Paganini
essential Italian philosopher Carlo Pagano Paganini Da Wikipedia,
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Paganini (Lucca, 28 gennaio 1818 – Pisa, 6 novembre 1889) è stato un filosofo
italiano. Biografia Il Paganini nacque
il 28 gennaio 1818 a Lucca. A quell'epoca la città stava passando dalla
reggenza austriaca seguita al collasso napoleonico al diventare capitale del
borbonico Ducato di Lucca. Il Paganini compì l'intero corso dei suoi studi
nella sua città dedicandosi, fin dai tempi delle scuole secondarie, alla
filosofia e alle lettere. Fino all'età di trent'anni insegnò filosofia negli
istituti secondari lucchesi. Nel 1848 partecipò alla prima guerra
d'indipendenza. Dopo la fine della guerra, nel 1849, col l'annessione del
Ducato di Lucca da parte del Granducato di Toscana fu nominato docente
nell'ateneo lucchese (vedi Università di Lucca). In questo ufficio fu difensore
della dottrina rosminiana e nonostante venisse sorvegliato dalla polizia il
governo decise poi di offrirgli una cattedra nell'Università di Pisa a seguito
dei buoni uffici del Professor Del Rosso. Gli ultimi anni della sua vita furono
rattristati da due avvenimenti; la espulsione dai seminari ecclesiastici di
discepoli a lui carissimi, perché rei di professare le dottrine del Rosmini e
la condanna di certe proposizioni tolte ad arbitrio e senza critica dalle molte
opere del filosofo di Rovereto. Morì a Pisa il 6 novembre 1889. Bibliografia Annuario della R. Università di
Pisa per l’anno accademico 1889-1890. https://www.sba.unipi.it/it/risorse/archivio-fotografico/persone-in-archivio/paganini-carlo-pagano
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Identities (EN) viaf-6124154441749235460006 Categorie: Filosofi italiani del
XIX secoloNati nel 1818Morti nel 1889Nati il 28 gennaioMorti il 6 novembreNati
a LuccaMorti a Pisa[altre]
Pagano:
essential Italian philosopher Francesco Mario Pagano
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Mario Pagano Francesco Mario Pagano (Brienza, 8 dicembre 1748 – Napoli, 29
ottobre 1799) è stato un giurista, filosofo, politico e drammaturgo italiano.
Fu uno dei maggiori esponenti dell'Illuminismo italiano ed un precursoredel
positivismo,[1] oltre ad essere considerato da Enrico Pessina l'iniziatore
della «scuola storica napoletana del diritto».[2] Personaggio di spicco della
Repubblica Partenopea (1799), le sue arringhe contornate di citazioni
filosofiche gli valsero il soprannome di "Platone di
Napoli".[3] Indice 1 Biografia
1.1 Formazione
e giovinezza 1.2 Incarichi
nella Repubblica Napoletana 1.3 Morte
2 Pensiero
3 Opere
4 Intitolazioni
e dediche 5 Note
6 Bibliografia
7 Voci
correlate 8 Altri
progetti 9 Collegamenti
esterni Biografia Formazione e giovinezza Nato a Brienza, piccolo centro del
Principato Citra (dal 1806 in Basilicata), da una famiglia di notai, all'età di
quattordici anni si trasferì a Napoli dopo la morte del padre, stabilendosi
presso lo zio Nicola. Ultimò gli studi classici sotto l'egida di Gerardo De
Angelis, da cui apprese anche gli insegnamenti di latino, greco, ebraico e
frequentò i corsi universitari, conseguendo la laurea in giurisprudenza nel
1768 con il Politicum universae Romanorum nomothesiae examen, dedicato a
Leopoldo di Toscana ed all'amico grecista Giuseppe Glinni di Acerenza. Fu,
inoltre, allievo del Genovesi, il cui insegnamento fu fondamentale per la sua
formazione, e amico di Gaetano Filangieri con cui condivise l'iscrizione alla
massoneria. Pagano appartenne a La Philantropia, loggia della quale fu maestro
venerabile[4]. Inoltre, i proventi dell'attività di avvocato criminale gli
consentirono di acquistare un terreno all'Arenella, dove costituì una sorta di
accademia, alla quale partecipava, tra gli altri, Domenico Cirillo. Ebbe
la cattedra di etica (1770), poi quella di diritto criminale (1785)
all'Università di Napoli, distinguendosi come avvocato presso il tribunale
dell'Ammiragliato (di cui diventò poi giudice) nella difesa dei congiurati
anti-borbonici della Società Patriottica Napoletana Emanuele De Deo, Vincenzo
Galiani e Vincenzo Vitaliani pur non riuscendo ad evitarne la messa a morte
(1794). Nel 1796 fu incarcerato in seguito ad una denuncia presentata contro di
lui da un avvocato condannato per corruzione che lo aveva accusato di cospirare
contro la monarchia ma venne liberato nel 1798 per mancanza di prove.
Scarcerato il 25 luglio del 1798, riparò clandestinamente a Roma, dove venne
accolto positivamente dai membri della Repubblica Romana, dove ricevette la
cattedra di Diritto nel Collegio Romano, accontentandosi di un compenso che gli
garantiva il minimo indispensabile per vivere. Tra i suoi seguaci e allievi, il
pedagogo e rivoluzionario Matteo Angelo Galdi. Incarichi nella Repubblica
Napoletana Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Repubblica Napoletana (1799). «La libertà è la
facoltà dell'Uomo di valersi di tutte le sue forze morali e fisiche come gli
piace, colla sola limitazione di non impedir agli altri di far lo
stesso.» (Francesco Mario Pagano, Costituzione Napoletana dell'anno
1799) Il Giudice Speciale schernisce Pagano dopo avergli letto la
sentenza di morte. Ritratto di Giacomo Di Chirico Lasciata Roma, si spostò per
un breve periodo a Milano e, dopo la fuga del re Ferdinando IV a Palermo, fece
ritorno a Napoli il 1º febbraio 1799, divenendo uno dei principali artefici
della Repubblica Napoletana, quando il generale francese Jean-Étienne
Championnet lo nominò tra quelli che dovevano presiedere il governo
provvisorio. La vita della repubblica fu corta e molto difficile: mancava
l'appoggio del popolo, alcune province erano ancora estranee all'occupazione francese
e le disponibilità finanziarie erano sempre limitate a causa delle sovvenzioni
alle campagne napoleoniche. In questo breve lasso di tempo, Pagano ebbe
tuttavia modo di poter realizzare alcuni progetti. Importanti in questo periodo
furono le sue proposte sulla legge feudale, in cui si mantiene su posizioni
piuttosto moderate e il progetto di Costituzione della Repubblica
Napoletana[5]. Essa per la prima volta stabiliva la giurisdizione esclusiva
dello Stato sui diritti civili e, tra le altre cose, prevedeva il decentramento
amministrativo della città. La carta elaborata da Pagano prevedeva inoltre
l'istituzione dell'eforato, precursore dell'odierna Corte Costituzionale[6]. Il
suo progetto rimase tuttavia inapplicato a causa dell'imminente restaurazione
borbonica. Pagano si distinse sostenendo altre leggi di capitale importanza
come quella sull'abolizione dei fedecommessi (10 febbraio), sull'abolizione
delle servitù feudali (5 marzo), del testatico (22 aprile), della tortura (1º
maggio). Morte Con la caduta della Repubblica, Pagano, dopo aver
imbracciato le armi che difesero strenuamente gli ultimi fortilizi della città
assediati dalle truppe borboniche, venne arrestato e rinchiuso nella
"fossa del coccodrillo", la segreta più buia e malsana del Castel
Nuovo. Venne in seguito trasferito nel carcere della Vicaria e ai primi di
agosto nel Castel Sant'Elmo. Giudicato con un processo sbrigativo e
approssimato, Pagano venne condannato a morte per impiccagione. A nulla era
valso l'appello di clemenza da parte dei regnanti europei, tra cui lo zar Paolo
I, che scrisse al re Ferdinando: «Io ti ho mandato i miei battaglioni, ma tu
non ammazzare il fiore della cultura europea; non ammazzare Mario Pagano, il
più grande giurista dei nostri tempi».[7] Fu giustiziato in Piazza Mercato il
29 ottobre 1799, assieme ad altri repubblicani come Domenico Cirillo, Giorgio
Pigliacelli e Ignazio Ciaia. Secondo Giuseppe Poerio, Pagano, salendo sul
patibolo, pronunciò la seguente frase: «Due generazioni di vittime e di
carnefici si succederanno, ma l'Italia, o signori, si farà.[8]»
Pensiero Proclami e sanzioni della Repubblica napoletana, aggiuntovi il
progetto di Costituzione di Mario Pagano, a cura di Carlo Colletta, 1863 Il
pensiero di Pagano, giurista, filosofo, letterato, esponente fra i più
rilevanti dell'Illuminismo meridionale, merita di essere preso in esame dalla
nostra prospettiva per la visione consegnata ai Saggi politici, un'opera a
carattere a un tempo filosofico, politico, storico e di filosofia della storia,
che può definirsi di ‘filosofia civile' per l'ispirazione complessiva e il
disegno di fondo in cui i diversi elementi della sua multiforme natura sono
orientati verso un unico obiettivo. E anche per la filosofia politica, che
emerge in tutta la sua peculiarità da un lavoro pur dai caratteri tecnici
obbligati come il Progetto di Costituzione della Repubblica napoletana, da lui
personalmente redatto. Opere Francisci Marii Pagani Burgentini Politicum
universae Romanorum nomothesiae examen libro singulari in treis parteis diviso
comprehensum, Neapoli, Josephus Raymundus jure legitimeque excudebat, 1768;
Francisci Marii Pagani Oratio ad comitem Alexium Orlow virum immortalem
victrici moschorum classi in expeditione in mediterraneum mare summo cum
imperio praefectum, [dopo il 1770]; Gli Esuli tebani. Tragedia di Francesco
Mario Pagano, Napoli, s.e., 1777; Contro Sabato Totaro, reo dell'omicidio di D.
Giuseppe Gensani in grado di nullità aringo secondo di Francesco Mario Pagano,
Napoli, s.n., 1784; Il Gerbino tragedia e l'Agamennone monodramma-lirico
dell'avvocato Francesco Mario Pagano, Regio Professore di Diritto Criminale
nell'Università napoletana, Napoli, presso i Fratelli Raimondi, 1787;
Considerazioni di Francesco Mario Pagano sul processo criminale, In Napoli,
nella Stamperia Raimondiana, 1787; Ragionamento sulla libertà del commercio del
pesce in Napoli. Diretto al Regio Tribunale dell'Ammiragliato e Consolato di
Mare da Francesco Mario Pagano, Napoli, s.n., 1789; Corradino tragedia di
Francesco Mario Pagano, Napoli, presso Filippo Raimondi, 1789; De' saggi
politici di Francesco Mario Pagano, In Napoli, a spese di Filippo Raimondi,
1792; L' Emilia. Commedia in cinque atti di Francesco Mario Pagano, Napoli,
presso Filippo Raimondi, 1792; Saggi politici de' principii, progressi e
decadenza della società di Francesco Mario Pagano, voll. 1-3, Napoli,
1792-1799; Discorso recitato nella Società di Agricoltura, Arti e Commercio di
Roma nella pubblica seduta del di 4 complementario anno 6° della libertà, Roma,
presso il cittadino V. Poggioli, anno VI (1798); Considerazioni di Francesco
Mario Pagano sul processo criminale, Milano, nella Tipografia Milanese di Tosi
e Nobile contrada nuova, 1801; Principj del codice penale e logica de'
probabili per servire di teoria alle pruove nei giudizj criminali di Francesco
Mario Pagano opera postuma con alcune note: ed aggiuntovi in fine un trattatino
sui principj del codice di polizia, Napoli, dalla tipografia di Raffaele Di
Napoli, 1819. Le opere teatrali di Pagano non furono mai rappresentate in
pubblico, mentre sembra che l'autore soleva metterle in scena privatamente
nella sua casa dell'Arenella. Sono caratterizzate da temi prevalentemente
sentimentali mascherando i temi civili che pur in esse erano presenti, con
funzione quindi pedagogica nei confronti del popolo. Intitolazioni e
dediche Statua di Mario Pagano a Brienza (PZ) Al giurista lucano sono
state dedicate alcune opere letterarie come Catechismo repubblicano in sei
trattenimenti a forma di dialoghi (1799) di Francesco Astore e Mario Pagano,
ovvero, della immortalità (1845) di Terenzio Mamiani. Nel 1863, nella Corte
d'Assise di Potenza fu collocato un busto marmoreo in suo onore, opera di
Antonio Busciolano. Nel 1865, gli venne dedicato il Convitto nazionale Mario
Pagano di Campobasso, con regio decreto firmato da Vittorio Emanuele II. Alcune
logge massoniche furono intitolate a suo nome, come quella di Lecce, nata nel
1864,[9] e di Potenza, sorta nel 1886.[10] Nel 1908, venne inaugurato un busto
in marmo ai giardini del Pincio (Roma), realizzato da Giuseppe Guastalla. Nel
2004, il suo personaggio apparve nel film Il resto di niente di Antonietta De
Lillo, interpretato da Mimmo Esposito. Note ^ Elio Palombi, Mario Pagano e la
scienza penalistica del secolo XIX, Giannini, 1979, p.52 ^ Fulvio Tessitore,
Comprensione storica e cultura, Guida, 1979, p.27 ^ Petronilla Reina Gorini,
Ricordanze di trenta illustri italiani, Minerva, 1839, p.92 ^ Nico Perrone, La
Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della
rivoluzione. Con la corrispondenza massonica e altri documenti, Palermo,
Sellerio, 2006, p. 70. ^ A. Pace, Annuario 2007. Problemi pratici della laicità
agli inizi del secolo XXI, Wolters Kluwer Italia, 2008, p.38 ^ Mario D'Addio,
Le Costituzioni italiane: 1796-1799, Colombo, 1993, p,21 ^ Ottorino Gurgo,
Lazzari: una storia napoletana, Guida, 2005, p.310 ^ Saverio Cilibrizzi, I
grandi Lucani nella storia della nuova Italia, Conte, 1956, p.75 ^ Alessandro
Luzio, La massoneria e il Risorgimento italiano: saggio storico-critico, Volume
1, Forni, 1925, p.153 ^ Vittorio Prinzi, Tommaso Russo, La massoneria in
Basilicata, FrancoAngeli, 2012, p.51 Bibliografia Carlo Colletta (a cura di),
Proclami e sanzioni della repubblica napoletana, aggiuntovi il progetto di
Costituzione di Mario Pagano, Napoli, Stamperia dell'Iride, 1863. Dario
Ippolito, Mario Pagano. Il pensiero giuspolitico di un illuminista, Torino,
Giappichelli Editore, 2008. Nico Perrone, La Loggia della Philantropia. Un
religioso danese a Napoli prima della rivoluzione, Palermo, Sellerio, 2006.
Franco Venturi (a cura di), Illuministi italiani, tomo V, Riformatori
napoletani, Milano-Napoli, Ricciardi, 1962. Voci correlate Repubblica
Napoletana (1799) Repubblicani napoletani giustiziati nel 1799-1800 Emanuele De
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dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata Francesco Mario Pagano,
in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
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Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Francesco Mario Pagano, su
Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Francesco Mario
Pagano, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata
Considerazioni sul processo criminale, su trani-ius.it. Progetto di
Costituzione della Repubblica Napoletana, su repubblicanapoletana.it. Principii
del codice penale, su trani-ius.it. Relazione al Convegno di Brienza su Mario Pagano,
del 25-27 ottobre 1999, su trani-ius.it. V · D · M Illuministi italiani
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Sicilie Categorie: Giuristi italiani del XVIII secoloFilosofi italiani del
XVIII secoloPolitici italiani del XVIII secoloNati nel 1748Morti nel 1799Nati
l'8 dicembreMorti il 29 ottobreNati a BrienzaMorti a NapoliPersone giustiziate
per impiccagioneIlluministiFilosofi del dirittoMassoniPersonalità della
Repubblica Napoletana (1799)Studiosi di diritto penale del XVIII secolo[altre]
Paggi
– essential Italian philosopher Angelo Paggi Da Wikipedia, l'enciclopedia
libera. Jump to navigationJump to search Angelo Paggi, nato Mordecai (Siena, 4
maggio 1789 – Firenze, 7 giugno 1867), è stato un filosofo, letterato e
orientalista italiano, padre di Felice Paggi. Maestro di cultura ebraica,
insegnò l'ebraico a Fausto Lasinio, Giovanni Tortoli e a padre Mauro
Ricci[1]. Indice 1 Cenni biografici 2 Note 3 Bibliografia
4 Collegamenti
esterni Cenni biografici Svolse per diversi anni l'attività di mercante nella
sua città natale. Nel 1829, all'età di 40 anni, abbandonò il commercio ed aprì
un istituto israelitico per l'istruzione dei bambini. Fu insegnante ed
educatore nello stesso istituto, sviluppando un metodo logico, facile ed ameno
insieme. Cambiò nome da Mordecai ad Angelo.
La Comunione israelita lo volle a Firenze, dove il Paggi si trasferì nel
1836 con la moglie e i cinque figli. Insegnò per dieci anni nelle Pie Scuole
Israelitiche fiorentine, mentre i figli Alessandro e Felice avviarono nel 1841
una casa editrice. Tra i testi pubblicati vi furono anche le opere del padre,
apparse nella collana «Biblioteca Scolastica». Angelo Paggi scrisse inoltre una
grammatica e un lessico ebraici per i suoi figli. Per opera della moglie Benvenuta Bemporad,
sorse a Firenze un istituto femminile israelitico, diretto dalle figlie Olimpia
ed Ottavia. Note ^ G. Bedarida, Ebrei
d'Italia, Livorno, Società editrice Tirrena, 1950, p. 115. Bibliografia Maria
Jole Minicucci, Una libreria fiorentina del Risorgimento, Firenze, Cartografica
Sergio Ciulli e F.lli s.n.c., 1975. Collegamenti esterni «Paggi, Angelo», la
voce nella Jewish Encyclopedia. URL visitato il 17 agosto 2013. Controllo di
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italianiOrientalisti italianiNati nel 1789Morti nel 1867Nati il 4 maggioMorti
il 7 giugnoNati a SienaMorti a FirenzeEbrei italianiInsegnanti italiani del XIX
secolo[altre]
Pagliaro
essential Italian philosopher Antonino Pagliaro Da
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Pagliaro negli anni '60 Antonino Pagliaro (Mistretta, 1º gennaio 1898 –
Mistretta, 6 dicembre1973) è stato un linguista, glottologo, filosofo e
accademico italiano. Iranista, critico letterario, filosofo del linguaggio, fu
uno dei fondatori della scuola linguistica romana[1][2]. Fra i padri della
semiologia italiana, ha introdotto in Italia gli studi sul pensiero
linguistico.[3] Indice 1 Biografia
2 Pensiero
3 Opere
3.1 Saggi
principali 3.1.1 In
altre lingue 3.2 Romanzi
4 Onorificenze
5 Note
6 Bibliografia
7 Voci
correlate 8 Collegamenti
esterni Biografia Dopo il diploma al Regio Ginnasio di Mistretta[4], si
iscrisse al corso di laurea in lettere dell'Università di Palermo, dove ebbe,
tra gli altri, come docenti Oreste Nazari, Giuseppe Pitrè, Giovanni Gentile e
Cosmo Guastella. Si trasferì poi all'Università di Firenze dove subì
l'influenza di Girolamo Vitelli, Carlo Antoni e Ermenegildo Pistelli. Scoppiata
la prima guerra mondiale, nel 1917 partecipò volontario come sottotenente del
Corpo degli arditi, e fu insignito della medaglia d'argento al valor militare.
Nel 1919 si iscrisse all'Associazione Nazionalista Italiana e sempre nel 1919
prese parte all'Impresa di Fiume al seguito di D'Annunzio. Nel 1921 si laureò
con lode presentando due tesine, una di sanscrito e l'altra di linguistica storica,
quindi discutendo con Ernesto Giacomo Parodi e Giorgio Pasquali la tesi Il
digamma in Omero (di 257 pagine dattiloscritte più un'appendice di 7 pagine),
poi pubblicata. Negli anni 1922-24, trascorse un periodo di studio in
Germania, seguendo corsi di linguistica indoeuropea e greco-latina di Karl
Meister e quelli di iranistica di Christian Bartholomae. Nel 1925, seguì i
corsi di Paul Kretschmer a Vienna. Ritornato in Italia, conseguì la libera
docenza in indoeuropeistica e iranistica nel 1926, quindi fu chiamato da Luigi
Ceci ad insegnare, per incarico, Filologia iranica e Storia comparata delle
lingue classiche all'Università di Roma. Nel 1931, vinto un concorso a
cattedre, divenne ordinario di glottologia, nuova disciplina che ereditava il
corso di Storia comparata delle lingue classiche. Insegnò anche "Storia e
dottrina del fascismo" alla Facoltà di Giurisprudenza[5] e "Mistica
fascista" alla Facoltà di Magistero. Aderì nel 1923 al Partito
nazionale fascista e ne fu uno degli intellettuali di spicco, presiedendo anche
alcune edizioni dei Littoriali della cultura e dell'arte, che ogni anno
raccoglievano i migliori universitari italiani. Fu primo capo redattore
dell'Enciclopedia Italiana dal 1925 al 1929[6], dove curò numerose voci, fin
quando non entrò in contrasto con il conterraneo Giovanni Gentile, che dirigeva
l'opera. Non figura tra gli accademici d'Italia[7], ma nel 1937 fu eletto al
Consiglio superiore dell'educazione nazionale, dove rimase fino allo
scioglimento nel 1943[8]. Fu voluto da Mussolini alla guida del
Dizionario di politica dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, una ponderosa
opera in quattro volumi, completata nel 1940, che raccolse le migliori
intelligenze del fascismo, ma anche qualche intellettuale
"eretico"[9]. Il suo nome compare tra i 360 docenti universitari che
nel 1938 aderirono al Manifesto della razza, premessa alle successive leggi
razziali fasciste, anche se il suo allievo Tullio De Mauro scrive che egli
dissentì dalla politica razziale del fascismo[10]. Con la caduta del Regime
fascista, fu sospeso nel 1944 dall'insegnamento per due anni. Reintegrato nel
1946 nella cattedra universitaria, dal 1951 insegnò Filosofia del linguaggio
alla Sapienza di Roma. Nel 1954 fu presidente della sezione
"Archeologia, Filologia, Glottologia" della Società Italiana per il
Progresso delle Scienze[11]. Fu presidente del Consiglio Superiore della
Pubblica Istruzione e, dal 1952, prima socio corrispondente poi, dal 1966,
socio nazionale dell'Accademia Nazionale dei Lincei[12]. Fu anche direttore
editoriale, per la Fabbri Editori, della Enciclopedia di Scienze e Arti. Nel
1947 fu rieletto, con larghissimi consensi, al Consiglio superiore della
Pubblica Istruzione, dove rimase fino al 1969. Dal 1958 fu nel comitato
scientifico dell'Istituto nazionale di studi politici ed economici. Fu
promotore e direttore della rivista Ricerche linguistiche e presiedette la
sezione filologica del Centro di studi filologici e linguistici
siciliani[13]. Fu candidato alla Camera per il Partito Monarchico Popolare
nel 1958 nella circoscrizione Sicilia orientale [14] e al Senato nel collegio
Roma IV [15], ma non fu eletto. Negli anni '60, la Rai trasse un sorprendente
sceneggiato per la televisione da un suo testo che dava una nuova
interpretazione della vicenda di Alessandro Magno. Negli anni '50 e '60, fu
membro della giuria del premio Marzotto. Lasciò anticipatamente
l'insegnamento universitario nel 1969. Dal 1983 l'università di Palermo e la
città di Mistretta hanno istituito, in sua memoria, il “Premio internazionale
per la linguistica Antonino Pagliaro”. Pensiero Come filologo e
orientalista, Pagliaro ha esplorato soprattutto l'antico e medio persiano, la
lingua della Grecia classica, quindi il latino classico e medievale, nonché
l'italiano dei tempi di Dante – cui ha dedicato varie opere[16] – e della
scuola siciliana. Come critico letterario e glottologo, diede nuove, originali
interpretazioni di Vico, D'Annunzio e Pirandello.[17][18] In ambito
linguistico, già nel suo Sommario di linguistica arioeuropea del 1930, che
comprendeva oltre le lezioni dei suoi primi corsi universitari anche innovative
linee di ricerca e nuove idee, delinea una nuova prospettiva di approccio e di
indagine delle varie questioni linguistiche la quale viene condotta parallelamente
ad un confronto storico-critico con l'evoluzione del pensiero filosofico dalla
grecità alla filosofia classica tedesca. Al contempo, Pagliaro abbozzava in
esso prime idee sulla natura del linguaggio inteso fondamentalmente come
tecnica espressiva, allontanandosi così dall'idealismo crociano per avvicinarsi
piuttosto al positivismo, ed analizzando in modo approfondito, ma al contempo
trasversalmente alle varie discipline, la natura e la struttura dell'atto
linguistico fra due interlocutori basandosi sia sull'indagine semantica
(mediante un metodo che egli chiama "critica semantica") che
sull'interpretazione storico-critica, fino a considerare il linguaggio come una
forma di interazione semiotica condizionata storicamente da una tecnica funzionale,
la lingua.[19] Nel simbolismo linguistico (soprattutto fonetico) poi, afferma
Pagliaro ne Il segno vivente (1952), riecheggiano non solo l'individualità ed
il vissuto dell'interlocutore ma anche la storia dell'intera umanità a cui egli
appartiene come "soggetto storico".[20] In estrema sintesi, si
può dire che la sua teoria linguistica è una posizione unificata tra lo
strutturalismo saussuriano e l'idealismo hegeliano. Opere Saggi
principali Epica e romanzo nel Medioevo Persiano, G.C. Sansoni, Firenze, 1927.
Sommario di linguistica arioeuropea, 2 voll., Libreria di Scienze e Lettere
Dott. G. Bardi, Roma, 1930. Il fascismo: commento alla dottrina, Libreria di
Scienze e Lettere Dott. G. Bardi, Roma, 1933. La lingua dei Siculi, Tip. Enrico
Ariani, Firenze, 1935. Il fascismo contro il comunismo, F. Le Monnier, Firenze,
1938. La scuola fascista, A. Mondadori, Milano, 1939. Dizionario di Politica (a
cura di), Istituto dell'Enciclopedia Italiana G. Treccani, Roma, 1940. Insegne
e miti: teoria dei valori politici, F. Ciuni Editore, Palermo, 1940. Il
fascismo nel solco della storia, Società Editrice del Libro Italiano, Roma,
1941. Le Iscrizioni Pahlaviche della Sinagoga di Dura-Europo, Pubblicazioni
della R. Accademia d'Italia, Roma, 1942. Storia e Dottrina del fascismo, Tip.
R. Pioda, Roma, 1942. Teoria dei valori politici, F. Ciuni Editore, Palermo,
1943. Logica e grammatica, Tipografia del Senato del Dott. G. Bardi, Roma,
1950. Il canto V dell'"Inferno", C. Signorelli, Milano, 1952. Il
segno vivente, Edizioni ERI-RAI, Torino, 1952. Saggi di critica semantica, G.
D'Anna, Messina-Firenze, 1953. Il contrasto di Cielo d'Alcamo e poesia
popolare, Tip. G. Mori & figli, Palermo, 1953. Linguistica della
"parola", G. D'Anna, Messina-Firenze, 1955. Nuovi saggi di critica
semantica, G. D'Anna, Messina-Firenze, 1956. I primordi della lirica popolare
in Sicilia, G.C. Sansoni, Firenze, 1956. La Barunissa di Carini: stile e
struttura, G.C. Sansoni, Firenze, 1956. Filosofia del linguaggio, Edizioni
dell'Ateneo, Roma, 1956. La parola e l'immagine, Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli, 1957. Poesia giullaresca e poesia popolare, G. Laterza &
figli, Bari, 1958. La dottrina linguistica di G.B. Vico, Atti dell'Accademia
Nazionale dei Lincei (Memorie della Classe di Scienze morali, storiche e filosofiche),
Roma, 1959 (Vol. 8, Fasc. 6, pp. 379–486). Storia della letteratura persiana
(con A. Bausani), La Nuova Italia, Firenze, 1960. Il Canto XIX dell'Inferno, F.
Le Monnier, Firenze, 1961. Altri saggi di critica semantica, G. D'Anna,
Messina-Firenze, 1961. Linee di storia linguistica dell'Europa, Edizioni
dell'Ateneo, Roma, 1963. L'unità arioeuropea. Corso di Glottologia, Edizioni
dell'Ateneo, Roma, 1963. Ulisse. Ricerche semantiche sulla Divina Commedia, 2
voll., G. D'Anna, Messina-Firenze, 1967. Forma e Tradizione, Flaccovio,
Palermo, 1972. La forma linguistica (con T. De Mauro), Rizzoli, Milano, 1973.
Vocabolario etimologico siciliano, Pubblicazioni del Centro di studi filologici
e linguistici siciliani, Palermo, 1975. Storia della linguistica, Novecento
Editore, Palermo, 1993 (pubblicato postumo). Commento incompiuto all'Inferno di
Dante. Canti I-XXVI, Casa Editrice Herder, Roma, 1999 (pubblicato postumo). In
altre lingue El Fascismo: comentario a su doctrina (in spagnolo), La Editorial
Vizcaina, Bilbao (ES), 1938. El fascismo contra el comunismo (in spagnolo), F.
Le Monnier, Firenze, 1939. O fascismo contra o comunismo (in portoghese), F. Le
Monnier, Firenze, 1940. Romanzi Ceneri sull'olimpo, G.C. Sansoni, Firenze,
1954. Alessandro Magno, Edizioni ERI-RAI, Torino, 1960. Ironia e verità,
Rizzoli, Milano, 1970 (raccolta di elzeviri).[21] Onorificenze Medaglia
d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'argento al valor militare
«Sottotenente di complemento, 32º reggimento di fanteria - Aiutante maggiore in
2a in un battaglione di riserva, vista ripiegare una nostra colonna d'attacco,
riordinava i ripiegandi e li guidava al contrattacco, respingeva il nemico che
già aveva occupato un tratto della nostra linea. In un successivo attacco,
sotto un intenso bombardamento e il fuoco di mitragliatrici avversarie, dava
mirabile esempio di coraggio e di fermezza indirizzando intelligentemente i
rinforzi nei punti più minacciati e facilitando così la conquista di ben munite
e contrastate posizioni.» — Monte Asolone, 29 ottobre 1918[22] Note ^ Cfr.
Marina De Palo, Stefano Gensini (a cura di), Saussure e la scuola linguistica
romana. Da Antonino Pagliaro a Tullio De Mauro, Carocci Editore, Roma, 2018. ^
La scuola linguistica romana ^ Cfr. Donatella Di Cesare, "Antonino
Pagliaro and the History of Linguistic Thought", in: Italian Studies in
Linguistic Historiography. Proceedings of the International Conference in
Honour of Antonino Pagliaro. Rome, 23-24 January 1992, Edited by T. De Mauro
and L. Formigani, Nodus Publikationen, Münster (DE), 1994, pp. 45-67. ^ [1] ^
Cfr. Alessia Pedio, La cultura del totalitarismo imperfetto, Unicopli, Milano,
2000, pag. 24. ^ Cfr. Pagliaro, Antonino, in Treccani.it – Enciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. ^ Cfr. Gabriele Turi, Sorvegliare e
premiare. L'Accademia d’Italia, 1926-1944, Viella, Roma 2016, pp. 197-211. ^
Cfr. PAGLIARO, Antonino, in Dizionario biografico degli italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. ^ Cfr. Alessia Pedio, La cultura del
totalitarismo imperfetto, Unicopli, Milano, 2000. ^ Cit. ^ Cfr. Riunioni Del
Secolo XX ^ Cfr. Riunioni Accademia Nazionale dei Lincei ^ Centro di studi
filologici e linguistici siciliani » La storia, su csfls.it. URL consultato il 29
dicembre 2014 (archiviato dall'url originale l'11 dicembre 2014). ^ Cfr.
Mininterno Camera ^ Mininterno Senato ^
http://opar.unior.it/386/1/Filologia_dantesca_di_Pagliaro.pdf ^ Cfr. Donatella
Di Cesare, "Premessa", Lumina. Rivista di Linguistica Storica e di
Letteratura Comparata, Marzo 2018, p. 11. ^ Cfr. pure E. Salvaneschi, "Su
Attila Fáj, maestro di «molti paragoni»", Campi immaginabili.
Rivista semestrale di cultura, NN. 52/53, Anno 2015. ^ Cfr. Tullio De
Mauro, Prima lezione sul linguaggio, Editori Laterza, Roma-Bari, 2002, Cap. V.
^ Cfr. Tullio De Mauro, cit., Cap. II. ^ La fede del diavolo ^ Istituto Nastro
Azzurro Bibliografia AA.VV., Studia classica et orientalia. Antonino Pagliaro
oblata. Saggi in onore di Antonino Pagliaro, 3 voll., Casa Editrice Herder,
Roma, 1969. Donatella Di Cesare, "Antonino Pagliaro and the History of
Linguistic Thought", in: Italian Studies in Linguistic Historiography.
Proceedings of the International Conference in Honour of Antonino Pagliaro.
Rome, 23-24 January 1992, Edited by T. De Mauro and L. Formigari, Nodus
Publikationen, Münster (DE), 1994, pp. 45–67. ISBN 3893233067. Marina De Palo,
Stefano Gensini (a cura di), Saussure e la scuola linguistica romana. Da
Antonino Pagliaro a Tullio De Mauro, Carocci Editore, Roma, 2018. ISBN
9788843089642. Aldo Vallone, "La „Lectura Dantis” di Antonino
Pagliaro", in Deutsches Dante-Jahrbuch, Edited by Christine Ott, Volume
73, Issue 3, Year 1998, Pages 119–126. Walter Belardi (a cura di), Studi latini
e romanzi in memoria di Antonino Pagliaro, Pubblicazioni del Dipartimento di
Studi glottoantropoligici dell'Università di Roma La Sapienza, Roma, 1984. Aldo
Vallone, «Pagliaro, Antonino» in Enciclopedia Dantesca, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana G. Treccani, Roma, 1970. M. Durante, T. De Mauro, B.
Marzullo, Antonino Pagliaro (1898-1973), Pubblicazioni dell'Accademia di
Scienze, Lettere e Arti di Palermo, Palermo, 1974. Giuliano Bonfante, Antonino
Pagliaro, Pubblicazioni dell'Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 1976. Walter
Belardi, Antonino Pagliaro nel pensiero critico del Novecento, Casa Editrice Il
Calamo, Roma, 1992. Donatella Di Cesare (a cura di), Storia della filosofia del
linguaggio, Carocci Editore, Roma, 2010. Tullio De Mauro, Lia Formigari (Eds.),
Italian Studies in Linguistic Historiography. Proceedings of the International
Conference in Honour of Antonino Pagliaro. Rome, 23-24 January 1992, Nodus
Publikationen, Münster (DE), 1994. ISBN 3893233067. Alessia Pedio, La cultura
del totalitarismo imperfetto. Il Dizionario di politica del Partito nazionale
fascista, prefazione di Adrian Lyttelton, Unicopli, Milano, 2000. Alessandra
Tarquini, Il Gentile dei fascisti: gentiliani e antigentiliani nel regime
fascista, Società editrice il Mulino, Bologna, 2009. Andrea Battistini, Gli studi
vichiani di Antonino Pagliaro, Guida Editori, Napoli, 1977. Tullio De Mauro,
Antonino Pagliaro, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, 2014, su
treccani.it. Voci correlate Enciclopedia Italiana Dizionario di Politica
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Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
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dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Antonino Pagliaro, in
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Modifica su Wikidata Opere di Antonino Pagliaro, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Antonino Pagliaro, su Open
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Linguistica Categorie: Linguisti italianiGlottologi italianiFilosofi italiani
del XX secoloNati nel 1898Morti nel 1973Nati il 1º gennaioMorti il 6
dicembreNati a MistrettaMorti a MistrettaAccademici dei LinceiOrientalisti
italianiSemiologi italianiPersonalità dell'Italia fascistaMedaglie d'argento al
valor militareProfessori della Sapienza - Università di RomaPersone legate
all'Università degli Studi di PalermoMembri del Centro di studi filologici e
linguistici siciliani[altre]
paine:
philosopher, revolutionary defender of democracy and human rights, and champion
of popular radicalism in three countries. Born in Thetford, England, he emigrated
to the colonies in 1774 (but was never
accepted by the descendants of the Mayfower), and moved to France, where he was
made a proper French citizen in 1792. In
1802 he returned to the United States (as that section of the New World was
then called), where he was rebuffed by the public because of his support for
the Revolution. Paine was the bestknown
polemicist for the Revolution. In many
incendiary pamphlets, he called for a new, more democratic republicanism. His
direct style and uncompromising egalitarianism had wide popular appeal. In
Common Sense 1776 Paine asserted that commoners were the equal of the landed
aristocracy, thus helping to spur colonial resentments sufficiently to support
independence from Britain. The sole basis of political legitimacy is universal,
active consent; taxation without representation is unjust; and people have the
right to resist when the contract between governor and governed is broken. He
defended the Revolution in The Rights of
Man 179, arguing against concentrating power in any one individual and against
a property qualification for suffrage. Since natural law and right reason as
conformity to nature are accessible to all rational persons, sovereignty
resides in human beings and is not bestowed by membership in class or nation.
Opposed to the extremist Jacobins, he helped write, with Condorcet, a
constitution to secure the Revolution. The Age of Reason 1794, Paine’s most
misunderstood work, sought to secure the social cohesion necessary to a
well-ordered society by grounding it in belief in a divinity. But in supporting
deism and attacking established religion as a tool of enslavement, he alienated
the very laboring classes he sought to enlighten. A lifelong adversary of
slavery and supporter of universal male suffrage, Paine argued for
redistributing property in Agrarian Justice 1797.
Palazzani
essential Italian philosopher female?
palæo-Griceian:
Within the Oxford group, Grice was the first, and it’s difficult to find a
precursor. It’s obviously Grice was not motivated to create or design his
manoeuvre to oppose a view by Ryle – who cared about Ryle in the playgroup?
None – It is obviously more clear that Grice cared a hoot about Vitters,
Benjamin, and Malcolm. So that leaves us with the philosophers Grice personally
knew. And we are sure he was more interested in criticizing Austin than his own
tutee Strawson. So ths leaves us with Austin. Grice’s manoeuvre was intended
for Austin – but he waited for Austin’s demise to present it. Even though the
sources were publications that were out there before Austin died (“Other
minds,” “A plea for excuses”). So Grice is saying that Austin is wrong, as he
is. In order of seniority, the next was Hart (who Grice mocked about
‘carefully’ in Prolegomena. Then came more or less same-generational Hare (who
was not too friendly with Grice) and ‘to say ‘x is good’ is to recommend x’ (a
‘performatory fallacy’) and Strawson with ‘true’ and, say, ‘if.’ So, back to
the palaeo-Griceian, surely nobody was in a position to feel a motivation to
criticise Austin, Hart, Hare, and Strawson! When philosophers mention this or
that palaeo-Griceian philosopher, surely the motivation was different. And a
philosophical manoevre COMES with a motivation. If we identify some previous
(even Oxonian) philosopher who was into the thing Grice is, it would not have
Austin, Hart, Hare or Strawson as ‘opponents.’ And of course it’s worse with
post-Griceians. Because, as Grice says, there was no othe time than post-war
Oxford philosophy where “my manoeuvre would have make sense.’ If it does, as it
may, post-Grice, it’s “as derivative” of “the type of thing we were doing back
in the day. And it’s no fun anymore.” “Neo-Griceian” is possibly a misnomer. As
Grice notes, “usually you add ‘neo-’ to sell; that’s why, jokingly, I call
Strawson a neo-traditionalist; as if he were a bit of a neo-con, another
oxymoron, as he was!’That is H. P. Grice was the first member of the play group
to come up with a system of ‘pragmatic rules.’ Or perhaps he wasn’t. In any
case, palaeo-Griceian refers to any attempt by someone who is an Oxonian
English philosopher who suggested something like H. P. Grice later did! There
are palaeo-Griceian suggestions in Bradley – “Logic” --, Bosanquet, J. C.
Wilson (“Statement and inference”) and a few others. Within those who
interacted with Grice to provoke him into the ‘pragmatic rule’ account were two
members of the play group. One was not English, but a Scot: G. A. Paul. Paul
had been to ‘the other place,’ and was at Oxford trying to spread Witters’s
doctrine. The bafflement one gets from “I certainly don’t wish to cast any
doubt on the matter, but that pillar box seems red to me; and the reason why it
is does, it’s because it is red, and its redness causes in my sense of vision
the sense-datum that the thing is red.” Grice admits that he first came out
with the idea when confronted with this example. Mainly Grice’s motivation is
to hold that such a ‘statement’ (if statement, it is, -- vide Bar-Hillel) is
true. The other member was English: P. F. Strawson. And Grice notes that it was
Strawson’s Introduction to logical theory that motivated him to apply a
technique which had proved successful in the area of the philosophy of
perception to this idea by Strawson that Whitehead and Russell are ‘incorrect.’
Again, Grice’s treatment concerns holding a ‘statement’ to be ‘true.’ Besides
these two primary cases, there are others. First, is the list of theses in
“Causal Theory.” None of them are assigned to a particular philosopher, so the
research may be conducted towards the identification of these. The theses are,
besides the one he is himself dealing, the sense-datum ‘doubt or denial’ implicaturum:
One, What is actual is not also possible. Two, What is known to be the case is
not also believed to be the case. Three, Moore was guilty of misusing the
lexeme ‘know.’ Four, To say that someone is responsible is to say that he is
accountable for something condemnable. Six, A horse cannot look like a horse.
Now, in “Prolegomena” he add further cases. Again, since this are
palaeo-Griceian, it may be a matter of tracing the earliest occurrences. In
“Prolegomena,” Grice divides the examples in Three Groups. The last is an easy
one to identity: the ‘performatory’ approach: for which he gives the example by
Strawson on ‘true,’ and mentions two other cases: a performatory use of ‘I
know’ for I guarantee; and the performatory use of ‘good’ for ‘I approve’
(Ogden). The second group is easy to identify since it’s a central concern and
it is exactly Strawson’s attack on Whitehead and Russell. But Grice is clear
here. It is mainly with regard to ‘if’ that he wants to discuss Strawson, and
for which he quotes him at large. Before talking about ‘if’, he mentions the
co-ordinating connectives ‘and’ and ‘or’, without giving a source. So, here
there is a lot to research about the thesis as held by other philosophers even
at Oxford (where, however, ‘logic’ was never considered a part of philosophy
proper). The first group is the most varied, and easier to generalise, because
it refers to any ‘sub-expression’ held to occur in a full expression which is
held to be ‘inappropriate.’ Those who judge the utterance to be inappropriate
are sometimes named. Grice starts with Ryle and The Concept of Mind –
palaeo-Griceian, in that it surely belongs to Grice’s previous generation. It
concerns the use of the adverb ‘voluntary’ and Grice is careful to cite Ryle’s
description of the case, using words like ‘incorrect,’ and that a ‘sense’
claimed by philosophers is an absurd one. Then there is a third member of the
playgroup – other than G. A. Paul and P. F. Strawson – the Master Who Wobbles,
J. L. Austin. Grice likes the way Austin offers himself as a good target –
Austin was dead by then, and Grice would otherwise not have even tried – Austin
uses variables: notably Mly, and a general thesis, ‘no modification without
aberration.’ But basically, Grice agrees that it’s all about the ‘philosophy of
action.’ So in describing an agent’s action, the addition of an adverb makes
the whole thing inappropriate. This may relate to at least one example in
“Causal” involving ‘responsible.’ While Grice there used the noun and
adjective, surely it can be turned into an adverb. The fourth member of the
playgroup comes next: H. L. A. Hart. Grice laughs at Hart’s idea that to add
‘carefully’ in the description of an action the utterer is committed to the
idea that the agent THINKS the steps taken for the performance are reasonable.
There is a thesis he mentions then which alla “Causal Theory,” gets uncredited
– about ‘trying.’ But he does suggest Witters. And then there is his own ‘doubt
or denial’ re: G. A. Paul, and another one in the field of the philosophy of
perception that he had already mentioned vaguely in “Causal”: a horse cannot
look like a horse. Here he quotes Witters in extenso, re: ‘seeing as.’ While
Grice mentions ‘philosophy of action,’ there is at least one example involving
‘philosophical psychology’: B. S. Benjamin on C. D. Broad on the factiveness of
‘remember.’ When one thinks of all the applications that the ‘conversational
model’ has endured, one realizes that unless your background is philosophical,
you are bound not to realise the centrality of Grice’s thesis for philosophical
methodology.
palæo-Kantian: Kantian, neo-Kantian. Cohen, Hermann – Grice liked to
think of himself as a neo-Kantian (“rather than a palaeo-Kantian, you see”)
-- philosopher who originated and led,
with Paul Natorp, the Marburg School of neo-Kantianism. He taught at Marburg.
Cohen wrote commentaries on Kant’s Critiques prior to publishing System der
Philosophie 212, which consisted of parts on logic, ethics, and aesthetics. He
developed a Kantian idealism of the natural sciences, arguing that a transcendental
analysis of these sciences shows that “pure thought” his system of Kantian a
priori principles “constructs” their “reality.” He also developed Kant’s ethics
as a democratic socialist ethics. He ended his career at a rabbinical seminary
in Berlin, writing his influential Religion der Vernunft aus den Quellen des
Judentums “Religion of Reason out of the Sources of Judaism,” 9, which
explicated Judaism on the basis of his own Kantian ethical idealism. Cohen’s
ethical-political views were adopted by Kurt Eisner 18679, leader of the Munich
revolution of 8, and also had an impact on the revisionism of orthodox Marxism
of the G. Social Democratic Party, while his philosophical writings greatly
influenced Cassirer.
paley: English moral philosopher and
theologian. He was born in Peterborough and educated at Cambridge, where he
lectured in moral philosophy, divinity, and Grecian New Testament before
assuming a series of posts in the C. of E., the last as archdeacon of Carlisle.
The Principles of Moral and Political Philosophy first introduced
utilitarianism to a wide public. Moral obligation is created by a divine
command “coupled” with the expectation of everlasting rewards or punishments.
While God’s commands can be ascertained “from Scripture and the light of
nature,” Paley emphasizes the latter. Since God wills human welfare, the
rightness or wrongness of actions is determined by their “tendency to promote
or diminish the general happiness.” Horae Pauline: Or the Truth of the
Scripture History of St Paul Evinced appeared in 1790, A View of the Evidences
of Christianity in 1794. The latter defends the authenticity of the Christian
miracles against Hume. Natural Theology 1802 provides a design argument for
God’s existence and a demonstration of his attributes. Nature exhibits abundant
contrivances whose “several parts are framed and put together for a purpose.”
These contrivances establish the existence of a powerful, wise, benevolent
designer. They cannot show that its power and wisdom are unlimited, however,
and “omnipotence” and “omniscience” are mere “superlatives.” Paley’s Principles
and Evidences served as textbooks in England and America well into the
nineteenth century.
Panella essential Italian
philosopher Giuseppe Panella Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
navigationJump to search Giuseppe Panella (Benevento, 8 marzo 1955 – Pisa, 20
maggio 2019) è stato un filosofo, saggista e poeta italiano. Indice 1 Biografia
2 Opere
2.1 Monografie
2.2 Saggi
2.3 Pubblicazioni
3 Note
4 Altri
progetti Biografia Giuseppe Panella si laurea in Storia della filosofia presso
la Scuola Normale Superiore di Pisa, dove è stato insegnante . Si è occupato di
filosofia politica e storia del pensiero politico, ha insegnato Estetica nella
stessa università. È stato presidente
della giuria del premio letterario "Hermann Geiger" e membro della
giuria del premio letterario "ArtediParole" riservato a studenti
delle scuole medie. Si è distinto anche come poeta pubblicando otto volumi di
poesia, da ricordare Il terzo amante di Lucrezia Buti pubblicato a Firenze con
Editore Polistampa nel 2000. In
collaborazione con David Ballerini ha girato due documentari d'arte, La
leggenda di Filippo Lippi, pittore a Prato trasmesso da Rai2 nel 2001 e Il
giorno della fiera. Racconti e percorsi in provincia di Prato del 2002. Nel 2001 ha vinto il Fiorino d'oro del Premio
Firenze. Nel 2002 gli è stato assegnato
il premio concesso annualmente dal Ministero dei Beni Culturali per attività
culturali e artistiche particolarmente rilevanti. Nel 2009 ha ricevuto il premio "Sergio
Leone" per la sua attività in ambito cinematografico. Ha collaborato con l'associazione Pianeta
Poesia di Firenze guidata da Franco Manescalchi nella presentazione di poeti e
incontri letterari. Giuseppe Panella
con Franco Manescalchi alla Biblioteca Marcellina di Firenze Ha fatto parte del
comitato tecnico del Premio letterario Chianti, coordinato da lui stesso e
composto da Paolo Codazzi, Lorella Rotondi ed altri.[1][2] Opere Monografie Robert Michels, Socialismo e
fascismo (1925-1934), Milano, Giuffré, 1991 Lettera sugli spettacoli di Jean
Jacques Rousseau, Aesthetica Edizioni, Palermo Il paradosso sull'attore di
Denis Diderot, La Vita Felice, Milano Saggi Elogio della lentezza. Etica ed
estetica in Paul Valéry, Aesthetica Preprints 23, Palermo, 1989 Pubblicazioni
Del sublime, Frosinone, DismisuraTesti, 1992 Il sublime e la prosa. Nove
proposte di analisi letteraria, Firenze, Clinamen, 2005. Émile Zola, scrittore
sperimentale. Per la ricostruzione di una poetica della modernità, Chieti,
Solfanelli, 2008 Pier Paolo Pasolini. Il cinema come forma della letteratura,
Firenze, Clinamen, 2009 Il sosia, il doppio, il replicante. Teoria e analisi
critica di una figura letteraria, Bologna, Elara Edizioni, 2009 I piaceri dell'immaginazione,
Firenze, Clinamen, 2009; Jean Jacques Rousseau e la società dello spettacolo,
Firenze, Pagnini, 2010; Il mantello dell'eretico. La pratica dell'eresia come
modello culturale, Piateda (Sondrio), CFR Edizioni (Quaderno 1), 2011 L'incubo
urbano. Rousseau, Debord e le immagini dello spettacolo in La questione dello
stile. I linguaggi del pensiero, a cura di F. Bazzani, R. Lanfredini e S.
Vitale, Firenze, Clinamen, 2012 Ipotesi di complotto. Paranoia e delirio
narrativo nella letteratura americana del Novecento (in collaborazione con
Riccardo Gramantieri), Chieti, Solfanelli, 2012 Il secolo che verrà.
Epistemologia, letteratura, etica in Gilles Deleuze (in collaborazione con
Silverio Zanobetti), Firenze, Clinamen, 2012 Storia del sublime. Dallo
Pseudo-Longino alle poetiche della modernità, Firenze, Clinamen, 2012 La
scrittura memorabile. Leonardo Sciascia e la letteratura come forma di vita,
Grottaminarda, Delta 3 Edizioni, 2012 (libro vincitore del Premio "De
Sanctis – L'inedito" per la critica letteraria) Alberto Arbasino e la
"vita bassa". Indagine sull'Italia degli Ottanta in cinque mosse, in
Cahiers d'études italienne – Les années quatre-vingt et le cas italien, 14,
2012, pp. 183-199 Prove di sublime. Letteratura e cinema in prospettiva estetica,
Firenze, Clinamen, 2013 Curzio Malaparte autore teatrale e regista
cinematografico, Roma, Fermenti Editore, 2013 Introduzione al pensiero di
Vittorio Vettori. Civiltà filosofica, poetica "etrusca" e culto di
Dante, Firenze, Edizioni Polistampa, 2014 Le immagini delle parole. La
scrittura alla prova della sua rappresentazione, Firenze, Clinamen, 2014 La
polifonia assoluta. Poesia, romanzo, letteratura di viaggio nell'opera di
Vittorio Vettori, Firenze, Edizioni della Regione Toscana, 2014 L'estetica dello
choc. La scrittura di Curzio Malaparte tra esperimenti narrativi e poesia,
Firenze, Clinamen, 2014 e Tutte le ore feriscono, l'ultima uccide Georges
Bataille: l'estetica dell'eccesso, Firenze, Clinamen, 2014 Le maschere del
doppio: tra mitologia e letteratura Editore libri di Emil, 2017 G. Panella,
Diario dell'altra vita. Lo sguardo della filosofia e la prospettiva della
felicità, Firenze, Clinamen, 2015. Note ^ Premio Chianti, ecco i cinque
finalisti, su premioletterariochianti.it. ^ Libri. Incontro con Giuseppe
Panella sabato 17 febbraio a Greve in Chianti, su met.provincia.fi.it, 16
febbraio 2018. Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene
citazioni di o su Giuseppe Panella Controllo di autorità VIAF (EN) 71623401 Biografie Portale Biografie Filosofia
Portale Filosofia Letteratura Portale Letteratura Categorie: Filosofi italiani
del XX secoloSaggisti italiani del XX secoloPoeti italiani del XX secoloNati
nel 1955Morti nel 2019Nati l'8 marzoMorti il 20 maggioNati a BeneventoMorti a
Pisa[altre]
panpsychism, the doctrine that
the physical world is pervasively psychical, sentient or conscious understood
as equivalent. The idea, usually, is that it is articulated into certain
ultimate units or particles, momentary or enduring, each with its own distinct
charge of sentience or consciousness, and that some more complex physical units
possess a sentience emergent from the interaction between the charges of
sentience pertaining to their parts, sometimes down through a series of levels
of articulation into sentient units. Animal consciousness is the overall
sentience pertaining to some substantial part or aspect of the brain, while
each neuron may have its own individual charge of sentience, as may each
included atom and subatomic particle. Elsewhere the only sentient units may be
at the atomic and subatomic level. Two differently motivated versions of the
doctrine should be distinguished. The first implies no particular view about
the nature of matter, and regards the sentience pertaining to each unit as an
extra to its physical nature. Its point is to explain animal and human
consciousness as emerging from the interaction and perhaps fusion of more
pervasive sentient units. The better motivated, second version holds that the
inner essence of matter is unknown. We know only structural facts about the
physical or facts about its effects on sentience like our own. Panpsychists
hypothesize that the otherwise unknown inner essence of matter consists in
sentience or consciousness articulated into the units we identify externally as
fundamental particles, or as a supervening character pertaining to complexes of
such or complexes of complexes, etc. Panpsychists can thus uniquely combine the
idealist claim that there can be no reality without consciousness with
rejection of any subjectivist reduction of the physical world to human
experience of it. Modern versions of panpsychism e.g. of Whitehead, Hartshorne,
and Sprigge are only partly akin to hylozoism as it occurred in ancient
thought. Note that neither version need claim that every physical object
possesses consciousness; no one supposes that a team of conscious cricketers
must itself be conscious.
pantheism, the view that God
is identical with everything. It may be seen as the result of two tendencies:
an intense religious spirit and the belief that all reality is in some way
united. Pantheism should be distinguished from panentheism, the view that God
is in all things. Just as water might saturate a sponge and in that way be in
the entire sponge, but not be identical with the sponge, God might be in
everything without being identical with everything. Spinoza is the most
distinguished pantheist in Western philosophy. He argued that since substance
is completely self-sufficient, and only God is self-sufficient, God is the only
substance. In other words, God is everything. Hegel is also sometimes
considered a pantheist since he identifies God with the totality of being. Many
people think that pantheism is tantamount to atheism, because they believe that
theism requires that God transcend ordinary, sensible reality at least to some
degree. It is not obvious that theism requires a transcendent or Panaetius
pantheism 640 640 personal notion of
God; and one might claim that the belief that it does is the result of an
anthropomorphic view of God. In Eastern philosophy, especially the Vedic
tradition of philosophy, pantheism is
part of a rejection of polytheism. The apparent multiplicity of reality is
illusion. What is ultimately real or divine is Brahman. pantheismusstreit:
a debate primarily between Jacobi and Mendelssohn, although it also included
Lessing, Kant, and Goethe. The basic issue concerned what pantheism is and
whether every pantheists is an atheist. In particular, it concerned whether
Spinoza was a pantheist, and if so, whether he was an atheist; and how close
Lessing’s thought was to Spinoza’s. The standard view, propounded by Bayle and
Leibniz, was that Spinoza’s pantheism was a thin veil for his atheism. Lessing
and Goethe did not accept this harsh interpretation of him. They believed that
his pantheism avoided the alienating transcendence of the standard
Judeo-Christian concept of God. It was debated whether Lessing was a Spinozist
or some form of theistic pantheist. Lessing was critical of dogmatic religions
and denied that there was any revelation given to all people for rational
acceptance. He may have told Jacobi that he was a Spinozist; but he may also
have been speaking ironically or hypothetically.
Panunzio
Sergio Panunzio Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Jump to navigationJump to search Sergio Panunzio Deputato del Regno d'Italia
Legislature XXVII,
XXVIII, XXIX Consigliere nazionale del Regno d'Italia Legislature XXX Gruppo parlamentare Corporazione
della orto-floro-frutticoltura Dati generali Partito politico PNF Titolo di studio laurea
Università Università
degli Studi di Napoli Federico II Professione politico,
giurista, filosofo Sergio Panunzio (Molfetta, 20 luglio 1886 – Roma, 8 ottobre
1944) è stato un giurista, politologo, filosofo e giornalista italiano.
Tra i maggiori esponenti del sindacalismo rivoluzionario, in quanto amico
intimo di Benito Mussolini, contribuì in maniera decisiva al suo passaggio dal
neutralismo all'interventismo nella Grande Guerra[1][2]. Divenne in seguito uno
dei massimi teorici del fascismo[3][4][5]. Indice 1 Biografia
1.1 Il
periodo socialista e il sindacalismo rivoluzionario 1.2 La Grande Guerra 1.3 Dalla
fine del conflitto alla Marcia su Roma 1.4 L'impegno
politico e culturale durante il fascismo 2 Opere
3 Note
4 Bibliografia
5 Voci
correlate 6 Altri
progetti 7 Collegamenti
esterni Biografia Nacque a Molfetta da Vito e Giuseppina Poli, in una famiglia
altoborghese, tra le più illustri della città: «un ambiente familiare intriso
tanto di sollecitazioni all'impegno civile e politico quanto di suggestioni e
stimoli intellettuali»[6]. Il periodo socialista e il sindacalismo
rivoluzionario Il suo impegno politico nelle file del socialismo incominciò
molto presto, quando ancora frequentava il liceo classico locale, ove ebbe come
maestro il giovane Pantaleo Carabellese. Nel dibattito interno al
socialismo italiano — diviso tra "riformisti" e
"rivoluzionari" — Panunzio si schierò tra i cosiddetti sindacalisti
rivoluzionari, cominciando al contempo a pubblicare i suoi primi articoli sul
settimanale «Avanguardia Socialista» di Arturo Labriola, quando era ancora
studente dell'Università degli Studi di Napoli. Durante i suoi studi
universitari il contatto con docenti come Francesco Saverio Nitti, Napoleone
Colajanni, Igino Petrone e Giuseppe Salvioli contribuì alla formazione del suo
pensiero socialista. Il suo percorso intellettuale fu altresì influenzato da
Georges Sorel e Francesco Saverio Merlino, i quali avevano già da tempo
incominciato un processo di revisione del marxismo. Nel 1907 pubblica il
suo primo studio, intitolato Il socialismo giuridico, in cui teorizza
l'opposizione alla borghesia solidarista e al sindacato riformista da parte del
sindacato operaio, il quale è destinato a trasformare radicalmente la società.
Il fulcro dell'opera era costituito dalla formulazione di un "diritto
sindacale operaio", spina dorsale di un nuovo "sistema
socialista" fondato non su una base economica, bensì su una base etica,
solidaristica: «Il socialismo giuridico non sarebbe dunque che
l'applicazione del principio di solidarietà, immanente in tutto l'universo, nel
campo del diritto e della morale: in se stesso non è una idea astratta balzata
ex abrupto dal cervello di pochi pensatori, ma efflusso e irradiazione ideale di
tutta la materia sociale che vive e freme attorno a noi» (Sergio
Panunzio[7]) Nel 1908 si laurea in giurisprudenza discutendo una tesi su
L'aristocrazia sociale, ossia sul sindacalismo rivoluzionario, avendo come
relatore Giorgio Arcoleo. Nel 1911 consegue presso lo stesso ateneo la laurea
in filosofia. In questi anni di studi ed esperienze intellettuali, intensifica
altresì il proprio impegno giornalistico in favore del sindacalismo
rivoluzionario, collaborando — oltreché con «Avanguardia Socialista» — con «Il
Divenire Sociale» di Enrico Leone, con «Pagine Libere» di Angelo Oliviero
Olivetti e con «Le Mouvement Socialiste» di Hubert Lagardelle. Il
sindacato ed il diritto La concezione panunziana del sindacato quale organo e
fonte di diritto — non eusarentesi quindi in mero organismo economico o tecnico
della produzione — fu approfondita nel 1909, allorché vide la luce la sua
seconda opera, La persistenza del diritto, in cui egli «coniugava i
princìpi della sua formazione positivistica con una ispirazione filosofica
volontaristica»[8]. Panunzio prendeva quindi le mosse affrontando il problema
del rapporto tra sindacalismo e anarchismo: la differenza tra i due movimenti
risiedeva — a detta dell'autore — sul ruolo dell'autorità (fondata sul diritto)
che, negata dall'anarchismo, non era invece trascurata dal sindacalismo:
«Il sindacalismo è d'accordo con l'anarchia nella critica e nella tendenza
distruttiva dello Stato politico attuale, ma non porta alle ultime conseguenze
le sue premesse antiautoritarie, che hanno un riferimento tutto contingente
allo Stato presente. Il sindacalismo, per essere precisi, è antistatale per
definizione e consenso unanime, ma non è antiautoritario. Le premesse
antiautoritarie dell'anarchia hanno invece un valore assoluto e perentorio
riferendosi esse a ogni forma di organizzazione sociale e politica. Il
sindacalismo non è dunque antiautoritario» (Sergio Panunzio[9]) In
sostanza, Panunzio sosteneva l'importanza fondamentale del diritto (ancorché
non "statale", ma "operaio") per il sindacalismo e la
futura società, dall'autore vagheggiata come un regime sindacalista federale
sostenuto dall'autogoverno dei gruppi sindacali, riuniti in una Confederazione,
così da formare quella che l'autore stesso chiama «una vera grande Repubblica sociale
del Lavoro», retta da una «sovranità politica sindacale»[10]. Nel 1910,
fu poi dato alle stampe Sindacalismo e Medio Evo, in cui l'autore indicava al
sindacalismo operaio il modello dei Comuni italiani medievali, esempio
paradigmatico di autonomia, la quale doveva essere perseguita anche dai
sindacati contemporanei[11]. Dopo un periodo difficile, dovuto a problemi
familiari ma anche a un ripensamento delle sue teorie politiche, nel 1912,
grazie all'interessamento di Nitti, abbandonò l'attività di avvocato,
inadeguata per mantenere la famiglia (aiutava principalmente — raramente pagato
— i suoi compagni di partito), divenendo docente di pedagogia e morale presso
la Regia scuola normale di Casale Monferrato. Nello stesso anno pubblicò
inoltre la sua importante opera[12] Il Diritto e l'Autorità, in cui erano messe
a frutto le sue rielaborazioni teoriche: oltre al passaggio da un orizzonte
positivistico a una concezione filosofica neocriticistica, egli ripensava lo
Stato non più quale organo della coazione, ma quale depositario della
necessaria autorità. Il 1912 è un anno per lui importante anche perché, con la
fine della guerra libica, cominciò a prender corpo la svolta
"nazionale" del suo pensiero[13]. Dopo aver insegnato per un
anno a Casale Monferrato e un altro a Urbino, nel 1914 passò alla Regia scuola
normale "Giosuè Carducci" di Ferrara, ove insegnò sino al 1924,
conseguendo al contempo la libera docenza presso l'Università di Napoli (l'anno
successivo gli fu trasferita nell'ateneo bolognese). È di quegli anni — poco
prima dell'entrata dell'Italia nella Grande Guerra — l'inizio di stretti
rapporti politici e intellettuali con Benito Mussolini[14], direttore
dell'«Avanti!» e leader dell'ala rivoluzionaria del Partito Socialista
Italiano. Panunzio incominciò dunque una regolare e intensa collaborazione con
il quindicinale «Utopia», appena fondato dal futuro capo del fascismo per far
esprimere le voci più rivoluzionarie, eterodosse ed "eretiche"
dell'ambiente socialistico italiano. In questo periodo Panunzio comprende il
potenziale rivoluzionario che il conflitto europeo poteva esprimere, sicché
manifesterà sempre più esplicitamente il suo appoggio all'interventismo, che
era invece inviso al Partito Socialista: «Io sono fermamente convinto che
solo dalla presente guerra, e quanto più questa sarà acuta e lunga, scatterà
rivoluzionariamente il socialismo in Europa. Altro che assentarsi, piegarsi le
braccia, e contemplare i tronconi morti delle verità astratte! (...). Alle
guerre esterne dovranno succedere le interne, le prime devono preparare le
seconde, e tutte insieme la grande luminosa giornata del socialismo, che sarà
la soluzione e la purificazione ideale di queste giornate livide e paurose,
macchiate di misfatti e di infamie» (Sergio Panunzio[15]) Quest'articolo
di Panunzio, apparso sul quotidiano ufficiale del Partito Socialista, suscitò
una grave polemica, sicché Mussolini dovette rispondere sul numero del giorno
dopo[16]. Tuttavia la replica di Mussolini, il quale si stava convincendo
dell'opportunità dell'intervento, fu «debole, sfocata, piattamente dottrinaria,
per nulla all'altezza del miglior Mussolini polemista»[17]. Infatti, «al
momento di questa polemica, Mussolini era psicologicamente già fuori del
socialismo ufficiale ed è indubbio che le argomentazioni di Panunzio, sia per
il loro spessore teorico sia perché provenienti da un uomo di cui egli aveva
grande considerazione intellettuale, furono probabilmente l'elemento decisivo
che lo spinse a compiere il grande passo, il «voltafaccia» dal neutralismo
assoluto all'interventismo» (Francesco Perfetti[18]) La Grande Guerra
All'entrata dell'Italia nel conflitto mondiale, si arruolò volontario come
quasi tutti gli interventisti "di sinistra" (come Filippo Corridoni e
Mussolini); tuttavia, in quanto emofiliaco, fu immediatamente congedato, sicché
dovette concentrarsi sulla lotta propagandistica e pubblicistica, soprattutto
sulle colonne del «Popolo d'Italia» (i cui articoli erano sovente concordati
con lo stesso Mussolini[19]), in favore della guerra italiana, ritenuta
dal Panunzio una guerra non «di difesa e conservazione, ma di acquisto e di
conquista; non una guerra ma una rivoluzione»[20]. Una guerra anche popolare,
come avevano dimostrato le grandi mobilitazioni del «maggio radioso», in contrapposizione
alle posizioni conservatrici di Antonio Salandra e della classe dirigente
liberale[21]. Anche da un punto di vista più propriamente militante, Panunzio
si impegnò nel ruolo di membro del direttivo del neonato fascio nazionale di
Ferrara (marzo 1916), il quale diede vita altresì al giornale «Il
Fascio»[22]. Oltre all'analisi politica e all'impegno giornalistico,
Panunzio lavorò anche a una sistematizzazione filosofico-giuridica delle sue
idee riguardo al conflitto, con le opere Il concetto della guerra giusta
(1917), Principio e diritto di nazionalità (dello stesso anno ma pubblicato
solo nel 1933 in Popolo, Nazione, Stato), La Lega delle nazioni e Introduzione
alla Società delle Nazioni (del 1918, ma pubblicati entrambi nel 1920). Nel
primo saggio, egli sosteneva l'utilità e la legittimità di una guerra anche
offensiva, purché essa fosse il mezzo per il conseguimento di un fine più
grande, ossia la giustizia e la creazione di nuovi equilibri più giusti ed
equanimi. Nella seconda, invece, individuava nel principio di nazionalità la
nuova idea-forza della società che sarebbe scaturita dalla guerra, una volta
conclusa. Molto importante è inoltre la terza opera (La Lega delle nazioni),
poiché in essa è sviluppato per la prima volta il concetto di «sindacalismo
nazionale»: «La Nazione deve circoscriversi, determinarsi, articolarsi,
vivere nelle classi, e nelle corporazioni distinte, e risultare «organicamente»
dalle concrete organizzazioni sociali, e non dal polverio individuale; ed essa
esige, dove le nazionalità non si siano ancora affermate, e dove esse non
ancora funzionino storicamente, solide e robuste connessioni di interessi e
aggruppamenti di classi, a patto, però, che le classi, e le corporazioni
trovino, a loro volta, la loro più compiuta esistenza, destinazione e realtà
nella Nazione. Ecco la «reciprocanza» dei due termini, Sindacato e Nazione, e
la sintesi organica tra Sindacalismo e Nazionalismo, e cioè: Sindacalismo
Nazionale» (Sergio Panunzio[23]) Dalla fine del conflitto alla Marcia su
Roma Terminata la guerra, Panunzio partecipò attivamente al dibattito interno
alla sinistra interventista, intervenendo in particolare su «Il Rinnovamento»,
quindicinale recentemente creato e diretto da Alceste De Ambris. Il suo scritto
più importante, che ebbe notevoli conseguenze, apparve il 15 marzo 1919: in
questo, Panunzio sosteneva l'organizzazione di tutta la popolazione in classi
produttive, le quali dovevano essere a loro volta distribuite in corporazioni,
a cui doveva essere demandata l'amministrazione degli interessi sociali;
affermava altresì la necessità di creare un Parlamento tecnico-economico da
affiancare al Parlamento politico[24]. In tale testo programmatico era
chiaramente abbozzato il futuro corporativismo fascista, tanto che l'amico
Mussolini, nel discorso pronunciato a Piazza San Sepolcro (alla fondazione cioè
del fascismo), riprese le tesi di Panunzio per il programma dei Fasci Italiani
di Combattimento: «L'attuale rappresentanza politica non ci può bastare;
vogliamo una rappresentanza diretta dei singoli interessi, perché io, come
cittadino, posso votare secondo le mie idee, come professionista devo poter
votare secondo le mie qualità professionali. Si potrebbe dire contro questo
programma che si ritorna verso le corporazioni. Non importa. Si tratta di
costituire dei Consigli di categoria che integrino la rappresentanza
sinceramente politica» (Benito Mussolini[25]) A Ferrara, Panunzio assisté
alla nascita del fascismo locale (e delle squadre d'azione), intrattenendo
rapporti di amicizia con Italo Balbo (che sarebbero durati per tutta la vita) e
Dino Grandi (che era stato suo allievo), pur non aderendo ufficialmente al
movimento, a causa dei rapporti di quest'ultimo — per lui ambigui — con gli
agrari. Risale a quel periodo, infatti, la pubblicazione delle due opere
Diritto, forza e violenza e Lo Stato di diritto. Nel primo, riprendendo la tesi
delle Réflexions sur la violence di Georges Sorel, l'autore precisava il suo
discorso distinguendo una violenza "morale", "razionale",
"rivoluzionaria", la quale doveva essere il mezzo per l'affermazione
di un nuovo diritto (veicolo, dunque, di uno ius condendum), da una violenza
invece gratuita e immorale[26]. Nel secondo volume, Panunzio criticava — da un
punto di vista neokantiano — il concetto hegeliano di Stato etico, lasciando
intravedere tuttavia margini di sviluppo per una visione totalitaria dello
Stato[27]. A seguito dell'uscita dei fascisti dalla UIL e della
conseguente creazione della Confederazione nazionale delle Corporazioni sindacali
per opera di Edmondo Rossoni, Panunzio collaborò con il settimanale ufficiale
della Confederazione, cioè «Il Lavoro d'Italia»[28], vergando un importante
articolo sul primo numero, nel quale ribadiva le sue tesi sul sindacalismo
nazionale[29]. Dopo essersi speso invano, con l'aiuto di Balbo, per una
conciliazione tra Mussolini e Gabriele D'Annunzio[30], appoggiò la politica
pacificatrice di Mussolini, sostenne la «svolta a destra» del PNF (cioè per un
ristabilimento dell'autorità dello Stato) e caldeggiò — con la caduta del primo
Governo Facta — la costituzione di un governo di "pacificazione" che
riunisse fascisti, socialisti e popolari (prospettiva ritenuta possibile da
Mussolini stesso[31]), scrivendo un importante articolo che individuava nel capo
del fascismo l'unico in grado di stabilizzare e pacificare il Paese:
«Benito Mussolini — uno dei pochi uomini politici, checché si dica in
contrario, che abbia l'italia — ha molti nemici e anche molti adulatori. L'uomo
non è ancora bene conosciuto. Chi scrive (...) può affermare con piena
sincerità e obbiettività che la storia recentissima dell'Italia è legata al
nome di Mussolini. L'intervento dell'Italia in guerra è legato al nome di
Mussolini. La salvezza dell'Italia dalla dissoluzione bolscevica è legata a B.
