Giannone: «Non solo i corpi,
ma, quel che è più, anche le anime, i cuori e gli spiriti de' sudditi si
sottoposero a' suoi piedi e strinse fra ceppi e catene.» (Pietro
Giannone, Il Triregno. Del regno terreno, Del regno celeste, Del regno papale. Pietro
Giannone (Ischitella), filosofo.Esponente di spicco dell'Illuinismo italiano. Discendente
da una famiglia di avvocati (anche se il padre era uno speziale), a diciotto
anni lasciò il paese natale Ischitella, nei pressi di Foggia, per intraprendere
gli studi di giurisprudenza a Napoli. Nella città partenopea conseguì la
laurea entrando ben presto in contatto con filosofi vicini a Giambattista Vico
e apprezzando le idee di Cartesio e Nicolas Malebranche. Fu praticante
presso Gaetano Argento, che disponeva di una vasta biblioteca, la
frequentazione della quale fu essenziale per la sua formazione. I suoi
interessi non si limitarono soltanto al diritto ed alla filosofia,
appassionandosi anche agli studi storici e dedicandosi per ben vent'anni alla
stesura della sua opera storica più conosciuta Dell'istoria civile del regno di
Napoli, che gli causò tuttavia numerosi problemi con la Chiesa per il suo
contenuto. Costretto a riparare a Vienna presso la corte asburgica,
ottenne protezione e sovvenzioni dall'imperatore Carlo VI, il che gli permise
di proseguire indisturbato i suoi studi filosofici e storici. Il suo
tentativo di rientrare in patria fu ostacolato dalla Chiesa, nonostante i buoni
uffici dell'arcivescovo di Napoli recatosi a Vienna per convincerlo a tornare a
Napoli, e fu costretto a trasferirsi a Venezia dove, apprezzatissimo
dall'ambiente culturale della città, rifiutò sia la cattedra alla facoltà di
giurisprudenza dell'Padova, sia un posto di consulente giuridico presso la
Serenissima. Nel 1735 il governo della Repubblica lo espulse, dopo averlo
sottoposto a stretti controlli spionistici, per questioni inerenti alle sue
idee sul diritto marittimo e nonostante la sua autodifesa con il trattato
Lettera intorno al dominio del Mare Adriatico. Dopo aver vagato per
l'Italia (fu a Ferrara, Modena, Milano e Torino), giunse a Ginevra, patria del
calvinismo, dove compose un altro lavoro dal forte sapore anticlericale Il
Triregno. Del regno terreno, Del regno celeste, Del regno papale (pubblicato
postumo solo nel 1895) che gli costò nuovamente la persecuzione delle alte
sfere ecclesiastiche culminate con la sua cattura (1º aprile 1736, giorno di
Pasqua) in un villaggio della Savoia, ove fu attirato con un tranello.
Rimasto nelle prigioni sabaude per dodici anni, fu costretto a firmare un atto
di abiura (1738) che non gli valse tuttavia la libertà. Infatti, dal dicembre
1738 fu tenuto prigioniero nella fortezza di Ceva, dove scrisse alcuni dei suoi
componimenti più famosi; vi rimase fino al 1744 per essere poi
trasferito. Morì nella prigione del mastio della Cittadella di Torino il 17
marzo 1748, all'età di 72 anni. Discendenti Giovanni Giannone (1715-1806)
Pietro Giannone II (1806-1869) Raffaele Giannone (1880-?) Augusta Giannone
Catte (1904-1967) Dell'istoria civile del regno di Napoli Pubblicata nel 1723
in quattro volumi, l'opera ebbe enorme fortuna anche all'estero (Inghilterra,
Francia e Germania), dove fu tradotta e studiata, mentre la Chiesa ne avversò
le tesi ponendola all'Indice dei libri proibiti, comminando al filosofo una
scomunica la quale obbligava il Giannone a riparare all'estero. I temi trattati
nell'Istoria, sviluppati su precisi riferimenti giuridici, forniscono una
lucida descrizione dello stato di degrado civile del Regno di Napoli,
attribuendone le cause all'influenza preponderante della Curia romana. Il Giannone
auspicava in primis con quest'opera, «il rischiaramento delle nostre leggi
patrie e dei nostri propri istituti e costumi». Il Triregno. Del regno
terreno, Del regno celeste, Del regno papale Il Triregno. Del regno
terreno, ed. Laterza, 1940 Nel Triregno, opera aspramente avversata anch'essa
dagli ambienti ecclesiastici, Giannone presenta la religione secondo un
prospetto evolutivo: la Chiesa, col suo "regno papale", si
contrappone al "regno terreno" degli Ebrei ma anche a quello "celeste"
idealizzato dal Cristianesimo e il superamento del male, che lo Stato
Pontificio così incarna, si realizzerà soltanto attraverso un cambiamento di
rotta deciso, mediante ulteriore consapevolezza individuale raggiunta dall'uomo
nel corso della sua vicenda Storica. Giannone indi teorizza uno Stato laico
capace di sottomettere l'istituzione papale, anche mediante un'espropriazione
dei beni materiali del clero. La Chiesa, secondo il filosofo, porta avanti una
forma di negazione di quella libertà individuale che deve essere posta come
fondamento giuridico e sociale. Curiosità Al filosofo sono intestati vari
istituti scolastici, tra cui lo storico Liceo classico Pietro Giannone di
Caserta, dedicatogli nel 1868, quello di Benevento nel 1810, quello di Foggia
nel 1885 e infine quello di San Marco in Lamis. Oggi a Foggia è intitolato a
lui l'IISS "Giannone-Masi". I plagi Nel Capitolo settimo della
Storia della colonna infame, il Manzoni dedica al Giannone ampio spazio
elencandone i numerosissimi plagi e gli errori che anche Voltaire gli
rimprovera. Inizia paragonandolo a Lodovico Muratori e indicandolo come
"scrittore più rinomato di lui" , poi aggiunge un lungo elenco (e
raffronto) delle opere plagiate e degli autori, tra cui Giovan Battista Nani,
Paolo Sarpi, Domenico Parrino, il Bufferio, il Costanzo e il Summonte:
"...e chissà quali altri furti non osservati di costui potrebbe scoprire
chi ne facesse ricerca". E conclude che se non si sa se fosse
"pigrizia o sterilità di mente", fu certo "raro il coraggio".
Altre opere Autobiografia di Pietro Giannone, i suoi tempi, la sua prigionia,
appendici, note e documenti inediti, Augusto Pierantoni, Roma, E. Perino, 1890;
I discorsi storici sopra gli Annali di Tito Livio Apologia dei teologi
scolastici Istoria del pontificato di Gregorio Magno L'Ape ingegnosa Edizioni
online Pietro Giannone, Del regno celeste, Scrittori d'Italia 177, Bari,
Laterza, 1940. 30 aprile . Pietro Giannone, Del regno papale, Scrittori
d'Italia 178, Bari, Laterza, 1940. 30 aprile . Pietro Giannone, Del regno terreno,
Scrittori d'Italia 176, Bari, Laterza, 1940. 30 aprile . Pietro Giannone,
Istoria civile del Regno di Napoli. 1, Napoli, Giovanni Gravier, 1770. 30
aprile . Pietro Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli. 2, Napoli,
Giovanni Gravier, 1770. 30 aprile . Pietro Giannone, Istoria civile del Regno
di Napoli. 3, Napoli, Giovanni Gravier, 1770. 30 aprile . Pietro Giannone,
Istoria civile del Regno di Napoli. 4, Napoli, Giovanni Gravier, 1770. 30
aprile . Pietro Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli. 5, Napoli,
Giovanni Gravier, 1770. 30 aprile . Note
Pietro Giannone, Istoria civile del regno di Napoli, Capolago,
Tipografia Elvetica, 1840. l'11 febbraio
. Ibidem, note da 80 a 89 Fausto Nicolini, Gli scritti e la fortuna di
Pietro Giannone: ricerche bibliografiche, Bari, Laterza, 1913 Lino Marini,
Pietro Giannone e il giannonismo a Napoli nel Settecento, Bari, Laterza, 1950
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Giannone, Sergio Bertelli, Milano-Napoli, Ricciardi, 1968 Giuseppe Ricuperati,
L'esperienza civile e religiosa di Pietro Giannone., Milano-Napoli, Ricciardi,
1970. Lia Mannarino, Le mille favole degli antichi. Ebraismo e cultura europea
nel pensiero religioso di Pietro Giannone, Firenze, Le Lettere, 1999. Giuseppe
Ricuperati, La città terrena di Pietro Giannone: un itinerario tra crisi della
coscienza europea e illuminismo radicale, Firenze, Olschki, 2001 Altri progetti
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Giannone Pietro Giannone, su
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Pietro Giannone, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
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Giannone, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Opere di Pietro Giannone, su
Liber Liber. Opere di Pietro Giannone /
Pietro Giannone (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di
Pietro Giannone, . Opere di Pietro Giannone, su Progetto Gutenberg. Pietro
Giannone, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Pietro Giannone, Il Triregno. 1: Del regno terreno, 2: Del regno celeste, 3: Del regno papale (1940), testi integrali
in più volumi dalla collana digitalizzata "Scrittori d'Italia"
Laterza; Vita scritta da lui medesimo (1960), Feltrinelli, testo in versione
digitale della Biblioteca Italiana, 2003.//filosofico.net/giannone.htm.
Gioberti -- gioberti: essential Italian philosopher, He was
imprisoned and exiled for advocating
unification, and became a central political figure during the
Risorgimento. His major political oeuvre, “Del primato morale e civile degli
italiani,” argues for a federation of the
states. Gioberti’s philosophical theory, ontologism, in contrast to
Hegel’s idealism, identifies the dialectics of Being with God’s creation.
Gioberti condensed his theory in the formula: “Being creates the existent.”
“L’essere crea l’essistente.” The dialectics of Being, which is the only
necessary substance, is a “palingenesis,” or a return to its origin, in which
the existent first departs from and imitates its creator (“mimesis”) and then
returns to its creator (“methexis”). By intuition, the human mind comes in
contact with God and discovers truth by retracing the dialectics of Being.
However, knowledge of supernatural truths is given only by God’s revelation.
His oeuvre also includes “Teorica del soprannaturale” and “Introduzione allo
studio della filosofia.” Gioberti criticized modern philosophers such as
Descartes for their psychologism seeking
truth from the human subject instead of from Being itself and its revelation.
His thought is very influential in Italy. Vincenzo
Gioberti (Torino, 5 aprile 1801Parigi, 26 ottobre 1852) presbitero, patriota e
filosofo italiano, nonché il primo Presidente della Camera dei deputati del
Regno di Sardegna, esponente di primo piano del Risorgimento
italiano. Ricevuta la prima istruzione dai padri dell'Oratorio di San
Filippo Neri con la prospettiva del sacerdozio, si laureò in teologia nel 1823
e, nel 1825, prese gli ordini sacerdotali. All'inizio condusse una vita
ritirata, ma gradualmente acquisì sempre più interesse negli affari del suo
paese e nelle nuove idee politiche come anche nella pubblicistica sui temi di
attualità. Parzialmente influenzato da Mazzini, lo scopo principale della sua
vita divenne l'unificazione dell'Italia sotto un unico regime: la sua
emancipazione, non solo dai signori stranieri, ma anche da concetti reputati
alieni al suo genio e sprezzanti del primato morale e civile degli italiani.
Questo primato era associato nella sua mente alla supremazia papale, anche se
inteso in un modo più letterario che politico. Fu perciò notato dal re
Carlo Alberto di Savoia, che lo nominò suo cappellano. La sua popolarità e
l'influenza in campo privato, tuttavia, erano ragioni sufficienti per il
partito della corona per costringerlo all'esilio; non era uno di loro e non
poteva dipendervi. Sapendo questo, si ritirò dal suo incarico nel 1833, ma fu
improvvisamente arrestato con l'accusa di complotto e, dopo quattro mesi di
carcere, fu bandito dal Regno sabaudo senza processo. Gioberti andò prima a
Parigi e, un anno dopo, a Bruxelles dove restò fino al 1845 per insegnare
filosofia e assistere un amico nella direzione di una scuola privata.
Nonostante ciò, trovò il tempo di scrivere diverse opere di importanza
filosofica con particolare riferimento al suo paese e alla sua posizione.
Essendo stata dichiarata un'amnistia da Carlo Alberto nel 1846, Gioberti
divenne libero di tornare in patria, ma si rifiutò di farlo fino alla fine del
1847. Al suo ritorno a Torino, il 29 aprile 1848, fu ricevuto con il più grande
entusiasmo. Rifiutò la dignità di senatore che Carlo Alberto gli aveva offerto,
preferendo rappresentare la sua città natale nella Camera dei deputati, della
quale fu presto eletto presidente. Il 16 dicembre 1848 cadde il governo.
Il re nominò Gioberti nuovo presidente del Consiglio. Il suo governo terminò il
21 febbraio 1849. Con la salita al trono di Vittorio Emanuele II, nel marzo del
1849 la sua vita politica giunse alla fine. Per un breve periodo, infatti, ebbe
un posto nel consiglio dei ministri, anche se senza portafoglio, ma un diverbio
irriconciliabile non tardò a maturare. Fu allontanato da Torino con
l'affidamento di una missione diplomatica a Parigi, da cui non fece più
ritorno. Rifiutò la pensione che gli era stata offerta e ogni promozione
ecclesiastica, visse in povertà e passò il resto dei suoi giorni a Bruxelles,
dove si trasferì dedicandosi agli studi letterari. Morì improvvisamente di un
colpo apoplettico il 26 ottobre 1852. I primi due licei istituiti a
Torino, nel 1865, celebrarono uno l'opera diplomatica di Cavour (il Liceo
classico Cavour) e l'altro il pensiero, anche politico, di Gioberti (il Liceo
classico Vincenzo Gioberti). Gli scritti di Gioberti sono più importanti
della sua carriera politica; come le speculazioni di Rosmini-Serbati, contro
cui scrisse, sono state definite l'ultima propaggine del pensiero medievale;
anche il sistema di Gioberti, conosciuto come ontologismo, più nello specifico
nelle sue più importanti opere iniziali, non è connesso con le moderne scuole
di pensiero. Mostra un'armonia con la fede cattolica che spinse Victor Cousin a
sostenere che la filosofia italiana era ancora fra i lacci della teologia e che
Gioberti non era un filosofo. Il metodo per lui è uno strumento
sintetico, soggettivo e psicologico. Ricostruisce, come afferma, l'ontologia e
comincia con la formula ideale, per cui l'Ens crea l'esistente ex nihilo. Dio è
l'unico ente Ens; tutto il resto sono pure esistenze. Dio è l'origine di tutta
la conoscenza umana (le idee), che è una e diciamo che si rispecchia in Dio
stesso. È intuita direttamente dalla ragione, ma per essere utile vi si deve
riflettere, e questo avviene tramite i mezzi del linguaggio. Una conoscenza
dell'ente e delle esistenze (concrete, non astratte) e le loro relazioni
reciproche, sono necessarie per l'inizio della filosofia. Gioberti è, da
un certo punto di vista, un platonico. Identifica la religione con la civiltà e
nel suo trattato Del primato morale e civile degli Italiani giunge alla
conclusione che la chiesa è l'asse su cui il benessere della vita umana si
fonda. In questo afferma che l'idea della supremazia dell'Italia, apportata
dalla restaurazione del papato come dominio morale, è fondata sulla religione e
sull'opinione pubblica; tale opera sarà la base teorica del neoguelfismo. Nelle
sue ultime opere, Rinnovamento e Protologia si dice che abbia spostato il suo
campo sull'influenza degli eventi. La sua prima opera, scritta quando
aveva 37 anni, aveva una ragione personale per la sua esistenza. Un giovane
compagno d'esilio e amico Paolo Pallia, avendo molti dubbi e sfortune per la
realtà della rivelazione e della vita futura, lo ispirò alla stesura de La
teorica del sovrannaturale (1838). Dopo questa, sono passati in rapida
successione dei trattati filosofici. La Teorica è stata seguita dall'Introduzione
allo studio della filosofia in tre volumi (1839-1840), dove afferma le ragioni
per richiedere un nuovo metodo e una nuova terminologia. Qui riporta la
dottrina per cui la religione è la diretta espressione dell'idea in questa vita
ed è un unicum con la vera civiltà nella storia. La Civiltà è una tendenza alla
perfezione mediata e condizionata, alla quale la religione è il completamento
finale se portato a termine. È la fine del secondo ciclo espresso dalla seconda
formula, l'ente redime gli esistenti. I saggi (inediti fino al 1846) su
materie più leggere e più famose, Del bello e Del buono hanno seguito
l'introduzione. Del primato morale e civile degl'Italiani e Prolegomeni sulla
stessa e a breve trionfante esposizione dei Gesuiti, Il Gesuita moderno, pubblicato
clandestinamente a Losanna da Stanislao Antonio Bonamici, ha senza dubbio
accelerato il trasferimento di ruolo dalle mani religiose a quelle civili. È
stata la popolarità di queste opere semi-politiche, aumentata da altri articoli
politici occasionali e dal suo Rinnovamento civile d'Italia, che ha portato
Gioberti ad essere acclamato con entusiasmo al ritorno nel suo paese natio.
Tutte queste opere sono state perfettamente ortodosse e hanno contribuito ad
attirare l'attenzione del clero liberale nel movimento che è sfociato, sin dai
suoi tempi, nell'unificazione italiana. I Gesuiti, tuttavia, si sono raduttorno
al Papa più fermamente dopo il suo ritorno a Roma e alla fine gli scritti di
Gioberti furono messi all'indice. I resti delle sue opere, specialmente La
filosofia della rivelazione e la Prolologia espongono i suoi punti di vista
maturi in molte parti. Tutti gli scritti giobertiani, tra cui quelli lasciati
nei manoscritti, sono stati pubblicati da Giuseppe Massari (Torino, 1856-1861).
Il Ministero dei beni culturali ha affidato la redazione dell'edizione
nazionale all'Istituto di Studi Filosofici "Enrico Castelli", presso
l'Università La Sapienza di Roma Opere Edizione nazionale delle opere
edite e inedite di Vincenzo Gioberti in 38 volumi. Prolegomeni del
Primato morale e civile degli italiani, Enrico Castelli (1938) Primato morale e
civile degli italiani, Ugo Redanò (1938) Introduzione allo studio della
filosofia, Alessandro Cortese (2001) Teorica del sovrannaturale, 3 voll.,
Alessandro Cortese (1970) Del rinnovamento civile d'Italia (1850) Vincenzo
Gioberti, Del rinnovamento civile d'Italia, Scrittori d'Italia 14, 1, Bari, Laterza, 1911. 29 giugno . Vincenzo
Gioberti, Del rinnovamento civile d'Italia, Scrittori d'Italia 16, 2, Bari, Laterza, 1911. 29 giugno . Vincenzo
Gioberti, Del rinnovamento civile d'Italia, Scrittori d'Italia 24, 3, Bari, Laterza, 1912. 29 giugno
. Note Cfr. lettera di V. Gioberti
a G. Leopardi del 27 ottobre 1833 in Scritti vari inediti di Giacomo Leopardi
dalle carte napoletane, Firenze, Successori Le Monnier, 1906, pagg. 442 sgg..
Gioberti visse in Rue des marais S. Germain, hotel du Pont des Arts n° 3. In lingua latina: "dal nulla", vedi
anche la locuzione Ex nihilo nihil fit di Lucrezio. Bonamici Stanislao Antonio, su Sistema
Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. 17 marzo . Istituto Castelli-Roma Archiviato il 15 marzo
2008 in . Anteprima disponibile su
books.google. Anteprima della II
edizione disponibile su books.google.
Giuseppe Massari, Vita di Vincenzo Gioberti, Firenze, 1848. Antonio
Rosmini Serbati, Vincenzo Gioberti e il panteismo, Milano, 1848. Charles Bohun
Smyth, Christian Metaphysics, 1851. Bertrando Spaventa, La Filosofia di
Gioberti, Napoli, 1854. Achille Mauri, Della vita e delle opere di Vincenzo
Gioberti, Genova, 1853. Giuseppe Prisco, Gioberti e l'ontologismo, Napoli,
1867. Pietro Luciani, Gioberti e la filosofia nuova italiana, Napoli,
1866-1872. Domenico Berti, Di Vincenzo Gioberti, Firenze, 1881. Giorgio Rumi,
Gioberti, Bologna, Il mulino, 1999. Mario Sancipriano, Vincenzo Gioberti:
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Italiana, 2001. l'11 ottobre . Società nazionale per la confederazione
italiana Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina
dedicata a Vincenzo Gioberti Collabora a Wikiquote Citazionio su Vincenzo
Gioberti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o
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del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, .
PredecessorePresidente del Consiglio dei ministri del Regno di
SardegnaSuccessoreFlag of Italy (1861–1946).svg Ettore Perrone di San
Martinodicembre 1848febbraio 1849Agostino ChiodoV D M Presidenti del Consiglio
dei ministri del Regno di Sardegna PredecessorePresidente della Camera dei
deputatiSuccessore Nessuno8 maggio 184830 dicembre 1848Lorenzo Pareto. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e Gioberti,"
per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia
Gioia: Melchiorre Gioja o Gioia
(Piacenza), filosofo. Dopo gli studi nel Collegio Alberoni veste l'abito
talare, mantenendo tuttavia un orientamento di pensiero tutt'altro che
ortodosso tanto in filosofia, per l'influenza dell'utilitarismo di Jeremy
Bentham, dell'empirismo di John Locke e del sensismo di Étienne Bonnot de
Condillac, quanto in teologia per l'influenza del pensiero di
Giansenio. Il suo interesse si rivolge ben presto anche alle questioni politiche:
nel settembre 1796 vince il concorso bandito dalla Società di Pubblica
Istruzione di Milano sul tema "Quale dei governi liberi meglio convenga
alla felicità d'Italia", alla quale partecipano 52 concorrenti. La sua
dissertazione, in cui sostiene la tesi di un'Italia libera, repubblicana, retta
da istituzioni democratiche e basata su comuni elementi geografici,
linguistici, storici e culturali, prefigura, come la maggioranza di quelle
presentate, l'unità italiana, benché questa tesi non sia gradita ai francesi che
in quel periodo occupano il nord Italia. Ugo Foscolo in un ritratto
di Fabre La notizia del premio ricevuto gli giunge però in carcere: nel
frattempo Gioja è stato arrestato con l'accusa di aver celebrato a scopo di
lucro più di una messa al giorno, anche se sono in realtà le sue idee politiche
giacobine a renderlo inviso all'autorità. Gioja viene scarcerato nello stesso
anno 1797 grazie, forse, alle pressioni di Napoleone Bonaparte, e ripara a
Milano. Il Trattato di Campoformio, con la cessione di Venezia all'Austria da
parte della Francia in cambio del riconoscimento austriaco della Repubblica
Cisalpina, lo spinge però ben presto a diventare oppositore della Francia
stessa. Attività: giornalista, storiografo ed economista Dopo aver
rinunciato al sacerdozio, si impegna nella professione giornalistica fondando
diverse testate, ("Il Monitore Italiano"[collegamento interrotto] con
Ugo Foscolo, "Il Censore", "La Gazzetta nazionale della
Cisalpina", "Il Giornale filosofico politico"), stroncate una
dopo l'altra dalla rigida censura austriaca per le posizioni sempre più
apertamente patriottiche che Gioja stesso ed i suoi collaboratori vi
sostengono. È dalle colonne del "Giornale Filosofico Politico" che
nel 1799 scrive una lettera aperta al duca Ferdinando d'Asburgo-Este, in cui
denuncia i danni patiti in carcere nel 1796; nello stesso anno però Napoleone
Bonaparte viene sconfitto dalle truppe austriache nella Battaglia di Novi
Ligure e Melchiorre Gioja viene arrestato nuovamente dagli austriaci, per
essere scarcerato quattordici mesi dopo, in seguito alla vittoria francese
nella Battaglia di Marengo. Carlo Felice Biscarra, Museo Civico di
Saluzzo: Arresto di Maroncelli e Pellico Nel 1801 Gioja viene nominato
storiografo della Repubblica Cisalpina: l'anno successivo pubblica il trattato
"Sul commercio de' commestibili e caro prezzo del vitto" , ispirato
dai tumulti per il rincaro del pane, e "Il Nuovo Galateo". Nel 1803
viene rimosso dalla carica per le polemiche seguite alla pubblicazione e alla
difesa del suo trattato "Teoria civile e penale del divorzio, ossia
necessità, cause, nuova maniera d'organizzarla" Gli studi di
Statistica applicata all'Economia L'apprezzamento per i suoi solidi e
realistici studi di economia e di statistica, ai quali sono prevalentemente
rivolti il suo interesse e la sua attività, gli valgono però la nomina nel 1807
alla direzione del nascente Ufficio di Statistica: in questa veste inizia una
febbrile attività fatta di studi corredati da tabelle, quadri sinottici,
raffronti demografici, causa di nuove ed accese polemiche e della rimozione
dall'incarico. Tale attività rese Gioja uno dei primi studiosi ad applicare i
concetti di Statistica alla gestione economica dei conti pubblici (ad esempio
per le tasse, gabelle, e così via). Precursore di concetti
giuridici e medico-legali Grazie alle sue conoscenze statistiche ed
economiche elabora concetti fortemente innovativi per l’epoca che ne fanno il
precursore del moderno dibattito giuridico in materia di risarcimento del danno
alla persona con una concezione che supera la questione patrimoniale.
Notissima in medicina legale la sua regola del calzolaio, che anticipa il
concetto di riduzione della capacità lavorativa specifica: "...un
calzolaio, per esempio, eseguisce due scarpe e un quarto al giorno; voi avete
indebolito la sua mano che non riesce più che a fare una scarpa; voi gli dovete
dare il valore di una fattura di una scarpa e un quarto moltiplicato per il
numero dei giorni che gli restano di vita, meno i giorni festivi.." .
E ancora, seppur meno noti, concetti come: "Ne' casi d'indebolimento
o distruzione di forze industri, considerando il soddisfacimento come
uguale al lucro giornaliero diminuito o distrutto, moltiplicato per la
rimanente vita utile dell'offeso, noi restiamo molto al di sotto del valore
reale, giacché una forza umana può essere riguardata come Mezzo di
sussistenzaMezzo di godimentoMezzo di bellezzaMezzo di difesa
Filosofia della Statistica (libro originale)“Rendendo paralitico, per
es., l'altrui braccio destro o la mano, voi togliete al musico il mezzo con cui
si procura il vitto divertendo gli altri, al proprietario il mezzo con cui si
sottrae alla noia divertendo se stesso, alla donna il mezzo con cui
gestisce e porge con grazia, a chiunque il mezzo con cui si schernisce da
mali eventuali difendendosi". Si tratta di principi rivoluzionari
per l’epoca, forse frutto di quel particolare mix di cultura che derivava dalla
sua formazione che inizia da sacerdote e approda a concezioni rivoluzionarie; è
il primo che riesce a prefigurare nell’uomo non solo una sorta di macchina che
produce reddito, ma anche un soggetto che attraverso il lavoro realizza
la propria personalità. In Italia oltre un secolo e mezzo dopo, negli
anni ’80 del novecento, in sede giuridica inizierà il dibattito sul superamento
del risarcimento del mero danno patrimoniale per tener conto degli aspetti
relazionali e dinamici della persona riassunti nel concetto di danno biologico.
Sul filone di queste tematiche nel 1994 gli veniva intestata a Pisa un'ssociazione
scientifica medico giuridica che raccoglie giuristi, medici legali e
assicuratori. Il "Nuovo Galateo" Testo fondamentale nella
storia dei Galatei, il "Nuovo Galateo" di Gioja fu scritto per
contribuire alla civilizzazione del popolo della Repubblica Cisalpina. Il testo
conosce ben tre edizioni. La prima del 1802 si sofferma in particolar modo
sulla definizione laica di "pulitezza" intesa come ramo della
civilizzazione, arte di modellare la persona e le azioni, i sentimenti, i discorsi
in modo da rendere gli altri contenti di noi e di loro stessi. È divisa in tre
parti: "Pulitezza dell'uomo privato", "Pulitezza dell'uomo
cittadino", "Pulitezza dell'uomo di mondo". Nella seconda
edizione del 1820, Gioja ridimensiona il concetto di "pulitezza" come
l'arte di modellare la persona, le azioni, i sentimenti, i discorsi in modo da
procurarsi l'altrui stima ed affezione. La vecchia ripartizione è sostituita
da: "Pulitezza Generale", "Pulitezza Particolare",
"Pulitezza Speciale". La terza edizione risale al 1822 dove
Gioja, a differenza dell'edizioni precedenti, enfatizza l'importanza del
concetto di "ragione sociale", considerato dall'autore il fondamento
etico del galateo che avrebbe portato felicità e pace sociale mediante le buone
maniere. Massoneria Gioja fu membro della Loggia massonica "Reale
Amalia Agusta" di Brescia, che prese il nome dalla moglie del principe
Eugenio di Beauharnais, primo Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, loggia
che fu attiva fino al 1814. A lui è intestata la loggia N. 1114 di Piacenza
all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia. Gli ultimi anni dopo il
crollo della Repubblica Cisalpina Del merito e delle ricompense Crollato
il dominio napoleonico nel 1814, negli anni della Restaurazione Gioja produce
le sue opere maggiori: il "Nuovo prospetto delle scienze economiche"
(18151819), il trattato "Del Merito e delle Ricompense" (18181819),
"Sulle manifatture nazionali" (1819), "L'ideologia" (1822):
gli ultimi tre libri vengono messi all'Indice e il suo fecondo lavoro è interrotto
da un nuovo arresto, dal 19 dicembre 1820 al 10 luglio 1821, con Pietro
Maroncelli e Silvio Pellico, per aver cospirato contro l'Austria partecipando
alla setta carbonara dei "Federati". Dopo quest'ultima
peripezia, nonostante i sospetti da parte del governo austriaco, Gioja ha
finalmente davanti a sé qualche anno di serenità e compone la sua ultima opera,
"La filosofia della statistica" (1826). Muore a Milano nel 1829,
trovando sepoltura nel Cimitero della Mojazza, fuori Porta Comasina (per un periodo
di tempo, si pensò erroneamente che il suo corpo fosse stato sepolto presso il
vecchio Fopponino di Porta Vercellina): nel 1855 lo scrittore Ignazio Cantù,
nel suo Milano, nei tempi antico, di mezzo e moderno: Studiato nelle sue vie;
passeggiate storiche ne poteva ancora vedere la lapide tombale redatta in
latino e scriveva: «Nel cimitero vicino (il cimitero della Mojazza) fra
tante ossa ignorate dormono senza fasto di mausoleo le ceneri di Melchiorre
Gioia, di Gianbattista De-Cristoforis, di Luigi Sabatelli, di Giacomo
Albertolli, e d'altri uomini insigni (...)» Prende il suo nome il Liceo
Classico di Piacenza. Antonio Rosmini in un dipinto di Hayez Le
critiche di Antonio Rosmini L'abate Antonio Rosmini, suo avversario in politica
come in religione, lo accusò di pretendere di proporre un nuovo codice morale,
fondato su principi palesemente opportunistici, mentre con disinvoltura
richiedeva sussidi e regali dai titolari del potere politico per elogiarne le
benemerenze nelle proprie pubblicazioni periodiche, e lo dichiarò pubblicamente
un "ciarlatano". Opere Melchiorre Gioia, Del merito e delle
ricompense, 2, Filadelfia, s.n., 1830.
Riflessioni sulla rivoluzione. Scritti politici 1798 Nuovo Galateo 1802 Il
Nuovo prospetto delle scienze economiche 1815-1819 Melchiorre Gioia,
Distribuzione delle ricchezze, Milano, presso Gio. Pirotta in santa Radegonda,
1815. Melchiorre Gioia, Produzione delle ricchezze, 2, Milano, presso Gio. Pirotta in santa
Radegonda, 1815. Melchiorre Gioia, Consumo delle ricchezze, Milano, presso Gio.
Pirotta in santa Radegonda, 1816. Melchiorre Gioia, Azione governativa sulla
produzione, distribuzione, consumo delle ricchezze, 2, Milano, presso Gio. Pirotta in santa
Radegonda, 1817. Sulle manifatture nazionali1819 Dell'ingiuria, dei danni, del
soddisfacimento e relative basi di stima avanti i tribunali civili 1821
l’Ideologia 1822 Filosofia della statistica (1826) Note Francesca Sofia nel Dizionario Biografico
degli Italiani, riferimenti in , indica la data del "19 gennaio"
1767. Ettore Rota nella Enciclopedia Italiana, edizione 1933, riporta "20
settembre" dello stesso anno. Cfr.
Arrigo Solmi, L'idea dell'unità italiana nell'età di Napoleone in Rassegna
storica del Risorgimento, gennaio-marzo 1933. Fonte: Francesca Sofia,
Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in . Fonte: Treccani.it L'Enciclopedia Italiana,
riferimenti in . Vittorio Gnocchini,
L'Italia dei Liberi Muratori,Mimesis-Erasmo, Milano-Roma, 2005146. Ignazio Cantù, Milano, nei tempi antico, di
mezzo e moderno: Studiato nelle sue vie; passeggiate storiche, 185539. 24
giugno . Antonio Saltini, Maria Teresa
Salomoni, Stefano Rossi, Via Emilia. Percorsi inusuali fra i comuni dell'antica
strada consolare , Il Sole 24 oreEdagricole, Bologna 2003, pag. 224 Piero Barucci, Il pensiero economico di
Melchiorre Gioia, Milano, Giuffre, 1965 (Biblioteca della rivista Economia e
storia; 15). Manlio Paganella, Alle origini dell'unità d'Italia: il progetto
politico-costituzionale di Melchiorre Gioia, Milano, Ares, 1999 (Faretra; 25).
Francesca Sofia, «GIOIA (Gioja), Melchiorre», in Dizionario Biografico degli
Italiani, Volume 55, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2001. Nicola
Pionetti, Melchiorre Gioia: il progetto politico del 1796 per un'Italia unita e
repubblicana, Piacenza, EdizioniLir, . Luisa Tasca, Galatei. Buone maniere e
cultura borghese nell'Italia dell'Ottocento, Firenze, Le Lettere, 2004. Gioia (metropolitana di Milano) Altri
progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Melchiorre
Gioia Collabora a Wikiquote Citazionio su Melchiorre Gioia Collabora a
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Melchiorre Gioia Melchiorre Gioia, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Melchiorre Gioia, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Melchiorre Gioia, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, . Melchiorre Gioia, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. (DE) Melchiorre Gioia (XML), in Dizionario
biografico austriaco 1815-1950. Opere di
Melchiorre Gioia / Melchiorre Gioia (altra versione), su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Opere di Melchiorre Gioia, .
Melchiorre Gioia Giacobino abstract pubblicazione "MELCHIORRE
GIOIA" e-book, progetto Piacenza Project Science. melchiorregioia.it/la-storia.
Giorello -- Giulio Giorello (Milano) filosofo. Giulio Giorello conseguì
due lauree: la prima in Filosofia presso l'Università degli Studi di Milano nel
1968 (sotto la guida di Ludovico Geymonat), la seconda in Matematica
all'Università degli Studi di Pavia nel 1971. Insegnò quindi Meccanica
razionale presso la Facoltà di Ingegneria dell'Università degli Studi di Pavia,
per poi passare alla Facoltà di Scienze fisiche e matematiche dell'Università
degli Studi di Catania, di Scienze fisiche presso l'Università degli Studi
dell'Insubria, sede di Como, e al Politecnico di Milano. Ricoprì dal 1978
al la cattedra (già di Ludovico
Geymonat) di Filosofia della scienza presso l'Università degli Studi di Milano;
fu inoltre Presidente della SILFS (Società Italiana di Logica e Filosofia della
Scienza) dal 2004 al 2008. Diresse la collana Scienza e idee di Raffaello
Cortina Editore e collaborò, come elzevirista, alle pagine culturali del
quotidiano milanese Corriere della Sera. Vinse la IV edizione del Premio
Nazionale Frascati Filosofia . Fu attivo in rassegne culturali insieme allo
scrittore Luca Gallesi. È morto a Milano il 15 giugno , presumibilmente
per complicanze dovute al COVID-19. Tre giorni prima del decesso aveva sposato
la compagna Roberta Pelachin. Il corpo è stato cremato al cimitero di Lambrate,
ove le ceneri sono state poi portate nel Giardino del Ricordo, un luogo dove
vengono sparse per essere assorbite dalla natura. Pensiero Giorello
divise i suoi interessi tra lo studio di critica e crescita della conoscenza
con particolare riferimento alle discipline fisico-matematiche e l'analisi dei
vari modelli di convivenza politica; dalle sue prime ricerche in filosofia e
storia della matematica, i suoi interessi si erano poi ampliati verso le
tematiche del cambiamento scientifico e delle relazioni tra scienza, etica e
politica. La sua visione politica era di stampo liberal democratico e si
ispirava, tra gli altri, al filosofo inglese John Stuart Mill. Si occupò
anche di storia della scienzain particolare le dispute novecentesche sul
"metodo"e di storia delle matematiche (Lo spettro e il libertino).
Nel 1981 curò con Marco Mondadori l'edizione italiana di Sulla libertà di John
Stuart Mill. Giulio Giorello era ateo e scrisse al riguardo il libro Senza Dio.
Del buon uso dell'ateismo. Opere Giulio Giorello fra il prof. Peter
Atkins (il primo da sinistra) e Giuseppe Testa, direttore del Laboratorio di Epigenetica
delle cellule staminali, alla conferenza mondiale Science for PeaceAula Magna
Università Bocconi di Milano16 novembre
Saggi di storia della matematica, Milano, FER, 1974. Il pensiero
matematico e l'infinito, Milano, UNICOPLI, Lo spettro e il libertino. Teologia,
matematica, libero pensiero, Milano, A. Mondadori, 1985. Le ragioni della
scienza, con Ludovico Geymonat, con la partecipazione e un'appendice di Fabio
Minazzi, Roma-Bari, Laterza,Filosofia della scienza, Milano, Jaca Book, testo
di Isabella Colonnello, Le stanze della ricerca, Milano, Mazzotta, Europa
universitas. Tre saggi sull'impresa scientifica europea, con Tullio Regge e
Salvatore Veca, Milano, Feltrinelli, 1993.
88-07-09038-4. Introduzione alla filosofia della scienza, Milano, R.C.S.
libri & grandi opere, Quale Dio per la sinistra? Note su democrazia e
violenza, con Pietro Adamo, Milano, UNICOPLI, La filosofia della scienza nel XX
secolo, con Donald Gillies, Roma-Bari, Laterza, Lo specchio del reame.
Riflessioni su potere e comunicazione, con Roberto Esposito, Carlo Sini e
Danilo Zolo, Ravenna, Longo, Epistemologia applicata. Percorsi filosofici, e
con Michele Di Francesco, Milano, CUEM, I volti del tempo, e con Elio Sindoni, Corrado
Sinigaglia, Milano, Bompiani, Prometeo, Ulisse, Gilgameš. Figure del mito,
Milano, Cortina, Di nessuna chiesa. La
libertà del laico, Milano, Cortina, Dove fede e ragione si incontrano?, con
Bruno Forte, Cinisello Balsamo, San Paolo, La libertà della vita, con Umberto
Veronesi, Milano, Cortina, Il decalogo.
I dieci comandamenti commentati dai filosofi, II, Non nominare il nome di Dio
invano, con Gabriele Mandel, con CD, Milano, Albo Versorio, Giulio Giorello
relatore al convegno internazionale "Science for Peace", Milano 14
novembre La scienza tra le nuvole. Da Pippo
Newton a Mr Fantastic, con Pier Luigi Gaspa, Milano, Cortina, Kos. Rivista di
medicina, cultura e scienze umane, 4:
Dio, Patria e Famiglia (con Massimo Cacciari e Carlo Maria Martini), Milano,
Editrice San Raffaele, 2000 Libertà. Un manifesto per credenti e non credenti,
con Dario Antiseri, Milano, Bompiani, Il
peso politico della Chiesa, con Francesco D'Agostino, Cinisello Balsamo, San Paolo,
Viaggio intorno all'Evoluzione (con E. Sciarra, F. Eugeni, C. Venturelli), R.
Mascella, Zikkurat Edizioni&Lab, 2008. Harsanyi visto da Giulio Giorello e
Simona Morini (con Simona Morini), Milano, Luiss University press, Lo scimmione
intelligente. Dio, natura e libertà (con Edoardo Boncinelli), Milano, Rizzoli,
2009. Ricerca e carità. Due voci a confronto su scienza e solidarietà, con
Carlo Maria Martini, Milano, Editrice San Raffaele, Introduzione a Apostolos Doxiadis e Christos
H. Papadimitriou, Logicomix, Parma, Guanda, Lussuria. La passione della conoscenza,
Bologna, Il Mulino, . Senza Dio. Del buon uso dell'ateismo, Milano, Longanesi,
. Il tradimento. In politica, in amore e non solo, Milano, Longanesi, . Premio
Nazionale Rhegium Julii Saggistica. La filosofia di Topolino, con Ilaria
Cozzaglio, Parma, Guanda, . Noi che
abbiamo l'animo libero. Quando Amleto incontra Cleopatra, con Edoardo
Boncinelli, Milano, Longanesi, SILFS Past Presidents, su silfs.it. 20 giugno
.
ansa.it/sito/notizie/cultura/libri/approfondimenti//06/15/e-morto-il-filosofo-giulio-giorello_ca38aabe-c76a-47df-97b6-15494a58d870.html corriere.it/cultura/20_giugno_16/morto-giorello-non-si-era-mai-arreso-ricovero-ritorno-ultimi-doni-20e01862-afac-11ea-a957-8b82646448cc.shtml
È morto il filosofo Giulio Giorello, in la Repubblica, 15 giugno . Comune di Milano, App di ricerca defunti Not
2 4get. Un giardino per il ricordo al
cimitero di LambrateVareseNews, in VareseNews, 11 ottobre 2004. 19 marzo . Longanesi (collana Le spade), premio Rhegium Julii, su circolorhegiumjulii.wordpress.com.
3 novembre . Scuola di Milano Altri
progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Giulio Giorello Collabora a
Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giulio
Giorello Giulio Giorello, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Giulio Giorello / Giulio Giorello
(altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Giulio
Giorello, . di Giulio Giorello, su
Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff. italiana di Giulio Giorello, su Catalogo
Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com. Registrazioni di Giulio Giorello, su
RadioRadicale.it, Radio Radicale. Giulio
Giorello, su INDUCKS. Giulio Giorello: fede
e ragione, sul RAI Filosofia, su filosofia.rai.it.
Giorgi: Pierpaolo De Giorgi
(Cavallino) filosofo. Si laurea a Perugia in Filosofia Estetica con Sergio
Givone, studia con l'etnologo Tullio Seppilli e con l'etnomusicologo Piero
Arcangeli, dapprima cantautore solista, suona negli anni Settanta con il Gruppo
popolare salentino e con i Tarantula, del quale è fondatore. Lavora presso la RAI di Perugia e studia a
lungo in senso specialistico il tarantismo e la pizzica.Già negli anni Ottanta
è il primo[senza fonte] a intuire le possibilità della pizzica ed a cantarla
anche come solista. Dal 1984 in poi insegna canti e musiche tradizionali del
Salento in varie scuole statali. Tiene concerti ovunque, anche assieme a gruppi
come la Nuova Compagnia di Canto Popolare.
Nel 1990 assieme al maestro depositario Amedeo de Rosa dà vita al gruppo
Pierpaolo De Giorgi e i Tamburellisti di Torrepaduli, provocando in pochi anni
una vera e propria rinascita della pizzica. Nel 1991 rivaluta la pizzica come
vero e proprio genere musicale, utilizzando i materiali tradizionali e
scrivendo assieme al cantautore Gino Ingrosso l'album Fantastica pizzica. Studia etnomusicologia della “Grecìa
salentina”, rivalutando i brani in "grico". Nel 1992 riceve la
cittadinanza onoraria di Nemea in Grecia per meriti poetici e musicali. Assieme
ai Tamburellisti di Torrepaduli e come solista tiene concerti in tutto il mondo
e suona in teatri famosissimi come quello di Erode Attico ad Atene presso il
Partenone. Molti dei numerosi artisti e
gruppi che si formano successivamente seguono la strada di De Giorgi. Nel 2000
scrive l'album Pizzica e rinascita, il più venduto dei Tamburellisti, che esce
con “La Gazzetta del Mezzogiorno”. È curatore e traduttore del noto volume La
danza delle spade e la tarantella di M. Schneider. È direttore del Centro Regionale Servizi
Educativi e Culturali LE/38. Collabora con la Cattedra di Estetica di Paolo
Pellegrino dell'Università degli Studi di Lecce. Tiene ovunque conferenze e
lezioni di etnomusicologia e di estetica.
Opere Volumi (poesia) Pierpaolo De GiorgiLuigi Marzo, Le strade che portano
al Subasio passando dal Salento, prefazione di Donato Valli e Ilderosa Laudisa,
Ed. Del Grifo, Lecce 1991. Volumi (ricerca) Pierpaolo De Giorgi, Tarantismo e
rinascita: i riti musicali e coreutici della pizzica-pizzica e della
tarantella, Lecce, Argo, 1999. Marius Schneider, La danza delle spade e la
tarantella: saggio musicologico, etnografico e archeologico sui riti di
medicina, traduzione e cura di Pierpaolo De Giorgi, Argo, Lecce 1999. Pierpaolo
De Giorgi, Pizzica-Pizzica, la musica della rinascita. La tarantella del
tarantismo e la sua resurrezione: struttura musicale, stato dell'arte e
neotarantismo, Lecce, Pensa MultiMedia, 2002. Pierpaolo De Giorgi, L'estetica
della tarantella: pizzica, mito e ritmo, Congedo Editore, Galatina, 2004.
Pierpaolo De Giorgi, Pizzica e tarantismo: la carne del mito
dall'etnomusicologia all'estetica musicale, Galatina, Edit Santoro, 2005.
Pierpaolo De Giorgi, Il tarantismo come mito: dagli errori di De Martino alla
rivalutazione del pensiero mitico, Galatina, Congedo, 2007. Pierpaolo De
Giorgi, Il mito del tarantismo: dalla terra del rimorso alla terra della
rinascita, Galatina, Congedo 2007. Pierpaolo De Giorgi, I poeti del vino,
Galatina, Congedo, 2009. Pierpaolo De Giorgi, La pizzica, la taranta e il vino:
il pensiero armonico, Galatina, Congedo, . Pierpaolo De Giorgi, La rinascita
della pizzica, Galatina, Congedo, . Articoli e saggi Pierpaolo De Giorgi
et.al., Husserl e la Krisis, 3ª in “Segni e comprensione”, Milano, 1985,
gennaio-giugno 1987. Pierpaolo De Giorgi, Il francescanesimo tra idealità e storicità,
3ª in “Segni e comprensione”, Porzincula (S.Maria degli Angeli), 1985,
gennaio-aprile 1989. Pierpaolo De Giorgi, Il canto popolare salentino, in , Il
canto popolare salentino, Atti del I Convegno Nazionale di Studi Demologici
Salentini, Copertino 15-16 novembre 1990, F. Noviello e D. Severino, Capone,
Cavallino 1992. Pierpaolo De Giorgi, Il tarantismo secondo Schneider: nuove
prospettive di ricerca, in , Quarant'anni dopo De Martino: il tarantismo, Atti
del Convegno, Galatina 24-25 ottobre 1998,
I, Nardò 2000. Pierpaolo De Giorgi, La iatromusica carne del mito: la
pizzica pizzica tra etnomusicologia ed estetica musicale, in , Mito e
tarantismoPellegrino, Pensa MultiMedia, Lecce 2001. Pierpaolo De Giorgi, La
pizzica pizzica immensa risorsa culturale del Sud, in , Terra salentina: i Sud
e le loro arti, materiali del Convegno di Arnesano del 6-8 settembre 2001, La
Stamperia, Leverano 2001. Pierpaolo De Giorgi, Il ritorno di Dioniso: a
proposito di un libro di P. Pellegrino, in “Segni e comprensione”, a. XIX, n.
55, maggio-agosto 2005. Pierpaolo De Giorgi, Fra aborigeni e tarantismo, in ,
Settimana di promozione culturale pugliese a Sydney, C. Minichiello, Pensa
MultiMedia, Lecce 2002. Pierpaolo De Giorgi, a cura di, Le tradizioni popolari
nei disegni di Nino Severino, greco, Copertino 2004. Interventi poetici
Pierpaolo De Giorgi, Diario di bordo, in , La czarda e il vento: antologia di
autori contemporanei ungheresi e salentini, G. Conte, Congedo 1994. Pierpaolo
De Giorgi, Poesia sintetica, in , Il cuore di Amleto: testi, grafiche e
fotografie di autori contemporanei salentini e ungheresi, nota introduttiva di
G. Conte, traduzioni di F. Baranyi e A. Menenti, Veszprém 1996. Pierpaolo De
Giorgi, I fogli, numero uno, in “L'Immaginazione”. Pierpaolo De Giorgi, Chiedendo
e schiodando, La vita amico è l'arte dell'incontro e Maestà delle volte, in
Omaggio al Salento, Torgraf, Galatina 1990. Pierpaolo De Giorgi, In marcia di
pace verso Assisi e Trilogia del molto e ben comunicare, in Omaggio a Maglie cuore del Salento, Torgraf,
Galatina 1991. Pierpaolo De Giorgi, Fantastica pizzica, in , Salentopoesia 91,
settimo festival nazionale di poesia con musica e danza, Gallipoli 10-11 agosto
1991, Conte, Lecce 1991. Pierpaolo De Giorgi, Gheriglio in disegno e preghiera,
in , Salentopoesia 92, ottavo festival nazionale di poesia con musica e danza,
Lecce, 5-6 dicembre 1992, Conte, Lecce 1992. Pierpaolo De Giorgi, Isola nel
Trasimeno, in , Salentopoesia 95, nono festival nazionale di poesia con musica
e danza, Monteroni, 28-29 ottobre 1995, Conte, Lecce 1995. Pierpaolo De Giorgi,
S'è cambiato il mondo? e Leggeri Cieli da Leggere, in Luigi Marzo: mostra di
pittura, Spello 5-13 febbraio 1994, catalogo, Spello 1994. Pierpaolo De Giorgi,
Lascio un cielo di luce cinica, in Sulle ali di Pegaso senza mai cadere. Marzo:
mostra di pittura, Città della Pieve, 18 luglio-9 agosto 1998, Tipografia
Pievese, Città della Pieve 1998. Discografia Album 1991Fantastica Pizzica
(MCDiscoexpress) 1995Pizzica e Trance (MCDiscoexpress) 2000Pizzica e Rinascita
(CDSorriso) 2003Il tempo della taranta: pizzica d'autore (CDDrim) 2005Pizzica
grica: to paleo cerò (CDPlanet Music Studio) 2006Pizzica e RinascitaRistampa
(CDC&M) 2009Taranta Taranta (CDIrma records) Sito ufficiale, su pierpaolodegiorgi.it.
Giorgi: Raffaele De Giorgi
(Vernole), filosofo. Insegna a Salento.
Consegue la maturità classica e si laurea in filosofia con lode a Roma,
discutendo la tesi Prospettive della logica giuridica: la logica deontica. Dopo
aver condotto studi e ricerche in molte università europee e aver insegnato
presso il Max-Planck-Institut für europäische Rechtsgeschichte (Società Max
Planck), la collaborazione più fruttuosa la ha con Niklas Luhmann, con il quale
fonda nel 1990, il Centro Studi sul Rischio, presso l'Università degli Studi di
Lecce, del quale è tutt'oggi direttore. Conduce molti studi e seminari in
America meridionale, ottiene una Càtedra de Exelcia presso l'Universidad
Nacionàl Autònoma de México. È stato preside di facoltà fino al , anno in cui è
stato nominato direttore del Dipartimento di Studi giuridici dell'Università
del Salento. È uno dei maggiori studiosi
italiani della Teoria dei sistemi sociali.
Opere Tra i suoi lavori: Wahrheit
und Legitimation im Recht, 1981 Materiali per una teoria sociologica del diritto,
1981 Manuale di diritto del lavoro e legislazione sociale, con Realino Marra,
1983 Azione e imputazione. Semantica e critica di un principio nel diritto
penale, 1984 Teoria della società, con Niklas Luhmann, 1992 Direito, democracia
e risco. Vinculos com o futuro, 1988 Scienza del diritto e legittimazione.
Critica dell'epistemologia giuridica tedesca da Kelsen a Luhmann, 1998
Ridescrivere la questione meridionale, con Giancarlo Corsi, con un saggio di
Niklas Luhmann, 1998 Mondi della società del mondo, con Stefano Magnolo, 2005
Direito, tempo e memoria, 2006 Temi di filosofia del diritto, 2006 Futuri
passati. Il mondo visto da Campone, Adriana Prizreni, Note
Sito Centro Studi sul rischio di Lecce
Curriculum del prof. Raffaele De Giorgi Facoltà di Giurisprudenza dell'Università
del Salento.
Giovanni: Europarlamentare
LegislatureIII, IV Gruppo parlamentareGruppo per la Sinistra Unitaria Europea;
Gruppo socialista; Gruppo del Partito del socialismo europeo Incarichi
parlamentari Presidente della Commissione per gli affari istituzionali Sito
istituzionale Dati generali Partito politicoPartito Comunista Italiano; Partito
Democratico della Sinistra; Democratici di Sinistra UniversitàUniversità degli
Studi di Napoli Federico II Biagio De Giovanni (Napoli), filosofo. Ha aderito
successivamente alla Rosa nel Pugno. Simpatizzò
per la monarchia e l'11 giugno 1946 fu tra coloro che presero parte agli
scontri che causarono la strage di via Medina; in seguito avrebbe spiegato la
sua partecipazione con queste parole: «Già leggevo Hegelero monarchico perché
credevo all'unita dello Stato. (...) Scappai quando la situazione
s'incanaglì». Laureatosi in filosofia
del diritto, alla facoltà di giurisprudenza all'Università Federico II di
Napoli, con una tesi su Giambattista Vico, è stato docente nello stesso ateneo
e successivamente ha insegnato presso l'Bari.
È stato poi docente di Dottrine politiche presso l'Università degli
Studi di Napoli "L'Orientale" e titolare della cattedra Jean Monnet
di Storia e politica dell'integrazione europea presso lo stesso ateneo. Dal
1981 al 1986 è stato il direttore della rivista "il Centauro. Rivista di
filosofia e teoria politica", che annoverava, tra gli altri, collaboratori
come Angelo Bolaffi, Massimo Cacciari, Umberto Curi, Roberto Esposito e Giacomo
Marramao. Dal 1987 al 1989 è stato
rettore dell'Orientale. È stato eletto
deputato europeo alle elezioni del 1989, e riconfermato nel 1994, per le liste del
PCI e del PDS. È stato presidente della Commissione per gli affari istituzionali,
membro della Commissione per la gioventù, la cultura, l'istruzione, i mezzi di
comunicazione e lo sport, della Delegazione per le relazioni con l'Unione delle
Repubbliche Socialiste Sovietiche, della Commissione giuridica e per i diritti
dei cittadini, della Delegazione per le relazioni con la Repubblica popolare
cinese, della Delegazione per le relazioni con i paesi del Mashrek e gli Stati
del Golfo. Attualmente è ancora un
intellettuale attivo e interessato alla politica italiana e campana, relatore
in diversi seminari e incontri, su temi non solo filosofici; tuttora è continua
e proficua la sua produzione pubblicistica.
Opere principali: “L'esperienza come oggettivazione: alle origini del
problema moderno della scienza, La teoria politica delle classi nel Capitale,Hegel
e il tempo storico della società borghese, Marx e la costituzione della praxis,
Marx dopo Marx (cf. Luigi Speranza,
“Grice dopo Grice.” Impilcature: Not Grice! -- con Gianfranco Pasquino, La
nottola di Minerva: PCI e nuovo riformismo, 1989. Dopo il comunismo, 1990.
L'ambigua potenza dell'Europa, 2002. Da un secolo all'altro: politica e
istituzioni a partire dal 1968, con Ciriaco De Mita e Roberto Racinaro, 2004.
La filosofia e l'Europa moderna, 2004. Sul partito democratico. Opinioni a
confronto, con Massimo Cacciari e Giuseppe Galasso, 2007. A destra tutta. Dove
si è persa la sinistra?, 2009. Elogio della sovranità politica, Editoriale
scientifica, . Le Forme e la storia.
Scritti in onore di Biagio De Giovanni, M. Montanari, F. Papa, G. Vacca,
Napoli, Bibliopolis, (in appendice di Biagio de Giovanni, Luca Basile). Antonio
Carioti I dimostranti monarchici abbattuti dalla mitraglia Archiviato il 7
marzo in . Opere di Biagio De Giovanni,
. Biagio De Giovanni, su Goodreads.
Biagio De Giovanni, su europarl.europa.eu, Parlamento europeo. Registrazioni di Biagio De Giovanni, su
RadioRadicale.it, Radio Radicale.
Profilo biografico su Rai Educational Biagio De Giovanni, o la parabola
di un intellettuale nel sito "europeanjournal.it.
Giraldi: Giovanni Battista Giraldi
(Ventimiglia) filosofo. Il padre di
Giovanni Giraldi, originario di Dolceacqua e di estrazione contadina, dopo il
servizio militare riuscì la scalata del successo al Casinò di Monte Carlo,
affermandosi anche come uomo di grande saggezza e religiosità. La madre invece
era originaria di Ventimiglia, dove Giovanni Giraldi stesso nacque e trascorse
la sua infanzia, nono di undici figli. Sebbene la famiglia fosse benestante,
egli soffriva per la grande conflittualità interna, continuamente vessato dalla
sorella maggiore che non esitava ad usare violenza nei suoi confronti, mentre
la madre non faceva parola con il padre di quanto assisteva. Giraldi racconta
che in questo periodo riusciva a trovare pace solo in chiesa. Con una bugia astuta Giraldi riuscì a
scappare di casa, entrando in un collegio, dunque l'anno successivo si trasferì
in un altro collegio di Roma, ove tuttavia non riuscì a trovare la tranquillità
sperata. Nel 1939 si sposò con Armida Saliola, che gli darà due figli e resterà
la compagna della sua vita sino alla morte sopraggiunta nel 1996. Giraldi
riuscì a compiere studi classici a Roma, iscrivendosi poi all'Università. Egli
non frequentava le lezioni delle materie filosofiche o letterarie curricolari,
ma studiava per conto proprio. Tuttavia seguiva abbastanza regolarmente le
lezioni di psicologia del professor Mario Ponzo, anche se non era materia
d'esame. Conseguì la prima laurea nel
1941 e prestò servizio militare durante la seconda guerra mondiale. Nel frattempo,
dopo aver conseguito la prima laurea in discipline letterarie, si iscrisse per
una seconda, questa in discipline filosofiche, che ottenne discutendo molto
animatamente la tesi con Ugo Spirito, il quale ironizzò sulle sue pretese di
"fare una nuova filosofia". Gli interessi letterari erano però
prevalenti, a partire dalla sua prima opera creativa, il Bàrel, composto
all'età di 24 anni in versi e poi rivisto in prosa, ma soprattutto ricerche
letterarie, anche se le occasioni di pubblicazione si limitarono a degli studi
sul Carrara: una ricerca sul Bucolicm Carmen uscì su Il giornale storico della
letteratura italiana e una delle opere
su Rinascimento, e uno studio sul Rinaldo del Tasso pubblicato su Bergomum e
sul Convivium diretto da Carlo Calcaterra.
Più facilmente venivano pubblicati gli studi filosofici di Giraldi che
trovarono spazio su Il Saggiatore, rivista pedagogica e filosofica diretta da
Gallo Galli e da Angiolo Gambaro, sulla Rivista Internazionale della filosofia
del diritto di Giorgio Del Vecchio e molto sulla rivista Filosofia dell'Unicità
di Antonio Consentino, che aveva conosciuto nell'ambiente della rivista
milanese Humana. Nel 1959 conseguì finalmente la Libera Docenza e insegnò per
molti anni Storia Generale della Filosofia presso l'Università Statale di
Milano. Giovanni Giraldi ha fondato e diretto la casa editrice Pergamena, dopo
la morte della moglie ceduta al figlio Giancarlo. Pergamena Editrice ha
pubblicato due periodici specialistici, anch'essi fondati e diretti da Giovanni
Giraldi: L'Idea liberale (1959-1992) e Sistematica (1968-). La sua attività culturale, estesa a tutto lo
scibile umano, è racchiusa in centinaia di opere e in numerosissimi articoli.
Si segnalano tra questi le sue collaborazioni anche per Il Giornale d'Italia.
Oltre a libri di filosofia, teologia, filologia e pedagogiaquelli che hanno
goduto di maggiore notorietà sono il monumentale Dizionario di Estetica e
Linguistica generale e la Storia della pedagogia, testi utilizzati
prevalentemente in ambito universitarioGiovanni Giraldi ha scritto anche
poesie, racconti e novelle confluite in alcune raccolte. È stato inoltre
ripetutamente acquisito come consulente dall'Accademia Svedese per
l'attribuzione del Premio Nobel per la letteratura; ha trascorso gli ultimi anni
della sua vita a Noli, ove era cittadino onorario. È morto nel suo centesimo anno di vita il 23
settembre a Milano. Pensiero Partendo dalla teoria gentiliana,
che vede in tutto una "mediazione", e da quella di Antonio
Consentino, che sostiene al contrario la totale "immediatezza",
Giovanni Giraldi afferma che anche l'atto puro di Gentile, in quanto nuovo e
spontaneo, non può che nascere senza alcuna mediazione, quindi è l'equivalente
dell'immediatezza consentiniana, o del sentire puro. Egli pertanto prova a
risolvere le contraddizioni di entrambe le posizioni in una sintesi hegeliana
che possa superare sia il divenirismo gentiliano, sia il coscienzialismo
antidivenirista di Consentino. La soluzione di Giraldi è che l'immediatezza
sarebbe "sostanziata di mediazione, e viceversa". L'immediatezza è
così colma di mediazione, perché senza di essa sarebbe cieca e una mediazione
senza una immediatezza sarebbe nulla. Inoltre, per avere una identità
distinguibile, si dovrebbe avere già dentro di sé quanto necessario per
identificarsi e per distinguersi. In
Etica del sentimento (1955), ancorando il principio morale proprio alla sfera
sentimentale, Giraldi si focalizza sul sentimento di libertà e propone nuove
argomentazioni alla tesi di derivazione stoica del sentirsi responsabili, pur
entro un tutto già dato. In Gnoseologia del Sentimento (1957) egli parte
proprio dalla posizione del Consentino per ripercorrere gli itinerari di una
filosofia dell'essere indiveniente e per affrontare gli aspetti dinamici e
volontaristici dell'Io, cui Consentino, dall'alto della sua posizione
teoretica, non sembrava interessato. In
Filosofia giuridica (1961) espone la concezione di diritto naturale quale
sentimento fondamentale giuridico, condizione trascendentale di ogni diritto
positivo, una posizione abbozzata in un intervento durante il III Congresso di
Filosofia del Diritto a Catania. Pertanto il diritto naturale non sarebbe un
codice sovrapponibile ad altri codici, ma la precondizione che permette alle
leggi positive di essere leggi e non atti religiosi, estetici, scientifici o di
altro tipo. Nella rivista L'Idea Liberale e in alcuni volumi, tra cui Storia
del Liberalismo nel sec. XX (1990), si è occupato anche della riflessione su
temi politici. Notevoli inoltre i saggi di pedagogia, cui ha dedicato anche una
Storia della pedagogia che dagli anni sessanta è tra le più adottate in sede
universitaria. L'opera Storiografia come
rettorica, del 1980, tende ad inquadrare l'unitarietà artistica e scientifica
della ricostruzione storica, coerentemente con la tesi ciceroniana della
historia opus oratorum maxime e con quella aristotelica dell'entimema, in altre
parole quel sillogismo retorico che si differenzia da quello della necessità.
In Epistemologia (1965) invoca una "demitizzazione" anche delle
teorie cosmologiche e scientifiche più accreditate (l'evoluzionismo, la teoria
del Big Bang, la meccanica quantistica), poiché a suo dire tenderebbero pure
esse a cadere in paralogismi e contraddizioni logiche, nonostante gli
apprezzabili sforzi a riferirsi a filosofie anche orientali da parte di alcuni
notevoli scienziati (Albert Einstein, Werner Karl Heisenberg, Erwin
Schrödinger, Paul Dirac). Ad esempio
nota che anche i migliori epistemologi che irridono il concetto di sostanza, di
fatto, riferiscono i dati sperimentali ad una sottintesa sostanza soggiacente.
In numerose opere dedicate alla religione, analizzata nelle molteplici forme di
spiritualità, avanza la tesi che il proprium della religione sia la
soteriologia, quindi non tanto il contenuto di una dottrina, ma la speranza di
salvazione dal negativo della vita e della morte. Il principio cardine diventa
dunque la speranza, e non più la fede, che viene ricondotta ad un ruolo
funzionale alla realizzazione della salvezza.
L'analisi giraldiana della religiosità tenta perciò di emanciparsi dagli
usuali preconcetti teologici o filosofici: se alla religione è stato assegnato
per oggetto l'uomo immediatamente e Dio mediatamente, alla teologia Dio si dà
immediatamente e l'uomo mediatamente. Altresì in Immortalità dell'anima (1992)
mostra come sia improponibile lo sforzo di svincolare l'unità del Pensiero con
la determinazione individualizzata della persona. Il Dizionario di Estetica e
Linguistica generale (1975), con alcune integrazioni filologiche presenti in
alcune successive pubblicazioni, alcune in Sistematica, si distingue anche per
l'attenzione dedicata all'estetica orientale e sulle concezioni dei primitivi
"di ieri e di oggi". Per una
filosofia della scelta e della decisione
Giovanni Giraldi nel La proposta
avanzata da Giovanni Giraldi per una filosofia della scelta e decisione si apre
con una riflessione sul dogmatismo e l'agnosticismo, dalle quali l'autore vuole
prendere le distanza. Non si considera dogmatico, perché gnoseologicamente il
suo metodo gli consente di aderire ad un'idea solamente dopo la caduta di ogni
riserva, ma ciò non lo porta neppure ad approdare ad una concezione scettica né
agnostica, in quanto la non possibilità di dimostrare (ad esempio
l'immortalità, la vita ultraterrena o l'esistenza di Dio) non equivale ad
affermare la loro non esistenza. Tra le
numerose acquisizioni che lo difenderebbero dalle accuse incrociate di
scetticismo e agnosticismo enumera la consapevolezza di un patrimonio di verità
circa le possibilità di pensiero; la ricchezza dell'atto di conoscenza anche
nelle forme meno esplicate; l'emancipazione dalla divisione del conoscere in
intuizioni e concetto, sensazione e concetto; la pretestuosità di coloro che
esigono una purezza del conoscere senza inquinamenti sentimentali; le aporie di
una scienza oggettivante e insieme soggettivante al massimo e dell'arte che,
mentre il mondo odierno nega il reale, si riferisce continuamente ad essa,
particolarmente nella negazione. Non
potendosi dare una irruzione nel trascendente, è tuttavia possibile affermare
la vasta pregnanza del trascendentale, in altre parole di un terreno comune per
l'esperienza e il pensiero. Giraldi si considera pertanto idealista, nel senso
che non esiste pensiero senza pensiero, spirito senza spirito, ideato senza
ideante. Tuttavia, differentemente dalle posizioni gentiliane, non crede che
affatto il pensiero sia liquido, tutt'altro; proprio perché l'idea diventa
comune, e in essa il Pensiero trova la sua pace, occorre una verità fondamentalmente
ferma, non mobilizzabile. Da questi presupposti sorge così una debita
attenzione per la scelta e la decisione.
Distinguendo le scelte apparenti, che sono totalmente arbitrarie, da
quelle reali, quando al termine dell'analisi si opera con un atto di buona
volontà, una decisione autentica ci si trova di fronte ad un bivio metafisico:
impossibilità di afferrare la realtà dei tre nominati reali (Dio, Anima e
Mondo) e impossibilità di negarli. Sorge appunto la decisione autentica, cui si
arriva solamente secondo una corretta formulazione di intenti e seguendo una
fine immanente ad ogni forma di scelta. Aristotelicamentee anche
kantianamentela causa finale riveste una primaria importanza. Se ogni uomo
sceglie per sé, nessuna scelta avrebbe una portata teoretica di cogenza, ma
aprirebbe le vie della libertà vera, dalla quale ne derivano conseguenze
radicali e speculazioni abissali a partire da una decisione, che può essere
quella dell'anima unica immortale, o quella del pensiero che viene ad essere
dopo la materia, o la non esistenza di Dio. Ciò permetterebbe anche di evitare
il depauperamento culturale, con una rivitalizzazione delle esperienze
antiche. La decisione personale di
Giraldi propende per una concezione dell'anima unitaria, di stampo aristotelico-averroistico;
se l'immortalità naturale di tomistica memoria è da lui considerata "la
più materialistica, e più grezza", egli preferisce pensare ad una
immortalità conseguita, oppure chiesta a Chi può donarla e concessa a chi la
chiede. Sul mondo reale fisico resta una indecisione, ma propende verso un
residuo di natura mentale, una sorta di noumeno mentalesulla scia di Immanuel
Kant e Pasquale Galluppioltre il grande telone dei fenomeni. In questo caso
però occorrerebbe rapportarlo ad una mente divina, perché parlare di mondo
senza Dio non avrebbe connotazioni filosofiche. Infine, riguardo l'esistenza di
Dio, punto in cui la scelta diviene decisione pura, egli tende a negare la
validità delle dimostrazioni, pur scorgendo in esse una bella prova della potenza
della mente umana. La conclusione non è però la non esistenza di Dio, ma la non
dimostrazione della sua esistenza. Chi
ammette l'esistenza di Dio, tuttavia, deve assumere la radicalità di tale
affermazione "guardando il mondo dagli occhi di Dio" e non facendo
etsi deus non daretur. Chi prendesse la scelta teistica dovrebbe tacersi per
sempre e rinunciare ad intenderlo. Giraldi mette in risalto anche la Volontà,
definendola potenza fattiva dell'Idea, e constatandone il carattere
generativo-spermatico, per collocare in una prospettiva differente il vitalismo
dell'élan vital bergsoniano e della Wille di Schopenhauer. Questo permette di
pensare l'Idea non solo quale conoscenza filosofica, ma anche negli aspetti
attivi, vitali e di sentimento. Ad essere eroicamente divini non sono pertanto
solo i pochi giunti al massime vette di autocoscienza teoretica, ma anche gli
umili che vivono inconsapevoli della propria dignità divina, folgoranti però di
una autocoscienza morale. Bàrel Dal
punto di vista poetico, l'opera principale di Giovanni Giraldi è il Bàrel,
iniziato negli anni trenta e sorto dall'ispirazione di un progetto di Papini
esposto nell'autobiografia Un uomo finito per un poema apocalittico, mai
scritto. Altri spunti furono la lettura di Lord of the World di Robert Hugh
Benson e dell'Apocalisse. Il primo dei
tre volumi di cui si compone il Bàrel, terminato in versi nel 1937, fu
presentato a Eugenio Giovannetti de Il Giornale d'Italia, che propose come
titolo Il Dio Eroico. Gli anni seguenti, segnati dalla Seconda Guerra Mondiale,
furono l'occasione per trasporlo in prosa, operazione terminata nel 1944.Questa
versione, appena terminata la guerra, fu proposta a vari editori ma che per una
serie di sfortunate coincidenzeMondadori non disponeva della carta, e dopo
alcuni anni, quando la carta è disponibile, cambia idea sulla pubblicazione; la
casa editrice Api di Mazzucchelli nel frattempo fallìl'idea di pubblicazione
venne temporaneamente accantonata. Nel frattempo alcuni versi furono pubblicati
frammentariamente. Il 1964 fu l'anno del riordino delle due versioni in un
unico libro che contenesse sia versi, sia prosa, in uno spiccato pluristilismo
sperimentale. La pubblicazione avverrà, in tre libri, tra gli anni sessanta e
gli anni settanta sotto lo pseudonimo I. Tanarda e poi in raccolte unitarie
successive. Il tema è insolito e il
contenuto, con riferimenti religiosi e culturali di ogni tipo, non è di
semplice accessibilità. Se il primo libro può essere collocato in un momento
simbolico dell'arte, il secondo è classico e il terzo romantico, nei canoni
dell'estetica hegeliana. Nel primo, Apocalisse grande, il protagonista Bàrel
sovrappone le passioni alle idee; nel secondo, La cerca di Barel, ritorna in
proporzioni umane e nel terzo, La morte degli dèi, scende negli abissi
vertiginosi del Pensiero, che la poesia tenta di inseguire. È stato tradotto
anche in lingua francese dalla poetessa e latinista Geneviève Immè
dell'Pau. Opere Organon Philosophicum
Ironia, morale, educazione, Editrice Gheroni, Torino 1954. Etica del
sentimento, Edizioni di "Filosofia dell'Unicità", 1955. Gnoseologia
del sentimento, Pergamena Editrice, 1957. La filosofia giuridica, Edizioni di
"Filosofia dell'Unicità", Milano 1961. Filosofia della religione.
Lezioni accademiche, Edizioni di "Filosofia dell'Unicità", 1962.
Epistemologia. Una nostra riforma della Logica Hegeliana, Pergamena Editrice,
1965. La Metafisica. Quattro discorsi, Pergamena Editrice, 1971. Iesous
Eléutheros. La liberazione di Gesù: lettera sistematica ai miei figli, Pergamena
Editrice, 1973. Dizionario di Estetica e di Linguistica generale, Pergamena
Editrice, 1975. Studi successivi al 1975 nel periodico Sistematica. Res
Publica. I. Educazione civica, Pergamena Editrice, 1977. Res Publica. II.
Teoria dell'Ineguaglianza, Pergamena Editrice, 1978. Nel Pleròma. Da Dio alla
Materia, Pergamena Editrice, 1979. Storiografia come rettorica. Autobiografia
come filosofia, Pergamena Editrice, 1980. Memoriale Ambrosiano e Memoriale Italico,
Pergamena Editrice, Dio, Pergamena Editrice, 1982. Estetica della Musica,
Pergamena Editrice, 1984; seconda edizione 1997 con Colloquia Edizioni.
Meditazioni Hegeliane, Pergamena Editrice, 1988. Meditazioni Platoniche,
Pergamena Editrice, 1990. Capitoli sulla Scienza Moderna, Pergamena Editrice, 1991.
L'immortalità dell'anima, Pergamena Editrice, Ricerche filosofiche La filosofia
del sentimento di A. Consentino, in Quaderni del 2000, Milano 1952. Rabelais e
l'educazione del principe, Edizioni Viola, Milano 1953; ora in Paideia grande.
Un mistico bergamasco: Sisto Cucchi, Secomandi, 1953. Amiel Morale, pubblicato
sulla rivista pedagogica e filosofica Il Saggiatore, Torino 1956. L'educazione
dei ciechi, Armando Editore, Roma 1962. Società e Stato da Spedalieri a Marx,
Pergamena Editrice, 1963. L'estetica italiana nella prima metà del secolo XX :
figure e problemi., Nistri-Lischi, Pisa 1963. Storia della pedagogia, Armando
Editore, Roma (I ediz. 1964, X ediz. 1984; "le edizioni successive alla X
sono state scempiate da interventi dell'Editoreriporta Giraldi in Sistematica).
Il pensiero politico tra Ottocento e Novecento, Pergamena Editrice, Adolfo
Ferrière. Psicologia, attivismo, religione, Armando Editore, Roma 1964.
Giuseppe Lomabardo Radice tra poesia e pedagogia, Armando Editore, Roma 1965
Giovanni Gentile. Filosofo dell'educazionePensatore politicoRiformatore della
Scuola, Armando Editore, Roma 1968. Raffaello Lambruschini. Un uomo, una
pedagogia, Armando Editore, Roma 1969. Silvio Tissi filosofo dell'ironia,
Pergamena Editrice, 1972. Moralistica francese, Pergamena Editrice, 1972Saggi
su Francesco di Sales, il Quietismo, La Rochefoucault, Prevost. Filosofi
teoretici e Morali, Pergamena Editrice, 1975saggi su Condillac, Senancour,
Rensi, Hume, Camus, Barié, Galli, Lazzarini, Castelli, Capitini. Gramsci e
altri miti, Pergamena Editrice, 1979. Storia della filosofia, Trevisini
Editore, Milano 1983. L'Italia nella dittatura e nella non democrazia,
Pergamena Editrice, Paideia Grande, Pergamena Editrice, 1983Rabelais, Rosmini,
Boncompagni, Gentile. Storia del Liberalismo nel sec. XX, Pergamena Editrice,
1990. Riviste Moltissimi saggi e studi di politica, religione, filosofia,
filologia e critica sono stati pubblicati nelle seguenti riviste fondate da
Giraldi stesso: L'Idea Liberale, attiva
dal 1959 al 1992. Sistematica, dal 1968, attiva sino al . Filologia Giovanni
Michele Alberto Carrara, De fato et fortuna. IntroduzioneTestoNote Giovanni
Giraldi, Tipografia A. Ronda, Milano 1954. Studi sul Rinascimento, Pergamena
Editrice, Saggi su: Seneca e la filologia; Petrarca viaggiatore; Leonardo
scrittore; Le fonti del Pontano lirico; Gli errori di Dante in un poema
umanistico inedito; Il Rinaldo di T. Tasso; Il T. Tasso corregge il Floridante;
Rime inedite di Cecco d'Ascoli. G. M. A. Carrara, I, Opere Scelte, Giovanni Giraldi, Pergamena
Editrice,G. M. A. Carrara, II,
Armiranda. Inedito umanistico, Giovanni Giraldi, Pergamena Editrice, 1976.
Commedia inedita, testo latino e traduzione G. M. A. Carrara, III, De choreis Musarum, Giovanni Giraldi,
Pergamena Editrice, 1984. Testo sistematico latino. Segue un Saggio monografico
sull'umanista. G. M. A. Carrara, IV,
Sermones objurgatorii, Giovanni Giraldi, Pergamena Editrice, 1984. Sui tragici
greci. Da mio diario filologico, Pergamena Editrice, 1973. Filologia. Teoria e
saggi, Pergamena Editrice. Su Dante con verità, Pergamena Editrice, 2003. Il
Manzoni, in Sistematica, Pergamena Editrice, 2009. Gesù, Pergamena Editrice, .
Poesia e prosa d'arte Collana dei "Tredici". La Scala, novelle e
poesie; Casa Editrice Mutarsio, Torino 1938 Bàrel. I. Apocalisse grande (1965);
II. La cerca di Bàrel (1971); III. La morte degli dèi (1977); in volume unico, Pergamena Editrice. Hendecasyllabi aliaque
scripta, Pergamena Editrice, 1964. L'aragosta. Romanzo Ligure, Pergamena
Editrice, 1968. Il figlio di Pinocchio, Pergamena Editrice, 1976; Fratelli
Frilli 2001 (recensioni). Il dono delle Muse. Cento novelle, Pergamena
Editrice, 1981. Quadri Intemelii, Pergamena Editrice, 1988. Miniature. Codex
aureus, Codex recens. Codex quadraticus, Pergamena Editrice, 1992. Cento
tavole, alcune con testi latini parzialmente editi in Hendecasyllabi. Il Codex
recens presenta soggetti del Bàrel; il Codex aureus è a soggetto libero e
vario; il Codex quadraticus comprende le figure degli scacchi. Con rubriche annesse
che spiegano tempi, temi, tecniche. Pergamene eseguite dal 1972 al 1977. Musa
latina, Pergamena Editrice, 1990. Il ramo d'oro, Pergamena Editrice, 1992.
Scritti in Italiano, Latino, Francese, Romanesco, Biblico. Profili di gente nel
mio tempo, Pergamena Editrice, 1993. Splendido novellare, Pergamena Editrice, Cento
racconti e novelle. Musis amicus, Pergamena Editrice, Versi e prose in Latino.
Mimì o E tutto è amore, Pergamena Editrice, Sorridono i gigli. Liriche e
restauro filologico di Saffo, Pergamena Editrice, 2002. Tevere amico, Pergamena
Editrice, 2006. Pedagogia e Filosofia esposte nel dialetto Romanesco da un
popolano di Trastevere. Paradiso, Pergamena Editrice, 2006. Faust mediterraneo,
Pergamena Editrice, 2007. Atlantidos persis, Pergamena Editrice, 2008. François
Villon, Il Testamento, traduzione e saggio critico Giovanni Giraldi, Pergamena
Editrice, Amitiés françaises, Pergamena Editrice, 2008. Nel Sublime, Pergamena
Editrice, 2009. Il mio Ponente, Pergamena Editrice, . Letture belle, Pergamena
Editrice, . Note Piero Pastorino,
Pinocchio, un figlio nato da una bugia, in La Repubblica, 4 dicembre 20018 sez.
Genova. 3 gennaio . «Giraldi, nato a Ventimiglia, docente universitario a
Milano di Storia generale della filosofia, è stato ripetutamente consulente
all'Accademia di Svezia per il conferimento dei Nobel per la letteratura. Ha al
suo attivo un dizionario di estetica e linguistica, una storia della pedagogia
e ha scritto novelle raccolte in due volumi. Vive a Noli, di cui è cittadino
onorario.». Piotr Zygulski, È morto
Giovanni Giraldi, filosofo liberale, in Termometro Politico, 23 settembre . 23
settembre . Giraldi37. Giraldi43.
Pierre-Philippe Druet, Giovanni Giraldi, Silvio Tissi, filosofo
dell'ironia, Revue Philosophique de Louvain, John Dudley, Giovanni Giraldi, Sui tragici
greci. Dal mio diario filologico, Revue Philosophique de Louvain, 1976, 74, nº 23439. Giraldi, Giovanni, Da
"Autobiografia come filosofia" (Milano, 1980) e pagine integrative
(1981 e ss.), in Sistematica, nnº 130-131, Milano, Pergamena, Angelo Grimaldi,
Illuministi inglesi e francesi, in Disegno storico del costituzionalismo
moderno, Roma, Armando, Giancarlo Ottaviani, La scuola del Risorgimento.
Cinquant'anni della scuola italiana 1860-1910, Roma, Armando, 2009. Giovanni
Semerano, La favola dell'indoeuropeo, Milano, Paravia Bruno Mondadori.
