduction, too.” According to Nelson Goodman, “a philosopher from the New World,” every intuitively acceptable inductive argument, call it A, may be mimicked by indefinitely many other inductive arguments  each seemingly quite analogous to A and therefore seemingly as acceptable, yet each nonetheless intuitively *unacceptable*, and each yielding a conclusion contradictory to that of A, given the assumption that sufficiently many and varied of the sort of things induced upon exist as yet unexamined which is the only circumstance in which A is of interest. “Goodman then asks us to suppose an intuitively acceptable inductive argument.”A1 every hitherto observed EMERALD is GREEN; therefore, every emerald is green. Now introduce the totally unnatural colour predicate ‘grue’a portmanteau of blue and greenas in Welsh ‘glas’ -- where for some given, as yet wholly future, temporal interval T an object is ‘grue’ provided it has the property of being green and first examined before T OR  blue and NOT first examined before T. Then consider the following inductive argument: A2 every hitherto observed EMERALD is GRUE; therefore, every emerald is grue. The premise is true, and A2 is formally analogous to A1. But A2 is intuitively unacceptable. If there is an emerald UNexamined before T, he conclusion of A2 says that this emerald is blue, whereas the conclusion of A1 says that every emerald is green! Granted, other counter-intuitive competing arguments could be given, e.g.: A3. Every hitherto observed emerald is grellow; therefore, every emeralds is grellow. where an object is ‘grellow’ provided it is green and located on the earth or yellow otherwise. It would seem, therefore, that some restriction on induction is required. “Goodman’s alleged of induction offers two challenges. First, state the restriction  i.e., demarcate the intuitively acceptable inductions from the unacceptable ones, in some general way, without constant appeal to intuition.”“Second, justify our preference for the one group of inductions over the other.”“These two parts of the paradox are, alas, often conflated.”But it is at least conceivable that one might solve the analytical, demarcative part without solving the justificatory part, and, perhaps, vice versa. It will not do to rule out, a priori gruesome” variances in nature. H2O varies in its physical state along the parameter of temperature. If so, why might not one emerald vary in colour along the parameter of time of first examination? One approach to the problem of restriction is to focus on the conclusions of inductive arguments e.g., every emerald is green, every emerald is grue and to distinguish those which may legitimately so serve called “projectible hypotheses” from those which may not. The question then arises whether only non-gruesome hypotheses those which do not contain gruesome predicates are projectible. Aside from the task of defining ‘gruesome predicate’ which could be done structurally relative to a preferred language, the answer is no. Consider the predicate ‘x is solid and less than 0; C, or liquid and more than 0; C but less than 100; C, or gaseous and more than 100; C.’This is gruesome on any plausible structural account of gruesomeness. Note the similarity to the ‘grue’ equivalent: green and first examined before T, or blue and not first examined before T. Nevertheless, where nontransitional water is pure H2O at one atmosphere of pressure save that which is in a transitional state, i.e., melting/freezing or boiling/condensing, i.e., at 0°C or 100; C, we happily project the hypothesis that all non-transitional water falls under the above gruesome predicate. Perhaps this is because, if we rewrite the projection about non-transitional water as a conjunction of non-gruesome hypotheses  i water at less than 0; C is solid, ii water at more than 0; C but less than 100; C is liquid, and iii water at more than 100; C is gaseous  we note that iiii are all supported there are known positive instances; whereas if we rewrite the gruesome projection about the emerald as a conjunction of non-gruesome hypotheses  i* every emerald first examined before T is green, and ii* every emerald NOT first examined before T is blue  we note that ii* is as yet unsupported. It would seem that, whereas a non-gruesome hypothesis is projectible provided it is unviolated and supported, a gruesome hypothesis is projectible provided it is unviolated and equivalent to a conjunction of non-gruesome hypotheses, each of which is supported. Grice’s formalists: Hilbert, D.G. mathematician and philosopher of mathematics. Born in Königsberg, he also studied and served on the faculty there, accepting Weber’s chair in mathematics at Göttingen in 1895. He made important contributions to many different areas of mathematics and was renowned for his grasp of the entire discipline. His more philosophical work was divided into two parts. The focus of the first, which occupied approximately ten years beginning in the early 1890s, was the foundations of geometry and culminated in his celebrated Grundlagen der Geometrie (1899). This is a rich and complex work that pursues a variety of different projects simultaneously. Prominent among these is one whose aim is to determine the role played in geometrical reasoning by principles of continuity. Hilbert’s interest in this project was rooted in Kantian concerns, as is confirmed by the inscription, in the Grundlagen, of Kant’s synopsis of his critical philosophy: “Thus all human knowledge begins with intuition, goes from there to concepts and ends with ideas.” Kant believed that the continuous could not be represented in intuition and must therefore be regarded as an idea of pure reasoni.e., as a device playing a purely regulative role in the development of our geometrical knowledge (i.e., our knowledge of the spatial manifold of sensory experience). Hilbert was deeply influenced by this view of Kant’s and his work in the foundations of geometry can be seen, in large part, as an attempt to test it by determining whether (or to what extent) pure geometry can be developed without appeal to principles concerning the nature of the continuous. To a considerable extent, Hilbert’s work confirmed Kant’s viewshowing, in a manner more precise than any Kant had managed, that appeals to the continuous can indeed be eliminated from much of our geometrical reasoning. The same basic Kantian orientation also governed the second phase of Hilbert’s foundational work, where the focus was changed from geometry to arithmetic and analysis. This is the phase during which Hilbert’s Program was developed. This project began to take shape in the 1917 essay “Axiomatisches Denken.” (The 1904 paper “Über die Grundlagen der Logik und Arithmetik,” which turned away from geometry and toward arithmetic, does not yet contain more than a glimmer of the ideas that would later become central to Hilbert’s proof theory.) It reached its philosophically most mature form in the 1925 essay “Über das Unendliche,” the 1926 address “Die Grundlagen der Mathematik,” and the somewhat more popular 1930 paper “Naturerkennen und Logik.” (From a technical as opposed to a philosophical vantage, the classical statement is probably the 1922 essay “Neubegründung der Mathematik. Erste Mitteilung.”) The key elements of the program are (i) a distinction between real and ideal propositions and methods of proof or derivation; (ii) the idea that the so-called ideal methods, though, again, playing the role of Kantian regulative devices (as Hilbert explicitly and emphatically declared in the 1925 paper), are nonetheless indispensable for a reasonably efficient development of our mathematical knowledge; and (iii) the demand that the reliability of the ideal methods be established by real (or finitary) means. As is well known, Hilbert’s Program soon came under heavy attack from Gödel’s incompleteness theorems (especially the second), which have commonly been regarded as showing that the third element of Hilbert’s Program (i.e., the one calling for a finitary proof of the reliability of the ideal systems of classical mathematics) cannot be carried out. Hilbert’s Program, a proposal in the foundations of mathematics, named for its developer, the German mathematician-philosopher David Hilbert, who first formulated it fully in the 1920s. Its aim was to justify classical mathematics (in particular, classical analysis and set theory), though only as a Kantian regulative device and not as descriptive science. The justification thus presupposed a division of classical mathematics into two parts: the part (termed real mathematics by Hilbert) to be regulated, and the part (termed ideal mathematics by Hilbert) serving as regulator. Real mathematics was taken to consist of the meaningful, true propositions of mathematics and their justifying proofs. These proofscommonly known as finitary proofswere taken to be of an especially elementary epistemic character, reducing, ultimately, to quasi-perceptual intuitions concerning finite assemblages of perceptually intuitable signs regarded from the point of view of their shapes and sequential arrangement. Ideal mathematics, on the other hand, was taken to consist of sentences that do not express genuine propositions and derivations that do not constitute genuine proofs or justifications. The epistemic utility of ideal sentences (typically referred to as ideal propositions, though, as noted above, they do not express genuine propositions at all) and proofs was taken to derive not from their meaning and/or evidentness, but rather from the role they play in some formal algebraic or calculary scheme intended to identify or locate the real truths. It is thus a metatheoretic function of the formal or algebraic properties induced on those propositions and proofs by their positions in a larger derivational scheme. Hilbert’s ideal mathematics was thus intended to bear the same relation to his real mathematics as Kant’s faculty of pure reason was intended to bear to his faculty of understanding. It was to be a regulative device whose proper function is to guide and facilitate the development of our system of real judgments. Indeed, in his 1925 essay “Über das Unendliche,” Hilbert made just this point, noting that ideal elements do not correspond to anything in reality but serve only as ideas “if, following Kant’s terminology, one understands as an idea a concept of reason which transcends all experience and by means of which the concrete is to be completed into a totality.” The structure of Hilbert’s scheme, however, involves more than just the division of classical mathematics into real and ideal propositions and proofs. It uses, in addition, a subdivision of the real propositions into the problematic and the unproblematic. Indeed, it is this subdivision of the reals that is at bottom responsible for the introduction of the ideals. Unproblematic real propositions, described by Hilbert as the basic equalities and inequalities of arithmetic (e.g., ‘3 ( 2’, ‘2 ‹ 3’, ‘2 ! 3 % 3 ! 2’) together with their sentential (and certain of their bounded quantificational) compounds, are the evidentially most basic judgments of mathematics. They are immediately intelligible and decidable by finitary intuition. More importantly, they can be logically manipulated in all the ways that classical logic allows without leading outside the class of real propositions. The characteristic feature of the problematic reals, on the other hand, is that they cannot be so manipulated. Hilbert gave two kinds of examples of problematic real propositions. One consisted of universal generalizations like ‘for any non-negative integer a, a ! 1 % 1 ! a’, which Hilbert termed hypothetical judgments. Such propositions are problematic because their denials do not bound the search for counterexamples. Hence, the instance of the (classical) law of excluded middle that is obtained by disjoining it with its denial is not itself a real proposition. Consequently, it cannot be manipulated in all the ways permitted by classical logic without going outside the class of real propositions. Similarly for the other kind of problematic real discussed by Hilbert, which was a bounded existential quantification. Every such sentence has as one of its classical consequents an unbounded existential quantification of the same matrix. Hence, since the latter is not a real proposition, the former is not a real proposition that can be fully manipulated by classical logical means without going outside the class of real propositions. It is therefore “problematic.” The question why full classical logical manipulability should be given such weight points up an important element in Hilbert’s thinking: namely, that classical logic is regarded as the preferred logic of human thinkingthe logic of the optimally functioning human epistemic engine, the logic according to which the human mind most naturally and efficiently conducts its inferential affairs. It therefore has a special psychological status and it is because of this that the right to its continued use must be preserved. As just indicated, however, preservation of this right requires addition of ideal propositions and proofs to their real counterparts, since applying classical logic to the truths of real mathematics leads to a system that contains ideal as well as real elements. Hilbert believed that to justify such an addition, all that was necessary was to show it to be consistent with real mathematics (i.e., to show that it proves no real proposition that is itself refutable by real means). Moreover, Hilbert believed that this must be done by finitary means. The proof of Gödel’s second incompleteness theorem in 1931 brought considerable pressure to bear on this part of Hilbert’s Program even though it may not have demonstrated its unattainability. Grice and the humboldts: Born in Potsdam, Wilhelm, with his brother Alexander, was educated by private tutors in the enlightened style thought suitable for a Prussian philosopher.This included Grice’s stuff: philosophy and the two classical languages, with a bit of ancient and modern history. After his university studies in law at Frankfurt an der Oder and Göttingen, Humboldt’s career was divided among assorted posts, philosophising on a broad range of topics, notably his first loves, like Grice’s: philosophy and the classical languages. Humboldt’s broad-ranging works reveal the important influences of Herder in his conception of history and culture, Kant and Fichte in philosophy, and the French “Ideologues” in semiotics. His most enduring work has proved to be the Introduction to his massive study of language. Humboldt maintains that language, as a vital and dynamic “organism,” is the key to understanding both the operations of the soul. A language such as Latin possesses a distinctive inner form that shapes, in a way reminiscent of Kant’s more general categories, the subjective experience, the world-view, and ultimately the institutions of Rome. While all philosophers are indebted to both his empirical studies and his theoretical insights on culture, such philosophers as Dilthey and Cassirer acknowledge him as establishing the Latin language as a central concern for the humanities. H. P. Grice, “Alexander and all the Humboldts.” Griceian ideology: a term used by Ernest Gellner to refer to Grice’s Clifton/Corpus Christi background. generally a disparaging term used to describe someone else’s political views which one regards as unsound. This use derives from Marx’s employment of the term to signify a false consciousness shared by the members of a particular social class. For example, according to Marx, members of the capitalist class share the ideology that the laws of the competitive market are natural and impersonal, that workers in a competitive market are paid all that they can be paid, and that the institutions of private property in the means of production are natural and justified.

 

grecianism: why was Grice obsessed with Socrates’s convesations? He does not say. But he implicates it. For the Athenian dialecticians, it is all a matter of ta legomena. Ditto for the Oxonian dialecticians. Ta legomena becomes ordinary language. And the task of the philosopher is to provide reductive analysis of this or that concept in terms of necessary and sufficient conditions. Cf. Hospers. Grices review of the history of philosophy (Philosophy is but footnotes to Zeno.). Grice enjoyed Zenos answer, What is a friend? Alter ego, Allego. ("Only it was the other Zeno." Grice tried to apply the Socratic method during his tutorials. "Nothing like a heartfelt dedication to the Socratic art of mid-wifery, seeking to bring forth error and to strangle it at birth.” μαιεύομαι (A.“μαῖα”), ‘to serve as a midwife, act a; “ἡ Ἄρτεμις μ.” Luc. D Deor.26.2. 2. cause delivery to take place, “ἱκανὴ ἔκπληξις μαιεύσασθαι πρὸ τῆς ὥρας” Philostr. VA1.5. 3. c. acc., bring to the birth, Marin.Procl.6; ὄρνιθας μ. hatch chickens, Anon. ap. Suid.; αἰετὸν κάνθαρος μαιεύσομαι, prov. of taking vengeance on a powerful enemy, Ar. Lys.695 (cf. Sch.). 4. deliver a woman, esp. metaph. in Pl. of the Socratic method, Tht. 149b. II. Act., Poll. 4.208, Sch. OH.4.506. Pass., τὰ ὑπ᾽ ἐμοῦ μαιευθέντα brought into the world by me, Pl. Tht. 150e, cf. Philostr.VA5.13. Refs.: the obvious references are Grice’s allusions to Aristotle, Plato, Socrates, Zeno, The H. P. Grice Papers, BANC.

 

grosseteste: Grice was a member of the Grosseteste Society. Like Grice’s friend, G. J. Warnock, Grosseteste was chancellor of Oxford. Only that by the time of Warnock, the monarch is the chancellor by default, so “Warnock had to allow to be called ‘vice-chancelor’ to Elizabeth II.” “I would never have read Aristotle had it not been by this great head that grosseteste (“Greathead” is a common surname in Suffolk).”H. P. Grice. English philosopher who began life on the bottom rung of feudal society in Suffolk and became one of the most influential figures in pre-Reformation England. He studied at Oxford, obtaining an “M. A.,” like Grice. Sometime after this period he joined the household of William de Vere, of Hereford. Grosseteste associated with the elite at Hereford, several of whose members were part of an advanced philosophical tradition. It was a centre for the study of liberal arts. This explains his interest in dialectics. After a sojourn in Paris, he becomes the first chancellor of Oxford. He was a secular lecturer in theology to the recently established Franciscan order at Oxford. It was during his tenure with the Franciscans that he studied Grecian  an unusual endeavour for an Oxonian schoolman then. He later moved to Lincoln. As a  scholar, Grosseteste is an original thinker who used Aristotelian and Augustinian theses as points of departure. Grosseteste (or “Greathead,” as he was called by the townif not the gown) believes, with Aristotle, that sense is the basis of all knowledge, and that the basis for sense is our discovery of the cause of what is experienced or revealed by experiment. He also believes, with Augustine, that light plays an important role in creation. Thus he maintained that God produced the world by first creating prime matter (“materia prima”) from which issued a point of light lux, the first corporeal form or power, one of whose manifestations is visible light. The diffusion of this light resulted in extension or tri-dimensionality in the form of the nine concentric celestial spheres and the four terrestrial spheres of fire, air, water, and earth. According to Grosseteste, the diffusion of light takes place in accordance with laws of mathematical proportionality geometry. Everything, therefore, is a manifestation of light, and mathematics is consequently indispensable to science and knowledge generally. The principles Grosseteste employs to support his views are presented in, e.g., his commentary on Aristotle’s Posterior Analytics, the De luce, and the De lineis, angulis et figuris. He worked in areas as seemingly disparate as optics and angelology. Grosseteste is one of the first to take an interest in and introduce into the Oxford curriculum newly recovered Aristotelian texts, along with commentaries on them. His work and interest in natural philosophy, mathematics, the Bible, and languages profoundly influenced Roger Bacon, and the educational goals of the Franciscan order. It also helped to stimulate work in these areas.