Mussolini. Questi sono fatti. Il resto è politica che passa: dettaglio,
episodio. (...) Anche prima di Caporetto, anche dopo Caporetto, Mussolini (è
vero o non è vero?) disse dall'altra parte: tregua. Non fu, maledettamente,
ascoltato. La fine della lotta ormai è un fatto compiuto. Eccedere più che
delitto è sproposito grave. Ed ecco perché un Ministero in cui entrino le due
parti in lotta — per la salvezza e la grandezza dello Stato — è un minimo di
necessità e di sincerità» (Sergio Panunzio[32]) Tuttavia, con il
reincarico di Facta e il seguente sciopero generale del 1º agosto indetto
dall'Alleanza del Lavoro (il cosiddetto «sciopero legalitario»), il 4 agosto
Panunzio scrisse a Mussolini mostrando la sua delusione nei confronti dei
socialisti confederali, ritenendo quindi impossibile una convergenza d'intenti
con il PSI e reputando ormai sempre più necessaria una svolta a destra:
«Anch'io pensavo unirci con i confederali che «senza sottintesi siano per lo
Stato». Dopo lo sciopero un ultimo equivoco è finito. Bisogna mirare a destra.
Diciamolo, con o senza elezioni. Confido in te e nel Fascismo, per quanto il
difficile, dal lato politico, viene proprio ora» (Sergio Panunzio[33]) Di
lì a breve, il fascismo salì al potere. L'impegno politico e culturale durante
il fascismo Una volta costituito il governo fascista, Panunzio strinse legami
sempre più stretti con il movimento mussoliniano, ottenendo la tessera del PNF
(su iniziativa dell'amico Italo Balbo) il 5 giugno 1923, e venendo eletto
deputato nel 1924. Nello stesso anno divenne membro del Direttorio nazionale
provvisorio del PNF, che lasciò dopo neanche un mese in quanto chiamato alla
carica di sottosegretario del neonato Ministero delle Comunicazioni (diretto al
tempo da Costanzo Ciano). In questo periodo, inizia a interrogarsi —
assieme ai massimi teorici fascisti — sulla vera natura ed essenza del
fascismo, per il quale coniò la definizione di «conservazione rivoluzionaria»,
che sosterrà per tutta la sua vita: «Il Fascismo non è unicamente conservazione,
né unicamente rivoluzione, ma è nello stesso tempo — beninteso sotto due
aspetti differenti — una cosa e l'altra. Se mi è lecito servirmi d'una frase
che non è una frase vuota di senso, ma una concezione dialettica, io dirò che
il Fascismo è una grande «conservazione rivoluzionaria». (...) Quel che
costituisce la superba originalità della «rivoluzione italiana», ciò che la fa
grandemente superiore alla rivoluzione francese e alla rivoluzione russa, è
che, ricordandosi e approfittando degli insegnamenti di Vico, di Burke, di
Cuoco e di tutta la critica storica della Rivoluzione dell'89, essa ha
conservato il passato, realizzato il presente e orientato tutto verso
l'avvenire, nei limiti della condizionalità e dell'attualità storiche. Per
certi aspetti il Fascismo è ultraconservatore: ad esempio, nella restaurazione
dei valori famigliari, religiosi, autoritari, giuridici, attaccati e distrutti
dalla cultura enciclopedica, illuministica, che si è trapiantata
arbitrariamente, anche nell'ideologia del proletariato, vale a dire nel
socialismo democratico, che è il più grande responsabile della corruzione
contemporanea. Per altri aspetti, il Fascismo è innovatore, e a un punto tale
che i conservatori ne sono spaventati, come per esempio per la sua orientazione
verso lo «Stato sindacale» e per la suademolizione dello «Stato
parlamentare»» (Sergio Panunzio[34]) Partecipò inoltre attivamente al
dibattito incentrato sull'edificazione dello «Stato nuovo», fornendo importanti
spunti, alcuni dei quali avranno un seguito costituzionale, come ad esempio il
"sindacato unico obbligatorio", l'attribuzione della personalità
giuridica (istituzionale, non civile) ai sindacati, o l'istituzione di una
Magistratura del Lavoro che si ponesse quale arbitro nelle controversie tra capitale
e lavoro. Fornì anche, al contempo, le basi teoriche del futuro Stato sindacale
(poi corporativo): «La nuova sintesi è l'unità dello Stato e del
Sindacato, dello Statismo e del Sindacalismo. È lo Stato il punto di approdo e
lo sbocco, superata la prima fase negativa, del Sindacalismo» (Sergio
Panunzio[35]) È di questi tempi altresì l'evoluzione del pensiero panunziano
riguardo a una concezione organicistica dello Stato, attraverso una critica
serrata dello Stato democratico-parlamentare, uno «Stato meccanico,
livellatore, astratto» (sorretto dal «principio meccanico della eguaglianza e
cioè il suffragio universale»), che doveva portare a uno «Stato organico,
gerarchico», fondato su un sistema sindacal-corporativo, giacché «chi è
organizzato pesa, chi non è organizzato non pesa»[36]. In quest'ottica deve
essere considerata, infatti, la definizione panunziana del fascismo quale
«concezione totale della vita»[37]. Tutta la riflessione teorica
politico-giuridica di questo periodo fu riassunta e sistematizzata nel suo
volume, pubblicato nel 1925, Lo Stato fascista, il quale accese grandi
dibattiti in ambiente fascista, tanto che l'autore ebbe modo di confrontarsi su
questi temi — spesso polemicamente — con importanti personalità intellettuali
come Carlo Costamagna, Giovanni Gentile e Carlo Curcio[38]. In virtù di
queste premesse teoriche e operative, appoggiò Mussolini durante la crisi
causata dal delitto Matteotti, al fine di incrementare il processo di riforma
statuale avviato dal fascismo, che si sarebbe di lì a poco concretizzato nelle
leggi fascistissime volute da Alfredo Rocco e, soprattutto, nella Legge n. 563
del 3 aprile 1926, che istituzionalizzò i sindacati, e nella redazione della
Carta del Lavoro, il documento fondamentale della politica economica e sociale
fascista. Terminata l'esperienza di governo, si dedicò all'insegnamento:
dopo aver vinto nel 1921 il concorso per un posto da professore straordinario
in filosofia del diritto presso l'Università degli Studi di Ferrara, divenne
ordinario e si trasferì, nel 1925, all'Università degli Studi di Perugia, di
cui fu Rettore nell'anno accademico 1926-1927. L'anno seguente fu invece
chiamato a insegnare dottrina dello Stato presso la Facoltà di Scienze
Politiche dell'Università degli Studi di Roma, cattedra che detenne sino alla
morte. Non appena insediatosi nell'ateneo romano, fu incaricato dal Duce di
organizzare, in qualità di Commissario del Governo, la neonata Facoltà Fascista
di Scienze Politiche di Perugia[39], che doveva essere la «Oxford italiana» e
«fascista»[40]. In tale veste, chiamò a insegnare a Perugia docenti quali Paolo
Orano, Robert Michels, Angelo Oliviero Olivetti, Maurizio Maraviglia e
Francesco Coppola. Fu ancora deputato nel 1929 e nel 1934. Malgrado gli
impegni accademici, Panunzio continuò a sostenere l'edificazione
dell'ordinamento sindacale corporativo del nuovo Stato fascista attraverso i
suoi articoli giornalistici, partecipando agli intensi dibattiti degli anni
trenta sulla legislazione corporativa. Più precisamente, egli si situava in
quell'ala sindacalista del fascismo che, nella nuova struttura statuale,
perorava un potenziamento dei sindacati all'interno del sistema corporativo,
affinché essi potessero intervenire più decisamente nella direzione economica
del Paese[41]. In questo periodo, grazie a opere teoriche
fondamentali[42], Panunzio sistematizzò e definì organicamente il suo pensiero.
In sostanza, lo Stato fascista, che è sindacale e corporativo, si contrappone
allo «Stato atomistico ed individualistico del liberismo»[43]. Inoltre lo Stato
fascista è caratterizzato dalla sua «ecclesiasticità» (o religiosità), intesa
come «unione di anime»[44], al contrario dello Stato liberal-parlamentare
«indifferente, ateo e agnostico»[43]. Il giurista molfettese introdusse anche
il concetto di funzione corporativa in quanto quarta funzione dello Stato (dopo
le tre canoniche: esecutiva, legislativa e giurisdizionale), proprio per
fornire il necessario fondamento giuridico ai cambiamenti costituzionali in
atto, con la creazione dello Stato corporativo[45]. Lo Stato fascista, infine,
si configura come uno Stato totalitario, «promanando direttamente e
immediatamente da una rivoluzione ed essendo formalmente uno "Stato
rivoluzionario"»[46]. Con l'istituzione delle corporazioni (attraverso
la Legge n. 164 del 5 febbraio 1934) e la creazione della Camera dei Fasci e
delle Corporazioni (Legge n. 129 del 19 gennaio 1939), Panunzio redasse la
Teoria Generale dello Stato Fascista, che rappresenta la summa del suo pensiero
in materia di ordinamento sindacale corporativo: in questo, egli sosteneva la
funzione attiva e propulsiva del sindacato, al fine di evitare un'involuzione
burocratica delle corporazioni[47]; sosteneva altresì il suo concetto di
economia mista — la quale all'intervento pubblico affiancasse una sana
iniziativa privata — «ordinata, subordinata, armonizzata, ridotta all'unità,
ossia unificata dallo Stato, in quanto il pluralismo economico e la pluralità
delle forme economiche sono un momento ed una determinazione organica del monismo
giuridico-politico dello Stato»[48]. Nel 1937, partecipò, con notevole
peso specifico, alla riforma del Codice di procedura civile e del Codice
civile. Riguardo a quest'ultimo, in particolare, il suo contributo fu decisivo,
soprattutto per il terzo (Della proprietà) e quinto (Del lavoro) libro: fu lui
ad ottenere che un intero libro fosse dedicato al lavoro; volle che la Carta
del Lavoro fosse posta a base del codice; definì un più circostanziato concetto
di proprietà, in cui se ne enfatizzava la "funzione sociale"[49]. Nel
1939 divenne consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle
Corporazioni[50]. Morì a Roma, in piena guerra, l'8 ottobre
1944. L'archivio di Sergio Panunzio è stato digitalizzato ed è
attualmente disponibile alla ricerca presso la Fondazione Ugo Spirito e Renzo
De Felice in Roma[51] Opere Il socialismo giuridico, Libreria Moderna,
Genova 1907. La Persistenza del Diritto (Discutendo di Sindacalismo e di
Anarchismo), Editrice Abruzzese, Pescara 1909. Sindacalismo e Medio Evo, Partenopea,
Napoli 1910. Il diritto e l'autorità: contributo alla concezione filosofica del
diritto, UTET, Torino 1912. Il concetto della guerra giusta, Colitti,
Campobasso 1917. La lega delle nazioni, Taddei, Ferrara 1920. Introduzione alla
Società delle Nazioni, Taddei, Ferrara 1920. Diritto, forza e violenza:
lineamenti di una teoria della violenza, con prefazione di R. Mondolfo,
Cappelli, Bologna 1921. Lo stato di diritto, Taddei, Ferrara 1921. Italo Balbo,
Imperia Ed., Milano 1923. Stato nazionale e sindacati, Imperia Ed., Milano
1924. Che cos'è il fascismo, Alpes, Milano 1924. Seconda edizione Libreria
Europa 2019. Lo Stato fascista, Cappelli, Bologna 1925. Il sentimento dello
Stato, Libreria del Littorio, Roma 1929. Il concetto della dittatura rivoluzionaria,
Forlì 1930. Stato e diritto: l'unità dello stato e la pluralità degli
ordinamenti giuridici, Società tipografica modenese, Modena 1931. Leggi
costituzionali del Regime, Sindacato nazionale fascista avvocati e procuratori,
Roma 1932. Popolo, Nazione, Stato (esame giuridico), La Nuova Italia, Firenze
1933. I sindacati e l'organizzazione economica dell'impero, Istituto
Poligrafico dello Stato, Roma 1938. Sulla natura giuridica dell'Impero italiano
d'Etiopia, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1938. L'organizzazione
sindacale e l'economia dell'Impero, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma
1939. La Camera dei fasci e delle corporazioni, Stabilimento arti grafiche
Trinacria, Roma 1939. Teoria generale dello Stato fascista, 2ª ed. ampliata ed
aggiornata, CEDAM, Padova 1939. Spagna nazionalsindacalista, Bietti, Milano
1942. Seconda edizione Libreria Europa 2019. Motivi e metodo della
codificazione fascista, Giuffrè, Milano 1943. Note ^ Perfetti, 1987, pp. 41-46.
^ Francesco Perfetti, La «conversione» all'interventismo di Mussolini nel suo
carteggio con Sergio Panunzio, in «Storia contemporanea», febbraio 1986. ^ A.
James Gregor, Sergio Panunzio: il sindacalismo ed il fondamento razionale del
fascismo, Volpe, Roma 1978, p. 7: «Non c'è dubbio che tra i molti scrittori che
tentarono di articolare l'ideologia del fascismo italiano Sergio Panunzio deve
essere considerato uno dei più competenti e intellettualmente influenti». ^ Per
Herbert Matthews era l'unico teorico fascista che potesse eguagliare il livello
e l'influenza di Giovanni Gentile: H. L. Matthews, I frutti del fascismo,
Laterza, Bari 1945. Secondo Jay Clarke, egli «fornisce con le sue teorie una
patina di legittimità rivoluzionaria alla dittatura fascista»: Jay Clarke,
Fascism and Bolshevism, in History of Modern Italy. URL consultato il 24 aprile
2006 (archiviato dall'url originale il 15 marzo 2005). ^ Zeev Sternhell,
Nascita dell'ideologia fascista (1989), tr. it., Baldini e Castoldi, Milano
1993, pp. 47-48: «Sergio Panunzio [è] il teorico più importante del fascismo
degli anni Venti, poi eclissato dall'avvento di Gentile». ^ Perfetti, 1987, p.
7. ^ Il socialismo giuridico, Libreria Moderna, Genova 1907, p. 11. ^ Perfetti,
1987, p. 29. ^ Panunzio, 1909, pp. 11-12. ^ Panunzio, 1909, pp. 199-201. ^ Sergio
Panunzio, Sindacalismo e Medio Evo, Partenopea, Napoli 1910. ^ Giovanna
Cavallari, Il positivismo nella formazione filosofico-politica di Sergio
Panunzio (1907-1912), in «Schema», fasc. 1, 1985. ^ Leonardo Paloscia, La
concezione sindacalista di Sergio Panunzio, Gismondi, Roma 1949, p. 47. ^ De
Felice, 1965, pp. 41 ss. ^ Guerra e socialismo, in «Avanti!», 12 settembre
1914. ^ Benito Mussolini, Guerra, Rivoluzione e Socialismo. Contro le
«inversioni» del sovversivismo guerrafondaio, in «Avanti!», 13 settembre 1914 =
Mussolini, OO, vol. XXXV, pp. 29-34. ^ De Felice, 1965, p. 243. ^ Perfetti,
1987, pp. 45-46. ^ Perfetti, 1987, p. 46. ^ Sergio Panunzio, La guerra europea:
le sue cause e i suoi fini, in AA.VV., Ver sacrum, Taddei, Ferrara 1915, pp.
81-89. ^ Sergio Panunzio, I due partiti di oggi e di domani, in «Il Popolo
d'Italia», 26 febbraio 1916. ^ Perfetti, 1987, p. 51. ^ La Lega delle nazioni,
Taddei, Ferrara 1920, p. 50. ^ Sergio Panunzio, Un programma d'azione, in «Il
Rinnovamento», 15 marzo 1919. ^ Mussolini, OO, vol. XII, pp. 321-327. ^ Sergio
Panunzio, Diritto, forza e violenza: lineamenti di una teoria della violenza,
Cappelli, Bologna 1921. ^ Sergio Panunzio, Lo Stato di diritto, Taddei, Ferrara
1921, p. 163. ^ Il settimanale era diretto dallo stesso Rossoni e annoverava,
tra i collaboratori più attivi e competenti, Armando Casalini. ^ Sergio
Panunzio, Il sindacalismo nazionale, in «Il Lavoro d'Italia», 30 marzo 1922 ^
Perfetti, 1987, pp. 73-78. ^ Renzo De Felice, Mussolini il fascista, vol. I: La
conquista del potere (1921-1925), Einaudi, Torino 1966, pp. 268 ss. ^ L'ora di
Mussolini, in «La Gazzetta delle Puglie», 29 luglio 1922. L'articolo fu
ripreso, lo stesso giorno, sul «Popolo d'Italia» per espressa volontà di
Mussolini. ^ Lettera citata in Perfetti, 1987, p. 82. ^ Che cos'è il fascismo,
Alpes, Milano 1924, pp. 75-84. ^ Stato e Sindacati, in «Rivista Internazionale
di Filosofia del Diritto», gennaio-marzo 1923. ^ Sergio Panunzio, Forma e
sostanza nel problema elettorale, in «Il Resto del Carlino», 7 dicembre 1922. ^
Sergio Panunzio, Idee sul Fascismo, in «Critica fascista», 15 marzo 1925. ^
Perfetti, 1987, pp. 93-99. ^ Loreto Di Nucci, La facoltà fascista di Scienze
Politiche di Perugia: origini e sviluppo, in Continuità e fratture nella storia
delle università italiane dalle origini all'età contemporanea, Dipartimento di
Scienze storiche Università di Perugia, Perugia 2006. ^ Loreto Di Nucci, Nel
cantiere dello Stato fascista, Carocci, Roma 2008, capp. 4-5. ^ Renzo De
Felice, Mussolini il Duce, vol. I: Gli anni del consenso (1929-1936), Einaudi,
Torino 1974, pp. 12 ss. ^ Il sentimento dello Stato, Libreria del Littorio,
Roma 1929; Il concetto della dittatura rivoluzionaria, Forlì 1930; Stato e
diritto: l'unità dello stato e la pluralità degli ordinamenti giuridici,
Società tipografica modenese, Modena 1931; Leggi costituzionali del Regime,
Sindacato nazionale fascista avvocati e procuratori, Roma 1932. Panunzio,
1932, p. 13. ^ Panunzio, 1929, p. 229. ^ Panunzio, 1929, pp. 99-101. ^ Panunzio,
1932, p. 39. ^ Panunzio, 1939, pp. 331-332. ^ Panunzio, 1939, pp. 358-359. ^
Perfetti, 1987, pp. 128-130. ^ Sergio Panunzio: XXX Legislatura del Regno
d'Italia. Camera dei fasci e delle corporazioni / Deputati / Camera dei
deputati - Portale storico ^ Il Fondo Sergio Panunzio. Fondazione Ugo Spirito e
Renzo De Felice. Bibliografia Giovanna Cavallari, Il positivismo nella
formazione filosofico-politica di Sergio Panunzio (1907-1912), in «Schema»,
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critica di Sergio Panunzio al socialismo giuridico, in «Il Socialismo
giuridico: ipotesi e letture», in “Quaderni fiorentini per la storia del
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rivoluzionario (1883-1920), Einaudi, Torino 1965. Emilio Gentile, Le origini
dell'ideologia fascista (1918-1925), Il Mulino, Bologna 19962 (1ª ed.: Laterza,
Roma-Bari 1975). A. James Gregor, Sergio Panunzio: il sindacalismo ed il
fondamento razionale del fascismo, Volpe, Roma 1978; nuova edizione ampliata,
Lulu.com, 2014. Benito Mussolini, Opera omnia, a cura di Edoardo e Duilio
Susmel, 44 voll., La Fenice, Firenze-Roma 1951-1963. Leonardo Paloscia, La
concezione sindacalista di Sergio Panunzio, Gismondi, Roma 1949. Giuseppe
Parlato, La sinistra fascista: storia di un progetto mancato, Il Mulino,
Bologna 2000. Giuseppe Parlato, Il sindacalismo fascista, vol. II: Dalla grande
crisi alla caduta del regime (1930-1943), Bonacci, Roma 1989. Francesco
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Stato corporativo (1919-1930), Bonacci, Roma 1988. Francesco Perfetti, La
«conversione» all'interventismo di Mussolini nel suo carteggio con Sergio
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Bonacci, Roma 1987, pp. 7-133. Francesco Perfetti, Lo Stato fascista: le basi
sindacali e corporative, Le Lettere, Firenze 2010. Zeev Sternhell, Nascita
dell'ideologia fascista (1989), tr. it., Baldini e Castoldi, Milano 1993. Voci
correlate Fascismo Sindacalismo rivoluzionario Sindacalismo nazionale
Sindacalismo fascista Corporativismo Italo Balbo James Gregor Francesco
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su Sergio Panunzio Collegamenti esterni Sergio Panunzio, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su
Wikidata (EN) Opere di Sergio Panunzio, su Open Library, Internet Archive.
Modifica su Wikidata Sergio Panunzio, su storia.camera.it, Camera dei deputati.
Modifica su Wikidata Sabino Cassese, Socialismo giuridico e «diritto operaio».
La critica di Sergio Panunzio al socialismo giuridico in Quaderni fiorentini
per la storia del pensiero giuridico moderno, 3-4, 1974-75, Giuffrè Editore
Milano. Sito dell'Università degli Studi di Firenze. Controllo di autorità VIAF (EN)
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italiani del XX secoloPolitologi italianiFilosofi italiani del XX secoloNati
nel 1886Morti nel 1944Nati il 20 luglioMorti l'8 ottobreNati a MolfettaMorti a
RomaSindacalismo fascistaDeputati della XXVII legislatura del Regno
d'ItaliaDeputati della XXVIII legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della XXIX
legislatura del Regno d'ItaliaConsiglieri della Corporazione della
orto-floro-frutticoltura[altre]
Panunzio
Silvano Panunzio Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
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anni '80 Silvano Panunzio (Ferrara, 16 maggio 1918 – Pescara, 10 giugno 2010) è
stato un filosofo, poeta e scrittore italiano. legato alle correnti
conservatrici e controrivoluzionarie italiane, figlio del più noto filosofo del
diritto e teorico del sindacalismo rivoluzionario Sergio Panunzio.
Indice 1 Biografia 2 Bibliografia
3 Note
4 Voci
correlate 5 Collegamenti
esterni Biografia Laureatosi nel 1941 in Scienze Politiche, lavora
complessivamente 12 anni all'Università degli Studi di Roma "La
Sapienza", prima come Assistente Volontario presso la cattedra di Storia
delle Dottrine Politiche di Filosofia del Diritto e in seguito sia come
Assistente Incaricato di Diritto Costituzionale interno e comparato, sia come
Professore Incaricato per la Filosofia del Diritto ed Etica del
Lavoro.[1] L’ostilità dell’ambiente universitario motivata dagli stretti
legami storici e politici della sua famiglia con il fascismo, gli impedisce di
ottenere una cattedra universitaria costringendolo a ripiegare
sull'insegnamento nei licei. Nel 1940 si arruola nella Regia Marina,
partecipa ad operazioni di guerra nel Mediterraneo e viene insignito della
Croce di Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia. Nel giugno del 1944, dopo
quella che definirà "l'onta dell’8 settembre", non volendo
partecipare a uno scontro fratricida, per protesta si autocongeda con il grado
di "sottotenente di vascello". Nel 1946 rifonda insieme al
fratello Vito la storica rivista politico-culturale di Angelo Oliviero Olivetti
Pagine Libere[2] che si avvale della collaborazione di redattori di grande
livello tra i quali spiccano: Nino Tripodi, Giuseppe Chiarelli, Gioacchino
Volpe, Alberto Asquini, Walter Prosperetti, Luigi Ventura, Eros Vicari, Eugenio
Zolli[3], Roberto Cantalupo, Ernesto De Marzio, Emilio Betti e molti altri. Il
gruppo di Pagine Libere diretto dai fratelli Panunzio viene a volte liquidato
come neofascista, ma in realtà esso rimase sempre sostanzialmente estraneo e
indipendente rispetto alle tradizionali destre politiche italiane del
dopoguerra, compreso il MSI, com'è noto fortemente condizionate dall'esperienza
della RSI alla quale i firmatari del manifesto di Pagine Libere non avevano mai
aderito, non condividendone le finalità politiche. Suoi scritti appaiono
anche su L'Ultima[4] di Adolfo Oxilia e di Papini[5], Carattere e su riviste
specializzate in studi filosofico-giuridici. Conclusa l'esperienza dell'Ultima,
i collaboratori della rivista intraprendono strade differenti; Panunzio (come
Attilio Mordini) si muove ora – secondo il teologo Sergio Quinzio – «nella
direzione di un simbolismo esoterico pieno di sacrali e regali
nostalgie».[6] Dopo un decennio passato a insegnare materie letterarie,
storiche e filosofiche nei licei, nel 1975, viene chiamato a Roma dal Governo
in carica presieduto da Aldo Moro, con la mansione di addetto alla Stampa
Estera presso la Presidenza del Consiglio e contemporaneamente nominato addetto
stampa al Comune di Roma. Incarichi che ricoprirà per circa un decennio.
Nel 1976 fonda a Roma la rivista di studi tradizionali Metapolitica[1], tra le
più longeve nel panorama della pubblicistica del settore, durata ben 34 anni e
nello stesso torno di tempo comincia a pubblicare i suoi libri in una collana a
cui darà il nome di "Dottrina dello Spirito" e di cui usciranno
dodici volumi. A partire dal 1968, il concetto di metapolitica[7] è al centro
del dibattito sulle radici europee da parte degli esponenti della Nuova Destra:
i seguaci dell'opera di Panunzio sostengono una visione cristiana, in
opposizione al neopaganesimo di de Benoist.[8] Considerato uno dei più
acuti interpreti del metafisico francese René Guénon, Silvano Panunzio, cercò
di ricondurne l'orientamento tradizionale, iniziatico, e simbolico nell'alveo
del pensiero cristiano.[9] Insieme ad Attilio Mordini di cui fu amico e sodale,
può essere considerato come uno dei massimi esponenti italiani del
tradizionalismo novecentesco. La sua imponente biblioteca personale e paterna è
stata donata alla Fondazione Ugo Spirito che ne custodisce in gran parte anche
l'archivio di famiglia. Bibliografia Collana di “Dottrina dello
Spirito” Contemplazione e Simbolo, “Summa iniziatica
orientale-occidentale”, 2 vol. pp. 640, Volpe, Roma 1975; Simmetria, Roma 2014
Metapolitica, “La Roma eterna e la Nuova Gerusalemme”, 2 vol. pp. 940, Edizioni
Babuino, Roma 1979 Cristianesimo Giovannèo, “Luci di Ierosofia”, pp. 270,
Volpe, I Classici Cristiani, nn. 281-282, Cantagalli, Siena 1989 La
Conservazione Rivoluzionaria. “Dal dramma politico del Novecento alla svolta
Metapolitica del Duemila”, pp. 250, Il Cinabro, Catania 1996 Cielo e Terra,
“Poesia, Simbolismo, Sapienza, nel Poema Sacro, pp. 300, Ed. Metapolitica, Roma
2009, nuova edizione ampliata Terra e Cielo, “Dal nostro Mondo ai Piani
Superiori”, pp. 99, Cantagalli, Siena 2002 Vicinissimi a Dio, “Summa
Sanctitatis” (Venti Biografie eroiche), pp. 380, Cantagalli, Siena 2004.
Silvano Panunzio, Vicinissimi a Dio, “Summa Sanctitatis” (Venti Biografie
eroiche), Siena, Cantagalli, 2004, pp. 380. ISBN 9788882721657 Silvano
Panunzio, Metafisica del Vangelo Eterno, Roma, Simmetria, 2017, pp. 330. ISBN
88-99152-31-4 La Coralità celeste superdivina, Ed. Metapolitica, Roma 2010
Alleanza Trascendente Michele Arcangelo, ATMA. Princípi. Appello. Storia ed
Eségesi Breve. Precedenti Storici e Agiografici del Cinquantenario, pp. 70,
Roma 2009 nuova edizione Scritti remoti Il misticismo di S. Francesco e
il francescanesimo dell’anima italiana, Sophia, Roma 1939 Difesa
dell’Aristocrazia – Il cristianesimo come Aristocrazia sociale, Pagine Libere,
Roma 1948, Gismondi, Roma 1949 Ugo Foscolo tra Vico e Mazzini nel pensiero
italiano, Gismondi, Roma 1948 Sull’esistenzialismo giuridico, Fratelli Bocca
Editori, Milano 1950 Tradizione, Oriente e Sacre Scritture, L’Ultima, Firenze
1950 Il reincontro Cristianità-Islàm (due eredi dell’impero mediterraneo), Roma
1950, Firenze, 1954 Un pontificato simbolico e universale: dal “Defensor
Civitatis” al “Pastor Angelicus”, Conte Editore, Roma 1958 Cattolici svegli (Tempi
di Apocalisse – Oriente e Occidente – Escatologia ed Ecumenismo – l’Ora di
Giovanni), Firenze 1953, Verona 1959 Cosmologia degli Antichi, Dialoghi, Roma
1952 Ispirazione e Tradizione (Città tradizionali e Città ispiratrici),
Carattere, Verona 1959 Lo spiritualismo storico di Luigi Sturzo (Per una
rettificazione metafisica della Sociologia), Conte, Napoli 1959. Scritti
recenti Discorsi sul monachesimo e sull’oblazione benedettina, S.
Benedetto, Parma 1965-85 Il profetismo di Savonarola, La Pianura, Ferrara 1977
Prefazione alla “Beatrice di Dante” (di Gabriele Rossetti), Atanor, Roma 1982
Approfondimenti crono-escatologici sul “Die Kirche in der Endzeit-Apocalypse”
del padre Dlustusch, Roma 1983 Il gioannismo di Santa Caterina da Siena e il
vero volto di Giovanni, Quaderni Cateriniani, nn. 56-57, Cantagalli, Siena 1990
Le divine negazioni dell’Orso forte (saggio critico introduttivo e traduzione
del “Saint Bernard” di René Guénon), Il Cinabro, Catania 1990 Solo, nel mistero
di Dio. “Sinossi ascetico-mistica da tutti gli Scritti del Padre Pio” (Proemio,
Compilazione, Commenti – Presentazione del Vicepostulatore, padre Gerardo Di
Flùmeri), I Classici Cristiani, Cantagalli, Siena 1992 Il Simbolismo di Rita,
Disegno inedito della mistica rosa di Roccaporena, Thule, Palermo 1993 Le
frontiere dell’aldilà nel poema di Dante e negli aneliti di Padre Pio
(Relazione al Convegno di Spiritualità di San Giovanni Rotondo), Atti 1994 Il
mistero metafisico di Maria “vera Dea e vera Donna”, Thule, Palermo 1994 Laus
fidei (Prefazione a “La luce del Graal”, poema di Pietro Mirabile), Thule,
Palermo 1995 Cavalleria terrestre e celeste di S. Antonio Taumaturgo,
Cantagalli, Siena 1996 Matilde! Vita, morte e trasfigurazione di una Sposa
Cristiana, Cantagalli, Siena 1997 La Croce e l’Ulivo, Canti Lirici (Stelle –
Raggi di Sole – Tra Mare e Cielo – Ultimo Quarto) 1935 ss. Composizione
artistica; Schena Editore, Fasano 2007 Ristampe e nuove antologie Difesa
dell’Aristocrazia (Il cristianesimo come aristocrazia sociale), I Quaderni di Metapolitica,
n. 1, Roma 2017 Scritti su René Guénon, I Quaderni di Metapolitica, n. 2, Roma
2017 Vecchie e nuove cosmologie (Avviamento alla “Scienza dei Magi”), I
Quaderni di Metapolitica, n. 3, Roma 2018 Per una rettificazione metafisica
della sociologia (Lo spiritualismo storico di Luigi Sturzo), I Quaderni di
Metapolitica, n. 4, Roma 2018 Le frontiere dell’Aldilà nel poema di Dante e
negli aneliti di Padre Pio, I Quaderni di Metapolitica, n. 5, Roma 2018 Scritti
in collaborazione Archivio Storico di “Metapolitica, Rivista del Regno
Universale, Roma 1976-1990. II serie: “Nuovi Cieli e Nuova Terra”, Roma
1998-2010. Complessivamente 12 volumi in corso di stampa. Pagine Libere
(Storica Rivista Internazionale fondata a Lugano il 1906), Nuova Serie, Roma 1946-1960.
L’Vltima (Rivista di Escatologia e di Ecumenismo), Firenze 1950-1960. Scritti
sulla stampa estera Bibel und Cosmologie, Kairòs, Zeitschrift für
Religionswis-senschaft und Theologie, Salzburg 1962 Christus und Indien, Jesus
und wir, Kairòs, Salzburg 1968 Referate, Bibliographie zür Symbolik,
Ikonographie und Mythologie, Baden-Baden, 1971, ss
Politik-Kriptopolitik-Metapolitik, Zeitschrift für Ganzeisfor-schung
(Philosophie, Gasellschaft, Wirtschaft), Wien 1981 Traditio et Renovatio, idem,
Wien 1982 La profecia y los profetas, Cielo y Tierra (Antropologia, Metafisica
y Simbolismo), Barcellona 1985-1986 Sur la littérature alsacienne, Cahiers
alsaciens, Strabourg 1987 Metapolitica – Historia cultural, Enciclopèdia
Luso-Brasileira de Cultura, vol. 22°, Lisboa 1991 Ècriture et peinture,
Contrelittérature, Paris 2012 Sull'autore: Testimone dell'assoluto,
“L'itinerario umano e intellettuale di Silvano Panunzio”, (Eségesi di 12 noti
Scrittori Italiani), Ed. Cantagalli, Siena 1988 Dalla metafisica alla metapolitica:
omaggio a Silvano Panunzio in occasione del centenario della nascita, Ed.
Simmetria, Roma 2018. ISBN 978-88-99152-47-5 Inediti: Corona di Rose
(Luci d’oltrevita del fiore del Carmelo). In corso di stampa Note Olinto
Dini, Percorsi di libertà, Firenze, Polistampa, 2003, pp. 95-96. ^ Giambattista
Scirè, La democrazia alla prova, Roma, Carocci, 2005, p. 25. ^ Silvano Panunzio
fu allievo di Eugenio Zolli, cfr. Claudio C. Belinfanti, Lo strano caso di
Israel Eugenio Zolli, 2011. ^ Secondo Giovanni Pallanti, Panunzio sulle pagine
de L'Ultima avrebbe proposto «un'intesa teologica e politica tra il
cattolicesimo e l'islam. [...] Panunzio, combattente nella Seconda guerra
mondiale rimase chiaramente, anche dopo il 1945, un teorico di un fascismo
mistico con lo sguardo rivolto a Oriente». Giovanni Pallanti,
"L'Ultima": scrittori, artisti e teologi tra cattocomunismo e
fascismo, Firenze, Società editrice fiorentina, 2016, p. VIII. ^ Francesco
Carnelutti, Tempo perso, Firenze, Sansoni, 1959, pp. 194-196. ^ Sergio Quinzio,
"L'Ultima" ovvero l'ultimo sogno dello scrittore, in Prospettive
libri, n. 5, 1981, p. 11. ^ In Metapolítica y filosofía (2002), il filosofo
argentino Alberto Buela Lamas affermava che Silvano Panunzio fosse il massimo
rappresentante della corrente metapolitica. Alberto E. Buela, Metapolítica y
filosofía: estudio preliminar de Mons. Héctor Aguer, Buenos Aires, Ediciones
Theoría, 2002, p. 11. ^ Bruno Bosteels, Badiou and Politics, Durham, NC, Duke
University Press, 2011, p. 21. ^ Per una sintesi del pensiero di Panunzio:
Sergio Sotgiu, Una vita contro il cattocomunismo, in Il Giornale, 21 maggio
1998, p. 19. Voci correlate Tradizionalismo (filosofia) Collegamenti esterni
(EN) Opere di Silvano Panunzio, su Open Library, Internet Archive. Modifica su
Wikidata Excursus sul termine "Metapolitica" e sul pensiero di
Silvano Panunzio, su filosofia.org. Controllo di autorità VIAF (EN)
12432109 · ISNI (EN) 0000 0000 2037 2099 · SBN IT\ICCU\CFIV\111402 · LCCN (EN)
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secoloPoeti italiani del XX secoloScrittori italiani del XX secoloNati nel
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convenzioni di Wikipedia. Giovanni Giuseppe Origlia Paolino (1718 – dopo il
1770) è stato un giurista, storico e filosofo italiano. Nato probabilmente a Napoli, fu autore di
quattro "trattenimenti" De' principj del dritto naturale, stampati a
Napoli nel 1746 presso Giovanni di Simone, di un supplemento al Dizionario
storico portatile dell'abate Jean Baptiste Ladvocat, ma è noto soprattutto per
i due volumi della sua Istoria dello studio di Napoli, uscita anch'essa dalla
stamperia di Giovanni di Simone nel 1753-1754.
Si tratta della prima storia compiuta dell'Università di Napoli, nella
quale l'autore dimostra "con buoni argomenti" (come ricorda Girolamo
Tiraboschi nella sua Storia della letteratura italiana), che quell'università
non fu veramente "fondata" da Federico II di Svevia, ma, prima di
lui, dai Normanni, benché questi non le dessero "veramente forma di
università" e non la "onorassero dei privilegi che a tali corpi
convengono", cosa che invece fu fatta da Federico, che così meritò la fama
di suo vero fondatore. Opere *
Giangiuseppe Origlia, Istoria dello studio di Napoli, vol. 2, Torino, Giovanni
Di Simone, 1754. Voci correlate Girolamo Tiraboschi Biografie Portale
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i suggerimenti del progetto di riferimento. Fulvio Papi (Trieste, 16 agosto
1930) è un filosofo, politico, scrittore, giornalista e accademico
italiano. Indice 1 Biografia
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esterni Biografia Nato a Trieste nel 1930, compie gli studi a Milano, a Stresa
sul Lago Maggiore negli anni della seconda guerra mondiale, per poi tornare
nuovamente all'Università degli Studi di Milano fino alla laurea nel 1953.
Politicamente attivo nella corrente lombardiana del PSI, segue un percorso che
lo vedrà varcare le porte del Parlamento[1] ed assumere la vice-direzione e poi
la direzione dell'Avanti![2] Nel 1963, sospettando un aumento del tenore
affaristico nella politica - così come lui stesso dichiara in un'intervista del
1989 - abbandona bruscamente tutto e si dedica all'insegnamento universitario
che lascerà solo nel 2000. È insignito nello stesso anno del titolo di
Professore Emerito dall'Università degli Studi di Pavia e dell'Ambrogino d'oro
quale cittadino benemerito della Città di Milano. Nello stesso anno 2000 fonda inoltre la
rivista di filosofia Oltrecorrente, che tuttora dirige. Con Mario Vegetti, Franco Alessio e Renato
Fabietti, ha curato inoltre, per l'editore Zanichelli, il manuale di filosofia
per i licei, in tre volumi, Filosofie e società.[3] Note ^ KARL MARX RISPONDE A SALVATORE VECA,
PRENDE LE DISTANZE DA ENGELS E RENDE OMAGGIO A FULVIO PAPI., in
lavocedifiore.org, 8 novembre 2018. URL consultato il 19 dicembre 2018. ^
Biografia e bibliografia di Papi Archiviato il 13 dicembre 2013 in Internet
Archive. nel sito "Fondazionecorrente.org ^ Biografia di Fulvio Papi (PDF),
su dicom.uninsubria.it. URL consultato il 19 novembre 2018. Voci correlate
Scuola di Milano Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene
citazioni di o su Fulvio Papi Collegamenti esterni Opere di Fulvio Papi, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Fulvio
Papi, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Profilo
autobiografico in Rivista di filosofia Oltrecorrente. Controllo di autorità VIAF
(EN) 61640816 · ISNI (EN) 0000 0000 6307 7890 · SBN IT\ICCU\CFIV\095561 · LCCN
(EN) n82233162 · BNF (FR) cb12439711h (data) · WorldCat Identities (EN)
lccn-n82233162 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia
Università Portale Università Categorie: Filosofi italiani del XX
secoloFilosofi italiani del XXI secoloPolitici italiani del XX secoloPolitici
italiani del XXI secoloScrittori italiani del XX secoloScrittori italiani del
XXI secoloNati nel 1930Nati il 16 agostoNati a TriesteGiornalisti italiani del
XX secoloDirettori di quotidiani italianiStudenti dell'Università degli Studi
di MilanoGiornalisti italiani del XXI secoloAccademici italiani del XX
secoloAccademici italiani del XXI secoloProfessori dell'Università degli Studi
di Pavia[altre]
paracelsus,
pseudonym of Theophrastus Bombastus von Hohenheim, philosopher. He pursued
medical studies at various G. and Austrian universities, probably completing
them at Ferrara. Thereafter he had little to do with the academic world, apart
from a brief and stormy period as professor of medicine at Basle 152728. Instead,
he worked first as a military surgeon and later as an itinerant physician in
G.y, Austria, and Switzerland. His works were mainly in G. rather than Latin,
and only a few were published during his lifetime. His importance for medical
practice lay in his insistence on observation and experiment, and his use of
chemical methods for preparing drugs. The success of Paracelsian medicine and
chemistry in the later sixteenth and seventeenth centuries was, however,
largely due to the theoretical background he provided. He firmly rejected the
classical medical inheritance, particularly Galen’s explanation of disease as
an imbalance of humors; he drew on a combination of biblical sources, G.
mysticism, alchemy, and Neoplatonic magic as found in Ficino to present a
unified view of humankind and the universe. He saw man as a microcosm,
reflecting the nature of the divine world through his immortal soul, the
sidereal world through his astral body or vital principle, and the terrestrial
world through his visible body. Knowledge requires union with the object, but
because elements of all the worlds are found in man, he can acquire knowledge
of the universe and of God, as partially revealed in nature. The physician
needs knowledge of vital principles called astra in order to heal. Disease is
caused by external agents that can affect the human vital principle as well as
the visible body. Chemical methods are employed to isolate the appropriate
vital principles in minerals and herbs, and these are used as antidotes. Paracelsus
further held that matter contains three principles, sulfur, mercury, and salt.
As a result, he thought it was possible to transform one metal into another by
varying the proportions of the fundamental principles; and that such
transformations could also be used in the production of drugs.
para-consistency: cf. paralogism --
the property of a logic in which one cannot derive all statements from a
contradiction. What is objectionable about contradictions, from the standpoint
of classical logic, is not just that they are false but that they imply any
statement whatsoever: one who accepts a contradiction is thereby committed to
accepting everything. In paraconsistent logics, however, such as relevance
logics, contradictions are isolated inferentially and thus rendered relatively
harmless. The interest in such logics stems from the fact that people sometimes
continue to work in inconsistent theories even after the inconsistency has been
exposed, and do so without inferring everything. Whether this phenomenon can be
explained satisfactorily by the classical logician or shows instead that the
underlying logic of, e.g., science and mathematics is some non-classical
paraconsistent logic, is disputed. Refs.: H. P. Grice: “Implicatura as
para-semantic.”
para-philosophy
– used by Austin, borrowed (but never returned) by Grice.
para-semantic
-- before vowels, par-, word-forming element,
originally in Greek-derived words, meaning "alongside, beyond; altered;
contrary; irregular, abnormal," from Greek para- from para (prep.)
"beside, near; issuing from; against, contrary to," from PIE *prea,
from root *per- (1) "forward," hence "toward, near;
against." Cognate with Old English for- "off, away." Mostly used
in scientific and technical words; not usually regarded as a naturalized
formative element in English.
paradigm-case argument:
Grice tries to give the general form of this argument, as applied to Urmson,
and Grice and Strawson. I wonder if Grice thought that STRAWSON’s appeal to
resentment to prove freewill is paradigm case? The idiom was coined by Grice’s
first tutee at St. John’s, G. N. A. Flew, and he applied it to ‘free will.’
Grice later used it to describe the philosophising by Urmson (in
“Retrospetive”). he issue of analyticity is, as Locke puts it, the issue of
whats trifle. That a triangle is trilateral Locke considers a trifling
proposition, like Saffron is yellow. Lewes (who calls mathematical propositions
analytic) describes the Kantian problem. The reductive analysis of meaning Grice
offers depends on the analytic. Few Oxonian philosophers would follow Loar, D.
Phil Oxon, under Warnock, in thinking of Grices conversational maxims as
empirical inductive generalisations over functional states! Synthesis may do in
the New World,but hardly in the Old! The locus classicus for the
ordinary-language philosophical response to Quine in Two dogmas of empiricism.
Grice and Strawson claim that is analytic does have an ordinary-language use,
as attached two a type of behavioural conversational response. To an analytically
false move (such as My neighbours three-year-old son is an adult) the addressee
A is bound to utter, I dont understand you! You are not being figurative, are
you? To a synthetically false move, on the other hand (such as My neighbours
three-year-old understands Russells Theory of Types), the addressee A
will jump with, Cant believe it! The topdogma of analyticity is for Grice
very important to defend. Philosophy depends on it! He knows that to
many his claim to fame is his In defence of a dogma, the topdogma of
analyticity, no less. He eventually turns to a pragmatist justification of
the distinction. This pragmatist justification is still in accordance with
what he sees as the use of analytic in ordinary language. His infamous examples
are as follows. My neighbours three-year old understands Russells Theory of
Types. A: Hard to believe, but I will. My neighbours three-year old is an
adult. Metaphorically? No. Then I dont understand you, and what youve
just said is, in my scheme of things, analytically false. Ultimately, there are
conversational criteria, based on this or that principle of conversational
helfpulness. Grice is also circumstantially concerned with the synthetic a
priori, and he would ask his childrens playmates: Can a sweater be red and
green all over? No stripes allowed! The distinction is ultimately Kantian,
but it had brought to the fore by the linguistic turn, Oxonian and
other! In defence of a dogma, Two dogmas of empiricism, : the
analytic-synthetic distinction. For Quine, there are two. Grice is mainly
interested in the first one: that there is a distinction between the analytic
and the synthetic. Grice considers Empiricism as a monster on his way to the
Rationalist City of Eternal Truth. Grice came back time and again to
explore the analytic-synthetic distinction. But his philosophy remained
constant. His sympathy is for the practicality of it, its rationale. He sees it
as involving formal calculi, rather than his own theory of conversation as
rational co-operation which does not presuppose the analytic-synthetic
distinction, even if it explains it! Grice would press the issue here: if one
wants to prove that such a theory of conversation as rational co-operation has
to be seen as philosophical, rather than some other way, some idea of analyticity
may be needed to justify the philosophical enterprise. Cf. the synthetic a
priori, that fascinated Grice most than anything Kantian else! Can a sweater be
green and red all over? No stripes allowed. With In defence of a dogma, Grice
and Strawson attack a New-World philosopher. Grice had previously collaborated
with Strawson in an essay on Met.
(actually a three-part piece, with Pears as the third author). The
example Grice chooses to refute attack by Quine of the top-dogma is the
Aristotelian idea of the peritrope, as Aristotle refutes Antiphasis in
Met. (v. Ackrill, Burnyeat and Dancy).
Grice explores chapter Γ 8 of Aristotles Met. . In Γ
8, Aristotle presents two self-refutation arguments against two theses,
and calls the asserter, Antiphasis, T1 = Everything is true, and T2 =
Everything is false, Metaph. Γ 8, 1012b13–18. Each thesis is exposed to
the stock objection that it eliminates itself. An utterer who explicitly
conveys that everything is true also makes the thesis opposite to his own true,
so that his own is not true (for the opposite thesis denies that his is true),
and any utterer U who explicitly conveys that everything is false also belies
himself. Aristotle does not seem to be claiming that, if everything
is true, it would also be true that it is false that everything is true and,
that, therefore, Everything is true must be false: the final, crucial
inference, from the premise if, p, ~p to the conclusion ~p is
missing. But it is this extra inference that seems required to have a
formal refutation of Antiphasiss T1 or T2 by consequentia mirabilis. The
nature of the argument as a purely dialectical silencer of Antiphasis is
confirmed by the case of T2, Everything is false. An utterer who explicitly
conveys that everything is false unwittingly concedes, by self-application,
that what he is saying must be false too. Again, the further and different
conclusion Therefore; it is false that everything is false is
missing. That proposal is thus self-defeating, self-contradictory (and
comparable to Grices addressee using adult to apply to three-year old, without
producing the creature), oxymoronic, and suicidal. This seems all that
Aristotle is interested in establishing through the self-refutation stock
objection. This is not to suggest that Aristotle did not believe that
Everything is true or Everything is false is false, or that he excludes that he
can prove its falsehood. Grice notes that this is not what Aristotle seems
to be purporting to establish in 1012b13–18. This holds for a περιτροπή
(peritrope) argument, but not for a περιγραφή (perigraphe) argument (συμβαίνει
δὴ καὶ τὸ θρυλούμενον πᾶσι τοῖς τοιούτοις λόγοις, αὐτοὺς ἑαυτοὺς ἀναιρεῖν. ὁ
μὲν γὰρ πάντα ἀληθῆ λέγων καὶ τὸν ἐναντίον αὑτοῦ λόγον ἀληθῆ ποιεῖ, ὥστε τὸν
ἑαυτοῦ οὐκ ἀληθῆ (ὁ γὰρ ἐναντίος οὔ φησιν αὐτὸν ἀληθῆ), ὁ δὲ πάντα ψευδῆ καὶ
αὐτὸς αὑτόν.) It may be emphasized that Aristotles argument does not
contain an explicit application of consequentia mirabilis. Indeed, no
extant self-refutation argument before Augustine, Grice is told by Mates,
contains an explicit application of consequentia mirabilis. This observation is
a good and important one, but Grice has doubts about the consequences one may
draw from it. One may take the absence of an explicit application of
consequentia mirabilis to be a sign of the purely dialectical nature of the
self-refutation argument. This is questionable. The formulation of a
self-refutation argument (as in Grices addressee, Sorry, I misused adult.) is
often compressed and elliptical and involves this or that implicaturum. One
usually assumes that this or that piece in a dialectical context has been omitted
and should be supplied (or worked out, as Grice prefers) by the
addressee. But in this or that case, it is equally possible to supply some
other, non-dialectical piece of reasoning. In Aristotles arguments from Γ
8, e.g., the addressee may supply an inference to the effect that the thesis
which has been shown to be self-refuting is not true. For if Aristotle
takes the argument to establish that the thesis has its own contradictory
version as a consequence, it must be obvious to Aristotle that the thesis is
not true (since every consequence of a true thesis is true, and two
contradictory theses cannot be simultaneously true). On the further
assumption (that Grice makes explicit) that the principle of bivalence is
applicable, Aristotle may even infer that the thesis is false. It is
perfectly plausible to attribute such an inference to Aristotle and to supply
it in his argument from Γ 8. On this account, there is no reason to think
that the argument is of an intrinsically dialectical nature and cannot be
adequately represented as a non-dialectical proof of the non-truth, or even falsity,
of the thesis in question. It is indeed difficult to see signs of a
dialectical exchange between two parties (of the type of which Grice and
Strawson are champions) in Γ8, 1012b13–18. One piece of evidence is
Aristotles reference to the person, the utterer, as Grice prefers who
explicitly conveys or asserts (ὁ λέγων) that T1 or that T2. This reference
by the Grecian philosopher to the Griceian utterer or asserter of the thesis
that everything is true would be irrelevant if Aristotles aim is to prove something
about T1s or T2s propositional content, independently of the act by the
utterer of uttering its expression and thereby explicitly conveying
it. However, it is not clear that this reference is essential to
Aristotles argument. One may even doubt whether the Grecian philosopher is
being that Griceian, and actually referring to the asserter of T1 or T2. The
*implicit* (or implicated) grammatical Subjects of Aristotles ὁ λέγων (1012b15)
might be λόγος, instead of the utterer qua asserter. λόγος is surely the implicit
grammatical Subjects of ὁ λέγων shortly after ( 1012b21–22. 8). The
passage may be taken to be concerned with λόγοι ‒ this or that statement,
this or that thesis ‒ but not with its asserter. In the Prior
Analytics, Aristotle states that no thesis (A three-year old is an adult) can
necessarily imply its own contradictory (A three-year old is not an adult)
(2.4, 57b13–14). One may appeal to this statement in order to argue for
Aristotles claim that a self-refutation argument should NOT be analyzed as
involving an implicit application of consequentia mirabilis. Thus, one should
deny that Aristotles self-refutation argument establishes a necessary
implication from the self-refuting thesis to its contradictory. However,
this does not explain what other kind of consequence relation Aristotle takes
the self-refutation argument to establish between the self-refuting thesis and
its contradictory, although dialectical necessity has been suggested.
Aristotles argument suffices to establish that Everything is false is either
false or liar-paradoxical. If a thesis is liar-paradoxical (and Grice
loved, and overused the expression), the assumption of its falsity leads to
contradiction as well as the assumption of its truth. But Everything is
false is only liar-paradoxical in the unlikely, for Aristotle perhaps
impossible, event that everything distinct from this thesis is false. So,
given the additional premise that there is at least one true item distinct from
the thesis Everything is false, Aristotle can safely infer that the thesis is
false. As for Aristotles ὁ γὰρ λέγων τὸν ἀληθῆ λόγον ἀληθῆ ἀληθής,, or eliding
the γὰρ, ὁ λέγων τὸν ἀληθῆ λόγον ἀληθῆ ἀληθής, (ho
legon ton alethe logon alethe alethes) may be rendered as either: The statement
which states that the true statement is true is true, or, more alla Grice,
as He who says (or explicitly conveys, or indicates) that the true thesis
is true says something true. It may be argued that it is quite baffling
(and figurative or analogical or metaphoric) in this context, to take ἀληθής to
be predicated of the Griceian utterer, a person (true standing for truth
teller, trustworthy), to take it to mean that he says something true,
rather than his statement stating something true, or his statement being true.
But cf. L and S: ἀληθής [α^], Dor. ἀλαθής, [α^], Dor. ἀλαθής, ές, f. λήθω, of
persons, truthful, honest (not in Hom., v. infr.), ἀ. νόος Pi. O.2.92;
κατήγορος A. Th. 439; κριτής Th. 3.56; οἶνος ἀ. `in vino veritas, Pl. Smp.
217e; ὁ μέσος ἀ. τις Arist. EN 1108a20. Admittedly, this or that non-Griceian
passage in which it is λόγος, and not the utterer, which is the implied
grammatical Subjects of ὁ λέγων can be found in Metaph. Γ7, 1012a24–25; Δ6,
1016a33; Int. 14, 23a28–29; De motu an. 10, 703a4; Eth. Nic. 2.6, 1107a6–7.
9. So the topic is controversial. Indeed such a non-Griceian exegesis of
the passage is given by Alexander of Aphrodisias (in Metaph. 340. 26–29):9,
when Alexander observes that the statement, i.e. not the utterer, that says
that everything is false (ὁ δὲ πάντα ψευδῆ εἶναι λέγων λόγος) negates itself,
not himself, because if everything is false, this very statement, which, rather
than, by which the utterer, says that everything is false, would be false, and
how can an utterer be FALSE? So that the statement which, rather than the
utterer who, negates it, saying that not everything is false, would be true,
and surely an utterer cannot be true. Does Alexander misrepresent Aristotles
argument by omitting every Griceian reference to the asserter or utterer qua
rational personal agent, of the thesis? If the answer is negative, even if the
occurrence of ὁ λέγων at 1012b15 refers to the asserter, or utterer, qua
rational personal agent, this is merely an accidental feature of Aristotles
argument that cannot be regarded as an indication of its dialectical nature.
None of this is to deny that some self-refutation argument may be of an
intrinsically dialectical nature; it is only to deny that every one is This is
in line with Burnyeats view that a dialectical self-refutation, even if
qualified, as Aristotle does, as ancient, is a subspecies of self-refutation,
but does not exhaust it. Granted, a dialectical approach may provide a useful
interpretive framework for many an ancient self-refutation argument. A statement
like If proof does not exist, proof exists ‒ that occurs in an anti-sceptical
self-refutation argument reported by Sextus Empiricus ‒ may receive
an attractive dialectical re-interpretation. It may be argued that such a
statement should not be understood at the level of what is explicated, but
should be regarded as an elliptical reminder of a complex dialectical argument
which can be described as follows. Cf. If thou claimest that proof doth not
exist, thou must present a proof of what thou assertest, in order to be
credible, but thus thou thyself admitest that proof existeth. A similar point
can be made for Aristotles famous argument in the Protrepticus that one must
philosophise. A number of sources state that this argument relies on the implicaturum,
If one must not philosophize, one must philosophize. It may be argued that this
implicaturum is an elliptical reminder of a dialectical argument such as the
following. If thy position is that thou must not philosophise, thou must
reflect on this choice and argue in its support, but by doing so thou art
already choosing to do philosophy, thereby admitting that thou must
philosophise. The claim that every instance of an ancient self-refutation
arguments is of an intrinsically dialectical nature is thus questionable, to
put it mildly. V also 340.19–26, and A. Madigan, tcomm., Alexander of
Aphrodisias: On Aristotles Met. 4,
Ithaca, N.Y., Burnyeat, Protagoras and Self-Refutation in Later Greek
Philosophy,. Grices implicaturum is that Quine should have learned Greek before
refuting Aristotle. But then *I* dont speak Greek! Strawson refuted. Refs.: The
obvious keyword is ‘analytic,’ in The H. P. Grice Papers, BANC. : For one,
Grice does not follow Aristotle, but Philo. the conditional If Alexander exists,
Alexander talks or If Alexander exists, he has such-and-such an age is not
true—not even if he is in fact of such-and-such an age when the proposition is
said. (in APr 175.34–176.6)⁴³ ⁴³
… δείκνυσιν ὅτι μὴ οἷόν τε δυνατῷ τι ἀδύνατον ἀκολουθεῖν, ἀλλ᾿ ἀνάγκη ἀδύνατον εἶναι
ᾧ τὸ ἀδύνατον ἀκολουθεῖ, ἐπὶ πάσης ἀναγκαίας ἀκολουθίας. ἔστι δὲ ἀναγκαία ἀκολουθία
οὐχ ἡ πρόσκαιρος, ἀλλὰ ἐν ᾗ ἀεὶ τὸ ἑπόμενον ἕπεσθαι ἔστι τῷ τὸ εἰλημμένον ὡς ἡγούμενον
εἶναι. οὐ γὰρ ἀληθὲς συνημμένον τὸ εἰ ᾿Αλέξανδρος ἔστιν, ᾿Αλέξανδρος διαλέγεται,
ἢ εἰ ᾿Αλέξανδρος ἔστι, τοσῶνδε ἐτῶν ἐστι, καὶ εἰ εἴη ὅτε λέγεται ἡ πρότασις
τοσούτων ἐτῶν. vide Barnes. ...
έχη δε και επιφοράν το 5 αντικείμενον τώ ήγουμένω, τότε ο τοιούτος γίνεται
δεύτερος αναπόδεικτος, ώς το ,,ει ημέρα έστι, φώς έστιν ουχί δέ γε φώς έστιν
ουκ άρα ...εί ημέρα εστι
, φως έστιν ... eine unrichtige (
μοχθηρόν ) bezeichnet 142 ) , und Zwar war es besonders Philo ... οίον , , εί ημέρα εστι , φως έστιν , ή
άρχεται από ψεύδους και λήγει επί ψεύδος ... όπερ ήν λήγον . bei der
Obwaltende Conditional -
Nexus gar nicht in Betracht ...Philo:
If it is day, I am talking. One of Grice’s favorite paradoxes, that display the
usefulness of the implicaturum are the so-called ‘paradoxes of implication.’
Johnson, alas, uses ‘paradox’ in the singular. So there must be earlier
accounts of this in the history of philosophy. Notably in the ancient
commentators to Philo! (Greek “ei” and Roman “si”). Misleading but true – could
do.” Note that Grice has an essay on the ‘paradoxes of entailment’. As Strawson
notes, this is misleading. For Strawson these are not paradoxes. The things are
INCORRECT. For Grice, the Philonian paradoxes are indeed paradoxical because
each is a truth. Now, Strawson and Wiggins challenge this. For Grice, to utter
“if p, q” implicates that the utterer is not in a position to utter anything
stronger. He implicates that he has NON-TRUTH-FUNCTIONAL REASON or grounds to
utter “if p, q.” For Strawson, THAT is precisely what the ‘consequentialist’ is
holding. For Strawson, the utterer CONVENTIONALLY IMPLIES that the consequent
or apodosis follows, in some way, from the antecedent or protasis. Not for
Grice. For Grice, what the utterer explicitly conveys is that the conditions
that obtain are those of the Philonian conditional. He implicitly conveys that
there is n inferrability, and this is cancellable. If Strawson holds that it is
a matter of a conventional implicaturum, the issue of cancellation becomes
crucial. For Grice, to add that “But I don’t want to covey that there is any
inferrability between the protasis and the apodosis” is NOT a contradiction.
The utterer or emissor is NOT self-contradicting. And he isn’t! The first to
use the term ‘paracox’ here is a genius. Possibly Philo. It
was W. E. Johnson who first used
the expression 'paradox of
implication', explaining that a paradox of this sort arises when a
logician proceeds step by step, using accepted
principles, until a formula is reached which conflicts with common sense
[Johnson, 1921, 39].The
paradox of implication assumes many forms, some of which are not easily
recognised as involving mere varieties of the same fundamental principle.
But COMPOUND PROPOSITIONS 47 I believe that they
can all be resolved by the consideration that we cannot ivithotd qjialification
apply a com- posite and (in particular) an implicative proposition
to the further process of inference. Such application is possible
only when the composite has been reached irrespectively of any assertion
of the truth or falsity of its components. In other words, it is a
necessary con- dition for further inference that the components of
a composite should really have been entertained hypo- thetically
when asserting that composite. § 9. The theory of compound
propositions leads to a special development when in the conjunctives
the components are taken — not, as hitherto, assertorically — but
hypothetically as in the composites. The conjunc- tives will now be
naturally expressed by such words as possible or compatible, while the
composite forms which respectively contradict the conjunctives will be
expressed by such words as necessary or impossible. If we select
the negative form for these conjunctives, we should write as
contradictory pairs : Conjunctives {possible) Composites {fiecessary)
a. p does not imply q 1, p is not implied by q
c. p is not co-disjunct to q d. p is not co-alternate to
q a, p implies q b, p is implied by q
c, p is co-disjunct to q d, p is co-alternate to q
Or Otherwise, using the term 'possible' throughout, the four
conjunctives will assume the form that the several conjunctions — pq^pq,
pq ^-nd pq — are respectively /^i*- sidle. Here the word possible is
equivalent to being merely hypothetically entertained, so that the
several conjunctives are now qualified in the same way as are the
simple components themselves. Similarly the four CHAPTER HI
corresponding composites may be expressed negatively by using the
term 'impossible,' and will assume the form that the ^^;yunctions pq^ pq,
pq and pq are re- spectively impossible, or (which means the same)
that the ^zVjunctions/^, ^^, pq Rnd pq are necessary. Now just as
'possible* here means merely 'hypothetically entertained/ so 'impossible'
and 'necessary' mean re- spectively 'assertorically denied' and 'assertorically
affirmed/ The above scheme leads to the consideration of the
determinate relations that could subsist of p to q when these eight
propositions (conjunctives and composites) are combined in
everypossibleway without contradiction. Prima facie there are i6 such
combinations obtained by selecting a or ay b or 3, c or c, d or J for one
of the four constituent terms. Out of these i6 combinations, how-
ever, some will involve a conjunction of supplementaries (see tables on
pp. 37, 38), which would entail the as- sertorical affirmation or denial
of one of the components / or q, and consequently would not exhibit a
relation of p to q. The combinations that, on this ground, must be
disallowed are the following nine : cihcd, abed, abed, abed] abed,
bacd, cabd, dabc\ abed. The combinations that remain to be admitted
are therefore the followino- seven : abld, cdab\ abed, bald,
cdab^ dcab\ abed. In fact, under the imposed restriction, since a
or b cannot be conjoined with c or d, it follows that we must
always conjoin a with c and d\ b with e and d\ c with a and b\ ^with a
and b. This being understood, the COMPOUND PROPOSITIONS
49 seven permissible combinations that remain are properly to
be expressed in the more simple forms: ab, cd\ ab, ba, cd, dc\ and
abed These will be represented (but re-arranged for purposes
of symmetry) in the following table giving all the possible relations of
any proposition/ to any proposition q. The technical names which 1
propose to adopt for the several relations are printed in the second
column of the table. Table of possible relations of
propositio7i p to proposition q. 1. {a,b)\ p implies and is
implied by q 2. (a, b) : p implies but is not implied by q,
3. {b^d): p is implied by but does not imply q, 4.
{djb^'c^d): p is neither implicans nor impli cate nor co-disjunct
nor co-alternate to g. 5. {dy c)\ /is co-alternate but not
co-disjunct to $r, 6. {Cyd): /isco-disjunctbutnotco-alternateto$^.
7. {Cjd)'. p is co-disjunct and co-alternate to q, p
is co-implicant to q p is super-implicant to q. p is sub-implicant
to q. p is independent of q p is sub-opponent to
q p is super-opponent to q, p is co-opponent to q, Here
the symmetry indicated by the prefixes, co-, super-, sub-, is brought out
by reading downwards and upwards to the middle line representing
independence. In this order the propositional forms range from the
supreme degree of consistency to the supreme degree of opponency, as
regards the relation of/ to ^. In tradi- tional logic the seven forms of
relation are known respec- tively by the names equipollent, superaltern,
subaltern, independent, sub-contrary, contrary, contradictory. This
latter terminology, however, is properly used to express the formal
relations of implication and opposition, whereas the terminology which I
have adopted will apply indifferently both for formal and for material
relations. One of Grice’s claims to fame is
his paradox, under ‘Yog and Zog.’ Another paradox that Grice examines at length
is paradox by Moore. For Grice, unlike Nowell-Smith, an utterer who, by
uttering The cat is on the mat explicitly conveys that the cat is on the mat
does not thereby implicitly convey that he believes that the cat is on the mat.
He, more crucially expresses that he believes that the cat is on the mat ‒ and
this is not cancellable. He occasionally refers to Moores paradox in the
buletic mode, Close the door even if thats not my desire. An imperative still
expresses someones desire. The sergeant who orders his soldiers to muster at
dawn because he is following the lieutenants order. Grices first encounter with
paradox remains his studying Malcolms misleading exegesis of Moore. Refs.: The
main sources given under ‘heterologicality,’ above. ‘Paradox’ is a good keyword
in The H. P. Grice Papers, since he used ‘paradox’ to describe his puzzle about
‘if,’ but also Malcolm on Moore on the philosopher’s paradox, and paradoxes of
material implication and paradoxes of entailment. Grice’s point is that a
paradox is not something false. For Strawson it is. “The so-called paradoxes of
‘entailment’ and ‘material implication’ are a misnomer. They statements are not
paradoxical, they are false.” Not for Grice! Cf. aporia. The H. P. Grice
Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, University of California,
Berkeley.
Griceian paradigm, the-- paradigm:
as used by physicist – Grice: “Kuhn ain’t a philosopher – his BA was in
physics!” -- Kuhn in “The Structure of Scientific Revolutions,” 2, a set of
scientific and metaphysical beliefs that make up a theoretical framework within
which scientific theories can be tested, evaluated, and if necessary revised.