Girardi: Giulio Girardi (Il
Cairo), filosofo. Dopo la nascita, vive con la famiglia a Parigi fino al 1931;
si trasferisce in seguito con i genitori a Beirut (Libano), dove riceve la sua
prima istruzione presso la scuola italiana retta dai domenicani. Nel
1937, dopo la separazione dei genitori, con la madre e la sorella si
trasferisce ad Alessandria d'Egitto; qui frequenta la scuola media italiana
presso i salesiani. Nel 1939, maturata la sua scelta vocazionale, viene inviato
in Italia, dove inizia gli studi superiori, poi quelli filosofici e teologici,
per la formazione al sacerdozio nella Società salesiana di San Giovanni
Bosco. Completa gli studi filosofici nel 1950, con il dottorato in
filosofia, discutendo la tesi sulla metafisica di san Tommaso d'Aquino. Compie
inoltre gli studi di teologia presso l'Università Gregoriana di Roma dal 1951
al 1953 e presso la sede di Torino dell'Università Salesiana dal 1953 al 1955.
Sempre a Torino, viene ordinato presbitero il 1º gennaio del 1955.
Docente universitario Già dal 1948 è docente di storia della filosofia e di
metafisica presso la Facoltà salesiana di Torino; dal 1960 tiene gli stessi
corsi anche all'Università Salesiana di Roma. Nonostante l'impegno accademico e
la partecipazione ai lavori del Concilio Vaticano II in qualità di perito, la
sua scelta di impegno con i movimenti di base e la presa di posizione per il
marxismo fanno sì che nel 1969 venga espulso dall'ateneo salesiano per
"divergenze ideologiche"; si trasferisce allora a Parigi, dove è
docente di antropologia presso la facoltà di filosofia dell'Università
Cattolica e di introduzione al marxismo presso l'Istituto di Scienze e Teologia
delle religioni. Negli stessi anni, insegna antropologia, introduzione al
marxismo e teologia della liberazione presso l'Istituto Superiore di Pastorale
Lumen Vitae di Bruxelles. In quegli anni aderisce e promuove, in America Latina
e in Europa, il movimento dei Cristiani per il Socialismo; il suo impegno
esplicito, a livello ideologico e politico, a favore dei movimenti
rivoluzionari e di liberazione, portano alla sua definitiva espulsione
dall'Università Cattolica di Parigi nel 1973 e, l'anno successivo,
dall'Istituto Lumen Vitae di Bruxelles. Si dimettono da quest'ultimo, per
solidarietà, i suoi colleghi di docenza François Houtart, Gustavo Gutiérrez,
Paulo Freire. Prosegue tuttavia la docenza universitaria presso l'Lecce,
insegnando filosofia della storia nell'anno 1977-'78, poi presso l'Sassari, ove
insegna filosofia politica dal 1978 al 1996, quando si congeda
dall'insegnamento. Il Concilio e il suo impegno politico Nel 1962,
Girardi viene invitato come esperto al Concilio Vaticano II, in qualità di
profondo conoscitore del marxismo e delle problematiche dell'ateismo
contemporaneo. Al Concilio, collabora alla progettazione e alla stesura dello
Schema XIII, che darà vita alla Costituzione pastorale Gaudium et Spes.
Nel 1965, inizia la sua partecipazione al dialogo tra cristiani e marxisti,
nelle varie sessioni a livello nazionale e internazionale. Alla sua ricerca
filosofica, affianca un impegno sempre crescente con le realtà di base, in
Italia e nel mondo, che iniziano a coniugare l'aggiornamento conciliare con
l'impegno politico. La sua conoscenza dell'America Latina lo porta sempre più
frequentemente in giro per il mondo; è tra i protagonisti della nascente
teologia della liberazione, di cui è uno dei divulgatori in Europa. Nel
1972, partecipa al primo incontro continentale dei Cristiani per il Socialismo,
a Santiago del Cile; in seguito, dopo aver conosciuto dal vivo i più diversi
paesi latinoamericani (Cile, Perù, Colombia, Messico, Cuba), trasporta in
Europa il suo impegno nel movimento dei Cristiani per il Socialismo Nel 1974
diventa membro del Tribunale Russel II sull'America Latina; dal 1976 al , è
membro del Tribunale Permanente dei Popoli. Nel 1977, dopo essere stato
espulso da tutte le università cattoliche in cui era docente, viene anche
dimesso dalla congregazione salesiana e, successivamente, sospeso a divinis.
Girardi continua il suo impegno di solidarietà con i popoli latinoamericani e
la sua opera di animatore e formatore nelle comunità di base, così come negli
organismi di riflessione e di dialogo tra cattolici e comunisti. Nel 1980
compie la sua prima visita in Nicaragua, ove solidarizza con la rivoluzione
sandinista e esprime la sua collaborazione con i vari movimenti ecumenici,
indigeni e popolari di quella nazione. Il Fronte Sandinista gli assegnerà
l'ordine Carlos Fonseca per il suo lavoro a fianco della popolazione
nicaraguense. Dal 1986 si reca anche a Cuba, ogni anno, collaborando con
diverse istituzioni culturali ed ecumeniche; dal 1988 è impegnato nella
solidarietà con il movimento indigeno, specialmente in Messico, Ecuador e
Bolivia. Nel 1989 è candidato come capolista alle elezioni per il rinnovo
del consiglio comunale di Roma con Democrazia Proletaria. Dal 1992 è
impegnato con il movimento macroecumenico dell'Assemblea del popolo di Dio, in
cui alle tradizionali tematiche della liberazione, si unisce la riscoperta
delle origine etniche e indigene dei popoli sudamericani. Fino ai primi anni
del nuovo secolo, continua ad occuparsi anche delle tematiche riguardanti
l'educazione popolare e il nascente movimento per la pace. Nel corso
degli anni, non ha trascurato anche l'impegno in Italia, soprattutto nel campo
della ricerca partecipativa sulle condizioni del mondo del lavoro e sulle
trasformazioni della coscienza cristiana di fronte alle mutazioni del contesto
sociale. Nel 2005, con il suo ingresso nel movimento Noi Siamo Chiesa,
propone in esso l'aggiornamento delle tematiche di impegno politico ed
ecclesiale da lui coltivate in tanti anni di studio e di dialogo. Assieme
a un gruppo internazionale di teologi (unico italiano, assieme a Giovanni
Franzoni e al giornalista Filippo Gentiloni), è stato promotore anche di un
Appello alla chiarezza, un "manifesto" contro la beatificazione di
Karol Wojtyła, uno dei pochi segnali critici rivolti al grande pubblico sulla figura
di Giovanni Paolo II. È stato anche cofondatore dell'Associazione
Nazionale di Amicizia Italia-Cuba e della Fondazione Italiana Ernesto Che
Guevara. È scomparso nel all'età
di 86 anni, dopo una grave malattia durata sei anni. Opere Metafisica della
causa esemplare in San Tommaso d'Aquino, Torino, Società Editrice
Internazionale, 1954. Ontologia, Torino, Società Editrice Internazionale, 1962.
Theologia naturalis, Torino, Società Editrice Internazionale, 1962. Marxismo e
cristianesimo, Assisi, Cittadella, 1966; 1969. Cristiani e marxisti a confronto
sulla pace. Implicanze dottrinali, Assisi, Cittadella, 1967. Credenti e non
credenti per un mondo nuovo, Firenze, Vallecchi, 1969. Cristianesimo e lotta di
classe, Pistoia, Centro di documentazione, 1969. Speranza cristiana e speranza
marxista, con Lucio Lombardo Radice, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina,
1970. Cristianesimo, liberazione umana, lotta di classe, Assisi, Cittadella, La
lotta di classe e gli esclusi, con Nicola Badaloni, Firenze, Libreria Editrice
Fiorentina, 1972. Cristiani per il socialismo, perché? Questione cattolica e
questione socialista, Assisi, Cittadella, 1975. Educare: per quale società?,
Assisi, Cittadella, 1975. Fede cristiana e materialismo storico, Roma, Edizioni
Borla, 1977. Coscienza operaia oggi. I nuovi comportamenti operai in una
ricerca gestita dai lavoratori, a cura di, Bari, De Donato, 1980. Sulla crisi
del marxismo. Relazione del seminario di studi tenuto a Bergamo (12-13 aprile
1980) presso il Centro La Porta, Bergamo, La Porta, Centro studi e
documentazione, 1980. Intervento in Teologia della liberazione, Roma, Sapere
2000, 1985. La tunica lacerata. L'identità cristiana oggi fra liberazione e
restaurazione, Roma, Borla, 1986.
88-263-0614-1. Sandinismo, marxismo, cristianesimo. La confluenza, Roma,
Borla, 1986. 88-263-0640-0. Le rose non
sono borghesi. Popolo e cultura del nuovo Nicaragua, a cura di, Roma, Borla, Rivoluzione
popolare e occupazione del tempio. Il popolo cristiano del Nicaragua sulle
barricate, Roma, Edizioni associate, 1989. Il popolo prende la Parola. Il
Nicaragua per la teologia della liberazione, con José Maria Vigil, Roma, Borla,
Dalla dipendenza alla pratica della libertà. Una comunità d'accoglienza
s'interroga e interroga, ricerca partecipativa coordinata da, Roma, Borla, La conquista dell'America. Dalla parte dei
vinti, Roma, Borla, 1992. 88-263-0925-6.
Il tempio condanna il Vangelo. Il conflitto sulla teologia della Liberazione
fra il Vaticano e la CLAR, San Domenico, Fiesole, Cultura della pace, Gli esclusi costruiranno la nuova storia? Il
movimento indigeno, negro e popolare, Roma, Borla, 1994. 88-263-1076-9. Cuba dopo il crollo del
comunismo, Roma, Borla, Samuel Ruiz. Sui sentieri indigeni della chiesa in
Chiapas, con Alberto Grossi e Aluisi Tosolini, Parma, AlfaZeta, 1996. Cuba dopo
la visita del papa. Marxismi, cristianesimi, religioni afroamericane alle
soglie del terzo millennio, Roma, Borla, 1999.
88-263-1281-8. Riscoprire Gandhi. La violenza è l'ultima parola della
storia?, Roma, Anterem, 1999; Roma, Icone, Seminando amore come il mais.
L'insorgere dei popoli indigeni e il sogno di Leonidas Proano, Roma, Icone,
2001. 88-87494-19-3. Resistenza e
alternativa al liberalismo e ai terrorismi, Milano, Punto Rosso, Che Guevara
visto da un cristiano, Milano, Sperling & Kupfer, Legalità informazione: girardi appoggia lo
sciopero della fame di pannella e negri. | RadioRadicale.it, su
radioradicale.it. 13 aprile 4 marzo ). L'appello coi firmatari Archiviato, Il nostro
fratello Giulio Girardi ci ha lasciato Noisiamochiesa.org Comunità cristiana di base Cristiani per il
Socialismo Teologia della liberazione Sandinismo Socialismo cristiano Forum
Sociale Mondiale Gli ottant'anni di
Giulio Girardi di Valerio Gigante, 2006, sito Adista, Fatti, notizie,
avvenimenti su mondo cattolico e realtà religiose. Sito Web dedicato a Giulio
Girardi contiene una biografia e altro materiale.
Girgenti: Giuseppe Girgenti
(Palermo), filosofo. Ha frequentato gli studi classici nella sua città natale
presso il Liceo "Vittorio Emanuele II" (ove, fra gli altri, ha avuto
come docenti Vincenzo Brighina, Mario Franchina, Francesco Armetta, Ubaldo
Mirabelli e padre Pino Puglisi) e poi si è trasferito a Milano per gli studi
universitari, presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore (ove, fra gli
altri, ha seguito i corsi e i seminari di Gustavo Bontadini, Sofia Vanni
Rovighi, Adriano Bausola, Virgilio Melchiorre e don Luigi Giussani); si è
laureato in filosofia con Giovanni Reale nel 1989, con una tesi dal titolo
Platonismo e Cristianesimo in San Giustino Martire; ha poi vinto un dottorato
di ricerca nella stessa università, ed è andato a studiare prima a Monaco di
iera con Werner Beierwaltes e poi a Parigi con Pierre Hadot; ha conseguito il
titolo di dottore di ricerca nel 1994 con una dissertazione dal titolo Porfirio
tra henologia e ontologia riproponendo la questione degli universali come
origine del "pensiero forte". Dopo un biennio post-dottorale presso
l'Università Cattolica di Milano, è diventato Assistenzprofessor presso
l'Accademia Internazionale di Filosofia nel Principato del Liechtenstein, ove
ha insegnato "Storia della Filosofia e Metodologia Filosofica" nel
triennio 19972000; in questo periodo ha tenuto contatti regolari con Hans-Georg
Gadamer; dal 2002 è passato a insegnare Storia della Filosofia Antica alla
Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. È
segretario delle collane Bompiani "Testi a fronte" e "Il
pensiero occidentale". Pensiero I
suoi studi sono concentrati sul rapporto tra filosofia greca e Cristianesimo, e
in particolare nell'influenza che il platonismo ha esercitato sui Padri della
Chiesa. Per analizzare questo tema, ha applicato due categorie ermeneutiche
create da Gadamer: la "storia degli effetti" (Wirkungsgeschichte) e
la "fusione di orizzonti" (Horizontverschmelzung); secondo la storia
degli effetti, come già in Beierwaltes, la storia della Patristica greca e
latina deve essere considerata una fase importante della storia del platonismo
antico, che fa da tramite rispetto a tutto il pensiero cristiano medioevale;
secondo la fusione di orizzonti, il rapporto tra platonismo e Cristianesimo
deve essere analizzato superando due opposte posizioni classiche: la
"Praeparatio evangelica" di Eusebio di Cesarea, secondo cui la
filosofia greca sarebbe stata di per sé una preparazione al Cristianesimo e la
"Ellenizzazione del cristianesimo" di Adolf von Harnack, secondo cui
nell'incontro con la filosofia greca il Cristianesimo avrebbe smarrito la
vocazione originaria (e dovrebbe pertanto de-ellenizzarsi). La posizione
mediana potrebbe contribuire a superare le rigidità del cristianesimo ortodosso
e le chiusure del cristianesimo protestante.
Opere Porfirio negli ultimi 50 anni:
sistematica e ragionata della letteratura primaria e secondaria
riguardante il pensiero porfiriano e i suoi influssi storici, Vita e Pensiero,
Milano 1994; Giustino Martire, il primo cristiano platonico, Vita e Pensiero,
Milano 1995; Il Pensiero forte di Porfirio, Vita e Pensiero, Milano 1996;
Introduzione a Porfirio, Laterza, Roma-Bari 1997; La nuova interpretazione di
Platone, G. Girgenti, Rusconi, Milano 1998; Incontri con Hans-Georg Gadamer, G.
Girgenti, Bompiani, Milano 2000; Platone tra oralità e scrittura, G. Girgenti,
Bompiani, Milano 2001; Atene e Gerusalemme. Una fusione di orizzonti, Il Prato,
Padova ; Il bue squartato e altri macelli. La dolce filosofia, libro-intervista
con Sossio Giametta, Mursia, Milano . Note
G. Giorello, Corriere della Sera, 1º giugno 1995 Scheda biografica, curriculum e nel sito dell'Università Vita-Salute San
Raffaele, su unisr.it.
Girotti: Armando Girotti
(Adria), filosofo. Specializzato nelle metodologie della filosofia. Trasferitosi da bambino
con la famiglia a Pontelongo, Girotti si è laureato all'Padova, dove si è
formato alla scuola dei filosofi Giovanni Santinello e Enrico Berti. Insieme a
quest' ultimo ha pubblicato nel 2000 il libro Filosofia, dedicato
all'insegnamento della materia. Dopo aver lavorato alcuni anni come
docente di storia e filosofia nel liceo Ippolito Nievo di Padova, fin dagli
anni '70 si è interessato alle metodologie di insegnamento e apprendimento
della filosofia, lavorando come consulente esterno per gli IRRSAE di Veneto,
Friuli Venezia Giulia, Trentino ed Emilia-Romagna e come Direttore dell'aggiornamento
didattico per il Provveditorato agli studi di Padova, Vicenza, Venezia e
Treviso. È incaricato dal Ministero della pubblica istruzione della
realizzazione di materiali didattici finalizzati a innovare l'insegnamento
della filosofia e di analizzare la didattica del Giappone all'interno di un
progetto di scambio culturale con il paese asiatico. Negli anni '80, dopo
aver conseguito il Dottorato di ricerca in filosofia, tiene alcuni seminari per
il Corso di Perfezionamento in Metodologia dell’insegnamento filosofico presso
l’Padova. Nel 1990 ha pubblicato Henri Gouhier e la sua storia storica
della filosofia, prima opera in italiano dedicata al filosofo francese.
Ha collaborato alla terza edizione dell'Enciclopedia filosofica Bompiani, è saggista
e redattore di Comunicazione filosofica, la rivista telematica della Società
Filosofica Italiana, e dirige alcune collane di metodologia filosofica e di
storia della filosofia. Pensiero I suoi lavori iniziano a partire dal
rapporto tra storiografia e filosofia, cioè se sia possibile una storia storica
della filosofia (argomento riguardo al quale pubblica uno studio analizzando il
pensiero di Henri Gouhier) che non scivoli nella storia filosofica della
filosofia, cioè in una filosofia come decodificatrice della storia del
pensiero. Il primario interesse è rivolto alla formazione dei futuri
docenti di filosofia, anche con stimolazioni pratiche. L’attenzione per le
nuove metodologie, come la Didattica Breve, lo portano a definirne la
lungimiranza, mostrandone anche l'aspetto pratico. I suoi studi sulle
metodologie di insegnamento lo portano a disapprovare le tecniche, a difesa
delle strategie, quelle che, dice, insegnano a riflettere filosoficamente. A
tal riguardo si è inserito nel dibattito sull’insegnamento della filosofia
sostenendo che la diatriba tra le due scuole di pensiero, quella inerente alla
didattica per problemi o secondo il profilo storico, perde di vista il dato
primario, che non risiede tanto nei contenuti, quanto nel metodo di approccio
finalizzato alla riflessione filosofica, quel metodo che insegna a
“filosofare”. Gli esiti della sua ricerca perciò lo portano a sostenere
l'esigenza di modificare l'insegnamento della filosofia in quanto lo scopo è
che la didattica diventi filosofica e non rimanga semplice didattica della
filosofia, teoreticamente sostenendone le motivazioni. Le sue riflessioni
teoretiche a difesa del Progetto Brocca, mostrandone le peculiarità, lo
inducono a produrre Moduli anche su sollecitazione del Ministero dell'Istruzione
e, per quanto riguarda la Philosophy for Children, trovandola troppo legata
all'interpretazione della filosofia come avvio alla logica, ne critica la
didattica finalizzata alle tecniche, privilegiando invece la "Filosofia
con i bambini" che, cambiando il “for” in “with”, presta maggior
attenzione alla psiche infantile. I suoi studi sulla metodologia
dell'insegnamento filosofico lo portano infine ad inserirsi nel dibattito
"cervello-mente" con riferimenti alla complessità dell'io nel
rapporto tra sapere ed emozione, sulla volontà,[25] nonché sul problema
anima.[26] Onorificenze Nel è
stato insignito della cittadinanza onoraria[27] dal Sindaco di Pontelongo
Fiorella Canova. Opere Henri Gouhier e la sua storia storica della
filosofia, Unipress, Padova 1990. La filosofia per unità didattiche, Pagus,
Treviso 1993. Aristotele, dal platonismo all’autonomia, Polaris, Faenza 1996.
L’insegnamento della filosofia, dalla crisi alle nuove proposte, Unipress,
Padova 1996. La filosofia di Schopenhauer, Polaris, Faenza 1998. GirottiBerti,
Filosofia, Professione docente, La Scuola, Brescia 2000. GirottiMorini, Modelli
di razionalità nella storia del pensiero, Sapere, Padova 2005. Discorso sui
metodi, Pensa, Lecce 2005. Medioevo vs 2009, tra tabula rasa e innatismo,
Sapere, Padova 2009. Riforma Gelmini e insegnamento della filosofia, Sapere,
Padova . Essere e volere, Pensa multimedia, Lecce . Siamo completamente liberi
di volere ciò che vogliamo?, Il Giardino dei Pensieri, Bologna . Aristotele,
Diogene Multimedia, Bologna . Hegel, Diogene Multimedia, Bologna .
Schopenhauer, Diogene Multimedia, Bologna . Siamo liberi di volere ciò che
vogliamo?, Diogene Multimedia, Bologna . Girotti-Paris, Filosofia, bellezza e
responsabilità, Diogene Multimedia, Bologna . Kant, Diogene Multimedia, Bologna
. Cercasi anima disperatamente, Diogene Multimedia, Bologna . Giovanni Gentile,
La filosofia nella scuola secondaria, Diogene Multimedia, Bologna . Il fico
proibito dell’Eden e la giustificazione del male, Diogene Multimedia, Bologna .
Un viaggio intorno all’ioDa Atene a Delfi dialogando, Diogene Multimedia,
Bologna . Sul permesso di morire, Diogene Multimedia, Bologna . Note Anna M. Bianchi, Enrico BertiArmando Girotti,
Filosofia, su sfi.it. l'8 gennaio
. Armando Girotti, su libreriafilosofica.com. l'8 gennaio . Armando Girotti, su
prolocopontelongo.it. l'8 gennaio . Molti sono gli articoli citati anche nel volume
Comunità di ricerca e iniziazione al filosofare, di F. Cesare Manara, Lampi di
stampa255., su books.google.it. Come
ricorda Matteo Mescalchin in Dear Professor, a metaphorical portrait , su
cdn.shopify.com. 15 novembre . Si veda
l’articolo
libreriafilosofica.com,//libreriafilosofica.com/wordpress/wp-content/uploads//12/L%E2%80%99educazione-in-Giappone.pdf. Corso di perfezionamento in Metodologia
dell'insegnamento filosofico presso l'Padova, su sfi.it. l'8 gennaio .
Augusto del Noce, Voce su Henri Gouhier in Enciclopedia Filosofica
Bompiani, 54977. La collana si chiama Briciole di Filosofia,
su libreriafilosofica.com. 14 novembre .
La sua tesi, che sviluppa nel volume Henri Gouhier e la sua «storia
storica» della filosofia , su libreriafilosofica.com. 27 novembre . (p. 151), è
che una storia storica che si fermi all’esibizione dei dati diventa semplice
cronaca; infatti, nel momento in cui si espone il pensiero di un autore, per
poter abbracciare l'oggettività si dovrebbe rimanere all’interno di un'asettica
descrizione, quella che Henri Gouhier definisce con i termini phénoménologie de
l'esprit métaphysique. In questa affermazione Girotti distingue da una parte la
phénoménologie come metodo e dall’altra l'esprit métaphysique come oggetto.
Seguendo la prima, lo storiografo sarebbe invitato a fermarsi alla lettura del
dato per descrivere ciò che esso mostra; seguendo il secondo, lo storiografo
ritroverebbe l'oggetto della sua ricerca, cioè i "faits spirituels".
È su questi fatti spirituali che Girotti diverge da Gouhier in quanto trova che
lo stesso autore francese, quando ha messo le vesti dello storico della
filosofia, sia scivolato in una loro descrizione di tipo bergsoniano, peraltro
ammessa anche dallo stesso Henri Gouhier in uno scambio di lettere tra Girotti
e l’Autore , su libreriafilosofica.com. 14 novembre . (p. 162 nota n.76). Molti sono gli articoli; si veda ad esempio A
proposito delle attività di formazione , su libreriafilosofica.com. 27 dicembre
. pubblicato in «Nuova Secondaria», La Scuola, Brescia 1994, a. XII n. 1, 21-24.
Si veda in «Insegnare Filosofia», Pagus, Treviso Dalla lettura del testo
alle esercitazioni , su libreriafilosofica.com. 27 dicembre . Un articolo nel quale viene esposta in
sintesi la configurazione di tale didattica si trova in T. GuerzoniF. Ferrari,
Filosofia e didattica breve, Irrsae, Bologna 1997, 35-51 La didattica breve come didattica
sensata nelle discipline filosofiche , su libreriafilosofica.com. 27 dicembre
. In «Bollettino della Società
filosofica italiana», 1997, n. 162,
45-56 La distillazione nelle discipline filosofiche , su
libreriafilosofica.com. 27 dicembre . Una
delucidazione su metodi e modelli si trova in Modelli di insegnamento nella
filosofia , su libreriafilosofica.com. 27 dicembre . Si veda Filosofia e metodo , su
libreriafilosofica.com. 14 novembre . A
tal proposito pubblica Discorso sui metodi, Pensa, Lecce 2005. Le finalità dell'insegnamento filosofico , su
libreriafilosofica.com. 27 dicembre . Si
veda Didattica filosofica su YouTube. Ricordava
Luigi Tarca, «Una didattica filosofica ideale è quella nella quale eventuali
tecniche didattiche per l’insegnamento della filosofia vengono introdotte solo
nella misura in cui danno vita a situazioni realmente filosofiche». Per una
didattica filosofica, in La didattica
della filosofia nell’università e nella scuola superiore, in «Atti del Convegno
Nazionale sulla didattica della filosofia all’università e nella scuola
superiore», 1993, La Garangola, Padova 1996,
167-168. Presenta la sua
concezione inizialmente in «nuova secondaria», la Scuola, Brescia Filosofia:
proposta per una didattica filosofica e definitivamente la approfondisce al
Convegno di Lisbona Per una didattica filosofica, in M.L.R. Ferreira (cur.),
Ensinar/aprender filosofia num mundo em rede, Universidade de Lisboa, , 24-39.
Pubblica a tal riguardo un volume La filosofia per unità didattiche,
Pagus, Treviso 1993. Nominato dal
Ministero dell'Istruzione come formatore dei docenti di Filosofia pubblica
Moduli didattici nei Quaderni del Ministero.
Oltre agli articoli pubblicati su Amica Sofia si veda la relazione
presentata al Convegno di Borgia Catanzaro Dai “modelli di razionalità” alle
neuroscienze, ripensando alle filosofie rivolte ai bambini , su
libreriafilosofica.com. 27 dicembre .
Pubblica Essere e volere, Pensa, Lecce .
Si veda Siamo liberi di volere ciò che vogliamo?, Diogene Multimedia,
Bologna La principale pubblicazione è
Cercasi anima disperatamente, Diogene Multimedia, Bologna . Foto della serata circa la cittadinanza
onoraria (JPG), su libreriafilosofica.com. 14 novembre . Armando Girotti con l’elenco delle
pubblicazioni. Armando Girotti Pro loco Pontelongo. F
Giudice -- giudice:
essential Italian philosopherwho has studied in depth the origin of philosophy
in the Eleatic school. Guido del Giudice (Napoli),
filosofo. Dopo essersi laureato in medicina all'Università degli Studi di
Napoli Federico II nel 1982 inizia a scrivere opere sulla vita e il pensiero di
Giordano Bruno e sulla filosofia del Rinascimento. È membro del comitato
scientifico della Nicolas Benzin Stiftung. Nel 2008 l'Accademia
Internazionale Partenopea Federico II ha assegnato alla sua opera, La disputa
di Cambrai. Camoeracensis acrotismus, il primo posto nel "Premio
internazionale Giordano Bruno", quale "migliore opera d'ingegno
dedicata al filosofo". Dal
pubblica i suoi articoli sulla rivista di letteratura e biblofilia “la
Biblioteca di Via Senato”. Nel ha
fondato “The Giordano Bruno Society”, associazione culturale per la diffusione
del pensiero bruniano nel mondo. Opere
Giordano Bruno, Marotta e Cafiero Editori, Napoli 2001. La coincidenza
degli opposti. Giordano Bruno tra Oriente e Occidente, Di Renzo Editore, Roma
2005. Pubblicata una seconda edizione con il saggio: Bruno, Rabelais e
Apollonio di Tiana, Di Renzo Editore, Roma 2006. Due Orazioni. Oratio
Valedictoria e Oratio Consolatoria, Di Renzo Editore, Roma 2006; La disputa di
Cambrai. Camoeracensis acrotismus, Di Renzo Editore, Roma 2008. Il Dio dei
Geometriquattro dialoghi, Di Renzo Editore, Roma, 2009. Somma dei termini
metafisici, con il saggio: Bruno in Svizzera, tra alchimisti e Rosacroce, Di
Renzo Editore,Roma, . Io dirò la verità. Intervista a Giordano Bruno, Di Renzo
Editore, Roma, . Contro i matematici, Di Renzo Editore, Roma, . Giordano Bruno.
Il profeta dell'universo infinito, The Giordano Bruno Society, Napoli, .
Giordano Bruno. Epistole latine, Fondazione Mario Luzi, . Giordano Bruno.
Scintille d'infinito. Il pensiero del grande filosofo in 200 aforismi. Di Renzo
Editore, Note Nicolas Benzin Stiftung sito. Premio Bruno Archiviato l'11 gennaio in . su giornalewolf. La Biblioteca di Via Senato di Milano., su
bibliotecadiviasenato.it. 20 novembre .
Guido del Giudice su ibs. Guido del Giudice Archiviato il 20
gennaio in . su lafeltrinelli. Amazon.com: guido del giudice, su
amazon.com. l'11 gennaio . Guido del Giudice, su lafeltrinelli.it. 20
novembre . Giordano Bruno Rinascimento
Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Guido del Giudice Collabora
a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Guido
del Giudice , opere in Google Libri ,
Official website. Refs.: Luigi Speranza, "Grice, del Giudice, e la
filosofia greco-romana," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Giudice: Deputato del Regno
d'Italia LegislatureXXIX Consigliere nazionale del Regno d'Italia
LegislatureXXX Gruppo parlamentareMembri del Consiglio Nazionale del PNF Dati
generali Partito politicoPNF Titolo di studioLaurea in Lettere UniversitàUniversità
“La Sapienza” ProfessioneDocente universitari. Riccardo Del Giudice (Lucera), filosofo. Allievo
e collaboratore di Gentile, conseguì a ventun anni la laurea in Filosofia,
rivelando i suoi vasti e solidi interessi culturali, che, insieme ad una rara
volontà di studio e ad una seria attività politica formarono il suo principale
merito professionale. Conseguì successivamente altre sei lauree, tra cui
Giurisprudenza, che ne indirizzerà il cammino professionale. Apprezzato per le doti oratorie e
l'accuratezza nella scrittura, fu parlamentare di chiara fama nella XXIX e XXX
legislatura della Camera dei Deputati, durante il periodo fascista. Uomo di
profonda ed esemplare preparazione filosofica, fu docente a Roma. Testimone
d'eccezione di grandi e travolgenti fatti della vita italiana, fu firmatario dei
Patti Lateranensi e, dal dicembre del
1939 al febbraio del 1943, sottosegretario all'Educazione Nazionale, nonché
intimo amico di Giuseppe Bottai, ministro dell'Educazione Nazionale e figura
critica del regime. Nel 1939, e per i
primi anni Quaranta, fu tra i maggiori promotori dell'ambizioso progetto di
redigere una Storia del Lavoro in Italia (in diversi volumi), progetto al quale
parteciparono — tra gli altri — Federico Chabod, Amintore Fanfani, Luigi Dal
Pane, Renato Spaventa, Gino Barbieri ed Ernesto Sestan. Intimamente legato alla sua città natale,
lasciò generose donazioni di libri alla biblioteca comunale, alla biblioteca
del liceo e a quella del tribunale. Vedi " storico della Camera dei
deputati", riferimenti in .
Giuseppe Parlato, La sinistra fascista: storia di un progetto mancato,
Il Mulino, Bologna 2000, 191-196. Giuseppe Parlato, Riccardo Del Giudice dal
sindacato al governo, Fondazione Ugo Spirito, Roma 1992. Morto Del Giudice storico del diritto
Archiviolastampa.it Riccardo Del
Giudice, su siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo Unificato per
le Soprintendenze Archivistiche.
Riccardo Del Giudice, su storia.camera.it, Camera dei deputati. Filosofia Categorie: Sindacalisti
italianiPolitici italiani del XX secoloAccademici italiani Professore1900 1985
16 luglio 16 febbraio Lucera RomaFilosofi italiani del XX secoloDeputati della
XXIX legislatura del Regno d'ItaliaConsiglieri membri del Consiglio nazionale
del PNFBibliofiliPolitici del Partito Nazionale FascistaStudenti della
SapienzaRomaProfessori della SapienzaRoma
Giudice: Santi Lo Giudice
(Antillo), filosofo. È nato nell'entroterra della provincia messinese, figlio
di un maestro elementare. Dopo aver espletato studi classici si è laureato in
Pedagogia con lode nel 1969 con tesi in Ideologia e Sociologia. Ha vissuto gli
ultimi anni della sua vita tra Messina e Santa Teresa di Riva dedicandosi alla
scrittura dei suoi ultimi testi e all'insegnamento. Nel 1980 è entrato come ricercatore presso
l'Istituto di Filosofia della Facoltà di Magistero dell'Messina, divenendo professore
associato nel 2002, professore straordinario nel 2006 e infine Professore di
filosofia teoretica nel 2009. Ha insegnato Filosofia teoretica, Filosofia della
comunicazione, Sociologia dei processi culturali e comunicativi, Antropologia
filosofica, Teoria del mutamento sociale e Storia e critica del cinema presso
l'Messina; ha collaborato alla rivista Moleskine di Messina e ad altri
quotidiani e riviste ed è stato direttore per la Luigi Pellegrini Editore delle
collane "Filosofia Teoretica" e "Interstizi". Opere: Breve documento sulla "Nuova
Filosofia", Messina, Sortino editore, Indagini sul discorso filosofico
contemporaneo (1984) Gli echi del corpo: saggio su F. Nietzsche, Verona,
Edizioni del Paniere, 1989 30436500
Introduzione al lessico di Nietzsche, prefazione di Armando Plebe, Roma,
Armando, Nietzscheana. Esercizi di lettura, Messina, Alfa, Il tribunale
filosofico di Heine, Nietzsche e i simboli delle cose più alte, Fedeltà alla
terra, Profili della contemporaneità, Cosenza, Pellegrini Editore, Stare
insieme, Cosenza, Pellegrini Editore, Tracce di filosofia del finito, Cosenza,
Pellegrini Editore, Nietzsche e gli echi del corpo, Cosenza, Pellegrini Editore,
Corpo e parola. Studi sul linguaggio e l'espressione, Cosenza, Pellegrini Editore,
Scritti di filosofia ed etica, Cosenza, Pellegrini Editore, Emozioni e
cognitività in Nietzsche. Un approccio fisiologico, Cosenza, Pellegrini
Editore, Sul pudore e sull'osceno, Cosenza, Pellegrini Editore, Breve documento
sulla "nuova filosofia", Cosenza, Pellegrini Editore, , Scritti di
filosofia ed etica, volume secondo, Cosenza, Pellegrini Editore, , 978-88-6822-034-1. Su Messina e altri
scritti, Cosenza, Pellegrini Editore, Raffaele Morelli, Puoi fidarti di te, Milano,
Edizioni Mondadori, 81 Martino Michele Battaglia, Storia e cultura in Karl
Raimund Popper, Cosenza, L. Pellegrino, 200593 Martino Michele Battaglia,
Francesco Guicciardini tra scienza etica e politica, Cosenza, L. Pellegrino,
, varie Giovanni Coglitore, Kant:
cristianesimo come impegno morale, in Il contributo (), vol 1-243 L'Espresso,
vol 43, 198796 Studi etno-antropologici e sociologici, Volume 1725 Altri
progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o
altri file su Santi Lo Giudice Note
biografiche sul sito web della Pellegrini Editore., su pellegrinieditore.com.
Giuliano -- Flavio Claudio
Giuliano (in latino: Flavius Claudius Iulianus; Costantinopoli), filosofo. L’ultimo
sovrano dichiaratamente pagano, che tentò, senza successo, di riformare e di
restaurare la religione romana dopo che essa era caduta in decadenza di fronte
alla diffusione del cristianesimo.
Giussani: Luigi Giovanni
Giussani (Desio), filosofo. Fondatore del movimento di Comunione e Liberazione.
Luigi Giussani nacque e trascorse la sua infanzia nella cittadina di Desio, in
Brianza, a pochi chilometri da Milano. Maggiore di cinque fratelli, ricevette
la prima introduzione alla fede cattolica dalla madre Angelina Gelosa, operaia
tessile; il padre Beniamino, disegnatore e intagliatore, era un socialista.
Il 2 ottobre 1933 entrò nel seminario diocesano San Pietro Martire di Seveso
dove frequentò i primi quattro anni di ginnasio. Nel 1937 si trasferì a
Venegono Inferiore, nella sede principale del seminario dove frequentò l'ultimo
anno di ginnasio, i tre anni del liceo e dove svolse i successivi studi di
teologia. Ebbe come docenti, fra gli altri, Giovanni Colombo (poi
cardinale e arcivescovo di Milano), i teologi Gaetano Corti, Carlo Colombo (in
seguito vescovo ausiliare di Milano) e Carlo Figini. In quella sede conobbe i
compagni di studio Enrico Manfredini e Giacomo Biffi che divennero in seguito
entrambi arcivescovi di Bologna. In questi anni si interessò di Giacomo
Leopardi e delle chiese ortodosse. Il 26 maggio 1945 Giussani, ventitreenne,
ricevette l'ordinazione sacerdotale dal cardinale Ildefonso Schuster.
Dopo l'ordinazione, rimase nel seminario di Venegono come insegnante e si
specializzò nello studio della teologia orientale (specie sugli slavofili),
della teologia protestante statunitense e della motivazione razionale
dell'adesione alla Chiesa. Gioventù Studentesca Nel 1954, trentaduenne,
lasciò l'insegnamento in seminario per quello nelle scuole superiori. Iniziò
l'insegnamento della religione nelle scuole superiori, presso il liceo Berchet
di Milano dove fu suo alunno, tra i tanti, anche Giulio Giorello. Rimase al
liceo Berchet per dieci anni, fino al 1964. Le prime riunioni di suoi studenti
si tennero con il nome di Gioventù Studentesca (GS), che fondò insieme a don
Francesco Ricci e che fino agli anni settanta fece parte dell'Azione
Cattolica. Iniziò anche un'attività pubblicistica volta a porre
attenzione sulla questione educativa. Redasse la voce "Educazione"
per l'Enciclopedia Cattolica. Sotto al cardinale Colombo continuò gli
studi di teologia protestante americana per i quali soggiornò per cinque mesi
negli Stati Uniti. Nel 1964, ottenne la cattedra di Introduzione alla Teologia
presso l'Università Cattolica di Milano, che mantenne fino al 1990.
Comunione e Liberazione Magnifying glass icon mgx2.svg Comunione e Liberazione.
«Lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa, attraverso di lui, un Movimento,
il vostro, che testimoniasse la bellezza di essere cristiani in un'epoca in cui
andava diffondendosi l'opinione che il cristianesimo fosse qualcosa di faticoso
e di opprimente da vivere. don Giussani s'impegnò allora a ridestare nei
giovani l'amore verso Cristo "Via, Verità e Vita", ripetendo che solo
Lui è la strada verso la realizzazione dei desideri più profondi del cuore
dell'uomo, e che Cristo non ci salva a dispetto della nostra umanità, ma
attraverso di essa.» (Cardinale Joseph Ratzinger durante l'omelia per le
esequie di don Giussani, Duomo di Milano, 24 febbraio 2005.) Negli anni
1969-1970 il movimento da lui creato prese il nome di Comunione e Liberazione;
don Giussani ne assunse la guida presiedendone il consiglio generale.
L'11 febbraio 1982 il Pontificio Consiglio per i Laici riconobbe la Fraternità
di Comunione e Liberazione e don Giussani ne guidò la Diaconia Centrale.
Fu creato Monsignore da Giovanni Paolo II nel 1983 con il titolo di Prelato
d'onore di Sua Santità. Sei anni dopo, nel 1989, contribuì alla costituzione
della FondazioneBanco Alimentare. Nel 1987 fu nominato consultore del
Pontificio Consiglio per i Laici. Nel 1988 tale organismo riconobbe
ufficialmente l'associazione laicale Memores Domini. Nel 1994 fu nominato
consultore della Congregazione per il Clero. L'11 dicembre 1997 il suo testo,
Il senso religioso, fu presentato nell'edizione inglese al Palazzo dell'ONU di
New York.[senza fonte] Don Luigi Giussani tiene una lezione su Il
senso religioso Fra le sue numerose opere vi è la trilogia del PerCorso,
redatta a partire dagli appunti delle lezioni di religione che aveva tenuto
negli anni cinquanta al liceo Berchet e in seguito all'Università Cattolica.
L'opera, pubblicata in successive edizioni prima da Jaca Book e poi da Rizzoli,
è composta da Il senso religioso, All'origine della pretesa cristiana e Perché
la Chiesa (quest'ultimo inizialmente diviso in due volumi). Propone la
concezione della fede e dell'esperienza cristiana come incontro con Cristo
attraverso la Chiesa cattolica. Per don Giussani la fede è un «riconoscere una
Presenza» ed occupa ogni singolo spazio della vita individuale (i rapporti
umani, l'esperienza lavorativa, la vita sociale e politica). Da ciò nasce anche
una critica alla ragione illuminista. L'idea della ragione come principale
strumento offerto all'uomo nel rapporto con la realtà e della fede come metodo
di conoscenza sono, secondo don Giussani, le premesse metodologiche per
un'analisi dell'esperienza religiosa. Morte Tomba di don Giussani
al Monumentale Don Giussani morì a Milano il 22 febbraio del 2005. Molti gli
resero omaggio nei giorni successivi nella camera ardente, allestita nella
cappella dell'Istituto Sacro Cuore, scuola voluta dallo stesso don Giussani. Il
suo funerale fu celebrato giovedì 24 febbraio 2005 dall'Arcivescovo di Milano
Dionigi Tettamanzi e concelebrato dall'inviato di papa Giovanni Paolo II,
l'allora cardinale Joseph Ratzinger, che a distanza di poche settimane sarebbe
stato scelto come suo successore e che tenne l'omelia, dall'allora Patriarca di
Venezia Angelo Scola, dal successore alla guida del movimento di Comunione e
Liberazione, don Julián Carrón, e da altri sacerdoti. Il funerale fu trasmesso
in diretta da Rai Uno. Don Giussani fu inizialmente tumulato nella Cripta
del Famedio del Cimitero Monumentale di Milano, ma nella notte dell'8 giugno
2006 la tomba venne profanata; in seguito la salma fu traslata in una cappella
dedicata all'interno dello stesso Monumentale. Il 17 gennaio del 2006
venne riconosciuto dalla Santa Sede fondatore delle Suore di Carità
dell'Assunzione insieme a padre Stefano Pernet. Processo di
beatificazione In occasione del settimo anniversario della morte, il 22
febbraio è stato dato l'annuncio della
richiesta di nihil obstat alla Santa Sede per dare inizio alla fase diocesana
del processo per la causa di beatificazione e canonizzazione di don Luigi
Giussani. Dopo l'ottenimento del nihil obstat, annunciata dall'arcivescovo di
Milano Angelo Scola nell'aprile , Luigi Giussani è considerato Servo di
Dio. Onorificenze Titolo di prelato d'onore di Sua Santità (monsignore),
9 dicembre 1983 Premio internazionale medaglia d'oro al merito della
cultura cattolica, Bassano del Grappa, 6 ottobre 1995 Corona Turrita, Comune di
Desio, 14 ottobre 2001 Premio Isimbardi, Provincia di Milano, 2002 Premio Mario
Macchi, Associazione Genitori Scuole cattoliche, 2003 Sigillo Longobardo,
Regione Lombardia, 16 marzo 2004 Intitolazioni La targa a ricordo di don
Giussani a Varigotti nei pressi della chiesa di San Lorenzo. Dopo la morte,
sono stati dedicati a Giussani: Desio: nel paese natale di Giussani, la
piazza retrostante il municipio e un monumento opera di Cristina Mariani
inaugurato nel 2005 Milano: parco Don Giussani, in predenza parco Solari
Trivolzio: il piazzale adibito all'accoglienza delle auto dei pellegrini alla
chiesa parrocchiale che ospita le spoglie di San Riccardo Pampuri[25] Finale
Ligure: l'ultimo tratto del sentiero che porta all'antica chiesa di San Lorenzo
di Varigotti: lì si tennero alcuni dei primi incontri di Comunione e
Liberazione, che ancora si chiamava Gioventù Studentesca[26] Castronno (VA): un
largo presso la rotatoria all'uscita dell'Autostrada dei laghi[27] Ascoli
Piceno: la scuola primaria e dell'infanzia "Don Luigi Giussani"[28]
Portofino: la piazzetta del faro[29] Kampala (Uganda): la scuola secondaria
Luigi Giussani High School[30] Pozzolengo: il parco comunale adiacente al
castello[31] San Leo: un bassorilievo in bronzo, opera dell'artista riminese
Paola Ceccarellia, sulla facciata del convento di Sant'Igne[32] Rimini: la
rotonda davanti al Palacongressi, nei pressi dell'area della demolita Fiera
dove si sono svolte le prime edizioni del Meeting per l'amicizia fra i
popoli[33] Chiavari: un tratto del lungoporto[34] Verona: i giardini presso
ponte Garibaldi a Borgo Trento[35] Cinisello Balsamo: un largo urbano nei
pressi del comune Segrate: il centro sportivo della frazione di Redecesio
Strade comunali sono state intitolate a don Giussani a Cagliari, Morrovalle,
Rapallo, Treviglio, Mestre, ecc. Opere La maggior parte delle opere di Luigi
Giussani, soprattutto a partire dagli anni ottanta, deriva dalla trascrizione di
dialoghi, conversazioni e lezioni svolte in pubblico durante raduni, convegni,
esercizi spirituali.[36] I suoi libri sono stati pubblicati dall'editore
milanese Jaca Book dal 1966 fino al 1991.[37] A partire dagli anni novanta
Rizzoli ha iniziato a rieditare i testi di Giussani in nuove edizioni
aggiornate dotate spesso di un nuovo apparato di note e di nuovi contenuti
editoriali e a volte con titoli diversi. Rizzoli ha anche pubblicato le opere
inedite del sacerdote brianzolo e volumi antologici di conversazioni
precedentemente disponibili sotto forma di fascicoli pro manuscripto o di
redazionali per varie riviste. Volumi di inediti o di riedizioni di vecchi
testi sono poi usciti anche per altri editori, tra i quali Marietti 1820, San
Paolo, SEI, Piemme e Messaggero di Sant'Antonio.[38] Trascrizioni di
conversazioni e lezioni tenute da Giussani nel corso di incontri con i
responsabili di Comunione e Liberazione, di esercizi spirituali e di incontri
con appartenenti ai Memores Domini sono state di norma pubblicate come inserti
redazionali o allegate come fascicoletti nelle riviste Tracce (precedentemente
nota come CL-Littere Communionis, organo ufficiale del movimento), Il Sabato e
30 giorni nella Chiesa e nel mondo. Un gran numero di questi testi è stato poi
pubblicato in volumi antologici. Dopo la sua morte, è iniziata la
catalogazione sistematica dei testi e degli scritti di Giussani. Sul sito web
Luigi Giussani Scritti, curato dalla Fraternità di Comunione e Liberazione, è
iniziata dal 2009 la pubblicazione di schede riassuntive dei testi del
sacerdote, molti dei quali sono stati resi disponibili in e-book.[39] Dal
1993 e fino alla sua morte, Luigi Giussani ha diretto la collana editoriale I
libri dello spirito cristiano per la Biblioteca Universale Rizzoli. La collana,
proseguita fino al 2009 sotto la direzione di Julián Carrón e poi sostituita da
un'analoga iniziativa sotto il nome di Biblioteca della spirito cristiano, ha
pubblicato circa 80 titoli scelti fra quelli che più hanno segnato l'esperienza
di Giussani e di Comunione e Liberazione.[40] Analogamente, Giussani ha diretto
dal 1997 la collana discografica Spirto gentil, CD musicali di «introduzione
alla musica» con allegato un booklet di norma contenente una nota introduttiva
di Giussani, una scheda storica sui compositori o sui musicisti e una guida
all'ascolto.[41] Molte opere di Giussani, tra le quali Il senso
religioso, All'origine della pretesa cristiana, Perché la Chiesa e Il rischio
educativo, sono state tradotte in varie lingue tra cui l'inglese (pubblicate
dalla casa editrice McGill University Press negli Stati Uniti), spagnolo,
portoghese, ecc.[38] Il senso religioso, Jaca Book, 1966. Reinhold
Niebuhr, Jaca Book, 1969. Teologia protestante americana, La Scuola Cattolica,
1969; Jaca Book, 1989; Marietti 1820, 2003. L'impegno del cristiano nel mondo,
con Hans Urs von Balthasar, Jaca Book, 1971, . Tracce di esperienza e appunti
di metodo cristiano, Jaca Book, 1972. Dalla liturgia vissuta: una
testimonianza, Jaca Book, 1973, nuova edizione 1991; San Paolo, . Il rischio
educativo, Jaca Book, 1977; SEI, 1995; Rizzoli, 2005. Tracce d'esperienza
cristiana, Jaca Book, 1977; nuova edizione 1991. Decisione per l'esistenza,
Jaca Book, 1978. L'alleanza, Jaca Book, 1979. Il senso della nascita, colloquio
con Giovanni Testori, BUR Rizzoli, 1980. Moralità: memoria e desiderio, Jaca
Book, 1980. Alla ricerca del volto umano, Jaca Book, 1984; Rizzoli, 1995.
Pregare, illustrazioni di Marina Molino, Jaca Book, 1984. La fede e le sue
immagini, illustrazioni di Marina Molino, Jaca Book, 1984. La coscienza
religiosa nell'uomo moderno, Jaca Book, 1985. Il senso religiosoVolume primo
del PerCorso, Jaca Book, 1986; Rizzoli, 1997. All'origine della pretesa
cristianaVolume secondo del PerCorso, Jaca Book, 1988; Rizzoli, 2001. Perché la
ChiesaVolume terzo del PerCorso, Jaca Book, Tomo 1 1990, Tomo 2 1992; volume
unico Rizzoli, 2003. Un avvenimento di vita, cioè una storia, EDITIl Sabato,
1993. L'avvenimento cristiano, BUR Rizzoli, 1993. Il senso di Dio e l'uomo
moderno, BUR Rizzoli, 1994. Si può vivere così?, BUR Rizzoli, 1994; riedizione
Rizzoli 2007. Opere: 1966-1992, 1, Il
PerCorso, Jaca Book, 1994. Opere: 1966-1992,
2, Jaca Book, 1994. Il tempo e il tempio, BUR Rizzoli, 1995. Realtà e
giovinezza. La sfida, SEI, 1995; Rizzoli, . Il cammino al vero è un'esperienza,
SEI, 1995; Rizzoli, 2006. Le mie letture, Rizzoli, 1996. Si può (veramente?!)
vivere così?, BUR Rizzoli, 1996. Porta la speranza, Marietti 1820, 1997.
Riconoscere una presenza, San Paolo, 1997. Lettere di fede e di amicizia ad
Angelo Majo, San Paolo, 1997. Generare tracce nella storia del mondo, con
Stefano Alberto e Javier Prades, Rizzoli, 1998. L'uomo e il suo destino,
Marietti 1820, 1999. Scuola di Religione, SEI, 1999, nuova edizione 2003. L'io,
il potere, le opere, Marietti 1820, 2000. Tutta la terra desidera il Tuo volto,
San Paolo, 2000. Che cos'è l'uomo perché te ne curi?, San Paolo, 2000.
Avvenimento di libertà, Marietti 1820, 2002. L'opera del movimento. La
Fraternità di Comunione e Liberazione, San Paolo, 2002. Il miracolo
dell'ospitalità, Piemme, 2003, nuova edizione . Il Santo Rosario, San Paolo
2003. Egli solo è. Via Crucis, San Paolo, 2005. La libertà di Dio, Marietti
1820, 2005. Come si diventa cristiani, Marietti 1820, 2007. La familiarità con
Cristo, San Paolo, 2008. Vivere intensamente il reale, Editrice La Scuola, .
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Quasi Tischreden "Tu" (o dell'amicizia), BUR Rizzoli, 1997.
Vivendo nella carne, BUR Rizzoli, 1998. L'attrattiva Gesù, BUR Rizzoli, 1999.
L'autocoscienza del cosmo, BUR Rizzoli, 2000. Affezione e dimora, BUR Rizzoli,
2001. Dal temperamento un metodo, BUR Rizzoli, 2002. Una presenza che cambia,
BUR Rizzoli, 2004. Collana L'Equipe Dall'utopia alla presenza (1975-1978), BUR
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Rizzoli, 2009. L'io rinasce in un incontro (1986-1987), BUR Rizzoli, . Ciò che
abbiamo di più caro (1988-1989), BUR Rizzoli, . Un evento reale nella vita
dell'uomo (1990-1991), BUR Rizzoli, . In cammino (1992-1998), BUR Rizzoli, .
Collana Cristianesimo alla prova Una strana compagnia, BUR Rizzoli, . La
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Giusso: Lorenzo Giusso
(Napoli), filosofo. Nato in una famiglia aristocratica, dal conte Antonio
Giusso e da Maria Imperiali d'Afflitto. La sua maturazione culturale avvenne in
un terreno fertile, costituito da un ambiente familiare che aveva contribuito
allo sviluppo non solo culturale della città (il nonno, Girolamo Giusso, uno
dei fondatori del quartiere Bagnoli, ne era stato sindaco). Tra il 1917 e il
1924 gli studi del Giusso presso l'Napoli (dove fu allievo, fra gli altri, di
Antonio Aliotta), coronati dalla laurea in lettere e filosofia, si svilupparono
in molteplici direzioni. Pur destinato a
diventare prevalentemente filosofo e storico della filosofia, i suoi non
dilettanteschi interessi spaziarono dalla letteratura alla musica, dalla
pittura alla poesia, secondo un percorso eclettico ed estroso, fondato
sull'istinto piuttosto che sul metodo, che lo portò a una conoscenza
approfondita ed estesissima nei settori più diversi. Seguì con passione
l'attualismo gentiliano e proprio il suo carattere passionale lo portò anche
nel campo letterario e filosofico ad un tipo di critica
"scenografica", così come fu definita. Aderì al fascismo, della cui ideologia
divenne uno dei più ascoltati divulgatori, soprattutto dalle pagine della
rivista Gerarchia. Ben presto però all'entusiasmo dei suoi vent'anni per il
nuovo corso politico si sostituì l'attività di scrittore (1925). Le sue
"frizioni" con Benedetto Croce, inizialmente orientate su temi
politici, presero più tardi una forma "sotterranea", genericamente
orientata contro l'idealismo del filosofo abruzzese. Giusso si richiamava al
fatalismo di Leopardi, al demiurgo di Nietzsche, allo storicismo di Dilthey, al
nichilismo dello Spengler: e a causa di quest'ultimo, oltre che per la sua
interpretazione della Scienza nuova vichiana (che si attirò una severa
recensione dello stesso Croce, Giusso fu criticato dall'ambiente crociano. Il Giusso critico e storico delle idee
s'identificava con la visione della vita di autori che sentiva a lui vicini per
temperamento ed interessi come Giordano Bruno, Giambattista Vico (dall'analisi
degli scritti del quale nacque l'infastidita reazione di Benedetto Croce),
Salvatore Di Giacomo, Matilde Serao, Riccardo Bacchelli, Bruno Barilli,
Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Aldo Palazzeschi, Giuseppe Antonio Borgese,
Guido Gozzano, che molto ispirò la sua composizione poetica Don Giovanni
ammalato. Approfondito conoscitore della lingua francese, spagnola e tedesca fu
un traduttore attento a rendere non solo il senso della frase ma anche a
rappresentare l'idea dell'autore.
Entusiasta ammiratore della cultura spagnola, la critica letteraria ha
rivalutato il suo Autoritratto spagnolo, apparso postumo, come un buon
esemplare di prosa creativa. Anche i suoi Tafferugli a Montecavallo
meriterebbero forse di essere più conosciuti. D'altro canto egli visse una
notevole porzione della sua non lunga vita proprio nella penisola iberica,
insegnando nelle Salamanca, Barcellona, e Madrid dove fu accademico d'onore. Fu
collega nonché amico esegeta e traduttore di José Ortega y Gasset e Miguel de
Unamuno. Tra le due guerre, egli
partecipò all'atmosfera culturale della Napoli segnata dal cenacolo di
Benedetto Croce, da cui molto presto si distaccò (come Adriano Tilgher, che
egli difese e mostrò di apprezzare) assumendo posizioni "eretiche" e
ispirandosi piuttosto a un ideale di vitalismo romantico che risulta evidente
dai numerosi autori e dalle molte opere cui dedicò la sua attenzione: in
particolare in una fase iniziale, Oswald Spengler e Nietzsche. Intelligenza precoce, prima di intraprendere
l'insegnamento universitario che lo avrebbe allontanato da Napoli portandolo ad
insegnare Filosofia morale e teoretica, Letteratura italiana e francese, Storia
delle religioni, Lingua e Letteratura spagnola, in prestigiose università
italiane come Bologna, Pisa, Cagliari, e d'oltralpe come Monaco, Nizza,
Breslavia, Debreczen (oltre alle già citate università spagnole), il Giusso avviò
una copiosa pubblicazione di articoli, collaborando con numerosi quotidiani
italiani come Il Popolo d'Italia, Il Secolo, Il Mattino, Il Resto del Carlino,
ed ancora il Giornale, Il Tempo, Il Messaggero, La Gazzetta di Sicilia, La
Stampa ed altri ancora. Giornali questi
dove fu autore di elzeviri, volti alla diffusione dei più diversi aspetti della
cultura europea e alla conoscenza dei suoi principali esponenti, soprattutto
scrittori. Inoltre, dal 1950 al 1957 tenne a radio rai un programma culturale
di letteratura spagnola e non solo, sotto forma di conversazioni radiofoniche.
Nel dopoguerra, superati i miti dell'irrazionalismo e dell'energia vitalistica,
Giusso si riavvicinò alla fede cristiana; era sua intenzione realizzare una
revisione del pensiero italiano dal Rinascimento all'età barocca, approfondendo
in particolare lo studio e l'interpretazione dell'umanesimo, inteso come vasto
tentativo sincretistico volto a ravvicinare il pensiero dell'antichità
greco-romana e quello cristiano. In
chiave revisionista rispetto alla tradizione laica si era avvicinato anche alla
figura di Giordano Bruno. Di ritorno da un viaggio nella sua adorata Spagna
morì a Roma il giorno 11 aprile del 1957. E a Napoli, sua città natale, pochi
anni dopo la sua dipartita gli venne intitolata una strada. Opere principali: Le dittature democratiche
dell'Italia, Milano, Alpes, Leopardi, Stendhal, Nietzsche, Napoli, Guida, Tre
profili: Dostojewsky, Freud, Ortega y Gasset, Napoli, A. Guida, 1933. Idealismo
e prospettivismo, Napoli, A. Guida, Leopardi e le sue due ideologie, Firenze,
Sansoni, Osvaldo Spengler, Roma, società anonima La nuova antologia, Cadenze di
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Giusso, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Lorenzo Giusso, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Givone: Sergio Givone (Buronzo), filosofo. Laureato a Torino
con Luigi Pareyson, ha insegnato a Perugia, Torino e Firenze, dove attualmente
è ordinario di Estetica alla Facoltà di Lettere e Filosofia. Nel 1982-83 e nel
1987-88 è stato Humboldt-Stipendiat presso l'Heidelberg. Alcuni suoi lavori riguardano Dostoevskij,
riletto alla luce del problema del nichilismo europeo. Da questa riflessione nasce
anche la sua ricerca sulla storia del nulla e sulle implicazioni in un nuovo
pensiero tragico. Ha scritto anche opere
di narrativa, in cui forte è ancora il richiamo filosofico e l'impronta della
letteratura russa. Collabora col
quotidiano la Repubblica. Il 4
giugno è stato nominato assessore alla
Cultura del Comune di Firenze. Opere: La
storia della filosofia secondo Kant, Milano, Mursia, Hybris e Malinconia. Studi sulle poetiche del
Novecento, Milano, Mursia, William
Blake. Arte e religione, Milano, Mursia, Ermeneutica e romanticismo, Milano,
Mursia, Dostoevskij e la filosofia, Roma-Bari, Laterza, Storia dell'estetica,
Roma-Bari, Laterza, Disincanto del mondo e pensiero tragico, Milano, Il Saggiatore,
La questione romantica, Roma-Bari,
Laterza, Storia del nulla, Roma-Bari, Laterza, Favola delle cose ultime,
Torino, Einaudi, Eros/ethos, Torino, Einaudi, Nel nome di un dio barbaro, Torino,
Einaud, Prima lezione di estetica,
Roma-Bari, Laterza, Il bibliotecario di Leibniz. Filosofia e romanzo, Torino,
Einaudi, Non c'è più tempo, Torino, Einaudi,
Premio Nazionale Rhegium Julii 2008, Narrativa;. Metafisica della peste. Colpa
e destino, Torino, Einaudi, .Luce d'addio. Dialoghi dell'amore ferito, Firenze,
Olschki, Sull'infinito, il Mulino, Fonte: Enciclopedie on line, riferimenti in
. premio Rhegium Julii, su
circolorhegiumjulii.wordpress.com. 3 novembre .
Pantragismo Pensiero tragico Sergio Givone, su Treccani.itEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere di Sergio Givone, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di
Sergio Givone, . Registrazioni di Sergio
Givone, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.
Sergio Givone sulla bellezza speciale di Rai Filosofia.
glanvill: English
philosopher who defended the Royal Society against scholasticism. Glanvill believes
that certainty is possible in the mathematical but not in the empirical realm.
In “The Vanity of Dogmatizing,” he claimed that the human corruption that
resulted from Adam’s fall precludes dogmatic knowledge of nature. Using
traditional sceptical arguments as well as an analysis of causality that
anticipate Hume, Glanvill argues that empirical belief is the probabilistic
variety acquired by piece-meal investigation. Despite his scepticism he argues
for the existence of witches in Witches and Witchcraft (“Probably he was
married to one,” Grice comments).
gnosticism:
a philosophical
movement, especially important under the leadership of Valentinus and
Basilides. They teach that matter was evil, the result of a cosmic disruption
in which an evil archon often associated with the god of the Old Testament,
Yahweh rebelled against the heavenly pleroma the complete spiritual world. In
the process divine sparks were unleashed from the pleroma and lodged in
material human bodies. Jesus was a high-ranking archon Logos sent to restore
those souls with divine sparks to the pleroma by imparting esoteric knowledge
gnosis to them. Gnosticism influenced and threatened the orthodox church from
within and without. NonChristian gnostic sects rivaled Christianity, and
Christian gnostics threatened orthodoxy by emphasizing salvation by knowledge
rather than by faith. Theologians like Clement of Alexandria and his pupil
Origen held that there were two roads to salvation, the way of faith for the
masses and the way of esoteric or mystical knowledge for the philosophers.
Gnosticism profoundly influenced the C. of E., causing it to define its
scriptural canon and to develop a set of creeds and an episcopal organization
(“My mother, Mabel Fenton Grice, was a bit of a gnostic, if I must say”Grice).
godwin: w. English
philosopher. “An Enquiry concerning Political Justice” arises heated debate.
Godwin argues for radical forms of determinism, anarchism, and utilitarianism. Godwin
thought that government corrupts everyone by encouraging stereotyped thinking
that prevents us from seeing each other as unique individuals. His “Caleb
Williams” portrays a good man corrupted by prejudice. Once we remove prejudice
and artificial inequality we will see that our acts are wholly determined. This
obviously makes punishment pointless. Only in a small anarchic societysuch as
the one he observed outside Oxford -- can people see others as they really are
and thus come to feel a ‘sympathetic concern’ for his well-being. (In this he
influenced Edward Carpenter of “England Arise” infame). Only so can we be
virtuous, because being virtuous is acting from a ‘sympathetic’ (cf. Grice’s
principle of conversational sympathy) feeling to bring the greatest happiness
to the dyad affected. Godwin takes this principle (relabeled “the principle of
conversational sympathy” by Grice) quite literally, and accepts all its
consequences. Truthfulness has no claim on us other than the happiness it
brings. If keeping a promise causes less good than breaking it, there is no
reason (or duty) at all to keep it. If one must choose between saving the life
either of a major human benefactor or of one’s distant uncle, one must choose
the benefactor. We surely need no ‘rules’ in morals. An alleged ‘moral’ “rule”
would prevent us from seeing others properly, thereby impairing the sympathetic
feeling that constitutes virtue. Rights, too, are pointless. Sympathetic people
will act to help (or cooperate with) others. Later utilitarians like Bentham
had difficulty in separating their positions from Godwin’s notorious
views. Refs.: H. P. Grice, “Godwin and
the ethics of conversation.’
gorgias: Grecian Sophist“a
sophist is never to be confused with a ‘philosopher,’ even if he is oh-so-much
cleverer than your average one!”Grice. A teacher of rhetoric from Leontini in
Syracuse, Gorgias came to Athens as an ambassador from his city and caused a
sensation with his artful oratory. He is known through references and short
quotations in later writers, and through a few surviving texts two speeches and a philosophical treatise. He
taught a rhetorical style much imitated in antiquity, by delivering model
speeches to paying audiences. Unlike other Sophists he did not give formal
instruction in other topics, nor prepare a formal rhetorical manual. He was
known to have had views on language, on the nature of reality, and on virtue.
Gorgias’s style was remarkable for its use of poetic devices such as rhyme,
meter, and elegant words, as well as for its dependence on artificial
parallelism and balanced antithesis. His surviving speeches, defenses of Helen
and Palamedes, display a range of arguments that rely heavily on what the
ancients called eikos ‘likelihood’ or ‘probability’. Gorgias maintained in his
“Helen” that a speech can compel its audience to action; elsewhere he remarked
that in the theater it is wiser to be deceived than not. Gorgias’s short book
On Nature or On What Is Not survives in two paraphrases, one by Sextus
Empiricus and the other now considered more reliable in an Aristotelian work,
On Melissus, Xenophanes, and Gorgias. Gorgias argued for three theses: that
nothing exists; that even if it did, it could not be known; and that even if it
could be known, it could not be communicated. Although this may be in part a
parody, most scholars now take it to be a serious philosophical argument in its
own right. In ethics, Plato reports that Gorgias thought there were different
virtues for men and for women, a thesis Aristotle defends in the Politics.
Gobetti: «Lo Stato non professa un'etica, ma
esercita un'azione politica.» (Piero Gobetti in La Rivoluzione
Liberale.) Piero Gobetti (Torino), filosofo. Considerato un degno erede
della tradizione filosofico-politica post-illuminista e liberale che aveva
guidato molte delle migliori menti dell'Italia dal Risorgimento fino a poco
tempo prima, purtuttavia di stampo profondamente sociale e sensibile alle
istanze del socialismo e di conseguenza alle rivendicazioni del movimento
operaio, fondò e diresse le riviste Energie Nove, La Rivoluzione liberale e Il
Baretti, dando fondamentali contributi alla vita politica e culturale, prima
che le sue condizioni di salute, aggravate dalle aggressioni subite, ne
provocassero la morte prematura a nemmeno 25 anni durante l'esilio francese. Gaetano
Salvemini «Era un giovane alto e sottile, disdegnava l'eleganza della persona,
portava occhiali a stanghetta, da modesto studioso: i lunghi capelli arruffati
dai riflessi rossi gli ombreggiavano la fronte» (Carlo Levi, in
«Introduzione agli Scritti politici di Piero Gobetti», XVII, 1960) Gobetti
nacque a Torino il 19 giugno del 1901, figlio unico di Giovanni Battista
Gobetti, di professione commerciante, e di Angela Canuto, una «piccola donna
bruna e tonda, gentile e modesta, capace tuttavia non solo di grande
abnegazione per il figlio unico che adorava, ma anche di strenuo lavoro e di
sagace giudizio». I suoi genitori, originari entrambi di Andezeno (in provincia
di Torino), avevano aperto nel capoluogo piemontese una drogheria nella
centrale via XX Settembre: «Mio padre e mia madre avevano un piccolo commercio.
Lavoravano diciotto ore al giorno. Il mio avvenire era il loro pensiero
dominante [...] L'impegno del loro lavoro era di arricchire [...] permettersi e
permettermi una vita dignitosa. In quanto a me pensavano di dovermi dare un'istruzione,
quella che essi non avevano potuto avere». Dopo gli studi elementari
presso la scuola Giacinto Pacchiotti, s'iscrive al ginnasio Cesare Balbo:
scriverà di sé di quegli anni, in terza persona, che «gli pesava un'amarezza,
uno sconforto, che nei ragazzi di dodici anni segnano inquietudini fruttuose.
Si vedeva troppo poco stimato, troppo solo, troppo malsicuro del domani. Aveva
dei dubbi strani sulle sue stesse attitudini [...] Un'adolescenza che
s'ispirava a motivi così integrali doveva dargli una tragica forza».
Trasferitosi poi, nel 1916, presso il liceo classicoVincenzo Gioberti, dove
conosce Ada Prospero, sua futura moglie, ha per professore d'italiano Umberto
Cosmo e per insegnante di filosofia Balbino Giuliano, un gentiliano che collabora
alla rivista L'Unità di Gaetano Salvemini. Questi gli ispira quei sentimenti di
patriottismo e di interventismo democratico che sono propri del Salvemini,
spingendolo ad anticipare di un anno l'esame di maturità, superato nell'estate
del 1918, per poter così andare, libero da impegni, volontario nella prima
guerra mondiale. Luigi Einaudi La guerra è ormai conclusa quando
Piero, ad ottobre, s'iscrive presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Torino,
la stessa che egli aveva già frequentato, ancora liceale, per seguirvi alcuni
corsi di suo interesse: letteratura, arte, filosofia. Tra i suoi insegnanti vi
sono Luigi Einaudi, da cui «rafforza il suo primitivo, spontaneo
antistatalismo, in cui s'incontrano liberalismo, liberismo e quello stesso
libertarismo che gli è congeniale» Luigi Farinelli, Gaetano Mosca, Giuseppe
Prato, Francesco Ruffini e Gioele Solari, con il quale nel giugno del 1922
sosterrà la tesi di laurea, ottenuta a pieni voti, su La filosofia politica di
Vittorio Alfieri. Non solo: a settembre aveva scritto all'amica Ada di
aver «deciso di fondare un periodico studentesco di cultura che s'occuperà di
arte, letteratura, filosofia, questioni sociali [...] è fatto di soli giovani
[...] si tratta di opera di intensificazione di cultura e di azione [...] e
tutti i giovani devono aiutarla». E così, il 1º novembre del 1918, esce il
primo numero del quindicinale Energie Nove, nel quale scrive di voler «portare
una fresca onda di spiritualità nella gretta cultura di oggi [...] non c'è mai
momento inopportuno per lavorare seriamente». Ispirata alle idee liberali
di Einaudi, è vicina all'Unità di Salvemini, del quale riporta, nel secondo
numero, l'aspra critica alla classe dirigente italiana: «L'Italia ha vinto. Ma
se avesse avuto una classe dirigente meno incolta, più consapevole delle sue
tradizioni e dei suoi doveri, meno avida moralmente, l'Italia avrebbe vinto
assai prima e assai meglio [...] È finita o sta per finire una guerra. Ne
comincia un'altra. Più lunga, più aspra, più spietata». L'altra «guerra più
lunga e spietata» è quella della riforma del Paese, una riforma che dev'essere,
nelle intenzioni di Gobetti, innanzi tutto culturale e morale, e per la quale
occorre «serietà e intensità al lavoro» secondo i motivi di quell'«idealismo
militante che ha animato La Voce» di Giuseppe Prezzolini, altro nume ispiratore
del giovanissimo Gobetti. La Lega democratica Giuseppe Prezzolini
«Per Piero era doveroso partecipare in prima persona al dibattito politico e
intellettuale contemporaneo.» (Carlo Levi, in «Introduzione agli Scritti
politici di Piero Gobetti», XXIII, 1960) Nell'aprile del 1918, Gobetti sospende
la pubblicazione della rivista per poter partecipare, a Firenze, al I Congresso
degli Unitari, i sostenitori della rivista di Salvemini, della quale egli è
fondatore e rappresentante del Gruppo torinese. Può così conoscere di
persona l'intellettuale pugliese e ne è entusiasta: «Salvemini è un genio.
Me lo immaginavo proprio così. L'uomo che sviscerale questioni, che la fa
smettere agli importuni e ti presenta tutte le soluzioni in due minuti,
definitive […] Un'altra persona di cui sono entusiasta è Prezzolini, franco,
semplice, pratico. Editore propriamente come lo pensavo io. L'editore più
intelligente d'Italia». A seguito del Congresso, gli Unitari fondano la Lega
democratica per il rinnovamento della politica nazionale, una formazione
politica che non riuscirà nemmeno a presentarsi alle elezioni e avrà vita
breve. Alle elezioni politiche dell'anno seguente, Salvemini si candideràcon
successoin una formazione di ex-combattenti. Salvemini deve aver compreso
le qualità di Gobetti se arriva a offrirgli la direzione de L'Unità, una
proposta che il giovane torinese, però, lascia cadere. Non si sente pronto per
tanto impegno, come scrive nel suo diario, il 23 agosto: «Com'è vasta la
cultura che devo conquistare! E non basta conquistare il vecchio. Sono giovane
e devo anche produrre, creare quel po' che si può creare. […] Ho tutta la vita
davanti per sedermi in campagna, davanti al camino, a mangiare pane e noci. Ho
una responsabilità. Devo espormi in prima persona. Perciò faccio la rivista.
[…] Voglio impormi nel lavoro». E s'impone un piano di studi: «Gentile, ciò che
non conosco ancora, rileggerò Croce […] avvierò lo studio del Marxismo: per ora
non mi preme. Basta che mi formi un'idea generale di Marx e della critica
marxista (Sorel, Labriola, ecc.). D'altra parte studio il bolscevismo,
minutamente». Un suo grande ispiratore fu certamente il politico socialista
francese Jean Jaurès. Il primo numero di Energie Nove Queste note
sembrano riflettere anche la polemica che, appena riprese le pubblicazioni il 5
maggio, Energie Nove aveva avuto con L'Ordine Nuovoal tempo sprezzantemente
definito dallo stesso Gobetti un «giornaletto torinese di propaganda»di
Togliatti, che aveva accusato Gobetti di idealismo astratto, e di Gramsci, che
aveva definito velleitaria la Lega democratica, un «ricettario per cucinare la
lepre alla cacciatora senza la lepre». Ora in Gobetti vi è il segno di
un'inquietudine nuova, provocatagli dall'esperienza della rivoluzione russa e
dallo sviluppo del movimento operaio, molto attivo a Torino. Pubblica due
numeri unici sul socialismo, conosce personalmente Gramsci, stimandolo e
venendone apprezzato, del quale pubblica un articolo, studia il russo con la
fidanzataAdainsieme traducono Il figlio dell'uomo di Leonid Andreev, pubblicato
dall'editore Sonzognoed a settembre scrive, criticando la politica sviluppata
da d'Annunzio in forma di retorica, che «la politica oggi deve essere
realizzata come forma di educazione. La simpatia che io provo per Trotzchi
[sic] e Lenin sta nel fatto che essi in un certo modo sono riusciti a
realizzare questo valore». Sebbene restio a sposarla (emblematica fu la
risposta «Grazie, non fumo…»), nella considerazione del rapporto con la
fidanzata si rivela anche la sua profonda maturità e serietà morale: «Ho dovuto
rifarmi un senso morale, un senso della vita forte a sedici anni, in gran parte
a diciassette, e siccome me lo son fatto pensando a lei, gliene sarò grato sempre.
Una fanciulla come io la sognavo sola poteva darmi un senso immediato di
elevazione. Ho creduto in lei e la amo tanto perché mi fa credere ancora
adesso». Il 12 febbraio del 1920, la rivista Energie Nove cessa le
pubblicazioni: «sentivo bisogno di maggiore raccoglimento e pensavo una
elaborazione politica assolutamente nuova, le cui linee mi apparvero di fatto
nel settembre al tempo dell'occupazione delle fabbriche. Devo la mia
rinnovazione dell'esperienza salveminiana al movimento dei comunisti torinesi
da una parte (vivi di un concreto spirito marxista) e dall'altra agli studi sul
Risorgimento e sulla rivoluzione russa che ero venuto compiendo in quel tempo»,
e in giugno si consuma anche il distacco con la Lega democratica degli amici di
Salvemini. Continua le traduzioni dal russo ed intraprende quelle dal francese
dei modernisti cattolici Blondel e Laberthonnièrelo studio sulla filosofia di
quest'ultimo gli è suggerito dal suo professore Gioele Solarie cerca di
rintracciare le radici del Risorgimento italiano studiando la cultura
piemontese del Sette-Ottocento. Il movimento operaio Antonio
Gramsci «Io seguo con simpatia gli sforzi degli operai che realmente
costruiscono un ordine nuovo. Non sento in me la forza di seguirli nell'opera
loro, almeno per ora. Ma mi par di vedere che a poco a poco si chiarisca e si
imposti la più grande battaglia del secolo. Allora il mio posto sarebbe dalla
parte che ha più religiosità e spirito di sacrificio» (Piero Gobetti,
lettera ad Ada Prospero, 1920) Quando, ai primi di settembre, la FIAT e le
altre maggiori fabbriche torinesi sono occupate dagli operai, Gobetti scrive:
«Qui siamo in piena rivoluzione. Io seguo con simpatia gli sforzi degli operai
che realmente costruiscono un mondo nuovo [...] il mio posto sarebbe necessariamente
dalla parte che ha più religiosità e volontà di sacrificio. La rivoluzione si
pone oggi in tutto il suo carattere religioso [...] Si tratta di un vero e
proprio grande tentativo di realizzare non il collettivismo ma una
organizzazione del lavoro in cui gli operai o almeno i migliori di essi siano
quel che sono oggi gli industriali». Si tratta, a suo avviso, di una
rivoluzione che se non rinnoverà gli uomini, e perciò neanche la nazione, potrà
almeno rinnovare lo Stato, creando una nuova classe dirigente: «si può
rinnovare lo Stato solo se la nazione ha in sé certe energie (come ora appunto
accade) che improvvisamente da oscure si fanno chiare e acquistano possibilità
e volontà di espansione». La presa di distanza dall'azione politica di
Salveminila sua ammirazione personale nei suoi confronti resterà comunque
intattaè ora piena: gli rimprovera, come scriverà pochi anni dopo, diintendere
l'azione politica unicamente come «una questione di morale e di educazione»: il
suo «moralismo solenne, mentre costituisce il suo più intimo fascino, appare il
segreto delle sue debolezze [...] La sua concezione razionalista si risolve in
un'azione di illuminismo e di propagandismo, che può riuscire utile a una
società di cultura, non a un partito». Prosegue i suoi studi sul
Risorgimento e sulla Russia, terminando in ottobre La Russia dei Soviet: è la
volontà di comprendere funzioni e limiti di due esperienze rivoluzionarie, al
cui centro è sempre il problema della formazione della classe politica che
diriga un Paese e dei suoi rapporti con la popolazione. Ne conclude che il
Risorgimento non può considerarsi un'esperienza rivoluzionaria, dal momento che
i dirigenti politici che espresse rimasero estranei rispetto al popolo,
diversamente dalla rivoluzione sovietica che, a suo avviso, ha espresso
dirigenti come Lenin e Trotskij, che non sono soltanto dei bolscevichi, ma
«uomini d'azioni che hanno destato un popolo e gli vanno ricreando un'anima» e,
del resto, la creazione dal basso di un nuovo Stato, nel quale il popolo abbia
fiducia proprio in quanto avvertito come opera propria, «è essenzialmente
un'affermazione di liberalismo» Sono concetti ripresi, il 30 novembre, in
un articolo pubblicato su L'Educazione nazionale, il Discorso ai collaboratori
di Energie Nove, nel quale individua nel movimento operaio un «valore
nazionale»: la novità, venuta dalla Russia e che sembra farsi strada anche in
Italia, consiste nel fatto che «il popolo diventa Stato. Nessun pregiudizio del
nostro passato ci può impedire la visione del miracolo. Questo non avrebbero
fatto i liberali, questo non possono fare dei marxisti. Il movimento operaio è
un'affermazione che ha trasceso tutte le premesse. È il primo movimento laico
d'Italia. È la libertà che s'instaura». Il suo avvicinamento alle posizioni
dei giovani comunisti dell'Ordine Nuovo ha anche il concreto effetto di una
collaborazione e, dal gennaio del 1921, Gobetti diventa il critico teatrale
della rivista. A luglio, a Torino, deve assolvere gli obblighi di leva: «la
vita militare è la consacrazione di tutti gli egoismi e di tutte le meschinità
[...] la meccanicità pervade ogni forma di vita; tutto si riduce a elemento, a
vegetazione. La caserma è l'antitesi del pensiero». La Rivoluzione
Liberale La Rivoluzione Liberale Il 12 febbraio del 1922, esce il primo
numero della sua nuova rivista settimanale, La Rivoluzione liberale, in cui
collaboreranno spesso anche Giustino Fortunato, Antonio Gramsci e Luigi Sturzo:
l'obiettivo, come indicato nell'Avviso ai lettori, è pur sempre quello di Energie
Nove, ossia di formare una classe politica nuova ma, ora si aggiunge, che sia
cosciente «delle esigenze sociali nascenti dalla partecipazione del popolo alla
vita dello Stato». E poiché l'Unità di Salvemini ha cessato le pubblicazioni
nel dicembre scorso, La Rivoluzione Liberale intende proseguire quegli «sforzi
di riorganizzazione morale che nell'Unità si avvertirono». E nel
Manifesto inaugurale espone il programma della rivista: «La Rivoluzione
Liberale pone come base storica di giudizio una visione integrale e rigorosa
del nostro Risorgimento; contro l'astrattismo dei demagoghi e dei falsi
realisti esamina i problemi presenti nella loro genesi e nelle loro relazioni
con gli elementi tradizionali della vita italiana; [...] e inverando le formule
empirico-tradizionaliste del liberismo classico all'inglese, afferma una
coscienza moderna dello Stato, [...] che prenda in considerazione anche i più
sottili, ma non di certo trascurabili, trapassamenti dialettici della
storia». Il 26 marzo vi pubblica la Storia dei comunisti torinesi scritta
da un liberale e a maggio dedica un numero intero all'emergente movimento
fascista; il mese successivo consegue la laurea e, l'anno seguente, pubblicherà
la sua tesi sull'Alfieri. Gobetti è vivamente colpito dagli scritti del
patriota e federalista italiano Carlo Cattaneo, del quale è uscita in quei
giorni un'antologia curata da Salvemini, che egli incontra a Torino il 10
agosto: «su Cattaneo ci siamo intesi, egli è assai vicino alle idee che gli ho
espresso». Su Cattaneo scrive, il 17 agosto, un articolo sull'Ordine
Nuovosono i giorni della devastazione fascista della sede della rivista
comunistafirmandosi Giuseppe Baretti: rappresentante della critica del processo
unitario risorgimentale, Cattaneo fu emarginato dalla classe dirigente
moderata. Eppure il Cattaneo «avversò non l'unità, ma l'illusione di risolvere
con il mito dell'unità tutti i problemi che invece si potevano intendere
soltanto nella loro specifica realtà autonoma, regionale [...] senza
atteggiarsi a profeta, senza l'enfasi dell'apostolo, capì che il fondare una
nazione non era impresa di letterati entusiasti, cercò nelle tradizioni un
linguaggio di serietà, un ammaestramento di cautela [...] E lo condannarono
alla solitudine e all'impopolarità, e diedero a lui, uomo positivo e realista,
un ufficio di Cassandra, predicante al deserto». L'avvento del
fascismo Piero Gobetti e Ada Prospero Favorito dall'inerzia dei Savoia e
dalla complicità dei dirigenti liberali, il fascismo procede alla conquista del
potere e Gobetti non s'illude che con esso si possa venire a compromessi e lo
si possa acquistare alla causa democratica. Il 23 novembre scrive L'elogio
della ghigliottina: bisogna sperare «che i tiranni siano tiranni, che la
reazione sia reazione, che ci sia chi abbia il coraggio di levare la
ghigliottina, che si mantengano le posizioni fino in fondo [...] Chiediamo le
frustate, perché qualcuno si svegli, chiediamo il boia, perché si possa veder
chiaro» e che «noi siamo come la dura scorza di una noce: proteggeremo i nostri
ideali dalla sopraffazione con tutte le nostre forze e fin quando
possibile». L'11 gennaio del 1923, sposa Ada Prospero: vanno ad abitare
nella sua casa natale di via XX Settembre 60, che diviene anche la sede della
casa editrice che egli fonda, col suo nome, ad aprile: la Piero Gobetti
editore, che pubblicherà, in poco più di due anni, oltre cento titoli[25]. In
qualità d'editore, Gobetti porta in Italia, traducendoli, alcuni dei libri e
degli autori simbolo del pensiero liberale classico, come John Stuart Mill. È
tra i primi a pubblicare i libri di Luigi Einaudi ed è lui a pubblicare, nel
1925, la prima edizione di Ossi di seppia, una delle più famose raccolte di
poesia di Eugenio Montale. I libri editi da Gobetti furono in molti casi dati alle
fiamme o comunque distrutti sotto il fascismo e, per questo motivo, sono in
molti casi introvabili, come il volume dedicato al deputato socialista Giacomo
Matteotti, di cui esistono pochissime copie. Tutti i suoi libri riportano
in copertina un motto liberale, scritto in greco antico in modo circolare, che
recita testualmente "Cosa ho a che fare io con gli schiavi?". Gobetti
e la Prospero si trasferiranno poi in via Fabro 6, attuale sede del Centro di
studi a lui intitolato. Il 6 febbraio è arrestato perché sospetto di
«appartenenza a gruppi sovversivi che complottano contro lo Stato»: rilasciato
cinque giorni dopo, subisce un nuovo arresto il 29 maggio, provocando
un'interrogazione parlamentare alla quale il governo risponde che Gobetti «era
stato redattore dell'Ordine Nuovo di Torino, giornale antinazionale; la rivista
che egli dirige, conduce da tempo una campagna contro le istituzioni e il
governo fascista; il prefetto si è perciò sentito in diritto di far operare una
perquisizione e il fermo di Gobetti per misure di ordine pubblico».