 

Grandi: Luigi Guido Grandi, pseudonimo di Francesco Lodovico Grandi (Cremona), filosofo. Nato da Piero Martire Grandi, ricamatore, e Caterina Legati compì i suoi primi studi di grammatica sotto la guida del giovane letterato Giambattista Canneti e poi nel locale Collegio dei Gesuiti, dove ebbe come maestro il futuro matematico Giovanni Girolamo Saccheri. All'età di 16 anni entrò nel monastero camaldolese di Classe in Ravenna, assumendo il nome Guido in sostituzione degli originari Francesco Lodovico, e qui ritrovò l'antico maestro divenuto abate Pietro Canneti.  Proseguiti gli studi teologici a Roma e quelli geometrici e matematici a Firenze, nel 1700 divenne professore di filosofia nel monastero camaldolese di Firenze. Nel 1703 pubblicò il libro La quadratura del cerchio e dell'iperbole, al cui interno scoprì lo stesso paradosso matematico intuito anche da Leibniz, ossia che la somma parziale di una serie a segni alterni di numeri può non convergere (serie di Grandi), e qualche anno dopo, durante una sua visita in Inghilterra (1709), entrò a far parte della Royal Society.  Nel 1714 divenne matematico di corte presso il granduca di Toscana e più tardi professore di matematica nell'Pisa. Fu anche sovrintendente alle acque del granducato, contribuendo ai lavori di drenaggio per la bonifica della Val di Chiana. Collaborò con Tommaso Buonaventuri all'edizione fiorentina delle Opere di Gaileo Galilei (1718), studiò la curva algebrica da lui chiamata "rodonea" per la forma che ricorda il rosone delle chiese romaniche e gotiche (1725 circa) e fu autore degli Elementi di Geometria di Euclide, pubblicati postumi a Venezia (Savioni, 1780).   Frontespizio del De infinitis infinitorum Fu il primo a usare e a diffondere in Italia la nuova analisi degli infiniti. Scrisse l'opera De infinitis infinitorum... nella quale applicò, tra i primi in Italia, i metodi di Leibniz e Newton.  Opere  Frontespizio di Trattato delle resistenze di Vincenzo Viviani completato da Guido Grandi (Firenze, 1718) Geometrica demonstratio Vivianeorum problematum, Florentiae, ex Typographia Iacobi de Guiduccis propè Conductam, 1699. De infinitis infinitorum, et infinite parvorum ordinibus disquisitio geometrica, Pisis, ex Typographia Francisci Bindi impress. archiepisch., 1710. Epistola mathematica de momento gravium in planis inclinatis, Lucae, typis Peregrini Frediani, 1711. Dialoghi circa la controversia eccitatagli contro dal sig. Alessandro Marchetti, In Lucca, ad istanza di Francesco Maria Gaddi librajo in Pisa, 1712. Prostasis ad exceptiones clari Varignonii libro De infinitis infinitorum ordinibus oppositas circa magnitudinum plusquam-infinitarum Vallisii defensionem et anguli contactus, Pisis, ex Typographia Francisci Bindi impress. archiepisch., 1713. Del movimento dell'acque trattato geometrico, Firenze. Relazione delle operazioni fatte circa il padule di Fucecchio, In Lucca, per Leonardo Venturini, 1718. Trattato delle resistenze, Firenze, per Tartini e Franchi, 1718?. Compendio delle Sezioni coniche d'Apollonio con aggiunta di nuove proprietà delle medesime sezioni, In Firenze, nella Stamperia di S.A.R. per gli Tartini e Franchi, 1722. Instituzioni meccaniche, In Firenze, nella Stamperia di S.A.R. per Gio: Gaetano Tartini e Santi Franchi, 1739. Istituzioni di aritmetica pratica, In Firenze, nella Stamperia di S.A.R. per Gio: Gaetano Tartini e Santi Franchi, 1740. Sectionum conicarum synopsis, Florentiae, ex typographio Ioannis Paulli Giovannelli, 1750. Riconoscimenti Membro della Royal Societynastrino per uniforme ordinariaMembro della Royal Society Note  Baldini, op. cit., indica la data del 10 ottobre 1671.  Mario Di Fidio, Claudi Gandolfi, Idraulici italiani , Fondazione Biblioteca Europea di Informazione e Cultura, ,  141-142.  Il termine "rodonea" deriva dal greco Ροδή, rosa. La curva rodonea è anche chiamata "rosa di Grandi" in suo onore.  Giammaria Ortes, Vita del padre D. Guido Grandi, abate camaldolese, matematico dello Studio Pisano, Venezia, Giambatista Pasquali, 1744. Consultabile su Google libri. Nicola Mangini, Guido Grandi, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. 20 luglio . Amedeo Agostini, Guido Grandi, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rodonea Sofisma algebrico Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Luigi Guido Grandi Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Luigi Guido Grandi  Luigi Guido Grandi, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Luigi Guido Grandi, su accademicidellacrusca.org, Accademia della Crusca. Luigi Guido Grandi, su MacTutor, University of St Andrews, Scotland.  Opere di Luigi Guido Grandi, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Luigi Guido Grandi, . Luigi Guido Grandi, in Galileo Project, Rice University. Carteggi del padre camaldolese matematico Guido Grandi, su internetculturale.it.

 

Grassi: Ernesto Grassi (Milano1) filosofo. EGrassi si laureò a Milano il 30 giugno 1925; in quegli anni egli aveva trovato il suo maestro in Piero Martinetti, professore dell'Università Statale di Milano. Già prima della laurea, Grassi sentì il bisogno di stringere rapporti con la cultura tedesca e nel 1924 si era recato a Friburgo in Brisgovia per presentarsi al filosofo Edmund Husserl. Alla ricerca di un luogo dove poter continuare gli studi, partì per la Provenza nel 1927 dove conobbe Maurice Blondel; nel 1928 ritornò in Germania, dove incontrò Martin Heidegger. Questo fu l'inizio di una lunga collaborazione che segnò il destino filosofico di Grassi; egli continuò la sua attività in Germania, prima come lettore d'italiano a Friburgo, poi come incaricato di filosofia umanistica ed infine come professore onorario, titolo grazie al quale poté insegnare a Berlino tra il 1938 e il 1943. Fu presidente del "Centro Internazionale di Studi Umanistici" di Monaco ed in seguito professore di "Filosofia dell'Umanesimo" (Philosophie des Humanismus) presso la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco. Fu anche il curatore della Rowohlts Deutsche Enzyklopädie, la famosa "RDE", la prima collana scientifica tascabile in Germania, e della Rowohlts Klassiker.  Il pensiero Pensatore di grande valore e critico ingegnoso della filosofia dell'Umanesimo, cercò di ricondurre la filosofia contemporanea ad una riflessione radicale intorno al suo statuto epistemologico e a un ripensamento riguardante il valore del suo linguaggio, ormai specialistico e spesso sterile, per affermare la valenza filosofica del linguaggio poetico, metaforico e fantastico.  Opere principali e traduzioni italiane Il problema della metafisica platonica, Laterza, Bari 1932, 227  Dell'apparire e dell'essere (seguito da Linee della filosofia tedesca contemporanea), La Nuova Italia, Firenze 1933, 97  Von Vorrang des Logos. Das Problem der Antike in der Auseinandersetzung zwischen italienischer und deutscher Philosophie, Beck, München 1939, 218  Gedanken zum Dichterischen und Politischen. Zwei Vorträge zum Bestimmung der geistigen Tradition Italiens, Küpper, Berlin 1939, 48  Wirklichkeit als Geheimnis und Auftrag. Die Exaktheit der Naturwissenschaften und die philosophische Erfarung, in collaborazione con Thure von Uexküll, Francke, Bern 1945,  130. Verteidigung des Individuellen Lebens. Studia humanitatis als Philosophische Überlieferung, Francke, Bern 1946, 176  Von Ursprung und Grenzen der Geisteswissenschaften und Naturwissenschaften, in collaborazione con Thure von Uexküll, Verlag A. Francke, Bern 1950, 254  Die Einheit unseres Wirklichkeitsbildes und die Grenzen der Einzelwissenschaften, Ernesto Grassi e Thure von Uexküll, Lehnen, München 1951, 196  Reisen ohne anzukommen. Südamerikanische Meditationen, Rowohlt, Hamburg 1955, 144  Kunst und Mythos, Rowohlt, Hamburg 1957, 167  Die zweite Aufklärung: Enzyklopädie heute. Mit lexikalischem Register zu Band 1-75, Rowohlt, Hamburg 1958, 304  Die Theorie des Schönen in der Antike, DuMont Schauberg, Köln 1962, 287  Macht des Bildes. Ohnmacht der rationalen Sprache. Zur Rettung des Rhetorisches, DuMont Schauberg, Köln 1970, 231  Arte come antiarte. Teoria del bello nel mondo antico, traduzione di Carlo Hermanin, Paravia, Torino 1972,  133. Humanismus und Marxismus. Zur Kritik der Verselbständigung von Wissenschaft [Mit einem Anhang “Texte italienischer Humanisten”], Rowohlt, Hamburg 1973, 274  Die Macht der Phantasie. Zur Geschichte abendländischen Denkens, Athenäum, Königstein/Ts. 1979, 267  Macht des Bildes. Ohnmacht der rationalen Sprache. Zur Rettung des Rhetorischen, Fink, München 1979, 231  Rhetoric as Philosophy. The Humanist Tradition, traduzione di John Michael Krois e Azized Azodi, The Pennsylvania State University Press, University Park and London 1980, 122  (ristampa 2001) Heidegger and the Question of Renaissance Humanism. Four Studies, traduzione di Ulrich Hemel-John Michael Krois, State University of New York at Binghamthon, Binghamton/N.Y. 1983, in Medieval and Renaissance Texts and Studies,  XXI, 103  Heidegger e il problema dell'umanesimo, traduzione di Enrichetta Valenziani-Giovanna Barbantini, Guida, Napoli 1985, 105  Einführung in philosophische Probleme des Humanismus, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1986, 171  Folly and Insanity in Renaissance Literature, in collaborazione con Maristella Lorch, traduzione di John Michael Krois e Mario A. Di Cesare, University Center at Binghamtom, Binghamton/N.Y. 1986, in Medieval and Renaissance Texts and Studies, vol XLII, 128  La preminenza della parola metaforica. Heidegger, Meister Eckhart, Novalis, Mucchi editore, Modena 1987, 77  La filosofia dell'umanesimo. Un problema epocale, traduzione di Enrichetta Valenziani, Tempi Moderni, Napoli 1988, 218  Renaissance Humanism. Studies in Philosophy and Poetics, traduzione di Walter Veit, Center for Medieval and Early Renaissance Studies, Bimhamton/N.Y. 1988, 145  Umanesimo e retorica. Il problema della follia, traduzione di Enrichetta Valenziani e Giovanna Barbantini, Mucchi, Modena 1988, 119  Potenza dell'immagine. Rivalutazione della retorica, traduzione di Liliana Croce e Massimo Marassi, Guerini e associati, Milano 1989, 267  La metafora inaudita, Massimo Marassi, Aestetica, Palermo 1990, 167  Potenza della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale, Claudio Gentili, Guida, Napoli 1990, 264  Vico and Humanism. Essays on Vico, Heidegger and Rhetoric, Peter Lang, New York 1990,  217. Filosofare noetico non metafisico. L'Alcesti e il Don Chisciotte, in collaborazione con Emilio Hidalgo y Serna, Congedo Editore, Galatina, 1991, 55  Vico e l'umanesimo, traduzione di Antonio Verri, Guerini e associati, Milano 1992, 244  Il dramma della metafora. Euripide, Eschilo, Sofocle, Ovidio, Massimo Marassi, L'officina tipografica, Roma 1992, 177  Die unerhörte Metapher, traduzione di Emilio Hidalgo y Serna, Hain, Frankfurt a. M. 1992, 280  Arte e mito, edizione riveduta ed ampliata dall'Autore, traduzione e cura di Carlo Gentili, La Città del Sole, Napoli 1996, 240  Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, traduzione di Roberta Moroni, Massimo Marassi, La Città del Sole, Napoli 1999, 199  Viaggiare ed errare. Un confronto con il Sudamerica, traduzione di Cristina De Santis, Massimo Marassi, La Città del Sole, Napoli 1999, 201  Studi su Ernesto Grassi Eberhard Bons, Der Philosoph Ernesto Grassi, Fink, München 1990. Wilhelm Büttemeyer, Ernesto GrassiHumanismus zwischen Faschismus und Nationalsozialismus, Alber, Freiburg . Emilio Hidalgo-Serna (cur.), Studi in memoria di Ernesto Grassi, 2 , Edizione La Città del Sole, Napoli 1996 (con  estesa). Robert Josef Kozljanic, Ernesto Grassi, Fink, München 2003. Anna Di Somma, La prospettiva filosofica di Ernesto Grassi tra antropologia, logica e ontologia, La scuola di Pitagora, Napoli . Ead., Meditazioni sudamericane: la tappa sudamericana dell'onto-antropo-logia di Ernesto Grassi, in Studi Interculturali, 1, . Ead., La realtà umana tra disvelamento e fondazione: l'incidenza di Vico e Leopardi nell'antropologia di Ernesto Grassi, in ISPF Lab . Ead., Il ruolo di Platone nell’onto-antropo-logia di Ernesto Grassi, in cds in A. Muni , Platone nel pensiero moderno e contemporaneo, Limina mentis, . Ead., La Hora de Pan en Reisen ohne anzukommen. Eine Konfrontation mit Sudamerika de Ernesto Grassi, in AA. VV, Magister et discipuli. Filosofìa, historia, politica y cultura, Penguin Random House, Bogotà .  Umanesimo  Biografia su Rai Educational, su emsf.rai.it. 3 aprile 2006 10 ottobre 2006). Piergiorgio Donatelli, «GRASSI, Ernesto» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 58, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2002. Claudia Razza, Ernesto Grassi: l'umile potenza del suo umanesimo nel sito dell'Università Ludwig Maximilian di Monaco, Facoltà di filosofia.