Kuhn’s principal thesis, in which the notion of a paradigm plays a central
role, is structured around an argument against the logical empiricist view of
scientific theory change. Empiricists viewed theory change as an ongoing smooth
and cumulative process in which empirical facts, discovered through observation
or experimentation, forced revisions in our theories and thus added to our
ever-increasing knowledge of the world. It was claimed that, combined with this
process of revision, there existed a process of intertheoretic reduction that
enabled us to understand the macro in terms of the micro, and that ultimately
aimed at a unity of science. Kuhn maintains that this view is incompatible with
what actually happens in case after case in the history of science. Scientific
change occurs by “revolutions” in which an older paradigm is overthrown and is replaced
by a framework incompatible or even incommensurate with it. Thus the alleged
empirical “facts,” which were adduced to support the older theory, become
irrelevant to the new; the questions asked and answered in the new framework
cut across those of the old; indeed the vocabularies of the two frameworks make
up different languages, not easily intertranslatable. These episodes of
revolution are separated by long periods of “normal science,” during which the
theories of a given paradigm are honed, refined, and elaborated. These periods
are sometimes referred to as periods of “puzzle solving,” because the changes
are to be understood more as fiddling with the details of the theories to “save
the phenomena” than as steps taking us closer to the truth. A number of
philosophers have complained that Kuhn’s conception of a paradigm is too
imprecise to do the work he intended for it. In fact, Kuhn, fifteen years
later, admitted that at least two distinct ideas were exploited by the term: i
the “shared elements [that] account for the relatively unproblematic character
of professional communication and for the relative unanimity of professional
judgment,” and ii “concrete problem solutions, accepted by the group [of
scientists] as, in a quite usual sense, paradigmatic” Kuhn, “Second Thoughts on
Paradigms,” 7. Kuhn offers the terms ‘disciplinary matrix’ and ‘exemplar’, respectively,
for these two ideas. Refs.: H. P. Grice, “Why Kuhn could never explain the
‘minor revolution’ in philosophy we had at Oxford!; H. P. Grice, “The Griceian
paradigm – crisis – revolution – resolution: some implicatura from Kuhn (from
Merton to St. John’s).”
paradigm-case
argument:
an argument designed by A. G. N. Flew, Grice’s first tutee at St. John’s –
almost -- to yield an affirmative answer to the following general type of
skeptically motivated question: Are A’s really B? E.g., Do material objects
really exist? Are any of our actions really free? Does induction really provide
reasonable grounds for one’s beliefs? The structure of the argument is simple:
in situations that are “typical,” “exemplary,” or “paradigmatic,” standards for
which are supplied by common sense, or ordinary language, part of what it is to
be B essentially involves A. Hence it is absurd to doubt if A’s are ever B, or
to doubt if in general A’s are B. More commonly, the argument is encountered in
the linguistic mode: part of what it means for something to be B is that, in
paradigm cases, it be an A. Hence the question whether A’s are ever B is
meaningless. An example may be found in the application of the argument to the
problem of induction. See Strawson, Introduction to Logical Theory, 2. When one
believes a generalization of the form ‘All F’s are G’ on the basis of good
inductive evidence, i.e., evidence constituted by innumerable and varied
instances of F all of which are G, one would thereby have good reasons for
holding this belief. The argument for this claim is based on the content of the
concepts of reasonableness and of strength of evidence. Thus according to Strawson,
the following two propositions are analytic: 1 It is reasonable to have a
degree of belief in a proposition that is proportional to the strength of the
evidence in its favor. 2 The evidence for a generalization is strong in
proportion as the number of instances, and the variety of circumstances in
which they have been found, is great. Hence, Strawson concludes, “to ask
whether it is reasonable to place reliance on inductive procedures is like
asking whether it is reasonable to proportion the degree of one’s convictions
to the strength of the evidence. Doing this is what ‘being reasonable’ means in
such a context” p. 257. In such arguments the role played by the appeal to
paradigm cases is crucial. In Strawson’s version, paradigm cases are constituted
by “innumerable and varied instances.” Without such an appeal the argument
would fail completely, for it is clear that not all uses of induction are
reasonable. Even when this appeal is made clear though, the argument remains
questionable, for it fails to confront adequately the force of the word
‘really’ in the skeptical challenges. paradigm case argument paradigm case
argument. H. P. Grice, “Paradigm-case arguments in Urmson and other play group
members,” H. P. Grice, “A. G. N. Flew and how I taught him the paradigm-case
argument for free-will.”
H.
P. Grice’s para-doxon -- παράδοξον, Liddell and
Scott render it as “contrary to expectation [doxa, belief], incredible,
[unbelievable]” – πaradoxos λόγος they render, unhelpfully, as “a paradox,” Pl.R.472a;
“πaradoxos τε καὶ ψεῦδος” – the paradoxical and the false -- Id.Plt.281a;
“παράδοξα λέγειν” – to utter a paradox -- X.Cyr.7.2.16; “ἂν παράδοξον εἴπω” D.3.10; ἐκ
τοῦ παραδόξου καὶ παραλόγου – Liddell and Scott render as “contrary to all
expectation,” contrary to all belief and dicta! -- ἐκ τοῦ παρα-δόξου καὶ
παρα-λόγου – cf. Kant’s paralogism -- -- -- Id.25.32, cf. Phld.Vit.p.23 J.; “πολλὰ
ποικίλλει χρόνος πaradoxa καὶ θαυμαστά” Men.593; “πaradoxon μοι τὸ πρᾶγμα”
Thphr.Char.1.6; “τὸ ἔνδοξον ἐκ τοῦ πaradoxon θηρώμενος” Plu.Pomp.14; παράδοξα
Stoical paradoxes, Id.2.1060b sq.: Comp., Phld.Mus.p.72 K., Plot.4.9.2: Sup.,
LXX Wi.16.17. Adv. “-ξως” Aeschin.2.40, Plb.1.21.11, Dsc.4.83: Sup. “-ότατα”
D.C.67.11; “-οτάτως” Gal.7.876. II. παράδοξος, title of distinguished athletes,
musicians, and artists of all kinds, the Admirable, IG3.1442, 14.916,
Arr.Epict.2.18.22, IGRom.4.468 (Pergam., iii A. D.), PHamb.21.3 (iv A. D.),
Rev.Ét.Gr.42.434 (Delph.), etc. For Grice, ‘unbelievable’ as opposed to
‘unthinkable’ or ‘unintelligible’ is the paradigm-case response for a
non-analytically false utterance. “Paradoxical, but true.”
para-doxon:
a seemingly sound piece of reasoning based on seemingly true assumptions that
leads to a contradiction or other obviously false conclusion. A paradox reveals
that either the principles of reasoning or the assumptions on which it is based
are faulty. It is said to be solved when the mistaken principles or assumptions
are clearly identified and rejected. The philosophical interest in paradoxes
arises from the fact that they sometimes reveal fundamentally mistaken assumptions
or erroneous reasoning techniques. Two groups of paradoxes have received a
great deal of attention in modern philosophy. Known as the semantic paradoxes
and the logical or settheoretic paradoxes, they reveal serious difficulties in
our intuitive understanding of the basic notions of semantics and set theory.
Other well-known paradoxes include the barber paradox and the prediction or
hangman or unexpected examination paradox. The barber paradox is mainly useful
as an example of a paradox that is easily resolved. Suppose we are told that
there is an Oxford barber who shaves all and only the Oxford men who do not
shave themselves. Using this description, we can apparently derive the
contradiction that this barber both shaves and does not shave himself. If he
does not shave himself, then according to the description he must be one of the
people he shaves; if he does shave himself, then according to the description
he is one of the people he does not shave. This paradox can be resolved in two
ways. First, the original claim that such a barber exists can simply be
rejected: perhaps no one satisfies the alleged description. Second, the
described barber may exist, but not fall into the class of Oxford men: a woman
barber, e.g., could shave all and only the Oxford men who do not shave
themselves. The prediction paradox takes a variety of forms. Suppose a teacher
tells her students on Friday that the following week she will give a single
quiz. But it will be a surprise: the students will not know the evening before
that the quiz will take place the following day. They reason that she cannot
give such a quiz. After all, she cannot wait until Friday to give it, since
then they would know Thursday evening. That leaves Monday through Thursday as
the only possible days for it. But then Thursday can be ruled out for the same
reason: they would know on Wednesday evening. Wednesday, Tuesday, and Monday
can be ruled out by similar reasoning. Convinced by this seemingly correct
reasoning, the students do not study for the quiz. On Wednesday morning, they
are taken by surprise when the teacher distributes it. It has been pointed out
that the students’ reasoning has this peculiar feature: in order to rule out
any of the days, they must assume that the quiz will be given and that it will
be a surprise. But their alleged conclusion is that it cannot be given or else
will not be a surprise, undermining that very assumption. Kaplan and Montague
have argued in “A Paradox Regained,” Notre Dame Journal of Formal Logic, 0 that
at the core of this puzzle is what they call the knower paradox a paradox that arises when intuitively
plausible principles about knowledge and its relation to logical consequence
are used in conjunction with knowledge claims whose content is, or entails, a
denial of those very claims. Paradoxa A philosophical treatise of Cicero setting forth
six striking theorems of the Stoic system. It was composed in B.C. 46. Edited
by Orelli (with the Tusculans) (Zürich, 1829); and by Möser (Göttingen, 1846).
The three modals: Grice: “We
have, in all, then, three varieties of acceptability statement (each with
alethic and practical sub-types), associated with the modals "It is fully
acceptable that . . . " (non-defeasible), 'it is ceteris paribus
acceptable that . . . ', and 'it is to such-and-such a degree acceptable that .
. . ', both of the latter pair being subject to defeasibility. (I should
re-emphasize that, on the practical side, I am so far concerned to represent
only statements which are analogous with Kant's Technical Imperatives ('Rules
of Skill').) I am now visited by a
temptation, to which of course I shall yield, to link these varieties of
acceptability statement with common modals; however, to preserve a façade of
dignity I shall mark the modals I thus define with a star, to indicate that the
modals so defined are only candidates for identification with the common modals
spelled in the same way. I am tempted to introduce 'it must* be that' as a
modal whose sense is that of 'It is fully acceptable that' and 'it ought* to be
that' as a modal whose sense is that of 'It is ceteris paribus (other things
being equal) acceptable that'; for degree-variant acceptability I can think of
no appealing vernacular counterpart other than 'acceptable' itself. After such
introduction, we could allow the starred modals to become idiomatically
embedded in the sentences in which they occur; as in "A bishop must* get
fed up with politicians", and in "To keep his job, a bishop ought*
not to show his irritation with politicians". end p.78 But I now confess
that I am tempted to plunge even further into conceptual debauchery than I have
already; having just, at considerable pains, got what might turn out to be
common modals into my structures, I am at once inclined to get them out again. For
it seems to me that one might be able, without change of sense, to employ forms
of sentence which eliminate reference to acceptability, and so do not need the
starred modals. One might be able, to this end, to exploit "if-then"
conditionals (NB 'if . . . then', not just 'if') together with suitable
modifiers. One might, for example, be able to re-express "A bishop must*
get fed up with politicians" as "If one is a bishop, then
(unreservedly) one will get fed up with the politicians"; and "To
keep his job, a bishop ought* not to show his irritation with politicians"
as "If one is to keep one's job and if one is a bishop, then, other things
being equal, one is not to show one's irritation with politicians". Of
course, when it comes to applying detachment to corresponding singular
conditionals, we may need to have some way of indicating the character of the
generalization from which the detached singular non-conditional sentence has
been derived; the devising of such indices should not be beyond the wit of man.
So far as generalizations of these kinds are concerned, it seems to me that one
needs to be able to mark five features: (1) conditionality; (2) generality; (3)
type of generality (absolute, ceteris paribus, etc., thereby, ipso facto,
discriminating with respect to defeasibility or indefeasibility); (4) mode; (5)
(not so far mentioned) whether or not the generalization in question has or has
not been derived from a simple enumeration of instances; because of their
differences with respect to direction of fit, any such index will do real work
in the case of alethic generalities, not in the case of practical generalities.
So long as these features are marked, we have all we need for our purposes.
Furthermore, they are all (in some legitimate and intelligible sense) formal
features, and indeed features which might be regarded as, in some sense,
'contained in' or 'required by' the end p.79 concept of a rational being, since
it would hardly be possible to engage in any kind of reasoning without being
familiar with them. So, on the assumption that the starred modals are
identifiable with their unstarred counterparts, we would seem to have reached
the following positions. (1) We have represented practical and alethic
generalizations, and their associated conditionals, and with them certain
common modals such as 'must' and 'ought', under a single notion of
acceptability (with specific variants). (2) We have decomposed acceptability
itself into formal features. (3) We have removed mystery from the alleged
logical fact that acceptable practical 'ought' statements have to be derivable
from an underlying generalization. (4) Though these achievements (if such they
be) might indeed not settle the 'univocality' questions, they can hardly be
irrelevant to them. I suspect that, if we were to telephone the illustrious
Kant at his Elysian country club in order to impart to him this latest titbit
of philosophical gossip, we might get the reply, "Big deal! Isn't that
what I've been telling you all along?"
paradoxes
of omnipotence – Grice: “a favourite with the second Wilde.” – Grice means
first Wilde, reader in philosophical psychology, second Wilde, reader in
natural religion -- a series of paradoxes in philosophical theology that
maintain that God could not be omnipotent because the concept is inconsistent,
alleged to result from the intuitive idea that if God is omnipotent, then God
must be able to do anything. 1 Can God perform logically contradictory tasks?
If God can, then God should be able to make himself simultaneously omnipotent
and not omnipotent, which is absurd. If God cannot, then it appears that there
is something God cannot do. Many philosophers have sought to avoid this
consequence by claiming that the notion of performing a logically contradictory
task is empty, and that question 1 specifies no task that God can perform or
fail to perform. 2 Can God cease to be omnipotent? If God can and were to do
so, then at any time thereafter, God would no longer be completely sovereign
over all things. If God cannot, then God cannot do something that others can
do, namely, impose limitations on one’s own powers. A popular response to
question 2 is to say that omnipotence is an essential attribute of a
necessarily existing being. According to this response, although God cannot cease
to be omnipotent any more than God can cease to exist, these features are not
liabilities but rather the lack of liabilities in God. 3 Can God create another
being who is omnipotent? Is it logically possible for two beings to be
omnipotent? It might seem that there could be, if they never disagreed in fact
with each other. If, however, omnipotence requires control over all possible
but counterfactual situations, there could be two omnipotent beings only if it
were impossible for them to disagree. 4 Can God create a stone too heavy for
God to move? If God can, then there is something that God cannot do move such a stone and if God cannot, then there is something
God cannot do create such a stone. One
reply is to maintain that ‘God cannot create a stone too heavy for God to move’
is a harmless consequence of ‘God can create stones of any weight and God can
move stones of any weight.’ paradox of
analysis: Grice: “One (not I, mind – I don’t take anything seriously) must take
the paradox of analysis very seriously.” an argument that it is impossible for
an analysis of a meaning to be informative for one who already understands the
meaning. Consider: ‘An F is a G’ e.g., ‘A circle is a line all points on which
are equidistant from some one point’ gives a correct analysis of the meaning of
‘F’ only if ‘G’ means the same as ‘F’; but then anyone who already understands
both meanings must already know what the sentence says. Indeed, that will be
the same as what the trivial ‘An F is an F’ says, since replacing one
expression by another with the same meaning should preserve what the sentence
says. The conclusion that ‘An F is a G’ cannot be informative for one who
already understands all its terms is paradoxical only for cases where ‘G’ is
not only synonymous with but more complex than ‘F’, in such a way as to give an
analysis of ‘F’. ‘A first cousin is an offspring of a parent’s sibling’ gives
an analysis, but ‘A dad is a father’ does not and in fact could not be
informative for one who already knows the meaning of all its words. The paradox
appears to fail to distinguish between different sorts of knowledge.
Encountering for the first time and understanding a correct analysis of a
meaning one already grasps brings one from merely tacit to explicit knowledge
of its truth. One sees that it does capture the meaning and thereby sees a way
of articulating the meaning one had not thought of before. Refs.: H. P. Grice:
“Dissolving the paradox of analysis via the principle of conversational
helpfulness – How helpful is ‘unmarried male’ as an analysis of ‘bachelor’?” paradox
of omniscience: Grice: “A favourite with the second Wilde,” i. e. the Wilde
reader in natural religion, as opposed to the Wilde reader in philosophical
psychology -- an objection to the possibility of omniscience, developed by
Patrick Grim, that appeals to an application of Cantor’s power set theorem.
Omniscience requires knowing all truths; according to Grim, that means knowing
every truth in the set of all truths. But there is no set of all truths. Suppose
that there were a set T of all truths. Consider all the subsets of T, that is,
all members of the power set 3T. Take some truth T1. For each member of 3T
either T1 is a member of that set or T1 is not a member of that set. There will
thus correspond to each member of 3T a further truth specifying whether T1 is
or is not a member of that set. Therefore there are at least as many truths as
there are members of 3T. By the power set theorem, there are more members of 3T
than there are of T. So T is not the set of all truths. By a parallel argument,
no other set is, either. So there is no set of all truths, after all, and
therefore no one who knows every member of that set. The objection may be
countered by denying that the claim ‘for every proposition p, if p is true God
knows that p’ requires that there be a set of all true propositions.
paraphilosophy:
“I phoned Gellner: you chould entitle your essay, an attack on ordinary
language PARA-philosophy, since that is what Austin asks us to do.”
Paraphilosophy:
“Something Austin loved, and I not so much.” – Grice.
para-psychology, the study of certain
anomalous phenomena and ostensible causal connections neither recognized nor
clearly rejected by traditional science. Parapsychology’s principal areas of
investigation are extrasensory perception ESP, psychokinesis PK, and cases
suggesting the survival of mental functioning following bodily death. The study
of ESP has traditionally focused on two sorts of ostensible phenomena,
telepathy the apparent anomalous influence of one person’s mental states on
those of another, commonly identified with apparent communication between two
minds by extrasensory means and clairvoyance the apparent anomalous influence
of a physical state of affairs on a person’s mental states, commonly identified
with the supposed ability to perceive or know of objects or events not present
to the senses. The forms of ESP may be viewed either as types of cognition
e.g., the anomalous knowledge of another person’s mental states or as merely a
form of anomalous causal influence e.g., a distant burning house causing one to
have possibly incongruous thoughts about fire. The study of PK covers
the apparent ability to produce various physical effects independently of
familiar or recognized intermediate sorts of causal links. These effects
include the ostensible movement of remote objects, materializations the
apparently instantaneous production of matter, apports the apparently
instantaneous relocation of an object, and in laboratory experiments statistically
significant non-random behavior of normally random microscopic processes such
as radioactive decay. Survival research focuses on cases of ostensible
reincarnation and mental mediumship i.e., “channeling” of information from an
apparently deceased communicator. Cases of ostensible precognition may be
viewed as types of telepathy and clairvoyance, and suggest the causal influence
of some state of affairs on an earlier event an agent’s ostensible precognitive
experience. However, those opposed to backward causation may interpret
ostensible precognition either as a form of unconscious inference based on
contemporaneous information acquired by ESP, or else as a form of PK possibly
in conjunction with telepathic influence by which the precognizer brings about
the events apparently precognized. The data of parapsychology raise two
particularly deep issues. The evidence suggesting survival poses a direct
challenge to materialist theories of the mental. And the evidence for ESP and
PK suggests the viability of a “magical” worldview associated usually with
so-called primitive societies, according to which we have direct and intimate
access to and influence on the thoughts and bodily states of others. H. P. Grice: "When, in the late 1940s, J. L. Austin
instituted his *second* playgroup, for full-time philosophy dons -- my *first*,
in a way --, its official rationale, given by its founder, was that all its
members were hacks, spending our weekdays wrestling with the dissolution of
this or that philosophical pseudo-problem, and that we deserved to be spending
our Saturday mornings -- my Saturday afternoons were consacrated to the
Demi-Johns -- in restorative para-philosophy. And so we started on such
topics as maps and diagrams and (in another term) rules of games." Refs.: H. P. Grice, “What J. L Austin
meant by ‘paraphilosophy’!,” H. P. Grice, “Philosophy and para-philosophy.”
Paravia Pier Alessandro
Paravia - Pier Alessandro Paravia Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Pier Alessandro Paravia Nato 15
lug 1797 Zara , Repubblica di Venezia (ora Croazia ) Morto 18 marzo 1857 (di età
compresa tra 59) Torino , Regno di Sardegna (ora Italia ) luogo di riposo Torino Occupazione Studioso,
scrittore, filologo Nazionalità italiano
università Università
di Padova Periodo 1820
- 1857 Genere saggi
Movimento letterario Risorgimento
italiano notevoli opere Dei
Sentimenti patriottici , Vita di Antonio Canova premi notevoli Accademia della Crusca
1850 onore - membro Pier Alessandro Paravia (15 luglio 1797 - 18 Marzo 1857) è
stato un veneziano scrittore, studioso, filantropo e professore di eloquenza
italiana presso l' Università di Torino . Contenuto 1 Biografia 1.1 Primi
anni 1.2 A
Torino 2 Rapporti
con Zara 3 identificazione
nazionale 4 Opere
5 Note
6 Vedi
anche 7 Riferimenti
8 Collegamenti
esterni Biografia Nei primi anni Figlio di Giovanni, colonnello della
Oltremarini (o Schiavoni ), una divisione d'elite di fanteria della Marina
della Repubblica di Venezia , e nipote di Antonio , anche un ufficiale di
marina della Repubblica di Venezia, è nato a Zara due mesi dopo la caduta della
Repubblica. Da bambino si trasferisce a Venezia , dove ha studiato presso
il Liceo di Santa Caterina. Si è laureato in legge a Padova nel 1818, e servì a
Venezia come uno stato funzionario per dodici anni, fino a quando - nel 1832 -
fu chiamato alla cattedra di Eloquenza della Facoltà di Filosofia presso l'
Università di Torino . Egli aveva già pubblicato diversi studi: per lo più
biografie di scrittori e artisti, ma anche una traduzione popolare delle
lettere di Plinio il Giovane . A Torino Al momento di assumere il suo
nuovo incarico, ha iniziato un periodo prolifico di produzione, in cui si
andava da letteratura italiana (studi su Torquato Tasso e Ariosto ) per
provenzale letteratura e anche romanzi cinesi (che è stato uno dei primi a
studiare in Italia) . Oltre alla letteratura, è stato anche interessato alla
storia e della politica, a cui ha dedicato un saggio significativamente
intitolato Del Sentimento Patrio ( "On sentimento patriottico"). Ha
acquistato una villa vicino a Treviso (in Veneto , allora parte dell'Impero
austriaco ), che ha frequentato. Anche se politicamente conservatore, è stato
costantemente monitorato dagli austro-ungarici , a causa della sua adesione
agli ideali patriottici italiani Era un amico di e corrispondenza con
molti italiani illustri - da Niccolò Tommaseo a Silvio Pellico , dal re Carlo
Alberto di Sardegna a Vincenzo Gioberti - e aveva un affetto sincero e
permanente per Antonio Rosmini , che aveva conosciuto da quando i suoi giorni
presso l'Università di Padova. Notevolmente interessati alla lingua
italiana , ha scritto saggi importanti su di esso che gli è valso una
nomination al Accademia della Crusca . Muore a Torino nel 1857. In suo
onore un erma è stato eretto presso l'Università di Torino, dove si conserva
anche una vasta e preziosa collezione di manoscritti che erano appartenuti allo
zio Antonio. Steepto Rapporti con Zara Paravia non ha mai
dimenticato di Zara, la sua città natale, alla quale - a seguito di una visita
nel 1850 - ha donato nel 1855 la sua biblioteca privata, costituita da più di
diecimila volumi, al fine di creare, da questo nucleo iniziale, una biblioteca
pubblica, che è stato successivamente chiamato in suo onore Biblioteca comunale
Paravia . Il suo scopo non era semplicemente filantropica. Paravia implorò:
"Studiare la lingua, perché in esso si trova la tua grandezza futura, è un
merito che nessuno può negare te, ed è un grande onore." Paravia
chiaramente inteso, attraverso la sua donazione, per inviare un messaggio forte
al Dalmati, tanto che ha invitato i leader della cultura italiana
contemporanea, con il quale ha mantenuto una corrispondenza molto attivo, per
offrire anche libri. Questa libreria, che è stato ospitato nella antica veneziana
Loggia di Zara fino al 1938, era dalla suaapertura il 18 Agosto 1857 il più
grande di tutta la Dalmazia . Chiusa a causa della guerra , è stato riaperto il
14 ottobre 1945 con il nuovo nome Narodna Biblioteka (Biblioteca
Nazionale). identificazione nazionale Data la storia personale di
Paravia, la sua entusiastica adesione ai sentimenti degli italiani Risorgimento
e le sue affermazioni esplicite di nazionalità (ha scritto "Nessuno può
essere un grande scrittore, senza essere uno scrittore nazionale, senza
rappresentare, cioè, nei suoi scritti la sua corretta nazione , la sua era
corretta. "), fino a poco tempo la sua nazionalità non era in questione.
In odierna Croazia , tuttavia, il suo cognome è trovato a volte traslitterato
come Paravija, la sua scelta esplicita della nazionalità è regolarmente omesso,
e lui è semplicemente indicato come essendo nato a Zara. Mentre non v'è
alcun dubbio che Pier Alessandro Paravia era un italiano per nazionalità, la
linea di demarcazione della sua ascendenza di classe come previsto dalla
Repubblica di Venezia, collega al Schiavoni reggimento e la società del 19 °
secolo, suggerisce un legame familiare ad un commerciante plebeo senza titolo
classe, che era uno status al di sopra commoners normali. In Croazia di oggi, le
persone di origine italiana e croata Nord mista le cui famiglie erano legate
alle classi mercantili (sia dal titolo e Senza titolo), sono a volte indicato
come lombardo della Dalmazia (Lombardsko Dalmatinski) che indica appartenenza
al Commonwealth e della cultura dalmata. Questa può essere la fonte della
confusione in questione. Oltre a ciò, il croatizzazione dei cognomi
latini / italiani e italianizzazione dei cognomi slavi è una tradizione
secolare in Dalmazia veneziana e la Repubblica di Ragusa che si traduce
semplicemente un dato nome in formati doppia lingua come mezzo per
l'accettazione e / o dalla marca del commercio. Anche se non implica un
cambiamento in corso nell'identità di sé, la collusione potrebbe, in teoria,
creare perplessità (e in un certo sconcerto grado), da un punto di vista
storico. The military men’s method to quit smoking: fast, effective, no
suffering The military men’s method to quit smoking: fast, effective, no
suffering
Urging for cigarettes will vanish if
in mornings... Urging for cigarettes will vanish if in mornings...
Tobacco companies are in anger, a method to quit smoking in
5 days is revealed Tobacco companies are in anger, a method to quit smoking in
5 days is revealed
My husband couldn’t quit
smoking for 5 years and then I found this solution My husband couldn’t quit
smoking for 5 years and then I found this solution
The military men’s method to quit smoking: fast, effective, no suffering
The military men’s method to quit smoking: fast, effective, no suffering
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Notizie di vita di Antonio Canova , Venezia 1822 - opera completa
disponibile qui Versi , Venezia 1825 Traduzione delle lettere di Plinio il
Giovane , Venezia 1830-1832 (3 volumi) Lettere inedite di illustri italiani ,
Venezia 1833 Delle relazioni pubbliche del Cristianesimo con la letteratura ,
Torino 1837 Notizie INTORNO AI Generali della Repubblica Veneta , Torino 1837
Sistema mitologico di Dante , Torino 1837-1839 Orazione per l'onomastico di
Carlo Alberto , Torino 1838 - opera completa disponibile qui Del Sentimento
patrio Nelle sue relazioni con la letteratura , Torino 1839 Biografie degli
Italiani Illustri , Venezia 1840 Prolusioni e discorsi , Parma 1845 Antologia
Italiana , Torino 1847 Canzoniere nazionale Scelto e annotato , Torino 1849
Memorie veneziane di letteratura e di storia , Torino 1850 - opera completa
disponibile qui Lezioni accademiche e Altre prose , Zara 1851 Lezioni di
letteratura , Torino 1852 (seconda edizione nel 1856) Carlo Alberto e il Suo
regno. Orazioni , Voghera 1852 - opera completa disponibile qui Vincenzo
Gioberti. Prelezione Accademica , Torino 1853 - opera completa disponibile qui
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Italia dalmati italiani Dalmazia Zara Riferimenti J. Bernardi, documenti di
vita e letterari di Pier Alessandro Paravia . Marietti, Torino 1863 [1] F.
Bosio, Pier Alessandro Paravia , Milano, 1876 I. Tacconi, "Il centenario
della morte di Paravia" di La Rivista Dalmata 1957 link esterno Wikisource-logo.svg
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Pareto: one of the most important Italian
philosophers, born in Paris (“His mother was a French woman.” – Grice.). Pareto’s efficiency, also called Pareto
optimality, a state of affairs in which no one can be made better off without
making someone worse off. “If you are provided information, the one who gives
you information loses.” “If you give information, you lose.” “If you influence,
you win.” “If you get influenced,” you lose.” The economist Vilfredo Pareto referred to ‘optimality,’
as used by Grice, rather than efficiency, but usage has drifted toward the less
normative term, ‘efficiency.’ Pareto supposes that the utilitarian addition of
welfare across conversationalist A and conversationalist B is meaningless.
Pareto concludes that the only useful aggregate measures of welfare must be
ordinal. One state of affairs is what Pareto calls “Pareto-superior” to another
if conversationalist A cannot move to the second state without making his
co-conversationalist B worse off. Although Pareto’s criterion is generally
thought to be positive or descriptive (‘empiricist’) rather than normative
(‘quasi-contractual, or rational’), it is often used as a normative principles
for justifying particular changes or refusals to make changes. Some
philosophers, such as Grice’s tutee Nozick, for example, take the Pareto
criterion as a moral constraint and therefore oppose certain government
policies. In the context of a voluntary exchange, it makes sense to suppose that
every exchange is “Pareto-improving,” at least for the direct parties to the
exchange, conversationalists A and B. If, however, we fail to account for any
external effect of A’s and B’s conversational exchange on a third party, the
conversational exchange may *not* be Pareto-improving (Grice’s example, “Mrs.
Smith is a bag.”. Moreover, we may fail to provide collective, or
intersubjective benefits that require the co-operation or co-ordination of A’s
and B’s individual efforts (A may be more ready to volunteer than B, say).
Hence, even in a conversational exchange, we cannot expect to achieve “Pareto
efficiency,” but what Grice calls “Grice efficiency.” We might therefore
suppose we should invite thet intervention of the voice of reason to help us
helping each other. But in a typical conversational context, it is often hard
to believe that a significant policy change can be Pareto-improving: there are
sure to be losers from any change – “but the it’s gentlemanly to accept a loss.”
– H. P. Grice. Vilfredo
Federico Damaso Pareto (n. Parigi, 15 luglio 1848 – Céligny, 19 agosto 1923) è
stato un ingegnere, economista e sociologo italiano. Con Gaetano Mosca fu
tra i teorici della corrente politica dell'elitismo. Di grande versatilità
mentale, Pareto è stato tra le menti più eclettiche vissute nella seconda metà
dell'Ottocento e all'inizio Novecento. Le sue capacità spaziavano dall'economia
politica, alla teoria dei giochi, all'ingegneria, alla matematica, alla
statistica e alla filosofia. Pareto ha assunto un ruolo determinante nel
rafforzare con rigore scientifico e analitico i concetti cardine della teoria
neoclassica elaborata da Léon Walras, Carl Menger e William Stanley Jevons
nell'ambito delle scienze economiche, facendo sì che si affermasse rispetto
alle altre in sviluppo o precedenti, e che dominasse come scuola incontrastata
fino alla metà del '900. Ancora oggi, i contributi di Pareto sono centrali e largamente
discussi a livello internazionale in economia e in quasi tutti i campi
applicativi di essa, come la matematica, la statistica e la teoria dei giochi.
Fu lui il primo a utilizzare il termine élite in campo sociologico.[senza
fonte Nacque a Parigi da padre italiano, Raffaele Pareto (1812-1882), un
ingegnere in esilio volontario per motivi politici appartenente a un'antica
famiglia nobile genovese, e da madre francese, Marie Métenier (1813-1889). Suo
zio paterno era il celebre geologo Lorenzo Pareto (1800-1865). Rientrò in
Italia con la famiglia e si stabilì a Genova, nei primi anni cinquanta
dell'Ottocento. Pareto frequentò il Regio Istituto Tecnico e l'Università a
Torino, conseguendo il diploma di Scienze Matematiche presso l'Università e
laureandosi infine presso la Scuola di Applicazione per Ingegneri nel 1870, con
una tesi sui "Principi fondamentali della teoria della elasticità dei
corpi solidi e ricerche sulla integrazione delle equazioni differenziali che ne
definiscono l'equilibrio".[1] Dopo un periodo trascorso come ingegnere
straordinario, a Firenze, presso la Società anonima delle strade ferrate, nel
1880 divenne direttore generale della Società delle ferriere italiane, a San
Giovanni Valdarno. In questo stesso periodo frequentò i circoli culturali
fiorentini e, con articoli su riviste italiane ed europee, partecipò
intensamente al dibattito politico su posizioni liberiste e
anti-protezionistiche. Nel 1880 e nel 1882 presentò la propria candidatura come
deputato, prima nel collegio di Montevarchi, poi nel collegio Pistoia-Prato-San
Marcello, ma non fu eletto. Intanto, coltivò i suoi interessi culturali,
approfondendo l'economia, la sociologia, gli studi letterari classici. Nel 1889
sposò la russa Alexandra Bakunin (non imparentata con l'anarchico
rivoluzionario Michail Bakunin).[2] Nel 1890 conobbe il già insigne economista
Maffeo Pantaleoni, cui restò legato da sincera amicizia per il resto della sua
vita. Anche grazie a Pantaleoni, nel 1894 fu nominato professore ordinario di
economia politica all'Università di Losanna, dove prima di lui aveva insegnato
Léon Walras. Lavorò allo sviluppo e alla sistemazione della teoria
dell'equilibrio economico tenendo, nel 1901, alcune conferenze a Parigi,
invitato da Georges Sorel, con il quale fu in ottimi rapporti. In questo
periodo fu abbandonato dalla moglie ed ereditò una grossa fortuna da uno zio.
Si legò more uxorio con Jeanne Régis, una giovane parigina conosciuta tramite
un'inserzione su un giornale. Intanto, diventava sempre più vivo l'interesse per
la teoria sociologica. Abbandonò progressivamente l'insegnamento, anche per
ragioni di salute, e si dedicò alla redazione del Trattato di sociologia
generale. Nel 1910 Pareto pubblicò Il mito virtuista e la letteratura immorale,
uno scritto mordace e satirico sul fenomeno Virtuista, nel quale l'autore
demitizza in maniera irriverente tutte le razionalizzazioni degli uomini
bigotti e ipocriti del suo tempo. Frattanto proseguì l'attività pubblicistica,
che s'intensificò dopo la pubblicazione del Trattato, avvenuta nel 1916.
Fu in rapporti di amicizia con Benito Mussolini, che conobbe tra il 1902 e il
1904 quando l'ancora agitatore socialista era rifugiato in Svizzera e
frequentava le lezioni dell'economista. Mussolini fece suoi i principi della "filosofia
della vita" di Pareto, che considererà Mussolini "un grande
statista". Nell'ottobre 1922 Pareto dalla Svizzera, con un acceso
telegramma in cui diceva "ora o mai più", inviò il proprio
incoraggiamento a Benito Mussolini a dare il via alla Marcia su Roma e prendere
il potere[3]. Alla fine del 1922 accettò l'invito fattogli da Benito Mussolini,
diventato capo del governo, a rappresentare l'Italia nella commissione per la
riduzione degli armamenti presso la Società delle Nazioni. Il 1º marzo del
1923, su proposta del governo fascista, fu nominato Senatore del Regno. La
nomina non poté essere portata a termine perché Pareto non consegnò alla
presidenza del Senato i documenti richiestigli. Il 19 giugno dello stesso anno,
ottenuto il divorzio da Alexandra Bakunin, sposò Jeanne Régis dopo una
convivenza ventennale.[2] Morì il 19 agosto successivo e fu sepolto nel
cimitero di Céligny. Nel corso della sua vita, oltre alle personalità già
menzionate, intrattenne rapporti d'amicizia e di scambi culturali, spesso
polemici, con Galileo Ferraris, Ubaldino ed Emilia Peruzzi, Ernest Naville,
Yves Guyot, Gustave de Molinari, Antonio De Viti De Marco, Domenico Comparetti,
Augusto Franchetti, Arturo Linaker, Ernesto Teodoro Moneta, William Ewart
Gladstone, Filippo Turati, James Bryce, Alfred de Foville, Francis Ysidro
Edgeworth, Adrien Naville, Ettore Ciccotti, Arturo Labriola, Benedetto Croce,
Luigi Einaudi, Giovanni Papini, Giovanni Vailati, Tullio Martello, Luigi
Amoroso, Joseph Schumpeter, L. V. Furlan, Napoleone Colajanni, Gaetano
Salvemini, Vittore Pansini, Olinto Barsanti, Robert Michels, Corrado Gini, Dino
Grandi e Carlo Placci. Il resoconto giornalistico di una sua conferenza,
tenuta nel giugno del 1891, sciolta d'autorità per l'intervento della polizia,
dice: «La scienza economica non considera la proprietà come un dogma, non ne
nega i difetti, la riconosce variabile nel tempo e nello spazio; ma seguendo il
metodo sperimentale crede che la sua disparizione farebbe oggi più danni che
vantaggi» Riguardo al suo contributo alla teoria economica, egli, assieme
a Johann Heinrich von Thünen, Hermann Heinrich Gossen, Carl Menger, William
Jevons e il già nominato Léon Walras, è stato tra i maggiori rappresentanti
dell'indirizzo marginalistico o neo-classico, in contrapposizione alla scuola
classica dei primi economisti che ha in Adam Smith e in David Ricardo i suoi
capostipiti. A questa impostazione, fondata sul tentativo di trasferire nella
scienza economica il metodo sperimentale delle scienze fisiche, con il
conseguente uso delle matematiche, e che poi ha dominato lungo tutto il
Novecento, si possono ricondurre concetti tipicamente paretiani come la curva
della distribuzione dei redditi, il concetto detto poi di ottimo paretiano, le
curve di indifferenza, il concetto di distribuzione paretiana. Restando
al concetto della curva della distribuzione dei redditi, o legge di Pareto,
essa è l'estrapolazione statistica operata da Pareto del fatto che, non solo il
numero di percettori di reddito medio è più elevato del numero di coloro che
percepiscono redditi molto sopra e molto sotto la media, ma anche del fatto
che, man mano che si considerano livelli di reddito sempre più alti, il numero
dei percettori diminuisce in un modo che è all'incirca uguale in tutti i paesi
e in tutte le epoche. Tale legge è stata poi variamente affinata e modificata
sia nella sua base empirica che nella formalizzazione matematica, ma è rimasto
il problema di sapere se la distribuzione dei redditi è probabilistica, e
dunque risultante dalle abilità naturali umane distribuite casualmente in una
popolazione, oppure influenzata da fattori ambientali che quindi generano
ingiustizie. In definitiva, come si vede, dal marginalismo, e in
particolare dagli sviluppi apportati da Pareto, viene fuori una metodologia
utile, al di là dei regimi economici preferiti, ad affrontare problemi di
remunerazione e di allocazione delle risorse. L'indice di Pareto è tuttora una
misura delle ineguaglianze della distribuzione dei redditi. Tuttavia, negli
ultimi decenni del XX secolo, l'impostazione marginalistica, e quindi anche
quella di Pareto, è stata soggetta a critiche stringenti. Si è infatti
obiettato che non sempre ciò che l'agente sceglie è ciò che egli preferisce,
nel senso che l'agente economico non è quell'attore perfettamente razionale che
l'approccio marginalista presuppone. I neoclassici rispondono che il loro
modello non si applica ad ogni individuo ma solo al consumatore rappresentativo
o medio. Per quanto concerne l'ottimo paretiano, una critica particolarmente
incisiva è stata quella di Amartya Sen che, tra l'altro in un suo lavoro del
1970, argomenta, sulla scorta del Teorema di Arrow, l'impossibilità matematica
del liberismo paretiano. Proprio sul terreno delle costanti della natura
umana e della razionalità dell'agente avviene il passaggio di Pareto
dall'economia alla sociologia. Lo studio statistico della distribuzione dei
redditi gli aveva fornito una prima evidenza della stabilità della natura umana
pur nel variare delle situazioni storico-geografiche. D'altra parte,
l'osservazione del comportamento non solo economico, ma più generalmente
sociale, lo portava a constatare come l'individuo sociale agisca solo raramente
secondo una razionalità strumentale di mezzi adeguati al fine. A suo modo, egli
anticipa la critica antimarginalista ma, invece di rispondervi restando nel
recinto dell'analisi economica, passa a fondare quella che egli chiamava la
«sociologia scientifica». Il punto di partenza di questa nuova sociologia che,
a suo dire, né Comte né Spencer erano stati in grado di concepire, è che nella
maggior parte dei casi, l'individuo sociale si comporta in maniera non logica,
ovvero senza uno scopo apparente e, comunque, senza una chiara coscienza dello
scopo perseguito. Un marinaio dell'antica Grecia che, apprestandosi a
navigare, compie un sacrificio agli dei, realizza un'azione in nulla adeguata o
utile al suo scopo di navigare. E quando parliamo, non abbiamo nessuna
coscienza esplicita delle competenze grammaticali che utilizziamo per
raggiungere lo scopo di enunciare frasi ben formate. Il problema è però che
l'individuo sociale, pur agendo in modo non logico, cosa che lo accomuna alle
specie animali, rispetto a queste ultime presenta la caratteristica di
accompagnare i propri comportamenti con delle formulazioni verbali, la cui
funzione è quella di fornire un motivo del comportamento stesso. Si muore in
combattimento per qualcosa che chiamiamo patria, e allo stesso tempo si
sottoscrive al motto che vuole che sia dolce e meritevole di lode il morire per
la patria. La sociologia scientifica dovrà allora spiegare quali sono le
costanti del comportamento sociale non logico, e quali sono le caratteristiche
e la funzione del discorso sociale. Da questo nucleo di problemi nasce la
sociologia di Pareto, costituita da quattro grandi contrafforti: la teoria
dell'azione non logica, la teoria dei residui e delle derivazioni, la teoria
delle élite, la teoria dell'equilibrio sociale. Quanto alla teoria dell'azione
non logica, oltre a ciò che si è già anticipato, si può aggiungere che essa
costituisce una classificazione dei comportamenti sociali nei suoi aspetti
percettivo-motori e linguistico-cognitivi. Un particolare interesse è rivolto
verso i comportamenti linguistici. Per Pareto, il linguaggio in quanto
competenza grammaticale è il tipo puro di azione non logica. La teoria
dei residui e delle derivazioni intende spiegare natura e funzionamento delle
manifestazioni simboliche, o derivate, che accompagnano il comportamento
sociale, e in particolare natura e funzionamento del discorso sociale. I motivi
che l'individuo sociale adduce a giustificazione dei suoi comportamenti, sono,
secondo Pareto, arbitrari rispetto alle effettive motivazioni dell'agire.
Nonostante ciò, dalla grande varietà di essi, è possibile risalire alle costanti
della natura umana - in termini più attuali, della mente sociale. Dai discorsi
è possibile, dunque, risalire ai residui, o motivazioni costanti dell'agire, e
alle tecniche verbali, o derivazioni, tramite le quali vengono prodotti i
discorsi. In questo senso, la teoria dei residui e delle derivazioni è, al
tempo stesso, una teoria della cognizione sociale e una teoria delle tecniche
argomentative che l'individuo sociale adopera nella costruzione dei suoi
discorsi. Questo schema analitico non sempre è perseguito in maniera
limpida, soprattutto per i residui. Tuttavia, ciò che emerge abbastanza
chiaramente è che la cognizione sociale, nei suoi scambi con l'ambiente,
incorpora una tendenza alle combinazioni e una tendenza agli aggregati. La
prima genera le novità. La seconda assicura la stabilità. Questo livello
psicologico è duplicato da un livello normativo che, a sua volta, presenta due
tendenze, il mantenimento dell'ordine e la sua trasformazione sulla base di
istanze di giustizia. In questo modo, il comportamento dell'individuo sociale,
anche nei suoi aspetti più minuti e ripetitivi, appare sempre cognitivamente
marcato e normativamente orientato. Uno dei difetti di questo sofisticato
modello della cognizione sociale è, tuttavia, quello di operare con un concetto
di norma assai ristretto, che nega l'incidenza pratica di ciò che Pareto chiama
gli «equilibri ideali», ovvero ciò che un filosofo come Kant chiamerebbe gli
ideali della ragione universale. L'agire dell'individuo sociale appare così
rinchiuso entro un rapporto costrittivo di conformismo e di
eterodirezione. Gaetano Mosca: politologo italiano Venendo alla
teoria delle élite, essa è un'ulteriore conseguenza dell'ipotesi di Pareto
circa, non solo la costanza della natura umana, ma anche di una sua preminenza
sui fattori ambientali. In ogni ramo dell'attività sociale, sostiene Pareto, vi
sono individui che, sulla base di determinate abilità, eccellono. Pertanto, in
forza di questo fatto, costoro entrano a far parte dell'élite corrispondente,
pur in presenza di fattori distorsivi. L'attenzione di Pareto si appunta
sull'élite politica, ma la sua teoria delle élite non è solo una teoria del
rapporto tra governanti e governati, ma più generalmente una teoria della
stratificazione sociale su base naturale. Questo è sicuramente ciò che la
differenzia dalla coeva teoria della classe governante di Gaetano Mosca, fra i
fondatori della moderna scienza politica, cui lo si associa ormai
acriticamente, benché Pareto, a ragione, abbia sempre rivendicato l'autonomia della
sua teorizzazione. Tuttavia, come affermato, vi è in Pareto una
particolare attenzione per il rapporto tra l'élite di governo, cioè coloro che
eccellono nell'arte del comando politico, e i governati. La storia, egli
afferma, è un cimitero di élite, ovvero un susseguirsi di sempre nuovi ma,
nella loro struttura, sempre immodificabili rapporti unilaterali di rispetto
tra governanti e governati. Infine, a coronamento di questo grandioso edificio,
sta la teoria dell'equilibrio sociale. La quale, tuttavia, è la parte più
debole di tutta la sua costruzione. Pareto è conscio dell'impossibilità di una
formalizzazione matematica. Inoltre, la scelta di un concetto di equilibrio
come equilibrio meccanico, rende questa parte della sua sociologia una faticosa
argomentazione intorno ai vincoli sistemici dell'agire degli individui sociali.
Di notevole vi è sicuramente il tentativo di Pareto di spiegare il divenire
sociale senza rinunciare al presupposto della costanza della natura
umana. Ne deriva un pessimismo "ondulatorio" che non riesce
però a conciliare il susseguirsi dei cicli sociali con il fatto, pur
riconosciuto, del progressivo stabilirsi della «ragione» nelle attività umane.
Pur con questo e altri limiti, che si sono venuti man mano segnalando, Pareto,
nel suo tentativo di una «sociologia scientifica», desta ammirazione anzitutto
per la creatività e la grandezza di vedute con cui ha saputo districarsi dalle
difficoltà del paradigma economico marginalistico, alla cui piena ma
problematica maturità aveva contribuito egli stesso; in secondo luogo, per
averci assicurato una fra le più originali indagini intorno alla mente
dell'individuo sociale, la cui portata è ancora in larga parte da valutare e
sfruttare. Il rapporto di Pareto con la sociologia scientifica nell'età
della fondazione si innesta in modo paradigmatico nel momento in cui egli,
partendo proprio dall'economia politica, critica il positivismo come sistema
totalizzante e metafisico privo di un rigoroso metodo logico-sperimentale. In
questo senso si può leggere il destino della produzione paretiana all'interno
di una storia delle scienze sociali che continua a mostrare nel XXI secolo la
sua peculiarità e tutto l'interesse per i suoi contributi (Giovanni Busino,
Sugli studi paretiani all'alba del XXI secolo in Omaggio a Vilfredo Pareto
Numero monografico in memoria di Giorgio Sola a cura di Stefano Monti Bragadin,
"Storia Politica Società", Quaderni di Scienze Umane, anno IX, n. 15,
giugno-dicembre 2009, p. 1 e sg.). La vicenda di Pareto si colloca anche nell'alveo
della ricerca multidisciplinare di un modello scientifico che privilegia la
sociologia come critica dei modelli cumulativi di sapere nonché come disciplina
tendente all'affermazione di modelli relazionali della/nella scienza (Guglielmo
Rinzivillo, Vilfredo Pareto e i modelli interdisciplinari nella scienza,
"Sociologia", A. XXIX, n.1, Nuova Serie, 1995, pp. 207–222; si v.
anche in Una epistemologia senza storia, Roma, Nuova Cultura, 2013, pp. 13–29,
ISBN 978-88-6812-222-5). Niccolò Machiavelli Riguardo al suo pensiero
politico, Pareto fu il primo a introdurre il concetto di élite, che trascende
quello di classe politica e comprende l'analisi dei vari tipi di élite. È un
liberista, insegna per un certo periodo economia politica all'università di Losanna.
La sua teoria delle élite trae origine da un'analisi dell'eterogeneità sociale
e dalla constatazione delle disuguaglianze, in termini di ricchezza e di
potere, presenti nella società. Pareto intende studiare scientificamente queste
disuguaglianze, percepite da lui come naturali. Nel corso del suo sviluppo,
ogni società ha dovuto di volta in volta misurarsi con il problema dello
sfruttamento e delle distribuzione di risorse scarse. L'ottimizzazione di
queste risorse è quella che viene assicurata, in ogni ramo di attività, dagli
individui dotati di capacità superiori: l'élite. È interessato in
particolar modo alla circolazione delle élite: "la storia è un cimitero di
élite". A un certo punto l'élite non è più in grado di produrre elementi
validi per la società e decade; nelle élite si verificano due tipi di
movimenti: uno orizzontale (movimenti all'interno della stessa élite) e uno
verticale (ascesa dal basso o declassamento dall'élite). Altro punto cardine
della teoria paretiana è che l'umanità agisce principalmente secondo azioni non
logiche. Tali azioni non logiche (si badi, è una cosa diversa da illogiche)
prendono il nome di residui: manifestazione di qualcosa di non razionale che
condiziona la nostra vita. Fra le sei classi di residui individuate da Pareto
due sono fondamentali: l'istinto delle combinazioni (propensione al
cambiamento) e la persistenza degli aggregati (tendenza alla conservazione
delle tradizioni). Se in un'élite prevale l'istinto delle combinazioni
essa sarà aperta, propensa all'avvento di nuovi ingressi; se, viceversa,
prevale la persistenza degli aggregati sarà chiusa, propensa a scarsa
circolazione, ecc. Per giustificare a posteriori le proprie azioni e difendere
i propri interessi si fa ricorso alle derivazioni: attribuiscono all'agire
politico la connotazione di oggettiva necessità sociale (sono perciò, per sommi
capi, assimilabili alla nozione di formula politica di Gaetano Mosca). Pareto
si dichiara realista e seguace di Machiavelli, la sua è una descrizione della
realtà con sfondi piuttosto pessimistici. È conservatore, teme il suffragio
universale, in economia ha fiducia nel liberismo e nel libero mercato; è
antisocialista, anche alla luce di quanto accade nella Russia della rivoluzione
d'ottobre. Analizzando alcuni brani tratti da I sistemi socialisti si possono
trarre alcune considerazioni sull'impianto teorico di Pareto: Chi è al
potere è anche, necessariamente, il più ricco: chi sta in alto non gode solo di
potere politico, ma di tutta una serie di privilegi, L'élite svetta per le sue
qualità, che possono essere sia buone che cattive, Le élite sono tutte colpite
da una decadenza piuttosto rapida, Una élite che non si rigenera è destinata a
perire brevemente (traspaiono, qui, retaggi tipici del darwinismo sociale
[citazione?]), Elementi di ricambio per le élite possono provenire dalle classi
rurali, le quali subiscono una selezione più forte rispetto alle classi agiate;
le classi agiate tendono a salvare tutti i loro figli, facendo sì che rimangano
in vita anche elementi deboli e non adatti. Questo significa che l'élite al
potere avrà in sé anche gli elementi peggiori e ciò la destina a peggiorare,
Ricorso alla metafora del fiore: l'élite è come un fiore, appassisce, ma se la
pianta, cioè la società, è sana, essa farà subito nascere un altro fiore. La
filosofia della storia di Pareto si fonda sulla circolazione continua delle
élite. Non esiste per Pareto un'idea trionfante in politica, vede la storia
come un moto ondoso: l'idea che trionfa oggi domani decade, ma dopodomani potrà
tornare in auge. Analizzando alcuni brani tratti dal Trattato di sociologia
generale si possono trarre alcune considerazioni sul pensiero di Pareto:
Non c'è netta separazione tra azione logica e azione non logica: un'azione
concreta presenta in misura differente tratti di entrambe le categorie, I
residui fanno sì che i comportamenti umani si differenzino e non vi siano
piattezza e omologazione: permettono, quindi, la circolazione, Chi studia
l'eticità e la morale di un popolo lo fa sempre con interesse: egli dà una
qualifica alla morale perché la vuole imporre. In realtà la morale è qualcosa
di molto difficile da qualificare e da imporre: la morale non è logica ma
residuale (questo è certamente un discorso libertario). Chi governa non lo fa
per il bene della collettività ma esclusivamente per il proprio interesse: la
necessità di giustificarsi agli occhi dei governati lo fa ricorrere alle
derivazioni. Le clientele in democrazia hanno un ruolo simile a quello dei
vassalli nel feudalesimo. La democrazia così come la intendono i teorici (cioè
come governo popolare) non è altro che un "pio desiderio".
Clientelismo e consorterie non sono una degenerazione della democrazia: sono
invece la realtà della democrazia: non è mai esistita una democrazia non interessata
da questi fenomeni e la storia lo dimostra. Ci sarà sempre chi, stringendo un
patto con le élite al potere, ne trae personale beneficio a scapito degli
altri. "Il governare è l'arte di adoperare i sentimenti esistenti",
questa frase dimostra il pragmatismo di Pareto. Opere
Compendio di sociologia generale, 1920 (FR) Cours d'Économie politique professé
a l'Université de Lausanne, vol. I, 1896; vol. II, 1897. (FR) Les systèmes
socialistes, 1902. I sistemi socialisti, 2 voll., Milano, collana « Raccolta di
Breviari Intellettuali » n° 29, 1920. Manuale di economia politica con una
introduzione alla scienza sociale, Milano, 1906.[4] Il mito virtuista e la
letteratura immorale, 1911. Trattato di sociologia generale, 4 voll., 1916.
Giulio Farina (a cura di), Compendio di sociologia generale, Firenze, Barbèra,
1920. Fatti e teorie, Firenze, Vallecchi Editore, 1920. Trasformazione della
democrazia, Milano, Corbaccio, 1921. Lettere a Maffeo Pantaleoni. 1890-1896,
Roma, Banca Nazionale del Lavoro, 1960. Lettere a Maffeo Pantaleoni. 1897-1906,
Roma, Banca Nazionale del Lavoro, 1960. Lettere a Maffeo Pantaleoni. 1907-1923,
Roma, Banca Nazionale del Lavoro, 1960. Borghesia, Élites, Fascismo, Roma,
Giovanni Volpe, 1981. (FR) Écrits politiques. Reazione, Libertà, Fascismo (1896-1923),
Ginevra, Droz, 1989. Le configurazioni del fascismo (1922-1923), AR, 2009. Note
^ Luigi Amoroso, Vilfredo Pareto, in Econometrica, vol. 6, n. 1, January 1938,
pp. 1–21, DOI:10.2307/1910081, JSTOR 1910081. The Encyclopedia Sponsored
by Statistics and Probability Societies, StatProb, 19 agosto 1923. URL
consultato il 4 novembre 2015 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
«among a menagerie of cats that he and his French lover kept [in their villa;]
the local divorce laws prevented him from divorcing his wife and remarrying
until just a few months prior to his death.». ^ Mauro Canali, Nascita di un
italiano a Parigi: Pareto (15/07/1848), RAI Storia, Copia archiviata, su
raistoria.rai.it. URL consultato il 19 agosto 2011 (archiviato dall'url
originale il 13 agosto 2011). (consultata il 19/8/2011) ^ Recensione di
Federigo Enriques su Scientia. Bibliografia Aqueci, F. Le funzioni del
linguaggio secondo Pareto, Berne-Frankfurt/M.-New York-Paris, Peter Lang, 1991
Aron, R., Les étapes de la pensée sociologique, Paris, Gallimard, 1967 (nuova
edizione 1983) Barbieri, G, Vilfredo Pareto e il fascismo, Angeli, 2003 Bobbio,
N., Saggi sulla scienza politica in Italia, Bari-Roma, Laterza, 1969 (nuova
edizione accresciuta 1996) Bobbio, Norberto, Pareto e il sistema sociale,
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sentimenti, Milano, Angeli, 1989 Rutigliano Enzo, Vilfredo Pareto, in Teorie
sociologiche classiche , Torino, Bollati Boringhieri, 2015/7 Voci correlate
Curva di indifferenza Diagramma di Pareto Microeconomia Distribuzione paretiana
Principio di Pareto Ottimo paretiano Charles Wright Mills Altri progetti
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Italiana. Modifica su Wikidata Vilfredo Pareto, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Vilfredo Pareto, in
Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su
Wikidata (IT, DE, FR) Vilfredo Pareto, su hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico
della Svizzera. Modifica su Wikidata (EN) Vilfredo Pareto, su Enciclopedia
Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Vilfredo Pareto,
in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata Vilfredo Pareto, su siusa.archivi.beniculturali.it,
Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Modifica su
Wikidata Opere di Vilfredo Pareto, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
Modifica su Wikidata (EN) Opere di Vilfredo Pareto, su Open Library, Internet
Archive. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Vilfredo Pareto, su Progetto
Gutenberg. Modifica su Wikidata Fondo Vilfredo Pareto della Banca Popolare di
Sondrio, su popso.it. Controllo di autorità VIAF
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00472732 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79018804 Biografie Portale Biografie
Economia Portale Economia Ingegneria Portale Ingegneria Sociologia Portale
Sociologia Categorie: Ingegneri italiani del XIX secoloIngegneri italiani del
XX secoloEconomisti italianiSociologi italianiNati nel 1848Morti nel 1923Nati
il 15 luglioMorti il 19 agostoNati a ParigiMorti a CélignyPolitologi
italianiStoria del pensiero economicoStudenti del Politecnico di
TorinoAnticomunisti italianiProfessori dell'Università di LosannaMembri
dell'Accademia delle Scienze di Torino[altre]. Refs.: “Conversational
efficiency and conversational optimality: Pareto and I;” Luigi Speranza, "Grice e Pareto," per il
Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Pareyson Luigi
Pareyson Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Luigi Pareyson nel 1968. Luigi Pareyson[1] (Piasco, 4 febbraio
1918 – Milano, 8 settembre 1991) è stato un filosofo e accademico
italiano. Indice 1 Biografia
2 Pensiero
3 Note
4 Opere
principali 5 Interviste
principali 6 Bibliografia
7 Altri
progetti 8 Collegamenti
esterni Biografia Nato il 4 febbraio 1918 a Piasco, in provincia di Cuneo, da
genitori entrambi originari della Valle d'Aosta, si laureò in Filosofia
all'Università degli Studi di Torino a soli ventun anni, nel 1939, con una tesi
dal titolo Carlo Jaspers e la filosofia dell'esistenza, che poi venne
pubblicata nel 1940 dall'editore Loffredo di Napoli. Durante l'università,
compì spesso viaggi di studio in Francia e in Germania, dove ebbe modo di
conoscere personalmente Jacques Maritain, Karl Jaspers e Martin
Heidegger.[2] Per la sua precocità, si fece notare dai più importanti
filosofi del tempo, tra i quali Giovanni Gentile. Allievo di Gioele
Solari e Augusto Guzzo, dopo aver seguito in Germania i corsi di Karl Jaspers,
insegnò filosofia al Ginnasio Liceo Camillo Benso di Cavour di Torino e al
liceo classico di Cuneo, dove ebbe come allievi alcuni futuri esponenti della
Resistenza italiana, tra i quali Uberto Revelli e Ildebrando Vivanti. Nel 1944
fu arrestato per alcuni giorni, in seguito agì egli stesso nella Resistenza,
insieme con Norberto Bobbio, Leonardo Ferrero, Duccio Galimberti e Pietro
Chiodi, continuando a pubblicare anonimamente articoli sui temi della scuola e
dell'educazione. Nel dopoguerra insegnò al liceo classico Vincenzo
Gioberti e in vari atenei tra cui l'Università di Pavia e quella di Torino
dove, conseguito l'ordinariato nel 1952, ebbe la prima cattedra di estetica,
appositamente creata per lui. Nel 1964 passò alla cattedra di storia della
filosofia che resse fino al pensionamento, nel 1984, quindi la nomina a
professore emerito, nel 1988. Fu accademico dei Lincei e membro
dell'Institut international de philosophie, oltre che direttore della Rivista
di estetica, succedendo a Luigi Stefanini che la fondò nel 1956 a Padova.
Ebbe molti allievi, fra cui Umberto Eco, Gianni Vattimo, Francesco Tomatis,
Mario Perniola, Sergio Givone, Giuseppe Riconda, Diego Marconi, Giuseppe
Massimino, Marco Ravera, Ugo Perone, Claudio Ciancio, Maurizio Pagano, Aldo
Magris e Valerio Zanone, segretario del Partito Liberale Italiano, ministro
della Repubblica e sindaco di Torino. Morì nel 1991 a Milano.[3]
Pensiero Cattolico, considerato tra i maggiori filosofi italiani del XX secolo,
assieme a Nicola Abbagnano fu tra i primi a far conoscere in Italia l'esistenzialismo
tedesco, facente capo principalmente ad Heidegger e Jaspers, e a riconoscersi
in questa visione (La filosofia dell'esistenza e Carlo Jaspers, 1940), in un
quadro dominato dal neoidealismo. Si dedicò anche a dare una nuova
interpretazione dell'idealismo tedesco non più in chiave hegeliana (Fichte,
1950), individuando in Friedrich Schelling un precursore a cui
l'esistenzialismo doveva la propria ascendenza, sostenendo che «gli
esistenzialisti autentici, i soli veramente degni del nome, Heidegger, Jaspers
e Marcel, si sono richiamati a Schelling o hanno inteso fare i conti con
lui».[4] Per Pareyson l'esistenzialismo tedesco andava ripreso in chiave
ermeneutica: considerava la verità non un dato oggettivo, come avviene nella
scienza, ma come interpretazione del singolo, che richiede una responsabilità
soggettiva. Chiamava la propria posizione «personalismo ontologico».[5]
Si è dedicato anche a ricerche storiografiche, individuando nella filosofia
tedesca post-hegeliana due correnti, riconducibili rispettivamente a Søren
Kierkegaard e a Ludwig Feuerbach, e che sarebbero sfociate rispettivamente
nell'esistenzialismo e nel marxismo. Il suo percorso filosofico, da lui
stesso sintetizzato,[6] ha attraversato principalmente tre fasi:[7]
una più propriamente esistenzialista, attestata cioè su un esistenzialismo
personalistico, in dialogo con Kierkegaard, che riconosca come la comprensione
di sé stessi è resa possibile solo dalla propria relazione con l'Altro;[8] una
seconda incentrata sull'ermeneutica, ossia nel farsi strumento di
interpretazione della verità, volgendosi ad una comprensione ontologica delle
condizioni inesauribili dell'esistenza, che ripercorrendo Heidegger si tramuta
da angoscia del nulla in ascolto dell'Essere;[9] l'ultima che si richiama a
un'ontologia della libertà, più vicina a Schelling, ritenuto un filosofo
talmente attuale da essere persino «post-heideggeriano», la cui interpretazione
«può essere innovata a partire da Heidegger proprio perché Heidegger ha avuto
Schelling all'origine del suo pensiero».[10] Pareyson reinterpreta le tre fasi
del suo pensiero alla luce del passaggio dalla filosofia negativa a quella
positiva di Schelling, ossia il momento in cui la ragione, prendendo atto della
propria nullità, si apriva allo stupore dell'estasi, in una maniera non
necessaria né automatica, bensì fondata su una libertà che non esclude tuttavia
la continuità.[11] Solo ammettendo questa libertà si può approdare da una
filosofia puramente critica, negativa, ad una comprensione dell'esistenza reale,
oltre che della possibilità del male e della sofferenza. «Il discorso
sulla negatività non sarebbe affatto completo se non si parlasse della
sofferenza, ma dato che la sofferenza è non solo negatività, ma è una tale
svolta nella realtà che capovolge il negativo in positivo, [...] questo fa già
parte di quella tragedia cosmoteandrica che è la vicenda universale.»
(Luigi Pareyson, Ontologia della libertà, Torino, Einaudi, 1995, p. 59) Note ^
Il filosofo e la sua famiglia pronunciavano il cognome Pareyson con l'accento
sull'ultima sillaba: IPA: /pareiˈzɔn/. Bruno Migliorini et al., Scheda sul
lemma "Pareyson", in Dizionario d'ortografia e di pronunzia, Rai Eri,
2007, ISBN 978-88-397-1478-7. ^ Per gli accenni biografici di questa sezione,
si veda Gianni Vattimo, "Pareyson, Luigi", in Dizionario Biografico
degli Italiani, Volume 81, Anno 2014, come anche la breve biografia presente in
https://www.centrostudipareyson.it/Home.html ^ Luciano Regolo, A Torino Gadamer
ricorda Pareyson, Repubblica, 16 marzo 1993. URL consultato il 14 giugno 2011.
^ Cfr. Federico Guglielmo Giuseppe Schelling, in «Grande antologia filosofica»,
Vol. XVIII, Milano, Marzorati, 1971, p. 56. ^ Palma Sgreccia, Il pensiero di
Luigi Pareyson: una filosofia della libertà e della sofferenza, Milano, Vita e
Pensiero, 2006, p. 19 e segg. ^ Egli stesso offrì un'interpretazione del
proprio percorso filosofico nell'introduzione alla quarta edizione di Esistenza
e persona, pubblicata nel 1985. ^ Francesco Tomatis, Escatologia della
negazione, Roma, Città Nuova Editrice, 1999, p. 97. ^ F. Tomatis, op. cit., p.
98. ^ F. Tomatis, op. cit., p. 100. ^ L. Pareyson, cit. in: Roselena Di Napoli,
Il problema del male nella filosofia di Luigi Pareyson, Roma, Editrice
Pontificia Università Gregoriana, 2000, p. 130. ^ F. Tomatis, op. cit., p. 108.
Opere principali La filosofia dell'esistenza e Karl Jaspers, Napoli, Loffredo
Editore, 1940 (nuova ed., Karl Jaspers, Casale Monferrato (AL), Marietti,
1983). Studi sull'esistenzialismo, Firenze, G.C. Sansoni, 1943. Esistenza e
persona, Torino, Edizioni Taylor, 1950 (IV ed., Genova, Il Melangolo, 1985).
L'estetica dell'idealismo tedesco, Torino, Edizioni di «Filosofia», 1950.
Fichte, Torino, Edizioni di «Filosofia», 1950 (nuova ed., Milano, Mursia, 2011,
ISBN 9788842546184). Estetica. Teoria della formatività, Torino, Edizioni di
«Filosofia», 1954 (nuova ed., Milano, Bompiani, 1988). Teoria dell'arte,
Milano, Marzorati, 1965. I problemi dell'estetica, Milano, Marzorati, 1966.
Conversazioni di estetica, Milano, Mursia, 1966, ISBN 9788842590972. Il
pensiero etico di Dostoevskij, Torino, Einaudi, 1967. Verità e interpretazione,
Milano, Mursia, 1971, ISBN 9788842534716. L'esperienza artistica, Milano,
Marzorati, 1974. Federico Guglielmo Schelling, in Grande antologia filosofica,
vol. XVIII, Milano, Marzorati, 1971 (pp. 1-340). Dostoevskij: filosofia,
romanzo ed esperienza religiosa, Torino, Einaudi, 1976; 1993. La filosofia e il
problema del male, in Annuario filosofico, 2 (1986) pp. 7-69. Filosofia
dell'interpretazione, Torino, Rosenberg & Sellier, 1988. Kierkegaard e
Pascal, a cura di Sergio Givone, Milano, Mursia Editore, 1998. Filosofia della
libertà, Genova, Il Melangolo, 1989. Ontologia della libertà. Il male e la
sofferenza, Torino, Einaudi, 1995 (postumo). Le "Opere complete" sono
pubblicate a cura del "Centro studi filosofico-religiosi Luigi
Pareyson", Edizioni Mursia, Milano. Interviste principali Se muore
il Dio della filosofia, a cura di Ciro Sbailò, “Il Sabato”, anno XII, n° 34 (26
agosto 1989). Io, filosofo della libertà, a cura di Roberto Righetto,
“Avvenire”, p. 15 (28 febbraio 1990). Bibliografia Mario Perniola,
"Un'estetica dell'eccesso: Luigi Pareyson", in Rivista di Estetica,
40-1, 1993. Alberto Rosso, Ermeneutica come ontologia della libertà. Studio
sulla teoria dell'interpretazione di Luigi Pareyson, Milano, Vita e Pensiero,
1980. Francesco Russo, Esistenza e libertà. Il pensiero di Luigi Pareyson,
Roma, A. Armando Editore, 1993. Marianna Gensabella Furnari, I sentieri della
libertà. Saggio su Luigi Pareyson, Milano, Guerini e associati, 1994.
Alessandro Di Chiara, L'iniziativa. Il pensiero etico di Luigi Pareyson,
Genova, il melangolo, 1999. Francesco Paolo Ciglia, Ermeneutica e libertà.
L'itinerario filosofico di Luigi Pareyson, Roma, Bulzoni Editore, 1995.
Francesco Tomatis, Ontologia del male. L'ermeneutica di Pareyson, Roma, Città
Nuova Editrice, 1995. Claudio Ciancio, Pareyson e l'esistenzialismo, Milano,
Mursia Editore, 1998. Francesco Tomatis, Bibliografia pareysoniana, Torino,
Trauben Edizioni, 1998. AA.VV., Les Cent du Millénaire, Aosta, Counseil
régional de la Vallée d'Aoste & Musumeci Éditeur, 2000. Ermenegildo Conti,
La verità nell'interpretazione. L'ontologia ermeneutica di Luigi Pareyson,
Torino, Trauben Edizioni, 2000. Francesco Tomatis, Pareyson. Vita, filosofia, bibliografia,
Brescia, Editrice Morcelliana, 2003. Marisa Musaio, Interpretare la persona.
Sollecitazioni pedagogiche nel pensiero di Luigi Pareyson, Brescia, Editrice La
Scuola, 2004. Palma Sgreccia, Il pensiero di Luigi Pareyson. Una filosofia
della libertà e della sofferenza, Milano, Vita e Pensiero, 2006. Paolo Diego
Bubbio, Piero Coda (a cura di), L'esistenza e il logos. Filosofia, esperienza
religiosa, rivelazione, Roma, Città Nuova Editrice, 2007. Gianpaolo Bartoli,
Filosofia del diritto come ontologia della libertà. Formatività giuridica e
personalità della relazione, a partire dall'opera di Luigi Pareyson, Roma,
Nuova Cultura, 2008. Santi Lo Giudice, "Verità e interpretazione in L.
Pareyson", Atti dell'Accademia peloritana dei Pericolanti, 52 (1975) pp.