Gobetti replica con una lettera ai giornali, ribadendo la sua funzione di
oppositore del fascismo, e aggiunge, nei libri stampati dalle sue edizioni, il
motto «Che ho a che fare io con gli schiavi?». Dopo aver preso le distanze dal
Prezzolini, che ha scelto il disimpegno di fronte al fascismo, rinnega anche il
suo originario gentilismo: il Gentile è incapace «di dar ragione di ogni fatto
politico, nel suo semplicismo pratico la filosofia gentiliana mostra
caratteristicamente i suoi limiti e la nessuna aderenza al reale».[26] La
rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia Le tematiche
liberali maggiormente sentite trovano una prima e ultima sistemazione in La
rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, frutto maturo
delle esperienze giornalistiche precedenti, dato alle stampe nell'aprile del
1924. L'opera è divisa in quattro parti: L'eredità del Risorgimento, La lotta
politica in Italia, La critica liberale, Il fascismo. La fretta con cui vuol
dare alle stampe questo libro di lucida analisi politica gli impedisce di
curare bene le parti marginali. Così succede che "L'eredità del
Risorgimento" venga solo abbozzata: «Il problema italiano non è di
autorità, ma di autonomia: l'assenza di una vita libera fu attraverso i secoli
l'ostacolo fondamentale per la creazione di una classe dirigente, per il
formarsi di un'attività economica moderna e di una classe tecnica progredita».
Un Risorgimento calato dall'alto, che di popolare non aveva nulla. La sfida era
riempire di liberalità le istituzioni liberali formalmente create. Nel primo
dopoguerra Gobetti assiste a qualcosa di assolutamente nuovo: la nascita dei
partiti di massa (Partito Popolare (PPI) e Partito Comunista (PCd'I) saranno
una prima versione dei due partiti più importanti della cosiddetta Prima
Repubblica). Ma questo non basta. «Per quattro anni la lotta politica non
riuscì a dare la misura della lotta sociale». Una cosa erano le questioni
politiche, un'altra le esigenze sociali, ma queste «non possono essere separate
dalla politica al pari di come un felino astuto non si ciberà del formaggio ma
ne farà da esca per il topo».[27] La seconda parte si divide in sei capitoli.
Ciascun capitolo è un fattore della lotta politica: sono presenti liberali e
democratici, popolari (sviluppate le figure di Giuseppe Toniolo, Filippo Meda e
Luigi Sturzo), socialisti, comunisti (grande spazio dato a Antonio Gramsci),
nazionalisti (emblematico il pensiero di Alfredo Rocco) e repubblicani.
Gobetti attorno al 1920 La terza parte è il cuore pulsante del saggio:
una proposta concreta per fare politica senza dimenticare la società. La lotta
di classe è per Gobetti strumento di formazione di una nuova élite, una via di
rinnovamento popolare. Insomma, la lotta politica deve essere lotta sociale. In
politica ecclesiastica, Gobetti si rifà alla pregiudiziale cavouriana della
laicità, come necessità da mantenere (cosa che verrà invece negata dai Patti
Lateranensi). Per la discussione sulle modalità d'elezione, Gobetti è convinto
fautore della proporzionale. Il collegio uninominale aveva corrotto il
rappresentante in tribuno. Solo con la proporzionale gli interessi si
organizzano, così che l'economia venga elaborata dalla politica. Di grandissima
attualità è la parte dedicata al problema dei contribuenti: «Il contribuente
italiano paga bestemmiando lo Stato. Non ha coscienza di esercitare, pagando,
una vera e propria funzione sovrana. L'imposta gli è imposta. [...] Una
rivoluzione di contribuenti in Italia in queste condizioni non è possibile per
la semplice ragione che non esistono contribuenti». Era quindi necessario per
lui raggiungere una maggiore maturità economica e sociale. Il popolo doveva
comprendere l'importanza di contribuire nello Stato, e imparare il "valore
dell'onestà". Per questo richiamava attenzione sul problema scolastico: in
un mondo fatto per grossa parte da analfabeti o semianalfabeti, la questione
era fondamentale. Mancava un numero sufficiente di maestri, perciò si sarebbe
dovuto mobilitare chiunque in grado di saper insegnare (anche preti, massoni,
bolscevichi e così via). La questione non evitava di trattare l'aspetto
economico: contro il parassitismo pensava che fosse utile tagliare stipendi e
investimenti, così da distinguere la vocazione all'insegnamento dalla vocazione
al parassitare. In politica estera prospettava un ruolo importante per l'Italia
a Versailles. Era convinto della possibilità di ottenere un buon accordo
attraverso una mediazione. Nella quarta ed ultima parte vi è una rapida esposizione
del perché Gobetti si oppone con ogni mezzo al fascismo. Si è detto che per
l'autore la lotta sociale deve essere portata in Parlamento e dar vita a una
lotta politica efficiente ed efficace. Benito Mussolini invece fece in
modo da soffocare la lotta politica, quando questa più di ogni altra cosa era
necessaria all'Italia. Così il Duce, per Gobetti, era «l'eroe rappresentativo
di questa stanchezza e di questa aspirazione di riposo» che si esplicava nel
tacito consenso della popolazione allo sradicamento di ogni lotta politica
nella nazione. In modo profetico, da esperto conoscitore del pensiero di Hegel
qual era, prevede e mette in guardia delle conseguenze della concessione del
potere a Mussolini secondo le dinamiche della dialettica serva-signore,
ipotizzando una guerra civile imminente. Il saggio è fortemente militante.
Nella nota a conclusione dell'edizione, Gobetti è chiaro: cerca collaboratori,
non lettori. Gobetti vuole la "rivoluzione liberale", cioè un nuovo
liberalismo; nutre una forte avversione per il fascismo, anche perché non è
qualcosa di nuovo ma, anzi, il risultato ottenuto da coloro che hanno governato
l'Italia: è quindi una condanna della vecchia classe dirigente liberale.
Il fascismo nasce dall'invadenza del cattolicesimo e dalla demagogia
dell'Italia liberale: "Fascismo come autobiografia della nazione", il
fascismo è, insomma, solo l'incancrenirsi dei mali tradizionali della società
italiana. La società tradizionale italiana reagisce sostenendo una forza
conservatrice come quella del fascismo, anche se in realtà qualcosa di buono
nell'Italia del primo dopoguerra vi era stato: il proletariato (soprattutto
quello torinese) che tenta di assumere su di sé la responsabilità di mutare lo
stato delle cose. La borghesia ha perso ogni funzione propositiva, è una classe
parassitaria che si è adagiata e aspetta tutto dallo Stato; si blocca così ogni
istanza di rinnovamento: la funzione liberale e libertaria è assunta dal
proletariato. Le considerazioni politiche di Gobetti risentono della sua
opinione sulla storia italiana, in Risorgimento senza eroi, Gobetti descrive
questo periodo come un'epopea patriottarda di cui simbolo è Giuseppe Mazzini
(tante parole, pochi fatti): al Risorgimento sono mancati il pragmatismo e il
realismo. Ci sono due eroi nel Risorgimento per Gobetti e sono Carlo
Cattaneo e Cavour, due figure assai distanti tra loro ma accomunabili per il
loro pragmatismo: Cattaneo piace a Gobetti per la sua volontà di operare, per
la capacità di propugnare istanze pragmatiche e vuote di retorica; Cavour è
uomo che media per raggiungere degli obiettivi, ha mire di lungo periodo. Il
Risorgimento di Cattaneo è sconfitto, ma non quello di Cavour; entrambi, però,
hanno instillato nella società italiana lo spirito della competizione e l'ideale
di assunzione di responsabilità. La società italiana si regge su ruoli e
cariche già predefiniti, è statica e stagnante: il proletariato, però, si
ribella a ciò, rifugge situazioni già prestabilite per costruire una società
nuova in cui ciascuno sarà libero di esprimersi. La persecuzione,
l'esilio e la morte Giacomo Matteotti Nel maggio del 1924 Gobetti si reca
in Francia, a Parigi e poi in Sicilia, a Palermo, per incontrare alcuni amici
conosciuti durante il recente viaggio di nozze. I suoi spostamenti sono seguiti
dalla polizia italiana e, il 1º giugno, Mussolini telegrafa al prefetto di
Torino, Enrico Palmieri: «Mi si riferisce che noto Gobetti sia stato
recentemente a Parigi e che oggi sia in Sicilia. Prego informarmi e vigilare
per rendere nuovamente difficile vita questo insulso oppositore di governo e
fascismo». Il prefetto obbedisce e, il 9 giugno, Gobetti viene percosso, la sua
abitazione perquisita e le sue carte sequestrate. Come scrive a Emilio Lussu,
la polizia sospetta che egli intrattenga rapporti in Italia e all'estero per
organizzare le forze antifasciste. È il giorno che precede la scomparsa
di Giacomo Matteotti, il cui corpo verrà ritrovato solo in agosto, ma subito si
ha la certezza che si tratti di un omicidio perpetrato da sicari fascisti.
Gobetti ne traccia un profilo il 1º luglio: «Non ostentava presunzioni
teoriche: dichiarava candidamente di non aver tempo per risolvere i problemi
filosofici perché doveva studiare i bilanci e rivedere i conti degli
amministratori socialisti [...] vide nascere nel Polesine il movimento fascista
come schiavismo agrario, come cortigianeria servile degli spostati verso chi li
pagava; come medievale crudeltà e torbido oscurantismo [...] Sentiva che per
combattere utilmente il fascismo nel campo politico occorreva opporgli esempi
di dignità con resistenza tenace. Farne una questione di carattere, di
intransigenza, di rigorismo». Auspica, dalle colonne della sua rivista,
la formazione di "Gruppi della Rivoluzione Liberale", formati da uomini
di tutti i partiti antifascisti, che combattano il fascismo, questo fenomeno
politico che trae i motivi del suo successo e della sua conservazione dalla
creazione di «un esercito di parassiti dello Stato». Occorre, a questo scopo,
formare un'economia moderna con un'industria «libera da ogni protezionismo e da
ogni paternalismo di Stato» e con «una classe proletaria politicamente
intransigente[29] [...] aiutare i partiti seri e moderni a liberarsi dei
costumi giolittiani [...] La guerra al fascismo è questione di maturità
storica, politica, economica».[30] Questi articoli e quello in cui accusa
il deputato fascista, grande invalido di guerra, Carlo Delcroix, di manovre
parlamentari definite «aborti morali», provocano il sequestro della rivista ed
una violenta aggressione da parte di uno squadrone fascista. Persino un
articolo di Tommaso Fiore contro il criminale fascista Amerigo Dumini, apparso
su La Rivoluzione Liberale del 23 settembre, fornisce il pretesto al prefetto
di Torino di sequestrare la rivista[31]. Con il Fiore e con Guido Dorso
pubblica un Appello ai meridionali e con il Saluto all'altro Parlamento
appoggia l'iniziativa aventiniana, dalla quale si aspetta un'opposizione
intransigente e un esempio di rinnovamento dei costumi parlamentari
italiani. Il 23 dicembre del 1924, Gobetti fonda una nuova rivista, Il
Baretti, alla quale collaborano, tra gli altri, Augusto Monti, Natalino
Sapegno, Benedetto Croce e Eugenio Montale. Come La Rivoluzione Liberale è
dedicata a temi storico-politici, così la nuova rivista vuole essere riservata
alla critica letteraria e all'estetica. Il riferimento a Giuseppe Baretti,
letterato italiano vissuto a lungo all'estero, e alla sua Frusta letteraria,
esempio di polemica vivace e irriverente, sottintende, scrive Gobetti nel
numero d'esordio, «una volontà di coerenza con le tradizioni di battaglia
contro culture e letterature costrette nei limiti della provincia, chiuse dalle
frontiere di dogmi angusti e di piccole patrie». In ossequio alle
direttive mussoliniane, proseguono i sequestri della sua rivista: «rimedieremo
ai sequestri rifacendo l'edizione»scrive Gobetti il 1º febbraio del 1925e anche
quel numero viene sequestrato con il pretesto di «scritti diffamatori dei
poteri dello Stato e tendenti a screditare le forze nazionali». Pubblica la
traduzione de La Libertà di John Stuart Mill, con la prefazione di Luigi
Einaudi, il quale scrive che «quando, per fiaccare la voce dei ribelli, si
assevera dai dominatori la unanimità del consenso, giova rileggere i grandi
libri sulla libertà». Anche produrre «citazioni di scrittori del passato» che
non collimino col pensiero del Regime può essere «tendenzioso» e perciò
provocare, l'8 marzo, il sequestro della rivista, come accade anche il 21 marzo
e il 7 giugno: l'8 giugno è arrestato Gaetano Salvemini, che ha pubblicato sul
foglio clandestino Non Mollare l'articolo Mussolini il mandante. Altri
sequestri de La Rivoluzione Liberale avvengono il 28 giugno e il 19
luglio. Un periodo di serenità per Piero e la moglie Adache aspetta un
bambinoè rappresentato da un viaggio a Parigi e a Londra; nella capitale
francese, Gobetti pensa di stabilire una sua casa editrice: «Credo che solo da
Parigi, solo in francese, solo con la solidarietà dello spirito francese un
italiano possa fare con utilità un'opera pratica di intelligenza europea.
S'intende senza chauvinisme francese». D'altra parte, Gobetti intende
ancora rimanere in Italia: «rimarrò in Italia fino all'ultimo. Sono deciso a
non fare l'esule».[32] La tomba di Gobetti A metà agosto fanno
ritorno a Torino e il 5 settembre è nuovamente vittima dei pestaggi squadristi,
ma è ancora intenzionato a rimanere in Italia: «Bisogna amare l'Italia con
orgoglio di europei e con l'austera passione dell'esule in patria»scrive
nell'articolo Lettera a Parigi del 18 ottobre«per capire con quale serena
tristezza e inesorabile volontà di sacrificio noi viviamo nella presente realtà
fascista [...] le nostre malattie e le nostre crisi di coscienza non possiamo
curarle che noi. Dobbiamo trovare da soli la nostra giustizia. E questa è la
nostra dignità di antifascisti: per essere europei dobbiamo su questo argomento
sembrare, comunque la parola ci disgusti, nazionalisti». Il 27 ottobre,
poiché «i ripetuti sequestri a nulla hanno valso, e che il periodico in parola,
sotto l'aspetto di critiche e di discussioni politiche, economiche, morali e
religiose, che vorrebbero assurgere ad affermazioni e sviluppi di principi
dottrinari, mira in realtà, con irriverenti richiami, alla menomazione delle
Istituzioni Monarchiche, della Chiesa, dei Poteri dello Stato, danneggiando il
prestigio nazionale, e nel complesso può dar motivo a reazioni pericolose per
l'ordine pubblico, persistendo in violazioni sempre più gravi ai vigenti
decreti sulla stampa», il prefetto d'Adamo diffida «il Direttore responsabile
del periodico La Rivoluzione Liberale, Prof. Piero Gobetti, ai sensi e per gli
effetti di cui all'art. 2 del R. D. 15 luglio 1923, n. 3288, e del R. D. 10
luglio 1924, n. 1081», ad adeguarsi alle direttive del Regime e poiché l'8
novembre la rivista disattende l'ordine, l'11 novembre il prefetto ingiunge la
cessazione definitiva delle pubblicazioni e la soppressione della stessa casa
editrice per «attività nettamente antinazionale». D'ora in avanti «sarò
palesatamente costretto all'infelice dissenso [...] . La libertà d'opinione è
stata soppressa come una rete che viene sradicata: senza possibilità di
dialogare sono destinato ad essere sopraffatto. A cosa serve più, ora, fare
finta?»[33] Gobetti, che ora soffre anche di scompensi cardiaci, provocati
o aggravati dalle violenze subite, pensa di lasciare l'Italia per proseguire in
Francia l'attività editoriale. Il 28 dicembre, nasce a Torino il figlio Paolo
(1925-1995), che durante la seconda guerra mondiale diventerà partigiano e poi
giornalista per l'Unità, oltreché storico del cinema. Nel gennaio del 1926
scrive una lettera al suo mentore Giustino Fortunato: «Parto per Parigi dove
farò l'editore francese, ossia il mio mestiere che in Italia mi è interdetto. A
Parigi non intendo fare del libellismo, o della polemica spicciola come i
granduchi spodestati di Russia; vorrei fare un'opera di cultura, nel senso del
liberalismo europeo e della democrazia moderna».[34] Il 3 febbraio del
1926, Gobetti parte da solo per Parigi: alla stazione di Genova viene a
salutarlo Eugenio Montale. L'11 febbraio si ammala di una bronchite, che
esacerba gravemente i suoi problemi cardiaci: trasportato il 13 del mese in una
clinica di Neuilly-sur-Seine, vi muore alla mezzanotte del 15 febbraio del
1926, assistito da Francesco Fausto e Francesco Saverio Nitti, da Prezzolini e
da Luigi Emery. È sepolto nel cimitero parigino di Père-Lachaise. Opere
La filosofia politica di Vittorio Alfieri, Torino, Gobetti, 1923. La frusta
teatrale, Milano, Corbaccio, 1923. (Leggi su Wikisource) Felice Casorati.
Pittore, Torino, Gobetti, 1923. Dal bolscevismo al fascismo. Note di cultura
politica, Torino, Gobetti, 1923. Il teatro di Enrico Pea, in Enrico Pea, Rosa
di Sion, Torino, Gobetti, 1923. Matteotti, Torino, Gobetti, 1924Postfazione di
Marco Scavino, Edizioni di Storia e Letteratura, , 9788863726541col titolo Per Matteotti. Un
ritratto, Il Melangolo, Genova, 1994. La rivoluzione liberale. Saggio sulla
lotta politica in Italia, Bologna, Cappelli, 1924. Opere di Piero Gobetti edite
e inedite I, Risorgimento senza eroi. Studi sul pensiero piemontese nel
Risorgimento, Torino, Edizioni del Baretti, 1926. II, Paradosso dello spirito
russo, Torino, Edizioni del Baretti, 1926. Opera critica I, Arte, religione,
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classe operaia, Paolo Spriano, Torino, Einaudi, 1951. Opere complete di Piero
Gobetti I, Scritti politici, Paolo Spriano, Torino, Einaudi, 1960. II, Scritti
storici, letterari e filosofici, Paolo Spriano, Torino, Einaudi, 1969. III,
Scritti di critica teatrale, Giorgio Guazzotti e Carla Gobetti, Torino,
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Fabrizi, «Che ho a che fare io con gli schiavi?». Gobetti e Alfieri, Firenze,
Società Editrice Fiorentina, Flavio Aliquò Mazzei, Piero Gobetti. Profilo di un
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Gobbo -- Federico
GobboesperantistaHe has collaborated with philosophers.
Gonnella: Patrizio Gonnella
(Bari), filosofo. Prresidente dell'Associazione Antigone, che dal 1991 si
occupa di giustizia penale, carceri, diritti umani e prevenzione della tortura.
È docente di Sociologia del Diritto presso il Dipartimento di Giurisprudenza
dell'Università Roma Tre. È esperto del Consiglio d’Europa nel monitoraggio dei
luoghi di privazione della libertà. Fa parte dell’Assessment Committee dell’Npm
Observatory. È editorialista del Manifesto, cura un blog sul sito de l’Espresso
e conduce, insieme a Susanna Marietti, la trasmissione Jailhouse Rock su Radio
Popolare che incrocia i temi della musica con quelli delle prigioni. Tra
il e il
è stato presidente della Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili.
Attivismo in materia di giustizia, diritti umani e carceri Si è sempre
occupato di giustizia, carceri e diritti umani. Dal 2005 è presidente nazionale
dell'Associazione Antigone. È stato fondatore dell'Osservatorio europeo sulle
condizioni di detenzione, rete di organizzazioni non governative e
universitarie che coinvolge partner di otto paesi europei. Tra il e il è
presidente della Coalizione Italiana per i Diritti e le Libertà Civili (Cild),
un'organizzazione di secondo livello composta da oltre quaranta associazioni,
nata per rafforzare l'attività di advocacy e di contenzioso giudiziario
strategico su tutte le libertà civili in Italia. Attualmente è componente del
direttivo della Coalizione. Ha partecipato in qualità di esperto a
missioni di monitoraggio dei luoghi di privazione della libertà per conto del
Consiglio d’Europa. Ha svolto diversi incarichi attinenti al mondo della
giustizia e dei diritti umani. Dal 1993 al 1998 ha ricoperto incarichi di
direzione degli istituti penali di Padova, Pisa, Pianosa e San Gimignano. Dal
1998 al 2001 ha svolto le funzioni di collaboratore parlamentare occupandosi
principalmente di diritti umani e giustizia. Tra il 2001 e il ha ricoperto incarichi presso amministrazioni
locali, regionali e nazionali occupandosi principalmente di welfare, giustizia
e diritti umani. Attività giornalistica È editorialista dal 1999 del
quotidiano Il Manifesto sui temi della giustizia, della pena e dei diritti
umani. Ha scritto per vari quotidiani e periodici. Cura il blog “Libertà
civili” sul sito dell'Espresso. Ha scritto tra il 1998 e il sui temi del carcere e della giustizia per il
quotidiano di informazione economica Italia Oggi. È autore e conduttore,
insieme a Susanna Marietti, di una trasmissione radiofonica di musica e
informazione su e dal carcereJailhouse Rockche va in onda su un network di
radio locali. Attività accademica Laureatosi in giurisprudenza nel 1990,
si è specializzato nel 1996 in Istituzioni e Tecniche di promozione e tutela
dei diritti umani presso l'Università degli Studi di Padova, per poi divenire
Dottore di Ricerca nel in Diritto europeo
su base storico comparatistica presso l'Roma Tre. È ricercatore presso il
Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre, dove insegna
sociologia del diritto. È animatore della clinica legale in ambito
penitenziario che gestisce propri sportelli di informazione legale presso le
carceri romane. Ha partecipato in qualità di relatore a centinaia di
seminari in Italia e all’estero presso Università, istituti di formazione,
istituzioni. Ha periodicamente svolto attività di formazione sui temi della
pena anche per l’amministrazione penitenziaria e per la Scuola superiore della
magistratura. Opere Monografie Il diritto (non) ci salverà, Il
Manifesto, Detenuti stranieri in Italia.
Norme, numeri e diritti, Editoriale Scientifica, . Carceri. I confini della
dignità, Jacabook, . La tortura in Italia, Derive Approdi, . Jailhouse Rock,
cento musicisti dietro le sbarre, (insieme a Susanna Marietti), Arcana, . Il
carcere spiegato ai ragazzi, (insieme a Susanna Marietti), Il Manifesto libri,
. Patrie galere, (insieme a Stefano Anastasia), Carocci, 2005. Sviluppo urbano
e criminalità a Roma, (insieme a Massimiliano Bagaglini e Francesca Vianello),
Sinnos, 2003. Il collasso delle carceri italiane. Sotto la lente degli
ispettori europei, (insieme a Laura Astarita e Susanna Marietti), Sapere
2000-Consiglio d'Europa, 2003. Volumi curati Bisogna aver visto. Il carcere
nella riflessione degli antifascisti (insieme a Dario Ippolito), Edizioni
dell’Asino, . I paradossi del diritto. Scritti in omaggio a Eligio Resta
(insieme a Stefano Anastasia), Roma TrE-Press,
Giustizia e carceri secondo papa Francesco (insieme a Marco Ruotolo),
Jaca Book, . Onorare gli impegni. L'Italia e le norme internazionali contro la
tortura, (insieme ad Antonio Marchesi), Sinnos, 2006. Inchiesta sulle carceri
italiane, (insieme a Stefano Anastasia), Carocci, 2002. Il Carcere trasparente.
Primo rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione (insieme a Stefano
Anastasia e Mauro Palma), Castelvecchi, 2000. Bisogna aver visto. Il carcere nella
riflessione degli antifascisti (insieme a Dario Ippolito), Edizioni dell’Asino,
. I paradossi del diritto. Scritti in omaggio a Eligio Resta (insieme a Stefano
Anastasia), Roma TrE-Press, Giustizia e
carceri secondo papa Francesco (insieme a Marco Ruotolo), Jaca Book, . Onorare
gli impegni. L'Italia e le norme internazionali contro la tortura, (insieme ad
Antonio Marchesi), Sinnos, 2006. Inchiesta sulle carceri italiane, (insieme a
Stefano Anastasia), Carocci, 2002. Il Carcere trasparente. Primo rapporto
nazionale sulle condizioni di detenzione (insieme a Stefano Anastasia e Mauro
Palma), Castelvecchi, 2000. Note
Benvenuto sul sito dell'Associazione Antigone Homepage Cild ItaliaCoalizione Italiana
Libertà e Diritti Civili Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su
Patrizio Gonnella Sito ufficiale
dell'Associazione Antigone, su associazioneantigone.it. Sito ufficiale della
Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili, su cilditalia.org. Filosofia
Categorie: Attivisti italiani 1966 BariDiritto penitenziario
Goretti: Cesare Goretti (Torino), filosofo. Laureatosi
in Giurisprudenza all'Torino nel 1909 (relatore è il filosofo del diritto
Gioele Solari), Goretti frequenta successivamente l'Accademia
scientifico-letteraria di Milano (che sarebbe confluita nel 1924 nell'Milano),
dove incontra Piero Martinetti; lì nel 1921 si laurea in Filosofia. Nel
1926 è segretario del VI Congresso Nazionale di Filosofia, organizzato dalla
Società filosofica italiana e presieduto da Piero Martinetti; il Congresso è
sciolto dalle autorità fasciste dopo appena due giorni. Il 31 marzo 1926
Martinetti e Goretti firmano la lettera di protesta indirizzata al rettore
Luigi Mangiagalli, nel quale si "protesta in nome della libertà degli
studi e della tradizione italiana contro un atto di violenza che impedisce
l'esercizio della discussione filosofica ed invano pretende di vincolare la
vita del pensiero". Nel 1931, al momento del giuramento di fedeltà
al Fascismo, necessario per entrare nella carriera universitaria o per
proseguirla, Goretti si rifiuta e resta così al di fuori della carriera
accademica; svolge attività professionale a Milano, effettua traduzioni di
testi filosofici e collabora alla "Rivista di filosofia" (anche quale
componente del comitato direttivo). Frequenta, come altri filosofi
antiscolastici ed antifascisti la casa di Luigi Fossati (1871-1945, bibliofilo
ex sacerdote e docente, poi allievo del Martinetti e direttore di Rivista di
filosofia) in Via Ciro Menotti a Milano. In prossimità della morte,
avvenuta nel 1943, Piero Martinetti lascia la sua biblioteca privata in legato
a Nina Ruffini (nipote di Francesco Ruffini), Gioele Solari e Cesare Goretti.
La Biblioteca verrà poi conferita dai rispettivi eredi nel 1955 alla
"Fondazione Piero Martinetti per gli studi di storia filosofica e
religiosa" di Torino; oggi è posta nel palazzo del Rettorato dell'Torino,
presso la Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia. Solo nel
secondo dopoguerra Goretti è riammesso nel mondo universitario e nel 1948 assume
per concorso la cattedra di Filosofia del diritto; insegna all'Ferrara fino
alla morte. Il Comune di Ferrara ha intitolato una via a Cesare Goretti,
"filosofopatriota". L'animale come soggetto di diritto
Prolifico filosofo del diritto, autore di scritti su Kant, Sorel, Bradley,
traduttore di varie opere filosofiche (Afrikan Špir, Bradley, Thomas Hill
Green), a Goretti si deve il primo intervento che qualifica l'animale come
“soggetto di diritto”. Nel 1926 Piero Martinetti aveva pubblicato “La
psiche degli animali” in cui aveva sottolineato che gli animali possedevano
intelletto e coscienza e, in generale, un vita interiore, come emergeva dagli
“atteggiamenti, i gesti, la fisionomia”; questa vita interiore è “forse
estremamente diversa e lontana” da quella umana” ma “ha anch'essa i caratteri
della coscienza e non può essere ridotta ad un semplice meccanismo
fisiologico”. Nel 1928 Goretti va oltre, fino ad affermare che gli
animali sono veri e propri “soggetti di diritto” e che l'animale ha una “coscienza
giuridica” e una percezione del giuridico. In tal modo ha anticipato tematiche
proprie della bioetica e dell'etologia; nonostante l'originalità e
l'innovatività delle posizioni assunte, il suo scritto non ha avuto fortuna ed
è stato del tutto trascurato dal dibattito animalista e negli studi di
etologia. «Come non possiamo negare all'animale in modo sia pure
crepuscolare l'uso della categoria della causalità, così non possiamo escludere
che l'animale partecipando al nostro mondo non abbia un senso oscuro di quello
che può essere la proprietà, l'obbligazione. Casi innumerevoli dimostrano come
il cane sia custode geloso della proprietà del suo padrone e come ne
compartecipi all'uso. Oscuramente deve operare in esso questa visione della
realtà esteriore come cosa propria, che nell'uomo civile arriva alle
costruzioni raffinate dei giuristi. È assurdo pensare che l'animale che rende
un servizio al suo padrone che lo mantiene agisca soltanto istintivamente.
[...] Deve pure sentire in sé per quanto oscuramente e in modo sensibile questo
rapporto di servizi resi e scambiati. Naturalmente l'animale non potrà arrivare
al concetto di ciò che è la proprietà, l'obbligazione; basta che dimostri
esteriormente di fare uso di questi principî che in lui operano ancora in modo
oscuro e sensibile.» (Cesare Goretti, L’animale quale soggetto di
diritto, 1928) L'istitutismo giuridico Cesare Goretti è ritenutounitamente al
filosofo del diritto francese Jean Rayesponente dell’istitutismo
giuridico. Nella filosofia del diritto occidentale del XX secolo, si
individuano tre teorie dell'"istituzionalità nel giuridico"
(Lorini): istitutismo: teoria del diritto quale insieme di istituti
giuridici; gli istituti sono concepiti in Goretti "come una sorta di
azioni coordinate, costituenti un equilibrio tipico e costante di finalità che
si fissano in un complesso di mezzi" e in Ray "come costruzioni
giuridiche" istituzionalismo: teoria del diritto quale istituzione (Santi
Romano, Maurice Hauriou). neo-istituzionalismo: il diritto è rappresentato da
fatti istituzionali (Neil McCormick, Ota Weinberger). Opere Monografie Il
carattere formale della filosofia giuridica kantiana, Casa Editrice Isis,
Milano, 1922; Il sentimento giuridico nell'opera di Giorgio Sorel, Casa
Editrice "Il Solco", Città di Castello, 1922; Sorel, Athena, Milano,
1928; I fondamenti del diritto, Libreria Editrice Lombarda, Milano, 1930; Il
liberalismo giuridico di Maurice Hauriou, Tip. Editrice L. Di Pirola, Milano,
1933; Contributo allo studio della norma giuridica in relazione agli atti
giuridici, Tip. G. Bianciardi, Lodi, 1938; Concetti ed istituti giuridici, Tip.
G. Bianciardi, Lodi, 1940; La normatività giuridica, CEDAM, Padova, 1950. Altre
opere L'opera ed il pensiero di Thomas Hill Green, in A. C. Bradley, Thomas Green
Hill, Etica, Bocca, Torino, 1925 Il trattato politico di Spinoza, "Rivista
di filosofia", 1927, 235 L'animale quale soggetto di diritto,
"Rivista di filosofia", 1928, 348 Recensione di Carl Schmitt, Die
Diktatur. Von den Anfängen des modernen Souveränitätsgedankens bis
zum proletarischen Klassenkampf, Duncher & Humblot, München-Leipzig,
ed. 1928, "Rivista di Filosofia", 1929, 375 Recensione di R. Smend,
Verfassung und Verfassungsrecht, 1926, "Rivista di Filosofia", 1929,
386 Introduzione a A. Spir, La giustizia, Libreria Editrice Lombarda, Milano,
1930 Il saggio politico sulla costituzione del Württenberg, "Rivista di
filosofia", 1931, 408 Sul valore della distinzione tra legge e norma,
"Rivista di filosofia", 1932, 125 La filosofia praticaW. Schuppe,
"Rivista di filosofia", 1933, 124 Il valore della filosofia di F. H.
Bradley, "Rivista di filosofia", 1933, 332 Il saggio del Brentano
sull'origine della conoscenza etica, "Rivista di filosofia", 1934,
141 L'idea di patria, "Rivista di filosofia", 1935, 68 L'idealismo
rappresentativo di O. Hamelin, "Rivista di filosofia", 1935, 325
Recensione di Piero Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, in
"Rivista di filosofia", 1936, 187 La metafisica della conoscenza in
Thomas Hill Green, "Rivista di filosofia", 1936, 97 Il dolore nel
pessimismo di A. Spir, "Rivista di filosofia", 1937, 227 Il valore
dell'individualità, "Rivista di filosofia", 1938, 226 Dal Saint-Simon
al neo-saintsimonismo, "Rivista di filosofia", 1939, 312 Diritti e
doveri giuridici in relazione alla norma giuridica, "Archivio della
Cultura italiana", 1941, 251 L'istituzione dell'eforato, "Archivio
della Cultura italiana", 1941, 251 Il significato di una valutazione
tecnica della realtà, "Archivio della Cultura italiana", 1943, 5
Piero Martinetti (1872-1943), "Archivio della Cultura italiana",
1943, 81 L'impiego delle categorie o dei concetti puri ed il valore della
coazione e dei postulati nella filosofia giuridica kantiana, "Annali della
Ferrara", VII, parte III (Facoltà
di Giurisprudenza), 1947-48, 87 Recensione di Aurelio Candian, Avvocatura,
Milano, 1949 in "Annali della Ferrara", VII, parte III (Facoltà di Giurisprudenza),
1947-48, 163 Il liberalismo di Emile Faguet, "Rivista internazionale di
filosofia del diritto", 1949, 163 Istituzioni in senso tecnico ed istituti
giuridici nella concezione realistica di Santi Romano, "Annali della
Ferrara", VIII, anni accademici
1948-49 e 1949-50, 183 Il valore delle massime di equità, "Scritti
giuridici in onore di Francesco Carnelutti", I, Filosofia e teoria generale del diritto,
Cedam, Padova, 1950, 295 L'umanesimo critico di Anatole France, "Rivista
internazionale di filosofia del diritto", 1950, 439 Recensione di Rudolf
Muller-Erzbach, "Rivista trimestrale di diritto e procedura civile",
1952, 1170 Rileggendo il Filomusi Guelfi, "Rivista internazionale di
filosofia del diritto", 1951, 165 Il pensiero filosofico di Piero
Martinetti, "Memorie dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto di
Bologna. Classe di Scienze Morali", Serie V, II, Bologna, 1951, 1 Alcune considerazioni
critiche sul diritto sociale, "Annali della Ferrara", Sezione X.
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Gori: Gino Gori (Roma), filosofo.È noto soprattutto come
autore di narrativa, come critico e come teorico dell'arte teatrale e
specificamente del suo rinnovamento in chiave modernista. Opere Il mantello di Arlecchino (Roma 1913);
Er libbro rosso de la guera (Roma 1915); Le bruttezze della Divina Commedia
(Alatri 1920); Le bellezze della Divina Commedia (Milano 1921); Studi di
estetica dell'irrazionale (Milano 1921); Il mulino della luna (Milano 1924);
L'irrazionale, in due volumi: Filosofia ed estetica. Sistema di una nuova
scienza del bello; L'eroe e la falce. Scorcio architettonico di letteratura
europea dalle origini ai nostri giorni (Foligno 1924); Cagliostro (Milano
1925); Il teatro contemporaneo e le sue correnti caratteristiche di pensiero e
di vita nelle varie nazioni (Torino-Milano-Roma 1924); L'oca azzurra (Roma 1925);
Il grande amore (Firenze 1926); Scenografia. La tradizione e la rivoluzione
contemporanea (Roma 1926); Il grottesco nell'arte e nella letteratura (Milano
1927). P.D. Giovanelli, Gino Gori.
L'irrazionale e il teatro, Roma, Bulzoni, 1978. U. Piscopo, Gino Gori, in E.
Godoli , Dizionario del futurismo, Firenze, 2001. U. Piscopo, Gori, Gino, in Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
grammaticum: Grice: “strictly, I’m a grammarian, for I’m a B. A. and M.
A. in litterae humaniores, and litterae is nothing but a rought transliteration
of Grecian ‘grammatike tekhne’ -- Is there a ‘grammar’ of gestures? How loose
can an Oxonian use ‘grammar’? Sometimes geography, sometimes botany“Grammatica”
the Romans never cared to translate. Although ‘literature’ is the cognate.For
some reasons, the Greeks were obsessed with the alphabetIt was a trivial ‘art’.
Like ‘logic,’ and philosophy is NOT an art or ‘techne.’ A philosopher is not a
technicianand hardly an artist like William Morris (his ‘arts and crafts’ is a
joke since it translates in Latin to ‘ars et ars,’ and ‘techne kai techne’).
The sad thing is that at MIT, as Grice knew, Chomsky is appointed professor of
philosophy, and he mainly writes about ‘grammar’! Later, Chomsky tries to get
more philosophical, but chooses the wrong paradigmCartesianism, the ghost in
the machine, in Ryle’s parlance. Odly, Oxonians, who rarely go to grammar
schools, see ‘grammar’ as a divinity, and talk of the logical grammar of a
Ryleian agitation, say. It sounds high class because there is the irony that an
Oxonian philosopher is surely not a common-or-garden grammarian, involved in
the grammar of, say, “Die Deutsche Sprache.” The Oxonian is into the logical
grammar. It is more of a ‘linguistic turn’ expression than the duller
‘conceptual analysis,’ or ‘linguistic philosophy.’ cf. logical form, and
Russell, “grammar is a pretty good guide to logical form.” while philosophers
would use grammar jocularly, Chomsky didnt. The problem, as Grice notes, is that
Chomsky never tells us where grammar ends (“or begins for that matter.”)
“Consider the P, karulising elatically.” When Carnap introduces the P, he talks
syntax, not grammar. But philosophers always took semiotics more seriously than
others. So Carnap is well aware of Morriss triad of the syntactics, the
semantics, and the pragmatics. Philosophers always disliked grammar, because
back in the days of Aelfric, philosophia was supposed to embrace dialectica and
grammatica, and rhetorica. “It is all part of philosophy.” Truth-conditional
semantics and implicatura. grammar, a system of rules specifying a language. The
term has often been used synonymously with ‘syntax’, the principles governing
the construction of sentences from words perhaps also including the systems of
word derivation and inflection case
markings, verbal tense markers, and the like. In modern linguistic usage the
term more often encompasses other components of the language system such as
phonology and semantics as well as syntax. Traditional grammars that we may
have encountered in our school days, e.g., the grammars of Latin or English,
were typically fragmentary and often prescriptive basically a selective catalog of forms and
sentence patterns, together with constructions to be avoided. Contemporary
linguistic grammars, on the other hand, aim to be descriptive, and even
explanatory, i.e., embedded within a general theory that offers principled
reasons for why natural languages are the way they are. This is in accord with
the generally accepted view of linguistics as a science that regards human
language as a natural phenomenon to be understood, just as physicists attempt
to make sense of the world of physical objects. Since the publication of
Syntactic Structures 7 and Aspects of the Theory of Syntax 5 by Noam Chomsky,
grammars have been almost universally conceived of as generative devices, i.e.,
precisely formulated deductive systems
commonly called generative grammars
specifying all and only the well-formed sentences of a language together
with a specification of their relevant structural properties. On this view, a
grammar of English has the character of a theory of the English language, with
the grammatical sentences and their structures as its theorems and the grammar
rules playing the role of the rules of inference. Like any empirical theory, it
is subject to disconfirmation if its predictions do not agree with the
facts if, e.g., the grammar implies that
‘white or snow the is’ is a wellformed sentence or that ‘The snow is white’ is
not. The object of this theory construction is to model the system of knowledge
possessed by those who are able to speak and understand an unlimited number of
novel sentences of the language specified. Thus, a grammar in this sense is a
psychological entity a component of the
human mind and the task of linguistics
avowedly a mentalistic discipline is to determine exactly of what this
knowledge consists. Like other mental phenomena, it is not observable directly
but only through its effects. Thus, underlying linguistic competence is to be
distinguished from actual linguistic performance, which forms part of the
evidence for the former but is not necessarily an accurate reflection of it,
containing, as it does, errors, false starts, etc. A central problem is how
this competence arises in the individual, i.e., how a grammar is inferred by a
child on the basis of a finite, variable, and imperfect sample of utterances
encountered in the course of normal development. Many sorts of observations
strongly suggest that grammars are not constructed de novo entirely on the
basis of experience, and the view is widely held that the child brings to the
task a significant, genetically determined predisposition to construct grammars
according to a well-defined pattern. If this is so, and since apparently no one
language has an advantage over any other in the learning process, this inborn
component of linguistic competence can be correctly termed a universal grammar.
It represents whatever the grammars of all natural languages, actual or
potential, necessarily have in common because of the innate linguistic
competence of human beings. The apparent diversity of natural languages has
often led to a serious underestimation of the scope of universal grammar. One
of the most influential proposals concerning the nature of universal grammar
was Chomsky’s theory of transformational grammar. In this framework the
syntactic structure of a sentence is given not by a single object e.g., a parse
tree, as in phrase structure grammar, but rather by a sequence of trees
connected by operations called transformations. The initial tree in such a
sequence is specified generated by a phrase structure grammar, together with a
lexicon, and is known as the deep structure. The final tree in the sequence,
the surface structure, contains the morphemes meaningful units of the sentence
in the order in which they are written or pronounced. For example, the English
sentences ‘John hit the ball’ and its passive counterpart ‘The ball was hit by
John’ might be derived from the same deep structure in this case a tree looking
very much like the surface structure for the active sentence except that the
optional transformational rule of passivization has been applied in the
derivation of the latter sentence. This rule rearranges the constituents of the
tree in such a way that, among other changes, the direct object ‘the ball’ in
deep structure becomes the surface-structure subject of the passive sentence.
It is thus an important feature of this theory that grammatical grammar grammar
352 352 relations such as subject,
object, etc., of a sentence are not absolute but are relative to the level of
structure. This accounts for the fact that many sentences that appear
superficially similar in structure e.g., ‘John is easy to please’, ‘John is
eager to please’ are nonetheless perceived as having different underlying
deep-structure grammatical relations. Indeed, it was argued that any theory of
grammar that failed to make a deep-structure/surface-structure distinction
could not be adequate. Contemporary linguistic theories have, nonetheless,
tended toward minimizing the importance of the transformational rules with
corresponding elaboration of the role of the lexicon and the principles that
govern the operation of grammars generally. Theories such as generalized
phrase-structure grammar and lexical function grammar postulate no
transformational rules at all and capture the relatedness of pairs such as
active and passive sentences in other ways. Chomsky’s principles and parameters
approach 1 reduces the transformational component to a single general movement
operation that is controlled by the simultaneous interaction of a number of
principles or subtheories: binding, government, control, etc. The universal
component of the grammar is thus enlarged and the contribution of
languagespecific rules is correspondingly diminished. Proponents point to the
advantages this would allow in language acquisition. Presumably a considerable
portion of the task of grammar construction would consist merely in setting the
values of a small number of parameters that could be readily determined on the
basis of a small number of instances of grammatical sentences. A rather
different approach that has been influential has arisen from the work of Richard
Montague, who applied to natural languages the same techniques of model theory
developed for logical languages such as the predicate calculus. This so-called
Montague grammar uses a categorial grammar as its syntactic component. In this
form of grammar, complex lexical and phrasal categories can be of the form A/B.
Typically such categories combine by a kind of “cancellation” rule: A/B ! B P A
something of category A/B combines with something of category B to yield
something of category A. In addition, there is a close correspondence between
the syntactic category of an expression and its semantic type; e.g., common
nouns such as ‘book’ and ‘girl’ are of type e/t, and their semantic values are
functions from individuals entities, or e-type things to truth-values T-type
things, or equivalently, sets of individuals. The result is an explicit,
interlocking syntax and semantics specifying not only the syntactic structure
of grammatical sentences but also their truth conditions. Montague’s work was
embedded in his own view of universal grammar, which has not, by and large,
proven persuasive to linguists. A great deal of attention has been given in
recent years to merging the undoubted virtues of Montague grammar with a
linguistically more palatable view of universal grammar. Refs.:
One source is an essay on ‘grammar’ in the H. P. Grice Papers, BANC.
gramsci: a. political
leader whose imprisonment by the Fascists for his involvement with the Communist
Party had the ironical result of sparing him from Stalinism and enabling him to
better articulate his distinctive political philosophy. Gramsci welcomes the
Bolshevik Revolution as a “revolution against Capital” rather than against
capitalism: as a revolution refuting the deterministic Marxism according to
which socialism could arise only by the gradual evolution of capitalism, and
confirming the possibility of the radical transformation of social
institutions. In 1 he supported creation of the
Communist Party; as its general secretary from 4, he tried to reorganize
it along more democratic lines. In 6 the Fascists outlawed all opposition
parties. Gramsci spent the rest of his life in various prisons, where he wrote
more than a thousand s of notes ranging from a few lines to chapterlength
essays. These Prison Notebooks pose a major interpretive challenge, but they
reveal a keen, insightful, and open mind grappling with important social and
political problems. The most common interpretation stems from Palmiro
Togliatti, Gramsci’s successor as leader of the
Communists. After the fall of Fascism and the end of World War II,
Togliatti read into Gramsci the so-called
road to socialism: a strategy for attaining the traditional Marxist
goals of the classless society and the nationalization of the means of
production by cultural means, such as education and persuasion. In contrast to
Bolshevism, one had to first conquer social institutions, and then their
control would yield the desired economic and political changes. This democratic
theory of Marxist revolution was long regarded by many as especially relevant
to Western industrial societies, and so for this and other reasons Gramsci is a
key figure of Western Marxism. The same theory is often called Gramsci’s theory
of hegemony, referring to a relationship between two political units where one
dominates the other with the consent of that other. This interpretation was a
political reconstruction, based primarily on Gramsci’s Communist involvement
and on highly selective passages from the Notebooks. It was also based on
exaggerating the influence on Gramsci of Marx, Engels, Lenin, and Gentile, and
minimizing influences like Croce, Mosca, Machiavelli, and Hegel. No new
consensus has emerged yet; it would have to be based on analytical and
historical spadework barely begun. One main interpretive issue is whether
Gramsci, besides questioning the means, was also led to question the ends of
traditional Marxism. In one view, his commitment to rational persuasion,
political realism, methodological fallibilism, democracy, and pluralism is much
deeper than his inclinations toward the classless society, the abolition of
private property, the bureaucratically centralized party, and the like; in
particular, his pluralism is an aspect of his commitment to the dialectic as a
way of thinking, a concept he adapted from Hegel through Croce. Antonio Gramsci,
nome completo, così come registrato nell'atto di battesimo, Antonio Sebastiano
Francesco Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891Roma, 27 aprile 1937), politico,
filosofo, politologo, giornalista, linguista e critico letterario italiano. Nel
1921 fu tra i fondatori del Partito Comunista d'Italia, divenendone esponente
di primo piano e segretario dal 1924 al 1927, ma nel 1926 venne ristretto dal
regime fascista nel carcere di Turi. Nel 1934, in seguito al grave
deterioramento delle sue condizioni di salute, ottenne la libertà condizionata
e fu ricoverato in clinica, dove trascorse gli ultimi anni di vita.
Considerato uno dei più importanti pensatori del XX secolo, nei suoi scritti,
tra i più originali della tradizione filosofica marxista, Gramsci analizzò la
struttura culturale e politica della società. Elaborò in particolare il
concetto di egemonia, secondo il quale le classi dominanti impongono i propri
valori politici, intellettuali e morali a tutta la società, con l'obiettivo di
saldare e gestire il potere intorno a un senso comune condiviso da tutte le
classi sociali, comprese quelle subalterne. Gli antenati paterni di
Antonio Gramsci erano originari della città di Gramshi in Albania, e potrebbero
essere giunti in Italia fin dal XVI secolo, durante la diaspora albanese
causata dall'invasione turca. Documenti d'archivio attestano che nel Settecento
il trisavolo Gennaro Gramsci, sposato con Domenica Blajotta, possedeva a
Plataci, comunità ‘’arbëreshë’’ del distretto di Castrovillari, delle terre poi
ereditate da Nicola Gramsci (1769-1824). Questi sposò Maria Francesca
Fabbricatore, e dal loro matrimonio nacque a Plataci Gennaro Gramsci
(1812-1873), che intraprese la carriera militare nella gendarmeria del Regno di
Napoli e, quando era di stanza a Gaeta, sposò Teresa Gonzales, figlia di un
avvocato napoletano di origini spagnole. Il loro secondo figlio fu Francesco
(1860-1937), il padre di Antonio Gramsci. Le origini albanesi erano
conosciute dallo stesso Antonio Gramsci, che tuttavia le immaginava più
recenti, come scriverà alla cognata Tatiana Schucht dal carcere di Turi, il 12
ottobre del 1931: «[...] io stesso non ho alcuna razza; mio padre è di
origine albanese (la famiglia scappò dall'Epiro durante la guerra del 1821, ma
si italianizzò rapidamente). Tuttavia la mia cultura è italiana,
fondamentalmente questo è il mio mondo; non mi sono mai accorto di essere
dilaniato tra due mondi. L'essere io oriundo albanese non fu messo in giuoco
perché anche Crispi era albanese, educato in un collegio albanese.»
Ghilarza: casa museo Antonio Gramsci Francesco era studente in legge
quando morì il padre; dovendo trovare subito un lavoro, nel 1881 partì per la
Sardegna per impiegarsi nell'Ufficio del registro di Ghilarza. In questo paese,
che allora contava circa 2.200 abitanti, conobbe Giuseppina Marcias
(1861-1932), figlia di un esattore delle imposte e proprietario di alcune
terre. La sposò nel 1883, malgrado l'opposizione dei familiari, rimasti in
Campania, che consideravano i Marcias una famiglia di rango inferiore alla
propria dal punto di vista sociale e culturale: Giuseppina aveva studiato fino
alla terza elementare. Dal matrimonio nascerà Gennaro (1884-1965) e, dopo che
Francesco Gramsci fu trasferito da Ghilarza ad Ales, Grazietta (1887-1962),
Emma (1889-1920). Antonio Gramsci nasce ad Ales secondo il registro delle
nascite dello stato civile del comune il 22 gennaio 1891 e registrato con i
nomi di Antonio, Francesco; secondo il registro dei battesimi della parrocchia
di San Pietro e Paolo nasce il giorno dopo, il 23 gennaio 1891, e viene
registrato con i nomi di Antonio, Sebastiano, Francesco. Sette mesi dopo
la nascita di Antonio, Francesco Gramsci fu trasferito, come gerente
dell'Ufficio del Registro, a Sorgono e qui nacquero gli altri figli, Mario
(1893-1945), Teresina (1895-1976) e Carlo (1897-1968). Antonio a due anni si
ammalò del morbo di Pott, una tubercolosi ossea che in pochi anni gli deformò
la colonna vertebrale e gli impedì una normale crescita: adulto, Gramsci non
supererà il metro e mezzo di altezza; i genitori pensavano che la sua deformità
fosse la conseguenza di una caduta e anche Antonio rimase convinto di quella
spiegazione. Ebbe sempre una salute delicata: a quattro anni, soffrendo di
emorragie e convulsioni, fu dato per spacciato dai medici, tanto che la madre
comprò la bara e il vestito per la sepoltura. Il padre Francesco fu
arrestato il 9 agosto 1898, con l'accusa di peculato, concussione e falsità in
atti, e il 27 ottobre 1900 venne condannato al minimo della pena con
l'attenuante del «lieve valore»: 5 anni, 8 mesi e 22 giorni di carcere, da
scontare a Gaeta; priva del sostegno dello stipendio del padre, la famiglia
Gramsci trascorse anni di estrema miseria, che la madre affrontò vendendo la
sua parte di eredità, tenendo a pensione il veterinario del paese e guadagnando
qualche soldo cucendo camicie. Proprio per le sue delicate condizioni di
salute Antonio cominciò a frequentare la scuola elementare soltanto a sette
anni: la concluse nel 1903 con il massimo dei voti, ma la situazione familiare
non gli permise di iscriversi al ginnasio. Già dall'estate precedente aveva
iniziato a dare il suo contributo all'economia domestica lavorando 10 ore al
giorno nell'Ufficio del catasto di Ghilarza per 9 lire al mesel'equivalente di
un chilo di pane al giornosmuovendo «registri che pesavano più di me e molte
notti piangevo di nascosto perché mi doleva tutto il corpo».
Antonio Gramsci nel 1906 Il 31 gennaio 1904 Francesco Gramsci, grazie a
un'amnistia, anticipò di tre mesi la fine della sua pena: inizialmente guadagnò
qualcosa come segretario in un'assicurazione agricola, poi, riabilitato, fece
il patrocinante in conciliatura e infine fu riassunto come scrivano nel vecchio
Ufficio del catasto, dove lavorò per il resto della sua vita. Così, pur
affrontando gli abituali sacrifici, i genitori poterono iscrivere il
quindicenne Antonio nel Ginnasio comunale di Santu Lussurgiu, a 18 chilometri
da Ghilarza, «un piccolo ginnasio in cui tre sedicenti professori sbrigavano,
con molta faccia tosta, tutto l'insegnamento delle cinque classi». Con
tale preparazione un poco avventurosa, riuscì tuttavia a prendere la licenza
ginnasiale a Oristano nell'estate del 1908 e a iscriversi al Liceo classico
Giovanni Maria Dettori di Cagliari, stando a pensione, prima in un appartamento
in via Principe Amedeo 24, poi, l'anno dopo, in corso Vittorio Emanuele 149,
insieme con il fratello Gennaro, il quale, terminato il servizio di leva a
Torino, lavorava per cento lire al mese in una fabbrica di ghiaccio del
capoluogo sardo. La modesta preparazione ricevuta nel ginnasio si fece
sentire, perché inizialmente Gramsci nelle diverse materie ottenne appena la
sufficienza, ma riuscì a recuperare in fretta: del resto, leggere e studiare
erano i suoi impegni costanti. Non si concedeva distrazioni, non soltanto
perché avrebbe potuto permettersele solo con grandi sacrifici, ma anche perché
l'unico vestito che possedeva, per lo più liso, non lo incoraggiava a
frequentare né gli amici, né i locali pubblici. A scuola, mostrò uno spiccato
interesse per le discipline umanistiche e per lo studio della storia, anche
perché il cattivo insegnamento ricevuto in matematica gli fece perdere
l'interesse per la materia. Nel frattempo, il giovane Gramsci, iniziò a
seguire le vicende politiche. Il fratello Gennaro, che era tornato in Sardegna
militante socialista, ai primi del 1911 divenne cassiere della Camera del
lavoro e segretario della sezione socialista di Cagliari: «Una grande quantità
di materiale propagandistico, libri, giornali, opuscoli, finiva a casa. Nino,
che il più delle volte passava le sere chiuso in casa senza neanche un'uscita
di pochi momenti, ci metteva poco a leggere quei libri e quei giornali».
Leggeva anche i romanzi popolari di Carolina Invernizio, di Anton Giulio
Barrili e quelli di Grazia Deledda, ma questi ultimi non li apprezzava,
considerando folkloristica la visione che della Sardegna aveva la scrittrice
sarda; leggeva Il Marzocco e La Voce di Giuseppe Prezzolini, Papini, Emilio Cecchi
«ma in cima alle sue raccomandazioni, quando mi chiedeva di ritagliare gli
articoli e di custodirli nella cartella, stavano sempre Croce e
Salvemini». Alla fine della seconda classe liceale, alla cattedra di
lettere italiane del Liceo salì il professor Raffa Garzia, radicale e
anticlericale, direttore de L'Unione Sarda, quotidiano legato alle istanze
sarde, rappresentate, in Parlamento da Francesco Cocco-Ortu, allora impegnato
in una dura opposizione al ministero di Luigi Luzzatti. Gramsci instaurò con il
Garzia un buon rapporto, che andava oltre il naturale discepolato: invitato
ogni tanto a visitare la redazione del giornale, ricevette nell'estate del 1910
la tessera di giornalista, con l'invito a «inviare tutte le notizie di pubblico
interesse»: e il 25 luglio Gramsci ebbe la soddisfazione di vedersi stampato il
suo primo scritto pubblico, venticinque righe di cronaca ironica su un fatto
avvenuto nel paese di Aidomaggiore. In un tema dell'ultimo anno di liceo,
che ci è conservato, Gramsci scriveva, tra l'altro, che «Le guerre sono fatte
per il commercio, non per la civiltà [...] la Rivoluzione francese ha abbattuto
molti privilegi, ha sollevato molti oppressi; ma non ha fatto che sostituire
una classe all'altra nel dominio. Però ha lasciato un grande ammaestramento:
che i privilegi e le differenze sociali, essendo prodotto della società e non
della natura, possono essere sorpassate». La sua concezione socialista, qui
chiaramente espressa, va unita, in questo periodo, all'adesione
all'indipendentismo sardo, nel quale egli esprimeva, insieme con la denuncia
delle condizioni di arretratezza dell'isola e delle disuguaglianze sociali,
l'ostilità verso le classi privilegiate del continente, fra le quali venivano
compresi, secondo una polemica mentalità di origine contadina, gli stessi
operai, concepiti come una corporazione elitaria fra i lavoratori
salariati. Poco dopo Gramsci conoscerà da vicino la realtà operaia di una
grande città del Nord: nell'estate del 1911, il conseguimento della licenza
liceale con una buona votazionetutti otto e un nove in italianogli prospetta la
possibilità di continuare gli studi all'Università. Nell'autunno del 1911, il
Collegio Carlo Alberto di Torino bandì un concorso, riservato a tutti gli
studenti poveri licenziati dai Licei del Regno, offrendo 39 borse di studio,
ciascuna equivalente a 70 lire al mese per 10 mesi, per poter frequentare
l'Torino: Gramsci fu uno dei due studenti di Cagliari ammessi a sostenere gli
esami a Torino. «Partii per Torino come se fossi in stato di sonnambulismo.
Avevo 55 lire in tasca; avevo speso 45 lire per il viaggio in terza classe
delle 100 avute da casa». Il 27 ottobre 1911 conclude gli esami: li supera
classificandosi nono; al secondo posto è uno studente genovese venuto da
Sassari, Palmiro Togliatti. Si iscrive alla Facoltà di Lettere, ma le
settanta lire al mese non bastano nemmeno per le spese di prima necessità:
oltre alle tasse universitarie, deve pagare venticinque lire al mese per
l'affitto della stanza di Lungo Dora Firenze 57, nel popolare quartiere di
Porta Palazzo, e il costo della luce, della pulizia della biancheria, della
carta e dell'inchiostro, e ci sono i pasti«non meno di due lire alla più
modesta trattoria»e la legna e il carbone per il riscaldamento: privo anche di
un cappotto, «la preoccupazione del freddo non mi permette di studiare, perché
o passeggio nella camera per scaldarmi i piedi oppure devo stare imbacuccato
perché non riesco a sostenere la prima gelata». Sono frequenti le richieste di
denaro alla famiglia che però, da parte sua, non se la passava di certo molto
meglio. L'Università degli Studi di Torino vantava professori di alto
livello e di diversa formazione: Luigi Einaudi, Francesco Ruffini, Vincenzo
Manzini, Pietro Toesca, Achille Loria, Gioele Solari e poi il giovane linguista
Matteo Bartoli, che si legò di amicizia con Gramsci, come fece anche
l'incaricato di letteratura italiana Umberto Cosmo, contro il quale, nel 1920,
indirizzò però un articolo violentemente polemico. Anni dopo, durante la dura
esperienza in carcere, continuò comunque a ricordarlo con simpatia«serbo del
Cosmo un ricordo pieno di affetto e direi di venerazione [...] era e credo sia
tuttora di una grande sincerità e dirittura morale con molte striature di
quella ingenuità nativa che è propria dei grandi eruditi e studiosi»ricordando
anche che, con questi e con molti altri intellettuali dei primi quindici anni
del secolo, malgrado divergenze di varia natura, egli avesse questo in comune:
«partecipavamo in tutto o in parte al movimento di riforma morale e
intellettuale promosso in Italia da Benedetto Croce, il cui primo punto era
questo, che l'uomo moderno può e deve vivere senza religione rivelata o
positiva o mitologica o come altro si vuol dire. Questo punto anche oggi mi
pare il maggior contributo alla cultura mondiale che abbiano dato gli
intellettuali moderni italiani». Angelo Tasca Gramsci si ritrovò a
casa per le elezioni politiche del 26 ottobre 1913, dopo la fine della guerra
italo-turca contro l'Impero ottomano per la conquista della Libia; votavano per
la prima volta anche gli analfabeti, ma la corruzione e le intimidazioni erano
le stesse delle elezioni precedenti. In Sardegna, il timore che l'allargamento
della base elettorale favorisse i socialisti portò al blocco delle candidature
di tutte le forze politiche contro i candidati socialisti, indicati come il
comune nemico da battere. In quest'obiettivo, "sardisti" e
"non-sardisti" si trovarono d'accordo e deposero le vecchie
polemiche. Gramsci scrisse di quest'esperienza elettorale al compagno di studi
Angelo Tasca, giovane dirigente socialista torinese, il quale affermò che
Gramsci «era stato molto colpito dalla trasformazione prodotta in
quell'ambiente dalla partecipazione delle masse contadine alle elezioni, benché
non sapessero e non potessero ancora servirsi per conto loro della nuova arma.
Fu questo spettacolo, e la meditazione su di esso, che fece definitivamente di
Gramsci un socialista». Tornò a Torino ai primi di novembre del 1913,
andando ad affittare una stanza all'ultimo piano del palazzo di via San Massimo
14, oggi Monumento nazionale; dovrebbe datarsi a questo periodo la sua
iscrizione al Partito socialista. Si trovò in ritardo con gli esami, con il
rischio di perdere il contributo della borsa di studio, a causa di «una forma
di anemia cerebrale che mi toglie la memoria, che mi devasta il cervello, che
mi fa impazzire ora per ora, senza che mi riesca di trovare requie né
passeggiando, né disteso sul letto, né disteso per terra a rotolarmi in certi
momenti come un furibondo». Riconosciuto «afflitto da grave nevrosi» gli fu
concesso di recuperare gli esami nella sessione di primavera.[25] Prese
anche lezioni private di filosofia dal professore Annibale Pastore, il quale
scrisse poi che «il suo orientamento era originalmente crociano ma già mordeva
il freno e non sapeva ancora come e perché staccarsi [...] voleva rendersi
conto del processo formativo della cultura agli scopi della rivoluzione [...]
come fa il pensare a far agire [...] come le idee diventano forze pratiche». Gramsci
stesso scriverà di aver sentito anche la necessità di «superare un modo di
vivere e di pensare arretrato, come quello che era proprio di un sardo del
principio del secolo, per appropriarsi un modo di vivere e di pensare non più
regionale e da villaggio, ma nazionale» ma anche «di provocare nella classe
operaia il superamento di quel provincialismo alla rovescia della palla di
piombo [come il Sud Italia era generalmente considerato nel Nord] che aveva le
sue profonde radici nella tradizione riformistica e corporativa del movimento
socialista».[26] L'iscrizione al partito gli permise di superare in parte
un lungo periodo di solitudine: ora frequentava i giovani compagni di partito,
fra i quali erano Tasca, Togliatti, Terracini: «uscivamo spesso dalle riunioni
di partito [...] mentre gli ultimi nottambuli si fermavano a sogguardarci [...]
continuavamo le nostre discussioni, intramezzandole di propositi feroci, di
scroscianti risate, di galoppate nel regno dell'impossibile e del
sogno».[27] Nell'Italia che ha dichiarato la propria neutralità nella
Prima guerra mondiale in corsoneutralità affermata anche dal Partito
socialistascrive per la prima volta sul settimanale socialista torinese Il
Grido del Popolo, il 31 ottobre 1914, l'articolo Neutralità attiva e operante
in risposta a quello apparso il 18 ottobre sull'Avanti! di Mussolini Dalla
neutralità assoluta alla neutralità attiva e operante,[28] senza però poter
comprendere quale svolta politica stesse preparando l'allora importante e
popolare esponente socialista. Sostenne il 13 aprile 1915 quello che
sarà, senza che lo sapesse ancora, il suo ultimo esame all'Università; il suo
impegno politico si fece crescente con l'entrata in guerra dell'Italia e con il
suo ingresso nella redazione torinese dell'Avanti!. Dal 1916 Gramsci
trascorse gran parte delle sue giornate all'ultimo piano nel palazzo
dell'Alleanza Cooperativa Torinese al numero 12 di corso Siccardi (oggi Galileo
Ferraris), dove, in tre stanze, erano situate la sezione giovanile del partito
socialista e le redazioni de Il Grido del Popolo e del foglio piemontese
dell'Avanti!, che comprendeva la rubrica della cronaca torinese, Sotto la Mole;
in entrambi i giornali Gramsci pubblicava di tutto, dai commenti sulla
situazione interna ed estera agli interventi sulla vita di partito, dagli
articoli di polemica politica alle note di costume, dalle recensioni dei libri
alla critica teatrale.[29] Dirà più tardi di aver scritto in dieci anni di
giornalismo «tante righe da poter costituire quindici o venti volumi di
quattrocento pagine, ma esse erano scritte alla giornata e dovevano morire dopo
la giornata»[30] e di aver contribuito «molto prima di Adriano Tilgher» a
rendere popolare il teatro di Pirandello: «ho scritto sul Pirandello, dal 1915
al 1920, tanto da mettere insieme un volumetto di duecento pagine e allora le
mie affermazioni erano originali e senza esempio: il Pirandello era o
sopportato amabilmente o apertamente deriso».[31] Della commedia di
Pirandello Pensaci, Giacomino! scrisse che «è tutto uno sfogo di virtuosismo,
di abilità letteraria, di luccichii discorsivi.[32] I tre atti corrono su un
solo binario. I personaggi sono oggetto di fotografia piuttosto che di
approfondimento psicologico: sono ritratti nella loro esteriorità più che in
una intima ricreazione del loro essere morale. È questa del resto la
caratteristica dell'arte di Luigi Pirandello, che coglie della vita la smorfia,
più che il sorriso, il ridicolo, più che il comico: che osserva la vita con
l'occhio fisico del letterato, più che con l'occhio simpatico dell'uomo artista
e la deforma per un'abitudine ironica che è l'abitudine professionale più che
visione sincera e spontanea», mentre considerò Liolà[33] «il prodotto migliore
dell'energia letteraria di Luigi Pirandello. In esso il Pirandello è riuscito a
spogliarsi delle sue abitudini retoriche. Il Pirandello è un umorista per
partito preso [...] troppo spesso la prima intuizione dei suoi lavori viene a
sommergersi in una palude retorica di una moralità inconsciamente predicatoria,
e di molta verbosità inutile». Il fu Mattia Pascal, secondo Gramsci, è
una sorta di prima stesura del Liolà che, liberato dalla zavorra moralistica
della vita, si è rinnovato diventando una pura rappresentazione, «una farsa che
si riattacca ai drammi satireschi della Grecia antica, e che ha il suo
corrispondente pittorico nell'arte figurativa vascolare [...] è una vita
ingenua, rudemente sincera [...] una efflorescenza di paganesimo naturalistico,
per il quale la vita, tutta la vita è bella, il lavoro è un'opera lieta, e la
fecondità irresistibile prorompe da tutta la materia organica». Severo fu
invece il giudizio sul Così è (se vi pare):[34] dalla tesipseudologisticache la
verità in sé non esista, Pirandello «non ha saputo trarre dramma [...] e
neppure motivo a rappresentazione viva e artistica di caratteri, di persone
vive che abbiano un significato fantastico, se non logico. I tre atti di
Pirandello sono un semplice fatto di letteratura [...] puro e semplice
aggregato di parole che non creano né una verità né un'immagine [...] il vero
dramma l'autore l'ha solo adombrato, l'ha accennato: è nei due pseudopazzi che
non rappresentano però la loro vera vita, l'intima necessità dei loro
atteggiamenti esteriori, ma sono presentati come pedine della dimostrazione logica». Rivolgendosi
ai giovani, scrisse da solo il numero unico del giornale dei giovani socialisti
La Città futura, uscito l'11 febbraio 1917. Qui mostra la sua intransigenza
politica, la sua ironia, anche contro i socialisti riformisti, il fastidio verso
ogni espressione retorica ma anche la sua formazione idealistica, i suoi debiti
culturali nei confronti di Croce, superiori perfino a quelli dovuti a Marx: «in
quel tempo»scriverà«il concetto di unità di teoria e pratica, di filosofia e
politica, non era chiaro in me e io ero tendenzialmente crociano».[35]
Nel marzo 1917 lo zar di Russia Nicola II è facilmente rovesciato da pochi
giorni di manifestazioni popolari, per lo più spontanee, che chiedono pane e la
fine dell'autocrazia: viene instaurato un moderato governo liberale e, insieme,
si ricostituiscono i Soviet, forme di rappresentanza su base popolare già
creati nella precedente Rivoluzione russa del 1905; le notizie giungono in
Italia parziali e confuse: i quotidiani «borghesi» sostengono che si tratta dell'avviamento
di un processo di democratizzazione in Russia, sull'esempio della grande
Rivoluzione francese, mentre Gramsci è convinto che «la rivoluzione russa è
[...] un atto proletario ed essa naturalmente deve sfociare nel regime
socialista [...] i rivoluzionari socialisti non possono essere giacobini: essi
in Russia hanno solo attualmente il compito di controllare che gli organismi
borghesi [...] non facciano essi del giacobinismo».[36] Con il ritorno in
Russia di Lenin, che pone subito il problema della pace immediata e della
consegna del potere ai Soviet, la lotta politica si radicalizza. Gramsci è
convinto che Lenin abbia «suscitato energie che più non morranno. Egli e i suoi
compagni bolscevichi sono persuasi che sia possibile in ogni momento realizzare
il socialismo». Gramsci nega esplicitamente la necessità dell'esistenza di
condizioni obiettive affinché una rivoluzione trionfi, quando scrive che i
bolscevichi «sono nutriti di pensiero marxista. Sono rivoluzionari, non
evoluzionisti. E il pensiero rivoluzionario nega il tempo come fattore di
progresso. Nega che tutte le esperienze intermedie tra la concezione del
socialismo e la sua realizzazione debbano avere nel tempo e nello spazio una
riprova assoluta e integrale».[37] È l'anticipazione dell'articolo, più famoso,
che scriverà subito dopo la notizia del successo della Rivoluzione
d'ottobre. Anche in Italia la guerra interminabile, costata già centinaia
di migliaia di morti e di mutilati, la penuria dei generi alimentari, la
sconfitta di Caporetto e la stessa eco provocata dalla rivoluzione russa
portarono a insofferenze che a Torino sfociarono, il 23 agosto 1917, in
un'autentica sommossa spontanea duramente repressa dal governo: oltre 50 morti,
più di duecento feriti, la città dichiarata zona di guerra con la conseguente
applicazione della legge marziale, arresti a catena che colpirono non solo i
diretti responsabili ma, indiscriminatamente, anche gli elementi politici
d'opposizione e segnatamente l'intero nucleo della sezione socialista, con l'accusa
di istigazione alla rivoluzione. In conseguenza dell'emergenza venutasi a
creare, la direzione della Sezione socialista torinese venne assunta da un
comitato di dodici persone, del quale fece parte anche Gramsci, il quale rimane
l'unico redattore de Il Grido del Popolo che cesserà le pubblicazioni il 19
ottobre 1918. Gramsci nel 1922 I bolscevichi avevano preso il
potere in Russia il 7 novembre 1917, ma per settimane in Europa giunsero solo
notizie deformate, confuse e censurate, finché il 24 novembre l'edizione
nazionale dell'Avanti! uscì con un editoriale dal titolo La rivoluzione contro
il Capitale, firmato da Gramsci:[38] «La rivoluzione dei bolscevichi è
materiata di ideologia più che di fatti [...] essa è la rivoluzione contro il
Capitale di Carlo Marx. Il Capitale di Marx era, in Russia, il libro dei
borghesi, più che dei proletari. Era la dimostrazione critica della fatale
necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un'era
capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale prima che il
proletariato potesse neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni
di classe, alla sua rivoluzione. I fatti hanno superato le ideologie. I fatti
hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia
avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico [...] se i
bolscevichi rinnegano alcune affermazioni del Capitale, non ne rinnegano il
pensiero immanente, vivificatore. Essi non sono «marxisti», ecco tutto; non
hanno compilato sulle opere del Maestro una dottrina esteriore di affermazioni
dogmatiche e indiscutibili. Vivono il pensiero marxista, quello che non muore
mai, che è la continuazione del pensiero idealistico italiano e tedesco, che in
Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e
naturalistiche».[39] In realtà Marx, almeno negli ultimi anni, non aveva
escluso che un Paese arretrato potesse giungere al socialismo saltando fasi di
sviluppo capitalistico:[40] ma qui interessa rilevare tanto la visione di Gramsci
ancora idealistica, volontaristica, dell'azione politica, quanto la critica che
di fatto Gramsci rivolgeva ai dirigenti socialisti europei, e italiani in
particolare, di concepire lo sviluppo storico in modo meccanicistico.
Finita la guerra e usciti dal carcere i dirigenti torinesi del partito, dal 5
dicembre 1918 Gramsci lavorò unicamente all'edizione piemontese dell'Avanti!,
che allora si stampava in via Arcivescovado 3, insieme con alcuni giovani
colleghi: Giuseppe Amoretti, Alfonso Leonetti, Mario Montagnana, Felice
Platone; ma egli e altri giovani socialisti torinesi, come Tasca, Togliatti e
Terracini, intendevano ormai esprimere, dopo l'esperienza della rivoluzione
russa, esigenze nuove nell'attività politica, che non sentivano rappresentate
dalla Direzione nazionale del partito: «L'unico sentimento che ci unisse, in
quelle nostre riunioni, era quello suscitato da una vaga passione di una vaga
cultura proletaria; volevamo fare, fare, fare; ci sentivamo angustiati, senza
un orientamento, tuffati nell'ardente vita di quei mesi dopo l'armistizio,
quando pareva immediato il cataclisma della società italiana».[41] Il 1º maggio
1919 uscì il primo numero dell'Ordine nuovo con Gramsci segretario di redazione
e animatore della rivista. La rivista ebbe un avvio incerto: all'inizio
«il programma fu l'assenza di un programma concreto, per una vana e vaga
aspirazione ai problemi concreti [...] nessuna idea centrale, nessuna
organizzazione intima del materiale letterario pubblicato» Tasca intendeva
farne una pubblicazione culturale: «per "cultura" intendeva
"ricordare", non intendeva "pensare", e intendeva
"ricordare" cose fruste, cose logore, la paccottiglia del pensiero
operaio [...] fu una rassegna di cultura astratta, di informazione astratta,
con la tendenza a pubblicare novelline orripilanti e xilografie bene
intenzionate; ecco cosa fu l'Ordine nuovo nei suoi primi numeri
[...]».[42] Gramsci intendeva invece definirlo su posizioni nettamente
operaistiche, ponendo all'ordine del giorno la necessità d'introdurre nelle
fabbriche italiane nuove forme di potere operaio, i consigli di fabbrica,
sull'esempio dei Soviet russi: «Ordimmo, io e Togliatti, un colpo di Stato
redazionale; il problema delle commissioni interne fu impostato esplicitamente
nel n. 7 della rassegna [...] il problema dello sviluppo della commissione
interna divenne problema centrale, divenne l'idea dell'Ordine nuovo; era esso
posto come problema fondamentale della rivoluzione operaia, era il problema
della "libertà" proletaria. L'Ordine nuovo divenne, per noi e per
quanti ci seguivano, "il giornale dei Consigli di fabbrica"; gli
operai amarono l'Ordine nuovo [...] perché negli articoli del giornale
ritrovavano una parte di se stessi, la parte migliore di se stessi; perché
sentivano gli articoli dell'Ordine nuovo pervasi dallo stesso loro spirito di
ricerca interiore: "Come possiamo diventar liberi? Come possiamo diventare
noi stessi?". Perché gli articoli dell'Ordine nuovo non erano fredde
architetture intellettuali, ma sgorgavano dalla discussione nostra con gli
operai migliori, elaboravano sentimenti, volontà, passioni reali».[42]
Diversamente dalle Commissioni interne, già esistenti all'interno dalle
fabbriche, che venivano elette soltanto dagli operai iscritti ai diversi
sindacati, i Consigli dovevano essere eletti indistintamente da tutti gli
operai e avrebbero dovuto, nel progetto degli ordinovisti, non tanto occuparsi
dei consueti problemi sindacali, ma porsi problemi politici, fino al problema
della stessa organizzazione, della gestione operaia della fabbrica,
sostituendosi al capitalista: nel settembre 1919, alla FIAT furono eletti i
primi Consigli. La Confindustria, nella sua Conferenza nazionale del
marzo 1920, espresse chiaramente «la necessità che la borghesia del lavoro
attinga in se stessa [...] il mezzo per un'energica azione contro deviazioni e
illusioni»[43] e il 20 marzo i tre maggiori industriali torinesi, Olivetti, De
Benedetti e Agnelli fecero presente al prefetto Taddei la loro volontà di
ricorrere all'arma della serrata delle fabbriche contro «l'indisciplina e le
continue esorbitanti pretese degli operai».[44] Così quando in occasione
di una controversia sindacale nelle Industrie Metallurgiche tre membri delle
commissioni interne furono licenziati e gli operai protestarono con lo sciopero,
l'Associazione degli industriali metalmeccanici rispose il 29 marzo con la
serrata di tutte le fabbriche torinesi. La lotta si estese fino allo sciopero
generale proclamato a Torino il 15 aprile e in alcune province piemontesi,
mentre il governo presidiava il capoluogo con migliaia di soldati. I tentativi
degli ordinovisti di allargare la protesta, se non in tutta l'Italia, almeno
nei maggiori centri industriali del paese, fallì e alla fine d'aprile gli
operai furono costretti a riprendere il lavoro senza avere ottenuto
nulla. Lo sciopero fallì per la resistenza degli industriali ma anche per
l'isolamento in cui la Camera del Lavoro, controllata dai socialisti
riformisti, contrari alla costituzione dei Consigli operai, e lo stesso Partito
socialista lasciarono i lavoratori torinesi; l'8 maggio Gramsci pubblicò
sull'Ordine Nuovo una sua relazione,[45] approvata dalla Federazione torinese,
che denunciava l'inefficienza e l'inerzia del Partito. Dopo aver sostenuto che
era matura la trasformazione dell'«ordine attuale di produzione e di
distribuzione» in un nuovo ordine che desse «alla classe degli operai
industriali e agricoli il potere di iniziativa nella produzione», alla quale si
opponevano gli industriali e i proprietari terrieri, appoggiati dallo Stato,
Gramsci rilevava che «le forze operaie e contadine mancano di coordinamento e
di concentrazione rivoluzionaria perché gli organismi direttivi del Partito
socialista hanno rivelato di non comprendere assolutamente nulla della fase di
sviluppo che la storia nazionale e internazionale attraversa nell'attuale
periodo [...] il Partito socialista assiste da spettatore allo svolgersi degli
eventi, non ha mai un'opinione sua da esprimere [...] non lancia parole
d'ordine che possano essere raccolte dalle masse, dare un indirizzo generale,
unificare e concentrare l'azione rivoluzionaria [...] il Partito socialista è
rimasto, anche dopo il Congresso di Bologna,[46] un mero partito parlamentare,
che si mantiene immobile entro i limiti angusti della democrazia borghese
[...]». Il numero dell'11 dicembre 1920 Rilevò la mancanza di
omogeneità nella composizione del partito, in cui continuavano a essere
presenti riformisti e «opportunisti», contrari agli indirizzi della III
Internazionale. Non solo: «mentre la maggioranza rivoluzionaria del partito non
ha avuto una espressione del suo pensiero e un esecutore della sua volontà
nella direzione e nel giornale, gli elementi opportunisti invece si sono
fortemente organizzati e hanno sfruttato il prestigio e l'autorità del Partito
per consolidare le loro posizioni parlamentari e sindacali [...] se il Partito
non realizza l'unità e la simultaneità degli sforzi, se il Partito si rivela un
mero organismo burocratico, senza anima e senza volontà, la classe operaia
istintivamente tende a costituirsi un altro partito e si sposta verso tendenze
anarchiche [...]». Il Partito socialista non svolge alcuna funzione di
educazione e di spiegazione di quanto sta avvenendo nella scena internazionale,
dalla quale esso è assente, non partecipando nemmeno alle riunioni
dell'Internazionale comunista, le cui tesi non sono riportate nell'Avanti!.