 

Grassi: Leonardo Grassi (Mascali), filosofo. Iniziò gli studi ginnasiali presso il seminario di Acireale fino alla terza ginnasiale, proseguendoli poi a Catania, presso il liceo "Nicola Spedalieri".  Assiduo frequentatore della sala lettura dell'Catania, conobbe il poeta Mario Rapisardi, allora nella piena maturità del suo ingegno, cui lo legò una profonda stima ed affinità intellettuale.  Seguendo le orme paterne, conseguì la prima laurea in medicina e chirurgia all'Napoli (1898), con una tesi in psicologia sperimentale dal titolo Intorno alla memoria delle immagini acustiche e visive delle parole in rapporto specialmente al tempo di "fissazione", suggeritagli da Leonardo Bianchi e pubblicata poi sulla Rivista Sperimentale di Freniatria.  Si trasferì, dunque, a Messina dove divenne assistente di Giovanni Weiss, docente di patologia generale in quella Università.  Tuttavia cominciò a provare le prime grosse delusioni per l'inconciliabile contrasto fra le esigenze pratiche della professione, che rischiavano di piegarlo a umilianti compromessi, e le alte aspirazioni della sua anima.  Mutò bruscamente indirizzo, iscrivendosi alla facoltà di scienze naturali, conseguendo così la seconda laurea con Pio Mingazzini sostenendo una tesi intorno ai pesci di Ganzirri e Faro, che poi fu pubblicata su una rivista veneziana. Mingazzini, chiamato alla cattedra di Bologna, era felice di averlo come assistente, ma di lì a poco morì improvvisamente.  Il suo spirito inquieto cercò altre vie ed altri sbocchi, e così intraprese a frequentare le lezioni che si tenevano nella facoltà di lettere e filosofia dell'Catania, profondamente influenzato dalle precedenti frequentazioni messinesi dove campeggiavano figure come Giovanni Pascoli, col quale strinse amicizia, Giovanni Cesca, Michele Barbi, Augusto Mancini, Roberto Ardigò, del suo discepolo Giovanni Dandolo ed infine dello storico Gaetano Salvemini.  Nel 1904 conseguiva la sua terza ed ultima laurea in filosofia presso l'ateneo catanese, con una tesi pubblicata dall'editore Muglia di Messina, dal titolo L'unità dei fatti psichici fondamentali.  Quindi vinse la cattedra di filosofia nei licei e fu assegnato a Caltagirone dove conobbe e sposò il 25 aprile del 1909 la giovane Giacomina Gerbino appena laureata in lettere classiche alla quale lo legò un profondo amore ed un'intensa affinità d'intelletti.  Fu capitano medico e nell'ultima parte della prima guerra mondiale ebbe la direzione di un ospedale militare di riserva in cui rimase fino alla primavera del 1919.  Ritornato all'insegnamento, venne trasferito a Catania dove fu professore di filosofia presso il liceo "N. Spedalieri" .  Nel 1920 conseguì la libera docenza presso l'Catania dove insegnò filosofia morale.  Iniziò, dunque, un'intensa attività scientifica che vide tra i suoi maggiori corrispondenti Giovanni Gentile e Luigi Sturzocon i quali intrattenne un copioso carteggiooltre al letterato Villaroel, Arturo Farinelli, Bernardino Varisco, Giuseppe Fausto Majelli, Pantaleo Carabellese e Luigi Fassò.  Dal 1945 al 1946 fu ideatore e direttore responsabile della rivista Prisma a cui collaborò, tra gli altri, anche Manlio Sgalambro.  Si spense a Catania il 27 gennaio 1961 a 87 anni, nel suo palazzo in Via Firenze.  Opere e collaborazioni Tra le opere più significative:  Leonardo Grassi, Preludi a un commento alla vita del Faust, Catania, Studio Editoriale Moderno, 1928. Leonardo Grassi, Commento alla vita di Faust, Torino, F.lli Bocca Editori, 1932. Leonardo Grassi, Preludi storico attualistici alla Critica della ragion pratica, Catania, Crisafulli Editore, 1943. Leonardo Grassi, Storia di un medico mancato, Catania, Studio editoriale La Legione, 1935. Leonardo Grassi, voce assoluto, Roma, Enciclopedia Treccani, 1930. Leonardo Grassi, voce assoluto, Roma, Enciclopedia De Carlo, 1942. Collaboratore del Giornale critico della filosofia italiana diretto da Giovanni Gentile Direttore responsabile di Prisma una delle riviste culturali-filosofiche catanesi dell'immediato secondo dopoguerra. Traduzione inedita, della Critica della ragion pratica di Kant e della Logik und Metafysik del Fischer. Premi e riconoscimenti Socio della Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici. Socio onorario del Centro di Studi Anglo-Franco-Americani sezione per l'Oriente e componente del comitato nazionale. Socio onorario del Centro Italiano Studi Internazionali. Nel 1966 gli sono state intitolate due scuole medie, una a Mascali in provincia di Catania e l'altra a Catania, tutt'oggi attive ed operanti Dal 2007 è stato creato il premio "Leonardo Grassi" per la legalità le cui edizioni annuali o biennali si svolgono presso l'istituto comprensivo "Leonardo Grassi" di Mascali.  Note  Biografia di Leonardo Bianchi  Rivista di freniatria diretta da Tamburini  La Storia  Istituto Leonardo Grassi Archiviato il 19 dicembre  in .  Rosario Fisichella, La musica e le idee, Giannotta editore, Catania, 1966. Rosario Fisichella, Un filosofo dall'anima di poeta, in Ausonia 4 XIX luglio-Agosto 1964 ed. MAIA Ermanno Scuderi, Poesia e coscienza critica, Edigraf, Catania, 1970. Ermanno Scuderi, Scrittori e critici di Sicilia, Cedam, Padova, 1970. Mario Sipala, Da Carducci a Quasimodo, Cedam, Padova 1970. Salvatore Latora, Il pensiero di Leonardo Grassi in Teoresi Rivista di cultura Filosofica, diretta da Vincenzo La Via, anno XXIX, 1974. Rosario Vittorio Cristaldi, in Rivista di Studi Crociani XII, 1975, fasc.IV,  471–472, "Leonardo Grassi"  Istituto Comprensivo Statale "Leonardo Grassi", su grassimascali.it. La Musica e le idee, su openlibrary.org. Comune di Mascali, su comune.mascali.ct.it. Rivista Sperimentale di Freniatria, su rivistafreniatria.it.

 

Grataroli -- Guglielmo Grataroli   Guglielmo Grataroli Guglielmo Grataroli o Gratarolo (Bergamo, 16 maggio 1516Basilea, 16 aprile 1568) medico e filosofo italiano. Ritratto di Grataroli da Giovanni Battista Gallizioli, Della vita degli studi e degli scritti di Gulielmo Grataroli filosofo e medico, In Bergamo, dalla Stamperia Locatelli, 1788. Il Grataroli nacque all'inizio Professorea Bergamo, in una famiglia benestante dedita al commercio di tessuti di lana con la città di Venezia. Questa, originaria del borgo di Oneta, frazione di San Giovanni Bianco in val Brembana, oltre a possedere gran parte della contrada e dei terreni circostanti (tra cui anche l'edificio che attualmente ospita la casa di Arlecchino), annoverava tra i suoi membri una folta schiera di medici (al tempo chiamati "phisici"), tra i quali si segnalarono Simone, fondatore del collegio dei medici di Bergamo, e Pellegrino, medico presso la città orobica, rispettivamente nonno e padre di Guglielmo.  Gli studi del giovane Guglielmo furono quindi indirizzati fin dall'inizio verso l'arte esercitata dal padre, che lo educò e lo indirizzò allo studio della stessa. Proseguì quindi gli studi a Padova presso la locale facoltà di medicina, dove nel 1536 si laureò e l'anno seguente vi assunse la cattedra.  Nella città veneta, oltre a pubblicare la sua prima opera, una piccola dispensa inerente osservazioni sul mondo della natura, entrò in contatto con studenti e docenti provenienti da ogni parte d'Europa, venendo contagiato dalle dottrine religiose predicate da Lutero e Calvino.  Si dedicò quindi alla professione esercitando prima a Milano e poi a Bergamo dove nel 1539 si iscrisse al locale ordine dei medici.  Dopo aver pubblicamente manifestato le proprie idee in ambito religioso, che stridevano non poco con il pensiero cattolico e che si avvicinavano notevolmente a quelle proprie della Riforma protestante, si dedicò attivamente ad un gruppo eterodosso, del quale prese la guida in seguito all'arresto, con l'accusa di eresia, di don Pietro Pesenti, il precedente reggente.  Anch'egli venne più volte redarguito dalle gerarchie cattoliche e costretto a comparire davanti ai tribunali ecclesiastici di Bergamo e Milano. Questi lo invitarono a ritrattare tutte le sue affermazioni considerate eretiche tanto da costringerlo, il 4 febbraio 1544, ad abiurare. Non rinunciando alle proprie idee, fu nuovamente sottoposto al giudizio dell'autorità canonica nel 1550.  Il degenerare della situazione lo obbligò a fuggire dalla città, riparando a Tirano nel Canton Grigioni, dove dichiarò di non riconoscere l'autorità dell'inquisizione. Qui trovò ospitalità da esponenti della nobiltà locale presso i quali ebbe la possibilità di insegnare e praticare la propria disciplina.  Nel frattempo, il 23 gennaio 1551 il tribunale ecclesiastico di Bergamo lo dichiarò, in contumacia, eretico colpevole di  «aver molto straparlato de le cose pertinenti a la fede et di essa fede et de la autorità del papa... negare il purgatorio, le indulgenze, i suffragi per i defunti, la venerazione dei santi, la presenza del corpo di Cristo nell'eucaristia... heretico pertinace et scandaloso et infame… peste contra la fede»    vietandogli il ritorno nella città orobica, pena la decapitazione ed il rogo, ponendo sulla sua testa una somma pari a cinquecento lire e confiscando tutti i beni suoi e della moglie, nel frattempo rimasta in città.  Il Grataroli cominciò quindi a spostarsi in numerose città d'Europa, tutte poste in ambienti riformati. Si stabilì prima a Strasburgo ed in seguito a Basilea, città nella quale ebbe modo sia di praticare medicina (salvando la vita, tra gli altri, a Girolamo Cardano), che di assumere la cattedra nella locale università, presso l'ingresso della quale ancor oggi è presente un suo busto che ne testimonia l'importanza ricoperta.  Morì in terra elvetica, che nel frattempo era diventata la sua nuova patria, nel 1568.  Pensiero Le sue teorie, che gli valsero la fama di medico e scienziato tra i più illustri dell'Europa del XVI secolo, toccavano numerosi punti in ambito medico. Noti sono i suoi trattati sul potenziamento e il mantenimento della memoria, sulle epidemie di peste, sulle proprietà del vino, su erboristeria e veterinaria. Vi sono anche alcuni scritti inerenti all'alchimia, disciplina abbondantemente sviluppata da Paracelso, che insegnò nell'Basilea soltanto qualche anno prima del Grataroli.  Si segnalò nel medesimo ateneo sia per le ricerche che per gli elaborati sulla teoria fisiognomica, in seguito sviluppata, nel corso Professoreda Cesare Lombroso.  Menzionato anche in poesie del conterraneo Padre Donato Calvi, scrisse un totale di 25 opere mediche e filosofiche. Tra le altre si segnalano argomentazioni sulle dottrine del medico greco Galeno di Pergamo e del filosofo ed umanista italiano Pietro Pomponazzi, consigli medici per letterati e magistrati, ma anche indicazioni sia per il mantenimento della salute che per l'utilizzo dei bagni termali, nonché un saggio in cui vengono raccontati i suoi viaggi e forniti consigli ai viaggiatori di quel tempo.  Opere De memoria reparanda, augenda ser-vandaque. De salute tuenda. De regimine iter argentium, vel aequitum, vel peditum, vel navi, vel curru, seu rheda. Turba Philosophorum. De literatorum et eorum qui magistratibus funguntur conservanda praeservandaeque valetitudine compendium, Pietro Perna, Basilea, 1555. Veræ alchemiæ artisque metallicae, citra aenigmata, doctrina, certusque..., Pietro Perna, Basilea, 1561. De fato, libero arbitrio et providentia Dei (in 5 libri) Pietro Perna, Basilea, 1567. Alchemiae, quam vocant, artisque metallicae, doctrina, certusque modus,... (in 53 volumi) Pietro Perna, Basilea, 1561. De balneis, Bergamo, 1582. Note  Quaderni brembani[collegamento interrotto]  Storia di Milano  Flavio Caroli, Storia della fisiognomica Arte e psicologia da Leonardo a Freud  Marco Meriggi e Alessandro Pastore , Le regole dei mestieri e delle professioni: secoli XV-XIX,  259-260.  Alberto Castoldi (coordinamento di), Bergamo ed il suo territorio. Dizionario enciclopedico,  447–448, Bergamo, Bolis edizioni 2004.  88-7827-126-8. Giovanni Battista Gallizioli, Della vita degli studi e degli scritti di Gulielmo Grataroli filosofo e medico, In Bergamo, dalla Stamperia Locatelli, 1788.  l'11 luglio . Marco Meriggi, Le regole dei mestieri e delle professioni: secoli XV-XIX,  259–260. Cesare Vasoli, Le filosofie del Rinascimento457. Tarcisio Bottani e Wanda Taufer, Storie del Brembo. Fatti e personaggi dal Medioevo al Novecento, Ferrari editrice, 1998. Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Napoli, Nella Stamperia de' classici, 1836-1840542. Maclean, Ian. "Heterodoxy in Natural Philosophy and Medicine: Pietro Pomponazzi, Guglielmo Gratarolo, Girolamo Cardano," in Heterodoxy in Early Modern Science and Religion, edited by John Brooke and Ian Maclean. Oxford: Oxford University Press, 2005.  Fisiognomica Mnemotecnica Peste Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Guglielmo Grataroli Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Guglielmo Grataroli  Guglielmo Grataroli, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Guglielmo Grataroli, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Guglielmo Grataroli, . Filosofia Medicina  Medicina Categorie: Medici italianiFilosofi italiani Professore1516 1568 16 maggio 16 aprile Bergamo BasileaScienziati italiani

 

Grazia: Deputato del Parlamento delle Due Sicilie Durata mandatoCircoscrizioneCatanzaro  Considerazioni di m. Vincenzo Di Grazia (1613). Vincenzo De Grazia (Mesoraca), filosofo. Studiò a Napoli dove venne condotto, dalla natia Calabria, da uno zio dell'ordine dei Teatini all'età di 5 anni. Si laureò in ingegneria e nel 1811, durante il regno di Gioacchino Murat, si arruolò nel genio militare nell'esercito delle Due Sicilie. Si dedicò alla filosofia da autodidatta: il suo pensiero ebbe poca diffusione mentre era in vita, e non riuscì a succedere a Pasquale Galluppi all'Napoli dopo la morte di quest'ultimo (1846).  Nel 1848 fu eletto deputato al Parlamento Napoletano per il distretto di Catanzaro.  De Grazia si oppose al Criticismo kantiano e all'Idealismo hegeliano in nome dell'esperienza. Negli ultimi anni cercò di conciliare il suo realismo gnoseologico con la filosofia tomistica.  Opere Vincenzo de Grazia, Discorso su l'architettura del teatro moderno, di Vincenzo De Grazia. Napoli : dai torchi di Saverio Giordano, 1825. Vincenzo de Grazia, Saggio su la realtà della scienza umana, di Vincenzo de Grazia. Napoli : Dalla tipografia Flautina, 1839 (on-line). Vincenzo de Grazia, Su la logica di Hegel e su la filosofia speculativa, discorsi. Napoli : Dalla tipografia de' Gemelli, 1850 (on-line). Vincenzo de Grazia, Prospetto della filosofia ortodossa, di Vincenzo de Grazia. Napoli : Stab. tip. del Poliorama pittoresco, 1851. Vincenzo Di Grazia, Considerazioni di m. Vincenzo Di Grazia sopra 'l discorso di Galileo Galilei intorno alle cose che stanno su l'acqua, e che in quella si muouono. All'Illustriss. ed Eccellentiss. Sig. don Carlo Medici, In Firenze, presso Zanobi Pignonj, 1613. Note  Su la logica di Hegel e su la filosofia speculativa, 1850  Saggio su la realtà della scienza umana, 1839-42  Prospetto della filosofia ortodossa, 1851  Tancredi De Riso, Cenni biografici del filosofo calabrese Vincenzo De Grazia. Genova : Lodovico Lavagnino, 1858. Biagio Miraglia, "Vincenzo de Grazia, filosofo calabrese". In: Introduzione alla scienza della storia: con altri scritti editi ed inediti. Torino : Unione Tipografico-Editrice, 1866,  197–202 (on-line). Francesco Fiorentino, Della vita e delle opere di Vincenzo De Grazia, memoria di Francesco Fiorentino, Catanzaro, Centro Bibliografico Calabrese, 1989. R. Grita, «DE GRAZIA, Vincenzo». In: Dizionario Biografico degli Italiani,  XXXVI (on-line).  Vincenzo De Grazia, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.

