cosi: -- Giovanni Cosi Questa voce è orfana Questa voce sull'argomento filosofi è orfana, ovvero priva di collegamenti in entrata da altre voci. Inseriscine almeno uno pertinente e non generico e rimuovi l'avviso. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Abbozzo Questa voce sull'argomento filosofi italiani è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di . Giovanni Cosi (Firenze, 1951) è un filosofo, giurista e accademico italiano. Biografia Si laurea presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Firenze. Autore di diversi libri, il cui primo è pubblicato nel 1979 con il titolo "La liberazione artificiale", per la Giuffrè Editore. Tra gli anni settanta e ottanta Professoretiene alcuni seminari grazie ai quali pubblica nel 1981 due libri: "Religiosità e teoria critica" e "Secolarizzazione e risacralizzazioni", sempre pubblicati per la Giuffrè Editore. Questi due libri vengono fusi nel 1990 in un unico volume dal titolo "Il sacro e giusto", edito da FrancoAngeli. Dopo aver compiuto ricerche sull'espressione del dissenso in forma non rivoluzionaria negli ordinamenti liberal-democratici, pubblica per la Giuffrè Editore il volume "Saggio sulla disobbedienza civile". Dal 1985 si occupa di indagini storiche e critiche sui problemi etici della professione legale. Da queste indagini pubblica nel 1987 il testo: "Il giurista perduto" per l'editrice Giuntina. Ha insegnato presso le facoltà di Giurisprudenza delle Firenze e Sassari ed è ordinario a Siena. Dal 2007 è coordinatore e responsabile scientifico dell'Ente di formazione per mediatori istituito presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Siena. Opere (parziale) La liberazione artificiale: l'uomo e il diritto di fronte alla droga, Giuffrè Editore, 1979, Milano Saggio sulla disobbedienza civile: storia e critica del dissenso in democrazia, Giuffrè Editore, 1984, Milano Il giurista perduto: avvocati e identità professionale, Giuntina, 1987, Firenze Il sacro e il giusto: itinerari di archetipologia giuridica, FrancoAngeli, 1990, Milano Il Logos del diritto, Giappichelli Editore, 1993, Torino La responsabilità del giurista: etica e professione legale, Giappichelli Editore, 1998, Torino Con Maria Antonietta Foddai, Lo spazio della mediazione, Giuffrè Editore, 2003 Invece di giudicare, Giuffrè Editore, 2007, 203 pagine Con Giuliana Romualdi, La mediazione dei conflitti, Giappichelli Editore, Torino . Legge, Diritto, Giustizia, Giappichelli Editore, Torino . Con Stefano Berni, Fare giustizia. Due scritti sulla vendetta, Giuffré Editore, Milano . Note Giovanni Cosi, dirittoestoria.it. 21-03-. Prof. Giovanni Cosi, ass-equilibrio.it. 21-04-. Filosofia Filosofo del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloGiuristi italiani del XX secoloGiuristi italiani del XXI secoloAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani Professore1951 Firenze
COSMACINI: Giorgio
Cosmacini (Milano), filosofo. Si diploma con il massimo dei voti e si iscrive
alla facoltà di medicina a Pavia. Il padre, architetto di professione, muore
nel gennaio del 1950 a causa di un cancro ai polmoni, mentre Giorgio stava
frequentando il secondo anno di medicina. Nel 1951 decise di trasferirsi a
Pavia per seguire più assiduamente le lezioni e le esercitazioni del terzo anno
di università. In questo periodo gli fu diagnosticata una cardite reumatoide,
dovuta allo stress per la morte del padre. Nello stesso anno si recò in viaggio
in Francia con la madre, vide il Tour de France e assistette, negli studi di
Radio France, all'intervista radiofonica fatta ai due campioni Bartali e Coppi.
Durante la sua permanenza a Limoges conobbe l'anziano medico della famiglia
Quinque, proprietari del più rinomato negozio di porcellane della città, il
quale gli regalò un'opera di Bichat: “La vie et la mort”, per insegnargli che
la vita doveva essere definita e compresa a partire dalla morte. Gli studi
medici a Pavia procedettero per il meglio, tanto da ricevere esenzioni dalle
tasse universitarie per gli ottimi risultati ottenuti. Dopo che l'esondazione
del Ticino ebbe inondato Pavia, si trasferì nel palazzo Vistrarino, che poi
abbandonò negli ultimi anni di università, durante i quali si dedicò anima e
corpo allo studio e al tirocinio in clinica. Nel pomeriggio del 12 luglio 1954,
a ventitré anni, si laureò in medicina con un biennio di anticipo rispetto al
normale corso di studi. Nella scelta della specializzazione fu molto
indeciso tra il corso in odontoiatria e quello in radiologia, ma nel frattempo
gli fu offerto un ruolo di “volontario tappabuchi”, per colmare le lacune
dell'ospedale Busto Arsizio. Il suo nuovo impiego prevedeva l'esecuzione di
pratiche endovenose e la sperimentazione di nuove soluzioni farmaceutiche sui
malati. Nonostante il suo notevole impegno durante il tirocinio, non aveva
ancora acquisito l'esperienza necessaria per eseguire correttamente queste
pratiche e soffriva di un complesso di inferiorità. Questo svanì quando fu
affiancato ad un compagno di corso che gli fece da "mentore" e gli
insegnò anche ad entrare in confidenza col malato. Sotto le armi Nel
gennaio del 1955 finisce il suo apprendistato e, chiamato alle armi, si
presenta alla Scuola di Sanità Militare di Firenze. Questa esperienza diviene
propizia allo studio della patologia traumatica, dell'assistenza bellica, delle
urgenza di guerra, delle aggressioni da armi atomiche, chimiche, biologiche,
dell'organizzazione sanitaria nelle varie emergenze e calamità. Lasciò anche
spazio per la frequentazione di un “Corso di igiene pratica” presso l'Firenze,
che seguì assiduamente nelle ore serali, ottenendo il relativo diploma in data
24 maggio 1955. Finita l'esperienza militare fiorentina, ulteriore pedana di
lancio per la sua carriera, viene nominato sottotenente e assegnato
all'Ospedale Militare di Milano, dopo essere risultato secondo in graduatoria.
Rientrato da Firenze, le trasformazioni di modernizzazione di quel periodo di
benessere generale lo riguardarono in prima persona: viveva a casa propria, al
mattino prendeva il tram che lo portava all'Ospedale Militare di Baggio,
passava tre o quattro ore nel “Reparto II medicina”, rincasava per il pranzo,
aveva il resto della giornata a disposizione, si incontrava con la fidanzata e
gli amici prima o dopo cena. Da lui stesso questo periodo fu definito: “Una
pacchia: pagata, in sovrappiù”. La morte di don Carlo Gnocchi La morte di
don Carlo Gnocchi a soli 53 anni, avvenuta alla fine di febbraio 1956,
rattrista profondamente Giorgio. Difatti, il sacerdote fu il padre spirituale
del medico nella sua infanzia. Anche se Giorgio, da tempo, non aveva più uno
stretto legame con lui, i suoi insegnamenti gli rimasero impressi per tutta la
vita: “Non dimenticarti di essere buono”. Medico della mutua L'esperienza
dell'Ospedale Militare si conclude nel maggio del 1956 e sul finire dello
stesso anno ottiene, in qualità di medico generico, la “convenzione della
mutua” o INAM(Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie) e apre
un ambulatorio mutualistico nel quartiere della Barona di Milano. Secondo
Giorgio per saper essere medico“essere” nel senso pienonon è sufficiente la
competenza acquisita, fatta di conoscenza ed esperienza e soggetta ad
aggiornamento periodico, è necessaria anche la disponibilità, dote caratteriale
permanente, fatta di comprensione e partecipazione. Un buon medico non deve
esclusivamente misurare le problematiche della malattia, ma ha l'obbligo di analizzare
le qualità psicologiche, sociali ed esistenziali del malato. Fare bene il
mestiere di “medico della mutua” non significava gestire un certo numero di
“mutuanti”; voleva inoltre dire aver cura di una comunità di persone, ciascuna
delle quali con esigenze proprie. Qualche tempo dopo gli viene offerto un posto
all'ospedale Fatebenefratelli, in corso di Portanuova, quindi inizia a fare
numerose “supplenze” per i colleghi e anche alcune visite a domicilio. Le serie
di supplenze più numerose furono quelle a Limito e si protrassero per un anno e
mezzo. La nuova specialistica e il matrimonio Nel 1958 si iscrisse alla
specialistica di radiologia arrivando secondo all'esame di ammissione
raggiungendo in quel periodo circa trecento mutuanti. Il 15 settembre 1958
coronò il suo fidanzamento, durato otto anni, e il viaggio di nozze fu su una
Fiat Nuova 500. Della nuova utilitaria era il quarto acquirente in Italia e, in
quanto tale, la rivista Quattroruote lo ritrasse accanto all'autovettura nuova
nell'atto di aprire la portiera davanti all'ambulatorio. Al rientro dal viaggio
di nozze dovette rinunciare momentaneamente a specializzarsi in radiologia,
poiché gli fu offerta una lunga supplenza, della durata totale di sei mesi e
ben retribuita, nell'Ospedale Civile “Giuseppe Fornaroli” di Magenta. Dopo la
nascita della sua primogenita Paola, decise di continuare gli studi di
cardiologia abbozzati durante i mesi di supplenza. Ciò non gli fu possibile,
perché il suo precedente corso di specialistica in radiologia non era ancora
terminato. Tornò quindi a frequentare i corsi di radiologia e, nel giro di un
anno, si specializzò con una tesi d'avanguardia: “Il fosforo radioattivo nella
terapia della policitemia rubra (morbo di Vaquez)”. In seguito gli fu offerto
l'incarico di “assistente radiologo” nel più grande ospedale cittadino:
l'Ospedale Maggiore di Milano-Niguarda. Nell'estate del 1960 contrasse
un'epatite acuta di tipo A nell'esercizio della professione curando una giovane
malata affetta da itterizia. I primi lavori scientifici All'inizio degli
anni '60 poteva contare su più di mille assistiti; in quel periodo nacque la
sua secondogenita Barbara. Nel marzo e nell'agosto 1966, sulla più prestigiosa
rivista radiologica italiana “La Radiologia Medica”, comparvero i suoi due
primi lavori scientifici, dedicati allo studio di due malattie pressoché
sconosciute: la “emosiderosi polmonare” e la “sindrome di Dressler consecutiva
a infarto miocardico”. Alla fine dell'anno le sue pubblicazioni
scientifiche erano ventuno e sul finire del '68 circa settanta. L'Ospedale
Maggiore gli conferì il premio di “operosità scientifica”. Scrisse anche un
libro, edito da “Minerva Medica”, in collaborazione con l'amico-collega
Fiorentino Costa e dedicato a delle malattie della cistifellea relativamente
frequenti, ma ignorate da più: le “colecistosi”. L'esame per la libera
docenza Nel 1959, quando i suoi mutuanti erano circa millecinquecento, decise
di realizzare un suo sogno: la libera docenza. Per diventare professore
bisognava superare, previa ammissione “per titoli”, degli esami da sostenere a
Roma, davanti a una commissione composta da cinque cattedratici del ramo, veri
e propri “luminari”. Ma il 30 maggio 1969 il Corriere della Sera pubblicò la
notizia che quell'anno il concorso per la libera docenza, sotto decisione del
Ministro Ferrari-Aggradi, non si sarebbe svolto. Per lui quel titolo era
"un saldo di conto col passato", una garanzia per il suo futuro e un
riconoscimento di un ruolo che era congeniale alla sua persona. Finalmente dopo
una serie di lettere scambiate con l'onorevole Ferrari-Aggradi e un'ennesima
delusione per una “finta ammissione”, il 9 giugno 1971, dopo un breve esame, il
radiologo in carriera fu abilitato alla libera docenza con un decreto
ministeriale. Quando tale decreto venne notificato, il neo professore non era
più assistente all'Ospedale di Niguarda, ma già da sei mesi dirigente, nel
Policlinico Universitario, del Servizio di radiologia dell'Istituto di
patologia medica. Docenza Attualmente insegna Storia della medicina
presso la Facoltà di Filosofia e quella di Medicina e Chirurgia dell'Università
Vita-Salute San Raffaele e presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell'Università degli Studi di Milano. È considerato il maggiore storico della
medicina italiano ed è autore di numerose opere d'argomento storico-medico e
filosofico-medico. È collaboratore della pagina culturale del Corriere della
Sera. Il 14 gennaio il sindaco di
Milano Giuliano Pisapia gli conferisce l'Ambrogino d'oro. Opere Scienza
medica e giacobinismo in Italia. L'impresa politico-culturale di Giovanni
Rasori (1796-1799), Collana La società, Milano, Franco Angeli, 1982. Röntgen.
Il "fotografo dell'invisibile", lo scienziato che scoprì i raggi x,
Collana Biografie, Milano, Rizzoli, 1984. Gemelli. Il Machiavelli di Dio,
Collana Biografie, Milano, Rizzoli, 1985. Storia della medicina e della sanità
in Italia. Dalla peste europea alla guerra mondiale (1348-1918), Gius. Laterza
& Figli, 1987 [ I volume di 3 ] Medicina e Sanità in Italia nel Ventesimo
secolo. Dalla 'Spagnola' alla 2ª Guerra Mondiale (1918-1945), Roma-Bari,
Laterza, 1989. [ II volume di 3 ] La medicina e la sua storia. Da Carlo V al Re
Sole, Collana Osservatorio italiano, Milano, Rizzoli, 1989. Una dinastia di
medici. La saga dei Cavacciuti-Moruzzi, Collana Saggi italiani, Milano,
Rizzoli, 1992. Storia della medicina e della Sanità nell'Italia contemporanea,
Roma-Bari, Laterza, 1994. [ III volume di 3 ] G. Cosmacini-Cristina Cenedella,
I vecchi e la cura. Storia del Pio Albergo Trivulzio, Roma-Bari, Laterza, 1994.
La qualità del tuo medico. Per una filosofia della medicina, Roma-Bari,
Laterza, 1995 Medici nella storia d'Italia, Roma-Bari, Laterza, 1996 L'arte
lunga. Storia della medicina dall'antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza, 1997 Il
medico ciarlatano. Vita inimitabile di un europeo del Seicento, Laterza, 1998
Ciarlataneria e medicina. Cure, maschere, ciarle, Milano, Raffaello Cortina,
1998 La Ca' Granda dei milanesi. Storia dell'Ospedale Maggiore, Roma-Bari,
Laterza, 1999. Il mestiere di medico. Storia di una professione, Collana
Scienze e Idee, Milano, Raffaello Cortina, 2000 G. Cosmacini-Claudio Rugarli,
Introduzione alla medicina, Roma-Bari, Laterza, 2000 Biografia della Ca'
Granda. Uomini e idee dell'Ospedale Maggiore di Milano, Laterza, 2001 Medicina
e mondo ebraico. Dalla Bibbia al secolo dei ghetti, Collana Storia e Società,
Roma-Bari, Laterza, 2001 Il male del secolo. Per una storia del cancro,
Roma-Bari, Laterza, 2002 La stagione di una fine, 1943-1945, Terziaria, 2002.
Il medico giacobino. La vita e i tempi di Giovanni Rasori, Collana Storia e
Società, Roma-Bari, Laterza, 2002 G. Cosmacini-Roberto Mordacci, Salute e
bioetica, Torino, Einaudi, 2002 G. Cosmacini-Roberto Satolli, Lettera a un
medico sulla cura degli uomini, Roma-Bari, Laterza, 2003 La vita nelle mani.
Storia della chirurgia, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza, 2003 Una
vita qualunque, 1918-1940, viennepierre edizioni, 2003. Il medico materialista.
Vita e pensiero di Jakob Moleschott, Collana Storia e Società, Roma-Bari,
Laterza, 2004 «La mia baracca». Storia della fondazione Don Gnocchi,
Presentazione del Cardinale Dionigi Tettamanzi, Laterza, 2004 G.
Cosmacini-Maurizio De Filippis-Patrizia Sanseverino, La peste bianca. Milano e
la lotta antitubercolare (1888-1945), Milano, Franco Angeli, 2004. L'arte
lunga. Storia della medicina dall'antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2005 Il
romanzo di un giovane medico (1951-1971), viennepierre edizioni, 2005 L'Islam a
La Thuile nel Medioevo. Un «tuillèn» alla terza crociata: andata, ritorno,
morte misteriosa, KC Edizioni, 2006. Le spade di Damocle. Paure e malattie
nella storia, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza, 2006 La religiosità
della medicina. Dall'antichità a oggi, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza,
2007 L'anello di Asclepio. 1990-2007. L'età dell'oro, viennepierre edizioni,
2008. G. Cosmacini-Andrea W. D'Agostino, La peste, passato e presente, Milano,
Editrice San Raffaele, 2008 La medicina non è una scienza. Breve storia delle
sue scienze di base, Collana Scienze e Idee, Milano, Raffaello Cortina, 2008 Il
medico saltimbanco. Vita e avventure di Buonafede Vitali, giramondo
instancabile, chimico di talento, istrione di buona creanza, Roma-Bari,
Laterza, 2008 Prima lezione di medicina, Collana Universale.Prime lezioni,
Roma-Bari, Laterza, 2009 Il medico e il cardinale, Milano, Editrice San
Raffaele, 2009 Testamento biologico. Idee ed esperienze per una morte giusta,
Bologna, Il Mulino, G.
Cosmacini-Giuseppe Scotti, Francesco Scotti 1910-1973. Politica per amore,
Presentazione di Arturo Colombo, Milano, Franco Angeli, . Guerra e medicina.
Dall'antichità a oggi, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza, .
Compassione. Le opere di misericordia ieri e oggi, Bologna, Il Mulino, . La
scomparsa del dottore. Storia e cronaca di un'estinzione, Milano, Raffaello
Cortina, . Camillo De Lellis. Il santo dei malati, Roma-Bari, Laterza, . G.
Cosmacini-Paola Cosmacini, Il medico delle mummie. Vita e avventure di Augustus
Bozzi Granville, Collana Percorsi, Roma-Bari, Laterza, . G. Cosmacini-Giorgio
Cavalleri, 10 anni (1935-1945). Como, il lago, la montagna, NodoLibri, Tanatologia della vita e stetoscopio. Bichat,
Laënnec e la "nascita della clinica", AlboVersorio, . Medicina e
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Como, il lago, la montagna, NodoLibri,
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scienza medica non neutrale. Tre maestri della medicina tra Ottocento e
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Narrata, Sedizioni, G. Cosmacini-Martino
Menghi, Galeno e il galenismo. Scienza e idee della salute, Milano, Franco
Angeli, . Chimica della vita e microscopio. Pasteur e la microbiologia,
AlboVersorio, . Per una scienza medica non neutrale. Tre maestri della medicina
in Italia fra Ottocento e Novecento, L'Ornitorinco, Il tempo della cura. Malati, medici,
medicine, NodoLibri, Elogio della
Materia. Per una storia ideologica della medicina, Edra edizioni, L'Infinito di Leopardi. Un impossibile
congedo, Sedizioni, . Memorie dal lago e ricordi dal confine. Como, il lago, la
montagna, NodoLibri, Salute e medicina a
Milano. Sette secoli all'avanguardia, L'Ornitorinco, . La medicina dei papi,
Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza,
Medici e medicina durante il fascismo, Pantarei, . Il viaggio di un
ragazzo attraverso il fascismo, 1935-1946, Pantarei, . G. Cosmacini-Giovanni
Ferrari, Historia cordis, Ass. Gianmario Beretta, . Curatele Dizionario di
storia della salute, G. Cosmacini, Giuseppe Gaudenzi, Roberto Satolli, Collana
Saggi n.807, Torino, Einaudi, 1996. Note
Giorgio Cosmacini, "Il romanzo di un giovane medico
(1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005 pag.35. Giorgio Cosmacini, "Il romanzo di un
giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005 pag.49. Giorgio Cosmacini, "Il romanzo di un
giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005 pag.50. Giorgio Cosmacini, "Il romanzo di un
giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005 pag.69. Giorgio Cosmacini, "Il romanzo di un
giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005 pag.87. Giorgio Cosmacini, "Il romanzo di un
giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005 pag.89. Giorgio Cosmacini, "Il romanzo di un
giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005 pag.96. Giorgio Cosmacini, "Il romanzo di un
giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005 pag.98. Giorgio Cosmacini, "La mia
baracca".Storia della Fondazione Don Gnocchi, Laterza, Roma-Bari 2004,
p.XX . Giorgio Cosmacini, "Il
romanzo di un giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005
pag.102. Giorgio Cosmacini, "Il
romanzo di un giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005
pag.115. Giorgio Cosmacini, "Il
romanzo di un giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005
pag.117. Giorgio Cosmacini, "Il
romanzo di un giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005
pag.119. Giorgio Cosmacini, "Il
romanzo di un giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005
pag.129. Giorgio Cosmacini, "Il
romanzo di un giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005
pag.145. Giorgio Cosmacini, "Il
romanzo di un giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005
pag.176. Giorgio Cosmacini, "Il
romanzo di un giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005
pag.189. Giorgio Cosmacini, "Il
romanzo di un giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005
pag.190. Giorgio Cosmacini, "Il
romanzo di un giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005
pag.197. Il Sindaco consegna Ambrogino
d'Oro al professor Giorgio Cosmacini, su comune.milano.it, 14 gennaio . 9
ottobre . Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Giorgio
Cosmacini Giorgio Cosmacini su don
Gnocchi, su youtube.com.
COSMI: Giovanni Agostino
De Cosmi (Casteltermini), filosofo. Fu un'imponente figura della cultura
siciliana. Formatosi nel Seminario dei Chierici di Agrigento, ricoprì la carica
di rettore dell'Università degli Studi di Catania; nel 1788 ricevette da
Ferdinando di Borbone l'incarico di redigere il piano regolatore delle Scuole
Normali dell'Isola. Diede un rilevante contributo all'innovazione del pensiero
pedagogico illuministico europeo. Secondo lo storico Francesco Renda il De
Cosmi fu un «grande pedagogista, il primo e il più geniale del regno
meridionale e uno dei primi e più geniali del Settecento italiano». Francesco Renda, Storia della Sicilia dalle
origini ai giorni nostri, 2, Palermo,
Sellerio, 2003753, 88-389-1914-3.
Caterina Sindoni, Giovanni Agostino De Cosmi e la scuola popolare di Sicilia,
Messina, Samperi, 160,
978-88-86038-88-1. Giovanni
Agostino De Cosmi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Giovanni Agostino De Cosmi, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Biografie Storia Storia Categorie: Pedagogisti
italianiFilosofi italiani Professore1726 1810 5 luglio 24 gennaio Casteltermini
PalermoRettori dell'Università degli Studi di Catania
COSOTTINI: Mirio
Cosottini NazionalitàItalia Italia GenereMusica contemporanea Musica
sperimentale Jazz Musica d'ambiente Periodo di attività musicale1994in attività
Strumentotromba, flicorno, pianoforte EtichettaImpressus Rec., Amirani Rec.,
Materiali Sonori Modifica dati su Wikidata Manuale Mirio Cosottini (Figline
Valdarno, 9 settembre 1971) è un trombettista, compositore e filosofo
italiano. Si diploma in tromba al Conservatorio di Firenze
"Luigi Cherubini”, perfezionando poi lo studio dello strumento con il
trombettista francese Pierre Thibaud. Successivamente s'interessa di
improvvisazione musicale collaborando con il collettivo sperimentale Timet,
dove riveste il ruolo di esecutore, compositore e teorico musicale. Questa
esperienza, portata avanti dal 1996 al 2002, gli consente di conoscere numerosi
musicisti e artisti italiani e stranieri, fra i quali Stefano Bollani, Monica
Demuru, Beppe Mangione, Ares Tavolazzi, Mirko Guerrini, Letizia Renzini,
Fernando Maraghini, Raffaella Giordano, il poeta Giancarlo Majorino, Andres
Bosshard, Mariposa, Enrico Gabrielli, Alessandro Fiori, Andrea de Luca, Elliott
Sharp, Zeena Parkins, Ikue Mori, Stefano Battaglia, Enrico Rava, Frank Shulte,
Werner Puntigam. Inoltre, negli stessi anni, collabora con musicisti e
compositori fra cui Maurizio Ben Omar, Oliviero Lacagnina, Vinko
Globocar. Nel 1998 compone le musiche per il film Anche le donne hanno
perso la guerra del regista Carlo Bolli, tratto da un testo teatrale di Curzio
Malaparte e prodotto da RaiSat con la collaborazione del Comune di Prato.
Nel 1999 si laurea in Filosofia all’Università degli Studi di Firenze e
prosegue gli studi in Filosofia della Musica ottenendo, nel , il Dottorato in
Storia delle Società, delle Istituzioni e del Pensiero dal Medio Evo all’Età
Contemporanea, con una tesi di Filosofia della Musica dal titolo Fenomenologia
dell'improvvisazione musicale. La prospettiva del performer. Nel 2002 è
chiamato da Stefano Bollani, che ne cura produzione e arrangiamenti, a
partecipare alle session in studio per il CD di Bobo Rondelli Disperati
Intellettuali Ubriaconi. Nel 2003, con il compositore e pianista Bruno De
Franceschi, compone le musiche per There Where We Were prodotto dalla compagnia
di danza Deja Donné, fondata da Lenka Flory e Simone Sandroni. La prima
mondiale dello spettacolo avviene al Tanzwerkstatt Europa Festival di Monaco di
iera. Con De Franceschi continuerà poi a collaborare per numerose performance
in Italia e all’estero. Collaboreranno inoltre con il gruppo vocale Tacitevoci
Ensemble (Cristiana Arcari, Elena Arcuri, Enrico Fink) dove parteciperanno
anche musicisti come Paolino Dalla Porta, Damiano Puliti, Marco Papeschi,
Oliviero Lacagnina. Nello stesso anno è poi chiamato dal regista Massimo Luconi,
con il quale nascerà successivamente una proficua e intensa collaborazione, per
comporre le musiche di No Man's Land, uno spettacolo teatrale con testo di
Sandro Veronesi e la produzione del Teatro Metastasio di Prato. Nel 2005
compone, con Dialy Maly Cissoko dell'Orchestra di Piazza Vittorio, le musiche
per Le pareti della solitudine dall'opera di Tahar Ben Jelloun, un progetto
drammaturgico per la regia di Massimo Luconi e con l'attore Ferdinando
Maraghini. Nello stesso anno, con il fagottista Alessio Pisani, fonda
l'Associazione GRIM (Musical Improvisation Research Group), la quale gli dà
modo di collaborare con musicisti come Gianni Mimmo, Mario Arcari, Angelo
Contini, Marco Tindiglia, Francesco Cigana, Filippo Pedol, Andrea Melani, Paolo
Botti, Michel Godard e Luca Cartolari degli Anatrofobia; inoltre, come GRIMedia
Records, realizza numerose produzioni discografiche. Sempre nello stesso anno
compone le musiche per la compagnia Sosta Palmizi (A.Paz e La favola Esplosa),
potendo così collaborare con danzatori come Giorgio Rossi, Raffaella Giordano,
Simone Sandroni, Masako Noguchi, Teodora Popova. Dal 2005 al insegna Improvvisazione Musicale al
Conservatorio di Padova, periodo nel quale tiene numerosi laboratori d’improvvisazione
(Exploratorium, Berlino; Corsi di Alto Perfezionamento di Bertinoro di Romagna;
Cantieri di Montepulciano; Conservatorio "Bruno Maderna" di Cesena,
Conservatorio di Musica “L. Cherubini” di Firenze). Nel 2007 compone le
musiche per il documentario storico And They Came To Chicago: The Italian
American Legacy, prodotto da Gia Amelia e con la voce narrante di Joe Mantegna.
Il documentario è premiato al WTTW11 (PBS) e al NBC5, mentre la colonna sonora
vince il Telly Awards del 2008. Sempre nel 2008 è con Mirko Guerrini
nell'ensemble che accompagna Massimo Altomare e Stefano Bollani per i concerti
legati al disco Le Fanfole, canzoni composte su testi del poemetto
metasemantico di Fosco Maraini Gnosi delle Fanfole. Nello stesso anno instaura
la collaborazione con il pianista e didatta Tonino Miano, elaborando
teorizzazioni sul rapporto tra Linearità e Nonlinearita nella musica che poi i
due sviluppano e applicano realizzando alcuni cd pubblicati per la Impressus
Records e GRIMedia Records. The Curvature of Pace del 2008. Cardinal del 2009,
che si avvale della partecipazione di Alessio Pisani e Andrea Melani, un
progetto dove i quattro musicisti si muovono pacatamente per le loro vie,
variando direzioni e anche versi, ascoltandosi sempre, ma con dialoghi liberi e
mai serrati. The Inner Life of Residue del , più coerente con un idioma
jazzistico. A fine anno appare nella classifica Top Jazz della rivista Musica
Jazz come miglior strumentista dell'anno per la categoria ottoni. Nel
2009 realizza come EA Silence (trio composto da Cosottini, Cartolari e Pisani)
Cono di Ombra e Luce ed appare di nuovo nelle classifiche di fine anno della
rivista Musica Jazz, sia nella categoria Musicista, sia come Miglior Nuovo
Talento e Strumentista (per la categoria ottoni) e Cono di Ombra e Luce,
insieme al CD Cardinal, è nella classifica di Miglior Disco dell'Anno.
Nel compone le musiche per Il Dolore,
dall'opera di Marguerite Duras. Uno spettacolo con Mariangela Melato, la regia
di Massimo Luconi e prodotto dal Teatro Comunale di Firenze e dal Teatro Stabile
di Genova; nel , uscirà il DVD dello spettacolo pubblicato per il Corriere
della Sera. Inoltre, a fine anno, risulta come Miglior Strumentista della
categoria ottoni nella classifica Top Jazz della rivista Musica Jazz ed è anche
presente come Miglior Disco con Flatime e come Miglior Formazione con
EASilence. Sempre nello stesso anno collabora di nuovo con Massimo Altomare per
le registrazioni del disco Outing dove, tra gli altri, partecipano anche
Stefano Bollani, Lorenzo Piscopo e Walter Paoli. Nel compone le musiche per Sarabanda, spettacolo
teatrale con Luciana Lo Jodice, la regia di Massimo Luconi e la produzione del
Teatro Metastatio di Prato. Nel
partecipa come musicista alla trasmissione radiofonica Il Dottor Djembè,
via dal solito tam tam di Radio RAI Tre, condotta da David Riondino, Stefano
Bollani e Mirko Guerrini. Da questa esperienza, oltre a consolidare il rapporto
artistico e di amicizia con Guerrini, inizia una fitta collaborazione con David
Riondino che accompagna spesso nei suoi spettacoli, curandone le musiche ed
eseguendole dal vivo: La musica dei matti con Mirko Guerrini (), Alatiel con
Monica Demuru (), Bocca Baciata (), Triglie, Principesse, Tronisti e Alpini ().
Sempre nello stesso anno, con Mirko Guerrini, elabora una sorta di ritrattistica
sonora costituita attorno ad alcuni vincoli fisionomici e zodiacali, i Ritratti
Sonori appunto, che ha avuto un largo spazio nella trasmissione radiofonica
Alza il Volume in onda su Radio3 e in seguito, sempre per la stessa emittente,
partecipano al Materadio, la festa che si svolge a Matera dal e curata dalla radio. L'esperimento dei
Ritratti Sonori fu anche commissionato da La Repubblica e pubblicato sul sito
Rep TV nel giugno del . Dal
collabora regolarmente con l’Exploratorium di Berlino e con il pianista,
ricercatore e insegnante di musica Reinhard Gagel. Approfondisce i temi della
didattica dell’improvvisazione con il saggio Sound Invariance, Graphic and
Improvisation (), la cui pubblicazione è curata da Gagel stesso. Insieme, poi,
pubblicano il CD Piece Without Memory (), una creazione dialogica di suoni del
tutto libera e interamente legata all'istante, tale da produrre composizioni
dallo sviluppo verticale, non direttamente legate allo sviluppo nel tempo. Le
note di copertina sono del filosofo Alessandro Bertinetto e con lui, Cosottini,
continuerà una proficua collaborazione filosofico/musicale all’interno
dell’Udine/Trieste. Con il filosofo, nel , con il tema Improvvisare la verità
parteciperà anche agli incontri di Musica e Filosofia Prismi, organizzati
dall'Ateneo Veneto (San Marco 1897, Venezia). Nel realizza le musiche per il CD Le radici e le
aliOmaggio a Senghor con la partecipazione di Dialy Maly Cissoko e il
percussionista Papi Thiam. La musica è realizzata all’interno di performance
coordinate dal regista Massimo Luconi e con la presenza di musicisti come Paolo
Fresu e Uri Caine. Nel , dallo spettacolo Bocca Baciata, oltre a suonare
cura anche gli arrangiamenti per il CD di David Riondino Bocca Baciata non
perde ventura, anzi rinnova come fa la Luna, distribuito dalla Materiali
Sonori. Inoltre, sempre dal , collabora con il centro di ricerca Tempo Reale,
che si occupa del rapporto tra musica e nuove tecnologie e fondato nel 1987 da
Luciano Berio. In maniera particolare lavora con il direttore Francesco Giomi e
i musicisti Francesco Canavese e Monica Benvenuti. Realizza la partitura
grafica Dettagliper tre esecutori, che consiste di una mappa e ottantuno carte
con segni grafici codificati (la mappa e le carte sono i “veicoli” e il modo in
cui si legge la grafia genera molteplici possibilità musicali); e poi la
partitura grafica I-Silenceper ensemble, che in seguito sarà registrata e
distribuita in digitale dall’etichetta TRema. Nel costituisce con il trombonista Niccolò Pontenani
il Free Chamber Brass, un ensemble di musica improvvisata che debutta con un
concerto per la rassegna del Cantiere Internazionale d'Arte di Montepulciano,
manifestazione ideata dal compositore Hans Werner Henze. L'ensemble suonerà
all'interno della Tipografia Madonna delle Querce dove, insieme ai musicisti
del quartetto, suonano anche i tipografi che utilizzano le loro macchine da
lavoro. Oltre a ciò compone le musiche per lo spettacolo Prometeo di Massimo
Luconi e la produzione del Teatro Stabile di Napoli. Nel collabora alle session in studio per il CD
Majakovskij!il futuro viene dal vecchio ma ha il respiro di un ragazzo di
Arlo Bigazzi e Chiara Cappelli, coinvolgendo inoltre Mirko Guerrini e partecipando
poi ad alcune rappresentazioni dal vivo dello spettacolo di teatro e
musica. Nel partecipa con Arlo
Bigazzi, Pier Luigi Andreoni e Blaine L. Reininger, co-fondatore dei
Tuxedomoon, alla realizzazione della colonna sonora per il wordless novel del
disegnatore Luca Brandi, edita dalla Hollow Press. Il CD Tribæ Soundtrack è
invece pubblicato dalla Materiali Sonori. La filosofia e la musica I suoi
studi si concentrano sulla filosofia della musica e sulla pedagogia
dell’improvvisazione musicale, scrivendo numerosi saggi per riviste
specializzate come Musica Domani, Perspectives of New Music, Aisthesis,
Musicheria e la rivista online De Musica. Inoltre, nel , pubblica Playing with
Silence per la Mimesis International, un libro sul silenzio e sulle sue
potenzialità performative, mentre nel dà
alle stampe per la ETS Metodologia dell'Improvvisazione Musicale. Tra Linearità
e Nonlinearità, un libro di metodologia dell’improvvisazione musicale nel quale
Cosottini teorizza la dicotomia tra Lineairtà e Nonlineairtà come strumento per
l’analisi dell’improvvisazione musicale. Opere 2008Musical research
Through Young Bodie in Perspectives of New Music, Volume 46/1 2009Non-linearità
per aprirsi all’improvvisazione musical in Musica Domani, trimestrale della
Società Italiana per l’Educazione Musicale, Anno XXXIX, N.151, EDT Studio del
silenzio in contesti non lineari, su DE MUSICA, annuario a cura del Seminario
Permanente di Filosofia della Musica dell’Milano, rivista online diretta da
Carlo Serra La Non-linearità dell’ElectroAcousticSilence, website All About
Jazz Italia con A. Pisani Metodi non lineari e l’improvvisazione in Musica
Domani trimestrale della Società Italiana per l’Educazione Musicale, Anno XLI,
N.158, EDT Non linearità e segno grafico in Musica Domanitrimestrale della
Società Italiana per l’Educazione Musicale, n. 164-165, EDT Ascolto creativo e
scrittura creativa di un’improvvisazione musicale in Percorsi Musicali, blog di
Ettore Garzia Five Improvisations in Ontologie Musicali, Alessandro Bertinetto
e Alessandro Arbo, AisthesisFirenze Invarianza, tempo e improvvisazione
musicale in Itinera, rivista online di filosofia e di teoria delle arti. DOI
Quando improvvisiamo, siamo tutti ciechi, 7/12/, Musicheria.netrivista di
educazione musicale Playing with Silence, Mimesis International, 978-88-5752-665-2 Sound Invariance, Graphic
and Improvisation in Improvisation enforschenImprovisierend forschen, eds.
Gagel and Schwabe, Transcript,
978-3-8376-3188-3 Metodologia dell’improvvisazione musicale. Tra
Linearità e Nonlinearità Edizioni ETS,
978-8-8467-46993 L’estetica dell’improvvisazione tra suono e silenzio in
Musica Domani, n.180 Discografia 2001Papi Thiam, MIrko, Guerrini, Mirio
Cosottini David TiopLe terribili onde della libertà Officine della Cultura
2006Kao Cissoko, Mirio Cosottini Le Radici e le Ali Teatro Metastasio di Prato
2007EAQuartett Electroacousticquartett Grimedia Rec. 2008Mirio Cosottini Tonino
Miano, The Curvature of Pace Impressus Records 2009EA Silence Cono di Ombra e
Luce Grimedia Rec./Amirani Rec. 2009Mirio Cosottini, Alessio Pisani, Tonino
Miano, Andrea Melani Cardinal Grimedia Rec./Impressus Rec. EA Silence Flatime
Grimedia Rec./Amirani Rec. EAOrchestra Likeidos Grimedia Rec./Amirani Rec. A
Windy Season TidalAmphidromic Cotidal Grimedia Rec. Mirio Cosottini Mantras IRC
Discs Mirio Cosottini, Tonino Miano The Inner Life of Residue Impressus Rec.
Reinhard Gagel, Mirio Cosottini Pieces without Memory IRC Discs Arlo Bigazzi
feat. Mirio Cosottini, Blaine L. Reininger, Pier Luigi Andreoni Tribæ
Soundtrack Materiali Sonori Timet 1996Timet Cicli di Sintesi PerBox 1997Timet
Quadri di schermo vivo Arti Elettroniche 1997Timet Colazione con la pietra Arti
Elettroniche 1998Timet La via negativa I Dischi Forma 1999Timet Restituzioni I
Dischi Forma 2000Timet Carne capitata Matrix-I Dischi Forma 2002Timet
Zaratustra I Dischi Forma Collaborazioni 1994Fulvio Caldini DataHands Ariston
1997Andrea ChimentiFernando Maraghini Qoelet Consorzio Produttori Indipendenti
1998Tacitevoci EnsembleNaqqâra Ensemble La mutazione Tve 2002Bobo Rondelli
Disperati Intellettuali Ubriaconi Venus 2003Giorgio Gaber Io non mi sento
italiano CGD 2003Irene Grandi Prima di partire CGD 2004Marco Parente L’attuale
giungla Mescal 2009Mirko Guerrini Il bianco e l'augusto Emarcy Universal
Massimo Altomare Outing Wing/Edel Neurodeliri Nuova Era autoproduzione Tempo
Reale Electroacoustic Ensemble Open Music N.1 David Riondino Bocca baciata non
perde ventura, anzi rinnova come fa la Luna Giano Produzioni/Materiali Sonori
Apparizioni in raccolte 1998V.A. Snowdoniani baccelloni attaccano Megaton 4
SnowdoniaTimet, E Sofferma E 2001V.A. Come fiori in MareLuigi Tenco, Riletto
Lilium ProduzioniMarco Parente, Se Potessi Amore Mio DVD Il Dolore regia
Massimo Luconi, musiche Mirio CosottiniCorriere della Sera 2005Le pareti della
solitudine regia Massimo Luconi, musiche Mirio Cosottini e Maly Dialy
CissokoInsekt multimedia Note Rockol com
s.r.l, √ 'Disperati Intellettuali Ubriaconi', le nuove atmosfere di Bobo
Rondelli, su Rockol. 26 agosto . Peter
M. Boenisch, recensione, tanznetz.de, 9 agosto 2003tanznetz.de/blog/2758/tanz-kino-zum-eindosen A.V., Libro Biancosulla diffusione della
musica contemporanea in Italia, 2009, Federazione CEMAT, Roma, p.176 cfr. AAJ Italy Staff, All About Jazz, 7 marzo
2008news.allaboutjazz.com/mirio-cosottini-and-tonino-miano-release-the-curvature-of-pace-on-impressus-records.php cfr. AAJ Italy Staff, All About Jazz, 19
aprile
allaboutjazz.com/cardinal-mirio-cosottini-pinnacle-records-review-by-aaji-staff.php cfr. Ettore Garzia, Percorsi Musicali, 14
giugno//ettoregarzia.blogspot.com//06/cosottinimiano-inner-life-of-residue.html
Archiviato il 10 agosto in . cfr. AAJ Italy Staff, AltreMusiche, 3 aprile
2009http://altremusiche.it/wp/ea-silence-cono-di-ombra-e-luce/ Madonna, il 'ritratto sonoro'Repubblica Tvla
Repubblica.ithttp://video.repubblica.it/edizione/firenze/madonna-il-ritratto-sonoro/98227/96609?ref=search cfr. Neri Pollastri, All About Jazz, 24
giugno
allaboutjazz.com/pieces-without-memory-mirio-cosottini-irc-improvisation-research-center-review-by-neri-pollastri.php annuncioIl Giornale della Musica, 11 ottobre
giornaledellamusica.it/news/venezia-incontri-di-musica-e-filosofia Felice Colussi, recensioneFolk Bulletin, 15
marzo folkbulletin.com/david-riondino-bocca-baciata-non-perde-ventura-cd-giabomateriali-sonori-99134-8012957991340/ Irene Trancossi, videoRep TV, 16 luglio
video.repubblica.it/edizione/firenze/stampatrici-e-tagliacarte-a-ritmo-di-musica-il-concerto-e-in-tipografia/246864/246969?fbclid=IwAR3xdUzA3IPV3WK3IoHuMVcjEW79APhuysATJsd425fcw-Xk91xV9DiL7P4 Mauro Leone, intervista ad Arlo BigazziDo You
Need A Sign, 5 marzo//doyouneedasign.it//03/05/arlo-bigazzi/ Salvatore Esposito, recensioneBlogFoolk
n.418, 26 luglio blogfoolk.com//07/arlo-bigazzi-feat-blaine-lreinger-pier.html.