Analogamente, le edizioni socialiste non stampano le pubblicazioni comuniste:
«valga per tutte il volume di Lenin Stato e rivoluzione». Occorre pertanto, secondo
Gramsci, che il Partito socialista acquisti «una sua figura precisa e distinta:
da partito parlamentare piccolo borghese deve diventare il partito del
proletariato rivoluzionario che lotta per l'avvenire della società comunista
[...] i non comunisti rivoluzionari devono essere eliminati dal Partito [...]
ogni avvenimento della vita proletaria nazionale e internazionale deve essere
immediatamente commentata [...] per trarne argomenti di propaganda comunista e
di educazione delle coscienze rivoluzionarie [...] le sezioni devono promuovere
in tutte le fabbriche, nei sindacati, nelle cooperative, nelle caserme la
costituzione di gruppi comunisti [...] l'esistenza di un Partito comunista
coeso e fortemente disciplinato [...] è la condizione fondamentale e indispensabile
per tentare qualsiasi esperimento di Soviet [...] il Partito deve lanciare un
manifesto nel quale la conquista rivoluzionaria del potere politico sia posta
in modo esplicito [...]».[47] La risoluzione dell'Internazionale comunista
che chiedeva ai partiti socialisti l'allontanamento dei riformisti, venne
disattesa dal Partito Socialista Italiano. Infatti, a dispetto
dell'approvazione e dell'avallo ottenuto dagli ordinovisti da parte di Lenin
nel corso del II Congresso dell'Internazionale,[48] alla quale il PSI aveva
aderito con il congresso di Bologna tenuto nell'ottobre del 1919, i vecchi
dirigenti del partito erano riluttanti di fronte alla svolta politica e sociale
realizzatasi nel dopoguerra. In Italia, le rivendicazioni salariali, rese
necessarie dall'elevato indice d'inflazione, non trovavano accoglienza presso
gli industriali. Il 30 agosto 1920, a Milano, a seguito della serrata dell'Alfa
Romeo, 300 fabbriche furono occupate dagli operai: la FIOM appoggiò
l'iniziativa, ordinando l'occupazione di tutte le fabbriche metalmeccaniche
d'Italia, con la speranza che una tale, estrema iniziativa provocasse
l'intervento del governo a favore di una soluzione delle trattative. All'inizio
di settembre tutte le maggiori fabbriche d'Italia erano occupate da mezzo
milione di operai, parte dei quali armati, sia pure in modo rudimentale; alla
FIAT di Torino, tuttavia, ci fu una novità: dell'ufficio di Giovanni Agnelli
prese possesso l'operaio comunista Giovanni Parodi e i Consigli di fabbrica
decisero di continuare la produzione, per dimostrare che una grande fabbrica
poteva funzionare anche in assenza del proprietario. Giovanni
Giolitti Di fronte alla neutralità del governo Giolitti e alla decisione della
Confindustria di non cedere, il 10 settembre, nell'assemblea milanese che vide
riuniti i dirigenti del Partito socialista e della Camera del Lavoro, questi
ultimi si dimisero lasciando la gestione della difficile situazione al Partito,
che tuttavia non aveva alcuna intenzione di prolungare l'agitazione: la
proposta estrema dell'allargamento delle occupazioni a tutte le fabbriche del
paese e alle campagne fu respinta dalla maggioranza dei rappresentanti. Un
accordo salariale raggiunto con la mediazione di Giolitti pose termine, alla
fine di settembre, alle occupazioni delle fabbriche. Quell'esperienza
dimostrò tanto la mancanza di una strategia dei dirigenti socialisti quanto
l'impreparazione degli stessi operai a iniziative rivoluzionarie, per le quali
occorrevano organizzazione e disciplina. In previsione del prossimo XVII
Congresso del Partito socialista, Gramsci scrisse[49] che «la costituzione del
Partito comunista crea le condizioni per intensificare e approfondire l'opera
nostra: liberati dal peso morto degli scettici, dei chiacchieroni, degli irresponsabili,
liberati dall'assillo di dover continuamente, nel seno del Partito, lottare
contro i riformisti e gli opportunisti, di dover sventare le loro insidie, di
dover analizzare e criticare i loro atteggiamenti equivoci e la loro
fraseologia pseudo-rivoluzionaria, noi potremo dedicarci interamente al lavoro
positivo, all'espansione del nostro programma di rinnovamento, di
organizzazione, di risveglio delle coscienze e delle volontà».
Nell'ottobre 1920 si riunì a Milano il gruppo favorevole alla costituzione di
un partito comunista e Amadeo Bordiga, Luigi Repossi, Bruno Fortichiari,
Gramsci, Nicola Bombacci, Francesco Misiano e Umberto Terracini costituirono il
Comitato provvisorio della frazione comunista del Partito Socialista. La
fondazione del Partito comunista Il congresso di Livorno La scissione si
realizzò il 21 gennaio 1921, nel Teatro San Marco di Livorno, con la nascita
del «Partito Comunista d'Italia, sezione italiana dell'Internazionale». Il
comitato centrale fu composto dagli astensionisti (Amadeo Bordiga, Ruggero
Grieco, Giovanni Parodi, Cesare Sessa, Ludovico Tarsia e Bruno Fortichiari),
dagli ex-massimalisti (Nicola Bombacci, Ambrogio Belloni, Egidio Gennari,
Francesco Misiano, Anselmo Marabini, Luigi Repossi e Luigi Polano) e dagli ordinovisti
Gramsci e Terracini. Dal 1º gennaio 1921 Gramsci diresse l'Ordine nuovo,
divenuto ora uno dei quotidiani comunisti insieme con Il Lavoratore di Trieste
e Il Comunista di Roma, quest'ultimo diretto da Togliatti. Non venne eletto
deputato alle elezioni del 15 maggio: Gramsci non ha capacità oratorie, è
ancora giovane e anche la sua conformazione fisica non lo agevola
nell'apprezzamento di molti elettori. Alla fine di maggio partì per
Mosca, designato a rappresentare il Partito italiano nell'esecutivo dell'Internazionale
comunista. Vi arrivò già malato e nell'estate fu ricoverato in un sanatorio per
malattie nervose di Mosca. Qui conobbe una degente russa, Eugenia Schucht,
membro del Partito, figlia di Apollon Schucht, dirigente del Pcus e amico personale
di Lenin,[50] che aveva vissuto alcuni anni in Italia e, attraverso di lei, la
sorella Giulia (Julka) (1896-1980) che, violinista, aveva abitato diversi anni
a Roma diplomandosi al Conservatorio Santa Cecilia. Giulia, ventiseienne,
è bella, alta, ha un aspetto romantico; Gramsci ne è conquistato: ricorderà «il
primo giorno che [...] non osavo entrare nella tua stanza perché mi avevi
intimidito [...] al giorno che sei partita a piedi e io ti ho accompagnato fino
alla grande strada attraverso la foresta e sono rimasto tanto tempo fermo per
vederti allontanare tutta sola, col tuo carico da viandante, per la grande
strada, verso il mondo grande e terribile [...] ho molto pensato a te, che sei
entrata nella mia vita e mi hai dato l'amore e mi hai dato ciò che mi era
sempre mancato e mi faceva spesso cattivo e torbido».[51] E quell'immagine di
lei, viandante in un mondo grande e terribile, con il suo senso doloroso di
distacco, ritornerà ancora dal carcere: «Ricordi quando sei ripartita dal bosco
d'argento [...] ti ho accompagnata fino all'orlo della strada maestra e sono
rimasto a lungo a vederti allontanare [...] così ti vedo sempre mentre ti
allontani a passi brevi, col violino in una mano e nell'altra la tua borsa da
viaggio, così pittoresca».[52] Si sposano nel 1923 e avranno due figli, Delio,
nato il 10 agosto 1924, e Giuliano, nato il 30 agosto 1926. Il figlio di
quest'ultimo (nato nel 1965), porta il nome del nonno, vive a Mosca e pratica
la musica medievale.[53] Giulia diverrà nel 1924 membro della OGPU, il servizio
di Sicurezza sovietico.[54] La moglie di Gramsci e i figli Delio e
Giuliano A differenza di Bordiga, tutto inteso a salvaguardare la «purezza»
programmatica del partito, e perciò contrario a qualunque iniziativa al di
fuori della dittatura del proletariato, Gramsci guardava anche a obiettivi
democratici, intermedi, raggiungibili utilizzando le contraddizioni presenti
negli strati sociali e le forze che potevano rappresentare elementi di rottura,
come il movimento sindacale cattolico di Guido Miglioli e l'intellettualità
progressista liberale di cui Piero Gobetti è allora tra i maggiori
rappresentanti.[55] Tuttavia nei suoi scritti fino al 1926 ribadisce che
l'obiettivo finale era la eliminazione dello stato borghese e la dittatura del
proletariato e anche nei suoi scritti successivi non si riscontrano critiche al
regime sovietico. Nel III Congresso dell'Internazionale comunista, di
fronte al riflusso dell'ondata rivoluzionaria rappresentata dalle sconfitte
delle esperienze comuniste in Germania e in Ungheria, si decise la tattica del
fronte unito con la socialdemocrazia. Bordiga e la maggioranza dei dirigenti
comunisti italiani si oppose, elaborando le Tesi di Roma, base programmatica
del II Congresso del Partito, tenuto a Roma nel marzo del 1922. Gramsci vi
aderì ma scrisse di aver «accettato le tesi di Amadeo perché esse erano
presentate come una opinione per il Quarto Congresso [dell'Internazionale
comunista] e non come un indirizzo di azione. Ritenevamo di mantenere così
unito il partito attorno al suo nucleo fondamentale, pensavamo che si potesse
fare ad Amadeo questa concessione [...] senza nuove crisi e nuove minacce di
scissione nel seno del nostro movimento».[56] Nel IV Congresso
dell'Internazionale, tenutosi dal 5 novembre al 5 dicembre 1922, di fronte
all'avvento al potere di Mussolini, ai delegati comunisti italiani fu posta con
ancora maggior forza la necessità di fondersi con corrente socialista degli
internazionalisti, capeggiata da Giacinto Menotti Serrati, e di costituire un
nuovo Esecutivo, mettendo in minoranza Bordiga, sempre contrario a ogni
accordo. Lo stesso Bordiga fu arrestato al suo rientro in Italia nel febbraio
1923 e, in settembre, a Milano, furono incarcerati anche i rappresentanti del
nuovo Esecutivo: Gramsci restò così il massimo dirigente del Partito e nel
novembre del 1923 si trasferì a Vienna per seguire più da vicino la situazione
italiana. Fu allora che egli ritenne necessario rompere con la politica di
Bordiga: «Il suo stesso carattere inflessibile e tenace fino all'assurdo ci
obbliga [...] a prospettarci il problema di costruire il partito ed il centro
di esso anche senza di lui e contro di lui. Penso che sulle quistioni di
principio non dobbiamo più fare compromessi come nel passato: vale meglio la
polemica chiara, leale, fino in fondo, che giova al partito e lo prepara ad
ogni evenienza».[57] Il 12 febbraio 1924 uscì a Milano il primo numero
del nuovo quotidiano comunista l'Unità e dal primo marzo la nuova serie del
quindicinale l'Ordine nuovo. Il titolo del giornale, da lui scelto, venne
giustificato dalla necessità dell'«unità di tutta la classe operaia intorno al
partito, unità degli operai e dei contadini, unità del Nord e del Mezzogiorno,
unità di tutto il popolo italiano nella lotta contro il fascismo».Alle elezioni
del 6 aprile venne eletto deputato al parlamento, potendo così rientrare a
Roma, protetto dall'immunità parlamentare, il 12 maggio 1924. Quello stesso
mese, nei dintorni di Como, si tenne un convegno illegale dei dirigenti delle
Federazioni comuniste italiane: pubblicamente, si fingevano dipendenti di
un'azienda milanese in gita turistica, con tanto di pubblici discorsi fascisti
e inni a Mussolini,[58] mentre, a parte, discutevano dei problemi del
partito. Nel convegno si affrontò il «caso Bordiga», il quale aveva
rifiutato la candidatura al Parlamento, era in rotta con la maggioranza
dell'Internazionale e rifiutava ogni azione politica comune con le altre forze
politiche di sinistra. Delle tre mozioni presentate, che rispecchiavano le tre
correnti in seno al Partito, la corrente di destra di Tasca, di centro di
Gramsci e Togliatti, e di sinistra di Bordiga, questa raccolse l'adesione della
grande maggioranza dei delegati, confermando la notevole importanza di cui il
rivoluzionario napoletano godeva nel Partito. Il 10 giugno un gruppo di
fascisti rapì e uccise il deputato socialista Giacomo Matteotti; sembrò allora
che il fascismo stesse per crollare per l'indignazione morale che in quei
giorni percorse il Paese, ma non fu così; l'opposizione parlamentare scelse la
linea sterile di abbandonare il Parlamento, dando luogo alla cosiddetta
Secessione dell'Aventino: i liberali speravano in un appoggio della Monarchia,
che non venne, i cattolici erano ostili tanto ai fascisti che ai socialisti e
questi ultimi erano ostili a tutti, comunisti compresi. Gramsci avanzò al
«Comitato dei sedici»il nucleo dirigente dei gruppi aventinianila proposta di
proclamare lo sciopero generale che però fu respinta; i comunisti uscirono
allora dal «Comitato delle opposizioni» aventiniane il quale, secondo Gramsci,
non aveva alcuna volontà di agire: ha una «paura incredibile che noi
prendessimo la mano e quindi manovra per costringerci ad abbandonare la
riunione».[59] Giacomo Matteotti Malgrado le divisioni dell'opposizione
antifascista, Gramsci credeva che la caduta del regime fosse imminente: «Il
regime fascista muore perché non solo non è riuscito ad arrestare, ma anzi ha
contribuito ad accelerare la crisi delle classi medie iniziatasi dopo la
guerra. L'aspetto economico di questa crisi consiste nella rovina della piccola
e media azienda [...] il monopolio del credito, il regime fiscale, la
legislazione sugli affitti hanno stritolato la piccola impresa commerciale e
industriale: un vero e proprio passaggio di ricchezza si è verificato dalla
piccola e media alla grande borghesia [...] L'apparato industriale ristretto ha
potuto salvarsi dal completo sfacelo solo per un abbassamento del livello di
vita della classe operaia premuta dalla diminuzione dei salari, dall'aumento della
giornata di lavoro [...] La disgregazione sociale e politica del regime
fascista ha avuto la sua piena manifestazione di massa nelle elezioni del 6
aprile. Il fascismo è stato messo nettamente in minoranza nella zona
industriale [...] Le elezioni del 6 aprile [...] segnarono l'inizio di quella
ondata democratica che culminò nei giorni immediatamente successivi
all'assassinio dell'on. Matteotti [...] le opposizioni avevano acquistato dopo
le elezioni un'importanza politica enorme; l'agitazione da esse condotta nei
giornali e nel Parlamento per discutere e negare la legittimità del governo
fascista [...] si ripercuoteva nel seno dello stesso Partito nazionale
fascista, incrinava la maggioranza parlamentare. Di qui l'inaudita campagna di
minacce contro le opposizioni e l'assassinio del deputato unitario [...]» «Il
delitto Matteotti dette la prova provata che il Partito fascista non riuscirà
mai a diventare un normale partito di governo, che Mussolini non possiede dello
statista e del dittatore altro che alcune pittoresche pose esteriori; egli non
è un elemento della vita nazionale, è un fenomeno di folklore paesano,
destinato a passare alla storia nell'ordine delle diverse maschere provinciali
italiane, più che nell'ordine dei Cromwell, dei Bolívar, dei Garibaldi».[60]
S'ingannava, perché l'inerzia dell'opposizione non riuscì a dare alternative
del blocco sociale in cui la piccola borghesia teme il «salto nel buio» della
caduta del regime e i fascisti riprendono coraggio e ricominciano le violenze
squadriste: in una delle tante viene aggredito anche Gobetti. E dopo il 12
settembre, quando il militante comunista Giovanni Corvi uccide in un tram il
deputato fascista Armando Casalini, per vendicare la morte di Matteotti, la
repressione s'inasprisce. Il 20 ottobre Gramsci propose vanamente che
l'opposizione aventiniana si costituisca in «Antiparlamento», in modo da
segnare nettamente la distanza e svuotare di significato un Parlamento di soli
fascisti; il 26 partì per la Sardegna, per intervenire al Congresso regionale
del partito e per rivedere i famigliari. Il 6 novembre si congedò dalla madre,
che non avrebbe più rivisto. Benito Mussolini Il 12 novembre 1924
il deputato comunista Luigi Repossi rientrò in Parlamento, dove sedevano solo i
deputati fascisti e i loro alleati, per commemorare Matteotti a nome di tutto
il suo partito; il 26 vi rientrò anche tutto il gruppo parlamentare comunista,
a segnare l'inutilità dell'esperienza aventiniana. Il 27 dicembre 1924 il
quotidiano di Giovanni Amendola Il Mondo pubblicò le dichiarazioni di Cesare
Rossi, già capo ufficio stampa di Mussolini, a proposito del delitto Matteotti:
«Tutto quanto è successo è avvenuto sempre per la volontà diretta o per
l'approvazione o per la complicità del duce» e il 3 gennaio 1925 Mussolini, in
un discorso rimasto famoso, a confermare quella testimonianza, dichiara alla
Camera dei deputati di assumersi «la responsabilità politica, morale, storica
di tutto quanto è avvenuto», dando il via a una nuova azione repressiva.
In febbraio Gramsci andò a Mosca, per stare con la moglie e conoscere
finalmente il figlio Delio. Tornato in Italia a maggio, il 16 tenne il suo
primoe unicodiscorso in Parlamento[61], davanti all'ex compagno di partito
Mussolini, ora Primo ministro, che aveva descritto l'anno prima come un capo
che «è divinizzato, è dichiarato infallibile, è preconizzato organizzatore e
ispiratore di un rinato Sacro Romano Impero [...] Conosciamo quel viso:
conosciamo quel roteare degli occhi nelle orbite che nel passato dovevano, con
la loro ferocia meccanica, far venire i vermi alla borghesia e oggi al
proletariato. Conosciamo quel pugno sempre chiuso alla minaccia [...] Mussolini
[...] è il tipo concentrato del piccolo-borghese italiano, rabbioso, feroce
impasto di tutti i detriti lasciati sul suolo nazionale da vari secoli di
dominazione degli stranieri e dei preti: non poteva essere il capo del
proletariato; divenne il dittatore della borghesia, che ama le facce feroci
quando ridiventa borbonica».[62][63] Con il pretesto di colpire la Massoneria,
il governo aveva predisposto un disegno di legge per disciplinare l'attività di
associazioni, enti e istituti: continuamente interrotto, Gramsci respinse il
pretesto che il governo si era dato, «perché la Massoneria passerà in massa al
Partito fascista e ne costituirà una tendenza, è chiaro che con questa legge
voi sperate di impedire lo sviluppo di grandi organizzazioni operaie e
contadine». E ironizzando: «Qualche fascista ricorda ancora nebulosamente
gli insegnamenti dei suoi vecchi maestri, di quando era rivoluzionario e
socialista, e crede che una classe non possa rimanere tale permanentemente e
svilupparsi fino alla conquista del potere, senza che essa abbia un partito e
un'organizzazione che ne riassuma la parte migliore e più cosciente. C'è qualcosa
di vero, in questa torbida perversione degli insegnamenti marxisti».
Concluse: «Voi potete conquistare lo Stato, potete modificare i codici, potete
cercar di impedire alle organizzazioni di esistere nella forma in cui sono
esistite fino adesso ma non potete prevalere sulle condizioni obbiettive in cui
siete costretti a muovervi. Voi non farete che costringere il proletariato a
ricercare un indirizzo diverso da quello fin oggi più diffuso nel campo
dell'organizzazione di massa. Ciò noi vogliamo dire al proletariato e alle
masse contadine italiane, da questa tribuna: che le forze rivoluzionarie
italiane non si lasceranno schiantare, il vostro torbido sogno non riuscirà a
realizzarsi». Dal 20 al 26 gennaio 1926 si svolse clandestinamente a Lione
il III Congresso del Partito.[64] Vi parteciparono 70 delegati, con tutti i
maggiori responsabili, Bordiga, Gramsci, Tasca, Togliatti, Grieco, Leonetti,
Scoccimarro: vi era anche Serrati, che aveva lasciato da poco il Partito
socialista di cui era stato a lungo dirigente di primo piano. Assisteva, a nome
dell'Internazionale, Jules Humbert-Droz.[65] Gramsci presentò le Tesi
congressuali elaborate insieme con Togliatti.[66] Con un capitalismo
debole e l'agricoltura base dell'economia nazionale, in Italia si assiste al
compromesso fra industriali del Nord e proprietari fondiari del Sud, ai danni
degli interessi generali della maggioranza della popolazione. Il proletariato,
in quanto forza sociale omogenea e organizzata rispetto alla piccola borghesia
urbana e rurale, che ha interessi differenziati, viene visto, nelle Tesi, «come
l'unico elemento che per la sua natura ha una funzione unificatrice e
coordinatrice di tutta la società.»[67] Secondo Gramsci il fascismo non
è, come invece ritiene Bordiga, l'espressione di tutta la classe dominante, ma
è il frutto politico della piccola borghesia urbana e della reazione degli
agrari che ha consegnato il potere alla grande borghesia, e la sua tendenza
imperialistica è l'espressione della necessità, da parte delle classi industriali
e agrarie, «di trovare fuori del campo nazionale gli elementi per la
risoluzione della crisi della società italiana» che tuttavia permette, per la
sua natura oppressiva e reazionaria, una soluzione rivoluzionaria delle
contraddizioni sociali e politiche; le due forze sociali idonee a dar luogo a
questa soluzione sono il proletariato del Nord e i contadini del
Mezzogiorno.[68] A questo scopo, il Partito andrà bolscevizzato, ossia
organizzato per cellule di fabbrica caratterizzate da una "disciplina di
ferro" negando al suo interno la possibilità dell'esistenza delle
frazioni. Il Congresso approvò le Tesi a grande maggioranza (oltre il
90%) ed elesse il Comitato centrale con Gramsci segretario del Partito.[69] Da
allora, la sinistra comunista di Bordiga non ebbe più un ruolo influente nel
Partito. Le Tesi di Lione, realizzate da Gramsci, ribadirono con una certa
durezza le posizioni del Pcd’I «la socialdemocrazia sebbene abbia ancora la sua
base sociale, per gran parte, nel proletariato per quanto riguarda la sua
ideologia e la sua funzione politica cui adempie, deve essere considerata non
come un'ala destra del movimento operaio, ma come un'ala sinistra della
borghesia e come tale deve essere smascherata». In questa relazione venne
sviluppata la cosiddetta bolscevizzazione del partito: «spetti al partito russo
una funzione predominante e direttiva nella costruzione di una Internazionale
comunista… La organizzazione di un partito bolscevico deve essere, in ogni
momento della vita del partito, una organizzazione centralizzata, diretta dal
Comitato centrale non solo a parole, ma nei fatti. Una disciplina proletaria di
ferro deve regnare nelle sue file… La centralizzazione e la compattezza del
partito esigono che non esistano nel suo seno gruppi organizzati i quali
assumano carattere di frazione. Un partito bolscevico si differenzia per questo
profondamente dai partiti socialdemocratici».[70] Tornato a Romada via
Vesalio si era trasferito in via Morgagniebbe il tempo di passare alcuni mesi
con la famigliala moglie Giulia e il piccolo Delio, oltre alle cognate Eugenia
e Tatianache abitano tuttavia in un altro appartamento, in via Trapani: le
squadre fasciste, superato da tempo lo smarrimento provocato dal delitto
Matteotti, avevano piena libertà d'azione e non era prudente coinvolgere i
familiari in loro possibili aggressioni; il 4 ottobre, a Firenze, era stato
ucciso l'ex-deputato socialista Gaetano Pilati, la stessa casa di Gramsci era
stata messa a soqquadro dalla polizia il 20 ottobre. Mentre gli esponenti dell'opposizione
antifascista prendevano la via dell'emigrazioneGobetti, che muore il 6 febbraio
1926, venticinquenne, a Parigi, in conseguenza delle bastonate squadriste,
Amendola, Salveminiun processo farsa condannava a una pena simbolica gli
assassini di Matteotti, difesi dal capo-squadrista Roberto Farinacci. La
moglie Giulia, che aspettava il secondo figlio Giuliano, lasciò l'Italia il 7
agosto e il mese dopo fu la volta della cognata Eugenia a tornare a Mosca con
il figlio Delio: Gramsci non l'avrebbe più rivisto. Giustino
Fortunato Elaborando temi già affrontati nelle Tesi di Lione, in settembre
Gramsci iniziò a scrivere un saggio sulla questione meridionale, intitolato
Alcuni temi sulla quistione meridionale, in cui analizzò il periodo dello
sviluppo politico italiano dal 1894, anno dei moti dei contadini siciliani,
seguito nel 1898 dall'insurrezione di Milano repressa a cannonate dal governo
Di Rudinì. Secondo Gramsci, la borghesia italiana, impersonata politicamente da
Giovanni Giolitti, di fronte all'insofferenza delle classi emarginate dei
contadini meridionali e degli operai del Nord, piuttosto che allearsi con le
forze agrarie, cosa che avrebbe dovuto comportare una politica di libero
scambio e di bassi prezzi industriali, scelse di favorire il blocco
industriale-operaio, con la conseguente scelta del protezionismo doganale,
unita a concessione di libertà sindacali. Di fronte alla persistenza
dell'opposizione operaia, manifestatasi anche contro i dirigenti socialisti
riformisti, Giolitti cercò un accordo con i contadini cattolici del
Centro-Nord. Il problema è allora, per Gramsci, di perseguire una politica di
opposizione che rompa l'alleanza borghesia-contadini, facendo convergere questi
ultimi in un'alleanza con la classe operaia. La società meridionale,
secondo Gramsci, è costituita da tre classi fondamentali: braccianti e
contadini poveri, politicamente inconsapevoli; piccoli e medi contadini, che
non lavorano la terra ma dalla quale ricavano un reddito che permette loro di
vivere in città, spesso come impiegati statali: costoro disprezzano e temono il
lavoratore della terra, e fanno da intermediari al consenso fra i contadini
poveri e la terza classe, costituita dai grandi proprietari terrieri, i quali a
loro volta contribuiscono alla formazione dell'intellettualità nazionale, con
personalità del valore di Benedetto Croce e di Giustino Fortunato e sono, con
quelli, i principali e più raffinati sostenitori della conservazione di questo
blocco agrario. Croce e Fortunato sono, per Gramsci, «i reazionari più operosi
della penisola»,[71] «le chiavi di volta del sistema meridionale e, in un certo
senso, sono le due più grandi figure della reazione italiana».[72] Per
poter spezzare questo blocco occorrerebbe la formazione di un ceto di intellettuali
medi che interrompa il flusso del consenso fra le due classi estreme, favorendo
così l'alleanza dei contadini poveri con il proletariato urbano. Tuttavia
Gramsci non aveva un'opinione positiva sui contadini, nel 1926 scrisse: «Il
solo organizzatore possibile della massa contadina meridionale è l'operaio
industriale, rappresentato dal nostro partito»[73] «Non ho mai voluto
mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a
stare in prigione [...] vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato:
ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche
volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il
loro onore e la loro dignità di uomini» (Antonio Gramsci, Lettera alla
madre, 10 maggio 1928) In Unione Sovietica è in corso la lotta fra la
maggioranza di Stalin e Bucharin e la minoranza di sinistra del Partito
comunista, guidata da Trotskij, Zinov'ev e Kamenev, che critica la politica
della NEP, la quale favorisce i contadini ricchi a svantaggio degli operai, e
la rinuncia alla rivoluzione socialista mondiale attraverso la costruzione del
«socialismo in un solo paese» che porterebbe all'involuzione del movimento
rivoluzionario.[74] Il dissidio, che porta all'esclusione di Zinov'ev
dall'Ufficio politico del Partito sovietico, si era fatto sempre più aspro con
la costituzione in frazione della minoranza[75] e si era esteso anche
all'interno del Partito comunista tedesco, provocando una scissione. [senza
fonte] Il 18 ottobre 1926 il New York Times, forse su ispirazione di Lev
Trotsky, pubblicava il testamento di Lenin, con i suoi noti rilievi sul
carattere di Stalin e sul pericolo rappresentato dal troppo potere che la
carica di segretario del Partito gli concedeva.[76] Su incarico
dell'Ufficio politico, Gramsci scrisse a metà ottobre una lettera al Comitato
centrale del Partito sovietico.[77] Egli si mostra preoccupato per «l'acutezza
delle polemiche» che potrebbero portare a una scissione che «può avere le più
gravi ripercussioni, non solo se la minoranza di opposizione non accetta con la
massima lealtà i principi fondamentali della disciplina rivoluzionaria di
Partito, ma anche se essa, nel condurre la sua lotta, oltrepassa certi limiti
che sono superiori a tutte le democrazie formali». Riconosciuto ai dirigenti
sovietici il merito di essere stati «l'elemento organizzatore e propulsore
delle forze rivoluzionarie di tutti i paesi», li rimprovera di star
«distruggendo l'opera vostra, voi degradate e correte il rischio di annullare la
funzione dirigente che il partito comunista dell'URSS aveva conquistato per
l'impulso di Lenin: ci pare che la passione violenta delle quistioni russe vi
faccia perdere di vista gli aspetti internazionali delle quistioni russe
stesse, vi faccia dimenticare che i vostri doveri di militanti russi possono e
debbono essere adempiuti solo nel quadro degli interessi del proletariato
internazionale». Palmiro Togliatti Nel merito del fondamento del
contrastola contraddizione di un proletariato formalmente «dominante» in URSS,
ma in condizioni economiche molto inferiori alla classe «dominata»Gramsci
appoggia la posizione della maggioranza, rilevando che «è facile fare della
demagogia su questo terreno ed è difficile non farla quando la quistione è
stata messa nei termini dello spirito corporativo e non in quelli del
leninismo, della dottrina dell'egemonia del proletariato [...] è in questo
elemento la radice degli errori del blocco delle opposizioni e l'origine dei
pericoli latenti che nella sua attività sono contenuti. Nella ideologia e nella
pratica del blocco delle opposizioni rinasce in pieno tutta la tradizione della
socialdemocrazia e del sindacalismo che ha impedito finora al proletariato
occidentale di organizzarsi in classe dirigente». Gramsci concludeva esortando
all'unità: «I compagni Zinov'ev, Trockij, Kamenev hanno contribuito
potentemente a educarci per la rivoluzione [...] sono stati tra i nostri
maestri. A loro specialmente ci rivolgiamo come ai maggiori responsabili
dell'attuale situazione perché vogliamo essere sicuri che la maggioranza del
comitato centrale del partito comunista dell'URSS non intenda stravincere nella
lotta e sia disposta a evitare le misure eccessive. L'untà del nostro partito
fratello di Russia è necessaria per lo sviluppo e il trionfo delle forze
rivoluzionarie mondiali; a questa necessità ogni comunista e internazionalista
deve essere disposto a fare maggiori sacrifizi. I danni di un errore compiuto
dal partito unito sono facilmente superabili; i danni di una scissione o di una
prolungata condizione di scissione latente possono essere irreparabili e
mortali».[78] Togliatti, allora a Mosca quale rappresentante italiano
all'Internazionale, criticò le ultime considerazioni che ripartivano, seppure
in modo diseguale, le responsabilità delle due fazioni, credendo ancora nella
illusoria possibilità di una compattezza del gruppo dirigente sovietico: a suo
avviso, invece, «d'ora in poi l'unità della vecchia guardia leninista non sarà
più o sarà assai difficilmente realizzata in modo continuo».[79] Non ci
sarà tempo e occasione per approfondire la questione: lo stesso giorno in cui
il Comitato centrale comunista doveva riunirsi clandestinamente a Genova, il 31
ottobre 1926, Mussolini subì a Bologna un attentato senza conseguenze personali,
che provoca una tale pressione poliziesca da far fallire il convegno.
L'attentato Zamboni costituì il pretesto per l'eliminazione degli ultimi,
minimi residui di democrazia: il 5 novembre il governo sciolse i partiti
politici di opposizione e soppresse la libertà di stampa. L'8 novembre, in
violazione dell'immunità parlamentare, Gramsci venne arrestato nella sua casa e
rinchiuso nel carcere di Regina Coeli.[80] Il giorno successivo fu dichiarato
decaduto, insieme agli altri deputati aventiniani.[81] Dopo un periodo di
confino a Ustica, dove ritrovò, tra gli altri, Bordiga, il 7 febbraio 1927 fu
detenuto nel carcere milanese di San Vittore. Qui ricevette, in agosto, la
visita del fratello Mario, le cui scelte politiche erano state opposte alle
suegià federale di Varese, ora si occupava di commercioe, soprattutto, quella
della cognata Tatiana, la persona che si manterrà sempre, per quanto possibile,
in contatto con lui. L'istruttoria andò per le lunghe, perché vi erano
difficoltà a montare su di lui accuse credibili: fu anche fatto avvicinare da
due agenti provocatoriprima un tale Dante Romani e poi un certo Corrado
Melanima senza successo.[82] Il processo a ventidue imputati comunisti,
fra i quali Umberto Terracini, Mauro Scoccimarro e Giovanni Roveda, iniziò
finalmente a Roma il 28 maggio 1928; Mussolini aveva istituito il 1º febbraio
1927 il Tribunale Speciale Fascista. Presidente è un generale, Alessandro
Saporiti, giurati sono cinque consoli della milizia fascista, relatore
l'avvocato Giacomo Buccafurri e accusatore l'avvocato Michele Isgrò, tutti in
uniforme; intorno all'aula, «un doppio cordone di militi in elmetto nero, il
pugnale sul fianco ed i moschetti con la baionetta in canna»[83] Gramsci è
accusato di attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, apologia di
reato e incitamento all'odio di classe.[84] Il pubblico ministero Isgrò
concluse la sua requisitoria con una frase rimasta famosa: «Bisogna impedire a
questo cervello di funzionare per venti anni»;[85] e infatti Gramsci, il 4
giugno, venne condannato a venti anni, quattro mesi e cinque giorni di
reclusione;[86] il 19 luglio raggiunse il carcere di Turi, in provincia di
Bari. Fin da quando si trovava in carcere a Milano, Gramsci era
intenzionato a occuparsi «intensamente e sistematicamente di qualche soggetto»
che lo «assorbisse e centralizzasse la sua vita interiore».[87] L'8 febbraio
1929, nel carcere di Turi, il detenuto 7.047 ottenne finalmente l'occorrente
per scrivere e iniziò la stesura dei suoi Quaderni del carcere. Il primo quaderno
si apre proprio con una bozza di 16 argomenti, alcuni dei quali saranno
abbandonati, altri inseriti e altri ancora svolti solo in parte. Caratteristico
era il suo modo di lavorare: quasi tutti i giorni, per alcune ore, camminando
all'interno della cella, rifletteva sulle frasi da scrivere e poi si chinava
sul tavolino, scrivendo senza sedersi, un ginocchio appoggiato sullo sgabello,
per riprendere a camminare e a pensare.[88] A fare da tramite tra Gramsci e il
mondo esterno, e in particolare con Piero Sraffa e tramite questi col Pcus e il
PCd'I, fu la cognata Tatiana Schucht, essendo la moglie di Gramsci tornata in
Unione Sovietica. Intanto, il VI Congresso dell'Internazionale comunista,
tenutosi a Mosca dal luglio al settembre 1928, aveva stabilito l'impossibilità
di accordi con la socialdemocrazia, che veniva anzi assimilata allo stesso
fascismo.[89] Era la tesi di Stalin il quale, liquidata l'opposizione di
Trockij, eliminava anche l'influenza di Bucharin che, già suo alleato contro la
sinistra di Trockij, era rimasto il suo principale oppositore da destra.[90] Al
nuovo orientamento dell'Internazionale, riaffermato nel X Plenum del Comitato
esecutivo nel luglio 1929, dovevano adeguarsi i Partiti nazionali, espellendo,
se necessario, i dissidenti.[89] Il Partito comunista d'Italia si adeguò alle
scelte dell'Internazionale, espellendo Angelo Tasca in settembre e in
successione, ma con l'accusa di trotskismo, prima, il 30 marzo del 1930,
Bordiga,[91] poi, il 9 giugno, fu la volta di Alfonso Leonetti, Pietro Tresso e
Paolo Ravazzoli.[92] Gramsci teneva, durante l'ora d'aria, dei
"colloqui-lezioni" con i compagni di partito: non esistono dirette
testimonianze delle opinioni espresse da Gramsci riguardo alla «svolta»
politica del movimento comunista, ma può costituire un indiretto riferimento un
rapporto che un suo compagno di carcere, Athos Lisa, amnistiato nel 1933, inviò
subito al Centro estero comunista.[93] Secondo quella relazione, Gramsci riferì
la teoria della necessità dell'alleanza fra operai del Nord e contadini
meridionali che già stava elaborando nei suoi Quaderni: «L'azione per la
conquista degli alleati diviene per il proletariato cosa estremamente delicata
e difficile. D'altra parte, senza la conquista di questi alleati, è precluso al
proletariato ogni serio movimento rivoluzionario». Qui s'intende che il
proletariatola classe operaiadebba allearsi con i contadini e la piccola
borghesia: «Se si tiene conto delle particolari condizioni nei limiti delle
quali va visto il grado di sviluppo politico degli strati contadini e piccoli
borghesi in Italia, è facile comprendere come la conquista di questi strati
sociali comporti per il partito una particolare azione [...]» Foto
segnaletica di Gramsci del 1933 «La lotta per la conquista diretta del potere è
un passo al quale questi strati sociali potranno solo accedere per gradi [...]
il primo passo attraverso il quale bisogna condurre questi strati sociali è
quello che li porti a pronunciarsi sul problema istituzionale e costituzionale.
L'inutilità della Monarchia è ormai compresa da tutti i lavoratori [...] a
questo obiettivo deve improntarsi la tattica del partito senza tema di apparire
poco rivoluzionario. Deve fare sua prima degli altri partiti in lotta contro il
fascismo la parola d'ordine della Costituente». Ma l'azione del partito «deve
essere intesa a svalutare tutti i programmi di riforma pacifica dimostrando
alla classe lavoratrice come la sola soluzione possibile in Italia risieda
nella rivoluzione proletaria». La richiesta di una Costituente, e dunque
di un'iniziativa politica che si ponesse obiettivi intermedi, avrebbe
comportato necessariamente una convergenza, per quanto temporanea, con altre
forze antifasciste, e se è difficile considerare tale linea politica come
«socialdemocratica», durante le discussioni nel cortile del carcere qualche suo
compagno arrivò a sostenere che egli era ormai fuori del Partito comunista:
probabilmente le reazioni di alcuni «erano esasperate dal clima di detenzione»
ma certo le posizioni di Gramsci dovevano apparire «in contrasto con la linea
politica indicata in quegli anni dal Partito comunista».[94] È in questo
periodo che Gramsci venne a contatto con Sandro Pertini, esponente del PSI e
detenuto anch'egli alla Casa Penale di Turi. I due, nonostante i pensieri politici
differenti, divennero grandi amici e Pertini, anche dopo la scarcerazione,
ricordò spesso nei suoi discorsi il compagno di prigionia e le tristi
condizioni di salute che lo stroncavano[95]. Dal 1931 Gramsci, oltre al morbo
di Pott di cui soffriva fin dall'infanzia, fu colpito da arteriosclerosi e poté
così ottenere una cella individuale; cercò di reagire alla detenzione studiando
ed elaborando le proprie riflessioni politiche, filosofiche e storiche,
tuttavia le condizioni di salute continuarono a peggiorare e in agosto ebbe
un'improvvisa e grave emorragia. La tomba di Gramsci nel Cimitero
acattolico di Roma Anche la moglie Giulia, in Russia, era sofferente di una
seria forma di depressione e rare erano le sue lettere al marito che, all'oscuro
dei motivi dei suoi lunghi silenzi, sentiva crescere intorno a sé il senso di
un opprimente isolamento. Scriveva alla cognata: «Non credere che il sentimento
di essere personalmente isolato mi getti nella disperazione [...] io non ho mai
sentito il bisogno di un apporto esteriore di forze morali per vivere
fortemente la mia vita [...] tanto meno oggi, quando sento che le mie forze
volitive hanno acquistato un più alto grado di concretezza e di validità. Ma
mentre nel passato mi sentivo quasi orgoglioso di sentirmi isolato, ora invece
sento tutta la meschinità, l'aridità, la grettezza di una vita che sia
esclusivamente volontà».[96] Quando la madre morì, il 30 dicembre 1932, i
familiari preferirono non informarlo; il 7 marzo 1933 ebbe una seconda grave crisi,
con allucinazioni e deliri. Si riprese a fatica, senza farsi illusioni sul suo
immediato futuro: «Fino a qualche tempo fa io ero, per così dire, pessimista
con l'intelligenza e ottimista con la volontà [...] Oggi non penso più così.
Ciò non vuol dire che abbia deciso di arrendermi, per così dire. Ma significa
che non vedo più nessuna uscita concreta e non posso più contare su nessuna
riserva di forze».[97] Eppure lo stesso codice penale dell'epoca,
all'art. 176, prevedeva la concessione della libertà condizionata ai carcerati
in gravi condizioni di salute. A Parigi si costituì un comitato, di cui fecero
parte, fra gli altri, Romain Rolland e Henri Barbusse, per ottenere la
liberazione sua e di altri detenuti politici, ma solo il 19 novembre Gramsci
venne trasferito nell'infermeria del carcere di Civitavecchia e poi, il 7
dicembre, nella clinica del dottor Cusumano a Formia, sorvegliato in camera e
all'esterno. Il 25 ottobre 1934 Mussolini accolse finalmente la richiesta di
libertà condizionata, ma Gramsci non rimase libero nei suoi movimenti, tanto
che gli fu impedito di andare a curarsi altrove, perché il governo temeva una
sua fuga all'estero; solo il 24 agosto 1935 poté essere trasferito nella
clinica "Quisisana" di Roma, dove giunse in gravi condizioni, poiché
oltre al morbo di Pott e all'arteriosclerosi soffriva di ipertensione e di
gotta. Il 21 aprile 1937 Gramsci passò dalla libertà condizionata alla
piena libertà, ma era ormai in gravissime condizioni: morì all'alba del 27
aprile, a quarantasei anni, di emorragia cerebrale, nella stessa clinica
Quisisana.[98] Il giorno seguente la cremazione si svolsero i funerali, cui
parteciparono soltanto il fratello Carlo e la cognata Tatiana: le ceneri,
inumate nel cimitero del Verano, furono trasferite l'anno seguente nel Cimitero
acattolico di Roma, nel Campo Cestio. I 33 Quaderni del carcere, non destinati
da Gramsci alla pubblicazione, contengono riflessioni e appunti elaborati
durante la reclusione; iniziati l'8 febbraio 1929, furono definitivamente
interrotti nell'agosto 1935 a causa della gravità delle sue condizioni di
salute. Furono numerati, senza tener conto della loro cronologia, dalla cognata
Tatiana Schucht, che li affidò all'Ambasciata sovietica a Roma da dove furono
inviati a Mosca e, successivamente, conseg Palmiro Togliatti.[99] Dopo la
fine della guerra i Quaderni, curati dal dirigente comunista Felice Platone
sotto la supervisione di Palmiro Togliatti, furono pubblicati dall'editore
Einaudiunitamente alle sue Lettere dal carcere indirizzate ai familiariin sei
volumi, ordinati per argomenti omogenei, con i titoli: Il materialismo
storico e la filosofia di Benedetto Croce, nel 1948 Gli intellettuali e
l'organizzazione della cultura, nel 1949 Il Risorgimento, nel 1949 Note sul
Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno, nel 1949 Letteratura e vita
nazionale, nel 1950 Passato e presente, nel 1951 Nel 1975 i Quaderni furono
pubblicati Valentino Gerratana secondo l'ordine cronologico della loro
elaborazione. Sono stati raccolti in volume anche tutti gli articoli scritti da
Gramsci nell'Avanti!, ne Il Grido del Popolo e ne L'Ordine Nuovo. Il
pensiero di Gramsci L'egemonia Magnifying glass icon mgx2.svg Egemonia culturale. Conquistare la
maggioranza politica di un Paese vuol dire che le forze sociali, che di tale
maggioranza sono espressione, dirigono la politica di quel determinato paese e
dominano le forze sociali che a tale politica si oppongono: significa ottenere
l'egemonia. Vi è distinzione fra direzioneegemonia intellettuale e
moralee dominioesercizio della forza repressiva: «Un gruppo sociale è dominante
dei gruppi avversari che tende a liquidare o a sottomettere anche con la forza
armata, ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale può e
anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è
questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere);
dopo, quando esercita il potere ed anche se lo tiene fortemente in pugno,
diventa dominante ma deve continuare ad essere anche dirigente».[100] La
crisi dell'egemonia si manifesta quando, anche mantenendo il proprio dominio,
le classi sociali politicamente dominanti non riescono più a essere dirigenti
di tutte le classi sociali, non riuscendo più a risolvere i problemi di tutta
la collettività e a imporre la propria concezione del mondo. A quel punto, la
classe sociale subalterna, se riesce a indicare concrete soluzioni ai problemi
lasciati irrisolti dalla classe dominante, può diventare dirigente e,
allargando la propria concezione del mondo anche ad altri strati sociali, può
creare un nuovo «blocco sociale», cioè una nuova alleanza di forze sociali,
divenendo egemone. Il cambiamento dell'esercizio dell'egemonia è un momento
rivoluzionario che inizialmente avviene a livello della sovrastrutturain senso
marxiano, ossia politico, culturale, ideale, morale –, ma poi trapassa nella
società nel suo complesso investendo anche la struttura economica, e dunque
tutto il «blocco storico», termine che in Gramsci indica l'insieme della
struttura e della sovrastruttura, ossia i rapporti sociali di produzione e i
loro riflessi ideologici. Analizzando la storia italiana e il Risorgimento
in particolare, Gramsci rileva che la classe popolare non trovò un proprio
spazio politico e una propria identità, poiché la politica dei liberali di
Cavour concepì «l'unità nazionale come allargamento dello Stato piemontese e
del patrimonio della dinastia, non come movimento nazionale dal basso, ma come
conquista regia».[101] Gramsci ritiene che l'azione della borghesia avrebbe
potuto assumere un carattere rivoluzionario se avesse acquisito l'appoggio di
vaste masse popolari, in particolare dei contadini, che costituivano la
maggioranza della popolazione. Il limite della rivoluzione borghese in Italia
consistette nel non essere capeggiata da un partito giacobino, come in Francia,
dove le campagne, appoggiando la Rivoluzione, furono decisive per la sconfitta
delle forze della reazione aristocratica. Cavour Il partito
politico italiano allora più avanzato fu il Partito d'Azione di Mazzini e
Garibaldi, che non seppe impostare il problema dell'alleanza delle forze
borghesi progressive con la classe contadina: Garibaldi in Sicilia distribuì le
terre demaniali ai contadini, ma gli stessi garibaldini repressero le rivolte
contadine contro i baroni latifondisti. Per conquistare l'egemonia contro i
moderati guidati da Cavour, il Partito d'Azione avrebbe dovuto «legarsi alle
masse rurali, specialmente meridionali, essere giacobino [...] specialmente per
il contenuto economico-sociale: il collegamento delle diverse classi rurali che
si realizzava in un blocco reazionario attraverso i diversi ceti intellettuali
legittimisti-clericali poteva essere dissolto per addivenire ad una nuova
formazione liberale-nazionale solo se si faceva forza in due direzioni: sui
contadini di base, accettandone le rivendicazione di base [...] e sugli
intellettuali degli strati medi e inferiori».[102] Al contrario, i
cavourriani seppero mettersi alla testa della rivoluzione borghese, assorbendo
tanto i radicali che una parte dei loro stessi avversari. Questo avvenne perché
i moderati cavourriani ebbero un rapporto organico con i loro intellettuali che
erano proprietari terrieri e dirigenti industriali come i politici che essi
rappresentavano. Le masse popolari restarono passive nel raggiunto compromesso
fra i capitalisti del Nord e i latifondisti del Sud. Il Piemonte assunse
la funzione di classe dirigente, anche se esistevano altri nuclei di classe
dirigente favorevoli all'unificazione: ma «questi nuclei non volevano dirigere
nessuno, cioè non volevano accordare i loro interessi e aspirazioni con gli
interessi e aspirazioni di altri gruppi. Volevano dominare, non dirigere e
ancora: volevano che dominassero i loro interessi, non le loro persone, cioè
volevano che una forza nuova, indipendente da ogni compromesso e condizione,
divenisse arbitra della Nazione: questa forza fu il Piemonte», che ebbe una
funzione paragonabile a quella di un partito. «Questo fatto è della
massima importanza per il concetto di rivoluzione passiva, che cioè non un
gruppo sociale sia il dirigente di altri gruppi, ma che uno Stato, sia pure
limitato come potenza, sia il dirigente del gruppo che di esso dovrebbe essere
dirigente e possa porre a disposizione di questo un esercito e una forza politica-diplomatica».
Che uno Stato si sostituisca ai gruppi sociali locali nel dirigere la lotta di
rinnovamento «è uno dei casi in cui si ha la funzione di dominio e non di
dirigenza di questi gruppi: dittatura senza egemonia».[103] E dunque per Gramsci
il concetto di egemonia si distingue da quello di dittatura: questa è solo
dominio, quella è capacità di direzione. Nei suoi scritti tuttavia Gramsci non
prese mai posizione contro la dittatura del proletariato né espresse critiche
significative al regime sovietico in Russia. Le classi subalterne
Gustave Courbet, Lo spaccapietre Le classi subalternesottoproletariato,
proletariato urbano, rurale e anche parte della piccola borghesianon sono
unificate e la loro unificazione avviene solo quando giungono a dirigere lo
Stato, altrimenti svolgono una funzione discontinua e disgregata nella storia
della società civile dei singoli Stati, subendo l'iniziativa dei gruppi
dominanti anche quando ad essi si ribellano. Il "blocco
sociale", l'alleanza politica di classi sociali diverse, formato, in
Italia, da industriali, proprietari terrieri, classi medie, parte della piccola
borghesia, non è omogeneo, essendo attraversato da interessi divergenti, ma una
politica opportuna, una cultura e un'ideologia o un sistema di ideologie
impediscono che quei contrasti di interessi, permanenti anche quando siano
latenti, esplodano provocando la crisi dell'ideologia dominante e la
conseguente crisi politica dell'intero sistema di potere. In Italia,
l'esercizio dell'egemonia delle classi dominanti è ed è stata parziale: tra le
forze che contribuiscono alla conservazione di tale blocco sociale è la Chiesa
cattolica, che si batte per mantenere l'unione dottrinale tra fedeli colti e
incolti, tra intellettuali e semplici, tra dominanti e dominati, in modo da
evitare fratture irrimediabili che tuttavia esistono e che essa non è in realtà
in grado di sanare, ma solo di controllare: «la Chiesa romana è sempre stata la
più tenace nella lotta per impedire che ufficialmente si formino due religioni,
quella degli intellettuali e quella delle anime semplici », una lotta che ha
fatto risaltare «la capacità organizzatrice nella sfera della cultura del
clero» che ha dato «certe soddisfazioni alle esigenze della scienza e della
filosofia, ma con un ritmo così lento e metodico che le mutazioni non sono
percepite dalla massa dei semplici, sebbene esse appaiano
"rivoluzionarie" e demagogiche agli "integralisti"
».[104] Anche la dominante cultura d'impronta idealistica, esercitata
dalle scuole filosofiche crociane e gentiliane, non ha «saputo creare una unità
ideologica tra il basso e l'alto, tra i semplici e gli intellettuali», tanto
che essa, anche se ha sempre considerato la religione una mitologia, non ha
nemmeno «tentato di costruire una concezione che potesse sostituire la
religione nell'educazione infantile», e questi pedagogisti, pur essendo non
religiosi, non confessionali e atei, «concedono l'insegnamento della religione
perché la religione è la filosofia dell'infanzia dell'umanità, che si rinnova in
ogni infanzia non metaforica».[105] La cultura laica dominante utilizza la
religione proprio perché non si pone il problema di elevare le classi popolari
al livello di quelle dominanti ma, al contrario, intende mantenerle in una
posizione di subalternità. Le classi dominanti hanno derubricato a
folklore la cultura delle classi subalterne. Gramsci annota l'8 febbraio 1929,
nel I Quaderno, che il folklore «non deve essere concepito come una bizzarria,
una stranezza, una cosa ridicola, una cosa tutt'al più pittoresca; ma deve
essere concepito come una cosa molto seria e da prendere sul serio», e va
studiato in quanto «concezione del mondo e della vita [...] di certi strati
della società [...] determi tempo e nello spazio», cioè del popolo inteso come
«l'insieme delle classi strumentali e subalterne di ogni forma di società
finora esistita». È dunque necessario «mutare lo spirito delle ricerche
folkloriche, oltre che approfondirle ed estenderle».[106][107] La
coscienza di classe Karl Marx La frattura tra gli intellettuali e i
semplici può essere sanata da quella politica che «non tende a mantenere i
semplici nella loro filosofia primitiva del senso comune, ma invece a condurli
a una concezione superiore della vita». L'azione politica realizzata dalla
«filosofia della prassi»così Gramsci chiama il marxismo, non solo per
l'esigenza di celare quanto scrive alla repressiva censura
carcerariaopponendosi alle culture dominanti della Chiesa e dell'idealismo, può
condurre i subalterni a una «superiore concezione della vita. Se afferma
l'esigenza del contatto tra intellettuali e semplici non è per limitare
l'attività scientifica e per mantenere una unità al basso livello delle masse,
ma appunto per costruire un blocco intellettuale-morale che renda politicamente
possibile un progresso intellettuale di massa e non solo di scarsi gruppi
intellettuali».[108] La via che conduce all'egemonia del proletariato passa
dunque per una riforma culturale e morale della società. Tuttavia l'uomo
attivo di massacioè la classe operaia,non è, in generale, consapevole né della
funzione che può svolgere né della sua condizione reale di subordinazione, Il
proletariato, scrive Gramsci, «non ha una chiara coscienza teorica di questo
suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasforma. La sua
coscienza teorica anzi può essere in contrasto col suo operare»; esso opera
praticamente e nello stesso tempo ha una coscienza teorica ereditata dal
passato, accolta per lo più in modo acritico. La reale comprensione critica di
sé avviene «attraverso una lotta di egemonie politiche, di direzioni
contrastanti, prima nel campo dell'etica, poi della politica per giungere a una
elaborazione superiore della propria concezione del reale». La coscienza
politica, cioè l'essere parte di una determinata forza egemonica, «è la prima
fase per una ulteriore e progressiva autocoscienza dove teoria e pratica
finalmente si unificano».[108] Ma autocoscienza critica significa
creazione di un gruppo di intellettuali, organici alla classe, perché per distinguersi
e rendersi indipendenti occorre organizzarsi, e non esiste organizzazione senza
intellettuali, «uno strato di persone specializzate nell'elaborazione
concettuale e filosofica».[109] Già Machiavelli indicava nei moderni
Stati unitari europei l'esperienza che l'Italia avrebbe dovuto far propria per
superare la drammatica crisi emersa nelle guerre che devastarono la penisola
dalla fine del Quattrocento. Il Principe di Machiavelli «non esisteva nella
realtà storica, non si presentava al popolo italiano con caratteri di
immediatezza obiettiva, ma era una pura astrazione dottrinaria, il simbolo del
capo, del condottiero ideale; ma gli elementi passionali, mitici [...] si
riassumono e diventano vivi nella conclusione, nell'invocazione di un principe
realmente esistente».[110] Niccolò Machiavelli In Italia non si
ebbe una monarchia assoluta che unificasse la nazione perché dalla dissoluzione
della borghesia comunale si creò una situazione interna economico-corporativa,
politicamente «la peggiore delle forme di società feudale, la forma meno
progressiva e più stagnante: mancò sempre, e non poteva costituirsi, una forza
giacobina efficiente, la forza appunto che nelle altre nazioni ha suscitato e
organizzato la volontà collettiva nazional-popolare e ha fondato gli Stati
moderni».[111] A questa forza progressiva si oppose in Italia la
«borghesia rurale, eredità di parassitismo lasciata ai tempi moderni dallo
sfacelo, come classe, della borghesia comunale». Forze progressive sono i
gruppi sociali urbani con un determinato livello di cultura politica, ma non
sarà possibile la formazione di una volontà collettiva nazionale-popolare, «se
le grandi masse dei contadini lavoratori non irrompono simultaneamente nella
vita politica. Ciò intendeva il Machiavelli attraverso la riforma della
milizia, ciò fecero i giacobini nella Rivoluzione francese; in questa
comprensione è da identificare un giacobinismo precoce del Machiavelli, il
germe, più o meno fecondo, della sua concezione della rivoluzione
nazionale».[111] Modernamente, il Principe invocato dal Machiavelli non
può essere un individuo reale, concreto, ma un organismo e «questo organismo è
già dato dallo sviluppo storico ed è il partito politico: la prima cellula in
cui si riassumono dei germi di volontà collettiva che tendono a divenire
universali e totali»; il partito è l'organizzatore di una riforma intellettuale
e morale, che concretamente si manifesta con un programma di riforma economica,
divenendo così «la base di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione
di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume».[105] Perché un
partito esista, e diventi storicamente necessario, devono confluire in esso tre
elementi fondamentali: «Un elemento diffuso, di uomini comuni, medi, la
cui partecipazione è offerta dalla disciplina e dalla fedeltà, non dallo
spirito creativo ed altamente organizzativo [...] essi sono una forza in quanto
c'è chi li centralizza, organizza, disciplina, ma in assenza di questa forza
coesiva si sparpaglierebbero e si annullerebbero in un pulviscolo impotente»
«L'elemento coesivo principale [...] dotato di forza altamente coesiva,
centralizzatrice e disciplinatrice e anche, anzi forse per questo, inventiva
[...] da solo questo elemento non formerebbe un partito, tuttavia lo formerebbe
più che il primo elemento considerato. Si parla di capitani senza esercito, ma
in realtà è più facile formare un esercito che formare dei capitani» «Un
elemento medio, che articoli il primo col secondo elemento, che li metta a
contatto, non solo fisico, ma morale e intellettuale».[112] Gramsci negli
scritti compresi fra il 1919 e il 1926 ribadì i principi espressi dalla Terza
Internazionale, insistendo sulla "disciplina ferrea" del partito e
contestando qualsiasi forma di "frazionismo". Socialisti e
sindacalisti venivano pesantemente criticati e messi sullo stesso piano del
regime fascista. Per Gramsci, tutti gli uomini sono intellettuali, dal
momento che «non c'è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento
intellettuale, non si può separare l'homo faber dall'homo sapiens»,[113] in
quanto, indipendentemente della sua professione specifica, ognuno è a suo modo
«un filosofo, un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del
mondo, ha una consapevole linea di condotta morale», ma non tutti gli uomini
hanno nella società la funzione di intellettuali. Storicamente si formano
particolari categorie di intellettuali, «specialmente in connessione coi gruppi
sociali più importanti e subiscono elaborazioni più estese e complesse in
connessione col gruppo sociale dominante». Un gruppo sociale che tende
all'egemonia lotta «per l'assimilazione e la conquista ideologica degli
intellettuali tradizionali [...] tanto più rapida ed efficace quanto più il
gruppo dato elabora simultaneamente i propri intellettuali organici».[111]
L'intellettuale tradizionale è il letterato, il filosofo, l'artista e perciò,
nota Gramsci, «i giornalisti, che ritengono di essere letterati, filosofi,
artisti, ritengono anche di essere i veri intellettuali», mentre modernamente è
la formazione tecnica a formare la base del nuovo tipo di intellettuale, un
costruttore, organizzatore, persuasorema non assolutamente il vecchio oratore,
formatosi sullo studio dell'eloquenza «motrice esteriore e momentanea degli
affetti e delle passioni»il quale deve giungere «dalla tecnica-lavoro alla
tecnica-scienza e alla concezione umanistica storica, senza la quale si rimane
specialista e non si diventa dirigente».[114] Il gruppo sociale
emergente, che lotta per conquistare l'egemonia politica, tende a conquistare
alla propria ideologia l'intellettuale tradizionale mentre, nello stesso tempo,
forma i propri intellettuali organici. L'organicità degli intellettuali si
misura con la maggiore o minore connessione con il gruppo sociale cui essi
fanno riferimento: essi operano tanto nella società civilel'insieme degli
organismi privati in cui si dibattono e si diffondono le ideologie necessarie
all'acquisizione del consenso, apparentemente dato spontaneamente dalle grandi
masse della popolazione alle scelte del gruppo sociale dominantequanto nella
società politica, dove si esercita il «dominio diretto o di comando che si
esprime nello Stato e nel governo giuridico». Gli intellettuali sono così «i
commessi del gruppo dominante per l'esercizio delle funzioni subalterne
dell'egemonia sociale e del governo politico, cioè: 1) del consenso spontaneo
dato dalle grandi masse della popolazione all'indirizzo impresso alla vita
sociale dal gruppo fondamentale dominante [...] 2) dell'apparato di coercizione
statale che assicura legalmente la disciplina di quei gruppi che non
consentono».[115] Come lo Stato, nella società politica, tende a
unificare gli intellettuali tradizionali con quelli organici, così nella
società civile il partito politico, ancor più compiutamente e organicamente
dello Stato, elabora «i propri componenti, elementi di un gruppo sociale nato e
sviluppatosi come economico, fino a farli diventare intellettuali politici
qualificati, dirigenti, organizzatori di tutte le attività e le funzioni
inerenti all'organico sviluppo di una società integrale, civile e
politica».[109] Il compito della “riforma intellettuale e morale” non potrà che
essere ancora degli intellettuali organici, non cristallizzati, che la
determineranno e organizzeranno, adeguando la cultura anche alle sue funzioni
pratiche, addivenendo a una nuova organizzazione della cultura. Il partito
comunista si pone, per Gramsci, come sintesi attiva di questo processo:
intellettuale collettivo di avanguardia, la direzione politica di classe
lotterà per l'egemonia. Il partito comunista, per Gramsci, è intellettuale
collettivo; e l'intellettuale comunista è organico alla classe e dunque a
questo collettivo perché fa parte del blocco storico-sociale che deve costruire
il nuovo mondo. Pur essendo sempre stati legati alle classi dominanti,
ottenendone spesso onori e prestigio, gli intellettuali italiani non si sono
mai sentiti organici, hanno sempre rifiutato, in nome di un loro astratto
cosmopolitismo, ogni legame con il popolo, del quale non hanno mai voluto riconoscere
le esigenze né interpretare i bisogni culturali. In molte linguein russo,
in tedesco, in franceseil significato dei termini «nazionale» e «popolare»
coincidono: «in Italia, il termine nazionale ha un significato molto ristretto
ideologicamente e in ogni caso non coincide con popolare, perché in Italia gli
intellettuali sono lontani dal popolo, cioè dalla nazione e sono invece legati
a una tradizione di casta, che non è mai stata rotta da un forte movimento
popolare o nazionale dal basso: la tradizione è libresca e astratta e
l'intellettuale tipico moderno si sente più legato ad Annibal Caro o a Ippolito
Pindemonte che a un contadino pugliese o siciliano».[116] Dall'Ottocento,
in Europa, si è assistito a un fiorire della letteratura popolare, dai romanzi
di appendice del Sue o di Ponson du Terrail, ad Alexandre Dumas, ai racconti
polizieschi inglesi e americani; con maggior dignità artistica, alle opere del
Chesterton e di Dickens, a quelle di Victor Hugo, di Émile Zola e di Honoré de
Balzac, fino ai capolavori di Fëdor Michajlovič Dostoevskij e di Lev Tolstoj.
Nulla di tutto questo in Italia: qui la letteratura non si è diffusa e non è
stata popolare, per la mancanza di un blocco nazionale intellettuale e morale
tanto che l'elemento intellettuale italiano è avvertito come più straniero
degli stranieri stessi. Fa eccezione, per Gramsci, il melodramma, che ha tenuto
in qualche modo in Italia il ruolo nazionale-popolare sostenuto altrove dalla
letteratura. Alessandro Manzoni ritratto da Francesco Hayez Il
pubblico italiano cerca la sua letteratura all'estero perché la sente più sua
di quella nazionale: è questa la dimostrazione del distacco, in Italia, fra
pubblico e scrittori: «Ogni popolo ha la sua letteratura, ma essa può venirgli
da un altro popolo [...] può essere subordinato all'egemonia intellettuale e
morale di altri popoli. È questo spesso il paradosso più stridente per molte
tendenze monopolistiche di carattere nazionalistico e repressivo: che mentre si
costruiscono piani grandiosi di egemonia, non ci si accorge di essere oggetto
di egemonie straniere; così come, mentre si fanno piani imperialistici, in
realtà si è oggetto di altri imperialismi». Hanno fallito nel compito di
elaborare la coscienza morale del popolo, non diffondendo in esso un moderno
umanesimo, tanto gli intellettuali laici quanto i cattolici: la loro
insufficienza è «uno degli indizi più espressivi dell'intima rottura che esiste
tra la religione e il popolo: questo si trova in uno stato miserrimo di
indifferentismo e di assenza di una vivace vita spirituale; la religione è
rimasta allo stato di superstizione [...] l'Italia popolare è ancora nelle
condizioni create immediatamente dalla Controriforma: la religione, tutt'al
più, si è combinata col folclore pagano ed è rimasta in questo
stadio».[117] Sono rimaste famose le note di Gramsci sul Manzoni: lo
scrittore più autorevole, più studiato nelle scuole e probabilmente il più
popolare, è una dimostrazione del carattere non nazionale-popolare della
letteratura italiana; ecco le parole dai Quaderni del carcere, confrontandolo
con Tolstoj: «Il carattere aristocratico del cattolicismo manzoniano appare dal
compatimento scherzoso verso le figure di uomini del popolo (ciò che non appare
in Tolstoj), come fra Galdino (in confronto di frate Cristoforo), il sarto,
Renzo, Agnese, Perpetua, la stessa Lucia [...] i popolani, per il Manzoni, non
hanno vita interiore, non hanno personalità morale profonda; essi sono animali
e il Manzoni è benevolo verso di loro proprio della benevolenza di una cattolica
società di protezione di animali [...] niente dello spirito popolare di
Tolstoi, cioè dello spirito evangelico del cristianesimo primitivo.
L'atteggiamento del Manzoni verso i suoi popolani è l'atteggiamento della
Chiesa Cattolica verso il popolo: di condiscendente benevolenza, non di
immediatezza umana [...] vede con occhio severo tutto il popolo, mentre vede
con occhio severo i più di coloro che non sono popolo; egli trova magnanimità,
alti pensieri, grandi sentimenti, solo in alcuni della classe alta, in nessuno
del popolo [...] non c'è popolano che non venga preso in giro e canzonato [...]
Vita interiore hanno solo i signori: fra Cristoforo, il Borromeo, l'Innominato,
lo stesso don Rodrigo [...] il suo atteggiamento verso il popolo non è
popolare-nazionale ma aristocratico».[118] Una classe che muova alla
conquista dell'egemonia non può non creare una nuova cultura, che è essa stessa
espressione di una nuova vita morale, un nuovo modo di vedere e rappresentare
la realtà; naturalmente, non si possono creare artificialmente artisti che
interpretino questo nuovo mondo culturale, ma «un nuovo gruppo sociale che
entra nella vita storica con atteggiamento egemonico, con una sicurezza di sé
che prima non aveva, non può non suscitare dal suo seno personalità che prima
non avrebbero trovato una forza sufficiente per esprimersi compiutamente».
Intanto, nella creazione di una nuova cultura, è parte la critica della civiltà
letteraria presente, e Gramsci vede nella critica svolta da Francesco De
Sanctis un esempio privilegiato: Francesco De Sanctis ritratto da
Saverio Altamura «La critica del De Sanctis è militante, non frigidamente
estetica, è la critica di un periodo di lotte culturali, di contrasti tra
concezioni della vita antagonistiche. Le analisi del contenuto, la critica
della struttura delle opere, cioè della coerenza logica e storica-attuale delle
masse di sentimenti rappresentati artisticamente, sono legate a questa lotta
culturale: proprio in ciò pare consista la profonda umanità e l'umanesimo del De
Sanctis [...] Piace sentire in lui il fervore appassionato dell'uomo di parte
che ha saldi convincimenti morali e politici e non li nasconde». Il De Sanctis
opera nel periodo risorgimentale, in cui si lotta per creare una nuova cultura:
di qui la differenza con il Croce, che vive sì gli stessi motivi culturali, ma
nel periodo della loro affermazione, per cui «la passione e il fervore
romantico si sono composti nella serenità superiore e nell'indulgenza piena di
bonomia». Quando poi quei valori culturali, così affermatisi, sono messi in
discussione, allora in Croce «subentra una fase in cui la serenità e
l'indulgenza s'incrinano e affiora l'acrimonia e la collera a stento repressa:
fase difensiva non aggressiva e fervida, e pertanto non confrontabile con quella
del De Sanctis».[119] Per Gramsci, una critica letteraria marxistica può
avere nel critico campano un esempio, dal momento che essa deve fondere, come
De Sanctis fece, la critica estetica con la lotta per una cultura nuova,
criticando il costume, i sentimenti e le ideologie espresse nella storia della
letteratura, individuandone le radici nella società in cui quegli scrittori si
trovavano a operare. Non a caso, Gramsci progettava nei suoi Quaderni un
saggio che intendeva intitolare «I nipotini di padre Bresciani», dal nome del
gesuita Antonio Bresciani (1798-1862), tra i fondatori e direttore della
rivista La Civiltà Cattolica e scrittore di romanzi popolari d'impronta
reazionaria; uno di essi, L'ebreo di Verona, fu stroncato in un famoso saggio
del De Sanctis. I nipotini di padre Bresciani sono, per Gramsci, gli
intellettuali e i letterati contemporanei portatori di una ideologia
reazionaria, sia essa cattolica che laica, con un «carattere tendenzioso e
propagandistico apertamente confessato».[120] Fra i «nipotini» Gramsci
individua, oltre a molti scrittori ormai dimenticati, Antonio Beltramelli, Ugo
Ojetti«la codardia intellettuale dell'uomo supera ogni misura normale»Alfredo
Panzini, Goffredo Bellonci, Massimo Bontempelli, Umberto Fracchia, Adelchi Baratono«l'agnosticismo
del Baratono non è altro che vigliaccheria morale e civile [...] Baratono
teorizza solo la propria impotenza estetica e filosofica e la propria
coniglieria»Riccardo Bacchelli«nel Bacchelli c'è molto brescianesimo, non solo
politico-sociale, ma anche letterario: la Ronda fu una manifestazione di
gesuitismo artistico»Salvator Gotta, «di Salvator Gotta si può dire ciò che il
Carducci scrisse del Rapisardi: Oremus sull'altare e flatulenze in sagrestia;
tutta la sua produzione letteraria è brescianesca», Giuseppe Ungaretti.
Secondo Gramsci «la vecchia generazione degli intellettuali è fallita (Papini,
Prezzolini, Soffici, ecc.) ma ha avuto una giovinezza. La generazione attuale
non ha neanche questa età delle brillanti promesse, Titta Rosa, Angioletti,
Malaparte, ecc.). Asini brutti anche da piccoletti».[121] Benedetto Croce,
il più autorevole intellettuale dell'epoca, secondo Gramsci aveva dato alla
borghesia italiana gli strumenti culturali più raffinati per delimitare i
confini fra gli intellettuali e la cultura italiana, da una parte, e il
movimento operaio e socialista dall'altra; è allora necessario mostrare e
combattere la sua funzione di maggior rappresentante dell'egemonia culturale
che il blocco sociale dominante esercita nei confronti del movimento operaio
italiano. Come tale, il Croce combatte il marxismo, cercando di negarne
validità nell'elemento che egli individua come decisivo: quello dell'economia;
Il Capitale di Marx sarebbe per lui un'opera di morale e non di scienza, un tentativo
di dimostrare che la società capitalistica è immorale, diversamente dalla
comunista, in cui si realizzerebbe la piena moralità umana e sociale. La non
scientificità dell'opera maggiore di Marx sarebbe dimostrata dal concetto del
plusvalore: per Croce, solo da un punto di vista morale si può parlare di
plusvalore, rispetto al valore, legittimo concetto economico.
Benedetto Croce Questa critica del Croce è in realtà un semplice sofisma:
il plusvalore è esso stesso valore, è la differenza tra il valore delle merci
prodotte dal lavoratore e il valore della forza-lavoro del lavoratore stesso.
Del resto, la teoria del valore di Marx deriva direttamente da quella
dell'economista liberale inglese David Ricardo la cui teoria del valore-lavoro
«non sollevò nessuno scandalo quando fu espressa, perché allora non
rappresentava nessun pericolo, appariva solo, come era, una constatazione
puramente oggettiva e scientifica. Il valore polemico e di educazione morale e
politica, pur senza perdere la sua oggettività, doveva acquistarla solo con la
Economia critica [Il Capitale di Marx]».[122] La filosofia crociana si
qualifica come storicismo, ossia, seguendo il Vico, la realtà è storia e tutto
ciò che esiste è necessariamente storico ma, conformemente alla natura idealistica
della sua filosofia, la storia è storia dello Spirito, dunque storia
speculativa, di astrazionistoria della libertà, della cultura, del progressonon
è la storia concreta delle nazioni e delle classi: «La storia speculativa può
essere considerata come un ritorno, in forme letterarie rese più scaltre e meno
ingenue dallo sviluppo della capacità critica, a modi di storia già caduti in
discredito come vuoti e retorici e registrati in diversi libri dello stesso
Croce. La storia etico-politica, in quanto prescinde dal concetto di blocco
storico, in cui contenuto economico-sociale e forma etico-politica si
identificano concretamente nella ricostruzione dei vari periodi storici, è
niente altro che una presentazione polemica di filosofemi più o meno interessanti,
ma non è storia [...] la storia del Croce rappresenta figure disossate, senza
scheletro, dalle carni flaccide e cascanti anche sotto il belletto delle veneri
letterarie dello scrittore».[123] L'operazione conservatrice del Croce
storico fa il paio con quella del Croce filosofo: se la dialettica
dell'idealista Hegel era una dialettica dei contrariuno svolgimento della
storia che procede per contraddizionila dialettica crociana è una dialettica
dei distinti: commutare la contraddizione in distinzione significa operare
un'attenuazione, se non un annullamento dei contrasti che nella storia, e
dunque nelle società, si presentano. Tale operazione si manifesta nelle opere
storiche del Croce: la sua Storia d'Europa, iniziando dal 1815 e tagliando
fuori il periodo della Rivoluzione francese e quello napoleonico, «non è altro
che un frammento di storia, l'aspetto passivo della grande rivoluzione che si
iniziò in Francia nel 1789, traboccò nel resto d'Europa con le armate
repubblicane e napoleoniche, dando una potente spallata ai vecchi regimi e
determinandone non il crollo immediato come in Francia, ma la corrosione
riformistica che durò fino al 1870».[124] Analoga è l'operazione operata dal
Croce nella sua Storia d'Italia dal 1871 al 1915 la quale affronta unicamente
il periodo del consolidamento del regime dell'Italia unita e si «prescinde dal
momento della lotta, dal momento in cui si elaborano e radunano e schierano le
forze in contrasto [...] in cui un sistema etico-politico si dissolve e un
altro si elabora [...] in cui un sistema di rapporti sociali si sconnette e
decade e un altro sistema sorge e si afferma, e invece [Croce] assume
placidamente come storia il momento dell'espansione culturale o
etico-politico» Gramsci, fin dagli anni universitari, fu un deciso
oppositore di quella concezione fatalistica e positivistica del marxismo,
presente nel vecchio partito socialista, per la quale il capitalismo
necessariamente era destinato a crollare da sé, facendo posto a una società
socialista. Questa concezione mascherava l'impotenza politica del partito della
classe subalterna, incapace di prendere l'iniziativa per la conquista
dell'egemonia. Anche il manuale del bolscevico russo Nikolaj Bucharin,
edito nel 1921, La teoria del materialismo storico manuale popolare di
sociologia, si colloca nel filone positivistico: «la sociologia è stata un
tentativo di creare un metodo della scienza storico-politica, in dipendenza di
un sistema filosofico già elaborato, il positivismo evoluzionistico [...] è
diventata la filosofia dei non filosofi, un tentativo di descrivere e
classificare schematicamente i fatti storici, secondo criteri costruiti sul
modello delle scienze naturali. La sociologia è dunque un tentativo di ricavare
sperimentalmente le leggi di evoluzione della società umana in modo da
prevedere l'avvenire con la stessa certezza con cui si prevede che da una
ghianda si svilupperà una quercia. L'evoluzionismo volgare è alla base della
sociologia che non può conoscere il principio dialettico col passaggio dalla
quantità alla qualità, passaggio che turba ogni evoluzione e ogni legge di
uniformità intesa in senso volgarmente evoluzionistico».[125] La
comprensione della realtà come sviluppo della storia umana è solo possibile
utilizzando la dialettica marxianadella quale non vi è traccia nel Manuale del
Bucharinperché essa coglie tanto il senso delle vicende umane quanto la loro
provvisorietà, la loro storicità determinata dalla prassi, dall'azione politica
che trasforma le società. Le società non si trasformano da sé: già Marx
aveva rilevato come nessuna società si ponga compiti per la cui soluzione non
esistano già le condizioni almeno in via di apparizione né essa si dissolve, se
prima non ha svolto tutte le forme di vita che le sono implicite. Il
rivoluzionario si pone il problema di individuare esattamente i rapporti tra
struttura e sovrastruttura per giungere a una corretta analisi delle forze che
operano nella storia di un determinato periodo. L'azione politica
rivoluzionaria, la prassi, per Gramsci è anche catarsi che segna «il passaggio
dal momento meramente economico (o egoistico-passionale) al momento
etico-politico cioè l'elaborazione superiore della struttura in superstruttura
nella coscienza degli uomini. Ciò significa anche il passaggio dall'oggettivo
al soggettivo e dalla necessità alla libertà. La struttura, da forza esteriore
che schiaccia l'uomo, lo assimila a sé, lo rende passivo, si trasforma in mezzo
di libertà, in strumento per creare una nuova forma etico-politica, in origine
di nuove iniziative. La fissazione del momento catartico diventa così, mi pare,
il punto di partenza di tutta la filosofia della prassi; il processo catartico
coincide con la catena di sintesi che sono risultate dallo svolgimento
dialettico». Friedrich Engels La dialettica è dunque strumento di
indagine storica, che supera la visione naturalistica e meccanicistica della
realtà, è unione di teoria e prassi, di conoscenza e azione. La dialettica è
«dottrina della conoscenza e sostanza midollare della storiografia e della
scienza della politica» e può essere compresa solo concependo il marxismo «come
una filosofia integrale e originale che inizia una nuova fase nella storia e
nello sviluppo mondiale in quanto supera (e superando ne include in sé gli
elementi vitali) sia l'idealismo che il materialismo tradizionali espressione
delle vecchie società. Se la filosofia della prassi [il marxismo] non è pensata
che subordinatamente a un'altra filosofia, non si può concepire la nuova
dialettica, nella quale appunto quel superamento si effettua e si
esprime».[126] Il vecchio materialismo è metafisica; per il senso comune
la realtà oggettiva, esistente indipendentemente dall'uomo, è un ovvio assioma,
confortato dall'affermazione della religione per la quale il mondo, creato da
Dio, si trova già dato di fronte a noi. Ma per Gramsci va rifiutata «la
concezione della realtà oggettiva del mondo esterno nella sua forma più
triviale e acritica» dal momento che «a questa può essere mossa l'obbiezione di
misticismo».[127] Se noi conosciamo la realtà in quanto uomini, ed essendo noi
stessi un divenire storico, anche la conoscenza e la realtà stessa sono un
divenire. Come potrebbe esistere un'oggettività extrastorica ed
extraumana e chi giudicherà di tale oggettività? «La formulazione di Engels che
l'unità del mondo consiste nella sua materialità dimostrata dal lungo e
laborioso sviluppo della filosofia e delle scienze naturali contiene appunto il
germe della concezione giusta, perché si ricorre alla storia e all'uomo per
dimostrare la realtà oggettiva. Oggettivo significa sempre umanamente
oggettivo, ciò che può corrispondere esattamente a storicamente soggettivo
[...] . L'uomo conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per tutto
il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario; ma
questo processo di unificazione storica avviene con la sparizione delle
contraddizioni interne che dilaniano la società umana, contraddizioni che sono
la condizione della formazione dei gruppi e della nascita delle ideologie
[...]. C'è dunque una lotta per l'oggettività (per liberarsi dalle ideologie
parziali e fallaci) e questa lotta è la stessa lotta per l'unificazione
culturale del genere umano. Ciò che gli idealisti chiamano spirito non è un
punto di partenza ma di arrivo, l'insieme delle soprastrutture in divenire
verso l'unificazione concreta e oggettivamente universale e non già un
presupposto unitario».[128] La formazione linguistica di Antonio Gramsci
inizia durante gli anni universitari a Torino con la frequentazione delle
lezioni di linguistica generale del prof. Matteo Bartoli. Dal Bartoli Gramsci
apprende che la lingua è un "prodotto sociale" e che non può essere
studiata senza tenere conto della storia generale: ciò vuol dire che non è
possibile comprendere i mutamenti di una data lingua senza riflettere sui
mutamenti sociali, culturali e politici del popolo che la parla.[129] È stato
notato che Gramsci fece aderire le teorie apprese dal Bartoli alle letture
filosofiche che lo formarono politicamente; in primo luogo all'Ideologia
Tedesca di Karl Marx, dove il filosofo affermava che la lingua, come la
coscienza, appartiene alla sfera degli istituti sovrastrutturali, cioè al mondo
dell'organizzazione politica e giuridica della società.[129] Le più
interessanti riflessioni linguistiche gramsciane sono contenute nei Quaderni
del carcere e riguardano da una parte la questione della lingua in Italia,
ovvero lo studio delle ragioni che hanno reso difficile la diffusione di una
lingua nazionale italiana, dall'altra il tema dell'insegnamento linguistico
nelle scuole primarie. Soprattutto il secondo tema è di fondamentale importanza
per Gramsci, perché riguarda direttamente il riscatto culturale delle grandi
masse popolari e la creazione di uno spirito nazionale in grado di superare
ogni forma di particolarismo regionale. L'indagine storica I Quaderni del
carcere sono costellati in maniera asistematica di molte note dedicate a
problemi di caratteri linguistico; queste note tracciano una vera e propria
storia della lingua italiana e racchiudono le riflessioni di Gramsci in merito
alla cosiddetta questione della lingua in Italia. Questo tipo di argomento si
riallaccia a un altro importante tema dei Quaderni ovvero lo studio delle
responsabilità degli intellettuali italiani per la formazione di uno spirito
nazionale unitario. A tal proposito Gramsci scrive: «mi pare che, intesa la
lingua come elemento della cultura e quindi della storia generale e come
manifestazione precipua della nazionalità e popolarità degli intellettuali,
questo studio non sia ozioso e puramente erudito».[130] Nell'affrontare
una ricostruzione storica delle vicende linguistiche italiane Gramsci cerca dei
termini di confronto con altri paesi europei come la Francia: mentre in Francia
il volgare viene usato per la prima volta nella storia per redigere un
documento ufficiale di carattere politico-istituzionale, in Italia il volgare
appare per la registrazione di documenti privati legati al commercio o a
questioni giuridiche: «l'origine della differenziazione storica tra
Italia e Francia si può trovare testimoniata nel giuramento di Strasburgo
(verso l'841), cioè nel fatto che il popolo partecipa attivamente alla storia
(il popolo-esercito) diventando il garante dell'osservanza dei trattati tra i
discendenti di Carlo Magno; il popolo-esercito garantisce giurando in volgare,
cioè introduce nella storia nazionale la sua lingua, assumendo una funzione
politica di primo piano, presentandosi come volontà collettiva, come elemento
di una democrazia nazionale. Questo fatto demagogico dei Carolingi di
appellarsi al popolo nella loro politica estera è molto significativo per
comprendere lo sviluppo della storia francese e la funzione che vi ebbe la
monarchia come fattore nazionale. In Italia i primi documenti di volgare sono
dei giuramenti individuali per fissare la proprietà su certe terre dei
conventi, o hanno un carattere antipopolare («Traite, traite, fili de le
putte»).» (A. Gramsci, Quaderni del carcere, V. Gerratana, Torino,
Einaudi, 1975646.) In Francia i gruppi dirigenti si rendono conto dell'importanza
del popolo negli affari di Stato: la demagogia di cui parla Gramsci è da
intendere, oltre che come strumento di propaganda, anche come un nuovo
atteggiamento politico in grado di crearsi «una propria civiltà statale
integrale»,[131] in cui si stabilisce un rapporto diretto tra governati e
governanti: il popolo diventa testimone di un fatto storico legittimato dal suo
giuramento. Gramsci ricorda nei suoi appunti come in Italia l'uso del
volgare si diffonda con l'avvento dell'età comunale, non solo per la redazione
di documenti privati, tipo atti notarili o giuramenti, ma anche per la
creazione di opere letterarie: in particolare, il volgare toscano, lingua della
borghesia, ottiene un certo successo anche nelle altre regioni. Gramsci scrive:
«fino al Cinquecento Firenze esercita una egemonia culturale, connessa alla sua
egemonia commerciale e finanziaria (papa Bonifazio VIII diceva che i fiorentini
erano il quinto elemento del mondo) e c'è uno sviluppo linguistico unitario dal
basso, dal popolo alle persone colte, rinforzato dai grandi scrittori
fiorentini e toscani. Dopo la decadenza di Firenze, l'italiano diventa sempre
più la lingua di una casta chiusa, senza contatto vivo con una parlata
storica».[132] Da questo momento si verifica una cristallizzazione della
lingua. I promotori del nuovo volgare, provenienti dalla borghesia, non
scrivono più nella lingua della loro classe d'origine perché con essa non
intrattengono più nessun rapporto, nella visione di Gramsci essi «vengono
assorbiti dalle classi reazionarie, dalle corti, non sono letterati borghesi,
ma aulici».[133] In questo senso, Gramsci vede sciupata l'occasione di una
diffusione graduale del volgare toscano su scala nazionale, occasione
compromessa soprattutto dalla frammentazione politica della penisola e dal
carattere elitario dei ceti intellettuali italiani. Gramsci affronta con
maggior vigore la questione della lingua italiana in relazione al periodo
post-unitario; nella seconda metà dell'Ottocento il nuovo Stato Italiano era per
gran parte dialettofono, mentre l'italiano veniva usato solo a livello
letterario e come lingua delle istituzioni. La scarsa diffusione di una lingua
nazionale testimoniava la frammentazione politica e culturale del popolo
italiano; questo fenomeno veniva avvertito come un problema politico,
soprattutto da molti intellettuali di tendenze democratiche come Alessandro
Manzoni. Nella sua ricostruzione storica Gramsci scrive che «anche la
questione della lingua posta dal Manzoni riflette questo problema, il problema
della unità intellettuale e morale della nazione e dello Stato, ricercato
nell'unità della lingua»;[134] eppure, sebbene Gramsci riconosca al Manzoni di
aver compreso la questione linguistica italiana come una questione politica e
sociale, si distingue dall'autore lombardo nel modo di interpretare la
risoluzione del problema. Graziadio Isaia Ascoli Durante il suo
apprendistato glottologico presso il professor Bartoli a Torino Gramsci aveva
avuto modo di confrontare le posizioni del Manzoni con quelle di Graziadio
Isaia Ascoli, autore del Proemio al primo numero dell'Archivio Glottologico
italiano del 1873. Mentre Manzoni prevedeva la diffusione di una lingua
nazionale sul modello fiorentino imposta per decreto statale e per mezzo di
maestri di scuola di origine toscana, Ascoli concepiva la nascita di una lingua
nazionale come il frutto di un'unificazione culturale prima ancora che
linguistica. Secondo Ascoli l'unità culturale e linguistica, prima di
tutto, deve avere un centro irradiante, cioè un determinato 'municipio' in cui
si concentrano e da cui provengono gli elementi essenziali della vita
nazionale: beni di consumo, stimoli culturali, mode, ritrovati della tecnica,
istituti statali e giuridici, ecc. Se quel dato municipio riuscirà a stabilire
un primato politico, economico e culturale su tutta la nazione, riuscirà anche
a diffondere, per conseguenza, il suo particolare idioma. Per Ascoli «una
lingua nazionale altro non può e non deve essere, se non l'idioma vivo di una
data città; deve cioè per ogni parte coincidere con l'idioma spontaneamente
parlato dagli abitatori contemporanei di quel dato municipio, che per questo
capo viene a farsi principe, o quasi stromento livellatore, dell'intiera
nazione».[135] Ascoli, nel suo Proemio, prende la Francia come esempio per
avvalorare la sua tesi; infatti l'unità linguistica francese corrisponde
all'egemonia politico-culturale della città di Parigi: «La Francia
attinge da Parigi la unità della sua favella, perché Parigi è il gran crogiuolo
in cui si è fusa e si fonde l'intelligenza della Francia intera. Dal
vertiginoso movimento del municipio parigino parte ogni impulso dell'universa
civiltà francese; [...] viene da Parigi il nome, perché da Parigi vien la cosa.