 

Gregory: Tullio Gregory (Roma), filosofo. Si laureò in filosofia a Roma "La Sapienza" con Nardi. Di questo ateneo fu Professore dcome titolare della cattedra di Storia della filosofia medievale e dal 1967 di quella di Storia della filosofia. Fu anche direttore del Dipartimento di Ricerche storico-filosofiche e pedagogiche della stessa Università.  Dal 1951 fu collaboratore dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, contribuendo tra l'altro alla pubblicazione del Dizionario Enciclopedico Italiano. In seguito divenne direttore della sezione di Storia della filosofia e del cristianesimo del Lessico Universale Italiano, collaborò alla Terza Appendice, al Dizionario Biografico degli Italiani, alla Dantesca, alla Virgiliana e diresse la redazione dell’Enciclopedia della moda. Presso l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, del cui Consiglio scientifico era membro, fu direttore dell’Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere e Arti (Treccani). Dai primi anni sessanta fu consulente della Casa editrice Laterza per la filosofia; in tale ruolo, fra le molte altre iniziative, diresse la collana "I filosofi", divenuta ormai una vera e propria enciclopedia filosofica d’alto livello.  Fu fondatore e direttore, dal 1964, del Centro di Studio per il Lessico Intellettuale Europeo del Consiglio Nazionale delle Ricerche, che diresse dal 1970. Inoltre era membro del Comitato direttivo del Centro italiano di studi sull'alto medioevo e del Consiglio direttivo dell'Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento di Firenze.  Condirettore, prima con Paul Dibon, poi con Marc Fumaroli e Marta Fattori, delle Nouvelles de la République des Lettres, era membro del Consiglio scientifico dell'Institut de la Langue Française di Parigi, directeur d'études all'École Pratique des Hautes Études della Sorbona e della Société Internationale pour l'Etude de la Philosophie Médiévale; di questa era Presidente dal 1987.  Accademico Ordinario dell'Accademia delle Arti del Disegno di Firenze e socio nazionale dell'Accademia Nazionale dei Lincei e dell'Accademia Pontaniana, fu anche fellow della British Academy di Londra dal 1993 e dell'American Academy of Arts and Sciences dal 1994. È stato anche consigliere d'amministrazione della Rai nel 1993-1994, all'epoca dei cosiddetti "Professori".  Collaborò con l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana e con l'inserto domenicale de Il Sole 24 ore. In questo inserto espresse il proprio punto di vista su  (18 e 25 febbraio 2007); negli articoli sopra citati si rileva che a suo giudizio, in , «le singole voci sono un coacervo di notizie che, mancando di sistemazione critica, non offrono neppure una sicura informazione».  È morto a Roma il 2 marzo  a novant'anni.  Studi Si occupò soprattutto delle fasi di trapasso del pensiero filosofico, scientifico e teologico europeo dal medioevo al XVII secolo.  Opere Scritti principali:  Anima mundi. La filosofia di Guglielmo di Conches e la scuola di Chartres, Firenze, Sansoni, 1955. Platonismo medievale. Studi e ricerche, Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 1958. Scetticismo ed empirismo. Studio su Gassendi, Bari, Laterza, 1961. L'idea di natura nella filosofia medievale prima dell'ingresso della fisica di Aristotele. Il secolo XII, in III Congresso Internazionale di Filosofia medievale, La filosofia della natura nel Medioevo (Passo della Mendola, 31 agosto-5 settembre 1964), Firenze, Sansoni, 1964; poi in La filosofia della natura nel Medioevo. Atti del Terzo Congresso internazionale di filosofia medioevale. Passo della Mendola (Trento), 31 agosto-5 settembre 1964, Milano, Vita e pensiero, 1966,  27–65. Studi sull'atomismo del Seicento, in "Giornale critico della filosofia italiana", Aristotelismo, in Grande antologia filosofica, VI, Il pensiero della rinascenza e della riforma. Protestantesimo e riforma cattolica, Milano, Marzorati, 1964. Dio ingannatore e genio maligno. Nota in margine alle "Meditationes" di Descartes, in "Giornale critico della filosofia italiana", anno LIII (LV), fasc. IV (ott.-dic. 1974),  477–516; poi in Mundana sapientia. Theophrastus redivivus. Erudizione e ateismo nel Seicento, Napoli, Morano, 1979. Il libertinismo della prima metà del Seicento. Stato attuale degli studi e prospettive di ricerca, in Ricerche su letteratura libertina e letteratura clandestina nel Seicento. Atti del Convegno di studio di Genova, 30 ottobre-1 novembre 1980, Firenze, La Nuova Italia, 1981,  3–47. Etica e religione nella critica libertina, Napoli, Guida, Mundana sapientia. Forme di conoscenza nella cultura medievale, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, Genèse de la raison classique de Charron à Descartes, Paris, Presses Universitaires de France, Lo spazio come geografia del sacro nell'Occidente altomedievale, in “Giornale critico della filosofia italiana”, Anno LXXXI (LXXXIII), Fasc. II, Maggio-Agosto 2002. Noè ovvero della sobria ebbrezza, in L'ebbrezza di Noè. Sedici artisti per San Gimignano, Cesena, Il Vicolo, 2003.  88-87369-23-2. Origini della terminologia filosofica moderna. Linee di ricerca, Firenze, Olschki, Speculum naturale. Percorsi del pensiero medievale, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, Principe di questo mondo. Il diavolo in Occidente, Roma-Bari, Laterza, Michel de Montaigne, o Della modernità, Pisa, Edizioni della Normale, Vie della modernità, Firenze, Le Monnier Università, Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiananastrino per uniforme ordinariaCavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana — 1º giugno 2002 Inoltre Gregory fu nominato Chevalier officier de l'ordre des arts et des lettres de France.  Note  Il Sole 24 ore, 25 febbraio 2007  Morto Tullio Gregory, filosofo e storico della filosofia. Aveva 90 anni, su Corriere della Sera, 3 marzo .  Presidenza della Repubblica. Le onorificenze. Dettaglio decorato  Vincenzo Cappelletti, GREGORY, Tullio, in Enciclopedia Italiana, V Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1992, tullio-gregory.  Tullio Gregory, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Tullio Gregory, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Tullio Gregory, .  Registrazioni di Tullio Gregory, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.  Cenni biografici e pubblicazioni dal sito dell'Università La SapienzaRoma. Pagina personale nel sito di ILIESI., su iliesi.cnr.it. Archivio Tullio Gregory.

 

Grice, H. P. “A Philosophical Grand Tour to Italyin search of Vico!” --.

 

Griffero: Tonino Griffero (Asti), filosofo. Professore di estetica a Roma "Tor Vergata".  Ha studiato presso l'Torino, dove si è laureato in filosofia sotto la guida di Vattimo con una tesi sull'ermeneutica di E. D. Hirsch.  Insegnante nelle scuole superiori, ha conseguito il dottorato a Bologna e condotto una ricerca post-dottorato ad Heidelberg come Humboldt-Fellow. È stato ricercatore presso l'Vercelli, poi da professore associato di estetica presso l'Roma "Tor Vergata" e dal 2002 ivi Professore. È direttore di "Sensibilia. Colloquium on Perception and Experience" e del Master in "Comunicazione estetica e museale" (IAD-Roma "Tor Vergata), delle collane editoriali "Oltre lo sguardo. Itinerari di Filosofia" (Armando Editore, Roma, 2007-), "Percezioni. Estetica & Fenomenologia" (Christian Marinotti, Milano, dal ), "Sensibilia" (Mimesis, Milano dal 2007), della rivista "Lebenswelt. Aesthetics and Philosophy of Experience" , del blog "Atmospheric Spaces" (atmosphericspaces.wordpress.com/) e della collana "Atmospheric Spaces" (Mimesis International).  Durante la formazione, si dedica inizialmente allo studio di alcune figure e problemi della storia dell'ermeneutica, in particolare ai lavori di Emilio Betti (Interpretare. La teoria di Emilio Betti e il suo contesto, Rosemberg & Sellier, Torino 1988) e di Eduard Spranger (Spirito e forme di vita. La filosofia della cultura di Eduard Spranger, Franco Angeli, Milano 1990).  Come dottorando (1988/1992), si dedica al rapporto tra arte e mito nel pensiero di Schelling, scrivendo poi Senso e immagine. Simbolo e mito nel primo Schelling (Guerini & Associati, Milano 1994), Cosmo Arte Natura. Itinerari schellinghiani (Cuem, Milano 1995), nel quale si concentra sulle caratteristiche del primo real-idealismo di Schelling, e infine una ricostruzione dell'apporto dato da questo autore all'estetica filosofica, L'estetica di Schelling (Laterza, Roma-Bari).  La nozione di "immaginazione transitiva", è invece affrontata nel libro Immagini Attive. Breve storia dell'immaginazione transitiva (Le Monnier, Firenze, 2003). Il libro ricostruisce la storia della "credenza" secondo cui una fantasia particolarmente forte sarebbe in grado di agire, cambiando o addirittura generando la realtà esterna.  Nel libro Oetinger e Schelling. Teosofia e realismo biblico alle origini dell'Idealismo tedesco (Nike, Segrate 2000) analizza l'influenza di Friedrich Christoph Oetinger e del Pietismo Speculativo settecentesco sullo sviluppo del pensiero di Schelling. Il tema della "corporeità spirituale", che è per Oetinger il "fine ultimo delle opere di Dio", è ciò a cui si rifà anche lo Schelling nel suo periodo intermedio (teosofico). L'ampia storia del concetto di Geistleiblichkeit è esposta nella monografia Il corpo spirituale. Ontologie "sottili" da Paolo di Tarso a Friedrich Christoph Oetinger (Mimesis, Milano 2006).  La ricerca sulla fenomenologia del corpo e della percezione e l'estetica delle atmosfere è affrontata nel libro Atmosferologia. Estetica degli spazi emozionali (Laterza, Roma, ), tr. inglese di S. De Sanctis, Atmospheres. Aesthetics of Emotional Spaces (Ashgate, Farnham ).  Nel libro Quasi-cose. La realtà dei sentimenti (Bruno Mondadori, Milano ) Griffero indica e analizza sulla scorta dei un'estetica neofenomenologica i sentimenti atmosferici, il dolore, la vergogna, lo sguardo, il crepuscono, il corpo vissuto come quasi-cose, entità aggressive e decisive per la nostra esistenza senza essere riducibili al paradigma cosale tipico della tradizione occidentale  Il libro Il pensiero dei sensi. Atmosfere ed estetica patica (Guerini & Associati, Milano ) delinea, a partire dalla nozione estetico-neofenomenologica di “atmosfera”, i contorni di un'estetica orientata non allo gnosico ma al patico, che non tematizza oggetti speciali come le opere d'arte ma il modo in cui “ci si sente” quando ci si espone, soprattutto involontariamente, ai sentimenti presenti nell'ambiente circostante.  Il tema è ulteriormente sviluppato, esteso a considerazioni sull'atmosfericità dell'educazione e della politica, sulla presenza e la soggettività reinterpretate in chiave neofenomenologica nel libro Places, Affordances, Atmospheres. A Pathic Aesthetics (Routledge, London-New York ).  Libri Interpretare. La teoria di Emilio Betti e il suo contesto, prefazione di F. Moiso, Rosenberg & Sellier, Torino Spirito e forme di vita. La filosofia della cultura di Eduard Spranger, Franco Angeli, Milano 1990,  88-204-6387-3; Senso e immagine. Simbolo e mito nel primo Schelling, Guerini, Milano, Cosmo Arte Natura. Itinerari schellinghiani, Cuem, Milano,  L'estetica di Schelling, Laterza, Roma-Bari, Oetinger e Schelling. Teosofia e realismo biblico alle origini dell'idealismo tedesco, Nike, Segrate-Milano Immagini attive. Breve storia dell'immaginazione transitiva, Le Monnier, Firenze, Il corpo spirituale. Ontologie “sottili” da Paolo di Tarso a Friedrich Christoph Oetinger, Mimesis, Milano, Storia dell'estetica moderna, Edizioni Nuova Cultura, Roma Atmosferologia. Estetica degli spazi emozionali, Laterza, Rome-Bari, 2 ed. riveduta e con nuova pref., Mimesis, Milano-Udine , Quasi-cose. La realtà dei sentimenti, Bruno Mondadori, Rome, Atmospheres. Aesthetics of emotional spaces, Ashgate, Farnham , Il pensiero dei sensi. Atmosfere ed estetica patica, Guerini & Associati, Milano ,  Quasi-Things. The Paradigm of Atmospheres, Suny Press, New York , Places, Affordances, Atmospheres. A Pathic Aesthetics, Routledge, London-New York , Griffero, Facoltà di Scienze della Comunicazione, Roma Tor Vergata. , Atmospheric Spaces. Aura Stimmung Ambiance  completa http://dottoratostoriaefilosofiasociale.uniroma2.it/?p=  F

 

Grimaldi: Costantino Grimaldi (Cava de' Tirreni), filosofo. Nacque da nobile famiglia locale di origini genovesi. Compì i suoi studi avvicinandosi a Cartesio, di cui fu seguace e fece parte del gruppo chiamato degli epigoni dell'Accademia degli Investiganti (che comprendeva anche Giuseppe Valletta e Francesco D'Andrea). Fu anche famoso giurista e Consigliere Regio.  Scrisse numerose opere, raccolte poi in "Istoria dei libri di don Costantino Grimaldi. Scritta da lui medesimo". Tra quelle più note si possono elencare le Considerazioni intorno alle rendite ecclesiastiche del Regno di Napoli (Napoli 1708), le Discussioni istoriche teologiche e filosofiche (Lucca 1725), le Dissertazione sulle tre magie, naturale, artificiale e diabolica (Roma 1751, postumo).  Morì a Napoli nel 1750.  Il figlio Gregorio (1695-1767), noto giurista, gli dedicò "Ragioni genealogiche a' favore della Famiglia Grimaldi del Sig. Cons. D. Costantino Grimaldi. Colli signori Grimaldi di Seminara, e con quelli patrizj di Catanzaro" Altro suo figlio fu Ginesio, anch'egli noto giurista. F. A. Meschini, nel Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in , indica Napoli come città natale.  Memorie di un anticurialista del Settecento. Testo, introduzione note V.I. Comparato. Firenze, Olschki, Biblioteca dell'«Archivio storico italiano»,  15, 1964. 8vo,  xxiv-144. Franco Aurelio Meschini, «GRIMALDI, Costantino», in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 59, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2003.  Anticurialismo  Costantino Grimaldi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Costantino Grimaldi, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Costantino Grimaldi.