COSTA: Mario
Costa (Torre del Greco), filosofo. È conosciuto, in particolare, per aver
studiato le conseguenze, nell'arte e nell'estetica, delle nuove tecnologie,
introducendo nel dibattito internazionale una nuova prospettiva teorica,
attraverso concetti come "estetica della comunicazione",
"sublime tecnologico", "blocco comunicante", "estetica
del flusso". È stato Professore
di Estetica all'Salerno e, come professore incaricato di Metodologia e storia
della critica letteraria e di Etica ed estetica della comunicazione, ha
contemporaneamente insegnato per molti anni nelle Università degli Studi di
Napoli "L'Orientale" e di Nizza (Sophia-Antipolis). All'Salerno ha
fondato e diretto, dal 1985, Artmedia, Laboratorio permanente dedicato al
rapporto tra tecno-scienza, filosofia ed estetica, organizzando su queste
tematiche decine di iniziative di studio, mostre e convegni internazionali. Nel
1991 il suo libro L'estetica dei media ha ottenuto il Premio Nazionale
"Diego Fabbri". Ha pubblicato una trentina di libri; alcuni di essi e
numerosi suoi saggi sono tradotti e pubblicati in Europa e in America.
Pensiero Il suo lavoro teorico si è svolto in due momenti successivi ed ha
seguito due fondamentali direzioni di ricerca: l'interpretazione socio-politica
e filosofica delle avanguardie artistiche del XX secolo, e l'elaborazione di
una filosofia della tecnica costruita soprattutto attraverso l'analisi dei
cambiamenti che la nuova situazione tecno-antropologica ha indotto nell'arte e
nell'estetico. Per quanto riguarda la prima delle due direzioni indicate,
egli, a partire dalla fine degli anni sessanta, ha fornito un complesso di
interpretazioni filosofiche ed estetiche di numerosi movimenti dell'avanguardia
artistica e letteraria. Momenti di particolare rilievo in questo ambito di
ricerca possono essere considerati i suoi lavori su Marcel Duchamp e sulle
funzioni della moderna critica d'arte, nonché i suoi studi sul
"lettrismo" e sullo "schematismo", movimenti artistici di
grande importanza, anche estetologica, ma, all'epoca, pressoché ignoti in
Italia. Per quanto riguarda la seconda delle direzioni indicate, il suo
pensiero si è a sua volta sviluppato secondo due assi fondamentali: uno
riguardante le conseguenze sociali ed etiche della comunicazione tecnologica,
riassunte soprattutto nel libro La televisione e le passioni del 1992 che
analizza gli effetti disgreganti e distruttivi della televisione, e poi nel più
recente La disumanizzazione tecnologica del 2008, e l'altro, dominante rispetto
al primo, consistente in un ripensamento del senso che l'"estetico" e
l'"artistico" vanno assumendo nella fase attuale delle nuove
tecnologie elettro-elettroniche e digitali della scrittura, dell'immagine,
della spazialità, del suono e della comunicazione, ciò che lo ha condotto ad
una radicale ed originale reimpostazione teoretica di tutto il campo
investigato. Negli ultimi suoi lavori (Ontologia dei media del , e Dopo la
tecnica del ) la prospettiva teoretica si è andata ulteriormente approfondendo
dando luogo ad una compiuta filosofia dei media e della tecnica in quanto tale.
Alcune opere rappresentative L'estetica dei media (1990 e 1999) può
considerarsi, per i contenuti trattati e per la inedita metodologia di indagine
instaurata e seguita, un libro che apre un nuovo campo di ricerca, prima del
tutto ignorato ed inesplorato dalle discipline estetologiche, quello appunto
della "estetica dei media", da non confondere, ad esempio, con
l'estetica della fotografia o con quella del cinema, alle quali ha comunque
dedicato altri suoi importanti lavori. Il libro in questione segue ai diversi
contributi teorici relativi all'estetica della comunicazione le cui
identificazione, nominazione e formulazione teorica risalgono al 1983, e che è
ora rappresentata, nella sola Italia, da numerose Cattedre e indirizzi
universitari. Il sublime tecnologico (1990 e 1998) è considerato il lavoro più
noto e più innovativo di tutta la sua produzione teorica; è in esso che,
considerando le conseguenze indotte nel campo dell'arte e dell'estetico dalla
nuova situazione tecno-antropologica, si parla dell'oltrepassamento della
dimensione dell'arte e delle categorie ad essa connesse, nella direzione di una
nuova forma di sublime, quella appunto del sublime tecnologico, con tutto
quello che questo concetto implica e comporta. La nozione del sublime
tecnologico è stata diffusamente accolta e seguita sul piano internazionale
della teoria estetica ed ha sollecitato un incalcolabile numero di
sperimentazioni da parte di artisti di tutto il mondo. Arte contemporanea ed
estetica del flusso () traccia le linee di una nuova estetica e della
sperimentazione artistica che da essa può scaturire. Si tratta da una parte di
un violento e argomentato pamphlet contro l'arte contemporanea, ritenuta “una
congerie più o meno sgradevole di nullità mercantili”, e dall'altra della
tematizzazione ed elaborazione del concetto di “flusso estetico tecnologico”,
considerato come ultima e residua possibilità di sperimentazione per gli artisti
e come chiave per comprendere alcuni aspetti dell'ontologia contemporanea. Dopo
la tecnica () ripercorre la storia delle varie epoche della tecnica
sottolineandone la discontinuità e la capacità di agire configurando, ogni
volta in maniera diversa, l'organizzazione antropologica di chi da esse è
abitato. Sulla base di questi presupposti, si mostra come la tecnica, una volta
connessa e dipendente dai bisogni umani, si va rendendo incondizionatamente
autonoma forzando l'uomo a vivere dentro di essa, ad appartenerle e a favorire
il suo sviluppo. Opere Arte come soprastruttura, Napoli, CIDED, 1972 Teoria e
Sociologia dell'arte, Napoli, Guida Editori, 1974 Sulle funzioni della critica
d'arte e una messa a punto a proposito di Marcel Duchamp, Napoli, M.Ricciardi Editore,
1976 Il ‘lettrismo' di Isidore Isou. Creatività e Soggetto nell'avanguardia
artistica parigina posteriore al 1945, Roma, Carucci Editore, 1980 Le immagini,
la folla e il resto. Il dominio dell'immagine nella società contemporanea,
Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1982 Il sublime tecnologico, Salerno,
Edisud, 1990 L'estetica dei media. Tecnologie e produzione artistica, Lecce,
Capone Editore, 1990 Il ‘lettrismo'. Storia e Senso di un'avanguardia, Napoli,
Morra, 1991 La televisione e le passioni, Napoli, A.Guida, 1992 Lo
‘schematismo'. Avanguardia e psicologia, Napoli, Morra, 1994 Lo ‘schématisme
parisien'.Tra post-informale ed estetica della comunicazione, Fondazione
G.E.Ghirardi, Piazzola sul Brenta (Padova), 1995 Sentimento del sublime e strategie
del simbolico, Salerno, Edisud, 1996 Della fotografia senza soggetto. Per una
teoria dell'oggetto tecnologico, Genova/Milano, Costa & Nolan, 1997 Il
sublime tecnologico. Piccolo trattato di estetica della tecnologia, Roma,
Castelvecchi, 1998 Tecnologie e costruzione del testo, Napoli, L'Orientale,
1998 L'estetica dei media. Avanguardie e tecnologia, Roma, Castelvecchi, 1999
L'estetica della comunicazione. Come il medium ha polverizzato il messaggio.
Sull'uso estetico della simultaneità a distanza, Roma, Castelvecchi, 1999
Dall'estetica dell'ornamento alla computerart, Napoli, Tempo Lungo, 2000
Internet e globalizzazione estetica, Napoli, Tempo Lungo, 2002 New
Technologies, Artmedia-Museo del Sannio, ottobre 2003 Dimenticare l'arte. Nuovi
orientamenti nella teoria e nella sperimentazione estetica, Milano, Franco
Angeli, 2005 Phenomenology of New Tech Arts, University of Salerno, November,
2005 L'oggetto estetico e la critica, Salerno, Edisud, 2007 La disumanizzazione
tecnologica. Il destino dell'arte nell'epoca delle nuove tecnologie, Milano,
Costa & Nolan, 2007 Della fotografia senza soggetto. Per una teoria
dell'oggetto estetico tecnologico, Milano, Costa & Nolan, 2008 Arte
contemporanea ed estetica del flusso, Vercelli, Mercurio Edizioni, Ontologia dei media, Milano,
Postmediabooks, Dopo la tecnica. Dal
chopper alle similcose, Napoli, Liguori Editore, Progetti Il lavoro teorico di Costa teso, tra
l'altro, a definire la nuova epoca dell'estetico connessa alle neo-tecnologie
elettro-elettroniche e digitali, e a fare in modo che questa si andasse ben
configurando e definendo, si è, per ciò stesso, sempre accompagnato ad
un'intensa attività di promozione estetico-culturale: agli inizi degli
anni ottanta organizza a Napoli, col supporto della RAI-TV, una grande
esposizione di videoarte (Differenzavideo, novembre 1982); nell'ottobre 1983,
per sollecitare una riflessione sugli effetti estetico-antropologici indotti
dalle tecnologie della comunicazione, co-organizza (con Mario Perniola) presso
l'Salerno, il Convegno Estetica e antropologia i cui Atti sono, in parte,
pubblicati sulla Rivista di estetica di Torino (n. 18 del 1984); nell'ottobre
del 1983 crea, con l'artista francese Fred Forest, il movimento internazionale
dell'Estetica della comunicazione che presenta in vari contesti a Parigi nello
stesso 1983 (Electra di Frank Popper il 14 dicembre 1983) e nel 1984 (il 21
maggio al Centre Pompidou a La Revue parlée di Blaise Gautier, il 23 maggio
alla Sorbonne, al Séminaire de Philosophie de l'art di Olivier Revault
D'Allonnes); nei mesi di marzo-aprile del 1984 dà luogo al primo
evento/rassegna di estetica della comunicazione (L'immaginario tecnologico,
Benevento, Museo del Sannio); a partire dal 1985 concepisce e dirige, presso
l'Salerno, Artmedia, Convegno Internazionale di Estetica dei Media e della
Comunicazione (edizioni: 1985, 1986, 1990, 1992, 1995, 1997, 1999, 2002 a
Parigi, 2005, 2008 a Parigi); nel 1987 organizza presso l'Salerno un Convegno
Internazionale su estetica e tecnologia; nel febbraio 1989 organizza presso la
stessa Università il Convegno "Il suono da lontano". Eventi sonori e
tecnologie della comunicazione"; tra i mesi di febbraio e marzo 1989
realizza, per la RAI-TV (Dipartimento Scuola e Educazione) la trasmissione
televisiva in tre puntate: Un'estetica per i media; nel dicembre 1989 fa
svolgere, presso la settecentesca Villa Bruno (S.GiorgioNapoli) Technettronica.
Laboratorio di Estetica dei Media e della Comunicazione; nel 1990 presenta per
la prima volta in Italia presso l'Salerno due videoplays di Samuel Beckett; nel
1995 fonda e dirige, la Rivista Internazionale Multilingue Epipháneia. Ricerca
estetica e tecnologie (3 numeri tra il 1995 e il 1996); nel 1999 fonda e
dirige, presso le Edizioni Tempo Lungo di Napoli, Vertici, una «Collana di
Estetica e Poetiche» aperta alle questioni estetologiche connesse ai nuovi
media (testi di Francesco Piselli, Anne Cauquelin, Theodor W. Adorno, Mario
Costa, Marie-Claude Vettraino-Solulard, Gillo Dorfles); nei mesi di
novembre/dicembre del 2002 co-organizza a Parigi la VIII Edizione di Artmedia;
nell'ottobre 2003 co-organizza presso l'Salerno il Convegno Internazionale
Tecnologie e forme nell'arte e nella scienza; nell'ottobre 2003 organizza
presso il Museo del Sannio di Benevento la Mostra New Technologies (Roy Ascott,
Maurizio Bolognini, Fred Forest, Richard Kriesche, Mit Mitropoulos); nel
novembre 2005 organizza presso l'Salerno la IX Edizione di Artmedia; nel
dicembre 2008 co-organizza a Parigi la X Edizione di Artmedia; nell'ottobre
2009 organizza presso l'Salerno un seminario conclusivo di Artmedia dal titolo
"L'oggetto estetico dell'avvenire". Ha partecipato inoltre
all'organizzazione di convegni ed eventi a Parigi, Colonia, Toronto, Tel Aviv,
San Paolo del Brasile. Note Mario
Costa, Duchamp et le "reste", in "Traverses", 11, Parigi
1978, 75-81. Mario Costa, Sulle funzioni della critica
d'arte e una messa a punto a proposito di Marcel Duchamp, Napoli, Ricciardi
Editore, 1976; Mario Costa, L'oggetto estetico e la critica, Edisud, Salerno
2007. Mario Costa, Il 'lettrismo' di
Isidore Isou. Creatività e Soggetto nell'avanguardia artistica parigina
posteriore al 1945, Carucci Editore, Roma 1980; Mario Costa, Il 'lettrismo'.
Storia e Senso di un'avanguardia, Morra, Napoli 1991. Mario Costa, Schéma et concept de l'ornement
au schématisme, in "Schéma et schématisation", 54, Parigi 2001, 27-34. Si veda anche Signe, forme, schéma,
ornement, in "Schéma et schématisation", 57, Parigi 2002, 103-106.
Mario Costa, L'estetica dei media. Avanguardie e tecnologia,
Castelvecchi, Roma 1999; Mario Costa, Il sublime tecnologico. Piccolo trattato
di estetica della tecnologia, Castelvecchi, Roma 1998; Mario Costa, Arte
contemporanea ed estetica del flusso, Mercurio, Vercelli . Inoltre: Technology,
Artistic Production and the "Aesthetics of communication", in
"Leonardo", 24, 2, 1991,
123-125; Tecnologie e costruzione del testo, L'Orientale, Napoli 1998;
L'esthétique de la communication et le temps technologique, in "Art
Press", 258, Parigi 2002, 38-39;
Reti e destino della scrittura, in "Actes du Séminaire 2000-2001";
L'esthétique de la communication et le temps technologique, in Art Press, 258,
Parigi 2002, 38-39; La musique dans
l'espace technologique, in "Actes du Colloque Les Trans-interactifs",
Parigi, Centre Culturel Canadien, 4/5, 1988, Collection Déchiffrages, 97-103; Photographie et phénoménologie de la
présence, in "La Recherche Photographique", 7, Parigi 1989, 17-20.
Sulla diffusione e la rilevanza del suo pensiero, si vedano tra gli
altri: Philippe Bootz, The thesis of Walter Benjamin and Mario Costa, in
Philippe Bootz, Sandy Baldwin, Regards Croisés, West Virginia University Press, Alberto
Abruzzese, Il compiersi della pubblicità dal manifesto metropolitano ai
linguaggi elettronici del presente: pretesti, testi e questioni, in (Riccardo Lattuada), Nuove tendenze ed
esperienze nella comunicazione e nell'estetico, Napoli, Edizioni Scientifiche
Italiane, 1992, pagg. 55-83; Leila Amaral, O Caráter festivo da ciberarte, in
"Civitas. Revista de Ciências Sociais", Pontifícia Universidade
Católica do Rio Grande do Sul, Brasil, 9/2, 2009, pagg. 209-223; Priscilla
Arantes, Arte e midia: perspectivas da estética digital, Editora Senac, São
Paulo, 2005, pagg. 58-60 e 166-169; Walter Zanini, A arte de communicaçâo telematica:
a interatividade no ciberspaço, in "Ars. Revista do Departamento de Artes
Plasticas", ECA/USP, 1/1, São Paulo, 2003,
11-34; Umberto Roncoroni, Benjamin y la téoria de lo sublime
tecnologico, in "Contratexto digital", 4/5, pagg.3-9; Derrick de Kerckhove,
L'estetica dei media e la sensibilità spaziale. Riflessioni su un libro di
Mario Costa, in "Mass Media", IX/4, 1990, pagg. 35-53; Frank Popper,
L'art à l'âge électronique, Paris, Hazan, Mario Costa, professore di estetica,
in MCmicrocomputer, n. 208, Roma, Pluricom, luglio/agosto 2000, 58-60,
1123-2714 (WC ACNP). Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Mario Costa // generativeart.com/on/cic/papersGA2004/16.htm
web.archive.org/web/0103191425/http://mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/c/costa.htm
http://olats.org/
livresetudes/etudes/nouvEsthetique.php http://luxflux.net/
dimenticare-l’arte-conversazione-con-
mario-costa/http://lacritica.net/gerosa.htmhttp:// vesuvioweb.com/it/wp-content/uploads/Mario-Costa-Intervista-di-Salvatore-
Argenziano-Sentimento-del-sublime-e-strategie-del-simbolico-vesuvioweb.pdfhttp://kainos.it/numero4/disvelamenti/costa.htmlhttp://losguardo.net/wp-
content/uploads//12/-19-Recensione-Costa.pdfhttp://doppiozero.
com/materiali/interviste/intervista-mario-costaolats.org/ livresetudes/
etudes/nouvEsthetique.php youtube.com/watch?v=QLyL91tWH9cyoutube.com/watch?v=1DDr8bHGlisf
oglidarte.it/fogli-freschi-di-stampa/71-estetica-costa.htmlhttp://kainos-.com/index.php/recensioni-/255-
mario-costa-ontologia-dei-mediaweb.archive.org/web/0626210948/http:// recensionifilosofiche.it/crono/2005-9-10/costa.htmFilosofia
Filosofo del XX secoloFilosofi italiani Professore1936 7 dicembre Torre del
GrecoCritici e teorici dei nuovi media
Costa: Ritratto. Paolo Costa (Ravenna), filosofo. Figlio di
Domenico Costa e Lucrezia Ricciarelli, inizia a studiare dapprima a Ravenna con
modesti insegnanti, come scriverà egli stesso, e poi a Padova, sotto Melchiorre
Cesarotti e Simone Stratico. Interrompe gli studi con l'arrivo dei francesi,
svolgendo incarichi pubblici a Ravenna e a Bologna. Ripresi gli studi umanistici, frequenta
Giordano Bianchi Dottula, Dionigi Strocchi e Pietro Giordani; durante il Regno
d'Italia ottiene la cattedra di filosofia nel liceo di Treviso prima e in
quello di Bologna poi. Soppresso il liceo pubblico dalla Restaurazione, nel
1822 continua l'insegnamento privato nella sua villa bolognese fino al 1831,
quando è costretto a riparare a Corfù perché sospettato di essere affiliato
alla Carboneria. Può rientrare nel 1832 a Bologna dove muore pochi anni
dopo. Opere I trattati Della elocuzione
e Del modo di comporre le idee e di contrassegnarle con vocaboli precisi a fine
di ben ragionare, il trattato filosofico Della sintesi e dell'analisi, i
quattro sermoni Dell'arte poetica, un Commento alla Divina Commedia, la Vita di
Dante, il Dizionario della lingua italiana, elaborato dal 1818 al 1829, poesie
(Laocoonte, 1817), lettere e traduzioni.
La dottrina Letterato neoclassico e dunque antiromantico, fu ammiratore
dei corregionali Vincenzo Monti e Pietro Giordani e sostenitore del purismo in
letteratura e del sensismo di Étienne Bonnot de Condillac in filosofia. Nella
lettera a Ferdinando Ranalli di introduzione al Della sintesi e dell'analisi
così riassume le sue concezioni filosofiche:
“È necessario, per togliere la infinita confusione che è nelle scienze
ideologiche, di dare ai vocaboli un determinato valore. Io sostengo che questo
non si può ottenere, come pensava il Locke, colle definizioni (le quali sono
scomposizioni delle idee), se prima le idee non sieno state ben composte;
sostengo che queste non si possono compor bene, se prima non si conoscono quali
ne sieno gli elementi semplici; sostengo che gli elementi semplici sono le
reminiscenze relative alle sensazioni, e che le idee si compongono di sì fatti
elementi, e del sentimento dei rapporti delle une e delle altre, cioè dei
giudizii. Da ciò conséguita che l'esperienza (se l'esperienza vale ciò che si
sente mediante l'attenzione) è il fondamento della scienza umana. I Kantisti ed
altri filosofi distinguono le idee in idee soggettive e in idee oggettive, ed
attribuiscono un'origine alle une ed un'origine alle altre. Questa distinzione
può esser buona: ma non è buona l'ammettere che abbiano origini di natura
diversa. Hanno un'origine stessa, e questo si fa palese per un solo esempio. Da
idee soggettive nascono le proposizioni seguenti: "Le reminiscenze sono in
me, le reminiscenze si associano." Qual è l'origine delle idee dalle quali
derivano sì fatte proposizioni? Il sentimento. Dire che la reminiscenza del
color di rosa è in me, è dire che io sento che è in me; così direte dell'altra
proposizione. Dalle idee oggettive nascono queste altre proposizioni: "I
corpi pesano: le rose mandano odore." Da che nascono elle? Dal sentimento:
perciocché dire che i corpi pesano, è lo stesso che dire "sento il peso,
giudico, ovvero ho il sentimento, che la cagione della mia sensazione tattile è
nel corpo." Così dire "le rose mandano odore" è dire:
"sento l'odore, ed ho il sentimento (giudico) che l'odore ha una delle
cagioni in cose fuori, cioè che non sono in me." Fra le idee soggettive e
le oggettive non vi è altra differenza, se non che nelle prime sentiamo che la
cagione è nella nostra persona; nelle seconde, che una delle cagioni è in noi,
l'altra nelle cose fuori. Ma come sentiamo noi che vi sia una cosa fuori?
Questo è il gran problema dagl'ideologi non ancora soluto; ma l'ignoranza in
che siamo non dà facoltà legittima alle scuole trascendentali di concludere che
questo giudizio non dipende dal sentire. Egli è un sentimento, cioè un rapporto
sentito fra sensazioni e reminiscenze; ché se tale non fosse, nessuno potrebbe
dire: "L'idea che ho (di una rosa p.e.), ha le sue cagioni fuori di
me" perciocché una sì fatta proposizione suppone che l'uomo, che la
proferisce, abbia o le sensazioni o le reminiscenze relative alle sensazioni
prodotte dalla rosa, e l'idea della sua persona che sente. Voi vedete
chiaramente, che nell'uno e nell'altro degli addotti esempii le modificazioni
chiamate idee, e i sentimenti dei loro rapporti sono nell'anima, e che quindi
si esprimono falsamente coloro, che dicono: "Sentiamo i corpi fuori di
noi." Dovrebbero dire: sentiamo che una delle cagioni del nostro sentire
non è in noi. Coi fondamenti da me posti si può stabilire una dottrina (se il
buon desiderio non mi acceca), per la quale vadano a terra le opinioni di
coloro che disprezzano la filosofia lockiana, e che con odiosa espressione la
chiamano dottrina de' sensuali; con che danno a divedere, che essi mattamente
opinano che il materiale organo del senso senta e percepisca, senza accorgersi
che se gli occhi e le orecchie e il naso sentissero ciascuno separatamente, non
potrebbe giammai nascere giudizio alcuno circa le qualità delle sensazioni di
natura diversa: l'uomo non potrebbe mai dire: "questo odore mi diletta più
di questo colore" e così via discorrendo. Il sentimento di un solo centro,
egli è l'anima: e l'anima sente in sé mesima, e non fuori di sé. Potrà parere
che questa dottrina sia la stessa che quella dell'idealista Bercleio (George
Berkeley); ma essa è diversa, poiché ammette che oltre le idee vi sieno fuori
dell'uomo le cagioni di esse idee. Di queste cagioni noi conosciamo
l'esistenza, e nulla più. Che cosa sono i corpi in se stessi? A questa
interrogazione non si può rispondere se non dicendo: Sono ignota cagione delle
nostre sensazioni. Sappiamo che esistono, sappiamo che si modificano, e tutto
ciò sappiamo, perché fanno delle mutazioni nell'animo nostro. Dal che si deduce
ciò che dianzi vi dissi, che le idee tutte hanno per loro primitivi elementi le
sensazioni, le reminiscenze, i sentimenti che sono nell'anima, e non fuori di
lei. Così la pensano i lockiani e i condilacchiani, chiamati per beffa dai
moderni autori col nome di sensualisti e di materialisti. Materialisti a buona
ragione si possono chiamare i nostri avversarii, o almeno materialisti per
metà, giacché ammettono che i sentimenti del corpo percepiscano, e giudichino
relativamente alle qualità delle cose esterne. Leggete le lettere filosofiche
del [[Galluppi]] stampate non è guari in Firenze. In quelle troverete
chiaramente esposte le dottrine condilacchiane, quelle di Hume circa la
causalità, e segnatamente quelle di Kant. Se dalle mie teoriche si possono
ricavare gli argomenti validi a confutare le opinioni dei trascendentali, o di
coloro, che oggi si danno il nome di eclettici, io vi prego di compilare alcune
note, o vogliam dire corollarii, pei quali si vegga manifesta la falsità di
alcuni principii del Bercleio, del Reid e del Kant, la filosofia dei quali è
fonte della massima parte delle moderne follie." (Della Sintesi e
dell'Analisi, ed. Liber Liber / Fara Editore)
Opere: Vita di Dante; Della Elocuzione, Fara editore, S. Arcangelo di
Romagna; Della sintesi e dell'analisi, Paolo Costa, Giovanni Battista Borghi e
Melchiorre Missirini, La divina commedia, con le note di Paolo Costa, e gli
argomenti dell'Ab.G. Borghi. Adorna de 500 vignette, Giovanni Battista
Niccolini e Giuseppe Bezzuoli, Firenze, Stabilimento artistico Fabris,Claudio
Chiancone, La scuola di Cesarotti e gli esordi del giovane Foscolo, Pisa,
Edizioni ETS (sulla formazione padovana
del Costa, e sulla sua amicizia giovanile col Foscolo) Filippo Mordani, Vite di
ravegnani illustri, 2ª ed., Ravenna, Stampe de' Roveri, Paolo Costa, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Paolo Costa, in Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Paolo Costa, su accademicidellacrusca.org, Accademia della Crusca. Opere di Paolo Costa, su Liber Liber. Opere
di Paolo Costa.
costanzi: Teodorico Moretti
Costanzi (n. Pozzuolo Umbro) filosofo. Dopo il conseguimento della laurea
in filosofia presso l'Bologna, ottiene la libera docenza in filosofia teoretica
nel 1940. Diviene assistente alla cattedra romana di Pantaleo Carabellese, di
storia della filosofia, e in seguito docente di estetica presso la medesima
università. Fu Professore presso l'Ateneo Bolognese. La presentazione di un volume comprendente l'opera omnia del
filosofo, riporta in luce il suo pensiero, secondo alcuni volutamente ignorato
perché alternativo all'ideologia dominante a quel tempo. Opere: Pensiero ed
essere, Perrella, Roma; Il problema dell'uno e dei molti nel pensiero di B.
Varisco, Perrella, Roma; Noluntas, Perrella, Roma; Schopenhauer, Edizioni
italiane, Roma; L'asceta moderno, Arte e storia, Roma; Spinoza, Universitas,
Roma; 'L'estetica di Platone.Sua attualità', Arte e storia, Roma; L'ascetica di
Heidegger, Arte e storia, Roma; L'ascesi di coscienza e l'argomento di S. Anselmo,
Arte e storia, Roma; L'asceta moderno, 2ª ed. riv., Arte e storia, Roma; Meditazioni
inattuali sull'essere e il senso della vita, Arte e storia, Roma; La terrenità
edenica del Cristianesimo e la contaminazione spiritualistica, Patron, Bologna;
La donna angelicata e il senso della femminilità nel Cristianesimo, Patron,
Bologna; La filosofia pura, Alfa, Bologna; Il senso della storia, Alfa,
Bologna; Sul prologo di Zarathustra (Nietzsche e Schopenhauer) con trad. dello stesso
Prologo, in Ethica; L'etica nelle sue condizioni necessarie, Ed.ni di Ethica,
Bologna; L'estetica pia, Patron, Bologna, L'ora della filosofia, R. Patron,
Bologna; L'uomo come disgrazia e Dio come fortuna, Alfa, Bologna; La critica disvelatrice, Ed.ne dell'Istituto
di Filosofia dell'Bologna, Bologna; Amore, morte, eternità, L. Parma, Bologna; La
singolarità personale societaria: compimento di un itinerario senza vie,
Cooperativa libraria universitaria editrice, Bologna; L'equivoco della filosofia cristiana e il
cristianesimo-filosofia, Clueb, Bologna; e ragioni della miscredenza e quelle
cristiane della fede, Clueb, Bologna; La fede sapiente e il Cristo storico,
Sala francescana di cultura P. Antonio Giorgi, Assisi; La rivelazione filosofica, Sala francescana di
cultura P. Antonio Giorgi, Assisii; Il Cristianesimo-filosofia come tradizione
di realtà, Sala francescana di cultura, Assisi; Breviloquio della sera, Sala
francescana di cultura P. Antonio Giorgi, Assisi; La verità dell'immagine
sacra, Sala francescana di cultura, Assisi; L'identità del Lumen publicum nelle privatezze
di Anselmo e Tommaso, Il Cristianesimo-filosofia, Le Lettere, Roma, 1994 Opere,
E. Mirri e M. Moschini, Bompiani, Milano, 2009 Note «Morétti Costanzi ‹... -zi›, Teodorico», la
voce in Enciclopedie on line, sito "Treccani.it L'Enciclopedia
italiana". Vittorio Sgarbi torna a
Tuoro per presentare l'opera omnia del filosofo Teodorico Moretti-Costanzi di
Eugenio Pierucci, 26 settembre 2009, sito "UmbriaLeft.it. Il filosofo imagliato dal Sessantotto, di
Paolo Bianchi, 17 luglio 2009, sito "il Giornale.it". Fabio Milana , «MORETTI-COSTANZI, Teodorico»
in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 76, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, . Teodorico
Moretti Costanzi, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Teodorico
Moretti Costanzi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Teodorico
Moretti Costanzi, su siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo
Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Opere su Open Library, Internet
Archive.
cotton onto the implicaturum:
this is not cognate with the plant. It’s Welsh, rather.Strawson’s and Wiggins’s
example of the ‘suggestio falsi’or alternative to Grice’s tutee example. Since
Strawson and Wiggins are presenting the thing to the ultra-prestigious British
Academy, they thought a ‘tutee’ example would not be prestigious enough. So
they have two philosophers, Strawson and Grice, talking about a third party,
another philosopher, well known by his mood outbursts. They are assessing the
third party’s philosophical abilities at their London club. Strawson
volunteers: “And Smith?”. Grice responds: “If he had a more angelic
temperament…” Strawson, “like a fool, I rushed inStrawson Wiggins p. 520. The
angelic temperament. To like someone or something; to view someone or something
favorably. ... After we explained our plan again, the rest of the group
seemed to cotton onto it.
2. To begin to understand something. Has nothing to do with cotton 1560s,
"to prosper, succeed;" of things, "to agree, suit, fit," a
word of uncertain origin. Perhaps from Welsh cytuno "consent,
agree;" but perhaps rather a metaphor from cloth-finishing and thus
from cotton (n.).
Hensleigh Wedgwood compares cot "a fleece of wool matted together."
Meaning "become closely or intimately associated (with)," is from
1805 via the sense of "to get along together" (of persons), attested
from c. 1600. Related: Cottoned; cottoning.
Courmayeur -- Alessandro
(Alexandre) Passerin d'Entrèves et Courmayeur (Torino) filosofo, accademico,
partigiano e storico del diritto italiano. Passerin d'Entrèves nacque a Torino
ma proveniva dall'antica famiglia valdostana dei Passerin d'Entrèves et Courmayeur;
il fratello Carlo Piero, erede del titolo comitale, era il padre dello storico
Ettore Onorio Passerin d'Entrèves et Courmayeur. Ottenuta la maturità classica al liceo
Massimo d'Azeglio di Torino, nel 1922 si laureò con Gioele Solari (maestro
anche di Bobbio e Firpo), fu tra gli amici di Piero Gobetti, collaborò alla
"Rivoluzione Liberale" e pubblicò la sua tesi su Hegel nella casa
editrice fondata dallo stesso Gobetti. I suoi altri maestri furono a Torino
Francesco Ruffini e Luigi Einaudi e, in Gran Bretagna, dove conseguì nel 1932
un dottorato sul pensiero politico medievale e sul costituzionalismo di Richard
Hooker, i celebri fratelli Carlyle, docenti all'Oxford. Nel 1935 vinse una
cattedra di storia delle dottrine politiche all'Università degli Studi di
Messina ma si trasferì presto all'Università degli Studi di Pavia, poi ritornò
a Torino. Alessandro Passerin
d'Entrèves da giovane Fu capitano di complemento degli Alpini e membro del CLN,
dal quale venne nominato, nel 1945, primo prefetto di Aosta. Insieme con
Federico Chabod, fu all'origine dello statuto della Regione autonoma Valle
d'Aosta. Sfilata partigiana dopo la
Liberazione di Aosta: il quarto da sinistra è Passerin d'Entrèves, prefetto del
C.L.N. Dal 1945 al 1956 tenne a Oxford la cattedra di studi italiani (Serena
Professor of Italian) e svolse vari semestri di insegnamento all'Università
Yale. Rientrato in Italia, Passerin
d'Entrèves insegnò dottrina dello stato e successivamente storia del pensiero
politico medievale. Dopo anni di discussione, riuscì a far inserire nei piani
di studi dell'università italiana il corso di "filosofia politica",
disciplina che insegnò fino al 1972 a Torino, quando lasciò la cattedra a
Norberto Bobbio. Nel 1969 fu tra i
fondatori della facoltà di scienze politiche dell'Torino, di cui divenne
successivamente il primo preside. Fra le sue opere più note, La dottrina dello
stato, del 1962, è considerata da molti la sintesi del suo pensiero
storico-filosofico. Fece parte di
moltissime istituzioni scientifiche e culturali in Europa e negli Stati Uniti
e, all'inizio degli anni ottanta fu presidente dell'Accademia delle Scienze di
Torino. Collaborò con il quotidiano La Stampa. Fu tra i fondatori del Centro
Pannunzio di Torino insieme ad Arrigo Olivetti, Mario Soldati, Pier Franco
Quaglieni. Ne divenne vicepresidente con la presidenza di Arrigo Olivetti. Diverse sue opere sono in questi ultimi anni
in ristampa (Giappichelli, Il Mulino, FrancoAngeli) in quanto considerate dagli
studiosi contemporanei come di particolare interesse e utili a ricentrare sulla
politica, in quanto tale, l'attuale modo di gestire la res publica. La città di Torino gli ha intitolato la
Biblioteca civica Cascina Giaione.
Pensiero Oltre che filosofo del diritto e storico del pensiero politico,
Passerin d'Entrèves viene considerato il fondatore della filosofia politica
italiana come disciplina a sé stante, finalmente distinta dalla Dottrina dello
Stato. Paradossalmente ciò avviene proprio col libro Dottrina dello Stato, dove
l'A.ben diversamente dall'ordinamento tematico della Allgemeine Staatslehre,
come pure dall'ordinamento cronologico per autori in uso nella storia del
pensiero politicoordina la materia secondo uno schema concettuale schiettamente
filosofico: "forza", "potere", "autorità". Tale
schema lumeggia tre facce della statualità, secondo una scala di qualificazione
crescente: la "forza", qualificata dall'efficacia del comando; il
"potere" come forza istituzionalmente organizzata e qualificata dal
diritto; l'"autorità" come potere qualificato da una legittimazione
ideale (per es. una qualche idea di bene comune, di patria, di giustizia). Opere La dottrina dello Stato: elementi di
analisi e di interpretazione, prefazione di Eligio Resta, postfazione di Enrica
Rigo, Torino: Giappichelli, (1962) 2009. Les bornes du royaume: écrits de
philosophie politique et d'histoire valdôtaine, Milano: F. Angeli, 1984.
Scritti sulla Valle d'Aosta, Bologna: Boni, 1979. La filosofia della politica,
Torino: UTET, 1972. Per la storia del pensiero politico medievale: pagine
sparse, Torino: G. Giappichelli, 1970. Dante politico e altri saggi, Einaudi,
Torino 1955 (trad. en. Dante as a political thinker, Oxford: Clarendon Press,
1965.) Italy and Europe, Notthingham: University of Nottingham, 1952. Natural
Law, Hutchinson University Library, 1951 (trad. it. La dottrina del diritto
naturale, Torino 1954). Alessandro Manzoni: annual italian lecture of Bristish
Academy 1949, London: G. Cumberlege, s.d. Morale, diritto ed economia, Pavia:
Libreria Internazionale F.lli Treves, 1937. Morale, Roma: Athenaeum, 1937.
Appunti di storia delle dottrine politiche: la filosofia politica medioevale,
Torino: Giappichelli, 1934. Les Passerin, Ivrea: F. Viassone, 1933. "Stato
e Chiesa secondo Zwingli", in Rivista internazionale di filosofia del
diritto, Roma, 1931. La teoria del diritto e della politica in Inghilterra
all'inizio dell'età moderna, Torino: Istituto giuridico della R. Università,
1929. Obbedienza e resistenza, Roma/Ivrea, Edizioni di Comunità, Note
Il nome è talvolta citato in francese in virtù del bilinguismo vigente
in Valle d'Aostacf. Alexandre Passerin d'Entrèves, La notion de l'État. PASSERIN D'ENTREVES E COURMAYEUR, Ettore
Onorio, di Mauro MorettiDizionario Biografico degli ItalianiVolume 81 (). Gian Mario Bravo , Alessandro Passerin
d'Entrèves (1902-1985). Politica, filosofia, accademia, cosmopolitismo e
"piccola patria", Milano: Franco Angeli 2004, 88-464-6065-0 Sergio Caruso, Giulio Maria
Chiodi, Virgilio Mura, "Attualità della memoria: Alessandro Passerin
d'Entrèves", Bollettino di filosofia politica, V, 8, 1993, 53–68,
1591-4925 Sergio Noto , Alessandro Passerin d'Entrèves pensatore
europeo, Bologna: Il Mulino 2004,
88-15-09615-9 Massimo Tringali , Obbligazione Politica in Alessandro
Passerin d'Entrèves, Pensa Multimedia 2006,
88-8232-432-X Alessandro Passerin
d'Entrèves, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Alessandro Passerin d'Entrèves, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Alessandro Passerin d'Entrèves / Alessandro Passerin d'Entrèves (altra
versione) / Alessandro Passerin d'Entrèves (altra versione), . Biografia di Passerin d'Entrèves, dal
Bollettino Università e Ricerca, su bur.it. 2 giugno 2006 (archiviato dall'url
originale l'11 marzo 2007). Biblioteca civica Passerin d'Entrèves, su
comune.torino.it. V D M Antifascismo Filosofia Filosofo del XX secoloAccademici
italiani del XX secoloPartigiani italiani 1902 1985 26 aprile 15 dicembre
Torino TorinoAccademici italiani negli Stati Uniti d'AmericaBrigate Giustizia e
LibertàFilosofi del dirittoMembri dell'Accademia delle Scienze di TorinoPersone
legate agli alpiniProfessori dell'Università degli Studi di MessinaProfessori
dell'Università degli Studi di PaviaProfessori dell'OxfordProfessori
dell'Università YaleStorici del diritto italianiStudenti dell'Università degli
Studi di TorinoStudenti dell'Oxford
craig: Grice loved his interpolation
theorem, a theorem for firstorder logic: if a sentence y of first-order logic
entails a sentence q there is an “interpolant,” a sentence F in the vocabulary
common to q and y that entails q and is entailed by y. Originally, William
Craig proved his theorem in 7 as a lemma, to give a simpler proof of Beth’s
definability theorem, but the result now stands on its own. In abstract model
theory, logics for which an interpolation theorem holds are said to have the
Craig interpolation property. Craig’s interpolation theorem shows that
first-order logic is closed under implicit definability, so that the concepts
embodied in first-order logic are all given explicitly. In the philosophy of
science literature ‘Craig’s theorem’ usually refers to another result of
Craig’s: that any recursively enumerable set of sentences of first-order logic
can be axiomatized. This has been used to argue that theoretical terms are in
principle eliminable from empirical theories. Assuming that an empirical theory
can be axiomatized in first-order logic, i.e., that there is a recursive set of
first-order sentences from which all theorems of the theory can be proven, it
follows that the set of consequences of the axioms in an “observational”
sublanguage is a recursively enumerable set. Thus, by Craig’s theorem, there is
a set of axioms for this subtheory, the Craig-reduct, that contains only
observation terms. Interestingly, the Craig-reduct theory may be semantically
weaker, in the sense that it may have models that cannot be extended to a model
of the full theory. The existence of such a model would prove that the theoretical
terms cannot all be defined on the basis of the observational vocabulary only,
a result related to Beth’s definability theorem.
crazy-bayesy: cited by H. P.
Grice, “Aspects of reason.” Bayesian rationality, minimally, a property a
system of beliefs or the believer has in virtue of the system’s “conforming to
the probability calculus.” “Bayesians” differ on what “rationality” requires,
but most agree that i beliefs come in degrees of firmness; ii these “degrees of
belief” are theoretically or ideally quantifiable; iii such quantification can
be understood in terms of person-relative, time-indexed “credence functions”
from appropriate sets of objects of belief propositions or sentences each set closed under at least finite
truth-functional combinations into the
set of real numbers; iv at any given time t, a person’s credence function at t
ought to be usually: “on pain of a Dutch book argument” a probability function;
that is, a mapping from the given set into the real numbers in such a way that
the “probability” the value assigned to any given object A in the set is
greater than or equal to zero, and is equal to unity % 1 if A is a necessary
truth, and, for any given objects A and B in the set, if A and B are
incompatible the negation of their conjunction is a necessary truth then the
probability assigned to their disjunction is equal to the sum of the
probabilities assigned to each; so that the usual propositional probability
axioms impose a sort of logic on degrees of belief. If a credence function is a
probability function, then it or the believer at the given time is “coherent.”
On these matters, on conditional degrees of belief, and on the further
constraint on rationality many Bayesians impose that change of belief ought to
accord with “conditionalization”, the reader should consult John Earman, Bayes
or Bust? A Critical Examination of Bayesian Confirmation Theory 2; Colin Howson
and Peter Urbach, Scientific Reasoning: The Bayesian Approach 9; and Richard
Jeffrey, The Logic of Decision 5. Bayes’s
theorem, any of several relationships between prior and posterior probabilities
or odds, especially 13 below. All of these depend upon the basic relationship 0
between contemporaneous conditional and unconditional probabilities.