E la Francia avendo in questo municipio l'unità assorbente del suo pensiero, vi
ha naturalmente pur quella dell'animo suo; e non solo studia e lavora, ma si
commuove, e in pianto e in riso, così come la metropoli vuole; e quindi è
necessariamente dell'intiera Francia l'intiera favella di Parigi».» (G. I.
Ascoli, Proemio, AGI, n. I, 1873X) Gramsci ricalca la lezione ascoliana nei
suoi Quaderni, dove scrive: «poiché il processo di formazione, di diffusione, e
di sviluppo di una lingua nazionale unitaria avviene attraverso tutto un
complesso di processi molecolari, è utile avere consapevolezza di tutto il
processo nel suo complesso, per essere in grado di intervenire attivamente in
esso col massimo di risultato. Questo intervento non bisogna considerarlo come
decisivo e immaginare che i fini proposti saranno tutti raggiunti nei loro
particolari, che cioè si otterrà una determinata lingua unitaria: si otterrà
una lingua unitaria, se essa è una necessità e l'intervento organizzato
accelererà i tempi del processo già esistente; quale sia per essere questa lingua
non si può prevedere e stabilire [...]».[136] L'insegnamento linguistico
Gramsci, nel Quaderno 29 alla nota Focolai di irradiazione linguistiche nella
tradizione e di un conformismo nazionale linguistico nelle grandi masse compila
un elenco di tutti gli strumenti utili alla diffusione di una lingua unitaria:
«1) La scuola; 2) i giornali; 3) gli scrittori d'arte e quelli popolari; 4) il
teatro e il cinematografo sonoro; 5) la radio; 6) le riunioni pubbliche di ogni
genere, comprese quelle religiose; 7) i rapporti di conversazione tra i vari
strati della popolazione più colti e meno colti [...] ; 8) i dialetti locali,
intesi in sensi diversi (dai dialetti più localizzati a quelli che abbracciano
complessi regionali più o meno vasti: così il napoletano per l'Italia
meridionale, il palermitano o il catanese per la Sicilia ecc.)».[137] Al
primo posto di questo elenco troviamo la scuola; per tradizione, a scuola, gli
insegnanti introducono gli alunni allo studio di una lingua attraverso la
grammatica normativa. Gramsci definisce la grammatica normativa come una «fase
esemplare, come la sola degna di diventare, organicamente e totalitarmente, la
lingua comune di una nazione, in lotta e in concorrenza con le altre fasi e
tipi o schemi che esistono già [...]».[138] Le riflessioni gramsciane in
materia di grammatica si pongono in netto contrasto con la riforma della scuola
realizzata da Giovanni Gentile nel 1923. La riforma, in linea con l'impianto
filosofico idealista gentiliano, prevedeva che l'apprendimento della lingua
nazionale nelle classi elementari si basasse sull'espressione viva o parlata e
non sulla grammatica, considerata questa come una disciplina astratta e
meccanica. Nell'ottica gramsciana questo metodo apparentemente liberale
racchiude uno spiccato carattere classista, in quanto gli scolari appartenenti
alle classi sociali più alte sono avvantaggiati dal fatto che apprendono
l'italiano in famiglia, mentre gli scolari del basso popolo possono contare su
una comunicazione familiare realizzata esclusivamente in dialetto. In questo
senso lo studio della grammatica si presenta come uno strumento in grado di
livellare le differenze sociali degli scolari permettendo a tutti la conoscenza
della lingua nazionale. Secondo Gramsci la conoscenza della lingua nazionale
presso le classi subalterne è fondamentale per la loro organizzazione politica.
Un proletariato dialettofono non può partecipare alla vita politica di una
nazione e non può sperare di crearsi un ceto intellettuale in grado di
competere con i ceti intellettuali tradizionali. I dialetti non devono sparire,
ma restare funzionali a un tipo di comunicazione familiare che non può
garantire, per cause interne al suo sistema, «la comunicazione di contenuti
culturali universali, caratteristici della nuova cultura esercitata dal
proletariato»[139] Gramsci prestò attenzione anche alle lingue
morte. Da giovane espresse in più occasioni l'idea che lo studio del latino e
del greco fosse particolarmente utile nella formazione scolastica degli
individui, in quanto esse potevano abituare gli alunni allo studio rigoroso ed
educarli a pensare storicamente. Inoltre, contestò il nazionalismo degli studi
e criticò ripetutamente gli intellettuali che, durante la prima guerra
mondiale, chiedevano che fossero messe al bando le edizioni dei testi antichi e
le grammatiche greche e latine compilate da autori tedeschi[140]. Anche
nei Quaderni del carcere si soffermò sulla questione e ribadì l'utilità
intrinseca del latino e del greco, osservando che erano strumenti importanti
nella fase della formazione scolastica nella quale è necessario un insegnamento
"disinteressato", cioè non legato a questioni pratiche. Gramsci,
però, sottolineò anche che in futuro lo studio delle lingue morte avrebbe
dovuto essere sostituito da altre materie: era un cambiamento difficile, ma
necessario, per promuovere la formazione di un nuovo tipo di
intellettuale.[141] Scrisse nel Quaderno 12: Bisognerà sostituire il
latino e il greco come fulcro della scuola formativa e lo si sostituirà, ma non
sarà agevole disporre la nuova materia o la nuova serie di materie in un ordine
didattico che dia risultati equivalenti di educazione e formazione generale
della personalità, partendo dal fanciullo fino alla soglia della scelta
professionale. In questo periodo infatti lo studio o la parte maggio re dello
studio deve essere (e apparire ai discenti) disinteressato, non avere cioè
scopi pratici immediati o troppo immediati, deve essere formativo, anche se
«istruttivo», cioè ricco di nozioni concrete. (A. Gramsci, Quaderni del
Carcere, V. Gerratana, Einaudi, Torino 19751546)Influenze sul pensiero di
Gramsci Fiabe intrecciate, 2007, Omaggio a Antonio Gramsci, di Maria Lai,
Piazzale del Museo Stazione dell'arte Niccolò Machiavelli — influenzò
fortemente la teoria dello Stato di Gramsci. Karl Marx — filosofo, storico,
critico dell'economia politica e fondatore del materialismo storico Friedrich
Engels Lenin Antonio Labriola — primo notevole teorico marxista italiano,
riteneva che la principale caratteristica del marxismo fosse quella di aver
creato uno stretto nesso fra la storia e la filosofia Georges Sorel —
sindacalista francese e scrittore che ha respinto il principio
dell'inevitabilità del progresso storico. Vilfredo Pareto — economista e
sociologo italiano, noto per la sua teoria sull'interazione fra masse ed élite.
Benedetto Croce — liberale italiano, filosofo anti-marxista e idealista il cui
pensiero fu sottoposto da Gramsci a critica attenta e approfondita. Pensatori
influenzati da Gramsci Magnifying glass icon mgx2.svg Gramscianesimo. Zackie Achmat Eqbal Ahmad
Jalal Al-e-Ahmad Louis Althusser Perry Anderson Giulio Angioni Michael Apple
Giovanni Arrighi Zygmunt Bauman Homi K. Bhabha Gordon Brown Alberto Burgio
Judith Butler Alex Callinicos Partha Chatterjee Marilena Chauí Noam Chomsky
Alberto Mario Cirese Hugo Costa Robert W. Cox Alain de Benoist Biagio de
Giovanni Ernesto de Martino Umberto Eco John Fiske Michel Foucault Paulo Freire
Eugenio Garin Eugene D. Genovese Stephen Gill Paul Gottfried Stuart Hall
Michael Hardt Chris Harman David Harvey Hamish Henderson Eric Hobsbawm Samuel
P. Huntington Alfredo Jaar Bob Jessop Ernesto Laclau Subcomandante Marcos José
Carlos Mariátegui Chantal Mouffe Antonio Negri Luigi Nono Michael Omi Pier
Paolo Pasolini Antonio Pigliaru Michelangelo Pira Juan Carlos Portantiero Nicos
Poulantzas Gyan Prakash William I. Robinson Edward Saïd Ato Sekyi-Otu Gayatri
Chakravorty Spivak Piero Sraffa Edward Palmer Thompson Giuseppe Vacca Paolo
Virno Cornel West Raymond Williams Howard Winant Ludwig Wittgenstein Eric Wolf
Howard Zinn Gramsci al cinema e in televisione Il delitto Matteotti, regia
di Florestano Vancini, (1973) Antonio GramsciI giorni del carcere, regia di
Lino Del Fra, (1977) Vita di Antonio Gramsci, regia di Raffaele Maielloserie TV
(1981) Gramsci, film in forma di rosa, regia di Gabriele Morleocortometraggio
(2005) Gramsci 44, regia di Emiliano Barbucci () Nel mondo grande e terribile,
regia di Daniele Maggioni, Maria Grazia Perria e Laura Perini () Gramsci nel
teatro Compagno Gramsci, di Maricla Boggio e Franco Cuomo, regia di Maricla
Boggio, (1971-72) Gramsci nella musica Quello lì (compagno Gramsci), canzone di
Claudio Lolli contenuta nell'album Un uomo in crisi. Canzoni di morte. Canzoni
di vita (1973) Piazza Fontana, canzone dei Yu Kung contenuta nell'album Pietre
della mia gente (1975) Nino, canzone dei Gang contenuta nell'album Sangue e
Cenere () Gramsci, il teatro e la musica È nota la passione di Gramsci per il
teatro e per la musica, che si può leggere nelle lettere scritte a Tania[142].
Egli ha scritto circa il melodrama “verdiano” che per lui segnava l’apertura
dei teatri al pubblico, svolgendo una funzione conoscitiva, pedagogica e
politica in senso generale. Per Gramsci l’opera diviene l’arte più popolare e i
teatri aperti i luoghi dove si esercitava parte del conflitto politico.
Una frase quasi ironica di Gramsci da citare, per quanto riguarda l’importanza
dell’opera per l’Italia: “siccome il popolo non è letterato e di letteratura
conosce solo il libretto d'opera ottocentesco, avviene che gli uomini del
popolo melodrammatizzino”[143]. Nelle sue lettere si può leggere anche
riguardo alla moda europea del jazz; egli sostiene che questa musica aveva
conquistato uno strato dell’Europa colta e aveva creato un vero fanatismo[144].Opere
Alcuni temi della questione meridionale, in Lo Stato Operaio, a. IV, n. 1,
gennaio 1930, ma ottobre 1926. Opere di Antonio Gramsci (12 voll.) Lettere dal
carcere, Torino, Einaudi, 1947; premio Viareggio[145], con centodiciannove
lettere inedite, 1965. I quaderni dal carcere Il materialismo storico e la
filosofia di Benedetto Croce, Torino, Einaudi, 1948. Gli intellettuali e
l'organizzazione della cultura, Torino, Einaudi, 1948. Il Risorgimento, Torino,
Einaudi, 1949. Note sul Machiavelli sulla politica e sullo stato moderno,
Torino, Einaudi, 1949. Letteratura e vita nazionale, Torino, Einaudi, 1950.
Passato e presente, Torino, Einaudi, 1951. L'Ordine Nuovo. 1919-1920, Torino,
Einaudi, 1954. Scritti giovanili. 1914-1918, Torino, Einaudi, 1958. Sotto la mole.
1916-1920, Torino, Einaudi, 1960. Socialismo e fascismo. L'Ordine Nuovo
1921-1922, Torino, Einaudi, 1966. La costruzione del Partito comunista.
1923-1926, Torino, Einaudi, 1971. L'albero del riccio, Milano, Milano-sera,
1948. Americanismo e fordismo, Milano, Ed. cooperativa Libro popolare, 1949.
Ultimo discorso alla Camera. 16 maggio 1925, Padova, R. Guerrini, 1958.
Antologia popolare degli scritti e delle lettere di Antonio Gramsci, Roma,
Editori Riuniti, 1957. Il Vaticano e l'Italia, Roma, Editori Riuniti, 1961.
Note sulla situazione italiana 1922-1924, Milano, Rivista storica del
socialismo, 1962. 2000 pagine di Gramsci Nel tempo della lotta. 1914-1926,
Milano, Il Saggiatore, 1964. Lettere edite e inedite. 1912-1937, Milano, Il
Saggiatore, 1964. Elementi di politica, Roma, Editori Riuniti, 1964. La
formazione dell'uomo. Scritti di pedagogia, Roma, Editori Riuniti, 1967.
Scritti politici La guerra, la rivoluzione russa e i nuovi problemi del
socialismo italiano, 1916-1919, Roma, Editori Riuniti, 1967. Il Biennio rosso,
la crisi del socialismo e la nascita del Partito comunista, 1919-1921, Roma,
Editori Riuniti, 1967. Il nuovo partito della classe operaia e il suo
programma. La lotta contro il fascismo, 1921-1926, Roma, Editori Riuniti, 1973.
Scritti 1915-1921, Milano, I quaderni de Il corpo, 1968. Dibattito sui Consigli
di fabbrica, Roma, La nuova sinistra, 1971. Paolo Spriano , Scritti politici,
Roma, Editori Riuniti, 1971. L'alternativa pedagogica, Firenze, La nuova
Italia, 1972. I consigli e la critica operaia alla produzione, Milano, Servire
il popolo, 1972. La lotta per l'edificazione del Partito comunista, Milano,
Servire il popolo, 1972. Il pensiero di Gramsci, Roma, Editori Riuniti, 1972.
Il pensiero filosofico e storiografico di Antonio Gramsci, Palermo, Palumbo,
1972. Resoconto dei lavori del III congresso del P.C.D.I. (Lione, 26 gennaio
1926), Milano, Cooperativa editrice distributrice proletaria, 1972. Scritti sul
sindacato, Milano, Sapere, 1972. Sul fascismo, Roma, Editori Riuniti, 1973. Quaderni
del carcere Quaderni 1-5. (1929-1932), Torino, Einaudi, 1975. Quaderni 6-11.
(1930-1933), Torino, Einaudi, 1975. Quaderni 12-29. (1932-1935), Torino,
Einaudi, 1975. Apparato critico, Torino, Einaudi, 1975. La rivoluzione
italiana, Roma, Newton Compton, 1976. Arte e folclore, Roma, Newton Compton,
1976. Scritti 1915-1921. Inediti da Il Grido del Popolo e dall'Avanti. Con una
antologia da Il Grido del Popolo, Milano, Moizzi, 1976. Ricordi politici e
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fondazione del partito, al Congresso di Lione, Livorno, Edizioni Gramsci, 1977.
Scritti sul sindacato, Roma, Nuove edizioni operaie, 1977. A Delio e Giuliano,
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di Ghilarza, Centro milanese, 1978. Favole di libertà, Firenze, Vallecchi,
1980. Scritti 1913-1926 Cronache torinesi. 1913-1917, Torino, Einaudi, 1980. La
città futura. 1917-1918, Torino, Einaudi, 1982. Il nostro Marx. 1918-1919,
Torino, Einaudi, 1984. L'Ordine nuovo, 1919-1920, Torino, Einaudi, 1987. Nuove
lettere di Antonio Gramsci. Con altre lettere di Piero Sraffa, Roma, Editori
Riuniti, 1986. Forse rimarrai lontana.... Lettere a Iulca, 1922-1937, Roma,
Editori Riuniti, 1987. Gramsci al confino di Ustica. Nelle lettere di Gramsci,
di Berti e di Bordiga, Roma, Editori Riuniti, 1987. Le sue idee nel nostro
tempo, Milano, l'Unità, 1987. Lettere dal carcere, con nuove lettere in parte
inedite, 2 voll., Roma, l'Unità, 1988. Il rivoluzionario qualificato. Scritti
1916-1925, Roma, Delotti, 1988. Il giornalismo, Roma, Editori Riuniti, 1991.
Lettere, 1908-1926, Torino, Einaudi, 1992. Per una preparazione ideologica di
massa: introduzione al primo corso della scuola interna di partito,
aprile-maggio 1925, Napoli, Laboratorio politico, 1994. Scritti di economia
politica, Bollati Boringhieri, Torino 1994. Vita attraverso le lettere,
1908-1937, Torino, Einaudi, 1994. Disgregazione sociale e rivoluzione. Scritti
sul Mezzogiorno, Napoli, Liguori, 1996. Piove, Governo ladro. Satire e
polemiche sul costume degli italiani, Roma, Editori Riuniti, 1996. Contro la
legge sulle associazioni segrete, Roma, Manifestolibri, 1997. Lettere,
1926-1935, Torino, Einaudi, 1997. Le opere, Roma, Editori Riuniti, 1997.
Critica letteraria e linguistica, Roma, Lithos, 1998. Il lettore in catene. La
critica letteraria nei Quaderni, Roma, Carocci, 2004. La nostra città futura.
Scritti torinesi, 1911-1922, Roma, Carocci, 2004. Pensare l'Italia, Roma, Nuova
iniziativa editoriale, 2004. Scritti sulla Sardegna. La memoria familiare,
l'analisi della questione sarda, Nuoro, Ilisso, 2008. Scritti rivoluzionari.
Dal biennio rosso al Congresso di Lione (1919-1926), Orlando Micucci, Camerano,
Gwynplaine, 2008. Quaderni del carcere. Edizione anastatica dei manoscritti, 18
voll., Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana-Cagliari-L'Unione Sarda,
2009. Epistolario 1906-1922, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009.
Epistolario gennaio-novembre 1923, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, .
Antologia, Antonio A. Santucci, prefazione di Guido Liguori, Roma, Editori
Riuniti university press, . Il teatro lancia bombe nei cervelli. Articoli,
critiche, recensioni 1915-1920, Fabio Francione, Mimesis Edizioni . La taglia
della storia. Idea e prassi della rivoluzione, NovaEuropa Edizioni, .Note
Luigi Manias, Antonio Sebastiano Francesco Gramsci, Marmilla Cultura, 28
gennaio . 17 aprile . International
Gramsci Society, su internationalgramscisociety.org. Genealogia dei Gramsci (JPG), su
albanianews.it. Luigi Manias, Ma quando
è nato Antonio Gramsci?, Marmilla Cultura, 21 gennaio . 17 aprile . Luigi Manias, Ales. La sua storia. I suoi
problemi, Marmilla Cultura, 14 marzo . 17 aprile . Così Gramsci ricordava con ironia l'episodio,
nella lettera dal carcere alla cognata Tatiana, il 7 settembre 1931,
aggiungendo che «una zia sosteneva che ero risuscitato quando lei mi unse i
piedini con l'olio di una lampada dedicata a una Madonna e perciò, quando mi
rifiutavo di compiere gli atti religiosi, mi rimproverava aspramente,
ricordando che alla Madonna dovevo la vita»
«Noi eravamo tutti molto piccoli. Lei dunque doveva anche accudire alla
casa. Trovava il tempo per i lavori di cucito rinunziando al sonno». Così
ricordava quegli anni la sorella Teresina Gramsci, in Fiori, 199518 Lettera a Tatiana Schucht, 3 ottobre 1932:
così Gramsci scriveva per invitare la cognata a non eccedere nelle sue
preoccupazioni sulla sua vita di carcerato. La lettera prosegue infatti: «Ho
conosciuto quasi sempre solo l'aspetto più brutale della vita e me la sono
sempre cavata, bene o male» Lettera a
Tatiana Schucht, 12 settembre 1932
Numerose sono le richieste di denaro al padre: il 10 febbraio 1910 gli
scrive di essere «proprio indecente con questa giacca che ha già due anni ed è
spelacchiata e lucida [...] oggi non sono andato a scuola perché mi son dovuto
risuolare le scarpe» e, il 16 febbraio, che «per non farvi vergognare non sono
uscito di casa per dieci giorni interi»
Fonzo, 15-22. Testimonianza in Fiori, 199565 Testimonianza della sorella Teresina in
Fiori, 199566 Fiori, 199566. L'articolo è riportato in Fiori, 199569. Riportato in A. Gramsci, Scritti politici53-55. Antonio Gramsci, Dizionario di Storia,
Treccani [...] «io pensavo allora che
bisognava lottare per l'indipendenza nazionale della regione: "Al mare i
continentali". Poi ho conosciuto la classe operaia di una città
industriale e ho capito ciò che realmente significavano le cose di Marx che
avevo letto prima per curiosità intellettuale». Cfr. A. Gramsci, lettera a
Giulia Schucht, 6 marzo 1924, in A. Gramsci, Lettere 1908-1926, 1992, 271-273.
Gramsci e l'isola laboratorio, La Nuova Sardegna A. Gramsci. Lettere. 1908-192655 Progettando, in carcere, uno studio di
linguistica comparata, mai realizzato, in una lettera dal carcere del 19 marzo
1927 alla cognata Tatiana, ricorda come «uno dei maggiori "rimorsi"
intellettuali della mia vita è il dolore profondo che ho procurato al mio buon
professor Bartoli dell'Torino, il quale era persuaso essere io l'arcangelo
destinato a profligare definitivamente i "neogrammatici"» della
linguistica. Tuttavia già nel 2003 l'economista Amartya Sen aveva avanzato
l'ipotesi che il passaggio ai giochi linguistici di Ludwig Wittgenstein nelle
Ricerche filosofiche fosse stato ispirato dai Quaderni dal carcere. Nel suo
recente studio Gramsci and Wittgenstein: an intriguing connection, Franco Lo
Pipero ha aggiunto nuovi elementi che dimostrano il collegamento fra Gramsci e
Wittgenstein tramite Piero Sraffa. Infatti il filosofo viennese venne a
conoscenza del Quaderno 29 nel 1935, grazie proprio al suo amico Sraffa che
aveva conosciuto a Cambridge nel 1929
Lettera dal carcere del 23 febbraio 1931: in essa Gramsci ricorda ancora
un simpatico e patetico episodio. Dopo la rottura avvenuta ala fine del 1920, a
causa di quell'articolo che fece «piangere come un bambino e stette chiuso in
casa [il Cosmo] per alcuni giorni», essi s'incontrarono nel 1922
nell'Ambasciata d'Italia a Berlino, dove il professore era segretario: «il
Cosmo mi si precipitò addosso, inondandomi di lacrime e di barba e dicendo a
ogni momento: Tu capisci perché! Tu capisci perché! Era in preda a una
commozione che mi sbalordì, ma mi fece capire quanto dolore gli avessi
procurato nel 1920 e come egli intendesse l'amicizia per i suoi allievi di
scuola» Lettera dal carcere a Tatiana
Schucht del 17 agosto 1931 In Fiori,
1995103 In Fiori, 1995105 In Fiori, 1995, 108-9
In Fiori, 1995112 In A. Gramsci,
Scritti politici, I56-59 Davico12. Lettera dal carcere a Tatiana Schucht del 7
settembre 1931 Lettera dal carcere a
Tatiana Schucht del 19 marzo 1927
Recensione del 24 marzo 1917
Recensione del 4 aprile 1917
Recensione del 5 ottobre 1917
Spriano, 1972, 373. Note sulla rivoluzione russa, ne Il Grido del
Popolo, 29 aprile 1917, in Gramsci, 1971,
59-60 I massimalisti russi, ne Il
Grido del Popolo, 28 luglio 1917, in Gramsci, 197166 Spriano, 1972260. La rivoluzione contro il «Capitale»,
nell'Avanti!, 24 novembre 1918, in Gramsci, 1971, 80-1
Nella lettera dell'8 marzo 1881 Marx scriveva a Vera Zasulič che la
tipica proprietà comune agricola russa poteva essere salvata dalla distruzione
minacciata dallo sviluppo dei rapporti capitalistici: «Per salvare la comune
russa, occorre una rivoluzione russa. Se la rivoluzione scoppierà a tempo
opportuno, se l'intelligencija concentrerà tutte le forze «vive del paese»
nell'assicurare alla comune agricola un libero spiegamento, allora la comune
ben presto evolverà come elemento di rigenerazione della società russa e,
insieme, di superiorità sui paesi ancora asserviti dal regime capitalistico».
Inoltre, nella prefazione all'edizione russa del Manifesto del 1882, Marx ed
Engels avevano scritto che «l'odierna proprietà comune potrà servire di
partenza per una evoluzione comunista». È anche vero, tuttavia, almeno nel caso
della lettera alla Zasulič, che Gramsci all'epoca non poteva conoscerne il
contenuto, perché il documento sarebbe stato reso pubblico solo nel 1924. (Cfr.
Ettore Cinella, L'altro Marx, Della Porta Editori, Pisa-Genova, , 142-143). A. Gramsci, Ordine Nuovo, 14 agosto
1920 A. Gramsci, ibidem Corriere
della Sera, 9 marzo 1920 Archivio
Centrale dello Stato, Min. Int., Dir. Gen. PS, 1920, C 2, b 50 Ordine Nuovo, 8 maggio 1920, in Scritti
politici, II, 102-108 Concluso l'8 ottobre 1919 con un ordine del
giorno che prospettava la conquista violenta del potere e la dittatura del
proletariato Per un rinnovamento del
Partito socialista, ne L’ordine Nuovo, 8 maggio 1920, in Gramsci, 1971, 315-21
Il 30 luglio Lenin, nel suo discorso all'Internazionale Comunista,
invitando a espellere dal partito socialista l'ala destra riformista, disse che
«all'indirizzo dell'Internazionale Comunista corrisponde l'indirizzo dei
militanti dell'Ordine Nuovo e non l'indirizzo dell'attuale maggioranza dei
dirigenti del partito socialista e del loro gruppo parlamentare». Lenin, Opere,
XXV, p.355 Ordine Nuovo, 4 dicembre
1920, in Scritti politici, II172 GRAMSCI
La sposa mandata da Lenin Lettera del 30
giugno 1924, in A. Gramsci, Lettere 1908-1926
Lettera dal carcere del 18 aprile 1927
Un profilo di Antonio Gramsci junior, su channelingstudio.ru. Su alcune note di uno sconosciuto bolscevico
Vladimir Diogotche sosteneva, fra l'altro, di essere a conoscenza di un
tentativo di rovesciamento della monarchia italiana da parte di Nitti in
accordo con i socialistilo storico Jaroslav Leontiev ha sostenuto nel 1999 che
la conoscenza tra Gramsci e la Schucht sia stata "pilotata" da Lenin
in persona: cfr. Link archivio del Corriere
Amendola, 13 e 97. In Togliatti, In Togliatti, 1974255 Lettera di Gramsci a Giulia Schucht, 21
luglio 1924 Lettera a Giulia Schucht, 22
giugno 1924 La crisi italiana, ne L’Ordine
Nuovo, 1º settembre 1924, in Gramsci, 1971,
577-9 Camera dei Deputati, XXVII
legislatura del Regno d'Italia, Tornata di sabato 16 maggio 1925 . "Capo" , in L'Ordine Nuovo, 1º
marzo 1924; pubblicato successivamente col titolo di Lenin capo rivoluzionario,
in l'Unità, 6 novembre 1924. «Capo», ne
L’ordine Nuovo, 1º marzo 1924, in Gramsci, 1971, 540-3 Anche
alle autorità francesi fu nascosto lo svolgimento del Congresso. Sul III
CongressoSpriano, Storia del Partito comunista italiano, I, ca 29-30 Spriano, 1976(1), 498-500.
Spriano, 1976(1)490. Spriano,
1976(1), 491-2. Spriano, 1976(1), 492-4.
Spriano, 1976(1)511. Antonio
Gramsci, Tesi di Lione, Lione, 1925.
Antonio Gramsci, La questione meridionale, Editori Riuniti, 2005,
p.184 «Alcuni temi della quistione
meridionale». Stato operaio, gennaio 1930. Citato in Rosario Villari, Il Sud
nella Storia d'Italia. Antologia della Questione meridionale, Roma-Bari,
Laterza, 1981480 Antonio Gramsci, Cinque
anni di vita del partito, L'Unità, 1926.
Fiori, 1995247. Spriano,
1976(2), 43-5. Aurelio Lepre, Il prigioniero. Vita di
Antonio Gramsci, Editori Laterza, Bari, 199884.
La lettera, non datata, si ritiene scritta il 14 ottobre: fu pubblicata
per la prima volta in Francia da Tasca nel 1938. Su tutta la questione della
lotta interna nel partito comunista sovietico di questo periodoSpriano, cit.,
II, ca 3 e 5 A. Gramsci, Lettere
1908-1926, cit., 455-462. Lettera di Togliatti a Gramsci, 18 ottobre
1926 Commissione di assegnazione al
confino di Roma, ordinanza del 18.11.1926 contro Antonio Gramsci (“Dirigenti e
deputati del PCd'I dichiarati decaduti il 2 novembre 1926”). In: Adriano Dal
Pont, Simonetta Carolini, L'Italia al confino 1926-1943. Le ordinanze di
assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali dal novembre 1926
al luglio 1943, Milano 1983 (ANPPIA/La Pietra),
IV1312 Tornata di martedì 9
novembre 1926 , Camera dei deputati6389-6394. 23 marzo . Fiori, 1995, cap. 23. In Fiori, 1995, cap. 24 Sentenza n. 58 del 20.2.1928 contro Antonio
Gramsci e altri (“Ricostituzione di partito disciolto, propaganda,
cospirazione, istigazione alla lotta armata ecc.”). In: Adriano Dal Pont,
Simonetta Carolini, L'Italia dissidente e antifascista. Le ordinanze, le
Sentenze istruttorie e le Sentenze in Camera di consiglio emesse dal Tribunale
speciale fascista contro gli imputati di antifascismo dall'anno 1927 al 1943,
Milano 1980 (ANPPIA/La Pietra),
I260-261 Amendola142. Spriano, 197741. Lettera a Tatiana Schucht del 19 marzo
1927 Fiori, 1995, cap. 26. Fiori,
1995289. Fiori, 1995288. Risoluzione per l'espulsione di Amedeo Bordiga Fiori, 1995291. Pubblicato in «Rinascita», 12 dicembre
1964 In «Rinascita», cit. Dalla biografia di Pertini pubblicata nel
sito web del Circolo Sandro Pertini di Genova: «Chiesi al maresciallo dei
carabinieri che comandava la scorta se poteva dirmi dove mi portavano. Quando
questi fece il nome di Turi me ne rallegrai. Ero contento perché sapevo che là
avrei incontrato Antonio Gramsci, un uomo che avevo sempre ammirato per il suo
coraggio». «A Turi incontrai Gramsci in un angolo del cortile dove coltivava
un'aiuola di fiori; era piccolo di statura e con due gobbe: una davanti ed una
di dietro. Mi avvicinai a lui, mi presentai, gli affermai che venivo da Santo
Stefano e che ero onorato di fare la sua conoscenza. Gli davo del lei e lo
chiamavo Onorevole Gramsci. Lui si mise a ridere, dicendomi: "Perché mi
dai del lei? Siamo antifascisti, vittime del Tribunale speciale tutti e
due", "Io gli ricordai che per loro, i comunisti, noi eravamo dei
social-traditori". Gramsci disse di lasciar stare quella polemica penosa.
Ci vedemmo dopo qualche giorno e Gramsci parlò di Turati e Treves in maniera
che mi sembrò offensiva ed io risposi con durezza. Il giorno dopo Gramsci si
scusò, dicendo che il suo era un giudizio politico, non aveva avuto intenzione
di offendere le persone, e capiva la mia reazione in favore di due compagni che
si trovavano in Francia. Da allora diventammo buoni amici. Parlavamo a lungo
insieme anche perché era stato isolato dai suoi. Per certi versi costoro lo
consideravano un traditore e chiedevano la sua espulsione dal partito, come poi
fecero anche con Camilla Ravera. In cella Gramsci era perseguitato dai
carcerieri: credo che l'ordine di non lasciarlo dormire arrivasse direttamente
da Roma. Io andai dal direttore del carcere a protestare perché i carcerieri, ogni
volta che Gramsci si addormentava, lo svegliavano facendo scorrere sulle sbarre
della finestra dei bastoni, con la scusa di controllare che le sbarre non
fossero state segate per un'evasione. Dissi al direttore che se la situazione
non fosse cambiata, avrei scritto una lettera al ministero. Il risultato fu che
Gramsci, già gravemente malato di tubercolosi poté dormire tranquillo. Le mie
proteste costrinsero il direttore del carcere di Turi a concedere a Gramsci
anche alcuni quaderni, delle matite, un tavolino ed una sedia. Così poterono
nascere i quaderni dal carcere. La mia amicizia con Gramsci mi mise in
contrasto con il direttore del carcere e forse non fu estraneo al mio
trasferimento a Pianosa, all'inizio del 1932».
Lettera a Tatiana Schucht, 3 agosto 1931
Lettera a Tatiana Schucht, 29 maggio 1933 Alla fine degli anni settanta cominciò a
circolare la voce secondo la quale Gramsci in punto di morte si sarebbe
convertito alla fede cattolica. Tale affermazione venne però ritrattata dallo
stesso religioso che l’aveva inavvertitamente messa in circolazione, chiamando
a supporto della smentita l’allora cappellano della clinica Quisisana.
Nonostante le chiare argomentazioni della rettifica, trent’anni dopo la
medesima tesi fu riproposta da un altro sacerdote. Essendo priva di riscontri
documentali e di prove testimoniali, la teoria della conversione di Gramsci non
è mai stata avvalorata dagli storici. Cfr. S.Fio., Antonio Gramsci e il
sacerdote pentito, La Repubblica, 27 novembre 2008. 17 giugno . e Il Vaticano:
«Gramsci trovò la fede», Il Corriere della Sera, 25 novembre 2008. 17 giugno
. C. Daniele , Togliatti editore di
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Quaderni del carcere, Il materialismo storico e la filosofia di
Benedetto Croce7-8 Quaderni del carcere, cit.8 Quaderni del carcere, ed. Gerratana, Cirese, 197665 e ss.; Baratta, 2007; Giulio
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L'identico e il diverso nelle culture, Il Maestrale, , 206-221. Quaderni del carcere,
cit.11 Quaderni del carcere, cit.12
Quaderni del carcere, Note sul Machiavelli, 3-4 Quaderni del carcere, cit.7 Quaderni del carcere, cit., 23-24
Quaderni del carcere, Gli intellettuali e l'organizzazione della
cultura, p.6 Quaderni del carcere, cit.,
p.7 Quaderni del carcere, cit.9 Quaderni del carcere, Letteratura e vita
nazionale127 Quaderni del carcere,
cit.131 Quaderni del carcere, cit.86 e
segg. Quaderni del carcere, cit., 5-6
Quaderni del carcere, cit.179
Quaderni del carcere, cit.185
Quaderni del carcere, Il materialismo storico e la filosofia di
Benedetto Croce210 Quaderni del carcere,
cit.204 Quaderni del carcere,
cit.192-193 Quaderni del carcere,
cit.125 Quaderno del carcere, cit.132 Quaderni del carcere, cit., 141-142
Quaderni del carcere, cit.142 L. Rosiello, Problemi e orientamenti
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Comunismo Gramscianesimo Benedetto Croce Francesco De Sanctis Egemonia
culturale Friedrich Engels Antonio Labriola Lenin Karl Marx Marxismo Marxismo
occidentale Partito Comunista Italiano Quaderni del carcere Risorgimento Tesi
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21 dicembre ). Fondazione Istituto Gramsci, su fondazionegramsci.org.
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Gramsci, su letteratura.rai.it. "I Quaderni del carcere" con link
intertestuali ai nomi, agli eventi, ai movimenti culturali e politici e note di
lettura Luigi Anepeta M. Vincenzi, Gramsci a New York, su repubblica.it.
Gramsci, La questione meridionale, su archive.org. Antonio Gramsci, il grande
intellettuale dimenticato, in Il fascino degli intellettuali, 31 luglio .
01-10- Gramsci, pagina web di note e articoli di argomento gramsciano Francesco
Aqueci PredecessoreSegretario del Partito Comunista d'ItaliaSuccessore Amadeo
Bordiga19241927Palmiro Togliatti V D M Segretari del Partito Comunista Flag of
Italian Committee of National Liberation.svg Resistenza italiana Flag of
Italian Committee of National Liberation.svg.
green: t. h., Grice:
“The rather idiotic German philosopher at Oxford, Schiller, thought that
Dodgson meant Green when he said that the snark may be served with greens.” -- absolute idealist and social philosopher. The
son of a clergyman, Green studied and taught at Oxford. His central concern was
to resolve what he saw as the spiritual crisis of his age by analyzing
knowledge and morality in ways inspired by Kant and Hegel. In his lengthy
introduction to Hume’s Treatise, he argued that Hume had shown knowledge and
morality to be impossible on empiricist principles. In his major work, “Prolegomena
to Ethics,” Green contended that thought imposed relations on sensory feelings
and impulses whose source was an eternal consciousness to constitute objects of
knowledge and of desire. Furthermore, in acting on desires, rational agents
seek the satisfaction of a self that is realized through their own actions.
This requires rational agents to live in harmony among themselves and hence to
act morally. In Lectures on the Principles of Political Obligation Green
transformed classical liberalism by arguing that even though the state has no
intrinsic value, its intervention in society is necessary to provide the
conditions that enable rational beings to achieve self-satisfaction.
gregorio
il grande: Grice: “Poor Gregorio Magno had to fight with the Lonbards, and the
sad thing is he lost!” -- I, Saint, called
Gregory the Great, a pope and Roman
political leader. Born a patrician, he was educated for public office and
became prefect of Rome in 570. In 579, he was appointed papal representative in
Constantinople, returning to Rome as counselor to Pope Pelagius II in 586. He
was elected Pope Gregory I in 590. When the Lombards attacked Rome in 594,
Gregory bought them off. Constantinople would neither cede nor defend Italy,
and Gregory stepped in as secular ruler of what became the Papal States. He
asserted the universal jurisdiction of the bishop of Rome, and claimed
patriarchy of the West. His writings include important letters; the Moralia, an
exposition of the Book of Job summarizing Christian theology; Pastoral Care,
which defined the duties of the clergy for the Middle Ages; and Dialogues,
which deals chiefly with the immortality of the soul, holding it could enter
heaven immediately without awaiting the Last Judgment. His thought, largely
Augustinian, is unoriginal, but was much quoted in the Middle Ages. Grice takes
inspiration on Shropshire’s argument for the immortality of the soul from
Gregorio Magno (Dialogo, IV). Papa Gregorio I, detto
papa Gregorio Magno ovvero il Grande (Roma, 540 circaRoma, 12 marzo 604), è
stato il 64º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica, dal 3 settembre 590
fino alla sua morte. La Chiesa cattolica lo venera come santo e dottore della
Chiesa. Anche le Chiese ortodosse lo venerano come santo. gregorio magnus
papa Gregorio Magno Sebbene il suo pontificato si sia svolto in uno dei periodi
più bui della storia italiana, conservò una incrollabile fiducia nella forza
del Cristianesimo; anima tra le più luminose del Medioevo europeo, svolse il
suo ministero racchiuso in un corpo minuto e sempre malato, ma dotato di una
grandissima forza morale. Gregorio Magno nacque verso la metà del VI
secolo [540?] da Silvia, appartenente a una ricca famiglia siciliana, e da
Gordiano, appartenente all'aristocrazia senatoriale, la classe dominante
dell'antica Roma che aveva mantenuto prestigio economico e sociale, nonostante
la caduta dell'Impero. Non è affatto dimostrata, invece, la sua relazione di
parentela con la Gens Anicia, che spesso è stata richiamata per sottolineare le
nobili origini del futuro Gregorio I. La sua formazione culturale non è
di elevato livello. A differenza di Agostino e Cassiodoro, non si formò con lo
studio dei grandi autori dell'aetas aurea (Sallustio, Orazio, Virgilio,
Ovidio), bensì con quella tradizione letteraria impoverita che era propria
della sua epoca, dell'età tardo-antica. Perciò la sua "ars
grammatica" fu limitata e lo stile che denota i suoi scritti è in linea
con quello degli scrittori tardo-antichi del V e VI secolo. Di questi imitava,
in particolare, solo poche figure retoriche come l'anafora ed il gusto
dell'esempio e dell'aneddoto moralizzante. La sua conoscenza del diritto era
limitata allo studio di Cicerone, da cui riprende anche definizioni e nozioni filosofiche
della scuola stoica e, per come era già stato fatto dalla tradizione
patristica, le inserisce nella dottrina morale cristiana. A Roma si stava
diffondendo la fama di Benedetto da Norcia, monaco e fondatore di una nuova
Regola. Espresse l'intenzione di farsi monaco egli stesso. Ma i parenti e gli
amici, per tenerlo vicino a sé, ottennero dall'imperatore Giustino II la
prestigiosa carica di praefectus urbi Romae (prefetto della città di Roma), la
carica istituzionale più importante di nomina imperiale in Italia dopo quella
di esarca. In questa veste è citato in un documento databile all'anno
573. Devoto ammiratore di Benedetto da Norcia, Gregorio impegnò tutte le
sue notevoli sostanze per l'assistenza ai bisognosi e per trasformare i suoi possedimenti
a Roma e in Sicilia in altrettanti monasteri. Egli stesso si fece monaco
rinunciando all'altissima carica pubblica; fondò un monastero nella propria
abitazione sul colle Celio intitolandolo a S. Andrea ad Clivum Scauri. Nella
vita cenobitica si dedicò con assiduità alla contemplazione dei misteri di Dio
nella lettura della Bibbia. Non poté dimorare a lungo nel convento perché nel
578 ricevette un altro incarico importante: divenne, per nomina di papa
Benedetto I, uno dei sette diaconi della Chiesa di Roma. L'anno dopo il
successore Pelagio II lo inviò come apocrisario presso la corte di
Costantinopoli per chiedere aiuti contro i Longobardi. Lì restò per sei anni e
si guadagnò la stima della famiglia imperiale e dello stesso imperatore
Maurizio, salito al trono nel 582, di cui tenne a battesimo il figlio Teodosio.
Nel 584 ottenne per Roma l'aiuto che il papa aveva chiesto, ma fu di tale
modesta entità che non servì a risolvere i problemi per i quali era stato
invocato. Al rientro a Roma, nel 586, Gregorio tornò nel monastero sul
Celio; vi rimase però per pochi anni, perché morto il 7 febbraio 590 papa
Pelagio II, vittima di una pestilenza, fu chiamato al soglio pontificio
dall'entusiasmo dei credenti e dalle insistenze del clero e del senato di Roma.
Gregorio cercò di resistere alle insistenze del popolo, inviando una lettera
all'imperatore Maurizio in cui lo pregava di intervenire non ratificando
l'elezione, ma il praefectus urbi di Roma, di nome Germano, o forse il fratello
di Gregorio, intercettò la lettera e la sostituì con la petizione del popolo
che chiedeva la ratifica della sua elezione a pontefice. In attesa della
risposta, Gregorio si astenne da ogni attività propria del suo ruolo, che venne
svolta da una sorta di triumvirato ecclesiastico. L'arcangelo
Michele (detto l'Angelo di Castello), opera (1753) di Peter Anton von
Verschaffelt (1710-1793) L'inverno 589-590 fu particolarmente funesto per la
penisola italiana. Alle violenze perpetrate dai Longobardi si aggiunse una
stagione eccessivamente inclemente, con nubifragi e inondazioni che colpirono
particolarmente il settentrione, causando vittime e danni incalcolabili. Ma
anche il Tevere ebbe una piena particolarmente consistente, che inondò gran
parte della città provocando vittime e danni ingenti; ne seguì un'epidemia di
peste (Pelagio II morì di peste in questo periodo). Poiché ancora nell'estate
del 590 la situazione non accennava a tornare alla normalità, in una predica
del 29 agosto Gregorio esortò i fedeli alla penitenza, e per implorare l'aiuto
divino organizzò una solenne processione per tre giorni consecutivi alla
basilica di Santa Maria Maggiore. Secondo la tradizione, mentre Gregorio
attraversava, alla testa della processione, il ponte che collegava l'area del
Vaticano con il resto della città (chiamato allora "Ponte Elio" o
"Ponte di Adriano", oggi Ponte Sant'Angelo), ebbe la visione
dell'Arcangelo Michele che, in cima alla Mole Adriana, rinfoderava la sua
spada. La visione (che secondo alcune fonti fu condivisa da tutti i
partecipanti alla processione) venne interpretata come un segno celeste
preannunciante l'imminente fine dell'epidemia, cosa che effettivamente avvenne.
Da allora i romani cominciarono a chiamare la Mole Adriana "Castel
Sant'Angelo" e, a ricordo del prodigio, posero più tardi sullo spalto più
alto la statua di un angelo in atto di rinfoderare la spada. Ancora oggi nel
Museo Capitolino è conservata una pietra circolare con impronte dei piedi che,
secondo la tradizione, sarebbero quelle lasciate dall'Arcangelo quando si fermò
per annunciare la fine della peste. Finalmente arrivò da Costantinopoli
la ratifica all'elezione pontificale; sebbene Gregorio (che probabilmente non
sapeva che la sua lettera era stata sostituita) rinnovasse le sue reticenze
alla missione a cui era chiamato, il 3 settembre 590 venne consacrato papa.
L'ascesa quasi "forzata" al soglio pontificio lo turbò profondamente
e provocò in lui una sincera contrarietà, che solo la fede incrollabile e la
convinzione di poter svolgere un ruolo di guida per la redenzione dell'umanità
intera, riuscirono a fargli superare. Nonostante le riserve
all'accettazione del compito che lo attendeva, fu amministratore energico, sia
nelle questioni sociali e politiche per supportare i bisognosi di aiuto e
protezione, sia nelle questioni interne della Chiesa; sebbene fosse fisicamente
piuttosto esile e cagionevole di salute, si dimostrò uomo di azione, pratico e
intraprendente. E infatti uno dei primi doveri che si impose fu la
moralizzazione ed epurazione della Curia romana, in cui erano presenti troppi
personaggi, laici ed ecclesiastici, che avevano interessi ben diversi da quelli
spirituali e di carità; molti incarichi furono dunque attribuiti a monaci
benedettini. L'altro dovere primario cui si dedicò fu quello insito nel ruolo di
vescovo di Roma, utilizzando i beni propri e quelli derivanti dalle donazioni
dei privati, non a beneficio di vescovi e diaconi, ma in favore del popolo
della città di Roma che, come lamenta in una sua predica, è "oppressa da
uno smisurato dolore, si spopola di cittadini; assalita dal nemico, non è più
che un cumulo di macerie". Molti furono i provvedimenti intesi a un
riordino dell'istituzione monastica e alla regolamentazione dei rapporti di
quella con l'organizzazione ecclesiastica e i vescovi in particolare. Assicurò
una maggiore autonomia giuridica per i monasteri, la cui vita economica non
doveva in alcun modo subire l'ingerenza dei vescovi, chiamati a compiti
spirituali; regolamentò i rapporti tra scelta monacale e vita familiare,
generalmente dando la priorità ai diritti della seconda; sottrasse, quanto più
possibile, gli ecclesiastici ai tribunali civili, non solo in ossequio a una
tradizione radicata, ma soprattutto perché non aveva alcuna fiducia delle
autorità longobarde e bizantine, particolarmente corruttibili; molti vescovi
forse non erano da meno, ma su di loro poteva comunque esercitare la sua
autorità. Preoccupato del sussistere dell'eresia ariana nel 594 rivolse
accorate lettere ai vescovi Costanzo di Milano e Venanzio di Luni per esortarli
a porvi rimedio. Tentativi di pace con i Longobardi Gregorio compì anche
mosse politiche. Nonostante avesse più volte invocato invano l'aiuto militare
dell'Impero, i Longobardi continuavano a devastare l'Italia facendo fuggire il
clero e catturando prigionieri che dovette riscattare direttamente con le sue
sostanze personali. Inoltre nel 591 il duca longobardo di Spoleto Ariulfo
intraprese una politica espansionistica ai danni dei Bizantini, conquistando le
città del corridoio che collegava Roma con Ravenna e assediando la stessa Roma,
da cui si ritirò solo dopo aver estorto un tributo. Nonostante le
richieste, nessun aiuto venne dall'esarca di Ravenna, che «...rifiuta di
combattere i nostri nemici e vieta a noi di concludere la pace». Papa Gregorio,
infatti, premeva per una tregua tra Imperiali e Longobardi affinché ritornasse
la pace nella penisola e si ponesse fine alle devastazioni belliche, ma Romano,
l'esarca, non era d'accordo e fece di tutto per ostacolarlo, al punto che
l'anno successivo si mosse per rompere le trattative che Gregorio aveva
intavolato con il duca di Spoleto per una pace separata, riconquistando le
città del corridoio umbro e rompendo le trattative di pace che Gregorio aveva
avviato con i Longobardi. La campagna di Romano provocò la reazione di re
Agilulfo, che riprese Perugia e poi nel 593 pose l'assedio a Roma. Gregorio si
trovò a dover provvedere, a fronte di un inefficiente esercito imperiale
(oltretutto mal pagato) il cui aiuto latitava, alla difesa di Roma, e per
evitare ulteriori sofferenze e lutti alla città si vide costretto a convincere
Agilulfo a levare l'assedio pagando di tasca propria 5 000 libbre d'oro e
offrendo al re longobardo l'assicurazione del pagamento annuo di un ingente
tributo. In questo modo Gregorio si sostituiva, arbitrariamente, all'autorità
civile cittadina e al senato, che di fatto non avevano ormai più alcun ruolo
politico riconosciuto; e se al re longobardo interessava solo il denaro, il
popolo romano riconobbe in Gregorio l'unico salvatore[25]. Questa, e le
continue, successive, inutili insistenze per una pace, subirono la
disapprovazione dell'imperatore Maurizio che, concordando con la politica
dell'esarca, accusò il papa d'infedeltà all'Impero e di stupidità per i suoi
tentativi di negoziazione. Gregorio scrisse all'imperatrice per ricordarle come
dopo tanti anni di oppressione da parte dei Longobardi, gli imperatori
d'Oriente ben poco avevano fatto e speso in favore di Roma (e molto invece per
Ravenna, loro ultimo avamposto in terra italiana), mentre la città e la Chiesa
avevano bisogno di sopravvivere in pace; ma scrisse anche all'imperatore:
«...Mi è stato detto di essere stato ingannato da Ariulfo, e sono stato
definito "sempliciotto",... che significa indubbiamente che sono uno
sciocco. E io stesso debbo confessare che avete ragione... Se non lo fossi, non
avrei mai accettato di patire tutti i mali che ho sofferto qui per le spade dei
Longobardi. Voi non credete a quello che dico riguardo ad Ariulfo,
riguardo al fatto che sarebbe disposto a passare dalla parte della Repubblica,
accusandomi di dire menzogne. Dato che una delle responsabilità di un prete è
di servire la verità, è un grave insulto essere accusati di menzogna. Sento,
inoltre, che viene riposta più fiducia nelle asserzioni di Leone e Nordulfo,
invece che alle mie... Ma quello che mi affligge è che la stessa tempra che mi
accusa di falsità permette ai Longobardi di condurre giorno dopo giorno tutta
l'Italia prigioniera sotto il loro giogo, e mentre nessuna fiducia è riposta
nelle mie asserzioni, le forze del nemico crescono sempre di più...»
(Papa Gregorio Magno, Epistole, V,40.[26].) E non risparmia le accuse
all'esarca Romano, «la cui malizia è persino peggiore delle spade dei
Longobardi, tanto che i nemici che ci massacrano sembrano dolci in comparazione
con i giudici della Repubblica che ci consumano con la rapina...»[27] Le
trattative con i Longobardi, comunque, continuarono, e subirono
un'accelerazione grazie anche all'aiuto del nuovo esarca di Ravenna Callinico.
Alla fine del 598, Longobardi e Imperiali firmarono finalmente una pace, che
probabilmente però era solo una tregua armata che durò solo tre anni,
nonostante Paolo Diacono la definisca "fermissima". Gregorio ne
approfittò immediatamente per estendere i suoi interventi in favore dei
bisognosi anche a province lontane da Roma che dunque, prive ormai di un vero
potere centrale (a parte quello longobardo che poco si curava di problemi
economici e sociali delle popolazioni italiche), erano sempre più portate a
riconoscere come unica guida di riferimento quella del vescovo di Roma, la cui
azione "non è tuttavia indirizzata al rafforzamento dell'autorità politica
della Chiesa", chiarisce Rosario Villari, in quanto "Gregorio non ha
programmi di potere; aspira anzi in conformità con la sua vocazione monacale al
distacco dal mondo, a convertire il maggior numero di non credenti, a riformare
la Chiesa per renderla più attiva e capace di svolgere in pieno questo compito
urgente"[28]. La regina Teodolinda in una miniatura delle Cronache
di Norimberga Icona di papa Gregorio I In coerenza con questa visione
della missione della Chiesa si pone il suo programma di evangelizzazione e
conversione dei Visigoti di Spagna di re Recaredo I, e dei Longobardi, coi
quali, dopo la pace del 598, riuscì a stabilire rapporti di buon vicinato
avviando la loro conversione dall'eresia ariana grazie anche all'influente
sostegno della regina Teodolinda. Analogo sforzo missionario svolse in favore
dei Britanni, presso i quali Gregorio inviò 40 monaci benedettini per
cristianizzare le popolazioni; fu infatti grazie all'aiuto dei re dei Franchi,
con i quali Gregorio fu in continui rapporti e in eccellente relazione, e in
particolare della regina Brunechilde, che riuscì a ottenere la conversione
della Britannia, affidandola ad Agostino, priore del convento di Sant'Andrea a
Roma, poi consacrato vescovo di Canterbury. Non sono chiari i motivi che
spinsero Gregorio all'opera di cristianizzazione di un paese tanto lontano (e
da tanto tempo perso alla romanità), quando c'erano altri popoli più vicini a
Roma, e mentre era in corso l'emergenza longobarda. Le fonti medievali hanno
tentato di fornire una spiegazione ricorrendo alla leggenda secondo la quale
Gregorio, quand'era ancora monaco, si sarebbe convinto della necessità di
convertire la Britannia per aver visto alcuni giovani schiavi britannici
esposti per la vendita, bellissimi di aspetto e pagani, tanto da aver
esclamato, rammaricato: "Non Angli, ma Angeli dovrebbero esser
chiamati…". Comunque in meno di due anni diecimila Angli, compreso il re
del Kent Ethelbert, si convertirono[29]. Era questo un grande successo della
politica di Gregorio, che mirava a eliminare gli avversari della Chiesa e ad
accrescere l'autorità del papato con la conversione dei "barbari".
Rapporti con Costantinopoli San Gregorio in cattedra, lo scriba e la
colomba, da una miniatura del Registrum Gregorii Oltre che per i problemi
connessi alla pace con i Longobardi, i rapporti con l'imperatore Maurizio non
sempre furono cordiali per vari altri motivi. Quando l'Imperatore, per
fermare la fuga dei decurioni i quali, per sfuggire alle loro responsabilità
sicuramente onerose, entravano in monastero, promulgò un editto con cui vietava
ai funzionari pubblici e ai soldati privati di farsi monaci, Gregorio protestò:
se non aveva nulla da obiettare sulla prima parte della legge (quella
riguardante i funzionari pubblici), obiettò invece sulla proibizione ai soldati
imperiali di diventare «soldati di Cristo», ovvero di entrare a far parte del
clero[30]. Dal 594 al 599 il motivo della disputa fu Massimo, vescovo di
Salona, accusato dal papa di simonia; Massimo, favorito dalla corte imperiale,
poté mantenere il seggio e arrivò addirittura ad accusare Gregorio di aver
fatto uccidere il vescovo dalmata Malco, inviato in Italia per rendere conto su
una presunta cattiva amministrazione del patrimonio papale e deceduto
improvvisamente in esilio[31]. Lo scontro con l'imperatore divenne
particolarmente aspro nel 595. quando il Patriarca di Costantinopoli Giovanni
IV Nesteutes si proclamò "Patriarca ecumenico", dichiarandosi di
autorità pari al papa. Di fronte alle proteste di Gregorio, il patriarca cercò
il sostegno dell'Imperatore, che scrisse al papa esortandolo a porre fine alla
questione, avendo la Chiesa bisogno di pace, e non di controversie religiose.
Gregorio rispose lodando l'Imperatore per la volontà di riportare la pace nella
Chiesa, ma precisando, con toni decisi, che della contesa era responsabile il
Patriarca, che aveva usurpato un titolo non suo: "Quando noi lasciamo la
posizione che ci spetta, e assumiamo noi stessi onori indecenti, alleiamo i
nostri peccati con le forze dei barbari... Maestri di umiltà e generali di
superbia, noi nascondiamo i denti da lupo dietro un volto da pecora. … Colui
che ricevette le chiavi del Regno dei Cieli... non fu mai chiamato Apostolo
Universale; e ora il più Santo Uomo, il mio vescovo collega Giovanni rivendica
il titolo di Vescovo Universale. … Tutta l'Europa è nelle mani dei Barbari...
e, malgrado tutto, i preti ... cercano ancora per se stessi e fanno sfoggio di
nuovi e profani titoli di superbia!"[32]. Ma da Costantinopoli non giunse
alcun segnale distensivo, e anzi il successore di Giovanni Nesteutes, Ciriaco
II, mantenne il titolo di "Patriarca ecumenico" che i patriarchi di
Costantinopoli non abbandonarono più nonostante un decreto dell'Imperatore Foca
(successore di Maurizio) avesse riconosciuto il primato della Chiesa di Roma.
Gregorio reagì assumendo il titolo di Servus Servorum Dei, che da allora fu
mantenuto dai pontefici romani. Amministrazione interna Nei territori
dell'Esarcato d'Italia che ricadevano sotto la responsabilità amministrativa
della Sede di Pietro, i cosiddetti Patrimonia, Gregorio seppe far fronte,
aiutato da una rete di funzionari, ai problemi di approvvigionamento alimentare
che le continue alluvioni, carestie e pestilenze rendevano particolarmente
gravi; ebbe cura degli acquedotti e favorì l'insediamento dei coloni eliminando
ogni residuo di servitù della gleba. Riuscì a intrattenere rapporti epistolari
anche con il re della Barbagia, Ospitone, e cercò di dissuadere quella
popolazione dall'idolatria e dal paganesimo, convertendo Ospitone stesso al
Cristianesimo. L'interesse per le popolazioni delle isole tirreniche, Sicilia,
Sardegna e Corsica[33], lo indusse a intercedere in loro favore presso
l'imperatrice Costantina affinché venisse ridotta l'elevata pressione fiscale e
fosse posto un freno alla rapacità dei funzionari, che costringevano i genitori
a vendere i figli e molti a emigrare in territorio longobardo, mentre le
proprietà venivano arbitrariamente confiscate[34]. Gregorio Magno
protesse la Colonna Traiana. Il monumento, nonostante fosse stato eretto per
celebrare le imprese militari di un imperatore pagano, fu salvaguardato e
conservato per i posteri[35] Papa Gregorio riorganizzò a fondo la liturgia
romana, ordinando le fonti anteriori e componendo nuovi testi. L'epistolario
(ci sono pervenute 848 lettere) e le omelie al popolo documentano ampiamente
sulla sua molteplice attività e dimostrano la sua grande familiarità con i
Testi sacri. Promosse quella modalità di canto tipicamente liturgico che
da lui prese il nome di "gregoriano": il canto rituale in lingua
latina adottato dalla Chiesa cattolica, che comportò, di conseguenza, l'ampliamento
della Schola cantorum. Paolo Diacono (scrive verso il 780), pur ricordando
molte tradizioni giunte fino a lui, non ha una parola sul canto né sulla
Schola. Alcune illustrazioni di manoscritti dal IX al XIII secolo tramandano
una leggenda secondo la quale Gregorio avrebbe dettato i suoi canti a un
monaco, alternando la dettatura a lunghe pause; il monaco, incuriosito, avrebbe
scostato un lembo del paravento di stoffa che lo separava dal pontefice, per
vedere cosa egli facesse durante i lunghi silenzi, assistendo così al miracolo
di una colomba (che rappresenta naturalmente lo Spirito Santo), posata su una
spalla del papa, che gli dettava a sua volta i canti all'orecchio. In realtà i
manoscritti più antichi contenenti i canti del repertorio gregoriano risalgono
al IX secolo e pertanto non si sa se lui stesso ne abbia composto
qualcuno. Opere Pagina delle Homiliae in Evangelia Scritti
esegetici Expositio super Cantica canticorumopera che si compone di un prologo
e di un commento ai primi otto versetti del Cantico dei cantici; Moralia in
Jobopera costituita da 35 libri in cui viene commentato il libro
veterotestamentario di Giobbe; La paternità di un commento al primo libro dei
Re originariamente attribuito a Gregorio è stata recentemente riconosciuta a
Pietro Divinacellus, un monaco di Cava de' Tirreni morto intorno al 1156
[36]. Scritti omiletici Homiliae in Evangelia- opera costituita da 40
omelie sui Vangeli; Homiliae in Hiezechihelem prophetamopera costituita da 22
omelie su Ezechiele; Altre opere Sacramentarium Gregorianumcon cui riformò il
canone della messa, rendendola più semplice ma più solenne; Antiphonarius
centola nuova redazione del libro dei canti liturgici (attribuzione dubbia);
Dialoghiopera costituita da 4 libri: Libro su santi italiani a lui coevi; Libro
monografico su san Benedetto da Norcia; Libro su santi italiani a lui coevi;
Libro sul destino dell'anima dopo la morte e su alcune profezie. Regula
Pastoralisun manuale per la vita e l'opera dei vescovi e in generale di coloro
che ricoprono il ministero pastorale; Le Epistolaeun registrum di circa 850
lettere, fonte primaria di informazioni sull'epoca di Gregorio[37]; Il Liber
Pontificalis, il testo ufficiale che ha riportato per secoli l'attività dei
pontefici di Roma, presenta Gregorio esclusivamente sotto l'aspetto
dell'attività religiosa, stranamente tacendo su tutti i contatti e le scelte
politiche da lui effettuate, sia con i Longobardi sia con i
Bizantini[38]. Papa Gregorio I morì il 12 marzo 604 dopo aver sofferto per
vari anni di gotta e fu sepolto nella Basilica di San Pietro. Nel rito
romano la sua memoria liturgica ricorre il 3 settembre; in rito bizantino il
giorno del suo ricordo è il 12 marzo. Dal Martirologio Romano (ed.
2001): «12 marzoA Roma presso san Pietro, deposizione di san Gregorio I,
papa, detto Magno, la cui memoria si celebra il 3 settembre, giorno della sua
ordinazione.» «3 settembreMemoria di san Gregorio Magno, papa e dottore
della Chiesa: dopo avere intrapreso la vita monastica, svolse l'incarico di legato
apostolico a Costantinopoli; eletto poi in questo giorno alla Sede Romana,
sistemò le questioni terrene e come servo dei servi si prese cura di quelle
sacre. Si mostrò vero pastore nel governare la Chiesa, nel soccorrere in ogni
modo i bisognosi, nel favorire la vita monastica e nel consolidare e propagare
ovunque la fede, scrivendo a tal fine celebri libri di morale e di pastorale.
Morì il 12 marzo.» Il Proprio del santo in rito romano contiene la
seguente colletta:[39] «Deus, qui pópulis tuis indulgéntia cónsulis et
amóre domináris, da spíritum sapiéntiae, intercedénte beáto Gregório papa,
quibus dedísti régimen disciplínae, ut de proféctu sanctárum óvium fiant gáudia
aetérna pastórum. Per Dominum nostrum Iesum Christum» San Gregorio Magno
è patrono principale di: Valdobbiadene (provincia di Treviso e diocesi di
Padova), San Gregorio Magno (provincia di Salerno), San Gregorio di Catania
(provincia e arcidiocesi di Catania), Manduria (provincia di Taranto e diocesi
di Oria), la cui chiesa madre custodisce la reliquia di un frammento d'osso del
suo braccio destro, Vizzini (provincia di Catania e diocesi di Caltagirone),
San Gregorio da Sassola (provincia di Roma e diocesi di Tivoli), Crispano
(città metropolitana di Napoli e diocesi di Aversa), Roverbella (provincia e
diocesi di Mantova), San Gregorio nelle Alpi (provincia di Belluno e diocesi di
Belluno-Feltre), San Gregorio d'Ippona (provincia di Vibo Valentia), Configni
(provincia di Rieti), Casola, frazione del comune di Domicella (provincia di Avellino
e diocesi di Nola), dove sarebbe custodita una reliquia d'osso della sua mano
destra. San Gregorio, fazione del comune di Veronella (provincia di Verona e
diocesi di Vicenza) Note G. Pepe, Il
Medio Evo barbarico d'Italia, 1971, pag. 117.
Sofia Boesch Gajano, GREGORIO I, papa, santo, in Dizionario Biografico
degli ItalianiVolume 59, Roma 2002
Claudio Mareschini, Gregorio Magno e la cultura classica, in "Studi
Classici e Orientali", 56, , 87-107
Bernardo Maria Amico, Leggendario de’ Santi benedettini in cui si
espongono le vite di cento Santi dell’Ordine di S. Benedetto, Venezia, 1726126
e segg. Gregorio I santo, in
Enciclopedia dei Papi, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2000. 1º settembre
. Gregorio scrisse di sé «ego quoque
tunc urbanam praeturam gerens pariter subscripsi», ma poiché in una variante
del testo praeturam è sostituita da praefecturam, dalle sue epistole non è
possibile sapere con esattezza se fu "prefetto dell'Urbe" o piuttosto
"pretore dell'Urbe".
L'apocrisario era il rappresentante permanente della Santa Sede presso
la corte di Costantinopoli; la carica fu istituita da papa Leone I. C. Rendina, I Papi. Storia e segreti, pagg.
157 e segg. La fonte, Gregorio di Tours
(X, 1), è ambigua: è incerto se Germanus vada interpretato come il nome proprio
del prefetto urbano, oppure in questo caso significhi
"fratello". "Dal tempo di
Noè non si ricordava un diluvio simile", commenterà Paolo Diacono (come
riportato in C. Rendina, op. cit., pag. 160).
La processione e le modalità di svolgimento sono riferite puntualmente
dal Gregorovius in base a quanto riportato nelle cronache di Gregorio di Tours
e di Paolo Diacono (C. Rendina, op. cit., pag. 160). Willy Pocino, Le curiosità di Roma, Roma,
Tradizioni italiane Newton, 2009,
91-92.C. Rendina, op. cit., 160 e
segg.Indro Montanelli e Roberto Gervaso L'Italia dei secoli bui, Rizzoli,
1965235. Castel Sant'Angelo,
activitaly.it. Secondo una tradizione
leggendaria risalente all'XI secolo tentò anche la fuga, nascondendosi nei
boschi della Sabina, dove i Romani lo scovarono e lo riportarono indietro,
accolto trionfalmente in città (C. Rendina162).
Lo storico tedesco Franz Xaver Seppelt rileva che nella sua
"riluttanza ad accedere alla sede di San Pietro non si dovrà però scorgere
solamente quella modestia convenzionale, che si ha modo di notare in
innumerevoli elezioni di vescovi nel Medio Evo, non sempre sincera. La
tristezza di Gregorio e la sua scarsa condiscendenza ad accettare
l'importantissima carica erano dovute essenzialmente al dover abbandonare
definitivamente la vita di solitudine del monastero, …; i sentimenti di
Gregorio erano senza dubbio radicati profondamente e rispondevano alla natura
del suo animo" (come riportato in C. Rendina162). C. Rendina162. G. Pepe127.
G.Montefinale, Guida turistica alle antiche chiese ed ai resti
cenobitici di Porto Venere G. Ravegnani,
I Bizantini in Italia, 200495. G.
Ravegnani, op. cit., 95-99. Romano non poteva tollerare
l'insubordinazione del Pontefice, sia perché stava trattando con il nemico
senza alcuna autorizzazione imperiale, sia perché la pace in quel momento
avrebbe riconosciuto il possesso longobardo del corridoio umbro Paolo Diacono, Historia Langobardorum, IV, 8. Nell'occasione scrisse poi all'imperatore
Maurizio: «Con i miei stessi occhi, ho visto i romani legati come cani da una
corda al collo che venivano condotti via per essere venduti come schiavi in
Francia» (G. Ravegnani, op. cit., pag. 98).
I. MontanelliR. Gervaso, op. cit.,
238 e segg.P. Brezzi, La civiltà del Medioevo europeo, 1978116. G. Pepe137.
Come riportato in G. Ravegnani99.
Papa Gregorio Magno, Epistole, V, 42.
C. Rendina, op. cit., 162 e
segg. C. Azzara, Le invasioni
barbariche, Il Mulino, 1999, 110 e segg. Papa Gregorio Magno, Epistole, III, 66. Papa Gregorio Magno, Epistole, IV, 47. Papa Gregorio Magno, Epistole, V,20. Queste ultime erano comprese nell'Esarcato
d'Africa. Papa Gregorio Magno, Epistole,
V,41 Foro di Traiano, su romasegreta.it.
31 maggio . G. I. Gargano, Introduzione,
in Gregorio Magno, Commento al primo libro dei Re, Roma, Città Nuova, edizione
critica: Dag Norberg, S. Gregorii Magni registrum epistularum libri I-VII,
Corpus Christianorum Series Latina 140, Brepols, Turnhout, 1982Dag Norberg, S.
Gregorii Magni registrum epistularum libri VII-XIV, Corpus Christianorum Series
Latina 140A, Brepols, Turnhout, 1982 S.
Gasperri, Italia longobarda, Laterza, , pag. 76. Missale Romanum cum lectionibus ex decreto sacrosancti
Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli VI promulgatum , 4: tempus per annum:
hebdomadae XXII-XXXIV, Roma, Libreria Editrice Vaticana, 1977688. Papa Gregorio I, Dialogi, Roma, Tipografia
del Senato, 1924. 16 aprile . Papa
Gregorio I, Dialogi. 1, Palermo, Scuola Tip. Boccone Del Povero, 1913. 16 aprile
. Papa Gregorio I, Dialogi. 3, Palermo,
Scuola Tip. Boccone Del Povero, 1932. 16 aprile . Papa Gregorio I, Homiliae in
Evangelia, Impresso a Mediolano, mediante la gratia di Dio de li prudenti
homini Leonardo Pachel e Uldericho scinzcenceller de allamagna per loro
industria, MCCCCLXXVIIII adi XX del mese de augusto. 16 aprile . Paolo Brezzi,
La civiltà del Medioevo europeo, I,
Eurodes, Roma, 1978. Indro Montanelli-Roberto Gervaso, L'Italia dei secoli bui,
Rizzoli, Milano, 1965. Gabriele Pepe, Il Medio Evo barbarico d'Italia, Einaudi,
Torino, 1971. Giorgio Ravegnani, I Bizantini in Italia, Mulino, Bologna, 2004.
Claudio Rendina, I Papi. Storia e segreti, Newton Compton, Roma, 1983. Messe gregoriane Evangeliario di Teodolinda
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I Papa Gregorio I, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, . Papa Gregorio I / Papa Gregorio I (altra versione), su Enciclopedia
Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
Papa Gregorio I, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Papa
Gregorio I, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. (DE) Papa Gregorio I, su ALCUIN,
Ratisbona. Opere di Papa Gregorio I / Papa
Gregorio I (altra versione) / Papa Gregorio I (altra versione) / Papa Gregorio
I (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Papa Gregorio
I, . di Papa Gregorio I, su Internet
Speculative Fiction Database, Al von Ruff.
su Papa Gregorio I / Papa Gregorio I (altra versione), su Les Archives
de littérature du Moyen Âge. Papa Gregorio I, in Catholic Encyclopedia, Robert
Appleton Company. David M. Cheney, Papa Gregorio I, in Catholic Hierarchy. Papa Gregorio I, su Santi, beati e testimoni,
santiebeati.it. Opera Omnia dal Migne
patrologia Latina con indici analitici. Sofia Boesch Gajano, Papa Gregorio I,
in Enciclopedia dei Papi, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2000. Udienza
Generale, 4 giugno 2008, Benedetto XVI, su vatican.va. Fana idolorum destrui
minime debeant. Gregorio Magno e la conversione dei templi pagani al culto
cristiano, Palladio, NS, XXVI, 52, ,
5-20., su academia.edu.Scheda di San Gregorio. Incisione di Anton
Wierix. Collezione De Verda, su colecciondeverda.com. Moralia in Iob
(Msc.Bibl.41), una digitalizzazione del manoscritto dalla Biblioteca di Stato
di Bamberga PredecessorePapa della Chiesa cattolicaSuccessoreEmblem of the
Papacy SE.svg Papa Pelagio II3 settembre 59012 marzo 604Papa Sabiniano.
gregory
of
Nyssa, Saint, Grecian theologian and mystic who tried to reconcile Platonism
with Christianity. As bishop of Cappadocia in eastern Asia Minor, he championed
orthodoxy and was prominent at the First Council of Constantinople. He related
the doctrine of the Trinity to Plato’s ideas of the One and the Many. He
followed Origen in believing that man’s material great chain of being Gregory
of Nyssa 354 354 nature was due to the
fall and in believing in the Apocatastasis, the universal restoration of all
souls, including Satan’s, in the kingdom of God.
grice: as a count
noun“Lots of grice in the fields.”One Scots to another -- count noun, a noun
that can occur syntactically a with quantifiers ‘each’, ‘every’, ‘many’, ‘few’,
‘several’, and numerals; b with the indefinite article, ‘an’; and c in the
plural form. The following are examples of count nouns CNs, paired with
semantically similar mass nouns MNs: ‘each dollar / silver’, ‘one composition /
music’, ‘a bed / furniture’, ‘instructions / advice’. MNs but not CNs can occur
with the quantifiers ‘much’ and ‘little’: ‘much poetry / poems’, ‘little bread
/ loaf’. Both CNs and MNs may occur with ‘all’, ‘most’, and ‘some’.
Semantically, CNs but not MNs refer distributively, providing a counting
criterion. It makes sense to ask how many CNs?: ‘How many coins / gold?’ MNs
but not CNs refer collectively. It makes sense to ask how much MN?: ‘How much
gold / coins?’ One problem is that these syntactic and semantic criteria yield
different classifications; another problem is to provide logical forms and
truth conditions for sentences containing mass nouns. grice: English
philosopher, born in Harborne, “in the middle of nowhere,” as Strawson put
it(“He was from London, Strawson was”) -- whose work concerns perception and
philosophy of language, and whose most influential contribution is the concept
of a conversational implicaturum and the associated theoretical machinery of
conversational ‘postulates.’ The concept of a conversational implicaturum is
first used in his ‘presentation’ on the causal theory of perception and
reference. Grice distinguishes between the ‘meaning’ of the words used in a
sentence and what is implied by the utterer’s choice of words. If someone says
“It looks as if there is a red pillar box in front of me,” the choice of words
implies that there is some doubt about the pillar box being red. But, Grice
argues, that is a matter of word choice and the sentence itself does not
‘impl’ that there is doubt. The term
‘conversational implicaturum’ was introduced in Grice’s William James lectures
published in 8 and used to defend the use of the material implication as a
logical translation of ‘if’. With Strawson “In Defence of Dogma”, Grice gives a
spirited defense of the analyticsynthetic distinction against Quine’s criticisms.