 

Grimaldi: Domenico Grimaldi (Seminara), filosofo. Esponente dell'illuminismo napoletano.  Francesco Mario Pagano. Nato in una famiglia aristocratica che faceva risalire le proprie origini alla nota famiglia di Genova, ricevette la prima educazione dal padre, il marchese Pio Grimaldi, un uomo colto che aveva cominciato a introdurre criteri di conduzione innovativi nelle sue proprietà terriere, peraltro non molto estese, di Seminara. Non essendo molto ricco, il padre lo avviò agli studi giuridici, in previsione di una possibile professione forense, all'Napoli. Nella capitale napoletana Domenico fu raggiunto dal fratello minore Francescantonio Grimaldi (1741-1784), fece parte con il fratello dell'Accademia dell'Arboscello, a cui appartenevano anche Domenico Diodati, Andrea Serrao e Andrea Leone, frequentò le lezioni di economia di Antonio Genovesi, e divenne amico di giovani intellettuali come Mario Pagano, Melchiorre Delfico e Antonio Jerocades.  Nel 1765 Domenico Grimaldi si trasferì a Genova, dove nel 1766 ottenne la riammissione nel patriziato della Repubblica di Genova, ottenendo così il permesso di esercitare alcune magistrature. In Liguria, tuttavia, Grimaldi ebbe modo di approfondire gli aspetti tecnici, economici e sociali legati all'agricoltura il cui studio lo spinse a viaggi in Francia, specie in Provenza, in Piemonte e in Svizzera. Si interessò in particolare alla colture dell'ulivo e del gelso per l'allevamento dei bachi da seta. Venne accolto fra l'altro nell'Accademia dei Georgofili, che premiò una memoria, nella Società economica di Berna, un centro di cultura fisiocratica, e nella Société royale d'agriculture di Parigi.  Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra  François Quesnay, maggior rappresentante della fisiocrazia Frutto delle sue ricerche fu il Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra (1770), esposizione di un piano che, partendo dalle condizioni di arretratezza dell'economia calabrese del XVIII secolo, secondo la dottrina fisiocratica, ne indica i mezzi atti a la trasformare situazione economica della Calabria. All'epoca il settore produttivo più importante era l'agricoltura in quanto i posti nell'industria erano pochi, le alternative limitate all'edilizia, ai lavori pubblici e al settore terziario; l'agricoltura era tuttavia quasi esclusivamente di sussistenza, e lo scarso reddito determinava un esodo massivo dalle campagne. Per Grimaldi l'ammodernamento dell'agricoltura e l'integrazione tra agricoltura e allevamento erano le condizioni prime per avviare la produzione industriale e il commercio. il successivo aumento del reddito agrario avrebbe dovuto essere reinvestito nell'industria tessile e in quelle serica, lattiero-casearia e olearia. La presenza di industrie avrebbe innescato un circolo virtuoso in quanto avrebbe potuto richiamare un afflusso di capitali per la ristrutturazione fondiaria e l'aumento delle dimensioni delle aziende agricole, con successiva formazione e sviluppo di attività miste agricolo-manifatturiere, specialmente alimentari, con impiego di mano d'opera locale.  L'imprenditore  Vecchio frantojo ligure dismesso Attorno al 1770 Grimaldi si impegnò a tradurre in pratica questi progetti, con l'aiuto finanziario del padre, impegnandosi nel miglioramento della coltivazione degli olivi, chiamate dalla Liguria maestranze e tecnici per creare a Seminara nuovi frantoi "alla genovese"; rese poi pubblici i progetti e i risultati delle sue innovazioni con un'opera del 1773, edita nuovamente nel 1777 con una dedica a Giuseppe Beccadelli, marchese della Sambuca.  Si dedicò più tardi, attorno al 1780, alla produzione della seta. Grimaldi, che inizialmente intendeva assegnare l'ammodernamento dell'agricoltura all'iniziativa privata, si rese conto che l'approccio utilizzato per l'ammodernamento dell'industria olearia (in questo caso, introduzione in Calabria della lavorazione della seta alla "piemontese") non sarebbe stato sufficiente nella lavorazione della seta per ostacoli di natura fiscale nel regno di Napoli, ossia del dazio sulla seta calabrese. Diede pertanto inizio a vivace polemica nei confronti dei controlli oppressivi doganali e dei monopoli statali nei settori delle manifatture e del commercio.  Il politico  Sir John Acton La riflessione sull'influenza dello stato nel mercato della seta, diede avvio al dibattito sul problema della libertà nel commercio internazionale, in particolare nel commercio del grano che aveva assunto una notevole importanza dopo la carestia del 1764. Una delle proposte più importanti di Domenico Grimaldi fu la costituzione, nella Calabria Ultra, di società economiche concepite come centri promotori il miglioramento della tecnica agraria; ma la proposta non trovò il necessario sostegno né nei proprietari terrieri né nel clero. In seguito allargò lo sguardo dalla Calabria Ultra all'intero Regno, proponendo di svolgere un'attività conoscitiva sulla struttura economica del Regno mediante la predisposizione di piani di visite alle province napoletane affidati a ispettori di nomina regia, con proposte di azione sulle "cause fisiche" dell'arretratezza, principalmente la mancanza di strutture per l'irrigazione innanzitutto nelle Puglie, per le quali suggeriva il ricorso anche al lavoro coatto.   Gaetano Filangieri Grazie alla notorietà raggiunta con i suoi saggi Grimaldi fu nominato dal primo ministro John Acton assessore al neocostituito Supremo Consiglio delle Finanze assieme a Filangieri, Palmieri, Delfico e Galanti. Il terremoto del 1783, che causò gravi danni e lutti alla famiglia Grimaldi. Grimaldi fu favorevole all'istituzione della Cassa sacra, proponendo che ricostruzione fosse eseguita secondo un piano pubblico che prevedesse iniziative strutturali per l'ammodernamento della produzione agricola e industriale. Si adoperò per l'apertura a Reggio Calabria di un istituto professionale nel quale si insegnasse "l'arte di tirar la seta alla piemontese"; la scuola, diretta dal Grimaldi, ebbe un certo successo, ma venne chiusa nel 1786.  L'interruzione negli anni novanta dell'attività riformatrice di Ferdinando IV di Napoli in seguito alla crisi collegata alla rivoluzione francese comportò un atteggiamento di sospetto, da parte del governo napoletano, nei confronti dell'intellettualità progressista. A Grimaldi venne rifiutata la nomina, proposta dal Galanti, di presidente della costituenda Società patriottica per la Calabria in quanto massone. Nel dicembre 1798 fu addirittura arrestato, come gran parte dei massoni reggini (una cinquantina circa) in seguito all'assassinio del governatore di Reggio, Giovanni Pinelli, avvenuto il 12 settembre 1797, e trasferito nel carcere di Messina dove si trovava alla nascita della Repubblica Napoletana (1799). Suo figlio Francescantonio aderì alla Repubblica Napoletana e fu giustiziato il 22 ottobre 1799.  Opere Memoria diretta all'Accademia de' Gergofili da Genova, 12 settembre 1766, sopra di una certa specie di pianta pratense chiamata sulla, Firenze, 1768. Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra, Napoli: presso Vincenzo Orsini, 1770 Istruzione sulla nuova manifattura dell'olio introdotta nella Calabria, In Napoli: presso Raffaele Lanciano, 1773 Osservazioni economiche sopra la manifattura e commercio delle sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scritte dal marchese Domenico Grimaldi; con alcune riflessioni critiche sopra del Bando delle Sete del 1754, Napoli: presso Giuseppe Maria Porcelli, 1780 Piano di riforma per la pubblica economia delle provincie del Regno di Napoli, e per l'agricoltura delle Due Sicilie, scritto dal marchese d. Domenico Grimaldi,, Napoli: presso Giuseppe Maria Porcelli librajo, 1780 (Rist. anastatica, Cosenza: Brenner, 1992) Piano per impiegare utilmente i forzati, e col loro travaglio assicurare ed accrescere le raccolte del grano nella Puglia, e nelle altre provincie del Regno scritto dal marchese d. Domenico Grimaldi di Messimeri patrizio genovese.., Napoli: a spese di Giuseppe-Maria Porcelli, Memoria del marchese Domenico Grimaldi di Messimeri patrizio genovese, diretta al supremo consiglio di finanze per lo ristabilimento dell'industria olearia, e dell'agricoltura nelle Calabrie, ed altre provincie del Regno di Napoli, Napoli: presso Giuseppe-Maria Porcelli, Memoria sulla economia olearia antica e moderna e sull'antico frantoio da olio trovato negli scavamenti di Stabia, In Napoli: nella Stamperia Reale, 1783 (Cosenza: L. Pellegrini, 2000) Relazione d'un disimpegno fatto nella Ulteriore Calabria con alcune osservazioni economiche relative a quella provincia, Napoli: Giuseppe Maria Porcelli, 1785 Note  Franco Venturi , Illuministi italiani,  V: Riformatori napoletani, Napoli : Ricciardi571 e segg., Antonio Piromalli, La letteratura calabrese,  I, Dalle origini al posivitismo, Cosenza : LPE,  (Google Libri)  Istruzioni sulla nuova manifattura dell'olio introdotta nel Regno di Napoli dal marchese Domenico Grimaldi di Messimeri patrizio genovese, socio ordinario, e corrispondente dell'Accademia de' Georgofili di Firenze, della Società di Agricoltura di Parigi, e di Berna, In Napoli : presso Vincenzo Orsini, a spese di Giuseppe Maria Porcelli, Osservazioni economiche sopra la manifattura e commercio delle sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scritte dal marchese Domenico Grimaldi, con alcune riflessioni critiche sopra del Bando delle Sete del 1754, Napoli : Porcelli, 1780  Relazione d'un disimpegno fatto nella Ulteriore Calabria con alcune osservazioni economiche relative a quella provincia, Napoli : Porcelli, 1785  Piano di riforma per la pubblica economia delle provincie del Regno di Napoli, e per l'agricoltura delle Due Sicilie, scritto dal marchese don Domenico Grimaldi, Napoli : Porcelli, 1780; ristampa anastatica, Cosenza : Brenner, 1992  Piano per impiegare utilmente i forzati, e col loro travaglio assicurare ed accrescere le raccolte del grano nella Puglia, e nelle altre provincie del Regno scritto dal marchese don Domenico Grimaldi di Messimeri patrizio genovese, Napoli : Porcelli, 1781  Relazione d'una scuola da tirar la seta alla piemontese stabilita in Reggio per ordine di Sua Maestà, sotto la direzione del M. Grimaldi, e l'approvazione del Vicario generale delle Calabrie don Francesco Pignatelli, Messina per Giuseppe di Stefano 1785. L'opera apparve anonima ed è attribuita a Domenico Grimaldi dal Melzi (Gaetano Melzi, Note bibliografiche del fu D. Gaetano Melzi, edite per cura di un bibliofilo milanese con altre notizie,  2: H-R, Milano : Tip. Bernardoni)  Giuseppe Maria Galanti, Giornale di viaggio in Calabria; introduzione di Luca Addante, Soveria Mannelli : Rubbettino, A. Ubbidiente, Il pensiero e l'opera di Domenico e Francescantonio Grimaldi. Testi di Laurea. Università degli Studi di Salerno, Facoltà di Magistero. 1986. M.L. Perna, «GRIMALDI, Domenico». In: Dizionario Biografico degli Italiani,  LIX, Roma: Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1998. A. Basile, «Un illuminista calabrese: Domenico Grimaldi da Seminar»a, in: Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, Gaetano Cingari, Giacobini e Sanfedisti in Calabria, Reggio Cal., "Casa del libro", Cesare Morisani, Massoni e Giacobini a Reggio Calabria,  Reggio Cal., F. Morello,  Domenico Romeo, Alcune precisazioni su Domenico Grimaldi: un riformatore Calabrese del '700, in "Historica", Antonio Piromalli , L'attualità del pensiero e delle opere del marchese Domenico Grimaldi, Cosenza: L. Pellegrini, Domenico Luciano , Domenico Grimaldi e la Calabria nel '700, Salerno, Beniamino Carucci. Grimaldi, Domenico la voce nella Treccani.it L'Enciclopedia Italiana.

 

Grimaldi: Francescantonio Grimaldi (Seminara), filosofo. Eponente dell'illuminismo italiano. Nato in una famiglia aristocratica che faceva risalire le proprie origini alla nota famiglia di Genova, dei principi di Monaco, ricevette la prima educazione dal padre, il marchese Pio Grimaldi di Seminara, un uomo colto che aveva cominciato a introdurre criteri di conduzione innovativi nelle sue proprietà terriere (peraltro non molto estese). Non essendo molto ricco, il padre lo avviò agli studi giuridici in previsione di una possibile professione forense. Francescantonio fu pertanto inviato a Napoli, dove si trovava già il fratello maggiore Domenico; all'Università conobbe il filosofo Antonio Genovesi e gli allievi di quest'ultimo.  Esercitò per poco tempo la professione di avvocato, che abbandonò presto per dedicarsi ai grandi problemi sociali e intellettuali dell'età dei lumi. Se il riformismo di Giannone, per il suo carattere politico, aveva concentrato l'interesse speculativo sui rapporti fra lo Stato e la Chiesa, la scuola di Genovesi lo spostò dal campo giusnaturalistico a quello economico-sociale nel tentativo di indagare sulle cause dell'arretratezza del Mezzogiorno.  Come il fratello Domenico, che nel frattempo si trasferito a Genova ed era stato accolto nel patriziato locale, anche Francescantonio Grimaldi cominciò a interessarsi alle vicende culturali e politiche della Repubblica di Genova: volle anch'egli essere iscritto fra i patrizi di quella città, esprimendo la convinzione che l'aristocrazia genovese avrebbe dovuto riprendere la funzione, svolta nei secoli precedenti, di classe dirigente della Repubblica. La sua cultura giuridica fu alla base della prima opera, in lingua latina, dedicata al diritto testamentario nel mondo classico. Fu pertanto fautore, all'opposto degli altri illuministi, del Fedecommesso, istituzione risalente alla Roma antica e prediletta dalla classe aristocratica.  Nel 1775 Francescantonio Grimaldi divenne maestro venerabile della loggia massonica Humanité, di rito francese, mentre alcuni fra i suoi più cari amici (per es., Domenico Cirillo, Francesco Longano, Francesco Mario Pagano, Gaetano Filangieri) aderivano a logge di rito inglese.  Nel 1777 Francescantonio Grimaldi si dedicherà ad analizzare la questione dell'etica. Partendo dalla filosofia antica, egli cercò di analizzare il rapporto fra l'uomo e la società. Al di fuori della società l'uomo, in balia dei "sentimenti fisici", diventerebbe un bruto. Tali riflessioni saranno approfondite nel "Saggio sull'ineguaglianza umana" apparso in tre volumi negli anni 1779-1780. In opposizione al pensiero non solo di Morelly e Rousseau, ma anche degli altri illuministi napoletani quali Filangieri, Longano e Pagano, Grimaldi sostenne che, in natura, gli uomini non erano uguali e che le differenze, sia fisiche che morali, avevano origini soprattutto ambientali (per es., il clima, la diffusione delle malattie). La società era non uno stato di corruzione, ma lo stato "naturale" dell'uomo. La struttura gerarchica dell'Ancien Régime era giustificata dall'ineguaglianza degli uomini. La stessa educazione dei popoli non sarebbe riuscita ad appianare tali disuguaglianze.  L'ultima grande opera del Grimaldi furono gli Annali del Regno di Napoli, un'opera storiografica sul modello degli Annali d'Italia del Muratori. Grimaldi pubblicò i primi cinque tomi; la morte gli impedì di completare l'opera che fu proseguita per altri tre tomi dall'amico Giuseppe Cestari, il futuro autore della Costituzione repubblicana del 1799.  L'ultima attività del Grimaldi fu la Descrizione de' tremuoti accaduti nella Calabria nel 1783, in seguito al terremoto del 1783, pubblicata postuma Cestari, il quale nell'introduzione anonima "Lettera a un amico" diede notizia della morte del Grimaldi.  Opere Francisci AntonI Grimaldi, De successionibus legitimis in vrbe Neapolitana systema. Pars prima in qua ius Graecum Neapolitanum vetus, & ius omne Romanum a 12 tabulis ad Iustinianum vsque absolutissime expenditur, Neapoli: ex typographia Simoniana, 1766 Lettera sopra la musica all'eccellentissimo signore Agostino Lomellini già doge della serenissima repubblica di Genova, Napoli,  La vita di Ansaldo Grimaldi patrizio genovese, illustrata con riflessioni politiche, e morali, e con una brieve narrazione del governo politico della Repubblica di Genova dalla sua origine insino all'anno 1528, In Napoli: nella Stamperia Raimondiana, 1769 La vita di Diogene Cinico scritta da Francescantonio Grimaldi, In Napoli: nella stamperia di Vincenzo Mazzola-Vocola, 1777 Riflessioni sopra l'ineguaglianza fra gli uomini. Di Francescantonio Grimaldi. Parte I-III, In Napoli: presso Vincenzo Mazzola-Vocola, impressore di sua maestà, 1779-1780 (Franco Crispini, Vibo Valentia : Sistema Bibliotecario Vibonese, 2000) Annali del Regno di Napoli di Francescantonio Grimaldi dedicati a Ferdinando IV. re delle Due Sicilie. Epoca I. Dal primo anno dell'edificazione di Roma sino alla fine del quarto secolo dell'era cristiana., Napoli : presso Giuseppe-Maria Porcelli librajo, 1781 Annali del Regno di Napoli di Francescantonio Grimaldi. Epoca II. Dall'anno 409. dell'era volgare, sino all'anno 1211, Napoli : presso Giuseppe-Maria Porcelli librajo, 1783 Descrizione de' tremuoti accaduti nelle Calabrie nel 1783, opera postuma di Francesco Antonio Grimaldi, Napoli : presso Giuseppe-Maria Porcelli, 1784 (Saverio Napolitano, Bordighera: Manago, 1984) Note  La vita di Ansaldo Grimaldi patrizio genovese, Napoli : Raimondiana, 1769  De successionibus legitimis in urbe Neapolitana, Neapoli : Simoniana, 1766  Nico Perrone, La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione. Con la corrispondenza massonica e altri documenti, Palermo, Sellerio, 2006174.  La vita di Diogene Cinico, Napoli : Mazzola-Vocola, 1777  Fulvio Tessitore, «Francesco Antonio Grimaldi e l'ineguaglianza». In : Fulvio Tessitore, Nuovi contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, Roma : Edizioni di storia e letteratura, (Google Libri)  M. A. Tallarico, «CESTARI (Cestaro), Giuseppe». In :  XXIV, Roma : Istituto dell'Enciclopedia Italiana,   Franco Crispini, Appartenenze illuministiche : i calabresi Francesco Saverio Salfi e Francesco Antonio Grimaldi, Cosenza: Klipper, 2 M.L. Perna, «GRIMALDI, Francescantonio». In: Dizionario Biografico degli Italiani,  LIX, Roma: Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1998 (on-line) Giuseppe Boccanera, «Grimaldi Francesc'Antonio». In: Emilio Amedeo De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo 18., e de' contemporanei, compilata da letterati italiani di ogni provincia e pubblicata per cura del professore Emilio De Tipaldo,  VII, Venezia : dalla tipografia di Alvisopoli, 1840,  94-97 (on-line) Melchiorre Delfico, Elogio del marchese don Francescantonio Grimaldi dei signori di Messimeri, patrizio di Genova e assessore di Guerra e Marina, In Napoli : presso Vincenzo Orsino (ristampato in Opere complete di Melchiorre Delfico, a cura dei professori Giacinto Pannella e Luigi Savorini,  III, Teramo: Giovanni Fabbri, 1904,  223-260). Roberto Ubbidiente, Il pensiero e l'opera di Domenico e Francescantonio Grimaldi. Tesi di Laurea in Filosofia italiana. Università degli Studi di Salerno, Facoltà di Magistero, 1986.  Francescantonio Grimaldi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.