219-39. Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o
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Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Luigi Pareyson, su
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Pareyson, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere
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Luigi Pareyson in Dizionario di filosofia (2009) Luigi Pareyson Centro studi
filosofico-religiosi "Luigi Pareyson" Pubblicazioni di Luigi Pareyson
e bibliografia critica Centro studi filosofico-religiosi «Luigi Pareyson»,
Università di Torino. Luigi Pareyson, vita e pensiero a cura di Gianmario
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italiani del XX secoloAccademici italiani del XX secoloNati nel 1918Morti nel
1991Nati il 4 febbraioMorti l'8 settembreNati a PiascoMorti a MilanoAccademici
dei LinceiEsistenzialistiFilosofi cattoliciPolitici del Partito
d'AzioneProfessori dell'Università degli Studi di TorinoProfessori
dell'Università degli Studi di PaviaStudenti dell'Università degli Studi di
TorinoMembri dell'Accademia delle Scienze di Torino[altre]
Griceian-cum-Parfitian identity: “Parfait
identity” – Grice: “Oddly, the Strawsons enjoy to involve themselves with
issues of identity.” Parfit cites H. P. Grice on “Personal identity,”
philosopher internationally known for his major contributions to the
metaphysics of persons, moral theory, and practical reasoning. Parfit first
rose to prominence by challenging the prevalent view that personal identity is
a “deep fact” that must be all or nothing and that matters greatly in rational and
moral deliberations. Exploring puzzle cases involving fission and fusion,
Parfit propounded a reductionist account of personal identity, arguing that
what matters in survival are physical and psychological continuities. These are
a matter of degree, and sometimes there may be no answer as to whether some
future person would be me. Parfit’s magnum opus, Reasons and Persons 4, is a
strikingly original book brimming with startling conclusions that have
significantly reshaped the philosophical agenda. Part One treats different
theories of morality, rationality, and the good; blameless wrongdoing; moral
immorality; rational irrationality; imperceptible harms and benefits; harmless
torturers; and the self-defeatingness of certain theories. Part Two introduces a
critical present-aim theory of individual rationality, and attacks the standard
selfinterest theory. It also discusses the rationality of different attitudes
to time, such as caring more about the future than the past, and more about the
near than the remote. Addressing the age-old conflict between self-interest and
morality, Parfit illustrates that contrary to what the self-interest theory
demands, it can be rational to care about certain other aims as much as, or
more than, about our own future well-being. In addition, Parfit notes that the
self-interest theory is a hybrid position, neutral with respect to time but
partial with respect to persons. Thus, it can be challenged from one direction
by morality, which is neutral with respect to both persons and time, and from
the other by a present-aim theory, which is partial with respect to both
persons and time. Part Three refines Parfit’s views regarding personal identity
and further criticizes the self-interest theory: personal identity is not what
matters, hence reasons to be specially concerned about our future are not
provided by the fact that it will be our future. Part Four presents puzzles
regarding future generations and argues that the moral principles we need when
considering future people must take an impersonal form. Parfit’s arguments
deeply challenge our understanding of moral ideals and, some believe, the
possibility of comparing outcomes. Parfit has three forthcoming manuscripts,
tentatively titled Rediscovering Reasons, The Metaphysics of the Self, and On
What Matters. His current focus is the normativity of reasons. A reductionist
about persons, he is a non-reductionist about reasons. He believes in
irreducibily normative beliefs that are in a strong sense true. A realist about
reasons for acting and caring, he challenges the views of naturalists,
noncognitivists, and constructivists. Parfit contends that internalists
conflate normativity with motivating force, that contrary to the prevalent view
that all reasons are provided by desires, no reasons are, and that Kant poses a
greater threat to rationalism than Hume. Parfit is Senior Research Fellow of
All Souls , Oxford, and a regular visiting professor at both Harvard and New
York . Legendary for monograph-length criticisms of book manuscripts, he is
editor of the Oxford Ethics Series, whose goal is to make definite moral
progress, a goal Parfit himself is widely believed to have attained. Refs.: H.
P. Grice, “A parfit identity.”
Parinetto Luciano Parinetto Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Luciano Parinetto
(Brescia, 1934 – 22 dicembre 2001) è stato un filosofo italiano. Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Curatele
e traduzioni 4 Note
5 Voci
correlate 6 Altri
progetti 7 Collegamenti
esterni Biografia Ha insegnato filosofia morale all'Università degli studi di
Milano. Nella sua opera convergono tanto lo studio delle filosofie orientali
(fu traduttore in italiano del Tao Te Ching di Lao Tzu) che influenze di
pensatori sia classici, come (Eraclito, Nietzsche e Marx), sia contemporanei
della filosofia occidentale, quali Deleuze e Guattari. È considerato uno degli
interpreti eterodossi del marxismo in Italia.
Particolarmente importanti sono state le sue analisi sulle persecuzioni
dei movimenti ereticali e sulla stregoneria,[1] nella cui repressione Parinetto
leggeva il tentativo di annichilimento di qualsiasi diversità sociale da parte
del potere (non solo religioso ma anche economico e culturale). Ha contribuito,
spesso, con queste sue analisi, alla comprensione dell'emarginazione di tutte
le istanze sociali e culturali minoritarie, non solo del passato ma anche
contemporanee. Altro tema centrale
dell'opera di Parinetto è l'alchimia, intesa come sapere contrapposto alla
scienza moderna e volto alla trasformazione dell'umano anziché del
sociale.[2] Luciano Parinetto aveva
anche una profonda cultura musicale, tanto da essere stato collaboratore del
settimanale L'Eco di Brescia come recensionista. Fu anche collaboratore del
periodico La Verità[3] (organo della federazione bresciana del PCI[4]). È in via di costruzione, presso la biblioteca
di Chiari, la Fondazione Parinetto, che raccoglierà la sua vasta produzione sia
come traduttore e curatore, sia come autore.
Opere Alchimia e utopia, Pellicani, 1990; Mimesis, 2004. Corpo e
rivoluzione in Marx, Moizzi-contemporanea, 1977. Faust e Marx, Pellicani, 1989;
Mimesis, 2004. Gettare Heidegger, Mimesis, 2002. I Lumi e le streghe, Colibrì,
1998. Karl Marx: sulla religione, La nuova Italia, 1980. Il ritorno del
diavolo, Mimesis, 1996. La rivolta del diavolo: Lutero, Müntzer e la rivolta
dei contadini in Germania, Rusconi, 1999. La traversata delle streghe nei nomi
e nei luoghi e altri saggi, Colobrì, 1997. Magia e ragione, La Nuova Italia,
1974. Marx diverso perverso, Unicopli, 1997. Marx e Shylock, Unicopli, 1982. Né
dio né capitale, Ed. Contemporanea, 1976. Nostra signora dialettica, Pellicani,
1991. Processo e morte di Giordano Bruno: i documenti, con un saggio, Rusconi,
1995. Solilunio: erano donne le streghe?, Pellicani, 1991. Sulla religione,
Nuova Italia, 1980. Streghe e potere: il capitale e la persecuzione dei
diversi, Rusconi, 1998. Curatele e traduzioni Jakob Böhme, La vita
sovrasensibile. Dialogo tra un maestro e un discepolo (1624), Mimesis, 1998.
Giordano Bruno, La magia e le ligature, Mimesis, 2000. Niccolò Cusano, Il Dio
nascosto, Mimesis, 2010. Emily Dickinson, Dietro la porta, 237 liriche scelte,
Rusconi, 1999. Eraclito, Fuoco non fuoco, tutti i frammenti, Luciano Parinetto,
Mimesis, 1994. Ludwig Feuerbach, Rime sulla morte, Mimesis, 1993. Friedrich
Hegel e Friedrich Hölderlin, Eleusis, carteggio, Mimesis, 1999. Gotthold
Ephraim Lessing, Il teatro della verità. Massoneria, Utopia, Verità, Mimesis,
1997. Angelus Silesius, L'altro io di dio, Mimesis, 1993. Lao Tzu, La via in
cammino: Tao Te Ching, Edizioni La vita Felice, Milano, 1995. Voltaire,
Stupidità del cristianesimo, Stampa Alternativa, 2001. Note ^ Vedi per esempio
L. Parinetto, Una polemica sulle streghe in Italia intorno al 1750, riferimenti
in Collegamenti esterni. ^ Vedi per esempio la recensione a I Lumi e le streghe
^ Vedi Luciano Parinetto di Renzo Baldo ^ Cfr. Fondazione Luigi Micheletti -
Catalogo Emeroteca (PDF), su //www.musil.bs.it. URL consultato il 17 settembre
2019. Pp. 100-2. Voci correlate Movimenti ereticali medievali Stregoneria Altri
progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a
Luciano Parinetto Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su
Luciano Parinetto Collegamenti esterni Biografia da www.nicolettapoidimani.it
(PDF) [collegamento interrotto], su nicolettapoidimani.it. Biografia da
www.mimesisedizioni.it, su mimesisedizioni.it. URL consultato il 22 maggio 2011
(archiviato dall'url originale il 30 novembre 2009). Biografia Luciano
Parinetto da zam.it, su zam.it. Una polemica sulle streghe in Italia intorno al
1750 di Luciano Parinetto, nel sito della ARFIS - Associazione per Ricerca e
Insegnamento di Filosofia e Storia Controllo di autorità VIAF (EN) 54169210 · ISNI (EN) 0000 0000 5509
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WorldCat Identities (EN) lccn-n83142330 Biografie Portale Biografie Filosofia
Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloNati nel 1934Morti
nel 2001Morti il 22 dicembreNati a Brescia[altre]
Parmenide: “One of the most important
Italian philosophers, if only because Plato dedicated a dialogue to him!” –
Grice. a Grecian philosopher, the most influential of the pre-socratics, active
in Elea Roman and modern Velia, an Ionian Grecian colony in southern Italy. He
was the first Grecian thinker who can properly be called an ontologist or
metaphysician. Plato refers to him as “venerable and awesome,” as “having
magnificent depth” Theaetetus 183e 184a, and presents him in the dialogue Parmenides
as a searching critic in a fictional and
dialectical transposition of Plato’s own
theory of Forms. Nearly 150 lines of a didactic poem by Parmenides have been
preserved, assembled into about twenty fragments. The first part, “Truth,”
provides the earliest specimen in Grecian intellectual history of a sustained
deductive argument. Drawing on intuitions concerning thinking, knowing, and
language, Parmenides argues that “the real” or “what-is” or “being” to eon must
be ungenerable and imperishable, indivisible, and unchanging. According to a
Plato-inspired tradition, Parmenides held that “all is one.” But the phrase
does not occur in the fragments; Parmenides does not even speak of “the One”;
and it is possible that either a holistic One or a plurality of absolute monads
might conform to Parmenides’ deduction. Nonetheless, it is difficult to resist
the impression that the argument converges on a unique entity, which may indifferently
be referred to as Being, or the All, or the One. Parmenides embraces fully the
paradoxical consequence that the world of ordinary experience fails to qualify
as “what-is.” Nonetheless, in “Opinions,” the second part of the poem, he
expounds a dualist cosmology. It is unclear whether this is intended as candid
phenomenology a doctrine of
appearances or as an ironic foil to
“Truth.” It is noteworthy that Parmenides was probably a physician by
profession. Ancient reports to this effect are borne out by fragments from
“Opinions” with embryological themes, as well as by archaeological findings at
Velia that link the memory of Parmenides with Romanperiod remains of a medical
school at that site. Parmenides’ own attitude notwithstanding, “Opinions”
recorded four major scientific breakthroughs, some of which, doubtless, were
Parmenides’ own discoveries: that the earth is a sphere; that the two tropics
and the Arctic and Antarctic circles divide the earth into five zones; that the
moon gets its light from the sun; and that the morning star and the evening
star are the same planet. The term Eleatic School is misleading when it is used
to suggest a common doctrine supposedly held by Parmenides, Zeno of Elea,
Melissus of Samos, and anticipating Parmenides Xenophanes of Colophon. The fact
is, many philosophical groups and movements, from the middle of the fifth
century onward, were influenced, in different ways, by Parmenides, including
the “pluralists,” Empedocles, Anaxagoras, and Democritus. Parmenides’
deductions, transformed by Zeno into a repertoire of full-blown paradoxes,
provided the model both for the eristic of the Sophists and for Socrates’
elenchus. Moreover, the Parmenidean criteria for “whatis” lie unmistakably in
the background not only of Plato’s theory of Forms but also of salient features
of Aristotle’s system, notably, the priority of actuality over potentiality,
the unmoved mover, and the man-begets-man principle. Indeed, all philosophical
and scientific systems that posit principles of conservation of substance, of
matter, of matter-energy are inalienably the heirs to Parmenides’ deduction. Refs.:
H. P. Grice, “Negation and privation,” “Lectures on negation,” Wiggins, “Grice
and Parmenides;” Luigi Speranza, "Grice e Parmenide," per il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Parisio – actually. Parrasio
Aulo Giano Parrasio Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
navigationJump to search Aulo Giano Parrasio Aulo Giano Parrasio,
pseudonimo latinizzato di Giovan Paolo Parisio (Figline Vegliaturo, 28 dicembre
1470 – Cosenza, dicembre 1522), è stato un filosofo, umanista e scrittore
italiano. Indice 1 Biografia
2 Opere
(Selezione) 3 Bibliografia
4 Voci
correlate 5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Aveva latinizzato il suo nome, Giovan Paolo Parisio, in Aulo
Giano Parrasio. Come molti umanisti ebbe una vita errabonda. Dopo aver fatto un
viaggio di studio a Corfù, ritornò in patria dove aprì una scuola. Si trasferì
nel 1495 a Napoli dove ottenne cariche e favori dal re di Napoli Ferrandino.
Risiedette per qualche tempo a Roma per poi trasferirsi nel 1499 a Milano dove
sposò la figlia dell'umanista greco Demetrio Calcondila. Rimase a Milano fino
al 1506; dopo aver abitato a Vicenza, Padova e Venezia, nel 1511 tornò a
Cosenza, dove fondò l'Accademia Cosentina. Recatosi nel 1513 a Roma, invitato
da papa Leone X, vi insegnò sia eloquenza nell'Accademia Pomponiana che latino
nell'Archiginnasio. Rimase a Roma fino alla morte di Leone X (1521), dopo di
che ritornò definitivamente a Cosenza. Opere (Selezione) Q. Horatii Flacci
Ars poetica, cum trium doctissimorum commentariis, A. Iani Parrhasii, Acronis,
Porphyrionis. Adiectae sunt praeterea doctissimae Glareani adnotationes.
Lugduni veneo: a Philippo Rhomano, 1536 Q. Horatii Flacci Omnia poemata cum
ratione carminum, & argumentis vbique insertis, interpretibus Acrone,
Porphyrione, Iano Parrhasio, Antonio Mancinello, necnon Iodoco Badio Ascensio
viris eruditissimis. Scoliisque Angeli Politiani, M. Antonii Sabellici,
Ludouici Coelij Rhodigini, Baptistae Pij, Petri Criniti, Aldi Manutij, Matthaei
Bonfinis, &Iacobi Bononiensis nuper adiunctis. His nos praeterea
annotationes doctissimorum Antonij Thylesij Cosentini, Francesci Robortelli
Vtinensis, atque Henrici Glareani apprime vtiles addidimus. Nicolai Perotti
Sipontini libellus de metris Odarum, Auctoris vita ex Petro Crinito Florentino.
Quae omnia longe politius, ac diligentius, quam hactenus excusa in lucem
prodeunt. Index copiosissimus omnium vocabulorum, quae in toto opere
animaduersione digna visa sunt, Venetiis: apud haeredes Ioannis Mariae Bonelli,
1573 Claudius Claudianus, Claudianus De raptu Proserpinae: omni cura ac
diligentia nuper impressus: in quo multa: quae in aliis hactenus deerant: ad
studiosorum utilitatem: addita sunt: opus me Hercle aureum: ac omnibus
expetendum, Venezia: Albertino da Lessona, Bernardino Viani e Giovanni Rosso,
1510 Clausulae, Ciceronis ex epistolis excerptae familiaribus: ac in sua
genera miro ordine digestae: plenae frugis: & ad perducendos ad elegantiam
stili pueros vtillimae. A. Ianus Parrhasius & recensuit & approbauit,
Vicentiae: per Henricum & Io. Mariam eius. F. librarios, die XVI Decemb.
1508 Valerii Maximi Priscorum exemplorum libri nouem: diligenti castigatione
emendati: aptissimisque figuris exculti: cum laudatis Oliuerii ac Theophili
commentariis: Hermolai Barbari: Georgii Merulae: Mar. Antonii Sabellici: Iani
Parrhasii: Raphaelis Rhegii: multorumque praeterea nouis obseruationibus:
indiceque mirifico per ordinem literarum: ad inueniendas historias nuper
excogitato: alteroque in usum grammaticorum ad uocabula rerumque cognitionem,
Impressum Venetiis: per Bartholomeum de Zanis de Portesio, 1508 Habes in hoc
volumine lector optime diuina Lactantii Firmiani opera nuper per Ianum
Parrhasium accuratissime castigata: graeco integro adiuncto: ... Eiusdem
Epitome. Carmen de Phoenice. Carmen de Resur. Domini. Habes etiam Ioan. Chry.
de Eucha. quandam expositionem & in eandem materiam Lau. Vall. sermonem.
habes Phi. adhorationem ad Theodo. & aduersus gentes Tertul. Apologeticum,
Venetiis: arte & impensis Ioannis Tacuini fuit impressum, 1509 Retoricae
breviarium ab optimis utriusque linguae auctoribus excerptum (1509) Iani
Parrhasii Liber de rebus per epistolam quaesitis. Henr. Stephani Tetrastichon
de hoc Iani Parrhasij alijsque quibus poetas illustrauit libris ... Adiuncta
est Francisci Campani Quaestio Virgiliana, Ginevra: excudebat Henricus
Stephanus, illustris viri Huldrichi Fuggeri typographus, 1567 Bibliografia
Davide Andreotti, Storia dei cosentini, Vol. II, Napoli: Stabilimento
Tipografico di Salvatore Marchese, 1869, pp. 139–143 (Google books) Ugo Lepore,
«Per la biografia di Aulo Giano Parrasio (1470-1521)», Biblion, anno I,
fascicolo I, pp. 27–44, 1959 Giuseppina Maria Perna Mugavero, Aulo Giano
Parrasio, Treviso: SIT, 1968 Francesco D'Episcopo, Aulo Giano Parrasio:
fondatore dell'Accademia Cosentina, Cosenza: Pellegrini, 1982 Anita Frugiuele,
Aulo Giano Parrasio: dubbi ed ipotesi sui suoi natali, in Il Letterato:
rassegna di letteratura, arte, scuola fondata e diretta da Luigi Pellegrini,
anno 38, n. 1, pp. 11–12, 1990. Voci correlate Accademia Cosentina Altri
progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Aulo
Giano Parrasio Collegamenti esterni Aulo Giano Parrasio, su Treccani.it –
Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata
Aulo Giano Parrasio, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Aulo Giano Parrasio,
su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Aulo
Giano Parrasio, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata
Italica, Aulo Giano Parrasio, su italica.rai.it. URL consultato il 28 novembre
2010 (archiviato dall'url originale il 7 febbraio 2008). Controllo di autorità VIAF (EN) 5070237 · ISNI
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Rinascimento Portale Rinascimento Categorie: Filosofi italiani del XV
secoloFilosofi italiani del XVI secoloUmanisti italianiScrittori italiani del
XV secoloScrittori italiani del XVI secoloNati nel 1470Morti nel 1522Nati il 28
dicembreNati a Figline VegliaturoMorti a CosenzaAccademia cosentina[altre]
Parrini Paolo Parrini Da
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fonti! Questa voce o sezione sull'argomento filosofi italiani non cita le fonti
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delle fonti. Paolo Parrini (Castell'Azzara, 29 giugno 1943 – Firenze, 2 luglio
2020[1]) è stato un filosofo italiano.
Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Note
4 Collegamenti
esterni Biografia Professore ordinario di Filosofia teoretica all'Università di
Firenze, membro di svariate istituzioni scientifiche internazionali e del
comitato scientifico di alcune riviste filosofiche italiane e straniere e
condirettore della collana "Epistemologica" pubblicata dall'editore
Guerini e associati, fu segretario nazionale del Comitato dei dottorati di
ricerca in Filosofia, nonché Presidente della Società Italiana di Filosofia
Analitica. Paolo Parrini fu invitato a tenere lezioni e conferenze in Italia,
in vari paesi europei, in Argentina e negli Stati Uniti d'America. Insieme a
Roberta Lanfredini organizzò un Corso di perfezionamento in Epistemologia
generale e applicata che si tiene, con cadenza biennale, presso il Dipartimento
di Filosofia dell'Università di Firenze. Si occupò di filosofia analitica
contemporanea, dell'epistemologia di Kant e di Husserl, di vari aspetti del
pensiero scientifico e epistemologico del XIX e del XX secolo, della filosofia
italiana del Novecento. Sin dai primi lavori ha sviluppato una nuova
interpretazione del positivismo logico e dei suoi rapporti con il
convenzionalismo e la filosofia kantiana la quale, in seguito, ha trovato ampia
conferma a livello internazionale. In campo epistemologico, i suoi maggiori
interessi vanno al tema del realismo, alla problematica della conoscenza a
priori, alla giustificazione epistemica e alla metodologia della ricerca storico-filosofica.
Nel volume Conoscenza e realtà avanzò una prospettiva filosofica cui dette il
nome di "filosofia positiva" e della quale sviluppò le implicazioni
circa i rapporti con l'ermeneutica, lo statuto epistemologico della logica e la
natura della verità. Lasciò più di un centinaio di pubblicazioni, alcune delle
quali in lingua inglese, francese e spagnola.
Opere Linguaggio e teoria. Due saggi di analisi filosofica, La Nuova
Italia, Firenze, 1976. Una filosofia senza dogmi. Materiali per un bilancio dell'empirismo
contemporaneo, il Mulino, Bologna, 1980. Empirismo logico e convenzionalismo.
Saggio di storia della filosofia della scienza, Franco Angeli, Milano, 1983.
Conoscenza e realtà. Saggio di filosofia positiva, Laterza, Roma-Bari, 1995.
Knowledge and Reality. An Essay in Positive Philosophy, edizione inglese
rivista e ampliata di Conoscenza e realtà (1995), Kluwer Academic Press,
Dordrecht, 1998. Dimensioni della filosofia. Vol. I: Filosofia in età antica,
con Simonetta Parrini Ciolli, Mondadori Università, Milano, 2002. L'empirismo
logico. Aspetti storici e prospettive teoriche, Carocci, Roma, 2002. Filosofia
e scienza nell'Italia del Novecento. Figure, correnti, battaglie, Guerini e
associati, Milano, 2004. Fare filosofia, oggi, Carocci, Roma, 2018. Note ^
"lanazione.it", "3 luglio 2020" Collegamenti esterni Scheda
docente presso il Dipartimento di filosofia dell'Università degli Studi di
Firenze, su philos.unifi.it. Paolo Parrini in SWIF - Sito web italiano per la
filosofia, su lgxserver.uniba.it. URL consultato il 10 dicembre 2013
(archiviato dall'url originale il 7 settembre 2012). Controllo di autorità VIAF (EN) 49239622 · ISNI
(EN) 0000 0000 8380 6333 · LCCN (EN) n82024691 · GND (DE) 1044407468 · BNF (FR)
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secoloFilosofi italiani del XXI secoloNati nel 1943Morti nel 2020Nati il 29
giugnoMorti il 2 luglioMorti a Firenze[altre]
pars/Totum
– Those who are inclined to Grecianisms will use “holism,” but unlike
‘totum,’ ‘holos,’ being from EASTERN Europe, did not develop in Western Europe,
whereas ‘totum’ gives us plenty of cognates in Grice’s vernacular, via
Anglo-Norman, ‘totality,’ for example. From Grecian ‘holon,’ Latin ‘totum.’
“One of Quine’s dogma of empiricism – the one I and Sir Peter had not the
slightest intereset in!” – Grice. Holism is one of a wide variety of theses
that in one way or another affirm the equal or greater reality or the explanatory
necessity of the whole of some system in relation to its parts. In philosophy,
the issues of holism (the word is more reasonably, but less often, spelled
‘wholism’) have appeared Hohenheim, Theophrastus Bombastus von holism 390
4065h-l.qxd 08/02/1999 7:39 AM Page 390 traditionally in the philosophy of
biology, of psychology, and especially of the human sciences. In the context of
description, holism with respect to some system maintains that the whole has
some properties that its parts lack. This doctrine will ordinarily be trivially
true unless it is further held, in the thesis of descriptive emergentism, that
these properties of the whole cannot be defined by properties of the parts. The
view that all properties of the wholes in question can be so defined is
descriptive individualism. In the context of explanation, holism with respect
to some object or system maintains either (1) that the laws of the more complex
cases in it are not deducible by way of any composition laws or laws of
coexistence from the laws of the less complex cases (e.g., that the laws of the
behavior of people in groups are not deducible by composition laws or laws of
coexistence from the laws of solitary behavior), or (2) that all the variables
that constitute the system interact with each other. This denial of
deducibility is known also as metaphysical or methodological holism, whereas
affirming the deducibility is methodological individualism. In a special case
of explanatory holism that presupposes descriptive emergentism, holism is
sometimes understood as the thesis that with respect to some system the whole
has properties that interact “back” with the properties of its parts. In the
philosophy of biology, any of these forms of holism may be known as vitalism,
while in the philosophy of psychology they have been called Gestalt doctrine.
In the philosophy of the social sciences, where ‘holism’ has had its most
common use in philosophy, the many issues have often been reduced to that of
metaphysical holism versus methodological individualism. This terminology
reflected the positivists’ belief that holism was non-empirical in postulating
social “wholes” or the reality of society beyond individual persons and their
properties and relations (as in Durkheim and other, mostly Continental,
thinkers), while individualism was non-metaphysical (i.e., empirical) in
relying ultimately only on observable properties in describing and explaining
social phenomena. More recently, ‘holism’ has acquired additional uses in
philosophy, especially in epistemology and philosophy of language. Doxastic or
epistemic holism are theses about the “web of belief,” usually something to the
effect that a person’s beliefs are so connected that their change on any topic
may affect their content on any other topic or, perhaps, that the beliefs of a
rational person are so connected. Semantic or meaning holism have both been
used to denote either the thesis that the meanings of all terms (or sentences)
in a language are so connected that any change of meaning in one of them may
change any other meaning, or the thesis that changes of belief entail changes
of meaning. Cited by Grice, “In defense of a dogma” “My defense of the other
dogma must be left for another longer day” Duhem, Pierre-Maurice-Marie,
physicist who wrote extensively on the history and philosophy of science. Like
Georg Helm, Wilhelm Ostwald, and others, he was an energeticist, believing
generalized thermodynamics to be the foundation of all of physics and
chemistry. Duhem spent his whole scientific life advancing energetics, from his
failed dissertation in physics a version of which was accepted as a
dissertation in mathematics, published as Le potentiel thermodynamique 6, to
his mature treatise, Traité d’énergétique 1. His scientific legacy includes the
Gibbs-Duhem and DuhemMargules equations. Possibly because his work was
considered threatening by the Parisian scientific establishment or because of
his right-wing politics and fervent Catholicism, he never obtained the position
he merited in the intellectual world of Paris. He taught at the provincial
universities of Lille, Rennes, and, finally, Bordeaux. Duhem’s work in the
history and philosophy of science can be viewed as a defense of the aims and
methods of energetics; whatever Duhem’s initial motivation, his historical and
philosophical work took on a life of its own. Topics of interest to him
included the relation between history of science and philosophy of science, the
nature of conceptual change, the historical structure of scientific knowledge,
and the relation between science and religion. Duhem was an anti-atomist or
anti-Cartesian; in the contemporary debates about light and magnetism, Duhem’s
anti-atomist stance was also directed against the work of Maxwell. According to
Duhem, atomists resolve the bodies perceived by the senses into smaller,
imperceptible bodies. The explanation of observable phenomena is then referred
to these imperceptible bodies and their motions, suitably combined. Duhem’s
rejection of atomism was based on his instrumentalism or fictionalism: physical
theories are not explanations but representations; they do not reveal the true
nature of matter, but give general rules of which laws are particular cases;
theoretical propositions are not true or false, but convenient or inconvenient.
An important reason for treating physics as nonexplanatory was Duhem’s claim
that there is general consensus in physics and none in metaphysics thus his insistence on the autonomy of
physics from metaphysics. But he also thought that scientific representations
become more complete over time until they gain the status of a natural
classification. Accordingly, Duhem attacked the use of models by some
scientists, e.g. Faraday and Maxwell. Duhem’s rejection of atomism was coupled
with a rejection of inductivism, the doctrine that the only physical principles
are general laws known through induction, based on observation of facts.
Duhem’s rejection forms a series of theses collectively known as the Duhem
thesis: experiments in physics are observations of phenomena accompanied by
interpretations; physicists therefore do not submit single hypotheses, but
whole groups of them, to the control of experiment; thus, experimental evidence
alone cannot conclusively falsify hypotheses. For similar reasons, Duhem rejected
the possibility of a crucial experiment. In his historical studies, Duhem
argued that there were no abrupt discontinuities between medieval and early
modern science the so-called continuity
thesis; that religion played a positive role in the development of science in
the Latin West; and that the history of physics could be seen as a cumulative
whole, defining the direction in which progress could be expected. Duhem’s
philosophical works were discussed by the founders of twentieth-century
philosophy of science, including Mach, Poincaré, the members of the Vienna
Circle, and Popper. A revival of interest in Duhem’s philosophy began with
Quine’s reference in 3 to the Duhem thesis also known as the Duhem-Quine
thesis. As a result, Duhem’s philosophical works were tr. into English as The Aim and Structure of Physical Theory 4
and To Save the Phenomena 9. By contrast, few of Duhem’s extensive historical
works Les origines de la statique 2
vols., 608, Études sur Léonard de Vinci 3 vols., 613, and Système du monde 10
vols., 359, e.g. have been tr., with
five volumes of the Système du monde actually remaining in manuscript form
until 459. Unlike his philosophical work, Duhem’s historical work was not
sympathetically received by his influential contemporaries, notably George
Sarton. His supposed main conclusions were rejected by the next generation of
historians of science, who presented modern science as discontinuous with that
of the Middle Ages. This view was echoed by historically oriented philosophers
of science who, from the early 0s, emphasized discontinuities as a recurrent
feature of change in science e.g. Kuhn
in The Structure of Scientific Revolutions 2.
parsing: the process of determining the
syntactic (strictly para-tactic) structure of a sentence according to the theorems
of a given system, say Gricese – or System G.This is to be distinguished from
the generally simpler task of recognition, which is merely the determination of
whether or not a given string is well-formed grammatical. In general, many
different parsing strategies can be employed for grammars of a particular type,
and a great deal of attention has been given to the relative efficiencies of
these techniques. The most thoroughly studied cases center on the contextfree
phrase structure grammars, which assign syntactic structures in the form of
singly-rooted trees with a left-to-right ordering of “sister” nodes. Parsing
procedures can then be broadly classified according to the sequence of steps by
which the parse tree is constructed: top-down versus bottom-up; depth-first
versus breadthfirst; etc. In addition, there are various strategies for
exploring alternatives agendas, backtracking, parallel processing and there are
devices such as “charts” that eliminate needless repetitions of previous steps.
Efficient parsing is of course important when language, whether natural or
artificial e.g., a programming language, is being processed by computer. Human
beings also parse rapidly and with apparently little effort when they
comprehend sentences of a natural language. Although little is known about the
details of this process, psycholinguists hope that study of mechanical parsing
techniques might provide insights. Refs.: H. P. Grice, “Parsing in Gricese.”
partition: Grice: “the division of a set
into mutually exclusive and jointly exhaustive subsets (e. g., ‘philosopher’
and ‘non-philosopher’ – whether we define ‘philosopher’ as engaged in
philosophical exploration,’ or ‘addicted to general reflections about his
life.’ -- Derivatively, ‘partition’ can mean any set P whose members are
mutually exclusive and jointly exhaustive subsets of set S. Each subset of a
partition P is called a partition class of S with respect to P. Partitions are
intimately associated with equivalence relations, i.e. with relations that are
transitive, symmetric, and reflexive. Given an equivalence relation R defined
on a set S, R induces a partition P of S in the following natural way: members
s1 and s2 belong to the same partition class of P if and only if s1 has the relation
R to s2. Conversely, given a partition P of a set S, P induces an equivalence
relation R defined on S in the following natural way: members s1 and s2 are
such that s1 has the relation R to s2 if and only if s1 and s2 belong to the
same partition class of P. For obvious reasons, then, partition classes are
also known as equivalence classes. Refs.: H. P. Grice, “My love for Venn.”
Pascoli Giovanni
Pascoli Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Nota disambigua.svg Disambiguazione – "Pascoli" rimanda qui. Se stai
cercando altri significati, vedi Pascoli (disambigua). Giovanni Pascoli
Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 – Bologna, 6 aprile
1912) è stato un poeta, accademico e critico letterario italiano, figura
emblematica della letteratura italiana d i fine Ottocento, considerato
insieme a Gabriele D'Annunzio, il maggior poeta decadente italiano, nonostante
la sua formazione principalmente positivistica. Firma di
GiovanniPascoli Dal Fanciullino, articolo programmatico pubblicato per la prima
volta nel 1897, emerge una concezione intima e interiore del sentimento
poetico, orientato alla valorizzazione del particolare e del quotidiano, e al
recupero di una dimensione infantile e quasi primitiva. D'altra parte, solo il
poeta può esprimere la voce del "fanciullino" presente in ognuno:
quest'idea consente a Pascoli di rivendicare per sé il ruolo, per certi versi
ormai anacronistico, di "poeta vate", e di ribadire allo stesso tempo
l'utilità morale (specialmente consolatoria) e civile della poesia. Egli,
pur non partecipando attivamente ad alcun movimento letterario dell'epoca, né
mostrando particolare propensione verso la poesia europea contemporanea (al
contrario di D'Annunzio), manifesta nella propria produzione tendenze
prevalentemente spiritualistiche e idealistiche, tipiche della cultura di fine
secolo segnata dal progressivo esaurirsi del positivismo. Complessivamente la
sua opera appare percorsa da una tensione costante tra la vecchia tradizione
classicista ereditata dal maestro Giosuè Carducci, e le nuove tematiche
decadenti. Risulta infatti difficile comprendere il vero significato delle sue
opere più importanti, se si ignorano i dolorosi e tormentosi presupposti
biografici e psicologici che egli stesso riorganizzò per tutta la vita, in modo
ossessivo, come sistema semantico di base del proprio mondo poetico e
artistico. Indice 1 Biografia
1.1 Anni
giovanili 1.2 I
primi studi 1.3 L'università
e l'impegno politico 1.4 La
docenza 1.5 Il
"nido" di Castelvecchio 1.6 Gli
ultimi anni 2 Il
profilo letterario: la sua "rivoluzione poetica" 2.1 La formazione
letteraria 2.2 La
poesia come "nido" che protegge dal mondo 2.3 Il poeta e il fanciullino 2.4 La
poesia cosmica 2.5 La
lingua pascoliana 2.6 Pascoli
e il mondo degli animali 3 Opere
3.1 Approfondimenti
3.1.1 Myricae
3.1.2 La
produzione latina 4 Biblioteca
e archivio personali 5 Onori
6 Note
7 Bibliografia
8 Voci
correlate 9 Altri
progetti 10 Collegamenti
esterni Biografia Anni giovanili Giovanni Pascoli da bambino (ultimo a
destra), con il padre Ruggero e i fratelli Giacomo e Luigi Giovanni Pascoli
nacque il 31 dicembre del 1855 a San Mauro (oggi San Mauro Pascoli in suo
onore) in provincia di Forlì all'interno di una famiglia benestante, quarto dei
dieci figli - due dei quali morti molto piccoli - di Ruggero Pascoli,
amministratore della tenuta La Torre della famiglia dei principi Torlonia, e di
Caterina Vincenzi Alloccatelli. I suoi familiari lo chiamavano affettuosamente
"Zvanì". Il 10 agosto 1867, quando Giovanni aveva undici anni, il
padre fu assassinato con una fucilata, sul proprio calesse, mentre tornava a
casa da Cesena.[1] Le ragioni del delitto, forse di natura politica o
forse dovute a contrasti di lavoro, non furono mai chiarite e i responsabili
rimasero ignoti; nonostante tre processi celebrati e nonostante la famiglia
avesse forti sospetti sull'identità dell'assassino, come traspare evidentemente
nella poesia La cavalla storna: il probabile mandante fu infatti un
delinquente, Pietro Cacciaguerra (al quale Pascoli fa riferimento, senza
nominarlo, nella lirica Tra San Mauro e Savignano), possidente ed esperto
fattore da bestiame, che divenne successivamente agente per conto del principe,
coadiuvando l'amministratore Achille Petri, subentrato a Ruggero Pascoli dopo
il delitto. I due sicari, i cui nomi correvano di bocca in bocca in paese,
furono Luigi Pagliarani detto Bigéca (fervente repubblicano), e Michele
Dellarocca, probabilmente fomentati dal presunto mandante.[1] Sempre da
Pascoli venne scritta una poesia in ricordo della notte dell'assassinio del
padre, X agosto, la notte di San Lorenzo, la stessa notte in cui morì il
padre. Sull'intricatissima vicenda del delitto Pascoli è stato pubblicato
il volume di Rosita Boschetti Omicidio Pascoli. Il complotto[2] frutto di
ricerche negli archivi locali e che, oltre a pubblicare documentazione inedita,
formula l'ipotesi di uncomplotto perpetrato ai danni dell'amministratore
Pascoli.[2] Il trauma lasciò segni profondi nel poeta. La famiglia cominciò a perdere
gradualmente il proprio stato economico e successivamente a subire una serie
impressionante di lutti, disgregandosi: costretti a lasciare la tenuta, l'anno
successivo morirono la sorella Margherita di tifo, e la madre per un attacco
cardiaco (di "crepacuore", si disse[3]), nel 1871 il fratello Luigi,
colpito da meningite, e nel 1876 il fratello maggiore Giacomo, di tifo. Da
recenti studi anche il fratello maggiore, che aveva tentato inutilmente di
ricostituire il nucleo familiare a Rimini, potrebbe essere stato assassinato,
forse avvelenato[2][4][5]. Giacomo infatti nell'anno in cui morì ricopriva la
carica di assessore comunale e pare conoscesse personalmente coloro che avevano
partecipato al complotto per uccidere il padre, oltre al fatto che i giovani
fratelli Pascoli (in particolare Raffaele e Giovanni) si erano avvicinati
a tal punto alla verità sul delitto da essere minacciati di morte.[2] Le
due sorelle Ida (1863-1957) e Maria (1865-1953) andarono a studiare nel
collegio del convento delle monache agostiniane, a Sogliano al Rubicone, dove
viveva Rita Vincenzi, sorella della madre Caterina e dove rimasero dieci anni:
nel 1882, uscite di convento, Ida e Maria chiesero aiuto al fratello Giovanni,
che dopo la laurea insegnava al liceo Duni di Matera, chiedendogli di vivere
con lui, facendo leva sul senso di dovere e di colpa di Giovanni, il quale
durante i 9 anni universitari non si era più occupato delle sorelle. Nella
biografia scritta dalla sorella Maria, Lungo la vita di Giovanni Pascoli, il
futuro poeta è presentato come un ragazzo solidoe vivace, il cui carattere non
è stato alterato dalle disgrazie; per anni, infatti, le sue reazioni parvero
essere volitive e tenaci, nell'impegno a terminare il liceo e a cercare i mezzi
per proseguire gli studi universitari, nonché nel puntiglio, sempre frustrato,
nel ricercare e perseguire l'assassino del padre. Questo desiderio di giustizia
non sarà mai voglia di vendetta, e Pascoli si pronuncerà sempre contro la pena
di morte e contro l'ergastolo, per motivi principalmente umanitari.[6] I
primi studi Nel 1871, all'età di quindici anni e dopo la morte del fratello
Luigi avvenuta per meningite il 19 ottobre dello stesso anno, Giovanni Pascoli
dovette lasciare il collegio Raffaello dei padri Scolopi di Urbino[7]; si
trasferì a Rimini, per frequentare il liceo classico Giulio Cesare. Giovanni
giunse a Rimini assieme ai suoi cinque fratelli: Giacomo (19 anni), Raffaele
(14), Alessandro Giuseppe, (12), Ida (8), Maria (6, chiamata affettuosamente
Mariù). «L'appartamento, già scelto da Giacomo ed arredato con lettini di ferro
e di legno, e con mobili di casa nostra, era in uno stabile interno di via San
Simone, e si componeva del pianterreno e del primo piano», scrive Mariù: «La
vita che si conduceva a Rimini… era di una economia che appena consentiva il
puro necessario». Pascoli terminò infine gli studi liceali a Cesena dopo aver
frequentato il ginnasio ed il liceo al prestigioso Liceo Dante di Firenze, ed
aver fallito l'esame di licenza a causa delle materie scientifiche.
L'università e l'impegno politico Giovanni Pascoli nel 1882 Grazie ad una
borsa di studio di 600 lire (che poi perse per aver partecipato ad una
manifestazione studentesca) Pascoli si iscrisse all'Università di Bologna, dove
ebbe come docenti il poeta Giosuè Carducci e il latinista Giovanni Battista
Gandino, e diventò amico del poeta e critico Severino Ferrari. Conosciuto
Andrea Costa e avvicinatosi al movimento anarco-socialista, cominciò, nel 1877,
a tenere comizi a Forlì e a Cesena. Durante una manifestazione socialista a
Bologna, dopo l'attentato fallito dell'anarchico lucano Giovanni Passannante ai
danni del re Umberto I, il giovane poeta lesse pubblicamente un proprio sonetto
dal presunto titolo Ode a Passannante. L'ode venne subito dopo strappata
(probabilmente per timore di essere arrestato o forse pentito, pensando
all'assassinio del padre) e di essa si conoscono solamente gli ultimi due versi
tramandati oralmente: «colla berretta d'un cuoco, faremo una
bandiera».[8] La paternità del componimento fuoggetto di controversie:
sia la sorella Maria sia lo studioso Piero Bianconi negarono che egli avesse
scritto tale ode (Bianconi la definì «la più celebre e citata delle poesie
inesistenti della letteratura italiana»[9]). Benché non vi sia alcuna prova
tangibile sull'esistenza dell'opera, Gian Battista Lolli, vecchio segretario
della federazione socialista di Bologna e amico del Pascoli, dichiarò di aver
assistito alla lettura e attribuì al poeta la realizzazione della lirica.[10]
Pascoli fu arrestato il 7 settembre 1879, per aver partecipato ad una protesta
contro la condanna di alcuni anarchici, i quali erano stati a loro volta
imprigionati per i disordini generati dalla condanna di Passannante. Durante il
loro processo, il poeta urlò: «Se questi sono i malfattori, evviva i
malfattori!»[11] Dopo poco più di cento giorni, esclusa la maggiore
gravità del reato, con sentenza del 18 novembre 1879, la Corte d'Appello rinviò
gli imputati - Pascoli e Ugo Corradini - davanti al Tribunale: il processo, in
cui Pascoli era difeso dall'avvocato Barbanti, ebbe luogo il 22 dicembre,
chiamato a testimone anche il maestro Giosuè Carducci che inviò una sua
dichiarazione: "Il Pascoli non ha capacità a delinquere in relazione ai
fatti denunciati"[12]. Viene assolto ma attraversa un periodo difficile,
medita il suicidio ma il pensiero della madre defunta lo fa desistere, come
dirà nella poesia La voce. Alla fine riprende gli studi con impegno.
Nonostante le simpatie verso il movimento anarco-socialista in età giovanile, nel
1900, quando Umberto I venne ucciso da un altro anarchico, Gaetano Bresci,
Pascoli rimase amareggiato dall'accaduto e compose la poesia Al Re Umberto.
Abbandona la militanza politica, mantenendo un socialismo umanitario che
incoraggiasse l'impegno verso i deboli e la concordia universale tra gli
uomini, argomento di alcune liriche: «Pace, fratelli! e fate che le
braccia / ch'ora o poi tenderete ai più vicini, / non sappiano la lotta e la
minaccia.» (I due fanciulli) La docenza Dopo la laurea, conseguita nel
1882 con una tesi su Alceo, Pascoli intraprese la carriera di insegnante di
latino e greco nei licei di Matera e di Massa. Dopo le vicissitudini e i lutti,
il poeta aveva finalmente ritrovato la gioia di vivere e di credere nel futuro.
Ecco cosa scrive all'indomani della laurea da Argenta: "Il prossimo
ottobre andrò professore, ma non so ancora dove: forse lontano; ma che importa?
Tutto il mondo è paese ed io ho risoluto di trovar bella la vita e piacevole il
mio destino". Su richiesta delle sorelle Ida e Maria, fino al 1882
nel convento di Sogliano, Pascoli riformulò il proprio progetto di vita,
sentendosi in colpa per avere abbandonato le sorelle negli anni universitari.
Ecco a tale proposito una lettera di Giovanni scritta da Argenta il 3 luglio 1882,
il quale, ripreso dalle sorelle per averle abbandonate, così risponde:
"Povere bambine! Sotto ogni parola di quella vostra lettera così tenera,
io leggevo un rimprovero per me, io intravedevo una lagrima!." E
ancora da Matera il poeta scrive nell'ottobre del 1882: "Amate voi
me, che ero lontano e parevo indifferente, mentre voi vivevate nell'ombra del
chiostro [...] Amate voi me, che sono accorso a voi soltanto quando escivate
dal convento raggianti di mite contentezza, m'amate almeno come le gentili
compagne delle vostre gioie e consolatrici dei vostri dolori?".[13]
Il 22 settembre 1882 era stato iniziato alla massoneria, presso la loggia
"Rizzoli" di Bologna. Il testamento massonico autografo del Pascoli,
a forma di triangolo (il triangolo è un simbolo massonico), è stato rinvenuto
nel 2002[14]. Dal 1887 al 1895 insegnò a Livorno al Ginnasio-Liceo
"Guerrazzi e Niccolini", nel cui archivio si trovano ancora lettere e
appunti scritti di suo pugno. Intanto iniziò la collaborazione con la rivista
Vita nuova, su cui uscirono le prime poesie di Myricae, raccolta che continuò a
rinnovarsi in cinque edizioni fino al 1900. Pascoli con le sorelle
Ida e Maria Vinse inoltre per ben tredici volte la medaglia d'oro al Concorso
di poesia latina di Amsterdam, col poemetto Veianus e coi successivi Carmina.
Nel 1894 fu chiamato a Roma per collaborare con il Ministero della pubblica
istruzione. Nella capitale fece la conoscenza di Adolfo de Bosis, che lo
invitò a collaborare alla rivista Convito (dove sarebbero infatti apparsi
alcuni tra i componimenti più tardi riuniti nel volume Poemi conviviali), e di
Gabriele D'Annunzio, il quale lo stimava, anche se il rapporto tra i due poeti
fu sempre complesso. Giuliano Di Bernardo, a capo del Grande Oriente
d'Italia dal '90 al '93, nel 2017 ha esplicitamente dichiarato l'appartenenza
di Pascoli e Carducci alla massoneria, per un certo periodo nelle
logge.[15] Il "nido" di Castelvecchio «La nube nel giorno più
nera fu quella che vedo più rosa nell'ultima sera» (Giovanni Pascoli, La
mia sera, Canti di Castelvecchio) Divenuto professore universitario nel 1895 e
costretto dalla sua professione a lavorare in più città (Bologna[16],
Messina[17] e Pisa[18]), egli non si radicò mai in esse, preoccupandosi sempre
di garantirsi una "via di fuga" verso il proprio mondo di origine,
quello agreste. Tuttavia il punto di arrivo sarebbe stato sul versante
appenninico opposto a quello da cui proveniva la sua famiglia. Nel 1895 infatti
si trasferì con la sorella Maria nella Media Valle del Serchio nel piccolo
borgo di Castelvecchio nel comune di Barga, in una casa che divenne la sua
residenza stabile quando (impegnando anche alcune medaglie d'oro vinte al
Concorso di poesia latina di Amsterdam) poté acquistarla. Giovanni
Pascoli Dopo il matrimonio della sorella Ida con il romagnolo Salvatore Berti,
matrimonio che il poeta aveva contemplato e seguito sin dal 1891, Pascoli vivrà
in seguito alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella
Ida nei suoi confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del
marito, vivendo la cosa come una profonda ferita dopo vinte al Concorso di
poesia latina di Amsterdam) poté acquistarla. Giovanni Pascoli Dopo
il matrimonio della sorella Ida con il romagnolo Salvatore Berti, matrimonio
che il poeta aveva contemplato e seguito sin dal 1891, Pascoli vivrà in seguito
alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi
confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del marito,
vivendo la cosa come una profonda ferita dopo vinte al Concorso di poesia
latina di Amsterdam) poté acquistarla. Giovanni Pascoli Dopo il
matrimonio della sorella Ida con il romagnolo Salvatore Berti, matrimonio che
il poeta aveva contemplato e seguito sin dal 1891, Pascoli vivrà in seguito
alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi
confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del marito,
vivendo la cosa come una profonda ferita dopo i dieci anni di sacrifici e
dedizione alle sorelle, a causa delle qualia causa delle quali il poeta aveva
di fatto più volte rinunciato all'amore. A tale proposito, una vinte al
Concorso di poesia latina di Amsterdam) poté acquistarla. Giovanni
Pascoli Dopo il matrimonio della sorella Ida con il romagnolo Salvatore Berti,
matrimonio che il poeta aveva contemplato e seguito sin dal 1891, Pascoli vivrà
in seguito alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella
Ida nei suoi confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del
marito, vivendo la cosa come una profonda ferita dopo mostra dedicata agli
"Amori di Zvanì" e allestita dal Museo Casa Pascoli nel 2013, getta
luce sulle vicende amorose inedite di Pascoli, chiarendo finalmente il suo
desiderio più volte manifestato di crearsi una propria famiglia[19]. Molti
particolari della vita personale, emersi dalle lettere private,
furono taciuti dalla celebre biografia scritta da Maria Pascoli, poiché
giudicati da lei sconvenienti o non conosciuti.[20] Il fidanzamento con
la cugina Imelde Morri di Rimini, all'indomani delle nozze di Ida, organizzato
all'insaputa di Mariù, dimostra infatti il reale intento del poeta. Di fronte
alla disperazione di Mariù, che non avrebbe mai accettato di sposarsi, né
l'ingerenza di un'altra donna in casa sua, Pascoli ancora una volta rinuncerà
al proposito di vita coniugale. Si può affermare che la vita moderna
della città non entrò mai, neppure come antitesi, come contrapposizione
polemica, nella poesia pascoliana: egli, in un certo senso, non uscì mai dal
suo mondo, che costituì, in tutta la sua produzione letteraria, l'unico grande
tema, una specie di microcosmo chiuso su sé stesso, come se il poeta avesse
bisogno di difenderlo da un minacciosodisordine esterno, peraltro sempre innominato
e oscuro, privo di riferimenti e di identità, come lo era stato l'assassino di
suo padre. Sul tormentato rapporto con le sorelle - il "nido"
familiare che ben presto divenne "tutto il mondo" della poesia di
Pascoli - ha scritto parole di estrema chiarezza il poeta Mario Luzi: «Di fatto
si determina nei tre che la disgrazia ha diviso e ricongiunto una sorta di
infatuazione e mistificazione infantili, alle quali Ida è connivente solo
in parte. Per il Pascoli si tratta in ogni caso di una vera e propria regressione
al mondo degli affetti e dei sensi, anteriore alla responsabilità; al mondo da
cui era stato sbalzato violentemente e troppo presto. Possiamo notare due
movimenti concorrenti: uno, quasi paterno, che gli suggerisce di ricostruire
con fatica e pietà il nido edificato dai genitori; di investirsi della parte
del padre, di imitarlo. Un altro, di ben diversa natura, gli suggerisce
invece di chiudersi là dentro con le piccole sorelle che meglio gli
garantiscono il regresso all'infanzia, escludendo di fatto, talvolta con
durezza, gli altri fratelli. In pratica il Pascoli difende il nido con
sacrificio, ma anche lo oppone con voluttà a tutto il resto: non è solo il suo
ricovero ma anche la sua misura del mondo. Tutto ciò che tende a
strapparlo di lì in qualche misura lo ferisce; altre dimensioni della realtà
non gli riescono, positivamente, accettabili. Per renderlo più sicuro e
profondo lo sposta dalla città, lo colloca tra i monti della Media Valle del
Serchio dove può, oltre tutto, mimetizzarsi con la natura.» ([M. Luzi,
Giovanni Pascoli]) In particolare si fecero difficili i rapporti con Giuseppe,
che mise più volte in imbarazzo Giovanni a Bologna, ubriacandosi continuamente
in pubblico nelle osterie,[21] e con il marito di Ida, il quale nel 1910, dopo
aver ricevuto in prestito dei soldi da Giovanni, partì per l'America lasciando
in Italia la moglie e le tre figlie. Gli ultimi anni Giovanni
Pascoli fotografato nella casa di campagna a Castelvecchio di Barga Le
trasformazioni politiche e sociali che agitavano gli anni di fine secolo e
preludevano alla catastrofe bellica europea, gettarono progressivamente
Pascoli, già emotivamente provato dall'ulteriore fallimento del suo tentativo
di ricostruzione familiare, in una condizione di insicurezza e pessimismo
ancora più marcati, che lo condussero in una fase di depressione e nel baratro
dell'alcolismo: il poeta abusava di vino e cognac, come riferisce anche nelle
lettere.[22][23] Le uniche consolazioni sono la poesia, e il suo "nido di
Castelvecchio", dopo la perdita della fede trascendente, cercata e
avvertita comunque nel senso del mistero universale, in una sorta di
agnosticismo mistico, come testimonia una missiva al cappellano militare padre
Giovanni Semeria: «Io penso molto all'oscuro problema che resta... oscuro. La
fiaccola che lo rischiara è in mano della nostra sorella grande Morte! Oh!
sarebbe pur dolce cosa il credere che di là fosse abitato! Ma io sento che le
religioni, compresa la più pura di tutte, la cristiana, sono per così dire,
Tolemaiche. Copernico, Galileo le hanno scosse». Mentre insegnava latino
e greco nelle varie università dove aveva accettato l'incarico, pubblicò anche
i volumi di analisi dantesca Minerva oscura (1898), Sotto il velame (1900) e La
Mirabile Visione (1902). Nel 1906 assunse la cattedra di letteratura italiana
all'Università di Bologna succedendo a Carducci. Qui ebbe allievi che
sarebbero stati poi celebri, tra cui Aldo Garzanti. Nel novembre 1911, presenta
al concorso indetto dal Comune di Roma per celebrare il cinquantesimo
dell'Unità d'Italia, il poema latino Inno a Roma[24] in cui riprendendo un tema
già anticipato nell'ode Al corbezzolo[25] esalta Pallante come il primo morto
per la causa nazionale e poi deposto su rami di corbezzolo che con i fiori
bianchi, le bacche rosse e le foglie verdi, vengono visti come un'anticipazione
della bandiera tricolore. Scoppiata la guerra italo-turca, presso il
teatro di Barga pronuncia il celebre discorso a favore dell'imperialismo La
grande Proletaria si è mossa: egli sostiene infatti che la Libia sia parte
dell'Italia irredenta, e l'impresa sia anche a favore delle popolazioni
sottomesse alla Turchia, oltre che positiva per i contadini italiani, che
avranno nuove terre. Si tratta, in sostanza, non di nazionalismo vero e proprio,
ma di un'evoluzione delle sue utopie socialiste e patriottiche. Il 31 dicembre
1911 compie 56 anni; sarà il suo ultimo compleanno: poco tempo dopo le sue
condizioni di salute peggiorano. Il medico gli consiglia di lasciare
Castelvecchio e trasferirsi a Bologna, dove gli viene diagnosticata la cirrosi
epatica per l'abuso di alcool[26]; nellememorie della sorella viene invece
affermato che fosse malato di epatite e tumore al fegato[27] Il
certificato di morte riporta come causa un tumore allo stomaco, ma è probabile
fosse stato redatto dal medico su richiesta di Mariù, che intendeva eliminare
tutti gli aspetti che lei giudicava sconvenienti dall'immagine del fratello,
come la dipendenza da alcool, la simpatia giovanile per Passannante e la sua
affiliazione alla Massoneria.[28] La malattia lo porta infatti alla morte il 6
aprile 1912, un Sabato Santo vigilia di Pasqua, nella sua casa di Bologna, in
via dell'Osservanza n. 2; la vera causa del decesso fu probabilmente la cirrosi
epatica.[28][29] Pascoli venne sepolto nella cappella annessa alla sua dimora
di Castelvecchio di Barga, dove sarà tumulata anche l'amata sorella Maria, sua
biografa, nominata erede universale nel testamento, nonché curatrice delle
opere postume. L'ultima dimora di Giovanni Pascoli, dove morì, a
Bologna in via dell'Osservanza n. 2: sul cancello si può brevi
parentesi politiche della sua vita. Nel 1879 venne arrestato e assolto dopo tre
mesi di carcere; l'ulteriore senso di ingiustizia e la delusione lo riportarono
nell'alveo d'ordine del maestro Carducci e al compimento degli studi con una
tesi sul poeta greco Alceo. A margine degli studi veri e propri, egli,
comunque, condusse una vasta esplorazione del mondo letterario e anche
scientifico straniero, attraverso le riviste francesi specializzate come la
Revue des deux Mondes, che lo misero in contatto con l'avanguardia simbolista,
e la lettura dei testi scientifico-naturalistici di Jules Michelet, Jean-Henri
Fabre e Maurice Maeterlinck. Tali testi utilizzavano la descrizione naturalistica
- la vita degli insetti soprattutto, per quell'attrazione per il microcosmo
così caratteristica del Romanticismo decadente di fine Ottocento - in chiave
poetica; l'osservazione era aggiornata sulle più recenti acquisizioni
scientifiche dovute al perfezionamento del microscopio e della sperimentazione
di laboratorio, ma poi veniva filtrata letterariamente attraverso uno stile
lirico in cui dominava il senso della meraviglia e della fantasia. Era un
atteggiamento positivista "romanticheggiante" che tendeva a vedere
nella natura l'aspetto pre-cosciente del mondo umano. Coerentemente con
questi interessi, vi fu anche quello per la cosiddetta "filosofia
dell'inconscio" del tedesco Karl Robert Eduard von Hartmann, l'opera che
aprì quella linea di interpretazione della psicologia in senso
anti-meccanicistico che sfociò nella psicanalisi freudiana. È evidente in
queste letture - come in quella successiva dell'opera dell'inglese James Sully
sulla "psicologia dei bambini" - un'attrazione di Pascoli verso il
"mondo piccolo" dei fenomeni naturali e psicologicamente elementari
che tanto fortemente caratterizzò tutta la sua poesia. E non solo la sua. Per
tutto l'Ottocento la cultura europea aveva coltivato un particolare culto per
il mondo dell'infanzia, dapprima, in un senso pedagogico e culturale più
generico, poi, verso la fine del secolo, con un più accentuato intendimento
psicologico. I Romantici, sulla scia di Giambattista Vico e di Rousseau,
avevano paragonato l'infanzia allo stato primordiale "di natura"
dell'umanità, inteso come una sorta di età dell'oro. Verso gli
anni Ottanta si cominciò, invece, ad analizzare in modo più realistico e
scientifico la psicologia dell'infanzia, portando l'attenzione sul bambino come
individuo in sé, caratterizzato da una propria realtà di riferimento. La
letteratura per l'infanzia aveva prodotto in meno di un secolo una quantità
considerevole di libri che costituirono la vera letteratura di massa fino alla
fine dell'Ottocento. Parliamo dei libri per i bambini, come le innumerevoli raccolte
di fiabe dei fratelli Grimm (1822), di H.C. Andersen (1872), di Ruskin (1851),
Wilde (1888), Maurice Maeterlinck (1909); o come il capolavoro di Carroll,
Alice nel Paese delle Meraviglie (1865). Oppure i libri di avventura adatti
anche all'infanzia, come i romanzi di Jules Verne, Kipling, Twain, Salgari,
London. O libri sull'infanzia, dall'intento moralistico ed educativo, come
Senza famiglia di Malot (1878), Il piccolo Lord di F.H. Burnett (1886), Piccole
donne di Alcott (1869) e i celeberrimi Cuore di De Amicis (1886) e Pinocchio di
Collodi (1887). Tutto questo ci serve a ricondurre, naturalmente, la
teoria pascoliana della poesia come intuizione pura e ingenua, espressa nella
poetica del Fanciullino, ai riflessi di un vasto ambiente culturale europeo che
era assolutamente maturo per accogliere la sua proposta. In questo senso non si
può parlare di una vera novità, quanto piuttosto della sensibilità con cui egli
seppe cogliere un gusto diffuso e un interesse già educato, traducendoli in
quella grande poesia che all'Italia mancava dall'epoca di Leopardi. Per quanto
riguarda il linguaggio, Pascoli ricerca una sorta di musicalità evocativa,
accentuando l'elemento sonoro del verso, secondo il modello dei poeti maledetti
Paul Verlaine e Stéphane Mallarmé. La poesia come "nido" che
protegge dal mondo Per Pascoli la poesia ha natura irrazionale e con essa si
può giungere alla verità di ogni cosa; il poeta deveessere un poeta-fanciullo
che arriva a questa verità mediante l'irrazionalità e l'intuizione. Rifiuta
quindi la ragione e, di conseguenza, rifiuta il Positivismo, che era
l'esaltazione della ragione stessa e del progresso, approdando così al
decadentismo. La poesia diventa così analogica, cioè senza apparente
connessione tra due o più realtà che vengono rappresentate; ma in realtà una
connessione, a volte anche un po' forzata, è presente tra i concetti, e il
poeta spesso e volentieri è costretto a voli vertiginosi per mettere in
comunicazione questi concetti. La poesia irrazionale o analogica è una poesia
di svelamento o di scoperta e non di invenzione. I motivi principali di questa
poesia devono essere "umili cose": cose della vita quotidiana, cose
modeste o familiari. A questo si unisce il ricordo ossessivo dei suoi morti, le
cui presenze aleggiano continuamente nel “nido”, riproponendo il passato di
lutti e di dolori e inibendo al poeta ogni rapporto con la realtà esterna, ogni
vita di relazione, che viene sentita come un tradimento nei confronti dei
legami oscuri, viscerali del “nido”. Il duomo, al cui suono della
campana si fa riferimento ne L'ora di Barga Nella vita dei letterati italiani
degli ultimi due secoli ricorre pressoché costantemente la contrapposizione
problematica tra mondo cittadino e mondo agreste, intesi come portatori di
valori opposti: mentre la campagna appare sempre più come il "paradiso
perduto" dei valori morali e culturali, la città diviene simbolo di una
condizione umana maledetta e snaturata, vittima della degradazione morale
causata da un ideale di progresso puramente materiale. Questa
contrapposizione può essere interpretata sia alla luce dell'arretratezza
economica e culturale di gran parte dell'Italia rispetto all'evoluzione
industriale delle grandi nazioni europee, sia come conseguenza della divisione
politica e della mancanza di una grande metropoli unificante come erano Parigi
per la Francia e Londra per l'Inghilterra. I "luoghi" poetici
della"terra", del "borgo", dell'"umile popolo"
che ricorrono fino agli anni del primo dopoguerra non fanno che ripetere il
sogno di una piccola patria lontana,che l'ideale unitario vagheggiato o
realizzato non spegne mai del tutto. Decisivo nella continuazione di
questa tradizione fu proprio Pascoli, anche se i suoi motivi non furono quelli
tipicamente ideologici degli altri scrittori, ma nacquero da radici più
intimistiche e soggettive. Nel 1899 scrisse al pittore De Witt: «C'è del gran
dolore e del gran mistero nel mondo; ma nella vita semplice e familiare e nella
contemplazione della natura, specialmente in campagna, c'è gran consolazione,
la quale pure non basta a liberarci dall'immutabile destino».[30] In
questa contrapposizione tra l'esteriorità della vita sociale (e cittadina) e
l'interiorità dell'esistenza familiare (e agreste) si racchiude l'idea
dominante - accanto a quella della morte - della poesia pascoliana. Dalla casa
di Castelvecchio, dolcemente protetta dai boschi della Media Valle del Serchio,
Pascoli non "uscì" più (psicologicamente parlando) fino alla morte.
Pur continuando in un intenso lavoro di pubblicazioni poetiche e saggistiche, e
accettando nel 1905 di succedere a Carducci sulla cattedra dell'Università di
Bologna, egli ci ha lasciato del mondo una visione univocamente ristretta
attorno ad un "centro", rappresentato dal mistero della natura e dal
rapporto tra amore e morte. Fu come se, sopraffatto da un'angoscia
impossibile a dominarsi, il poeta avesse trovato nello strumento intellettuale
del componimento poetico l'unico mezzo per costringere le paure e i fantasmi
dell'esistenza in un recinto ben delimitato, al di fuori del quale egli potesse
continuare una vita di normali relazioni umane. A questo "recinto"
poetico egli lavorò con straordinario impegno creativo, costruendo una raccolta
di versi e di forme che la letteratura italiana non vedeva, per complessità e varietà,
dai tempi di Chiabrera.[senza fonte] La ricercatezza quasi sofisticata, e
artificiosa nella sua eleganza, delle strutture metriche scelte da Pascoli -
mescolanza di novenari, quinari e quaternari nello stesso componimento, e così
via - è stata interpretata come un paziente e attento lavoro di organizzazione
razionale della forma poetica attorno a contenuti psicologici informi e
incontrollabili che premevano dall'inconscio. Insomma, esattamente il contrario
di quanto i simbolisti francesi e le altre avanguardie artistiche del primo
Novecento proclamavano nei confronti della spontaneità espressiva.
Frontespizio di un'edizione del discorso socialista e nazionalista di
Pascoli La Grande Proletaria si è mossa, in favore della guerra di Libia. Anche
se l'ultima fase della produzione pascoliana è ricca di tematiche
socio-politiche (Odi e inni del 1906, comprendenti gli inni Ad Antonio Fratti,
Al re Umberto, Al Duca degli Abruzzi e ai suoi compagni, Andrée, nonché l'ode,
aggiunta nella terza edizione, Chavez; Poemi italici del 1911; Poemi del
Risorgimento, postumi; nonché il celebre discorso La grande Proletaria si è
mossa, tenuto nel 1911 in occasione di una manifestazione a favore dei
feriti della guerra di Libia), non c'è dubbio che la sua opera più significativa
è rappresentata dai volumi poetici che comprendono le raccolte di Myricae e dei
Canti di Castelvecchio (1903), nei quali il poeta trae spunto dall'ambiente a
lui familiare come la Ferrovia Lucca-Aulla ("In viaggio"), nonché
parte dei Poemetti. Il "mondo" di Pascoli è tutto lì: la natura come
luogo dell'anima dal quale contemplare la morte come ricordo dei lutti privati.
«Troppa questa morte? Ma la vita, senza il pensiero della morte, senza, cioè,
religione, senza quello che ci distingue dalle bestie, è un delirio, o
intermittente o continuo, o stolido o tragico. D'altra parte queste poesie sono
nate quasi tutte in campagna; e non c'è visione che più campeggi o sul bianco
della gran nave o sul verde delle selve o sul biondo del grano, che quella dei
trasporti o delle comunioni che passano: e non c'è suono che più si distingua
sul fragor dei fiumi e dei ruscelli, su lo stormir delle piante, sul canto
delle cicale e degli uccelli, che quello delle Avemarie. Crescano e fioriscano
intorno all'antica tomba della mia giovane madre queste myricae (diciamo cesti
o stipe) autunnali.» (Dalla Prefazione di Pascoli ai Canti di
Castelvecchio) Il poeta e il fanciullino «Il poeta è poeta, non oratore o
predicatore, non filosofo, non istorico, non maestro, non tribuno o demagogo,
non uomo di stato o di corte. E nemmeno è, sia con pace del maestro Giosuè
Carducci, un artiere che foggi spada e scudi e vomeri; e nemmeno, con pace di
tanti altri, un artista che nielli e ceselli l'oro che altri gli porga. A
costituire il poeta vale infinitamente più il suo sentimento e la sua visione,
che il modo col quale agli altri trasmette l'uno e l'altra [...]» (Da Il
fanciullino) Uno dei tratti salienti per i quali Pascoli è passato alla storia
della letteratura è la cosiddetta poetica del fanciullino, da lui stesso
esplicitata nello scritto omonimo apparso sulla rivista Il Marzocco nel 1897.