In subsequent systematic papers Grice attempts, among other things, to give a
theoretical grounding of the distinction. Grice’s oeuvre is part of the Oxford
ordinary language tradition, if formal and theoretical. He also explores
metaphysics, especially the concept of absolute value. There is the H. P. Grice
SocietyOther organisations Grice-related are “The Grice Club,” “The Grice
Circle,” and “H. P. Grice’s Playgroup.” grice’s complexe significabile, plural:
-- Grice used to say jocularly that he wasn’t commited to propositions; only to
propositional complexes -- complexe significabilia, also called complexum
significabile, in medieval philosophy, what is signified only by a complexum a
statement or declarative sentence, by a that-clause, or by a dictum an
accusative ! infinitive construction, as in: ‘I want him to go’. It is
analogous to the modern proposition. The doctrine seems to have originated with
Adam de Wodeham in the early fourteenth century, but is usually associated with
Gregory of Rimini slightly later. Complexe significabilia do not fall under any
of the Aristotelian categories, and so do not “exist” in the ordinary way.
Still, they are somehow real. For before creation nothing existed except God,
but even then God knew that the world was going to exist. The object of this
knowledge cannot have been God himself since God is necessary, but the world’s
existence is contingent, and yet did not “exist” before creation. Nevertheless,
it was real enough to be an object of knowledge. Some authors who maintained
such a view held that these entities were not only signifiable in a complex way
by a statement, but were themselves complex in their inner structure; the term
‘complexum significabile’ is unique to their theories. The theory of complexe significabilia
was vehemently criticized by late medieval nominalists. Refs.: The main reference is in ‘Reply to
Richards.’ But there is “Sentence semantics and propositional complexes,” c.
9-f. 12, BANC. grice’s combinatory logic,
a branch of logic that deals with formal systems designed for the study of
certain basic operations for constructing and manipulating functions as rules,
i.e. as rules of calculation expressed by definitions. The notion of a function
was fundamental in the development of modern formal or mathematical logic that
was initiated by Frege, Peano, Russell, Hilbert, and others. Frege was the
first to introduce a generalization of the mathematical notion of a function to
include propositional functions, and he used the general notion for formally
representing logical notions such as those of a concept, object, relation,
generality, and judgment. Frege’s proposal to replace the traditional logical
notions of subject and predicate by argument and function, and thus to conceive
predication as functional application, marks a turning point in the history of
formal logic. In most modern logical systems, the notation used to express
functions, including propositional functions, is essentially that used in
ordinary mathematics. As in ordinary mathematics, certain basic notions are
taken for granted, such as the use of variables to indicate processes of
substitution. Like the original systems for modern formal logic, the systems of
combinatory logic were designed to give a foundation for mathematics. But
combinatory logic arose as an effort to carry the foundational aims further and
deeper. It undertook an analysis of notions taken for granted in the original
systems, in particular of the notions of substitution and of the use of
variables. In this respect combinatory logic was conceived by one of its
founders, H. B. Curry, to be concerned with the ultimate foundations and with
notions that constitute a “prelogic.” It was hoped that an analysis of this
prelogic would disclose the true source of the difficulties connected with the
logical paradoxes. The operation of applying a function to one of its
arguments, called application, is a primitive operation in all systems of
combinatory logic. If f is a function and x a possible argument, then the
result of the application operation is denoted fx. In mathematics this is
usually written fx, but the notation fx is more convenient in combinatory
logic. The G. logician M. Schönfinkel, who started combinatory logic in 4,
observed that it is not necessary to introduce color realism combinatory logic
functions of more than one variable, provided that the idea of a function is
enlarged so that functions can be arguments as well as values of other
functions. A function Fx,y is represented with the function f, which when
applied to the argument x has, as a value, the function fx, which, when applied
to y, yields Fx,y, i.e. fxy % Fx,y. It is therefore convenient to omit
parentheses with association to the left so that fx1 . . . xn is used for . . . fx1 . . . xn. Schönfinkel’s main result
was to show how to make the class of functions studied closed under explicit
definition by introducing two specific primitive functions, the combinators S
and K, with the rules Kxy % x, and Sxyz % xzyz. To illustrate the effect of S
in ordinary mathematical notation, let f and g be functions of two and one
arguments, respectively; then Sfg is the function such that Sfgx % fx,gx.
Generally, if ax1, . . . ,xn is an expression built up from constants and the
variables shown by means of the application operation, then there is a function
F constructed out of constants including the combinators S and K, such that Fx1
. . . xn % ax1, . . . , xn. This is essentially the meaning of the combinatory
completeness of the theory of combinators in the terminology of H. B. Curry and
R. Feys, Combinatory Logic 8; and H. B. Curry, J. R. Hindley, and J. P. Seldin,
Combinatory Logic, II 2. The system of
combinatory logic with S and K as the only primitive functions is the simplest
equation calculus that is essentially undecidable. It is a type-free theory
that allows the formation of the term ff, i.e. self-application, which has
given rise to problems of interpretation. There are also type theories based on
combinatory logic. The systems obtained by extending the theory of combinators
with functions representing more familiar logical notions such as negation,
implication, and generality, or by adding a device for expressing inclusion in
logical categories, are studied in illative combinatory logic. The theory of
combinators exists in another, equivalent form, namely as the type-free
l-calculus created by Church in 2. Like the theory of combinators, it was
designed as a formalism for representing functions as rules of calculation, and
it was originally part of a more general system of functions intended as a
foundation for mathematics. The l-calculus has application as a primitive
operation, but instead of building up new functions from some primitive ones by
application, new functions are here obtained by functional abstraction. If ax
is an expression built up by means of application from constants and the
variable x, then ax is considered to define a function denoted lx.a x, whose
value for the argument b is ab, i.e. lx.a xb % ab. The function lx.ax is
obtained from ax by functional abstraction. The property of combinatory
completeness or closure under explicit definition is postulated in the form of
functional abstraction. The combinators can be defined using functional
abstraction i.e., K % lx.ly.x and S % lx.ly.lz.xzyz, and conversely, in the
theory of combinators, functional abstraction can be defined. A detailed
presentation of the l-calculus is found in H. Barendregt, The Lambda Calculus,
Its Syntax and Semantics 1. It is possible to represent the series of natural
numbers by a sequence of closed terms in the lcalculus. Certain expressions in
the l-calculus will then represent functions on the natural numbers, and these
l-definable functions are exactly the general recursive functions or the Turing
computable functions. The equivalence of l-definability and general
recursiveness was one of the arguments used by Church for what is known as
Church’s thesis, i.e., the identification of the effectively computable
functions and the recursive functions. The first problem about recursive
undecidability was expressed by Church as a problem about expressions in the l
calculus. The l-calculus thus played a historically important role in the
original development of recursion theory. Due to the emphasis in combinatory logic
on the computational aspect of functions, it is natural that its method has
been found useful in proof theory and in the development of systems of
constructive mathematics. For the same reason it has found several applications
in computer science in the construction and analysis of programming languages.
The techniques of combinatory logic have also been applied in theoretical
linguistics, e.g. in so-called Montague grammar. In recent decades combinatory
logic, like other domains of mathematical logic, has developed into a
specialized branch of mathematics, in which the original philosophical and
foundational aims and motives are of little and often no importance. One reason
for this is the discovery of the new technical applications, which were not
intended originally, and which have turned the interest toward several new
mathematical problems. Thus, the original motives are often felt to be less
urgent and only of historical significance. Another reason for the decline of
the original philosophical and foundational aims may be a growing awareness in
the philosophy of mathematics of the limitations of formal and mathematical
methods as tools for conceptual combinatory logic combinatory logic
clarification, as tools for reaching “ultimate foundations.” grice’s
“The Three-Year-Old’s Guide to Russell’s Theory of Types,” with an advice to
parents by P. F. Starwson -- type theory, broadly, any theory according to
which the things that exist fall into natural, perhaps mutually exclusive,
categories or types. In most modern discussions, ‘type theory’ refers to the
theory of logical types first sketched by Russell in The Principles of
Mathematics 3. It is a theory of logical types insofar as it purports only to
classify things into the most general categories that must be presupposed by an
adequate logical theory. Russell proposed his theory in response to his
discovery of the now-famous paradox that bears his name. The paradox is this.
Common sense suggests that some classes are members of themselves e.g., the class
of all classes, while others are not e.g., the class of philosophers. Let R be
the class whose membership consists of exactly those classes of the latter
sort, i.e., those that are not members of themselves. Is R a member of itself?
If so, then it is a member of the class of all classes that are not members of
themselves, and hence is not a member of itself. If, on the other hand, it is
not a member of itself, then it satisfies its own membership conditions, and
hence is a member of itself after all. Either way there is a contradiction. The
source of the paradox, Russell suggested, is the assumption that classes and
their members form a single, homogeneous logical type. To the contrary, he
proposed that the logical universe is stratified into a regimented hierarchy of
types. Individuals constitute the lowest type in the hierarchy, type 0. For
purposes of exposition, individuals can be taken to be ordinary objects like
chairs and persons. Type 1 consists of classes of individuals, type 2 of
classes of classes of individuals, type 3 classes of classes of classes of
individuals, and so on. Unlike the homogeneous universe, then, in the type
hierarchy the members of a given class must all be drawn from a single logical
type n, and the class itself must reside in the next higher type n ! 1.
Russell’s sketch in the Principles differs from this account in certain
details. Russell’s paradox cannot arise in this conception of the universe of
classes. Because the members of a class must all be of the same logical type, there
is no such class as R, whose definition cuts across all types. Rather, there is
only, for each type n, the class Rn of all non-self-membered classes of that
type. Since Rn itself is of type n ! 1, the paradox breaks down: from the
assumption that Rn is not a member of itself as in fact it is not in the type
hierarchy, it no longer follows that it satisfies its own membership
conditions, since those conditions apply only to objects of type n. Most formal
type theories, including Russell’s own, enforce the class membership
restrictions of simple type theory syntactically such that a can be asserted to
be a member of b only if b is of the next higher type than a. In such theories,
the definition of R, hence the paradox itself, cannot even be expressed. Numerous
paradoxes remain unscathed by the simple type hierarchy. Of these, the most
prominent are the semantic paradoxes, so called because they explicitly involve
semantic notions like truth, as in the following version of the liar paradox.
Suppose Epimenides asserts that all the propositions he asserts today are
false; suppose also that that is the only proposition he asserts today. It
follows immediately that, under those conditions, the proposition he asserts is
true if and only if it is false. To address such paradoxes, Russell was led to
the more refined and substantially more complicated system known as ramified
type theory, developed in detail in his 8 paper “Mathematical Logic as Based on
the Theory of Types.” In the ramified theory, propositions and properties or
propositional functions, in Russell’s jargon come to play the central roles in
the type-theoretic universe. Propositions are best construed as the
metaphysical and semantical counterparts of sentences what sentences express and properties as the counterparts of “open
sentences” like ‘x is a philosopher’ that contain a variable ‘x’ in place of a
noun phrase. To distinguish linguistic expressions from their semantic
counterparts, the property expressed by, say, ‘x is a philosopher’, will be denoted
by ‘x is a philosopher’, and the
proposition expressed by ‘Aristotle is a philosopher’ will be denoted by
‘Aristotle is a philosopher’. A property . . .x
. . . is said to be true of an individual a if . . . a . . . is a true
proposition, and false of a if . . . a . . . is a false proposition where ‘. .
. a . . .’ is the result of replacing ‘x
’ with ‘a’ in ‘. . . x . . .’.
So, e.g., x is a philosopher is true of
Aristotle. The range of significance of a property P is the collection of
objects of which P is true or false. a is a possible argument for P if it is in
P’s range of significance. In the ramified theory, the hierarchy of classes is
supplanted by a hierarchy of properties: first, properties of individuals i.e.,
properties whose range of significance is restricted to individuals, then
properties of properties of individuals, and so on. Parallel to the simple
theory, then, the type of a property must exceed the type of its possible
arguments by one. Thus, Russell’s paradox with R now in the guise of the
property x is a property that is not
true of itself is avoided along
analogous lines. Following the
mathematician Henri Poincaré, Russell traced the type theory type theory
935 935 source of the semantic
paradoxes to a kind of illicit self-reference. So, for example, in the liar
paradox, Epimenides ostensibly asserts a proposition p about all propositions,
p itself among them, namely that they are false if asserted by him today. p
thus refers to itself in the sense that it
or more exactly, the sentence that expresses it quantifies over i.e., refers generally to all
or some of the elements of a collection of entities among which p itself is
included. The source of semantic paradox thus isolated, Russell formulated the
vicious circle principle VCP, which proscribes all such self-reference in
properties and propositions generally. The liar proposition p and its ilk were
thus effectively banished from the realm of legitimate propositions and so the
semantic paradoxes could not arise. Wedded to the restrictions of simple type
theory, the VCP generates a ramified hierarchy based on a more complicated form
of typing. The key notion is that of an object’s order. The order of an
individual, like its type, is 0. However, the order of a property must exceed
the order not only of its possible arguments, as in simple type theory, but
also the orders of the things it quantifies over. Thus, type 1 properties like
x is a philosopher and x is as wise as all other philosophers are
first-order properties, since they are true of and, in the second instance,
quantify over, individuals only. Properties like these whose order exceeds the
order of their possible arguments by one are called predicative, and are of the
lowest possible order relative to their range of significance. Consider, by
contrast, the property call it Q x has
all the first-order properties of a great philosopher. Like those above, Q also
is a property of individuals. However, since Q quantifies over first-order
properties, by the VDP, it cannot be counted among them. Accordingly, in the
ramified hierarchy, Q is a second-order property of individuals, and hence
non-predicative or impredicative. Like Q, the property x is a first-order property of all great philosophers
is also second-order, since its range of significance consists of objects of
order 1 and it quantifies only over objects of order 0; but since it is a
property of first-order properties, it is predicative. In like manner it is
possible to define third-order properties of individuals, third-order
properties of first-order properties, third-order properties of second-order
properties of individuals, third-order properties of secondorder properties of
first-order properties, and then, in the same fashion, fourth-order properties,
fifth-order properties, and so on ad infinitum. A serious shortcoming of
ramified type theory, from Russell’s perspective, is that it is an inadequate
foundation for classical mathematics. The most prominent difficulty is that
many classical theorems appeal to definitions that, though consistent, violate
the VCP. For instance, a wellknown theorem of real analysis asserts that every
bounded set of real numbers has a least upper bound. In the ramified theory,
real numbers are identified with certain predicative properties of rationals.
Under such an identification, the usual procedure is to define the least upper
bound of a bounded set S of reals to be the property call it b some real number
in S is true of x , and then prove that
this property is itself a real number with the requisite characteristics.
However, b quantifies over the real numbers. Hence, by the VCP, b cannot itself
be taken to be a real number: although of the same type as the reals, and
although true of the right things, b must be assigned a higher order than the
reals. So, contrary to the classical theorem, S fails to have a least upper
bound. Russell introduced a special axiom to obviate this difficulty: the axiom
of reducibility. Reducibility says, in effect, that for any property P, there
is a predicative property Q that is true of exactly the same things as P.
Reducibility thus assures that there is a predicative property bH true of the
same rational numbers as b. Since the reals are predicative, hence of the same
order as bH, it turns out that bH is a real number, and hence that S has a
least upper bound after all, as required by the classical theorem. The general
role of reducibility is thus to undo the draconian mathematical effects of
ramification without undermining its capacity to fend off the semantic
paradoxes. grice’s play group -- H. P. Grice’s playgroup: after the death of
J. L. Austin, Grice kept the routine of the Saturday morning with a few new
rules. 1. Freedom. 2. Freedom, and 3. Freedom.grice’s theory-theory: Grice’s word for ‘first philosophy.’‘striking
originality, eh?’ grice’s
personalism: Grice: “I finished the thing and did not know what to titlemy
mother said, “Try ‘personal identity.’ She was a personal trinitarian.” -- a
version of personal idealism that flourished in the United States principally
at Boston from the late nineteenth
century to the mid-twentieth century. Its principal proponents were Borden
Parker Bowne 1847 0 and three of his students: Albert Knudson 18733; Ralph Flewelling
18710, who founded The Personalist; and, most importantly, Edgar Sheffield
Brightman 43. Their personalism was both idealistic and theistic and was
influential in philosophy and in theology. Personalism traced its philosophical
lineage to Berkeley and Leibniz, and had as its foundational insight the view
that all reality is ultimately personal. God is the transcendent person and the
ground or creator of all other persons; nature is a system of objects either
for or in the minds of persons. Both Bowne and Brightman considered themselves
empiricists in the tradition of Berkeley. Immediate experience is the starting
point, but this experience involves a fundamental knowledge of the self as a
personal being with changing states. Given this pluralism, the coherence,
order, and intelligibility of the universe are seen to derive from God, the
uncreated person. Bowne’s God is the eternal and omnipotent being of classical
theism, but Brightman argued that if God is a real person he must be construed
as both temporal and finite. Given the fact of evil, God is seen as gradually
gaining control over his created world, with regard to which his will is
intrinsically limited. Another version of personalism developed in France out
of the neo-Scholastic tradition. E. Mounier 550, Maritain, and Gilson identified
themselves as personalists, inasmuch as they viewed the infinite person God and
finite persons as the source and locus of intrinsic value. They did not,
however, view the natural order as intrinsically personal.grice’s personhood:
Grice: “I finished the thing and did not know how to title. My mother, a
confessed personal trinitarian, suggested, ‘personal identity.’’ -- the
condition or property of being a person, especially when this is considered to
entail moral and/or metaphysical importance. Personhood has been thought to
involve various traits, including moral agency; reason or rationality;
language, or the cognitive skills language may support such as intentionality
and self-consciousness; and ability to enter into suitable relations with other
persons viewed as members of a self-defining group. Buber emphasized the
difference between the I-It relationship holding between oneself and an object,
and the IThou relationship, which holds between oneself and another person who
can be addressed. Dennett has construed persons in terms of the “intentional
stance,” which involves explaining another’s behavior in terms of beliefs,
desires, intentions, etc. Questions about when personhood begins and when it
ends have been central to debates about abortion, infanticide, and euthanasia,
since personhood has often been viewed as the mark, if not the basis, of a
being’s possession of special moral status.
griceian. Grice disliked the
spelling “Gricean” that some people in the New World use. “Surely my
grandmother was right when she said she had become a Griceian by marrying a
Grice!” grice: g. r.Welsh
philosopher who taught at Norwich. Since H. P. Grice and G. R. Grice both wrote
on the contract and morality, one has to be careful. Griceian elenchus: a cross-examination or refutation. Typically in
Plato’s early dialogues, Socrates has a conversation with someone who claims to
have some sort of knowledge, and Socrates refutes this claim by showing the
interlocutor that what he thinks he knows is inconsistent with his other
opinions. This refutation Grice calls a ‘conversational elenchus.’ “It is not
entirely negative, for awareness of his own ignorance is supposed to spur one’s
conversational interlocutor to further inquiry, and the concepts and
assumptions employed in the refutations serve as the basis for positive
Griceian, and implicatural, treatments of the same topic.” “Now, in contrast,
I’ll grant you that a type of “sophistic elenchi” that one sometimes sees at
Oxford, usually displayed by Rhode
scholars from the New World or the Colonies, under the tutelage of me or others
in my group, may be merely eristic.” “They aim simply at the refutation of an
opponent by any means.” “That is why, incidentally, why Aristotle calls a
fallacy that only *appear* to be a refutation a “sophistici elenchi.” Cf. ‘eristic.’ And Grice on the
epagoge/diagoge distinction. Grice’s “sc.”: as the elliptical
disimplicaturum -- ellipsis as implicaturum: an expression from which a ‘part’
has been deleted.. “I distinguish between the expression-whole and the
expression-part.” The term Grice uses for ‘part’ is ‘incomplete’ versus
‘complete,’ and it’s always for metabolical ascriptions primarily. Thus Grice
has "x (utterance-type) means '. . .' " which is a specification of
timeless meaning for an utterance-type ad which can be either (i a) “complete”
or (i b) non-complete (partial) or incomplete]. He also has "x
(utterance-type) meant here '...'", which is a specification of applied
timeless meaning for an utterance-type which again can be either (2a) complete
or (2b) partial, non-complete, or incomplete. So ellipsis can now be redefined
in terms of the complete-incomplete distinction. “Smith is” is incomplete.
“Smith is clever” is complete. “Uusually
for conciseness.” As Grice notes, “an elliptical or incomplete sentence is
often used to answer a questions without repeating material occurring in the
question; e. g. ‘Grice’ may be the
answer to the question of the authorship of “The grounds of morality” or to the
question of the authorship of “Studies in the Way of Words.” ‘Grice’ can be
seen as an ‘elliptical’ name when used as an ellipsis of ‘G. R. Grice’ or “H.
P. Grice” and “Grice” can be seen as an elliptical *sentence* when used as an
ellipsis for ‘G. R. Grice is the author of ‘The Grounds of Morality”” or “H. P.
Grice is the author of Studies in the Way of Words.’Other typical elliptical
sentences are: ‘Grice is a father of two [+> children]’, ‘Grice, or Godot,
arrived for the tutorial past twelve [+> midnight]’. A typical ellipsis that
occurs in discussion of ellipses involves citing the elliptical sentences with
the deleted material added in brackets often with ‘sc.’ or ‘scilicet’“Grice is
a father of two (sc. Children),” Grice, or Godot, as we tutees call him,
arrived for the tutorial past twelve (sc. midnight)” -- instead of also
presenting the complete sentence. As Grice notes, ellipsis can also occurs
above the sentential level, e.g. where well-known premises are omitted in the
course of argumentation, as in “Grice is an Englishman; he is, therefore,
brave.” ‘Enthymeme,’ literally, ‘in-the-breast,’ designates an elliptical
argument expression from which one or more premise-expressions have been
deleted, “or merely implicated.” -- ‘elliptic ambiguity’ designates ambiguity
arising from ellipsis, as does ‘elliptic implicaturum.’ “Sc.” Grice calls
“elliptical disimplicaturum.”Grice’s ego:
“Oddly, while I and we, and thou and you are persons, ‘it’ is notthe “THIRD”
person is a joke!” -- “I follow Buber in distinguishing ‘ego’ from ‘tu.’ With conversation,
there’s the ‘we,’ too.” “If you were the
only girl in the world, there would not be a need for the personal pronoun
‘ego’”Grice to his wife, on the day of their engagement. “I went to Oxford. You
went to Cambridge. He went to the London School of Economics.” egocentric
particular, a word whose denotation is determined by identity of the speaker
and/or the time, place, and audience of his utterance. Examples are generally
thought to include ‘I,’ ‘you’, ‘here’, ‘there’, ‘this’, ‘that’, ‘now’, ‘past’,
‘present’, and ‘future’. The term ‘egocentric particular’ was introduced by
Russell in An Inquiry into Meaning and Truth 0. In an earlier work, “The
Philosophy of Logical Atomism” Monist, 819, Russell called such words “emphatic
particulars.” Some important questions arise regarding egocentric particulars.
Are some egocentric particulars more basic than others so that the rest can be
correctly defined in terms of them but they cannot be correctly defined in
terms of the rest? Russell thought all egocentric particulars can be defined by
‘this’; ‘I’, for example, has the same meaning as ‘the biography to which this
belongs’, where ‘this’ denotes a sense-datum experienced by the speaker. Yet,
at the same time, ‘this’ can be defined by the combination ‘what I-now notice’.
Must we use at least some egocentric particulars to give a complete description
of the world? Our ability to describe the world from a speaker-neutral
perspective, so that the denotations of the terms in our description are
independent of when, where, and by whom they are used, depends on our ability
to describe the world without using egocentric particulars. Russell held that
egocentric particulars are not needed in any part of the description of the
world. -- egocentric predicament, each
person’s apparently problematic position as an experiencing subject, assuming
that all our experiences are private in that no one else can have them. Two
problems concern our ability to gain empirical knowledge. First, it is hard to
see how we gain empirical knowledge of what others experience, if all
experience is private. We cannot have their experience to see what it is like,
for any experience we have is our experience and so not theirs. Second, it is
hard to see how we gain empirical knowledge of how the external world is,
independently of our experience. All our empirically justified beliefs seem to
rest ultimately on what is given in experience, and if the empirically given is
private, it seems it can only support justified beliefs about the world as we
experience it. A third major problem concerns our ability to communicate with
others. It is hard to see how we describe the world in a language others
understand. We give meaning to some of our words by defining them by other
words that already have meaning, and this process of definition appears to end
with words we define ostensively; i.e., we use them to name something given in
experience. If experiences are private, no one else can grasp the meaning of
our ostensively defined words or any words we use them to define. No one else
can understand our attempts to describe the world. Egoism: cf. H. P. Grice, “The principle of
conversational self-love and the principle of conversational benevolence,” any
view that, in a certain way, makes the self central. There are several
different versions of egoism, all of which have to do with how actions relate
to the self. Ethical egoism is the view that people ought to do what is in
their own selfinterest. Psychological egoism is a view about people’s motives,
inclinations, or dispositions. One statement of psychological egoism says that,
as a matter of fact, people always do what they believe is in their
self-interest and, human nature being what it is, they cannot do otherwise.
Another says that people never desire anything for its own sake except what
they believe is in their own self-interest. Altruism is the opposite of egoism.
Any ethical view that implies that people sometimes ought to do what is in the
interest of others and not in their self-interest can be considered a form of
ethical altruism. The view that, human nature being what it is, people can do
what they do not believe to be in their self-interest might be called
psychological altruism. Different species of ethical and psychological egoism
result from different interpretations of self-interest and of acting from
self-interest, respectively. Some people have a broad conception of acting from
self-interest such that people acting from a desire to help others can be said
to be acting out of self-interest, provided they think doing so will not, on
balance, take away from their own good. Others have a narrower conception of
acting from selfinterest such that one acts from self-interest only if one acts
from the desire to further one’s own happiness or good. Butler identified
self-love with the desire to further one’s own happiness or good and
self-interested action with action performed from that desire alone. Since we
obviously have other particular desires, such as the desires for honor, for
power, for revenge, and to promote the good of others, he concluded that
psychological egoism was false. People with a broader conception of acting from
self-interest would ask whether anyone with those particular desires would act
on them if they believed that, on balance, acting on them would result in a
loss of happiness or good for themselves. If some would, then psychological
egoism is false, but if, given human nature as it is, no one would, it is true
even if self-love is not the only source of motivation in human beings. Just as
there are broader and narrower conceptions of acting from self-interest, there
are broader and narrower conceptions of self-interest itself, as well as
subjective and objective conceptions of self-interest. Subjective conceptions
relate a person’s self-interest solely to the satisfaction of his desires or to
what that person believes will make his life go best for him. Objective
conceptions see self-interest, at least in part, as independent of the person’s
desires and beliefs. Some conceptions of self-interest are narrower than
others, allowing that the satisfaction of only certain desires is in a person’s
self-interest, e.g., desires whose satisfaction makes that person’s life go
better for her. And some conceptions of self-interest count only the
satisfaction of idealized desires, ones that someone would have after
reflection about the nature of those desires and what they typically lead to,
as furthering a person’s self-interest.
See index to all Grice’s books with indexthe first three of them.Grice’s genitorial programmeA type of
ideal observer theory -- demiurge from Grecian demiourgos, ‘artisan’,
‘craftsman’, a deity who shapes the material world from the preexisting chaos.
Plato introduces the demiurge in his Timaeus. Because he is perfectly good, the
demiurge wishes to communicate his own goodness. Using the Forms as a model, he
shapes the initial chaos into the best possible image of these eternal and
immutable archetypes. The visible world is the result. Although the demiurge is
the highest god and the best of causes, he should not be identified with the
God of theism. His ontological and axiological status is lower than that of the
Forms, especially the Form of the Good. He is also limited. The material he
employs is not created by him. Furthermore, it is disorderly and indeterminate,
and thus partially resists his rational ordering. In gnosticism, the demiurge
is the ignorant, weak, and evil or else morally limited cause of the cosmos. In
the modern era the term has occasionally been used for a deity who is limited
in power or knowledge. Its first occurrence in this sense appears to be in J.
S. Mill’s Theism 1874. gricese: While Grice presented Gricese as refutation of Vitters’s
idea of a private language “I soon found out that my wife and my two children
were speaking Gricese, as was my brother Derek!” -- english, being
English or the genius of the ordinary. H. P. Grice refers to “The English
tongue.” A refusal to rise above the facts of ordinary life is characteristic
of classical Eng. Phil. from
Ireland-born Berkeley to Scotland-born Hume, Scotland-born Reid, and very
English Jeremy Bentham and New-World Phil. , whether in transcendentalism
Emerson, Thoreau or in pragmatism from James to Rorty. But this orientation did
not become truly explicit until after the linguistic turn carried out by
Vienna-born Witters, translated by C. K. Ogden, very English Brighton-born
Ryle, and especially J. L. Austin and his best companion at the Play Group, H.
P. Grice, when it was radicalized and systematized under the name of a phrase
Grice lauged at: “‘ordinary’-language philosophy.” This preponderant recourse
to the ordinary seems inseparable from certain peculiar characteristics of the
English Midlanders such as H. P. Grice, such as the gerund that often make it
difficult if not impossible to translate. It is all the more important to
emphasize this paradox because English Midlander philosopher, such as H. P.
Grice, claims to be as simple as it is universal, and it established itself as
an important philosophical language in the second half of the twentieth
century, due mainly to the efforts of H. P. Grice. English, but especially
Oxonian Phil. has a specific
relationship to ‘ordinary’ language (even though for Grice, “Greek and Latin
were always more ordinary to meand people who came to read Eng. at Oxford were
laughed at!”), as well as to the requirements of everyday life, that is not
limited to the theories of the Phil. of
language, in which an Eng. philosopher such as H. P. Grice appears as a
pioneer. It rejects the artificial linguistic constructions of philosophical
speculation that is, Met. and always prefers to return to its original home, as
Witters puts it: the natural environment of everyday words Philosophical
Investigations. Thus we can discern a continuity between the recourse to the
ordinary in Scots Hume, Irish Berkeley, Scots Reid, and very English Jeremy
Bentham and what will become in Irish London-born G. E. Moore and Witters after
he started using English, at least orally and then J. L. Austin’s and H. P.
Grice’s ‘ordinary’-language philosophy. This continuity can be seen in several
areas. First, in the exploitation of all the resources of the language, which
is considered as a source of information and is valid in itself. Second, in the
attention given to the specificities—and even the defects, or ‘implicatura,’ as
Grice calls them —of the vernacular --
which become so many philosophical characteristics from which one can
learn. Finally, in the affirmation of the naturalness of the distinctions made
in and by ordinary language, seeking to challenge the superiority of the
technical language of Philosophy —the former being the object of an agreement
deeper than the latter. Then there’s The Variety of Modes of Action. The
passive. There are several modes of agency, and these constitute both part of
the genius of the language and a main source of its problems in tr.. Agency is
a strange intersection of points of view that makes it possible to designate
the person who is acting while at the same time concealing the actor behind the
act—and thus locating agency in the passive subject itself v. AGENCY. A classic
difficulty is illustrated by the following sentence from J. Stuart Mill’s To
gauge the naturalness of the passive construction in English, it suffices to
examine a couple of newspaper headlines. “Killer’s Car Found” On a retrouvé la
voiture du tueur, “Kennedy Jr. Feared Dead.” On craint la mort du fils Kennedy;
or the titles of a philosophical essay, “Epistemology Naturalized,” L’Épistémologie
naturalisée; Tr. J. Largeault as
L’Épistémologie devenue naturelle; a famous article by Quine that was the
origin of the naturalistic turn in American Phil. and “Consciousness Explained” La conscience
expliquée by Daniel Dennett. We might then better understand why this PASSIVE
VOICE kind of construction—which seems so awkward in Fr. compared with the active voice— is perceived
by its Eng. users as a more direct and effective way of speaking. More generally,
the ellipsis of the agent seems to be a tendency of Eng. so profound that one
can maintain that the phenomenon Lucien Tesnière called diathèse récessive the
loss of the agent has become a characteristic of the Eng. language itself, and
not only of the passive. Thus, e. g. , a Fr.
reader irresistibly gains the impression that a reflexive pronoun is
lacking in the following expressions. “This book reads well.” ce livre se lit
agréablement. “His poems do not translate well.” ses poèmes se traduisent
difficilement. “The door opens.” la porte s’ouvre. “The man will hang.” l’homme
sera pendu. In reality, here again, Eng. simply does not need to mark by means
of the reflexive pronoun se the presence of an active agent. Do, make, have
Eng. has several terms to translate the single Fr. word faire, which it can render by to do, to
make, or to have, depending on the type of agency required by the context.
Because of its attenuation of the meaning of action, its value as emphasis and
repetition, the verb “to do” has become omnipresent in English, and it plays a
particularly important role in philosophical texts. We can find a couple of
examples of tr. problems in the Oxonian seminars by J. L. Austin. In Sense and
Considerations on Representative Government: “I must not be understood to say
that” p. To translate such a passive construction, Fr. is forced to resort to the impersonal pronoun
on and to put it in the position of an observer of the “I” je as if it were
considered from the outside: On ne doit pas comprendre que je dis que p. But at
the same time, the network of relations internal to the sentence is modified,
and the meaning transformed. Necessity is no longer associated with the subject
of the sentence and the author; it is made impersonal. Philosophical language
also makes frequent use of the diverse characteristics of the passive. Here we
can mention the crucial turning point in the history of linguistics represented
by Chomsky’s discovery Syntactic Structures,
of the paradigm of the active/ passive relation, which proves the
necessity of the transformational component in grammar. A passive utterance is
not always a reversal of the active and only rarely describes an undergoing, as
is shown by the example She was offered a bunch of flowers. In particular,
language makes use of the fact that this kind of construction authorizes the
ellipsis of the agent as is shown by the common expression Eng. spoken. For a
philosopher, the passive is thus the privileged form of an action when its
agent is unknown, indeterminate, unimportant, or, inversely, too obvious. Thus
without making his prose too turgid, in Sense and Sensibilia Austin can use
five passives in less than a page, and these can be translated in Fr. only by on, an indeterminate subject defined
as differentiated from moi. “It is clearly implied, that “Now this, at least if
it is taken to mean The expression is here put forward We are given, as
examples, familiar objects The expression is not further defined On sous-entend
clairement que Quant à cela, du moins si on l’entend au sens de On avance ici
l’expression On nous donne, comme exemples, des objets familiers On
n’approfondit pas la définition de l’expression . . . 1 Langage, langue,
parole: A virtual distinction. Contrary to what is too often believed, the Eng.
language does not conflate under the term language what Fr. distinguishes following Saussure with the
terms langage, langue, and parole. In reality, Eng. also has a series of three
terms whose semantic distribution makes possible exactly the same trichotomy as
Fr. : First there’s Grice’s “tongue,”which serves to designate a specific
language by opposition to another; speech, which refers more specifically to
parole but which is often translated in Fr.
by discours; and language in the sense of faculté de langage.
Nonetheless, Fr. ’s set of systematic distinctions can only remain
fundamentally virtual in English, notably because the latter refuses to
radically detach langue from parole. Thus in Chrestomathia, Bentham uses
“tongue” (Bentham’s tonguein Chrestomathia) and language interchangeably and
sometimes uses language in the sense of langue: “Of all known languages the
Grecian [Griceian] is assuredly, in its structure, the most plastic and most
manageable. Bentham even uses speech and language as equivalents, since he
speaks of parts of speech. But on the contrary, he sometimes emphasizes
differences that he ignores here. And he proceeds exactly like Hume in his
essay Of the Standard of Taste, where we find, e. g. , But it must also be
allowed, that some part of the seeming harmony in morals may be accounted for
from the very nature of language. The word, virtue, with its equivalent in
every tongue, implies praise; as that of vice does blame. REFS.: Bentham,
Jeremy. ChrestomathiEd. by M. J. Smith
and W. H. Burston. Oxford: Clarendon, . Hume, D. . Of the Standard of Taste. In
Four Dissertations. London: Thoemmes Continuum, . First published in 175
Saussure, F. de. Course in General Linguistics. Ed. by Bally and Sechehaye. Tr. R. Harris. LaSalle, IL: Open Court, . First
published in circulation among these forms. This formal continuity promotes a
great methodological inventiveness through the interplay among the various
grammatical entities that it enables.
The gerund: The form of -ing that is the most difficult to translate
Eng. is a nominalizing language. Any verb can be nominalized, and this ability
gives the Eng. philosophical language great creative power. “Nominalization,”
as Grice calls it, is in fact a substantivization without substantivization:
the verb is not substantivized in order to refer to action, to make it an
object of discourse which is possible in any language, notably in philosophical
Fr. and G. , but rather to nominalize
the verb while at the same time preserving its quality as a verb, and even to
nominalize whole clauses. Fr. can, of
course, nominalize faire, toucher, and sentir le faire, le toucher, even le
sentir, and one can do the same, in a still more systematic manner, in G. .
However, these forms will not have the naturalness of the Eng. expressions: the
making and unmaking the doing and undoing, the feeling, the feeling Byzantine,
the meaning. Above all, in these languages it is hard to construct expressions
parallel to, e. g. , the making of, the making use of, my doing wrongly, “my
meaning this,” (SIGNIFICATUM, COMMUNICATUM), his feeling pain, etc., that is,
mixtures of noun and verb having—and this is the grammatical characteristic of
the gerund — the external distribution of a nominal expression and the internal
distribution of a verbal expression. These forms are so common that they
characterize, in addition to a large proportion of book titles e. g. , The
Making of the Eng. Working Class, by E. P. Thomson; or, in Phil. , The Taming
of Chance, or The taming of the true, by I. Hacking, the language of classical
Eng. Phil. . The gerund functions as a sort of general equivalent or exchanger
between grammatical forms. In that way, it not only makes the language dynamic
by introducing into it a permanent temporal flux, but also helps create, in the
language itself, a kind of indeterminacy in the way it is parsed, which the
translator finds awkward when he understands the message without being able to
retain its lightness. Thus, in A Treatise of Human Nature, Hume speaks,
regarding the idea, of the manner of its being conceived, which a Fr. translator might render as sa façon d’être
conçue or perhaps, la façon dont il lui appartient d’être conçue, which is not
quite the same thing. And we v. agency and the gerund connected in a language
like that of Bentham, who minimizes the gaps between subject and object, verb
and noun: much regret has been suggested at the thoughts of its never having
yet been brought within the reach of the Eng. reader ChrestomathiTranslators
often feel obliged to render the act expressed by a gerund by the expression le
fait de, but this has a meaning almost contrary to the English. With its
gerund, Eng. avoids the discourse of fact by retaining only the event and
arguing only on that basis. The inevitable confusion suggested by Fr. when it translates the Eng. gerund is all the
more unfortunate in this case because it becomes impossible to distinguish when
Eng. uses the fact or the case from when it uses the gerund. The importance of
the event, along with the distinction between trial, case, and event, on the
one hand and happening on the other, is Sensibilia, he has criticized the claim
that we never perceive objects directly and is preparing to criticize its
negation as well: I am not going to maintain that we ought to embrace the
doctrine that we do perceive material things. Je ne vais pas soutenir que nous
devons embrasser la doctrine selon laquelle nous percevons vraiment les choses
matérielles. Finally, let us recall Austin’s first example of the performative,
which plays simultaneously on the anaphoric value of do and on its sense of
action, a duality that v.ms to be at the origin of the theory of the
performative, I do take this woman to be my lawful wedded wife—as uttered in
the course of the marriage ceremony Oui à savoir: je prends cette femme pour
épouse’énoncé lors d’une cérémonie de mariage; How to Do Things with Words. On
the other hand, whereas faire is colored by a causative sense, Eng. uses to
make and to have—He made Mary open her bags il lui fit ouvrir sa valise; He had
Mary pour him a drink il se fit verser un verre—with this difference: that make
can indicate, as we v., coercion, whereas have presupposes that there is no
resistance, a difference that Fr. can
only leave implicit or explain by awkward periphrases. Twentieth-century Eng.
philosophers from Austin to Geach and Anscombe have examined these differences
and their philosophical implications very closely. Thus, in A Plea for Excuses,
Austin emphasizes the elusive meaning of the expression doing something, and
the correlative difficulty of determining the limits of the concept of
action—Is to sneeze to do an action? There is indeed a vague and comforting
idea that doing an action must come down to the making of physical movements.
Further, we need to ask what is the detail of the complicated internal
machinery we use in acting. Philosophical Papers No matter how partial they may
be, these opening remarks show that there is a specific, intimate relation
between ordinary language and philosophical language in English language Phil.
. This enables us to better understand why the most Oxonian philosophers are so
comfortable resorting to idiomatic expressions cf. H. Putnam and even to
clearly popular usage: “Meanings ain’t in the head.” It ain’t necessarily so.As
for the title of Manx-ancestry Quine’s famous book From a Logical Point of
View, which at first seems austere, it is taken from a calypso song: “From a
logical point of view, Always marry women uglier than you. The Operator -ing:
Properties and Antimetaphysical Consequences -ing: A multifunctional operator
Although grammarians think it important to distinguish among the forms of
-ing—present participles, adjectives, the progressive, and the gerund—what
strikes the reader of scientific and philosophical texts is first of all the
free in Phil. , You are v.ing something Austin, Sense and Sensibilia, regarding
a stick in water; I really am perceiving the familiar objects Ayer, Foundations
of Empirical Knowledge. The passage to the form be + verb + -ing indicates,
then, not the progressiveness of the action but rather the transition into the
metalanguage peculiar to the philosophical description of phenomena of
perception. The sole exception is, curiously, to know, which is practically
never used in the progressive: even if we explore the philosophical and
epistemological literature, we do not find “I am knowing” or he was knowing, as
if knowledge could not be conceived as a process. In English, there is a great
variety of what are customarily called aspects, through which the status of the
action is marked and differentiated in a more systematic way than in Fr. or G. , once again because of the -ing
ending: he is working / he works / he worked / he has been working. Unlike what
happens in Slavic languages, aspect is marked at the outset not by a duality of
verbal forms but instead by the use of the verb to be with a verb ending in
-ing imperfect or progressive, by opposition to the simple present or past
perfect. Moreover, Grice mixes several aspects in a single expression: iterativity,
progressivity, completion, as in it cannot fail to have been noticed Austin,
How to Do Things. These are nuances, or implicate, as Labov and then Pinker
recently observed, that are not peculiar to classical or written Eng. but also
exist in certain vernaculars that appear to be familiar or allegedly
ungrammatical. The vernacular seems particularly sophisticated on this point,
distinguishing “he be working” from “he working” —that is, between having a
regular job and being engaged in working at a particular moment, standard usage
being limited to “he is working” Pinker, Language Instinct. Whether or not the
notion of aspect is used, it seems clear that in Eng. there is a particularly
subtle distinction between the different degrees of completion, of the
iterativity or development of an action, that leads Oxonian philosophers to pay
more attention to these questions and even to surprising inventions, such as
that of ‘implicaturum,’ or ‘visum,’ or ‘disimplicaturum.’ The linguistic
dissolution of the idea of substance
Fictive entities Thus the verb + -ing operation simply gives the verb
the temporary status of a noun while at the same time preserving some of its
syntactic and semantic properties as a verb, that is, by avoiding
substantivization. It is no accident that the substantiality of the I think
asserted by Descartes was opposed by virtually all the Eng. philosophers of the
seventeenth century. If a personal identity can be constituted by the making
our distant perceptions influence each other, and by giving us a present
concern for our past or future pains or pleasures Hume, Treatise of Human
Nature, it does not require positing a substance: the substantivization of
making and giving meets the need. We can also consider the way in which Russell
Analysis of Matter, ch.27 makes his reader understand far more easily than does
Bachelard, and without having to resort to the category of an epistemological
obstacle, that one can perfectly well posit an atom as a series of events
without according it the status of a substance. crucial in discussions of
probability. The very definition of probability with which Bayes operates in An
Essay towards Solving a Problem, the first great treatise on subjective
probability, is based on this status of the happening, the event conceived not
in terms of its realization or accomplishment but in terms of its expectation:
The probability of any event is the ratio between the value at which an
expectation depending on the happening of the event ought to be computed, and
the value of the thing expected upon its happening. The progressive: Tense and aspect If we now
pass from the gerund to the progressive, another construction that uses -ing, a
new kind of problem appears: that of the aspect and temporality of actions. An
interesting case of tr. difficulty is, e. g. , the one posed by Austin
precisely when he attempts, in his presentation of performatives, to
distinguish between the sentence and the act of saying it, between statement
and utterance: there are utterances, such as the uttering of the sentence is,
or is part of, the doing of an action How to Do Things. The tr. difficulty here
is caused by the combination in the construction in -ing of the syntactical
flexibility of the gerund and a progressive meaning. Does the -ing construction
indicate the act, or the progressiveness of the act? Similarly, it is hard to
choose to translate “On Referring” P. F. Strawson as De la référence rather
than as De l’action de référer. Should one translate On Denoting Russell as De
la dénotation the usual tr. or as Du dénoter? The progressive in the strict
sense—be + verb + -ing— indicates an action at a specific moment, when it has
already begun but is not yet finished. A little farther on, Austin allows us to
gauge the ease of Eng. in the whole of these operations. “To utter the sentence
is not to describe my doing of what I should be said in so uttering to be
doing. The Fr. tr. gives, correctly:
Énoncer la phrase, ce n’est pas décrire ce qu’il faut bien reconnaître que je
suis en train de faire en parlant ainsi, but this remains unsatisfying at best,
because of the awkwardness of en train de. Moreover, in many cases, en train de
is simply not suitable insofar as the -ing does not indicate duration: e. g. ,
in At last I am v.ing . It is interesting to examine from this point of view
the famous category of verbs of perception, verbum percipiendi. It is
remarkable that these verbs v., hear can be in some cases used with the
construction be + verb + -ing, since it is generally said even in grammar books
that they can be used only in the present or simple past and not in the
progressive. This rule probably is thought to be connected with something like
the immediacy of perception, and it can be compared with the fact that the
verbs to know and to understand are also almost always in the present or the
simple past, as if the operations of the understanding could not be presented
in the progressive form and were by definition instantaneous; or as if, on the
contrary, they transcended the course of time. In reality, there are
counterexamples. “I don’t know if I’m understanding you correctly”; You are
hearing voices; and often Oxonian Phil. , which makes their tr. particularly
indigestible, especially in Fr. , where -ismes gives a very Scholastic feel to
the classifications translated. In addition to the famous term realism, which
has been the object of so many contradictory definitions and so many debates
over past decades that it has been almost emptied of meaning, we may mention
some common but particularly obscure for anyone not familiar with the
theoretical context terms: “cognitivism,” noncognitivism, coherentism,
eliminativism, consequentialism, connectionism, etSuch terms in which moral
Phil. is particularly fertile are in
general transposed into Fr. without
change in a sort of new, international philosophical language that has almost
forgone tr.. More generally, in Eng. as in G. , words can be composed by
joining two other words far more easily than in Fr. —without specifying the
logical connections between the terms: toothbrush, pickpocket, lowlife,
knownothing; or, for more philosophical terms: aspect-blind,
language-dependent, rule-following, meaning-holism, observer-relative, which
are translatable, of course, but not without considerable awkwardness. Oxonian philosophese. Oxonian Phil.
seems to establish a language that is stylistically neutral and appears
to be transparently translatable. Certain specific problems—the tr. of compound
words and constructions that are more flexible in Eng. and omnipresent in
current philosophical discourse, such as the thesis that la thèse selon
laquelle, the question whether la question de savoir si, and my saying that le
fait que je dise que—make Fr. tr.s of
contemporary Eng. philosophical texts very awkward, even when the author writes
in a neutral, commonplace style. Instead, these difficulties, along with the
ease of construction peculiar to English, tend to encourage non-Oxonian
analytical philosophers to write directly in Gricese, following the example of
many of their European colleagues, or else to make use of a technical
vernacular we have noted the -isms and compounds that is frequently heavy going
and not very inventive when transRomang terms which are usually transliterated.
This situation is certainly attributable to the paradoxical character of
Gricese, which established itself as a philosophical language in the second
half of the twentieth century: it is a language that is apparently simple and
accessible and that thus claims a kind of universality but that is structured,
both linguistically and philosophically, around major stumbling blocks to do,
-ing, etthat often make it untranslatable. It is paradoxically this
untranslatability, and not its pseudo-transparency, that plays a crucial role in
the process of universalization. . IThe Austinian Paradigm: Ordinary Language
and Phil. The proximity of ordinary
language and philosophical language, which is rooted in classical
English-language Phil. , was theorized in the twentieth century by Austin and
can be summed up in the expression “‘ordinary’-language philosophy”. Ordinary
language Phil. is interested This sort
of overall preeminence in Eng. of the verbal and the subjective over the
nominal and the objective is clear in the difference in the logic that governs
the discourse of affectivity in Fr. and
in English. How would something that one is correspond to something that one
has, as in the case of fear in Fr. avoir
peur? It follows that a Fr. man—who takes it for granted that fear is something
that one feels or senses—cannot feel at home with the difference that Eng.
naturally makes between something that has no objective correlative because it
concerns only feeling like fear; and what is available to sensation, implying
that what is felt through it has the status of an object. Thus in Eng.
something is immediately grasped that in Fr.
v.ms a strange paradox, viz. that passion, as Bentham notes in
Deontology, is a fictive entity. Thus what sounds in Fr. like a nominalist provocation is implicated
in the folds of the Eng. language. A symbolic theory of affectivity is thus
more easily undertaken in Eng. than in Fr. , and if an ontological conception
of affectivity had to be formulated in English, symmetrical difficulties would
be encountered. Reversible derivations
Another particularity of English, which is not without consequences in Phil. ,
is that its poverty from the point of view of inflectional morphology is
compensated for by the freedom and facility it offers for the construction of
all sorts of derivatives. Nominal derivatives based on adjectives and using
suffixes such as -ity, -hood, -ness, -y. The resulting compounds are very
difficult to differentiate in Fr. and to
translate in general, which has led, in contemporary Fr. tr.s, to various incoherent makeshifts. To
list the most common stumbling blocks: privacy privé-ité, innerness
intériorité, not in the same sense as interiority, vagueness caractère vague,
goodness bonté, in the sense of caractère bon, rightness justesse, “sameness,”
similarité, in the sense of mêmeté, ordinariness, “appropriateness,” caractère
ordinaire, approprié, unaccountability caractère de ce dont il est impossible
de rendre compte. Adjectival derivatives based on nouns, using numerous
suffixes: -ful, -ous, -y, -ic, -ish, -al e.g., meaningful, realistic, holistic,
attitudinal, behavioral. Verbal derivatives based on nouns or adjectives, with
the suffixes -ize, -ify, -ate naturalize, mentalize, falsify, and even without
suffixes when possible e.g., the title of an article “How Not to Russell
Carnap’s Aufbau,” i.e., how not to Russell Carnap’s Aufbau. d. Polycategorial
derivatives based on verbs, using suffixes such as -able, -er, -age,
-ismrefutable, truthmaker. The reversibility of these nominalizations and
verbalizations has the essential result of preventing the reification of
qualities or acts. The latter is more difficult to avoid in Fr. and G. , where nominalization hardens and
freezes notions compare intériorité and innerness, which designates more a
quality, or even, paradoxically, an effect, than an entity or a domain. But
this kind of ease in making compounds has its flip side: the proliferation of
-isms in liberties with the natural uses of the language. The philosophers ask,
e. g. , how they can know that there is a real object there, but the question
How do I know? can be asked in ordinary language only in certain contexts, that
is, where it is always possible, at least in theory, to eliminate doubt. The
doubt or question But is it a real one? has always must have a special basis,
there must be some reason for suggesting that it ’t real, in the sense of some
specific way in which it is suggested that this experience or item may be
phoney. The wile of the metaphysician consists in asking Is it a real table? a
kind of object which has no obvious way of being phoney and not specifying or
limiting what may be wrong with it, so that I feel at a loss how to prove it is
a real one. It is the use of the word real in this manner that leads us on to
the supposition that real has a single meaning the real world, material objects,
and that a highly profound and puzzling one. Austin, Philosophical Papers This
analysis of real is taken up again in Sense and Sensibilia, where Austin
criticizes the notion of a sense datum and also a certain way of raising
problems supposedly on the basis of common opinion e. g. , the common opinion
that we really perceive things—but in reality on the basis of a pure
construction. To state the case in this way, Austin says, is simply to soften
up the plain man’s alleged views for the subsequent treatment; it is preparing
the way for, by practically attributing to him, the so-called philosophers’
view. Phil. ’s frequent recourse to the ordinary is characterized by a certain
condescension toward the common man. The error or deception consists in arguing
the philosopher’s position against the ordinary position, because if the in
what we should say when. It is, in other words, a Phil. of language, but on the condition that we
never forget that we are looking not merely at words or ‘meanings,’ whatever
they may be but also at the realities we use the words to talk about, as Austin
emphasizes A Plea for Excuses, in Philosophical Papers. During the twentieth
century or more precisely, between the 1940s and the s, there was a division of
the paradigms of the Phil. of language
between the logical clarification of ordinary language, on the one hand, and
the immanent examination of ordinary language, on the other. The question of
ordinary language and the type of treatment that it should be given—a normative
clarification or an internal examination—is present in and even constitutive of
the legacy of logical positivism. Wittgenstein’s work testifies to this through
the movement that it manifests and performs, from the first task of the Phil. of language the creation of an ideal or
formal language to clarify everyday language to the second the concern to
examine the multiplicity of ordinary language’s uses. The break thus
accomplished is such that one can only agree with Rorty’s statement in his
preface to The Linguistic Turn that the only difference between Ideal Language
Philosophers and Ordinary Language Philosophers is a disagreement about which
language is ideal. In the renunciation of the idea of an ideal language, or a
norm outside language, there is a radical change in perspective that consists
in abandoning the idea of something beyond language: an idea that is
omnipresent in the whole philosophical tradition, and even in current
analytical Phil. . Critique of language and Phil. More generally, Austin criticizes traditional
Phil. for its perverse use of ordinary
language. He constantly denounces Phil. ’s abuse of ordinary language—not so
much that it forgets it, but rather that it exploits it by taking 2 A defect in
the Eng. language? Between according to Bentham Eng. philosophers are not very
inclined toward etymology—no doubt because it is often less traceable than it
is in G. or even in Fr. and discourages a certain kind of commentary.
There are, however, certain exceptions, like Jeremy Bentham’s analysis of the
words “in,” “or,” “between,” “and,” etc., -- cf. Grice on “to” and “or”“Does it
make sense to speak of the ‘sense’ of ‘to’?” -- through which Eng. constructs
the kinds of space that belong to a very specific topiLet us take the case of
between, which Fr. can render only by
the word entre. Both the semantics and the etymology of entre imply the number
three in Fr. , since what is entre intervenes as a third term between two
others which it separates or brings closer in Lat., in-ter; in Fr., en tiers; as
a third. This is not the case in English, which constructs between in accord
with the number two in conformity with the etymology of this word, by tween, in
pairs, to the point that it can imagine an ordering, even when it involves
three or more classes, only in the binary mode: comon between three? relation
between three?—the hue of selfcontradictoriness presents itself on the very
face of the phrase. By one of the words in it, the number of objects is
asserted to be three: by another, it is asserted to be no more than two. To the
use thus exclusively made of the word between, what could have given rise, but
a sort of general, howsoever indistinct, perception, that it is only one to one
that objects can, in any continued manner, be commodiously and effectually
compared. The Eng. language labours under a defect, which, when it is compared
in this particular with other European langues, may perhaps be found peculiar
to it. By the derivation, and thence by the inexcludible import, of the word
between i.e., by twain, the number of the objects, to which this operation is
represented as capable of being applied, is confined to two. By the Roman
inter—by its Fr. derivation entre—no
such limitation v.ms to be expressed. Chrestomathia REFS.: Bentham, Jeremy.
ChrestomathiEd. by M. J. Smith and W. H.
Burston. Oxford: Clarendon, To my mind, experience proves amply that we do come
to an agreement on what we should say when such and such a thing, though I
grant you it is often long and difficult. I should add that too often this is
what is missing in Phil. : a preliminary datum on which one might agree at the
outset. We do not claim in this way to discover all the truth that exists
regarding everything. We discover simply the facts that those who have been
using our language for centuries have taken the trouble to notice.
Performatif-Constatif Austinian agreement is possible for two reasons: Ordinary language cannot claim to have the
last word. Only remember, it is the first word Philosophical Papers. The
exploration of language is also an exploration of the inherited experience and
acumen of many generations of men ibid..
Ordinary language is a rich treasury of differences and embodies all the
distinctions men have found worth drawing, and the connections they have found
worth marking, in the lifetimes of many generations. These are certainly more
subtle and solid than any that you or I are likely to think up in our
arm-chairs of an afternoon ibid.. It is this ability to indicate differences
that makes language a common instrument adequate for speaking things in the
world. Who is we? Cavell’s question It is clear that analytical Phil. ,
especially as it has developed in the United States since the 1940s, has moved
away from the Austinian paradigm and has at the same time abandoned a certain
kind of philosophical writing and linguistic subtlety. But that only makes all
the more powerful and surprising the return to Austin advocated by Stanley
Cavell and the new sense of ordinary language Phil. that is emerging in his work and in
contemporary American Phil. . What right do we have to refer to our uses? And
who is this we so crucial for Austin that it constantly recurs in his work? All
we have, as we have said, is what we say and our linguistic agreements. We
determine the meaning of a given word by its uses, and for Austin, it is
nonsensical to ask the question of meaning for instance, in a general way or
looking for an entity; v. NONSENSE. The quest for agreement is founded on
something quite different from signification or the determination of the common
meaning. The agreement Austin is talking about has nothing to do with an
intersubjective consensus; it is not founded on a convention or on actual
agreements. It is an agreement that is as objective as possible and that bears
as much on language as on reality. But what is the precise nature of this
agreement? Where does it come from, and why should so much importance be
accorded to it? That is the question Cavell asks, first in Must We Mean What We
Say? and then in The Claim of Reason: what is it that allows Austin and Witters
to say what they say about what we say? A claim is certainly involved here.
That is what Witters means by our agreement in judgments, and in language it is
based only on itself, on the latter exists, it is not on the same level. The
philosopher introduces into the opinion of the common man particular entities,
in order then to reject, amend, or explain it. The method of ordinary language:
Be your size. Small Men. Austin’s immanent method comes down to examining our
ordinary use of ordinary words that have been confiscated by Phil. , such as
‘true’ and ‘real,’ in order to raise the question of truth: Fact that is a
phrase designed for use in situations where the distinction between a true
statement and the state of affairs about which it is a truth is neglected; as
it often is with advantage in ordinary life, though seldom in Phil. . So
speaking about the fact that is a compendious way of speaking about a situation
involving both words and world. Philosophical Papers We can, of course,
maintain along with a whole trend in analytical Phil. from Frege to Quine that these are
considerations too small and too trivial from which to draw any conclusions at
all. But it is this notion of fact that Austin relies on to determine the
nature of truth and thus to indicate the pertinence of ordinary language as a
relationship to the world. This is the nature of Austin’s approach: the foot of
the letter is the foot of the ladder ibid.. For Austin, ordinary words are part
of the world: we use words, and what makes words useful objects is their
complexity, their refinement as tools ibid.: We use words to inform ourselves
about the things we talk about when we use these words. Or, if that v.ms too
naïve: we use words as a way of better understanding the situation in which we
find ourselves led to make use of words. What makes this claim possible is the
proximity of dimension, of size, between words and ordinary objects. Thus
philosophers should, instead of asking whether truth is a substance, a quality,
or a relation, take something more nearly their own size to strain at ibid..
The Fr. translators render size by
mesure, which v.ms excessively theoretical; the reference is to size in the material,
ordinary sense. One cannot know everything, so why not try something else?
Advantages of slowness and cooperation. Be your size. Small Men. Conversation
cited by Urmson in A Symposium Austin emphasizes that this technique of
examining words which he ended up calling linguistic phenomenology (and Grice
linguistic botany) is not new and that it has existed since Socrates, producing
its slow successes. But Grice is the first to make a systematic application of
such a method, which is based, on the one hand, on the manageability and familiarity
of the objects concerned and, on the other hand, on the common agreement at
which it arrives in each of its stages. The problem is how to agree on a
starting point, that is, on a given. This given or datum, for Grice, is
Gricese, not as a corpus consisting of utterances or words, but as the site of
agreement about what we should say when. Austin regards language as an
empirical datum or experimental dat -- Bayes, T. . An Essay towards Solving a
Problem in the Doctrine of Chances, with Richard Price’s Foreword and
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Paul, . Wittgenstein, Ludwig. The Blue and the Brown Books. Ed. by R. Rhees. Oxford: Blackwell, . First
published in 195 . Philosophical Investigations. Tr. G.E.M. Anscombe. Oxford: Blackwell, 195 we,
as Cavell says in a passage that illustrates many of the difficulties of tr. we
have discussed up to this point: We learn and teach words in certain contexts,
and then we are expected, and expect others, to be able to project them into
further contexts. Nothing ensures that this projection will take place in
particular, not the grasping of universals nor the grasping of books of rules,
just as nothing ensures that we will make, and understand, the same projections.
That we do, on the whole, is a matter of our sharing routes of interest and
feeling, modes of response, senses of humor and ‑of significance and of
fulfillment, of what is outrageous, of what is similar to what else, what a
rebuke, what forgiveness, of when an utterance is an assertion, when an appeal,
when an explanation—all the whirl of organism Witterscalls forms of life. Human
speech and activity, sanity and community, rest upon nothing more, but nothing
less, than this. It is a vision as simple as it is and because it is terrifying. Must We Mean What We Say? The
fact that our ordinary language is based only on itself is not only a reason
for concern regarding the validity of what we do and say, but also the
revelation of a truth about ourselves that we do not always want to recognize:
the fact that I am the only possible source of such a validity. That is a new
understanding of the fact that language is our form of life, precisely its
ordinary form. Cavell’s originality lies in his reinvention of the nature of
ordinary language in American thought and in the connection he
establishes—notably through his reference to Emerson and Thoreau, American
thinkers of the ordinary—between this nature of language and human nature,
finitude. It is also in this sense that the question of linguistic agreements
reformulates that of the ordinary human condition and that the acceptance of
the latter goes hand in hand with the recognition of the former. In Cavell’s
Americanization of ordinary language Phil.
there thus emerges a radical form of the return to the ordinary. But ’t
this ordinary, e. g. , that of Emerson in his Essays, precisely the one that
the whole of Eng. Phil. has been trying
to find, or rather to feel or taste, since its origins? Thus we can compare the
writing of Emerson or James, in texts like Experience or Essays in Radical
Empiricism, with that of the British empiricists when they discuss experience,
the given, and the sensible. This is no doubt one of the principal dimensions
of philosophical writing in English: always to make the meaning more available
to the senses. J.-Pierre Cléro Sandra Laugier REFS.: Austin, J. L. How to Do
Things with Words. Oxford: Clarendon, . . Performatif-Constatif. In La
philosophie analytique, ed. by J. Wahl
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Phil. and Ordinary Language, ed. by E. Caton. Urbana: University of Illinois
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J. O. Urmson and G. J. Warnock. Oxford: Clarendon, . . Sense and SensibiliOxford:
Clarendon, . Ayer, J. The Foundations of Empirical Knowledge. London:
Macmillan, 1940. ENTREPRENEUR 265 form the basis of the kingdom by means of
calculated plans; to the legal domain: someone who contravenes the hierarchical
order of the professions and subverts their rules; finally, to the economic
domain: someone who agrees, on the basis of a prior contract an established
price to execute a project collection of taxes, supply of an army, a merchant
expedition, construction, production, transaction, assuming the hazards related
to exchange and time. This last usage corresponds to practices that became more
and more socially prominent starting in the sixteenth century. Let us focus on
the term in economics. The engagement of the entrepreneur in his project may be
understood in various ways, and the noun entrepreneur translated in various
ways into English: by contractor if the stress is placed on the engagement with
regard to the client to execute the task according to conditions negotiated in advance
a certain time, a fixed price, firm price, tenant farming; by undertaker now
rare in this sense when we focus on the engagement in the activity, taking
charge of the project, its practical realization, the setting in motion of the
transaction; and by adventurer, enterpriser, and projector, to emphasize the
risks related to speculation. At the end of the eighteenth century, the
Fr. word entreprise acquired the new
meaning of an industrial establishment. Entrepreneur accordingly acquired the
sense of the head or direction of a business of production superintendent,
employer, manager. In France, at the beginning of the eighteenth century, the
noun entrepreneur had strong political connotations, in particular in the
abundant pamphlets containing mazarinades denouncing the entrepreneurs of tax
farming. The economist Pierre de Boisguilbert wrote the Factum de la France,
the largest trial ever conducted by pen against the big financiers,
entrepreneurs of the wealth of the kingdom, who take advantage of its good
administration its political economy in the name of the entrepreneurs of
commerce and industry, who contribute to the increase in its wealth.
Boisguilbert failed in his project of reforming the tax farm, or tax business,
and it was left to a clever financier, Richard Cantillon, to create the
economic concept of the entrepreneur. Chance in Business: Risk and Uncertainty
There is no trace of Boisguilbert’s moral indignation in Cantillon’s Essai sur
la nature du commerce en générale Essay on the nature of commerce in general.
Having shown that all the classes and all the men of a State live or acquire
wealth at the expense of the owners of the land bk. 1, ch.12, he suggests that
the circulation and barter of goods and merchandise, like their production, are
conducted in Europe by entrepreneurs and haphazardly bk. 1, of ch.1 He then
describes in detail what composes the uncertain aspect of the action of an
entrepreneur, in which he acts according to his ideas and without being able to
predict, in which he conceives and executes his plans surrounded by the hazard
of events. The uncertainty related to business profits turns especially on the
fact that it is dependent on the forms of consumption of the owners, the only
members of society who are independent—naturally independent, Cantillon
specified. Entrepreneurs are those who are capable of breaking ÉNONCÉ Énoncé,
from the Roman enuntiare to express, divulge; from ex out and nuntiare to make
known; a nuntius is a messenger, a nuncio, ranges over the same type of entity
as do proposition and phrase: it is a basic unit of syntax, the relevant
question being whether or not it is the bearer of truth values. An examination
of the differences among these entities, and the networks they constitute in
different languages especially in English: sentence, statement, utterance,
appears under PROPOSITION. V. also DICTUM and LOGOS, both of which may be
acceptably Tr. énoncé. Cf. PRINCIPLE,
SACHVERHALT, TRUTH, WORD especially WORD, Box
The essential feature of an énoncé is that it is considered to be a
singular occurrence and thus is paired with its énonciation: v. SPEECH ACT; cf.
ENGLISH, LANGUAGE, SENSE, SIGN, SIGNIFIER/SIGNIFIED, WITTICISM. v. DISCOURSE ENTREPRENEUR FR. ENG. adventurer, contractor, employer,
enterpriser, entrepreneur, manager, projector, undertaker, superintendent
v. ACT, AGENCY, BERUF, ECONOMY, LIBERAL,
OIKONOMIA, PRAXIS, UTILITY. Refs.: G. J. Warnock, “English philosophy,” H. P.
Grice, “Gricese,” BANC. griceian
casuistry: the case-analysis approach to the interpretation of general
moral rules. Casuistry starts with paradigm cases of how and when a given
general moral rule should be applied, and then reasons by analogy to cases in
which the proper application of the rule is less obvious e.g., a case in which lying is the only way
for a priest not to betray a secret revealed in confession. The point of
considering the series of cases is to ascertain the morally relevant
similarities and differences between cases. Casuistry’s heyday was the first
half of the seventeenth century. Reacting against casuistry’s popularity with
the Jesuits and against its tendency to qualify general moral rules, Pascal
penned a polemic against casuistry from which the term never recovered see his
Provincial Letters, 1656. But the kind of reasoning to which the term refers is
flourishing in contemporary practical ethics. grice’s handwave. A sort of handwave can mean in a one-off act of
communication something. It’s the example he uses. By a sort of handwave, the
emissor communicates either that he knows the route or that he is about to
leave the addressee. Handwave signals. Code. Cfr. the Beatles’s HELP.
Explicatum: We need some bodyImplicaturum: Not just Any Body. Why does this
matter to the philosopher? The thing is as follows. Grice was provoked by
Austin. To defeat Austin, Grice needs a ‘theory of communication.’ This theory
applies his early reflections on the intentional side to an act of
communication. This allows him to explain the explicatum versus the implicaturum.
By analysing each, Grice notes that there is no need to refer to linguistic
entities. So, the centrality of the handwave is an offshoot of his theory
designed to defeat Austin. Gice: “Blame Paget for my obsession with the
hand.”Refs.: Paget, “Ta-ta: when the hands are full, use your mouth.”H. P.
Grice, The utterer’s hand-wave.”grice’s creatures: the pirots. The
programme he calls ‘creature
construction.’ “I could have used the ‘grice,’ which was extinct by the time I
was born.” grice’s myth. Or Griceian
mythsThe Handbook of Griceian mythology. At one point Grice suggests that his
‘genitorial programme’ a kind of ideal-observer theory is meant as ‘didactic,’
and for expository purposes. It seems easier, as , as Grice and
Plato would agree, to answer a question about the genitorial programme rather
than use a first-person approach and appeal to introspection. Grice refers to the social contract as a ‘myth,’ which may
still explain, as ‘meaning’ does. G. R. Grice built his career on this myth. This
is G. R. Grice, of the social-contract fame. Cf. Strawson and Wiggins comparing
Grice’s myth with Plato’s, and they know what they are talking about. grice’s
martian chronicle -- Twin-Earthas
opposed to Mars -- a fictitious planet first visited by Hilary Putnam in a
thought experiment inspired by H. P. Grice in “Some remarks about the senses”
-- designed to show, among other things, that “ ‘meanings’ just ain’t in the
head” “The Meaning of ‘Meaning’,” 5. Twin-Earth is exactly like Earth with one
notable exception: ponds, rivers, and ice trays on Twin-Earth contain, not H2O,
but XYZ, a liquid
superficially indistinguishable from water but with a different chemical
constitution. According to Putnam, although some inhabitants of Twin-Earth
closely resemble inhabitants of Earth, ‘water’, when uttered by a
Twin-Earthling, does not mean water. Water is H2O, and, on Twin-Earth, the word
‘water’ designates a different substance, XYZ, Twin-water. The moral drawn by
Putnam is that the meanings of at least some of our words, and the significance
of some of our thoughts, depend, in part, on how things stand outside our
heads. Two “molecular duplicates,” two agents with qualitatively similar mental
lives, might mean very different things by their utterances and think very
different thoughts. Although Twin-Earth has become a popular stopping-off place
for philosophers en route to theories of meaning and mental content, others
regard Twin-Earth as hopelessly remote, doubting that useful conclusions can be
drawn about our Earthly circumstances from research conducted there. Suppose that long-awaited invasion of the
Martians takes place, that they turn out to be friendly creatures and teach us
their language. We get on all right, except that we find no verb in their
language which unquestionably corresponds to our verb “see.” Instead we find
two verbs which we decide to render as “x” and “y”: we find that (in their
tongue) they speak of themselves as x-ing, and also as y-ing, things to be of
this and that color, size, and shape. Further, in physical appearance they are
more or less like ourselves, except that in their heads they have, one above
the other, two pairs of organs, not perhaps exactly like one another, but each
pair more or less like our eyes: each pair of organs is found to be sensitive to
light waves. It turns out that for them x-ing is dependent on the operation of
the upper organs, and y-ing on that of the lower organs. The question which it
seems natural to ask is this: Are x-ing and y-ing both cases of seeing, the
difference between them being that x-ing is seeing with the upper organs, and
y-ing is seeing with the lower organs? Or alternatively, do one or both of
these accomplishments constitute the exercise of a new sense, other than that
of sight? If we adopt, to distinguish the senses, a combination of suggestion
(I) with one or both of suggestions (III) or (IV), the answer seems clear: both
x-ing and y-ing are seeing, with different pairs of organs. But is the question
really to be settled so easily? Would we not in fact want to ask whether x-ing
something to be round was like y-ing it to be round, or whether when something
x-ed blue to them this was like or unlike its y-ing blue to them? If in answer
to such questions as these they said, “Oh no, there’s all the difference in the
world!” then I think we should be inclined to say that either x-ing or y-ing
(if not both) must be something other than seeing: we might of course be quite
unable to decide which (if either) was seeing. (I am aware that here those
whose approach is more Wittgensteinian than my own might complain that unless
something more can be said about how the difference between x-ing and y-ing
might “come out” or show itself in publicly observable phenomena, then the
claim by the supposed Martians that x-ing and y-ing are different would be one
of which nothing could be made, which would leave one at a loss how to
understand it. First, I am not convinced of the need for “introspectible”
differences to show themselves in the way this approach demands (I shall not
discuss this point further); second, I think that if I have to meet this
demand, I can. One can suppose that one or more of these Martians acquired the
use of the lower y-ing organs at some comparatively late date in their careers,
and that at the same time (perhaps for experimental purposes) the operation of
the upper x-ing organs was inhibited. One might now be ready to allow that a
difference between Some Remarks about the Senses 47 x-ing and y-ing would have
shown itself if in such a situation the creatures using their y-ing organs for
the first time were unable straightaway, without any learning process, to use
their “color”-words fluently and correctly to describe what they detected
through the use of those organs.) It might be argued at this point that we have
not yet disposed of the idea that the senses can be distinguished by an amalgam
of suggestions (I), (III), and (IV); for it is not clear that in the example of
the Martians the condition imposed by suggestion (I) is fulfilled. The thesis,
it might be said, is only upset if x-ing and y-ing are accepted as being the
exercise of different senses; and if they are, then the Martians’ color-words
could be said to have a concealed ambiguity. Much as “sweet” in English may
mean “sweet-smelling” or “sweet-tasting,” so “blue” in Martian may mean
“blue-x-ing” or “blue-y-ing.” But if this is so, then the Martians after all do
not detect by x-ing just those properties of things which they detect by y-ing.
To this line of argument there are two replies: (1) The defender of the thesis
is in no position to use this argument; for he cannot start by making the
question whether x-ing and y-ing are exercises of the same sense turn on the
question (inter alia) whether or not a single group of characteristics is
detected by both, and then make the question of individuation of the group turn
on the question whether putative members of the group are detected by one, or
by more than one, sense. He would be saying in effect, “Whether, in x-ing and
y-ing, different senses are exercised depends (inter alia) on whether the same
properties are detected by x-ing as by y-ing; but whether a certain x-ed
property is the same as a certain y-ed property depends on whether x-ing and
y-ing are or are not the exercise of a single sense.” This reply seems fatal.
For the circularity could only be avoided by making the question whether “blue”
in Martian names a single property depend either on whether the kinds of
experience involved in x-ing and y-ing are different, which would be to
reintroduce suggestion (II), or on whether the mechanisms involved in x-ing and
y-ing are different (in this case whether the upper organs are importantly
unlike the lower organs): and to adopt this alternative would, I think, lead to
treating the differentiation of the senses as being solely a matter of their
mechanisms, thereby making suggestion (I) otiose. (2) Independently of its
legitimacy or illegitimacy in the present context, we must reject the idea that
if it is accepted that in x-ing and y-ing different senses are being exercised,
then Martian color-words will be ambiguous. For ex hypothesi there will be a
very close correlation between things x-ing blue and their y-ing blue, far
closer 48 H. P. Grice than that between things smelling sweet and their tasting
sweet. This being so, it is only to be expected that x-ing and y-ing should
share the position of arbiters concerning the color of things: that is, “blue”
would be the name of a single property, determinable equally by x-ing and
y-ing. After all, is this not just like the actual position with regard to
shape, which is doubly determinable, by sight and by touch? While I would not
wish to quarrel with the main terms of this second reply, I should like briefly
to indicate why I think that this final quite natural comparison with the case
of shape will not do. It is quite conceivable that the correlation between
x-ing and y-ing , in the case supposed, might be close enough to ensure that
Martian color-words designated doubly determinable properties, and yet that this
correlation should break down in a limited class of cases: for instance, owing
to some differences between the two pairs of organs, objects which transmitted
light of a particular wavelength might (in standard conditions) x blue but y
black. I suggest, then, that given the existence of an object which, for the
Martians, standardly x-ed blue but y-ed black (its real color being
undecidable), no conclusion could be drawn to the effect that other objects do,
or could as a matter of practiSome Remarks about the Senses 51 cal possibility
be made to, x one way and y another way either in respect of color or in
respect of some other feature within the joint province of x-ing and y-ing.
Refs.: H. P. Grice, “Some remarks about the senses,” in WoW --. Coady, “The senses
of the Martians.” Grice’s folksy
psychology: Grice loved Ramsey, “But Ramsey was born before
folk-psychology, so his ‘Theories’ is very dense.”” one sense, a putative
network of principles constituting a commonsense theory that allegedly
underlies everyday explanations of human behavior; the theory assigns a central
role to mental states like belief, desire, and intention. Consider an example
of an everyday commonsense psychological explanation: Jane went to the
refrigerator because she wanted a beer and she believed there was beer in the
refrigerator. Like many such explanations, this adverts to a so-called
propositional attitude a mental state,
expressed by a verb ‘believe’ plus a that-clause, whose intentional content is
propositional. It also adverts to a mental state, expressed by a verb ‘want’
plus a direct-object phrase, whose intentional content appears not to be
propositional. In another, related sense, folk psychology is a network of
social practices that includes ascribing such mental states to ourselves and
others, and proffering explanations of human behavior that advert to these
states. The two senses need distinguishing because some philosophers who
acknowledge the existence of folk psychology in the second sense hold that
commonsense psychological explanations do not employ empirical generalizations,
and hence that there is no such theory as folk psychology. Henceforth, ‘FP’
will abbreviate ‘folk psychology’ in the first sense; the unabbreviated phrase
will be used in the second sense. Eliminativism in philosophy of mind asserts
that FP is an empirical theory; that FP is therefore subject to potential
scientific falsification; and that mature science very probably will establish
that FP is so radically false that humans simply do not undergo mental states
like beliefs, desires, and intentions. One kind of eliminativist argument first
sets forth certain methodological strictures about how FP would have to
integrate with mature science in order to be true e.g., being smoothly
reducible to neuroscience, or being absorbed into mature cognitive science, and
then contends that these strictures are unlikely to be met. Another kind of
argument first claims that FP embodies certain strong empirical commitments
e.g., to mental representations with languagelike syntactic structure, and then
contends that such empirical presuppositions are likely to turn out false. One
influential version of folk psychological realism largely agrees with
eliminativism about what is required to vindicate folk psychology, but also
holds that mature science is likely to provide such vindication. Realists of
this persuasion typically argue, for instance, that mature cognitive science
will very likely incorporate FP, and also will very likely treat beliefs,
desires, and other propositional attitudes as states with languagelike
syntactic structure. Other versions of folkpsychological realism take issue, in
one way or another, with either i the eliminativists’ claims about FP’s
empirical commitments, or ii the eliminativists’ strictures about how FP must
mesh with mature science in order to be true, or both. Concerning i, for
instance, some philosophers maintain that FP per se is not committed to the
existence of languagelike mental representations. If mature cognitive science
turns out not to posit a “language of thought,” they contend, this would not
necessarily show that FP is radically false; instead it might only show that
propositional attitudes are subserved in some other way than via languagelike
representational structures. Concerning ii, some philosophers hold that FP can
be true without being as tightly connected to mature scientific theories as the
eliminativists require. For instance, the demand that the special sciences be
smoothly reducible to the fundamental natural sciences is widely considered an
excessively stringent criterion of intertheoretic compatibility; so perhaps FP
could be true without being smoothly reducible to neuroscience. Similarly, the
demand that FP be directly absorbable into empirical cognitive science is
sometimes considered too stringent as a criterion either of FP’s truth, or of
the soundness of its ontology of beliefs, desires, and other propositional
attitudes, or of the legitimacy of FP-based explanations of behavior. Perhaps
FP is a true theory, and explanatorily legitimate, even if it is not destined
to become a part of science. Even if FP’s ontological categories are not
scientific natural kinds, perhaps its generalizations are like generalizations
about clothing: true, explanatorily usable, and ontologically sound. No one
doubts the existence of hats, coats, or scarves. No one doubts the truth or
explanatory utility of generalizations like ‘Coats made of heavy material tend
to keep the body warm in cold weather’, even though these generalizations are
not laws of any science. Yet another approach to folk psychology, often wedded
to realism about beliefs and desires although sometimes wedded to
instrumentalism, maintains that folk psychology does not employ empirical
generalizations, and hence is not a theory at all. One variant denies that folk
psychology employs any generalizations, empirical or otherwise. Another variant
concedes that there are folk-psychological generalizations, but denies that
they are empirical; instead they are held to be analytic truths, or norms of
rationality, or both at once. Advocates of non-theory views typically regard
folk psychology as a hermeneutic, or interpretive, enterprise. They often claim
too that the attribution of propositional attitudes, and also the proffering
and grasping of folk-psychological explanations, is a matter of imaginatively
projecting oneself into another person’s situation, and then experiencing a
kind of empathic understanding, or Verstehen, of the person’s actions and the
motives behind them. A more recent, hi-tech, formulation of this idea is that
the interpreter “runs a cognitive simulation” of the person whose actions are
to be explained. Philosophers who defend folk-psychological realism, in one or
another of the ways just canvassed, also sometimes employ arguments based on
the allegedly self-stultifying nature of eliminativism. One such argument
begins from the premise that the notion of action is folk-psychological that a behavioral event counts as an action
only if it is caused by propositional attitudes that rationalize it under some
suitable actdescription. If so, and if humans never really undergo
propositional attitudes, then they never really act either. In particular, they
never really assert anything, or argue for anything since asserting and arguing
are species of action. So if eliminativism is true, the argument concludes,
then eliminativists can neither assert it nor argue for it an allegedly intolerable pragmatic paradox.
Eliminativists generally react to such arguments with breathtaking equanimity.