Non-Bayesians think these useful only in narrow ranges of cases, generally
because of skepticism about accessibility or significance of priors. According
to 1, posterior probability is prior probability times the “relevance quotient”
Carnap’s term. According to 2, posterior odds are Bayesian Bayes’s theorem
74 74 prior odds times the “likelihood
ratio” R. A. Fisher’s term. Relationship 3 comes from 1 by expanding P data via
the law of total probability. Bayes’s rule 4 for updating probabilities has you
set your new unconditional probabilities equal to your old conditional ones
when fresh certainty about data leaves probabilities conditionally upon the
data unchanged. The corresponding rule 5 has you do the same for odds. In
decision theory the term is used differently, for the rule “Choose so as to
maximize expectation of utility.”
Credibleby speaking of probability
and credibility, Grice is going modal! credibility: While Grice uses ‘probability’ as the correlatum of
desirability, he suggests ‘credibility’ is a better choice. It relates to the
‘creditum.’ Now, what is the generic for ‘trust’ when it comes to the creditum
and the desideratum? An indicative utterance expresses a belief. The utterer is
candid if he holds that belief. “Candid” applies to imperative utterances which
express genuine desires and notably the emissor’s intention that his recipient
will form a ‘desideratum.’ Following
Jeffrey and Davidson, respectively, Grice uses ‘desirability’ and
‘probability,’ but sometimes ‘credibibility,’ realizing that ‘credibility’ is more
symmetrical with ‘desirability’ than ‘probability’ is. Urmson had explored this
in “Parenthetical verbs.” Urmson co-relates, ‘certaintly’ with ‘know’ and
‘probably’ with ‘believe.’ But Urmson adds four further adverbs: “knowingly,”
“unknowingly,” “believably,” and “unbelievably.” Urmson also includes three
more: “uncredibly,” in variation with “incredibly,” and ‘credibly.” The keyword
should be ‘credibility.’
creditum: The Romans were good at this. Notably in negative
contexts. They distinguished between an emissor being fallax and being mendax.
It all has to do with ‘creditum.’ “Creditum’ is vero, more or less along
correspondence-theoretical lines. Used by Grice for the doxastic equivalent of
the buletic or desideratum. A creditum is an implicaturum, as Grice defines the
implicaturum of the content that an addresse has to assume the utterer BELIEVES
to deem him rational. The ‘creditum’-condition is essential for Grice in his
‘exhibitive’ account to the communication. By uttering “Smoke!”, U means that there
is some if the utterer intends that his addressee BELIEVE that he, the utterer,
is in a state of soul which has the propositional complex there is smoke. It is
worth noting that BELIEF is not needed for the immediate state of the utterer’s
soul: this can always be either a desire or a belief. But a belief is REQUIRED
as the immediate (if not ultimate) response intended by the utterer that his
addressee adapt. It is curious that given the primacy that Grice held of the
desirability over the credibility that many of his conversational maxims are
formulated as imperatives aimed at matters of belief, conditions and value of
credibility, probability and adequate evidence. In the cases where Grice
emphasizes ‘information,’ which one would associate with ‘belief,’ this
association may be dropped provided the exhibitive account: you can always
influence or be influenced by others in the institution of a common decision
provided you give and receive the optimal information, or rather, provided the
conversationalists assume that they are engaged in a MAXIMAL exchange of
information. That ‘information’ does not necessarily apply to ‘belief’ is
obvious in how complicated an order can get, “Get me a bottle”. “Is that all?”
“No, get me a bottle and make sure that it is of French wine, and add something
to drink the wine with, and drive careful, and give my love to Rosie.” No
belief is explicitly transmitted, yet the order seems informative enough. Grice
sometimes does use ‘informative’ in a strict context involving credibility. He
divides the mode of credibility into informational (when addressed to others)
and indicative (when addressed to self), for in a self-addressed utterance such
as, “I am being silly,” one cannot intend to inform oneself of something one
already knows! The English have ‘credibility’ and belief, which is
cognate with ‘love.’ H. P. Grice, “Disposition and belief,” H. P. Grice,
“Knowledge and belief.” a dispositional psychological state in virtue of which
a person will assent to a proposition under certain conditions. Propositional
knowledge, traditionally understood, entails belief. A behavioral view implies
that beliefs are just dispositions to behave in certain ways. Your believing
that the stove is hot is just your being disposed to act in a manner
appropriate to its being hot. The problem is that our beliefs, including their
propositional content indicated by a “that”-clause, typically explain why we do
what we do. You avoid touching the stove because you believe that it’s
dangerously hot. Explaining action via beliefs refers indispensably to
propositional content, but the behavioral view does not accommodate this. A
state-object view implies that belief consists of a special relation between a
psychological state and an object of belief, what is believed. The objects of
belief, traditionally understood, are abstract propositions existing
independently of anyone’s thinking of them. The state of believing is a
propositional attitude involving some degree of confidence toward a
propositional object of belief. Such a view allows that two persons, even
separated by a long period of time, can believe the same thing. A state-object
view allows that beliefs be dispositional rather than episodic, since they can
exist while no action is occurring. Such a view grants, however, that one can
have a disposition to act owing to believing something. Regarding mental
action, a belief typically generates a disposition to assent, at least under
appropriate circumstances, to the proposition believed. Given the central role
of propositional content, however, a state-object view denies that beliefs are
just dispositions to act. In addition, such a view should distinguish between
dispositional believing and a mere disposition to believe. One can be merely
disposed to believe many things that one does not actually believe, owing to
one’s lacking the appropriate psychological attitude to relevant propositional
content. Beliefs are either occurrent or non-occurrent. Occurrent belief,
unlike non-occurrent belief, requires current assent to the proposition
believed. If the assent is self-conscious, the belief is an explicit occurrent
belief; if the assent is not self-conscious, the belief is an implicit
occurrent behaviorism, supervenient belief 78
78 belief. Non-occurrent beliefs permit that we do not cease to believe
that 2 ! 2 % 4, for instance, merely because we now happen to be thinking of
something else or nothing at all. . --
belief revision, the process by which cognitive states change in light of new
information. This topic looms large in discussions of Bayes’s Theorem and other
approaches in decision theory. The reasons prompting belief revision are
characteristically epistemic; they concern such notions as quality of evidence
and the tendency to yield truths. Many different rules have been proposed for
updating one’s belief set. In general, belief revision typically balances risk
of error against information increase. Belief revision is widely thought to
proceed either by expansion or by conceptual revision. Expansion occurs in
virtue of new observations; a belief is changed, or a new belief established,
when a hypothesis or provisional belief is supported by evidence whose
probability is high enough to meet a favored criterion of epistemic warrant.
The hypothesis then becomes part of the existing belief corpus, or is
sufficient to prompt revision. Conceptual revision occurs when appropriate
changes are made in theoretical assumptions
in accordance with such principles as simplicity and explanatory or
predictive power by which the corpus is
organized. In actual cases, we tend to revise beliefs with an eye toward
advancing the best comprehensive explanation in the relevant cognitive
domain.
Grice’s criterion for the implicaturum, --
cf. G. P. Baker, “Grice and criterial semantics” -- broadly, a sufficient
condition for the presence of a certain property or for the truth of a certain
proposition. Generally, a criterion need be sufficient merely in normal
circumstances rather than absolutely sufficient. Typically, a criterion is
salient in some way, often by virtue of being a necessary condition as well as
a sufficient one. The plural form, ‘criteria’, is commonly used for a set of
singly necessary and jointly sufficient conditions. A set of truth conditions
is said to be criterial for the truth of propositions of a certain form. A
conceptual analysis of a philosophically important concept may take the form of
a proposed set of truth conditions for paradigmatic propositions containing the
concept in question. Philosophers have proposed criteria for such notions as meaningfulness,
intentionality,
creationism, theological criterion knowledge, justification, justice,
rightness, and identity including personal identity and event identity, among
many others. There is a special use of the term in connection with Vitters’s
well-known remark that “an ‘inner process’ stands in need of outward criteria,”
e.g., moans and groans for aches and pains. The suggestion is that a
criteriological connection is needed to forge a conceptual link between items
of a sort that are intelligible and knowable to items of a sort that, but for
the connection, would not be intelligible or knowable. A mere symptom cannot
provide such a connection, for establishing a correlation between a symptom and
that for which it is a symptom presupposes that the latter is intelligible and
knowable. One objection to a criteriological view, whether about aches or
quarks, is that it clashes with realism about entities of the sort in question
and lapses into, as the case may be, behaviorism or instrumentalism. For it
seems that to posit a criteriological connection is to suppose that the nature
and existence of entities of a given sort can depend on the conditions for
their intelligibility or knowability, and that is to put the epistemological
cart before the ontological horse.
critical legal studies: explored by Grice
in his analysis of legal vs. moral right --
a loose assemblage of legal writings and thinkers in the United States
and Great Britain since the mid-0s that aspire to a jurisprudence and a
political ideology. Like the legal
realists of the 0s and 0s, the jurisprudential program is largely negative,
consisting in the discovery of supposed contradictions within both the law as a
whole and areas of law such as contracts and criminal law. The jurisprudential
implication derived from such supposed contradictions within the law is that
any decision in any case can be defended as following logically from some
authoritative propositions of law, making the law completely without guidance
in particular cases. Also like the legal
realists, the political ideology of critical legal studies is vaguely leftist,
embracing the communitarian critique of liberalism. Communitarians fault
liberalism for its alleged overemphasis on individual rights and individual
welfare at the expense of the intrinsic value of certain collective goods.
Given the cognitive relativism of many of its practitioners, critical legal
studies tends not to aspire to have anything that could be called a theory of
either law or of politics.
Grice’s
critique of conversational reason“What does Kant mean by ‘critique’? Should
he?”Grice. Critical Realism, a philosophy that at the highest level of
generality purports to integrate the positive insights of both New Realism and
idealism. New Realism was the first wave of realistic reaction to the dominant
idealism of the nineteenth century. It was a version of immediate and direct
realism. In its attempt to avoid any representationalism that would lead to idealism,
this tradition identified the immediate data of consciousness with objects in
the physical world. There is no intermediary between the knower and the known.
This heroic tour de force foundered on the phenomena of error, illusion, and
perceptual variation, and gave rise to a successor realism Critical Realism that acknowledged the mediation of “the
mental” in our cognitive grasp of the physical world. ’Critical Realism’ was
the title of a work in epistemology by Roy Wood Sellars 6, but its more general
use to designate the broader movement derives from the 0 cooperative volume,
Essays in Critical Realism: A Cooperative Study of the Problem of Knowledge,
containing position papers by Durant Drake, A. O. Lovejoy, J. B. Pratt, A. K.
Rogers, C. A. Strong, George Santayana, and Roy Wood Sellars. With New Realism,
Critical Realism maintains that the primary object of knowledge is the
independent physical world, and that what is immediately present to
consciousness is not the physical object as such, but some corresponding mental
state broadly construed. Whereas both New Realism and idealism grew out of the
conviction that any such mediated account of knowledge is untenable, the
Critical Realists felt that only if knowledge of the external world is
explained in terms of a process of mental mediation, can error, illusion, and
perceptual variation be accommodated. One could fashion an account of mental
mediation that did not involve the pitfalls of Lockean representationalism by
carefully distinguishing between the object known and the mental state through
which it is known. The Critical Realists differed among themselves both
epistemologically and metaphysically. The mediating elements in cognition were
variously construed as essences, ideas, or sensedata, and the precise role of
these items in cognicriterion, problem of the Critical Realism tion was again variously construed.
Metaphysically, some were dualists who saw knowledge as unexplainable in terms
of physical processes, whereas others principally Santayana and Sellars were
materialists who saw cognition as simply a function of conscious biological
systems. The position of most lasting influence was probably that of Sellars
because that torch was taken up by his son, Wilfrid, whose very sophisticated
development of it was quite influential.
-- critical theory, any social theory that is at the same time
explanatory, normative, practical, and self-reflexive. The term was first
developed by Horkheimer as a self-description of the Frankfurt School and its
revision of Marxism. It now has a wider significance to include any critical,
theoretical approach, including feminism and liberation philosophy. When they
make claims to be scientific, such approaches attempt to give rigorous
explanations of the causes of oppression, such as ideological beliefs or
economic dependence; these explanations must in turn be verified by empirical
evidence and employ the best available social and economic theories. Such
explanations are also normative and critical, since they imply negative
evaluations of current social practices. The explanations are also practical,
in that they provide a better self-understanding for agents who may want to
improve the social conditions that the theory negatively evaluates. Such change
generally aims at “emancipation,” and theoretical insight empowers agents to
remove limits to human freedom and the causes of human suffering. Finally,
these theories must also be self-reflexive: they must account for their own
conditions of possibility and for their potentially transformative effects.
These requirements contradict the standard account of scientific theories and
explanations, particularly positivism and its separation of fact and value. For
this reason, the methodological writings of critical theorists often attack
positivism and empiricism and attempt to construct alternative epistemologies.
Critical theorists also reject relativism, since the cultural relativity of
norms would undermine the basis of critical evaluation of social practices and
emancipatory change. The difference between critical and non-critical theories
can be illustrated by contrasting the Marxian and Mannheimian theories of
ideology. Whereas Mannheim’s theory merely describes relations between ideas of
social conditions, Marx’s theory tries to show how certain social practices
require false beliefs about them by their participants. Marx’s theory not only
explains why this is so, it also negatively evaluates those practices; it is
practical in that by disillusioning participants, it makes them capable of
transformative action. It is also self-reflexive, since it shows why some
practices require illusions and others do not, and also why social crises and
conflicts will lead agents to change their circumstances. It is scientific, in
that it appeals to historical evidence and can be revised in light of better
theories of social action, language, and rationality. Marx also claimed that
his theory was superior for its special “dialectical method,” but this is now
disputed by most critical theorists, who incorporate many different theories
and methods. This broader definition of critical theory, however, leaves a gap
between theory and practice and places an extra burden on critics to justify
their critical theories without appeal to such notions as inevitable historical
progress. This problem has made critical theories more philosophical and
concerned with questions of justification.
Grice’s
critters:
one is never sure if Grice uses ‘creature’ seriously! creation ex nihilo, the
act of bringing something into existence from nothing. According to traditional
Christian theology, God created the world ex nihilo. To say that the world was
created from nothing does not mean that there was a prior non-existent
substance out of which it was fashioned, but rather that there was not anything
out of which God brought it into being. However, some of the patristics
influenced by Plotinus, such as Gregory of Nyssa, apparently understood
creation ex nihilo to be an emanation from God according to which what is
created comes, not from nothing, but from God himself. Not everything that God
makes need be created ex nihilo; or if, as in Genesis 2: 7, 19, God made a
human being and animals from the ground, a previously existing material, God
did not create them from nothing. Regardless of how bodies are made, orthodox
theology holds that human souls are created ex nihilo; the opposing view,
traducianism, holds that souls are propagated along with bodies. creationism, acceptance of the early chapters
of Genesis taken literally. Genesis claims that the universe and all of its
living creatures including humans were created by God in the space of six days.
The need to find some way of reconciling this story with the claims of science
intensified in the nineteenth century, with the publication of Darwin’s Origin
of Species 1859. In the Southern states of the United States, the indigenous
form of evangelical Protestant Christianity declared total opposition to
evolutionism, refusing any attempt at reconciliation, and affirming total
commitment to a literal “creationist” reading of the Bible. Because of this,
certain states passed laws banning the teaching of evolutionism. More recently,
literalists have argued that the Bible can be given full scientific backing,
and they have therefore argued that “Creation science” may properly be taught
in state-supported schools in the United States without violation of the
constitutional separation of church and state. This claim was challenged in the
state of Arkansas in 1, and ultimately rejected by the U.S. Supreme Court. The
creationism dispute has raised some issues of philosophical interest and
importance. Most obviously, there is the question of what constitutes a genuine
science. Is there an adequate criterion of demarcation between science and
nonscience, and will it put evolutionism on the one side and creationism on the
other? Some philosophers, arguing in the spirit of Karl Popper, think that such
a criterion can be found. Others are not so sure; and yet others think that some
such criterion can be found, but shows creationism to be genuine science,
albeit already proven false. Philosophers of education have also taken an
interest in creationism and what it represents. If one grants that even the
most orthodox science may contain a value component, reflecting and influencing
its practitioners’ culture, then teaching a subject like biology almost
certainly is not a normatively neutral enterprise. In that case, without
necessarily conceding to the creationist anything about the true nature of
science or values, perhaps one must agree that science with its teaching is not
something that can and should be set apart from the rest of society, as an
entirely distinct phenomenon.
Grice’s
crucial experiment:
a means of deciding between rival theories (or arguments) for this or that
impicatum, that, providing parallel explanations of large classes of phenomena,
come to be placed at issue by a single fact. For example, the Newtonian
emission theory predicts that light travels faster in water than in air;
according to the wave theory, light travels slower in water than in air.
Dominique François Arago proposed a crucial experiment comparing the respective
velocities. Léon Foucault then devised an apparatus to measure the speed of
light in various media and found a lower velocity in water than in air. Arago
and Foucault concluded for the wave theory, believing that the experiment
refuted the emission theory. Other examples include Galileo’s discovery of the
phases of Venus Ptolemaic versus Copernican astronomy, Pascal’s Puy-de-Dôme
experiment with the barometer vacuists versus plenists, Fresnel’s prediction of
a spot of light in circular shadows particle versus wave optics, and
Eddington’s measurement of the gravitational bending of light rays during a
solar eclipse Newtonian versus Einsteinian gravitation. At issue in crucial
experiments is usually a novel prediction. The notion seems to derive from
Francis Bacon, whose New Organon 1620 discusses the “Instance of the Fingerpost
Instantia later experimentum crucis,” a term borrowed from the post set up
at crossroads to indicate several directions. Crucial experiments were
emphasized in early nineteenth-century scientific methodology e.g., in John F. Herschel’s A Preliminary
Discourse on the Study of Natural Philosophy 1830. Duhem argued that crucial
experiments resemble false dilemmas: hypotheses in physics do not come in
pairs, so that crucial experiments cannot transform one of the two into a
demonstrated truth. Discussing Foucault’s experiment, Duhem asks whether we
dare assert that no other hypothesis is imaginable and suggests that instead of
light being either a simple particle or wave, light might be something else,
perhaps a disturbance propagated within a dielectric medium, as theorized by
Maxwell. In the twentieth century, crucial experiments and novel predictions
figured prominently in the work of Imre Lakatos 274. Agreeing that crucial
experiments are unable to overthrow theories, Lakatos accepted them as
retroactive indications of the fertility or progress of research programs.
CUM-substantia -- co-substantia:
homoousios.
Athanasius -- early Christian father, bishop, and a leading protagonist in the
disputes concerning Christ’s relationship to God. Through major works like On
the Incarnation, Against the Arians, and Letters on the Holy Spirit, Athanasius
contributed greatly to the classical doctrines of the Incarnation and the
Trinity. Opposing all forms of Arianism, which denies Christ’s divinity and
reduced him to what Grice would call a “creature,” Athanasius teaches, in the
language of the Nicene Creed, that Christ the Son, and likewise the Holy
Spirit, are of the same being as God the Father, cosubstantialis, “homoousios.”
Thus with terminology and concepts drawn from Grecian and Graeco-Roman
philosophy, Athanasius helps to forge the distinctly Christian and
un-Hellenistic doctrine of the eternal tri-une God (“credo quia absurdum est”)
who became enfleshed in time and matter and restored humanity to immortality,
forfeited through sin, by involvement in its condition of corruption and decay.
Homoousios (Greek, ‘of the same substance’), a concept central to the Christian
doctrine of the Trinity, enshrined in the Nicene Creed (Nicaea, “Holy, Holy,
Holy”). It attests that God the Son (and by extension the Spirit) is of one and
the same being or substance (ousia) as the Father. Reflecting the insistence of
Athanasius against Arianism that Christ is God’s eternal, co-equal Son and not
a “creature,” as Grice uses the term, the Nicene “homoousios” is also to be
differentiated from a rival formula, “homoiousios” (Grecian, ‘of SIMILAR
substance’), which affirms merely the Son’s LIKENESS in being to God. Though
notoriously and superficially an argument over one Greek iota, the issue was
philosophically profound and crucial whether or not Jesus of Nazareth
incarnated God’s own being, revealed God’s own truth, and mediated God’s own
salvation. If x=x, x is like x. A horse is like a horse. Grice on implicaturum.
“There is only an implicaturum to the effect that if a horse is a horse a horse
is not like a horse.” “Similarly for Christ and God.” Cicero saw this when he
philosophised on ‘idem’ and ‘similis.’
cumberland -- LawGrice was
obsessed with laws that would introduce psychological concepts -- Cumberland,
R. English philosopher and bishop. He wrote a Latin Treatise of the Laws of
Nature 1672, tr. twice into English and once into . Admiring Grotius,
Cumberland hoped to refute Hobbes in the interests of defending Christian
morality and religion. He refused to appeal to innate ideas and a priori
arguments because he thought Hobbes must be attacked on his own ground. Hence
he offered a reductive and naturalistic account of natural law. The one basic
moral law of nature is that the pursuit of the good of all rational beings is
the best path to the agent’s own good. This is true because God made nature so
that actions aiding others are followed by beneficial consequences to the
agent, while those harmful to others harm the agent. Since the natural consequences
of actions provide sanctions that, once we know them, will make us act for the
good of others, we can conclude that there is a divine law by which we are
obligated to act for the common good. And all the other laws of nature follow
from the basic law. Cumberland refused to discuss free will, thereby suggesting
a view of human action as fully determined by natural causes. If on his theory
it is a blessing that God made nature including humans to work as it does, the
religious reader must wonder if there is any role left for God concerning
morality. Cumberland is generally viewed as a major forerunner of
utilitarianism.
In-ductum:
Grice
knew a lot about induction theory via Kneale and Keynes -- curve-fitting
problem, the problem of making predictions from past observations by fitting
curves to the data. Curve fitting has two steps: first, select a family of
curves; then, find the bestfitting curve by some statistical criterion such as
the method of least squares e.g., choose the curve that has the least sum of
squared deviations between the curve and data. The method was first proposed by
Adrian Marie Legendre 17521833 and Carl Friedrich Gauss 1777 1855 in the early
nineteenth century as a way of inferring planetary trajectories from noisy
data. More generally, curve fitting may be used to construct low-level
empirical generalizations. For example, suppose that the ideal gas law, P %
nkT, is chosen as the form of the law governing the dependence of the pressure
P on the equilibrium temperature T of a fixed volume of gas, where n is the
molecular number per unit volume and k is Boltzmann’s constant a universal
constant equal to 1.3804 $ 10†16 erg°C†1. When the parameter nk is adjustable,
the law specifies a family of curves one
for each numerCudworth, Damaris curve-fitting problem ical value of the parameter. Curve fitting
may be used to determine the best-fitting member of the family, thereby
effecting a measurement of the theoretical parameter, nk. The philosophically
vexing problem is how to justify the initial choice of the form of the law. On
the one hand, one might choose a very large, complex family of curves, which
would ensure excellent fit with any data set. The problem with this option is
that the best-fitting curve may overfit the data. If too much attention is paid
to the random elements of the data, then the predictively useful trends and
regularities will be missed. If it looks too good to be true, it probably is.
On the other hand, simpler families run a greater risk of making grossly false
assumptions about the true form of the law. Intuitively, the solution is to
choose a simplefamily of curves that maintains a reasonable degree of fit. The
simplicity of a family of curves is measured by the paucity of parameters. The
problem is to say how and why such a trade-off between simplicity and goodness
of fit should be made. When a theory can accommodate recalcitrant data only by
the ad hoc i.e., improperly
motivated addition of new terms and
parameters, students of science have long felt that the subsequent increase in
the degree of fit should not count in the theory’s favor, and such additions
are sometimes called ad hoc hypotheses. The best-known example of this sort of
ad hoc hypothesizing is the addition of epicycles upon epicycles in the
planetary astronomies of Ptolemy and Copernicus. This is an example in which a
gain in fit need not compensate for the loss of simplicity. Contemporary
philosophers sometimes formulate the curve-fitting problem differently. They
often assume that there is no noise in the data, and speak of the problem of
choosing among different curves that fit the data exactly. Then the problem is
to choose the simplest curve from among all those curves that pass through
every data point. The problem is that there is no universally accepted way of
defining the simplicity of single curves. No matter how the problem is
formulated, it is widely agreed that simplicity should play some role in theory
choice. Rationalists have championed the curve-fitting problem as exemplifying
the underdetermination of theory from data and the need to make a priori
assumptions about the simplicity of nature. Those philosophers who think that
we have no such a priori knowledge still need to account for the relevance of
simplicity to science. Whewell described curve fitting as the colligation of
facts in the quantitative sciences, and the agreement in the measured
parameters coefficients obtained by different colligations of facts as the
consilience of inductions. Different colligations of facts say on the same gas
at different volume or for other gases may yield good agreement among
independently measured values of parameters like the molecular density of the
gas and Boltzmann’s constant. By identifying different parameters found to
agree, we constrain the form of the law without appealing to a priori knowledge
good news for empiricism. But the accompanying increase in unification also
worsens the overall degree of fit. Thus, there is also the problem of how and
why we should trade off unification with total degree of fit. Statisticians
often refer to a family of hypotheses as a model. A rapidly growing literature
in statistics on model selection has not yet produced any universally accepted
formula for trading off simplicity with degree of fit. However, there is wide
agreement among statisticians that the paucity of parameters is the appropriate
way of measuring simplicity.
Grice’s
defense of modernist logic -- cut-elimination theorem, a theorem stating that a
certain type of inference rule including a rule that corresponds to modus
ponens is not needed in classical logic. The idea was anticipated by J.
Herbrand; the theorem was proved by G. Gentzen and generalized by S. Kleene.
Gentzen formulated a sequent calculus
i.e., a deductive system with rules for statements about derivability.
It includes a rule that we here express as ‘From C Y D,M and M,C Y D, infer C Y
D’ or ‘Given that C yields D or M, and that C plus M yields D, we may infer
that C yields D’. Cusa cut-elimination theorem This is called the cut rule because it
cuts out the middle formula M. Gentzen showed that his sequent calculus is an
adequate formalization of the predicate logic, and that the cut rule can be
eliminated; anything provable with it can be proved without it. One important
consequence of this is that, if a formula F is provable, then there is a proof
of F that consists solely of subformulas of F. This fact simplifies the study
of provability. Gentzen’s methodology applies directly to classical logic but
can be adapted to many nonclassical logics, including some intuitionistic
logics. It has led to some important theorems about consistency, and has
illuminated the role of auxiliary assumptions in the derivation of consequences
from a theory.
cybernetic
implicaturumWhat
Grice disliked about the cybernetic implicaturum is that it is
‘mechanisitically derivable” and thus not really ‘rational’ in the way an implicaturum
is meant to be rational. A machine cannot implicate. Grice “Method in
philosophical psychology” -- cybernetics coined by N. Wiener in 7 from Grecian
kubernetes, ‘helmsman’, the study of the communication and manipulation of
information in service of the control and guidance of biological, physical, or
chemical energy systems. Historically, cybernetics has been intertwined with
mathematical theories of information communication and computation. To describe
the cybernetic properties of systems or processes requires ways to describe and
measure information reduce uncertainty about events within the system and its
environment. Feedback and feedforward, the basic ingredients of cybernetic
processes, involve information as what
is fed forward or backward and are basic
to processes such as homeostasis in biological systems, automation in industry,
and guidance systems. Of course, their most comprehensive application is to the
purposive behavior thought of cognitively goal-directed systems such as
ourselves. Feedback occurs in closed-loop, as opposed to open-loop, systems.
Actually, ‘open-loop’ is a momer involving no loop, but it has become
entrenched. The standard example of an openloop system is that of placing a
heater with constant output in a closed room and leaving it switched on. Room
temperature may accidentally reach, but may also dramatically exceed, the temperature
desired by the occupants. Such a heating system has no means of controlling
itself to adapt to required conditions. In contrast, the standard closed-loop
system incorporates a feedback component. At the heart of cybernetics is the
concept of control. A controlled process is one in which an end state that is
reached depends essentially on the behavior of the controlling system and not
merely on its external environment. That is, control involves partial
independence for the system. A control system may be pictured as having both an
inner and outer environment. The inner environment consists of the internal
events that make up the system; the outer environment consists of events that
causally impinge on the system, threatening disruption and loss of system
integrity and stability. For a system to maintain its independence and identity
in the face of fluctuations in its external environment, it must be able to
detect information about those changes in the external environment. Information
must pass through the interface between inner and outer environments, and the
system must be able to compensate for fluctuations of the outer environment by
adjusting its own inner environmental variables. Otherwise, disturbances in the
outer environment will overcome the system
bringing its inner states into equilibrium with the outer states,
thereby losing its identity as a distinct, independent system. This is nowhere
more certain than with the homeostatic systems of the body for temperature or
blood sugar levels. Control in the attainment of goals is accomplished by
minimizing error. Negative feedback, or information about error, is the
difference between activity a system actually performs output and that activity
which is its goal to perform input. The standard example of control
incorporating negative feedback is the thermostatically controlled heating
system. The actual room temperature system output carries information to the
thermostat that can be compared via goal-state comparator to the desired
temperature for the room input as embodied in the set-point on the thermostat;
a correction can then be made to minimize the difference error the furnace turns on or off. Positive
feedback tends to amplify the value of the output of a system or of a system
disturbance by adding the value of the output to the system input quantity.
Thus, the system accentuates disturbances and, if unchecked, will eventually
pass the brink of instability. Suppose that as room temperature rises it causes
the thermostatic set-point to rise in direct proportion to the rise in
temperature. This would cause the furnace to continue to output heat possibly
with disastrous consequences. Many biological maladies have just this
characteristic. For example, severe loss of blood causes inability of the heart
to pump effectively, which causes loss of arterial pressure, which, in turn,
causes reduced flow of blood to the heart, reducing pumping efficiency.
cybernetics cybernetics Cognitively
goal-directed systems are also cybernetic systems. Purposive attainment of a
goal by a goal-directed system must have at least: 1 an internal representation
of the goal state of the system a detector for whether the desired state is
actual; 2 a feedback loop by which information about the present state of the system
can be compared with the goal state as internally represented and by means of
which an error correction can be made to minimize any difference; and 3 a
causal dependency of system output upon the error-correction process of
condition 2 to distinguish goal success from fortuitous goal satisfaction.
cynical
implicaturum,
Cynic -- a classical Grecian philosophical school characterized by asceticism
and emphasis on the sufficiency of virtue for happiness eudaimonia, boldness in
speech, and shamelessness in action. The Cynics were strongly influenced by
Socrates and were themselves an important influence on Stoic ethics. An ancient
tradition links the Cynics to Antisthenes c.445c.360 B.C., an Athenian. He
fought bravely in the battle of Tanagra and claimed that he would not have been
so courageous if he had been born of two Athenians instead of an Athenian and a
Thracian slave. He studied with Gorgias, but later became a close companion of
Socrates and was present at Socrates’ death. Antisthenes was proudest of his
wealth, although he had no money, because he was satisfied with what he had and
he could live in whatever circumstances he found himself. Here he follows
Socrates in three respects. First, Socrates himself lived with a disregard for
pleasure and pain e.g., walking barefoot
in snow. Second, Socrates thinks that in every circumstance a virtuous person
is better off than a nonvirtuous one; Antisthenes anticipates the Stoic
development of this to the view that virtue is sufficient for happiness, because
the virtuous person uses properly whatever is present. Third, both Socrates and
Antisthenes stress that the soul is more important than the body, and neglect
the body for the soul. Unlike the later Cynics, however, both Socrates and
Antisthenes do accept pleasure when it is available. Antisthenes also does not
focus exclusively on ethics; he wrote on other topics, including logic. He
supposedly told Plato that he could see a horse but not horseness, to which
Plato replied that he had not acquired the means to see horseness. Diogenes of
Sinope c.400c.325 B.C. continued the emphasis on self-sufficiency and on the
soul, but took the disregard for pleasure to asceticism. According to one
story, Plato called Diogenes “Socrates gone mad.” He came to Athens after being
exiled from Sinope, perhaps because the coinage was defaced, either by himself
or by others, under his father’s direction. He took ‘deface the coinage!’ as a
motto, meaning that the current standards were corrupt and should be marked as
corrupt by being defaced; his refusal to live by them was his defacing them.
For example, he lived in a wine cask, ate whatever scraps he came across, and
wrote approvingly of cannibalism and incest. One story reports that he carried
a lighted lamp in broad daylight looking for an honest human, probably
intending to suggest that the people he did see were so corrupted that they
were no longer really people. He apparently wanted to replace the debased
standards of custom with the genuine standards of nature but nature in the sense of what was minimally
required for human life, which an individual human could achieve, without
society. Because of this, he was called a Cynic, from the Grecian word kuon
dog, because he was as shameless as a dog. Diogenes’ most famous successor was
Crates fl. c.328325 B.C.. He was a Boeotian, from Thebes, and renounced his
wealth to become a Cynic. He seems to have been more pleasant than Diogenes;
according to some reports, every Athenian house was open to him, and he was
even regarded by them as a household god. Perhaps the most famous incident
involving Crates is his marriage to Hipparchia, who took up the Cynic way of
life despite her family’s opposition and insisted that educating herself was
preferable to working a loom. Like Diogenes, Crates emphasized that happiness
is self-sufficiency, and claimed that asceticism is required for
self-sufficiency; e.g., he advises us not to prefer oysters to lentils. He
argues that no one is happy if happiness is measured by the balance of pleasure
and pain, since in each period of our lives there is more pain than pleasure.
Cynicism continued to be active through the third century B.C., and returned to
prominence in the second century A.D. after an apparent decline.
cyrenaic
implicaturum
-- Cyrenaics, a classical Grecian philosophical school that began shortly after
Socrates and lasted for several centuries, noted especially for hedonism.
Ancient writers trace the Cyrenaics back to Aristippus of Cyrene fifth-fourth
century B.C., an associate of Socrates. Aristippus came to Athens because of
Socrates’ fame and later greatly enjoyed the luxury of court life in Sicily.
Some people ascribe the founding of the school to his grandchild Aristippus,
because of an ancient report that the elder Aristippus said nothing clear about
the human end. The Cyrenaics include Aristippus’s child Arete, her child
Aristippus taught by Arete, Hegesius, Anniceris, and Theodorus. The school
seems to have been superseded by the Epicureans. No Cyrenaic writings survive,
and the reports we do have are sketchy. The Cyrenaics avoid mathematics and
natural philosophy, preferring ethics because of its utility. According to
them, not only will studying nature not make us virtuous, it also won’t make us
stronger or richer. Some reports claim that they also avoid logic and
epistemology. But this is not true of all the Cyrenaics: according to other
reports, they think logic and epistemology are useful, consider arguments and
also causes as topics to be covered in ethics, and have an epistemology. Their
epistemology is skeptical. We can know only how we are affected; we can know,
e.g., that we are whitening, but not that whatever is causing this sensation is
itself white. This differs from Protagoras’s theory; unlike Protagoras the
Cyrenaics draw no inferences about the things that affect us, claiming only
that external things have a nature that we cannot know. But, like Protagoras,
the Cyrenaics base their theory on the problem of conflicting appearances.
Given their epistemology, if humans ought to aim at something that is not a way
of being affected i.e., something that is immediately perceived according to
them, we can never know anything about it. Unsurprisingly, then, they claim
that the end is a way of being affected; in particular, they are hedonists. The
end of good actions is particular pleasures smooth changes, and the end of bad
actions is particular pains rough changes. There is also an intermediate class,
which aims at neither pleasure nor pain. Mere absence of pain is in this intermediate
class, since the absence of pain may be merely a static state. Pleasure for
Aristippus seems to be the sensation of pleasure, not including related psychic
states. We should aim at pleasure although not everyone does, as is clear from
our naturally seeking it as children, before we consciously choose to.
Happiness, which is the sum of the particular pleasures someone experiences, is
choiceworthy only for the particular pleasures that constitute it, while
particular pleasures are choiceworthy for themselves. Cyrenaics, then, are not
concerned with maximizing total pleasure over a lifetime, but only with
particular pleasures, and so they should not choose to give up particular
pleasures on the chance of increasing the total. Later Cyrenaics diverge in
important respects from the original Cyrenaic hedonism, perhaps in response to
the development of Epicurus’s views. Hegesias claims that happiness is
impossible because of the pains associated with the body, and so thinks of
happiness as total pleasure minus total pain. He emphasizes that wise people
act for themselves, and denies that people actually act for someone else.
Anniceris, on the other hand, claims that wise people are happy even if they
have few pleasures, and so seems to think of happiness as the sum of pleasures,
and not as the excess of pleasures over pains. Anniceris also begins
considering psychic pleasures: he insists that friends should be valued not
only for their utility, but also for our feelings toward them. We should even
accept losing pleasure because of a friend, even though pleasure is the end.
Theodorus goes a step beyond Anniceris. He claims that the end of good actions
is joy and that of bad actions is grief. Surprisingly, he denies that
friendship is reasonable, since fools have friends only for utility and wise
people need no friends. He even regards pleasure as intermediate between
practical wisdom and its opposite. This seems to involve regarding happiness as
the end, not particular pleasures, and may involve losing particular pleasures
for long-term happiness.
COTTRONEO: Girolamo Cotroneo
(Campo Calabro) filosofo. Professore emerito di Storia della filosofia presso
l'Università degli Studi di Messina. Laureatosi in Filosofia all'Università
degli Studi di Messina nel 1957, discutendo, sotto la supervisione di Galvano
Della Volpe, una tesi sul pensiero di Kierkegaard, ottenne nel 1975 l'incarico
di Professore di Storia della filosofia presso il medesimo Ateneo. Cotroneo è stato Presidente della Società
Filosofica Italiana e primo Presidente della Società Italiana di Storia della Filosofia
(20002004). Il cordoglio dell'Ateneo per la scomparsa del Professor Cotroneo,
su unime.it. 10 novembre . G. Reale. Per
una completa degli scritti, comprensiva
degli articoli apparsi in volumi collettanei, su riviste scientifiche e su
altri periodici, nonché delle voci di dizionario curate dall'Autore, si rinvia
a Scritti di Girolamo Cotroneo, Francesco Crapanzano, Fabio Gembillo, Emilia
Scarcella, in Lo storicismo di Girolamo
Cotroneo, Giuseppe Gembillo, Soveria Mannelli, Rubbettino, Girolamo Cotroneo, Jean Bodin teorico della
storia, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1966, . Girolamo Cotroneo, Croce e l'Illuminismo,
Napoli, Giannini, Girolamo Cotroneo, I
trattatisti dell'"ars historica", Napoli, Giannini, Girolamo
Cotroneo, Storicismo antico e nuovo, Roma, Bulzoni, 1972, . Girolamo Cotroneo, Sartre «rareté» e
storia, Napoli, Guida, Girolamo Cotroneo, Popper e la società aperta, Messina,
Armando Siciliano Editore, Girolamo Cotroneo, Le ragioni della libertà, Napoli,
Edizioni Scientifiche Italiane, 1985, .
Girolamo Cotroneo, Trittico siciliano (Scinà, Castiglia, Di Menza), Roma,
Cadmo, 1985, 88-7923-062-X. Girolamo
Cotroneo, L'ingresso nella modernità. Momenti della filosofia italiana tra
Ottocento e Novecento, Napoli, Morano, 1992,
. Girolamo Cotroneo, Questione crociane e post-crociane, Napoli,
Edizioni Scientifiche Italiane, Girolamo Cotroneo, Tra filosofia e politica. Un
dialogo con Norberto Bobbio, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998, 978-88-7284-629-2. Girolamo Cotroneo, Le idee
del tempo. L'etica. La bioetica. I diritti. La pace, Soveria Mannelli, Rubbettino,
Edgar Morin, Girolamo Cotroneo e Giuseppe Gembillo, Un viandante della
complessità. Morin filosofo a Messina, Annamaria Anselmo, Messina, Armando
Siciliano Editore, Girolamo Cotroneo, Benedetto Croce e altri ancora, Soveria
Mannelli, Rubbettino, Girolamo Cotroneo, Etica ed economica. Tre conversazioni,
Messina, Armando Siciliano Editore, Girolamo Cotroneo, Le virtù minori, Soveria
Mannelli, Rubbettino, Girolamo Cotroneo, Croce filosofo italiano, Firenze, Le
Lettere, Epub Girolamo Cotroneo, Illuminismo, Napoli, La scuola di Pitagora, Girolamo
Cotroneo, Libertà, Napoli, La scuola di Pitagora, Girolamo Cotroneo, Storia
della filosofia, Napoli, La scuola di Pitagora, ,Girolamo Cotroneo,
Positivismo, Napoli, La scuola di Pitagora, Girolamo Cotroneo, Filosofia della storia,
Napoli, La scuola di Pitagora, Girolamo Cotroneo, Rinascimento, Napoli, La
scuola di Pitagora, Curatele Aristotele e Chaïm Perelman, Retorica antica e
"nuova retorica", introduzione e scelta di brani Giuseppe Martano e
Girolamo Cotroneo, Napoli, Il Tripode, 1988,
. Itinerari dell'idealismo italiano, Girolamo Cotroneo, Napoli,
Giannini, 1989, . Raffaello Franchini,
Teoria della previsione, Girolamo Cotroneo e Giuseppe Gembillo, Messina,
Armando Siciliano Editore, Benedetto Croce, La religione della libertà.
Antologia degli scritti politici, Girolamo Cotroneo, Soveria Mannelli,
Rubbettino, Il diritto alla filosofia, Atti del Seminario di studi su Raffaello
Franchini [4-5 dicembre 2000], Girolamo Cotroneo, Renata Viti Cavaliere,
Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002,
978-88-498-0523-9. Croce
filosofo, Atti del Convegno internazionale di studi in occasione del 50º
anniversario della morte [Napoli-Messina 26-30 novembre 2002], 2 voll.,
Giuseppe Cacciatore, Girolamo Cotroneo, Renata Viti Cavaliere, Soveria
Mannelli, Rubbettino,La Fenomenologia dello spirito dopo duecento anni,
Girolamo Cotroneo, Giusi Furnari Luvarà, Francesca Rizzo, Napoli, Bibliopolis, Cavour,
Discorsi su Stato e Chiesa, con interventi di Pier Carlo Boggio, Marco
Minghetti, Francesco Ruffini, Giovanni Giolitti, Benedetto Croce, Benito
Mussolini, Girolamo Cotroneo e Pier Francesco Quaglieni, Soveria Mannelli, Rubbettino,
Letteratura critica Giovanni Reale, Girolamo Cotroneo , in Dario Antiseri e
Silvano Tagliagambe , Storia della filosofia,
14, Milano, Bompiani, Lo storicismo di Girolamo Cotroneo, Giuseppe
Gembillo, Soveria Mannelli, Rubbettino, Giuseppe Giordano, Girolamo Cotroneo.
Tra Storia della Filosofia e Liberalismo, in Bollettino della Società
Filosofica Italiana, n. 224, Roma, Carocci, Giuseppe Giordano, Girolamo
Cotroneo , in Rivista di storia della filosofia, n. 1, Milano, Franco Angeli, Girolamo
Cotroneo, in Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana.