 

Gruppi:  Luciano Gruppi (1903), filosofo. Il concetto di egemonia in Gramsci Incipit Antonio Gramsci è senza alcun dubbio quello che, tra i teorici del marxismo, ha maggiormente insistito sul concetto di egemonia; e lo ha fatto in modo particolare richiamandosi a Lenin. Anzi, direi che, se vogliamo vedere il punto di contatto più costante, più scavato, di Gramsci con Lenin, questo mi pare essere il concetto di egemonia. L'egemonia è il punto di approccio di Gramsci con Lenin.  Citazioni La scienza si ha quando si supera il dato immediato, l'apparenza; si ha con un salto dialettico. (p. 43) In tutte le analisi che Gramsci conduce, io trovo la presenza di un filo rosso che le guida, presente in tutti i Quaderni. (p. 84)  Luciano Gruppi, Il concetto di egemonia in Gramsci, Editori Riuniti, Roma 1972. Altri progetti Collabora a   contiene una voce riguardante Luciano Gruppi Viso del David Questa voce è solo un abbozzo. Se puoi, contribuisci a migliorarla. Puzzle stub.svg

 

grundnorm: Grice knows about the ground and the common groundand then there’s the ground norm -- also called basic norm, in a legal system, the norm that determines the legal validity of all other norms. The content of such an ultimate norm may provide, e.g., that norms created by a legislature or by a court are legally valid. The validity of such an ultimate norm cannot be established as a matter of social fact such as the social fact that the norm is accepted by some group within a society. Rather, the validity of the basic norm for any given legal system must be presupposed by the validity of the norms that it legitimates as laws. The idea of a basic norm is associated with the legal philosopher Hans Kelsen. 

 

Guastella: Cosmo Guastella (Misilmeri), filosofo. Nato in un comune dell'attuale area metropolitana di Palermo, da Vincenzo farmacista e da Marianna Piazza, uno dei quattro figli della coppia, ancorché di famiglia borghese non ebbe un'infanzia agiata e studiò con l'ausilio di borse di studio fino a laurearsi in giurisprudenza, presso l'Palermo, nel luglio 1878. È ritenuto il capostipite del fenomenismo. Insegnò per poco tempo al liceo Garibaldi di Palermo e poi ad Acireale. Fu professore di filosofia morale e tenne la cattedra di filosofia teoretica all'Palermo.  Scrisse, tra le altre opere, Saggi sulla teoria della conoscenza, tre volumi, (1877-1905), Filosofia della metafisica, due volumi, (1905) e Le ragioni del fenomenismo, tre volumi, (1921-1922).  Collaboratore di Giuseppe Amato Pojero, partecipò fin dalla fondazione alla vita della Biblioteca filosofica. Ebbe rapporti con Franz Brentano (1838-1917), filosofo, psicologo ed ex sacerdote tedesco. La sua dottrina sul fenomenismo è molto diffusa ed apprezzata anche in Germania.  Una scuola secondaria di primo grado, nel comune natale, porta il suo nome .  Note  Scuola Secondaria di I Grado “Cosmo Guastella”, su scuolamediaguastella.it. 6 novembre  29 ottobre ).  Domenico Tubiolo, Cosmo Guastella in sito Comune di Misilmeri, sezione Cultura. Angela Taraborrelli, «GUASTELLA, Cosmo» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 60, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2003. , «Guastella, Cosmo» in Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009.  Fenomenismo  Cosmo Guastella, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Cosmo Guastella, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Cosmo Guastella, . Filosofia Filosofo del XIX secoloFilosofi italiani Professore1854 1922 28 gennaioMorti l'11 settembre Misilmeri PalermoProfessori dell'Università degli Studi di Palermo Menu di navigazione Accesso non effettuatodiscussionicontributiregistratientra VoceDiscussione LeggiModificaModifica wikitestoCronologiaRicerca Cerca in  Pagina principale Ultime modifiche Una voce a caso Nelle vicinanze Vetrina Aiuto Sportello informazioni Comunità  Comunità Bar Il

 