A typical reply is that although our present concept of action might well be
folk-psychological, this does not preclude the possibility of a future
successor concept, purged of any commitment to beliefs and desires, that could
inherit much of the role of our current, folk-psychologically tainted, concept
of action. grice’s computatio sive logica -- computability, roughly, the
possibility of computation on a Turing machine. The first convincing general
definition, A. N. Turing’s 6, has been proved equivalent to the known plausible
alternatives, so that the concept of computability is generally recognized as
an absolute one. Turing’s definition referred to computations by imaginary
tape-processing machines that we now know to be capable of computing the same
functions whether simple sums and products or highly complex, esoteric
functions that modern digital computing machines could compute if provided with
sufficient storage capacity. In the form ‘Any function that is computable at all
is computable on a Turing machine’, this absoluteness claim is called Turing’s
thesis. A comparable claim for Alonzo Church’s 5 concept of lcomputability is
called Church’s thesis. Similar theses are enunciated for Markov algorithms,
for S. C. Kleene’s notion of general recursiveness, etc. It has been proved
that the same functions are computable in all of these ways. There is no hope
of proving any of those theses, for such a proof would require a definition of
‘computable’ a definition that would
simply be a further item in the list, the subject of a further thesis. But
since computations of new kinds might be recognizable as genuine in particular
cases, Turing’s thesis and its equivalents, if false, might be decisively
refuted by discovery of a particular function, a way of computing it, and a
proof that no Turing machine can compute it. The halting problem for say Turing
machines is the problem of devising a Turing machine that computes the function
hm, n % 1 or 0 depending on whether or not Turing machine number m ever halts,
once started with the number n on its tape. This problem is unsolvable, for a
machine that computed h could be modified to compute a function gn, which is
undefined the machine goes into an endless loop when hn, n % 1, and otherwise
agrees with hn, n. But this modified machine
Turing machine number k, say
would have contradictory properties: started with k on its tape, it
would eventually halt if and only if it does not. Turing proved unsolvability
of the decision problem for logic the problem of devising a Turing machine
that, applied to argument number n in logical notation, correctly classifies it
as valid or invalid by reducing the halting problem to the decision problem,
i.e., showing how any solution to the latter could be used to solve the former
problem, which we know to be unsolvable.
computer theory, the theory of the design, uses, powers, and limits of
modern electronic digital computers. It has important bearings on philosophy, as
may be seen from the many philosophical references herein. Modern computers are
a radically new kind of machine, for they are active physical realizations of
formal languages of logic and arithmetic. Computers employ sophisticated
languages, and they have reasoning powers many orders of magnitude greater than
those of any prior machines. Because they are far superior to humans in many
important tasks, they have produced a revolution in society that is as profound
as the industrial revolution and is advancing much more rapidly. Furthermore,
computers themselves are evolving rapidly. When a computer is augmented with
devices for sensing and acting, it becomes a powerful control system, or a
robot. To understand the implications of computers for philosophy, one should
imagine a robot that has basic goals and volitions built into it, including
conflicting goals and competing desires. This concept first appeared in Karel C
v apek’s play Rossum’s Universal Robots 0, where the word ‘robot’ originated. A
computer has two aspects, hardware and programming languages. The theory of
each is relevant to philosophy. The software and hardware aspects of a computer
are somewhat analogous to the human mind and body. This analogy is especially
strong if we follow Peirce and consider all information processing in nature
and in human organisms, not just the conscious use of language. Evolution has
produced a succession of levels of sign usage and information processing:
self-copying chemicals, self-reproducing cells, genetic programs directing the
production of organic forms, chemical and neuronal signals in organisms,
unconscious human information processing, ordinary languages, and technical
languages. But each level evolved gradually from its predecessors, so that the
line between body and mind is vague. The hardware of a computer is typically
organized into three general blocks: memory, processor arithmetic unit and
control, and various inputoutput devices for communication between machine and
environment. The memory stores the data to be processed as well as the program
that directs the processing. The processor has an arithmetic-logic unit for
transforming data, and a control for executing the program. Memory, processor,
and input-output communicate to each other through a fast switching system. The
memory and processor are constructed from registers, adders, switches, cables,
and various other building blocks. These in turn are composed of electronic
components: transistors, resistors, and wires. The input and output devices
employ mechanical and electromechanical technologies as well as electronics.
Some input-output devices also serve as auxiliary memories; floppy disks and
magnetic tapes are examples. For theoretical purposes it is useful to imagine
that the computer has an indefinitely expandable storage tape. So imagined, a
computer is a physical realization of a Turing machine. The idea of an
indefinitely expandable memory is similar to the logician’s concept of an
axiomatic formal language that has an unlimited number of proofs and theorems.
The software of a modern electronic computer is written in a hierarchy of
programming languages. The higher-level languages are designed for use by human
programmers, operators, and maintenance personnel. The “machine language” is
the basic hardware language, interpreted and executed by the control. Its words
are sequences of binary digits or bits. Programs written in intermediate-level
languages are used by the computer to translate the languages employed by human
users into the machine language for execution. A programming language has
instructional means for carrying out three kinds of operations: data operations
and transfers, transfers of control from one part of the program to the other,
and program self-modification. Von Neumann designed the first modern
programming language. A programming language is general purpose, and an
electronic computer that executes it can in principle carry out any algorithm
or effective procedure, including the simulation of any other computer. Thus
the modern electronic computer is a practical realization of the abstract
concept of a universal Turing machine. What can actually be computed in
practice depends, of course, on the state of computer technology and its
resources. It is common for computers at many different spatial locations to be
interconnected into complex networks by telephone, radio, and satellite
communication systems. Insofar as users in one part of the network can control
other parts, either legitimately or illegitimately e.g., by means of a
“computer virus”, a global network of computers is really a global computer.
Such vast computers greatly increase societal interdependence, a fact of
importance for social philosophy. The theory of computers has two branches,
corresponding to the hardware and software aspects of computers. The
fundamental concept of hardware theory is that of a finite automaton, which may
be expressed either as an idealized logical network of simple computer
primitives, or as the corresponding temporal system of input, output, and
internal states. A finite automaton may be specified as a logical net of
truth-functional switches and simple memory elements, connected to one another
by computer theory computer theory idealized wires. These elements function
synchronously, each wire being in a binary state 0 or 1 at each moment of time
t % 0, 1, 2, . . . . Each switching element or “gate” executes a simple
truth-functional operation not, or, and, nor, not-and, etc. and is imagined to
operate instantaneously compare the notions of sentential connective and truth
table. A memory element flip-flop, binary counter, unit delay line preserves
its input bit for one or more time-steps. A well-formed net of switches and
memory elements may not have cycles through switches only, but it typically has
feedback cycles through memory elements. The wires of a logical net are of
three kinds: input, internal, and output. Correspondingly, at each moment of
time a logical net has an input state, an internal state, and an output state.
A logical net or automaton need not have any input wires, in which case it is a
closed system. The complete history of a logical net is described by a
deterministic law: at each moment of time t, the input and internal states of
the net determine its output state and its next internal state. This leads to
the second definition of ‘finite automaton’: it is a deterministic finite-state
system characterized by two tables. The transition table gives the next
internal state produced by each pair of input and internal states. The output
table gives the output state produced by each input state and internal state.
The state analysis approach to computer hardware is of practical value only for
systems with a few elements e.g., a binary-coded decimal counter, because the
number of states increases as a power of the number of elements. Such a rapid
rate of increase of complexity with size is called the combinatorial explosion,
and it applies to many discrete systems. However, the state approach to finite
automata does yield abstract models of law-governed systems that are of
interest to logic and philosophy. A correctly operating digital computer is a
finite automaton. Alan Turing defined the finite part of what we now call a
Turing machine in terms of states. It seems doubtful that a human organism has
more computing power than a finite automaton. A closed finite automaton
illustrates Nietzsche’s law of eternal return. Since a finite automaton has a
finite number of internal states, at least one of its internal states must
occur infinitely many times in any infinite state history. And since a closed
finite automaton is deterministic and has no inputs, a repeated state must be
followed by the same sequence of states each time it occurs. Hence the history
of a closed finite automaton is periodic, as in the law of eternal return.
Idealized neurons are sometimes used as the primitive elements of logical nets,
and it is plausible that for any brain and central nervous system there is a
logical network that behaves the same and performs the same functions. This
shows the close relation of finite automata to the brain and central nervous
system. The switches and memory elements of a finite automaton may be made
probabilistic, yielding a probabilistic automaton. These automata are models of
indeterministic systems. Von Neumann showed how to extend deterministic logical
nets to systems that contain selfreproducing automata. This is a very basic
logical design relevant to the nature of life. The part of computer programming
theory most relevant to philosophy contains the answer to Leibniz’s conjecture
concerning his characteristica universalis and calculus ratiocinator. He held
that “all our reasoning is nothing but the joining and substitution of
characters, whether these characters be words or symbols or pictures.” He
thought therefore that one could construct a universal, arithmetic language
with two properties of great philosophical importance. First, every atomic
concept would be represented by a prime number. Second, the truth-value of any
logically true-or-false statement expressed in the characteristica universalis
could be calculated arithmetically, and so any rational dispute could be
resolved by calculation. Leibniz expected to do the computation by hand with
the help of a calculating machine; today we would do it on an electronic
computer. However, we know now that Leibniz’s proposed language cannot exist,
for no computer or computer program can calculate the truth-value of every
logically true-orfalse statement given to it. This fact follows from a logical
theorem about the limits of what computer programs can do. Let E be a modern
electronic computer with an indefinitely expandable memory, so that E has the
power of a universal Turing machine. And let L be any formal language in which
every arithmetic statement can be expressed, and which is consistent. Leibniz’s
proposed characteristica universalis would be such a language. Now a computer
that is operating correctly is an active formal language, carrying out the
instructions of its program deductively. Accordingly, Gödel’s incompleteness
theorems for formal arithmetic apply to computer E. It follows from these
theorems that no program can enable computer E to decide of an arbitrary
statecomputer theory computer theory 166
166 ment of L whether or not that statement is true. More strongly,
there cannot even be a program that will enable E to enumerate the truths of
language L one after another. Therefore Leibniz’s characteristica universalis
cannot exist. Electronic computers are the first active or “live” mathematical
systems. They are the latest addition to a long historical series of
mathematical tools for inquiry: geometry, algebra, calculus and differential
equations, probability and statistics, and modern mathematics. The most
effective use of computer programs is to instruct computers in tasks for which
they are superior to humans. Computers are being designed and programmed to
cooperate with humans so that the calculation, storage, and judgment
capabilities of the two are synthesized. The powers of such humancomputer combines
will increase at an exponential rate as computers continue to become faster,
more powerful, and easier to use, while at the same time becoming smaller and
cheaper. The social implications of this are very important. The modern
electronic computer is a new tool for the logic of discovery Peirce’s
abduction. An inquirer or inquirers operating a computer interactively can use
it as a universal simulator, dynamically modeling systems that are too complex
to study by traditional mathematical methods, including non-linear systems.
Simulation is used to explain known empirical results, and also to develop new
hypotheses to be tested by observation. Computer models and simulations are
unique in several ways: complexity, dynamism, controllability, and visual
presentability. These properties make them important new tools for modeling and
thereby relevant to some important philosophical problems. A humancomputer
combine is especially suited for the study of complex holistic and hierarchical
systems with feedback cf. cybernetics, including adaptive goal-directed
systems. A hierarchical-feedback system is a dynamic structure organized into
several levels, with the compounds of one level being the atoms or building
blocks of the next higher level, and with cyclic paths of influence operating
both on and between levels. For example, a complex human institution has
several levels, and the people in it are themselves hierarchical organizations
of selfcopying chemicals, cells, organs, and such systems as the pulmonary and
the central nervous system. The behaviors of these systems are in general much
more complex than, e.g., the behaviors of traditional systems of mechanics.
Contrast an organism, society, or ecology with our planetary system as
characterized by Kepler and Newton. Simple formulas ellipses describe the
orbits of the planets. More basically, the planetary system is stable in the
sense that a small perturbation of it produces a relatively small variation in
its subsequent history. In contrast, a small change in the state of a holistic
hierarchical feedback system often amplifies into a very large difference in
behavior, a concern of chaos theory. For this reason it is helpful to model
such systems on a computer and run sample histories. The operator searches for
representative cases, interesting phenomena, and general principles of
operation. The humancomputer method of inquiry should be a useful tool for the
study of biological evolution, the actual historical development of complex
adaptive goal-directed systems. Evolution is a logical and communication
process as well as a physical and chemical process. But evolution is
statistical rather than deterministic, because a single temporal state of the
system results in a probabilistic distribution of histories, rather than in a
single history. The genetic operators of mutation and crossover, e.g., are
probabilistic operators. But though it is stochastic, evolution cannot be
understood in terms of limiting relative frequencies, for the important
developments are the repeated emergence of new phenomena, and there may be no
evolutionary convergence toward a final state or limit. Rather, to understand
evolution the investigator must simulate the statistical spectra of histories
covering critical stages of the process. Many important evolutionary phenomena
should be studied by using simulation along with observation and experiment.
Evolution has produced a succession of levels of organization: selfcopying
chemicals, self-reproducing cells, communities of cells, simple organisms,
haploid sexual reproduction, diploid sexuality with genetic dominance and
recessiveness, organisms composed of organs, societies of organisms, humans,
and societies of humans. Most of these systems are complex hierarchical
feedback systems, and it is of interest to understand how they emerged from
earlier systems. Also, the interaction of competition and cooperation at all
stages of evolution is an important subject, of relevance to social philosophy
and ethics. Some basic epistemological and metaphysical concepts enter into
computer modeling. A model is a well-developed concept of its object,
representing characteristics like structure and funccomputer theory computer
theory 167 167 tion. A model is similar
to its object in important respects, but simpler; in mathematical terminology,
a model is homomorphic to its object but not isomorphic to it. However, it is
often useful to think of a model as isomorphic to an embedded subsystem of the
system it models. For example, a gas is a complicated system of microstates of
particles, but these microstates can be grouped into macrostates, each with a
pressure, volume, and temperature satisfying the gas law PV % kT. The
derivation of this law from the detailed mechanics of the gas is a reduction of
the embedded subsystem to the underlying system. In many cases it is adequate
to work with the simpler embedded subsystem, but in other cases one must work
with the more complex but complete underlying system. The law of an embedded
subsystem may be different in kind from the law of the underlying system.
Consider, e.g., a machine tossing a coin randomly. The sequence of tosses obeys
a simple probability law, while the complex underlying mechanical system is
deterministic. The random sequence of tosses is a probabilistic system embedded
in a deterministic system, and a mathematical account of this embedding
relation constitutes a reduction of the probabilistic system to a deterministic
system. Compare the compatibilist’s claim that free choice can be embedded in a
deterministic system. Compare also a pseudorandom sequence, which is a
deterministic sequence with adequate randomness for a given finite simulation.
Note finally that the probabilistic system of quantum mechanics underlies the
deterministic system of mechanics. The ways in which models are used by
goaldirected systems to solve problems and adapt to their environments are
currently being modeled by humancomputer combines. Since computer software can
be converted into hardware, successful simulations of adaptive uses of models
could be incorporated into the design of a robot. Human intentionality involves
the use of a model of oneself in relation to others and the environment. A
problem-solving robot using such a model would constitute an important step
toward a robot with full human powers. These considerations lead to the central
thesis of the philosophy of logical mechanism: a finite deterministic automaton
can perform all human functions. This seems plausible in principle and is
treated in detail in Merrilee Salmon, ed., The Philosophy of Logical Mechanism:
Essays in Honor of Arthur W. Burks,0. A digital computer has reasoning and
memory powers. Robots have sensory inputs for collecting information from the
environment, and they have moving and acting devices. To obtain a robot with
human powers, one would need to put these abilities under the direction of a
system of desires, purposes, and goals. Logical mechanism is a form of
mechanism or materialism, but differs from traditional forms of these doctrines
in its reliance on the logical powers of computers and the logical nature of
evolution and its products. The modern computer is a kind of complex
hierarchical physical system, a system with memory, processor, and control that
employs a hierarchy of programming languages. Humans are complex hierarchical
systems designed by evolution with
structural levels of chemicals, cells, organs, and systems e.g., circulatory,
neural, immune and linguistic levels of genes, enzymes, neural signals, and
immune recognition. Traditional materialists did not have this model of a
computer nor the contemporary understanding of evolution, and never gave an
adequate account of logic and reasoning and such phenomena as goaldirectedness
and self-modeling. grice’s four
conversational categoriesthe category of conversational mode: Only Kant would
call it function. While Grice could be jocular, in an English way, about the
number of maxims within each categoryhe surely would not like to joke as far as
to be cavalier about the NUMBER of categories: Four was the number of functions
from which the twelve categories rramify, Kant, or “Ariskant,” but Grice takes
the function for the category -- four is for Ariskantian Grice. This is
Aristotle’s hexis. This category posed a special conceptual problem to Grice.
Recall that his categories are invoked only by their power to generate
conversational implciata. But a conversational implicaturum is non-detachable.
That is, being based on universalistic principles of general rationality, it
cannot attach to an EXPRESSION, less so to the ‘meaning’ of an EXPRESSION: “if”
and “provided” are REALISATIONS of the concept of the conditionality. Now, the
conversational supra-maxim, ‘be perspicuous’ [sic], is supposed to apply NOT to
the content, or matter, but to the FORM. (Strictly, quantitas and qualitas
applies to matter, RELATIO applies to the link between at least two matters).
Grice tweaks things in such a way that he is happy, and so am I. This is a pun
on Aristkant’s Kategorie (Ammonius, tropos, Boëthius,
modus, Kant Modalitat). Gesichtspuncte der Modalität in assertorische,
apodiktische und problematische hat sich aus der Aristotelischen Eintheilung
hervorgebildet (Anal. Dr. 1, 2): 7@ợc gócois atv n 100 incozy h kỹ kvayxns
Úndozav û toù {VJÉZEo fai Úndozev: Doch geht diese Aristotelische Stelle
vielmehr auf die analogen objectiven Verhältnisse, als auf den subjectiven Gewissheitsgrad.
Der Zusatz Svvatóv, įvsezóuevov, és åviyans, jedoch auch eine adverbiale
Bestimmung wie taméws in dem Satze ý σελήνη ταχέως αποκαθίσταται, heisst bei
Ammonius τρόπος (zu περί ερμ. Cap. 12) und bei Boëthius modus. Kant (Kritik der
r. Vern. § 9-11; Prolegom. $ 21, Log. § 30) gründet die Eintheilung nach der
Modalität auf die modalen Kategorien: Möglichkeit und Unmöglichkeit, Dasein und
Nichtsein, Nothwendigkeit und Zufälligkeit, wobei jedoch die Zusammenstellung
der Unmöglichkeit, die eine negative Nothwendigkeit ist, mit der Möglichkeit,
und ebenso der Zufälligkeit, die das nicht als nothwendig erkannte Dasein
bezeichnet, mit der Nothwendigkeit eine Ungenauigkeit enthält: die Erkenntniss
der Unmöglichkeit ist nicht ein problematisches, sondern ein (negativ-)
apodiktisches Urtheil (was Kant in der Anwendung selbst anerkennt, indem er z.
B. Krit. der r. V. S. 191 die Formel: es ist unmöglich etc. als Ausdruck einer
apodiktischen Gewissheit betrachtet), und die Erkenntniss des Zufälligen ist
nicht ein apodiktisches, sondern ein assertorisches Urtheil. Ausserdem aber hat
Kant das subjective und objective Element in den Kategorien der Qualität und
Modalität nicht bestimmt genug unterschieden.grice’s four conversational categoriesthe category of conversational
quality: Only Kant would call it ‘function.’ While Grice could be cavalier
about the number of maxims falling under the category of conversational
quality, he surely would not be cavalier about the number of categories
themselves. Four were the functions from which the twelve categories ramify for
Ariskant, and four were for Grice: he takes the function from Kant, but the
spirit from Aristotle. This is
Aristotle’s universal, poiotes. This was originally the desideratum of
conversational candour. At that point, there was no Kantian scheme of
categories in the horizon. Candour Grice arbitrarily contrasts with clarityand
so the desideratum of conversational candour sometimes clashes with the
desideratum of conversational clarity. One may not be able to provide a less
convoluted utterance (“It is raining”) but use the less clear, but more candid,
“It might be raining, for all I know.” A pun on Aristkan’s Kategorie, poiotes,
qualitas, Qualitat. Expressions which are
in no way composite signify substance, quantity, quality, relation, place,
time, position, state, action, or affection. To sketch my meaning roughly,
examples of substance are 'man' or 'the horse', of quantity, such terms as 'two
cubits long' or 'three cubits long', of quality, such attributes as 'white',
'grammatical'.grice’s four
conversational categoriesthe category of conversational quantity: Only Kant
would call it function. While Grice could be cavalier about the number of
maxims falling under quantity, he was not about the number of categories
itself. Four was the number of functions out of which the twelve categories
spring for Ariskant, and four was for Grice. He takes the function (the letter)
from Kant, but the spirit from Aristotle. This is Aristotle’s universal,
posotes. Grice would often use ‘a fortiori,’ and then it dawned on him. “All I
need is a principle of conversational fortitude. This will give the Oxonians
the Graeco-Roman pedigree they deserve.’
a pun on Ariskant’s Kategorie, posotes, quantitas, Quantitat. Grice
expands this as ‘quantity of information,’ or ‘informative content’which then
as he recognises overlaps with the category of conversational quality, because
‘false information’ is a momer. Expressions which are in no way composite
signify substance, quantity, quality, relation, place, time, position, state,
action, or affection. To sketch my meaning roughly, examples of substance are
'man' or 'the horse', of quantity, such terms as 'two cubits long' or 'three
cubits long'grice’s four conversational
categoriesthe category of conversational relation: Only Kant would call it
function. While Grice could be cavalier about the number of maxims under the
category of relation, he was not about the number of categories: four were the
number of functions out of which the twelve categories spring for Ariskant and
four were for Grice: he takes the letter (function) from Kant, and the spirit
from Aristotle. This is Aristotle’s ‘pros ti.’ f there are categories of being,
and categories of thought, and categories of expression, surely there is room
for the ‘conversational category.’ A pun on Ariskant’s Kategorie (pros ti, ad
aliquid, Relation). Surely a move has to relate to the previous move, and
should include a tag as to what move will relate. Expressions which are in no
way composite signify substance, quantity, quality, relation, place, time,
position, state, action, or affection. To sketch my meaning roughly, examples
of substance are 'man' or 'the horse', of quantity, such terms as 'two cubits
long' or 'three cubits long', of quality, such attributes as 'white',
'grammatical'. 'Double', 'half', 'greater', fall under the category of
relation.grice’s predicament. S draws a pic- "one-off predicament"). ... Clarendon, 1976); and Simon Blackburn, Spreading the Word
(Oxford: Clarendon, 1984) ... But there is an obvious way of emending the
account. Grice points
out. ... Blackburn helpfully
suggests that we can cut through much of this complexity by ... The above
account is intended to capture the notion of one-off meaning. Walking in a forest,
having gone some way ahead of the rest of the party, I draw an arrow at a fork
of a path, meaning that those who are following me should go straight on. Gricean considerations may be safely ignored. Only when
trying to communicate by nonconventional means ("one-off predicament," Blackburn,
1984, chap. Blackburn's mission
is to promote the philosophy of language as a pivotal enquiry ... and
dismissed; the Gricean model
might be suitable to explain one-off acts. The Gricean mechanism
with its complex communicative intentions has a clear point in what Blackburn calls
“a one-off predicament”a
situation in which an ...grice’s shaggy-dog story: While Grice would like to say that it should be in the
range of a rational creature to refer and to predicate, what about the hand
wave? By his handwave, the emissor means that _HE_ (subject) is a knower of the
road (or roate), the predicate after the copula or that he, the emissor,
subject, is (the copula) about to leave his emisseebut there is nothing IN THE
MATTER (the handwave) that can be ‘de-composed’ like that. The FORM attaches to
the communicatum directly. This is strange, but not impossible, and shows
Grice’s programme. Because his idea is that a communicatum need not a vehicile
which is syntactically structured (as “Fido is shaggy”). This is the story that
Grice tells in his lecture. He uses a ‘shaggy-dog’ story to explain TWO main
notions: that of ‘reference’ or denotatio, and that of predicatio. He had
explored that earlier when discussing, giving an illustration “Smith is happy”,
the idea of ‘value,’ as correspondence, where he adds the terms for ‘denote’
and ‘predicatio,’ or actually, ‘designatio’ and ‘indicatio’, need to be
“explained within the theory.” In the utterance ‘Smith is happy,’ the utterer DESIGNATES
an item, Smith. The utterer also INDICATES some class, ‘being happy.’ Grice
introduces a shorthand, ‘assign’, or ‘assignatio,’ previous to the
value-satisfaction, to involve both the ‘designatio’ and the ‘indicatio’. U
assigns the item Smith to the class ‘being happy.’ U’s intention involves A’s
belief that U believes that “the item belongs to the class, or that he ASSIGNS
the item to the class. A predicate, such as 'shaggy,' in my shaggy-dog story, is a
part of a bottom-up, or top-bottom, as I prefer, analysis of this or that
sentences, and a predicate, such as 'shaggy,' is the only indispensable 'part,'
or 'element,' as I prefer, since a predicate is the only 'pars orationis,'
to use the old phrase, that must appear in every sentence. In a later lecture
he ventures with ‘reference.’ Lewis and Short have “rĕferre,” rendered as “to
bear, carry, bring, draw, or give back,” in a “transf.” usage, they render as
“to make a reference, to refer (class.),” asa in “de rebus et obscuris et
incertis ad Apollinem censeo referendum; “ad quem etiam Athenienses publice de
majoribus rebus semper rettulerunt,” Cic. Div. 1, 54, 122.” While Grice uses
‘Fido,’ he could have used ‘Pegasus’ (Martin’s cat, as it happens) and apply
Quine’s adage: we could have appealed to the ex hypothesi unanalyzable,
irreducible attribute of being Pegasus, adopting, for its expression, the verb
'is-Pegasus', or 'pegasizes'. And Grice could have played with ‘predicatio’ and
‘subjectio.’ Grice on subject. Lewis and Short have “sūbĭcĭo,” (less
correctly subjĭcĭo ; post-Aug. sometimes sŭb- ), jēci, jectum, 3, v. a.
sub-jacio. which they render as “to
throw, lay, place, or bring under or near (cf. subdo),” and in philosophy,
“subjectum , i, n. (sc. verbum), as “that which is spoken of, the foundation or
subject of a proposition;” “omne
quicquid dicimus aut subjectum est aut de subjecto aut in subjecto est.
Subjectum est prima substantia, quod ipsum nulli accidit alii inseparabiliter,
etc.,” Mart. Cap. 4, § 361; A Dogm. Plat. 334, 4 et saep.—.” Note that for
Mart. Cap. the ‘subject,’ unlike the ‘predicate’ is not a ‘syntactical
category.’ “Subjectum est prima substantia,” The subject is a prote ousia. As
for correlation, Grice ends up with a reductive analysis. By uttering
utterance-token V, the utterer U correlates predicate P1 with (and only
with) each member of P2 ≡ (∃R)(∃R')
(1) U effects that (∀x)(R P1x ≡ x ∈ P1)
and (2) U intends (1), and (3) U intends that (∀y)(R'
P1y ≡ y ∈
P1), where R' P1 is an expression-type such that utterance-token V is a
sequence consisting of an expression-token p1 of expression-type P1 and an
expression-token p2 of expression-type P2, the R-co-relatum of which is a
set of which y is a member. And he is back with ‘denotare. Lewis and Short have
“dēnŏtare,” which they render as “to mark, set a mark on, with chalk, color,
etc.: “pedes venalium creta,”
It is interesting to trace Grice’s earliest investigations on this. Grice and
Strawson stage a number of joint seminars on topics related to the notions of
meaning, categories, and logical form. Grice and Strawson engage in systematic
and unsystematic philosophical exploration. From these discussions springs work
on predication and categories, one or two reflections of which are acknowledge
at two places (re: the reductive analysis of a ‘particular,’ “the tallest man
that did, does, or will exist” --) in Strawson’s “Particular and general” for
The Aristotelian Societyand “visible” as Grice puts it, but not acknowledged,
in Strawson’s “Individuals: an essay in descriptive metaphysics.””grice’s theory-theory: “I am perhaps
not too happy with the word ‘theory,’ as applied to this, but that’s Ramsey for
you” (WoW: 285). Grice’s theory-theory: A
theory of mind concerning how we come to know about the propositional attitudes
of others. It tries to explain the nature of ascribing certain thoughts,
beliefs, or intentions to other persons in order to explain their actions. The
theory-theory holds that in ascribing beliefs to others we are tacitly (check)
applying a theory that enables us to make inferences about the beliefs behind
the actions of others. The theory that is applied is a set of rules embedded in
folk psychology. Hence, to anticipate and predict the behavior of others, one
engages in an intellectual process
moving by inference from one set of beliefs to another. This position contrasts
with another theory of mind, the simulation theory, which holds that we need to
make use of our own motivational and emotional resources and capacities for
practical reasoning in explaining actions of others. “So called
‘theory-theorists’ maintain that the ability to explain and predict behaviour
is underpinned by a folk-psychological theory of the structure and functioning
of the mindwhere the theory in question may be innate and modularised, learned
individually, or acquired through a process of enculturation.” Carruthers and
Smith (eds.), Theories of Theories of Mind. Grice needs a theory. For
those into implicatura and conversation as rational cooperation, when
introducing the implicaturum he mentions ‘pre-theoretical adequacy’ of the
model. So he is thinking of the conversational theory as a theory in the strict
sense, with ‘explanatory’ and not merely taxonomical power. So one task is to
examine in which way the conversational theory is a theory that explains,
rather than merely ad hoc ex post facto commentary. Not so much for his approach to mean. He
polemises with Rountree, of Somerville, that you dont need a thory to analyse
mean. Indeed, you cannot have a theory to analyse mean, because mean is a
matter of intuition, not a theoretical concept. But Grice appeals to theory,
when dealing with willing. He knows what willing means because he relies on a
concept of folk-science. In this folk-science, willing is a theoretical
concept. Grice arrived at this conclusion by avoiding the adjective souly, and
seeing that there is no word to describe willing other than by saying it is a
psychoLOGICAL concept, i.e. part of a law within that theory of folk-science.
That law will include, by way of ramsified naming or describing willing as a
predicate-constant. Now, this is related to metaphysics. His liberal or
ecunmenical metaphysics is best developed in terms of his ontological marxism
presented just after he has expanded on this idea of willing as a theoretical
concept, within a law involving willing (say, Grices Optimism-cum-Pesimism
law), within the folk-science of psychology that explains his behaviour. For
Aristotle, a theoria, was quite a different animal, but it had to do with
contemplatio, hence the theoretical (vita contemplativa) versus the practical
(vita activa). Grices sticking to Aristotle’srare use of theory inspires him to
develop his fascinating theory of the theory-theory. Grice realised that there is no way to refer
to things like intending except with psychological, which he takes to mean,
belonging to a pscyhological theory. Grice was keen to theorise on
theorising. He thought that Aristotle’s first philosophy (prote
philosophia) is best rendered as Theory-theory. Grice kept using Oxonian
English spelling, theorising, except when he did not! Grice calls himself
folksy: his theories, even if Subjects to various types of Ramseyfication, are
popular in kind! And ceteris paribus! Metaphysical construction is
disciplined and the best theorising the philosopher can hope for! The way
Grice conceives of his theory-theory is interesting to revisit. A route by
which Grice hopes to show the centrality of metaphysics (as prote philosophia)
involves taking seriously a few ideas. If any region of enquiry is to be
successful as a rational enterprise, its deliverance must be
expressable in the shape of one or another of the possibly different types of
theory. A characterisation of the nature and range of a possible kind of
theory θ is needed. Such a body of characterisation must itself
be the outcome of rational enquiry, and so must itself exemplify
whatever requirement it lays down for any theory θ in
general. The characterisation must itself be expressible as a
theory θ, to be called, if you like, Grice politely puts it,
theory-theory, or meta-theory, θ2. Now, the specification and
justification of the ideas and material presupposed
by any theory θ, whether such account falls within the bounds of
Theory-theory, θ2 would be properly called prote philosophia (first
philosophy) and may turn out to relate to what is generally accepted as
belonging to the Subjects matter of metaphysics. It might, for example,
turn out to be establishable that any theory θ has to relate to a
certain range of this or that Subjects item, has to attribute to each item this
or that predicate or attribute, which in turn has to fall within one or another
of the range of types or categories. In this way, the enquiry might lead
to recognised metaphysical topics, such as the nature of being, its range of
application, the nature of predication and a systematic account of
categories. Met. , philosophical eschatology, and Platos Republic,
Thrasymachus, social justice, Socrates, along with notes on Zeno, and topics
for pursuit, repr.in Part II, Explorations in semantics and metaphysics
to WOW , metaphysics, philosophical eschatology, Platos Republic, Socrates,
Thrasymachus, justice, moral right, legal right, Athenian dialectic.
Philosophical eschatology is a sub-discipline of metaphysics concerned with
what Grice calls a category shift. Grice, having applied such a technique to
Aristotle’s aporia on philos (friend) as alter ego, uses it now to tackle
Socratess view, against Thrasymachus, that right applies primarily to morality,
and secondarily to legality. Grice has a specific reason to include this in his
WOW Grices exegesis of Plato on justice displays Grices take on the fact that
metaphysics needs to be subdivided into ontology proper and what he calls
philosophical eschatology, for the study of things like category shift and
other construction routines. The exploration of Platos Politeia thus becomes an
application of Grices philosophically eschatological approach to the item just,
as used by Socrates (morally just) and Thrasymachus (legally just). Grice has
one specific essay on Aristotle in PPQ. So he thought Plato merited his own
essay, too! Grices focus is on Plato’s exploration of dike. Grice is concerned
with a neo-Socratic (versus neo-Thrasymachean) account of moral justice as conceptually
(or axiologically) prior to legal justice. In the proceeding, he creates
philosophical eschatology as the other branch to metaphysics, along with good
ol ontology. To say that just crosses a categorial barrier (from the moral
to the legal) is to make a metaphysical, strictly eschatological,
pronouncement. The Grice Papers locate the Plato essay in s. II, the Socrates essay in s. III, and the Thrasymachus essay, under social
justice, in s. V. Grice is well aware that in his account of fairness, Rawls
makes use of his ideas on personal identity. The philosophical elucidation of
fairness is of great concern for Grice. He had been in touch with such
explorations as Nozicks and Nagels along anti-Rawlsian lines. Grices ideas on
rationality guide his exploration of social justice. Grice keeps revising the
Socrates notes. The Plato essay he actually dates. As it happens, Grices most
extensive published account of Socrates is in this commentary on Platos
Republic: an eschatological commentary, as he puts it. In an entertaining
fashion, Grice has Socrates, and neo-Socrates, exploring the logic and grammar
of just against the attack by Thrasymachus and neo-Thrasymachus. Grices point
is that, while the legal just may be conceptually prior to the moral just, the
moral just is evaluationally or axiologically prior. Refs.: There is a specific
essay on ‘theorising’ in the Grice Papers, but there are scattered sources
elsewhere, such as “Method” (repr. in “Conception”), BANC.grice’s three-year-old’s guide to
Russell’s theory of types, with an advice to parents by Strawson: Grice put forward the empirical hypothesis that a
three-year old CAN understand Russell’s theory of types. “In more than one
way.” This brought confusion in the household, with some members saying they
could not“And I trust few of your tutees do!” Russell’s influential solution to
the problem of logical paradoxes. The theory was developed in particular to
overcome Russell’s paradox, which seemed to destroy the possibility of Frege’s
logicist program of deriving mathematics from logic. Suppose we ask whether the
set of all sets which are not members of themselves is a member of itself. If
it is, then it is not, but if it is not, then it is. The theory of types
suggests classifying objects, properties, relations, and sets into a hierarchy
of types. For example, a class of type 0 has members that are ordinary objects;
type 1 has members that are properties of objects of type 0; type 2 has members
that are properties of the properties in type 1; and so on. What can be true or
false of items of one type can not significantly be said about those of another
type and is simply nonsense. If we observe the prohibitions against classes
containing members of different types, Russell’s paradox and similar paradoxes can
be avoided. The theory of types has two variants. The simple theory of types
classifies different objects and properties, while the ramified theory of types
further sorts types into levels and adds a hierarchy of levels to that of
types. By restricting predicates to those that relate to items of lower types
or lower levels within their own type, predicates giving rise to paradox are
excluded. The simple theory of types is sufficient for solving logical
paradoxes, while the ramified theory of type is introduced to solve semantic
paradoxes, that is, paradoxes depending on notions such as reference and truth.
“Any expression containing an apparent variable is of higher type than that
variable. This is the fundamental principles of the doctrines of types.” Russell,
Logic and Knowledge. Grice’s commentary in “In defense of a dogma,” The
H. P. Grice Papers, BANC. grice’s complementary
class:
the class of all things not in a given class. For example, if C is the class of
all red things, then its complementary class is the class containing everything
that is not red. This latter class includes even non-colored things, like
numbers and the class C itself. Often, the context will determine a less
inclusive complementary class. If B 0 A, then the complement of B with respect
to A is A B. For example, if A is the
class of physical objects, and B is the class of red physical objects, then the
complement of B with respect to A is the class of non-red physical objects. griceism. Gricese.
At Oxford, it was usual to refer to Austin’s idiolect as Austinese. In analogy
with Grecism, we have a Gricism, a Griceian cliché. Cf. a ‘grice’ and ‘griceful’
in ‘philosopher’s lexicon.’ Gricese is a Latinism, from -ese,
word-forming element, from Old French -eis (Modern
French -ois, -ais),
from Vulgar Latin, from Latin -ensem, -ensis "belonging to" or
"originating in." Grice’s grue and
grellow, -- and bleen:
H. P. Grice was fascinated by Goodman’s ‘grue’ paradox and kept looking for the
crucial implicaturum. “The paradox is believed to be mainly as arising within
the theory of induction, but I’ve seen Strawson struggling with gruesome
consequences in his theory of deduction, too.” According to Nelson Goodman, “a
philosopher from the New World,” every intuitively acceptable inductive argument,
call it A, may be mimicked by indefinitely many other inductive arguments each seemingly quite analogous to A and
therefore seemingly as acceptable, yet each nonetheless intuitively
*unacceptable*, and each yielding a conclusion contradictory to that of A,
given the assumption that sufficiently many and varied of the sort of things
induced upon exist as yet unexamined which is the only circumstance in which A
is of interest. “Goodman then asks us to suppose an intuitively acceptable
inductive argument.”A1 every hitherto observed EMERALD is GREEN; therefore,
every emerald is green. Now introduce the totally unnatural colour predicate
‘grue’a portmanteau of blue and greenas in Welsh ‘glas’ -- where for some
given, as yet wholly future, temporal interval T an object is ‘grue’ provided
it has the property of being green and first examined before T OR blue and NOT first examined before T. Then
consider the following inductive argument: A2 every hitherto observed EMERALD
is GRUE; therefore, every emerald is grue. The premise is true, and A2 is
formally analogous to A1. But A2 is intuitively unacceptable. If there is an
emerald UNexamined before T, he conclusion of A2 says that this emerald is
blue, whereas the conclusion of A1 says that every emerald is green! Granted,
other counter-intuitive competing arguments could be given, e.g.: A3. Every
hitherto observed emerald is grellow; therefore, every emeralds is grellow.
where an object is ‘grellow’ provided it is green and located on the earth or
yellow otherwise. It would seem, therefore, that some restriction on induction
is required. “Goodman’s alleged of induction offers two challenges. First,
state the restriction i.e., demarcate
the intuitively acceptable inductions from the unacceptable ones, in some general
way, without constant appeal to intuition.”“Second, justify our preference for
the one group of inductions over the other.”“These two parts of the paradox
are, alas, often conflated.”But it is at least conceivable that one might solve
the analytical, demarcative part without solving the justificatory part, and,
perhaps, vice versa. It will not do to rule out, a priori gruesome” variances
in nature. H2O varies in its physical state along the parameter of temperature.
If so, why might not one emerald vary in colour along the parameter of time of
first examination? One approach to the problem of restriction is to focus on
the conclusions of inductive arguments e.g., every emerald is green, every
emerald is grue and to distinguish those which may legitimately so serve called
“projectible hypotheses” from those which may not. The question then arises
whether only non-gruesome hypotheses those which do not contain gruesome
predicates are projectible. Aside from the task of defining ‘gruesome
predicate’ which could be done structurally relative to a preferred language,
the answer is no. Consider the predicate ‘x is solid and less than 0; C, or
liquid and more than 0; C but less than 100; C, or gaseous and more than 100;
C.’This is gruesome on any plausible structural account of gruesomeness. Note
the similarity to the ‘grue’ equivalent: green and first examined before T, or
blue and not first examined before T. Nevertheless, where nontransitional water
is pure H2O at one atmosphere of pressure save that which is in a transitional
state, i.e., melting/freezing or boiling/condensing, i.e., at 0°C or 100; C, we
happily project the hypothesis that all non-transitional water falls under the
above gruesome predicate. Perhaps this is because, if we rewrite the projection
about non-transitional water as a conjunction of non-gruesome hypotheses i water at less than 0; C is solid, ii water
at more than 0; C but less than 100; C is liquid, and iii water at more than
100; C is gaseous we note that iiii are
all supported there are known positive instances; whereas if we rewrite the
gruesome projection about the emerald as a conjunction of non-gruesome
hypotheses i* every emerald first
examined before T is green, and ii* every emerald NOT first examined before T
is blue we note that ii* is as yet
unsupported. It would seem that, whereas a non-gruesome hypothesis is
projectible provided it is unviolated and supported, a gruesome hypothesis is
projectible provided it is unviolated and equivalent to a conjunction of
non-gruesome hypotheses, each of which is supported. Grice’s formalists: Hilbert, D.G. mathematician and philosopher of
mathematics. Born in Königsberg, he also studied and served on the faculty
there, accepting Weber’s chair in mathematics at Göttingen in 1895. He made
important contributions to many different areas of mathematics and was renowned
for his grasp of the entire discipline. His more philosophical work was divided
into two parts. The focus of the first, which occupied approximately ten years
beginning in the early 1890s, was the foundations of geometry and culminated in
his celebrated Grundlagen der Geometrie (1899). This is a rich and complex work
that pursues a variety of different projects simultaneously. Prominent among
these is one whose aim is to determine the role played in geometrical reasoning
by principles of continuity. Hilbert’s interest in this project was rooted in
Kantian concerns, as is confirmed by the inscription, in the Grundlagen, of
Kant’s synopsis of his critical philosophy: “Thus all human knowledge begins
with intuition, goes from there to concepts and ends with ideas.” Kant believed
that the continuous could not be represented in intuition and must therefore be
regarded as an idea of pure reasoni.e., as a device playing a purely regulative
role in the development of our geometrical knowledge (i.e., our knowledge of
the spatial manifold of sensory experience). Hilbert was deeply influenced by
this view of Kant’s and his work in the foundations of geometry can be seen, in
large part, as an attempt to test it by determining whether (or to what extent)
pure geometry can be developed without appeal to principles concerning the
nature of the continuous. To a considerable extent, Hilbert’s work confirmed
Kant’s viewshowing, in a manner more precise than any Kant had managed, that
appeals to the continuous can indeed be eliminated from much of our geometrical
reasoning. The same basic Kantian orientation also governed the second phase of
Hilbert’s foundational work, where the focus was changed from geometry to
arithmetic and analysis. This is the phase during which Hilbert’s Program was
developed. This project began to take shape in the 1917 essay “Axiomatisches
Denken.” (The 1904 paper “Über die Grundlagen der Logik und Arithmetik,” which
turned away from geometry and toward arithmetic, does not yet contain more than
a glimmer of the ideas that would later become central to Hilbert’s proof
theory.) It reached its philosophically most mature form in the 1925 essay
“Über das Unendliche,” the 1926 address “Die Grundlagen der Mathematik,” and
the somewhat more popular 1930 paper “Naturerkennen und Logik.” (From a
technical as opposed to a philosophical vantage, the classical statement is
probably the 1922 essay “Neubegründung der Mathematik. Erste Mitteilung.”) The
key elements of the program are (i) a distinction between real and ideal
propositions and methods of proof or derivation; (ii) the idea that the
so-called ideal methods, though, again, playing the role of Kantian regulative
devices (as Hilbert explicitly and emphatically declared in the 1925 paper),
are nonetheless indispensable for a reasonably efficient development of our
mathematical knowledge; and (iii) the demand that the reliability of the ideal
methods be established by real (or finitary) means. As is well known, Hilbert’s
Program soon came under heavy attack from Gödel’s incompleteness theorems
(especially the second), which have commonly been regarded as showing that the
third element of Hilbert’s Program (i.e., the one calling for a finitary proof
of the reliability of the ideal systems of classical mathematics) cannot be
carried out. Hilbert’s Program, a proposal in the foundations of mathematics,
named for its developer, the German mathematician-philosopher David Hilbert,
who first formulated it fully in the 1920s. Its aim was to justify classical
mathematics (in particular, classical analysis and set theory), though only as
a Kantian regulative device and not as descriptive science. The justification
thus presupposed a division of classical mathematics into two parts: the part
(termed real mathematics by Hilbert) to be regulated, and the part (termed
ideal mathematics by Hilbert) serving as regulator. Real mathematics was taken
to consist of the meaningful, true propositions of mathematics and their
justifying proofs. These proofscommonly known as finitary proofswere taken to
be of an especially elementary epistemic character, reducing, ultimately, to
quasi-perceptual intuitions concerning finite assemblages of perceptually
intuitable signs regarded from the point of view of their shapes and sequential
arrangement. Ideal mathematics, on the other hand, was taken to consist of
sentences that do not express genuine propositions and derivations that do not
constitute genuine proofs or justifications. The epistemic utility of ideal
sentences (typically referred to as ideal propositions, though, as noted above,
they do not express genuine propositions at all) and proofs was taken to derive
not from their meaning and/or evidentness, but rather from the role they play
in some formal algebraic or calculary scheme intended to identify or locate the
real truths. It is thus a metatheoretic function of the formal or algebraic
properties induced on those propositions and proofs by their positions in a
larger derivational scheme. Hilbert’s ideal mathematics was thus intended to
bear the same relation to his real mathematics as Kant’s faculty of pure reason
was intended to bear to his faculty of understanding. It was to be a regulative
device whose proper function is to guide and facilitate the development of our
system of real judgments. Indeed, in his 1925 essay “Über das Unendliche,”
Hilbert made just this point, noting that ideal elements do not correspond to
anything in reality but serve only as ideas “if, following Kant’s terminology,
one understands as an idea a concept of reason which transcends all experience
and by means of which the concrete is to be completed into a totality.” The
structure of Hilbert’s scheme, however, involves more than just the division of
classical mathematics into real and ideal propositions and proofs. It uses, in
addition, a subdivision of the real propositions into the problematic and the
unproblematic. Indeed, it is this subdivision of the reals that is at bottom
responsible for the introduction of the ideals. Unproblematic real
propositions, described by Hilbert as the basic equalities and inequalities of
arithmetic (e.g., ‘3 ( 2’, ‘2 ‹ 3’, ‘2 ! 3 % 3 ! 2’) together with their
sentential (and certain of their bounded quantificational) compounds, are the
evidentially most basic judgments of mathematics. They are immediately
intelligible and decidable by finitary intuition. More importantly, they can be
logically manipulated in all the ways that classical logic allows without
leading outside the class of real propositions. The characteristic feature of
the problematic reals, on the other hand, is that they cannot be so
manipulated. Hilbert gave two kinds of examples of problematic real
propositions. One consisted of universal generalizations like ‘for any
non-negative integer a, a ! 1 % 1 ! a’, which Hilbert termed hypothetical
judgments. Such propositions are problematic because their denials do not bound
the search for counterexamples. Hence, the instance of the (classical) law of
excluded middle that is obtained by disjoining it with its denial is not itself
a real proposition. Consequently, it cannot be manipulated in all the ways
permitted by classical logic without going outside the class of real
propositions. Similarly for the other kind of problematic real discussed by
Hilbert, which was a bounded existential quantification. Every such sentence
has as one of its classical consequents an unbounded existential quantification
of the same matrix. Hence, since the latter is not a real proposition, the
former is not a real proposition that can be fully manipulated by classical
logical means without going outside the class of real propositions. It is
therefore “problematic.” The question why full classical logical manipulability
should be given such weight points up an important element in Hilbert’s
thinking: namely, that classical logic is regarded as the preferred logic of
human thinkingthe logic of the optimally functioning human epistemic engine,
the logic according to which the human mind most naturally and efficiently
conducts its inferential affairs. It therefore has a special psychological
status and it is because of this that the right to its continued use must be
preserved. As just indicated, however, preservation of this right requires
addition of ideal propositions and proofs to their real counterparts, since
applying classical logic to the truths of real mathematics leads to a system
that contains ideal as well as real elements. Hilbert believed that to justify
such an addition, all that was necessary was to show it to be consistent with
real mathematics (i.e., to show that it proves no real proposition that is
itself refutable by real means). Moreover, Hilbert believed that this must be
done by finitary means. The proof of Gödel’s second incompleteness theorem in
1931 brought considerable pressure to bear on this part of Hilbert’s Program
even though it may not have demonstrated its unattainability. Grice and the humboldts: Born in
Potsdam, Wilhelm, with his brother Alexander, was educated by private tutors in
the enlightened style thought suitable for a Prussian philosopher.This included
Grice’s stuff: philosophy and the two classical languages, with a bit of
ancient and modern history. After his university studies in law at Frankfurt an
der Oder and Göttingen, Humboldt’s career was divided among assorted posts,
philosophising on a broad range of topics, notably his first loves, like
Grice’s: philosophy and the classical languages. Humboldt’s broad-ranging works
reveal the important influences of Herder in his conception of history and
culture, Kant and Fichte in philosophy, and the French “Ideologues” in
semiotics. His most enduring work has proved to be the Introduction to his
massive study of language. Humboldt maintains that language, as a vital and
dynamic “organism,” is the key to understanding both the operations of the
soul. A language such as Latin possesses a distinctive inner form that shapes,
in a way reminiscent of Kant’s more general categories, the subjective
experience, the world-view, and ultimately the institutions of Rome. While all
philosophers are indebted to both his empirical studies and his theoretical
insights on culture, such philosophers as Dilthey and Cassirer acknowledge him
as establishing the Latin language as a central concern for the humanities. H.
P. Grice, “Alexander and all the Humboldts.” Griceian ideology: a term used by Ernest Gellner to refer to
Grice’s Clifton/Corpus Christi background. generally a disparaging term used to
describe someone else’s political views which one regards as unsound. This use
derives from Marx’s employment of the term to signify a false consciousness
shared by the members of a particular social class. For example, according to
Marx, members of the capitalist class share the ideology that the laws of the
competitive market are natural and impersonal, that workers in a competitive
market are paid all that they can be paid, and that the institutions of private
property in the means of production are natural and justified.
grecianism: why was Grice obsessed with Socrates’s convesations? He
does not say. But he implicates it. For the Athenian dialecticians, it is all a
matter of ta legomena. Ditto for the Oxonian dialecticians. Ta legomena becomes
ordinary language. And the task of the philosopher is to provide reductive
analysis of this or that concept in terms of necessary and sufficient
conditions. Cf. Hospers. Grices review of the history of philosophy (Philosophy
is but footnotes to Zeno.). Grice enjoyed Zenos answer, What is a friend? Alter
ego, Allego. ("Only it was the other Zeno." Grice tried to apply the
Socratic method during his tutorials. "Nothing like a heartfelt dedication
to the Socratic art of mid-wifery, seeking to bring forth error and to strangle
it at birth.” μαιεύομαι (A.“μαῖα”), ‘to serve as a midwife, act a; “ἡ
Ἄρτεμις μ.” Luc. D Deor.26.2. 2. cause delivery to take place, “ἱκανὴ ἔκπληξις
μαιεύσασθαι πρὸ τῆς ὥρας” Philostr. VA1.5. 3. c. acc., bring to the birth,
Marin.Procl.6; ὄρνιθας μ. hatch chickens, Anon. ap. Suid.; αἰετὸν κάνθαρος
μαιεύσομαι, prov. of taking vengeance on a powerful enemy, Ar. Lys.695 (cf.
Sch.). 4. deliver a woman, esp. metaph. in Pl. of the Socratic method, Tht.
149b. II. Act., Poll. 4.208, Sch. OH.4.506. Pass., τὰ ὑπ᾽ ἐμοῦ μαιευθέντα
brought into the world by me, Pl. Tht. 150e, cf. Philostr.VA5.13. Refs.: the
obvious references are Grice’s allusions to Aristotle, Plato, Socrates, Zeno,
The H. P. Grice Papers, BANC.
grosseteste: Grice was a
member of the Grosseteste Society. Like Grice’s friend, G. J. Warnock,
Grosseteste was chancellor of Oxford. Only that by the time of Warnock, the
monarch is the chancellor by default, so “Warnock had to allow to be called
‘vice-chancelor’ to Elizabeth II.” “I would never have read Aristotle had it
not been by this great head that grosseteste (“Greathead” is a common surname
in Suffolk).”H. P. Grice. English philosopher who began life on the bottom rung
of feudal society in Suffolk and became one of the most influential figures in
pre-Reformation England. He studied at Oxford, obtaining an “M. A.,” like Grice.
Sometime after this period he joined the household of William de Vere, of
Hereford. Grosseteste associated with the elite at Hereford, several of whose
members were part of an advanced philosophical tradition. It was a centre for
the study of liberal arts. This explains his interest in dialectics. After a
sojourn in Paris, he becomes the first chancellor of Oxford. He was a secular
lecturer in theology to the recently established Franciscan order at Oxford. It
was during his tenure with the Franciscans that he studied Grecian an unusual endeavour for an Oxonian schoolman
then. He later moved to Lincoln. As a
scholar, Grosseteste is an original thinker who used Aristotelian and
Augustinian theses as points of departure. Grosseteste (or “Greathead,” as he
was called by the townif not the gown) believes, with Aristotle, that sense is
the basis of all knowledge, and that the basis for sense is our discovery of
the cause of what is experienced or revealed by experiment. He also believes,
with Augustine, that light plays an important role in creation. Thus he
maintained that God produced the world by first creating prime matter (“materia
prima”) from which issued a point of light lux, the first corporeal form or
power, one of whose manifestations is visible light. The diffusion of this
light resulted in extension or tri-dimensionality in the form of the nine
concentric celestial spheres and the four terrestrial spheres of fire, air,
water, and earth. According to Grosseteste, the diffusion of light takes place
in accordance with laws of mathematical proportionality geometry. Everything,
therefore, is a manifestation of light, and mathematics is consequently
indispensable to science and knowledge generally. The principles Grosseteste
employs to support his views are presented in, e.g., his commentary on
Aristotle’s Posterior Analytics, the De luce, and the De lineis, angulis et
figuris. He worked in areas as seemingly disparate as optics and angelology.
Grosseteste is one of the first to take an interest in and introduce into the
Oxford curriculum newly recovered Aristotelian texts, along with commentaries
on them. His work and interest in natural philosophy, mathematics, the Bible,
and languages profoundly influenced Roger Bacon, and the educational goals of
the Franciscan order. It also helped to stimulate work in these areas.
Grandi: Luigi
Guido Grandi, pseudonimo di Francesco Lodovico Grandi (Cremona), filosofo. Nato
da Piero Martire Grandi, ricamatore, e Caterina Legati compì i suoi primi studi
di grammatica sotto la guida del giovane letterato Giambattista Canneti e poi
nel locale Collegio dei Gesuiti, dove ebbe come maestro il futuro matematico
Giovanni Girolamo Saccheri. All'età di 16 anni entrò nel monastero camaldolese
di Classe in Ravenna, assumendo il nome Guido in sostituzione degli originari
Francesco Lodovico, e qui ritrovò l'antico maestro divenuto abate Pietro
Canneti. Proseguiti gli studi teologici
a Roma e quelli geometrici e matematici a Firenze, nel 1700 divenne professore
di filosofia nel monastero camaldolese di Firenze. Nel 1703 pubblicò il libro
La quadratura del cerchio e dell'iperbole, al cui interno scoprì lo stesso
paradosso matematico intuito anche da Leibniz, ossia che la somma parziale di
una serie a segni alterni di numeri può non convergere (serie di Grandi), e
qualche anno dopo, durante una sua visita in Inghilterra (1709), entrò a far
parte della Royal Society. Nel 1714 divenne
matematico di corte presso il granduca di Toscana e più tardi professore di
matematica nell'Pisa. Fu anche sovrintendente alle acque del granducato,
contribuendo ai lavori di drenaggio per la bonifica della Val di Chiana.
Collaborò con Tommaso Buonaventuri all'edizione fiorentina delle Opere di
Gaileo Galilei (1718), studiò la curva algebrica da lui chiamata
"rodonea" per la forma che ricorda il rosone delle chiese romaniche e
gotiche (1725 circa) e fu autore degli Elementi di Geometria di Euclide,
pubblicati postumi a Venezia (Savioni, 1780).
Frontespizio del De infinitis infinitorum Fu il primo a usare e a
diffondere in Italia la nuova analisi degli infiniti. Scrisse l'opera De
infinitis infinitorum... nella quale applicò, tra i primi in Italia, i metodi
di Leibniz e Newton. Opere Frontespizio di Trattato delle resistenze di
Vincenzo Viviani completato da Guido Grandi (Firenze, 1718) Geometrica
demonstratio Vivianeorum problematum, Florentiae, ex Typographia Iacobi de
Guiduccis propè Conductam, 1699. De infinitis infinitorum, et infinite parvorum
ordinibus disquisitio geometrica, Pisis, ex Typographia Francisci Bindi
impress. archiepisch., 1710. Epistola mathematica de momento gravium in planis
inclinatis, Lucae, typis Peregrini Frediani, 1711. Dialoghi circa la
controversia eccitatagli contro dal sig. Alessandro Marchetti, In Lucca, ad
istanza di Francesco Maria Gaddi librajo in Pisa, 1712. Prostasis ad
exceptiones clari Varignonii libro De infinitis infinitorum ordinibus oppositas
circa magnitudinum plusquam-infinitarum Vallisii defensionem et anguli
contactus, Pisis, ex Typographia Francisci Bindi impress. archiepisch., 1713.
Del movimento dell'acque trattato geometrico, Firenze. Relazione delle
operazioni fatte circa il padule di Fucecchio, In Lucca, per Leonardo
Venturini, 1718. Trattato delle resistenze, Firenze, per Tartini e Franchi,
1718?. Compendio delle Sezioni coniche d'Apollonio con aggiunta di nuove
proprietà delle medesime sezioni, In Firenze, nella Stamperia di S.A.R. per gli
Tartini e Franchi, 1722. Instituzioni meccaniche, In Firenze, nella Stamperia
di S.A.R. per Gio: Gaetano Tartini e Santi Franchi, 1739. Istituzioni di
aritmetica pratica, In Firenze, nella Stamperia di S.A.R. per Gio: Gaetano
Tartini e Santi Franchi, 1740. Sectionum conicarum synopsis, Florentiae, ex typographio
Ioannis Paulli Giovannelli, 1750. Riconoscimenti Membro della Royal Societynastrino
per uniforme ordinariaMembro della Royal Society Note Baldini, op. cit., indica la data del 10
ottobre 1671. Mario Di Fidio, Claudi
Gandolfi, Idraulici italiani , Fondazione Biblioteca Europea di Informazione e
Cultura, , 141-142. Il termine "rodonea" deriva dal
greco Ροδή, rosa. La curva rodonea è anche chiamata "rosa di Grandi"
in suo onore. Giammaria Ortes, Vita del
padre D. Guido Grandi, abate camaldolese, matematico dello Studio Pisano,
Venezia, Giambatista Pasquali, 1744. Consultabile su Google libri. Nicola
Mangini, Guido Grandi, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. 20 luglio . Amedeo Agostini, Guido Grandi, in
Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rodonea
Sofisma algebrico Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una
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Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Luigi Guido Grandi, su accademicidellacrusca.org,
Accademia della Crusca. Luigi Guido Grandi, su MacTutor, University of St
Andrews, Scotland. Opere di Luigi Guido
Grandi, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Luigi Guido Grandi, .
Luigi Guido Grandi, in Galileo Project, Rice University. Carteggi del padre
camaldolese matematico Guido Grandi, su internetculturale.it.
Grassi: Ernesto Grassi (Milano1)
filosofo. EGrassi si laureò a Milano il 30 giugno 1925; in quegli anni egli
aveva trovato il suo maestro in Piero Martinetti, professore dell'Università
Statale di Milano. Già prima della laurea, Grassi sentì il bisogno di stringere
rapporti con la cultura tedesca e nel 1924 si era recato a Friburgo in
Brisgovia per presentarsi al filosofo Edmund Husserl. Alla ricerca di un luogo
dove poter continuare gli studi, partì per la Provenza nel 1927 dove conobbe
Maurice Blondel; nel 1928 ritornò in Germania, dove incontrò Martin Heidegger.
Questo fu l'inizio di una lunga collaborazione che segnò il destino filosofico
di Grassi; egli continuò la sua attività in Germania, prima come lettore
d'italiano a Friburgo, poi come incaricato di filosofia umanistica ed infine
come professore onorario, titolo grazie al quale poté insegnare a Berlino tra
il 1938 e il 1943. Fu presidente del "Centro Internazionale di Studi
Umanistici" di Monaco ed in seguito professore di "Filosofia
dell'Umanesimo" (Philosophie des Humanismus) presso la
Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco. Fu anche il curatore della Rowohlts
Deutsche Enzyklopädie, la famosa "RDE", la prima collana scientifica
tascabile in Germania, e della Rowohlts Klassiker. Il pensiero Pensatore di grande valore e
critico ingegnoso della filosofia dell'Umanesimo, cercò di ricondurre la
filosofia contemporanea ad una riflessione radicale intorno al suo statuto
epistemologico e a un ripensamento riguardante il valore del suo linguaggio, ormai
specialistico e spesso sterile, per affermare la valenza filosofica del
linguaggio poetico, metaforico e fantastico.
Opere principali e traduzioni italiane Il problema della metafisica
platonica, Laterza, Bari 1932, 227
Dell'apparire e dell'essere (seguito da Linee della filosofia tedesca
contemporanea), La Nuova Italia, Firenze 1933, 97 Von Vorrang des Logos. Das Problem der Antike
in der Auseinandersetzung zwischen italienischer und deutscher Philosophie,
Beck, München 1939, 218 Gedanken zum
Dichterischen und Politischen. Zwei Vorträge zum Bestimmung der geistigen
Tradition Italiens, Küpper, Berlin 1939, 48
Wirklichkeit als Geheimnis und Auftrag. Die Exaktheit der
Naturwissenschaften und die philosophische Erfarung, in collaborazione con
Thure von Uexküll, Francke, Bern 1945,
130. Verteidigung des Individuellen Lebens. Studia humanitatis als
Philosophische Überlieferung, Francke, Bern 1946, 176 Von Ursprung und Grenzen der
Geisteswissenschaften und Naturwissenschaften, in collaborazione con Thure von
Uexküll, Verlag A. Francke, Bern 1950, 254
Die Einheit unseres Wirklichkeitsbildes und die Grenzen der
Einzelwissenschaften, Ernesto Grassi e Thure von Uexküll, Lehnen, München 1951,
196 Reisen ohne anzukommen.
Südamerikanische Meditationen, Rowohlt, Hamburg 1955, 144 Kunst und Mythos, Rowohlt, Hamburg 1957,
167 Die zweite Aufklärung: Enzyklopädie
heute. Mit lexikalischem Register zu Band 1-75, Rowohlt, Hamburg 1958, 304 Die Theorie des Schönen in der Antike, DuMont
Schauberg, Köln 1962, 287 Macht des
Bildes. Ohnmacht der rationalen Sprache. Zur Rettung des Rhetorisches, DuMont
Schauberg, Köln 1970, 231 Arte come
antiarte. Teoria del bello nel mondo antico, traduzione di Carlo Hermanin,
Paravia, Torino 1972, 133. Humanismus
und Marxismus. Zur Kritik der Verselbständigung von Wissenschaft [Mit einem
Anhang “Texte italienischer Humanisten”], Rowohlt, Hamburg 1973, 274 Die Macht der Phantasie. Zur Geschichte
abendländischen Denkens, Athenäum, Königstein/Ts. 1979, 267 Macht des Bildes. Ohnmacht der rationalen
Sprache. Zur Rettung des Rhetorischen, Fink, München 1979, 231 Rhetoric as Philosophy. The Humanist
Tradition, traduzione di John Michael Krois e Azized Azodi, The Pennsylvania
State University Press, University Park and London 1980, 122 (ristampa 2001) Heidegger and the Question of
Renaissance Humanism. Four Studies, traduzione di Ulrich Hemel-John Michael
Krois, State University of New York at Binghamthon, Binghamton/N.Y. 1983, in
Medieval and Renaissance Texts and Studies,
XXI, 103 Heidegger e il problema
dell'umanesimo, traduzione di Enrichetta Valenziani-Giovanna Barbantini, Guida,
Napoli 1985, 105 Einführung in
philosophische Probleme des Humanismus, Wissenschaftliche Buchgesellschaft,
Darmstadt 1986, 171 Folly and Insanity
in Renaissance Literature, in collaborazione con Maristella Lorch, traduzione
di John Michael Krois e Mario A. Di Cesare, University Center at Binghamtom,
Binghamton/N.Y. 1986, in Medieval and Renaissance Texts and Studies, vol XLII,
128 La preminenza della parola metaforica.
Heidegger, Meister Eckhart, Novalis, Mucchi editore, Modena 1987, 77 La filosofia dell'umanesimo. Un problema
epocale, traduzione di Enrichetta Valenziani, Tempi Moderni, Napoli 1988, 218 Renaissance Humanism. Studies in Philosophy
and Poetics, traduzione di Walter Veit, Center for Medieval and Early
Renaissance Studies, Bimhamton/N.Y. 1988, 145
Umanesimo e retorica. Il problema della follia, traduzione di Enrichetta
Valenziani e Giovanna Barbantini, Mucchi, Modena 1988, 119 Potenza dell'immagine. Rivalutazione della
retorica, traduzione di Liliana Croce e Massimo Marassi, Guerini e associati,
Milano 1989, 267 La metafora inaudita,
Massimo Marassi, Aestetica, Palermo 1990, 167
Potenza della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale, Claudio
Gentili, Guida, Napoli 1990, 264 Vico
and Humanism. Essays on Vico, Heidegger and Rhetoric, Peter Lang, New York
1990, 217. Filosofare noetico non
metafisico. L'Alcesti e il Don Chisciotte, in collaborazione con Emilio Hidalgo
y Serna, Congedo Editore, Galatina, 1991, 55
Vico e l'umanesimo, traduzione di Antonio Verri, Guerini e associati,
Milano 1992, 244 Il dramma della
metafora. Euripide, Eschilo, Sofocle, Ovidio, Massimo Marassi, L'officina
tipografica, Roma 1992, 177 Die
unerhörte Metapher, traduzione di Emilio Hidalgo y Serna, Hain, Frankfurt a. M.
1992, 280 Arte e mito, edizione riveduta
ed ampliata dall'Autore, traduzione e cura di Carlo Gentili, La Città del Sole,
Napoli 1996, 240 Retorica come
filosofia. La tradizione umanistica, traduzione di Roberta Moroni, Massimo
Marassi, La Città del Sole, Napoli 1999, 199
Viaggiare ed errare. Un confronto con il Sudamerica, traduzione di
Cristina De Santis, Massimo Marassi, La Città del Sole, Napoli 1999, 201 Studi su Ernesto Grassi Eberhard Bons, Der
Philosoph Ernesto Grassi, Fink, München 1990. Wilhelm Büttemeyer, Ernesto
GrassiHumanismus zwischen Faschismus und Nationalsozialismus, Alber, Freiburg .
Emilio Hidalgo-Serna (cur.), Studi in memoria di Ernesto Grassi, 2 , Edizione
La Città del Sole, Napoli 1996 (con
estesa). Robert Josef Kozljanic, Ernesto Grassi, Fink, München 2003.
Anna Di Somma, La prospettiva filosofica di Ernesto Grassi tra antropologia,
logica e ontologia, La scuola di Pitagora, Napoli . Ead., Meditazioni
sudamericane: la tappa sudamericana dell'onto-antropo-logia di Ernesto Grassi,
in Studi Interculturali, 1, . Ead., La realtà umana tra disvelamento e
fondazione: l'incidenza di Vico e Leopardi nell'antropologia di Ernesto Grassi,
in ISPF Lab . Ead., Il ruolo di Platone nell’onto-antropo-logia di Ernesto
Grassi, in cds in A. Muni , Platone nel pensiero moderno e contemporaneo,
Limina mentis, . Ead., La Hora de Pan en Reisen ohne anzukommen. Eine
Konfrontation mit Sudamerika de Ernesto Grassi, in AA. VV, Magister et
discipuli. Filosofìa, historia, politica y cultura, Penguin Random House,
Bogotà . Umanesimo Biografia su Rai Educational, su emsf.rai.it.
3 aprile 2006 10 ottobre 2006). Piergiorgio Donatelli, «GRASSI, Ernesto» in
Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 58, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2002. Claudia Razza, Ernesto Grassi: l'umile
potenza del suo umanesimo nel sito dell'Università Ludwig Maximilian di Monaco,
Facoltà di filosofia.
Grassi: Leonardo Grassi
(Mascali), filosofo. Iniziò gli studi ginnasiali presso il seminario di
Acireale fino alla terza ginnasiale, proseguendoli poi a Catania, presso il
liceo "Nicola Spedalieri".
Assiduo frequentatore della sala lettura dell'Catania, conobbe il poeta
Mario Rapisardi, allora nella piena maturità del suo ingegno, cui lo legò una
profonda stima ed affinità intellettuale.
Seguendo le orme paterne, conseguì la prima laurea in medicina e
chirurgia all'Napoli (1898), con una tesi in psicologia sperimentale dal titolo
Intorno alla memoria delle immagini acustiche e visive delle parole in rapporto
specialmente al tempo di "fissazione", suggeritagli da Leonardo
Bianchi e pubblicata poi sulla Rivista Sperimentale di Freniatria. Si trasferì, dunque, a Messina dove divenne
assistente di Giovanni Weiss, docente di patologia generale in quella
Università. Tuttavia cominciò a provare
le prime grosse delusioni per l'inconciliabile contrasto fra le esigenze
pratiche della professione, che rischiavano di piegarlo a umilianti compromessi,
e le alte aspirazioni della sua anima.
Mutò bruscamente indirizzo, iscrivendosi alla facoltà di scienze
naturali, conseguendo così la seconda laurea con Pio Mingazzini sostenendo una
tesi intorno ai pesci di Ganzirri e Faro, che poi fu pubblicata su una rivista
veneziana. Mingazzini, chiamato alla cattedra di Bologna, era felice di averlo
come assistente, ma di lì a poco morì improvvisamente. Il suo spirito inquieto cercò altre vie ed
altri sbocchi, e così intraprese a frequentare le lezioni che si tenevano nella
facoltà di lettere e filosofia dell'Catania, profondamente influenzato dalle
precedenti frequentazioni messinesi dove campeggiavano figure come Giovanni
Pascoli, col quale strinse amicizia, Giovanni Cesca, Michele Barbi, Augusto
Mancini, Roberto Ardigò, del suo discepolo Giovanni Dandolo ed infine dello
storico Gaetano Salvemini. Nel 1904
conseguiva la sua terza ed ultima laurea in filosofia presso l'ateneo catanese,
con una tesi pubblicata dall'editore Muglia di Messina, dal titolo L'unità dei
fatti psichici fondamentali. Quindi
vinse la cattedra di filosofia nei licei e fu assegnato a Caltagirone dove
conobbe e sposò il 25 aprile del 1909 la giovane Giacomina Gerbino appena
laureata in lettere classiche alla quale lo legò un profondo amore ed
un'intensa affinità d'intelletti. Fu
capitano medico e nell'ultima parte della prima guerra mondiale ebbe la
direzione di un ospedale militare di riserva in cui rimase fino alla primavera
del 1919. Ritornato all'insegnamento,
venne trasferito a Catania dove fu professore di filosofia presso il liceo
"N. Spedalieri" . Nel 1920
conseguì la libera docenza presso l'Catania dove insegnò filosofia morale. Iniziò, dunque, un'intensa attività
scientifica che vide tra i suoi maggiori corrispondenti Giovanni Gentile e
Luigi Sturzocon i quali intrattenne un copioso carteggiooltre al letterato
Villaroel, Arturo Farinelli, Bernardino Varisco, Giuseppe Fausto Majelli,
Pantaleo Carabellese e Luigi Fassò. Dal
1945 al 1946 fu ideatore e direttore responsabile della rivista Prisma a cui
collaborò, tra gli altri, anche Manlio Sgalambro. Si spense a Catania il 27 gennaio 1961 a 87
anni, nel suo palazzo in Via Firenze.
Opere e collaborazioni Tra le opere più significative: Leonardo Grassi, Preludi a un commento alla
vita del Faust, Catania, Studio Editoriale Moderno, 1928. Leonardo Grassi,
Commento alla vita di Faust, Torino, F.lli Bocca Editori, 1932. Leonardo
Grassi, Preludi storico attualistici alla Critica della ragion pratica,
Catania, Crisafulli Editore, 1943. Leonardo Grassi, Storia di un medico mancato,
Catania, Studio editoriale La Legione, 1935. Leonardo Grassi, voce assoluto,
Roma, Enciclopedia Treccani, 1930. Leonardo Grassi, voce assoluto, Roma,
Enciclopedia De Carlo, 1942. Collaboratore del Giornale critico della filosofia
italiana diretto da Giovanni Gentile Direttore responsabile di Prisma una delle
riviste culturali-filosofiche catanesi dell'immediato secondo dopoguerra.
Traduzione inedita, della Critica della ragion pratica di Kant e della Logik
und Metafysik del Fischer. Premi e riconoscimenti Socio della Fondazione
Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici. Socio onorario del Centro di Studi
Anglo-Franco-Americani sezione per l'Oriente e componente del comitato
nazionale. Socio onorario del Centro Italiano Studi Internazionali. Nel 1966 gli
sono state intitolate due scuole medie, una a Mascali in provincia di Catania e
l'altra a Catania, tutt'oggi attive ed operanti Dal 2007 è stato creato il
premio "Leonardo Grassi" per la legalità le cui edizioni annuali o
biennali si svolgono presso l'istituto comprensivo "Leonardo Grassi"
di Mascali. Note Biografia di Leonardo Bianchi Rivista di freniatria diretta da Tamburini La Storia
Istituto Leonardo Grassi Archiviato il 19 dicembre in .
Rosario Fisichella, La musica e le idee, Giannotta editore, Catania,
1966. Rosario Fisichella, Un filosofo dall'anima di poeta, in Ausonia 4 XIX
luglio-Agosto 1964 ed. MAIA Ermanno Scuderi, Poesia e coscienza critica,
Edigraf, Catania, 1970. Ermanno Scuderi, Scrittori e critici di Sicilia, Cedam,
Padova, 1970. Mario Sipala, Da Carducci a Quasimodo, Cedam, Padova 1970.
Salvatore Latora, Il pensiero di Leonardo Grassi in Teoresi Rivista di cultura
Filosofica, diretta da Vincenzo La Via, anno XXIX, 1974. Rosario Vittorio
Cristaldi, in Rivista di Studi Crociani XII, 1975, fasc.IV, 471–472, "Leonardo Grassi" Istituto Comprensivo Statale "Leonardo
Grassi", su grassimascali.it. La Musica e le idee, su openlibrary.org. Comune
di Mascali, su comune.mascali.ct.it. Rivista Sperimentale di Freniatria, su
rivistafreniatria.it.
Grataroli -- Guglielmo Grataroli
Guglielmo Grataroli Guglielmo Grataroli o Gratarolo (Bergamo, 16 maggio
1516Basilea, 16 aprile 1568) medico e filosofo italiano. Ritratto di
Grataroli da Giovanni Battista Gallizioli, Della vita degli studi e degli
scritti di Gulielmo Grataroli filosofo e medico, In Bergamo, dalla Stamperia
Locatelli, 1788. Il Grataroli nacque all'inizio Professorea Bergamo, in una
famiglia benestante dedita al commercio di tessuti di lana con la città di
Venezia. Questa, originaria del borgo di Oneta, frazione di San Giovanni Bianco
in val Brembana, oltre a possedere gran parte della contrada e dei terreni
circostanti (tra cui anche l'edificio che attualmente ospita la casa di
Arlecchino), annoverava tra i suoi membri una folta schiera di medici (al tempo
chiamati "phisici"), tra i quali si segnalarono Simone, fondatore del
collegio dei medici di Bergamo, e Pellegrino, medico presso la città orobica,
rispettivamente nonno e padre di Guglielmo. Gli studi del giovane
Guglielmo furono quindi indirizzati fin dall'inizio verso l'arte esercitata dal
padre, che lo educò e lo indirizzò allo studio della stessa. Proseguì quindi
gli studi a Padova presso la locale facoltà di medicina, dove nel 1536 si
laureò e l'anno seguente vi assunse la cattedra. Nella città veneta,
oltre a pubblicare la sua prima opera, una piccola dispensa inerente
osservazioni sul mondo della natura, entrò in contatto con studenti e docenti
provenienti da ogni parte d'Europa, venendo contagiato dalle dottrine religiose
predicate da Lutero e Calvino. Si dedicò quindi alla professione
esercitando prima a Milano e poi a Bergamo dove nel 1539 si iscrisse al locale
ordine dei medici. Dopo aver pubblicamente manifestato le proprie idee in
ambito religioso, che stridevano non poco con il pensiero cattolico e che si
avvicinavano notevolmente a quelle proprie della Riforma protestante, si dedicò
attivamente ad un gruppo eterodosso, del quale prese la guida in seguito
all'arresto, con l'accusa di eresia, di don Pietro Pesenti, il precedente
reggente. Anch'egli venne più volte redarguito dalle gerarchie cattoliche
e costretto a comparire davanti ai tribunali ecclesiastici di Bergamo e Milano.
Questi lo invitarono a ritrattare tutte le sue affermazioni considerate
eretiche tanto da costringerlo, il 4 febbraio 1544, ad abiurare. Non
rinunciando alle proprie idee, fu nuovamente sottoposto al giudizio
dell'autorità canonica nel 1550. Il degenerare della situazione lo
obbligò a fuggire dalla città, riparando a Tirano nel Canton Grigioni, dove
dichiarò di non riconoscere l'autorità dell'inquisizione. Qui trovò ospitalità
da esponenti della nobiltà locale presso i quali ebbe la possibilità di
insegnare e praticare la propria disciplina. Nel frattempo, il 23 gennaio
1551 il tribunale ecclesiastico di Bergamo lo dichiarò, in contumacia, eretico
colpevole di «aver molto straparlato de le cose pertinenti a la fede et
di essa fede et de la autorità del papa... negare il purgatorio, le indulgenze,
i suffragi per i defunti, la venerazione dei santi, la presenza del corpo di
Cristo nell'eucaristia... heretico pertinace et scandaloso et infame… peste
contra la fede» vietandogli il ritorno nella città orobica, pena
la decapitazione ed il rogo, ponendo sulla sua testa una somma pari a
cinquecento lire e confiscando tutti i beni suoi e della moglie, nel frattempo
rimasta in città. Il Grataroli cominciò quindi a spostarsi in numerose
città d'Europa, tutte poste in ambienti riformati. Si stabilì prima a
Strasburgo ed in seguito a Basilea, città nella quale ebbe modo sia di
praticare medicina (salvando la vita, tra gli altri, a Girolamo Cardano), che
di assumere la cattedra nella locale università, presso l'ingresso della quale
ancor oggi è presente un suo busto che ne testimonia l'importanza ricoperta.
Morì in terra elvetica, che nel frattempo era diventata la sua nuova patria,
nel 1568. Pensiero Le sue teorie, che gli valsero la fama di medico e
scienziato tra i più illustri dell'Europa del XVI secolo, toccavano numerosi
punti in ambito medico. Noti sono i suoi trattati sul potenziamento e il
mantenimento della memoria, sulle epidemie di peste, sulle proprietà del vino,
su erboristeria e veterinaria. Vi sono anche alcuni scritti inerenti
all'alchimia, disciplina abbondantemente sviluppata da Paracelso, che insegnò
nell'Basilea soltanto qualche anno prima del Grataroli. Si segnalò nel
medesimo ateneo sia per le ricerche che per gli elaborati sulla teoria
fisiognomica, in seguito sviluppata, nel corso Professoreda Cesare
Lombroso. Menzionato anche in poesie del conterraneo Padre Donato Calvi,
scrisse un totale di 25 opere mediche e filosofiche. Tra le altre si segnalano
argomentazioni sulle dottrine del medico greco Galeno di Pergamo e del filosofo
ed umanista italiano Pietro Pomponazzi, consigli medici per letterati e
magistrati, ma anche indicazioni sia per il mantenimento della salute che per
l'utilizzo dei bagni termali, nonché un saggio in cui vengono raccontati i suoi
viaggi e forniti consigli ai viaggiatori di quel tempo. Opere De memoria
reparanda, augenda ser-vandaque. De salute tuenda. De regimine iter argentium,
vel aequitum, vel peditum, vel navi, vel curru, seu rheda. Turba Philosophorum.
De literatorum et eorum qui magistratibus funguntur conservanda
praeservandaeque valetitudine compendium, Pietro Perna, Basilea, 1555. Veræ
alchemiæ artisque metallicae, citra aenigmata, doctrina, certusque..., Pietro
Perna, Basilea, 1561. De fato, libero arbitrio et providentia Dei (in 5 libri)
Pietro Perna, Basilea, 1567. Alchemiae, quam vocant, artisque metallicae,
doctrina, certusque modus,... (in 53 volumi) Pietro Perna, Basilea, 1561. De
balneis, Bergamo, 1582. Note Quaderni
brembani[collegamento interrotto] Storia
di Milano Flavio Caroli, Storia della
fisiognomica Arte e psicologia da Leonardo a Freud Marco Meriggi e Alessandro Pastore , Le
regole dei mestieri e delle professioni: secoli XV-XIX, 259-260.
Alberto Castoldi (coordinamento di), Bergamo ed il suo territorio.
Dizionario enciclopedico, 447–448,
Bergamo, Bolis edizioni 2004. 88-7827-126-8.