In tale scritto Pascoli, influenzato dal manuale di psicologia infantile di
James Sully e da La filosofia dell'inconscio di Eduard von Hartmann, dà una
definizione assolutamente compiuta - almeno secondo il suo punto di vista -
della poesia (dichiarazione poetica). Si tratta di un testo di 20 capitoli, in
cui si svolge il dialogo fra il poeta e la sua anima di fanciullino,
simbolo: dei margini di purezza e candore, che sopravvivono
nell'uomo adulto; della poesia e delle potenzialità latenti di scrittura
poetica nel fondo dell'animo umano. Caratteristiche del fanciullino:
"Rimane piccolo anche quando noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce ed
egli fa sentire il suo tinnulo squillo come di campanella". "Piange e
ride senza un perché di cose, che sfuggono ai nostri sensi ed alla nostra
ragione". "Guarda tutte le cose con stupore e con meraviglia, non
coglie i rapporti logici di causa - effetto, ma intuisce". "Scopre
nelle cose le relazioni più ingegnose". "Riempie ogni oggetto della
propria immaginazione e dei propri ricordi (soggettivazione), trasformandolo in
simbolo". Una rondine. Gli uccelli e la natura, con precisione del
lessico zoologico e botanico ma anche con semplicità, sono stati spesso cantati
da Giovanni Pascoli Il poeta allora mantiene una razionalità di fondo,
organizzatrice della metrica poetica, ma: Possiede una sensibilità
speciale, che gli consente di caricare di significati ulteriori e misteriosi
anche gli oggetti più comuni; Comunica verità latenti agli uomini: è
"Adamo", che mette nome atutto ciò che vede e sente (secondo il
proprio personale modo di sentire, che tuttavia ha portata universale). Deve
saper combinare il talento della fanciullezza (saper vedere), con quello della
vecchiaia (saper dire); Percepisce l'essenza delle cose e non la loro apparenza
fenomenica. La poesia, quindi, è tale solo quando riesce a parlarecon la voce
del fanciullo ed è vista come la perenne capacità di stupirsi tipica del mondo
infantile, in una disposizione irrazionale che permane nell'uomo anche quando
questi si è ormai allontanato, almeno cronologicamente, dall'infanzia
propriamente intesa. È una realtà ontologica. Ha scarso rilievo per Pascoli la
dimensionestorica (egli trova suoi interlocutori in Omero, Virgilio, come se
non vi fossero secoli e secoli di mezzo): la poesia vive fuori dal tempo ed
esiste in quanto tale. Nel fare poesia una realtà ontologica (il
poeta-microcosmo) si interroga suun'altra realtà ontologica (il
mondo-macrocosmo); ma per essere poeta è necessario confondersi con la realtà
circostante senza cheil proprio punto di vista personale e preciso
interferisca: il poeta si impone la rinuncia a parlare di se stesso, tranne in
poche poesie, in cui esplicitamente parla della sua vicenda personale. È vero
che la vicenda autobiografica dell'autore caratterizza la sua poesia, ma con
connotazioni di portata universale: ad esempio la morte del padre viene
percepita come l'esempio principe della descrizione dell'universo, di
conseguenza gli elementi autenticamente autobiografici sono scarsi, in quanto
raffigura il male del mondo in generale. Tuttavia, nel passo XI de "Il
fanciullino", Pascoli dichiara che un vero poeta è, più che altro, il suo
sentimento e la sua visione che cerca di trasmettere agli altri. Per cui il
poeta Pascoli rifiuta: il Classicismo, che si qualifica per la centralità
ed unicità del punto di vista del poeta, che narra la sua opera ed esprime le
proprie sensazioni. il Romanticismo, dove il poeta fa di sé stesso, dei suoi
sentimenti e della sua vita, poesia. La poesia, così definita, è naturalmente
buona ed è occasione di consolazione per l'uomo e il poeta. Pascoli fu anche
commentatore e critico dell'opera di Dante e diresse inoltre la collana
editoriale "Biblioteca dei Popoli". Il limite della poesia del
Pascoli è costituito dall'ostentata pateticità e dall'eccessiva ricerca
dell'effetto commovente. D'altro canto, il merito maggiore attribuibile al
Pascoli fu quello di essere riuscito nell'impresa di far uscire la poesia
italiana dall'eccessiva aulicità e retoricità non solo del Carducci e del
Leopardi, ma anche del suo contemporaneo D'Annunzio. In altre parole, fu in
grado di creare finalmente un legame diretto con la poesia d'Oltralpe e di
respiro europeo. La lingua pascoliana è profondamente innovativa: essa perde il
proprio tradizionale supporto logico, procede per simboli e immagini, con brevi
frasi, musicali e suggestive. La poesia cosmica L'ammasso aperto
delle Pleiadi (M45), nella costellazione del Toro. Pascoli lo cita col nome
dialettale di "Chioccetta" ne Il gelsomino notturno. La visione dello
spazio buio e stellato è uno dei temi ricorrenti nella sua poesia Fanno parte
di questa produzione pascoliana liriche come Il bolide (Canti di Castelvecchio)
e La vertigine (Nuovi Poemetti). Il poeta scrive nei versi conclusivi de Il
bolide: "E la terra sentii nell'Universo. / Sentii, fremendo, ch'è del
cielo anch'ella. / E mi vidi quaggiù piccolo e sperso / errare, tra le stelle,
in una stella". Si tratta di componimenti permeati di spiritualismo e di
panteismo ( La Vertigine). La Terra è errante nel vuoto, non più qualcosa di
certo; lo spazio aperto è la vera dimora dell'uomo rapito come da un vento
cosmico. Scrive il critico Giovanni Getto: " È questo il modo nuovo,
autenticamente pascoliano, di avvertire la realtà cosmica: al geocentrismo
praticamente ancora operante nell'emozione fantastica, nonostante la chiara
nozione copernicana sul piano intellettuale, del Leopardi, il Pascoli
sostituisce una visione eliocentrica o addirittura galassiocentrica: o meglio
ancora, una visione in cui non si dà più un centro di sorta, ma soltanto
sussistono voragini misteriose di spazio, di buio e di fuoco. Di qui quel
sentimento di smarrita solitudine che nessuno ancora prima del Pascoli aveva
saputo consegnare alla poesia".[31][32] La lingua pascoliana Pascoli
disintegra la forma tradizionale del linguaggio poetico: con lui la poesia
italiana perde il suo tradizionale supporto logico, procede per simboli ed
immagini, con frasi brevi, musicali e suggestive. Il linguaggio è fonosimbolico
con un frequente uso di onomatopee, metafore, sinestesie, allitterazioni,
anafore, vocaboli delle lingue speciali (gerghi). La disintegrazione della forma
tradizionale comporta "il concepire per immagini isolate (il
frammentismo), il periodo di frasi brevi e a sobbalzi (senza indicazione di
passaggi intermedi, di modi di sutura), pacatamente musicali e suggestive; la
parola circondata di silenzio. "[33] Pascoli ha rotto la frontiera tra
grammaticalità e evocatività della lingua. E non solo ha infranto la frontiera
tra pregrammaticalità e semanticità, ma ha anche annullato "il confine tra
melodicità ed icasticità, cioè tra fluido corrente, continuità del discorso, e
immagini isolate autosufficienti. In una parola egli ha rotto la frontiera
fra determinato e indeterminato".[34] Pascoli e il mondo degli
animali In un'epoca storica in cui il mondo degli animali rappresenta un'entità
assai ridotta nella vita degli uomini e dei loro sentimenti, quasi
esclusivamente relegato agli aspetti di utilizzo pratico e di supporto al
lavoro, soprattutto agricolo, Pascoli riconosce la loro dignità e squarcia
un'originale apertura sull'esistenza delle specie animali e sul loro originale
mondo di relazioni. Come scrive Maria Cristina Solfanelli, «Giovanni Pascoli si
avvede assai presto che il suo amore per la natura gli permette di vivere le
esperienze più appaganti, se non fondamentali, della sua vita. Lui vede negli
animali delle creature perfette da rispettare, da amare e da accudire al pari
degli esseri umani; infatti, si relaziona con essi, ci parla di loro e, spesso,
prega affinché possano avere un'anima per poterli rivedere un
giorno».[35] Opere 1891 Myricae, Livorno, Giusti, 1891; 1892; 1894; 1897;
1900; 1903. 1895 Lyra romana. Ad uso delle scuole classiche, Livorno, Giusti,
1895; 1899; 1903; 1911. (antologia di scritti latini per la scuola superiore)
1897 Pensieri sull'arte poetica, ne Il Marzocco, 17 gennaio, 7 marzo, 21 marzo,
11 aprile 1897. (meglio noto come Il fanciullino) Iugurtha. Carmen Johannis
Pascoli ex castro Sancti Mauri civis liburnensis et Bargaei in certamine
poetico Hoeufftiano magna laude ornatum, Amstelodami, Apud Io. Mullerum, 1897.
(poemetto latino) Epos, Livorno, Giusti, 1897. (antologia di autori latini)
Poemetti, Firenze, Paggi, 1897. 1898 Minerva oscura. Prolegomeni: la
costruzione morale del poema di Dante, Livorno, Giusti, 1898. (studi danteschi)
1899 Intorno alla Minerva oscura, Napoli, Pierro & Veraldi, 1899. 1900 Sul
limitare. Poesie e prose per la scuola italiana, Milano-Palermo, Sandron, 1900.
(antologia di poesie e prose per la scuola) Sotto il velame. Saggio di
un'interpretazione generale del poema sacro, Messina, Vincenzo Muglia, 1900. 1901
Fior da fiore. Prose e poesie scelte per le scuole secondarie inferiori,
Milano-Palermo, Sandron, 1901. (antologia di prose e poesie italiane per le
scuole medie) 1902 La mirabile visione. Abbozzo d'una storia della Divina
Comedia, Messina, Vincenzo Muglia, 1902 1903 Canti di Castelvecchio, Bologna,
Zanichelli, 1903; 1905; 1907. (dedicati alla madre) 1904 Primi poemetti,
Bologna, Zanichelli, 1904. Poemi conviviali, Bologna, Zanichelli, 1904. 1906
Odi e Inni. 1896-1905, Bologna, Zanichelli, 1906. 1907 Pensieri e discorsi.
1895-1906, Bologna, Zanichelli, 1907. 1909 Nuovi poemetti, Bologna, Zanichelli,
1909. Canzoni di re Enzio La canzone del Carroccio, Bologna, Zanichelli, 1908.
La canzone del Paradiso, Bologna, Zanichelli, 1909. La canzone dell'Olifante, Bologna,
Zanichelli, 1908. 1911 Poemi italici, Bologna, Zanichelli, 1911. La grande
proletaria si è mossa. Discorso tenuto a Barga per i nostri morti e feriti,
Bologna, Zanichelli, 1911. (Già pubbl. in La tribuna, 27 novembre 1911) 1912
Poesie varie, Bologna, Zanichelli, 1912; 1914. (a cura della sorella Maria)
1913 Poemi del Risorgimento, Bologna, Zanichelli, 1913. 1914 Patria e umanità.
Raccolta di scritti e discorsi, Bologna, Zanichelli, 1914. Carmina, Bononiae,
Zanichelli, 1914. (poesie latine) 1922 Nell'anno Mille. Dramma, Bologna,
Zanichelli, 1922. (dramma incompiuto) 1923 Nell'anno Mille. Sue notizie e
schemi di altri drammi, Bologna, Zanichelli, 1923. 1925 Antico sempre nuovo.
Scritti vari di argomento latino, Bologna, Zanichelli, 1925. Approfondimenti
Myricae Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio:
Myricae. Il libro Myricae è la prima vera e propria raccolta di poesie del
Pascoli, nonché una delle più amate. Il titolo riprende una citazione di
Virgilio all'inizio della IV Bucolica in cui il poeta latino proclama di
innalzare il tono poetico poiché "non a tutti piacciono gli arbusti e le
umili tamerici" (non omnes arbusta iuvant humilesque myricae). Pascoli
invece propone "quadretti" di vita campestre in cui vengono
evidenziati particolari, colori, luci, suoni i quali hanno natura ignota e
misteriosa. Il libro crebbe per il numero delle poesie in esso raccolte. Nel
1891, data della sua prima edizione, il libro raccoglieva soltanto 22 poesie
dedicate alle nozze di amici. Nel 1903, la raccolta definitiva comprendeva 156
liriche del poeta. I componimenti sono dedicati al ciclo delle stagioni, al
lavoro dei campi e alla vita contadina. Le myricae, le umili tamerici,
diventano un simbolo delle tematiche del Pascoli ed evocano riflessioni
profonde. La descrizione realistica cela un significato più ampio così
che, dal mondo contadino si arriva poi ad un significato universale. La
rappresentazione della vita nei campi e della condizione contadina è solo
all'apparenza il messaggio che il poeta vuole trasmettere con le sue opere. In
realtà questa frettolosa interpretazione della poetica pascoliana fa da
scenario a stati d'animo come inquietudini ed emozioni. Il significato delle
Myricae va quindi oltre l'apparenza. Nell'edizione del 1897 compare la poesia
Novembre, mentre nelle successive compariranno anche altri componimenti come
L'Assiuolo. Pascoli ha dedicato questa raccolta alla memoria di suo padre
("A Ruggero Pascoli, mio padre"). La poesia-pensiero del profondo, in
Pascoli, attinge all'inconscio e tocca all'universale attraverso un mondo delle
referenze condiviso da tutti[36][37]. La produzione latina Giovanni
Pascoli fu anche autore di poesie in lingua latina e con esse vinse per ben
tredici volte il Certamen Hoeufftianum, un prestigioso concorso di poesia
latina che annualmente si teneva ad Amsterdam. La produzione latina accompagnò
il poeta per tutta la sua vita: dai primi componimenti scritti sui banchi del
collegio degli Scolopi di Urbino, fino al poemetto Thallusa, la cui vittoria il
poeta apprese solo sul letto di morte nel 1912. In particolare, l'anno 1892 fu
insieme l'anno della sua prima premiazione con il poemetto Veianus e l'anno
della stesura definitiva delle Myricae. Tra la sua produzione latina, vi è
anche il carme alcaico Corda Fratres, composto nel 1898, pubblicato nel 1902,
inno ufficiale della Fédération internationale des étudiants, una confraternita
studentesca meglio nota come Corda Fratres[38]. Pascoli amava molto il latino,
che può essere considerato la sua lingua del cuore: il poeta scriveva in
latino, prendeva appunti in latino, spesso pensava in latino, trasponendo poi
espressioni latine in italiano; la sorella Maria ricorda che dal suo letto di
morte Pascoli parlò in latino, anche se la notizia è considerata dai più poco
attendibile, dal momento che la sorella non conosceva questa lingua. Per lungo
tempo la produzione latina pascoliana non ha ricevuto l'attenzione che merita,
essendo stata erroneamente considerata quale un semplice esercizio del poeta.
Il Pascoli in quegli anni non era infatti l'unico a cimentarsi nella poesia
latina (Giuseppe Giacoletti, un insegnante nel collegio degli Scolopi di Urbino
frequentato dal Pascoli, vinse l'edizione del Certamen del 1863 con un poemetto
sulle locomotive a vapore[39]); ma Pascoli lo fece in maniera nuova e con
risultati, poetici e linguistici, sorprendenti. L'attenzione verso questi
componimenti si accese con la raccolta in due volumi curata da Ermenegildo
Pistelli nel 1914[40], col saggio di Adolfo Gandiglio nell'edizione del
1930[41]. Esistono delle traduzioni in lingua italiana delle poesie latine di
Pascoli quali quella curata da Manara Valgimigli[42] o le traduzioni di Enzo
Mandruzzato[43]. Tuttavia la produzione latina ha un significato
fondamentale, essendo coerente con la poetica del Fanciullino, la cifra del
pensiero pascoliano. In realtà, la poetica del Fanciullino è la confluenza di
due differenti poetiche: la poetica della memoria e la poetica delle cose. Gran
parte della poesia pascoliana nasce dalle memorie, dolci e tristi, della sua
infanzia: "Ditelo voi [...], se la poesia non è solo in ciò che fu e in
ciò che sarà, in ciò che è morto e in ciò che è sogno! E dite voi, se il sogno
più bello non è sempre quello in cui rivive ciò che è morto". Pascoli
dunque intende fare rivivere ciò che è morto, attingendo non solo al proprio
ricordo personale, bensì travalica la propria esperienza, descrivendo
personaggi facenti parte anche dell'evo antico: infanzia e mondo antico sono le
età nelle quali l'uomo vive o è vissuto più vicino ad una sorta di stato di
natura. "Io sento nel cuore dolori antichissimi, pure ancor pungenti. Dove
e quando ho provato tanti martori? Sofferto tante ingiustizie? Da quanti secoli
vive al dolore l'anima mia? Ero io forse uno di quegli schiavi che
giravano la macina al buio, affamati, con la museruola?".
Contro la morte - delle lingue, degli uomini e delle epoche - il poeta si
appella alla poesia: essa è la sola, la vera vittoria umana contro la morte.
"L'uomo alla morte deve disputare, contrastare, ritogliere quanto
può". Ma da ciò non consegue di necessità l'uso del latino. Qui
interviene l'altra e complementare poetica pascoliana: la poetica delle cose.
"Vedere e udire: altro non deve il poeta. Il poeta è l'arpa che un soffio
anima, è la lastra che un raggio dipinge. La poesia è nelle cose". Ma
questa aderenza alle cose ha una conseguenza linguistica di estrema importanza,
ogni cosa deve parlare quanto più è possibile con la propria voce: gli esseri
della natura con l'onomatopea, i contadini col vernacolo, gli emigranti con
l'italo-americano, Re Enzio col bolognese del Duecento; i Romani, naturalmente,
parleranno in latino. Dunque il bilinguismo di Pascoli in realtà è solo una
faccia del suo plurilinguismo. Bisogna tenere conto anche di un altro elemento:
il latino del Pascoli non è la lingua che abbiamo appreso a scuola. Questo è
forse il secondo motivo per il quale la produzione latina pascoliana è stata
per anni oggetto di scarso interesse: per poter leggere i suoi poemetti latini
è necessario essere esperti non solo del latino in generale, ma anche del
latino di Pascoli. Si è già fatto menzione del fatto che nello stesso periodo,
e anche prima di lui, altri autori avevano scritto in latino; scrivere in
latino per un moderno comporta due differenti e contrapposti rischi. L'autore
che si cimenti in questa impresa potrebbe, da una parte, incappare nell'errore
di esprimere una sensibilità moderna in una lingua classica, cadendo in un
latino maccheronico; oppure potrebbe semplicemente imitare gli autori classici,
senza apportare alcuna novità alla letteratura latina. Pascoli invece
reinventa il latino, lo plasma, piega la lingua perché possa esprimere una
sensibilità moderna, perché possa essere una lingua contemporanea. Se oggi noi
parlassimo ancora latino, forse parleremmo il latino di Pascoli. (cfr. Alfonso
Traina, Saggio sul latino del Pascoli, Pàtron). Numerosi sono i componimenti,
in genere raggruppati in diverse raccolte secondo l'edizione del Gandiglio, tra
le quali: Poemata Christiana, Liber de Poetis, Res Romanae, Odi et Hymni. Due
sembrano essere i temi favoriti del poeta: Orazio, poeta della aurea
mediocritas, che Pascoli sentiva come suo alter ego, e le madri orbate, cioè
private del loro figlio (cfr. Thallusa, Pomponia Graecina, Rufius Crispinus).
In quest'ultimo caso il poeta sembra come ribaltare la sua esperienza personale
di orfano, privando invece le madri del loro ocellus ("occhietto",
come Thallusa chiama il bambino). I Poemata Christiana sono da considerarsi il
suo capolavoro in lingua latina. In essi Pascoli traccia, attraverso i vari
poemetti, tutti in esametri, la storia del Cristianesimo in Occidente: dal
ritorno a Roma del centurione che assistette alla morte di Cristo sul Golgota
(Centurio), alla penetrazione del Cristianesimo nella società romana, dapprima
attraverso gli strati sociali di condizione servile (Thallusa), poi attraverso
la nobiltà romana (Pomponia Graecina), fino al tramonto del paganesimo (Fanum
Apollinis). Biblioteca e archivio personali La sua biblioteca e il suo
archivio sono conservati sia nella Casa museo Pascoli a Castelvecchio Pascoli
frazione di Barga, sia nella Biblioteca statale di Lucca[44]. A San Mauro
Pascoli la sua casa natale, oggi proprietà del Comune di San Mauro Pascoli, è
sede di un museo dedicato alla memoria del poeta.[45] Onori Nel 1924 la
casa natale di Giovanni Pascoli a San Mauro Pascoli viene dichiarata Monumento
nazionale.[46] Nel 2012, in occasione del centenario della morte del poeta, gli
vengono dedicate importanti iniziative in tutta la Penisola.[47] Nel 2012 viene
coniata una moneta celebrativa da due euro con l'effige del Poeta.[47]
Note Il delitto Ruggero Pascoli Omicidio Pascoli. Il complotto,
(Mimesis 2014) ^ F. Biondolillo, La poesia di Giovanni Pascoli, 1956, p.5 ^ Maria
Pascoli, Autografo Memorie, cass. XLIII, plico 1, parte I, c. 79 ^ Alice
Cencetti, Giovanni Pascoli: una biografia critica, Le Lettere, 2009, p. 69 ^ G.
Pascoli, L'avvento, in Pensieri e discorsi: «Che è? siamo malfattori anche noi?
Oh! no: noi non vorremmo vedere quelle catene, quella gabbia, quelle armi nude
intorno a quell'uomo; vorremmo non sapere ch'egli sarà chiuso, vivo, per anni e
anni e anni, per sempre, in un sepolcro; vorremmo non pensare ch'egli non
abbraccerà più la donna che fu sua, ch'egli non vedrà più, se non reso
irriconoscibile e ignominioso dall'orrida acconciatura dell'ergastolo, i figli
suoi... Ma egli ha ucciso, ha fatto degli orfani, che non vedranno più affatto
il loro padre, mai, mai, mai! E vero: punitelo! è giusto!... Ma non si
potrebbe trovare il modo di punirlo con qualcosa di diverso da ciò ch'egli
commise?... Così esso assomiglia troppo alle sue vittime! Così andranno sopra
lui alcune delle lagrime che spettano alle sue vittime! Le sue vittime vogliono
tutta per loro la pietà che in parte s'è disviata in pro' di lui! (...) Non
essere così ragionevole, o Giustizia. Perdona più che puoi.—Più che posso?—Ella
dice di non potere affatto. Se gli uomini, ella soggiunge, fossero a tal grado
di moralità da sentire veramente quell'orrore al delitto, che tu dici, si
potrebbe lasciare che il delitto fosse pena a sè stesso, senza bisogno di
mannaie e catene, di morte o mortificazione. Ma... Ma non vede dunque la
giustizia che quest'orrore al delitto gli uomini lo mostrano appunto già assai,
quando abominano, in palese o nel cuore, il delitto anche se è dato in pena
d'altro delitto, ossia nella forma in cui parrebbe più tollerabile?» ^ La
storia dell'I.I.S. Raffaello, su iisraffaello.gov.it. URL consultato il 30
ottobre 2017 (archiviato dall'url originale il 20 dicembre 2018). ^ Domenico
Bulferetti, Giovanni Pascoli. L'uomo, il maestro, il poeta, Libreria Editrice
Milanese, 1914, p. 57 ^ Piero Bianconi, Pascoli, Morcelliana, 1935, p.26 ^
Giuseppe Galzerano, Giovanni Passannante, Casalvelino Scalo, 2004, p.272 ^
Ugoberto Alfassio Grimaldi, Il re "buono", Feltrinelli, 1980, p. 146
^ Per approfondire gli anni giovanili del Poeta e l'impegno politico vedi: R.
Boschetti, "Il giovane Pascoli. Attraverso le ombre della giovinezza",
2007, realizzato in occasione della mostra omonima allestita presso il Museo
Casa Pascoli di San Mauro Pascoli ^ Per approfondire gli anni di ricostruzione
del "nido" con le sorelle e scoprire nuovi elementi che aggiornino la
vecchia idea tramandata dalla sorella Mariù, in base alla quale il principale
desiderio del fratello era quello di ricostruire la famiglia con le sorelle,
senza alcuno slancio amoroso verso l'esterno, si veda: Rosita Boschetti,
Gianfranco Miro Gori, Umberto Sereni "Giovanni Pascoli. Vita immagini ritratti",
Parma, Grafiche Step 2012. ^ Il rinvenimento è opera di Gian Luigi Ruggio,
Conservatore di casa Pascoli a Castelvecchio, il documento fu acquistato dal
Grande Oriente d'Italia nel giugno 2006 ad un'asta di manoscritti storici della
casa Bloomsbury, e la notizia fu resa nota al grande pubblico per la prima
volta ne Il Corriere della Sera, 22 giugno 2007. ^ Filmato audio Sandro Ruotolo
e Giuliano Di Bernardo, Massoneria, politica e mafia. L'ex-Gran Maestro:
"Ecco i segreti che non ho mai rivelato a nessuno", fanpage.it
(archiviato il 29 marzo 2019)., al minuto 2:28. Citazione: La loggia P2 non è
stata inventata da Gelli, ma risale alla seconda metà dell'Ottocento in cui il
Gran Maestro per dare una certa riservatezza a personaggi che erano i vertici
del Governo, i militari di altissimo livello, poeti come Carducci e Pascoli. Si
disse: «evitiamo che questi personaggi svolgano la loro attività massonica
nelle logge, almeno per evitare un fastidio» ^ Vi fu professore straordinario
di grammatica greca e latina dal 25 ottobre 1895. ^ Vi insegnò letteratura
latina come professore ordinario dal 27 ottobre 1897. ^ Fu nominato professore
di grammatica greca e latina il 28 giugno 1903. Le date sulle docenze
universitarie sono prese da Maurizio Perugi, "Nota biografica", in G.
Pasocli, Opere, tomo I, Milano-Napoli: Ricciardi, 1980, pp. XXXVII-XL. ^ Rosita
Boschetti, Pascoli innamorato: la vita sentimentale del poeta di San Mauro :
catalogo, San Mauro Pascoli, Comune, 2015. ^ Cfr. sempre Rosita Boschetti, op.
cit, pag. 28; Pascoli scrive da Matera a Raffaele la lista delle sue spese: «65
lire al mese per mangiare, 25 per dormire, 7 alla serva, 2 al casino
(necessità), 15 in libri (più che necessità)». ^ Fondazione Pascoli: la vita,
parte 3 Archiviato il 21 giugno 2012 in Internet Archive. ^ Gian Luigi Ruggio,
Giovanni Pascoli. Tutto il racconto della vita tormentata di un grande poeta ^
Vittorino Andreoli, I segreti di casa Pascoli, recensione qui ^ Testo
dell'"Inno a Roma" ^ Testo di "Al corbezzolo" ^ Fondazione
Pascoli: la vita Archiviato il 21 giugno 2012 in Internet Archive. ^ Maria
Pascoli, Lungo la vita di Giovanni Pascoli Pascoli: il lutto, il
triangolo, il classico e il decadentista Archiviato il 7 aprile 2014 in
Internet Archive. ^ Vittorino Andreoli, op. cit ^ Maria Pascoli, Lungo la vita
di Giovanni Pascoli, Milano, Mondadori, 1961, p. 616 n.2 ^ Giovanni Getto,
Giovanni Pascoli poeta astrale, in "Studi per il centenario della nascita
di G. Pascoli". Commissione per i testi di lingua, Bologna, 1962., ^
Fondazione Giovanni Pascoli - Nuovi poemetti Archiviato il 29 settembre 2013 in
Internet Archive. ^ A. Schiaffini, G. Pascoli disintegratore della forma
poetica tradizionale, in "Omaggio a Pascoli", pp. 240-245 ^ G.
Contini, Il linguaggio di Pascoli, in "Studi pascoliani", Lega,
Faenza, 1958, p. 30 e sgg. ^ Maria Cristina Solfanelli, Pascoli e gli animali
da cortile, Chieti, Tabula fati, 2014. ^ Vegliante. ^ Alberto Fraccacreta, Le
ninfe di Vegliante, su Succedeoggi. URL consultato il 2 ottobre 2019 (archiviato
il 2 ottobre 2019). ^ Luigi Del Santo, Cammei Pascoliani: analisi,
illustrazione, esegèsi dei carmi latini e greci minori di Giovanni Pascoli,
1964 (p. 49) ^ Giuseppe Giacoletti, De lebetis materie et forma eiusque tutela
in machinis vaporis vi agentibus carmen didascalicum, Amstelodami: C. G. Van
Der Post, 1863 ^ Ioannis Pascoli carmina; collegit Maria soror; edidit H.
Pistelli ; exornavit A. De Karolis, Bononiae: Zanichelli, 1914 ^ Ioannis
Pascoli Carminibus; mandatu Maria sororis recognitis; appendicem criticam
addidit Adolphus Gandiglio, Bononiae: sumptu Nicolai Zanichelli, 1930 ^
Giovanni Pascoli, Poesie latine; a cura di Manara Valgimigli, Milano : A.
Mondadori, 1951 ^ Giovanni Pascoli, Poemi cristiani; introduzione e commento di
Alfonso Traina; traduzione di Enzo Mandruzzato, Milano: Biblioteca universale
Rizzoli, 1984, ISBN 88-17-12493-1 ^ Carte pascoliane della Biblioteca Statale
di Lucca, su http://pascoli.archivi.beniculturali.it/. URL consultato il 1º
giugno 2016. ^ Museo di Casa Pascoli, su polomusealeemiliaromagna.beniculturali.it.
URL consultato il 5 maggio 2018 (archiviato dall'url originale il 5 maggio
2018). ^ Regio Decreto Legge del 6 novembre 1924 nº 1885 pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia del 1º dicembre 1924 nº 280 Guido
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I "Canti di Castelvecchio", in "Il Marzocco", 17 maggio
1903 G.S. Gargano, I "Canti di Castelvecchio", in "Il
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ISSN 1120-8856 Jean-Charles Vegliante, Giovanni Pascoli, L'impensé la poésie –
Choix de poèmes (1890-1911), Sesto San Giovanni, Mimésis, 2018. Voci correlate
Accademia Pascoliana Ruggero Pascoli Decadentismo Digitale purpurea Giosuè
Carducci Gabriele D'Annunzio Severino Ferrari Luigi d'Isengard Augusto
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Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica
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dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Giovanni Pascoli, su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata
Giovanni Pascoli, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Giovanni Pascoli, su
siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo Unificato per le
Soprintendenze Archivistiche. Modifica su Wikidata Giovanni Pascoli, su BeWeb,
Conferenza Episcopale Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Giovanni Pascoli,
su Liber Liber. Modifica su Wikidata Opere di Giovanni Pascoli, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Giovanni Pascoli, su
Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Audiolibri di
Giovanni Pascoli, su LibriVox. Modifica su Wikidata Bibliografia italiana di
Giovanni Pascoli, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica,
Fantascienza.com. Modifica su Wikidata Giovanni Pascoli nello specchio delle
sue carte, su pascoli.archivi.beniculturali.it. URL consultato il 10 marzo
2014. Sito ufficiale della Fondazione Giovanni Pascoli, su
fondazionepascoli.it. Tutte le opere, disponibili nella biblioteca online
Giuseppe Bonghi Opere di Giovanni Pascoli, testi con concordanze, lista delle
parole e lista di frequenza Manara Valgimigli (a cura di), Giovanni Pascoli.
Poesie latine, Mondadori, 1951-1961, ISBN non esistente. Casa Pascoli, sito
ufficiale del Museo Casa Pascoli dedicato al poeta Archivio storico -
Università di Bologna, su archiviostorico.unibo.it. Un percorso di lettura
attraverso i "Poemi conviviali", su cle.ens-lyon.fr. URL consultato
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Giovanni Pascoli e P. Giovanni Semeria: riferimenti bibliografici. V · D · M
Giovanni Pascoli V · D · M Dante Alighieri Controllo di autorità VIAF (EN)
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Portale Biografie Letteratura Portale Letteratura Categorie: Poeti italiani del
XIX secoloPoeti italiani del XX secoloAccademici italiani del XIX
secoloAccademici italiani del XX secoloCritici letterari italiani del XIX
secoloCritici letterari italiani del XX secoloNati nel 1855Morti nel 1912Nati
il 31 dicembreMorti il 6 aprileNati a San Mauro PascoliMorti a BolognaGiovanni
PascoliMassoniPersone legate all'Università di BolognaProfessori
dell'Università degli Studi di MessinaLatinisti italianiSocialistiPositivismoPersonalità
dell'agnosticismoScrittori in lingua latinaPoeti in latinoOppositori della pena
di morteStudenti dell'Università di BolognaProfessori dell'Università di
PisaProfessori dell'Università di Bologna[altre]
Pasini Pace
Pasini Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Pace Pasini (Pasino, de Pasino, Pacino) Pace Pasini (Pasino, de
Pasino, Pacino) (Vicenza, 17 giugno 1583 – Padova, 1644) è stato un poeta e
filosofo italiano del Rinascimento, cittadino della Repubblica di
Venezia. Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Note
4 Bibliografia
5 Collegamenti
esterni Biografia Era figlio di Pietro, discendente di una famiglia originaria
della val Sabbia, trasferitasi in un primo momento a Schio e poi a
Vicenza, dov'era ascritta al Consiglio Nobile della città[1]. A metà del
Seicento - più o meno all'epoca della morte di Pace - alcuni Pasini di Vicenza
figurano tra i mercanti di seta e panni grossi[2]. Dopo i primi studi di
grammatica a Vicenza, Pace continuò a Padova applicandosi agli studi giuridici,
che ben presto trascurò per interessarsi della nuova scienza - fu in contatto
con Galileo Galilei e con Giovanni Keplero - e soprattutto della filosofia,
seguendo assiduamente le lezioni di Cesare Cremonini, impegnato nel commento
'mortalista' della Fisica e del De coelo di Aristotele e seguace
dell'aristotelismo critico e razionalistico di Pietro Pomponazzi, che metteva
in discussione il principio dell'immortalità dell'anima e alcuni dogmi
cattolici[2]. Fece parte dell'Accademia degli Incogniti, una delle
Accademie più attive e vivaci del Seicento veneziano e una delle più libere
della penisola. A tale adesione alcuni biografi settecenteschi attribuiscono le
accuse di eresia nei suoi confronti. Come invece dimostra una serie di documenti
dell'Archivio di Stato di Venezia, fu un fatto di sangue a determinare il
provvedimento giudiziario che lo condannò all'esilio: per un futile contenzioso
privato (un diritto di passaggio riconosciuto a dei vicini), insieme con il
fratello Vittelio e alcuni sicari, il 9 luglio 1623 nella villa Pavaran, ora
frazione di Campiglia dei Berici, Pace uccise l'avvocato Roberto Malo e ne ferì
gravemente il fratello. Nel marzo del 1624 fu condannato a cinque anni di
esilio a Zara, poi ridotti di circa la metà (fu assolto e liberato il 28
gennaio 1627)[2]. Reintegrato nella società vicentina, fu dal 25 luglio
1630 vicario a Barbarano e dall'8 luglio 1635 a Orgiano, dove era già stato
agli inizi della carriera, nel 1618. La sua vita dovette scorrere come quella
di tanti nobili di provincia, tra affari privati, responsabilità
amministrative, passione letteraria e interessi culturali, sempre presente
l'ossequio al potere della Serenissima: dediche e composizioni sono spesso
dirette a podestà, capitani e dogi. Negli ultimi anni si registrano un più
stretto legame con l'Accademia degli Incogniti e una maggiore produzione
letteraria, sia sotto l'aspetto quantitativo che qualitativo[2]. Fece parte
della corrente poetica del marinismo, che aveva in Giovan Battista Marino il
proprio modello. Pace Pasini morì a Padova nella seconda metà del
1644. Opere Rime varie, et gli increduli, ouero De' rimedii d'amore
dialogo. Dedicate al molto illustre ... Giacomo Godi, Vicenza, 1612, esordio
letterario del Pasini, miscellanea di sedici componimenti in metro vario tutti
di tematica amorosa e un dialogo Campo Martio ouero Le bellezze di Lidia,
dedicato al clariss. sig. Giulio da Molino, dell'illustriss. sig. Marco,
componimento di quasi 900 versi settenari ed endecasillabi sciolti, uscito nel
1614 a Vicenza presso Francesco Grossi e dedicato a un membro dell'illustre
famiglia Molino Rime di Pace Pasini diuise in errori, honori, dolori, verita,
& miscugli, Vicenza, 1642 Il sogno dell'illustrissimo sig. Pietro Memo..
Dedicato all'illustrissimo signor Dominico Molino, Vicenza, 1623, di carattere
politico-encomiastico, racconta allegoricamente come il Sogno trasporti il
podestà attraverso i cieli sino alla via Lattea, dove trova gli eroi che hanno
illustrato la sua famiglia Rime Marinistiche, raccolta complessiva delle sue
Rime scritte tra il 1617 e il 1642, fu stampata a Vicenza; fanno rientrare
l'autore nel filone marinista dell'epoca. La Metafora. Il Trattato e le Rime.
Trattato de' passaggi dall'vna metafora all'altra, et de gl'innesti
dell'istesse nel quale si discorre secondo l'opinione, e l'vso de'migliori, se
senza commetter diffetto, si possano vsare da' poeti, et da gli oratori.
Dedicato all'illustrissimo, et eccellentiss. sig. Nicola Da Ponte, Vicenza,
1632 Historia del cavalier perduto: del 1634, romanzo erotico - cavalleresco
che indirizza il proprio interesse su vicende e situazioni feudali di
provincia. La sua opera più nota, che si inserisce nella tradizione del romanzo
barocco veneto e dei narratori Incogniti, secondo una linea che intreccia
avventure cavalleresche amorose a tematiche storico-politiche[2]. Secondo
Giovanni Getto è da questo romanzo che Manzoni trasse poi spunto per la stesura
de I Promessi Sposi. [3] [4] Note ^ Giambattista Giarolli, Vicenza nella sua
toponomastica stradale, Vicenza, 1955 Quinto Marini, op. cit. ^ Copia
archiviata, su gianniroghi.it. URL consultato il 27 maggio 2013 (archiviato
dall'url originale il 13 giugno 2013). ^ Pace Pasini ne "Le
Garzantine", Letteratura Bibliografia Giovanni Mantese, Il Manzoni a
Vicenza. Il Cavalier perduto del vicentino Pace Pasini e i Promessi Sposi,
Firenze, Olschki editore, 1976 Collegamenti esterni Quinto Marini, Pace Pasini,
in Dizionario biografico degli italiani, vol. 81, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2014. Controllo di autorità VIAF (EN) 20037745 · ISNI (EN) 0000 0000
6151 3767 · GND (DE) 1064170358 · BAV (EN) 495/312697 · CERL cnp01030070 ·
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Portale Letteratura Categorie: Poeti italiani del XVI secoloPoeti italiani del
XVII secoloFilosofi italiani del XVI secoloFilosofi italiani del XVII
secoloNati nel 1583Morti nel 1644Nati il 17 giugnoNati a VicenzaMorti a
Padova[altre]
Passavanti Elia
Rossi Passavanti Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Elia Rossi Passavanti PassavantiEliaRossi.jpg Deputato del Regno
d'Italia Durata mandato 1924
– 1929 Legislature XXVII
Gruppo parlamentare Fascista
Coalizione Listone
Mussolini Sito istituzionale Podestà di Terni Durata mandato 1927 – 1928 Predecessore Ercole
Felice Montani Successore Lorenzo
Amati (politico) Dati generali Partito politico Partito
Nazionale Fascista Titolo di studio Laurea
in Giurisprudenza, Laurea in Lettere e filosofia, Laurea in Scienze politiche e
sociali Professione Avvocato,
Militare di carriera Elia Rossi Passavanti (Terni, 5 febbraio 1896 – Terni, 11
luglio 1985) è stato un militare e politico italiano.Fu podestà della città di
Terni nonché storico locale. È stato uno dei due soli italiani ad essere
decorato di Medaglia d'Oro al Valor Militare sia nella Prima che nella Seconda
guerra mondiale. Indice 1 Biografia
2 Onorificenze
3 Note
3.1 Annotazioni
3.2 Fonti
4 Bibliografia
5 Collegamenti
esterni Biografia Ai suoi buoni auspici presso il governo fascista viene fatta
risalire l'istituzione della Provincia di Terni, avvenuta nel 1927. Partecipò
volontario alla Prima guerra mondiale come soldato semplice poi promosso
sergente nel 4º reggimento Genova cavalleria, in cui fu protagonista di
incredibili atti di eroismo e ferito gravemente due volte. Nel 1919 fu a Fiume
per partecipare alla occupazione para-militare della città tra i legionari di
Gabriele d'Annunzio. Nel 1923 gli venne consegnata la medaglia d'oro al
valore militare in seguito ai suoi eroismi durante il primo conflitto mondiale.
Nel 1924 venne eletto deputato; in seguito si laureò in giurisprudenza,
lettere, scienze politiche e scrisse alcuni importanti volumi circa la storia
della sua città. Durante la seconda guerra mondiale fu decorato con la seconda
medaglia d'oro al valore militare, in Albania. Dopo l'8 settembre 1943,
fedele alla monarchia prese parte alla Guerra di liberazione arruolandosi
nell'Esercito Cobelligerante Italiano. Il 29 luglio 1953 ottenne la nomina a
consigliere della Corte dei Conti per meriti scientifici, ricoprendo la carica
fino al 31 marzo 1954[1]. Fondò poi la Ternana Opera Educatrice, ovvero una
fondazione con lo scopo di premiare laureati meritevoli e lavoratori distintisi
nella professione.[2] Fu a lungo presidente dell'associazione nazionale arma di
cavalleria.[3] Al momento di morire decise di donare tutto il suo fornitissimo
archivio documentale alla biblioteca di Terni.[4] Onorificenze Medaglia
d'oro al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro
al valor militare «Da soldato, da caporale, da aiutante di battaglia, fulgido,
costante esempio, trascinatore d’uomini, cinque volte ferito, tre volte
mutilato, mai lo strazio della sua carne lo accasciò, sempre fu dovuto a forza
allontanare dalla lotta; sempre appena possibile, vi seppe tornare, ed in essa
fu sempre primo fra i primi, incurante di sé e delle sofferenze del suo corpo
martoriato. In critica situazione, con generoso slancio, fece scudo del suo
petto al proprio comandante, e due volte, benché gravemente ferito, si
sottrasse, attaccando, alla stretta nemica. Con singolare ardimento, trascinava
il suo plotone di arditi all’attacco di forte, munitissima posizione nemica;
impossibilitato ad avanzare, perché intatti i reticolati, fieramente rispondeva
con bombe a mano, alle intense raffiche di mitragliatrici. Obbligato a
ripiegare, sebbene ferito, sostava ripetutamente per impedire eventuali
contrattacchi. Avuta notizia di una nuova azione, abbandonava l’ospedale in cui
l’avevano ricoverato, e raggiungeva il suo reparto; trasportato dai suoi,
riusciva a prendere parte anche alla gloriosa offensiva finale. Soldato
veramente, più che di carne e di nervi, dall’anima e dal corpo forgiati di
acciaio e di ottima tempra. Hermada, settembre 1916 - Grappa, 24 ottobre 1918.»
Medaglia d'oro al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia
d'oro al valor militare «Mutilato e superdecorato, volontariamente nei ranghi
della nuova guerra, per la maggiore grandezza della Patria, riconfermava il suo
meraviglioso passato di eroico soldato. A capo della propaganda di una grande
unità, seppe dimostrare che più che le parole valgono i fatti e fu sempre dove
maggiore era il rischio e combatté con i fanti nelle linee più tormentate. Nella
manovra conclusiva, alla testa dell’avanguardia del Corpo d’Armata, entrò per
primo in Korcia ed in Erseke, inalberandovi i tricolori affidatigli dal Duce.
Superba figura di combattente, animato da indomito eroismo, uscì illeso da
mille pericoli e fu l’idolo di tutti i soldati del III Corpo d’Armata, che in
lui videro il simbolo del valore personale, della continuità dello spirito di
sacrificio e della più pura fede nei destini della Patria, che legano
idealmente le gesta dei soldati del Carso, del Piave, del Grappa con quelle dei
combattenti dell’Italia fascista. Albania, gennaio - aprile 1941.» Medaglia
d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'argento al valor militare «Mirabile
esempio di coraggio sereno, di alto spirito militare e di profondo sentimento
del dovere, rimase sul posto di combattimento, quantunque non lievemente
ferito. Nuovamente e più gravemente ferito, prima di esser trasportato al luogo
di medicazione, volle esser condotto dal comandante del gruppo, per riferirgli
sulla situazione. Altipiano Carsico, 14-16 settembre 1916.» Medaglia d'argento
al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'argento al valor militare
— San Giovanni di Duino, 1917 Croce al merito di guerra - nastrino per uniforme
ordinaria Croce al merito di guerra —
Pozzuolo del Friuli, ottobre 1917 Croce al merito di guerra - nastrino per
uniforme ordinaria Croce al merito
di guerra — Monte Grappa, luglio-agosto 1918 Medaglia di benemerenza per i
volontari della guerra italo-austriaca 1915-1918 - nastrino per uniforme
ordinaria Medaglia
di benemerenza per i volontari della guerra italo-austriaca 1915-1918 Medaglia
commemorativa della spedizione di Fiume - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia
commemorativa della spedizione di Fiume Grande ufficiale dell'Ordine della
Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria Grande ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia Grande
ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro - nastrino per uniforme
ordinaria Grande
ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Cavaliere dell'Ordine
coloniale della Stella d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere dell'Ordine coloniale della
Stella d'Italia Grande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica
italiana - nastrino per uniforme ordinaria Grande
ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana — Decreto del
Presidente della Repubblica del 2 giugno 1954 Cavaliere di gran croce
dell'Ordine al merito della Repubblica italiana - nastrino per uniforme
ordinaria Cavaliere
di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana — Decreto del
Presidente della Repubblica dell'11 febbraio 1966[5] Note Annotazioni Fonti ^
Copia archiviata, su corteconti.it. URL consultato il 12 luglio 2008
(archiviato dall'url originale il 3 giugno 2008). ^ SIUSA - Fondazione ternana
opera educatrice di Terni ^
http://legislature.camera.it/_dati/leg02/lavori/stenografici/sed0719/sed0719.pdf
^ bct Terni Archiviato il 13 settembre 2009 in Internet Archive. ^ foto di Elia
Rossi Passavanti in divisa del P.N.F.[collegamento interrotto] Bibliografia
Santini L., Guida di Terni e del Ternano, 2003 Luigi Romersa, Uomini della
Seconda Guerra Mondiale, Murisa, 2006, 248 p. Vincenzo Pirro (a cura di), Elia
Rossi Passavanti nell'Italia del Novecento, Atti del Convegno di studi (Terni
22-23 marzo 2002), Arrone: Edizioni Thyrus, 2004 Collegamenti esterni Elia
Rossi Passavanti, su siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo
Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Modifica su Wikidata Elia Rossi
Passavanti, su storia.camera.it, Camera dei deputati. Modifica su
Wikidata Predecessore Sindaco di
Terni Successore Terni-Stemma.png
Ercole Felice Montani 1927
- 1928 Lorenzo
Amati (politico) Controllo
di autorità VIAF
(EN) 52779611 · ISNI (EN) 0000 0000 4144 1348 · LCCN (EN) n2004144733 · BNF
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Portale Biografie Grande guerra Portale Grande guerra Guerra Portale Guerra
Categorie: Militari italiani del XX secoloPolitici italiani del XX secoloNati
nel 1896Morti nel 1985Nati il 5 febbraioMorti l'11 luglioNati a TerniMorti a
TerniSindaci di TerniMilitari italiani della prima guerra mondialeUfficiali del
Regio EsercitoMedaglie d'oro al valor militareMedaglie d'argento al valor
militareCroci al merito di guerraGrandi ufficiali dell'Ordine dei Santi
Maurizio e LazzaroGrandi ufficiali dell'Ordine della Corona d'ItaliaCavalieri
dell'Ordine coloniale della Stella d'ItaliaDecorati di Medaglia di benemerenza
per i volontari della guerra italo-austriacaDecorati di Medaglia commemorativa
della spedizione di FiumeDeputati della XXVII legislatura del Regno
d'Italia[altre]
Passerano Alberto
Radicati di Passerano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
navigationJump to search Alberto Radicati, conte di Passerano e Cocconato
(Torino, 11 novembre 1698 – L'Aia, 24 ottobre 1737), è stato un filosofo
italiano. Libero pensatore, fu il «primo illuminista della penisola», secondo
una definizione di Piero Gobetti. Indice 1 Vita e opere 1.1 L'esilio
a Londra e nei Paesi Bassi 1.2 Il
naturalismo materialista della Dissertazione filosofica sulla morte (1732) 2 Opere 3 Bibliografia
4 Altri
progetti 5 Collegamenti
esterni Vita e opere Radicati matura il suo pensiero anticlericale nel clima
dell'anticurialismo sabaudo ben presente in alcuni settori della corte di
Vittorio Amedeo II, re di Sardegna dal 1718. S'ignora tutto della sua prima
formazione, verosimilmente affidata a qualche ecclesiastico. Un infelice
matrimonio precoce, combinato dalle famiglie, lo coinvolge ventenne, e già due
volte padre, in una serie di penosi contrasti il cui significato travalica i
conflitti coniugali. Mentre a prendere le parti della moglie si mobilita il
partito devoto-clericale, Radicati trova sostegno a corte in chi appoggia il re
sabaudo nei suoi conflitti giurisdizionali con la Curia romana. Il
grottesco-ironico racconto della sua «conversione» pubblicato a Londra nel 1730
– e ripubblicato nel 1734 con il titolo A Comical and True Account of the
Modern Cannibal's Religion – induce a datare intorno agli anni venti il
precipitare della crisi della fede cattolica in cui il conte era stato
cresciuto. Nell'opuscolo autobiografico Radicati presenta la sua personale
vicenda come un caso emblematico di «uscita dalla minorità». Narra infatti
come, a partire dal contrasto tra «santoni bianchi» e «santoni neri» – i monaci
cistercensi e quelli agostiniani – sui presunti miracoli operati da un'immagine
della Vergine, rinvenuta nel convento agostiniano, avesse cominciato a vacillare
in lui la fede e come, verso i vent'anni, avesse cominciato anche in campo
religioso à faire usage de ma raison (a far uso della mia ragione). Importante
per l'ulteriore maturazione intellettuale del Passerano è il viaggio
compiuto nella Francia della "Reggenza" tra il 1719 e il 1721 in cui
poté ampliare il raggio delle sue conoscenze e forse procurarsi testi
«libertini» come La Sagesse di Pierre Charron, l'Hexameron rustique di Le Vayer
o il Traité contre la Médisance di Guy de La Brosse, in cui ricorrono motivi
che troveranno eco e sviluppo nelle sue opere. Il suo scritto principale
– I discorsi morali, storici e politici redatti su diretto incarico di Vittorio
Amedeo II – nel mutato clima conseguente alla ratifica del Concordato stipulato
tra regno sabaudo e papa Benedetto XIII diverrà anche la ragione vera del suo
esilio. Il conte, che da un riacquisito potere dell'Inquisizione a Torino deve
temere per la sua libertà e per la sua stessa incolumità, nel febbraio del 1726
lascia segretamente il Piemonte per dirigersi a Londra, dovendo poi subire per
questa fuga non autorizzata dal sovrano il sequestro e la confisca dei
beni. L'esilio a Londra e nei Paesi Bassi A Londra pubblica con un
discreto successo l'instant book che ricostruisce i retroscena della recente
abdicazione di Vittorio Amedeo II mentre, al contempo, lavora alla stesura del
più audace e radicale dei suoi scritti, la Dissertazione filosofica sulla morte
che, tradotta da Joseph Morgan, uscirà dai torchi londinesi verso la fine del
1732 destando un enorme scandalo. Nella Dissertazione, che gli costa anche
l'esperienza delle carceri della tollerante Inghilterra di sir Robert Walpole
Radicati propugna il diritto al suicidio e all'eutanasia sullo sfondo di una
esplicita filosofia materialistica che scorge nel Deus sive Natura
spinoziano-tolandiano il suo unico grandioso orizzonte di senso. Nella
sua meditazione sulla morte e sulla liceità del suicidio Radicati si inserisce
in un dibattito che già Montesquieu aveva rilanciato nelle Lettere Persiane,
riprendendo una discussione inaugurata nel Seicento da John Donne con il suo
Biothanatos. Interessato a proporre un progetto politico che esige come sua
prima tappa essenziale una riforma radicale della cristianità
occidentale, capace di affrancarla dal giogo clericale- o se si vuole, in
termini più neutri dal potere pastorale- la scelta del tema del diritto
individuale alla morte non è scelta casuale per quanto la meditazione sul
suicidio non sia priva di elementi autobiografici. Le chiese cristiane di ogni
confessione ritengono infatti un loro preciso dovere intervenire direttamente
nella gestione del trapasso a quella che esse, in base alla loro fede,
considerano la vera vita, quella ultraterrena. Del resto non solo il mondo
cristiano, lo stesso ebraismo e l'islam, finendo con il recepire come un dogma
l'interpretazione agostiniana del suicidio come omicidio di se stessi, per
secoli hanno considerato la morte volontaria come il più grave e irreparabile
dei peccati, suprema manifestazione di oltranza e ribellione alla volontà
divina, mentre le autorità statali, dal canto loro, si distinguevano per la
crudeltà inumana con cui trattavano i cadaveri dei suicidi e i beni dei loro
eredi. Se i Discorsi partivano dalla morale – ricavata essenzialmente da
una lettura pauperistico-comunistica dei Vangeli che faceva di Cristo, al pari
di Licurgo, il grande critico dell'istituto familiare, nonché il fondatore di
una «democrazia perfetta in cui non esiste né il mio, né il tuo» - per poi
occuparsi di politica e concludersi in concrete proposte riformatrici, nella
Dissertazione filosofica Radicati fornisce una risposta alla legittimità del
suicidio muovendo da una concezione complessiva del mondo e dell'esistenza
umana. Nonostante il suo titolo, la Dissertazione filosofica sulla morte non
rinnega affatto l'istanza spinoziana che intende la filosofia quale gioiosa
meditatio vitae, apertura mentale a una possibile transizione da una condizione
di servitù a una condizione di più ampia libertà che è, simultaneamente, incremento
della capacità del corpo di comporsi e ricomporsi con altri corpi per
realizzare la sua potenza e ampliare la sua capacità di comprendere le
cose. Il naturalismo materialista della Dissertazione filosofica sulla
morte (1732) Radicati definisce l'individualità umana a partire dalle relazioni
che essa intrattiene con il tutto. Per quanto grandezze infinitesimali noi
siamo materia della materia che costituisce l'Universo nella sua indefinita
immensità. La certezza che ci resta, quando ci liberiamo dall'ignoranza in cui
nasciamo e dagli idola tribus, i pregiudizi con cui siamo allevati, è che noi
siamo vicissitudini della materia. La materia a cui pensa tuttavia il conte di
Passerano nel suo esilio londinese e poi olandese non è lo squalificato
sostrato inerte che dai greci giunge fino a Cartesio che, limitandosi a
identificare materia ed estensione, continua ad aspettarsi dal Dio creatore
l'impulso motore e la creazione continua. Come per il Toland delle Lettere a
Serena e del Pantheisticon, la materia pensata dal Radicati è la materia
actuosa che reingloba nel meccanicismo moderno motivi provenienti dal
naturalismo rinascimentale a cui ineriscono direttamente movimento e
autoregolazione. L'universo di Radicati è un mondo infinito in perpetuo
movimento: in esso nulla continua ad essere anche solo per un istante la stessa
cosa. Le continue alterazioni, successioni, rivoluzioni e trasmutazioni della
materia non incrementano né diminuiscono tuttavia il grande tutto, come nessuna
lettera dell'alfabeto si aggiunge o si perde per le infinite combinazioni e
trasposizioni di essa in tante diverse parole e linguaggi. La natura, mirabile
architetta, per Radicati sa sempre come utilizzare anche il minimo dei suoi
atomi. La fine della nostra individualità costituita dalla morte non è quindi
fine assoluta, perché niente si annichila nella materia e il principio
vitale che ci anima come non è nato con noi troverà sicuramente altre
forme di esplicazione: come la nostra nascita non è avvenuta dal nulla, non
sarà nel nulla che ci dissolveremo. A Radicati è estranea ogni forma di
lirismo e, tuttavia, una concezione non lontana dalla sua rifiorirà in una
delle pagine finali di uno dei maggiori romanzi lirici della modernità,
nell'Hyperion di Hölderlin che fa dire alla sua eroina, Diotima: Wir sterben um
zu leben, noi moriamo per vivere: «Oh, certo, i miserabili che non conoscono se
non il ciarpame arrabattato dalle loro mani, che sono esclusivamente servi del
bisogno e disprezzano il genio e non ti venerano, o fanciullesca vita della
natura, a ragione possono temere la morte. Il loro giogo è diventato il loro
mondo, non conoscono niente di meglio della loro schiavitù: c'è forse da
stupirsi che temano la libertà divina che ci offre la morte? Io no! Io l'ho
sentita la vita della natura, più alta di tutti i pensieri – e anche se diverrò
una pianta, sarà poi così grande il danno? Io sarò. Come potrei mai svanire
dalla sfera della vita, in cui l'amore eterno che è partecipato a tutti,
riunifica le nature? come potrei mai sciogliere il vincolo che riunisce tutti
gli esseri?» Opere Antologia di scritti, in Dal Muratori al Cesarotti.
Politici ed economisti del primo Settecento, tomo V, a cura di F. Venturi,
Milano-Napoli, Ricciardi, 1978, pp. 31–168. Dodici discorsi morali, storici e
politici, a cura di T. Cavallo, Sestri Levante, Gammarò editori, 2007 ISBN
88-95010-27-2 Dissertazione filosofica sulla morte, a cura di T. Cavallo, Pisa,
Ets 2003. Vite parallele. Maometto e Mosè. Nazareno e Licurgo, a cura di T.
Cavallo, Sestri Levante, Gammarò editori, 2006 ISBN 88-95010-03-5 Discorsi
morali, istorici e politici. Il Nazareno e Licurgo messi in parallelo,
introduzione di G. Ricuperati; edizione e commento di D. Canestri, Torino, Nino
Aragno Editore, 2007 Dissertazione filosofica sulla morte, a cura di F. Ieva,
Indiana, Milano 2011 ISBN 978-88-97404-02-6 Bibliografia Piero Gobetti,
Risorgimento senza eroi. Studi sul pensiero piemontese nel Risorgimento,
Torino, 1926; anche in Opere complete a cura di P. Spriano, Torino, Einaudi
1969. Franco Venturi, Adalberto Radicati di Passerano, Torino, Einaudi, 2005,
2ed. Franco Venturi, Settecento riformatore, I, Torino, Einaudi, 1998, pp.
23–38. Silvia Berti, Radicati in Olanda. Nuovi documenti sulla sua conversione
e su alcuni suoi manoscritti inediti, in «Rivista Storica Italiana», XCVII, II,
1984, pp. 510–522. Silvia Berti, Radicali ai margini: materialismo, libero
pensiero e diritto al suicidio in Radicati di Passerano, in «Rivista Storica
Italiana», CXVI, III, 2004, pp. 793–802. Jonathan I. Israel, Radical
Enlightenment. Philosophy and the Making of Modernity 1650-1750, Oxford, Oxford
University Press, passim Tomaso Cavallo, Introduzione a A. Radicati,
Dissertazione filosofica sulla morte, Pisa, Ets, 2003, pp. 9–63. Tomaso
Cavallo, Le divergenze parallele. Mosè, Maometto, Nazareno e Licurgo: impostori
e legislatori nell'opera di Alberto Radicati, introduzione ad A. Radicati, Vite
parallele. Maometto e Sosem. Nazareno e Licurgo, Sestri Levante, Gammarò, 2006,
pp. V-XL. Vincenzo Sorella, Un partigiano della ragione umana, in «I Quaderni
di Muscandia», 4, 2005, pp. 115–128. Giovanni Tarantino, “Alternative
Hierarchies: Manhood and Unbelief in Early Modern Europe, 1660-1750”, in
Governing Masculinities: Regulating Selves and Others in the Early Modern Period,
ed. by Susan Broomhall and Jacqueline Van Gent, Ashgate, 2011, pp. 209-225.
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Alberto Radicati di Passerano Collegamenti esterni Alberto Radicati di
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Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi
italiani del XVIII secoloNati nel 1698Morti nel 1737Nati l'11 novembreMorti il
24 ottobreNati a TorinoMorti all'AiaIlluministi[altre]
passeri: genua: essential
Italian philosopher. Marco Antonio Passeri (anche noto come Gènua) (Padova, 1491 –
Padova, 1563) è stato un filosofo italiano, appartenente all'Averroismo attivo
nel periodo del Rinascimento. Figlio di Niccolò Passeri, professore di
medicina all'Università di Padova morto nel 1522, Marco Antonio fu egli stesso
dal 1517 professore nell'università patavina nella cattedra di filosofia.
Autore di commentarii ad alcune opere di Aristotele, in particolare al De Anima
e alla Fisica, tentò di dimostrare la perfetta convergenza fra le idee di
Averroè e di Simplicio sulla dottrina dell'unità dell'intelletto. Marco
Antonio Passeri fu insegnante e zio del filosofo rinascimentale Giacomo
Zabarella. Opere Aristotelis De anima libri tres, cum Auerrois
commentariis et antiqua tralatione suae integritati restituta. His accessit
eorundem librorum Aristotelis noua traslatio, ad Graeci exemplaris veritatem,
et scholarum usum accomodata, Michaele Sophiano interprete. Adiecimus etiam
Marci Antonii Passeri Ianuae disputationem ex eius lectionibus excerptam, in
qua cum de' horum de Anima li brorum ordine, tum reliquorum naturalium serie
pertractatur. Venetiis: apud Iunctas, 1562. Disputatio de intellectus humani
immortalitate, ex disertationibus Marci Antonii Genuae Patauini peripatetici
insignis, In Monte Regali: excudebat Leonardus Torrentinus, 1565. Marcii
Antonii Passeri, cognomento Genuae, Patauini philosophi, sua tempestate facile
principis, et in Academia Patauina philosophiae publici professoris In tres
libros Aristo. de anima exactissimi commentarij Iacobi Pratellii Monteflorensis
medici, et Ioannis Caroli Saraceni diligentia recogniti, et repurgati. Necnon
locupletissimo indice, propter maiorem legentium facilitatem, vtilitatemque, ab
eodem Ioanne Carolo Saraceno amplificati. Venetijs: apud Gratiosum Perchacinum
& socios, 1576. Bibliografia Alba Paladini, La scienza animastica di Marco
Antonio Genua, Università degli Studi di Lecce, Volume 38, Galatina, Congedo,
2006. ISBN 88-8086-676-1 Voci correlate Averroismo Aristotele Altri progetti
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Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
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Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XVI
secoloNati nel 1491Morti nel 1563Nati a PadovaMorti a PadovaPersone legate
all'Università degli Studi di Padova[altre]. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice e Genua," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Passini
Pasqualini difficult to
find. M. Pasqualini, C. Pasqualini.
Pasqualotto Giangiorgio
Pasqualotto Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump tonavigationJump to
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suggerimenti del progetto di riferimento. Giangiorgio Pasqualotto (Vicenza, 24
giugno 1946) è un filosofo e accademico italiano. Indice 1 Biografia 2 Contributo teorico 3 Principali
pubblicazioni 4 Note
5 Bibliografia
6 Collegamenti
esterni Biografia Frequenta il Liceo classico "Antonio Pigafetta" di
Vicenza, dove ha come professore Giuseppe Faggin. Nel 1969, sotto la guida di
Dino Formaggio, si laurea in filosofia all'Università di Padova, con una tesi
sull'estetica tecnologica di Max Bense. Durante gli anni universitari diventa
amico di Adone Brandalise, Massimo Cacciari, Umberto Curi, Giuseppe Duso. Per
alcuni mesi è professore supplente nel suo stesso liceo vicentino, doveconosce
l'ancora giovanissimo Franco Volpi. Collabora attivamente ad alcune importanti
riviste di filosofia tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, come Angelus
Novus, Contropiano, Il Centauro. Negli anni 1972-1974 è professore incaricato
di Letteratura Artistica presso l'Istituto Universitario di Architettura di
Venezia; dal 1975 insegna Storia della Filosofia presso la Facoltà di Lettere e
Filosofia dell'Università di Padova, dove dal 2006 è titolare della cattedra di
Estetica. Nel 1993 è stato cofondatore dell'Associazione “Maitreya” di Venezia
per lo studio della cultura buddhista. Nel 1996 ha contribuito alla nascita
della rivista di filosofia orientale e comparata “Simplègadi”, animata da un
gruppo di giovani studenti universitari. Nel 1999, con Adone Brandalise, è
stato tra i promotori del Master in Studi Interculturali dell'Università di
Padova, presso il quale ha insegnato Filosofia delle Culture. È stato direttore
scientifico della Scuola Superiore di Filosofia orientale e comparativa di
Rimini dal 2006 al 2009. Contributo teorico Nel saggio Dall'estetica
tecnologica all'estetica interculturale[1], Pasqualotto descrive la sua
avventura intellettuale e insieme l'evoluzione del suo pensiero. In una prima
fase si è formato all'estetica analitica e alla filosofia analitica del
linguaggio, ma ha rilevato il loro limitato significato formale (pp. 241-243).
In una seconda fase, si è rivolto al pensiero critico di Adorno e della Scuola
di Francoforte, e in questo caso ha valutato che la conclusione alla quale essi
giungevano, era la morte per utopia dell’estetica (pp. 243-247). In una terza
fase si è rivolto al pensiero di Nietzsche, tra la fine degli anni Settanta e
la fine degli anni Ottanta; Nietzsche nella Nascita della tragedia, considera
Apollo e Dioniso come due istinti complementari, tanto da consentire di poter
riuscire a «vedere la scienza con l’ottica dell’artista e l’arte con quella
della vita»’, e a dare importanza alla saggezza del corpo. Ma quello
Nietzscheano gli sembrò solo un tentativo eroico di coniugare filosofia e
vita, che alla fine si rivela solo come uno straordinario tentativo di
scrittura sulla vita (pp. 247-250). Un'insoddisfazione di fondo per gli
esiti del pensiero occidentale, e la ricerca continua di nuove possibilità per
il pensiero, lo hanno portato ad approfondire lo studio – iniziato già in anni
giovanili – di tradizioni di pensiero esterne a quella occidentale. Il
buddhismo, in particolare, ha costituito un terreno ampio di indagine e di
confronto con diversi temi o autori della cultura europea; ma anche il pensiero
taoista e l'esperienza della filosofia indiana hanno rappresentato nel corso
degli anni un importante ambito di riflessione. Infatti, in un'ulteriore quarta
fase del suo viaggio intellettuale, Pasqualotto si è rivolto all’estetica
orientale come meditazione, ovvero come cammino comune verso un possibile
superamento della scissione tra esperienza e riflessione (pp. 250-259). In una
quinta fase, Pasqualotto si è avvicinato all’estetica di Emilio Garroni come
uso critico del pensiero, quale comprensione dell’esperienza in genere
all’interno dell’esperienza: in un certo senso, quindi, l’estetica andava
coincidendo con la filosofia. Valutando la riflessione di Garroni prossima a
quella orientale, Pasqualotto arrivò a considerare l'importanza della
'meditazione' e del 'vuoto mentale’, in base ai quali, come l’assenza di
pensiero non può essere pensata senza idee, così non si possono pensare idee
senza pensiero, come era stato già pensato da Eihei Dōgen (pp. 259-262).
Nella sua sesta ed ultima fase, la riflessione di Pasqualotto ha guardato
l’estetica vista con gli occhi della filosofia come comparazione e della
filosofia interculturale, quindi come un ampliamento dell’orizzonte particolare
dell’estetica verso una riflessione generale sui problemi cruciali
dell’esistenza (pp. 262-264). Pasqualotto, infatti, è stato il primo pensatore
italiano a elaborare la valenza teoretica di una filosofia come comparazione,
teorizzata con rigore in Filosofia come comparazione[2], distinguendola da un
mero esercizio comparativo di pensieri appartenenti ad ambiti geo-filosofici
differenti. Il suo pensiero ha trovato echi e possibilità di dialogo con
filosofi italiani, come Giuseppe Cacciatore, Giuseppe Cognetti, Giovanni
Leghissa, e stranieri come Raul Fornet-Betancourt, Heinz Kimmerle, François
Jullien, Ram A. Mall, Ryōsuke Ōhashi, Raimon Panikkar, Georg Stenger, Franz
Wimmer. Tra la fine degli anni Novanta e l'inizio degli anni Duemila
ha contribuito all'introduzione in Italia della Filosofia giapponese
contemporanea e in particolare allo studio del pensiero di Nishida Kitarō[3] e
della Scuola di Kyoto[4], a cominciare dall'importante opera di Nishida L’io e
il tu[5], e poi con gli altrettanto importanti Uno studio sul bene[6] e
Problemi fondamentali della filosofia [7], accompagnati sempre da un saggio
interpretativo che è rimasto sostanzialmente invariato nel corso degli anni.
Parallelamente ad altri autori, si è misurato dai primi anni Duemila con il
tentativo di delineare temi e metodi per una filosofia interculturale[8] che
costituisce il campo di maggior impegno e interesse della sua ricerca,
congiuntamente a una riflessione estetica sulle forme dell'arte dell'Asia
orientale. Riassumendo gli elementi chiave del pensiero di Pasqualotto,
potremmo individuare due componenti fondamentali: il concetto di Ermenuetica
interminabile[9] e quello di Dialogo interculturale[10] Il concetto di
Ermenuetica interminabile prevede come elementi: 1. il pensiero come
'comparazione originaria'[2]; 2. il sapere come 'ambito problematico sempre
aperto', rispetto al quale non si dà mai una verità stabile, ma sempre
problematica, inscritta cioè in un processo inesauribile di ricerca; 3. il
concetto di 'impermanenza' (mutuata dal concetto buddhista di 'anatta') come
struttura relazionale di tutto ciò che è, in base alla quale tutto ciò che è, è
un ‘nodo’ di relazioni in continua trasformazione ed evoluzione processuale. Il
concetto di Dialogo interculturale prevede come elementi: 1. la
'meditazione'[11] come ‘vuoto mentale’ e ‘consapevolezza’ - mindfulness - del
senso critico del pensiero radicato nel presente; 2. l'apertura - conseguente
alla compresenza degli elementi precedenti – dell’orizzonte di una riflessione
generale sui problemi cruciali dell’esistenza, orizzonte tipico della filosofia
interculturale[1]. Pasqualotto precisa chiaramente la specifica forma di
rapporto comparativo che viene attivato nell'orizzonte della filosofia
interculturale, rapporto detto 'a tre variabili interdipendenti':
[12] Fra i temi
affrontati più di frequente dalla riflessione di Pasqualotto, ricordiamo: 1. il
tema dell’identità[13], in base al quale essa non è alcunché di rigido e
identitario, ma poiché l’essente è nodo di relazioni, l’identità si dà come
intreccio di infinite relazioni, ovvero come compresa in una sua problematica
autonomia; 2. il tema del soggetto[14] che, in quanto costitutivamente
interessato da molteplici relazioni, nel suo ricercare il senso del realtà del
mondo, non è un osservatore disincarnato e disinteressato, o imparziale, ma è
compreso nel rilevamento di quel senso nella trasformazione di sé e della
realtà[15]; 3. il tema del corpo[16], in base al quale esso è la mente e,
insieme, la condizione prima della conoscibilità del mondo; in questo senso il
tragitto di Pasqualotto ha sicure relazioni al tema odierno della ‘cognizione
incorporata’ e della Filosofia del corpo; 4. il tema del concetto di
‘processo’, in base al quale la realtà è un insieme di processi: ciò che è, in
quanto 'nodo' potenzialmente infinito di relazioni, diviene processualmente,
concezione che deriva a Pasqualotto direttamente dalle filosofie orientali, in
particolare dal buddhismo; 5. il tema dell’illuminismo[17] in base al quale i
limiti della ragione possono venir posti soltanto dalla ragione stessa, come
era stato già perfettamente considerato dalla Dialettica dell'illuminismo di
Horkheimer e Adorno nel 1944; 6. il tema delle pratiche filosofiche[18] e della
pratica artigianale[19]; 7. il tema dei diritti umani[20] che non è solo un
tema accessorio rispetto al suo pensiero; su questo versante pare giocarsi una
partita più grande, che, ai temi della ‘libertà condizionata'[21], della natura
dell’individuo e del fenomeno della globalizzazione [22] unisce una profonda
preoccupazione per i destini dell’umanità. A tal proposito Pasqualotto pare
essere abbastanza pessimista, un pessimismo attivo non passivo. Egli dice,
infatti, nella premessa alla nuova edizione del Tao della filosofia, queste
precise parole: <È da osservare tuttavia che le tematiche della
filosofia comparata, della filosofia come comparazione e della filosofia
interculturale non hanno avuto e continuano a non avere risonanze significative
all’interno del dibattito filosofico nazionale e internazionale.
Le ragioni di questa scarsa ricaduta sono molteplici e di varia natura.
Forse vi sono alla base difficoltà intrinseche ai modi in cui tali tematiche
sono state formulate e proposte; ma è anche da dire, a tale proposito, che
finora non vi è stata alcuna proposta critica che abbia messo in luce tali
ipotetiche difficoltà. È da ritenere, allora, che le ragioni di questa
debolissima risonanza siano, almeno in parte ma in primo luogo, da far risalire
alle rigidità delle discipline accademiche che mal sopportano non solo le
contaminazioni interdisciplinari ed interculturali, ma anche i semplici ponti
che tentano di mettere in comunicazione diverse discipline, culture e civiltà.