COTTA -- Sergio Cotta Il conte Sergio Cotta (Firenze), filosofo. Cotta
nasce a Firenze da Alberto Cotta, studioso di scienze forestali, e Mary Nicolis
di Robilant. Da parte di madre è discendente diretto del matematico Leonardo
Eulero. Studia a Firenze presso l'istituto dei barnabiti «La Querce» e poi si
iscrive alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Firenze dove si laurea nel 1945.
Chiamato alle armi con il grado di sottotenente, il giorno dell'annuncio
dell'armistizio, l'8 settembre 1943, è in Friuli. Scioltosi l'esercito, scende
in barca lungo l'Adriatico per raggiungere l'Italia non ancora occupata dai
tedeschi. Ammalatosi di malaria, dopo svariate traversie decide di raggiungere
il Piemonte, dove partecipa alla guerra di resistenza come comandante di una
brigata partigiana nella VII Divisione Autonoma "Monferrato". È tra i
primi ad entrare a Torino nei giorni della liberazione. Per la sua partecipazione
alla guerra partigiana gli vengono attribuite la Medaglia di bronzo al valor
militare (24-10-1951) e la Croce di guerra (31-3-1952). Nel 1945 sposa a
Brozolo Elisabetta Radicati di Brozolo. Nascono tre figli: Irene, Maurizio e
Gabriella. Studi Dopo gli studi sul pensiero
politico dell'Illuminismo i suoi interessi si sono incentrati sulla filosofia
giusnaturalistica, che Cotta è stato in grado di fondere con elementi della
tradizione fenomenologica. A partire dagli anni cinquanta ha pubblicato
numerosi articoli e saggi monografici sulla visione politica di Montesquieu,
Gaetano Filangieri, San Tommaso e Sant'Agostino, dedicandosi in seguito a
riflessioni teoriche sul diritto e sulla politica. È stato direttore della
Rivista internazionale di filosofia del diritto. Le sue opere sono state
tradotte in francese, greco, inglese, portoghese e spagnolo. Carriera accademica Ha iniziato all'Torino
come assistente del filosofo del diritto Norberto Bobbio. Vinto il concorso a Professore,
ha insegnato nelle Perugia, Trieste, Trento, Firenze e infine di Roma. È stato
uno dei promotori della facoltà di giurisprudenza dell'Università
"Gabriele d'Annunzio" di Teramo, presso la quale ha insegnato
filosofia del diritto. All'Università La Sapienza di Roma ha tenuto dal 1966 al
1990 la cattedra di filosofia del diritto e, per alcuni anni, è stato anche
direttore dell'istututo omonimo, intitolato al filosofo del diritto Giorgio Del
Vecchio. Collocato a riposo nel 1995, da allora è professore emerito. È stato
socio corrispondente dell'Accademia delle Scienze di Torino (dal 1965) e dal
1995 socio nazionale dell'Accademia dei Lincei. Socio corrispondente
dell'Institut de France e dell'Académie des Sciences morales et politiques.
Socio dell’Accademia delle Scienze di Buenos Aires. Due volte Presidente
dell’Institut International de Philosophie Politique. Ha ricoperto la carica di
presidente dell'Unione giuristi cattolici italiani e dell'Unione internazionale
giuristi cattolici. Fu tra i componenti del comitato promotore del referendum
abrogativo del 1974 della legge sul divorzio. Tra i suoi allievi figurano
Francesco D'Agostino, Bruno Montanari, Gaetano Carcaterra, Bruno Romano,
Domenico Fisichella e il famoso cantante Antonello Venditti. Onorificenze Medaglia d'oro ai benemeriti
della cultura e dell'artenastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'oro ai
benemeriti della cultura e dell'arte — Roma, 5 settembre 1995 Medaglia di
bronzo al valor militare (24 ottobre 1951) Croce di guerra (31 marzo 1952)
Grande ufficiale dell'ordine al merito della Repubblica (27 dicembre 2003)
Croce di Prima Classe al Merito della Scienza e della Cultura della Repubblica
Austriaca (14-9-1998) Cavaliere di gran croce dell'Ordine di San Silvestro
papa. Opere Montesquieu e la scienza della società, 1953 Gaetano Filangieri e
il problema della legge, Torino, Giappichelli, 1954 Il concetto di legge nella
Summa Theologiae di San Tommaso d’Aquino, Torino, Giappichelli, 1955 La città
politica di S. Agostino, 1960 Filosofia e politica nell'opera di Rousseau, 1964
La sfida tecnologica, 1968 L'uomo tolemaico, 1975 Quale Resistenza?, 1977 El
hombre tolemaico, Ediciones RIALP, Madrid 1977 Perché la violenza, 1978
Giustificazione e obbligatorietà delle norme, 1981 Il diritto nell'esistenza.
Linee di ontofenomenologia giuridica, 1985 Why violence ? A philosophical
interpretation, University of Florida Press, Gainesville, 1985 Dalla guerra
alla pace, 1989 Diritto, persona, mondo umano, 1989 Il diritto nell'esistenza,
edizione ampliata, 1991 Il pensiero politico di Montesquieu, Bari, Laterza,
1995 Le droit dans l’existance, Editions Bière, Bordeaux, 1996 Soggetto umano,
soggetto giuridico, 1997 I limiti della politica, 2002 Il diritto come sistema
di valori, 2004 Ontologie du phénomène juridique, Paris, Dalloz, Perché il diritto (nuova ed.), Brescia, La
Scuola, Note Stante la concessione chirografata dall'ex re
Umberto II il 28 marzo 1959, Sergio Cotta poteva fregiarsi, sia pure del tutto
informalmente stante l'instaurazione dal 13 giugno 1946 dell'ordinamento
repubblicano e la XIV disposizione finale e transitoria della Costituzione, del
titolo nobiliare di conte. Vedi Copia archiviata, su cnicg.net. 23 giugno 23 novembre ).. Cotta, Sergio nell'Enciclopedia Treccani, su
treccani.it. 10 maggio . Filosofia del
diritto Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Sergio Cotta Gaetano Carcaterra, «COTTA, Sergio» in
Enciclopedia ItalianaV Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
1991. «Cotta, Sergio», la voce in Enciclopedie on line, sito "Treccani.it
L'Enciclopedia italiana". Sergio Cotta biografia nel sito
dell'ANPIAssociazione nazionale partigiani d'Italia. Ricordo di Sergio Cotta,
di Francesco D'Agostino, l'Occidentale, Giornale on-line della Fondazione Magna
Carta, Filosofia Categorie: Giuristi italiani del XX secoloFilosofi italiani Professore1920
2007 6 ottobre 3 maggio Firenze FirenzeFilosofi della politicaPartigiani
italianiPersonalità del cattolicesimoProfessori dell'Università degli Studi
"Gabriele d'Annunzio"Membri dell'Accademia delle Scienze di Torino
CREDARO: Ministro della
Pubblica Istruzione del Regno d'Italia Durata mandato31 marzo 191019 marzo 1914
MonarcaVittorio Emanuele III di Savoia Capo del governoLuigi Luzzatti, Giovanni
Giolitti PredecessoreEdoardo Daneo SuccessoreEdoardo Daneo LegislatureXXIII. XXIV
Senatore del Regno d'Italia LegislatureXXV Legislatura del Regno d'Italia Sito
istituzionale Dati generali UniversitàUniversità degli Studi di Pavia
Professionepedagogista professore universitario. Luigi Credaro (Sondrio),
filosofo. Casa natale di Luigi Credaro Laureato in Filosofia all'Università
degli Studi di Pavia nel 1885, dove fu convittore del Collegio Ghislieri,
divenne insegnante di liceo. Nel 1889 si recò a Lipsia per perfezionarsi nello
studio della filosofia e della psicologia; ebbe come maestro Wilhelm Wundt.
Tornato in Italia, insegnò a Pavia, ove ebbe la cattedra di Storia della
filosofia. Nel 1907 fondò la Rivista
pedagogica. Nel 1901 gli fu affidata la cattedra di Pedagogia alla
SapienzaRoma, ove insegnò sino al 1935.
Fu deputato del Partito Radicale e ministro della Pubblica Istruzione
del Regno d'Italia nei governi Luzzatti e Giolitti IV tra il 1910 e il 1914. In
tale veste, nel 1911, istituì il Liceo moderno.
Fu relatore nella presentazione della Legge del 24 dicembre 1904 nº 689,
che istitutiva dei Corsi di perfezionamento, o più comunemente Scuole
pedagogiche, di durata biennale, di preparazione per l'esercizio
all'ispettorato o per la direzione didattica delle scuole. Fu l'ispiratore della legge Daneo-Credaro del
1911, che stabiliva che lo stipendio dei maestri delle scuole elementari fosse
a carico del bilancio dello Stato, e non più dei Comuni, contribuendo così in
maniera determinante all'eliminazione dell'analfabetismo in Italia. Prima di
questa legge, infatti, i comuni di campagna e quelli più poveri, specie nel
Sud, non erano in grado di istituire e mantenere scuole elementari e pertanto
rendevano di fatto inapplicata la legge Coppino del 1877 sull'obbligo
scolastico. Si interessò attivamente dei
problemi agricoli e forestali della provincia di Sondrio. Pubblicò numerose
opere, in particolare sui filosofi tedeschi Immanuel Kant e Johann Friedrich
Herbart. Il 20 luglio 1919 fu nominato
Commissario Generale Civile della Venezia Tridentina, ossia la suprema autorità
del Trentino-Alto Adige che stava per essere formalmente annesso all'Italia. In
tale veste tentò una politica particolarmente conciliante verso la minoranza di
lingua tedesca e rispettosa dell'ordinamento amministrativo decentrato della
regione. In seguito, anche a causa delle pressioni dei nazionalisti, la sua
politica nei confronti della minoranza di lingua tedesca si fece più
intransigente. Testimonianza ne è la cosiddetta Lex Corbino (elaborata da
Credaro) sull'istituzione di scuole elementari nelle nuove province che è
considerata da una parte della storiografia strumento per potenziare la
presenza italiana soprattutto nel territorio mistilingue della regione a danno
della minoranza tedesca. Ciononostante, il 5 ottobre 1922 subì l'assalto di una
squadra d'azione fascista che lo costrinse alle dimissioni per far luogo
all'insediamento di un prefetto di Trento.
Terminò quindi la sua carriera politica in disparte rispetto al regime
che si andava consolidando, pur mantenendo il suo seggio da senatore. Onorificenze Cavaliere di Gran Croce decorato
di Gran Cordone dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaronastrino per uniforme
ordinariaCavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine dei Santi
Maurizio e Lazzaro Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine
della Corona d'Italianastrino per uniforme ordinariaCavaliere di Gran Croce
decorato di Gran Cordone dell'Ordine della Corona d'Italia Opere Lo scetticismo
degli Accademici, 2 voll., Roma, Tip. alle Terme Diocleziane, 1889-1893. Rist.
anastatica: Milano, Istituto editoriale cisalpino, 1985. Il problema della
libertà di volere nella filosofia dei Greci, Milano, Tip. Bernardoni, 1892. La
pedagogia di G. F. Herbart, Torino, Paravia, 1902. Alfonso Testa e i primordi
del kantismo in Italia, Catania, Battiato, 1913. Guglielmo Wundt: ricordi di
uno scolaro del 1887-88, Milano, Società Anonima Editrice Dante Alighieri,
1932. Note Andrea Di Michele,
L’italianizzazione imperfetta. L’amministrazione pubblica dell’Alto Adige tra
Italia liberale e fascismo, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2003108. Analfabetismo Altri progetti Collabora a
Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Luigi
Credaro Luigi Credaro, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Luigi Credaro, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Opere di Luigi Credaro, .
Luigi Credaro, su storia.camera.it, Camera dei deputati. Luigi Credaro, su Senatori d'Italia, Senato
della Repubblica. L'educatore Luigi
Credaro un italiano d'altri tempi articolo di Sergio Romano, Corriere della
Sera, Filosofia Istruzione Istruzione
Politica Politica Università Università Categorie: Politici italiani del
XIX secoloPolitici italiani del XX secoloStorici della filosofia
italianiPedagogisti italiani 1860 1939 15 gennaio 15 febbraio Sondrio
RomaAccademici italiani del XIX secoloAccademici italiani del XX
secoloDirettori di periodici italianiFondatori di riviste italianeGoverno
Giolitti IVGoverno LuzzattiMinistri della pubblica istruzione del Regno
d'ItaliaProfessori della SapienzaRomaProfessori dell'Università degli Studi di
PaviaSenatori della XXV legislatura del Regno d'ItaliaStudenti dell'Università
degli Studi di PaviaStudenti dell'Lipsia
CREMONINI
cremonini: essential Italian philosopher. Refs.: Luigi
Speranza, "Grice e Cremonini," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
crespi: Angelo Crespi
(Milano) filosofo. Collaboratore della Critica sociale di Filippo Turati, si
avvicinò successivamente alle posizioni sturziane e moderniste . Collaborò a Il
Rinnovamento, L'Unità (rivista fondata da Gaetano Salvemini), La Rivoluzione
liberale, Coenobium. Emigrato a Londra durante il fascismo, ospitò numerosi
esuli antifascisti. Opere principali Le
vie della fede, Roma, Libreria editrice romana, 1908 Giuseppe Mazzini e la
futura sintesi religiosa, Firenze, Tip. Bonducciana di A. Meozzi, 1912 La
funzione storica de l'impero britannico, Milano, Treves, 1918 Contemporary
thought of Italy, London, Williams and Norgate Limited, 1926 Dall'io a Dio, con
una nota di Tommaso Gallarati Scotti, Modena, Guanda, 1950 Note Nunzio Dell'Erba, Rosselli e Sturzo,
"Annali della Fondazione Ugo La Malfa", 19 (2004)274 Luigi Sturzo, Mario Sturzo, Carteggio
1924-1928 , Roma, Edizioni di storia e letteratura-Istituto Luigi Sturzo,
19857 Giovanni Bonomi, Angelo Crespi,
Cremona, Padus, 1961 Maria L. Frosio, Angelo Crespi, in Dizionario Storico del
Movimento Cattolico in Italia, III/1: Le figure rappresentative, Marietti,
Casale Monferrato 1984, 267-8 Altri
progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a
Angelo Crespi 306184669 I0000 0003 9805 6012
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Biografie: di biografie Filosofo del XX secoloGiornalisti
italiani Professore1877 1949 Milano Londra
CRESPO.
croce:
Grice:
“I would think the fashionable Englishwoman may think Croce is the most
important philosopher that ever lived!” -- vide under “Grice as Croceian” --
Grice as Croceian: expression and intention -- Croce, B., philosopher. He was
born at Pescasseroli, in the Abruzzi, and after 6 lived in Naples. He briefly
attended the of Rome and was led to
study Herbart’s philosophy. In 4 he founded the influential journal La critica.
In 0 he was made life member of the
senate. Early in his career he befriended Giovanni Gentile, but this
friendship was breached by Gentile’s Fascism. During the Fascist period and
World War II Croce lived in isolation as the chief anti-fascist thinker in
Italy. He later became a leader of the Liberal party and at the age of eighty
founded the Institute for Historical Studies. Croce was a literary and
historical scholar who joined his great interest in these fields to philosophy.
His best-known work in the Englishspeaking world is Aesthetic as Science of
Expression and General Linguistic 2. This was the first part of his “Philosophy
of Spirit”; the second was his Logic 5, the third his theory of the Practical
9, and the fourth his Historiography 7. Croce was influenced by Hegel and the
Hegelian aesthetician Francesco De Sanctis 181783 and by Vico’s conceptions of
knowledge, history, and society. He wrote The Philosophy of Giambattista Vico 1
and a famous commentary on Hegel, What Is Living and What Is critical theory
Croce, Benedetto Dead in the
Philosophy of Hegel 7, in which he advanced his conception of the “dialectic of
distincts” as more fundamental than the Hegelian dialectic of opposites. Croce
held that philosophy always springs from the occasion, a view perhaps rooted in
his concrete studies of history. He accepted the general Hegelian
identification of philosophy with the history of philosophy. His philosophy
originates from his conception of aesthetics. Central to his aesthetics is his
view of intuition, which evolved through various stages during his career. He
regards aesthetic experience as a primitive type of cognition. Intuition
involves an awareness of a particular image, which constitutes a non-conceptual
form of knowledge. Art is the expression of emotion but not simply for its own
sake. The expression of emotion can produce cognitive awareness in the sense
that the particular intuited as an image can have a cosmic aspect, so that in
it the universal human spirit is perceived. Such perception is present especially
in the masterpieces of world literature. Croce’s conception of aesthetic has
connections with Kant’s “intuition” Anschauung and to an extent with Vico’s
conception of a primordial form of thought based in imagination fantasia.
Croce’s philosophical idealism includes fully developed conceptions of logic,
science, law, history, politics, and ethics. His influence to date has been
largely in the field of aesthetics and in historicist conceptions of knowledge
and culture. His revival of Vico has inspired a whole school of Vico
scholarship. Croce’s conception of a “Philosophy of Spirit” showed it was
possible to develop a post-Hegelian philosophy that, with Hegel, takes “the
true to be the whole” but which does not simply imitate Hegel. Croce -- expression theory of art, a theory
that defines art as the expression of feelings or emotion sometimes called
expressionism in art. Such theories first acquired major importance in the
nineteenth century in connection with the rise of Romanticism. Expression theories
are as various as the different views about what counts as expressing emotion.
There are four main variants. 1 Expression as communication. This requires that
the artist actually have the feelings that are expressed, when they are
initially expressed. They are “embodied” in some external form, and thereby
transmitted to the perceiver. Leo Tolstoy 18280 held a view of this sort. 2
Expression as intuition. An intuition is the apprehension of the unity and
individuality of something. An intuition is “in the mind,” and hence the
artwork is also. Croce held this view, and in his later work argued that the
unity of an intuition is established by feeling. 3 Expression as clarification.
An artist starts out with vague, undefined feelings, and expression is a process
of coming to clarify, articulate, and understand them. This view retains
Croce’s idea that expression is in the artist’s mind, as well as explanation,
covering law expression theory of art 299
299 his view that we are all artists to the degree that we articulate,
clarify, and come to understand our own feelings. Collingwood held this view. 4
Expression as a property of the object. For an artwork to be an expression of
emotion is for it to have a given structure or form. Suzanne K. Langer 55
argued that music and the other arts “presented” or exhibited structures or
forms of feeling in general.
curcio: Corrado Curcio
(Noto), filosofo. Ordinario di Storia e
Filosofia nei Licei Classici, fu Preside del Liceo Classico di Noto dove è
ricordato per le sue innovazioni didattiche (laboratori di teatro, attività
extrascolastiche) che resero l'istituto un luogo di avanguardia nella vita
culturale locale. Fu Lettore presso numerosi istituti di Cultura Italiana
all'estero. Ricoprì la carica di Ispettore Centrale al Ministero della pubblica
istruzione e successivamente anche quella di Direttore Generale per l'Ordine
Ginnasiale. Curcio fu amico fraterno del filosofo e grecista Carlo Diano Curcio è ricordato anche per la sua produzione
filosofica e per la sua vasta biblioteca, donata in seguito alla sua scomparsa
all'Messina. parziale Dissonanze e
armonie, Noto, 1927 La sfinge. Le piramidi. Il prezzo della salute, Noto, 1927
Commenti, libri I-XXIV, Roma Il giro dei Templi, Bonacci, Roma, 1954 Mottetto,
Bonacci, Roma Fugato, Bonacci, Roma II grano di follia, Bonacci, Roma Senza più
peso, Bonacci, Roma Assolo, Bonacci, Roma A più voci, Bonacci, Roma L'avita
vocazione, Bonacci, Roma Esistente, Bonacci, Roma Altri occhi, Bonacci, Roma Le
due cene, Bonacci, Roma Sitio, Bonacci, Roma Consummatum, Bonacci, Roma
Derelictus, Bonacci, Roma In horto, Bonacci, Roma Paradossale, Bonacci, Roma
Felix, Bonacci, Roma Deliramentum, Bonacci, Roma.
curi: Al Festivaletteratura
di Mantova. Umberto Curi (Verona), filosofo. Curi, dopo aver conseguito la
laurea (1964) e successivamente la specializzazione (1967) in filosofia, nel
1971 consegue la libera docenza in Storia della filosofia moderna e
contemporanea. Dal 1986 è Professore di Storia della filosofia presso la
Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Padova, presso la
quale ha presieduto anche il corso di laurea in Filosofia, dal 1994 al 2008. Ha
diretto per oltre vent'anni la Fondazione culturale “Istituto Gramsci Veneto”
ed è stato anche per un decennio membro del Consiglio Direttivo della Biennale
di Venezia. Formatosi alla scuola di Carlo Diano, Marino Gentile e Paolo
Bozzi, in una posizione comunque di spiccata indipendenza, all'incirca
all'inizio degli anni settanta incontra Massimo Cacciari. A partire da quel
topos, si avvia un sodalizio estremamente solido e fecondo, all'insegna di
una comune ricerca del nuovo, e di un impegno teoretico rigoroso, che va oltre
il piano strettamente scientifico, in direzione di una partecipazione civile e
politica mai assorbita dentro gli schemi dell'ortodossia, ispirata alla massima
autonomia del lavoro intellettuale. Nella sua più matura attività di
ricerca, si possono individuare tre fondamentali linee di indagine: la
riflessione sul nesso politica-guerra e sulla nozione teoretica di polemos,
lungo la linea che congiunge Eraclito a Martin Heidegger; la valorizzazione
della narrazione, sia intesa come mythos, sia concepita come opera
cinematografica; la meditazione su alcuni temi fondamentali dell'interrogazione
filosofica, quali l'amore e la morte, il dolore e il destino. Ha vinto
l'edizione del Praemium Classicum
Clavarense. Fra le sue numerose opere della fase più matura, di
particolare rilievo sono: Endiadi. Figure della duplicità, Feltrinelli,
Milano 1995; Polemos. Filosofia come guerra, Bollati Boringhieri, Torino 2000;
La forza dello sguardo, ivi 2004; Meglio non essere nati. La condizione umana
tra Eschilo e Nietzsche, ivi 2008. L'assiduo lavoro di filosofia del cinema è
testimoniato soprattutto da: Lo schermo del pensiero. Cinema e filosofia,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2000; Un filosofo al cinema, Bompiani, Milano
2006. Rifiutando di riconoscersi in qualunque “ismo”, comunque declinato, lo
stesso Curi ha dichiarato di vedersi sinteticamente “rappresentato” in due
citazioni: «Quelli che non sono veri filosofi, ma hanno soltanto una
verniciatura di casi umani, come la gente abbronzata dal sole, vedendo quante
cose si devono imparare, quante fatiche bisogna sopportare, come si convenga, a
seguire tale studio, la vita regolata di ogni giorno, giudicano che sia una
cosa difficile e impossibile per loro [...] A questa gente bisogna mostrare che
cos'è davvero il mio studio filosofico, e quante difficoltà presenta, e quanta
fatica comporta.» (Platone, Lettera settima) «La libertà non è soltanto
l'essere-liberati dalle catene né soltanto l'esser-divenuti-liberi per la luce,
ma l'autentico essere-liberi è essere-liberatori dal buio. La ridiscesa nella
caverna non è un divertimento aggiuntivo che il presunto "libero" possa
concedersi così per svago, magari per curiosità,…ma è, esser-ci dentro tutto,
essa soltanto, il compimento autentico del divenire liberi.» (Martin
Heidegger, L'essenza della verità, Franco Volpi, Milano 1988116) Ne La brama
dell'avere (), scritto con Sabino Chialà, si ha un attento e puntuale riesame
sia storico-filosofico che critico-filologico della fondamentale categoria
esistenziale dell'avere, alla luce dell'odierno assetto socio-comunitario.
Opere: Il coraggio di pensare, manualistica di filosofia, Loescher editore,
Torino . Il problema dell'unità del sapere nel comportamentismo, CEDAM, Padova;
Analisi operazionale e operazionismo, CEDAM, Padova; L'analisi operazionale della psicologia,
Franco Angeli, Milano; Dagli Jonici alla crisi della fisica, CEDAM, Padova; Anticonformismo
e libertà intellettuale: per una dialettica tra pensiero e politica, Padova; Psicologia
e critica dell'ideologia, Bertani, Roma; La ricerca in America 1900-1940, a
cura di, Marsilio, Venezia 1978. Katastrophé. Sulle forme del mutamento
scientifico, Arsenale Cooperativa, Venezia 1982. La linea divisa. Modelli di
razionalita' e pratiche scientifiche nel pensiero occidentale, De Donato, Bari
1983. Pensare la guerra. Per una cultura della pace, Dedalo, Bari 1985.
Dimensioni del tempo, a cura di, Franco Angeli, Milano 1987. L'opera di
Einstein, Gabriele Corbo, Ferrara 1988. La cosmologia oggi tra scienza e
filosofia, Gabriele Corbo, Ferrara; La politica sommersa. Per un'analisi del
sistema politico italiano, Franco Angeli, Milan; Lo scudo di Achille. Il PCI nella grande crisi,
Franco Angeli, Milano; L'albero e la
foresta. Il Partito Democratico della Sinistra nel sistema politico italiano,
con Paolo Flores d'Arcais, Franco Angeli, Milano; The antropic principle,
Cambridge, Metamorfosi del tragico tra classico e moderno, Bari 1991 L'albero e
la foresta. Il Partito Democratico della Sinistra nel sistema politico
italiano, con Paolo Flores D'Arcais, Milano 1991 La repubblica che non c'è,
Milano 1992 Pensare la guerra. Per una cultura della pace, Dedalo, Bari 1993.
Poròs. Dialogo in una società che rifiuta la bellezza, con Angelina de Lillo,
Milano 1995 L'orto di Zenone. Coltivare per osmosi, con Federico Friggio,
Milano 1996 La cognizione dell'amore. Eros e filosofia, Feltrinelli, Milano
1997. Il mantello e la scarpa. Filosofia e scienza tra Platone e Einstein, Il
Poligrafo, Padova 1998. Pensare la guerra. L'Europa e il destino della
politica, Dedalo, Bari 1999. Pólemos. Filosofia come guerra, Bollati
Boringhieri, Torino 2000. Endiadi. Figure della duplicità, Feltrinelli, Milano
2000nuova edizione, Raffaello Cortina Editore, Milano . Lo schermo del
pensiero. Cinema e filosofia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000. Ombre
delle idee. Filosofia del cinema fra «American beauty» e «Parla con lei»,
Pendragon, Bologna 2002. Filosofia del Don Giovanni. Alle origini di un mito
moderno, Bruno Mondadori, Milano 2002. Il farmaco della democrazia. Alle radici
della politica, Marinotti, Milano 2003. La forza dello sguardo, Bollati
Boringhieri, Torino 2004. Skenos. Il Don Giovanni nella società dello
spettacolo, con Laura Cesaroni, Milano 2005 Libidine e denuncia. L'eros nella
società della corruzione, Milano 2005 Un filosofo al cinema, Bompiani, Milano
2006. Meglio non essere nati. La condizione umana tra Eschilo e Nietzsche,
Bollati Boringhieri, Torino 2008. Miti d'amore. Filosofia dell'eros, Bompiani,
Milano 2009. Pensare con la propria testa, con due cd, Mimesis, Milano 2009.
Straniero, Raffaello Cortina Editore, Milano . Passione, Raffaello Cortina
Editore, Milano . La porta stretta. Come diventare maggiorenni, Bollati
Boringhieri, Torino . I figli di Ares. Guerra infinita e terrorismo,
Castelvecchi, Roma . La brama dell'avere (con Sabino Chialà), Il Margine,
Trento, . Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Umberto Curi
Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file
su Umberto Curi Umberto Curi: il mito di
Narciso sul RAI Filosofia, su filosofia.rai.it.
La pagina di Umberto Curi nel sito del Dipartimento di filosofia
dell'Università degli Studi di Padova, su filosofia.unipd.it.
cusani: Stefano Cusani
(Solopaca) filosofo. Idealista hegeliano vissuto nel Regno delle Due Sicilie,
esponente dell'eclettismo filosofico di Victor Cousin. Scrisse numerosi saggi e
note soprattutto di filosofia ma anche di critica letteraria, di musica e di
economiia. Nacque il 24 dicembre 1815 a Solopaca, a metà strada tra Caserta e
Benevento, all'epoca capoluogo distrettuale e di comprensorio del Regno delle
Due Sicilie, da Filippo e da Caterina Cardillo. A 28 anni, il 10 ottobre 1842,
si sposò con Teresa Marcarelli, e nello stesso anno acquistò la tessera di
socio dell'Accademia Pontaniana. Agli studi di filosofia unì quelli di
grammatica, lessicografia intrapresi nella scuola del marchese Basilio Puoti,
frequentata da Francesco De Sanctis Stanislao Gatti. Trentenne, partecipò al VII° congresso degli
scienziati italiani, nell'ottobre 1845 a Napoli. Punto di partenza dell'insegnamento
filosofico di Stefano Cusani, comune a buona parte dei circoli filosofici
dell'hegelismo di stanza a Napoli, dei quali era un esponente, furono le idee
del francese Victor Cousin, il fondatore della storiografia filosofica. Fu
discepolo, oltre che della scuola napoletana del marchese Basilio Puoti.
Insegnò materie filosofiche dapprima a Montecassino, poi nel collegio Tulliano
di Arpino, dove fu affiancato da Bertrando Spaventa, chiamato poi a
sostituirlo; infine si stabilì definitivamente a Napoli nel proprio studio
privato. Morì a Napoli l'anno successivo,
poco più che trentenne, il 4 gennaio 1846.
Opere La maggior parte degli scritti di Cusani furono pubblicati su due
riviste: Il progresso delle scienze, delle lettere e delle arti (dal 1832) e
Museo di letteratura e filosofia. La seconda fu da lui stesso fondata nel 1841,
con nome diverso, insieme con l'amico Stanislao Gatti. Dopo due anni il nome fu
cambiato e la rivista continuò a uscire per un quindicennio dopo la sua morte,
dal 1846 al 1860. Molti dei saggi di filosofia più impegnati furono pubblicati,
a partire dall'anno 1837, nella rivista Antologia, fondata a Firenze nel 1821
da Giovan Pietro Vieusseux e da Gino Capponi. Scrisse inoltre note e recensioni
nel periodico l'Omnibus e nella Rivista napolitana. Molte delle sue opere sono archiviate presso
la Biblioteca "Stefano Cusani" di Solopaca. Saggi Gli articoli più importanti, in cui si
compendia il pensiero filosofico di Cusani:
saggio Del metodo filosofico d'una storia; Della scienza fenomenologica
o dello studio dei fatti di coscienza, pubblicato sul Progresso; Del metodo
filosofico e d'una sua storia infino agli ultimi sistemi di filosofia che
sonosi veduti uscir fuori in Germania ed in Francia; Del reale obbietto d'ogni
filosofia e del solo procedimento a poterlo raggiungere; Alcune idee intorno al
romanzo storico; Della scienza fenomenologica o dello studio de' fatti di
coscienza; Della poesia drammatica; Un'obbiezione dell'Hamilton intorno alla
filosofia dell'Assoluto; Della logica trascendentale; Idea d'una storia
compendiata della filosofia; Della
lirica considerata nel suo svolgimento storico e del suo predominio sugli'
altri generi di poesia ne' tempi moderni; Dell'economia politica considerata
nel suo principio e nelle sue relazioni colle scienze morali; Del modo da
trattare la scienza degli esseri. Disegno di una metafisica; Della percezione
considerata relativamente alle esistenze esterne; Della scienza assoluta. Nel
comune di Solapaca è stato indetto nel
un anno di celebrazione in occasione del centenario della nascita nel comune
di Solopaca. Una via (corso Stefano Cusani) gli è stata intitolata a Solopaca
poco dopo la sua morte. Dopo la morte, Francesco De Sanctis, due anni più
giovane di lui, lo ricordò citandolo nella propria autobiografia: "Il
Cusani dato agli stessi studi di filosofia, aveva maggiore ingegno del
superbissimo Gatti, ed era mitissima natura d'uomo" (Francesco De Sanctis,
La giovinezza, p.156). Salì al tavolo
degli oratori con tale fervore dialettico che, come scrisse il suo allievo
Giucci, «da tutta la persona grondava onorato sudore» (G. Giucci, Degli
scienziati italiani formanti parte del VII congresso in Napoli nell'autunno del
1845: notizie biografiche, Napoli. L'amico coetaneo Cesare Correnti, patriota
milanese legato ai circoli Napoli, insegnante nella Scuola di lingua italiana
da lui fondata nel 1825, gli dedicò un necrologio: «Ecco un altro amico,
un'altra fiorita speranza di questa nostra Napoli sparire a un tratto a noi
d'intorno. Ben dissi a un tratto: poiché la sua non lunga malattia parve un momento
agli amici. Moriva il 5 gennaio, e non aveva 30 anni! Era nato in Solopaca. Le
lettere e la poesia specialmente nol sedussero, in modo che a più severi studi
non volgesse l'acuta e fervidissima mente, e a bella armonìa si composero
nell'anima sua.» (1846); parole riportate sul Necrologio di Stefano Cusani,
«Rivista europea», dicembre 1846, I251, ripr. in Scritti scelti, T. Massarani,
Forzani, Roma 1891, I, 496-500: «Ecco un altro amico, un'altra
fiorita speranza di questa nostra Napoli sparire...». Delibera del Consiglio comunale del 10
febbraio (notizia su Informatore
sannita) Archiviato il 10 febbraio in
. Necrologio di Cesare Correnti a
Stefano Cusani, nella «Rivista europea», dicembre 1846, I (p. 251),
ripubblicato in Scritti scelti, T. Massarani, Forzani, Roma 1891, I,
496–500 A. Zazo, Dizionario biobibliografico del Sannio, Napoli
1973, 105 s. P. Serafini, Necrologia di
Stefano Cusani, in "Il Progresso",
E. Rocco, Necrologia di Stefano
Cusani, in "Il Lucifero", VIII (1845-46), 403 s. E. Poerio, Necrologia di Stefano
Cusani, in "Omnibus", XIII (1846)182 F. Trinchera, Necrologia di
Stefano Cusani, in "Rivista napolitana", IV (1846), 1, 396 s. F. De Sanctis, La letteratura ital. nel
sec. XIX, II, La scuola liberale e la scuola democratica N. Cortese, Napoli
1931, 136 s. e passim G. Oldrini, Gli
hegeliani di Napoli. A. Vera e la corrente "ortodossa", Milano F. Zerella, L'eclettismo francese e la cultura
filosofica meridionale nella prima metà del sec. XIX, Roma S. Mastellone,
Dall'eclettismo all'hegelismo in Italia, in "Il Pensiero politico", Stefano
Cusani, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. F
cutelli: Mario Cutelli
(Catania), filosofo. Scrisse opere di diritto civile, ricoprendo alte cariche
giuridiche durante il dominio spagnolo in Sicilia. Conte di Villa Rosata e signore
dell'Alminusa. Sposò Cristina Cicala. Cutelli conseguì il titolo di dottore in
diritto civile ed ecclesiastico nel 1621 presso lo Studio di Catania e fu
nominato giudice del tribunale della Gran Corte. Si recò in Spagna per
discutere al cospetto del sovrano Filippo IV delle numerose controversie
giurisdizionali. A Madrid scrisse il Patrocinium pro regia iurisdictione
inquisitoribus siculis concessa. I
viceré, eletti personalmente dal re, sono contornati da un'amministrazione
corrotta che pratica attività illecite, contribuendo alla debolezza del
governo[senza fonte]. Tale situazione spinse Mario Cutelli a intervenire per
escludere dal "privilegium fori" numerosi delitti: resistenza a
pubblico ufficiale, omicidio anche tentato.
Nel 1635-1637 fu nuovamente nominato giudice della Gran Corte,
pubblicando il Codicis legum sicularum libri quattuor, manifesto del partito
olivaresiano in Sicilia. Cutelli manifestava un'idea di politica amministrativa
che mirava a creare un centro unificatore e un ministro superiore, cui fosse
affidato il compito di amministrare e dirigere la monarchia, ottenendo il
rilancio economico, la riduzione delle spese e il riequilibrio del conto
fiscale. Nominato nel 1639 avvocato fiscale del Real Patrimonio, Cutelli si
recò l'anno successivo a Napoli per incarico del viceré Francisco De Melo. Lo
stesso viceré gli ordinò di tornare in Spagna per esporre al sovrano la
situazione siciliana in materia di fiscalità. Filippo IV nel 1642 gli concesse il titolo di
conte. Ritornato nel 1649 in Sicilia, fu proposto dal viceré Juan de Austria
alla presidenza del Concistorio. Nel settembre 1650, Mario Cutelli acquistò il
feudo di Mezzamandranova. Nel 1651, dopo
essere stato nominato dal Senato di Catania suo procuratore nel Parlamento,
pubblicò in lingua castigliana l'opera Catania restaurata. L'anno seguente,
dopo un ricorso del Senato di Catania che riaffermava la sua concezione
dell'impero, Filippo IV ne propose la sospensione, sino a nuovo ordine,
dall'Ufficio. Si difese scrivendo il Supplex libellus. Il 23 aprile 1652, acquistò il feudo di
Alminusa e il borgo già creato da Giuseppe Bruno, figlio del fondatore
Gregorio, per atto del notaro Pietro Cardona di Palermo. Ad Aliminusa dotò la
chiesa di Santa Anna e stabilì un legato di maritaggio di dieci onze l'anno in
favore di una figlia dei suoi vassalli, come si scorge dal suo testamento
redatto il 28 agosto 1654 innanzi al notaio Giovanni Antonio Chiarella di
Palermo. Nel luglio 1654 acquistò il feudo di Cifiliana. Morì il 17 settembre del 1654 a Palermo. Il
suo testamento rivelò la volontà di destinare una parte dei suoi possedimenti
alla fondazione di un collegio d'huomini nobili all'uso di Spagna in cui si
dovesse studiare legge canonica e civile.
Nel 1747, dopo più di un secolo dalla sua morte, fu possibile dare
inizio alla costruzione del Collegio Cutelli (poi Convitto Cutelli), perché
solo in quell'anno, con la morte di don Giovanni Cutelli, aveva posto nel
testamento tale condizione per la devoluzione dei beni. A Catania gli sono dedicati, oltre al
Convitto Cutelli, attualmente sede di un Liceo Europeo, una piazza sita sul
percorso della centrale via Vittorio Emanuele II e, soprattutto, il Liceo
Classico "Mario Cutelli".
Note Biografia di Mario Cutelli
sul sito ufficiale degli ex allievi del Convitto Cutelli. Vittorio Sciuti Russi, CUTELLI, Mario, in
Dizionario biografico degli italiani,
31, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1985. 10 ottobre . Vittorio Sciuti Russi, Mario Cutelli. Una
utopia di governo, Acireale (CT), Bonanno Editore, 1994, 130,
978-88-7796-057-3. Caterina Sindoni, La formazione dell'élite in Sicilia
tra Settecento ed Ottocento. Il "Collegio Cutelliano" di Catania, in
"Quaderni di Intercultura", Anno VIII/, 55/73,
2035-858X, DOI
10.3271/M41http://cab.unime.it/journals/index.php/qdi/article/view/1327
Caterina Sindoni, Воспитательные модели сицилийских дворян в XVIII-XIX вв.:
Колледжио Кутелли, in Идеал воспитания дворянства в Европе: XVII-XIX века (eds.
Vladislav Rjéoutski, Igor Fedyukin, Wladimir Berelowitch), Novoe Literaturnoe
Obozreniie, Moscow, , 296-319. Mario Cutelli contributo del dr. Santo
Catarame, tratto da Corrieredaristofane n° 5417 juovi nuviémmuru, 2005, su
ildelsud.org. Cenni sulla famiglia Cutelli e Testamento di Mario Cutelli
[collegamento interrotto], su apostoliuniversali.it.
dalmasso:
Gianfranco
Dalmasso (Milano), filosofo. Professore di Filosofia Teoretica a Bergamo e
presidente onorario della Società Italiana di Filosofia Teoretica. Laureatosi a Milano, ha svolto i suoi studi
di perfezionamento a Parigi, all'École Normale Supérieure e all'École des
hautes études en sciences sociales. Allievo di Derrida, ha introdotto il
pensiero di questo autore in Italia con le traduzioni di La voix et le
phénomène (Jaca Book 1968; ult. rist. ) e di De la grammatologie (Jaca Book
1969, ult. rist. ). Dai problemi del
soggetto del discorso e della genesi del significato nel dibattito sul
nichilismo i suoi interessi si sono rivolti alla questione della struttura
della razionalità in rapporto all'etica nel pensiero greco ed agostiniano e,
più recentemente, nel pensiero di Hegel.
Ha insegnato a Calabria e Roma "Tor Vergata". È membro del
Collegio docenti del Dottorato di ricerca in Filosofia della Scuola Normale
Superiore di Pisa e del Dottorato di ricerca in Studi Umanistici Interculturali
presso l'Università degli Studi di Bergamo. È autore di vari saggi e membro del
Comitato scientifico di Phasis. European Journal of Philosophy, Oltrecorrente,
di Magazzino di Filosofia e della Rivista Internazionale di teologia e cultura
Communio. Opere: Hegel, probabilmente.
Il movimento del vero, Milano: Jaca Book. Dalmasso su Università degli Studi di
Bergamo, su unibg.it. 13 agosto 4 marzo
). Gianfranco Dalmasso. Hegel e l'Aufhebung del segno, su mondodomani.org.
Recensione di Chi dice io. Razionalità e nichilismo, Jaca Book, Milan, su
prologos.it. Intervista a Gianfranco Dalmasso su Chi dice io. Razionalità e
nichilismo, su inschibboleth.org.
dandolo:
Tullio Dandolo (Varese), flosofo. Neoguelfo. Nacque da Vincenzo
Dandolo, scienziato e patriota, e Mariana Grossi. Il padre era esponente della
Municipalità provvisoria di Venezia, ma dopo il trattato di Campoformio, con il
quale si sancì la fine della Repubblica, dovette esulare in Francia. Venne in
seguito nominato da Napoleone senatore del Regno italico e conte. Dal 1806 al
1809 fu anche governatore civile della Dalmazia. Il piccolo Tullio passò quindi
un'infanzia assai agitata; fu cresciuto da una "cameriera disattenta"
e poi sballottato per vari collegi. A 19 anni si laureò all'Università degli
Studi di Pavia in Diritto civile e canonico (utroque iure). Dopo la morte
del padre nel 1819, passò alcuni anni (dal 1821 al '23) girando per l'Europa e
conducendo una vita mondana. In questo periodo venne a contatto con
illustri personalità culturali politiche dell'epoca. Venne sospettato dal
governo austriaco di aver partecipato alle congiure degli anni precedenti, e
per questo fatto rientrare in modo coatto in Italia (senza tuttavia essere
perseguitato). In Italia, dopo essersi dedicato ampiamente a studi letterari e
storici, sposò Giulietta, sorella di Gaetano Bargnani; uno dei futuri
cospiratori mazziniani. Dalla moglie ebbe due figli, Enrico ed Emilio. Nel 1835
rimase vedovo e affidò ad un amico di famiglia i figli, pur intervenendo
continuamente nella loro formazione. Nel 1844 si sposò in seconde nozze
con la contessa Ermellina Maselli, da cui ebbe altri due figli, Maria
(1848-1871) e Enrico II (1850-1904). I primi due, Enrico ed Emilio presero
parte alle Cinque giornate e ad altre operazioni belliche e lo stesso Tullio fu
nel '48 uno dei principali autori della rivoluzione e capo della rivolta
varesina di marzo (scoppiata in concomitanza con quella di Milano), ma nel '49
a Roma, durante la difesa della repubblica di Mazzini, Enrico morì ed Emilio
rimase gravemente ferito. Questo evento toccò molto Tullio che tuttavia, pur
dovendosi prendere cure molto onerose del superstite, avrebbe continuato comunque
i suoi studi letterari. Sui due figli (di cui il secondo morì poco più tardi),
raccolse un gran numero di documenti, memorie e storie per poi pubblicarle nel
libro Lo spirito della imitazione di Gesù Cristo esposto e raccomandato da un
padre ai suoi figli adolescenti (corrisp. di lettere famigliari). Ricordi
biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio Dandolo, Milano 1862.