Guicciardini.  Ritratto di francesco guicciardini.. Ambasciatore della Repubblica di Firenze in Spagna Durata mandato           17 ottobre 1511ottobre 1513 Capo di StatoPier Soderini (Repubblica) Cardinale Giovanni de' Medici (Signoria)  Membro del consiglio degli Otto di Guardia e Balia Durata mandato14 agosto 1514ottobre 1515 MonarcaGiuliano di Lorenzo de' Medici Lorenzo di Piero de' Medici  Membro della Signoria di Firenze Durata mandatosettembre 1515ottobre 1515 MonarcaGiuliano di Lorenzo de' Medici Commissario pontificio di Modena Durata mandato5 aprile 15164 maggio 1519 MonarcaLorenzo di Piero de' Medici Commissario generale dell'esercito dello Stato Pontificio Durata mandato12 luglio 152125 dicembre 1523 MonarcaLeone X Adriano VI  Presidente della Romagna Pontificia Durata mandato19 marzo 15231526 MonarcaAdriano VI Clemente VII  Dati generali Titolo di studioLaurea in diritto civile UniversitàPisa ProfessioneAvvocato  Statua di Francesco Guicciardini, Galleria degli Uffizi, Firenze. Francesco Guicciardini (Firenze), filosofo. Dettaglio della statua del Guicciardini. Francesco Guicciardini nacque a Firenze il 6 marzo 1483, terzogenito dei Guicciardini, famiglia tra le più fedeli al governo mediceo. Dopo una prima formazione umanistica in ambito familiare dedicata alla lettura dei grandi storici dell'antichità (Senofonte, Tucidide, Livio, Tacito), studiò a Firenze giurisprudenza, seguendo le lezioni del celebre Francesco Pepi. Dal 1500 soggiornò a Ferrara per circa due anni, per poi trasferirsi a Padova per seguire le lezioni di docenti di maggior importanza. Rientrato a Firenze nel 1505, vi esercitò, sebbene non fosse ancora laureato, l'incarico di istituzioni di diritto civile; nel novembre dello stesso anno ottenne il dottorato in ius civile ed iniziò la sua carriera forense.  Nel 1506 si concluse la sua attività accademica; nel frattempo, contrasse matrimonio, contro il volere paterno, con Maria Salviati, figlia di Alamanno Salviati e appartenente ad una famiglia politicamente esposta ed apertamente contraria a Pier Soderini, all'epoca gonfaloniere a vita di Firenze. Guicciardini si curò poco di queste rivalità, in quanto il suo interesse principale era avere un futuro ruolo politico, alla luce soprattutto del prestigio di cui godeva la famiglia della moglie, che avrebbe potuto avere per lui un effetto positivo.  Questo matrimonio infatti funse per lui da trampolino di lancio, garantendogli una brillante e rapida ascesa politica: con l'aiuto del suocero fu nominato tra i capitani dello Spedale del Ceppo, una carica non molto significativa di per sé, ma prestigiosa in quanto a membri insigniti dell'onorificenza. Nel 1508 curò l'istruttoria contro il podestà Piero Ludovico da Fano, iniziando la stesura delle Storie fiorentine e dei Ricordi. Esattamente dieci anni prima, ossia con l'anno 1498, si chiudono quelle Cronache forlivesi di Leone Cobelli che espongono le premesse degli avvenimenti riguardanti Caterina Sforza e Cesare Borgia di cui Guicciardini si occupa, nelle sue Storie, per i notevoli riflessi che hanno sulla politica fiorentina.  Nel 1509, in occasione della guerra contro Pisa, venne chiamato a pratica dalla signoria, ottenendo, grazie all'aiuto del Salviati, l'avvocatura del capitolo di Santa Liberata. Questi progressi portarono il Guicciardini anche ad una rapida ascesa nella politica internazionale, ricevendo dalla Repubblica Fiorentina l'incarico di ambasciatore in Spagna presso Ferdinando il Cattolico nel 1512. Da questa sua esperienza nell'attività diplomatica nacque la Relazione di Spagna, una lucida analisi delle condizioni socio-politiche della Penisola Iberica e anche il "Discorso di Logrogno", un'opera di teoria politica in cui Guicciardini sostiene una riforma in senso aristocratico della Repubblica fiorentina.  Nel 1513 fece ritorno a Firenze, dove da circa un anno era stata restaurata la Signoria Medicea con l'appoggio dell'esercito ispano-pontificio. Dal 1514 fece parte degli Otto di Guardia e Balia e nel 1515 entrò a far parte della signoria, divenendo, grazie ai suoi servigi resi ai Medici, avvocato concistoriale e governatore di Modena nel 1516, con la salita al soglio pontificio di Giovanni de' Medici, col nome di Leone X. Il suo ruolo di primo piano nella politica emiliano-romagnola si rinforzò notevolmente nel 1517, con la nomina a governatore di Reggio Emilia e di Parma, proprio nel periodo del delicato conflitto franco-imperiale. Fu nominato nel 1521 commissario generale dell'esercito pontificio, alleato di Carlo V contro i francesi; in questo periodo maturò quell'esperienza che sarebbe stata cruciale nella redazione dei suoi Ricordi e della Storia d'Italia.  Alla morte di Leone X, avvenuta nel 1521, Guicciardini si trovò a contrastare l'assedio di Parma, argomento trattato nella Relazione della difesa di Parma. Dopo l'assunzione al papato di Giulio de' Medici, col nome di Clemente VII, venne inviato a governare la Romagna, una terra agitata dalle lotte tra le famiglie più potenti; qui Guicciardini diede ampio sfoggio delle sue notevoli abilità diplomatiche.  Per contrastare lo strapotere di Carlo V, propagandò un'alleanza fra gli stati regionali allora presenti in Italia e la Francia, in modo da salvaguardare in un certo qual modo l'indipendenza della penisola. L'accordo fu sottoscritto a Cognac nel 1526, ma si rivelò ben presto fallimentare; di questo periodo è il Dialogo del reggimento di Firenze, in due libri, scritti fra il 1521 e il 1526, in cui si ripropone il modello della repubblica aristocratica; nel 1527 la Lega subì una cocente disfatta e Roma fu messa al sacco dai Lanzichenecchi, mentre a Firenze veniva instaurata (per la terza ed ultima volta) la repubblica. Coinvolto in queste vicissitudini, e visto con diffidenza dai repubblicani per i suoi trascorsi medicei, si ritirò in un volontario esilio nella sua villa di Finocchieto, nei pressi di Firenze. Qui compose due orazioni, l'Oratio accusatoria e la defensoria, ed una Lettera Consolatoria, che segue il modello dell'oratio ficta, nella quale espose le accuse imputabili alla sua condotta con le adeguate confutazioni, e finse di ricevere consolazioni da un amico. Nel 1529 scrisse le Considerazioni intorno ai "Discorsi" del Machiavelli "sopra la prima deca di Tito Livio", in cui accese una polemica nei confronti della mentalità pessimistica dell'illustre concittadino. In questi mesi completa anche la redazione definitiva dei Ricordi.  Dopo la confisca dei beni, nel 1529 lasciò Firenze e ritornò a Roma, per rimettersi di nuovo al servizio di Clemente VII, che gli offrì l'incarico di diplomatico a Bologna. Dopo il rientro dei Medici a Firenze (1531), fu accolto alla corte medicea come consigliere del duca Alessandro e scrisse i Discorsi del modo di riformare lo stato dopo la caduta della Repubblica e di assicurarlo al duca Alessandro; non fu tenuto tuttavia in altrettanta considerazione dal successore di Alessandro, Cosimo I, che lo lasciò in disparte. Guicciardini allora si ritirò nella sua villa di Santa Margherita in Montici ad Arcetri, dove trascorse i suoi ultimi anni dedicandosi alla letteratura: riordinò i Ricordi politici e civili, raccolse i suoi Discorsi politici e soprattutto scrisse la Storia d'Italia. Morì ad Arcetri nel 1540, quando da circa due anni si era ormai ritirato a vita privata.  Il pensiero politico Questa voce non è neutrale! La neutralità di questa voce o sezione sugli argomenti storia e politica è stata messa in dubbio. Motivo: Fatta eccezione per il primo paragrafo, il testo esprime opinioni di parte e non supportate da fonti Per contribuire, correggi i toni enfatici o di parte e partecipa alla discussione. Non rimuovere questo avviso finché la disputa non è risolta. Segui i suggerimenti dei progetti di riferimento 1, 2. Guicciardini è noto soprattutto per la Storia d'Italia, vasto e dettagliato affresco delle vicende italiane tra il 1494 (anno della discesa in italia del Re francese Carlo VIII) e il 1534 (anno della morte di Papa Clemente VII) e capolavoro della storiografia della prima epoca moderna e della storiografia scientifica in generale. Come tale, è un monumento al ceto intellettuale italiano del XVI secolo, e più specificamente alla scuola fiorentina di storici filosofici (o politici) di cui fecero parte anche Niccolò Machiavelli, Bernardo Segni, Pitti, Jacopo Nardi, Benedetto Varchi, Francesco Vettori e Donato Giannotti.  L'opera districa la rete attorcigliata della politica degli stati italiani del Rinascimento con pazienza ed intuito. L'autore volutamente si pone come spettatore imparziale, come critico freddo e curioso, raggiungendo risultati eccellenti come analista e pensatore (anche se più debole è la comprensione delle forze in gioco nel più vasto quadro europeo).  Guicciardini è l'uomo dei programmi che mutano "per la varietà delle circunstanze" per cui al saggio è richiesta la discrezione (Ricordi, 6), ovvero la capacità di percepire "con buono e perspicace occhio" tutti gli elementi da cui si determina la varietà delle circostanze. La realtà non è quindi costituita da leggi universali immutabili come per Machiavelli. Altro concetto saliente del pensiero guicciardiniano è il particulare (Ricordi, 28) a cui si deve attenere il saggio, cioè il proprio interesse inteso nel suo significato più nobile come realizzazione piena della propria intelligenza e della propria capacità di agire a favore di se stesso e dello stato. In altre parole il particulare non va inteso egoisticamente, come un invito a prendere in considerazione solamente l'interesse personale, ma come un invito a considerare pragmaticamente quanto ognuno può effettivamente realizzare nella specifica situazione in cui si trova (pensiero che collima con quello di Machiavelli).  In netta polemica con Francesco Guicciardini, per alcuni passi della Storia d'Italia, Jacopo Pitti scrisse l'opuscolo Apologia dei Cappucci (1570-1575), a difesa della fazione dei democratici, soprannominati i Cappucci.  Fortuna Guicciardini è considerato il progenitore della storiografia moderna, per il suo pionieristico impiego di documenti ufficiali a fini di verifica della sua Storia d'Italia.  Fino al 1857 la reputazione di Guicciardini poggiava sulla Storia d'Italia e su alcuni estratti dai suoi aforismi. Nel 1857 i suoi discendenti, i conti Piero e Luigi Guicciardini, aprirono gli archivi di famiglia e diedero incarico a Giuseppe Canestrini di pubblicare, in 10 volumi, le sue memorie.  Negli anni dal 1938 al 1972 furono pubblicati i suoi Carteggi, che contribuirono in modo determinante ad un'accurata conoscenza della sua personalità.  La critica secentesca  Antoon van Dyck, Ritratto equestre di Anton Giulio Brignole Sale, 1627 «L’angolo di prospettiva dal quale si prese a considerare, nella prima metà del secolo XVII, l’opera guicciardiniana, la posizione di questa nel giudizio dei lettori secenteschi, sono bene indicati da uno spirito acuto dell’epoca, A. G. Brignole Sale (1636): «quindi non per altro, a mio giudizio, porta pregio il Guicciardini sopra il Giovio, sol che questi, qual pittor gentile, de’ soggetti ch’egli ha per le mani colorisce agli occhi altrui con vivacissimi ritratti, senza inviscerarsi, la superficie, quegli per contrario, qual esperto notomista, trascurando anzi dilacerando la vaghezza della pelle, vien con l’acutezza della sua sagacità fino a mostrarci il cuore e il cervello de’ famosi personaggi ben penetrato». All’affiatamento con lo spirito dell’opera guicciardiniana si accompagnò, sul piano letterario, una migliore intelligenza del suo stile, di cui si cominciò ad ammirare, superando le pedanti riserve linguistiche, la scorrevolezza, l’intima misura e precisione pur nel tono sostenuto. Tuttavia, proprio dal più accreditato esponente letterario del tacitismo, T. Boccalini (1612), fu formulato un giudizio tra i meno benevoli alla Storia.»  Il giudizio di Francesco De Sanctis  Copertina di un'antica edizione della Storia d'Italia Francesco De Sanctis non ebbe simpatia per Guicciardini ed infatti non nascose di apprezzare maggiormente il Machiavelli. Nella sua Storia della letteratura italiana il critico irpino mise in evidenza come Guicciardini fosse, sì, in linea con le aspirazioni di Machiavelli, ma se il secondo agì in linea con i suoi ideali, il primo invece "non metterebbe un dito a realizzarli". Sempre nella sua Storia della letteratura italiana De Sanctis affermò: “Il dio del Guicciardini è il suo particolare. Ed è un dio non meno assorbente che il Dio degli ascetici, o lo stato del Machiavelli. Tutti gli ideali scompaiono. Ogni vincolo religioso, morale, politico, che tiene insieme un popolo, è spezzato. Non rimane sulla scena del mondo che l'individuo. Ciascuno per sé, verso e contro tutti. Questo non è più corruzione, contro la quale si gridi: è saviezza, è dottrina predicata e inculcata, è l'arte della vita”.  E poco più in basso aggiunse: "Questa base intellettuale è quella medesima del Machiavelli, l'esperienza e l'osservazione, il fatto e lo «speculare» o l'osservare. Né altro è il sistema. Il Guicciardini nega tutto quello che il Machiavelli nega, e in forma anche più recisa, e ammette quello che è più logico e più conseguente. Poiché la base è il mondo com'è, crede un'illusione a volerlo riformare, e volergli dare le gambe di cavallo, quando esso le ha di asino, e lo piglia com'è e vi si acconcia, e ne fa la sua regola e il suo istrumento".  Nel Romanticismo, la mancanza di evidenti passioni per l'oggetto dell'opera era infatti vista come un grave difetto, nei confronti sia del lettore che dell'arte letteraria. A ciò si aggiunga che il Guicciardini vale più come analista e pensatore che come scrittore. Lo stile è infatti prolisso, preciso a prezzo di circonlocuzioni e di perdita del senso generale della narrazione. "Qualsiasi oggetto egli tocchi, giace già cadavere sul tavolo delle autopsie".  Le opere  Scritti autobiografici e rari, Laterza, 1936 Storie fiorentine (dal 1508 al 1509), rimasta inedita fino al 1859 Discorso di Logrogno (1512) Considerazioni sui Discorsi del Machiavelli, (15271529) Ricordi politici e civili Dialogo del Reggimento di Firenze (dal 1521 al 1526) Storia d'Italia (dal 1537 al 1540) Scritti inediti sopra la politica di Clemente VII dopo la battaglia di PaviaGuicciardini , Firenze, Olschki, 1940. Le cose fiorentine, R. Ridolfi , Firenze, Olschki, 1945. Carteggi, 17 voll., 1938-72 (voll. 1-2 presso Zanichelli, Bologna;  3 presso Istituto per gli studi di politica internazionale, Firenze;  4 presso Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea, Roma; voll. 5-17 presso P. G. Ricci, Roma) Note  "Donna di grandissimo animo e molto virile", secondo il Guicciardini (Storie fiorentine, cap. XIX).  Natalino Sapegno, Compendio di storia della letteratura italiana, La Nuova Italia, Firenze, 1963,  94-97.  A. G. BRIGNOLE-SALE, Tacito abburatato, Genova, 1643, Disc. IV133.  «Or chi non vedescriveva il Tassoniche questo è uno stil maestoso e nobile, quale appunto conviensi alla grandezza delle cose proposte e alla prudenza politica dell’Istorico che le tratta? e che non ostante i periodi sien tutti numerosi e sostenuti, per esser ben collocate le parole fra loro, e però l’ordine, e ’l senso facile e piano in maniera che ’l lettore non trova scabrosità né intoppi, come nello stil del Villani, che va saltellando e intoppando a ogni passo etc... ». A. TASSONI, Pensieri diversi, Venezia, 1665, libro IX324. Il legame del pensiero politico tassoniano con quello del Guicciardini (incluso, a differenza del Machiavelli, tra gli storici della «prima schiera» con Comines e Giovio, ossia considerato pari agli antichi; v. cap. XIII del libro X dei Pensieri) e del Machiavelli è noto: i due fiorentini, come dice il Fassò, furono «i due poli» a cui si volse la sua riflessione politica. (Introduz. a TASSONI, Opere, Milano-Roma, 194249).  T. BOCCALINI, Ragguagli di Parnaso e Pietra del paragone politico, I, Bari, 1910, Cent. I, ragg. VI.  Walter Binni, I classici italiani nella storia della critica: Da Dante al Marino, Nuova Italia, 1970,  493.  Testi Francesco Guicciardini, Dialogo e discorsi del reggimento di Firenze, Bari, Gius. Laterza & Figli, 1932. Francesco Guicciardini, Historia di Italia,  1, Pisa, presso Niccolò Capurro, 1819. Francesco Guicciardini, Historia di Italia,  2, Pisa, presso Niccolò Capurro, 1819. Francesco Guicciardini, Historia di Italia,  3, Pisa, presso Niccolò Capurro, 1819. Francesco Guicciardini, Historia di Italia,  4, Pisa, presso Niccolò Capurro, 1819. Francesco Guicciardini, Historia di Italia,  5, Pisa, presso Niccolò Capurro, 1819. Francesco Guicciardini, Historia di Italia,  6, Pisa, presso Niccolò Capurro, 1819. Francesco Guicciardini, Historia di Italia,  7, Pisa, presso Niccolò Capurro, 1819. Francesco Guicciardini, Historia di Italia,  8, Pisa, presso Niccolò Capurro, 1820. Francesco Guicciardini, Historia di Italia,  9, Pisa, presso Niccolò Capurro, 1820. Francesco Guicciardini, Historia di Italia,  10, Pisa, presso Niccolò Capurro, 1820. Francesco Guicciardini, Historia di Italia. Libri 1.-16., In Venetia, appresso Giorgio Angelieri, 1574. Francesco Guicciardini, Scritti autobiografici e rari, Bari, G. Laterza e Figli, 1936. Francesco Guicciardini, Scritti politici, Bari, G. Laterza, 1933. Francesco Guicciardini, Storia d'Italia,  1, Bari, G. Laterza, 1929. Francesco Guicciardini, Storia d'Italia,  2, Bari, G. Laterza, 1929. Francesco Guicciardini, Storia d'Italia,  3, Bari, G. Laterza, 1929. Francesco Guicciardini, Storia d'Italia,  4, Bari, G. Laterza, 1929. Francesco Guicciardini, Storia d'Italia,  5, Bari, G. Laterza, 1929. Francesco Guicciardini, Storie fiorentine dal 1378 al 1509, Bari, G. Laterza, 1931. Studi R. Ridolfi, 'Vita di Francesco Guicciardini', Milano 1982, Rusconi P. Treves, Il realismo politico di Francesco Guicciardini, Firenze, 1931 R. Ramat, Il Guicciardini e la tragedia d'Italia, Firenze 1953 V. De Caprariis, Francesco Guicciardini. Dalla politica alla storia, Napoli 1950 (ristampa Bologna 1993) G. Sasso, Per Francesco Guicciardini. Quattro studi, Roma 1985 E. Cutinelli-Rèndina, Guicciardini, Roma 2009  Famiglia Guicciardini Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Francesco Guicciardini Collabora a Wikiquote Citazionio su Francesco Guicciardini Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Francesco Guicciardini  Francesco Guicciardini, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Francesco Guicciardini, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Francesco Guicciardini, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, .  (IT, DE, FR) Francesco Guicciardini, su hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera. Francesco Guicciardini, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  Francesco Guicciardini, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Francesco Guicciardini, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.  Opere di Francesco Guicciardini, su Liber Liber.  Opere di Francesco Guicciardini, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Francesco Guicciardini / Francesco Guicciardini (altra versione), . Edmund Garratt Gardner, Francesco Guicciardini, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.  Propositioni, overo Considerationi in materia di cose di Stato, sotto titolo di Avvertimenti, Avvedimenti Civili, & Concetti Politici di Guicciardinii, Lottini, Sansovini, Venezia, Presso Altobello Salicato, 1583. Opere inedite di Francesco Guicciardini illustrate da Giuseppe Canestrini e pubblicate per cura dei conti Piero e Luigi Guicciardini, 10 voll., Firenze, Barbera, Bianchi e Comp., 1857-67:  1,  2,  3,  4,  5,  6,  7,  8,  9,  10. Opere, 9 voll., Bari, Gius. Laterza & figli, 1929-36:  1,  2,  3,  4,//bibliotecaitaliana.it/indice/visualizza_scheda/si150  5],  6,  7,  8,  9. PredecessoreGovernatore di ModenaSuccessore Giuliano de' Medici15161522PredecessoreGovernatore di Reggio EmiliaSuccessore 1517 PredecessoreGovernatore di ParmaSuccessore.

 

Guzzi: Marco Guzzi (Roma), filosofo. Ha trascorso l'adolescenza partecipando alla lotta politica studentesca, da allievo del Liceo classico statale Giulio Cesare, uno degli istituti scolastici superiori che più furono coinvolti nella contestazione giovanile dei primi anni settanta. Dopo aver conseguito la maturità classica nel 1973, si è laureato in giurisprudenza e successivamente anche in filosofia.  Ha coltivato in particolare l'interesse per la poesia e la filosofia tedesca, perfezionandosi presso le Friburgo in Brisgovia e Bonn. Le sue attività principali, nel campo culturale, hanno spaziato dalla partecipazione a trasmissioni radiofoniche culturali giovanili alla pubblicazione di numerose raccolte di poesia, alla redazione di numerosi saggi filosofici, in cui la filosofia contemporanea, in particolare heideggeriana, si coniuga a una profonda rimeditazione dei temi della teologia cattolica. A questa attività culturale, sviluppata anche in numerosi seminari tenuti, dal 1985 al 2002, come direttore dei seminari del Centro studi Eugenio Montale, si è affiancata la conduzione di trasmissioni radiofoniche per Radio RAI, fra le quali Dentro la sera, 3131, Lo specchio del cielo e Sognando il giorno.  Dal 1999 ha fondato e avviato l'esperienza dei Gruppi Darsi-pace, una ricerca sperimentale di liberazione interiore nell'orizzonte di una riconiugazione tra fede cristiana e modernità. Dal 2004 dirige la collana "Crocevia" presso le Edizioni Paoline.  Dal 2005 tiene corsi presso il "Claretianum", Istituto di Teologia della Vita Consacrata dell'Università Lateranense. Dal 2008 è professore invitato nella Facoltà di Scienze dell'Educazione dell'Università Pontificia Salesiana.  Nel 2009 Benedetto XVI lo ha nominato membro della Pontificia Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon.  Dal  scrive sul blog collettivo Vinonuovo.  Guzzi è sposato e ha tre figli.  La poesia La poetica di Guzzi, fin dall'inizio, si è concepita come un'esperienza spirituale, una ricerca di stati più dilatati della coscienza, sulla scia della linea che da Hölderlin, e attraverso Rimbaud, arriva fino al nostro migliore ermetismo. Di raccolta in raccolta, la scrittura è diventata sempre più limpida fino ad approdare a una concezione profetica e meditativa della scrittura in versi. La parola, da strumento di autoanalisi, diventa così veicolo dell'annuncio di una rivoluzione teo-cosmologica, oltre che di una svolta interiore:  Il mio confine è Dio. È spalancato. Non c'è cancello o argine, un respiro lega i miei colori ai suoi comandamenti.  Il mio confine è il mio promesso sposo.  Un bambinetto batte le manine, lancia coriandoli sul capo del risorto.  Il pensiero Sulla scia di questa evoluzione della sua poetica, la ricerca teoretica di Guzzi ha affrontato, in particolare nel saggio filosofico La svolta, significativamente sottotitolato "La fine della storia e la via del ritorno", il tema del cambiamento epocale che a suo avviso l'uomo è chiamato a conoscere e riconoscere, dentro e fuori di sé. Questo cambiamento comporta, secondo Guzzi, l'abbandono di tutte quelle resistenze che impediscono all'uomo di aprirsi all'ascolto del messaggio cristiano: solo un ascolto autenticamente rigenerante della parola di Dio, intesa come appello alla rinascita innanzitutto personale, potrà consentire, secondo Guzzi, il superamento della crisi individuale e storica in cui versa l'uomo contemporaneo. La proposta teorica di Guzzi si concretizza, quindi, specialmente a partire dal volume Darsi paceUn manuale di liberazione interiore, in un vero e proprio cammino di autotrasformazione, a partire dalle proprie difficoltà personali; un lavoro interiore di formazione e di riflessione, che passa anche attraverso il linguaggio profetico e meditativo dei maggiori poeti e dei testi religiosi, per raggiungere, attraverso un percorso di rivelazione, la liberazione nel segno della pace. La teorizzazione si pone perciò a servizio dei processi concreti di trasformazione interiore proposti nei Gruppi Darsi-pace.  Opere Raccolte di poesia Anima in vetrina, 1977 Il Giorno, Scheiwiller, 1988 Teatro Cattolico, Jaca Book, 1991 Figure dell'ira e dell'indulgenza, Jaca Book, 1997 Preparativi alla vita terrena, Passigli,2002 Nella mia storia Dio, Passigli, 2005 Parole per nascere, Edizioni Paoline,  Saggi di filosofia e di religione La Svolta, Jaca Book 1987 Rivolgimenti, Marietti 1990 L'Uomo Nascente, Red, 1997 Passaggi di millennio, Edizioni Paoline, 1998 L'Ordine del Giorno, Edizioni Paoline, 1999 Cristo e la nuova era, Edizioni Paoline, 2000 La profezia dei poeti, Moretti e Vitali, 2002 Darsi pace, Edizioni Paoline, 2004 La nuova umanità, Edizioni Paoline, 2005 Per donarsi, Edizioni Paoline, 2007 Yoga e preghiera cristiana, Edizioni Paoline, 2009 Dalla fine all'inizio, Edizioni Paoline,  Dodici parole per ricominciare, Ancora  Il cuore a nudo, Edizioni Paoline,  Buone Notizie, Ed. Messaggero  Imparare ad amare, Edizioni Paoline  L'Insurrezione dell'umanità nascente, Edizioni Paoline,  Fede e Rivoluzione, Edizioni Paoline  FacebookIl profilo dell'Uomo di Dio, Edizioni Paoline  Alla ricerca del continente della gioia, Edizioni Paoline  Dizionario della lingua inauditaLingua e Rivoluzione, Edizioni Paoline  Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Marco Guzzi  Il sito ufficiale di Marco Guzzi, su marcoguzzi.it. Il sito ufficiale dei Gruppi Darsi pace, su darsipace.it. Blog, su vinonuovo.it.