In secondo luogo – ma, dovremmo dire, ad un secondo, più basso, livello – si
dovrebbero tener presenti le ragioni o, meglio, i ‘sentimenti’ che hanno a che
fare più da vicino con germi xenofobi mai estinti, con residui di
fondamentalismi religiosi e con rigurgiti di tipo razzista che infestano non
solo l’Italia e non solo l’Europa. Ci sembra, anzi, che le tendenze che
germinano da tali poltiglie psicologiche e ideologiche si stiano facendo sempre
più invadenti ed arroganti. Questa riedizione del Tao della filosofia può forse
costituire un frammento ancora utile a tenere aperta qualche piccola fessura di
luce in un orizzonte culturale che, nonostante le aperture imposte dalla
globalizzazione, si fa sempre più stretto e più cupo.>[23] Al fondo
delle intenzioni di Pasqualotto, c’è un atteggiamento ecologico e agnostico[24],
- fino addirittura a concepire la possibilità dell’essere ‘apolide’[2] -, e
consapevole - una consapevolezza nel senso di mindfulness - nei confronti della
natura della mente e della psicologia umane, al punto che, alla disillusione
per la possibilità di integrazione nella vita psicologica occidentale delle
pratiche meditative orientali, si unisce la preoccupazione e l’impegno sociale
e politico, forse considerando la marginalità dell’intellettuale nelle grandi
vicende della contemporaneità, ma insieme sempre anche con un’apertura di
orizzonte per una riflessione generale sui problemi cruciali
dell’esistenza[1]. Principali pubblicazioni Avanguardia e tecnologia.
Walter Benjamin, Max Bense e i problemi dell'estetica tecnologica, Roma,
Officina, 1971; Teoria come utopia. Studi sulla Scuola di Francoforte (Marcuse,
Adorno, Horkheimer), Verona, Bertani, 1974; Storia e critica dell'ideologia,
Padova, CLEUP, 1978; Oltre l'ideologia: «Il Federalista», Roma, Ist.
dell'Enciclopedia Italiana, 1979; Pensiero negativo e civiltà borghese, Napoli,
Guida, 1981; Saggi di critica, Padova, CLEUP, 1981; Saggi su Nietzsche, Milano,
Franco Angeli, 1985; Il Tao della filosofia. Corrispondenze tra pensieri
d'Oriente e d'Occidente, Parma, Pratiche, 1989; Estetica del vuoto. Arte e meditazione
nelle culture d'Oriente, Venezia, Marsilio, 1992; Illuminismo e illuminazione:
la ragione occidentale e gli insegnamenti del Buddha, Roma, Donzelli, 1997;
Yohaku: forme di ascesi nell'esperienza estetica orientale, Padova, Esedra,
2001; East & West. Identità e dialogo interculturale, Venezia, Marsilio,
2003; Il Buddhismo: i sentieri di una religione millenaria, Milano, Bruno
Mondadori, 2003; Figure di pensiero. Opere e simboli nelle culture d'Oriente,
Venezia, Marsilio, 2007; Oltre la filosofia, percorsi di saggezza tra oriente e
occidente, Vicenza, Colla, 2008; Dieci lezioni sul buddhismo, Venezia,
Marsilio, 2008; Per una filosofia interculturale (a cura di), Milano, Mimesis
Edizioni, 2008; Taccuino giapponese, Udine, Forum, 2009; Tra Occidente ed Oriente:
interviste sull'intercultura ed il pensiero orientale (a cura di Davide De
Pretto), Milano, Mimesis Edizioni, 2010; Filosofia e globalizzazione, Milano,
Mimesis Edizioni, 2011; Alfabeto filosofico, Venezia, Marsilio Edizioni, 2018.
Note G. Pasqualotto, Dall’estetica tecnologica all’estetica
interculturale, in Studi di estetica, anno XLII, IV serie, 2014, pp.
241-267. G. Pasqualotto, Filosofia come comparazione in Simplègadi.
Percorsi del pensiero tra Occidente e Oriente, a cura di G. Pasqualotto,
Padova, Esedra 2002, pp. 7-41. ^ Cfr. Maraldo, John C., Nishida Kitarō, The
Stanford Encyclopedia of Philosophy (Winter 2019 Edition), Edward N. Zalta
(ed.) ^ Cfr. Davis, Bret W., The Kyoto School, The Stanford Encyclopedia of
Philosophy (Summer 2019 Edition), Edward N. Zalta (ed.) ^ Nishida Kitaro, L’io
e il tu, a cura di Renato Andolfato, trad. it. Padova, Unipress, 1996 (or.
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spec. p. 15. ^ G. Pasqualotto, East & West, Venezia, Marsilio, 2003, Cap.
1, pp. 17-38. ^ G. Pasqualotto, East & West, Venezia, Marsilio, 2003, Cap.
2, pp. 39-61. ^ Interessante può essere, sotto questo aspetto, il confronto con
il pensiero di E. Morin, nel suo La testa ben fatta, trad. it. Milano, Cortina,
2000 (or. 1999), spec. Cap. 8: La riforma di pensiero, pp. 89-101, principio 7.
^ G. Pasqualotto, Alfabeto filosofico, Venezia, Marsilio, 2018, voce Corpo. ^
G. Pasqualotto, Illuminismo e illuminazione, Roma, Donzelli, 1997. ^ G.
Pasqualotto, Saggezze d'Oriente e d'Occidente (come forme di vita), in Id.,
Oltre la filosofia, Vicenza, Colla, 2008, pp. 7-45. ^ Interessante può essere,
sotto questo aspetto, il confronto con il pensiero di R. Sennet, nel suo L’uomo
artigiano, trad. it. Milano, Feltrinelli, 2014 (or. New Haven & London
2008). ^ G. Pasqualotto, Diritti umani e valori in Asia, Studia Patavina, LXIV,
2, 2017, pp. 293-308. ^ G. Pasqualotto, Alfabeto filosofico, Venezia, Marsilio,
2018, voce Libertà. ^ G. Pasqualotto, Filosofia e globalizzazione, Milano,
Mimesis, 2011. ^ G. Pasqualotto, Il tao della filosofia, Milano, Luni, 2015,
Premessa. ^ I termini 'ecologico' e 'agnostico' non sono propri dei testi del
prof. G. Pasqualotto, ma depositati nel suo insegnamento 'orale', nonché
derivabile da una semplice riflessione sulle finalità e conseguenze della sua
impostazione teorica Bibliografia P. Santangelo, recensione a Estetica del
vuoto. Arte e meditazione nelle culture d'Oriente by Giangiorgio Pasqualotto,
Revue Bibliographique de Sinologie, ns., Vol. 11/12 (1993-1994), p. 340. M.
Ghilardi, E. Magno (a cura di), Sentieri di mezzo tra Occidente e Oriente.
Scritti in onore dei sessant'anni di Giangiorgio Pasqualotto, Milano-Udine,
Mimesis, 2006. E. Fongaro, M. Ghilardi, Filosofia come Pratica. A partire da Il
Tao della Filosofia, in Simplegadi, a. 11 n. 27 (2006): Sentieri di mezzo tra
Occidente e Oriente, a cura di M. Ghilardi, E. Magno, Mimesis, pp. 119-131. A.
Crisma, Dao, ossia cammino. Note in margine al percorso di riflessione di
Giangiorgio Pasqualotto, in Simplegadi, a. 11 n. 27 (2006): Sentieri di mezzo
tra Occidente e Oriente, a cura di M. Ghilardi, E. Magno, Mimesis, pp. 15-31.
M. Bergonzi, Comparatismi e dialogo interculturale fra filosofia occidentale e
pensiero indiano, in Comparatismi e filosofia, a cura di M. Donzelli, Napoli,
Liguori, 2006, pp. 263-295. G. Marramao, Pensare Babele. L'universale, il
multiplo, la differenza, in Iride, 3/2007, dicembre, pp. 449-460. M. Pagano, Un
contributo ermeneutico per la filosofia interculturale, in Lo Sguardo: rivista
di filosofia, n. 20 (2016), pp. 187-198 M. Ghilardi, E. Magno (a cura di), La
filosofia e l'altrove: Festschrift per Giangiorgio Pasqualotto, Milano-Udine,
Mimesis, 2016. G. Raquel Bouso, In Search of an Aesthetics of Emptiness: Two
European Thinkers, in The Bloomsbury Research Handbook of Contemporary Japanese
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F. La Porta, recensione ad Alfabeto Filosofico, "Left" 24, 2019, p.
57. Collegamenti esterni Scheda, su emsf.rai.it. URL consultato il 5 marzo 2011
(archiviato dall'url originale l'11 ottobre 2006). Scheda biografica sul sito
di Aracne editrice Lettura del Daodejing, di G. Pasqualotto su www.youtube.com.
Lettura della Mandukya Upanishad, di G. Pasqualotto su www.youtube.com. Mimesis
Festival: Che cos’è la filosofia? di G. Pasqualotto su www.youtube.com.
Schopenhauer tra Oriente e Occidente, di G. Pasqualotto su www.youtube.com.
Pensiero buddhista e filosofie occidentali, di G. Pasqualotto su
www.youtube.com. Il pensiero di Panikkar e la questione dei diritti umani, di
G. Pasqualotto su www.youtube.com. La compassione intelligente nella tradizione
buddhista, di G. Pasqualotto su www.youtube.com. Nirvana e Samsara, di G.
Pasqualotto su www.youtube.com. Intervista su Covid-19 e Libertà, di G.
Pasqualotto su www.youtube.com. Anteprima di Illuminismo e Illuminazione, di G.
Pasqualotto su books.google.it. Anteprima di Per una filosofia interculturale,
a cura di G. Pasqualotto su books.google.it. Anteprima di Taccuino Giapponese,
di G. Pasqualotto su books.google.it. Anteprima di Alfabeto Filosofico, di G.
Pasqualotto su books.google.it. Anteprima di Dieci Lezioni sul Buddhismo, di G.
Pasqualotto su books.google.it. Materiali su Interculturalità e Oriente di G.
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Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del
XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloAccademici italiani del XX
secoloAccademici italiani del XXI secoloNati nel 1946Nati il 24 giugnoNati a
VicenzaStudenti dell'Università degli Studi di PadovaProfessori dell'Università
degli Studi di Padova[altre]
Pastore Annibale Pastore Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
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Pastore Annibale Pastore (Orbassano, 13 novembre 1868 – Torino, 27 febbraio
1956) è stato un filosofo e accademico italiano, filosofo della scienza e
logico sperimentale. Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Bibliografia
4 Altri
progetti 5 Collegamenti
esterni Biografia Laureato in Lettere all'Università di Torino nel 1892 con
Arturo Graf e in Filosofia nel 1903 con Pasquale D'Ercole, dal 1904 fu
insegnante di Liceo e ottenne la cattedra di Filosofia teoretica
dell'Università di Torino dove insegnò dal 1914 al 1939. In quest'ultimo anno
fondò e diresse il laboratorio di logica sperimentale di Torino. Fu
collaboratore della Rivista di filosofia.
I suoi manoscritti sono conservati nell'Accademia toscana di scienze e
lettere La Colombaria di Firenze. La
salma del filosofo riposa nel Cimitero di Bruino. Opere Logica formale dedotta dalla
considerazione dei modelli meccanici, 1906 Del nuovo spirito della scienza e
della filosofia, 1907 Sillogismo e proporzione, 1910 Dell'essere e del conoscere,
1911 Il pensiero puro, 1913 Il problema della causalità, con particolare
riguardo alla teoria del metodo sperimentale, 1921 Il solipsismo, 1923 La
logica del potenziamento, 1936 Logica sperimentale, 1939 L'acrisia di Kant,
1940 La filosofia di Lenin, 1946 La volontà dell'assurdo. Storia e crisi
dell'esistenzialismo, 1948 Logicalia, 1957 Dioniso, 1957 Introduzione alla
metafisica della poesia, 1957 Bibliografia F. Bazzani (a cura di), Le carte di
Annibale Pastore. Fondo dell'Accademia La Colombaria, Firenze, Leo S. Olschki,
1991. ISBN 88-222-3870-2. M. Castellana, Razionalismi senza dogmi. Per una
epistemologia della fisica-matematica, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino
Editore, 2004, Cap. II. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource
contiene una pagina dedicata a Annibale Pastore Collegamenti esterni R. Laz.,
«Pastore, Annibale» in Enciclopedia Italiana - II Appendice, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1949. AA. VV., «Pastore, Valentino Annibale» in
Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Filippo
Selvaggi, Un filosofo triste: Annibale Pastore in Scienza e metodologia. Saggi
di epistemologia, Capitolo VI, Roma, Università Gregoriana, 1962. Testo su
Google Libri. Controllo di autorità VIAF
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Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX
secoloAccademici italiani del XX secoloNati nel 1868Morti nel 1956Nati il 13
novembreMorti il 27 febbraioNati a OrbassanoMorti a TorinoProfessori
dell'Università degli Studi di Torino[altre]
paternalism, interference with the liberty
or autonomy of another person, with justifications referring to the promotion
of the person’s good or the prevention of harm to the person. More precisely, A
acts paternalistically toward B iff A is B’s father or P acts with the intent
of averting some harm or promoting some benefit for Q; and P acts contrary to
or is indifferent to the current preferences, desires or values of his ‘son;’
and P’s act is a limitation on his ‘son’ autonomy or liberty. The presence of
both autonomy and liberty in the lasst clause is to allow for the fact that lying
to someone is not clearly an interference with liberty. Notice that one can act
‘paternalistically’ by telling people the truth as when a doctor insists that a
patient know the exact nature of her illness, contrary to her wishes. Note also
that the definition does not settle any questions about the legitimacy or
illegitimacy of paternalistic interventions. Typical examples of paternalistic
actions are laws requiring motorcyclists to wear helmets; court orders allowing
physicians to transfuse Jehovah’s Witnesses against their wishes; deception of
a patient by physicians to avoid upsetting the patient; civil commitment of
persons judged dangerous to themselves; and laws forbidding swimming while
lifeguards are not on duty. Soft weak paternalism is the view that paternalism
is justified only when a ‘father’ is acting non-voluntarily or one needs time
to determine whether his ‘son’ is acting voluntarily or not. Hard strong
paternalism is the view that paternalism is sometimes justified even when the
person being interfered with is acting voluntarily. The analysis of the term is
relative to some set of problems. If one were interested in the organizational
behavior of large corporations, one might adopt a different definition than if
one were concerned with limits on the state’s right to exercise coercion. The
typical normative problems about paternalistic action are whether, and to what
extent, the welfare of individuals may outweigh the need to respect their
desire to lead their own lives and make their own decisions even when mistaken.
Mill is the best example of a virtually absolute ANTI-paternalism, at least
with respect to the right of the state to act paternalistically. Mill (whose
father was a devil) argues that unless we have reason to believe that my ‘son’
is not acting voluntarily, as in the case of a man walking across a bridge
that, unknown to him, is about to collapse, we ought to allow an adult son the
freedom to act even if his act is harmful to himself.
Patrizi. Grice: “I would
consider himself Italian, but Croatians don’t – so I shouldn’t!” -- patrizi: Grice,
“His surname is Patrizi, his first name is Francesco – he was born on an
island, but taught at Rome -- important Italian philosopher, “even if he
disliked Aristotle.” “He shouldn’t count as Italian since he is of Croatian
descent, but he lived in what was then part of the republic of Venice, so
that’s something.” – Grice . Francesco Patrizi[1] (in latino:
Franciscus Patricius, in croato: Franjo Petriš/Frane Petrić; Cherso, Croazia,
25 aprile 1529 – Roma, 6 febbraio 1597) è stato un filosofo e scrittore
italiano, di orientamento neoplatonico. Non sono molte le notizie sulla sua
vita; gli spunti tratti dalla sua opera furono noti ai suoi successori solo
attraverso altri pensatori. Della sua opera si inizia a discutere solo verso
l'Ottocento. Nel 1538 era già imbarcato su una nave al comando dello zio
Giovanni Giorgio Patrizi; dopo aver studiato a Cherso con Petruccio da Bologna,
nel 1544 fu a Venezia, dove studiò grammatica con Andrea Fiorentino, passando
poi a Ingolstadt, sotto la protezione del cugino, il luterano Mattia Flacio
Illirico. Nel 1547 era a Padova per studiare filosofia con Bernardino
Tomitano, Marco Antonio Passeri, detto "Il Genua", Lazzaro Bonamico e
Francesco Robortello; qui fu presidente della Congrega degli Studenti Dalmati e
pubblicò i suoi primi scritti. In una tarda lettera, indirizzata il 12
gennaio 1587 all'amico Baccio Valori, scrisse che a Padova aveva «trovato un
Xenofonte greco e latino, senza niuna guida o aiuto, si mise nella lingua
greca, di che havea certi pochi principi in Inghilstat, e fece tanto profitto
che a principio di novembre e di studio ardì di studiare e il testo di
Aristotile e i commentatori sopra la Loica greci. Andò ad udir il Tomitano,
famoso loico, ma non gli pose mai piacere, senza saper dire perché, onde studiò
loica da sé. L'anno seguente entrò alla filosofia di un certo Alberto e del
Genoa e né anco questi gli poterono piacere, onde studiò da sé. In fin di
studio udì il Monte medico, e gli piacque per il metodo di trattar le cose, e
così Bassiano Lando, di cui fu scolare mentre stette in istudio. E fra tanto,
sentendo un frate di S. Francesco sostentar conclusioni platoniche, se ne
innamorò, e fatto poi seco amicizia dimandogli che lo inviasse per la via di
Platone. Gli propose come per via ottima la Teologia del Ficino, a che si diede
con grande avidità: E tale fu il principio di quello che poi sempre ha
seguitato». A Venezia nel 1553 pubblicò la Città felice, il Dialogo
dell'Honore, il Discorso sulla diversità dei furori poetici e le Lettere sopra
un sonetto di Petrarca. Alla morte del padre nel 1554 tornò a Cherso per occuparsi
dell'eredità e vi rimase per quattro anni. Tornato in Italia,
intenzionato ad entrare nella corte del duca di Ferrara Ercole II d'Este, gli
presentò il suo poema, Eridano, scritto negli innovativi versi martelliani
tredecasillabi, senza tuttavia ottenere il successo sperato. Passato allora a
Venezia, sotto il patronato di Giorgio Contarini, fondò con il poeta Bernardo
Tasso, il padre di Torquato, l'Accademia della Fama e scrisse i dieci Dialoghi
della Historia nel 1560 e nel 1562 i dieci Dialoghi della Retorica.
Mandato a Cipro per curare gli interessi del Contarini, si diede al commercio e
all'acquisto di manoscritti greci e si trovò a dover anche partecipare alla
guerra turco-veneziana, imbarcato nella flotta comandata da Andrea Doria.
Passato al servizio dell'arcivescovo di Cipro Filippo Mocenigo, nel 1568
ritornò in Italia, e si stabilì a Padova, precettore di Zaccaria, nipote del
Mocenigo e scrivendo le Discussioni peripatetiche il cui primo volume fu
pubblicato nel 1571 e interamente nel 1581 a Basilea, dedicate a Zaccaria
Mocenigo. Conquistata Cipro dai turchi, perdette il patrimonio investito
nell'isola; vendette allora i manoscritti greci a Filippo II di Spagna e si
trovò a dovere chiedere aiuto ad amici ai quali dedicò la sua Amorosa filosofia.
Dal 1577 al 1592 insegnò filosofia nell'università di Ferrara, e fu membro
dell'Accademia della Crusca nel 1587, continuando a pubblicare scritti
filosofici, letterari, di strategia militare, di ottica, d'idraulica, di
botanica; nel 1581 pubblicò le Discussioni peripatetiche, nel 1585 il Parere in
difesa di Ludovico Ariosto, nel 1586 il Della Poetica, ove sostenne la
superiorità della lingua volgare sul latino, nel 1587 la Nuova geometria
dedicata a Carlo Emanuele I di Savoia, la Philosophia de rerum natura e nel
1591 la Nova de universis philosophia, che fu temporaneamente messa all'Indice
dal Sant'Uffizio, per essere poi rimossa in seguito alle correzioni fatte dello
stesso Patrizi. Nel 1592 l'amico papa Clemente VIII lo nominò professore
presso lo Studium Urbis. A Roma pubblicò nel 1594 la sua ultima opera, i
Paralleli militari. Fu anche membro della confraternita di San Girolamo di
Roma, cui potevano accedere "illirici, dalmati e schiavoni". È
sepolto nella chiesa romana di Sant’Onofrio al Gianicolo, nella stessa tomba di
Torquato Tasso. Le Discussiones peripateticae libri XV esaminano la
tradizione aristotelica, confrontandola con quella presocratica e platonica;
immediata è la critica di Aristotele, a partire dalla sua vita: «né i suoi
costumi furono così santi, né così magnifiche le sue azioni né così varie le
sue azioni da ingenerare ammirazione» (I, 2). Lo rimprovera di aver utilizzato
scoperte di altri che tuttavia attaccò polemicamente, senza mostrare alcuna
riconoscenza. Il controverso monumento innalzato di recente a
Cherso, dove Francesco Patrizi è ribattezzato Frane Petric. Nel merito, critica
l'aristotelismo per aver teorizzato che le cose derivino dalle altre attraverso
il principio dei contrari; per il Patrizi, ogni cose si origina da una simile,
non già da una contraria; gli appare più adeguata la filosofia naturalistica
presocratica, a differenza dei principi aristotelici che «non hanno nessuna
forza, nessun vigore, nessuna capacità di generare e non arrecano alcun
contributo alla generazione di nessuna cosa. A che serve infatti la freddezza
al legno per riscaldare o bruciare col fuoco? Che cosa la privazione della
forma serve per produrre forma?» (IV, 1). Nell'opera, il Patrizi fa
sfoggio di molta erudizione con uno stile che si compiace di non poca retorica,
così dispiacendo al Bruno che la definì "sterco di pedanti". Ma
apprezzerà invece la successiva Nova de Universis philosophia, del 1591, il cui
titolo completo è Nova de Universis philosophia, libris quinquaginta comprehensa:
in qua Aristotelico methodo non per motum, sed per lucem et lumina ad primam
causam ascenditur. Deinde nova quidam et peculiari methodo tota in
contemplationem venit divinitas. Postremo methodo platonico rerum universitas a
conditore Deo deducitur. Fu pubblicata con l'aggiunta degli oracoli di
Zoroastro, Ermete Trismegisto, Asclepio, e della Theologia Aristotelis,
pubblicata in un'edizione romana nel 1519. È divisa in quattro parti, la
"Panaugia" o della luce, la "Panarchia" o del principio
delle cose, la "Pampsichya" o dell'animae la "Pancosmia" o
del mondo. Nella prima espone la teoria della luce che, proveniente da Dio,
«semplicissima tra le cose, non è duplice, sicché in essa vi è forma e materia.
Unica, è a se stessa materia e forma» e si diffonde, con il calore e la materia
fluida – il primaevus fluor - per lo spazio che, come essa, è infinito;
infatti, se la luce è infinita, anche lo spazio deve essere infinito e così il
mondo: «se lo spazio contiene tutto e così pure il mondo, mondo e spazio
saranno lo stesso per capacità e determinazione locale. Dunque lo spazio è
infinito sicché anche il mondo sarà infinito». Continua la sua polemica
antiaristotelica, sostenendo che la dottrina cristiana si può ricavare dagli
stessi dialoghi platonici e la teologia cristiana è già presente in Plotino.
Già i primi Padri della Chiesa «vedendo che con pochi mutamenti i platonici
potevano divenire facilmente cristiani, anteposero Platone e i platonici a ogni
altro e nominarono Aristotele solo con infamia. Ma quasi quattrocento anni fa i
teologi scolastici si sono comportati in modo opposto fondando la fede
sull'empietà aristotelica. Li scusiamo, perché non poterono conoscere i
platonici, non conoscendo il greco, ma non li scusiamo per aver cercato di
fondare la fede sull'empietà»[2]. Opere: Al molto magico et magnanimo m.
Giacomo Ragazzoni. In Giacomo Ragazzoni, Della Mercatura, Venetia, 1573. In
Chronica Magni Arueoli Cassiodori senatoris atque Patricii prefatio. Sta in
Speisshaimer, Iohan. Ioannis Cuspiani...de Consulibus. Basel 1553. L'Eridano.
In nuovo verso heroico...Con i sostentamenti del detto verso, Ferrara. Appresso
Francesco de Rossi da Valenza 1557 Le rime di messer Luca Contile...con
discussioni e argomenti di M. Francesco Patritio, Venezia. F. Sansovino, 1560
Della Historia dieci dialoghi, Venetia: Appresso Andrea Arrivabene, 1560 Della
retorica dieci dialoghi... nelli quali si favella dell'arte oratoria con
ragioni repugnanti all'opinione, che intorno a quella hebbero gli antichi
scrittori (Deset dijaloga o retorici) , Venetia: Appresso Francesco Senese,
1562 Le imprese illustri con espositioni, et discorsi del sor. Ieromimo
Ruscelli. Con la giunta di altre imprese: tutto riordinato et corretto da
Franco. Patritio, In Venetia: Appresso Comin da Trino di Monferrato, 1572 De
historia dialogi X. In Artis historicae penus. Octodecim scriptorum tam veterim
quam recentiorum monumentis, Basileae, Ex officinia Petri Paterna, 1579
Discussionum Peripateticarum tomi IV, quibus Aristotelicae philosophiae
universa Historia atque Dogmata cum Veterum Placitis collata, eleganter et
erudite declarantur, Basileae, 1581. Parere del s. Francesco Patrici, in difesa
di Lodovico Ariosto. All'Illustr. Sig. Giovanni Bardi di Vernio, Ferrara, 1583
La militia Romana di Polibio, di Tito Livio, e di Dionigi Alicarnasseo,
Ferrara, 1583. Della poetica di Francesco Patricii la Deca Istoriale, nella
quale con diletteuole antica nouità, oltre a poeti e lor poemi innumerabili,
che ui si contano, si fan palesi tutte le cose compagne e seguaci dell'antiche
poesie. In Ferrara: per Vittorio Baldini, 1586. (on-line) Della nvova geometria
di Franc. Patrici libri XV. Ne' quali con mirabile ordine, e con dimostrazioni
à marauiglia più facili, e più forti delle usate si vede che la matematiche per
uia regia, e più piana che da gli antichi fatto non si è, si possono
trattare..., Ferrara, Vittorio Baldini, 1587.[3] Difesa di Francesco Patrizi;
dalle cento accuse dategli dal signor Iacopo Mazzoni, in Discorso intorno alla
Risposta del sig. F. Patrizio, Ferrara, 1587. Risposta di Francesco Patrizi; a
due opposizioni fattegli dal sign. Giacopo Mazzoni in Della difesa della
Comedia di Dante, Ferrara, Vitt. Baldini, 1587. De rerum natura libri II
priores. Aliter de spacio physico, aliter de spacio mathematico, Victorius Baldinus,
Ferrara, 1587. Zoroaster et eius CCCXX oracula Chaldaica, eius opera e tenebris
eruta et Latine reddita. Ferrara. Ex Typographia Benedicti Mammarelli, 1591.
Nova de universis philosophia. (Ad calcem adiecta sunt Zoroastri oracula CCCXX
ex Platonicis collecta, ecc.) , Ex Typographia Benedicti Mammarelli, Ferrara,
1591; Venezia, 1593. Magia philosophica, hoc est Francisci Patricij summi
philosophi Zoroaster et eius 320 oracula Chaldaica. Asclepii dialogus, et
philosophia magna: Hermetis Trismegisti. Iam lat. reddita, Hamburg, 1593.
Paralleli millitari, Roma, 1594. Apologia ad censuram. La Città felice,
Venezia, Griffio, 1553, in Utopisti e Riformatori sociali del cinquecento,
Bologna, 1941. L'amorosa filosofia, Firenze, 1963. Della poetica. Edizione critica
a cura di D. A. Barbali, Bologna, 1971. Della retorica. Dieci dialoghi, a cura
di A. L. Puliafito, 1994. ISBN 8885979041 De spacio physico et mathematico,
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Patrizi's Nova de Universis Philosophia, New York, 1941 T. Gregory, L'Apologia
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onore di Bruno Nardi, Firenze, 1955 Onoranze a Francesco Patrizi da Cherso,
Mostra bibliografica, Trieste, 1957 La negazione delle sfere dell'astrobiologia
di Francesco Patrizi, in P. Rossi, Immagini della scienza, Roma, 1977 "Tra
misticismo neoplatonico e 'filosofia dei fiumi'. Il tema delle acque in
Francesco Patrizi", in G. Piaia, "Sapienza e follia. Per una storia
intellettuale del Rinascimento europeo", Pisa, 2015 Note ^ Varianti:
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universis philosophia, Ferrariæ, 1591: sect. I, fol. IIv (Ad Gregorium XIIII).
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URL consultato il 29 giugno 2015. Bibliografia Mario Frezza, Patrizi (o
Patrizio), Francesco, in Dizionario Letterario Bompiani. Autori, III, p. 104,
Milano, Bompiani, 1957. Voci correlate Storia della fantascienza italiana Altri
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Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Francesco
Patrizi, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su
Wikidata Francesco Patrizi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Francesco Patrizi, su
accademicidellacrusca.org, Accademia della Crusca. Modifica su Wikidata Opere
di Francesco Patrizi / Francesco Patrizi (altra versione), su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Francesco Patrizi,
su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Bibliografia italiana
di Francesco Patrizi, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica,
Fantascienza.com. Modifica su Wikidata (EN) Fred Purnell, Francesco Patrizi, in
Edward N. Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for
the Study of Language and Information (CSLI), Università di Stanford. Francesco
Patrizi, su Filosofico.net. Biografia Controllo di autorità VIAF (EN) 49269849
· ISNI (EN) 0000 0001 0898 6618 · SBN IT\ICCU\CUBV\040938 · LCCN (EN) n79148979
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Identities (EN) lccn-n79148979 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale
Filosofia Letteratura Portale Letteratura Categorie: Filosofi italiani del XVI
secoloScrittori italiani del XVI secoloNati nel 1529Morti nel 1597Nati il 25
aprileMorti il 6 febbraioNati a Cherso (città)Morti a RomaFilosofi
cattoliciFilosofi croatiNeoplatoniciScrittori di fantascienza italiani[alter. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e Patrizio," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Patrologia series latina -- patristic
authors – Includes Aelwhinec, Grice’s favourite speculative grammarian. Migne’s
Patrologia – Series Latina -- patrologia latina -- also called church fathers –
“the implicature is that one can have more than one father, I suppose.” –
Grice. a group of philosophers originally so named because they were considered
the “patres” of the Church of England to which Grice belongs.. The term
“patries ecclesiae” is now used more broadly to designate philosophers,
orthodox or heterodox, who were active in the first six centuries or so of the
Christian era. The chronological division is quite flexible, and it is
regularly moved several centuries later for particular purposes. Moreover, the
study of these philosophers has traditionally been divided variously, of which
the principal ones are of course, Grecian and Roman. The often sharp divisions
among patristic scholarships are partly a reflection of the different histories
of the regional churches, partly a reflection of the sociology of cholarship.
The patristic period in Grecian is usually taken as extending from the writers
after the so-called “New” Testament (such as “Paul,” after whom Grice was named
– he was named “Herbert” after a Viking ancestor), to such figures as Maximus
the Confessor or John of Damascus. The period is traditionally divided around
the Council of Nicea. PreNicean Grecian authors of importance to the history of
philosophy include Irenaeus, Clement of Alexandria, and Origen. Important
Nicean and post-Nicean authors include Athanasius; the Cappadocians, i.e.,
Gregory of Nazianzum, Basil of Cesarea
and his brother, Gregory of Nyssa, and John Chrysostom. Philosophical
topics and practices are constantly engaged by these Grecian authors. Justin
Martyr e.g., describes his conversion to Christianity quite explicitly as a
transit through lower forms of philosophy into the true philosophy. Clement of
Alexandria, again, uses the philosophic genre of the protreptic and a host of
ancient texts to persuade his pagan readers that they ought to come to
Christianity as to the true wisdom. Origen devotes his Against Celsus to the
detailed rebuttal of one pagan philosopher’s attack on Christianity. More
importantly, if more subtly, the major works of the Cappadocians appropriate
and transform the teachings of any number of philosophic authors Plato and the Neoplatonists in first place,
but also Aristotle, the Stoics, and Galen. The Roman church came to count four
post-Nicean authors as its chief teachers in the “Patrologia latina”: Ambrose
Jerome, and Gregory the Great. Other
Roman authors of philosophical interest include Tertulliano, Lactanzio, Mario Vittorino, and Hilary of
Poitiers. The Roman patristic period is typically counted roughly from
Tertulliano (of “Credo quia assudrdo” infame) to Boezio, the translator of
Porfirio’s Isagoge.. The Roman ‘fathers’ share with their Grecian
contemporaries a range of relations to the pagan philosophic schools, both as
rival institutions and as sources of useful teaching. Tertullian’s Against the
Nations and Apology, e.. g., take up pagan accusations against Christianity and
then counterattack a number of pagan beliefs, including philosophical ones. By
contrast, the writings of Mario Vittorino, Ambrose, and Augustine enact
transformations of philosophic teachings, especially from the Neoplatonists.
Because philosophical erudition is generally less hellenistic among the Romans
as among the hellenes, they are, fortunately to us, both more eager to accept
philosophical doctrines and freer in improvising variations on them.
peano: important Italian
philosopher. Peano’s postulates, also called Peano axioms, a list of
assumptions from which the integers can be defined from some initial integer,
equality, and successorship, and usually seen as defining progressions. The
Peano postulates for arithmetic were produced by G. Peano in 9. He took the set
N of integers with a first term 1 and an equality relation between them, and
assumed these nine axioms: 1 belongs to N; N has more than one member; equality
is reflexive, symmetric, and associative, and closed over N; the successor of
any integer in N also belongs to N, and is unique; and a principle of
mathematical induction applying across the members of N, in that if 1 belongs
to some subset M of N and so does the successor of any of its members, then in
fact M % N. In some ways Peano’s formulation was not clear. He had no explicit
rules of inference, nor any guarantee of the legitimacy of inductive
definitions which Dedekind established shortly before him. Further, the four
properties attached to equality were seen to belong to the underlying “logic”
rather than to arithmetic itself; they are now detached. It was realized by
Peano himself that the postulates specified progressions rather than integers
e.g., 1, ½, ¼, 1 /8, . . . , would satisfy them, with suitable interpretations
of the properties. But his work was significant in the axiomatization of
arithmetic; still deeper foundations would lead with Russell and others to a
major role for general set theory in the foundations of mathematics. In
addition, with O. Veblen, T. Skolem, and others, this insight led in the early
twentieth century to “non-standard” models of the postulates being developed in
set theory and mathematical analysis; one could go beyond the ‘. . .’ in the
sequence above and admit “further” objects, to produce valuable alternative
models of the postulates. These procedures were of great significance also to
model theory, in highlighting the property of the non-categoricity of an axiom
system. A notable case was the “non-standard analysis” of A. Robinson, where
infinitesimals were defined as arithmetical inverses of transfinite numbers
without incurring the usual perils of rigor associated with them. Giuseppe Peano
(Spinetta di Cuneo, 27 agosto 1858 – Cavoretto, 20 aprile 1932) è stato un
matematico, logico e glottoteta italiano. Fu l'ideatore del latino sine
flexione, una lingua ausiliaria internazionale derivata dalla semplificazione
del latino classico. Giuseppe Peano nacque il 27 agosto 1858 in una modesta
fattoria chiamata "Tetto Galant" presso la frazione di Spinetta di
Cuneo. Fu il secondogenito di Bartolomeo Peano e Rosa Cavallo; sette anni prima
era nato il fratello maggiore Michele e successivamente nacquero Francesco,
Bartolomeo e la sorella Rosa. Dopo un inizio estremamente difficile (doveva
ogni mattina fare svariati chilometri prima di raggiungere la scuola), la
famiglia si trasferì a Cuneo. Il fratello della madre, Giuseppe Michele
Cavallo, accortosi delle sue notevoli capacità intellettive, lo invitò a
raggiungerlo a Torino, dove continuò i suoi studi presso il Liceo classico
Cavour. Assistente di Angelo Genocchi all'Università di Torino, divenne
professore di calcolo infinitesimale presso lo stesso ateneo a partire dal
1890.[1] Vittima della sua stessa eccentricità, che lo portava ad
insegnare logica in un corso di calcolo infinitesimale, fu più volte
allontanato dall'insegnamento a dispetto della sua fama internazionale, perché
"più di una volta, perduto dietro ai suoi calcoli, [..] dimenticò di
presentarsi alle sessioni di esame"[2]. Ricordi del grande
matematico (e non solo della vita familiare) sono raccontati con grazia e
ammirazione nel romanzo biografico Una giovinezza inventata della pronipote
Lalla Romano, scrittrice e poetessa. Il 24 dicembre del 1885 aderì alla
massoneria, iniziato nella loggia Dante Alighieri di Torino guidata dal
socialista Giovanni Lerda.[3] Morì nella sua casa di campagna a
Cavoretto, presso Torino, per un attacco di cuore che lo colse nella
notte. Il matematico piemontese fu capostipite di una scuola di
matematici italiani, tra i quali possiamo annoverare Giovanni Vailati,
Filiberto Castellano, Cesare Burali-Forti, Alessandro Padoa, Giovanni Vacca,
Mario Pieri e Tommaso Boggio [4]. Peano precisò la definizione del limite
superiore e fornì il primo esempio di una curva che riempie una superficie (la
cosiddetta "curva di Peano", uno dei primi esempi di frattale),
mettendo così in evidenza come la definizione di curva allora vigente non fosse
conforme a quanto intuitivamente si intende per curva. Da questo lavoro
partì la revisione del concetto di curva, che fu ridefinito da Camille Jordan
(1838 – 1932) (curva secondo Jordan). Fu anche uno dei padri del calcolo
vettoriale insieme a Tullio Levi-Civita. Dimostrò importanti proprietà delle
equazioni differenziali ordinarie e ideò un metodo di integrazione per
successive approssimazioni. Sviluppò il Formulario mathematico, scritto
dapprima in francese e nelle ultime versioni in interlingua, come chiamava il
suo latino sine flexione, contenente oltre 4000 tra teoremi e formule, per la
maggior parte dimostrate. Come logico dette un eccezionale contributo
alla logica delle classi, elaborando un simbolismo di grande chiarezza e
semplicità. Diede una definizione assiomatica dei numeri naturali, i famosi
"assiomi di Peano" che vennero poi ripresi da Russell e Whitehead nei
loro Principia Mathematica per sviluppare la teoria dei tipi. I
contributi di Giuseppe Peano sulla logica furono osservati con molta attenzione
nel 1900 dal giovane Bertrand Russell, mentre i contributi di aritmetica e di
teoria dei numeri furono osservati con molta attenzione da Giovanni Vailati, il
quale sintetizzava in Italia il passaggio tra l'esame delle questioni
fondamentali e l'applicazione di metodiche di analisi del linguaggio
scientifico, tipica degli studi logici e matematici, e anche specificava gli
interessi di storia della scienza, allargando la prospettiva anche agli studi
sociali. Per questo Peano ebbe dei contatti molto stretti con il mondo degli
studiosi di logica e di filosofia del linguaggio nonché gli studiosi di scienze
sociali empiriche (Cfr. Guglielmo Rinzivillo, Giuseppe Peano, Giovanni Vailati.
Contributi invisibili in Guglielmo Rinzivillo, Una Epistemologia senza storia,
Roma Nuova Cultura, 2013, II, p. 165 e sg. - ISBN 978-88-6812-222-5).
Ebbe ampi riconoscimenti negli ambienti filosofici più aperti alle esigenze e
alle implicazioni critiche della nuova logica formale. Era affascinato
dall'ideale leibniziano della lingua universale e sviluppò il "latino sine
flexione", lingua con la quale cercò di tenere i suoi interventi ai
congressi internazionali di Londra e Toronto[4]. Tale lingua fu concepita
per semplificazione della grammatica ed eliminazione delle forme irregolari,
applicandola a un numero di vocaboli "minimo comune denominatore" tra
quelli principalmente di origine latina e greca rimasti in uso nelle lingue
moderne. Uno dei grandi meriti dell'opera di Peano sta nella ricerca della
chiarezza e della semplicità. Contributo fondamentale che gli si riconosce è la
definizione di notazioni matematiche entrate nell'uso corrente, come, per
esempio, il simbolo di appartenenza (es: x ∈ A) o il quantificatore esistenziale
"∃".
Tutta l'opera di Peano verte sulla ricerca della semplificazione, dello
sviluppo di una notazione sintetica, base del progetto del già citato
Formulario, fino alla definizione del Latino sine flexione. La ricerca del
rigore e della semplicità portarono Peano ad acquistare una macchina per la
stampa, allo scopo di comporre e verificare di persona i tipi per la Rivista di
Matematica (da lui diretta) e per le altre pubblicazioni. Peano raccolse una
serie di note per le tipografie relative alla stampa di testi di matematica,
uno per tutti il suo consiglio di stampare le formule su righe isolate, cosa
che ora viene data per scontata, ma che non lo era ai suoi tempi[5].
Onorificenze: 1905 - Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia 1917 -
Ufficiale della Corona 1921 - Commendatore della corona L'asteroide 9987 Peano
è stato battezzato così in suo onore. Il dipartimento di Matematica della
facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell'Università degli Studi
di Torino è a lui dedicato[6]. Molti licei scientifici in Italia portano
il suo nome, come ad esempio a Roma, Cuneo, Tortona, Monterotondo, Cinisello
Balsamo (fino al 2013)[7] o Marsico Nuovo, così come la scuola elementare di
Tetto Canale, vicina alla sua città natale. Opere Giuseppe Peano,
Aritmetica generale e algebra elementare, Torino, Paravia, 1902. URL consultato
il 30 giugno 2015. Aritmetica generale e algebra elementare (G.B. Paravia,
1902) Giuseppe Peano, Formulario mathematico, Torino, Fratelli Bocca, 1908. URL
consultato il 30 giugno 2015. Calcolo differenziale e principii di calcolo
integrale (Torino: Fratelli Bocca, 1883) Lezioni di analisi infinitesimale (G.
Candeletti, 1893) Applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale (Torino:
Fratelli Bocca, 1887) I principii di geometria logicamente esposti ... (Torino:
Fratelli Bocca, 1889) Giuseppe Peano, Arithmetices principia, nova methodo
exposita, Torino, Paravia, 1902. Giuseppe Peano. Giochi di aritmetica e
problemi interessanti. Paravia, Torino, 1925. Dissero di lui «Provai una grande
ammirazione per lui [Peano] quando lo incontrai per la prima volta al Congresso
di Filosofia del 1900, che fu dominato dall'esattezza della sua mente.»
(Bertrand Russell, 1932) Note ^ [1] ^ *Nicola D'Amico, Storia e storie della
scuola italiana. Dalle origini ai giorni nostri, Zanichelli, Bologna, 2009 (p.
43) ^ Celebrazioni di Giuseppe Peano nel 150° della nascita e nel 100° del
Formulario Mathematico a cura di Erika Luciano e Clara Silvia Roero Torino 2008
Dipartimento di Matematica dell’Università ISBN 8890087668 (.htm testo on
line). Hubert C. Kennedy, Peano - storia di un matematico. Boringhieri
1983 ^ Hubert C. Kennedy, Peano - storia di un matematico. Boringhieri 1983
pag. 200 ^ Dipartimento di Matematica "Giuseppe Peano": Home ^ Il
Giorno, Festa e lacrime: "Addio Peano" Il Liceo chiude i battenti, su
Il Giorno. URL consultato il 27 agosto 2019. Bibliografia Questo testo proviene
in parte dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera
del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze (home
page), pubblicata sotto licenza Creative Commons CC-BY-3.0 Kennedy Hubert C.,
Peano: storia di un matematico, Boringhieri, 1983. Segre Michael, “Peano's
Axioms in their Historical Context,” Archive for History of Exact Sciences 48
(1994): 201-342. Lalla Romano, Una giovinezza inventata, Torino, Einaudi, 1979.
Racconta episodi del rapporto con il prozio Giuseppe. Voci correlate Assiomi di
Peano Glottoteta Lingua artificiale Matematica Latino sine flexione Ugo Cassina
Calcolatori ternari Maria Gramegna Altri progetti Collabora a Wikisource
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Collegamenti esterni Giuseppe Peano, su Treccani.it – Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Giuseppe Peano, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su
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Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Giuseppe Peano, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN)
Giuseppe Peano, su MacTutor, University of St Andrews, Scotland. Modifica su
Wikidata (EN) Giuseppe Peano, su Mathematics Genealogy Project, North Dakota
State University. Modifica su Wikidata Opere di Giuseppe Peano, su Liber Liber.
Modifica su Wikidata Opere di Giuseppe Peano, su openMLOL, Horizons Unlimited
srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Giuseppe Peano, su Open Library,
Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Giuseppe Peano, su
Progetto Gutenberg. Modifica su Wikidata E Giuseppe Peano stregò Bertrand
Russell articolo di Piergiorgio Odifreddi, SWIF - Sito Web Italiano per la
Filosofia. Presentazione e Documentazione del Comune di Cuneo Controllo di
autorità. VIAF (EN) 73925733 · ISNI (EN) 0000 0001 0858 5937 · SBN
IT\ICCU\CFIV\002335 · LCCN (EN) n80009883 · GND (DE) 11873976X · BNF (FR)
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Categorie: Matematici italiani del XIX secoloMatematici italiani del XX
secoloLogici italianiGlottoteti italianiNati nel 1858Morti nel 1932Nati il 27
agostoMorti il 20 aprileMorti a CavorettoNati in ItaliaAccademici dei
LinceiMembri dell'Accademia delle Scienze di TorinoProfessori dell'Università
degli Studi di Torino[altre]. Refs.: H. P. Grice, “Definite descriptions in Peano
and in the vernacular,” Luigi Speranza,
"Grice e Peano: semantica filosofica," per il Club Anglo-Italiano,
The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
pearsianism – after D. F. Pears, one of Grice’s collaborators in the
Play Group. “In them days, we would never publish, since the only philosophers
we were interested in communicating with we saw at least every Saturday!” –
With D. F. Pears, and J. F. Thomson, H. P. Grice explored topics in the
philosophy of action and ‘philosophical psychology.’ Actually, Grice carefully
writes ‘philosophy of action.’ Why? Well, because while with Pears and Thomson
he explored toopics like ‘intending’ and ‘deciding,’ it was always with a vew
towards ‘acting,’ or ‘doing.’ Grice is
very clear on this, “even fastidiously so,” as Blackburn puts it. In the
utterance of an imperative, or an intention, which may well be other-directed,
the immediate response or effect in your co-conversationalist is a
‘recognition,’ i. e. what Grice calls an ‘uptake,’ some sort of
‘understanding.’ In the case of these ‘desiderative’ moves, the recognition is
that the communicator WILLS something. Grice uses a ‘that’-clause attached to
‘will,’ so that he can formulate the proposition “p” – whose realization is in
question. Now, this ‘will’ on the part of the ‘communicator’ needs to be
‘transmitted.’ So the communicator’s will includes his will that his emissee
will adopt this will. “And eventually act upon it!” So, you see, while it looks
as if Pears and Thomson and Grice are into ‘philosophical psychology,’ they are
into ‘praxis.’ Not alla Althuser, but almost! Pears explored the idea of the
conversational implicaturum in connection, obviously, with action. There is a
particular type of conditional that relates to action. Grice’s example, “If I
COULD do it, I would climb Mt. Everest on hands and knees.” Grice and Pears, and indeed Thomson, analysed
this ‘if.’ Pears thinks that ‘if’ conversationally implicates ‘if and only if.’
Grice called that “Perfecct pears.”
pelagianism: or as Grice
preferred, Pelagusianism --. the doctrine in Christian theology that, through
the exercise of free will, human beings can attain moral perfection. A broad
movement devoted to this proposition was only loosely associated with its
eponymous leader. Pelagius c.354c.425, a lay theologian from Britain or
Ireland, taught in Rome prior to its sacking in 410. He and his disciple
Celestius found a forceful adversary in Augustine, whom they provoked to
stiffen his stance on original sin, the bondage of the will, and humanity’s
total reliance upon God’s grace and predestination for salvation. To Pelagius,
this constituted fatalism and encouraged moral apathy. God would not demand
perfection, as the Bible sometimes suggested, were that impossible to attain.
Rather grace made the struggle easier for a sanctity that would not be
unreachable even in its absence. Though in the habit of sinning, in consequence
of the fall, we have not forfeited the capacity to overcome that habit nor been
released from the imperative to do so. For all its moral earnestness this
teaching seems to be in conflict with much of the New Testament, especially as
interpreted by Augustine, and it was condemned as heresy in 418. The bondage of
the will has often been reaffirmed, perhaps most notably by Luther in dispute
with Erasmus. Yet Christian theology and practice have always had their
sympathizers with Pelagianism and with its reluctance to attest the loss of
free will, the inevitability of sin, and the utter necessity of God’s grace.
Pecoraro
Rossano Pecoraro Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
navigationJump to search Rossano Pecoraro (Salerno, 5 luglio 1971) è un
filosofo e storico della filosofia italiano. Dal 2000 vive e lavora a Rio de
Janeiro (Brasile), dove ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Filosofia nel
2007. È docente di ruolo del Dipartimento di Filosofia dell´Universidade
Federal do Estado do Rio di Janeiro (UNIRIO). Indice 1 Biografia
2 Il
percorso intellettuale 3 Il
pensiero filosofico 3.1 La
Filosofia negativa e l'agire dell'Io tragico-nichilista 3.2 Filosofia del
presente, critica della servitù volontaria in democrazia e lotta per la
trasformazione della sinistra 4 Opere
5 Note
Biografia Dopo studi giuridici presso la Facoltà di Scienze Politiche, Pecoraro
si laurea in Filosofia presso l´Università di Salerno con una tesi sul pensiero
del filosofo franco-romeno Emil Cioran. Dall´inizio degli anni novanta
collabora con il Corriere della Sera, Il Messaggero, Il Giornale di Napoli come
cronista di nera e di giudiziaria. In questi anni si avvicina ad alcuni artisti
contemporanei che gravitano intorno all´Accademia di belle arti di Brera
organizzando due Mostre a Ravello e dedicandosi al coordinamento editoriale dei
rispettivi cataloghi[1][2]. Tra i partecipanti: Domenico Paladino, Vettor
Pisani (artista), Omar Galliani, Jan Knap, Giordano Montorsi, Iler Melioli,
Xante Battaglia. Un'esperienza che sarà importante in seguito, quando i tratti
metafisici e di rivolta dell´opera d´arte contemporanea verranno riscoperti in
chiave nichilista. Nel 2000 lascia l´Italia e, dopo aver visitato alcuni
paesi europei, giunge a Rio de Janeiro a bordo di un mercantile. Dopo il
Master, conclude il Dottorato di Ricerca in Filosofia Contemporanea presso la
Pontificia Università Cattolica di Rio di Janeiro e il Post-Dottorato
(2010-2013) grazie ad una Borsa di Studio della CAPES/PNPD. Dal 2013 è docente
effettivo del Dipartimento di Filosofia della Universidade Federal do Estado do
Rio di Janeiro (UNIRIO), fondatore e direttore di "Quadranti" –
Rivista internazionale di filosofia contemporanea[3][4] e direttore del
Laboratorio di filosofia politica e morale, finanziato dal CNPq (il CNR
brasiliano, dedicato a Gerardo Marotta[5], fondatore e presidente dell´Istituto
italiano per gli studi filosofici di Napoli. Il percorso intellettuale
Nonostante la giovane età è possibile dividere il percorso di studi e di
pensiero di Pecoraro in due momenti distinti. Il primo, definito
"attivismo filosofico", comprende tutte le attività e le iniziative
tese a vivacizzare e svecchiare il dibattito critico e filosofico in Brasile
tra la fine degli anni novanta del secolo scorso e gli anni 10 di questo
secolo: la realizzazione di varie decine di convegni e festival filosofici in
diverse città del Paese; la fondazione di 4 riviste scientifiche (Analógos,
Alter, Forum Krisis, Quadranti); la divulgazione di temi e autori poco studiati
(Analitici e Continentali, Filosofia della tecnoscienza, Nichilismo, Filosofia
del suicidio, Metafisica e Teatro, Derrida[6], Vattimo[7], Nancy, Esposito,
Zizek, Agamben); l´impegno istituzionale e editoriale[8][9]; i contatti
personali o epistolari, e le sue ripercussioni nel dibattito carioca[10], con
alcuni dei più importanti pensatori della contemporaneità (da Vattimo a
Esposito, da Rorty a Bodei; da Givone a Volpi, da Mattei a Ferraris; da Honneth
a Larmore), ecc. Il secondo, si snoda su due assi portanti: la
transizione italo-carioca, che gira intorno a temi como nichilismo[11],
suicidio e filosofia negativa e il pensiero più maturo degli ultimi anni, che
si muove intorno a problemi di filosofia politica e morale. Il pensiero
filosofico La Filosofia negativa e l'agire dell'Io tragico-nichilista La prima
fase del suo pensiero[12] è dedicata all´elaborazione di una filosofia
disperata e negativa, assolutamente slegata da prospettive etico-politiche[13]
(che però diventeranno centrali nella seconda fase della sua riflessione). Si
tratta di una filosofia fondata sul nichilismo di Nietzsche e su una tradizione
di autori maledetti della filosofia e della letteratura moderna, riletti a
partire dal prisma pessimista di Emil Cioran[14][15] e della sua filosofia del
voyeur "esteticamente salvifica"[16] di un datato phatos
esistenzialista, del “tutto è vano” risultato ultimo della sua analisi
filosofica del suicidio[17], della psicanalisi contemporanea e dei lacci concettuali
e storici tra nichilismo[18], nullae negazione. Il risultato è una teoria
anti-fondazionale, che poggia le sue radici in una soggettività pessimista e
malincolica, che nega qualsiasi teoria etica, sociale e politica estremizzando
così l´accusa nietzschiana-cioraniana[19] contro l´umanità e tutte le sue
costruzioni sociali, storiche e morali. In questo orizzonte di assenza di
senso[20], decadenza e corruzione metafisica, l´unica, eventuale, maniera di
ribellarsi e resistere si concretizza, paradossalmente, nell´appello alla
responsabilità e all´azione di un Io "tragico-nichilista".
Filosofia del presente, critica della servitù volontaria in democrazia e lotta
per la trasformazione della sinistra Negli anni 2006-2007 è possibile
intravedere un cambiamento teorico e personale[21]. Insoddisfatto, Pecoraro dà
inizio alla ricerca di un orizzonte di senso diverso e più profondo[22] che lo
porta, però, alla perdita quasi totale dei suoi precedenti fili conduttori.
Interessi, letture, pubblicazioni, ricerche si frammentano e perdono in
intensità e chiarezza. È soltanto con il ritorno a Rio di Janeiro, dopo alcuni
anni trascorsi nel Nord-Est brasiliano, la regione più povera e meno sviluppata
del Paese, il rinnovato dialogo/scontro con “lo stile carioca di vivere” sia universitario-filosofico
sia sociale e in virtù degli avvenimenti del giugno 2013[23][24](le proteste di
piazza contro il Governo), che il pensiero di Pecoraro si arricchisce di nuove
forme e di una prospettiva di ricerca[25] più latinoamericana. Decisive,
in questa fase, sono le questioni etico-politiche[26], la critica dell´umanismo
sociale contemporaneo e l´impegno filosofico. In primo luogo devono essere
segnalati, per l´importanza che rivestono, i due Seminari tenuti presso
l´Istituto per gli studi Filosofici di Napoli nel 2014 (dedicato
all´"Analitica del Biopotere"[27]) e nel 2015 (su "Nietzsche e
la Biopolitica"[28]). Nel primo, Pecoraro riformula il concetto di
Biopotere criticando la lettura di Michel Foucault usando come chiave
interpretativa il "Bios" di Roberto Esposito; nel secondo discute e
mette alla prova la sua lettura radicalmente “sistematica” dell´opera
nietzschiana fondata sull´unità di volontà di potenza, avvento dell´oltre-uomo
e ultrapassamento del nichilismo. Oltre a questi due temi, il rigetto delle
tesi relativiste/postmoderne[29]; lo studio delle relazioni tra massa e potere
nell´era digitale; l´affermazione di una visione essenzialista dell´essere
umano nell´epoca della tecnica[30]; la riscoperta della psicanalisi, del
movimento Modernista brasiliano e lo studio di autori come Leopoldo Zea, Slavoj
Žižek, Alain Badiou, Baruch Spinoza, Étienne de La Boétie – spingono Pecoraro
all´elaborazione di un percorso teorico che, fondandosi sulla necessità di
“pensare il presente” (e non il futuro) e di una “filosofia dell´attualità” e
sulla convinzione che le categorie filosofiche post-maggio ’68 sono obsolete e
dannose per spiegare e trasformare il nostro tempo[31], si concentra in due
diversi ambiti di ricerca in una complessa e non risolta tensione tra
aspirazioni teoretiche universalistiche e l´impegno filosofico nella realtà e
nella cultura brasiliana e latinoamericana[32]. Il primo – etico-morale –
si occupa delle condizioni di possibilità di nuove forme di soggettività
nell´epoca dei "diritti di tutte le cose del mondo" e dell´attuale
"reazione alla crisi di fondamenti" dichiarata dal pensiero del
secolo XX, delineando quindi le basi di una "filosofia del dovere" di
stampo postilluminista. Il secondo – politico-sociale– attraverso la
critica del politicamente corretto e della “retorica democratica”, la
decostruzione del concetto di democrazia attraverso la ripresa dell´idea di La
Boétie di servitù volontaria, la lotta contro il “fascismo sociale di sinistra”
(e della sinistra), tende a ripensare il concetto di Democrazia e le pratiche
"democratiche" nei sistemi di potere contemporanei e, più
specificamente, si dedica all´esame delle possibilità di una trasformazione
radicale del pensiero filosofico di sinistra (e della sinistra) e di una
concezione del “Politico” in senso non tecnicista e non
"sinistroide-reazionario". Opere La filosofia del voyeur,
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ed.1996. ^ Caterina Coluccio (a cura di), Xante Battaglia. Dall´Arcaico al
Frammento, Ravello, CED, 2. ed. 1996. ^ (PT) Quadranti - Rivista Internazionale
di Filosofia Contemporanea, su www.rivistaquadranti.eu. URL consultato il 15
dicembre 2016. ^ Tra i Membri del Comitato Scientifico della Rivista Quadranti,
fin dalla sua fondazione, ricordiamo Axel Honneth, Gianni Vattimo, Roberto
Esposito, Charles Larmore, Maurizio Ferraris, Remo Bodei, Michel Wieviorka,
Arnold Davidson, Ann Stoler, Giacomo Marramao. ^ WOLFGANG KALTENBACHER, Un
laboratorio di filosofia intitolato a Gerardo Marotta, in La Repubblica, 26
gennaio 2014. ^ TADEU BERNARDES DE SOUZA TONIATTI, ENSINO UNIVERSAL – LÍNGUA
MATERNA: UMA TRADUÇÃO DE JACOTOT CONTRA O MONOPÓLIO DA VIOLÊNCIA SIMBÓLICA
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consultato il 18 dicembre 2016 (archiviato dall'url originale il 20 dicembre
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tempo e busca novos sentidos, in Portal PUC, 16 gennaio 2009. URL consultato il
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Baladi, Um pensador para o nosso tempo, in Prosa e Verso (O Globo), 1º gennaio
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Intervista alla Casa Editrice "Zahar", in http://www.zahar.com.br/blog/post/entrevista-rossano-pecoraro.
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2016 (archiviato dall'url originale il 20 dicembre 2016). ^ Josè Fernandes
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heavy metal no contexto pós-moderno, in Via Litterae (INSS: 2176-6800), vol. 5,
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Homem que não estava lá, in Plano Crítico, 23 aprile 2016. ^ Redazione Ordine
degli avvocati del Brasile, Bernuz e Pecoraro dialogam sobre "As
Transformações do Estado Contemporâneo", in JusBrasil. ^ Compreender a
atualidade através de Agamben. Entrevista especial com Rossano Pecoraro
(Intervista all´IHU), in http://www.ihu.unisinos.br/entrevistas/20360-compreender-a-atualidade-atraves-de-agamben-entrevista-especial-com-rossano-pecoraro.
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Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX
secoloFilosofi italiani del XXI secoloStorici della filosofia italianiNati nel
1971Nati il 5 luglioNati a Salerno[altre]
Pelacani Antonio Pelacani Da Wikipedia,
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sull'argomento filosofi italiani è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla
secondo le convenzioni di Wikipedia. Antonio Pelacani (Parma, 1275 circa –
Verona, 1327) è stato un filosofo italiano.
Dal 1316 al 1326 fu lettore di medicina all'università di Bologna, nel
1319 divenne consigliere di Matteo Visconti.
In questa veste si trovò più volte coinvolto in processi per eresia
montati dal papa Giovanni XXII per gettare nella polvere il Visconti. Fu grande commentatore di Avicenna e
Galeno. Collegamenti esterni Antonio
Pelacani, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Modifica su Wikidata Antonio Pelacani, in Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Biografie
Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie
Categorie: Filosofi italiani del XIII secoloFilosofi italiani del XIV
secoloMorti nel 1327Nati a ParmaMorti a Verona[altre]
Pelacani Biagio
Pelacani Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Lastra tombale di Biagio Pelacani nella facciata del Duomo di
Parma Biagio Pelacani, (Blasius de Pelacanis de Parma) noto anche come Biagio
Pelicani o Biagio da Parma (Noceto, 1355 circa – Parma, 1416), è stato un
matematico e filosofo italiano forse lontano parente di Antonio Pelacani
(1275-1327) [1], medico e filosofo nato a Parma vissuto nella seconda metà del
XIII secolo. Della sua medesima casata probabilmente un altro medico e
filosofo: Francesco Pelacani [2]. Indice 1 Biografia 2 Note
3 Opere
4 Traduzioni
italiane 5 Traduzioni
francesi 6 Traduzioni
inglesi 7 Altri
progetti 8 Collegamenti
esterni Biografia Nato tra il 1350 e il 1354 a Costamezzana, una frazione di
Noceto a pochi chilometri da Parma, nulla si sa della sua vita [3] sino a
quando verso il 1374 frequenta la facoltà artium philosophie et medicine
dell'università di Pavia dove nel 1377 come titolare della cattedra di magister
philosophie et loyce, delegato dal vescovo, diploma in arti un certo Benedetto
Bossi [4]. Nel 1380 ottenne una cattedra all'università di Bologna, ma
nel 1384 si spostò a Padova. Nel 1388 fu riassunto all'università di Pavia, ma
un processo per eresia (1396) lo costrinse a spostarsi (1407) all'università di
Padova, dove mantenne l'insegnamento fino al 1411. Contestò molte regole
della meccanica aristotelica e sostenne l'applicazione di nuovi strumenti
matematici per sostituire le regole obsolete. In particolare condusse
nuovi studi sull'ottica nell'opera Quaestiones de perspectiva; nel Tractatus de
ponderibus si occupò di statica ed elaborò nelle Quaestiones de
proportionibus una teoria matematica del vuoto che si contrapponeva alle tesi
del continuo dei fisici aristotelici. Si occupò anche del moto dei pianeti in
Theorica planetarum e mise in discussione la cosmologia di Aristotele negando
che si potesse sostenere l'incorruttibilità dei cieli e l'interpretazione
teologica dell'esistenza di un primo motore immobile, vale a dire di Dio. Negò
quindi la possibilità delle dimostrazioni a posteriori dell'esistenza di Dio e
dell'immortalità dell'anima individuale. Pelacani concepisce la natura o
l'universo come un ente animato, un grande eterno animale in continuo movimento
dove gli esseri nascono per generazione spontanea e, quando gli influssi
astrali sono favorevoli, vengono alla luce anche le anime intellettive umane.
Riguardo alla morale egli è convinto che l'uomo debba conformarsi alla virtù
per sua libera scelta e non per fini religiosi trascendenti. Per il
materialismo delle sue dottrine Pelacani, doctor diabolicus, com'era
soprannominato [5], fu accusato d'eresia e condannato nel 1396 ma ciò non gli
impedì di essere apprezzato come un grande astrologo dai principi Carraresi di
Padova e dalle corti dei sovrani tanto da ottenere di essere sepolto nel duomo
di Parma. Gli si attribuiscono dei Commenti a Witelo per una corretta
interpretazione della prospettiva [6] e a Thomas Bradwardine nell'opera Questiones
super tractatu "De proportionibus" Thome Beduerdini [7]. Note ^
G. Robolini, Notizie appartenenti alla storia della sua patria, Pavia 1836, p.
220 ^ Memorie degli scrittori e letterati Parmigiani raccolte dal Padre Ireneo
Affò, Stamperia reale [Bodoni], 1789 p.165 ^ Citato anche per la sua avarizia
in Bartolomeo Veratti - De' matematici italiani anteriori all'invenzione della
stampa (1860) Commentario storico ^ Rodolfo Majocchi, Codice diplomatico
dell'Università di Pavia, 1905, I, p. 52 ^ Enciclopedia Garzanti di filosofia,
1981 p.92 ^ Filippo Camerota, Nel segno di Masaccio: l'invenzione della
prospettiva, Giunti Editore, 2001 p.6 ^ La scuola francescana di Oxford Opere
Le Quaestiones de anima, Firenze, Olschki, 1974. Questiones super tractatus logice
magistri Petri Hispani, Parigi, Vrin, 2001. Quaestiones circa tractatum
proportionum magistri Thome Braduardini, Parigi, Vrin, 2006. Questiones super
perspectiva communi, Parigi, Vrin, 2009. Traduzioni italiane Quaestiones de
anima: alle origini del libertinismo, a cura di Valeria Sorge, Napoli, Morano,
1995. Traduzioni francesi Joël Biard et Aurélien Robert (éds), La philosophie
de Blaise de Parme : physique, psychologie, éthique, Firenze, SISMEL, Edizioni
del Galluzzo, 2019. Traduzioni inglesi The Medieval Science of Weights =
(scientia de ponderibus). Treatises ascribed to Euclid, Archimedes, Thabit ibn
Qurra, Jordanus de Nemore and Blasius of Parma, editi con Introduzione,
traduzione e note da Ernest A. Moodye Marshall Clagett, Madison, The University
of Wisconsin Press, 1952 (Tractatus de ponderibus, pp. 238-278). Altri progetti
Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Biagio
Pelacani Collegamenti esterni Biagio Pelacani, su Treccani.it – Enciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Biagio
Pelacani, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Biagio Pelacani, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Biagio Pelacani / Biagio
Pelacani (altra versione), su Open Library, Internet Archive. Modifica su
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Filosofia Matematica Portale Matematica Categorie: Matematici italiani del XIV
secoloMatematici italiani del XV secoloFilosofi italiani del XIV secoloFilosofi
italiani del XV secoloMorti nel 1416Nati a NocetoMorti a ParmaUomini
universali[altre]
Pellegrini Lelio Pellegrini Da Wikipedia, l'enciclopedia
libera. Jump to navigationJump to search Lelio Pellegrini (Sonnino, 1551 –
Roma, 1602) è stato un letterato e filosofo italiano. Indice 1 Biografia
2 Altre
opere 3 Note
4 Bibliografia
Biografia Nato a Sonnino, allora feudo dei Colonna, fu, secondo lo storico
Girolamo Tiraboschi,[1] «uomo che da' suoi meriti e dalle promesse fattegli da
più pontefici pareva destinato a' più grandi onori; ma che non giunse che ad
ottenere alcuni beneficii ecclesiastici».
Tenne la cattedra di filosofia morale allo Studio della Sapienza di Roma
dal 1587 fino alla morte, avvenuta nel 1602. Pubblicò nel 1597 il De
affectionibus animi noscendi et emendandis commentarius e, nel 1600,
un'edizione della traduzione in latino, del 1558, di Denis Lambin dell'Etica
Nicomachea di Aristotele - i De moribus libri decem - corredandola di un
riassunto e di commenti, nei quali «altera il testo di Aristotele di cui
lamenta la difficoltà e l'oscurità».[2] Benché Aristotele sconsigli lo studio
dell'etica ai giovani, ancora immaturi per una retta comprensione dei principi
morali, il Pellegrini, al contrario, ritiene che lo studio dell'etica debba
essere impartito prima ancora di quello della filosofia della natura, in modo
che i giovani possano affrontare gli studi scientifici con animo libero dalle
passioni.[3] Secondo il Filippo Maria
Renazzi, egli fu «più Oratore che Filosofo, non pensò ad inovar cosa alcuna, e
seguì costantemente insegnando i precetti del Filosofo Stagirita».[4] Altre opere Oratio havita in almo Urbis Gymnasio
de utilitate moralis philosophiae, cum Ethicorum Aristotelis explicationem
aggederetur. Anno 1587, Romae 1587 De Christi ad coelos ascensu, Romae 1592
Oratio in obitum Torquati Tassi poetae atque philosophi clarissimi, Romae 1597
Note ^ G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VII, 2, 1824, p. 838.
^ C. Carella, L'insegnamento della filosofia alla "Sapienza" di Roma
nel Seicento, 2007. ^ D. A. Lines, Aristotle's Ethics in the Italian
Renaissance. The universities and the problems of moral education, 2002, p.
343. ^ F. M. Renazzi, Storia dell'università degli studj di Roma ... , 1806,
1971. Bibliografia Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VII,
2, Milano, Società tipografica de' classici italiani 1824 Filippo Maria
Renazzi, Storia dell'università degli studj di Roma ... , Roma, Pagliarini
1806, rist. anast. Bologna, Forni 1971 David A. Lines, Aristotle's Ethics in
the Italian Renaissance. The universities and the problems of moral education,
Leiden and Boston, Brill Academic Publishers 2002 Candida Carella, L'insegnamento
della filosofia alla "Sapienza" di Roma nel Seicento. Le cattedre e i
maestri, Firenze, Leo S. Olschki 2007 Controllo di autorità VIAF (EN) 12649988 · ISNI (EN)
0000 0000 7101 227X · LCCN (EN) n91108702 · BNE (ES) XX5612071 (data) · CERL
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Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Letterati italianiFilosofi
italiani del XVI secoloNati nel 1551Morti nel 1602Nati a SonninoMorti a
Roma[altre]
Pennisi Antonino Pennisi Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Antonino Pennisi
Antonino Pennisi (Catania, 28 settembre 1954) è un filosofo e linguista
italiano. Dal 2012 al 2018 ha diretto il Dipartimento di Scienze Cognitive,
Psicologiche, Pedagoche e degli Studi Culturali dell'Università di Messina,
presso cui è titolare della cattedra di filosofia del linguaggio[1]. I suoi
interessi riguardano prevalentemente la psicopatologia del linguaggio e, più in
generale, la relazione tra linguaggio, evoluzione e cognizione umana.