Morì ad Urbino il 16 aprile 1870. Attività letteraria Dandolo venne
sempre ignorato dai letterati, all'epoca come oggi, tanto da non apparire nel
Dizionario del Risorgimento di Michele Rosi e neanche nella dura critica di
Benedetto Croce agli "sviati della scuola cattolico liberale" ossia i
neoguelfi di cui faceva parte. Un letterato che fece delle critiche alla sua
attività fu Niccolò Tommaseo, ma risultò essere piuttosto duro ed aspro, tanto
da scrivere: "Tullio ... fin da giovane scarabocchiò librettucci compilati
o piuttosto arruffati: né di quelli che scrisse dal venticinque al
cinquantacinque sapresti quale sia il più decrepito e il più puerile. Ma fece
due opere buone, un figliolo che morì valentemente in Roma assediata da Galli
vendicatori delle oche; e un altro che scrisse la storia, e direi quasi la vita
della Legione Lombarda capitanata da Luciano Manara, libro di senno virile e
d'affetto pio...". I suoi scritti trattano gli argomenti più vari:
dalla pedagogia all'autobiografia, da quelli di carattere storico a quelli
religiosi. Molti di essi sono schizzi letterari e filosofici o riguardano
descrizioni di viaggi, città e munomenti. Inoltre, scrisse molto intorno alla
storia antica, alla nascita del Cristianesimo, al Medioevo e al Rinascimento,
pubblicando anche molti discorsi e documenti inediti. Più che ad un contributo
critico, mirava a dare un'informazione non faziosa per una migliore conoscenza
del passato. Questi suoi scritti storici sono molto diversi fra di loro: in
alcuni predilige uno stile aulico, mentre in altri un tono popolare e facile;
trattando ora gli argomenti con approssimazione ed ora dando al racconto la
coinvolgenza di un romanzo. Opere Tra le molte opere si segnalano:
Lettere su Roma e Napoli, Milano 1826; Lettere su Firenze, ibid. 1827 e Torino
1830; Saggio di lettere sulla Svizzera. Il Cantone de' Grigioni, Milano 1829;
Prospetto della Svizzera, ossia ragionamenti da servire d'introduzione alle
lettere sulla Svizzera, ibid. 1832, voll. 2; La Svizzera considerata nelle sue
vaghezze pittoresche, nella storia, nelle leggi e ne' costumi. Lettere, ibid.
1829-1834, voll. 10; Lettere su Venezia, 2 edizioni, ibid. 1834; Studii sul
secolo di Pericle, ibid. 1836, voll. 2; Schizzi di costumi, ibid. 1836; Studii
sul secolo d'Augusto, ibid. 1837; Semplicità o rapidi cenni sulla letteratura e
sulle arti, in Album storico poetico morale, compilato per cura di V. de
Castro, Padova 1837, I, 1–15;
Reminiscenze e fantasie. Schizzi letterari, Peregrinazioni. Schizzi artistici e
filosofici, Torino 1841, voll. 3; Roma e l'Impero sino a Marco Aurelio. Studi,
Milano 1842-1843, voll. 6; Firenze sino alla caduta della Repubblica, ibid.
1843; Il Medio Evo elvetico (secc. XIV e XV). Racconti e leggende, ibid. 1844;
La Svizzera pittoresca, o corse per le Alpi e pel Jura a commentario del Medio
Evo elvetico, ibid. 1846; I secoli dei due sommi italiani Dante e Colombo,
ibid. 1852; Il Settentrione dell'Europa e dell'America nel secolo passato sin
1789, ibid. 1853, voll. 2; L'Italia nel secolo passato sin 1789, ibid. 1853; Il
Cristianesimo nascente, ibid. 1854; La Signora di Monza. Le streghe del Tirolo.
Processi famosi del secolo decimosettimo per la prima volta cavati dalle filze
originali, ibid. 1855 (rist. anast., Milano 1967); Il pensiero pagano ai giorni
dell'Impero. Studii, ibid. 1855, voll. 2; Il pensiero cristiano ai giorni
dell'Impero. Studii, ibid. 1855; Il pensiero pagano e cristiano ai giorni
dell'Impero. Studii, ibid. 1855, 3;
Monachesimo e leggende. Saggi storici, ibid. 1856, voll. 2; Roma e i papi.
Studi storici, filosofici, letterari ed artistici, ibid. 1857, voll. 5; Il secolo
di Leone Decimo. Studii, ibid. 1861, voll. 4; Lo spirito della imitazione di
Gesù Cristo esposto e raccomandato da un padre ai suoi figli adolescenti
(corrisp. di lettere famigliari). Ricordi biografici dell'adolescenza d'Enrico
e d'Emilio Dandolo, Milano 1862; La Francia nel secolo passato, ibid. 1862,
voll. 2; Corse estive nel Golfo della Spezia, ibid. 1863; Il secolo
decimosettimo, ibid. 1864, voll. 4; Ragionamenti preliminari ed indici
ragionati degli studi del conte Tullio Dandolo su Roma pagana e Roma cristiana
pubblicati ad annunzio e prospetto dell'opera, Assisi 1865 (estr. da Stella
dell'Umbria, s. d.); Ricordi di Tullio Dandolo, secondo periodo. 1521-23.
Lettera a D. Sensi. Indice della materia, Assisi 1867; Ricordi, primo e secondo
periodo. 1801-23, ibid. 1868, voll. 2; Ricordi inediti di G. Morone gran
cancelliere dell'ultimo duca di Milano..., 1520-30, a cura del D., Milano 1855
(2 ed., ibid. 1859); Alcuni brani delle storie patrie di Giuseppe Ripamonti per
la prima volta tradotti dall'originale latino dal conte T. Dandolo, ibid. 1856;
Il potere politico cristiano. Discorsi pronunciati dal Ventura di Raulica P. R.
P., a cura del Dandolo, Milano 1858; Vicende memorabili dal 1659 al 1501
narrate da Alessandro Verri precedute da una vita del medesimo di G. A. Maggi,
a cura del D., ibid. 1858; [A. F.] Roselly de Lorgues. Note Ricordi, primo e secondo periodo, 1801/1823 ,
2 voll., Assisi 1868 La Fama, 3 apr.
1848 Il Dizionario Rosi Archiviato il 23
agosto in ., di Roberto Guerri,
direttore delle Civiche raccolte storiche di Milano. Colloqui col Manzoni, T. Lodi, Firenze 1929
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Tullio Dandolo Collabora a Wikiquote Citazionio su Tullio Dandolo Collabora a
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Dandolo Tullio Dandolo, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Tullio Dandolo, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
(IT, DE, FR) Tullio Dandolo, su hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della
Svizzera. Tullio Dandolo, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Tullio Dandolo, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Tullio Dandolo / Tullio Dandolo (altra
versione).
Daniele:
Francesco
Daniele (San Clemente), filosofo. Figlio di Domenico Daniele e Vittoria De
Angelis. Studiò filosofia, oratoria, giurisprudenza a Napoli, dove frequentò
gli intellettuali della città. Entrò in amicizia con vari studiosi tra cui
Antonio Genovesi, Giuseppe Cirillo, Matteo Egizio. Nel 1762 curò un'edizione
delle opere di Antonio Telesio (1482-1534), zio di Bernardino, lavoro che gli
procurò l'interesse di intellettuali di giornali letterari dell'epoca. L'anno
successivo curò la pubblicazione di alcuni lavori di Marco Mondo, che era stato
il suo primo maestro. Per un breve
periodo esercitò la professione d'avvocato, ma dovette presto rientrare a San
Clemente per curare le proprietà della famiglia. A San Clemente si dedicò agli
studi della classicità acquisendo documentazioni e creando una collezione di
oggetti antichi legati al territorio di San Clemente. Nel 1773 pubblicò, sotto
il nome di Crescenzo Espersi, una critica ad alcuni studi sulle storia di
Caserta: Crescenzo Espersi Sacerdote Casertano al Signor Gennaro Ignazio
Simeoni, un ufficiale di artiglieria napoletano. Il marchese Domenico Caracciolo lo fece
richiamare a Napoli dove entrò nella segreteria di Stato. Riordinò la raccolta
delle leggi e dei diplomi dell'imperatore Federico II. In seguito a questo
lavoro fu nominato "regio istoriografo", carica che era stata di Vico
e di Assemani. Alla carica era associato un sussidio economico. Nel periodo
pubblicò Le Forche Caudine illustrate (Napoli 1778), lavoro che gli permise di
entrare all'Accademia della Crusca. Dal
1779 ricoprì nella Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere, creata nel 1778
da Ferdinando IV, la carica di censore per le memorie delle classi terza e
quarta. Nel 1780 ricevette l'incarico di sistemare la biblioteca della
Collezione Farnese, in seguito confluita nella Biblioteca Nazionale di Napoli.
Nel 1787 divenne uno dei 15 soci dell'Accademia Ercolanese, dove doveva di
curare la pubblicazione degli studi su Ercolano e Pompei, ma i fatti del 1799
interruppero la sua attività. Suo malgrado anzi fu coinvolto, a causa della sua
vicinanza con gli intellettuali vicini alla repubblica, nei fatti che
successero dopo la caduta della Repubblica partenopea. Perse tutti gli
incarichi e di conseguenza tornò agli amati studi. Nel 1802 pubblicò un saggio
di numismatica, Monete antiche di Capua, con la descrizione delle monete
capuane di cui sei inedite. Nel 1806,
sotto Giuseppe Bonaparte, riottenne le sue cariche e l'anno dopo divenne
segretario perpetuo della nuova Accademia di storia e di antichità e fu
nominato direttore della Stamperia Reale. Fu anche socio dell'accademia
Cosentina, della Plautina di Napoli, e dell'Accademia Etrusca di Cortona. Fu
membro straniero della Royal Society e, dal 19 maggio 1788, membro onorario
dell'Accademia delle Scienze di San Pietroburgo. Opere Antonii Thylesii Consentini Opera,
Neapoli,1762 Crescenzo Esperti Sacerdote Casertano al Signor Gennaro Ignazio
Simeoni, Napoli, 1773 Le Forche Caudine illustrate, Caserta, 1778 I Regali
Sepolcri del duomo di Palermo riconosciuti et illustrati, Napoli, 1802 Monete
antiche di Capua, Napoli, 1802 Cronologia della famiglia Caracciolo di
Francesco de Pietri, Napoli, 1805 (curatela) Note San Clemente è una frazione di Caserta DBI.
Il libro su Google Books Si
tratta di due lettere pubblicate con il falso nome di Crescenzo Esperti. Francesco Daniele, in Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Даниэле, Франческо, in Dizionario
Enciclopedico Brockhaus ed Efron: in 86 volumi (82 volumi e 4 supplementi), San
Pietroburgo, 1890–1907. G. Tescione, Francesco Daniele epigrafista e l’epigrafe
probabilmente sua per la Reggia di Caserta, «Archivio Storico di Terra di
Lavoro», a. VII (1980-81), 25-88. G.
Guadagno, La collezione epigrafica del Daniele a Caserta, «Epigraphica», n. 46
(1984), 185-194. V. Trombetta, Una
pagina di storia dell’Anfiteatro Campano, «Capys», XIX (1986),
81-96. A. Tirelli, Francesco Daniele: un itinerario emblematico, in
classica a Napoli nell’Ottocento, premessa di M. Gigante, II, Napoli 1987, 3-51. G. DanieleP. Di Lorenzo, La famiglia
Daniele e i suoi due palazzi in San Clemente di Caserta: note genealogiche ed
araldiche, descrizione degli edifici superstiti e ipotesi e proposte per la
loro corretta attribuzione, «Rivista di Terra di Lavoro», a. II, n. 3, ottobre
2007. A. Tirelli, Francesco Daniele e lo studio del mondo antico, in L’idea
dell’antico nel Decennio francese, in Atti del III seminario di studi “Decennio
francese (1806-, Napoli, Santa Maria Capua Vetere, 10-11-12 ottobre cura di R.
Cioffi e A. Grimaldi, Napoli , 61-76. L.
Russo, Ruolo di Francesco Daniele nel decennio francese attraverso alcune
lettere a personaggi capuani, «Rivista di Terra di Lavoro», a. IX, n. 1, aprile
. L. Russo, Lettere di Francesco Daniele al principe di Torremuzza, «Rivista di
Terra di Lavoro», a. X, n. 1, aprile . L. Russo, Lettera di Francesco Daniele a
Giovanni Paolo Schultesius (1809), «Rivista Terra di Lavoro», a. XII, n. 1,
aprile . L. Russo, Lettere di Francesco Daniele al dottor Giovanni Bianchi di
Rimini, «Rivista Terra di Lavoro», a. XIII, n. 1, aprile . Francesco Daniele un
erudito versatile ed illuminato Altri progetti Collabora a Wikisource
Wikisource contiene una pagina dedicata a Francesco Daniele Opere di Francesco Daniele, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Francesco Daniele, Filosofi italiani del XVIII
secoloFilosofi italiani del XIX secoloScrittori italiani del XVIII
secoloScrittori italiani del XIX secoloLetterati italiani 1740 1812Nati l'11
aprile 14 novembre Caserta CasertaAccademici della CruscaMembri della Royal
SocietyMembri dell'Accademia EtruscaAccademia cosentina
Dati:
Prima
pagina delle Elegantiae minores stampate a Basilea nel 1488 da Johann Amerbach.
Agostino Dati, noto anche come Augustinus Datus o Dathus (Siena), filosofo. Noto
per il suo manuale di grammatica Elegantiolae. Erasmo lodò Dati come uno dei
maestri italiani di eloquenza. Nato da una agiata famiglia senese, passò la
maggior parte della sua vita a Siena. Studiò con Filelfo. Dopo aver insegnato
per qualche tempo a Urbino, tornò in patria e insegnò retorica. Fu nominato
segretario di Siena. Morì di peste. Molte sue opere sono state pubblicate dal
figlio Niccolò. Lee Elegantiolae
L'Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et orationibus fu stampato per
la prima volta a Ferrara da Andrea Belfortis. Il testo, le Elegantiolae,
ristampato oltre 100 volte con cari titoli, era considerato "il manuale
par excellence". Servì da base per i Rudimenta grammatices di Perotti Il battesimo è del 18 febbraio 1420DBI Egmont Lee.
Van Der Laan. Paolo Viti,
Agostino Dati, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Agostino Dati, “Plumbinensis Historia”, cura di Marina Riccucci,
Firenze, SismelEdizioni del Galluzzo,
(Società internazionale per lo studio del Medioevo latino) Egmont Lee,
Agostino Dati of Siena, in Peter Gerard Bietenholz; Thomas Brian Deutscher ,
Contemporaries of Erasmus: A Biographical Register of the Renaissance and
Reformation, Toronto Press, A. H. Van Der Laan, Antonius Liber
SusatensisFamiliarum Epistolarum Compendium, in Humanistica Lovaniensia, 44, Leuven University Press,Agostino Dati
(altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Agostino Dati.
Ex- peritum
– In-peritum -- Empiricism“with a capital E, of course.”Grice. Czolbe, H.,
philosopher. He was born in Danzig and trained in theology and medicine. His
main works are Neue Darstellung des Sensualismus “New Exposition of
Sensualism,” 1855, Entstehung des Selbstbewusstseins “Origin of
Self-Consciousness,” 1856, Die Grenzen und der Ursprung der menschlichen
Erkenntnis “The Limits and Origin of Human Knowledge,” 1865, and a posthumously
published study, Grundzüge der extensionalen Erkenntnistheorie 1875. Czolbe
proposed a sensualistic theory of knowledge: knowledge is a copy of the actual,
and spatial extension is ascribed even to ideas. Space is the support of all
attributes. His later work defended a non-reductive materialism. Czolbe made
the rejection of the supersensuous a central principle and defended a radical
“senCzolbe, Heinrich Czolbe, Heinrich 201
201 sationalism.” Despite this, he did not present a dogmatic
materialism, but cast his philosophy in hypothetical form. In his study of the
origin of self-consciousness Czolbe held that dissatisfaction with the actual
world generates supersensuous ideas and branded this attitude as “immoral.” He
excluded supernatural phenomena on the basis not of physiological or scientific
studies but of a “moral feeling of duty towards the natural world-order and
contentment with it.” The same valuation led him to postulate the eternality of
terrestrial life. Nietzsche was familiar with Czolbe’s works and incorporated
some of his themes into his philosophy.
Englishry, and italianita.
Romanita ed italianita. “Inglese italianato, diavolo incarnate.” Grice was
first an Englishman, and then an Oxonianand then a philosopherand then a
genius! EnglishnessEnglishry, -- St. George for England. A critique of racism,
hostility, contempt, condescension, or prejudice, on the basis of social
practices of racial classification, and the wider phenomena of social,
economic, and political mistreatment that often accompany such classification.
The most salient instances of racism include the Nazi ideology of the “Aryan
master race,” chattel slavery, South
African apartheid in the late twentieth century, and the “Jim Crow” laws and
traditions of segregation that subjugated African descendants in the Southern
United States during the century after the
Civil War. Social theorists dispute whether, in its essence, racism is a
belief or an ideology of racial inferiority, a system of social oppression on
the basis of race, a form of discourse, discriminatory conduct, or an attitude
of contempt or heartlessness and its expression in individual or collective
behavior. The case for any of these as the essence of racism has its drawbacks,
and a proponent must show how the others can also come to be racist in virtue
of that essence. Some deny that racism has any nature or essence, insisting it
is nothing more than changing historical realities. However, these thinkers
must explain what makes each reality an instance of racism. Theorists differ
over who and what can be racist and under what circumstances, some restricting
racism to the powerful, others finding it also in some reactions by the
oppressed. Here, the former owe an explanation of why power is necessary for
racism, what sort economic or political? general or contextual?, and in whom or
what racist individuals? their racial groups?. Although virtually everyone
thinks racism objectionable, people disagree over whether its central defect is
cognitive irrationality, prejudice, economic/prudential inefficiency, or moral
unnecessary suffering, unequal treatment. Finally, racism’s connection with the
ambiguous and controversial concept of race itself is complex. Plainly, racism
presupposes the legitimacy of racial classifications, and perhaps the
metaphysical reality of races. Nevertheless, some hold that racism is also
prior to race, with racial classifications invented chiefly to explain and help
justify the oppression of some peoples by others. The term originated to
designate the pseudoscientific theories of racial essence and inferiority that
arose in Europe in the nineteenth century and were endorsed by G.y’s Third
Reich. Since the civil rights movement in the United States after World War II,
the term has come to cover a much broader range of beliefs, attitudes,
institutions, and practices. Today one hears charges of unconscious, covert,
institutional, paternalistic, benign, anti-racist, liberal, and even reverse
racism. Racism is widely regarded as involving ignorance, irrationality,
unreasonableness, injustice, and other intellectual and moral vices, to such an
extent that today virtually no one is willing to accept the classification of
oneself, one’s beliefs, and so on, as racist, except in contexts of
self-reproach. As a result, classifying anything as racist, beyond the most
egregious cases, is a serious charge and is often hotly disputed.
Dis –
cum- structum -- rational Griceian deconstruction of communication -- a demonstration
of the incompleteness or incoherence of a philosophical position using concepts
and principles of argument whose meaning and use is legitimated only by that
philosophical position. A deconstruction is thus a kind of internal conceptual
critique in which the critic implicitly and provisionally adheres to the
position criticized. The early work of Derrida is the source of the term and
provides paradigm cases of its referent. That deconstruction remains within the
position being discussed follows from a fundamental deconstructive argument
about the nature of language and thought. Derrida’s earliest deconstructions
argue against the possibility of an interior “language” of thought and
intention such that the senses and referents of terms are determined by their
very nature. Such terms are “meanings” or logoi. Derrida calls accounts that
presuppose such magical thought-terms “logocentric.” He claims, following
Heidegger, that the conception of such logoi is basic to the concepts of
Western metaphysics, and that Western metaphysics is fundamental to our
cultural practices and languages. Thus there is no “ordinary language”
uncontaminated by philosophy. Logoi ground all our accounts of intention,
meaning, truth, and logical connection. Versions of logoi in the history of philosophy
range from Plato’s Forms through the self-interpreting ideas of the empiricists
to Husserl’s intentional entities. Thus Derrida’s fullest deconstructions are
of texts that give explicit accounts of logoi, especially his discussion of
Husserl in Speech and Phenomena. There, Derrida argues that meanings that are
fully present to consciousness are in decision tree deconstruction 209 209 principle impossible. The idea of a
meaning is the idea of a repeatable ideality. But “repeatability” is not a feature
that can be present. So meanings, as such, cannot be fully before the mind.
Selfinterpreting logoi are an incoherent supposition. Without logoi, thought
and intention are merely wordlike and have no intrinsic connection to a sense
or a referent. Thus “meaning” rests on connections of all kinds among pieces of
language and among our linguistic interactions with the world. Without logoi,
no special class of connections is specifically “logical.” Roughly speaking,
Derrida agrees with Quine both on the nature of meaning and on the related view
that “our theory” cannot be abandoned all at once. Thus a philosopher must by
and large think about a logocentric philosophical theory that has shaped our
language in the very logocentric terms that that theory has shaped. Thus
deconstruction is not an excision of criticized doctrines, but a much more
complicated, self-referential relationship. Deconstructive arguments work out
the consequences of there being nothing helpfully better than words, i.e., of
thoroughgoing nominalism. According to Derrida, without logoi fundamental
philosophical contrasts lose their principled foundations, since such contrasts
implicitly posit one term as a logos relative to which the other side is
defective. Without logos, many contrasts cannot be made to function as
principles of the sort of theory philosophy has sought. Thus the contrasts
between metaphorical and literal, rhetoric and logic, and other central notions
of philosophy are shown not to have the foundation that their use presupposes.
De-
ductum -- deductumalso
demonstratum, argumentum -- deduction, a finite sequence of sentences whose
last sentence is a conclusion of the sequence the one said to be deduced and
which is such that each sentence in the sequence is an axiom or a premise or
follows from preceding sentences in the sequence by a rule of inference. A
synonym is ‘derivation’. Deduction is a system-relative concept. It makes sense
to say something is a deduction only relative to a particular system of axioms
and rules of inference. The very same sequence of sentences might be a
deduction relative to one such system but not relative to another. The concept
of deduction is a generalization of the concept of proof. A proof is a finite
sequence of sentences each of which is an axiom or follows from preceding
sentences in the sequence by a rule of inference. The last sentence in the
sequence is a theorem. Given that the system of axioms and rules of inference
are effectively specifiable, there is an effective procedure for determining,
whenever a finite sequence of sentences is given, whether it is a proof
relative to that system. The notion of theorem is not in general effective
decidable. For there may be no method by which we can always find a proof of a
given sentence or determine that none exists. The concepts of deduction and
consequence are distinct. The first is a syntactical; the second is semantical.
It was a discovery that, relative to the axioms and rules of inference of
classical logic, a sentence S is deducible from a set of sentences K provided
that S is a consequence of K. Compactness is an important consequence of this
discovery. It is trivial that sentence S is deducible from K just in case S is
deducible from Dedekind cut deductíon 211
211 some finite subset of K. It is not trivial that S is a consequence
of K just in case S is a consequence of some finite subset of K. This
compactness property had to be shown. A system of natural deduction is
axiomless. Proofs of theorems within a system are generally easier with natural
deduction. Proofs of theorems about a system, such as the results mentioned in
the previous paragraph, are generally easier if the system has axioms. In a
secondary sense, ‘deduction’ refers to an inference in which a speaker claims
the conclusion follows necessarily from the premises. -- deduction theorem, a
result about certain systems of formal logic relating derivability and the
conditional. It states that if a formula B is derivable from A and possibly
other assumptions, then the formula APB is derivable without the assumption of
A: in symbols, if G 4 {A} Y B then GYAPB. The thought is that, for example, if
Socrates is mortal is derivable from the assumptions All men are mortal and
Socrates is a man, then If Socrates is a man he is mortal is derivable from All
men are mortal. Likewise, If all men are mortal then Socrates is mortal is
derivable from Socrates is a man. In general, the deduction theorem is a
significant result only for axiomatic or Hilbert-style formulations of logic.
In most natural deduction formulations a rule of conditional proof explicitly
licenses derivations of APB from G4{A}, and so there is nothing to prove.
Delfico -- Melchiorre
Delfico «Il cavaliere Melchiorre Delfico
[è] giustamente ritenuto il Nestore della letteratura napoletana … Questo
illustre autore di molte opere di storia e di una varietà di soggetti
interessanti, unisce ad una vasta istruzione una accuratissima e profondissima
conoscenza di ogni aspetto che interessa la sua terra; e possiede, ad un'età così
avanzata, l'ancor più raro merito di saper comunicare le preziose esperienze
acquisite con una amenità di maniere, una facilità e semplicità di espressione
che le rendono più apprezzate a quelli che le ricevono» (Keppel Richard
Craven, Excursions in the Abruzzi and Northern Provinces of Naples, 2 volumi,
Londra, 1837.) Ritratto. Melchiorre Delfico (Montorio al Vomano), filosofo.
Nacque nel castello feudale di Leognano, in provincia di Teramo, da Berardo
Delfico e da Margherita Civico. Le origini della sua famiglia risalivano almeno
al secolo XVI quando Pir (o Pyr) Giovanni di Ser Marco, generalmente
riconosciuto come il capostipite della famiglia, cambiò il proprio cognome in
Delfico e adottò il motto eat in posteros Delphica Laurus; secondo alcuni, e tra
questi Luigi Savorini, il cognome originario era “de Civitella”. All'interno
della sua famiglia va individuato come Melchiorre III, per distinguerlo da
Melchiorre I (m. 1689) e Melchiorre II (1694-1738), che fu vescovo di Muro
Lucano, in Basilicata. Gli anni della formazione Il giurista e
filosofo Gaetano Filangeri Rimasto ben presto orfano di madre, fu dapprima
affidato ad ecclesiastici ed in seguito inviato a Napoli, assieme ai fratelli
Gianfilippo e Giamberardino, per il completamento degli studi. Nella capitale
del regno ebbe maestri insigni quali Antonio Genovesi per le materie
filosofiche per l'economia, Gennaro Rossi per le materie letterarie, Pietro
Ferrigno per il diritto e Alessio Simmaco Mazzocchi per l'archeologia.
Nella città partenopea si laureò in utroque iure sotto la direzione di
Gaetano Filangieri e redasse subito diverse memorie per il governo. Aveva già
indossato l'abito ecclesiastico, ma se ne spogliò subito per motivi di
salute. Nella prima parte della vita si dedicò in particolare allo studio
della giurisprudenza e dell'economia politica, scrivendo numerosi trattati che
esercitarono un grande influsso nel miglioramento e l'abolizione di molti
abusi. Il rientro a Teramo Con il ritorno in patria di Melchiorre Delfico
e dei suoi fratelli Gianfilippo e Gianberardino ha inizio un periodo
fondamentale per la storia della città e dell'intero regno di Napoli. Intorno a
loro si riunisce un importante gruppo di intellettuali che crea le premesse per
un profondo rinnovamento sociale, politico ed economico del territorio in cui
agiscono. Tra questi troviamo scienziati, letterati, agronomi, imprenditori:
Michelangelo Cicconi, Vincenzo Comi, Fulgenzio Lattanzi, Gianfrancesco Nardi
sr, Berardo Quartapelle, Alessio Tulli, Antonio Nolli come pure Orazio Delfico,
il figlio di Giamberardino, che fu allievo di Volta e Spallanzani, e l'altro
nipote, Eugenio Michitelli, che fu architetto noto in tutto l'Abruzzo.
Parallelamente agli inizi degli anni '80 del 1700 si appassionò al
collezionismo, in particolare di libri antichi e monete di epoca romana e
preromana. L'impegno politico Giuseppe Bonaparte, re di Napoli dal
1806 al 1808 Nel 1799 fu nominato presidente del Consiglio Supremo di Pescara e
poco dopo membro del governo provvisorio della Repubblica Partenopea.
Caduta la Repubblica Partenopea andò in esilio per sette anni nella Repubblica
di San Marino che nel 1802 gli riconobbe la cittadinanza. Melchiorre Delfico
scrisse il libro Memorie storiche della Repubblica di San Marino, prima storia
organica dell'antica repubblica. Nel 1935 la Repubblica del Titano ha emesso
una serie di 12 francobolli e nel 2006 ha coniato una moneta d'argento dal
valore nominale di 5 euro per commemorare il filosofo abruzzese e ricordarne la
permanenza sul proprio territorio. Sotto Giuseppe Bonaparte, nominato re
di Napoli, Delfico entrò a far parte del Consiglio di Stato, nel 1806,
ricoprendo varie cariche ministeriali. Restaurato il governo borbonico
nel 1815 Delfico fu nominato presidente della commissione degli archivi e
successivamente Presidente della Reale Accademia delle Scienze. Nel 1820
venne eletto deputato al Parlamento napoletano e fu chiamato alla presidenza
della Giunta provvisoria di governo. Ebbe in questo periodo l'incarico di
tradurre il testo della Costituzione spagnola del 1812. Dal 1823 si stabilì
definitivamente a Teramo, dove morì nel 1835. La famiglia di Melchiorre Delfico
si estingue con Marina, sua pronipote, sposata al conte Gregorio De Filippis di
Longano, napoletano, imparentato con i Filangeri di Candida dando origine
all'attuale famiglia dei conti De Filippis marchesi Delfico (vedi la voce De
Filippis Delfico). Pensiero John Locke, filosofo e fisico
britannico Il pensiero dello studioso teramano si forgiò nel fermento culturale
del Secolo dei Lumi e del diritto naturale, le cui idee giusnaturalistiche
furono compiutamente esposte da un lato nell'opera di John Locke, dall'altro in
quella di Jean-Jacques Rousseau, nelle quali i principi del diritto naturale
erano rappresentati dalle idee di libertà e di eguaglianza di tutti gli uomini.
I fermenti culturali del periodo assunsero una valenza rivoluzionaria e
contribuirono all'abbattimento di una struttura sociale logora ed invecchiata,
che si reggeva ancora ai capricci bizantini dell'autorità invadente.
Proprio tali tesi giusnaturalistiche furono gli strumenti a cui si richiamò
l'opera del Delfico, permeata dall'anticurialismo, dalla compressione della
feudalità, dall'antifiscalismo e soprattutto dall'abbattimento del monopolio
forense, ritenuto il baluardo principale del regime. Ciò che caratterizza la
visione politica del Dèlfico è una nuova concezione dello Stato, non più
ispirato al predominio politico e svincolato dalle regole della morale
corrente. Come politico e come giurista, il Dèlfico fu eminentemente
pratico, così da poter essere ricordato come uno dei più illuminati riformatori
del suo tempo. Intitolazioni Al nome di Melchiorre Delfico sono
intitolati a Teramo il Convitto nazionale, il Liceo Classico e la Biblioteca
provinciale che dal 3 aprile del 2004 ha la propria sede nel settecentesco
palazzo Delfico. Numerosi i comuni che hanno intitolato strade
all'illuminista abruzzese; oltre a Teramo, sua patria, e alla frazione di San
Nicolò (nello stesso comune teramano), si segnalano Sant'Egidio alla Vibrata,
Penna Sant'Andrea e Roseto degli Abruzzi in provincia di Teramo; Montesilvano,
Pescara e Milano. Massoneria Squadra e compasso, simboli della
Massoneria È noto che esistono Logge massoniche intestate a Melchiorre Delfico,
ma ci si chiedeva se lui stesso fosse stato massone. Questo interrogativo
è stato posto da parecchi storici ma non esisteva una risposta documentale.
Esistono invece molte prove indiziarie relative alla sua appartenenza alla
Massoneria, per le quali rimandiamo all'appendice del volume di Franco Eugeni,
Carlo Forti (1766-1845), allievo di N. Fergola, ingegnere sul campo, citato in
. I principali indizi si possono così riassumere: I maestri ed amici
napoletani del Delfico come Antonio Genovesi, Mario Pagano, Gaetano Filangeri,
furono tutti noti massoni; In un diario del curato Crocetti di Mosciano
appaiono notizie di una Loggia massonica esistente a Teramo dal 1775; Il
Delfico, assieme all'abate Berardo Quartapelle, subisce, alla fine del
settecento, due processi per miscredenza; Delfico promuove un movimento
culturale detto '’La Rinascenza'’ di chiaro stampo illuminista; Nella
rinascenza militano tutti i cervelli illuministi del tempo: i Tulli, i
Quartapelle, Vincenzo Comi, Francesco Pradowski ed altri; La poesia di Pradowski
sembra proprio la descrizione di una Loggia; Manda il nipote Orazio Delfico,
futuro Gran Maestro della Carboneria teramana, a studiare a Pavia da Lazzaro
Spallanzani, Alessandro Volta e Lorenzo Mascheroni, tre noti massoni del
tempo. Nel 2006, lo storico Nico Perrone, pubblicando un libro basato
sulla corrispondenza del massone danese Friederich Münter con noti massoni
napoletani lo dà come sicuramente massone, anche se "il suo nome non
s'incontra nelle logge razionaliste". Opere principali Saggio filosofico
sul matrimonio, s.n.tip. ma Teramo, Consorti e Felcini, (1774), (non firmato),
ora in Opere complete, III, 83–146;
Memoria sul Tribunal della Grascia e sulle leggi economiche nelle provincie
confinanti del regno, Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli, (1785), ora in
Opere complete, III, 265–326;
Riflessioni su la vendita de' Feudi, Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli,
(1790), ora in Opere complete, III,
401–434; Ricerche sul vero carattere della giurisprudenza Romana e de'
suoi cultori, Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli, (1791), e successive
edizioni, Firenze, 1796, Napoli, 1815, ora in Opere complete, III, 91–238; Pensieri sulla Istoria e su
l'incertezza ed inutilità della medesima, Forlì, dai torchi dipartimentali
Roveri, (1806), e successive edizioni 1808, 1809, 1814, ora in Opere complete,
II, 7–180; Nuove ricerche sul bello,
Napoli, presso Agnello Nobile, 1818, ora in Opere complete, II, 183–296; Della antica numismatica della città
di Atri nel Piceno con un discorso preliminare su le origini italiche, Teramo,
Angeletti, 1824; nuova edizione 1826 e ristampa anastatica Teramo, Edigrafital,
1996; Opere complete, nuova edizione curata da Giacinto Pannella e Luigi
Savorini, 4 voll., Teramo, Giovanni Fabbri editore, 1901-1904; leggi il
sommario dei quattro volumi; Carlo Forti (1766-1845), allievo di N. Fergola,
ingegnere sul campo Franco Eugeni. Opere inedite, archivio e carteggi Le carte
del filosofo e quanto resta dell'archivio di famiglia sono frazionate in
numerose collezioni pubbliche e private. Le raccolte più cospicue sono
conservate a Teramo presso il locale Archivio di Stato e presso la Biblioteca
provinciale Melchiorre Dèlfico di Teramo. Numerose carte sono conservate anche
presso la Biblioteca e l'Archivio governativi della Repubblica di San
Marino. Note Melchiorre Delfico, in Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il Palazzo Dèlfico, Edigrafital111. Nico Perrone, La Loggia della Philantropia.
Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione. Con la corrispondenza
massonica e altri documenti, Palermo, Sellerio, 2006202-209. Sommario delle Opere complete di Melchiorre
Delfico, su defilippis-delfico.it. 23 maggio .
Giacinto Cantalamessa Carboni, Sulla vita e sugli scritti del commendatore
Malchiorre de' Marchesi Delfico, in Giornale arcadico di scienze, lettere ed
arti, 65, 1835, 156-187. Raffaele Liberatore, Melchiorre
Delfico. Necrologia, in Annali civili del Regno delle Due Sicilie, 7, 1835,
121-135. Ristampato come Delfico (Melchiorre), in: De Tipaldo (ed.),
Biografia degli Italiani illustri, Venezia, 1835, vol .2. Ferdinando Mozzetti,
Degli studii, delle opere e delle virtù di Melchiorre Delfico, Teramo,
Angeletti, 1835. Gregorio De Filippis-Delfico, Della vita e delle opere di
Melchiorre Delfico. Libri due, Teramo, Angeletti, 1836. Raffaele Aurini,
Delfico Melchiorre, in: Dizionario bibliografico della gente d'Abruzzo, III, Teramo, Ars et Labor, 1958; ora in Nuova
edizione, Colledara (Teramo), Andromeda editrice, 2002, 2. Vincenzo Clemente, Rinascenza teramana e
riformismo napoletano, 1777-1798, l'attività di Melchiorre Delfico presso il
Consiglio delle finanze, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1981. Vincenzo
Clemente, Delfico, Melchiorre, in: Dizionario biografico degli Italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia italiana, 1988,
36, 527–540. Donatella Striglioni
ne' Tori, L'inventario del Fondo Delfico. Archivio di Stato di Teramo, Teramo,
Centro abruzzese di ricerche storiche, 1994. Gabriele Carletti, Melchiorre
Delfico. Riforme politiche e riflessione teorica di un moderato meridionale,
Pisa, Edizioni ETS, 1996. Nico Perrone, La Loggia della Philantropia. Un
religioso danese a Napoli prima della rivoluzione, Palermo, Sellerio, 2006 88-389-2141-5
Biblioteca provinciale Melchiorre Dèlfico Delfico Orazio Delfico De
Filippis Delfico Gregorio De Filippis Delfico Melchiorre De Filippis Delfico
Troiano De Filippis Delfico Carlo Forti Friederich Münter Francesco Saverio
Petroni Giuseppe de Thomasis Antonio Nolli Altri progetti Collabora a
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su Melchiorre Delfico Notizie e ritratti
sono reperibili anche sul sito internet della famiglia, curato da Massimo De
Filippis Delfico, all'indirizzo defilippis-delfico.it. Sul sito è consultabile
anche l'Indice dei quattro volumi delle Opere Complete di Melchiorre Delfico.
Melchiorre Delfico, in Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. V D M
Illuministi italiani Filosofi italiani del XVIII secoloFilosofi italiani del
XIX secoloEconomisti italianiNumismatici italiani del XVIII secoloNumismatici
italiani Professore1744 1835 1º agosto 22 giugno Montorio al Vomano
TeramoSammarinesiMinistri del Regno delle Due SicilieNumismatici
italianiIlluministiMassoniPersonalità della Repubblica Napoletana (1799)
Delfino: Federico Delfino, o Dolfin, (in
latino: Federicus Dolphinus o Delphinus) (Padova), filosofo. Erudito dalle
multiformi attività, Delfino fu attivo a Padova nel filone dell'aristotelismo
padovano rinascimentale: sicuramente studioso di logica e matematica, ebbe
chiara fama di matematico e di astronomo. Fu titolare della cattedra di
matematica presso la prestigiosa Padova. Fu professore di discepoli
illustrissimi, fra i quali è opportuno nominare Bernardino Telesio, Luca
Girolamo Contarini, Giovan Battista Amico, Felice Accoramboni, Daniele Barbaro
e Alessandro Piccolomini. Opere: De fluxu
et refluxu aquae maris, Federicus
Delphinus, Padova, In Accademia Veneta Paulus Manutius, De holometri fabrica et
usu in instrumento geometrico, olim ab Abele Fullonio invento: Acc. Frederici
Delphini Disputatio de aestu maris & motu octava sphaera, Johann Niklaus
Stupanus, Abel Foullon, Padova, In Accademia VenetaPaulus Manutius. DELFINO (Dolfin), Federico, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Federico
Delfino, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Opere di Federico Delfino, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Federico Delfino.
Delia
Deliminio
Delogu: Antonio
Delogu (Nuoro), filosofo. Ha conseguito
la laurea in Giurisprudenza presso l'Sassari e, come vincitore di una borsa di studio
regionale di perfezionamento in Dottrina dello Stato, ha collaborato
all’attività didattica e di ricerca con Antonio Pigliaru. È stato
redattore del periodico del seminario di Dottrina dello Stato Il Trasimaco,
fondato e diretto, negli anni 1966-69, da Antonio Pigliaru. Come
vincitore di concorso ha insegnato Filosofia e Storia nei licei dal 1972 al
1982. Nel 1982 ha preso servizio presso la Facoltà di Magistero
dell’Sassari in qualità di ricercatore. Nel 1987, come vincitore di concorso
ordinario, è prof. associato e dal 2000 prof. ordinario di Filosofia morale
presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di
Sassari. Ha cofondato i Quaderni sardi di filosofia e scienze umane. Ha fondato
e diretto i Quaderni sardi di filosofia letteratura e scienze umane. Fa
parte del comitato scientifico della rivista Segni e comprensione
dell’Lecce. È stato direttore del Centro studi fenomenologici
dell’Sassari, ha fondato e diretto per diversi anni la sezione sassarese della
Società Filosofica Italiana. È stato direttore dal 2001 sino al 2009
della Scuola di specializzazione per la formazione degli insegnanti
dell’Sassari. Nel 1999 gli è stato conferito il Premio Sardegna-Cultura e nel
2006 il Premio Giuseppe Capograssi, dalla giuria presieduta da Giovanni Conso,
presidente dell’Accademia dei Lincei. Ha organizzato numerosi convegni,
tenutisi in Sardegna, generalmente presso l’Sassari. Tra questi: Realtà impegno
progetto in Antonio Pigliaru (1978), Libertà e liberazione nel pensiero contemporaneo
(1980); Etica e politica in Giuseppe Capograssi; G. B. Tuveri filosofo e
politico (1984), Giov. Maria Dettori filosofo e teologo (1987), Esperienza
religiosa e cultura contemporanea (1992), Le nuove frontiere della medicina tra
etica e scienza (1996), Il pensiero filosofico di A. Vasa (1990); Nella
scrittura di Salvatore Satta, in collaborazione con A. M. Morace (2003);
Filosofia e letteratura in Karol Wojtyla in collaborazione con A. M. Morace
(2005); Attualità del pensiero di Augusto Del Noce (); Scrittura e memoria
della Grande Guerra () in collaborazione con A. M. Morace. Ha partecipato
in qualità di relatore ai convegni sul pensiero di Merleau-Ponty (Lecce), E.