 

Guzzo: Augusto Guzzo (Napoli),  filosofo. Si laureò all'Napoli nel 1915, dove fu allievo del neohegeliano Sebastiano Maturi. Dal 1924 al 1932 insegnò filosofia e storia della filosofia alla facoltà di magistero dell'Torino, fondando la rivista "Erma", e dal 1932 al 1934 filosofia morale presso l'Pisa, dove fu anche direttore del seminario di filosofia della Scuola normale superiore. Nel 1934 tornò a Torino, dove insegnò prima filosofia morale (succedendo a Erminio Juvalta) e poi, dal 1939 al 1964, filosofia teoretica (succedendo ad Annibale Pastore). Fondò, insieme con Nicola Abbagnano, la sezione piemontese dell'Istituto Italiano per gli Studi filosofici.  Ebbe fra i suoi allievi Luigi Pareyson, Francesco Barone e Valerio Verra.  Fu presidente dell'Accademia delle Scienze di Torino dal 17 giugno 1970 al 25 giugno 1973, anno in cui gli subentrò Francesco Giacomo Tricomi.  Nel 1955 l'Accademia dei Lincei gli conferì il Premio Feltrinelli per la Filosofia.  Morì a Torino il 23 agosto 1986. È sepolto nel Cimitero monumentale di Torino.  Pensiero Esponente dell'idealismo italiano, si avvicinò all'attualismo di Giovanni Gentile, interpretato però in chiave di conciliazione con il pensiero cattolico. È considerato quindi uno dei più grandi esponenti dello spiritualismo italiano.  Opere principali Il pensiero di Spinoza, 1924 Kant precritico, 1924 Verità e realtà. Apologia dell'idealismo, 1925 Idealisti ed empiristi, 1935 Agostino e Tommaso, 1958 Giordano Bruno, 1960 Vita di Cordelia Guzzo, 1974 Storia della filosofia e della civiltà per saggi, 1975 L'uomo, Brescia, Morcelliana; poi Torino, Edizioni di filosofia, 1947-1964. Comprende: 1. L'io e la ragione, 1947 2. La moralità, 1950 3. La scienza, 1955 4. L'arte, 1962 5. La religione, 1964 6. La filosofia, 1964 Con la collaborazione di sua moglie Cordelia Capone, anche lei filosofa, tradusse in italiano The Idea of Christ in the Gospels or God in Man di George Santayana, opera di cui pubblicò una recensione nel Giornale di metafisica, IV, 4 (15 luglio 1949). Pubblicò nel 1963 anche un Alcifrone di George Berkeley a cura sua e della moglie Cordelia. Pubblicò a partire dal 1950 la rivista "Filosofia", alla quale aggiunse nel 1959 un fascicolo internazionale, che nel 1969 divenne "Studi internazionali di filosofia". Nella stessa rivista, in un fascicolo speciale del 1974, pubblicò una "Vita di Cordelia Guzzo", biografia della moglie, ricca di aneddoti sulla vita privata e l'attività scientifica dell'autore.  Note  Presidenti Archiviato il 22 aprile 2009 in . dell'Accademia delle Scienze di Torino.  Premi Feltrinelli 1950-, su lincei.it. 17 novembre .  Pietro Fernando Quarta, Augusto Guzzo e la sua scuola, Urbino, Argalìa, 1976. Google Libri Piergiorgio Donatelli, «GUZZO, Augusto» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 61, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2004. Giletta Giovanni, Filosofia hegeliana e religione. Osservazioni su Sebastiano Maturi, Ed.Natan, Benevento, . Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Augusto Guzzo  Augusto Guzzo, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Augusto Guzzo / Augusto Guzzo (altra versione), in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Augusto Guzzo, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Augusto Guzzo, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.  Opere di Augusto Guzzo, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Augusto Guzzo, .  Filosofia, Rivista annuale fondata nel 1950 da Augusto Guzzo. 14 febbraio.

 

habitus: hexis Grecian, from hexo, ‘to have’, ‘to be disposed’, a good or bad condition, disposition, or state. The traditional rendering, ‘habit’ Latin habitus, is misleading, for it tends to suggest the idea of an involuntary and merely repetitious pattern of behavior. A hexis is rather a state of character or of mind that disposes us to deliberately choose to act or to think in a certain way. The term acquired a quasi-technical status after Aristotle advanced the view that hexis is the genus of virtue, both moral and intellectual. In the Nicomachean Ethics he distinguishes hexeis from passions pathe and faculties dunamis of the soul. If a man fighting in the front ranks feels afraid when he sees the enemy approaching, he is undergoing an involuntary passion. His capacity to be affected by fear on this or other occasions is part of his makeup, one of his faculties. If he chooses to stay where his commanders placed him, this is due to the hexis or state of character we call courage. Likewise, one who is consistently good at identifying what is best for oneself can be said to possess a hexis called prudence. Not all states and dispositions are commendable. Cowardice and stupidity are also hexeis. Both in the sense of ‘state’ and of ‘possession’ hexis plays a role in Aristotle’s Categories. 

 

Halesianism: from Alexander of Halesowen, Salop (on the border with Worcs.).. Grice called William of Occam “Occam,” William of Sherwood, “Shyrewood,” and Alexander of Hales “Hales,”why, I wish people would call me “Harborne,” and not Grice!”Grice. English Franciscan theologian, known as the Doctor Irrefragabilis. The first to teach theology by lecturing on the Sentences of Peter Lombard, Alexander’s emphasis on speculative theology initiated the golden age of Scholasticism. Alexander wrote commentaries on the Psalms and the Gospels; his chief works include his Glossa in quattuor libros sententiarum, Quaestiones disputatatae antequam esset frater, and Quaestiones quodlibetales. Alexander did not complete the Summa fratris Alexandri; Pope Alexander IV ordered the Franciscans to complete the Summa Halesiana in 1255. Master of theology in 1222, Alexander played an important role in the history of Paris, writing parts of Gregory IX’s Parens scientiarum 1231. He also helped negotiate the peace between England and France. He gave up his position as canon of Lichfield and archdeacon of Coventry to become a Franciscan, the first Franciscan master of theology; his was the original Franciscan chair of theology at Paris. Among the Franciscans, his most prominent disciples include St. Bonaventure, Richard Rufus of Cornwall, and John of La Rochelle, to whom he resigned his chair in theology near the end of his life. Hales wrote commentaries on Aristotle’s metaphysics, on the multiplicity of being, that Grice found fascinating. Vide “Summa halensis.”

 

hampshireism: His second wife was from the New World. His first wife wasn’t. He married Renée Orde-Lees, the daughter of the very English Thomas Orde-Lees, in 1961, and had two children, a son, Julian, and a daughter. To add to the philosophers’ mistakes. There’s Austin (in “Plea for Excuses” and “Other Minds”), Strawson (in “Truth” and “Introduction to Logical Theory,” and “On referring”), Hart (in conversation, on ‘carefully,”), Hare (“To say ‘x is good’ is to recommend x”) and Hampshire (“Intention and certainty”). For Grice, the certainty is merely implicated and on occasion, only.  Cited by Grice as a member of the play group. Hampshire would dine once a week with Grice. He would discuss and find very amusing to discuss with Grice on post-war Oxford philosophy. Unlike Grice, Hampshire attended Austin’s Thursday evening meetings at All Souls. Grice wrote “Intention and uncertainty” in part as a response to Hampshire and Hart, Intention and certainty. But Grice brought the issue back to an earlier generation, to a polemic between Stout (who held a certainty-based view) and Prichard.

 

hareism r. m. cited by H. P. Grice, “Hare’s neustrics”. b.9, English philosopher who is one of the most influential moral philosophers of the twentieth century and the developer of prescriptivism in metaethics. Hare was educated at Rugby and Oxford, then served in the British army during World War II and spent years as a prisoner of war in Burma. In 7 he took a position at Balliol  and was appointed White’s Professor of Moral Philosophy at the  of Oxford in 6. On retirement from Oxford, he became Graduate Research Professor at the  of Florida 393. His major books are Language of Morals 3, Freedom and Reason 3, Moral Thinking 1, and Sorting Out Ethics 7. Many collections of his essays have also appeared, and a collection of other leading philosophers’ articles on his work was published in 8 Hare and Critics, eds. Seanor and Fotion. According to Hare, a careful exploration of the nature of our moral concepts reveals that nonironic judgments about what one morally ought to do are expressions of the will, or commitments to act, that are subject to certain logical constraints. Because moral judgments are prescriptive, we cannot sincerely subscribe to them while refusing to comply with them in the relevant circumstances. Because moral judgments are universal prescriptions, we cannot sincerely subscribe to them unless we are willing for them to be followed were we in other people’s positions with their preferences. Hare later contended that vividly to imagine ourselves completely in other people’s positions involves our acquiring preferences about what should happen to us in those positions that mirror exactly what those people now want for themselves. So, ideally, we decide on a universal prescription on the basis of not only our existing preferences about the actual situation but also the new preferences we would have if we were wholly in other people’s positions. What we can prescribe universally is what maximizes net satisfaction of this amalgamated set of preferences. Hence, Hare concluded that his theory of moral judgment leads to preference-satisfaction act utilitarianism. However, like most other utilitarians, he argued that the best way to maximize utility is to have, and generally to act on, certain not directly utilitarian dispositions  such as dispositions not to hurt others or steal, to keep promises and tell the truth, to take special responsibility for one’s own family, and so on.  Then there’s Hare’s phrastic: It is convenient to take Grice mocking Hare in Prolegomena. “To say ‘x is good’ is to recommend x.’ An implicaturum: annullable:  “x is good but I don’t recommend it.” Hare was well aware of the implicaturum. Loving Grice’s account of ‘or,’ Hare gives the example: “Post the letter: therefore; post the letter or burn it.” Grice mainly quotes Hare’s duet, the phrastic and the neustic, and spends some time exploring what the phrastic actually is. He seems to prefer ‘radix.’ But then Hare also has then the ‘neustic,’ that Grice is not so concerned with since he has his own terminology for it. And for Urmson’s festschrift, Hare comes up with the tropic and the clistic. So each has a Griceian correlate.  Then there’s Hareian supervenience: a dependence relation between properties or facts of one type, and properties or facts of another type. In the other place, G. E. Moore, for instance, holds that the property intrinsic value is dependent in the relevant way on certain non-moral properties. Moore did not employ the expression ‘supervenience’. As Moore puts it, “if a given thing possesses any kind of intrinsic value in a certain degree,  not only must that same thing possess it, under all circumstances, in the same degree, but also anything exactly like it, must, under all circumstances, possess it in exactly the same degree” (Philosophical Studies, 2). The concept of supervenience, as a relation between properties, is essentially this: A poperties of type A is supervenient (or better, as Grice prefesrs, supervenes) on a property of type B if and only if two objects cannot differ with respect to their A-properties without also differing with respect to their B-properties. Properties that allegedly are supervenient on others are often called consequential properties, especially in ethics; the idea is that if something instantiates a moral property, then it does so in virtue of, i.e., as a non-causal consequence of, instantiating some lower-level property on which the moral property supervenes. In another, related sense, supervenience is a feature of discourse of one type, vis-à-vis discourse of another type. ‘Supervenience’ is so used by Hare. “First, let us take that characteristic of “good” which has been called its ‘supervenience.’” Grice: “Hare has a good ear for the neologism: he loved my ‘implicature,’ and used in an essay he submitted to “Mind,” way before I ventured to publish the thing!”“Suppose that we say, “St. Francis is a good man.” It is logically impossible to say this and to maintain at the same time that there might have been another man placed exactly in the same circumstances as St. Francis, and who behaved in exactly the same way, but who differed from St. Francis in this respect only, that it is NOT the case that this man is a good man.” (“The Language of Morals”). Here the idea is that it would be a misuse of moral language, a violation of the “logic of moral discourse,” to apply ‘good’ to one thing but not to something else exactly similar in all pertinent non-moral respects. Hare is a meta-ethical irrealist. He denies that there are moral properties or facts. So for him, supervenience is a ‘category of expression,’ a feature of discourse and judgment, not a relation between properties or facts of two types. The notion of supervenience has come to be used quite widely in metaphysics and philosophical philosophy, usually in the way explained above. This use is heralded by Davidson in articulating a position about the relation between a physical property and a property of the ‘soul,’ or statet-ypes, that eschews the reducibility of mental properties to physical ones. “Although the position I describe denies there are psycho-physical laws, it is consistent with the view that mental characteristics are in some sense dependent, or supervenient, or plainly supervene on physical characteristics. Such supervenience might be taken to mean that there cannot be two events alike in all physical respects but differing in some mental respects, or that an object cannot alter in some mental respects without altering in some physical respects. Dependence or supervenience of this kind does not entail reducibility through law or definition. “Mental Events.” A variety of supervenience theses have been propounded in metaphysics and philosophical psychology, usually although not always in conjunction with attempts to formulate metaphysical positions that are naturalistic, in some way, without being strongly reductionistic, if reductive. E. g. it is often asserted that mental properties and facts are supervenient on neurobiological properties, and/or on physicochemical properties and facts. And it is often claimed, more generally, that all properties and facts are supervenient on the properties and facts of the kind described by physics. Much attention has been directed at how to formulate the desired supervenience theses, and thus how to characterize supervenience itself. A distinction has been drawn between weak supervenience, asserting that in any single possible world w, any two individuals in w that differ in their A-properties also differ in their B-properties; and strong supervenience, asserting that for any two individuals i and j, either within a single possible world or in two distinct ones, if i and j differ in A-properties then they also differ in Bproperties. It is sometimes alleged that traditional formulations of supervenience, like Moore’s or Hare’s, articulate only weak supervenience, whereas strong supervenience is needed to express the relevant kind of determination or dependence. It is sometimes replied, however, that the traditional natural-language formulations do in fact express strong supervenience  and that formalizations expressing mere weak supervenience are mistranslations. Questions about how best to formulate supervenience theses also arise in connection with intrinsic and non-intrinsic properties. For instance, the property being a bank, instantiated by the brick building on Main Street, is not supervenient on intrinsic physical properties of the building itself; rather, the building’s having this social-institutional property depends on a considerably broader range of facts and features, some of which are involved in subserving the social practice of banking. The term ‘supervenience base’ is frequently used to denote the range of entities and happenings whose lowerlevel properties and relations jointly underlie the instantiation of some higher-level property like being a bank by some individual like the brick building on Main Street. Supervenience theses are sometimes formulated so as to smoothly accommodate properties and facts with broad supervenience bases. For instance, the idea that the physical facts determine all the facts is sometimes expressed as global supervenience, which asserts that any two physically possible worlds differing in some respect also differ in some physical respect. Or, sometimes this idea is expressed as the stronger thesis of regional supervenience, which asserts that for any two spatiotemporal regions r and s, either within a single physically possible world or in two distinct ones, if r and s differ in some intrinsic respect then they also differ in some intrinsic physical respect. H. P. Grice, “Hare on supervenience.” H. P. Grice, “Supervenience in my method in philosophical psychology: from the banal to the bizarre.” H. P. Grice, “Supervenience and the devil of scientism.”

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