Giovanni Battista Gallizioli, Della vita degli studi e degli scritti di
Gulielmo Grataroli filosofo e medico, In Bergamo, dalla Stamperia Locatelli,
1788. l'11 luglio . Marco Meriggi, Le
regole dei mestieri e delle professioni: secoli XV-XIX, 259–260. Cesare Vasoli, Le filosofie del
Rinascimento457. Tarcisio Bottani e Wanda Taufer, Storie del Brembo. Fatti e
personaggi dal Medioevo al Novecento, Ferrari editrice, 1998. Girolamo
Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Napoli, Nella Stamperia de'
classici, 1836-1840542. Maclean, Ian. "Heterodoxy in Natural Philosophy
and Medicine: Pietro Pomponazzi, Guglielmo Gratarolo, Girolamo Cardano,"
in Heterodoxy in Early Modern Science and Religion, edited by John Brooke and
Ian Maclean. Oxford: Oxford University Press, 2005. Fisiognomica Mnemotecnica Peste Altri
progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a
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Guglielmo Grataroli, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Guglielmo Grataroli, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Guglielmo Grataroli,
. Filosofia Medicina Medicina Categorie:
Medici italianiFilosofi italiani Professore1516 1568 16 maggio 16 aprile
Bergamo BasileaScienziati italiani
Grazia: Deputato del
Parlamento delle Due Sicilie Durata mandatoCircoscrizioneCatanzaro Considerazioni di m. Vincenzo Di Grazia
(1613). Vincenzo De Grazia (Mesoraca), filosofo. Studiò a Napoli dove venne
condotto, dalla natia Calabria, da uno zio dell'ordine dei Teatini all'età di 5
anni. Si laureò in ingegneria e nel 1811, durante il regno di Gioacchino Murat,
si arruolò nel genio militare nell'esercito delle Due Sicilie. Si dedicò alla
filosofia da autodidatta: il suo pensiero ebbe poca diffusione mentre era in
vita, e non riuscì a succedere a Pasquale Galluppi all'Napoli dopo la morte di
quest'ultimo (1846). Nel 1848 fu eletto
deputato al Parlamento Napoletano per il distretto di Catanzaro. De Grazia si oppose al Criticismo kantiano e
all'Idealismo hegeliano in nome dell'esperienza. Negli ultimi anni cercò di
conciliare il suo realismo gnoseologico con la filosofia tomistica. Opere Vincenzo de Grazia, Discorso su
l'architettura del teatro moderno, di Vincenzo De Grazia. Napoli : dai torchi
di Saverio Giordano, 1825. Vincenzo de Grazia, Saggio su la realtà della
scienza umana, di Vincenzo de Grazia. Napoli : Dalla tipografia Flautina, 1839
(on-line). Vincenzo de Grazia, Su la logica di Hegel e su la filosofia
speculativa, discorsi. Napoli : Dalla tipografia de' Gemelli, 1850 (on-line).
Vincenzo de Grazia, Prospetto della filosofia ortodossa, di Vincenzo de Grazia.
Napoli : Stab. tip. del Poliorama pittoresco, 1851. Vincenzo Di Grazia,
Considerazioni di m. Vincenzo Di Grazia sopra 'l discorso di Galileo Galilei
intorno alle cose che stanno su l'acqua, e che in quella si muouono.
All'Illustriss. ed Eccellentiss. Sig. don Carlo Medici, In Firenze, presso
Zanobi Pignonj, 1613. Note Su la logica
di Hegel e su la filosofia speculativa, 1850
Saggio su la realtà della scienza umana, 1839-42 Prospetto della filosofia ortodossa,
1851 Tancredi De Riso, Cenni biografici
del filosofo calabrese Vincenzo De Grazia. Genova : Lodovico Lavagnino, 1858.
Biagio Miraglia, "Vincenzo de Grazia, filosofo calabrese". In:
Introduzione alla scienza della storia: con altri scritti editi ed inediti.
Torino : Unione Tipografico-Editrice, 1866,
197–202 (on-line). Francesco Fiorentino, Della vita e delle opere di
Vincenzo De Grazia, memoria di Francesco Fiorentino, Catanzaro, Centro
Bibliografico Calabrese, 1989. R. Grita, «DE GRAZIA, Vincenzo». In: Dizionario
Biografico degli Italiani, XXXVI
(on-line). Vincenzo De Grazia, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Gregory: Tullio Gregory
(Roma), filosofo. Si laureò in filosofia a Roma "La Sapienza" con Nardi.
Di questo ateneo fu Professore dcome titolare della cattedra di Storia della
filosofia medievale e dal 1967 di quella di Storia della filosofia. Fu anche
direttore del Dipartimento di Ricerche storico-filosofiche e pedagogiche della
stessa Università. Dal 1951 fu collaboratore dell'Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, contribuendo tra l'altro alla pubblicazione del
Dizionario Enciclopedico Italiano. In seguito divenne direttore della sezione
di Storia della filosofia e del cristianesimo del Lessico Universale Italiano,
collaborò alla Terza Appendice, al Dizionario Biografico degli Italiani, alla
Dantesca, alla Virgiliana e diresse la redazione dell’Enciclopedia della moda.
Presso l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, del cui Consiglio scientifico era
membro, fu direttore dell’Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere e Arti
(Treccani). Dai primi anni sessanta fu consulente della Casa editrice Laterza
per la filosofia; in tale ruolo, fra le molte altre iniziative, diresse la
collana "I filosofi", divenuta ormai una vera e propria enciclopedia
filosofica d’alto livello. Fu fondatore e direttore, dal 1964, del Centro
di Studio per il Lessico Intellettuale Europeo del Consiglio Nazionale delle
Ricerche, che diresse dal 1970. Inoltre era membro del Comitato direttivo del
Centro italiano di studi sull'alto medioevo e del Consiglio direttivo
dell'Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento di Firenze.
Condirettore, prima con Paul Dibon, poi con Marc Fumaroli e Marta Fattori,
delle Nouvelles de la République des Lettres, era membro del Consiglio
scientifico dell'Institut de la Langue Française di Parigi, directeur d'études
all'École Pratique des Hautes Études della Sorbona e della Société
Internationale pour l'Etude de la Philosophie Médiévale; di questa era
Presidente dal 1987. Accademico Ordinario dell'Accademia delle Arti del
Disegno di Firenze e socio nazionale dell'Accademia Nazionale dei Lincei e
dell'Accademia Pontaniana, fu anche fellow della British Academy di Londra dal
1993 e dell'American Academy of Arts and Sciences dal 1994. È stato anche
consigliere d'amministrazione della Rai nel 1993-1994, all'epoca dei cosiddetti
"Professori". Collaborò con l'Istituto dell'Enciclopedia
Italiana e con l'inserto domenicale de Il Sole 24 ore. In questo inserto
espresse il proprio punto di vista su
(18 e 25 febbraio 2007); negli articoli sopra citati si rileva che a suo
giudizio, in , «le singole voci sono un coacervo di notizie che, mancando di
sistemazione critica, non offrono neppure una sicura informazione». È
morto a Roma il 2 marzo a
novant'anni. Studi Si occupò soprattutto delle fasi di trapasso del pensiero
filosofico, scientifico e teologico europeo dal medioevo al XVII secolo.
Opere Scritti principali: Anima mundi. La filosofia di Guglielmo di
Conches e la scuola di Chartres, Firenze, Sansoni, 1955. Platonismo medievale.
Studi e ricerche, Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 1958.
Scetticismo ed empirismo. Studio su Gassendi, Bari, Laterza, 1961. L'idea di
natura nella filosofia medievale prima dell'ingresso della fisica di
Aristotele. Il secolo XII, in III Congresso Internazionale di Filosofia
medievale, La filosofia della natura nel Medioevo (Passo della Mendola, 31
agosto-5 settembre 1964), Firenze, Sansoni, 1964; poi in La filosofia della
natura nel Medioevo. Atti del Terzo Congresso internazionale di filosofia
medioevale. Passo della Mendola (Trento), 31 agosto-5 settembre 1964, Milano,
Vita e pensiero, 1966, 27–65. Studi
sull'atomismo del Seicento, in "Giornale critico della filosofia italiana",
Aristotelismo, in Grande antologia filosofica, VI, Il pensiero della rinascenza
e della riforma. Protestantesimo e riforma cattolica, Milano, Marzorati, 1964.
Dio ingannatore e genio maligno. Nota in margine alle "Meditationes"
di Descartes, in "Giornale critico della filosofia italiana", anno
LIII (LV), fasc. IV (ott.-dic. 1974),
477–516; poi in Mundana sapientia. Theophrastus redivivus. Erudizione e
ateismo nel Seicento, Napoli, Morano, 1979. Il libertinismo della prima metà
del Seicento. Stato attuale degli studi e prospettive di ricerca, in Ricerche
su letteratura libertina e letteratura clandestina nel Seicento. Atti del
Convegno di studio di Genova, 30 ottobre-1 novembre 1980, Firenze, La Nuova
Italia, 1981, 3–47. Etica e religione
nella critica libertina, Napoli, Guida, Mundana sapientia. Forme di conoscenza
nella cultura medievale, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, Genèse de la
raison classique de Charron à Descartes, Paris, Presses Universitaires de
France, Lo spazio come geografia del sacro nell'Occidente altomedievale, in
“Giornale critico della filosofia italiana”, Anno LXXXI (LXXXIII), Fasc. II,
Maggio-Agosto 2002. Noè ovvero della sobria ebbrezza, in L'ebbrezza di Noè.
Sedici artisti per San Gimignano, Cesena, Il Vicolo, 2003. 88-87369-23-2. Origini della terminologia
filosofica moderna. Linee di ricerca, Firenze, Olschki, Speculum naturale.
Percorsi del pensiero medievale, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, Principe
di questo mondo. Il diavolo in Occidente, Roma-Bari, Laterza, Michel de
Montaigne, o Della modernità, Pisa, Edizioni della Normale, Vie della
modernità, Firenze, Le Monnier Università, Cavaliere di gran croce dell'Ordine
al merito della Repubblica italiananastrino per uniforme ordinariaCavaliere di
gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana — 1º giugno 2002
Inoltre Gregory fu nominato Chevalier officier de l'ordre des arts et des
lettres de France. Note Il Sole 24
ore, 25 febbraio 2007 Morto Tullio
Gregory, filosofo e storico della filosofia. Aveva 90 anni, su Corriere della
Sera, 3 marzo . Presidenza della
Repubblica. Le onorificenze. Dettaglio decorato
Vincenzo Cappelletti, GREGORY, Tullio, in Enciclopedia Italiana, V
Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1992,
tullio-gregory. Tullio Gregory, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Tullio Gregory, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Tullio Gregory, . Registrazioni di Tullio Gregory, su
RadioRadicale.it, Radio Radicale. Cenni
biografici e pubblicazioni dal sito dell'Università La SapienzaRoma. Pagina
personale nel sito di ILIESI., su iliesi.cnr.it. Archivio Tullio Gregory.
Grice, H. P. “A Philosophical Grand Tour to Italyin search of
Vico!” --.
Griffero: Tonino Griffero (Asti), filosofo. Professore
di estetica a Roma "Tor Vergata". Ha studiato presso l'Torino,
dove si è laureato in filosofia sotto la guida di Vattimo con una tesi
sull'ermeneutica di E. D. Hirsch. Insegnante nelle scuole superiori, ha
conseguito il dottorato a Bologna e condotto una ricerca post-dottorato ad
Heidelberg come Humboldt-Fellow. È stato ricercatore presso l'Vercelli, poi da professore
associato di estetica presso l'Roma "Tor Vergata" e dal 2002 ivi Professore.
È direttore di "Sensibilia. Colloquium on Perception and Experience"
e del Master in "Comunicazione estetica e museale" (IAD-Roma "Tor
Vergata), delle collane editoriali "Oltre lo sguardo. Itinerari di
Filosofia" (Armando Editore, Roma, 2007-), "Percezioni. Estetica
& Fenomenologia" (Christian Marinotti, Milano, dal ),
"Sensibilia" (Mimesis, Milano dal 2007), della rivista
"Lebenswelt. Aesthetics and Philosophy of Experience" , del blog
"Atmospheric Spaces" (atmosphericspaces.wordpress.com/) e della
collana "Atmospheric Spaces" (Mimesis International). Durante
la formazione, si dedica inizialmente allo studio di alcune figure e problemi
della storia dell'ermeneutica, in particolare ai lavori di Emilio Betti
(Interpretare. La teoria di Emilio Betti e il suo contesto, Rosemberg &
Sellier, Torino 1988) e di Eduard Spranger (Spirito e forme di vita. La
filosofia della cultura di Eduard Spranger, Franco Angeli, Milano 1990).
Come dottorando (1988/1992), si dedica al rapporto tra arte e mito nel pensiero
di Schelling, scrivendo poi Senso e immagine. Simbolo e mito nel primo
Schelling (Guerini & Associati, Milano 1994), Cosmo Arte Natura. Itinerari
schellinghiani (Cuem, Milano 1995), nel quale si concentra sulle
caratteristiche del primo real-idealismo di Schelling, e infine una
ricostruzione dell'apporto dato da questo autore all'estetica filosofica,
L'estetica di Schelling (Laterza, Roma-Bari). La nozione di
"immaginazione transitiva", è invece affrontata nel libro Immagini
Attive. Breve storia dell'immaginazione transitiva (Le Monnier, Firenze, 2003).
Il libro ricostruisce la storia della "credenza" secondo cui una
fantasia particolarmente forte sarebbe in grado di agire, cambiando o
addirittura generando la realtà esterna. Nel libro Oetinger e Schelling.
Teosofia e realismo biblico alle origini dell'Idealismo tedesco (Nike, Segrate
2000) analizza l'influenza di Friedrich Christoph Oetinger e del Pietismo
Speculativo settecentesco sullo sviluppo del pensiero di Schelling. Il tema
della "corporeità spirituale", che è per Oetinger il "fine
ultimo delle opere di Dio", è ciò a cui si rifà anche lo Schelling nel suo
periodo intermedio (teosofico). L'ampia storia del concetto di
Geistleiblichkeit è esposta nella monografia Il corpo spirituale. Ontologie
"sottili" da Paolo di Tarso a Friedrich Christoph Oetinger (Mimesis,
Milano 2006). La ricerca sulla fenomenologia del corpo e della percezione
e l'estetica delle atmosfere è affrontata nel libro Atmosferologia. Estetica
degli spazi emozionali (Laterza, Roma, ), tr. inglese di S. De Sanctis,
Atmospheres. Aesthetics of Emotional Spaces (Ashgate, Farnham ). Nel
libro Quasi-cose. La realtà dei sentimenti (Bruno Mondadori, Milano ) Griffero
indica e analizza sulla scorta dei un'estetica neofenomenologica i sentimenti
atmosferici, il dolore, la vergogna, lo sguardo, il crepuscono, il corpo
vissuto come quasi-cose, entità aggressive e decisive per la nostra esistenza
senza essere riducibili al paradigma cosale tipico della tradizione
occidentale Il libro Il pensiero dei sensi. Atmosfere ed estetica patica
(Guerini & Associati, Milano ) delinea, a partire dalla nozione
estetico-neofenomenologica di “atmosfera”, i contorni di un'estetica orientata
non allo gnosico ma al patico, che non tematizza oggetti speciali come le opere
d'arte ma il modo in cui “ci si sente” quando ci si espone, soprattutto
involontariamente, ai sentimenti presenti nell'ambiente circostante. Il
tema è ulteriormente sviluppato, esteso a considerazioni sull'atmosfericità
dell'educazione e della politica, sulla presenza e la soggettività
reinterpretate in chiave neofenomenologica nel libro Places, Affordances,
Atmospheres. A Pathic Aesthetics (Routledge, London-New York ). Libri
Interpretare. La teoria di Emilio Betti e il suo contesto, prefazione di F.
Moiso, Rosenberg & Sellier, Torino Spirito e forme di vita. La filosofia
della cultura di Eduard Spranger, Franco Angeli, Milano 1990, 88-204-6387-3; Senso e immagine. Simbolo e
mito nel primo Schelling, Guerini, Milano, Cosmo Arte Natura. Itinerari
schellinghiani, Cuem, Milano, L'estetica
di Schelling, Laterza, Roma-Bari, Oetinger e Schelling. Teosofia e realismo
biblico alle origini dell'idealismo tedesco, Nike, Segrate-Milano Immagini
attive. Breve storia dell'immaginazione transitiva, Le Monnier, Firenze, Il
corpo spirituale. Ontologie “sottili” da Paolo di Tarso a Friedrich Christoph
Oetinger, Mimesis, Milano, Storia dell'estetica moderna, Edizioni Nuova
Cultura, Roma Atmosferologia. Estetica degli spazi emozionali, Laterza,
Rome-Bari, 2 ed. riveduta e con nuova pref., Mimesis, Milano-Udine , Quasi-cose.
La realtà dei sentimenti, Bruno Mondadori, Rome, Atmospheres. Aesthetics of
emotional spaces, Ashgate, Farnham , Il pensiero dei sensi. Atmosfere ed
estetica patica, Guerini & Associati, Milano , Quasi-Things. The Paradigm of Atmospheres,
Suny Press, New York , Places, Affordances, Atmospheres. A Pathic Aesthetics,
Routledge, London-New York , Griffero, Facoltà di Scienze della Comunicazione,
Roma Tor Vergata. , Atmospheric Spaces. Aura Stimmung Ambiance completa http://dottoratostoriaefilosofiasociale.uniroma2.it/?p= F
Grimaldi: Costantino Grimaldi
(Cava de' Tirreni), filosofo. Nacque da nobile famiglia locale di origini
genovesi. Compì i suoi studi avvicinandosi a Cartesio, di cui fu seguace e fece
parte del gruppo chiamato degli epigoni dell'Accademia degli Investiganti (che
comprendeva anche Giuseppe Valletta e Francesco D'Andrea). Fu anche famoso
giurista e Consigliere Regio. Scrisse
numerose opere, raccolte poi in "Istoria dei libri di don Costantino
Grimaldi. Scritta da lui medesimo". Tra quelle più note si possono
elencare le Considerazioni intorno alle rendite ecclesiastiche del Regno di
Napoli (Napoli 1708), le Discussioni istoriche teologiche e filosofiche (Lucca
1725), le Dissertazione sulle tre magie, naturale, artificiale e diabolica
(Roma 1751, postumo). Morì a Napoli nel
1750. Il figlio Gregorio (1695-1767),
noto giurista, gli dedicò "Ragioni genealogiche a' favore della Famiglia
Grimaldi del Sig. Cons. D. Costantino Grimaldi. Colli signori Grimaldi di
Seminara, e con quelli patrizj di Catanzaro" Altro suo figlio fu Ginesio, anch'egli
noto giurista. F. A. Meschini, nel Dizionario Biografico degli Italiani,
riferimenti in , indica Napoli come città natale. Memorie di un anticurialista del Settecento.
Testo, introduzione note V.I. Comparato. Firenze, Olschki, Biblioteca
dell'«Archivio storico italiano», 15,
1964. 8vo, xxiv-144. Franco Aurelio
Meschini, «GRIMALDI, Costantino», in Dizionario Biografico degli Italiani,
Volume 59, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2003. Anticurialismo Costantino Grimaldi, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Costantino Grimaldi, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Costantino Grimaldi.
Grimaldi: Domenico Grimaldi
(Seminara), filosofo. Esponente dell'illuminismo napoletano. Francesco
Mario Pagano. Nato in una famiglia aristocratica che faceva risalire le proprie
origini alla nota famiglia di Genova, ricevette la prima educazione dal padre,
il marchese Pio Grimaldi, un uomo colto che aveva cominciato a introdurre
criteri di conduzione innovativi nelle sue proprietà terriere, peraltro non
molto estese, di Seminara. Non essendo molto ricco, il padre lo avviò agli
studi giuridici, in previsione di una possibile professione forense,
all'Napoli. Nella capitale napoletana Domenico fu raggiunto dal fratello minore
Francescantonio Grimaldi (1741-1784), fece parte con il fratello dell'Accademia
dell'Arboscello, a cui appartenevano anche Domenico Diodati, Andrea Serrao e
Andrea Leone, frequentò le lezioni di economia di Antonio Genovesi, e divenne
amico di giovani intellettuali come Mario Pagano, Melchiorre Delfico e Antonio
Jerocades. Nel 1765 Domenico Grimaldi si trasferì a Genova, dove nel 1766
ottenne la riammissione nel patriziato della Repubblica di Genova, ottenendo
così il permesso di esercitare alcune magistrature. In Liguria, tuttavia,
Grimaldi ebbe modo di approfondire gli aspetti tecnici, economici e sociali
legati all'agricoltura il cui studio lo spinse a viaggi in Francia, specie in
Provenza, in Piemonte e in Svizzera. Si interessò in particolare alla colture
dell'ulivo e del gelso per l'allevamento dei bachi da seta. Venne accolto fra
l'altro nell'Accademia dei Georgofili, che premiò una memoria, nella Società
economica di Berna, un centro di cultura fisiocratica, e nella Société royale
d'agriculture di Parigi. Saggio di economia campestre per la Calabria
Ultra François Quesnay, maggior rappresentante della fisiocrazia Frutto
delle sue ricerche fu il Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra (1770),
esposizione di un piano che, partendo dalle condizioni di arretratezza
dell'economia calabrese del XVIII secolo, secondo la dottrina fisiocratica, ne
indica i mezzi atti a la trasformare situazione economica della Calabria.
All'epoca il settore produttivo più importante era l'agricoltura in quanto i
posti nell'industria erano pochi, le alternative limitate all'edilizia, ai
lavori pubblici e al settore terziario; l'agricoltura era tuttavia quasi
esclusivamente di sussistenza, e lo scarso reddito determinava un esodo massivo
dalle campagne. Per Grimaldi l'ammodernamento dell'agricoltura e l'integrazione
tra agricoltura e allevamento erano le condizioni prime per avviare la
produzione industriale e il commercio. il successivo aumento del reddito agrario
avrebbe dovuto essere reinvestito nell'industria tessile e in quelle serica,
lattiero-casearia e olearia. La presenza di industrie avrebbe innescato un
circolo virtuoso in quanto avrebbe potuto richiamare un afflusso di capitali
per la ristrutturazione fondiaria e l'aumento delle dimensioni delle aziende
agricole, con successiva formazione e sviluppo di attività miste
agricolo-manifatturiere, specialmente alimentari, con impiego di mano d'opera
locale. L'imprenditore Vecchio frantojo ligure dismesso Attorno al
1770 Grimaldi si impegnò a tradurre in pratica questi progetti, con l'aiuto
finanziario del padre, impegnandosi nel miglioramento della coltivazione degli
olivi, chiamate dalla Liguria maestranze e tecnici per creare a Seminara nuovi
frantoi "alla genovese"; rese poi pubblici i progetti e i risultati
delle sue innovazioni con un'opera del 1773, edita nuovamente nel 1777 con una
dedica a Giuseppe Beccadelli, marchese della Sambuca. Si dedicò più
tardi, attorno al 1780, alla produzione della seta. Grimaldi, che inizialmente
intendeva assegnare l'ammodernamento dell'agricoltura all'iniziativa privata,
si rese conto che l'approccio utilizzato per l'ammodernamento dell'industria
olearia (in questo caso, introduzione in Calabria della lavorazione della seta
alla "piemontese") non sarebbe stato sufficiente nella lavorazione
della seta per ostacoli di natura fiscale nel regno di Napoli, ossia del dazio
sulla seta calabrese. Diede pertanto inizio a vivace polemica nei confronti dei
controlli oppressivi doganali e dei monopoli statali nei settori delle
manifatture e del commercio. Il politico Sir John Acton La
riflessione sull'influenza dello stato nel mercato della seta, diede avvio al
dibattito sul problema della libertà nel commercio internazionale, in particolare
nel commercio del grano che aveva assunto una notevole importanza dopo la
carestia del 1764. Una delle proposte più importanti di Domenico Grimaldi fu la
costituzione, nella Calabria Ultra, di società economiche concepite come centri
promotori il miglioramento della tecnica agraria; ma la proposta non trovò il
necessario sostegno né nei proprietari terrieri né nel clero. In seguito
allargò lo sguardo dalla Calabria Ultra all'intero Regno, proponendo di
svolgere un'attività conoscitiva sulla struttura economica del Regno mediante
la predisposizione di piani di visite alle province napoletane affidati a
ispettori di nomina regia, con proposte di azione sulle "cause
fisiche" dell'arretratezza, principalmente la mancanza di strutture per
l'irrigazione innanzitutto nelle Puglie, per le quali suggeriva il ricorso
anche al lavoro coatto. Gaetano Filangieri Grazie alla notorietà
raggiunta con i suoi saggi Grimaldi fu nominato dal primo ministro John Acton
assessore al neocostituito Supremo Consiglio delle Finanze assieme a
Filangieri, Palmieri, Delfico e Galanti. Il terremoto del 1783, che causò gravi
danni e lutti alla famiglia Grimaldi. Grimaldi fu favorevole all'istituzione
della Cassa sacra, proponendo che ricostruzione fosse eseguita secondo un piano
pubblico che prevedesse iniziative strutturali per l'ammodernamento della
produzione agricola e industriale. Si adoperò per l'apertura a Reggio Calabria
di un istituto professionale nel quale si insegnasse "l'arte di tirar la
seta alla piemontese"; la scuola, diretta dal Grimaldi, ebbe un certo
successo, ma venne chiusa nel 1786. L'interruzione negli anni novanta
dell'attività riformatrice di Ferdinando IV di Napoli in seguito alla crisi
collegata alla rivoluzione francese comportò un atteggiamento di sospetto, da
parte del governo napoletano, nei confronti dell'intellettualità progressista.
A Grimaldi venne rifiutata la nomina, proposta dal Galanti, di presidente della
costituenda Società patriottica per la Calabria in quanto massone. Nel dicembre
1798 fu addirittura arrestato, come gran parte dei massoni reggini (una
cinquantina circa) in seguito all'assassinio del governatore di Reggio,
Giovanni Pinelli, avvenuto il 12 settembre 1797, e trasferito nel carcere di
Messina dove si trovava alla nascita della Repubblica Napoletana (1799). Suo
figlio Francescantonio aderì alla Repubblica Napoletana e fu giustiziato il 22
ottobre 1799. Opere Memoria diretta all'Accademia de' Gergofili da
Genova, 12 settembre 1766, sopra di una certa specie di pianta pratense chiamata
sulla, Firenze, 1768. Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra,
Napoli: presso Vincenzo Orsini, 1770 Istruzione sulla nuova manifattura
dell'olio introdotta nella Calabria, In Napoli: presso Raffaele Lanciano, 1773
Osservazioni economiche sopra la manifattura e commercio delle sete del Regno
di Napoli alle sue finanze, scritte dal marchese Domenico Grimaldi; con alcune
riflessioni critiche sopra del Bando delle Sete del 1754, Napoli: presso
Giuseppe Maria Porcelli, 1780 Piano di riforma per la pubblica economia delle
provincie del Regno di Napoli, e per l'agricoltura delle Due Sicilie, scritto
dal marchese d. Domenico Grimaldi,, Napoli: presso Giuseppe Maria Porcelli
librajo, 1780 (Rist. anastatica, Cosenza: Brenner, 1992) Piano per impiegare utilmente
i forzati, e col loro travaglio assicurare ed accrescere le raccolte del grano
nella Puglia, e nelle altre provincie del Regno scritto dal marchese d.
Domenico Grimaldi di Messimeri patrizio genovese.., Napoli: a spese di
Giuseppe-Maria Porcelli, Memoria del marchese Domenico Grimaldi di Messimeri
patrizio genovese, diretta al supremo consiglio di finanze per lo
ristabilimento dell'industria olearia, e dell'agricoltura nelle Calabrie, ed
altre provincie del Regno di Napoli, Napoli: presso Giuseppe-Maria Porcelli,
Memoria sulla economia olearia antica e moderna e sull'antico frantoio da olio
trovato negli scavamenti di Stabia, In Napoli: nella Stamperia Reale, 1783
(Cosenza: L. Pellegrini, 2000) Relazione d'un disimpegno fatto nella Ulteriore
Calabria con alcune osservazioni economiche relative a quella provincia,
Napoli: Giuseppe Maria Porcelli, 1785 Note
Franco Venturi , Illuministi italiani,
V: Riformatori napoletani, Napoli : Ricciardi571 e segg., Antonio
Piromalli, La letteratura calabrese, I,
Dalle origini al posivitismo, Cosenza : LPE, (Google Libri)
Istruzioni sulla nuova manifattura dell'olio introdotta nel Regno di
Napoli dal marchese Domenico Grimaldi di Messimeri patrizio genovese, socio
ordinario, e corrispondente dell'Accademia de' Georgofili di Firenze, della
Società di Agricoltura di Parigi, e di Berna, In Napoli : presso Vincenzo
Orsini, a spese di Giuseppe Maria Porcelli, Osservazioni economiche sopra la
manifattura e commercio delle sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scritte
dal marchese Domenico Grimaldi, con alcune riflessioni critiche sopra del Bando
delle Sete del 1754, Napoli : Porcelli, 1780
Relazione d'un disimpegno fatto nella Ulteriore Calabria con alcune
osservazioni economiche relative a quella provincia, Napoli : Porcelli,
1785 Piano di riforma per la pubblica
economia delle provincie del Regno di Napoli, e per l'agricoltura delle Due
Sicilie, scritto dal marchese don Domenico Grimaldi, Napoli : Porcelli, 1780;
ristampa anastatica, Cosenza : Brenner, 1992
Piano per impiegare utilmente i forzati, e col loro travaglio assicurare
ed accrescere le raccolte del grano nella Puglia, e nelle altre provincie
del Regno scritto dal marchese don Domenico Grimaldi di Messimeri patrizio
genovese, Napoli : Porcelli, 1781 Relazione
d'una scuola da tirar la seta alla piemontese stabilita in Reggio per ordine di
Sua Maestà, sotto la direzione del M. Grimaldi, e l'approvazione del Vicario
generale delle Calabrie don Francesco Pignatelli, Messina per Giuseppe di
Stefano 1785. L'opera apparve anonima ed è attribuita a Domenico Grimaldi dal
Melzi (Gaetano Melzi, Note bibliografiche del fu D. Gaetano Melzi, edite per
cura di un bibliofilo milanese con altre notizie, 2: H-R, Milano : Tip. Bernardoni) Giuseppe Maria Galanti, Giornale di viaggio
in Calabria; introduzione di Luca Addante, Soveria Mannelli : Rubbettino, A.
Ubbidiente, Il pensiero e l'opera di Domenico e Francescantonio Grimaldi. Testi
di Laurea. Università degli Studi di Salerno, Facoltà di Magistero. 1986. M.L.
Perna, «GRIMALDI, Domenico». In: Dizionario Biografico degli Italiani, LIX, Roma: Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1998. A. Basile, «Un illuminista calabrese: Domenico Grimaldi da
Seminar»a, in: Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, Gaetano Cingari, Giacobini
e Sanfedisti in Calabria, Reggio Cal., "Casa del libro", Cesare
Morisani, Massoni e Giacobini a Reggio Calabria, Reggio Cal., F. Morello, Domenico Romeo, Alcune precisazioni su
Domenico Grimaldi: un riformatore Calabrese del '700, in "Historica",
Antonio Piromalli , L'attualità del pensiero e delle opere del marchese
Domenico Grimaldi, Cosenza: L. Pellegrini, Domenico Luciano , Domenico Grimaldi
e la Calabria nel '700, Salerno, Beniamino Carucci. Grimaldi, Domenico la voce
nella Treccani.it L'Enciclopedia Italiana.
Grimaldi: Francescantonio
Grimaldi (Seminara), filosofo. Eponente dell'illuminismo italiano. Nato in una
famiglia aristocratica che faceva risalire le proprie origini alla nota
famiglia di Genova, dei principi di Monaco, ricevette la prima educazione dal
padre, il marchese Pio Grimaldi di Seminara, un uomo colto che aveva cominciato
a introdurre criteri di conduzione innovativi nelle sue proprietà terriere
(peraltro non molto estese). Non essendo molto ricco, il padre lo avviò agli studi
giuridici in previsione di una possibile professione forense. Francescantonio
fu pertanto inviato a Napoli, dove si trovava già il fratello maggiore
Domenico; all'Università conobbe il filosofo Antonio Genovesi e gli allievi di
quest'ultimo. Esercitò per poco tempo la
professione di avvocato, che abbandonò presto per dedicarsi ai grandi problemi
sociali e intellettuali dell'età dei lumi. Se il riformismo di Giannone, per il
suo carattere politico, aveva concentrato l'interesse speculativo sui rapporti fra
lo Stato e la Chiesa, la scuola di Genovesi lo spostò dal campo
giusnaturalistico a quello economico-sociale nel tentativo di indagare sulle
cause dell'arretratezza del Mezzogiorno.
Come il fratello Domenico, che nel frattempo si trasferito a Genova ed
era stato accolto nel patriziato locale, anche Francescantonio Grimaldi
cominciò a interessarsi alle vicende culturali e politiche della Repubblica di
Genova: volle anch'egli essere iscritto fra i patrizi di quella città,
esprimendo la convinzione che l'aristocrazia genovese avrebbe dovuto riprendere
la funzione, svolta nei secoli precedenti, di classe dirigente della
Repubblica. La sua cultura giuridica fu alla base della prima opera, in lingua
latina, dedicata al diritto testamentario nel mondo classico. Fu pertanto
fautore, all'opposto degli altri illuministi, del Fedecommesso, istituzione
risalente alla Roma antica e prediletta dalla classe aristocratica. Nel 1775 Francescantonio Grimaldi divenne
maestro venerabile della loggia massonica Humanité, di rito francese, mentre
alcuni fra i suoi più cari amici (per es., Domenico Cirillo, Francesco Longano,
Francesco Mario Pagano, Gaetano Filangieri) aderivano a logge di rito
inglese. Nel 1777 Francescantonio
Grimaldi si dedicherà ad analizzare la questione dell'etica. Partendo dalla
filosofia antica, egli cercò di analizzare il rapporto fra l'uomo e la società.
Al di fuori della società l'uomo, in balia dei "sentimenti fisici",
diventerebbe un bruto. Tali riflessioni saranno approfondite nel "Saggio
sull'ineguaglianza umana" apparso in tre volumi negli anni 1779-1780. In
opposizione al pensiero non solo di Morelly e Rousseau, ma anche degli altri
illuministi napoletani quali Filangieri, Longano e Pagano, Grimaldi sostenne
che, in natura, gli uomini non erano uguali e che le differenze, sia fisiche
che morali, avevano origini soprattutto ambientali (per es., il clima, la
diffusione delle malattie). La società era non uno stato di corruzione, ma lo
stato "naturale" dell'uomo. La struttura gerarchica dell'Ancien Régime
era giustificata dall'ineguaglianza degli uomini. La stessa educazione dei
popoli non sarebbe riuscita ad appianare tali disuguaglianze. L'ultima grande opera del Grimaldi furono gli
Annali del Regno di Napoli, un'opera storiografica sul modello degli Annali
d'Italia del Muratori. Grimaldi pubblicò i primi cinque tomi; la morte gli
impedì di completare l'opera che fu proseguita per altri tre tomi dall'amico
Giuseppe Cestari, il futuro autore della Costituzione repubblicana del 1799. L'ultima attività del Grimaldi fu la
Descrizione de' tremuoti accaduti nella Calabria nel 1783, in seguito al
terremoto del 1783, pubblicata postuma Cestari, il quale nell'introduzione
anonima "Lettera a un amico" diede notizia della morte del Grimaldi. Opere Francisci AntonI Grimaldi, De
successionibus legitimis in vrbe Neapolitana systema. Pars prima in qua ius
Graecum Neapolitanum vetus, & ius omne Romanum a 12 tabulis ad Iustinianum
vsque absolutissime expenditur, Neapoli: ex typographia Simoniana, 1766 Lettera
sopra la musica all'eccellentissimo signore Agostino Lomellini già doge della
serenissima repubblica di Genova, Napoli, La vita di Ansaldo Grimaldi patrizio genovese,
illustrata con riflessioni politiche, e morali, e con una brieve narrazione del
governo politico della Repubblica di Genova dalla sua origine insino all'anno
1528, In Napoli: nella Stamperia Raimondiana, 1769 La vita di Diogene Cinico
scritta da Francescantonio Grimaldi, In Napoli: nella stamperia di Vincenzo
Mazzola-Vocola, 1777 Riflessioni sopra l'ineguaglianza fra gli uomini. Di
Francescantonio Grimaldi. Parte I-III, In Napoli: presso Vincenzo
Mazzola-Vocola, impressore di sua maestà, 1779-1780 (Franco Crispini, Vibo
Valentia : Sistema Bibliotecario Vibonese, 2000) Annali del Regno di Napoli di Francescantonio
Grimaldi dedicati a Ferdinando IV. re delle Due Sicilie. Epoca I. Dal primo
anno dell'edificazione di Roma sino alla fine del quarto secolo dell'era
cristiana., Napoli : presso Giuseppe-Maria Porcelli librajo, 1781 Annali del
Regno di Napoli di Francescantonio Grimaldi. Epoca II. Dall'anno 409. dell'era
volgare, sino all'anno 1211, Napoli : presso Giuseppe-Maria Porcelli librajo,
1783 Descrizione de' tremuoti accaduti nelle Calabrie nel 1783, opera postuma
di Francesco Antonio Grimaldi, Napoli : presso Giuseppe-Maria Porcelli, 1784
(Saverio Napolitano, Bordighera: Manago, 1984) Note La vita di Ansaldo Grimaldi patrizio
genovese, Napoli : Raimondiana, 1769 De
successionibus legitimis in urbe Neapolitana, Neapoli : Simoniana, 1766 Nico Perrone, La Loggia della Philantropia.
Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione. Con la corrispondenza
massonica e altri documenti, Palermo, Sellerio, 2006174. La vita di Diogene Cinico, Napoli :
Mazzola-Vocola, 1777 Fulvio Tessitore,
«Francesco Antonio Grimaldi e l'ineguaglianza». In : Fulvio Tessitore, Nuovi
contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, Roma : Edizioni di storia
e letteratura, (Google Libri) M. A.
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dell'Enciclopedia Italiana, 1998 (on-line) Giuseppe Boccanera, «Grimaldi
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illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo 18., e de' contemporanei,
compilata da letterati italiani di ogni provincia e pubblicata per cura del
professore Emilio De Tipaldo, VII,
Venezia : dalla tipografia di Alvisopoli, 1840,
94-97 (on-line) Melchiorre Delfico, Elogio del marchese don
Francescantonio Grimaldi dei signori di Messimeri, patrizio di Genova e
assessore di Guerra e Marina, In Napoli : presso Vincenzo Orsino (ristampato in
Opere complete di Melchiorre Delfico, a cura dei professori Giacinto Pannella e
Luigi Savorini, III, Teramo: Giovanni
Fabbri, 1904, 223-260). Roberto
Ubbidiente, Il pensiero e l'opera di Domenico e Francescantonio Grimaldi. Tesi
di Laurea in Filosofia italiana. Università degli Studi di Salerno, Facoltà di
Magistero, 1986. Francescantonio
Grimaldi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana.
Gruppi: Luciano Gruppi (1903), filosofo. Il concetto
di egemonia in Gramsci Incipit Antonio Gramsci è senza alcun dubbio quello che,
tra i teorici del marxismo, ha maggiormente insistito sul concetto di egemonia;
e lo ha fatto in modo particolare richiamandosi a Lenin. Anzi, direi che, se
vogliamo vedere il punto di contatto più costante, più scavato, di Gramsci con
Lenin, questo mi pare essere il concetto di egemonia. L'egemonia è il punto di
approccio di Gramsci con Lenin.
Citazioni La scienza si ha quando si supera il dato immediato,
l'apparenza; si ha con un salto dialettico. (p. 43) In tutte le analisi che
Gramsci conduce, io trovo la presenza di un filo rosso che le guida, presente
in tutti i Quaderni. (p. 84) Luciano
Gruppi, Il concetto di egemonia in Gramsci, Editori Riuniti, Roma 1972. Altri
progetti Collabora a contiene una voce
riguardante Luciano Gruppi Viso del David Questa voce è solo un abbozzo. Se
puoi, contribuisci a migliorarla. Puzzle stub.svg
grundnorm: Grice knows about
the ground and the common groundand then there’s the ground norm -- also called
basic norm, in a legal system, the norm that determines the legal validity of
all other norms. The content of such an ultimate norm may provide, e.g., that
norms created by a legislature or by a court are legally valid. The validity of
such an ultimate norm cannot be established as a matter of social fact such as
the social fact that the norm is accepted by some group within a society.
Rather, the validity of the basic norm for any given legal system must be
presupposed by the validity of the norms that it legitimates as laws. The idea
of a basic norm is associated with the legal philosopher Hans Kelsen.
Guastella: Cosmo Guastella
(Misilmeri), filosofo. Nato in un comune dell'attuale area metropolitana di
Palermo, da Vincenzo farmacista e da Marianna Piazza, uno dei quattro figli
della coppia, ancorché di famiglia borghese non ebbe un'infanzia agiata e
studiò con l'ausilio di borse di studio fino a laurearsi in giurisprudenza,
presso l'Palermo, nel luglio 1878. È ritenuto il capostipite del fenomenismo.
Insegnò per poco tempo al liceo Garibaldi di Palermo e poi ad Acireale. Fu
professore di filosofia morale e tenne la cattedra di filosofia teoretica
all'Palermo. Scrisse, tra le altre
opere, Saggi sulla teoria della conoscenza, tre volumi, (1877-1905), Filosofia
della metafisica, due volumi, (1905) e Le ragioni del fenomenismo, tre volumi,
(1921-1922). Collaboratore di Giuseppe
Amato Pojero, partecipò fin dalla fondazione alla vita della Biblioteca
filosofica. Ebbe rapporti con Franz Brentano (1838-1917), filosofo, psicologo
ed ex sacerdote tedesco. La sua dottrina sul fenomenismo è molto diffusa ed
apprezzata anche in Germania. Una scuola
secondaria di primo grado, nel comune natale, porta il suo nome . Note
Scuola Secondaria di I Grado “Cosmo Guastella”, su
scuolamediaguastella.it. 6 novembre 29
ottobre ). Domenico Tubiolo, Cosmo
Guastella in sito Comune di Misilmeri, sezione Cultura. Angela Taraborrelli,
«GUASTELLA, Cosmo» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 60, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2003. , «Guastella, Cosmo» in Dizionario
di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Fenomenismo
Cosmo Guastella, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Cosmo Guastella, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Cosmo Guastella,
. Filosofia Filosofo del XIX secoloFilosofi italiani Professore1854 1922 28
gennaioMorti l'11 settembre Misilmeri PalermoProfessori dell'Università degli
Studi di Palermo Menu di navigazione Accesso non
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Guicciardini. Ritratto di francesco guicciardini.. Ambasciatore
della Repubblica di Firenze in Spagna Durata mandato 17 ottobre 1511ottobre 1513 Capo di StatoPier Soderini
(Repubblica) Cardinale Giovanni de' Medici (Signoria) Membro del
consiglio degli Otto di Guardia e Balia Durata mandato14 agosto 1514ottobre
1515 MonarcaGiuliano di Lorenzo de' Medici Lorenzo di Piero de' Medici
Membro della Signoria di Firenze Durata mandatosettembre 1515ottobre 1515
MonarcaGiuliano di Lorenzo de' Medici Commissario pontificio di Modena Durata
mandato5 aprile 15164 maggio 1519 MonarcaLorenzo di Piero de' Medici
Commissario generale dell'esercito dello Stato Pontificio Durata mandato12
luglio 152125 dicembre 1523 MonarcaLeone X Adriano VI Presidente della Romagna
Pontificia Durata mandato19 marzo 15231526 MonarcaAdriano VI Clemente VII
Dati generali Titolo di studioLaurea in diritto civile UniversitàPisa
ProfessioneAvvocato Statua di Francesco Guicciardini, Galleria degli
Uffizi, Firenze. Francesco Guicciardini (Firenze), filosofo. Dettaglio della
statua del Guicciardini. Francesco Guicciardini nacque a Firenze il 6 marzo
1483, terzogenito dei Guicciardini, famiglia tra le più fedeli al governo
mediceo. Dopo una prima formazione umanistica in ambito familiare dedicata alla
lettura dei grandi storici dell'antichità (Senofonte, Tucidide, Livio, Tacito),
studiò a Firenze giurisprudenza, seguendo le lezioni del celebre Francesco Pepi.
Dal 1500 soggiornò a Ferrara per circa due anni, per poi trasferirsi a Padova
per seguire le lezioni di docenti di maggior importanza. Rientrato a Firenze
nel 1505, vi esercitò, sebbene non fosse ancora laureato, l'incarico di
istituzioni di diritto civile; nel novembre dello stesso anno ottenne il
dottorato in ius civile ed iniziò la sua carriera forense. Nel 1506 si
concluse la sua attività accademica; nel frattempo, contrasse matrimonio,
contro il volere paterno, con Maria Salviati, figlia di Alamanno Salviati e
appartenente ad una famiglia politicamente esposta ed apertamente contraria a
Pier Soderini, all'epoca gonfaloniere a vita di Firenze. Guicciardini si curò
poco di queste rivalità, in quanto il suo interesse principale era avere un
futuro ruolo politico, alla luce soprattutto del prestigio di cui godeva la
famiglia della moglie, che avrebbe potuto avere per lui un effetto
positivo. Questo matrimonio infatti funse per lui da trampolino di
lancio, garantendogli una brillante e rapida ascesa politica: con l'aiuto del
suocero fu nominato tra i capitani dello Spedale del Ceppo, una carica non
molto significativa di per sé, ma prestigiosa in quanto a membri insigniti
dell'onorificenza. Nel 1508 curò l'istruttoria contro il podestà Piero Ludovico
da Fano, iniziando la stesura delle Storie fiorentine e dei Ricordi.
Esattamente dieci anni prima, ossia con l'anno 1498, si chiudono quelle
Cronache forlivesi di Leone Cobelli che espongono le premesse degli avvenimenti
riguardanti Caterina Sforza e Cesare Borgia di cui Guicciardini si occupa,
nelle sue Storie, per i notevoli riflessi che hanno sulla politica
fiorentina. Nel 1509, in occasione della guerra contro Pisa, venne
chiamato a pratica dalla signoria, ottenendo, grazie all'aiuto del Salviati, l'avvocatura
del capitolo di Santa Liberata. Questi progressi portarono il Guicciardini
anche ad una rapida ascesa nella politica internazionale, ricevendo dalla
Repubblica Fiorentina l'incarico di ambasciatore in Spagna presso Ferdinando il
Cattolico nel 1512. Da questa sua esperienza nell'attività diplomatica nacque
la Relazione di Spagna, una lucida analisi delle condizioni socio-politiche
della Penisola Iberica e anche il "Discorso di Logrogno", un'opera di
teoria politica in cui Guicciardini sostiene una riforma in senso aristocratico
della Repubblica fiorentina. Nel 1513 fece ritorno a Firenze, dove da
circa un anno era stata restaurata la Signoria Medicea con l'appoggio
dell'esercito ispano-pontificio. Dal 1514 fece parte degli Otto di Guardia e
Balia e nel 1515 entrò a far parte della signoria, divenendo, grazie ai suoi
servigi resi ai Medici, avvocato concistoriale e governatore di Modena nel
1516, con la salita al soglio pontificio di Giovanni de' Medici, col nome di
Leone X. Il suo ruolo di primo piano nella politica emiliano-romagnola si
rinforzò notevolmente nel 1517, con la nomina a governatore di Reggio Emilia e
di Parma, proprio nel periodo del delicato conflitto franco-imperiale. Fu
nominato nel 1521 commissario generale dell'esercito pontificio, alleato
di Carlo V contro i francesi; in questo periodo maturò quell'esperienza che
sarebbe stata cruciale nella redazione dei suoi Ricordi e della Storia
d'Italia. Alla morte di Leone X, avvenuta nel 1521, Guicciardini si trovò
a contrastare l'assedio di Parma, argomento trattato nella Relazione della
difesa di Parma. Dopo l'assunzione al papato di Giulio de' Medici, col nome di
Clemente VII, venne inviato a governare la Romagna, una terra agitata dalle
lotte tra le famiglie più potenti; qui Guicciardini diede ampio sfoggio delle
sue notevoli abilità diplomatiche. Per contrastare lo strapotere di Carlo
V, propagandò un'alleanza fra gli stati regionali allora presenti in Italia e
la Francia, in modo da salvaguardare in un certo qual modo l'indipendenza della
penisola. L'accordo fu sottoscritto a Cognac nel 1526, ma si rivelò ben presto
fallimentare; di questo periodo è il Dialogo del reggimento di Firenze, in due
libri, scritti fra il 1521 e il 1526, in cui si ripropone il modello della
repubblica aristocratica; nel 1527 la Lega subì una cocente disfatta e Roma fu
messa al sacco dai Lanzichenecchi, mentre a Firenze veniva instaurata (per la
terza ed ultima volta) la repubblica. Coinvolto in queste vicissitudini, e
visto con diffidenza dai repubblicani per i suoi trascorsi medicei, si ritirò
in un volontario esilio nella sua villa di Finocchieto, nei pressi di Firenze.
Qui compose due orazioni, l'Oratio accusatoria e la defensoria, ed una Lettera
Consolatoria, che segue il modello dell'oratio ficta, nella quale espose le
accuse imputabili alla sua condotta con le adeguate confutazioni, e finse di
ricevere consolazioni da un amico. Nel 1529 scrisse le Considerazioni intorno
ai "Discorsi" del Machiavelli "sopra la prima deca di Tito
Livio", in cui accese una polemica nei confronti della mentalità
pessimistica dell'illustre concittadino. In questi mesi completa anche la
redazione definitiva dei Ricordi. Dopo la confisca dei beni, nel 1529
lasciò Firenze e ritornò a Roma, per rimettersi di nuovo al servizio di Clemente
VII, che gli offrì l'incarico di diplomatico a Bologna. Dopo il rientro dei
Medici a Firenze (1531), fu accolto alla corte medicea come consigliere del
duca Alessandro e scrisse i Discorsi del modo di riformare lo stato dopo la
caduta della Repubblica e di assicurarlo al duca Alessandro; non fu tenuto
tuttavia in altrettanta considerazione dal successore di Alessandro, Cosimo I,
che lo lasciò in disparte. Guicciardini allora si ritirò nella sua villa di
Santa Margherita in Montici ad Arcetri, dove trascorse i suoi ultimi anni
dedicandosi alla letteratura: riordinò i Ricordi politici e civili, raccolse i
suoi Discorsi politici e soprattutto scrisse la Storia d'Italia. Morì ad
Arcetri nel 1540, quando da circa due anni si era ormai ritirato a vita
privata. Il pensiero politico Questa voce non è neutrale! La neutralità
di questa voce o sezione sugli argomenti storia e politica è stata messa in
dubbio. Motivo: Fatta eccezione per il primo paragrafo, il testo esprime
opinioni di parte e non supportate da fonti Per contribuire, correggi i toni
enfatici o di parte e partecipa alla discussione. Non rimuovere questo avviso
finché la disputa non è risolta. Segui i suggerimenti dei progetti di
riferimento 1, 2. Guicciardini è noto soprattutto per la Storia d'Italia, vasto
e dettagliato affresco delle vicende italiane tra il 1494 (anno della discesa
in italia del Re francese Carlo VIII) e il 1534 (anno della morte di Papa
Clemente VII) e capolavoro della storiografia della prima epoca moderna e della
storiografia scientifica in generale. Come tale, è un monumento al ceto
intellettuale italiano del XVI secolo, e più specificamente alla scuola
fiorentina di storici filosofici (o politici) di cui fecero parte anche Niccolò
Machiavelli, Bernardo Segni, Pitti, Jacopo Nardi, Benedetto Varchi, Francesco
Vettori e Donato Giannotti. L'opera districa la rete attorcigliata della
politica degli stati italiani del Rinascimento con pazienza ed intuito.
L'autore volutamente si pone come spettatore imparziale, come critico freddo e
curioso, raggiungendo risultati eccellenti come analista e pensatore (anche se
più debole è la comprensione delle forze in gioco nel più vasto quadro
europeo). Guicciardini è l'uomo dei programmi che mutano "per la
varietà delle circunstanze" per cui al saggio è richiesta la discrezione
(Ricordi, 6), ovvero la capacità di percepire "con buono e perspicace
occhio" tutti gli elementi da cui si determina la varietà delle
circostanze. La realtà non è quindi costituita da leggi universali immutabili
come per Machiavelli. Altro concetto saliente del pensiero guicciardiniano è il
particulare (Ricordi, 28) a cui si deve attenere il saggio, cioè il proprio
interesse inteso nel suo significato più nobile come realizzazione piena della
propria intelligenza e della propria capacità di agire a favore di se stesso e
dello stato. In altre parole il particulare non va inteso egoisticamente, come
un invito a prendere in considerazione solamente l'interesse personale, ma come
un invito a considerare pragmaticamente quanto ognuno può effettivamente
realizzare nella specifica situazione in cui si trova (pensiero che collima con
quello di Machiavelli). In netta polemica con Francesco Guicciardini, per
alcuni passi della Storia d'Italia, Jacopo Pitti scrisse l'opuscolo Apologia
dei Cappucci (1570-1575), a difesa della fazione dei democratici,
soprannominati i Cappucci. Fortuna Guicciardini è considerato il
progenitore della storiografia moderna, per il suo pionieristico impiego di
documenti ufficiali a fini di verifica della sua Storia d'Italia. Fino al
1857 la reputazione di Guicciardini poggiava sulla Storia d'Italia e su alcuni
estratti dai suoi aforismi. Nel 1857 i suoi discendenti, i conti Piero e Luigi
Guicciardini, aprirono gli archivi di famiglia e diedero incarico a Giuseppe Canestrini
di pubblicare, in 10 volumi, le sue memorie. Negli anni dal 1938 al 1972
furono pubblicati i suoi Carteggi, che contribuirono in modo determinante ad
un'accurata conoscenza della sua personalità. La critica
secentesca Antoon van Dyck, Ritratto equestre di Anton Giulio
Brignole Sale, 1627 «L’angolo di prospettiva dal quale si prese a
considerare, nella prima metà del secolo XVII, l’opera guicciardiniana, la
posizione di questa nel giudizio dei lettori secenteschi, sono bene indicati da
uno spirito acuto dell’epoca, A. G. Brignole Sale (1636): «quindi non per
altro, a mio giudizio, porta pregio il Guicciardini sopra il Giovio, sol che
questi, qual pittor gentile, de’ soggetti ch’egli ha per le mani colorisce agli
occhi altrui con vivacissimi ritratti, senza inviscerarsi, la superficie,
quegli per contrario, qual esperto notomista, trascurando anzi dilacerando la
vaghezza della pelle, vien con l’acutezza della sua sagacità fino a mostrarci
il cuore e il cervello de’ famosi personaggi ben penetrato». All’affiatamento
con lo spirito dell’opera guicciardiniana si accompagnò, sul piano letterario,
una migliore intelligenza del suo stile, di cui si cominciò ad ammirare,
superando le pedanti riserve linguistiche, la scorrevolezza, l’intima misura e
precisione pur nel tono sostenuto. Tuttavia, proprio dal più accreditato
esponente letterario del tacitismo, T. Boccalini (1612), fu formulato un
giudizio tra i meno benevoli alla Storia.» Il giudizio di Francesco De
Sanctis Copertina di un'antica edizione della Storia d'Italia Francesco
De Sanctis non ebbe simpatia per Guicciardini ed infatti non nascose di
apprezzare maggiormente il Machiavelli. Nella sua Storia della letteratura
italiana il critico irpino mise in evidenza come Guicciardini fosse, sì, in linea
con le aspirazioni di Machiavelli, ma se il secondo agì in linea con i suoi
ideali, il primo invece "non metterebbe un dito a realizzarli".
Sempre nella sua Storia della letteratura italiana De Sanctis affermò: “Il dio
del Guicciardini è il suo particolare. Ed è un dio non meno assorbente che il
Dio degli ascetici, o lo stato del Machiavelli. Tutti gli ideali scompaiono.
Ogni vincolo religioso, morale, politico, che tiene insieme un popolo, è
spezzato. Non rimane sulla scena del mondo che l'individuo. Ciascuno per sé,
verso e contro tutti. Questo non è più corruzione, contro la quale si gridi: è
saviezza, è dottrina predicata e inculcata, è l'arte della vita”. E poco
più in basso aggiunse: "Questa base intellettuale è quella medesima del
Machiavelli, l'esperienza e l'osservazione, il fatto e lo «speculare» o
l'osservare. Né altro è il sistema. Il Guicciardini nega tutto quello che il
Machiavelli nega, e in forma anche più recisa, e ammette quello che è più
logico e più conseguente. Poiché la base è il mondo com'è, crede un'illusione a
volerlo riformare, e volergli dare le gambe di cavallo, quando esso le ha di
asino, e lo piglia com'è e vi si acconcia, e ne fa la sua regola e il suo
istrumento". Nel Romanticismo, la mancanza di evidenti passioni per
l'oggetto dell'opera era infatti vista come un grave difetto, nei confronti sia
del lettore che dell'arte letteraria. A ciò si aggiunga che il Guicciardini
vale più come analista e pensatore che come scrittore. Lo stile è infatti
prolisso, preciso a prezzo di circonlocuzioni e di perdita del senso generale
della narrazione. "Qualsiasi oggetto egli tocchi, giace già cadavere sul
tavolo delle autopsie". Le opere Scritti autobiografici e
rari, Laterza, 1936 Storie fiorentine (dal 1508 al 1509), rimasta inedita fino
al 1859 Discorso di Logrogno (1512) Considerazioni sui Discorsi del
Machiavelli, (15271529) Ricordi politici e civili Dialogo del Reggimento di
Firenze (dal 1521 al 1526) Storia d'Italia (dal 1537 al 1540) Scritti inediti
sopra la politica di Clemente VII dopo la battaglia di PaviaGuicciardini ,
Firenze, Olschki, 1940. Le cose fiorentine, R. Ridolfi , Firenze, Olschki,
1945. Carteggi, 17 voll., 1938-72 (voll. 1-2 presso Zanichelli, Bologna; 3 presso Istituto per gli studi di politica
internazionale, Firenze; 4 presso
Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea, Roma; voll. 5-17
presso P. G. Ricci, Roma) Note
"Donna di grandissimo animo e molto virile", secondo il
Guicciardini (Storie fiorentine, cap. XIX).
Natalino Sapegno, Compendio di storia della letteratura italiana, La
Nuova Italia, Firenze, 1963, 94-97. A. G. BRIGNOLE-SALE, Tacito abburatato,
Genova, 1643, Disc. IV133. «Or chi non
vedescriveva il Tassoniche questo è uno stil maestoso e nobile, quale appunto
conviensi alla grandezza delle cose proposte e alla prudenza politica
dell’Istorico che le tratta? e che non ostante i periodi sien tutti numerosi e
sostenuti, per esser ben collocate le parole fra loro, e però l’ordine, e ’l
senso facile e piano in maniera che ’l lettore non trova scabrosità né intoppi,
come nello stil del Villani, che va saltellando e intoppando a ogni passo
etc... ». A. TASSONI, Pensieri diversi, Venezia, 1665, libro IX324. Il legame
del pensiero politico tassoniano con quello del Guicciardini (incluso, a differenza
del Machiavelli, tra gli storici della «prima schiera» con Comines e Giovio,
ossia considerato pari agli antichi; v. cap. XIII del libro X dei Pensieri) e
del Machiavelli è noto: i due fiorentini, come dice il Fassò, furono «i due
poli» a cui si volse la sua riflessione politica. (Introduz. a TASSONI, Opere,
Milano-Roma, 194249). T. BOCCALINI,
Ragguagli di Parnaso e Pietra del paragone politico, I, Bari, 1910, Cent. I,
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italiani nella storia della critica: Da Dante al Marino, Nuova Italia,
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4, Pisa, presso Niccolò Capurro, 1819. Francesco Guicciardini, Historia
di Italia, 5, Pisa, presso Niccolò
Capurro, 1819. Francesco Guicciardini, Historia di Italia, 6, Pisa, presso Niccolò Capurro, 1819.
Francesco Guicciardini, Historia di Italia,
7, Pisa, presso Niccolò Capurro, 1819. Francesco Guicciardini, Historia
di Italia, 8, Pisa, presso Niccolò
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di Italia. Libri 1.-16., In Venetia, appresso Giorgio Angelieri, 1574.
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1985 E. Cutinelli-Rèndina, Guicciardini, Roma 2009 Famiglia Guicciardini Altri progetti
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di cose di Stato, sotto titolo di Avvertimenti, Avvedimenti Civili, &
Concetti Politici di Guicciardinii, Lottini, Sansovini, Venezia, Presso
Altobello Salicato, 1583. Opere inedite di Francesco Guicciardini illustrate da
Giuseppe Canestrini e pubblicate per cura dei conti Piero e Luigi Guicciardini,
10 voll., Firenze, Barbera, Bianchi e Comp., 1857-67: 1,
2, 3, 4,
5, 6, 7,
8, 9, 10. Opere, 9 voll., Bari, Gius. Laterza &
figli, 1929-36: 1, 2, 3, 4,//bibliotecaitaliana.it/indice/visualizza_scheda/si150 5],
6, 7, 8, 9.
PredecessoreGovernatore di ModenaSuccessore Giuliano de' Medici15161522PredecessoreGovernatore
di Reggio EmiliaSuccessore 1517 PredecessoreGovernatore di
ParmaSuccessore.
Guzzi: Marco Guzzi (Roma), filosofo.
Ha trascorso l'adolescenza partecipando alla lotta politica studentesca, da
allievo del Liceo classico statale Giulio Cesare, uno degli istituti scolastici
superiori che più furono coinvolti nella contestazione giovanile dei primi anni
settanta. Dopo aver conseguito la maturità classica nel 1973, si è laureato in
giurisprudenza e successivamente anche in filosofia. Ha coltivato in particolare l'interesse per
la poesia e la filosofia tedesca, perfezionandosi presso le Friburgo in
Brisgovia e Bonn. Le sue attività principali, nel campo culturale, hanno
spaziato dalla partecipazione a trasmissioni radiofoniche culturali giovanili
alla pubblicazione di numerose raccolte di poesia, alla redazione di numerosi
saggi filosofici, in cui la filosofia contemporanea, in particolare
heideggeriana, si coniuga a una profonda rimeditazione dei temi della teologia
cattolica. A questa attività culturale, sviluppata anche in numerosi seminari
tenuti, dal 1985 al 2002, come direttore dei seminari del Centro studi Eugenio
Montale, si è affiancata la conduzione di trasmissioni radiofoniche per Radio
RAI, fra le quali Dentro la sera, 3131, Lo specchio del cielo e Sognando il
giorno. Dal 1999 ha fondato e avviato
l'esperienza dei Gruppi Darsi-pace, una ricerca sperimentale di liberazione
interiore nell'orizzonte di una riconiugazione tra fede cristiana e modernità.
Dal 2004 dirige la collana "Crocevia" presso le Edizioni
Paoline. Dal 2005 tiene corsi presso il
"Claretianum", Istituto di Teologia della Vita Consacrata dell'Università
Lateranense. Dal 2008 è professore invitato nella Facoltà di Scienze
dell'Educazione dell'Università Pontificia Salesiana. Nel 2009 Benedetto XVI lo ha nominato membro
della Pontificia Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Dal
scrive sul blog collettivo Vinonuovo.
Guzzi è sposato e ha tre figli.
La poesia La poetica di Guzzi, fin dall'inizio, si è concepita come
un'esperienza spirituale, una ricerca di stati più dilatati della coscienza,
sulla scia della linea che da Hölderlin, e attraverso Rimbaud, arriva fino al
nostro migliore ermetismo. Di raccolta in raccolta, la scrittura è diventata
sempre più limpida fino ad approdare a una concezione profetica e meditativa
della scrittura in versi. La parola, da strumento di autoanalisi, diventa così
veicolo dell'annuncio di una rivoluzione teo-cosmologica, oltre che di una
svolta interiore: Il mio confine è Dio.
È spalancato. Non c'è cancello o argine, un respiro lega i miei colori ai suoi
comandamenti. Il mio confine è il mio
promesso sposo. Un bambinetto batte le
manine, lancia coriandoli sul capo del risorto.
Il pensiero Sulla scia di questa evoluzione della sua poetica, la
ricerca teoretica di Guzzi ha affrontato, in particolare nel saggio filosofico
La svolta, significativamente sottotitolato "La fine della storia e la via
del ritorno", il tema del cambiamento epocale che a suo avviso l'uomo è
chiamato a conoscere e riconoscere, dentro e fuori di sé. Questo cambiamento
comporta, secondo Guzzi, l'abbandono di tutte quelle resistenze che impediscono
all'uomo di aprirsi all'ascolto del messaggio cristiano: solo un ascolto
autenticamente rigenerante della parola di Dio, intesa come appello alla
rinascita innanzitutto personale, potrà consentire, secondo Guzzi, il
superamento della crisi individuale e storica in cui versa l'uomo
contemporaneo. La proposta teorica di Guzzi si concretizza, quindi,
specialmente a partire dal volume Darsi paceUn manuale di liberazione
interiore, in un vero e proprio cammino di autotrasformazione, a partire dalle
proprie difficoltà personali; un lavoro interiore di formazione e di
riflessione, che passa anche attraverso il linguaggio profetico e meditativo
dei maggiori poeti e dei testi religiosi, per raggiungere, attraverso un
percorso di rivelazione, la liberazione nel segno della pace. La teorizzazione
si pone perciò a servizio dei processi concreti di trasformazione interiore
proposti nei Gruppi Darsi-pace. Opere
Raccolte di poesia Anima in vetrina, 1977 Il Giorno, Scheiwiller, 1988 Teatro
Cattolico, Jaca Book, 1991 Figure dell'ira e dell'indulgenza, Jaca Book, 1997
Preparativi alla vita terrena, Passigli,2002 Nella mia storia Dio, Passigli,
2005 Parole per nascere, Edizioni Paoline,
Saggi di filosofia e di religione La Svolta, Jaca Book 1987 Rivolgimenti,
Marietti 1990 L'Uomo Nascente, Red, 1997 Passaggi di millennio, Edizioni
Paoline, 1998 L'Ordine del Giorno, Edizioni Paoline, 1999 Cristo e la nuova
era, Edizioni Paoline, 2000 La profezia dei poeti, Moretti e Vitali, 2002 Darsi
pace, Edizioni Paoline, 2004 La nuova umanità, Edizioni Paoline, 2005 Per
donarsi, Edizioni Paoline, 2007 Yoga e preghiera cristiana, Edizioni Paoline,
2009 Dalla fine all'inizio, Edizioni Paoline,
Dodici parole per ricominciare, Ancora
Il cuore a nudo, Edizioni Paoline,
Buone Notizie, Ed. Messaggero
Imparare ad amare, Edizioni Paoline
L'Insurrezione dell'umanità nascente, Edizioni Paoline, Fede e Rivoluzione, Edizioni Paoline FacebookIl profilo dell'Uomo di Dio, Edizioni
Paoline Alla ricerca del continente
della gioia, Edizioni Paoline Dizionario
della lingua inauditaLingua e Rivoluzione, Edizioni Paoline Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Marco Guzzi Il sito ufficiale di Marco Guzzi, su
marcoguzzi.it. Il sito ufficiale dei Gruppi Darsi pace, su darsipace.it. Blog,
su vinonuovo.it.
Guzzo: Augusto Guzzo (Napoli), filosofo. Si laureò all'Napoli nel 1915, dove
fu allievo del neohegeliano Sebastiano Maturi. Dal 1924 al 1932 insegnò
filosofia e storia della filosofia alla facoltà di magistero dell'Torino,
fondando la rivista "Erma", e dal 1932 al 1934 filosofia morale
presso l'Pisa, dove fu anche direttore del seminario di filosofia della Scuola
normale superiore. Nel 1934 tornò a Torino, dove insegnò prima filosofia morale
(succedendo a Erminio Juvalta) e poi, dal 1939 al 1964, filosofia teoretica
(succedendo ad Annibale Pastore). Fondò, insieme con Nicola Abbagnano, la
sezione piemontese dell'Istituto Italiano per gli Studi filosofici. Ebbe fra i suoi allievi Luigi Pareyson,
Francesco Barone e Valerio Verra. Fu
presidente dell'Accademia delle Scienze di Torino dal 17 giugno 1970 al 25
giugno 1973, anno in cui gli subentrò Francesco Giacomo Tricomi. Nel 1955 l'Accademia dei Lincei gli conferì
il Premio Feltrinelli per la Filosofia.
Morì a Torino il 23 agosto 1986. È sepolto nel Cimitero monumentale di
Torino. Pensiero Esponente
dell'idealismo italiano, si avvicinò all'attualismo di Giovanni Gentile,
interpretato però in chiave di conciliazione con il pensiero cattolico. È
considerato quindi uno dei più grandi esponenti dello spiritualismo
italiano. Opere principali Il pensiero
di Spinoza, 1924 Kant precritico, 1924 Verità e realtà. Apologia
dell'idealismo, 1925 Idealisti ed empiristi, 1935 Agostino e Tommaso, 1958
Giordano Bruno, 1960 Vita di Cordelia Guzzo, 1974 Storia della filosofia e
della civiltà per saggi, 1975 L'uomo, Brescia, Morcelliana; poi Torino,
Edizioni di filosofia, 1947-1964. Comprende: 1. L'io e la ragione, 1947 2. La
moralità, 1950 3. La scienza, 1955 4. L'arte, 1962 5. La religione, 1964 6. La
filosofia, 1964 Con la collaborazione di sua moglie Cordelia Capone, anche lei
filosofa, tradusse in italiano The Idea of Christ in the Gospels or God in Man
di George Santayana, opera di cui pubblicò una recensione nel Giornale di
metafisica, IV, 4 (15 luglio 1949). Pubblicò nel 1963 anche un Alcifrone di
George Berkeley a cura sua e della moglie Cordelia. Pubblicò a partire dal 1950
la rivista "Filosofia", alla quale aggiunse nel 1959 un fascicolo
internazionale, che nel 1969 divenne "Studi internazionali di
filosofia". Nella stessa rivista, in un fascicolo speciale del 1974,
pubblicò una "Vita di Cordelia Guzzo", biografia della moglie, ricca
di aneddoti sulla vita privata e l'attività scientifica dell'autore. Note
Presidenti Archiviato il 22 aprile 2009 in . dell'Accademia delle
Scienze di Torino. Premi Feltrinelli
1950-, su lincei.it. 17 novembre .
Pietro Fernando Quarta, Augusto Guzzo e la sua scuola, Urbino, Argalìa,
1976. Google Libri Piergiorgio Donatelli, «GUZZO, Augusto» in Dizionario
Biografico degli Italiani, Volume 61, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 2004. Giletta Giovanni, Filosofia hegeliana e religione. Osservazioni
su Sebastiano Maturi, Ed.Natan, Benevento, . Altri progetti Collabora a
Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Augusto Guzzo Augusto Guzzo, su Treccani.itEnciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Augusto Guzzo / Augusto Guzzo (altra versione), in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Augusto Guzzo, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Augusto
Guzzo, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Opere di Augusto Guzzo, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Opere di Augusto Guzzo, .
Filosofia, Rivista annuale fondata nel 1950 da Augusto Guzzo. 14
febbraio.
habitus:
hexis
Grecian, from hexo, ‘to have’, ‘to be disposed’, a good or bad condition,
disposition, or state. The traditional rendering, ‘habit’ Latin habitus, is
misleading, for it tends to suggest the idea of an involuntary and merely
repetitious pattern of behavior. A hexis is rather a state of character or of
mind that disposes us to deliberately choose to act or to think in a certain
way. The term acquired a quasi-technical status after Aristotle advanced the
view that hexis is the genus of virtue, both moral and intellectual. In the
Nicomachean Ethics he distinguishes hexeis from passions pathe and faculties
dunamis of the soul. If a man fighting in the front ranks feels afraid when he
sees the enemy approaching, he is undergoing an involuntary passion. His
capacity to be affected by fear on this or other occasions is part of his
makeup, one of his faculties. If he chooses to stay where his commanders placed
him, this is due to the hexis or state of character we call courage. Likewise,
one who is consistently good at identifying what is best for oneself can be
said to possess a hexis called prudence. Not all states and dispositions are
commendable. Cowardice and stupidity are also hexeis. Both in the sense of
‘state’ and of ‘possession’ hexis plays a role in Aristotle’s Categories.
Halesianism: from
Alexander of Halesowen, Salop (on the border with Worcs.).. Grice called
William of Occam “Occam,” William of Sherwood, “Shyrewood,” and Alexander of
Hales “Hales,”why, I wish people would call me “Harborne,” and not
Grice!”Grice. English Franciscan theologian, known as the Doctor
Irrefragabilis. The first to teach theology by lecturing on the Sentences of
Peter Lombard, Alexander’s emphasis on speculative theology initiated the
golden age of Scholasticism. Alexander wrote commentaries on the Psalms and the
Gospels; his chief works include his Glossa in quattuor libros sententiarum,
Quaestiones disputatatae antequam esset frater, and Quaestiones quodlibetales.
Alexander did not complete the Summa fratris Alexandri; Pope Alexander IV
ordered the Franciscans to complete the Summa Halesiana in 1255. Master of
theology in 1222, Alexander played an important role in the history of Paris,
writing parts of Gregory IX’s Parens scientiarum 1231. He also helped negotiate
the peace between England and France. He gave up his position as canon of
Lichfield and archdeacon of Coventry to become a Franciscan, the first
Franciscan master of theology; his was the original Franciscan chair of
theology at Paris. Among the Franciscans, his most prominent disciples include
St. Bonaventure, Richard Rufus of Cornwall, and John of La Rochelle, to whom he
resigned his chair in theology near the end of his life. Hales wrote
commentaries on Aristotle’s metaphysics, on the multiplicity of being, that
Grice found fascinating. Vide “Summa halensis.”
hampshireism: His second wife was from the New World. His first wife
wasn’t. He married Renée Orde-Lees, the daughter of the very English Thomas
Orde-Lees, in 1961, and had two children, a son, Julian, and a daughter. To add
to the philosophers’ mistakes. There’s Austin (in “Plea for Excuses” and “Other
Minds”), Strawson (in “Truth” and “Introduction to Logical Theory,” and “On
referring”), Hart (in conversation, on ‘carefully,”), Hare (“To say ‘x is good’
is to recommend x”) and Hampshire (“Intention and certainty”). For Grice, the
certainty is merely implicated and on occasion, only. Cited by Grice as a member of the play group.
Hampshire would dine once a week with Grice. He would discuss and find very
amusing to discuss with Grice on post-war Oxford philosophy. Unlike Grice,
Hampshire attended Austin’s Thursday evening meetings at All Souls. Grice wrote
“Intention and uncertainty” in part as a response to Hampshire and Hart,
Intention and certainty. But Grice brought the issue back to an earlier
generation, to a polemic between Stout (who held a certainty-based view) and
Prichard.
hareism r. m. cited by H.
P. Grice, “Hare’s neustrics”. b.9, English philosopher who is one of the most
influential moral philosophers of the twentieth century and the developer of
prescriptivism in metaethics. Hare was educated at Rugby and Oxford, then
served in the British army during World War II and spent years as a prisoner of
war in Burma. In 7 he took a position at Balliol and was appointed White’s Professor of Moral
Philosophy at the of Oxford in 6. On
retirement from Oxford, he became Graduate Research Professor at the of Florida 393. His major books are Language
of Morals 3, Freedom and Reason 3, Moral Thinking 1, and Sorting Out Ethics 7.
Many collections of his essays have also appeared, and a collection of other
leading philosophers’ articles on his work was published in 8 Hare and Critics,
eds. Seanor and Fotion. According to Hare, a careful exploration of the nature
of our moral concepts reveals that nonironic judgments about what one morally
ought to do are expressions of the will, or commitments to act, that are
subject to certain logical constraints. Because moral judgments are
prescriptive, we cannot sincerely subscribe to them while refusing to comply
with them in the relevant circumstances. Because moral judgments are universal
prescriptions, we cannot sincerely subscribe to them unless we are willing for
them to be followed were we in other people’s positions with their preferences.
Hare later contended that vividly to imagine ourselves completely in other
people’s positions involves our acquiring preferences about what should happen
to us in those positions that mirror exactly what those people now want for
themselves. So, ideally, we decide on a universal prescription on the basis of
not only our existing preferences about the actual situation but also the new
preferences we would have if we were wholly in other people’s positions. What
we can prescribe universally is what maximizes net satisfaction of this
amalgamated set of preferences. Hence, Hare concluded that his theory of moral
judgment leads to preference-satisfaction act utilitarianism. However, like
most other utilitarians, he argued that the best way to maximize utility is to
have, and generally to act on, certain not directly utilitarian
dispositions such as dispositions not to
hurt others or steal, to keep promises and tell the truth, to take special
responsibility for one’s own family, and so on. Then there’s Hare’s
phrastic: It is convenient to take Grice mocking Hare in Prolegomena. “To say
‘x is good’ is to recommend x.’ An implicaturum: annullable: “x is good but I don’t recommend it.” Hare
was well aware of the implicaturum. Loving Grice’s account of ‘or,’ Hare gives
the example: “Post the letter: therefore; post the letter or burn it.” Grice
mainly quotes Hare’s duet, the phrastic and the neustic, and spends some time
exploring what the phrastic actually is. He seems to prefer ‘radix.’ But then
Hare also has then the ‘neustic,’ that Grice is not so concerned with since he
has his own terminology for it. And for Urmson’s festschrift, Hare comes up
with the tropic and the clistic. So each has a Griceian correlate. Then there’s Hareian supervenience: a dependence
relation between properties or facts of one type, and properties or facts of
another type. In the other place, G. E. Moore, for instance, holds that the
property intrinsic value is dependent in the relevant way on certain non-moral
properties. Moore did not employ the expression ‘supervenience’. As Moore puts
it, “if a given thing possesses any kind of intrinsic value in a certain degree, not only must that same thing possess it,
under all circumstances, in the same degree, but also anything exactly like it,
must, under all circumstances, possess it in exactly the same degree”
(Philosophical Studies, 2). The concept of supervenience, as a relation between
properties, is essentially this: A poperties of type A is supervenient (or
better, as Grice prefesrs, supervenes) on a property of type B if and only if
two objects cannot differ with respect to their A-properties without also differing
with respect to their B-properties. Properties that allegedly are supervenient
on others are often called consequential properties, especially in ethics; the
idea is that if something instantiates a moral property, then it does so in
virtue of, i.e., as a non-causal consequence of, instantiating some lower-level
property on which the moral property supervenes. In another, related sense,
supervenience is a feature of discourse of one type, vis-à-vis discourse of
another type. ‘Supervenience’ is so used by Hare. “First, let us take that
characteristic of “good” which has been called its ‘supervenience.’” Grice:
“Hare has a good ear for the neologism: he loved my ‘implicature,’ and used in
an essay he submitted to “Mind,” way before I ventured to publish the
thing!”“Suppose that we say, “St. Francis is a good man.” It is logically
impossible to say this and to maintain at the same time that there might have
been another man placed exactly in the same circumstances as St. Francis, and
who behaved in exactly the same way, but who differed from St. Francis in this
respect only, that it is NOT the case that this man is a good man.” (“The
Language of Morals”). Here the idea is that it would be a misuse of moral
language, a violation of the “logic of moral discourse,” to apply ‘good’ to one
thing but not to something else exactly similar in all pertinent non-moral
respects. Hare is a meta-ethical irrealist. He denies that there are moral
properties or facts. So for him, supervenience is a ‘category of expression,’ a
feature of discourse and judgment, not a relation between properties or facts
of two types. The notion of supervenience has come to be used quite widely in
metaphysics and philosophical philosophy, usually in the way explained above.
This use is heralded by Davidson in articulating a position about the relation
between a physical property and a property of the ‘soul,’ or statet-ypes, that
eschews the reducibility of mental properties to physical ones. “Although the
position I describe denies there are psycho-physical laws, it is consistent
with the view that mental characteristics are in some sense dependent, or
supervenient, or plainly supervene on physical characteristics. Such
supervenience might be taken to mean that there cannot be two events alike in
all physical respects but differing in some mental respects, or that an object
cannot alter in some mental respects without altering in some physical
respects. Dependence or supervenience of this kind does not entail reducibility
through law or definition. “Mental Events.” A variety of supervenience theses
have been propounded in metaphysics and philosophical psychology, usually
although not always in conjunction with attempts to formulate metaphysical
positions that are naturalistic, in some way, without being strongly
reductionistic, if reductive. E. g. it is often asserted that mental properties
and facts are supervenient on neurobiological properties, and/or on
physicochemical properties and facts. And it is often claimed, more generally,
that all properties and facts are supervenient on the properties and facts of
the kind described by physics. Much attention has been directed at how to
formulate the desired supervenience theses, and thus how to characterize
supervenience itself. A distinction has been drawn between weak supervenience,
asserting that in any single possible world w, any two individuals in w that
differ in their A-properties also differ in their B-properties; and strong
supervenience, asserting that for any two individuals i and j, either within a
single possible world or in two distinct ones, if i and j differ in
A-properties then they also differ in Bproperties. It is sometimes alleged that
traditional formulations of supervenience, like Moore’s or Hare’s, articulate
only weak supervenience, whereas strong supervenience is needed to express the
relevant kind of determination or dependence. It is sometimes replied, however,
that the traditional natural-language formulations do in fact express strong
supervenience and that formalizations expressing
mere weak supervenience are mistranslations. Questions about how best to
formulate supervenience theses also arise in connection with intrinsic and
non-intrinsic properties. For instance, the property being a bank, instantiated
by the brick building on Main Street, is not supervenient on intrinsic physical
properties of the building itself; rather, the building’s having this
social-institutional property depends on a considerably broader range of facts
and features, some of which are involved in subserving the social practice of
banking. The term ‘supervenience base’ is frequently used to denote the range
of entities and happenings whose lowerlevel properties and relations jointly
underlie the instantiation of some higher-level property like being a bank by
some individual like the brick building on Main Street. Supervenience theses
are sometimes formulated so as to smoothly accommodate properties and facts
with broad supervenience bases. For instance, the idea that the physical facts
determine all the facts is sometimes expressed as global supervenience, which
asserts that any two physically possible worlds differing in some respect also
differ in some physical respect. Or, sometimes this idea is expressed as the
stronger thesis of regional supervenience, which asserts that for any two
spatiotemporal regions r and s, either within a single physically possible
world or in two distinct ones, if r and s differ in some intrinsic respect then
they also differ in some intrinsic physical respect. H. P. Grice, “Hare on
supervenience.” H. P. Grice, “Supervenience in my method in philosophical
psychology: from the banal to the bizarre.” H. P. Grice, “Supervenience and the
devil of scientism.”
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