Mounier (centro E. Mounier Reggio Emilia), J. P. Sartre (Bari, Università Roma TRE,
La Sorbona di Parigi), Antonio Gramsci (Cagliari), Intellettuali e società in
Sardegna nell’Ottocento (Cagliari), Capograssi (Università La Sapienza, Roma),
Augusto Del Noce (Università La Sapienza, Roma); G.B.Tuveri (Cagliari),
Salvatore Satta, (Trieste); su Corpo e psiche: l’invecchiamento (Chiavari), su
I vissuti: tempo e spazio (Chiavari); è stato relatore al Corso di formazione
su Fenomenologia e psicopatologia promosso dal Dipartimento di salute mentale
di Massa Carrara. Ha tenuto lezioni seminariali sul pensiero
fenomenologico di K. Wojtyla nell’Università Cattolica di Lublino; sul pensiero
di Giuseppe Capograssi nell’Università Complutense di Madrid, sul Diritto
penale internazionale nell’Ginevra, sul pensiero filosofico politico nella
Sardegna dell’Ottocento nell’Zurigo. È stato responsabile del gruppo di
ricerca dell’Ateneo sassarese su L’etica nella filosofia italiana e francese
contemporanea, PRIN 2005-. Ha collaborato alle riviste Annuario
filosofico, Rivista internazionale di Filosofia del diritto, Nouvelle Revue
théologique; al Dizionario storico del movimento cattolico in Italia (1860-80,
3/2), alla Enciclopedia Filosofica edita da Bompiani. Ha diretto il Master
Mundis per la Dirigenza Scolastica promosso dall’Sassari in collaborazione con
la conferenza nazionale dei Rettori. Riconoscimenti Premio
"Sardegna-Cultura" (1999) Premio "Giuseppe Capograssi"
(2006) Pubblicazioni Filosofia e insegnamento della filosofia nella scuola
secondaria, Tipografia editoriale moderna, Sassari, 1973. La critica di
Merleau-Ponty alla concezione tomista dell’uomo e della libertà in S. Tommaso
nella storia del pensiero, 2, 1974.
Teoria e prassi in A. Pigliaru, Quaderni sardi di filosofia e scienze umane, 1,
1977. La Filosofia Cattolica in Italia, Quaderni Sardi di filosofia e scienze
Umane, 2-3,1978. Pluralismo culturale ed educazione in Colloquio
interideologico,“ Orientamenti Pedagogici", 6, 1978. La Filosofia
dell’educazione in A. Pigliaru; in Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane,
4-5, 1980. Se la corrente calda… Un itinerario filosofico: Péguy, Sorel,
Mounier, Sartre, Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, 7-10, 1981. M.
Ponty, Esistenzialismo, Marxismo, Cristianesimo, , Editrice La Scuola, Brescia,
1982. Né rivolta né rassegnazioneSaggio Su Merleau-Ponty, Ets, Pisa, 1982.
Corpo e cosmo nell’esperienza morale, Quaderni Sardi di filosofia e scienze
umane, 11-12, 1983. Non vi è terza (né altra via) nell’ “Esprit” di E. Mounier;
in Quaderno Filosofico, 8, 1983. Temporalità e prassi in S. Weil, Progetto, 19-20,
1984. Temporalità e prassi in J.P. Sartre in J. P. Sartre, teoria scrittura
impegno, V. Carofiglio e G. Semerari, Ed. Dedalo, Bari, 1985. Una filosofia
disarmata: M. Merleau- Ponty in Esistenza impegno progetto in Merleau-Ponty, G.
Invitto, Guida, Napoli, 1985. Storia e prassi in Emmanuel Mounier; in La
ragione della democrazia, Ed. Dell'oleandro, Roma 1986. Giuseppe Capograssi e
la cultura filosofico-giuridica in Sardegna, Quaderni sardi di filosofia e
scienze umane, 15-16,1987. Note per una fenomenologia della esperienza
religiosa; in , Chi è Dio. Università Lateranense, Herder, Roma, 1988. Storia
della cultura filosofico-giuridica, Enciclopedia della Sardegna, 1988. La
Filosofia etico-politica di Giov. M. Dettori e la cultura sardo-piemontese tra
Settecento e Ottocento, Quaderni Sardi di Filosofia e Scienze Umane, 17-18,
1989. Il «nucleo di vita e di luce del Rousseau capograssiano in Due convegni
su Giuseppe Capograssi, F. Mercadante, Giuffè, Milano, 1990. Filosofia e
società in Sardegna tra Settecento e Ottocento in La Sardegna e la rivoluzione
francese, M. Pinna, Editore, 1990. La Filosofia giuridica e etico-politica
negli intellettuali sardi della prima metà dell’Ottocento: D. A. Azuni, D.
FoisTola, G. Manno in Intellettuali e società in Sardegna tra Restaurazione e
Unità d’Italia, Editore, 1990. Le Radici fenomenologico-capograssiane di S.
Satta giurista-scrittore; in Salvatore Satta giurista-scrittore, U. Collu,
Edizioni, Nuoro, 1990. Soggetto debole, etica forte: da S. Weil a E. Levinas;
in Le Rivoluzioni di S. Weil, G. Invitto, Capone Editore, Lecce, 1990. Pigliaru
e Gramsci in Socialismo e democrazia, Archivio sardo del movimento operaio
contadino e autonomistico, 38-40, 1992. Tracce del postmoderno in Simone Weil,
in Moderno e postmoderno nella filosofia italiana oggi, U. Collu, Consorzio per
la pubblica lettura S. Satta, Nuoro, 1992. Società e filosofia in SardegnaGiov.
Battista Tuveri (1815-1887), FrancoAngeli, Milano, 1992. Cultura barbaricina e
banditismo in A.Pigliaru e M.Pira in L’Europa delle diversità, FrancoAngeli,
Milano, 1993. Prospettive fenomenologiche nella cultura contemporanea; in
Quaderni sardi di filosofia letteratura e scienze umane, , 1994. Asproni e i
filosofi sardi contemporanei in Giorgio Asproni e il suo ‘Diario Politico’,
Cuec, Cagliari, 1994. Domenico Alberto Azuni, Elogio della pace, a cura di,
Assessorato Regionale alla Pubblica Istruzione, Cagliari, 1994.
Multidimensionalità della esistenza, in Quaderni sardi di filosofia,
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Francia e Italia negli anni della rivoluzione, Laterza, Bari, 1995. La
Preghiera in J. P. Sartre in Esperienza religiosa e cultura contemporanea, a
cura di, Diabasis, Reggio Emilia, 1995. Note su etica comunitaria e etica planetaria,
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Temporalità esistenza sofferenza, in Esistenza e i vissuti «Tempo» e «Spazio»,
A. Dentone, Bastogi, Foggia, 1996. Le Relazioni Intermediterranee e il pensiero
di D.A. Azuni, in Il regionalismo internazionale mediterraneo nel 50º
Anniversario delle Nazioni Unite, Consiglio Regionale della Sardegna, Cagliari,
1997. La Festa e la via: una lettura fenomenologica, in Quaderni sardi di
filosofia, letteratura e scienze umane, 6-7, 1998. Corpo e psiche:
l’invecchiamento in Minkoswski, in Corpo e psiche, A. Dentone,
L’invecchiamento, Bastogi, Foggia, 1998. Cosmopolitismo e federalismo nel
pensiero politico sardo dell’Ottocento, in Il federalismo tra filosofia e
politica. Edizioni, 1998 Questioni MoraliLa prospettiva fenomenologica,
Istituto Italiano Di Bioetica, Macroedizioni, Cesena, 1998. L’etica della
mediazione, in Il problema della pena minorile, FrancoAngeli, Milano, 1999. La
filosofia in Sardegna (1750-1915), Etica Diritto Politica, Condaghes, Cagliari,
1999. Antonio Pigliaru, La lezione di Capograssi, a cura di, Edizioni Spes,
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la repubblica. La festa è tornata in città, Diabasis, Reggio Emilia, K.
Wojtyla, L’uomo nel campo della responsabilità, a cura di, Bompiani, Milano,
2002. Federalismo e progettualità politico-sociale in Carlo Cattaneo e Giovanni
Battista Tuveri, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane,
11, 2003. Cattaneo e G.B. Tuveri in Carlo Cattaneo temi e interpretazioni, M.
Corrias Corona, Centro Editoriale Toscano, Firenze, 2003. Al confine ed oltre.
La sofferenza tra normalità e patologia, Edizioni Universitarie, Roma, 2003. J.
P. Sartre, Barionà o il figlio del tuono, a cura di, Marinotti, Milano, 2003.
Due Filosofi militanti: Carlo Cattaneo e Giovanni Battista Tuveri in Cattaneo e
Garibaldi. Federalismo e Mezzogiorno, A. Trova, G. Zichi, Carocci, Roma, 2004.
Esperienza e pena in Salvatore Satta in Nella scrittura di Salvatore Satta,
Magnum, Sassari, 2004. Note Introduttive alla filosofia di Wojtyla,
Orientamenti Sociali Sardi, X, 2005. Note sul cristianesimo di Antonio
Pigliaru, Orientamenti Sociali Sardi, Nov-Dic., 2006. Etica e santità in Simone
Weil; in Etica contemporanea e santità, Edizioni Rosminiane, Stresa, 2006.
Legge morale e legge civile in Natura umana, evoluzione ed etica. Annuario di
Filosofia, Guerini e Associati, Milano, 2007. V. Jankélévitch, Corso di
filosofia morale, a cura di, Raffaello Cortina, Milano, 2007. Filosofia e
letteratura in Karol Wojtyla, Urbaniana University Press, Roma 2007. La
phénoménologie de l’agir moral selon Karol Wojtyla, in Nouvelle Revue
Theologique, 130. Prefazione all’analisi
dell’esperienza comune in Giuseppe Capograssi, in La vita etica, F. Mercadante,
Bompiani Milano 2008. La noia in Vladimir Jankélévich, in In Dialogo con
Vladimir Jankélévich., Lisciani Petrini, Mimesis, Milano, 2009. La filosofia di
Giuseppe Capograssi in Esperienza e verità- Giusse Capograssi filosofo oltre il
nostro tempo, , Il Mulino, Bologna 2009. L’eredità di Giuseppe Capograssi nel
pensiero di Antonio Pigliaru, in Antonio Pigliaru. Saggi Capograssiani, a cura
di, Edizioni Spes, Roma, . La actualidad del uso Capograssiano de la razon, in
Liberar la razon. El conocimiento Universitario y el sentido religioso en
confrontacion, Editorial Fragua, Madrid . Ragione e mistero, in Orientamenti
Sociali Sardi, XV, . Il pensiero di Augusto Del Noce sul Magistero della
Chiesa, in Attualità del pensiero di Augusto Del Noce, , Cantagalli, Siena, .
Contro lo scientismo. Una esperienza di vita, in Gesù Di Nazareth
all’UniversitàAzzaro, Libreria Editrice Vaticana, Roma, . Libertà di coscienza
e religione, in Martha C. Nussbaum, in Nel mondo della coscienzaverità,
libertà, santità, Centro Internazionale di Studi Rosminiani, Stresa, .
Individuo Stato e comunità nel pensiero di Antonio Pigliaru, in Le radici del
pensiero sociologicogiuridico, A. Febbrajo, Giuffré, Milano, . La pace e la
guerra nel pensiero di Eduardo Cimbali e Giorgio Del Vecchio docenti
nell’Sassari (1904-1912) in Scrittura e memoria della Grande Guerra, A. Delogu
e A.M. Morace, Pisa, ETS, Questioni di
senso-Breviario filosofico, Donzelli, Roma, . La vita e il diritto nell’opera
di Salvatore Satta, Nuoro, . Note Altri progetti Collabora a Wikimedia
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Nuova Sardegna, 02 marzo , su lanuovasardegna.gelocal.it. Remo BodeiAntonio
Delogu, su youtube.com. Festival di filosofia. 1º DIALOGO: Remo Bodei, Antonio
Delogu (completo), su youtube.com.
Demaria: Tommaso
Demaria (Vezza d'Alba), filosofo italiano. Famoso per numerosi studi sulla
tomistica. Frequentato il seminario di Alba, entrò come aspirante presso
i salesiani di Penango Monferrato (Asti). Dal 1926 continuò gli studi nel liceo
di Valsalice (Torino) Dal 1931 al 1935 compì studi teologici presso
l’Università Gregoriana di Roma. L'ordinazione a sacerdote fu il 28 ottobre
1934. Continuò gli studi presso l’Istituto Missionario Scientifico della
Pontificia Università Urbaniana (1935-1940). Fu insegnante dal 1940 al 1979
presso la Facoltà di Teologia del Pontificio Ateneo Salesiano a Torino e a
Roma. Nel corso della sua carriera fu docente di: Storia delle religioni,
Missionologia, Filosofia dell’educazione, Teologia Fondamentale, Teologia
Dogmatica, Dottrina sociale della Chiesa, Sociologia dell’Educazione.
Negli anni cinquanta avviò una feconda condivisione spirituale, teologica e
filosofica con don Paolo Arnaboldi, fondatore del Fraterno Aiuto Cristiano FAC
con l'attivo incoraggiamento di San Giovanni Calabria. Frequentò assiduamente
le sedi del FAC sia a Vezza D'Alba sia a Roma. Strutturò la sua metafisica
realistico organico dinamica. Negli anni sessanta fondò con Giacomino
Costa il Movimento Ideoprassico Dinontorganico M.I.D., oggi divenuto
l'associazione Nuova Costruttività. Insieme con Paolo Arnaboldi fecero opera di
formazione e divulgazione del realismo organico dinamico presso ambienti
imprenditoriali collegati all'U.C.I.D.. Giacomino Costa nel 1963 strutturò
volutamente la grande e innovativa impresa dell'Interporto di Rivalta Scrivia (
il così detto "porto secco" di Genova) come applicazione
dell'"organico dinamico" differenziandola dalle imprese tipicamente
liberiste. Negli anni settanta fu il referente culturale delle
"Libere Acli" movimento dei lavoratori cattolici fuoriusciti dalle
Acli a seguito della "ipotesi socialista" che portò nel 1971 alla
"sconfessione di Paolo VI" e alla frattura del movimento. Continuò
nell'ambiente dei lavoratori cattolici con la formazione e la diffusione della
"ideoprassi" (modello di sviluppo) "organico dinamica", una
vera ideologia cristiana alternativa a quella liberal capitalista e a quella
marxista comunista. Tommaso Demaria tiene un seminario sul realismo
Dinamico a Verona presso il Centro Toniolo nel 1980. Negli anni ottanta fu
intensamente attivo nella formazione alla nuova cultura cristiana organico
dinamica a Torino, Verona, Vicenza, Roma con corsi, seminari e numerose
pubblicazioni. Tra tutti i corsi tenuti merita una specifica menzione per la
testimonianza documentale completa tramite registrazione video, quello del 1980
presso il Centro Toniolo di Verona su invito di don Gino Oliosi. Morì a
Torino il 12 luglio 1996. Il pensiero Tommaso Demaria proseguì il lavoro
di san Tommaso d'Aquino e affermava l'incompletezza del tomismo, incapace di
cogliere l'organismo come categoria ontologica a sé stante. L'integrazione
della metafisica realista con l'organismo alla metafisica realistica integrale,
strumento di straordinaria importanza per la vita quotidiana. Lo studio
dell'organismo in quanto tale, in particolare nella sua dimensione di
"struttura organica funzionale", si rivelerà infatti importantissimo
per lo studio e lo sviluppo della società in generale ma in particolare per
quella prassi economica nota col nome di "Sistemi di Qualità" che fa
appunto dell'organicità il proprio fondamento. La possibilità di percepire
l'organismo in quanto tale entità diversa dall'organismo fisico, specifica
Demaria, passa attraverso la percezione dell'ente dinamico. Grande importanza
assume l'organicità nella gestione del sociale perché esso consente di definire
con precisione il bisogno di razionalità dell'umanità che supera le possibilità
dell'essenza della persona. Questa necessaria unità dell'agire della persona
nell'umanità che ne perpetua la presenza, in campo politico/ideoprassico egli stesso
la definisce come comunitarismo all'interno del suo testo "La società
alternativa". L'indagine sui dinamismi profondi della società
industriale e l'osservazione con metodo realistico oggettivo della realtà
storica globale nella sua consistenza ontologica portano Demaria a sviluppare
una metafisica per molti aspetti nuova ed originale. Il realismo tomista
Aderisce al tomismo e conferma la validità del realismo di San Tommaso per
tutto ciò che è in “rerum naturae” quindi per gli enti che esistono già in
natura. Coglie la necessità di innestare sul realismo tomista nuovi strumenti
metafisici per comprendere la realtà degli enti che non esistono in natura
perché costruiti o generati dall'uomo, le trasformazioni dell’essenza della
persona operata dalla liberà delle sue scelte, la natura profonda degli enti
interumani (famiglia, azienda, stato, …), l'interpretazione della realtà
storica e il suo indirizzamento. Il cambio d’epoca Individua un
cambiamento d’epoca con valore ontologico (che cambia l’essere, la forma della
società) nella rivoluzione industriale che con l’apporto della energia
meccanica a integrazione e sostituzione del lavoro umano dinamizza la società
oltre una soglia mai varcata prima nella storia. La società dinamizzata dalla
rivoluzione industriale giunge a una radicale trasformazione da “statico
sacrale” a “dinamico secolare”. Si tratta di una trasformazione qualitativa e
non solo quantitativa dei cambiamenti sociali che coinvolge l’”essere” della
società. La differenza fondamentale sta in questo: la società preindustriale
(statico sacrale) era dominata dalla natura e in questo modo ripeteva sempre sé
stessa nonostante i cambiamenti fenomenici (la vita di un romano non era così
diversa da quella di un medievale), la società industriale invece si è in larga
parte sganciata dal condizionamento della natura ed è obbligata a progettare e
costruire continuamente il proprio futuro…. Ma con quali criteri? È a questo
livello che interviene l’indagine metafisica della realtà storica il cui scopo
è proprio scoprire l’essenza profonda della realtà storica appunto. Il
realismo dinamico ontologico Riconosce nel tomismo e nella metafisica di San
Tommaso la validità nel contesto “statico sacrale” ma limiti nella
interpretazione della nuova realtà storica “dinamico secolare”. Osserva che
l’interpretazione data alla storia da Hegel prima e da Marx dopo, sono entrambe
errate e ne critica il fondamento soggettivista e la natura ateo
materialista. Integra quindi il tomismo tradizionale inaugurando la nuova
metafisica dinamica ontologica organica fondata sulla scoperta dell’ente
dinamico o anche ente di secondo grado. Dalla osservazione di ciò che
nasce dalle relazioni umane scopre che oltre agli “enti di primo grado”, gli
enti la cui essenza già è (tutti quelli che già sono in natura), esistono altri
“enti di secondo grado” gli enti la cui essenza non è, ma si fa
attivisticamente nello spazio e nel tempo. la cui nascita, vita e morte sono
costituite dalla esistenza di relazioni tra le persone (ad esempio la famiglia,
l’azienda sono enti interumani). Sono “enti dinamici” il cui comportamento è
simile a quello di un organismo, non fisico, ma costituito dall’insieme di cose
e di persone, ugualmente animato da un principio vitale, in cui le parti e il
tutto sono in reciproco equilibrio che ne genera e ne conserva la vitalità.
Quando viene meno questo reciproco equilibrio tra l’organismo tutto e le sue
parti (le membra, gli organi, le cellule) l’organismo perde la sua vitalità, si
ammala e può arrivare alla morte (e così avviene per la famiglia, l’azienda, la
comunità). Indaga osservando la realtà con metodo metafisico, realistico,
oggettivo sulle “regole”, sulla “razionalità” che sottende la vita e la
vitalità degli “enti dinamici” individuando cinque (5) “trascendentali
dinamici” che sono le 5 caratteristiche necessarie e sufficienti in un “ente
dinamico” per restare vivo e vitalmente operante. Sul fronte della
interpretazione della “storia” osserva che la sua complessità non può essere
indagata con metodi analitici partendo dalla suddivisione del tutto. Serve il
metodo della “sintesi” e quindi dalla sommatoria, aggregazione, integrazione
dei singoli “enti dinamici” in realtà e altri organismi via via più complessi e
ampi, giunge al tutto che definisce come “Ente Universale Dinamico Concreto”
EDUC senza il quale il singolo ente dinamico non avrebbe né senso né valore
metafisico. Del resto è abbastanza intuitivo comprendere che nessun ente
storico può esistere fuori dal contesto che l’ha generato. Per esempio una
semplice azienda di scarpe non può esistere nel deserto separata da tutte le
vie di comunicazione, dagli operai, dai clienti, dalle fonti di energia
eccetera. Raccoglie e coordina le sue scoperte nella nuova Metafisica
Realistico Dinamica che aggregata alla Metafisica Realistica “Statica” di San
Tommaso costituisce nell’insieme delle due componenti, la statica e la
dinamica, la Metafisica Realistica Integrale. La Società Con il nuovo
strumento metafisico (la Metafisica Realistica Integrale), individua la giusta
forma della società che definisce Organico Dinamica (“Dinontorganica”) come
vera alternativa alle due forme di società “false”, la capitalista e la
marxista di cui stende una dettagliata critica. La Prassi, L’Ideoprassi
ed il Nuovo Tipo e Modello di Sviluppo Demaria comprende che la nuova società
“dinamica secolare” avviatasi per l’effetto della rivoluzione industriale, è
costruita in vero dalla “ideoprassi” ossia dalla ideologia come prassi
razionalizzata. Una definizione corrente che sia avvicina al concetto di
“ideoprassi” di Tommaso Demaria è “modello di sviluppo” intendendo con questo
la necessità di un cambio di paradigma strutturale nella costruzione della
società. Demaria precisa meglio questa terminologia chiarendo che il TIPO DI
SVILUPPO riguarda il cambiamento di essenza profonda di una società mentre
invece il MODELLO riguarda le innumerevoli e forse infinite varianti
all’interno del medesimo tipo che si devono calare nei concreti ambiti
temporali e geografici. Le “ideoprassi”, cioè i tipi di società,
riconosciute da Tommaso Demaria sono tre (3): capitalista, marxista,
“dinontorganica” e queste sono costruite secondo i rispettivi modelli. Perciò
all’interno della società di tipo capitalista avremo molteplici modelli anche
molto diversi tra loro dal punto di vista fenomenico ma identici dal punto di
vista dell’assoluto di riferimento (cioè del tipo), in questo caso il denaro
con la relativa competitività necessaria per conquistarlo. Analogamente avviene
per le altre due ideoprassi: la ideoprassi o società di tipo marxista, con
l’assoluto della dialettica oppresso/oppressore (la vecchia lotta di classe) e
la ideoprassi o società di tipo dinontorganico con il proprio assoluto
costruttivo radicato nella dialettica della sintesi in funzione della vita.
Dalla Persona Libera e Sovrana alla Persona Cellula Secondo il Demaria nella
società “dinamica secolare”, che è laica e profana, la religione non è più
accettata come fondamento. Così anche la persona libera e sovrana che aveva il
suo posto nella società “statico sacrale” non può esistere in quanto nella
società “dinamica secolare” fin dalla nascita la persona umana viene
continuamente “rimanipolata” dalla ideoprassi corrente (capitalista o
marxista).La persona umana trova la sua giusta collocazione nella società se
riconosce la sua nuova natura di persona “cellula”, componente libera in un
organismo sociale più grande. Come persona cellula rimane sempre persona umana
libera ma al contempo svincolata dalle logiche servo/padrone,
oppresso/oppressore del marxismo. L’Economia E’un tema ampiamente
trattato dal Demaria che individua tre tipi di economia: la capitalista, la
marxista/comunista, la dinontorganica. Dopo aver profondamente analizzato
e criticato le prime descrive in dettaglio i fondamenti della economia
dinontorganica. Per brevità riportiamo qui la differenza del concetto di
impresa capitalista ed impresa dinontorganica secondo Demaria. L’impresa
capitalista è un'attività economica professionalmente organizzata al fine della
produzione o dello scambio di beni o servizi. Si avvale di un complesso di beni
strumentali, il mezzo concreto (l’azienda): immobili, sedi, attrezzature,
impianti, personale, metodi, procedure, risorse. Si tratta di “cose” e tra
queste anche il personale /forza lavoro. Anima suprema dell’impresa capitalista
è il profitto e secondariamente la creatività imprenditoriale a servizio del
profitto. La socialità dell’impresa diviene un fatto ambientale ed incidentale
innegabile ma secondario. Quindi l’impresa (con la relativa azienda) capitalista
secondo Demaria è una “cosa” ridotta a capitale e lavoro. L’impresa
dinontorganica (la vera natura profonda dell’impresa secondo Demaria) è
organismo dinamico economico di base dell’attuale società industriale (o
postindustriale). E’un vero organismo dinamico, una realtà complessa, non
fisica ma prodotta dall'uomo, costituita dalla sintesi di cose e di persone
autonome e cellule dell’organismo impresa, animata da un proprio principio
vitale e perciò capace di vivere ed agire a titolo proprio. E’quindi impresa
umanissima, affrancata dal materialismo capitalista. Anima dell’impresa è la
costruttività nel suo triplice aspetto economico, sociale e “ideoprassico”, che
eleva la creatività al di sopra del solo profitto e che soddisfa ad un tempo la
le esigenze della società globale e della impresa (quali il profitto, comunque
necessario ma non sufficiente). La Chiesa e il Corpo Mistico di Cristo In
ambito ecclesiologico le scoperte di Demaria , come da sua frequente
dichiarazione , si collocano nel solco del Magistero della Chiesa Romana
Cattolica. Cinque delle sue pubblicazioni, che contengono nell’insieme il corpo
della sua opera, portano impresso l’imprimatur che attesta l’assenza di errori
in ambito di fede e morale cattolica. La scoperta dell’“ente di secondo
grado” (ente generati dalle relazioni tra le persone) e della persona “cellula”
(individuo libero che riconosce di essere parte di un organismo più grande)
sono in analogia scaturite dalla riflessione sull’ “essere” della Chiesa
(l’insieme dei cristiani) in comunione con il “Corpo Mistico di Cristo”. Il
cristiano con il battesimo cambia il suo essere e diviene “uomo nuovo”. Quindi
la persona umana (in questo caso il cristiano) è contemporaneamente “ente di
primo grado (“in rerum naturae”) che “ente di secondo grado “(ente dinamico)
come membro della Chiesa che costituisce il “Corpo Mistico di Cristo “. La
Chiesa così concepita è il primo ente dinamico sacro della storia. Mentre il
primo ente dinamico laico e profano dell’epoca “dinamico secolare” post
rivoluzione industriale è l’azienda industriale. Pur accogliendo nella
sua “metafisica realistica integrale” (la metafisica realistica “statica” più
la “dinamica”) il tomismo in toto, il suo pensiero generò dispute con i tomisti
“classici” del tempo che non riconoscono alla Chiesa ( e nemmeno alla azienda
industriale ) la natura di “ente di secondo grado” ma unicamente la
caratteristica di “ente di relazione” che per Demaria è insufficiente per
interpretare la complessità della realtà storica industriale e la relativa
mobilitazione. La Dottrina Sociale della Chiesa e L’Ideoprassi
Dinontorganica Alla Dottrina Sociale Della Chiesa Tommaso Demaria riconosce
ogni validità. Ne segnala tuttavia la incompletezza in quanto costituita da
norme etiche e morali rivolte principalmente alla persona libera e sovrana ed
atte ad incidere sul suo comportamento come singolo per migliorare in senso
cristiano la società. Ma il Demaria nella sua opera ha rilevato che la società
non è più solo costruita dalle norme morali di persone libere e sovrane ma
anche e soprattutto dalla “ideoprassi” (ideologia come prassi razionalizzata
sintesi di persone e strutture) corrente, dal suo dinamismo e dalle sue
razionalità interne autocostruttive proprie della società “dinamica secolare”.
Pertanto per incidere sulla società contemporanea che è “dinamica secolare “,
laica e profana, serve una vera e propria nuova e completa “ideoprassi”,
certamente laica e profana ma compatibile con i valori cristiani cardinali.
All'interno di questa nuova “ideoprassi” il Demaria vede inseriti tutti gli
insegnamenti della Dottrina Sociale Cristiana. Da soli e senza una propria
“ideoprassi” tali insegnamenti tendono a generare delle “paraideologie” che
hanno effetti locali e temporanei. Per ottenere effetti di trasformazione
duraturi ed è necessario avviare azioni che contengano la giusta razionalità e
caratteristiche (i 5 trascendentali dinamici) capaci di innescare cicli
autocostruttivi. Opere Catechismo missionario, Torino, SEI, 1943 La
Religione, Colle Don Bosco, Elledici, 1945. Il fiume senza ritorno. Dramma
missionario, Colle Don Bosco, Elledici, 1946. La pedagogia come scienza
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Bologna, Costruire, 1975. La realtà storica come superorganismo dinamico:
dinontorganismo e dinontorganicismo, Bologna, Costruire, 1975. L'edizione
Realismo dinamico, Bologna, Costruire, 1977, 3 voll., riunisce i tre testi
precedenti. L'ideologia cristiana, Bologna, Costruire, 1975. Sintesi sociale
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questione democristiana, Bologna, Costruire, 1975. Il Marxismo, Verona, Nuova
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Segno, 1980. Per una nuova cultura, Verona, Nuova Presenza cristiana, 1982. La
società alternativa, Verona, Nuova Presenza cristiana, 1982. Verso il duemila:
per una mobilitazione giovanile religiosa e ideologica, Verona, Nuova Presenza
cristiana, 1982. Un tema complesso sullo sfondo dell'ideologia come strumento
ideologico, Verona, Nuova Presenza cristiana, 1984. Confronto sinottico delle
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opere e ragionata di Tommaso Demaria a
cura dell'Associazione Nuova Costruttività., su dinontorganico.it.
Demetrio: Duccio Demetrio (Milano),
filosofo. Le sue ricerche promuovono la scrittura di se stessi, sia per lo
sviluppo del pensiero interiore e auto analitico, sia come pratica filosofica.
Già Professore di Filosofia dell'educazione e di Teorie e pratiche della
narrazione all'Università degli Studi di Milano-Bicocca, è ora direttore
scientifico del Centro Nazionale Ricerche e studi autobiografici della Libera
università dell'Autobiografia di Anghiari (da lui fondata nel 1998 insieme a
Saverio Tutino) e di "Accademia del silenzio". Opere Educatori di professione. Pedagogia e
didattiche del cambiamento nei servizi extra-scolastici, Scandicci, La Nuova
Italia, Tornare a crescere. L'età adulta tra persistenze e cambiamenti, Milano,
Guerini, 1991, 88-7802-221-7 La ricerca
qualitativa in educazione, Scandicci, La Nuova Italia, 1992, 88-221-1114-1 Duccio Demetrio, Donata
Montesano Fabbri e Silvia Gherardi, Apprendere nelle organizzazioni. Proposte
per la crescita cognitiva in età adulta, Roma, NIS, 1994, 88-430-0102-7 Duccio Demetrio e Graziella
Favaro, Immigrazione e pedagogia interculturale. Bambini, adulti, comunità nel
percorso di integrazione, Firenze, La Nuova Italia, 1994, 88-221-1084-6 L'educazione nella vita adulta.
Per una teoria fenomenologica dei vissuti e delle origini, Roma, NIS, 1996, 88-430-0294-5 Raccontarsi. L'autobiografia
come cura di sé, Milano, Cortina, 1996,
88-7078-422-3 Duccio Demetrio e Maura Budani, Educazione degli adulti:
gli eventi e i simboli, Milano, C.U.E.M., 1996 Duccio Demetrio e Giacomo Corna
Pellegrini, Viaggio e racconti di viaggio. Nell'esperienza di giovani e adulti,
Milano, C.U.E.M., 1997 Duccio Demetrio e Graziella Favaro, Bambini stranieri a
scuola. Accoglienza e didattica interculturale nella scuola dell'infanzia e
nella scuola elementare, Scandicci, La Nuova Italia, Agenda interculturale.
Quotidianità e immigrazione a scuola. Idee per chi inizia, Roma, Meltemi, Il gioco della vita. Kit autobiografico.
Trenta proposte per il piacere di raccontarsi, Milano, Guerini, 1997, 88-7802-819-3 Pedagogia della memoria. Per se
stessi, con gli altri, Roma, Meltemi, 1998,
88-86479-51-4 Elogio dell'immaturità. Poetica dell'età irraggiungibile,
Milano, Cortina, 1998, 88-7078-530-0
Demetrio Duccio e Sonia Bella, Una nuova identità docente. Come eravamo, come
siamo, Milano, Mursia, L'educazione interiore. Introduzione alla pedagogia
introspettiva, Scandicci, La Nuova Italia, Di che giardino sei? Conoscersi
attraverso un simbolo, Roma, Meltemi, 2000,
88-8353-055-1 Demetrio Duccio e Mariangela Giusti, Preparare e scrivere
la tesi in Scienze dell'Educazione, Milano, Sansoni, Demetrio Duccio e
Aureliana Alberici, Istituzioni di educazione degli adulti. 1: Il metodo autobiografico, Milano, Guerini,
Demetrio Duccio e Aureliana Alberici,
Istituzioni di educazione degli adulti, Milano, Guerini, 2002, 88-8335-312-9 Album di famiglia. Scrivere i
ricordi di casa, Roma, Meltemi, 2002,
88-8353-180-9 Scritture erranti. L'autobiografia come viaggio del se nel
mondo, Roma, EDUP, 2003, 88-8421-061-5
Ricordare a scuola. Fare memoria e didattica autobiografica, Roma, Laterza,
2003, 88-420-6857-8 Manuale di
educazione degli adulti, Roma, Laterza, 2003,
88-420-6992-2 Filosofia dell'educazione ed età adulta. Simbologie, miti
e immagini di sé, Torino, UTET Liberia, L'età adulta. Teorie dell'identità e
pedagogie dello sviluppo, Roma, Carocci, 2003,
88-430-2676-3 Autoanalisi per non pazienti. Inquietudine e scrittura di
sé, Milano, Cortina, Duccio Demetrio e Aureliana Alberici, Istituzioni di
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competenze e apprendimento permanente, Milano, Guerini, 2004, 88-8107-160-6 Duccio Demetrio e Graziella
Favaro, Didattica interculturale. Nuovi sguardi, competenze, percorsi, Milano,
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Esercizi di meditazione mediterranea, Milano, Cortina, La vita schiva. Il
sentimento e le virtù della timidezza, Milano, Cortina, 2007, 978-88-6030-127-7 La scrittura clinica.
Consulenza autobiografica e fragilità esistenziali, Milano, Cortina, L'educazione
non è finita. Idee per difenderla, Milano, Cortina, 2009, 978-88-6030-245-8 Ascetismo metropolitano.
L'inquieta religiosità dei non credenti, Milano, Ponte alle Grazie, L'interiorità
maschile. Le solitudini degli uomini, Milano, Cortina, La religiosità degli
increduli. Per incontrare i «gentili», Padova, Messaggero, Perché amiamo scrivere. Filosofia e miti di
una passione, Milano, Cortina, ,
978-88-6030-437-7 Duccio Demetrio e Francesca Rigotti, Senza figli. Una
condizione umana, Milano, Cortina, ,
978-88-6030-494-0 Duccio Demetrio, M.Castiglioni, E.Mancino e E.Biffi,
Educare è narrare. Le teorie, le pratiche, la cura, Milano, Mimesis, Duccio Demetrio e Pierangelo Sequeri, Beati i
misericordiosi. Perché troveranno misericordia, Torino, Lindau, , 978-88-7180-984-7 I sensi del silenzio.
Quando la scrittura si fa dimora, Milano, Mimesis, , 978-88-575-0991-4 La religiosità della terra.
Una fede civile per la cura del mondo, Milano, Cortina, , 978-88-6030-628-9 Silenzio, Padova, Messaggero,
,Green autobiography. La natura è un racconto interiore, Anghiari, Booksalad, Ingratitudine.
La memoria breve della riconoscenza, Milano, Cortina, , 978-88-6030-841-2 Scrivi, frate Francesco.
Una guida per narrare di sè, Padova, Messaggero, La vita si cerca dentro di sé.
Lessico autobiografico, Milano, Mimesis, Terra, Milano, Dialogos, Foliage.
Vagabondare in autunno, Milano, Cortina, Opere di Duccio Demetrio / Duccio
Demetrio (altra versione) / Duccio Demetrio (altra versione), su openMLOL,
Horizons Unlimited srl
Desideri: Fabrizio Desideri (Empoli), filosofo.
Docente di Estetica all'Firenze, ha curato edizioni di Nietzsche, Kant,
Benjamin, Kafka, per editori quali Editori riuniti, Marietti, Newton Compton,
Einaudi, Mimesis. Opere principali
Walter Benjamin: il tempo e le forme, Roma, Editori riuniti, 1980 Quartetto per
la fine del tempo; una costellazione kantiana, Genova, Marietti, 1990 La porta
della giustizia: saggi su Walter Benjamin, Bologna, Pendragon, 1995 Il velo di
Iside: coscienza, messianismo e natura nel pensiero romantico, Bologna,
Pendragon, 1997 L'ascolto della coscienza: una ricerca filosofica, Milano,
Feltrinelli, 1998 Il fantasma dell'opera: Benjamin, Adorno e le aporie
dell'arte contemporanea, Genova, Il melangolo, 2002 Il passaggio estetico:
saggi kantiani, Genova, Il melangolo, 2003 Forme dell'estetica: dall'esperienza
del bello al problema dell'arte, Roma-Bari, Laterza, 2004 La percezione
riflessa: estetica e filosofia della mente, Milano, Raffaello Cortina, La misura del sentire: per una
riconfigurazione dell'estetica, Milano-Udine, Mimesis, Origine dell'estetico: dalle emozioni al
giudizio, Roma, Carocci, Walter Benjamin
e la percezione dell'arte: estetica, storia, teologia, Brescia,
Morcelliana, Altri progetti Collabora a
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Curriculum sul sito dell'Firenze.
Diano: Carlo
Alberto Diano (Vibo Valentia), filosofo italiano, storico e traduttore sia di
classici greci sia di poeti svedesi e tedeschi. Compie gli studi
classici al Liceo Filangeri di Vibo Valentia, allora Monteleone Calabro. Rimane
orfano di padre all'età di 8 anni e questo fu un evento che segnò la sua vita e
molte delle sue scelte giovanili. Nel 1919 si trasferisce a Roma, dove si
iscrive alla Facoltà di Lettere della Sapienza ove segue le lezioni di Nicola
Festa e Vittorio Rossi. Il suo progetto è di laurearsi con una tesi in
Letteratura greca, ma la necessità di iniziare a lavorare lo spinge a scegliere
una via più breve e nel novembre del 1923 si laurea con 110 e lode con una tesi
su Giacomo Leopardi, un poeta che amò subito e che lo accompagnò nel corso di
tutta la sua vita. Immediatamente inizia a insegnare letteratura latina e
greca, dapprima come supplente e poi, dall'ottobre del 1924, di ruolo come
vincitore di concorso a cattedra. La sua prima nomina è a Vibo Valentia, cui
segue un periodo di alcuni anni a Viterbo e una breve parentesi al Liceo
Vittorio Emanuele II di Napoli. Nella città partenopea frequenta la casa di
Benedetto Croce, ma in seguito il giovane Carlo Diano si allontanerà decisamente
dal gruppo dei crociani. Dal novembre del 1931 è trasferito a Roma, dove
insegna prima al Liceo Torquato Tasso e in seguito al Liceo Terenzio Mamiani.
Sempre a Roma, nel 1935, consegue la libera docenza in lingua e letteratura
greca. È fatto oggetto di inchieste ministeriali e pressioni per il suo rifiuto
di iscriversi al Partito fascista, come chiedeva il suo ruolo di dipendente
pubblico. Né mai si iscrisse. Nel settembre del 1933, su incarico del
Ministero degli Esteri, è lettore di lingua italiana presso le Lund, Copenaghen
e Göteborg, incarichi che ricoprì fino al 1940. Gli anni in Svezia e Danimarca
non furono solo utili per apprendere alla perfezione lo svedese e il danese, ma
segnarono un profondo cambiamento. Il contatto con l'ambiente scandinavo gli
spalancò la visione della grande cultura liberale nord europea e l'amicizia di
poeti, letterati e studiosi scandinavi, tra cui lo storico delle religioni
Martin Persson Nilsson e lo scrittore ed esploratore Sven Hedin, dei quali
traduce anche alcune opere. Al suo ritorno in Italia ricopre un incarico
presso la Soprintendenza bibliografica di Roma e dal gennaio del 1944
all'aprile del 1945 è a Padova in qualità di Ispettore dell'istruzione classica
presso il Ministero dell'Educazione Nazionale della Repubblica Sociale
Italiana. Grazie a questo ruolo e obbedendo alla propria coscienza,
all'insaputa di tutti, aiuta molte persone a mettersi in salvo dalla
persecuzione fascista e nazista. Dal dicembre del 1946 ricopre gli
incarichi di Papirologia, Grammatica greca e latina, Storia della filosofia
antica, Letteratura greca e Storia antica presso la Facoltà di Lettere
dell'Bari. Nel 1950 vince il concorso alla cattedra di Letteratura greca ed è
chiamato a Padova a ricoprire, presso la Facoltà di Lettere dell'Università, la
cattedra che era stata di Manara Valgimigli. A Padova rimarrà ininterrottamente
fino alla sua morte. Più volte Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia,
fondò e diresse il Centro per la tradizione aristotelica nel Veneto. Molte
delle sue traduzioni dei tragici greci sono state messe in scena dalla
Fondazione del Dramma Antico a Siracusa, al Teatro Olimpico di Vicenza, a
Padova, portate in giro nei teatri italiani, interpretate da noti attori quali
Elena Zareschi, Arnaldo Ninchi, Ugo Pagliai. Grandi le sue traduzioni, per la
ricerca filologica, la lettura rivoluzionaria e la bellezza dello stile in
versi, fra le altre, dell'Alcesti, dell'Ippolito, dell'Elena, dei Sette a Tebe,
dell'Edipo Re, del Dyskolos di Menandro. Curò, fra le altre cose,
l'edizione di tutto il teatro greco per Sansoni e la traduzione dei Frammenti
di Eraclito, volume della Fondazione Lorenzo Valla. Insignito di numerose
onorificenze (Valentia Aurea, Premio Nazionale dei Lincei, Medaglia d'oro della
Città di Padova ecc.) e membro di numerosissime accademie in Italia, in Europa
e in USA, ebbe profonde e durature amicizie tra gli altri con Salvatore
Quasimodo, Sergio Bettini, Mircea Eliade, Walter F. Otto, Ugo Spirito, Giulio
Carlo Argan, Bernard Berenson, Rocco Montano, Santo Mazzarino, Carlo Bo, Károly
Kerényi, Martin Persson Nilsson, Renato Caccioppoli e molti altri fra i
maggiori protagonisti della vita culturale e artistica del 900. Tra i
suoi allievi più noti troviamo il filosofo ed ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari.