Indice 1 Biografia
2 Aree
di ricerca 2.1 Psicopatologia
del linguaggio 2.2 Linguaggio
ed evoluzione 3 Opere
4 Note
5 Voci
correlate 6 Collegamenti
esterni Biografia Consegue la laurea in Lettere Moderne presso la Facoltà di
Lettere e Filosofia dell'Università di Catania nel dicembre 1978, con una tesi
dal titolo I presupposti ideologici della teoria della storia linguistica di B.
Terracini, sotto la guida di Franco Lo Piparo. Vince nel 1983 il concorso
libero per ricercatore e da quell'anno fino al 1992 svolge la carica presso
l'Istituto di Filosofia della Facoltà di Magistero dell'Università di Messina.
Nel 1992 diventa professore associato di filosofia del linguaggio nella Facoltà
di Magistero di Messina fino al 2000, anno in cui vince la procedura di
valutazione per l'ordinariato. Dal 1999 al 2004 è direttore del Dipartimento di
Scienze cognitive e della formazione della Facoltà di Scienze della Formazione
e dal 2007 al 2012 preside presso la stessa Facoltà. Dal 2003 è coordinatore
del Collegio di Dottorato in Scienze cognitive dell'Università di
Messina. Aree di ricerca Psicopatologia del linguaggio L'ipotesi di base
per l'analisi del linguaggio psicopatologico parte da un confronto sistematico
tra il linguaggio psicotico nelle sue due declinazioni più significative –
quella schizofrenica e quella paranoica – con il linguaggio tipico delle
patologie cerebrali e con quello caratteristico dei soggetti normali. La tesi
dell’autore è che i soggetti psicotici, a differenza di quelli con deficit
cerebrali, non mostrino difficoltà visibili dal punto di vista
dell’articolazione fonica, della proprietà lessicale o della capacità
sintattica e semantica, ma che invece la cifra elettiva del loro linguaggio
consista in un depauperamento della complessità dei significati[2]. Questo
impoverimento della dimensione della complessità si manifesta nella
schizofrenia con un linguaggio privato e pragmaticamente inadeguato, e nella
paranoia con un unico tema delirante che riassume e congela tutto il destino
del soggetto. La psicopatologia del linguaggio rappresenta inoltre una delle
sfide più difficili per le scienze cognitive, in quanto le psicosi, tra tutte
la schizofrenia, sembrano a tutt’oggi resistere ad ogni tentativo di
spiegazione neuroscientifica. Linguaggio ed evoluzione Nell'impostazione
filosofica di Pennisi, il linguaggio può essere considerato una forma di
tecnologia corporea[3]. Il linguaggio è, in particolare, la tecnologia
specie-specifica di Homo sapiens che ne ha caratterizzato l'adattamento a tal
punto da rischiare di minacciarne l'esistenza. La cognitività linguistica del
Sapiens, infatti, modificando profondamente le regole stesse dell'evoluzione
biologica se da un lato ci ha consentito di essere i dominatori naturali
dell'intero pianeta, dall'altro è "ciò che beffardamente ci avvicina alla
fine, il messaggero della nostra imminente estinzione"[4]. In continuità
con le tesi sul linguaggio, Pennisi propone un nuovo concetto di
biopolitica[5], in antitesi con il concetto sviluppato da Michel Foucault[6].
In particolare, egli propone di investigare i fenomeni sociali e politici
mediante la comprensione delle dinamiche naturali che li sottendono. L'errore
di Platone è, nel sistema di idee proposto da Pennisi, l'idea di poter
ingegnerizzare la società e di poterme controllare ogni possibile esito. Ancora
una volta, tale illusione è data dal linguaggio e dalla razionalità linguistica
che contraddistingue Homo sapiens. Accadimenti come le crisi economiche – al
pari di altri fenomeni socio-politici – possono essere compresi solo se si
indagano i fenomeni naturali che ne stabiliscono le dinamiche, come ad esempio
i flussi migratori e la riproduzione. Opere Antonino Pennisi e Alessandra
Falzone (Eds.), The Extended Theory of Cognitive Creativity. Interdisciplinary
Approaches to Performativity, Switzerland AG, Springer-Verlag, 2020. Antonino
Pennisi e Alessandra Falzone, Darwinian Biolinguistics. Theory and History of a
Naturalistic Philosophy of Language and Pragmatics, Switzerland AG,
Springer-Verlag, 2016. L'errore di Platone, Bologna, Società editrice il
Mulino, 2014. Antonino Pennisi e Alessandra Falzone, Il prezzo del linguaggio,
Bologna, Società editrice il Mulino, 2010. L’isola timida. Forme di vita nella
Sicilia che cambia, Roma, Squilibri, 2008. Antonino Pennisi e Pietro Perconti,
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del potere in Stanley Kubrick – e oltre, in Le ragioni della natura, Messina,
Corisco, p. 299-308. Voci correlate Franco Lo Piparo Tullio De Mauro Umberto
Eco Collegamenti esterni Dip. Scienze cognitive, psic., ped. (unime), su
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lccn-n95011515 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia
Linguistica Portale Linguistica Categorie: Filosofi italiani del XX
secoloFilosofi italiani del XXI secoloLinguisti italianiNati nel 1954Nati il 28
settembreNati a CataniaStudenti dell'Università di Catania[altre]
pera: important Italian philosopher. Marcello Pera (Lucca, 28 gennaio 1943) è un
filosofo, politico e accademico italiano, senatore per Forza Italia e Popolo
della Libertà dal 1996 al 2013, e Presidente del Senato nella XIV Legislatura.
Il 12 novembre 2018 è stato nominato presidente del Comitato
storico-scientifico per gli anniversari di interesse nazionale istituito presso
la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Diplomatosi in ragioneria
all'Istituto "F. Carrara" di Lucca nel 1962, lavora prima alla Banca
Toscana e poi alla Camera di Commercio di Lucca. Quindi decide di studiare
filosofia. Si laurea all'Università di Pisa nel 1972, con 110 su 110 e
lode. Carriera accademica Incoraggiato dal suo maestro Francesco Barone,
inizia la carriera accademica nel 1976 come incaricato di Filosofia della
scienza a Pisa. In seguito diventa professore straordinario di Filosofia
teoretica a Catania (1989-1992) e ordinario di Filosofia della scienza
all'Università di Pisa (1992). In questi anni viene presentato da Lucio
Colletti al direttore editoriale della casa editrice Laterza, Enrico Mistretta,
iniziando subito una intensa attività di consulenza editoriale per la filosofia
della scienza. Con questa Casa editrice pubblica anche i suoi primi importanti
libri scientifici, allontanandosi dalle posizioni ideologiche dell'estrema
sinistra per accostarsi insieme a Lucio Colletti al dibattito culturale allora
presente nel Partito Socialista Italiano. Iniziato alla politica dallo
stesso Lucio Colletti, trasmigra con lui e altri intellettuali nel neonato partito
di Forza Italia fondato da Silvio Berlusconi. Comincia qui una nuova fase, in
cui si è distinto come saggista per l'attività a favore di un avvicinamento
della politica alla religione cattolica[1]. Convinto che le libertà civili e
politiche, lungi dall'essere fondate sulla relatività delle nostre conoscenze,
debbano ricondursi invece alla dignità intrinseca della persona umana, che
permane quale che sia la verità delle convinzioni di ciascuno, ha più volte
rilevato come sia sbagliato fare del relativismo culturale il fondamento della
società liberale. Questa, secondo Pera, ha potuto sorgere piuttosto grazie a
quel terreno fertile rappresentato dai principi della religione cristiana. Al
tempo, Pera si dichiarava ateo e non credente, venendo pertanto annoverato tra
gli atei devoti.[2]. Nel 2001, eletto in Parlamento tra le file di Forza
Italia, ascese alla seconda carica dello Stato, la presidenza del Senato, che
ha ricoperto fino alla fine della legislatura. Pera è stato collaboratore dei
quotidiani “Corriere della Sera”, “Il Messaggero”, “La Stampa” e dei
settimanali “L'Espresso” e “Panorama”. Studi di Filosofia della
scienza Karl Popper insieme a Melitta Mew e Marcello Pera a Kenley (Regno
Unito), nel 1986. Il filosofo Marcello Pera ha svolto un'intensa attività di
ricerca nel campo della filosofia della scienza a livello internazionale[3]. Il
suo primo saggio filosofico di rilievo del 1978 riguarda il metodo scientifico
e l'induzione. Pera ha poi concentrato i suoi studi filosofici su Karl Popper.
Corrispondente del filosofo austriaco teorico della "società aperta",
Marcello Pera è uno dei suoi massimi studiosi italiani.[4]. Su di lui ha
scritto l'opera Popper e la scienza su palafitte (1981). Prima di
scrivere il libro, pubblicò alcuni articoli divulgativi, inserendosi in un
vasto movimento critico, su "L'Espresso", dedicati ai filosofi che
avevano tentato di confutare Karl Marx, il primo dei quali fu dedicato a
Popper. Ulteriori studi di Pera furono dedicati alle teorie sui metodi di ricerca
del filosofo scozzese David Hume e ai metodi induttivi e scientifici del
Settecento: nel 1982 pubblicò i due saggi "Hume, Kant e l'induzione"
e "Apologia del metodo". Nel 1986 Pera sviluppò ricerche sui primi
studi di elettricità compiuti nel settecento da Alessandro Volta e da Luigi
Galvani[5]. Il testo fondamentale di Marcello Pera "Popper e la
scienza su palafitte" del 1982 contiene un'analisi dettagliata delle
posizioni di numerosi filosofi europei sul rapporto tra scienza e filosofia, in
particolare di Francesco Bacone, David Hume, Immanuel Kant, Karl Popper, Thomas
Kuhn, Imre Lakatos ed altri studiosi. Il significato del termine "scienza
su palafitte" è un ironico riferimento al fatto che, come le palafitte
dell'uomo preistorico, la scienza contemporanea (in particolare la teoria della
relatività e la fisica atomica) non sono fondate su basi solide come la roccia,
ma sono soggette a frequenti modifiche e revisioni, a seguito della scoperta di
nuove particelle, di nuovi fenomeni, o di nuove leggi fisiche che in parte
modificano quelle precedenti della fisica classica. Il saggio di Pera
inizia con una celebre citazione di Popper sull'evoluzione delle teorie
scientifiche, secondo la quale la scienza non poggerebbe su fondamenti
immutabili, ma su principi che possono essere oggetto di ulteriori analisi ed
approfondimenti.[6]. Come Popper, anche Pera ritiene che le teorie scientifiche
abbiano una validità limitata a un determinato contesto: secondo questo
orientamento le teorie scientifiche sono parzialmente modificabili nel tempo.
Fra le revisioni di sistemi scientifici studiate da Pera vi è la rivoluzione
scientifica, convenzionalmente iniziata con Niccolò Copernico e conclusasi con
l'opera di Isaac Newton, che ha reso obsolete la fisica aristotelica e
tolemaica. Sono poi analizzate le teorie elettromagnetiche, a partire dalle
prime formulazioni empiriche di Alessandro Volta e Luigi Galvani fino alle
teorie fisico-matematiche di James Clerk Maxwell. Infine, nel corso del
Novecento si sono avuti rinnovamenti significativi della fisica classica, che
hanno portato alla fisica moderna con le teorie della relatività (ristretta e
generale) di Einstein e la meccanica quantistica. Pera analizza l'evoluzione di
queste teorie scientifiche in relazione a quella del metodo scientifico, basato
su procedimenti razionali ed induttivi. Metodo scientifico ed induzione
Marcello Pera ha sostenuto una posizione intermedia fra il pensiero di Karl
Popper che non accetta l'induzione, e quella di altri filosofi che convalidano
il metodo scientifico basato sull'induzione, definito da David Hume, uno dei
maggiori esponenti dell'empirismo nel settecento. Pera condivide il contributo
di Popper e degli altri esponenti del Circolo di Vienna alla filosofia della
scienza del XX secolo, pur cercando di superare certe loro posizioni che
considera troppo radicali, rivalutando così un certo ruolo dell'induzione nella
ricerca scientifica. Sulle differenze fra la posizione di Pera e di Popper
riguardo al metodo induttivo, si veda[7]. Altri saggi sui metodi
scientifici Marcello Pera ha dedicato numerosi articoli su riviste
specializzate a temi di Filosofia della scienza e sul Metodo scientifico, tra
cui: Pera M., "Induzione, scandalo dell'empirismo", in
"Introduzione a Feigl", (1979). Pera M., "La scoperta scientifica:
congetture selvagge o argomentazioni induttive?", in "Medicina nei
secoli", XVI, n.1, pp.51-70, (1979). Pera M., "È scientifico il
programma scientifico di Marx?", in "Studium", 75, 4,
pp.441-463, (1979). Pera M., "Principi a priori e canoni di razionalità
scientifica", in "Physis", XXII, 2, pp.261-278, (1980). Pera M.,
"Le teorie come metafore e l'induzione", in "Physis", XXII,
3-4, (1980). Pera M., "Inductive Method and Scientific Discovery", in
collaborazione con Grmek, Cohen, Cimino, (1980). Sulla storia della scienza ha
pubblicato: Pera M., "La rana ambigua: la controversia
sull'elettricità animale tra Galvani e Volta", il Mulino (1986) - Edizione
inglese: Princeton University Press (1991). Pera M., "Scienza e retorica",
Laterza (1992) - Edizione inglese: "The Discourses of Science", The
University of Chicago Press (1994). Attività politica Attività politica nel PSI
Negli anni ottanta e nei primi anni novanta, Marcello Pera fa parte del Partito
Socialista Italiano. A ricordo del suo periodo di vicinanza al Partito
Socialista, nel 2004 Pera si è recato ad Hammamet in visita alla tomba di
Bettino Craxi, che ha definito un "patrimonio della Repubblica", che
appartiene alla "storia della sinistra italiana"[8]. Nel 1994
durante la stagione di Mani Pulite, Marcello Pera si impegnò sulla questione
morale con impeto giustizialista; espresse severe critiche alla corruzione
della politica, schierandosi senza riserve dalla parte dei magistrati di
Milano. Pera si impegnò anche nell'area laica, nel movimento referendario
di Massimo Severo Giannini con la lista Sì Referendum[9]. Viene inoltre
ingaggiato come commentatore dal quotidiano La Stampa, per il quale tra 1992 e
1993 formula diverse critiche alla corruzione politica in Italia e si esprime
nei seguenti termini: «Come alla caduta di altri regimi, occorre una
nuova Resistenza, un nuovo riscatto e poi una vera, radicale, impietosa
epurazione [...] Il processo è già cominciato e per buona parte dell'opinione
pubblica già chiuso con una condanna» (La Stampa, 19 luglio 1992) «I partiti
devono retrocedere e alzare le mani [...] subito e senza le furbizie che
accompagnano i rantoli della loro agonia. Questo sì sarebbe un golpe contro la
democrazia: cercare di resistere contro la volontà popolare» (1º febbraio 1993)
«Il garantismo, come ogni ideologia preconcetta, è pernicioso» (29 marzo 1993).
«I giudici devono andare avanti. Nessuno chiede che gli inquisiti eccellenti
abbiano un trattamento diverso dagli altri inquisiti» (5 marzo 1993) «No e poi
no, onorevole Bossi. Lei deve chiedere scusa... I giudici fanno il loro
dovere... Molti magistrati sono già stati assassinati per aver fatto rispettare
la legge... Lei mette in discussione i fondamenti stessi dello Stato di
diritto» (24 settembre 1993) *«la rivoluzione ha regole ferree e tempi stretti»
(26 settembre 1993) «Quei politici che, come Craxi, attaccano i magistrati di
Milano, mostrano di non capire la sostanza grave, epocale, del fenomeno» Con
Luigi Manconi nel 1995 firmò un appello per l'uso delle droghe leggere[10].
Ancora nel 1994 Pera dichiarò: "Berlusconi è a metà strada tra un
cabarettista azzimato e un venditore televisivo di stoviglie, una roba che
avrebbe ispirato e angosciato il povero Fellini"[11]. Senatore di
Forza Italia Pera nel 1996. Nel 1994 Pera cambia radicalmente
schieramento e aderisce a Forza Italia di cui diventa coordinatore nazionale
della Convenzione per la riforma liberale. Pera, in questo periodo, si
allontana dalle precedenti posizioni giustizialiste temperandole in senso garantista.
Pera iniziò a criticare gli "eccessi" del pool di Milano e Palermo,
che arrivò a definire golpisti e invitò D'Alema a «fermare i giudici»,
indicando nel garantismo una posizione intermedia fra giustizialismo e
corruzione, e proponendo la separazione delle carriere e l'obbligatorietà
dell'azione penale. Pera polemizzò inoltre con i magistrati di Milano per una
vicenda che vedeva coinvolto Paolo Berlusconi nel caso Simec, la società di
gestione della discarica di Cerro Maggiore[12]. Alle elezioni politiche
italiane del 1996 Pera viene candidato al Senato per Forza Italia nella sua
Lucca, ma viene sconfitto all'uninominale dal senatore locale, Patrizio
Petrucci dei DS. Viene poi ripescato in quota proporzionale tramite il sistema
dei resti ed eletto nel gruppo Forza Italia al Senato, ed è nominato nel 1998
vicepresidente del Gruppo di Forza Italia al Senato. Assieme a Marco
Boato fonda la "Convenzione per la giustizia", un movimento politico
"virtuale" che consente il finanziamento pubblico de Il Foglio di
Giuliano Ferrara. In Parlamento, Pera si occupa soprattutto dei problemi della
Giustizia in Italia: è stato ispiratore della riforma costituzionale sul
"giusto processo", approvata nella XIII Legislatura, che ha
modificato l'articolo 111 della Costituzione[13]. La Presidenza del
Senato (2001-2006) Il Presidente del Senato Marcello Pera e il Presidente
della Camera Pier Ferdinando Casini accolgono papa Giovanni Paolo II al
Parlamento italiano, 14 novembre 2002. Nelle elezioni politiche del 2001 vince
nel collegio uninominale di Lucca, l'unico della Toscana andato al
centro-destra. Viene eletto al primo scrutinio Presidente del Senato della
Repubblica, seconda carica dello Stato, che manterrà fino al 2006. Nel suo
"Discorso di insediamento al Senato della Repubblica" del 30 marzo
2001 Marcello Pera ha dichiarato: «Questo è il nucleo della democrazia...
Non è soltanto il governo del popolo, la democrazia; non è neppure soltanto il
governo delle regole o della legge: è qualcosa di più difficile, ma anche di
più esaltante. La democrazia è quel regime di governo che permette a chi si
oppone di sostituire pacificamente chi prende le decisioni a nome della
maggioranza. Per questo la democrazia o lo strumento della democrazia non è
soltanto il voto, ma l'argomentazione, il discorso, il confronto. Per
sostituire chi governa, prima di votare occorre confutare e criticare. Allo
stesso modo per governare occorre argomentare e convincere» In quegli
anni è Presidente onorario della "Fondazione Magna Carta"[14].
Senatore con Forza Italia (2006-2008) e con il Popolo della Libertà (2008-2013)
Lasciata la presidenza del Senato, alle elezioni politiche italiane del 2006 è
rieletto senatore nella lista di Forza Italia nel collegio della Emilia Romagna
e dal 2007 vice-capogruppo di Forza Italia al Senato[15]. Al seguito
della caduta del governo Prodi e delle elezioni politiche italiane del 2008, è
stato confermato al Senato come capolista della circoscrizione Lazio per il
Popolo della Libertà. Politica locale in Toscana Marcello Pera ha
partecipato anche ad alcuni temi di politica locale, in particolare in Toscana
e a Lucca. Inoltre ha svolto un ruolo attivo nell'ambito della Camera di
Commercio di Lucca negli anni sessanta e settanta e poi soprattutto nelle
istituzioni dell'Università di Pisa negli anni ottanta e novanta. Nel 2005
Marcello Pera ha espresso alcune critiche ai rapporti fra il Comune di Lucca e
la Azienda Municipalizzata del Gas; Pera viene quindi accusato in Consiglio
comunale dall'allora sindaco Pietro Fazzi (sostenuto da una maggioranza di
centrodestra) di essersi intromesso nella gestione amministrativa del Comune.
La vicenda verteva su supposte pressioni del senatore per la cessione di quote
societarie di Gesam gas, azienda municipalizzata per la somministrazione del
gas, ad Enel gas spa. La polemica ha portato allo scioglimento del Consiglio
comunale di Lucca e alle dimissioni del sindaco Pietro Fazzi, successivamente
espulso dal suo partito[16]. Della vicenda si è interessata anche la
Procura di Lucca, che nel 2007 ha archiviato il caso[17]. A settembre 2016
Marcello Pera insieme a Giuliano Urbani ha fondato il Comitato "Liberi
Sì" per il Referendum 2016. Questo comitato era molto vicino alle
posizioni di Scelta Civica e Alleanza Liberalpopolare-Autonomie, e raccoglieva
al suo interno alcune personalità del centrodestra come Giuliano Urbani ed Enzo
Ghigo. In dicembre 2016 il suo nome era tra i papabili come possibile
Ministro nel nuovo Governo Gentiloni. L'avvicinamento al mondo cattolico
In passato Marcello Pera si era definito un "non credente"; Pera si è
poi avvicinato al pensiero cristiano, accogliendo l'invito di papa Benedetto
XVI a vivere "come se Dio esistesse". Dice infatti Pera in Perché
dobbiamo dirci cristiani (2008): "Io suggerisco di accettare l'esortazione
che il Papa ha fatto ai non credenti: seguire la vecchia formula di Pascal e
Kant di vivere ‘come se Dio esistesse’ (velut si Deus daretur)". La frase
citata e commentata da Pera è tratta da: Immanuel Kant, Critica della ragion
pratica, trad. it. di F. Capra, riveduta da E. Garin, Roma-Bari, Laterza 1979,
pag. 157. Pera ritiene che sia una soluzione saggia, perché rende tutti
moralmente più responsabili: "Se Dio esiste, ci sono limiti morali alle
mie azioni, comportamenti, decisioni, progetti, leggi e così via...". Vedi
in proposito il libro di Pera Perché dobbiamo dirci cristiani (2008), al
capitolo "Come se Dio esistesse", pagine 54-58, in cui Pera indica
due modi di avvicinarsi al cristianesimo: quello della persona fermamente
credente e quello della persona che ammira i valori del cristianesimo (come
Kant e Pascal) e che si avvicina al messaggio cristiano vivendolo dal punto di
vista etico. Per le posizioni su questa tematica Pera è considerato un
esponente del movimento neoconservatore italiano e risulta essere attualmente
il più autorevole esponente Teocon in Italia. Nel periodo di presidenza del
Senato nasce un legame intellettuale tra Pera e il cardinale Joseph Ratzinger,
il futuro pontefice Benedetto XVI: i due si trovano in sintonia sull'analisi
dei problemi dell'Europa e manifestano comuni preoccupazioni per una civiltà
occidentale minata al suo interno dal relativismo e dal
multiculturalismo.[18] Dopo il 2000 Pera ha dedicato diversi articoli e
saggi al rapporto fra la cultura storica europea e il cattolicesimo. In
generale Marcello Pera sostiene che il denominatore culturale comune dei
diversi stati europei non deve ravvisarsi nel rinascimento o nell'illuminismo,
ma nel Cristianesimo[19]. Pera in alcuni saggi e interviste ha indicato
l'esigenza di ricercare l'identità culturale del continente europeo nel Vangelo
e negli Atti degli Apostoli. In particolare Pera ha sostenuto che le Lettere di
S.Paolo e i racconti evangelici esprimono i concetti di eguaglianza fra gli
uomini e di solidarietà sociale, che sono oggi alla base delle Costituzioni
delle nazioni moderne e della stessa Comunità Europea. Nel 2004 Pera è
autore con l'allora cardinale Joseph Ratzinger del libro “Senza radici”, sulla
questione delle radici cristiane dell'Europa. Nel libro, che contiene le due
relazioni di Pera e Ratzinger sull'argomento e uno scambio epistolare tra i
due, denuncia il decadimento morale dell'Europa a suo dire impoverita dal
rifiuto delle sue radici cristiane e minacciata dal terrorismo islamista. Nel
libro Pera scrive: «Soffia sull'Europa un brutto vento. Si tratta dell'idea che
basta aspettare e i guai spariranno da soli, o che si può essere
accondiscendenti anche con chi ci minaccia e potremo cavarcela. È lo stesso
soffio del vento di Monaco nel 1938». In un'intervista rilasciata alla Stampa
dopo il no irlandese al trattato europeo, Pera identifica il Papa, sulla scia
di De Maistre, come unico riferimento possibile per il Vecchio
Continente.[20] Nel saggio Perché dobbiamo dirci cristiani (2008) Pera
condanna il relativismo e l'incertezza culturale della società contemporanea e
sviluppa il tema della vera identità dell'Europa da ricercarsi nella forza
etica e sociale del cristianesimo. Secondo Pera, la religione cattolica non può
essere una convinzione privata o tradizionale: l'impegno del cattolico deve
essere presente nella coerenza del suo comportamento etico. Secondo Pera, il
cristiano si deve impegnare in tutte le sfere della vita civile e
istituzionale, prestando la sua attenzione ai problemi di tutti i cittadini e
alla solidarietà sociale. Sul piano politico e culturale, Marcello Pera si
definisce un "conservatore liberale". Più precisamente “conservatore
sui valori da mantenere e liberale sulle riforme da fare”. Secondo Pera “si tratta
di una grande dottrina, una grande scuola, una grande tradizione politica. Si
basa soprattutto su due pilastri: attenzione e difesa della nostra tradizione
europea e occidentale, che è il riferimento da mantenere (da ciò il
conservatorismo); e custodia della nostra autonomia individuale, che è la
condizione su cui dobbiamo sempre vigilare (da ciò il nostro liberalismo)”.[21] Opere Induzione e metodo scientifico, Pisa,
Editrice Tecnico Scientifica, 1978. Popper e la scienza su palafitte,
Roma-Bari, Laterza, 1981. Hume, Kant e l'induzione, Bologna, Il Mulino, 1982.
Apologia del metodo, Roma-Bari, Laterza, 1982. I modi del progresso. Teorie e
episodi della razionalita scientifica, a cura di e con Joseph Pitt, Milano, Il
Saggiatore, 1985. La rana ambigua. La controversia sull'elettricità animale tra
Galvani e Volta, Torino, Einaudi, 1986. ISBN 88-06-59310-2. Scienza e retorica,
Roma-Bari, Laterza, 1991. ISBN 88-420-3789-3. L'arte della persuasione
scientifica, a cura di e con William R. Shea, Milano, Guerini, 1992. ISBN
88-7802-330-2. La Martinella. 2001, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003. ISBN
88-498-0544-6. La Martinella. 2002, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003. ISBN
88-498-0641-8. La Martinella. 2003, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004. ISBN
88-498-0868-2. Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam, con
Joseph Ratzinger, Milano, Mondadori, 2004. ISBN 88-04-54474-0. La Martinella.
2004, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005. ISBN 88-498-1078-4. Libertà e
laicità, a cura di, Siena, Cantagalli, 2006. ISBN 88-8272-266-X. La Martinella.
2005-2006, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006. ISBN 88-498-1517-4. Perché
dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l'Europa, l'etica, Milano, Mondadori,
2008. ISBN 9788804588313. Alle origini del liberalismo. A proposito di Pannunzio
e Tocqueville, Torino, Centro Pannunzio, 2009. Onorificenze Gran Decorazione
d'Onore in Oro con Fascia dell'Ordine al Merito della Repubblica Austriaca
(Austria) - nastrino per uniforme ordinariaGran Decorazione d'Onore in Oro con
Fascia dell'Ordine al Merito della Repubblica Austriaca (Austria) — 2002
Grand'Ufficiale dell'Ordine delle Tre Stelle (Lettonia) - nastrino per uniforme
ordinariaGrand'Ufficiale dell'Ordine delle Tre Stelle (Lettonia) Compagno
d'Onore Onorario dell'Ordine Nazionale al Merito (Malta) - nastrino per
uniforme ordinariaCompagno d'Onore Onorario dell'Ordine Nazionale al Merito
(Malta) — 20 gennaio 2004 Gran Croce dell'Ordine al Merito della Repubblica di
Polonia (Polonia) - nastrino per uniforme ordinariaGran Croce dell'Ordine al Merito
della Repubblica di Polonia (Polonia) — 2002 Gran Croce dell'Ordine
dell'Infante Dom Henrique (Portogallo) - nastrino per uniforme ordinariaGran
Croce dell'Ordine dell'Infante Dom Henrique (Portogallo) — 31 gennaio 2005
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine Piano (Santa Sede) - nastrino per uniforme
ordinaria Cavaliere
di Gran Croce dell'Ordine Piano (Santa Sede) — Roma, 11 luglio 2005[22] Gran
Croce - Classe Speciale - dell'Ordine pro Merito Melitensi (SMOM) - nastrino
per uniforme ordinariaGran Croce - Classe Speciale - dell'Ordine pro Merito
Melitensi (SMOM) — Roma, 10 marzo 2006[23][24] Note ^ Vedi i due saggi di
Marcello Pera "Senza Radici" del 2004 e "Perché dobbiamo dirci
cristiani: il liberalismo, l'Europa, l'etica" del 2008 ^ Marcello
Veneziani su Libero, 25 novembre 2008, da MarcelloPera.it ^ Visiting Fellow:
Center for Philosophy of Science, University of Pittsburgh, 1984; Visiting
Fellow: The Van Leer Foundation, Gerusalemme, 1987; Visiting Fellow: Department
of Linguistics and Philosophy, MIT, Cambridge in Massachusetts, 1990; Visiting
Fellow: Centre for the Philosophy of Natural and Social Sciences, London School
of Economics, 1995-96) ^ vedi la prefazione del saggio di Pera "Popper e
la scienza su palafitte", Laterza 1982, pag IX, in cui Pera indica:
"Sono molto grato a Sir Karl Popper per avermi privatamente precisato
alcuni punti sui quali permangono divergenze di opinione. Per altri punti ho
motivi di gratitudine verso amici e colleghi italiani e stranieri" ^ cfr.
il saggio La rana ambigua: la controversia sull'elettricità animale fra Galvani
e Volta, 1986 ^ La scienza non poggia su un solido strato di roccia. L'ardita
struttura delle sue teorie si eleva, per così dire sopra una palude. È come un
edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono conficcate dall'alto giù
nella palude: ma non in una base naturale o "data"; e il fatto che
desistiamo dai nostri tentativi di conficcare le palafitte più a fondo non
significa che abbiamo trovato un terreno solido. Semplicemente, ci fermiamo quando
siamo soddisfatti e riteniamo che almeno per il momento i sostegni siano
abbastanza stabili da sorreggere la struttura. (Karl Popper); in Pera M.,
"Popper e la scienza su palafitte", Introduzione "Una
epistemologia di frontiera tra positivismo logico e anarchismo
metodologico", p.3 (1982). ^ Pera M., Popper e la scienza su palafitte,
Prefazione, pp.VII-X (1982) ^ Pera sulla tomba di Craxi "Un patrimonio
della Repubblica", La Repubblica, 18 gennaio 2004 ^ "Campioni
d'Italia", di Gianni Barbacetto, Marco Tropea editore ^ Pera, il
ragioniere che diventò presidente Un carattere d'acciaio per il filosofo dalle
mille e mille contraddizioni, Il Tirreno, 28 dicembre 2001 ^ Citato in Michele
De Lucia, Siamo alla frutta, Kaos 2005. ISBN 8879531530 ^ Società civile.it ^
(Principi del giusto processo legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2; G.U.
n. 300 del 23 dicembre 1999) ^ Lettera al presidente del Senato Marcello Pera
in occasione del convegno di Norcia ^ senato.it - Scheda di attività di
Marcello PERA - XV Legislatura ^ vedi la fonte giornalistica "Ha offeso
Pera": Forza Italia espelle il sindaco ^ La procura chiede l'archiviazione
Archiviato il 18 gennaio 2007 in Internet Archive. ^ vedi il libro scritto in
collaborazione fra M. Pera e J. Ratzinger Senza radici: Europa, Relativismo,
Cristianesimo, Islam, Milano, Mondadori, 2004 e anche il successivo saggio di
Pera "Introduzione a Ratzinger", 2005 ^ vedi in particolare il libro
scritto in collaborazione fra M. Pera ed il cardinale J. Ratzinger, Senza
radici: Europa, Relativismo, Cristianesimo, Islam, Milano, Mondadori, 2004, e
il successivo libro di M. Pera, Perché dobbiamo dirci cristiani. Il
liberalismo, l'Europa, l'etica, Milano, Mondadori, 2008. ^ "Visto? Non sta
in piedi un'Unione senza Dio"[collegamento interrotto] ^ il rapporto di
vicinanza fra i movimenti politici liberali europei e il cattolicesimo è
sviluppato da Pera nel saggio Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo,
l'Europa, l'etica, Milano, Mondadori, 2008. ^ Acta Apostolicae Sedis. Commentarium
officiale, Città del Vaticano, n.1, 6 gennaio 2006, p.89. ^ Dal sito web del
Sovrano Militare Ordine di Malta. Archiviato l'8 dicembre 2015 in Internet
Archive. ^ Marcello Pera viene insignito da Fra' Andrew Bertie Archiviato il 7
novembre 2008 in Internet Archive. Bibliografia Campioni d'Italia. G.
Barbacetto, Marco Tropea Editore, 2002, ISBN 8843803549. Siamo alla frutta.
Ritratto di Marcello Pera. M. De Lucia, Kaos Edizioni, 2005, ISBN
88-7953-153-0. "Tolleranza e radici cristiane secondo Marcello Pera".
F. Coniglione, in Iride. Filosofia e discussione pubblica, 46, XVIII (2005),
pp. 603–609 "La forza dell'Occidente. Pera, Ratzinger e il relativismo
della 'Vecchia Europa'”. F. Coniglione, in Il Protagora, luglio-dicembre 2005,
quinta serie, n. 6, pp. 7–46 *"Il sorriso di Crizia. Il relativismo
elitario di Marcello Pera". F. Coniglione, in La filosofia generosa. Studi
in onore di Anna Escher Di Stefano, Bonanno, Acireale-Roma 2006, pp. 183–201
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Marini V · D · M Presidenti del Senato italiano Controllo di autoritàVIAF (EN)
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nel 1943Nati il 28 gennaioNati a LuccaSenatori della XIII legislatura della
Repubblica ItalianaSenatori della XIV legislatura della Repubblica
ItalianaSenatori della XV legislatura della Repubblica ItalianaSenatori della
XVI legislatura della Repubblica ItalianaPresidenti del Senato della Repubblica
ItalianaPolitici del Partito Socialista ItalianoPolitici di Forza Italia
(1994)Politici del Popolo della LibertàFilosofi della scienzaStudenti
dell'Università di PisaProfessori dell'Università degli Studi di
CataniaProfessori dell'Università di Pisa[altre]. Refs.: Luigi
Speranza, "Grice e Pera," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
izzing/hazzing
– per-essentiam/per-accidentem: literally, “by, as, or being an accident
or non-essential feature.” A “per accidens” predication Grice calls a hazzing
(not an izzing) and is one in which an accident is predicated of a substance.
The terminology is medieval. Note that the accident and substance themselves, and
not expressions standing for them, are the terms of the predication relation.
An “ens per accidentem” is either an accident or the “accidental unity” of a
substance and an accident. Descartes, e.g., insists that a person is not a “per
accidentem” union of body and mind. H. P. Grice, “Izzing, hazzing: the
per-essentiam/per-accidentem distinction.”
PENDENS
-- DE-PENDENS -- dependens- independens distinction, the: independence
results, proofs of non-deducibility. Any of the following equivalent conditions
may be called independence: (1) A is not deducible from B; (2) its negation - A
is consistent with B; (3) there is a model of B that is not a model of A; e.g.,
the question of the non-deducibility of the parallel axiom from the other
Euclidean axioms is equivalent to that of the consistency of its negation with
them, i.e. of non-Euclidean geometry. Independence results may be not absolute
but relative, of the form: if B is consistent (or has a model), then B together
with - A is (or does); e.g. models of non-Euclidean geometry are built within
Euclidean geometry. In another sense, a set B is said to be independent if it
is irredundant, i.e., each hypothesis in B is independent of the others; in yet
another sense, A is said to be independent of B if it is undecidable by B,
i.e., both independent of and consistent with B. The incompleteness theorems of
Gödel are independence results, prototypes for many further proofs of
undecidability by subsystems of classical mathematics, or by classical
mathematics as a whole, as formalized in ZermeloFraenkel set theory with the
axiom of choice (ZF ! AC or ZFC). Most famous is the undecidability of the
continuum hypothesis, proved consistent relative to ZFC by Gödel, using his
method of constructible sets, and independent relative to ZFC by Paul J. Cohen,
using his method of forcing. Rather than build models from scratch by such
methods, independence (consistency) for A can also be established by showing A
implies (is implied by ) some A* already known independent (consistent). Many
suitable A* (Jensen’s Diamond, Martin’s Axiom, etc.) are now available.
Philosophically, formalism takes A’s undecidability by ZFC to show the question
of A’s truth meaningless; Platonism takes it to establish the need for new
axioms, such as those of large cardinals. (Considerations related to the
incompleteness theorems show that there is no hope even of a relative
consistency proof for these axioms, yet they imply, by way of determinacy
axioms, many important consequences about real numbers that are independent of
ZFC.) With non-classical logics, e.g. second-order logic, (1)–(3) above may not
be equivalent, so several senses of independence become distinguishable. The
question of independence of one axiom from others may be raised also for
formalizations of logic itself, where many-valued logics provide models.
perceptum: vide Grice/Warnock, “Notes on visa.” -- myse-en-abyme,
drodde effect Dahlenmacher, speculative – mirror in front of mirror -- , the
traditional distinction is perceptum-conceptum: nihil est in intellectu quod
prius non fuerit in sensu. this is Grice on sense-datum. Grice feels that the
kettle is hot; Grice sees that the kettle is hot; Grice perceives that the
kettle is hot. WoW:251 uses this example. It may be argued that the use of
‘see’ is there NOT factive. Cf. “I feel hot but it’s not hot.” Grice modifies
the thing to read, “DIRECTLY PERCEIVING”: Grice only indirectly perceives that
the kettle is hot’ if what he is doing is ‘seeing’ that the kettle is hot. When
Grice sees that the kettle is hot, it is a ‘secondary’ usage of ‘see,’ because
it means that Grice perceives that the kettle has some visual property that
INDICATES the presence of hotness (Grice uses phi for the general formula). Cf.
sensum. Lewis and Short have “sentĭo,” which they render, aptly, as “to sense,” ‘to
discern by the senses; to feel, hear, see, etc.; to perceive, be sensible of
(syn. percipio).” Note that Price is also cited by
Grice in Personal identity. Grice: That pillar box seems red to me. The locus
classicus in the philosophical literature for Grices implicaturum. Grice
introduces a dout-or-denial condition for an utterance of a phenomenalist report
(That pillar-box seems red to me). Grice attacks neo-Wittgensteinian approaches
that regard the report as _false_. In a long excursus on implication, he
compares the phenomenalist report with utterances like He has beautiful
handwriting (He is hopeless at philosophy), a particularised conversational implicaturum;
My wife is in the kitchen or the garden (I have non-truth-functional grounds to
utter this), a generalised conversational implicaturum; She was poor but she
was honest (a Great-War witty (her poverty and her honesty contrast), a
conventional implicaturum; and Have you stopped beating your wife? an old
Oxonian conundrum. You have been beating your wife, cf. Smith has not ceased
from eating iron, a presupposition. More importantly, he considers different
tests for each concoction! Those for the conversational implicaturum will
become crucial: cancellability, calculability, non-detachability, and
indeterminacy. In the proceedings he plays with something like the principle of
conversational helpfulness, as having a basis on a view of conversation as
rational co-operation, and as giving the rationale to the implicaturum. Past
the excursus, and back to the issue of perception, he holds a conservative view
as presented by Price at Oxford. One interesting reprint of Grices essay is in
Daviss volume on Causal theories, since this is where it belongs! White’s
response is usually ignored, but shouldnt. White is an interesting Australian
philosopher at Oxford who is usually regarded as a practitioner of ordinary-language
philosophy. However, in his response, White hardly touches the issue of the implicaturum
with which Grice is primarily concerned. Grice found that a full reprint from
the PAS in a compilation also containing the James Harvard would be too repetitive.
Therefore, he omits the excursus on implication. However, the way Grice
re-formulates what that excursus covers is very interesting. There is the
conversational implicaturum, particularised (Smith has beautiful handwriting)
and generalised (My wife is in the kitchen or in the garden). Then there is the
præsuppositum, or presupposition (You havent stopped beating your wife).
Finally, there is the conventional implicaturum (She was poor, but she was
honest). Even at Oxford, Grices implicaturum goes, philosophers ‒ even Oxonian
philosophers ‒ use imply for all those different animals! Warnock had attended
Austins Sense and Sensibilia (not to be confused with Sense and Sensibility by
Austen), which Grice found boring, but Warnock didnt because Austin reviews his
"Berkeley." But Warnock, for obvious reasons, preferred
philosophical investigations with Grice. Warnock reminisces that Grice once
tells him, and not on a Saturday morning, either, How clever language is, for
they find that ordinary language does not need the concept of a visum. Grice
and Warnock spent lovely occasions exploring what Oxford has as the philosophy
of perception. While Grice later came to see philosophy of perception as a bit
or an offshoot of philosophical psychology, the philosophy of perception is
concerned with that treasured bit of the Oxonian philosophers lexicon, the
sense-datum, always in the singular! The cause involved is crucial. Grice plays
with an evolutionary justification of the material thing as the denotatum of a
perceptual judgement. If a material thing causes the sense-datum of a nut, that
is because the squarrel (or squirrel) will not be nourished by the sense datum
of the nut; only by the nut! There are many other items in the Grice Collection
that address the topic of perception – notably with Warnock, and criticizing
members of the Ryle group like Roxbee-Cox (on vision, cf. visa ‒ taste, and
perception, in general – And we should not forget that Grice contributed a
splendid essay on the distinction of the senses to Butlers Analytic philosophy,
which in a way, redeemed a rather old-fashioned discipline by shifting it to
the idiom of the day, the philosophy of perception: a retrospective, with
Warnock, the philosophy of perception, : perception, the philosophy of perception,
visum. Warnock was possibly the only philosopher at Oxford Grice felt
congenial enough to engage in different explorations in the so-called
philosophy of perception. Their joint adventures involved the disimplicaturum
of a visum. Grice later approached sense data in more evolutionary terms: a
material thing is to be vindicated transcendentally, in the sense that it is a
material thing (and not a sense datum or collection thereof) that nourishes a
creature like a human. Grice was particularly grateful to Warnock. By
reprinting the full symposium on “Causal theory” of perception in his
influential s. of Oxford Readings in Philosophy, Warnock had spread Grices lore
of implicaturum all over! In some parts of the draft he uses more on visa,
vision, vision, with Warnock, vision. Of the five senses, Grice and
Warnock are particularly interested in seeing. As Grice will put it later, see
is a factive. It presupposes the existence of the event reported after the
that-clause; a visum, however, as an intermediary between the material thing
and the perceiver does not seem necessary in ordinary discourse. Warnock will
reconsider Grices views too (On what is seen, in Sibley). While Grice uses
vision, he knows he is interested in Philosophers paradox concerning seeing,
notably Witters on seeing as, vision, taste and the philosophy of perception,
vision, seeing. As an Oxonian philosopher, Grice was of course more
interested in seeing than in vision. He said that Austin would criticise even
the use of things like sensation and volition, taste, The Grice Papers,
keyword: taste, the objects of the five senses, the philosophy of perception,
perception, the philosophy of perception; philosophy of perception, vision,
taste, perception. Mainly with Warnock. Warnock repr. Grice’s “Causal
theory” in his influential Reading in Philosophy, The philosophy of perception,
perception, with Warnock, with Warner; perception. Warnock learns about
perception much more from Grice than from Austin, taste, The philosophy of
perception, the philosophy of perception, notes with Warnock on visum, : visum,
Warnock, Grice, the philosophy of perception. Grice kept the lecture
notes to a view of publishing a retrospective. Warnock recalled Grice
saying, how clever language is! Grice took the offer by Harvard University
Press, and it was a good thing he repr. part of “Causal theory.” However, the
relevant bits for his theory of conversation as rational co-operation lie in
the excursus which he omitted. What is Grices implicaturum: that one should consider
the topic rather than the method here, being sense datum, and causation, rather
than conversational helpfulness. After all, That pillar box seems red to me,
does not sound very helpful. But the topic of Causal theory is central for his
view of conversation as rational co-operation. Why? P1 gets an
impression of danger as caused by the danger out there. He communicates the
danger to P1, causing in P2 some behaviour. Without
causation, or causal links, the very point of offering a theory of conversation
as rational co-operation seems minimized. On top, as a metaphysician, he was
also concerned with cause simpliciter. He was especially proud that Price’s
section on the casual theory of perception, from his Belief, had been repr.
along with his essay in the influential volume by Davis on “Causal theories.”
In “Actions and events,” Grice further explores cause now in connection with
Greek aitia. As Grice notes, the original usage of this very Grecian item is
the one we find in rebel without a cause, cause-to, rather than cause-because.
The two-movement nature of causing is reproduced in the conversational
exchange: a material thing causes a sense datum which causes an expression
which gets communicated, thus causing a psychological state which will cause a behaviour.
This causation is almost representational. A material thing or a situation
cannot govern our actions and behaviours, but a re-præsentatum of it might.
Govern our actions and behaviour is Grices correlate of what a team of
North-Oxfordshire cricketers can do for North-Oxfordshire: what North
Oxfordshire cannot do for herself, Namesly, engage in a game of cricket! In
Retrospective epilogue he casts doubts on the point of his causal approach. It
is a short paragraph that merits much exploration. Basically, Grice is saying
his causalist approach is hardly an established thesis. He also proposes a
similar serious objection to his view in Some remarks about the senses, the
other essay in the philosophy of perception in Studies. As he notes, both
engage with some fundamental questions in the philosophy of perception, which
is hardly the same thing as saying that they provide an answer to each
question! Grice: The issue with which I have been mainly concerned may be
thought rather a fine point, but it is certainly not an isolated one. There are
several philosophical theses or dicta which would I think need to be examined
in order to see whether or not they are sufficiently parallel to the thesis
which I have been discussing to be amenable to treatment of the same general
kind. Examples which occur to me are the following six. You cannot see a knife
‘as’ a knife, though you may see what is not a knife ‘as’ a knife (keyword:
‘seeing as’). When he said he ‘knew’ that the objects before him were human
hands, Moore was guilty of misusing ‘know.’ For an occurrence to be properly
said to have a ‘cause,’ it must be something abnormal or unusual (keyword:
‘cause’). For an action to be properly described as one for which the agent is
‘responsible,’ it must be the sort of action for which people are condemned
(keyword: responsibility). What is actual is not also possible (keyword:
actual). What is known by me to be the case is not also believed by me to be
the case (keyword: ‘know’ – cf. Urmson on ‘scalar set’). And cf. with the extra
examples he presents in “Prolegomena.” I have no doubt that there will be other
candidates besides the six which I have mentioned. I must emphasize that I am
not saying that all these examples are importantly similar to the thesis which
I have been criticizing, only that, for all I know, they may be. To put the
matter more generally, the position adopted by my objector seems to me to
involve a type of manoeuvre which is characteristic of more than one
contemporary mode of philosophizing. I am not condemning this kind of
manoeuvre. I am merely suggesting that to embark on it without due caution is
to risk collision with the facts. Before we rush ahead to exploit the
linguistic nuances which we have detectcd, we should make sure that we are reasonably
clear what sort of nuances they are. “Causal theory”, knowledge and belief,
knowledge, belief, philosophical psychology. Grice: the doxastic implicaturum.
I know only implicates I do not believe. The following is a mistake by a
philosopher. What is known by me to be the case is not also believed by me to
be the case. The topic had attracted the attention of some Oxonian philosophers
such as Urmson in Parenthetical verbs. Urmson speaks of a scale: I know can be
used parenthetically, as I believe can. For Grice, to utter I believe is
obviously to make a weaker conversational move than you would if you utter
I know. And in this case, an approach to informativeness in terms of entailment
is in order, seeing that I know entails I believe. A is thus allowed to infer
that the utterer is not in a position to make the stronger claim. The mechanism
is explained via his principle of conversational helpfulness. Philosophers tend
two over-use these two basic psychological states, attitudes, or stances. Grice
is concerned with Gettier-type cases, and also the factivity of know versus the
non-factivity of believe. Grice follows the lexicological innovations by
Hintikka: the logic of belief is doxastic; the logic of knowledge is epistemic.
The last thesis that Grice lists in Causal theory that he thinks rests on a big
mistake he formulates as: What is known by me to be the case is NOT also
believed by me to be the case. What are his attending remarks? Grice writes:
The issue with which I have been mainly concerned may be thought rather a fine
point, but it is certainly not an isolated one. There are several philosophical
theses or dicta which would I think need to be examined in order to see whether
or not they are sufficiently parallel to the thesis which I have been discussing
to be amenable to treatment of the same general kind. An example which occurs
to me is the following: What is known by me to be the case is not also believed
by me to be the case. I must emphasise that I am not saying that this example
is importantly similar to the thesis which I have been criticising, only that,
for all I know, it may be. To put the matter more generally, the position
adopted by my objector seems to me to involve a type of manoeuvre which is
characteristic of more than one contemporary mode of philosophizing. I am not
condemning this kind of manoeuvre. I am merely suggesting that to embark on it
without due caution is to risk collision with the facts. Before we rush ahead
to exploit the linguistic nuances which we have detected, we should make sure
that we are reasonably clear what SORT of nuances they are!
The ætiological implicaturum. Grice. For an occurrence to be properly said
to have a cause, it must be something abnormal or unusual. This is an example
Grice lists in Causal theory but not in Prolegomena. But cf. ‘responsible’ –
and Hart and Honoré on accusation -- accusare "call to account, make
complaint against," from ad causa, from “ad,” with regard to, as in ‘ad-’)
+ causa, a cause; a lawsuit,’ v. cause. For
an occurrence to be properly said to have a cause, it must be something
abnormal or unusual. Similar commentary to his example on
responsible/condemnable apply. The objector may stick with the fact that he is
only concerned with proper utterances. Surely Grice wants to go to a
pre-Humeian account of causation, possible Aristotelian, aetiologia. Where
everything has a cause, except, for Aristotle, God! What are his attending
remarks? Grice writes: The issue with which I have been mainly concerned may be
thought rather a fine point, but it is certainly not an isolated one. There are
several philosophical theses or dicta which would I think need to be examined
in order to see whether or not they are sufficiently parallel to the thesis
which I have been discussing to be amenable to treatment of the same general
kind. An example which occurs to me is the following: What is known by me to be
the case is not also believed by me to be the case. I must emphasise that I am
not saying that this example is importantly similar to the thesis which I have
been criticizing, only that, for all I know, it may be. To put the matter more
generally, the position adopted by my objector seems to me to involve a type of
manoeuvre which is characteristic of more than one contemporary mode of
philosophising. I am not condemning this kind of manoeuvre. I am merely
suggesting that to embark on it without due caution is to risk collision with
the facts. Before we rush ahead to exploit the linguistic nuances which we have
detected, we should make sure that we are reasonably clear what sort of nuances
they are! Causal theory, cause, causality, causation, conference, colloquium,
Stanford, cause, metaphysics, the abnormal/unusual implicaturum, ætiology,
ætiological implicaturum. Grice: the ætiological implicaturum. Grices
explorations on cause are very rich. He is concerned with some alleged misuse
of cause in ordinary language. If as Hume suggests, to cause is to will, one
would say that the decapitation of Charles I wills his death, which sounds
harsh, if not ungrammatical, too. Grice later relates cause to the Greek aitia,
as he should. He notes collocations like rebel without a cause. For the Greeks,
or Grecians, as he called them, and the Griceians, it is a cause to which one
should be involved in elucidating. A ‘cause to’ connects with the idea of
freedom. Grice was constantly aware of the threat of mechanism, and his idea
was to provide philosophical room for the idea of finality, which is not
mechanistically derivable. This leads him to discussion of overlap and priority
of, say, a physical-cum-physiological versus a psychological theory explaining
this or that piece of rational behaviour. Grice can be Wittgensteinian when
citing Anscombes translation: No psychological concept without the behaviour
the concept is brought to explain. It is best to place his later
treatment of cause with his earlier one in Causal theory. It is surprising
Grice does not apply his example of a mistake by a philosopher to the causal
bit of his causal theory. Grice states the philosophical mistake as follows:
For an occurrence to be properly said to have a cause, it must be something
abnormal or unusual. This is an example Grice lists in Causal theory but not in
Prolegomena. For an occurrence to be properly said to have a cause, it must be
something abnormal or unusual. A similar commentary to his example on
responsible/condemnable applies: The objector may stick with the fact that he
is only concerned with PROPER utterances. Surely Grice wants to embrace a
pre-Humeian account of causation, possible Aristotelian. Keyword: Aitiologia,
where everything has a cause, except, for Aristotle, God! What are his
attending remarks? Grice writes: The issue with which I have been mainly
concerned may be thought rather a fine point, but it is certainly not an
isolated one. There are several philosophical theses or dicta which would Grice
thinks need to be examined in order to see whether or not they are sufficiently
parallel to the thesis which Grice has been discussing to be amenable to treatment
of the same general kind. One example which occurs to Grice is the following:
For an occurrence to be properly said to have a cause, it must be something
abnormal or unusual. Grice feels he must emphasise that he is not saying that
this example is importantly similar to the thesis which I have been
criticizing, only that, for all I know, it may be. To put the matter more
generally, the position adopted by my objector seems to me to involve a type of
manoeuvre which is characteristic of more than one contemporary mode of
philosophizing. I am not condemning this kind of manoeuvre. I am merely
suggesting that to embark on it without due caution is to risk collision with
the facts. Before we rush ahead to exploit the linguistic nuances which we have
detected, we should make sure that we are reasonably clear what sort of nuances
they are! Re: responsibility/condemnation. Cf. Mabbott, Flew on punishment,
Philosophy. And also Hart. At Corpus, Grice enjoys his tutor Hardies
resourcefulness in the defence of what may be a difficult position, a
characteristic illustrated by an incident which Hardie himself once told Grice
about himself. Hardie had parked his car and gone to a cinema. Unfortunately,
Hardie had parked his car on top of one of the strips on the street by means of
which traffic-lights were, at the time, controlled by the passing traffic. As a
result, the lights are jammed, and it requires four policemen to lift Hardies
car off the strip. The police decides to prosecute. Grice indicated to Hardie
that this hardly surprised him and asked him how he fared. Oh, Hardie says, I
got off. Then Grice asks Hardie how on earth he managed that! Quite simply,
Hardie answers. I just invoked Mills method of difference. The police charged
me with causing an obstruction at 4 p.m. I told the police that, since my car
was parked at 2 p.m., it could not have been my car which caused the
obstruction at 4 p.m. This relates to an example in Causal theory that he Grice
does not discuss in Prolegomena, but which may relate to Hart, and closer to
Grice, to Mabbotts essay on Flew on punishment, in Philosophy. Grice states the
philosophical mistake as follows: For an action to be properly described as one
for which the agent is responsible, it must be thc sort of action for which
people are condemned. As applied to Hardie. Is Hardie irresponsible? In any
case, while condemnable, he was not! Grice writes: The issue with which I have
been mainly concerned may be thought rather a fine point, but it is certainly
not an isolated one. There are several philosophical theses or dicta which
would I think need to be examined in order to see whether or not they are
sufficiently parallel to the thesis which I have been discussing to be amenable
to treatment of the same general kind. An example which occurs to me is the
following: For an action to be properly described as one for which the agent is
responsible, it must be the sort of action for which people are condemned. I
must emphasise that I am not saying that this example is importantly similar to
the thesis which I have been criticizing, only that, for all I know, it may be.
To put the matter more generally, the position adopted by my objector seems to
me to involve a type of manoeuvre which is characteristic of more than one
contemporary mode of philosophizing. I am not condemning this kind of
manoeuvre. I am merely suggesting that to embark on it without due caution is
to risk collision with the facts. Before we rush ahead to exploit the
linguistic nuances which we have detected, we should make sure that we are
reasonably clear what sort of nuances they are. The modal example, what is
actual is not also possible, should discussed under Indicative conditonals,
Grice on Macbeth’s implicaturum: seeing a dagger as a dagger. Grice elaborates
on this in Prolegomena, but the austerity of Causal theory is charming, since
he does not give a quote or source. Obviously, Witters. Grice writes: Witters
might say that one cannot see a knife as a knife, though one may see what is
not a knife as a knife. The issue, Grice notes, with which I have been mainly
concerned may be thought rather a fine point, but it is certainly not an
isolated one. There are several philosophical theses or dicta which would I
think need to be examined in order to see whether or not they are sufficiently
parallel to the thesis which I have been discussing to be amenable to treatment
of the same general kind. An example which occurs to Grice is the following:
You cannot see a knife as a knife, though you may see what is not a knife as a
knife. Grice feels that he must emphasise that he is not saying that this
example is importantly similar to the thesis which I have been criticizing,
only that, for all I know, it may be. To put the matter more generally, the
position adopted by my objector seems to me to involve a type of manoeuvre
which is characteristic of more than one contemporary mode of philosophizing. I
am not condemning this kind of manoeuvre. I am merely suggesting that to embark
on it without due caution is to risk collision with the facts. Before we rush
ahead to exploit the linguistic nuances which we have detected, we should make
sure that we are reasonably clear what sort of nuances they are! Is this a
dagger which I see before me, the handle toward my hand? Come, let me clutch thee.
I have thee not, and yet I see thee still. Art thou not, fatal vision, sensible
to feeling as to sight? or art thou but A dagger of the mind, a false creation,
Proceeding from the heat-oppressed brain? I see thee yet, in form as palpable
as this which now I draw. Thou marshallst me the way that I was going; and such
an instrument I was to use. Mine eyes are made the fools o the other senses, Or
else worth all the rest; I see thee still, and on thy blade and dudgeon gouts
of blood, which was not so before. Theres no such thing: It is the bloody
business which informs Thus to mine eyes. Now oer the one halfworld Nature
seems dead, and wicked dreams abuse The curtaind sleep; witchcraft celebrates
Pale Hecates offerings, and witherd murder, Alarumd by his sentinel, the wolf,
Whose howls his watch, thus with his stealthy pace. With Tarquins
ravishing strides, towards his design Moves like a ghost. Thou sure and
firm-set earth, Hear not my steps, which way they walk, for fear Thy very
stones prate of my whereabout, And take the present horror from the time, Which
now suits with it. Whiles I threat, he lives: Words to the heat of deeds too
cold breath gives. I go, and it is done; the bell invites me. Hear it not,
Duncan; for it is a knell that summons thee to heaven or to hell. The Moore
example is used both in “Causal theory” and “Prolegomena.” But the use in
“Causal Theory” is more austere: Philosophers mistake: Malcolm: When Moore said
he knew that the objects before him were human hands, he was guilty of misusing
the word know. Grice writes: The issue with which I have been mainly concerned
may be thought rather a fine point, but it is certainly not an isolated one.
There are several philosophical theses or dicta which would I think need to be
examined in order to see whether or not they are sufficiently parallel to the
thesis which I have been discussing to be amenable to treatment of the same
general kind. An example which occurs to me is the following: When Moore said
he knew that the objects before him were human hands, he was guilty of misusing
the word know. I must emphasise that I am not saying that this example is
importantly similar to the thesis which I have been criticizing, only that, for
all I know, it may be. To put the matter more generally, the position adopted
by my objector seems to me to involve a type of manoeuvre which is
characteristic of more than one contemporary mode of philosophizing. I am not
condemning this kind of manoeuvre. Grice is merely suggesting that to embark on
it without due caution is to risk collision with the facts. Before we rush
ahead to exploit the linguistic nuances which we have detected, we should make
sure that we are reasonably clear what sort of nuances they are! So surely
Grice is meaning: I know that the objects before me are human hands as uttered
by Moore is possibly true. Grice was amused by the fact that while at Madison,
Wisc., Moore gave the example: I know that behind those curtains there is a
window. Actually he was wrong, as he soon realised when the educated
Madisonians corrected him with a roar of unanimous laughter. You see, the
lecture hall of the University of Wisconsin at Madison is a rather, shall we
say, striking space. The architect designed the lecture hall with a parapet
running around the wall just below the ceiling, cleverly rigged with indirect
lighting to create the illusion that sun light is pouring in through windows
from outside. So, Moore comes to give a lecture one sunny day. Attracted as he
was to this eccentric architectural detail, Moore gives an illustration of
certainty as attached to common sense. Pointing to the space below the ceiling,
Moore utters. We know more things than we think we know. I know, for example,
that the sunlight shining in from outside proves At which point he was somewhat startled (in
his reserved Irish-English sort of way) when his audience burst out laughing!
Is that a proof of anything? Grice is especially concerned with I seem He needs
a paradeigmatic sense-datum utterance, and intentionalist as he was, he finds
it in I seem to see a red pillar box before me. He is relying on Paul. Grice
would generalise a sense datum by φ I seem to perceive that the alpha is phi.
He agrees that while cause may be too much, any sentence using because will do:
At a circus: You seem to be seeing that an elephant is coming down the street
because an elephant is coming down the street. Grice found the causalist theory
of perception particularly attractive since its objection commits one same
mistake twice: he mischaracterises the cancellable implicaturum of both seem
and cause! While Grice is approaching the philosophical item in the
philosophical lexicon, perceptio, he is at this stage more interested in
vernacular that- clauses such as sensing that, or even more vernacular ones like
seeming that, if not seeing that! This is of course philosophical (cf.
aesthetikos vs. noetikos). L and S have “perceptĭo,” f. perceptio, as used by
Cicero (Ac. 2, 7, 22) translating catalepsis, and which they render as “a
taking, receiving; a gathering in, collecting;’ frugum fruetuumque reliquorum,
Cic. Off. 2, 3, 12: fructuum;’ also as perception, comprehension, cf.: notio,
cognition; animi perceptiones, notions, ideas; cognitio aut perceptio, aut si
verbum e verbo volumus comprehensio, quam κατάληψιν illi vocant; in philosophy,
direct apprehension of an object by the mind, Zeno Stoic.1.20, Luc. Par. 4,
al.; τῶν μετεώρων;” ἀκριβὴς κ. Certainty; pl., perceptions, Stoic.2.30, Luc.
Herm.81, etc.; introduced into Latin by Cicero, Plu. Cic. 40. As for “causa”
Grice is even more sure he was exploring a time-honoured philosophical topic.
The entry in L and S is “causa,’ perh. root “cav-“ of “caveo,” prop. that which
is defended or protected; cf. “cura,” and that they render as, unhelpfully, as
“cause,” “that by, on account of, or through which any thing takes place or is
done;” “a cause, reason, motive, inducement;” also, in gen., an occasion,
opportunity; oeffectis; factis, syn.
with ratio, principium, fons, origo, caput; excusatio, defensio; judicium,
controversia, lis; partes, actio; condicio, negotium, commodum, al.);
correlated to aition, or aitia, cause, δι᾽ ἣν αἰτίην ἐπολέμησαν,” cf. Pl. Ti.
68e, Phd. 97a sq.; on the four causes of Arist. v. Ph. 194b16, Metaph. 983a26:
αἰ. τοῦ γενέσθαι or γεγονέναι Pl. Phd. 97a; τοῦ μεγίστου ἀγαθοῦ τῇ πόλει αἰτία
ἡ κοινωνία Id. R. 464b: αἰτίᾳ for the sake of, κοινοῦ τινος ἀγαθοῦ.” Then there
is “αἴτιον” (cf. ‘αἴτιος’) is used like “αἰτία” in the sense of cause, not in
that of ‘accusation.’ Grice goes back to perception at a later stage,
reminiscing on his joint endeavours with akin Warnock, Ps karulise elatically,
potching and cotching obbles, Pirotese, Pirotese, creature construction,
philosophical psychology. Grice was fascinated by Carnaps Ps which
karulise elatically. Grice adds potching for something like perceiving and
cotching for something like cognising. With his essay Some remarks about
the senses, Grice introduces the question by which criterion we
distinguish our five senses into the contemporary philosophy of perception. The
literature concerning this question is not very numerous but the discussion is
still alive and was lately inspired by the volume The Senses2. There are four
acknowledged possible answers to the question how we distinguish the senses,
all of them already stated by Grice. First, the senses are distinguished by the
properties we perceive by them. Second, the senses are distinguished by the
phenomenal qualities of the perception itself or as Grice puts it “by the
special introspectible character of the experiences” Third, the senses are
distinguished by the physical stimuli that are responsible for the relevant
perceptions. Fourth, The senses are distinguished by the sense-organs that are
(causally) involved in the production of the relevant perceptions. Most
contributions discussing this issue reject the third and fourth answers in a
very short argumentation. Nearly all philosophers writing on the topic vote
either for the first or the second answer. Accordingly, most part of the debate
regarding the initial question takes the form of a dispute between these two
positions. Or” was a big thing in Oxford philosophy. The only known
published work of Wood, our philosophy tutor at Christ Church, was an essay in
Mind, the philosophers journal, entitled “Alternative Uses of “Or” ”, a work
which was every bit as indeterminate as its title. Several years later he
published another paper, this time for the Aristotelian Society, entitled On
being forced to a conclusion. Cf. Grice and Wood on the demands of
conversational reason. Wood, The force of linguistic rules. Wood, on the implicaturum
of or in review in Mind of Connor, Logic. The five senses, as Urmson notes, are
to see that the sun is shining, to hear that the car collided, to feel that her
pulse is beating, to smell that something has been smoking and to taste that.
An interesting piece in that it was commissioned by Butler, who knew Grice from
his Oxford days. Grice cites Wood and Albritton. Grice is concerned with a
special topic in the philosophy of perception, notably the identification of
the traditional five senses: vision, audition, taste, smell, and tact. He
introduces what is regarded in the philosophical literature as the first
thought-experiment, in terms of the senses that Martians may have. They have
two pairs of eyes: are we going to allow that they see with both pairs? Grice
introduces a sub-division of seeing: a Martian x-s an object with his upper
pair of eyes, but he y-s an object with the lower pair of eyes. In his
exploration, he takes a realist stance, which respects the ordinary discursive
ways to approach issues of perception. A second interesting point is that in
allowing this to be repr. in Butlers Analytic philosophy, Grice is
demonstrating that analytic philosophers should NOT be obsessed with ordinary
language. Butlers compilation, a rather dry one, is meant as a response to the
more linguistic oriented ones by Flew (Grices first tutee at St. Johns, as it
happens), also published by Blackwell, and containing pieces by Austin, and
company. One philosopher who took Grice very seriously on this was Coady, in
his The senses of the Martians. Grice provides a serious objection to his own
essay in Retrospective epilogue We see with our eyes. I.e. eye is
teleologically defined. He notes that his way of distinguishing the senses is
hardly an established thesis. Grice actually advances this topic in his earlier
Causal theory. Grice sees nothing absurd in the idea that a non-specialist
concept should contain, so to speak, a blank space to be filled in by the
specialist; that this is so, e.g., in the case of the concept of seeing is
perhaps indicated by the consideration that if we were in doubt about the
correctness of speaking of a certain creature with peculiar sense-organs as
seeing objects, we might well wish to hear from a specialist a comparative
account of the human eye and the relevant sense-organs of the creature in
question. He returns to the point in Retrospective epilogue with a bit of
doxastic humility, We see with our eyes is analytic ‒ but
philosophers should take that more seriously. Grice tested the playmates
of his children, aged 7 and 9, with Nothing can be green and red all
over. Instead, Morley Bunker preferred
philosophy undergrads. Aint that boring? To give examples:
Summer follows Spring was judged analytic by Morley-Bunkers informants, as
cited by Sampson, in Making sense (Clarendon) by highly significant majorities
in each group of Subjectss, while We see with our eyes was given near-even
split votes by each group. Over all, the philosophers were somewhat more
consistent with each other than the non-philosophers. But that global finding
conceals results for individual sentences that sometimes manifested the
opposed tendency. Thus, Thunderstorms are electrical disturbances in the
atmosphere is judged analytic by a highly significant majority of the
non-philosophers, while a non-significant majority of the philosophers deemed
it non-analytic or synthetic. In this case, it seems, philosophical training,
surely not brain-washing, induces the realisation that well-established results
of contemporary science are not necessary truths. In other cases, conversely,
cliches of current philosophical education impose their own mental blinkers on
those who undergo it: Nothing can be completely red and green all over is
judged analytic by a significant majority of philosophers but only by a
non-significant majority of non-philosophers. All in all, the results argue
strongly against the notion that our inability to decide consistently whether
or not some statement is a necessary truth derives from lack of skill in
articulating our underlying knowledge of the rules of our language. Rather, the
inability comes from the fact that the question as posed is unreal. We choose
to treat a given statement as open to question or as unchallengeable in the
light of the overall structure of beliefs which we have individually
evolved in order to make sense of our individual experience. Even the cases
which seem clearly analytic or synthetic are cases which individuals judge
alike because the relevant experiences are shared by the whole community, but even
for such cases one can invent hypothetical or suppositional future experiences
which, if they should be realised, would cause us to revise our judgements.
This is not intended to call into question the special status of the truths of
logic, such as either Either it is raining or it is not. He is of course
inclined to accept the traditional view according to which logical particles
such as not and or are distinct from the bulk of the vocabulary in that the
former really are governed by clear-cut inference rules. Grice does expand
on the point. Refs.: Under sense-datum, there are groups of essays. The obvious
ones are the two essays on the philosophy of perception in WOW. A second group
relates to his research with G. J. Warnock, where the keywords are ‘vision,’
‘taste,’ and ‘perception,’ in general. There is a more recent group with this
research with R. Warner. ‘Visum’ and ‘visa’ are good keywords, and cf. the use
of ‘senses’ in “Some remarks about the senses,” in BANC.Philo: Grice’s
favourite philosopher, after Ariskant. The [Greek: protos logos anapodeiktos]
of the Stoic logic ran thus [Greek: ei hemera esti, phos estin ... alla men
hemera estin phos ara estin] (Sext. _P.H._ II. 157, and other passages qu.