Per i suoi amplissimi studi e i suoi contributi originali su Epicuro è da tempo
riconosciuto a livello internazionale come uno dei maggiori e più autorevoli
studiosi del filosofo di Samo. Nei suoi scritti teorici, principalmente
in Forma ed Evento e in Linee per una fenomenologia dell'arte, Carlo Diano
fonda un vero e proprio sistema filosofico in cui filologia, studi storici,
filosofici, sociali, storia dell'arte e la storia delle religioni si integrano
a creare un nuovo metodo di indagine. Fondamentale, a tale scopo, è la
creazione delle due categorie fenomenologiche di "forma" ed
"evento", che gli permettono non solo di esplorare l'intera civiltà
greca, ma possono divenire strumento di analisi generale di una cultura.
Opere Nella seguente , che non vuole essere esaustiva, si riportano solo le
opere principali: Commento a Leopardi. Tesi di Laurea. 1923.
Commemorazione virgiliana. Dall'Idillio all'Epos. Boll. Municip. Viterbo, 1930.
Il titolo De Finibus Bonorum et Malorum. GFI, 1933. L'acqua del tempo (poesie).
Roma, Dante Alighieri, 1933. Note epicuree, SIFC, 1935. Questioni epicuree,
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Vicenza, Neri Pozza, 1966. Epikur und die Dichter: ein Dialog zur Poetik Epikurs,
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Padova, Liviana, 1972. Anassagora padre dell'umanesimo e la melete thanatou in
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1970 1ª ed.. Carlo Diano e Giuseppe Serra , Eraclito, I frammenti e le
testimonianze, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori Editore,
1980 1ª ed.. Epicuro Giovanni Gentile
Tragedia greca Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons
contiene immagini o altri file su Carlo Diano
Carlo Diano, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
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in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Carlo
Diano, . Carlo Diano Forma y evento,
Madrid, Circulos Bellas Artes (estratto traduz. spagnola)Brian Duignan, Carlo
Diano, Epicureanism, in Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
Carlo Diano, nel sito "Il Ramo di Corallo", di Francesca Diano.
DIC-TUM
-- IN-DEXICAL -- indexical: Grice: This is a
compound, from IN-, emphatic, and dex-, cognate with ‘dico,’ to saycf. deixis.
-- Bradley’s thess, and whatness“Grice is improving on Scotus: Aristotle’s tode
ti is exactly Bradley’s thess whatnessand more familiar to the English ear than
Scotus feminine ‘haecceitas.’” “Russell, being pretentious, call Bradley’s
“thess” and “thatness,” but not “whatness”as a class of the ‘egocentric
particular’ -- a type of expression
whose semantic value is in part determined by features of the context of
utterance, and hence may vary with that context. Among indexicals are the
personal pronouns, such as ‘I’, ‘you’, ‘he’, ‘she’, and ‘it’; demonstratives,
such as ‘this’ and ‘that’; temporal expressions, such as ‘now’, ‘today’,
‘yesterday’; and locative expressions, such as ‘here’, ‘there’, etc. Although
classical logic ignored indexicality, many recent practitioners, following
Richard Montague, have provided rigorous theories of indexicals in the context
of formal semantics. Perhaps the most plausible and thorough treatment of
indexicals is by David Kaplan, a prominent philosopher of language and logic
whose long-unpublished “Demonstratives” was especially influential; it
eventually appeared in J. Almog, J. Perry, and H. Wettstein, eds., Themes from
Kaplan. Kaplan argues persuasively that indexical singular terms are directly
referential and a species of rigid designator. He also forcefully brings out a
crucial lesson to be learned from indexicals, namely, that there are two types
of meaning, which Kaplan calls “content” and “character.” A sentence containing
an indexical, such as ‘I am hungry’, can be used to say different things in
different contexts, in part because of the different semantic contributions
made by ‘I’ in these contexts. Kaplan calls a term’s contribution to what is
said in a context the term’s content. Though the content of an indexical like
‘I’ varies with its context, it will nevertheless have a single meaning in the
language, which Kaplan calls the indexical’s character. This character may be
conceived as a rule of function that assigns different contents to the
indexical in different contexts.-- indicatum. “oριστική,”
“oristike,”The Roman ‘indicatum’ is a composite of ‘in’ plus ‘dicatum.’ The
Romans were never sure about this. Literally for the Greeks it’s the
‘definitive’‘horistike’ klesis, inclinatio or modus animae affectationem
demonstrans indefinitivusWhile indefinitivus is the transliteration, the Romans
also used ‘finitivus’ ‘finitus,’ and ‘indicativus’ and ‘pronuntiativus’. ‘Grice
distinguishes between the indicative mode and the informational mode. One can
hardly inform oneself. Yet one can utter an utterance in the indicative mode
without it being in what he calls the informational sub-mode. It’s interesting
that Grice thinks he has to distinguish between the ‘informational’ and the
mere ‘indicative.’ Oddly when he sets the goal to which ‘co-operation’ leads,
it’s the informing/being informed, influencing/being influenced. Surely he
could have simplified that by, as he later will, psi-transmission, whatever. So
the emissor INDICATES, even in an imperative utterance, what his will is. All
moves are primarily ‘exhibitive,’ (and the function of the mode is to EXPRESS
the corresponding attitude). Only some moves are ‘protreptic.’ Grice was well
aware, if perhaps not TOO aware, since Austin was so secretive, about Austin on
the ‘perlocution.’ Because Austin wanted to deprieve the act from the cause of
the act. Thus, Austin’s communicative act may have a causal intention, leading
to this or that effectbut that would NOT be part of the philosopher’s interest.
Suppose !p; whether the order is successful and Smith does get a job he is
promised, it hardly matters to Kant, Austin, or Grice. Interestingly,
‘indicatum’ has the same root as ‘dic-‘, to saybut surely you don’t need to say
to indicate, as in Grice’s favourite indicative mood: a hand wave signaling
that the emissor knows the route or is about to leave the emissee.
Dionigi: Roberto Dionigi
(Barletta), filosofo. Docente di Filosofia a Bologna, si è occupato
principalmente di Nietzsche e Wittgenstein.
Dopo la laurea conseguita, soggiornò a più riprese a Parigi,
partecipando al maggio francese. Frutto del suo incontro con Althusser è il suo
primo libro, Gaston Bachelard. La "filosofia" come ostacolo
epistemologico. Tornato in Italia, iniziò ad insegnare filosofia a Bologna.
Centrale, nella sua riflessione, fu il pensiero di Nietzsche (Il doppio
cervello di Nietzsche), analizzato sia in chiave ermeneutica che
logico-filosofica. Degli anni '80 sono anche due articoli su Bataille e un
lucido bilancio del comunismo di Marx ("L'uomo e l'architetto”). Il
processo di ripensamento della sinistra italiana lo vide di nuovo impegnarsi in
prima persona. Si accostò poi alla filosofia analitica e alla svolta
"linguistica", vista come approfondimento della critica della
metafisica. Gli scritti dell'ultimo decennio si concentrano sull'ermeneutica
("Nichilismo ermeneutico”), sulla semantica antica (Nomi Forme Cose. Intorno
al Cratilo di Platone) e soprattutto sul pensiero di Wittgenstein (La fatica di
descrivere. Itinerario di Wittgenstein nel linguaggio della filosofia), del quale
condivideva pienamente l'esigenza di ripensare il linguaggio come la "cosa
stessa" della filosofia. Luisa
Grosso ha diretto Cocktail Dionigi, documentario contenente testimonianze di
alcuni dei maggiori pensatori italiani su Dionigi, tra i quali Franco Berardi,
Stefano Bonaga, Eva Picardi, Umberto Eco, Massimo Cacciari, Giacomo
Marramao. Opere: Gaston Bachelard. La
"filosofia" come ostacolo epistemologico, Il doppio cervello di
Nietzsche, Bologna, Cappelli Editore, Nomi Forme Cose. Intorno al Cratilo di
Platone, La fatica di descrivere. Itinerario di Wittgenstein nel linguaggio
della filosofia, Un filosofo tra Platone e il bar, su ricerca.repubblica.it, Cocktail
Dionigi.
Disertori -- Beppino
Disertori Giuseppe Disertori detto
Beppino (Trento), filosofo. Si trasferisce subito a Innsbruck, dove a soli tre
anni contrae la poliomielite che lo segnerà per tutta la vita. Dopo la prima guerra mondiale rientra a
Trento, dove frequenta il Ginnasio liceo Prati. Si iscrive poi alla Facoltà di
medicina e chirurgia a Firenze e quindi si trasferisce a Genova, dove si laurea
nel 1931 con una tesi di fisiopatologia del sistema nervoso centrale.
Successivamente si trasferisce a Milano e si specializza in neurologia e
psichiatria con Carlo Besta. Torna poi a Trento, dove esercita la libera
professione: la carriera pubblica e ospedaliera gli era preclusa in quanto
privo della tessera del Partito Nazionale Fascista. Nel 1939 sposa Rosita Banfi, dalla quale ha
due figli, Donatella e Marcello.
Antifascista da sempre, negli anni quaranta partecipa attivamente alla
Resistenza, incontrando fra gli altri Egidio Reale, Randolfo Pacciardi, Gigino
Battisti, Egidio Bacchi, Giannantonio Manci. Nel 1943 è costretto a riparare in
Svizzera. Finita la guerra ritorna in Italia e, a Trento, diventa primario nel
reparto di neurologia dell'ospedale Santa Chiara e docente sia di neurologia e
psichiatria all'Padova, sia di sociopsichiatria e criminologia presso la
Facoltà di sociologia dell'Trento. Pubblica
più di 300 contributi in ambito scientifico, letterario e filosofico. Per tutto il secondo dopoguerra si occupa
attivamente di politica, ricoprendo la carica di presidente regionale del
Partito Repubblicano Italiano. Diventa inoltre presidente della Croce Rossa
Italiana. Muore a Trento il 5 maggio 1992.
Opere (elenco parziale) Il libro
della vita, 1947. Trattato delle nevrosi, 1956. De anima, 1959. Trattato di
psichiatria e socio-psichiatria, 1970. Sfida al secolo, 1975. Archivio Il fondo
Giuseppe Disertori, conservato presso la Fondazione Museo storico del Trentino,
a Trento, contiene documentazione dal 1926 al 1990. Il fondo è pervenuto al
Museo storico in Trento con atto di donazione nel luglio 1988; nel 2007 la
proprietà è passata alla Fondazione Museo storico del Trentino. Al momento del
versamento la documentazione si trovava già chiaramente ordinata e organizzata
dal Disertori stesso. L'archivio è stato dichiarato di notevole interesse
storico locale (NISL). Il materiale pervenuto è costituito dall'archivio, da
numerosi periodici e da una biblioteca di circa 5.000 titoli. Il fondo conserva
un ricco carteggio con scienziati, personalità politiche e del mondo della
cultura, documenti sull'attività scientifica e pubblicazioni; cronache e
materiali raccolti durante i viaggi; recensioni alle sue opere e materiali di
ricerche scientifiche. Note Coppola, Passerini, Zandonati. SIUSA.
Fondo Disertori Giuseppe, su SIUSASistema Informativo Unificato per le
Soprintendenze Archivistiche. 16 marzo .
In base alla Legge provinciale 14.02.1992, n. 11, art. 18, con
deliberazione della Giunta Provinciale di Trento, 22 ottobre 1993, n.
14971. G. Coppola, A. Passerini e G.
Zandonati , Un secolo di vita dell'Accademia degli Agiati (1901-2000) , 2, Rovereto, Accademia roveretana degli
Agiati, 2003, 436-439. 16 marzo 18 settembre ). Biblioteca comunale di Trento
(a cura della), Sotto il segno dell'uomo: Beppino Disertori. Atti del convegno
di studio, Trento, Palazzo Geremia, 11 febbraio 1995, Comune di Trento, Trento,
1995. S. Demarchi, Pensiero e opera letteraria di Beppino Disertori, Manfrini,
Calliano (TN), 1993. L. Menapace et al. , Note biografiche e di Beppino Disertori 1907-1987 nell'80º
compleanno, TEMI, Trento, 1987. R. Bacchi et al. , Biografia e di Beppino Disertori nel 70º compleanno, Accademia
del Buonconsiglio, Trento, 1977. Disertori Giuseppe, su SIUSASistema
Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. 16 marzo . Beppino Disertori, su
siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze
Archivistiche.
Dis-factumdis-faccere -- defeasibility. Strawson Wiggins ‘somehwere in the kitchen,’ ‘in one of
the dining-room cupboards’ unless some feature of the context defeats the
implication, there is an implicaturum to the effect that the emissor cannot
make a ‘stronger’ move by Grice’s principle of conversational fortitude (“Be ‘a
fortiori’”). Cf. G. P. Baker on H. L. A.
Hart. All very Oxonian. Cf. R. Hall, Oxonian, on ‘Excluders.’ For Strawson and
Wiggins that a principle holds ‘generally, ceteris paribus, is a condition for
the existence of conversation, or of a good conversation. Defeasibility is a
sign of the freedom of the will. The communicators can always opt out. Not a
salivating dog. Note that defeasibility does not apply just to the implicaturum.
Since probabilistic demonstrate are uncertain, there is an element of
defeasibility in the EXplicatum of a probabilistic utterance. Levinson’s quote,
“Probability, Defeasibility, and Mode Operators.” Defeasibility
-- Grice: “So far as generalizations of these kinds are concerned, it seems to
me that one needs to be able to mark five features: (1) conditionality; (2)
generality; (3) type of generality (absolute, ceteris paribus, etc., thereby,
ipso facto, discriminating with respect to defeasibility or indefeasibility).” -- Baker, “Meaning
and defeasibility”defeaterin Aspects of reason -- defeasibility, a property
that rules, principles, arguments, or bits of reasoning have when they might be
defeated by some competitor. For example, the epistemic principle ‘Objects
normally have the properties they appear to have’ or the normative principle
‘One should not lie’ are defeated, respectively, when perception occurs under
unusual circumstances e.g., under colored lights or when there is some
overriding moral consideration e.g., to prevent murder. Apparently declarative
sentences such as ‘Birds typically fly’ can be taken in part as expressing
defeasible rules: take something’s being a bird as evidence that it flies.
Defeasible arguments and reasoning inherit their defeasibility from the use of
defeasible rules or principles. Recent analyses of defeasibility include
circumscription and default logic, which belong to the broader category of
non-monotonic logic. The rules in several of these formal systems contain
special antecedent conditions and are not truly defeasible since they apply
whenever their conditions are satisfied. Rules and arguments in other
non-monotonic systems justify their conclusions only when they are not defeated
by some other fact, rule, or argument. John Pollock distinguishes between
rebutting and undercutting defeaters. ‘Snow is not normally red’ rebuts in
appropriate circumstances the principle ‘Things that look red normally are
red’, while ‘If the available light is red, do not use the principle that
things that look red normally are red’ only undercuts the embedded rule.
Pollock has influenced most other work on formal systems for defeasible
reasoning.
Defensible: H. P. Grice, “Conceptual analysis and the defensible
province of philosophy.” Grice uses the ‘territorial’ province, and the further
implicaturum is that conceptual analysis as the province of philosophy is a
defensible one. Grice thinks it is.
definitum: Grice: There is the definitum and what Kant called the
infinitum --. Grice lists ‘the’ in his list of communicative devices. He was
interested in the iota operator. After Sluga, he knew there were problems here.
He proposed a quantificational approach alla Whitehead and Russell, indeed a
Whitehead and Russellian expansion in three clauses, with identity, involved.
Why wasn’t Russell not involved with the ‘indefinite’. One would think because
that’s rendered already by (Ex), ‘some (at least one)’. Russell’s interest in definitum is not
philosophical. His background was mathematics, rather --. Grice was obsessed
with ‘aspects’ in verbs. There’s the ‘imperfect’ and the ‘perfect.’ These
translate Aristotle’s ‘teleos’ and ‘ateleos.’ But why the change from “factum”
to “fectum”? So it’s better to turn to ‘definitum,’ and ‘indefinitum, as better
paraphrases of Aristotle’s jargonkeeping in mind we are talking of his ‘teleos’
and ‘ateleos. Aristotle
and telos. In the Met. Y.1048b1835, Aristotle discusses the definition of an
action πϱᾶξις. He distinguishes two kinds of activities: kinêseis ϰινήσεις and
energeiai ἐνέϱγειαι: Only that movement in which the end is present is an
action. E.g., at the same time we are v.ing and have v.n ὁϱᾷ ἅμα, are
understanding and have understood φϱονεῖ, are thinking and have thought noei
kai nenoêken νοεῖ ϰαὶ νενόηϰεν when it is not true that at the same time we are
learning and have learnt ou manthanei kai memathêken οὐ μανθάνει ϰαὶ μεμάθηϰεν,
or are being cured and have been cured oud’ hugiazetai kai hugiastai οὐδ᾿ ὑγιάζεται
ϰαὶ ὑγίασται. At the same time we are living well and have lived well εὖ ζῇ ϰαὶ
εὖ ἔζηϰεν ἅμα, and are happy and have been happy εὐδαιμονεῖ ϰαὶ εὐδαιμόνηϰεν.
Of these processes, then, we must call the one set movements ϰινήσεις, and the
other actualities energeiai ἐνέϱγειαι. We v. that the distinctive properties of
these two categories of verbs are provided by relations of inference and
semantic compatibility between the form of the present and the form of the perfect.
In the case of energeiai, there is a relation of inference between the present
and the perfect, in the sense that when someone says I v. we can infer I have
v.n. There is also a relation of semantic compatibility since one can very well
say I have v.n and continue to v.. Thus the two forms—the present and the
perfect— are verifiable at the same time ἅμα, simultaneously. On the other
hand, in the case of kinêseis, the present and the perfect are not verifiable
at the same time. In fact, when someone says I am building a house, we cannot
infer I have built a house, at least in the sense in which the house is
finished. In addition, once the house is finished, one is no longer
constructing it, which means that there is a semantic incompatibility between the
present and the perfect. τέλος, which means both complete action, that is, end,
and limit in competition with πέϱας, plays a crucial role in this opposition.
In the category of energeiai, we have actions proper, that is, activities that
are complete τέλεια because they have an immanent finality ἐνυπάϱχει τὸ τέλος.
In the category of kinêseis, we have imperfect activities ἀτελείς that do not
carry their own end within themselves but are transitive and aim at realizing
something. Thus activities having an external goal that is at the same time a
limit peras do not carry their own goal telos within themselves; they are
directed toward a goal but this goal is not attained during the activity, but
is realized at the end of the activity.
And history repeated itself, in the same terms, regarding Slavic
languages, with on the one hand the words perfective and imperfective, modeled
on the Roman opposition and imported to describe an opposition in which lexicon
and grammar are truly interwoven since it is a question of categories of verbs,
which determine the whole organization of conjugation, and on the other hand
the Russian words that are used to characterize the same categories of verbs,
and that signify the accomplished and the unaccomplished. In the terminological
imbroglio, we can once again v. the effects of a confusion connected with the
inability to acknowledge the autonomy of lexical aspect, or, in the particular
case of Slavic languages, the difficulty of isoRomang the aspectual dimension
in the general system of the language. Nevertheless, the same questions, that
of the telos and that of accomplishment, are at the foundation of the two
aspectual dimensions. They are even so prominent that, alongside the
heterogeneous inventory from which we began, we also find, and almost
simultaneously in the aspectual tradition, a leveling of all differences in
favor of two categories that are supposed to be the categories par excellence
of grammatical aspect: the perfective on the one hand, and the imperfective on
the other. However, there is also the continuing competition of the perfect,
another tr. of the same word, perfectum, designating a category that is not
exactly the same as that of the perfective, and which is, for its part, always
a grammatical category, never a lexical category: one speaks of perfect to
designate compound tenses in G. ic languages, e. g. , of the type I have
received as opposed to I received, which
corresponds to the idea that the telos is not only achieved, but transcended in
the constitution of a fixed state, given as the result of the completion of the
process. Two, or three, grammatical categories that are the same and not the
same as the two, three, or four lexical categories. It is in the name of these
categories, and literally behind their name, that the aspectual descriptions
succeeded in being applicable to all languages, confRomang all the imperfects
of all languages and also the Eng. progressive and the Russian imperfective,
all the aorists in all languages, and aligning perfects, perfectives, the Eng.
perfect, the G. Perfekt, the Roman
perfectum and the Grecian perfect. The facts are different, but the words, and
the recurrence of a problematics that v.ms invariable, are too strong. Although
it is a matter of conjugations, the lexicon and the relation to ontological
questions are too influential. The word imperfectum
was invented, we v. a hesitation that is precisely the one that causes a
problem here, between imperfectum and infectum a nonachieved finality, an
absence of finality. The important point is that the whole history of aspectual
terminology is constituted by such exchanges. The invention of the words
perfectum and imperfectum itself proceeds from an enterprise of tr., in which
it is a question of taking as a model, or rephrasing, the Grecian grammarians’
opposition between suntelikos συντελιϰός and non-suntelikos. However, the
difference between the two terminologies is noticeable. A supine past
participle, -fectum, has replaced telikos, and hence telos, thereby reintroducing,
if not tense was tense really involved in that past participle?, at least the
achievement of an act, and consequently merges with the question of the
accomplished. In this operation, the Stoics’ opposition between suntelikos
which would thus designate the choice of perfects or imperfects and παϱατατιϰός
the extensive, in which the question of the telos is not involved was made
symmetrical, introducing into aspectual terminology a binariness from which we
have never recovered. And this symmetricalization, which sought to describe the
organization of a conjugation, was then modeled on the distinction introduced
by Aristotle between tτέλειος and aἀτελής, which was not grammatical but
lexical. This resulted in a new confusion that is not without foundation because
it was already implicit in the montage constructed by the Grecian philosophers,
with on the one hand the telos used by Aristotle to differentiate types of
process, and on the other the same telos used by the Stoics to structure
conjugation. exist in G. , is said to be primarily a matter of discursive
construction with the imparfait forming the background of a narration, and the
past tenses forming the foreground of what develops and occurs. More recently,
this area has been dominated by theories that situate aspect in a theory of
discursive representations cf. Kamp’s discourse representation theory, and try
to reduce it to a matter of discursive organization: thus the models currently
most discussed make the imparfait an anaphoric mark that repeats an element of
the context instead of constructing an independent referent. Once again the
relations are inextricably confused: the types of discourse clearly have
particular aspectual properties we have already v.n this in connection with
aoristic utterances that structure both aspect and tense differently, and yet
all or almost all aspectual forms can appear anywhere, in all or almost all
types of discursive contexts. Thus we have foregrounded imparfaits, which have
been recorded and are sometimes called narrative imparfaits— e. g. , in an
utterance like Trois jours après, il mourait Three days later, he was dying,
where it is a question of narrating a prominent event, and where the
distinction between imparfait and passé simple becomes more difficult to evaluate.
We also find passé composés in narratives, where they compete with the passé
simple: that is why many analysts of the language consider the passé simple an
archaic form that is being abandoned in favor of the passé composé. The
difficulty is clear: it is hard to attach a given formal procedure to a given
enunciative structuration, not only because enunciative structures are supposed
to be compatible with several aspectual values, but first of all because the
formal procedures themselves are all, more or less broadly, polysemous, their
value depending precisely on the context and thus on the enunciative structure
in which they are situated. Here again, this is commonplace: polysemy is
everywhere in languages. But in this case it affects aspect: it consists
precisely in running through aspectual oppositions, the very ones that are also
supposed to be associated with some aspectual marker. The case of narrative
uses of the imparfait v.ms to indicate that the imparfait can have different
aspectual values, of which some are more or less apparently perfective. The
narrative passé composés for instance, Il s’est levé et il est sorti He got up
and went out describe the process in its advent and thus do not have the same
aspectual properties as those that appear in utterances describing the state
resulting from the process e.g., Désolé, en ce moment il est sorti Sorry, he
left just now. Not to mention the presents, which are highly polysemous in many
languages and which, depending on the language, therefore occupy a more or less
extensive aspectual terrain. We are obliged to note that aspect is at least
partially independent of formal procedures, that it also plays a role
elsewhere, in particular, in the enunciative configuration. teleology: the objectivum. Grice speaks of the objective as
a maxim. This is very Latinate. So if the maxim is an objective, the goal is
the objective, or objectivum. Meaning "goal, aim" (1881)
is from military term objective point (1852), reflecting a sense evolution
in French. This is an expansion on the
desideratum. Cf. ‘desirable,’ and ‘desirability,’ and ‘end.’ Grice feels like
introducing goal-oriented conceptual machinery. In a later stage of his career
he ensured that this machinery be seen as NOT mechanistically derivable. Which
is odd seeing that in the ‘progression’ of the ‘soul,’ he allows for talk of
adaptiveness and survival which suggest a mechanist explanation. If an agent
has a desideratum that means that, to echo Bennett, A displays a goal-oriented
behaviour, where the goal is the ‘telos.’ Smoke cannot ‘mean’ fire, because
smoke doesn’t really behave in a goal-oriented matter. Grice does play with the
idea of finality in nature, because that would allow him to justify the
objectivity of his system. how does soul originate from matter? Does the
vegetal soul have a telos. Purposive-behaviour is obvious in plants
(phototropism). If it is present in the vegetal soul, it is present in the
animal soul. If it is present in the animal soul, it is present in the rational
soul. With each stage, alla Hartmann, there are distinctions in the
specification of the telos. Grice could be more continental than Scheler!
Grices métier. Unity of science was a very New-World expression that Grice did
not quite buy. Grice was brought up in a world, the Old World, indeed, as he
calls it in his Proem to the Locke lectures, of Snows two cultures. At the time
of Grices philosophising, philosophers such as Winch (who indeed quotes fro
Grice) were contesting the idea that science is unitary, when it comes to the
explanation of rational behaviour. Since a philosophical approach to the
explanation of rational behaviour, including conversational behaviour (to
account for the conversational implicatura) is his priority, Grice needs to
distinguish himself from those who propose a unified science, which Grice
regards as eliminationist and reductionist. Grice is ambivalent about science
and also playful (philosophia regina scientiarum). Grice seems to presuppose,
or implicate, that, since there is the devil of scientism, science cannot get
at teleology. The devil is in the physiological details, which are irrelevant.
The language Grice uses to describe his Ps as goal-oriented, aimed at survival
and reproduction, seems teleological and somewhat scientific, though. But he
means that ironically! As the scholastics use it, teleology is a science, the
science of telos, or finality (cf. Aristotle on telos aitia, causa finalis. The
unity of science is threatened by teleology, and vice versa. Unified science
seeks for a mechanistically derivable teleology. But Grices sympathies lie for
detached finality. Grice is obsessed with the Greek idea of a telos, as
slightly overused by Aristotle. Grice thinks that some actions are for their
own sake. What is the telos of Oscar Wilde? Can we speak of Oscar Wilde’s
métier? If a tiger is to tigerise, a human is to humanise, and a person is to
personise. Grice thought that teleology is a key philosophical way to contest
mechanism, so popular in The New World. Strictly, and Grice knew this,
teleology is constituted as a discipline. One term that Cicero was unable to
translate! For the philosopher, teleology is that part of philosophy that
studies the realm of the telos. Informally, teleological is opposed to
mechanistic. Grice is interested in the mechanism/teleology debate, indeed
jumps into it, with a goal in mind! Grice finds some New-World philosophers too
mechanistic-oriented, in contrast with the more two-culture atmosphere he was
familiar with at Oxford! Code is the Aristotelian, and he and Grice are
especially concerned in the idea of causa finalis. For Grice only detached
finality poses a threat to Mechanism, as it should! Axiological objectivity is
possible only given finality or purpose in Nature, the admissibility of a final
cause. Grice’s
“Definition” of Meaningand CommunicatumOddly, in “Utterer’s meaning and
intentions,” Grice keeps calling his analyses ‘definition,’ and
‘re-definition.’ He is well aware of the trick introduced by Robinson on this.
definiendum plural: definienda, the expression that is defined in a definition.
The expression that gives the definition is the definiens plural: definientia.
In the definition father, male parent, ‘father’ is the definiendum and ‘male
parent’ is the definiens. In the definition ‘A human being is a rational
animal’, ‘human being’ is the definiendum and ‘rational animal’ is the
definiens. Similar terms are used in the case of conceptual analyses, whether
they are meant to provide synonyms or not; ‘definiendum’ for ‘analysandum’ and
‘definiens’ for ‘analysans’. In ‘x knows that p if and only if it is true that
p, x believes that p, and x’s belief that p is properly justified’, ‘x knows
that p’ is the analysandum and ‘it is true that p, x believes that p, and x’s
belief that p is properly justified’ is the analysans. definist, someone who holds that moral terms,
such as ‘right’, and evaluative terms, such as ‘good’ in short, normative terms are definable in non-moral, non-evaluative
i.e., non-normative terms. William Frankena offers a broader account of a
definist as one who holds that ethical terms are definable in non-ethical
terms. This would allow that they are definable in nonethical but evaluative
terms say, ‘right’ in terms of what is
non-morally intrinsically good. Definists who are also naturalists hold that
moral terms can be defined by terms that denote natural properties, i.e.,
properties whose presence or absence can be determined by observational means.
They might define ‘good’ as ‘what conduces to pleasure’. Definists who are not
naturalists will hold that the terms that do the defining do not denote natural
properties, e.g., that ‘right’ means ‘what is commanded by God’. definition, specification of the meaning or,
alternatively, conceptual content, of an expression. For example, ‘period of
fourteen days’ is a definition of ‘fortnight’. Definitions have traditionally
been judged by rules like the following: 1 A definition should not be too
narrow. ‘Unmarried adult male psychiatrist’ is too narrow a definition for
‘bachelor’, for some bachelors are not psychiatrists. ‘Having vertebrae and a
liver’ is too narrow for ‘vertebrate’, for, even though all actual vertebrate
things have vertebrae and a liver, it is possible for a vertebrate thing to
lack a liver. 2 A definition should not be too broad. ‘Unmarried adult’ is too
broad a definition for ‘bachelor’, for not all unmarried adults are bachelors.
‘Featherless biped’ is too broad for ‘human being’, for even though all actual
featherless bipeds are human beings, it is possible for a featherless biped to
be non-human. 3 The defining expression in a definition should ideally exactly
match the degree of vagueness of the expression being defined except in a
precising definition. ‘Adult female’ for ‘woman’ does not violate this rule, but
‘female at least eighteen years old’ for ‘woman’ does. 4 A definition should
not be circular. If ‘desirable’ defines ‘good’ and ‘good’ defines ‘desirable’,
these definitions are circular. Definitions fall into at least the following
kinds: analytical definition: definition whose corresponding biconditional is
analytic or gives an analysis of the definiendum: e.g., ‘female fox’ for
‘vixen’, where the corresponding biconditional ‘For any x, x is a vixen if and
only if x is a female fox’ is analytic; ‘true in all possible worlds’ for
‘necessarily true’, where the corresponding biconditional ‘For any P, P is
necessarily true if and only if P is true in all possible worlds’ gives an
analysis of the definiendum. contextual definition: definition of an expression
as it occurs in a larger expression: e.g., ‘If it is not the case that Q, then
P’ contextually defines ‘unless’ as it occurs in ‘P unless Q’; ‘There is at
least one entity that is F and is identical with any entity that is F’
contextually defines ‘exactly one’ as it occurs in ‘There is exactly one F’.
Recursive definitions see below are an important variety of contextual
definition. Another important application of contextual definition is Russell’s
theory of descriptions, which defines ‘the’ as it occurs in contexts of the
form ‘The so-and-so is such-and-such’. coordinative definition: definition of a
theoretical term by non-theoretical terms: e.g., ‘the forty-millionth part of
the circumference of the earth’ for ‘meter’. definition by genus and species: When
an expression is said to be applicable to some but not all entities of a
certain type and inapplicable to all entities not of that type, the type in
question is the genus, and the subtype of all and only those entities to which
the expression is applicable is the species: e.g., in the definition ‘rational
animal’ for ‘human’, the type animal is the genus and the subtype human is the
species. Each species is distinguished from any other of the same genus by a
property called the differentia. definition in use: specification of how an
expression is used or what it is used to express: e.g., ‘uttered to express
astonishment’ for ‘my goodness’. Vitters emphasized the importance of
definition in use in his use theory of meaning. definition per genus et differentiam:
definition by genus and difference; same as definition by genus and species.
explicit definition: definition that makes it clear that it is a definition and
identifies the expression being defined as such: e.g., ‘Father’ means ‘male
parent’; ‘For any x, x is a father by definition if and only if x is a male
parent’. implicit definition: definition that is not an explicit definition.
lexical definition: definition of the kind commonly thought appropriate for
dictionary definitions of natural language terms, namely, a specification of
their conventional meaning. nominal definition: definition of a noun usually a
common noun, giving its linguistic meaning. Typically it is in terms of
macrosensible characteristics: e.g., ‘yellow malleable metal’ for ‘gold’. Locke
spoke of nominal essence and contrasted it with real essence. ostensive
definition: definition by an example in which the referent is specified by
pointing or showing in some way: e.g., “ ‘Red’ is that color,” where the word
‘that’ is accompanied with a gesture pointing to a patch of colored cloth; “
‘Pain’ means this,” where ‘this’ is accompanied with an insertion of a pin
through the hearer’s skin; “ ‘Kangaroo’ applies to all and only animals like
that,” where ‘that’ is accompanied by pointing to a particular kangaroo.
persuasive definition: definition designed to affect or appeal to the
psychological states of the party to whom the definition is given, so that a
claim will appear more plausible to the party than it is: e.g., ‘self-serving
manipulator’ for ‘politician’, where the claim in question is that all
politicians are immoral. precising definition: definition of a vague expression
intended to reduce its vagueness: e.g., ‘snake longer than half a meter and
shorter than two meters’ for ‘snake of average length’; ‘having assets ten
thousand times the median figure’ for ‘wealthy’. prescriptive definition:
stipulative definition that, in a recommendatory way, gives a new meaning to an
expression with a previously established meaning: e.g., ‘male whose primary
sexual preference is for other males’ for ‘gay’. real definition: specification
of the metaphysically necessary and sufficient condition for being the kind of
thing a noun usually a common noun designates: e.g., ‘element with atomic
number 79’ for ‘gold’. Locke spoke of real essence and contrasted it with
nominal essence. recursive definition also called inductive definition and
definition by recursion: definition in three clauses in which 1 the expression
defined is applied to certain particular items the base clause; 2 a rule is
given for reaching further items to which the expression applies the recursive,
or inductive, clause; and 3 it is stated that the expression applies to nothing
else the closure clause. E.g., ‘John’s parents are John’s ancestors; any parent
of John’s ancestor is John’s ancestor; nothing else is John’s ancestor’. By the
base clause, John’s mother and father are John’s ancestors. Then by the
recursive clause, John’s mother’s parents and John’s father’s parents are
John’s ancestors; so are their parents, and so on. Finally, by the last closure
clause, these people exhaust John’s ancestors. The following defines
multiplication in terms of definition definition 214 214 addition: ‘0 $ n % 0. m ! 1 $ n % m $ n
! n. Nothing else is the result of multiplying integers’. The base clause tells
us, e.g., that 0 $ 4 % 0. The recursive clause tells us, e.g., that 0 ! 1 $ 4 %
0 $ 4 ! 4. We then know that 1 $ 4 % 0 ! 4 % 4. Likewise, e.g., 2 $ 4 % 1 ! 1 $
4 % 1 $ 4 ! 4 % 4 ! 4 % 8. stipulative definition: definition regardless of the
ordinary or usual conceptual content of the expression defined. It postulates a
content, rather than aiming to capture the content already associated with the
expression. Any explicit definition that introduces a new expression into the
language is a stipulative definition: e.g., “For the purpose of our discussion
‘existent’ means ‘perceivable’ “; “By ‘zoobeedoobah’ we shall mean ‘vain
millionaire who is addicted to alcohol’.” synonymous definition: definition of
a word or other linguistic expression by another word synonymous with it: e.g.,
‘buy’ for ‘purchase’; ‘madness’ for ‘insanity’.
Refs.: There are specific essays on
‘teleology,’ ‘final cause,’ and ‘finality,’ the The Grice Papers. Some of the
material published in “Reply to Richards” (repr. in “Conception”) and “Actions
and events,” The H. P. Grice Papers, BANC.
datum: in epistemology,
the “brute fact” element to be found or postulated as a component of perceptual
experience. Some theorists who endorse the existence of a given element in
experience think that we can find this element by careful introspection of what
we experience Moore, H. H. Price. Such theorists generally distinguish between
those components of ordinary perceptual awareness that constitute what we
believe or know about the objects we perceive and those components that we
strictly perceive. For example, if we analyze introspectively what we are aware
of when we see an apple we find that what we believe of the apple is that it is
a three-dimensional object with a soft, white interior; what we see of it,
strictly speaking, is just a red-shaped expanse of one of its facing sides.
This latter is what is “given” in the intended sense. Other theorists treat the
given as postulated rather than introspectively found. For example, some
theorists treat cognition as an activity imposing form on some material given
in conscious experience. On this view, often attributed to Kant, the given and
the conceptual are interdefined and logically inseparable. Sometimes this
interdependence is seen as rendering a description of the given as impossible;
in this case the given is said to be ineffable C. I. Lewis, Mind and the World
Order. On some theories of knowledge foundationalism the first variant of the
given that which is “found” rather than
“postulated” provides the empirical
foundations of what we might know or justifiably believe. Thus, if I believe on
good evidence that there is a red apple in front of me, the evidence is the
non-cognitive part of my perceptual awareness of the red appleshaped expanse.
Epistemologies postulating the first kind of givenness thus require a single
entity-type to explain the sensorial nature of perception and to provide
immediate epistemic foundations for empirical knowledge. This requirement is
now widely regarded as impossible to satisfy; hence Wilfred Sellars describes
the discredited view as the myth of the given.
Degradatum
-- degree:
Grice on the flat/variable distinctionGrice considers that ‘ought’ is weaker
than ‘must’‘ought’ displays ‘degree-acceptability.’ Grice loved a degreehe uses
“d” in aspects of reason -- degree, also called arity, adicity, in formal
languages, a property of predicate and function expressions that determines the
number of terms with which the expression is correctly combined to yield a
well-formed expression. If an expression combines with a single term to form a
wellformed expression, it is of degree one monadic, singulary. Expressions that
combine with two terms are of degree two dyadic, binary, and so on. Expressions
of degree greater than or equal to two are polyadic. The formation rules of a
formalized language must effectively specify the degrees of its primitive
expressions as part of the effective determination of the class of wellformed
formulas. Degree is commonly indicated by an attached superscript consisting of
an Arabic numeral. Formalized languages have been studied that contain
expressions having variable degree or variable adicity and that can thus
combine with any finite number of terms. An abstract relation that would be
appropriate as extension of a predicate expression is subject to the same
terminology, and likewise for function expressions and their associated
functions. -- degree of unsolvability, a
maximal set of equally complex sets of natural numbers, with comparative
complexity of sets of natural numbers construed as recursion-theoretic
reducibility ordering. Recursion theorists investigate various notions of
reducibility between sets of natural numbers, i.e., various ways of filling in
the following schematic definition. For sets A and B of natural numbers: A is
reducible to B iff if and only if there is an algorithm whereby each membership
question about A e.g., ‘17 1 A?’ could be answered allowing consultation of an
definition, contextual degree of unsolvability 215 215 “oracle” that would correctly answer
each membership question about B. This does not presuppose that there is a
“real” oracle for B; the motivating idea is counterfactual: A is reducible to B
iff: if membership questions about B were decidable then membership questions
about A would also be decidable. On the other hand, the mathematical
definitions of notions of reducibility involve no subjunctive conditionals or
other intensional constructions. The notion of reducibility is determined by
constraints on how the algorithm could use the oracle. Imposing no constraints
yields T-reducibility ‘T’ for Turing, the most important and most studied
notion of reducibility. Fixing a notion r of reducibility: A is r-equivalent to
B iff A is r-reducible to B and B is rreducible to A. If r-reducibility is
transitive, r-equivalence is an equivalence relation on the class of sets of
natural numbers, one reflecting a notion of equal complexity for sets of
natural numbers. A degree of unsolvability relative to r an r-degree is an
equivalence class under that equivalence relation, i.e., a maximal class of
sets of natural numbers any two members of which are r-equivalent, i.e., a
maximal class of equally complex in the sense of r-reducibility sets of natural
numbers. The r-reducibility-ordering of sets of natural numbers transfers to
the rdegrees: for d and dH r-degrees, let d m, dH iff for some A 1 d and B 1 dH
A is r-reducible to B. The study of r-degrees is the study of them under this
ordering. The degrees generated by T-reducibility are the Turing degrees.
Without qualification, ‘degree of unsolvability’ means ‘Turing degree’. The
least Tdegree is the set of all recursive i.e., using Church’s thesis, solvable
sets of natural numbers. So the phrase ‘degree of unsolvability’ is slightly
misleading: the least such degree is “solvability.” By effectively coding
functions from natural numbers to natural numbers as sets of natural numbers,
we may think of such a function as belonging to a degree: that of its coding
set. Recursion theorists have extended the notions of reducibility and degree
of unsolvability to other domains, e.g. transfinite ordinals and higher types
taken over the natural numbers.
demonstratum: Cf. illatumIn act of communication, Grice’s focus is on
the reasoning on the emissor’s part. This is end-means. The conversational
moves is the most effectively designed move. The potential uptake by the
emissee is also taken into the consideration by the emissor. And actual uptake
is not of philosophical importance. hen Grice tried to conceptualise what
‘communicating’ and ‘smoke means fire’ have in common he came with the idea of
‘consequentia,’ as a dyadic relation that, eventually, will become triadic,
with the missor and the missee brought into the bargain. “Look that smoke,
there must be fire somewhere’“By that handwave, he meant that he was about to
leave me.” In any case, Grice’s arriving at ‘consequentia’ is exactly Hobbes’s
idea in “Computatio.’ And ‘con-sequentia’ involves a bit of ‘demonstratio.’ One
thing follows the other. One thing YIELDS the other. The link may be causal
(smoke means fire) or ‘communicative’). ‘Rationality’ is one of those words
Austin forbids to use. Grice would venture with ‘reason,’ and better, ‘reasons’
to make it countable, and good for botanising. Only in the New World, and when
he started to get input from non-philosophers, did Grice explore ‘rationality’
itself. Oxonians philosophers take it for granted, and do not have to philosophise
about it. Especially those who belong to Grice’s play group of
‘ordinary-language’ philosophers! Oxonian philosophers will quote from the
Locke version! Obviously, while each of the four lectures credits their own
entry below, it may do to reflect on Grices overall aim. Grice structures the
lectures in the form of a philosophical dialogue with his audience. The
first lecture is intended to provide a bit of linguistic botanising for
reasonable, and rational. In later lectures, Grice tackles reason qua noun.