Zeller 114). This bears a semblance of inference and isnot so utterly tautological as Cic.'s translation, which
merges [Greek: phos] and [Greek: hemera] into one word, or that of Zeller (114,
note). Si
dies est lucet: a better trans of
Greek: ei phos estin, hemera estin] than was given in 96, where see n. _Aliter
Philoni_: not Philo of Larissa, but a noted dialectician, pupil of Diodorus the
Megarian, mentioned also in 75. The dispute between Diodorus and Philo is
mentioned in Sext. _A.M._ VIII. 115--117 with the same purpose as here, see
also Zeller 39. Conexi = Gr. “synemmenon,” cf. Zeller 109. This was the proper
term for the hypothetical judgment. _Superius_: the Greek: synemmenon consists
of two parts, the hypothetical part and the affirmative--called in Greek
[Greek: hegoumenon] and [Greek: legon]; if one is admitted the other follows of
course.Philo's criterion for the truth of “if p, q” is truth-functional. Philo’s
truth-functional criterion is generally accepted as a minimal condition.Philo
maintains that “If Smith is in London, he, viz. Smith, is attending the meeting
there, viz. in London” is true (i) when the antecedens (“Smith is in London”)
is true and the consequens (“Smith is in London at a meeting”) is true (row 1)
and (ii) when the antecedent is false (rows 3 and 4); false only when the antecedens
(“Smith is in London”) is true and the consequens (“Smith is in London, at a
meeting”) is false. (Sext. Emp., A.
M., 2.113-114). Philo’s “if p, q” is what Whitehead and Russell call,
misleadingly, ‘material’ implication, for it’s neither an implication, nor
materia.In “The Influence of Grice on Philo,” Shropshire puts forward the
thesis that Philo was aware of Griceian ideas on relative identity,
particularly time-relative identity. Accordingly, Philo uses subscript for
temporal indexes. Once famous discussion took place one long winter night.“If it
is day, it is night.”“False!” Diodorus screamed.“True,” his tutee Philo
courteously responded. “But true at night only.”Philo's suggestion is
remarkable – although not that remarkable if we assume he read the now lost
Griceian tract.Philo’s “if,” like Grice’s “if,” – on a bad day -- deviates
noticeably from what Austin (and indeed, Austen) used to refer to as ‘ordinary’
language.As Philo rotundly says: “The Griceian ‘if’ requires abstraction on the
basis of a concept of truth-functionality – and not all tutees will succeed in
GETTING that.” The hint was on Strawson.Philo's ‘if’ has been criticised on two
counts. First, as with Whitehead’s and Russell’s equally odd ‘if,’ – which they
symbolise with an ‘inverted’ C, to irritate Johnson, -- “They think ‘c’ stands
for either ‘consequentia’ or ‘contentum’ -- in the case of material
implication, for the truth of the conditional no connection (or better, Kant’s
relation) of content between antecedent and consequent is required. Uttered or
emitted during the day, e. g. ‘If virtue
benefits, it is day’ is Philonianly true. This introduces a variant of the
so-called ‘paradoxes’ of material implication (Relevance Logic, Conditionals 2.3;
also, English Oxonian philosopher Lemmon 59-60, 82). This or that ancient
philosopher was aware of what he thought was a ‘problem’ for Philo’s ‘if.’
Vide: SE, ibid. 113-117). On
a second count, due to the time-dependency or relativity of the ‘Hellenistic’ ‘proposition,’
Philo's truth-functional criterion implies that ‘if p, q’ changes its truth-value
over time, which amuses Grice, but makes Strawson sick. In Philo’s infamous
metalinguistic disquotational version that Grice finds genial:‘If it is day, it
is night’ is true if it is night, but false if it is day. This is
counter-intuitive in Strawson’s “London,” urban, idiolect (Grice is from the
Heart of England) as regards an utterance in ‘ordinary-language’ involving
‘if.’“We are not THAT otiose at busy London!On a third count, as the concept of
“if” (‘doubt’ in Frisian) also meant to provide for consequentia between from a
premise to a conclusio, this leads to the “rather” problematic result –
Aquinas, S. T. ix. 34) that an ‘argumentum,’ as Boethius calls it, can in
principle change from being valid to being invalid and vice versa, which did
not please the Saint Thomas (Aquinas), “or God, matter of fact.”From Sextus: A.
M., 2.113ffA non-simple proposition is such composed of a duplicated
proposition or of this or that differing proposition. A complex proposition is
controlled by this or that conjunction. 109. Of
these let us take the hypo-thetical proposition, so-called. This, then, is
composed of a duplicated proposition or of differing propositions, by means of
the conjunction “if” (Gr. ‘ei,’ L. ‘si’, German ‘ob’). Thus, e. g. from a
duplicated proposition and the conjunction “if” (Gr. ‘ei,’ L. ‘si,’ G.
‘ob’) there is composed such a hypothetical proposition as this. “If it is day,
it is day’ (110) and from differing
propositions, and by means of the conjunction “if” , one in this
form, “If it is day, it is light.” “Si dies est, lucet.” And of the two propositions
contained in the hypo-thetical proposition, or subordinating clause that which
is placed immediately AFTER the conjunction or subordinating particle “if”
is called “ante-cedent,” or “first;” and ‘if’ being ‘noncommutative,’ and
the other one “consequent” or “second,” EVEN if the whole proposition
is reversed IN ORDER OF EXPRESSION – this is a conceptual issue, not a
grammatical one! -- as thus — “It is light, if it is day.” For in this,
too, the proposition, “It is light,” (lucet) is called consequent although
it is UTTERED first, and ‘It is day’ antecedent, although it is UTTERED second,
owing to the fact that it is placed after the conjunction or subordinating
particle “if.” 111. Such
then is the construction of the hypothetical proposition, and a proposition of
this kind seems to “promise” (or suggest, or implicate) that the ‘consequent’
(or super-ordinated or main proposition) logically follows the ‘antecedens,’ or
sub-ordinated proposition. If the antecedens is true, the consequens is true.
Hence, if this sort of “promise,” suggestio, implicaturum, or what have you, is
fulfilled and the consequens follows the antecedent, the hypothetical
proposition is true. If the promise is not fulfilled, it is false (This is
something Strawson grants as a complication in the sentence exactly after the
passage that Grice extracts – Let’s revise Strawson’s exact wording. Strawson
writes:“There is much more to be noted about ‘if.’ In particular, about whether
the antecedens has to be a ‘GOOD’ antecedens, i. e. a ‘good’ ground – not
inadmissible evidence, say -- or good reason for accepting the consequens, and
whether THIS is a necessary condition for the whole ‘if’ utterance to be TRUE.’
Surely not for Philo. Philo’s criterion is that an ‘if’ utterance is true iff it
is NOT the case that the antecedens is true and it is not the case that the
consequens is true. 112. Accordingly,
let us begin at once with this problem, and consider whether any hypothetical
proposition can be found which is true and which fulfills the promise or
suggestio or implicaturum described. Now all philosophers agree that a hypothetical
proposition is true when the consequent follows the antecedent. As to when the
consequens follows from the antecedens philosophers such as Grice and his tutee
Strawson disagree with one another and propound conflicting criteria. 113. Philo and Grice
declares that the ‘if’ utterance is true whenever it is not the case that
the antecedens (“Smith is in London”) is true and it is not the case that the
consequens (“Smith is in London attending a meeting”) is true. So that,
according to Grice and Philo (vide, “The influence of Grice on Philo”), the
hypothetical is true in three ways or rows (row 1, row 3, and row 4) and false
in one way or row (second row, antecedens T and consequence F). For the first
row, whenever the ‘if’ utterance begins with truth and ends in truth it is
true. E. g. “If it is day, it is light.” “Si dies est, lux est.”For row 4: the
‘if’ utterance is also true whenever the antecedens is false and the consequens
is false. E. g. “If the earth flies, the earth has wings.” ει
πέταται ή γή, πτέρυγας έχει
ή γή (“ei petatai he ge, pteguras ekhei
he ge”) (Si terra volat, habet alas.”)114. Likewise
also that which begins with what is false and ends with what is true is true,
as thus — If the earth flies, the earth exists. “Si terra volat, est
terra”. dialecticis,
in quibus ſubtilitatem nimiam laudando, niſi fallimur, tradu xit Callimachus. 2
Cujus I. ſpecimen nobis fervavit se XTVS EMPI . RIC V S , a qui de Diodori,
Philonis & Chryſippi diſſenſu circa propofi tiones connexas prolixe
diſſerit. Id quod paucis ita comprehendit ci . CERO : 6 In hoc ipfo , quod in
elementis dialectici docent, quomodo judi care oporteat, verum falſumne fit ,
fi quid ita connexum eſt , ut hoc: fi dies eft, lucet, quanta contentio eft,
aliter Diodoro, aliter Philoni, Chry fappo aliter placet. Quæ ut clarius
intelligantur, obſervandum eſt, Dia lecticos in propofitionum conditionatarum ,
quas connexas vocabant, explicatione in eo convenisse, verum esse consequens,
si id vera consequentia deducatur ex antecedente; falsum, si non ſequatur; in
criterio vero , ex quo dijudicanda est consequentiæ veritas, definiendo inter
se diſſenſiſſe. Et Philo quidem veram esse propoſitionem connexam putabat, fi
& antecedens & consequens verum esset , & ſi antecedens atque
conſequens falsum eſſet, & fi a falſo incipiens in verum defineret, cujus
primi exemplum eſt : “Si dies est, lux est,” secondi. “Si terra volat, habet
alas.” Tertii. “Si terra volat, est terra.” Solum vero falsum , quando
incipiens a vero defineret in falſum . Diodorus autem hoc falſum interdum eſſe,
quod contingere pof ſet, afferens, omne quod contigit , ex confequentiæ
complexu removit , ficque, quod juxta Philonem verum eft, fi dies eſt, ego
diſſero, falſum eſſe pronunciavit, quoniam contingere poffit, ut quis, ſi dies
fit, non differat, ſed fileat. Ex qua Dialecticorum diſceptatione Sextus
infert, incertum eſſe criterium propoſitionum hypotheticarum . Ex quibus parca
, ut de bet, manu prolatis, judicium fieri poteſt , quam miſeranda facies
fuerit shia lecticæ eriſticæ , quæ ad materiam magis argumentorum , quam ad
formam - & ad verba magis, quam ideas, quæ ratiocinia conſtituunt
refpiciens, non potuit non innumeras ſine modo & ratione technias &
difficultates ftruere, facile fumi inſtar diſſipandas, fi ad ipſam ratiocinandi
& ideas inter ſe con ferendi & ex tertia judicandi formam attendatur.
Quod fi enim inter ve ritate conſequentiæ & confequentis, ( liceat
pauliſper cum ſcholaſticis barbare loqui diſtinxiffent, inanis diſputatio in
pulverem abiiffet, & eva nuiſſet; nam de prima Diodorus, de altera Philo ,
& hic quidem inepte & minus accurate loquebatur. Sed hæc ws šv zapóów .
Ceterum II. in fo phiſma t) Coutra Gramm . S.309.Log. I. II.S. 115.Seqq. )
Catalogum Diodororum ſatis longum exhi # Nominateas CLEM . ALE X. Strom . I. IV
. ber FABRIC. Bibl.Gr. vol. II. p . 775. pag. 522. % ) Cujusverſus vide apud
LAERT. & SEXT. * Contra Iovinian . I. I. conf. MENAG. ad l. c. H . cc.
Laërt . & Hiſt. phil. mal. Ø . 60 . ubi tamen quatuor A ) Adv. Logic. I. c
. noininat, cum quinque fuerint. b ) Acad. 29. I. IV . 6. 47. DE SECTAM E
GARICA phiſinatibus ftruendis Diodorum excelluiffe, non id folum argumentum
eft, nuod is quibusdam auctor argumenti, quod velatum dicitur , fuifle aflera
tur, fed & quod argumentum dominans invexerit, de quo, ne his nugis lectori
moleſti fimus, Epictetum apud ARRIANVM conſuli velimus. Er ad hæc quoque
Dialecticæ peritiæ acumina referendum eſt argumentum , quo nihilmoveri
probabat. Quod ita sexTvs enarrat: Si quid move tur, aut in eo , in quo eft ,
loco movetur, aut in eo , in quo non eſt. At neque in quo eſt movetur, manet
enim in eo , fi in eo eft ; nec vero , in quo non eſt,movetur; ubi enim aliquid
non eſt, ibi neque agere quidquam ne que pati poteft. Non ergo movetur quicquam
. Quo argumento non ideo ufus eſt Diodorus, quod putat Sextus, ut more
Eleaticorum probaret : non darimotum in rerum natura, & nec interire
quicquam nec oriri ; fed ut ſubtilitatem ingenii dialecticam oftenderet,
verbisque circumveniret. Qua ratione Diodorum mire depexum dedit
Herophilusmedicus. Cum enim luxato humero ad eum veniffet Diodorus, ut ipſum
curaret , facete eum irriſit, eodem argumento probando humerum non excidiffe :
adeo ut precaretur fophifta , omiffis iis cavillationibus adhiberet ei
congruens ex artemedica remedium . f . . Tandem & III . inter atomiſticæ p
hiloſophiæ ſectatores numerari folet Diodorus, eo quod énocy iso xei dueen
CÁMata minima & indiviſibilia cor pora Itatuerit,numero infinita ,
magnitudine finita , ut ex veteribus afferunt præter SEXTVM , & EVSEBIVŠ, \
CHALCIDIVS, ISTOBAEVS k alii , quibus ex recentioribus concinunt cvDWORTHVS 1
& FABRICIV'S. * Quia vero veteres non addunt, an indiviſibilia & minima
ifta corpuſcula , omnibus qualitatibus præter figuram & fitum fpoliata
poſuerit, fine formi dine oppoſiti inter ſyſtematis atomiſtici fectatores numerari
non poteſt. Nam alii quoque philoſophi ejusmodi infecabilia corpuſcula
admiſerunt ; nec tamen atomos Democriticos ſtatuerunt. "Id quod acute
monuit cel. MOSHEMIV S . n . irAnd it is
false only in this one way, when it begins with truth and ends in what is
false, as in a proposition of this kind. “If it is day, it is night.” “Si dies
est, nox est”. (Cf. Cole Porter, “Night
and day, day and night!”.For if it IS day, the clause ‘It is day’ is
true, and this is the antecedent, but the clause ‘It is night,’ which is the
consequens, is false. But when uttered at night, it is true. 115. — But Diodorus asserts
that the hypothetical proposition is true which neither admitted nor
admits of beginning with truth and ending in falsehood. And this is in
conflict with the statement of Philo. For a hypothetical of this kind — If
it is day, I am conversing, when at the present moment it is day and I am
conversing, is true according to Philo since it begins with the true
clause It is day and ends with the true I am conversing; but according
to Diodorus it is false, for it admits of beginning with a clause that is, at
one time, true and ending in the false clause I am conversing, when I
have ceased speaking; also it admitted of beginning with truth and ending with
the falsehood I am conversing, 116. for
before I began to converse it began with the truth It is day and
ended in the falsehood I am conversing. Again, a proposition in this
form — If it is night, I am conversing, when it is day and I am
silent, is likewise true according to Philo, for it begins with what is false
and ends in what is false; but according to Diodorus it is false, for it admits
of beginning with truth and ending in falsehood, after night has come on, and
when I, again, am not conversing but keeping silence. 117. Moreover, the
proposition If it is night, it is day, when it is day, is true
according to Philo for the reason that it begins with the false It is
night and ends in the true It is day; but according to Diodorus it is
false for the reason that it admits of beginning, when night comes on, with the
truth It is night and ending in the falsehood It is day.Philo is
sometimes called ‘Philo of Megara,’ where ‘of’ is used alla Nancy Mitford, of
Chatworth. Although no essay by Philo is preserved (if he wrote it), there are
a number of reports of his doctrine, not all positive!Some think Philo made a
groundbreaking contribution to the development of semantics (influencing
Peirce, but then Peirce was influenced by the World in its totality), in
particular to the philosophy of “as if” (als ob), or “if.”A conditional (sunêmmenon), as Philo calls it, is a
non-simple, i. e. molecular, non atomic, proposition composed of two
propositions, a main, or better super-ordinated proposition, or consequens, and
a sub-ordinated proposition, the antecedens, and the subordinator ‘if’. Philo
invented (possibly influenced by Frege) what he (Frege, not Philo) calls
truth-functionality.Philo puts forward a criterion of truth as he called what
Witters will have as a ‘truth table’ for ‘if’ (or ‘ob,’ cognate with Frisian
gif, doubt).A conditional is is true in three truth-value combinations, and
false when and only when its antecedent is true and
its consequent is false.The Philonian ‘if’ Whitehead and Russell re-labelled
‘material’ implication – irritating Johnson who published a letter in The
Times, “… and dealing with the paradox of implication.”For Philo, like Grice, a
proposition is a function of time that can have different truth-values at
different times—it may change its truth-value over time. In Philo’s
disquotational formula for ‘if’:“If it is day, ‘if it is day, it is night’ is
false; if it is night, ‘if it is day, it is night’ is true.”(Tarski translated
to Polish, in which language Grice read it).Philo’s ramblings on ‘if’ lead to
foreshadows of Whitehead’s and Russell’s ‘paradox of implication’ that
infuriated Johnson – In Russell’s response in the Times, he makes it plain:
“Johnson shouldn’t be using ‘paradox’ in the singular. Yours, etc. Baron
Russell, Belgravia.”Sextus Empiricus [S. E.] M. 8.109–117, gives a precis of Johnson’s paradox of
implication, without crediting Johnson. Philo and Diodorus each considered the
four modalities possibility, impossibility, necessity and non-necessity. These
were conceived of as modal properties or modal values of propositions, not as
modal operators. Philo defined them as follows: ‘Possible is that which is
capable of being true by the proposition’s own nature … necessary is that which
is true, and which, as far as it is in itself, is not capable of being false.
Non-necessary is that which as far as it is in itself, is capable of being
false, and impossible is that which by its own nature is not capable of being
true.’ Boethius fell in love with Philo, and he SAID it! (In Arist. De Int., sec. ed., 234–235
Meiser).Cf. (Epict. Diss.
II.19). Aristotle’s De
Interpretatione 9 (Aulus
Gellius 11.12.2–3). Grice: “Vision was always held by philosophers to be the
superior sense.” Grice:
“Perception is, strictly, the extraction and use of information about one’s
environment exteroception and one’s own body interoception. “ he various
external senses sight, hearing, touch,
smell, and taste though they overlap to
some extent, are distinguished by the kind of information e.g., about light,
sound, temperature, pressure they deliver. Proprioception, perception of the
self, concerns stimuli arising within, and carrying information about, one’s
own body e.g., acceleration, position,
and orientation of the limbs. There are distinguishable stages in the
extraction and use of sensory information, one an earlier stage corresponding
to our perception of objects and events, the other, a later stage, to the
perception of facts about these objects. We see, e.g., both the cat on the sofa
an object and that the cat is on the sofa a fact. Seeing an object or
event a cat on the sofa, a person on the
street, or a vehicle’s movement does not
require that the object event be identified or recognized in any particular way
perhaps, though this is controversial, in any way whatsoever. One can, e.g.,
see a cat on the sofa and mistake it for a rumpled sweater. Airplane lights are
often misidentified as stars, and one can see the movement of an object either
as the movement of oneself or under some viewing conditions as expansion or contraction.
Seeing objects and events is, in this sense, non-epistemic: one can see O
without knowing or believing that it is O that one is seeing. Seeing facts, on
the other hand, is epistemic; one cannot see that there is a cat on the sofa
without, thereby, coming to know that there is a cat on the sofa. Seeing a fact
is coming to know the fact in some visual way. One can see objects the fly in one’s soup, e.g., without realizing that there is a fly in
one’s soup thinking, perhaps, it is a bean or a crouton; but to see a fact, the
fact that there is a fly in one’s soup is, necessarily, to know it is a fly.
This distinction applies to the other sense modalities as well. One can hear
the telephone ringing without realizing that it is the telephone perhaps it’s
the TV or the doorbell, but to hear a fact, that it is the telephone that is
ringing, is, of necessity, to know that it is the telephone that is ringing.
The other ways we have of describing what we perceive are primarily variations
on these two fundamental themes. In seeing where he went, when he left, who
went with him, and how he was dressed, e.g., we are describing the perception
of some fact of a certain sort without revealing exactly which fact it is. If
Martha saw where he went, then Martha saw hence, came to know some fact having
to do with where he went, some fact of the form ‘he went there’. In speaking of
states and conditions the condition of his room, her injury, and properties the
color of his tie, the height of the building, we sometimes, as in the case of
objects, mean to be describing a non-epistemic perceptual act, one that carries
no implications for what if anything is known. In other cases, as with facts,
we mean to be describing the acquisition of some piece of knowledge. One can see
or hear a word without recognizing it as a word it might be in a foreign
language, but can one see a misprint and not know it is a misprint? It
obviously depends on what one uses ‘misprint’ to refer to: an object a word
that is misprinted or a fact the fact that it is misprinted. In examining and
evaluating theories whether philosophical or psychological of perception it is
essential to distinguish fact perception from object perception. For a theory
might be a plausible theory about the perception of objects e.g., psychological
theories of “early vision” but not at all plausible about our perception of
facts. Fact perception, involving, as it does, knowledge and, hence, belief
brings into play the entire cognitive system memory, concepts, etc. in a way the
former does not. Perceptual relativity
e.g., the idea that what we perceive is relative to our language, our
conceptual scheme, or the scientific theories we have available to “interpret”
phenomena is quite implausible as a
theory about our perception of objects. A person lacking a word for, say,
kumquats, lacking this concept, lacking a scientific way of classifying these
objects are they a fruit? a vegetable? an animal?, can still see, touch, smell,
and taste kumquats. Perception of objects does not depend on, and is therefore
not relative to, the observer’s linguistic, conceptual, cognitive, and
scientific assets or shortcomings. Fact perception, however, is another matter.
Clearly one cannot see that there are kumquats in the basket as opposed to seeing
the objects, the kumquats, in the basket if one has no idea of, no concept of,
what a kumquat is. Seeing facts is much more sensitive and, hence, relative to
the conceptual resources, the background knowledge and scientific theories, of
the observer, and this difference must be kept in mind in evaluating claims
about perceptual relativity. Though it does not make objects invisible,
ignorance does tend to make facts perceptually inaccessible. There are
characteristic experiences associated with the different senses. Tasting a
kumquat is not at all like seeing a kumquat although the same object is
perceived indeed, the same fact that it
is a kumquat may be perceived. The
difference, of course, is in the subjective experience one has in perceiving
the kumquat. A causal theory of perception of objects holds that the perceptual
object, what it is we see, taste, smell, or whatever, is that object that
causes us to have this subjective experience. Perceiving an object is that
object’s causing in the right way one to have an experience of the appropriate
sort. I see a bean in my soup if it is, in fact whether I know it or not is
irrelevant, a bean in my soup that is causing me to have this visual
experience. I taste a bean if, in point of fact, it is a bean that is causing
me to have the kind of taste experience I am now having. If it is unknown to me
a bug, not a bean, that is causing these experiences, then I am unwittingly
seeing and tasting a bug perhaps a bug
that looks and tastes like a bean. What object we see taste, smell, etc. is
determined by the causal facts in question. What we know and believe, how we
interpret the experience, is irrelevant, although it will, of course, determine
what we say we see and taste. The same is to be said, with appropriate changes,
for our perception of facts the most significant change being the replacement
of belief for experience. I see that there is a bug in my soup if the fact that
there is a bug in my soup causes me to perception perception 655 655 believe that there is a bug in my soup.
I can taste that there is a bug in my soup when this fact causes me to have
this belief via some taste sensation. A causal theory of perception is more
than the claim that the physical objects we perceive cause us to have
experiences and beliefs. This much is fairly obvious. It is the claim that this
causal relation is constitutive of perception, that necessarily, if S sees O,
then O causes a certain sort of experience in S. It is, according to this
theory, impossible, on conceptual grounds, to perceive something with which one
has no causal contact. If, e.g., future events do not cause present events, if
there is no backward causation, then we cannot perceive future events and
objects. Whether or not future facts can be perceived or known depends on how
liberally the causal condition on knowledge is interpreted. Though conceding
that there is a world of mind-independent objects trees, stars, people that
cause us to have experiences, some philosophers
traditionally called representative realists argue that we nonetheless do not directly
perceive these external objects. What we directly perceive are the effects
these objects have on us an internal
image, idea, or impression, a more or less depending on conditions of
observation accurate representation of the external reality that helps produce
it. This subjective, directly apprehended object has been called by various
names: a sensation, percept, sensedatum, sensum, and sometimes, to emphasize
its representational aspect, Vorstellung G., ‘representation’. Just as the
images appearing on a television screen represent their remote causes the
events occurring at some distant concert hall or playing field, the images
visual, auditory, etc. that occur in the mind, the sensedata of which we are
directly aware in normal perception, represent or sometimes, when things are
not working right, misrepresent their external physical causes. The
representative realist typically invokes arguments from illusion, facts about
hallucination, and temporal considerations to support his view. Hallucinations
are supposed to illustrate the way we can have the same kind of experience we
have when as we commonly say we see a real bug without there being a real bug
in our soup or anywhere else causing us to have the experience. When we
hallucinate, the bug we “see” is, in fact, a figment of our own imagination, an
image i.e., sense-datum in the mind that, because it shares some of the
properties of a real bug shape, color, etc., we might mistake for a real bug.
Since the subjective experiences can be indistinguishable from that which we
have when as we commonly say we really see a bug, it is reasonable to infer the
representative realist argues that in normal perception, when we take ourselves
to be seeing a real bug, we are also directly aware of a buglike image in the
mind. A hallucination differs from a normal perception, not in what we are
aware of in both cases it is a sense-datum but in the cause of these
experiences. In normal perception it is an actual bug; in hallucination it is,
say, drugs in the bloodstream. In both cases, though, we are caused to have the
same thing: an awareness of a buglike sense-datum, an object that, in normal
perception, we naively take to be a real bug thus saying, and encouraging our children
to say, that we see a bug. The argument from illusion points to the fact that
our experience of an object changes even when the object that we perceive or
say we perceive remains unchanged. Though the physical object the bug or
whatever remains the same color, size, and shape, what we experience according
to this argument changes color, shape, and size as we change the lighting, our
viewing angle, and distance. Hence, it is concluded, what we experience cannot
really be the physical object itself. Since it varies with changes in both
object and viewing conditions, what we experience must be a causal result, an
effect, of both the object we commonly say we see the bug and the conditions in
which we view it. This internal effect, it is concluded, is a sense-datum.
Representative realists have also appealed to the fact that perceiving a
physical object is a causal process that takes time. This temporal lag is most
dramatic in the case of distant objects e.g., stars, but it exists for every
physical object it takes time for a neural signal to be transmitted from
receptor surfaces to the brain. Consequently, at the moment a short time after
light leaves the object’s surface we see a physical object, the object could no
longer exist. It could have ceased to exist during the time light was being
transmitted to the eye or during the time it takes the eye to communicate with
the brain. Yet, even if the object ceases to exist before we become aware of
anything before a visual experience occurs, we are, or so it seems, aware of
something when the causal process reaches its climax in the brain. This
something of which we are aware, since it cannot be the physical object it no
longer exists, must be a sense-datum. The representationalist concludes in this
“time-lag argument,” therefore, that even when the physperception perception
656 656 ical object does not cease to
exist this, of course, is the normal situation, we are directly aware, not of
it, but of its slightly later-occurring representation. Representative realists
differ among themselves about the question of how much if at all the sense-data
of which we are aware resemble the external objects of which we are not aware.
Some take the external cause to have some of the properties the so-called
primary properties of the datum e.g., extension and not others the so-called
secondary properties e.g., color. Direct
or naive realism shares with representative realism a commitment to a world of
independently existing objects. Both theories are forms of perceptual realism.
It differs, however, in its view of how we are related to these objects in
ordinary perception. Direct realists deny that we are aware of mental
intermediaries sensedata when, as we ordinarily say, we see a tree or hear the
telephone ring. Though direct realists differ in their degree of naïveté about
how and in what respect perception is supposed to be direct, they need not be
so naive as sometimes depicted as to deny the scientific facts about the causal
processes underlying perception. Direct realists can easily admit, e.g., that
physical objects cause us to have experiences of a particular kind, and that
these experiences are private, subjective, or mental. They can even admit that
it is this causal relationship between object and experience that constitutes
our seeing and hearing physical objects. They need not, in other words, deny a
causal theory of perception. What they must deny, if they are to remain direct
realists, however, is an analysis of the subjective experience that objects
cause us to have into an awareness of some object. For to understand this
experience as an awareness of some object is, given the wholly subjective
mental character of the experience itself, to interpose a mental entity what
the experience is an awareness of between the perceiver and the physical object
that causes him to have this experience, the physical object that is supposed
to be directly perceived. Direct realists, therefore, avoid analyzing a
perceptual experience into an act sensing, being aware of, being acquainted
with and an object the sensum, sense-datum, sensation, mental representation.
The experience we are caused to have when we perceive a physical object or
event is, instead, to be understood in some other way. The adverbial theory is
one such possibility. As the name suggests, this theory takes its cue from the
way nouns and adjectives can sometimes be converted into adverbs without loss
of descriptive content. So, for instance, it comes to pretty much the same
thing whether we describe a conversation as animated adjective or say that we
conversed animatedly an adverb. So, also, according to an adverbialist, when,
as we commonly say, we see a red ball, the red ball causes in us a moment later
an experience, yes, but not as the representative realist says an awareness
mental act of a sense-datum mental object that is red and circular adjectives.
The experience is better understood as one in which there is no object at all,
as sensing redly and circularly adverbs. The adverbial theorist insists that
one can experience circularly and redly without there being, in the mind or
anywhere else, red circles this, in fact, is what the adverbialist thinks
occurs in dreams and hallucinations of red circles. To experience redly is not
to have a red experience; nor is it to experience redness in the mind. It is,
says the adverbialist, a way or a manner of perceiving ordinary objects
especially red ones seen in normal light. Just as dancing gracefully is not a
thing we dance, so perceiving redly is not a thing and certainly not a red thing in the
mind that we experience. The adverbial
theory is only one option the direct realist has of acknowledging the causal
basis of perception while, at the same time, maintaining the directness of our
perceptual relation with independently existing objects. What is important is
not that the experience be construed adverbially, but that it not be
interpreted, as representative realists interpret it, as awareness of some
internal object. For a direct realist, the appearances, though they are
subjective mind-dependent are not objects that interpose themselves between the
conscious mind and the external world. As classically understood, both naive
and representative realism are theories about object perception. They differ
about whether it is the external object or an internal object an idea in the
mind that we most directly apprehend in ordinary sense perception. But they
need not although they usually do differ in their analysis of our knowledge of
the world around us, in their account of fact perception. A direct realist
about object perception may, e.g., be an indirect realist about the facts that
we know about these objects. To see, not only a red ball in front of one, but
that there is a red ball in front of one, it may be necessary, even on a direct
theory of object perception, to infer or in some way derive this fact from
facts that are known more directly perception perception about one’s
experiences of the ball. Since, e.g., a direct theorist may be a causal
theorist, may think that seeing a red ball is in part constituted by the having
of certain sorts of experience, she may insist that knowledge of the cause of
these experiences must be derived from knowledge of the experience itself. If
one is an adverbialist, e.g., one might insist that knowledge of physical
objects is derived from knowledge of how redly? bluely? circularly? squarely?
one experiences these objects. By the same token, a representative realist
could adopt a direct theory of fact perception. Though the objects we directly
see are mental, the facts we come to know by experiencing these subjective
entities are facts about ordinary physical objects. We do not infer at least at
no conscious level that there is a bug in our soup from facts known more
directly about our own conscious experiences from facts about the sensations
the bug causes in us. Rather, our sensations cause us, directly, to have
beliefs about our soup. There is no intermediate belief; hence, there is no
intermediate knowledge; hence, no intermediate fact perception. Fact perception
is, in this sense, direct. Or so a representative realist can maintain even
though committed to the indirect perception of the objects bug and soup
involved in this fact. This merely illustrates, once again, the necessity of distinguishing
object perception from fact perception. Refs.: H. P. Grice and A. R. White,
“The causal theory of perception,” a symposium for the Aristotelian Socieety,
in G. J. Warnock, “The philosophy of perception,” Oxford readings in
philosophy.
Percival: English physician and author of
Medical Ethics. He was central in bringing the Western traditions of medical
ethics from prayers and oaths e.g., the Hippocratic oath toward more detailed,
modern codes of proper professional conduct. His writing on the normative
aspects of medical practice was part ethics, part prudential advice, part
professional etiquette, and part jurisprudence. Medical Ethics treated
standards for the professional conduct of physicians relative to surgeons and
apothecaries pharmacists and general practitioners, as well as hospitals,
private practice, and the law. The issues Percival addressed include privacy,
truth telling, rules for professional consultation, human experimentation,
public and private trust, compassion, sanity, suicide, abortion, capital
punishment, and environmental nuisances. Percival had his greatest influence in
England and America. At its founding in 1847, the Medical Association used Medical Ethics to
guide its own first code of medical ethics.
perdurance, endurance, continuance -- in one common philosophical use, the property
of being temporally continuous and having temporal parts. There are at least
two conflicting theories about temporally continuous substances. According to
the first, temporally continuous substances have temporal parts they perdure,
while according to the second, they do not. In one ordinary philosophical use,
endurance is the property of being temporally continuous and not having
temporal parts. There are modal versions of the aforementioned two theories:
for example, one version of the first theory is that necessarily, temporally
continuous substances have temporal parts, while another version implies that
possibly, they do not. Some versions of the first theory hold that a temporally
continuous substance is composed of instantaneous temporal parts or
“object-stages,” while on other versions these object-stages are not parts but
boundaries.
Peregalli Roberto
Peregalli Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà. Jump to navigationJump
to search Roberto Peregalli (1961 – vivente), filosofo e scrittore
italiano. Indice 1 I
luoghi e la polvere 1.1 Incipit
1.2 Citazioni
2 Bibliografia
I luoghi e la polvere Incipit All'inizio della Genesi (3,4) il serpente
convince Eva a mangiare con Adamo il frutto dell'albero della conoscenza. Così
"i loro occhi si apriranno" e vedranno per la prima volta la loro
nudità. Comincia in questo modo la storia della conoscenza e del desiderio.
Vedere, desiderare e infine morire. Il tempo, il suo scorrere nelle nostre
vene, diventa dominante. Lo splendore dell'attimo, la sua rivelazione
abbagliante, ne sancisce la caducità. Il tempo corrode la vita e la esalta.
Insieme alla conoscenza e al desiderio nasce anche l'amore per la fragilità
dell'esistenza. Le cose si rovinano. Citazioni Se si vuole vedere, o
meglio, se nel destino è scritto che si veda a tutti i costi, se si vuole
desiderare, se si vuole conoscere (così si capisce quanto poco la conoscenza
abbia a che fare con principi puramente razionali), si deve diventare mortali.
Gli dei sono indifferenti. Per gli uomini inizia così la differenza. Finché non
conosci, finché non mangi il frutto dall'albero della conoscenza, sarai eterno.
Non saprai cosa sono il bene e il male, il desiderio, l'attrazione dei corpi,
la morte. Il tempo è la nostra carne. Siamo fatti di tempo. Siamo il tempo. È
una curva inesorabile che condiziona ogni gesto della nostra vita, compresa la
morte. La superficie di qualunque "cosa", sia essa un oggetto o un
luogo, è intaccata dal tempo, riposa nel tempo. Viene corrosa, sporcata,
impolverata in ogni istante. Sono la sua caducità e la sua fragilità che la
fanno vivere nel trascorrere delle ore, dei giorni, degli anni. L'eternità è un
miraggio, e non è la salvezza. Stare in casa significa poter assaporare il
piacere di sapere che fuori c'è un paesaggio meraviglioso e, quando vuoi, apri
la porta o la finestra e lo guardi. Deve esserci lo sforzo del gesto. Il
desiderio va centellinato, perché sia più profondo. Il bianco è il profumo dei
colori. [...] Il bianco, ancora più del nero, laddove usato nella sua purezza,
è uno dei colori più difficili che esistano, e meno imparziali. Usato in
quantità massicce la sua forza ci si ritorce contro. Diventa indifferente solo
in apparenza. In realtà l'indifferenza non esiste. Nulla è indifferente. È un
abbaglio, un alibi. Equivale all'apatia. I vetri, il bianco sono materia,
colore, carne, vita. L'ombra, come la polvere, è il nostro fondo nascosto. La
si vuole cancellare. Deve essere un eterno meriggio. Così si elimina la
"carnalità del luogo", il suo erotismo sottile, la sua terrestre
caducità. Purtroppo in estetica la dittatura di un elemento è identica alla sua
democratizzazione. Il livellamento dei luoghi conduce alla dittatura della luce
e viceversa. Tutto diventa uguale nell'indifferenza. Di fronte all'ottusa
sicumera che ci avvolge esiste un tempo altro che non possiamo controllare,
dirigere, comandare e che può aprire nuove prospettive, trovando sentieri
tortuosi, o spesso non tracciati. Nelle sacche dell'errore (che è un erramento)
può ancora trovarsi un cammino. Il passato è stato messo in una teca,
sigillato, perché non nuoccia. Lo si può venerare, ma lo si teme. E comunque
non deve essere imitato. Gli antichi, invece, in ogni momento hanno sempre guardato
indietro. Da lì traevano ispirazione. Cancellavano per ricreare. Credo che in
quest'epoca falsamente luccicante e rassicurante, che vuole esorcizzare la
morte e la fragilità della vita a ogni passo, e dove colori sgargianti,
superfici nitide e sorde, luci accecanti circondano il nostro vivere, un
sentiero possibile sia quello di cercare negli interstizi delle cose prodotte
dall'uomo una crepa, una rovina che ne certifichi la fondatezza. In un mondo
che teorizza le guerre "intelligenti" e gli obiettivi
"mirati" la barbarie non è costituita dalle distruzioni, ma dalle
costruzioni. Il decadimento fa parte dell'essere. Tutto decade, crolla, si
disfa. Ma questo decadimento è un frammento di noi. Il concetto di
incontaminato [...] è fondamentalmente falso. Tutto è contaminato dal tempo e
dall'uomo. Nell'attimo stesso in cui mettere le sue radici in un luogo lascia
un segno e l'incanto si sbriciola. Esistono nelle città, nei paesi, nelle
campagne, "rovine semplici"...Cascine abbandonate, un muro senza
aperture, uno spiazzo solitario con una fabbrica dismessa, una vecchia
ciminiera diroccata, una strada che non finisce, chiese, mausolei, tumuli
lasciati al loro destino, attraversati dal tempo. Luoghi che apparentemente non
dicono nulla di più della loro solitudine e del loro abbandono e in cui il
motivo delle loro condizioni non si legge più tra le pieghe dell'architettura.
Le ferite, se mai ci sono state, non mostrano la loro origine. Troviamo queste
rovine dappertutto nel mondo, sparse tra le nuove costruzioni, o isolate e
lontane. Quello che colpisce è la tranquillità, la pacatezza. Non servono più a
nulla, non possono essere sfruttate, manipolate. Possono solo essere cancellate
da una ruspa. Questa fragilità è la loro forza. Ci affascinano perché ci
somigliano. Somigliano al nostro essere caduchi, alla nostra mortalità, alla
sete dei nostri attimi di felicità. Nel mondo c'è un'ansia di eternità. L'idea
che tutto debba tornare a risplendere com'era. [...] È un'epoca, questa, in cui
da una parte si desidera l'infinito e dall'altra ci si spaventa per la
fragilità delle persone e dei luoghi. Pensare che un luogo possa
cristallizzarsi in un'eternità senza tempo è una chimera che denota, mascherato
di umiltà, un senso di presunzione infinito. La nostra vita è la nostra
memoria. Attraverso il passato guardiamo il futuro. Se lo distruggiamo e lo
ricostruiamo in modo fittizio non resterà più niente. La bellezza di un oggetto
deriva in buona misura dalla sua patina. Più che la frattura tra antico e
moderno, ciò che dà consistenza alla nostra vita e la rende accettabile è la
patina del tempo. La certezza che le cose e i luoghi deperiscono serenamente. È
questa una "decrescita" estetica, un principio che vede nella
caducità la traccia della loro bellezza. Una volta le cose erano fatte per
durare ed erano caduche. Quindi veniva calcolata la loro deperibilità per farle
diventare sempre più belle. Oggi le cose si producono per essere effimere, e al
tempo stesso si proteggono con vernici e altre sostanze, perché sembrino
eterne. Una città per avere un'anima non deve essere perfettamente pulita.
Devono rimanere le tracce di quello che accade. Così i resti della nostra vita
possono affiorare, come i ricordi dagli angoli delle strade, dai cespugli, dai
muri. La materia di cui sono fatte le cose deve plasmarsi sull'aria che si
respira, deve ricevere l'ombra. La durata delle cose nel tempo non si può
comperare. Il corpo va amato per quello che è. La sua fossilizzazione, invece,
rischia di tradirne l'essenza, la cui forza è la caducità. Il motivo per cui ci
attrae, ci eccita, ci tiene con il fiato sospeso in tutti i suoi anfratti più
segreti, il suo odore, la sua superficie, il suo colore, è la sua consistenza
che muta negli anni e si adatta a noi e al mondo. Parole come design e lifting
hanno un suono sinistro. Dicono lo stesso. La plastificazione degli oggetti e
dei corpi, il loro luccicare senza vita, come i pesci lasciati a morire sulla
riva. Tracciamo un mondo che dovremmo indossare come una muta per aderirvi
perfettamente e in cui però i nostri movimenti diventano falsi e rallentati,
chiusi in un cofano che toglie il respiro. Corpi rimodellati che abitano e
usano luoghi altrettanto rimodellati. Il museo deve introdurre la gente in un
mondo speciale, in cui le opere dei morti dialogano con gli sguardi dei vivi,
in un confronto duraturo e fecondo. I musei, che sorgono sempre più numerosi in
quest'epoca, sono divenuti edifici-scultura. Vengono chiamati a progettarli gli
architetti più accreditati del momento, che inventano dei mausolei per la loro
gloria, prima ancora di sapere a cosa serviranno. In essi la gente non va tanto
a vedere le esposizioni o le opere presentate quanto i monumenti stessi. Gli
allestimenti museali sono un riassunto e uno specchio drammatico dell'epoca in
cui viviamo. I vetri antiproiettile, l'illuminazione da stadio o catacombale, i
colori sordi e luccicanti dei muri, il gigantismo insensato, le ricostruzioni
senz'anima. Via la polvere, via la patina, via l'ombra, via la carne di cui
siamo fatti. Tutto è asettico. Cancellando la mortalità della vita, il luogo
diventa eternamente morto. L'arte è mimesi della natura. La mima, la reinventa,
la accompagna fedelmente nel cammino del tempo. Non c'era contrasto e nemmeno
violenza. L'abitare sulla terra era una convivenza armonica in cui l'uomo
beneficiava della natura, e questa traeva profitto e bellezza dalla presenza
dei disegni dell'uomo. Così nascevano i luoghi. L'occhio che guarda questi
luoghi [i luoghi diroccati e abbandonati] immagina il loro passato, sente
attraverso la pelle consumata dal tempo l'anima che li avvolge. La patina, come
la polvere, si deposita sulle cose. Dà loro vita. Le inserisce nel tempo. Un
tavolo, una sedia, un bicchiere parlano del passato, delle mani che li hanno
toccati, attraverso la pelle del tempo che li avvolge a poco a poco. Le tracce
del passato si leggono tra le crepe dei muri, oltre l'umidità della pioggia e
il calore riarso del sole. Bibliografia Roberto Peregalli, I luoghi e la
polvere, Bompiani, 2010. ISBN 8845264114 Categorie: Scrittori italianiFilosofi
italiani| [altre]
Pergola Paolo della Pergola Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
navigationJump to search Abbozzo Questa voce sull'argomento filosofi italiani è
solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di
Wikipedia. Paolo della Pergola o dalla Pergola (Pergola, ultimo ventennio del
Trecento – Venezia, 30 luglio 1455) è stato un filosofo, matematico e logico
italiano. Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Note
4 Collegamenti
esterni Biografia Fu il membro più noto di una famiglia di insegnanti
marchigiani di cui però non è noto il cognome. Arnaldo Segarizzi, notando che
il fratello Alvise veniva indicato come figlio di «Antonio de Stefani da la
Pergola», ritenne che quello fosse il suo cognome; più probabilmente, si
tratterebbe di un riferimento al nonno paterno. Taluni, confondendolo con un
altro Paolo originario di Pergola, gli hanno attribuito il cognome
Godi[1]. Forse fu avviato alla carriera ecclesiastica nella città natale,
ma presto strasferì a Venezia dove già viveva il nonno Stefano, medico, gli zii
Luchino e Pietro, insegnanti, e forse anche il padre Antonio. Fu allievo
di Paolo da Venezia. La sua opera più importante è probabilmente il De sensu
composito et diviso. Fu insegnante della scuola di Rialto dal 1421 al 1454 dove
insegnò logica, filosofia naturale, matematica, astronomia e teologia.
Nominato vescovo di Capodistria nel 1448, rinunciò alla carica per non
distaccarsi dalla sua professione di insegnante[2]. Fu sepolto nella chiesa
di San Giovanni Elemosinario di Venezia dove gli fu anche costruito un
monumento a pubbliche spese. Vi resta solo una lapide, in quanto l'edificio fu
distrutto da un incendio nel 1514[1]. Opere Logica; and, Tractatus de
sensu composito et diviso, edito da Mary Anthony Brown, Saint Bonaventure, New
York: Franciscan Institute, 1961. Note Dino Buzzetti, Paolo della
Pergola, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 81, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2015. URL consultato il 2 novembre 2015. ^ Fonte:
Dizionario di filosofia, riferimenti in Collegamenti esterni. Collegamenti
esterni Paolo della Pergola, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Paolo della Pergola, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata (DE) Paolo della Pergola, su ALCUIN, Università di
Ratisbona. Modifica su Wikidata Paolo della Pergola, in Dizionario di
filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Controllo di autorità VIAF (EN) 72445530 · ISNI (EN) 0000 0000 1740
8572 · LCCN (EN) n88198578 · GND (DE) 128488999 · BNF (FR) cb12113284z (data) ·
BAV (EN) 495/16980 · CERL cnp00494386 · WorldCat Identities (EN) lccn-n88198578
Biografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di
biografie Categorie: Filosofi italiani del XV secoloMatematici italiani del XV
secoloLogici italianiMorti nel 1455Morti il 30 luglioNati a PergolaMorti a
Venezia[altre]
Perniola Mario
Perniola (20 maggio 1941, Asti - 9 Gennaio 2018, Roma ) è stato un filosofo
italiano, professore di estetica e autore. Molti dei suoi lavori sono stati
pubblicati in inglese. Contenuto 1 Biografia 2 La filosofia della
letteratura 3 contro-cultura
4 post-strutturalismo
5 Posthuman
6 Estetica
7 La
filosofia dei media 8 Fiction
9 Le
opere selezionate in italiano 10 opere
selezionate in inglese 10.1 libri
10.2 articoli
11 Vedi
anche 12 Note
13 Ulteriore
lettura 14 Collegamenti
esterni Biografia Mario Perniola è nato a Asti, Piemonte. Ha studiato filosofia
con Luigi Pareyson presso l'Università di Torino, dove si è laureato nel 1965.
Mentre stava leggendo filosofia a Torino, ha incontrato Gianni Vattimo ,
Umberto Eco , che si è fatto tutti gli studiosi di spicco della scuola di
Pareyson. Dal 1966 al 1969 è stato collegato alla all'avanguardia
Internazionale Situazionista movimento fondato da Guy Debord con il quale
continuava a rapporti amichevoli per diversi anni. Divenne professore ordinario
di Estetica presso l ' Università degli Studi di Salerno nel 1976 e poi si
è trasferito alla Università di Roma Tor Vergata , dove insegna dal 1983. E
'stato visiting professor invitato a università e centri di ricerca, come ad
esempio l' Università di Stanford (Stati Uniti), l' Ecole des Hautes Etudes en
Sciences Sociales (Parigi), Università di Alberta (Canada), Università di Kyoto
(Giappone), dell'Università di San Paolo (Brasile), Università di Sydney ,
Università di Melbourne (Australia) e la National University of Singapore .
Perniola ha scritto molti libri che sono stati tradotti in inglese e altre
lingue. Ha inoltre diretto il riviste agaragar (1971-1973), Clinamen
(1988-1992), Estetica Notizie (1988-1995). Nel 2000 ha fondato Agalma. Rivista
di Studi Culturali e di Estetica , una rivista di studi ed estetica culturali,
pubblicato due volte l'anno. L'ampiezza, l'intuizione e molti-affrontato i
contributi del pensiero di Perniola gli ha fatto guadagnare la reputazione di
essere una delle figure più importanti del panorama filosofico
contemporaneo. Il suo libro Miracoli e traumi della Comunicazione (2009) (
Miracoli e traumi della comunicazione ) ha guadagnato numerosi riconoscimenti
tra cui il prestigioso Premio De Sanctis. Le sue attività ad ampio raggio
coinvolti formulare teorie filosofiche innovative, scrivere libri, l'estetica
di insegnamento, e conferenze in tutto il mondo. Ha dedicato il resto del suo
tempo ai suoi amici affini e numerosi, passando tra il suo appartamento-studio
di Roma e la sua casa di vacanza in una pittoresca cittadina dei Colli Albani,
a sud est di Roma . My husband couldn’t quit smoking for 5 years and then
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Il periodo iniziale della
carriera di Perniola si concentra sulla filosofia del romanzo e la teoria della
letteratura. Nella sua prima opera principale, Il metaromanzo ( Il metaromanzo
1966), che è la sua tesi di dottorato, Perniola sostiene che il romanzo moderno
da Henry James a Samuel Beckett ha un carattere autoreferenziale. Inoltre, si
afferma che il romanzo è soltanto su se stesso. L'obiettivo di Perniola era
quello di dimostrare la dignità filosofica di queste opere letterarie e cercare
di recuperare un grave espressione culturale. L'italiano Premio Nobel per la
letteratura Eugenio Montale lodato Perniola per questa critica originale di
romanzi. Controcultura Perniola, però, non solo hanno un'anima accademica
ma anche un anti-accademico. Quest'ultimo è esemplificato dalla sua attenzione
alle espressioni culturali alternative e trasgressive. Il suo primo lavoro
importante appartenente a questa parte anti-accademico è L'alienazione
artistica ( Alienazione artistico 1971), in cui egli attinge pensiero marxista
che lo ha ispirato in quel momento. Perniola sostiene che l'alienazione non è
un fallimento di arte, ma piuttosto una condizione dell'esistenza stessa
dell'arte come categoria distintiva dell'attività umana. Il suo secondo libro I
situazionisti ( I situazionisti 1972; ripubblicato con lo stesso titolo da
Castelvecchi, Roma, 1998) esemplificato il suo interesse per l'avanguardia e il
lavoro di Guy Debord . Perniola dà conto della Internazionale Situazionista
movimento e post-situazionista che durò 1957-1971 e nel quale è stato
personalmente coinvolto dal 1966 al 1969. Ha evidenzia anche le caratteristiche
contrastanti che hanno caratterizzato i membri del movimento. La rivista
agaragar (pubblicata tra il 1971 e il 1972) continua la critica
post-situazionista della società capitalistica e della borghesia. Perniola poi
pubblicato il suo libro sullo scrittore francese George Bataille ( George
Bataille e il negativo , Milano: Feltrinelli, 1977; George Bataille e il
negativo ). Il negativo qui è concepito come il motore della storia.
Steepto Post-strutturalismo Nel 1980 Perniola offre alcuni dei suoi
contributi più penetranti alla filosofia continentale. In DOPO Heidegger.
Filosofia e organizzazione della cultura ( dopo Heidegger. Filosofia e
organizzazioni culturali 1982), sulla base di Martin Heidegger e Antonio
Gramsci , Perniola include un discorso teorico sulla organizzazione sociale.
Egli, infatti, sostiene la possibilità di stabilire un nuovo rapporto tra
cultura e la società nella civiltà occidentale. Come l'ex interrelazioni tra la
metafisica e la chiesa, la dialettica e lo stato, la scienza e professione sono
state decostruito, la filosofia e la cultura rappresentano un modo per superare
il nichilismo e il populismo che caratterizzano la società di oggi. Pensare
rituale. La sessualità, la morte, Mondo (2001) è un volume composito in inglese
che contiene sezioni di due opere pubblicate in lingua italiana nel 1980, vale
a dire La Società dei simulacri ( The Society of Simulacra 1980) e Transiti.
Venite si va Dallo Stesso allo Stesso ( Transiti. Come andare dalla stessa per
lo stesso 1985). Teoria dei simulacri di Perniola si occupa con la logica della
seduzione che è stato perseguito anche da Jean Baudrillard . Anche se la
seduzione è vuoto, è comunque radicata in un contesto storico concreto.
Simulazione, tuttavia, fornisce immagini che sono valutati come tali
indipendentemente da quello che effettivamente implicano riferiscono. “Le
immagini sono simulazioni in che seducono e ancora fuori loro vuoto hanno
effetti”. Perniola poi illustra il ruolo di tali immagini in una vasta gamma di
contesti culturali, estetiche e sociali. La nozione di transito sembra essere
più adatto per catturare gli aspetti culturali della tecnologia che hanno alterato
society.Transit di oggi - vale a dire che vanno dallo stesso allo stesso -
evita di cadere nella contrapposizione della dialettica “che avrebbe
precipitare pensare nella mistificazione della metafisica ”. Posthuman
Nel 1990 Perniola include nuovi territori nella sua ricerca filosofica. In Del
Sentire ( On sensazione 1991) l'autore indaga nuovi modi di sentire che non
hanno nulla a che vedere con i precedenti che hanno caratterizzato l'estetica
moderna dal 17 al 20 ° secolo. Perniola sostiene che sensology ha assunto
dall'inizio del 1960. Ciò richiede un universo emozionale impersonale,
caratterizzato dall'esperienza anonimo, in cui tutto si rende come già sentita.
L'unica alternativa è quella di tornare indietro al mondo classico e, in
particolare, alla Grecia antica. Nel volume Il sex appeal dell'inorganico ( il
sex appeal della Inorganica 1994; edizione inglese, 2004), Perniola riunisce la
filosofia e la sessualità. Sensibilità contemporanea ha trasformato i rapporti
tra le cose e gli esseri umani. Sex si estende oltre l'atto e il corpo. Un tipo
organico di sessualità viene sostituita da una sessualità neutra, inorganico e
artificiale indifferente alla bellezza, età o forma. Il lavoro di Perniola
esplora il ruolo dell'eros, il desiderio e la sessualità in esperienza odierna
del estetica e l'impatto della tecnologia. La sua è una linea di pensiero che
apre nuove prospettive sulla nostra realtà contemporanea. La caratteristica più
sorprendente è la capacità di Perniola di coniugare una rigorosa re-interpretazione
della tradizione filosofica con una meditazione sul “sexy”. Si rivolge aspetti
perturbanti come rapporto sessuale senza orgasmo, apice o qualsiasi rilascio di
tensioni. Si occupa di orifizi e organi, e le forme di auto-abbandoni che vanno
contro un modello comune di reciprocità. Tuttavia, attingendo alla tradizione
kantiana, Perniola sostiene anche che i coniugi sono cose, perché “in costanza
di matrimonio ogni affida il suo / la sua intera persona all'altra al fine di
acquisire pieni diritti su tutta la persona dell'altro”. In L'arte e la SUA
ombra (2000) ( Art e la sua ombra , Londra-New York, Continuum, 2004), Perniola
propone un'interpretazione alternativa dell'ombra che ha avuto una lunga storia
nella filosofia. Nell'analisi dell'arte contemporanea e del cinema, Perniola
esplora come l'arte continua a sopravvivere nonostante il mondo della
comunicazione di massa e la riproduzione. Egli sostiene che il senso dell'arte
è da ricercarsi in ombra creato, che è stato lasciato fuori dallo stabilimento
arte, comunicazione di massa, mercato e mass media. Estetica Il lavoro di
Perniola copre anche la storia di estetica e teoria estetica. Nel 1990 ha
pubblicato Enigmi. Il momento Egizio Nella Società e nell'arte , ( Enigmi. Il
momento egiziana nella società e Art , London-New York, Verso, 1995), in cui
analizza le altre forme di sensibilità che si svolgono tra l'uomo e le cose.
Perniola sostiene che la nostra società sta vivendo un “momento egiziana”,
caratterizzata da un processo di reificazione. Come prodotti di alta tecnologia
assumono sempre proprietà organiche, umanità si trasforma in una cosa, nel
senso che essa si vede deliberatamente come oggetto. Il volume L'estetica del
Novecento ( Novecento Estetica 1997) fornisce un resoconto originale e la critica
alle principali teorie estetiche che hanno caratterizzato il secolo precedente.
Egli traccia sei tendenze principali che sono l'estetica della vita, la forma,
la conoscenza, azione, sentimento e cultura. In Del Sentire cattolico. La forma
culturale di Una religione universale ( la sensazione di Cattolica. La forma
culturale di una religione universale 2001), Perniola sottolinea l'identità
culturale del cattolicesimo , piuttosto che il suo uno moralitstic e dogmatico.
Egli propone “Cattolicesimo senza l'ortodossia” e “una fede senza dogma”, che
consente il cattolicesimo ad essere percepita come un senso universale di
sentimento culturale. Il lavoro Strategie Del Bello. Quarant'anni di estetica
italiana (1968-2008) ( Strategie di bellezza. Quarant'anni di Estetica italiane
(1968-2008) 2009) analizza le principali teorie estetiche che ritraggono le
trasformazioni avvenute in Italia dal 1960 in poi. Il volume di Perniola mette
in luce il rapporto tra i tratti storici, politici e antropologici radicati nella
società italiana e il discorso critico sorto intorno a loro. Inoltre, egli
sostiene che la conoscenza e la cultura dovrebbero continuare ad essere
concessa una posizione privilegiata nelle nostre società, e dovrebbero sfidare
l'arroganza degli stabilimenti, l'insolenza degli editori, la volgarità dei
mass media, e il roguery plutocratica. La filosofia dei media Ampia gamma
di interessi teorici di Perniola includono la filosofia dei media . In
Contro la Comunicazione ( Contro Comunicazione 2004) analizza le origini,
meccanismi, dinamiche della comunicazione mass-media e dei suoi effetti
degenerativi. Il volume Miracoli e traumi della Comunicazione ( Miracoli e
traumi della comunicazione 2009) si occupa degli effetti inquietanti della
comunicazione dal 1960 concentrandosi su quattro “eventi generative”. Queste
sono le rivolte degli studenti nel 1968, la rivoluzione iraniana del 1979, la
caduta del muro di Berlino nel 1989, e il 9/11 World Trade Center attacco.
Ognuno di questi episodi sono tutti trattati con sullo sfondo degli effetti
miracolosi e traumatici in cui la comunicazione mass-media hanno offuscato le
differenze tra il reale e impossibile, cultura alta e cultura di massa, il
declino delle professioni, il successo del populismo, il ruolo delle dipendenze,
le ripercussioni di internet sulla cultura di oggi e la società, e, ultimo ma
non meno importante, il ruolo della valutazione in cui porno star sembrano aver
raggiunto i più alti ranghi del chi è chi grafici. finzione
Perniola è l'autore del romanzo Tiresia (1968), che si ispira all'antico mito
greco del profeta Tiresia , che è stato trasformato in una donna. Il suo ultimo
libro di narrativa è del Terrorismo Come una delle belle arti ( al terrorismo
come una delle Belle Arti s, 2016) Le opere selezionate in italiano Il
metaromanzo , Milano, Silva 1966. Tiresia , Milano, Silva 1968. L'alienazione
artistica , Milano, Mursia, 1971. Bataille e il negativo , Milano, Feltrinelli,
1977. Nuova edizione, Philosophia sexualis. Scritti Georges Bataille , Verona,
Ombre Corte, 1998, ISBN 88-87009-08-2 . La Società dei simulacri ,
Bologna, Cappelli, 1980. DOPO Heidegger. Filosofia e organizzazione della
cultura , Milano, Feltrinelli, 1982. Transiti. Venite si va Dallo Stesso allo
Stesso , Bologna, Cappelli, 1985, Introduzione alla 2 ^ edizione a cura
dell'Autore, 1989. Presa diretta. Estetica e politica . Venezia, Cluva, 1986.
ISBN 88-85067-25-5 . Enigmi. Il momento Egizio Nella Società e nell'arte
, Genova, Costa & Nolan, 1990. ISBN 88-7648-109-5 . Del Sentire ,
Torino, Einaudi, 1991, 2002. ISBN 88-06-16254-3 . Più che sacro, Più che
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Novecento , Bologna, Il Mulino, 1997. ISBN 88-15-06028-6 . Disgusti.
Nuove Tendenze estetiche , Milano, Costa & Nolan, 1999. ISBN
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universale , Bologna, Il Mulino, 2001. ISBN 88-15-08205-0 . Contro la
Comunicazione , Torino, Einaudi, 2004. ISBN 88-06-16820-7 . Miracoli e
traumi della Comunicazione , Torino, Einaudi, 2009. ISBN
978-88-06-18826-9 "Strategie Del Bello. Quarant'anni di estetica italiana
(1968-2008)", Agalma. Rivista di studi culturali e di estetica , n. 18,
numero monografico di una limitata tiratura. ISBN 978-88-8483-980-0 ISSN
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visione globale , Bologna, 2011. ISBN 978-88-15-14938-1 La Società dei
simulacri Nuova Edizione, Milano, Mimesis, 2011, ISBN 978-88-575-0496-4
Berlusconi o il '68 Realizzato , Milano, Mimesis, 2011. ISBN
978-88-5750-748-4 Presa diretta. Estetica e politica. Nuova Edizione , Milano,
Mimesis, 2012. ISBN 978-88-5751-191-7 Da Berlusconi a Monti. Imperfetti
Disaccordi , Milano, Mimesis, 2013. ISBN 978-88-575-1293-8 . L'avventura
situazionista. Storia critica dell'ultima avanguardia del XX secolo , Milano,
Mimesis, 2013. ISBN 978-88-5751-716-2 L'arte espansa , Torino, Einaudi,
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arti , Milano, Mimesis, 2016. ISBN 9.788.857,532202 millions Estetica
Italiana Contemporanea , Milano, Bompiani, 2017, ISBN 978-88-452-8404-5 .
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Arte e la sua ombra , prefazione di Hugh J.Silverman, tradotto da Massimo
Verdicchio, Londra-New York, Continuum, 2004, ISBN 0-8264-6243-X . The
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La sessualità, la morte, Mondo . New York: l'umanità Books, 2001: 10. Questo
volume contenente “Premessa” di Hugh Silverman (pagine: 9-14) e il saggio di
Massimo Verdicchio “Lettura Perniola Reading” (pagine: 15-41) è il più utile e
punto di partenza per lo studio del pensiero di Perniola disponibile in
inglese.
http://www.fondazionedesanctis.it/index.php?option=com_content&view=article&id=80&Itemid=84
Massimo Verdicchio, “Leggere Perniola Reading. Un introduzione". Pensare
rituale. La sessualità, la morte, Mondo. Con una prefazione di Hugh J.
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introduzione". Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo . Con una
prefazione di Hugh J. Silverman, New York: Humanity Books, 2001: 15-16.
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da Massimo Verdicchio, New York: Humanity Books, 2001: 9 Hugh Silverman.
Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo . Con una prefazione di Hugh J.
Silverman, tradotto da Massimo Verdicchio, New York: Humanity Books, 2001:
12 Verdicchio in, pensiero rituale. La sessualità, la morte, Mondo . Con
una prefazione di Hugh J. Silverman, tradotto da Massimo Verdicchio, New York:
Humanity Books, 2001: 18 Sulla influenza della nozione di simulacri
vedere Robert Burch. “Il simulacro della Morte: Perniola al di là di Heidegger
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Morte . James Swearingen & Johanne Cutting-Gray, Ed. New York-London:
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Rivolta in Italia dal 1968 al 1978 . Londra-New York: Verso, 1994. Per
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Facoltà di Filosofia Journal , New School for Social Research, New York, 1984,
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Einaudi di Francoforte Fiera del Libro 1990 Massimo Verdicchio, Thinking
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Silverman, tradotto da Massimo Verdicchio, New York: Humanity Books, 2001:
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Shaviro, “il sex appeal della inorganica”, La Teoria Pinocchio,
http://www.shaviro.com/Blog/?p=440 Perniola, il sex appeal del inorganica
, Londra-New York, Continuum, 2004: 19 Sulla ricezione della teoria di
Perniola in inglese vedi Steven Shaviro, “il sex appeal della inorganica”, La
Teoria Pinocchio, http://www.shaviro.com/Blog/?p=440 ; Farris Wahbeh,
Recensione di “arte e la sua ombra” e “il sex appeal della Inorganica”, in The Journal
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contemporaneo”, in Filosofia Radical (Londra), n. 127, 2004; Anna Camaiti
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http://www.psychomedia.it/jep/number3-4/contpern.htm Prefazione di Hugh
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Massimo Verdicchio, Londra-New York, Continuum, 2004: viii Per
l'influenza di arte e la sua ombra vedere Farris Wahbeh, Recensione di “arte e
la sua ombra” e “il sex appeal della inorganica”, The Journal of Aesthetics e
Critica d'arte , vol. 64, 4 (autunno 2006); Robert Sinnerbrink, “Cinema e la
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Massimo Verdicchio, Thinking Ritual. La sessualità, la morte, Mondo . Con una
prefazione di Hugh J. Silverman, tradotto da Massimo Verdicchio, New York:
Humanity Books, 2001: 17 Sulla ricezione di Enigmi. Il momento egiziana
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ulteriore lettura Giovanna Borradori , ricodifica METAFISICA. La filosofia
Nuova italiana , Evanston: Northwestern University Press, 1988. Robert Burch,
il simulacro della Morte: Perniola al di là di Heidegger e la metafisica? , Nel
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perfect competition: perfect co-operation:
the state of an ideal market under the following conditions: a every consumer
in the market is a perfectly rational maximizer of utility; every producer is a
perfect maximizer of profit; there is a very large ideally infinite number of
producers of the good in question, which ensures that no producer can set the
price for its output otherwise, an imperfect competitive state of oligopoly or
monopoly obtains; and every producer provides a product perfectly
indistinguishable from that of other producers if consumers could distinguish
products to the point that there was no longer a very large number of producers
for each distinguishable good, competition would again be imperfect. Under
these conditions, the market price is equal to the marginal cost of producing
the last unit. This in turn determines the market supply of the good, since
each producer will gain by increasing production when price exceeds marginal
cost and will generally cut losses by decreasing production when marginal cost
exceeds price. Perfect competition is sometimes thought to have normative
implications for political philosophy, since it results in Pareto optimality.
The concept of perfect competition becomes extremely complicated when a
market’s evolution is considered. Producers who cannot equate marginal cost
with the market price will have negative profit and must drop out of the
market. If this happens very often, then the number of producers will no longer
be large enough to sustain perfect competition, so new producers will need to
enter the market.
perfectus – finitum – complete -- perfectionism,
an ethical view according to which individuals and their actions are judged by
a maximal standard of achievement
specifically, the degree to which they approach ideals of aesthetic,
intellectual, emotional, or physical “perfection.” Perfectionism, then, may
depart from, or even dispense with, standards of conventional morality in favor
of standards based on what appear to be non-moral values. These standards
reflect an admiration for certain very rare levels of human achievement. Perhaps
the most characteristic of these standards are artistic and other forms of
creativity; but they prominently include a variety of other activities and
emotional states deemed “noble” e.g.,
heroic endurance in the face of great suffering. The perfectionist, then, would
also tend toward a rather non-egalitarian
even aristocratic view of
humankind. The rare genius, the inspired few, the suffering but courageous
artist these examples of human
perfection are genuinely worthy of our estimation, according to this view.
Although no fully worked-out system of “perfectionist philosophy” has been
attempted, aspects of all of these doctrines may be found in such philosophers
as Nietzsche. Aristotle, as well, appears to endorse a perfectionist idea in
his characterization of the human good. Just as the good lyre player not only
exhibits the characteristic activities of this profession but achieves
standards of excellence with respect to these, the good human being, for
Aristotle, must achieve standards of excellence with respect to the virtue or
virtues distinctive of human life in general.
peripatos at the lycaeum – Grice: “This is
a common word, and while it does mean that, being a covered pathway, you are
meant to walk about, it did not apply as per my type of identificatory
reference, to Aristotle. It was that bit of the gym created by Pericle and
iproved by Lycurgus in the ‘middle of nowhere’ mount of Licabetto. Aristotle
may have chosen the site because Socrate, his tutor’s tutor, used to walk all
the way form downtown to corrupt the athletes!” -- peripatetic – lycaeum -- School,
also called Peripatos, the philosophical playgroup founded by Aristotle at the
Lycaeum gymnasium in Athens. The derivation of ‘Peripatetic’ from the alleged
Aristotelian custom of “walking about, “peripatein,” is, while colourful,
wrong. ‘Peripatos’ is in Griceian a “covered walking hall” – which is among the
facilities, “as the excavations show,” as Grice notes. A scholarch or head-master
presided over roughly two classes of members. One is the “presbyteroi” or
seniors, who have this or that teaching dutu, and the “neaniskoi” or juniors. Grice:
“When Austin instituted the playgroup he saw himself as *the* presbyteros,
while I, like the others, was a ‘neaniskos.”” No females were allowed, to avoid
disruption. During Aristotle’s lifetime his own lectures, whether for the inner
circle of the school (what Aristotle calls ‘the gown’) or for Athens (‘the
town’) at large, are probably the key attraction and core activity. Given
Aristotle’s celebrated knack for organizing group research projects, we may
assume that Peripatetics spent much of their time working on their own specific
assignments either at the swimming-pool library, or at some kind of repository
for specimens used in zoological and botanical investigations. As a foreigner,
Aristotle cannot possibly own any property in Athens. When he left Athens (pretty much as when Austin died) Theophrastus
of Eresus (pretty much like Grice did) succeeded him as scholarch. Theophrastus
is s an able Aristotelian (whereas Grice started to criticise Austin) who wrote
extensively on metaphysics, psychology, physiology, botany, ethics, politics,
and the history of philosophy. With the help of the Peripatetic dictator
Demetrius of Phaleron, Theophrastus was able to secure property rights over the
physical facilities of the school. Under Theophrastus, the Peripatos continued
to flourish and is said to have had 2,000 students. Theophrastus’s successor,
Strato of Lampsakos, has much narrower interests and abandoned key Aristotelian
tenets (such as the syllogism – “I won’t force Aristotle to teach me how to
reason with a middle term in the middle!” – Diog. Laert. v. 673b-c. With
Strato, a progressive decline set in, to which the moving of Aristotle’s swimming-pool
library out of Athens (minus the swimming-pool) by Neleus of Skepsis, certainly
contributed. By the first century B.C. the Peripatos had ceased to exist. “Philosophers
of later periods sympathetic to Aristotle’s views have also been called Peripatetics;
I fact, *I* have, by A. D. Code, of all people!” – Refs.: H. P. Grice, “How to
become a Peripatetic – and not die in the attempt.”
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