The remaining lectures are meant to explore what he calls the
Aequi-vocality thesis: must has only one Fregeian that crosses what he calls
the buletic-doxastic divide. He is especially concerned ‒ this being
the Kant lectures ‒ with Kants attempt to reduce the
categorical imperative to a counsel of prudence (Ratschlag der Klugheit), where
Kants prudence is Klugheit, versus skill, as in rule of skill, and even if Kant
defines Klugheit as a skill to attain what is good for oneself ‒
itself divided into privatKlugheit and Weltklugheit. Kant re-introduces the
Aristotelian idea of eudaimonia. While a further lecture on happiness as
the pursuit of a system of ends is NOT strictly part of the either the
Kant or the Locke lectures, it relates, since eudaemonia may be
regarded as the goal involved in the relevant
imperative. “Aspects”, Clarendon, Stanford, The Kant memorial
Lectures, “Aspects,” Clarendon, Some aspects of reason, Stanford; reason,
reasoning, reasons. The lectures were also delivered as the Locke
lectures. Grice is concerned with the reduction of the categorical
imperative to the hypothetical or suppositional imperative. His main
thesis he calls the æqui-vocality thesis: must has one unique or singular
sense, that crosses the buletic-boulomaic/doxastic divide. “Aspects,”
Clarendon, Grice, “Aspects, Clarendon, Locke lecture notes: reason. On
“Aspects”. Including extensive language botany on rational, reasonable, and
indeed reason (justificatory, explanatory, and mixed). At this point,
Grice notes that linguistic botany is indispensable towards the construction of
a more systematic explanatory theory. It is an exploration of a range of
uses of reason that leads him to his Aequi-vocality thesis that must has only
one sense; also ‘Aspects of reason and reasoning,’ in Grice, “Aspects,”
Clarendon, the Locke lectures, the Kant lectures, Stanford, reason, happiness. While
Locke hardly mentions reason, his friend Burthogge does, and profusely! It
was slightly ironic that Grice had delivered these lectures as the Rationalist
Kant lectures at Stanford. He was honoured to be invited to Oxford.
Officially, to be a Locke lecture you have to be *visiting* Oxford. While
Grice was a fellow of St. Johns, he was still most welcome to give his set of
lectures on reasoning at the Sub-Faculty of Philosophy. He quotes very
many authors, including Locke! In his proemium, Grice notes that while he was
rejected the Locke scholarship back in the day, he was extremely happy to be
under Lockes ægis now! When preparing for his second lecture, he had occasion
to revise some earlier drafts dated pretty early, on reasons,
Grice, “Aspects,” Clarendon, reason, reasons. Linguistic analysis on
justificatory, explanatory and mixed uses of reason. While Grice knows
that the basic use of reason is qua verb (reasoner reasons from premise p to
conclusion c), he spends some time in exploring reason as noun. Grice
found it a bit of a roundabout way to approach rationality. However, his
distinction between justificatory and explanatory reason is built upon his
linguistic botany on the use of reason qua noun. Explanatory reason seems
more basic for Grice than justificatory reason. Explanatory reason
explains the behaviour of a rational agent. Grice is aware of Freud and
his rationalizations. An agent may invoke some reason for his acting which
is not legitimate. An agent may convince himself that he wants to move to
Bournemouth because of the weather; when in fact, his reason to move to
Bournemouth is to be closer to Cowes and join the yacht club there. Grice loved
an enthymeme. Grices enthymeme. Grice, the implicit reasoner! As the title of
the lecture implies, Grice takes the verb, to reason, as conceptually prior. A
reasoner reasons, briefly, from a premise to a conclusion. There are types of
reason: flat reason and gradual reason. He famously reports Shropshire, another
tutee with Hardie, and his proof on the immortality of the human soul. Grice
makes some remarks on akrasia as key, too. The first lecture is then dedicated
to an elucidation, and indeed attempt at a conceptual analysis in terms of
intentions and doxastic conditions reasoner R intends that premise P yields
conclusion C and believes his intention will cause his entertaining of the
conclusion from his entertaining the premise. One example of particular
interest for a study of the use of conversational reason in Grice is that of
the connection between implicaturum and reasoning. Grice entitles the
sub-section of the lecture as Too good to be reasoning, which is of course a
joke. Cf. too much love will kill you, and Theres no such thing as too much of
a good thing (Shakespeare, As you like it). Grice notes: I have so far been
considering difficulties which may arise from the attempt to find, for all
cases of actual reasoning, reconstructions of sequences of utterances or
explicit thoughts which the reasoner might plausibly be supposed to think of as
conforming to some set of canonical patterns of inference. Grice then turns to
a different class of examples, with regard to which the problem is not that it
is difficult to know how to connect them with canonical patterns, but rather
that it is only too easy (or shall I say trivial) to make the connection. Like
some children (not many), some cases of reasoning are too well behaved for
their own good. Suppose someone says to Grice, and It is very interesting that
Grice gives conversational examples. Jack has arrived, Grice replies, I
conclude from that that Jack has arrived. Or he says Jack has arrived AND Jill
has *also* arrived, And Grice replies, I conclude that Jill has arrived.(via
Gentzens conjunction-elimination). Or he says, My wife is at home. And Grice
replies, I reason from that that someone (viz. your wife) is at home. Is there
not something very strange about the presence in my three replies of the verb
conclude (in example I and II) and the verb reason (in the third example)?
misleading, but doxastically fine, professor! It is true, of course, that if
instead of my first reply I had said (vii) vii. So Jack has arrived, has he?
the strangeness would have been removed. But here so serves not to indicate
that an inference is being made, but rather as part of a not that otiose way of
expressing surprise. One might just as well have said (viii). viii. Well, fancy
that! Now, having spent a sizeable part of his life exploiting it, Grice is not
unaware of the truly fine distinction between a statements being false (or
axiologically satisfactory), and its being true (or axiologically satisfactory)
but otherwise conversationally or pragmatically misleading or inappropriate or
pointless, and, on that account and by such a fine distinction, a statement, or
an utterance, or conversational move which it would be improper (in terms of
the reasonable/rational principle of conversational helfpulness) in one way or
another, to make. It is worth considering Grices reaction to his own
distinction. Entailment is in sight! But Grice does not find himself lured by
the idea of using that distinction here! Because Moores entailment, rather than
Grices implicaturum is entailed. Or because explicatu, rather than implicaturum
is involved. Suppose, again, that I were to break off the chapter at this
point, and switch suddenly to this argument. ix. I have two hands (here is one
hand and here is another). If had three more hands, I would have five. If I
were to have double that number I would have ten, and if four of them were removed
six would remain. So I would have four more hands than I have now. Is one happy
to describe this performance as reasoning? Depends whos one and whats happy!?
There is, however, little doubt that I have produced a canonically acceptable
chain of statements. So surely that is reasoning, if only conversationally
misleadingly called so. Or suppose that, instead of writing in my customary
free and easy style, I had framed my remarks (or at least the argumentative
portions of my remarks) as a verbal realization, so to speak, of sequences of
steps in strict conformity with the rules of a natural-deduction system of
first-order predicate logic. I give, that is to say, an updated analogue of a
medieval disputation. Implicaturum. Gentzen is Ockham. Would those brave souls
who continued to read be likely to think of my performance as the production of
reasoning, or would they rather think of it as a crazy formalisation of
reasoning conducted at some previous time? Depends on crazy or formalisation.
One is reminded of Grice telling Strawson, If you cannot formalise, dont say
it; Strawson: Oh, no! If I can formalise it, I shant say it! The points
suggested by this stream of rhetorical questions may be summarized as follows.
Whether the samples presented FAIL to achieve the title of reasoning, and thus
be deemed reasoning, or whether the samples achieve the title, as we may
figuratively put it, by the skin of their teeth, perhaps does not very greatly
matter. For whichever way it is, the samples seem to offend against something
(different things in different cases, Im sure) very central to our conception
of reasoning. So central that Moore would call it entailment! A mechanical
application of a ground rule of inference, or a concatenation thereof, is
reluctantly (if at all) called reasoning. Such a mechanical application may
perhaps legitimately enter into (i.e. form individual steps in) authentic
reasonings, but they are not themselves reasonings, nor is a string of them.
There is a demand that a reasoner should be, to a greater or lesser degree, the
author of his reasonings. Parroted sequences are not reasonings when parroted,
though the very same sequences might be reasoning if not parroted. Ped
sequences are another matter. Some of the examples Grice gives are deficient because
they are aimless or pointless. Reasoning is characteristically addressed to
this or that problem: a small problem, a large problem, a problem within a
problem, a clear problem, a hazy problem, a practical problem, an intellectual
problem; but a problem! A mere flow of ideas minimally qualifies (or can be
deemed) as reasoning, even if it happens to be logically respectable. But if it
is directed, or even monitored (with intervention should it go astray, not only
into fallacy or mistake, but also into such things as conversational
irrelevance or otiosity!), that is another matter! Finicky over-elaboration of
intervening steps is frowned upon, and in extreme cases runs the risk of
forfeiting the title of reasoning. In conversation, such over-elaboration will
offend against this or that conversational maxim, against (presumably) some
suitably formulated maxim conjoining informativeness. As Grice noted with
regard to ‘That pillar box seems red to me.’ That would be baffling if the
addressee fails to detect the communication-point. An utterance is supposed to
inform, and what is the above meant to inform its addressee? In thought, it
will be branded as pedantry or neurotic caution. If a distinction between
brooding and conversing is to be made! At first sight, perhaps, one would have
been inclined to say that greater rather than lesser explicitnessness is a
merit. Not that inexplicitness, or implicaturum-status, as it were ‒ is bad,
but that, other things being equal, the more explicitness the better. But now
it looks as if proper explicitness (or explicatum-status) is an Aristotelian
mean, or mesotes, and it would be good some time to enquire what determines
where that mean lies. The burden of the foregoing observations seems to me to
be that the provisional account of reasoning, which has been before us, leaves
out something which is crucially important. What it leaves out is the
conception of reasoning, as I like to see conversation, as a purposive
activity, as something with goals and purposes. The account or picture leaves
out, in short, the connection of reasoning with the will! Moreover, once we
avail ourselves of the great family of additional ideas which the importation
of this conception would give us, we shall be able to deal with the quandary
which I laid before you a few minutes ago. For we could say e.g. that R reasons
(informally) from p to c just in case R thinks that p and intends that, in thinking
c, he should be thinking something which would be the conclusion of a formally
valid argument the premisses of which are a supplementation of p. This will
differ from merely thinking that there exists some formally valid
supplementation of a transition from p to c, which I felt inclined NOT to count
as (or deem) reasoning. I have some hopes that this appeal to the purposiveness
or goal-oriented character of authentic reasoning or good reasoning might be
sufficient to dispose of the quandary on which I have directed it. But I am by
no means entirely confident that this is the case, and so I offer a second
possible method of handling the quandary, one to which I shall return later
when I shall attempt to place it in a larger context. We have available to us
(let us suppose) what I might call a hard way of making inferential moves. We
in fact employ this laborious, step-by-step procedure at least when we are in
difficulties, when the course is not clear, when we have an awkward (or
philosophical) audience, and so forth. An inferential judgement, however, is a
normally desirable undertaking for us only because of its actual or hoped for
destinations, and is therefore not desirable for its own sake (a respect in
which, possibly, it may differ from an inferential capacity). Following the
hard way consumes time and energy. These are in limited supply and it would,
therefore, be desirable if occasions for employing the hard way were minimized.
A substitute for the hard way, the quick way, which is made possible by
habituation and intention, is available to us, and the capacity for it (which
is sometimes called intelligence, and is known to be variable in degree) is a
desirable quality. The possibility of making a good inferential step (there
being one to be made), together with such items as a particular inferers
reputation for inferential ability, may determine whether on a particular
occasion we suppose a particular transition to be inferential (and so to be a
case of reasoning) or not. On this account, it is not essential that there
should be a single supplementation of an informal reasoning which is supposed
to be what is overtly in the inferers mind, though quite often there may be
special reasons for supposing this to be the case. So Botvinnik is properly credited
with a case of reasoning, while Shropshire is not. Drawing from his
recollections of an earlier linguistic botany on reason. Grice distinguishes
between justificatory reason and explanatory reason. There is a special case of
mixed reason, explanatory-cum-justificatory. The lecture can be seen as the way
an exercise that Austin took as taxonomic can lead to explanatory adequacy,
too! Bennett is an excellent correspondent. He holds a very interesting
philosophical correspondence with Hare. This is just one f. with Grices
correspondence with Bennett. Oxford don, Christchurh, NZ-born Bennett, of
Magdalen, B. Phil. Oxon. Bennett has an essay on the interpretation of a formal
system under Austin. It is interesting that Bennett was led to consider the
interpretation of a formal system under Austins Play Group. Bennett attends
Grices seminars. He is my favourite philosopher. Bennett quotes Grice in his
Linguistic behaviour. In return, Grice quotes Bennett in the Preface
toWOW. Bennett has an earlier essay on rationality, which evidences that
the topic is key at Grices Oxford. Bennett has studied better than anyone the
way Locke is Griceian. A word or expression does not just stand for idea, but
for the intention of the utterer to stand for it! Grice also enjoyed construal
by Bennett of Grice as a nominalist. Bennett makes a narrow use of the epithet.
Since Grice does distinguish between an utterance-token (x) and an
utterance-type, and considers that the attribution of meaning from token to
type is metabolic, this makes Grice a nominalist. Bennett is one of the few to
follow Kantotle and make him popular on the pages of the Times Literary
Supplement, of all places. Refs.: The locus classicus is “Aspects,” Clarendon.
But there are allusions on ‘reason’ and ‘rationality, in The H. P. Grice
Papers, BANC.
denotatum -- denotation, the
thing or things that an expression applies to; extension. The term is used in
contrast with ‘meaning’ and ‘connotation’. A pair of expressions may apply to
the same things, i.e., have the same denotation, yet differ in meaning:
‘triangle’, ‘trilateral’; ‘creature with a heart’, ‘creature with a kidney’;
‘bird’, ‘feathered earthling’; ‘present capital of France’, ‘City of Light’. If
a term does not apply to anything, some will call it denotationless, while
others would say that it denotes the empty set. Such terms may differ in
meaning: ‘unicorn’, ‘centaur’, ‘square root of pi’. Expressions may apply to
the same things, yet bring to mind different associations, i.e., have different
connotations: ‘persistent’, ‘stubborn’, ‘pigheaded’; ‘white-collar employee’,
‘office worker’, ‘professional paper-pusher’; ‘Lewis Carroll’, ‘Reverend
Dodgson’. There can be confusion about the denotation-connotation terminology,
because this pair is used to make other contrasts. Sometimes the term
‘connotation’ is used more broadly, so that any difference of either meaning or
association is considered a difference of connotation. Then ‘creature with a
heart’ and ‘creature with a liver’ might be said to denote the same individuals
or sets but to connote different properties. In a second use, denotation is the
semantic value of an expression. Sometimes the denotation of a general term is
said to be a property, rather than the things having the property. This occurs
when the denotation-connotation terminology is used to contrast the property
expressed with the connotation. Thus ‘persistent’ and ‘pig-headed’ might be
said to denote the same property but differ in connotation.
Grice’s
deontic operator“The
deon is like the Roman ‘necesse,’ Grice was aware of Bentham’s play on words
with deontology -- as a Kantian, Griceian is a deontologist. However, he refers
to the ‘sorry story of deontic logic,’ because of von Wright (from whom he
borrowed but to whom he never returned ‘alethic’) deontic logic, the logic of
obligation and permission. There are three principal types of formal deontic
systems. 1 Standard deontic logic, or SDL, results from adding a pair of
monadic deontic operators O and P, read as “it ought to be that” and “it is
permissible that,” respectively, to the classical propositional calculus. SDL
contains the following axioms: tautologies of propositional logic, OA SPA, OA
/OA, OA / B / OA / OB, and OT, where T stands for any tautology. Rules of
inference are modus ponens and substitution. See the survey of SDL by Dagfinn
Follesdal and Risto Hilpinin in R. Hilpinin, ed., Deontic Logic, 1. 2 Dyadic
deontic logic is obtained by adding a pair of dyadic deontic operators O / and P / , to be read as “it ought to be that
. . . , given that . . .” and “it is permissible that . . . , given that . . .
,” respectively. The SDL monadic operator O is defined as OA S OA/T; i.e., a
statement of absolute obligation OA becomes an obligation conditional on
tautologous conditions. A statement of conditional obligation OA/B is true
provided that some value realized at some B-world where A holds is better than
any value realized at any B-world where A does not hold. This axiological
construal of obligation is typically accompanied by these axioms and rules of
inference: tautologies of propositional logic, modus ponens, and substitution,
PA/C SO-A/C, OA & B/C S [OA/C & OB/C], OA/C / PA/C, OT/C / OC/C, OT/C /
OT/B 7 C, [OA/B & OA/C] / OA/B 7 C, [PB/B 7 C & OA/B 7 C] / OA/B, and
[P< is the negation of any tautology. See the comparison of alternative
dyadic systems in Lennart Aqvist, Introduction to Deontic Logic and the Theory
of Normative Systems, 7. 3 Two-sorted deontic logic, due to Castañeda Thinking
and Doing, 5, pivotally distinguishes between propositions, the bearers of
truth-values, and practitions, the contents of commands, imperatives, requests,
and such. Deontic operators apply to practitions, yielding propositions. The
deontic operators Oi, Pi, Wi, and li are read as “it is obligatory i that,” “it
is permissible i that,” “it is wrong i that,” and “it is optional i denotation
deontic logic 219 219 that,”
respectively, where i stands for any of the various types of obligation,
permission, and so on. Let p stand for indicatives, where these express
propositions; let A and B stand for practitives, understood to express
practitions; and allow p* to stand for both indicatives and practitives. For
deontic definition there are PiA SOiA, WiA S OiA, and LiA SOiA &OiA. Axioms
and rules of inference include p*, if p* has the form of a truth-table
tautology, OiA /OiA, O1A / A, where O1 represents overriding obligation, modus
ponens for both indicatives and practitives, and the rule that if p & A1
& . . . & An / B is a theorem, so too is p & OiA1 & . . . &
OiAn / OiB. -- deontic paradoxes, the
paradoxes of deontic logic, which typically arise as follows: a certain set of
English sentences about obligation or permission appears logically consistent,
but when these same sentences are represented in a proposed system of deontic
logic the result is a formally inconsistent set. To illustrate, a formulation
is provided below of how two of these paradoxes beset standard deontic logic.
The contrary-to-duty imperative paradox, made famous by Chisholm Analysis, 3,
arises from juxtaposing two apparent truths: first, some of us sometimes do
what we should not do; and second, when such wrongful doings occur it is
obligatory that the best or a better be made of an unfortunate situation.
Consider this scenario. Art and Bill share an apartment. For no good reason Art
develops a strong animosity toward Bill. One evening Art’s animosity takes
over, and he steals Bill’s valuable lithographs. Art is later found out,
apprehended, and brought before Sue, the duly elected local
punishment-and-awards official. An inquiry reveals that Art is a habitual thief
with a history of unremitting parole violation. In this situation, it seems
that 14 are all true and hence mutually consistent: 1 Art steals from Bill. 2
If Art steals from Bill, Sue ought to punish Art for stealing from Bill. 3 It
is obligatory that if Art does not steal from Bill, Sue does not punish him for
stealing from Bill. 4 Art ought not to steal from Bill. Turning to standard
deontic logic, or SDL, let sstand for ‘Art steals from Bill’ and let p stand
for ‘Sue punishes Art for stealing from Bill’. Then 14 are most naturally
represented in SDL as follows: 1a s. 2a s / Op. 3a O- s /p. 4a Os. Of these, 1a
and 2a entail Op by propositional logic; next, given the SDL axiom OA / B / OA
/ OB, 3a implies Os / Op; but the latter, taken in conjunction with 4a, entails
Op by propositional logic. In the combination of Op, Op, and the axiom OA /OA,
of course, we have a formally inconsistent set. The paradox of the knower,
first presented by Lennart Bqvist Noûs, 7, is generated by these apparent
truths: first, some of us sometimes do what we should not do; and second, there
are those who are obligated to know that such wrongful doings occur. Consider
the following scenario. Jones works as a security guard at a local store. One
evening, while Jones is on duty, Smith, a disgruntled former employee out for
revenge, sets the store on fire just a few yards away from Jones’s work
station. Here it seems that 13 are all true and thus jointly consistent: 1
Smith set the store on fire while Jones was on duty. 2 If Smith set the store
on fire while Jones was on duty, it is obligatory that Jones knows that Smith
set the store on fire. 3 Smith ought not set the store on fire. Independently,
as a consequence of the concept of knowledge, there is the epistemic theorem
that 4 The statement that Jones knows that Smith set the store on fire entails
the statement that Smith set the store on fire. Next, within SDL 1 and 2 surely
appear to imply: 5 It is obligatory that Jones knows that Smith set the store
on fire. But 4 and 5 together yield 6 Smith ought to set the store on fire,
given the SDL theorem that if A / B is a theorem, so is OA / OB. And therein
resides the paradox: not only does 6 appear false, the conjunction of 6 and 3
is formally inconsistent with the SDL axiom OA /OA. The overwhelming verdict
among deontic logicians is that SDL genuinely succumbs to the deontic operator
deontic paradoxes 220 220 deontic
paradoxes. But it is controversial what other approach is best followed to
resolve these puzzles. Two of the most attractive proposals are Castañeda’s
two-sorted system Thinking and Doing, 5, and the agent-and-time relativized
approach of Fred Feldman Philosophical Perspectives, 0.
Grice
on types of priority
-- Grice often uses ‘depend’but not clearly in what sensethere’s ontological
dependence, the basic one. dependence, in philosophy, a relation of one of
three main types: epistemic dependence, or dependence in the order of knowing;
conceptual dependence, or dependence in the order of understanding; and
ontological dependence, or dependence in the order of being. When a relation of
dependence runs in one direction only, we have a relation of priority. For
example, if wholes are ontologically dependent on their parts, but the latter
in turn are not ontologically dependent on the former, one may say that parts
are ontologically prior to wholes. The phrase ‘logical priority’ usually refers
to priority of one of the three varieties to be discussed here. Epistemic
dependence. To say that the facts in some class B are epistemically dependent
on the facts in some other class A is to say this: one cannot know any fact in
B unless one knows some fact in A that serves as one’s evidence for the fact in
B. For example, it might be held that to know any fact about one’s physical
environment e.g., that there is a fire in the stove, one must know as evidence
some facts about the character of one’s own sensory experience e.g., that one
is feeling warm and seeing flames. This would be to maintain that facts about
the physical world are epistemically dependent on facts about sensory
experience. If one held in addition that the dependence is not reciprocal that one can know facts about one’s sensory experience
without knowing as evidence any facts about the physical world one would be maintaining that the former
facts are epistemically prior to the latter facts. Other plausible though
sometimes disputed examples of epistemic priority are the following: facts
about the behavior of others are epistemically prior to facts about their
mental states; facts about observable objects are epistemically prior to facts
about the invisible particles postulated by physics; and singular facts e.g.,
this crow is black are epistemically prior to general facts e.g., all crows are
black. Is there a class of facts on which all others epistemically depend and
that depend on no further facts in turn
a bottom story in the edifice of knowledge? Some foundationalists say
yes, positing a level of basic or foundational facts that are epistemically
prior to all others. Empiricists are usually foundationalists who maintain that
the basic level consists of facts about immediate sensory experience.
Coherentists deny the need for a privileged stratum of facts to ground the
knowledge of all others; in effect, they deny that any facts are epistemically
prior to any others. Instead, all facts are on a par, and each is known in
virtue of the way in which it fits in with all the rest. Sometimes it appears
that two propositions or classes of them each epistemically depend on the other
in a vicious way to know A, you must
first know B, and to know B, you must first know A. Whenever this is genuinely
the case, we are in a skeptical predicament and cannot know either proposition.
For example, Descartes believed that he could not be assured of the reliability
of his own cognitions until he knew that God exists and is not a deceiver; yet
how could he ever come to know anything about God except by relying on his own
cognitions? This is the famous problem of the Cartesian circle. Another example
is the problem of induction as set forth by Hume: to know that induction is a
legitimate mode of inference, one would first have to know that the future will
resemble the past; but since the latter fact is establishable only by
induction, one could know it only if one already knew that induction is
legitimate. Solutions to these problems must show that contrary to first
appearances, there is a way of knowing one of the problematic propositions
independently of the other. Conceptual dependence. To say that B’s are
conceptually dependent on A’s means that to understand what a B is, you must
understand what an A is, or that the concept of a B can be explained or understood
only through the concept of an A. For example, it could plausibly be claimed
that the concept uncle can be understood only in terms of the concept male.
Empiricists typically maintain that we understand what an external thing like a
tree or a table is only by knowing what experiences it would induce in us, so
that the concepts we apply to physical things depend on the concepts we apply
to our experideontological ethics dependence 221 221 ences. They typically also maintain that
this dependence is not reciprocal, so that experiential concepts are
conceptually prior to physical concepts. Some empiricists argue from the thesis
of conceptual priority just cited to the corresponding thesis of epistemic
priority that facts about experiences
are epistemically prior to facts about external objects. Turning the tables,
some foes of empiricism maintain that the conceptual priority is the other way
about: that we can describe and understand what kind of experience we are
undergoing only by specifying what kind of object typically causes it “it’s a
smell like that of pine mulch”. Sometimes they offer this as a reason for
denying that facts about experiences are epistemically prior to facts about
physical objects. Both sides in this dispute assume that a relation of
conceptual priority in one direction excludes a relation of epistemic priority
in the opposite direction. But why couldn’t it be the case both that facts
about experiences are epistemically prior to facts about physical objects and
that concepts of physical objects are conceptually prior to concepts of
experiences? How the various kinds of priority and dependence are connected
e.g., whether conceptual priority implies epistemic priority is a matter in
need of further study. Ontological dependence. To say that entities of one sort
the B’s are ontologically dependent on entities of another sort the A’s means
this: no B can exist unless some A exists; i.e., it is logically or
metaphysically necessary that if any B exists, some A also exists. Ontological
dependence may be either specific the existence of any B depending on the
existence of a particular A or generic the existence of any B depending merely
on the existence of some A or other. If B’s are ontologically dependent on A’s,
but not conversely, we may say that A’s are ontologically prior to B’s. The
traditional notion of substance is often defined in terms of ontological
priority substances can exist without
other things, as Aristotle said, but the others cannot exist without them.
Leibniz believed that composite entities are ontologically dependent on simple
i.e., partless entities that any
composite object exists only because it has certain simple elements that are
arranged in a certain way. Berkeley, J. S. Mill, and other phenomenalists have
believed that physical objects are ontologically dependent on sensory
experiences that the existence of a
table or a tree consists in the occurrence of sensory experiences in certain
orderly patterns. Spinoza believed that all finite beings are ontologically
dependent on God and that God is ontologically dependent on nothing further;
thus God, being ontologically prior to everything else, is in Spinoza’s view
the only substance. Sometimes there are disputes about the direction in which a
relationship of ontological priority runs. Some philosophers hold that
extensionless points are prior to extended solids, others that solids are prior
to points; some say that things are prior to events, others that events are
prior to things. In the face of such disagreement, still other philosophers
such as Goodman have suggested that nothing is inherently or absolutely prior
to anything else: A’s may be prior to B’s in one conceptual scheme, B’s to A’s
in another, and there may be no saying which scheme is correct. Whether relationships
of priority hold absolutely or only relative to conceptual schemes is one issue
dividing realists and anti-realists.
de re: as opposed to de dicto, of what is said or of the
proposition, as opposed to de re, of the thing. Many philosophers believe the
following ambiguous, depending on whether they are interpreted de dicto or de
re: 1 It is possible that the number of U.S. states is even. 2 Galileo believes
that the earth moves. Assume for illustrative purposes that there are
propositions and properties. If 1 is interpreted as de dicto, it asserts that
the proposition that the number of U.S. states is even is a possible truth something true, since there are in fact fifty
states. If 1 is interpreted as de re, it asserts that the actual number of
states fifty has the property of being possibly even something essentialism takes to be true.
Similarly for 2; it may mean that Galileo’s belief has a certain content that the earth moves or that Galileo believes, of the earth, that
it moves. More recently, largely due to Castañeda and John Perry, many
philosophers have come to believe in de se “of oneself” ascriptions, distinct
from de dicto and de re. Suppose, while drinking with others, I notice that
someone is spilling beer. Later I come to realize that it is I. I believed at
the outset that someone was spilling beer, but didn’t believe that I was. Once
I did, I straightened my glass. The distinction between de se and de dicto
attributions is supposed to be supported by the fact that while de dicto
propositions must be either true or false, there is no true proposition
embeddable within ‘I believe that . . .’ that correctly ascribes to me the
belief that I myself am spilling beer. The sentence ‘I am spilling beer’ will
not do, because it employs an “essential” indexical, ‘I’. Were I, e.g., to
designate myself other than by using ‘I’ in attributing the relevant belief to
myself, there would be no explanation of my straightening my glass. Even if I
believed de re that LePore is spilling beer, this still does not account for
why I lift my glass. For I might not know I am LePore. On the basis of such
data, some philosophers infer that de se attributions are irreducible to de re
or de dicto attributions. Internal-external
distinctionde re -- externalism, the view that there are objective reasons for
action that are not dependent on the agent’s desires, and in that sense
external to the agent. Internalism about reasons is the view that reasons for
action must be internal in the sense that they are grounded in motivational
facts about the agent, e.g. her desires and goals. Classic internalists such as
Hume deny that there are objective reasons for action. For instance, whether
the fact that an action would promote health is a reason to do it depends on
whether one has a desire to be healthy. It may be a reason for some and not for
others. The doctrine is hence a version of relativism; a fact is a reason only
insofar as it is so connected to an agent’s psychological states that it can
motivate the agent. By contrast, externalists hold that not all reasons depend
on the internal states of particular agents. Thus an externalist could hold
that promoting health is objectively good and that the fact that an action
would promote one’s health is a reason to perform it regardless of whether one
desires health. This dispute is closely tied to the debate over motivational
internalism, which may be conceived as the view that moral beliefs for instance
are, by virtue of entailing motivation, internal reasons for action. Those who
reject motivational internalism must either deny that expressive completeness
externalism 300 300 sound moral beliefs
always provide reasons for action or hold that they provide external reasons.
DE-VOLVTVM
-- In-volutum, ex-volutumde-volutum -- The involutum/evolutum distinction, the:
evolutum:
evolutionary Grice -- Darwinism, the view that biological species evolve
primarily by means of chance variation and natural selection. Although several
important scientists prior to Charles Darwin 180982 had suggested that species
evolve and had provided mechanisms for that evolution, Darwin was the first to
set out his mechanism in sufficient detail and provide adequate empirical
grounding. Even though Darwin preferred to talk about descent with modification,
the term that rapidly came to characterize his theory was evolution. According
to Darwin, organisms vary with respect to their characteristics. In a litter of
puppies, some will be bigger, some will have longer hair, some will be more
resistant to disease, etc. Darwin termed these variations chance, not because
he thought that they were in any sense “uncaused,” but to reject any general
correlation between the variations that an organism might need and those it
gets, as Lamarck had proposed. Instead, successive generations of organisms
become adapted to their environments in a more roundabout way. Variations occur
in all directions. The organisms that happen to possess the characteristics
necessary to survive and reproduce proliferate. Those that do not either die or
leave fewer offspring. Before Darwin, an adaptation was any trait that fits an
organism to its environment. After Darwin, the term came to be limited to just
those useful traits that arose through natural selection. For example, the sutures
in the skulls of mammals make parturition easier, but they are not adaptations
in an evolutionary sense because Danto, Arthur Coleman Darwinism 204 204 they arose in ancestors that did not
give birth to live young, as is indicated by these same sutures appearing in
the skulls of egg-laying birds. Because organisms are integrated systems,
Darwin thought that adaptations had to arise through the accumulation of
numerous, small variations. As a result, evolution is gradual. Darwin himself
was unsure about how progressive biological evolution is. Organisms certainly
become better adapted to their environments through successive generations, but
as fast as organisms adapt to their environments, their environments are likely
to change. Thus, Darwinian evolution may be goal-directed, but different
species pursue different goals, and these goals keep changing. Because heredity
was so important to his theory of evolution, Darwin supplemented it with a
theory of heredity pangenesis. According
to this theory, the cells throughout the body of an organism produce numerous
tiny gemmules that find their way to the reproductive organs of the organism to
be transmitted in reproduction. An offspring receives variable numbers of
gemmules from each of its parents for each of its characteristics. For
instance, the male parent might contribute 214 gemmules for length of hair to
one offspring, 121 to another, etc., while the female parent might contribute
54 gemmules for length of hair to the first offspring and 89 to the second. As
a result, characters tend to blend. Darwin even thought that gemmules
themselves might merge, but he did not think that the merging of gemmules was
an important factor in the blending of characters. Numerous objections were
raised to Darwin’s theory in his day, and one of the most telling stemmed from
his adopting a blending theory of inheritance. As fast as natural selection
biases evolution in a particular direction, blending inheritance neutralizes
its effects. Darwin’s opponents argued that each species had its own range of
variation. Natural selection might bias the organisms belonging to a species in
a particular direction, but as a species approached its limits of variation,
additional change would become more difficult. Some special mechanism was
needed to leap over the deep, though possibly narrow, chasms that separate
species. Because a belief in biological evolution became widespread within a
decade or so after the publication of Darwin’s Origin of Species in 1859, the
tendency is to think that it was Darwin’s view of evolution that became
popular. Nothing could be further from the truth. Darwin’s contemporaries found
his theory too materialistic and haphazard because no supernatural or
teleological force influenced evolutionary development. Darwin’s contemporaries
were willing to accept evolution, but not the sort advocated by Darwin.
Although Darwin viewed the evolution of species on the model of individual
development, he did not think that it was directed by some internal force or
induced in a Lamarckian fashion by the environment. Most Darwinians adopted
just such a position. They also argued that species arise in the space of a
single generation so that the boundaries between species remained as discrete
as the creationists had maintained. Ideal morphologists even eliminated any
genuine temporal dimension to evolution. Instead they viewed the evolution of
species in the same atemporal way that mathematicians view the transformation
of an ellipse into a circle. The revolution that Darwin instigated was in most
respects non-Darwinian. By the turn of the century, Darwinism had gone into a
decided eclipse. Darwin himself remained fairly open with respect to the
mechanisms of evolution. For example, he was willing to accept a minor role for
Lamarckian forms of inheritance, and he acknowledged that on occasion a new
species might arise quite rapidly on the model of the Ancon sheep. Several of
his followers were less flexible, rejecting all forms of Lamarckian inheritance
and insisting that evolutionary change is always gradual. Eventually Darwinism
became identified with the views of these neo-Darwinians. Thus, when Mendelian
genetics burst on the scene at the turn of the century, opponents of Darwinism
interpreted this new particulate theory of inheritance as being incompatible
with Darwin’s blending theory. The difference between Darwin’s theory of
pangenesis and Mendelian genetics, however, did not concern the existence of
hereditary particles. Gemmules were as particulate as genes. The difference lay
in numbers. According to early Mendelians, each character is controlled by a
single pair of genes. Instead of receiving a variable number of gemmules from
each parent for each character, each offspring gets a single gene from each
parent, and these genes do not in any sense blend with each other. Blue eyes
remain as blue as ever from generation to generation, even when the gene for
blue eyes resides opposite the gene for brown eyes. As the nature of heredity
was gradually worked out, biologists began to realize that a Darwinian view of
evolution could be combined with Mendelian genetics. Initially, the founders of
this later stage in the development of neoDarwinism exhibited considerable
variation in Darwinism Darwinism 205
205 their beliefs about the evolutionary process, but as they strove to
produce a single, synthetic theory, they tended to become more Darwinian than
Darwin had been. Although they acknowledged that other factors, such as the
effects of small numbers, might influence evolution, they emphasized that
natural selection is the sole directive force in evolution. It alone could
explain the complex adaptations exhibited by organisms. New species might arise
through the isolation of a few founder organisms, but from a populational
perspective, evolution was still gradual. New species do not arise in the space
of a single generation by means of “hopeful monsters” or any other
developmental means. Nor was evolution in any sense directional or progressive.
Certain lineages might become more complex for a while, but at this same time,
others would become simpler. Because biological evolution is so opportunistic,
the tree of life is highly irregular. But the united front presented by the
neo-Darwinians was in part an illusion. Differences of opinion persisted, for
instance over how heterogeneous species should be. No sooner did neo-Darwinism
become the dominant view among evolutionary biologists than voices of dissent
were raised. Currently, almost every aspect of the neo-Darwinian paradigm is
being challenged. No one proposes to reject naturalism, but those who view
themselves as opponents of neo-Darwinism urge more important roles for factors
treated as only minor by the neo-Darwinians. For example, neoDarwinians view
selection as being extremely sharp-sighted. Any inferior organism, no matter
how slightly inferior, is sure to be eliminated. Nearly all variations are
deleterious. Currently evolutionists, even those who consider themselves
Darwinians, acknowledge that a high percentage of changes at the molecular
level may be neutral with respect to survival or reproduction. On current
estimates, over 95 percent of an organism’s genes may have no function at all.
Disagreement also exists about the level of organization at which selection can
operate. Some evolutionary biologists insist that selection occurs primarily at
the level of single genes, while others think that it can have effects at
higher levels of organization, certainly at the organismic level, possibly at
the level of entire species. Some biologists emphasize the effects of
developmental constraints on the evolutionary process, while others have
discovered unexpected mechanisms such as molecular drive. How much of this
conceptual variation will become incorporated into Darwinism remains to be
seen. Evolutionary griceianism --
evolutionary epistemology, a theory of knowledge inspired by and derived from
the fact and processes of organic evolution the term was coined by the social
psychologist Donald Campbell. Most evolutionary epistemologists subscribe to
the theory of evolution through natural selection, as presented by Darwin in
the Origin of Species 1859. However, one does find variants, especially one
based on some kind of neoLamarckism, where the inheritance of acquired
characters is central Spencer endorsed this view and another based on some kind
of jerky or “saltationary” evolutionism Thomas Kuhn, at the end of The
Structure of Scientific Revolutions, accepts this idea. There are two
approaches to evolutionary epistemology. First, one can think of the
transformation of organisms and the processes driving such change as an analogy
for the growth of knowledge, particularly scientific knowledge. “Darwin’s
bulldog,” T. H. Huxley, was one of the first to propose this idea. He argued
that just as between organisms we have a struggle for existence, leading to the
selection of the fittest, so between scientific ideas we have a struggle
leading to a selection of the fittest. Notable exponents of this view today
include Stephen Toulmin, who has worked through the analogy in some detail, and
David Hull, who brings a sensitive sociological perspective to bear on the
position. Karl Popper identifies with this form of evolutionary epistemology,
arguing that the selection of ideas is his view of science as bold conjecture
and rigorous attempt at refutation by another name. The problem with this
analogical type of evolutionary epistemology lies in the disanalogy between the
raw variants of biology mutations, which are random, and the raw variants of
science new hypotheses, which are very rarely random. This difference probably
accounts for the fact that whereas Darwinian evolution is not genuinely
progressive, science is or seems to be the paradigm of a progressive
enterprise. Because of this problem, a second set of epistemologists inspired
by evolution insist that one must take the biology literally. This evidence of
the senses evolutionary epistemology 294
294 group, which includes Darwin, who speculated in this way even in his
earliest notebooks, claims that evolution predisposes us to think in certain
fixed adaptive patterns. The laws of logic, e.g., as well as mathematics and
the methodological dictates of science, have their foundations in the fact that
those of our would-be ancestors who took them seriously survived and
reproduced, and those that did not did not. No one claims that we have innate
knowledge of the kind demolished by Locke. Rather, our thinking is channeled in
certain directions by our biology. In an update of the biogenetic law, therefore,
one might say that whereas a claim like 5 ! 7 % 12 is phylogenetically a
posteriori, it is ontogenetically a priori. A major division in this school is
between the continental evolutionists, most notably the late Konrad Lorenz, and
the Anglo-Saxon supporters, e.g. Michael Ruse. The former think that their
evolutionary epistemology simply updates the critical philosophy of Kant, and
that biology both explains the necessity of the synthetic a priori and makes
reasonable belief in the thing-in-itself. The latter deny that one can ever get
that necessity, certainly not from biology, or that evolution makes reasonable
a belief in an objectively real world, independent of our knowing.
Historically, these epistemologists look to Hume and in some respects to the pragmatists, especially William James. Today,
they acknowledge a strong family resemblance to such naturalized
epistemologists as Quine, who has endorsed a kind of evolutionary epistemology.
Critics of this position, e.g. Philip Kitcher, usually strike at what they see
as the soft scientific underbelly. They argue that the belief that the mind is
constructed according to various innate adaptive channels is without warrant.
It is but one more manifestation of today’s Darwinians illicitly seeing adaptation
everywhere. It is better and more reasonable to think knowledge is rooted in
culture, if it is person-dependent at all. A mark of a good philosophy, like a
good science, is that it opens up new avenues for research. Although
evolutionary epistemology is not favored by conventional philosophers, who
sneer at the crudities of its frequently nonphilosophically trained
proselytizers, its supporters feel convinced that they are contributing to a
forward-moving philosophical research program. As evolutionists, they are used
to things taking time to succeed. -- evolutionary psychology, the subfield of
psychology that explains human behavior and cultural arrangements by employing
evolutionary biology and cognitive psychology to discover, catalog, and analyze
psychological mechanisms. Human minds allegedly possess many innate,
special-purpose, domain-specific psychological mechanisms modules whose
development requires minimal input and whose operations are context-sensitive,
mostly automatic, and independent of one another and of general intelligence.
Disagreements persist about the functional isolation and innateness of these
modules. Some evolutionary psychologists compare the mind with its specialized modules to a Swiss army knife. Different modules
substantially constrain behavior and cognition associated with language,
sociality, face recognition, and so on. Evolutionary psychologists emphasize
that psychological phenomena reflect the influence of biological evolution.
These modules and associated behavior patterns assumed their forms during the
Pleistocene. An evolutionary perspective identifies adaptive problems and
features of the Pleistocene environment that constrained possible solutions.
Adaptive problems often have cognitive dimensions. For example, an evolutionary
imperative to aid kin presumes the ability to detect kin. Evolutionary
psychologists propose models to meet the requisite cognitive demands. Plausible
models should produce adaptive behaviors and avoid maladaptive ones e.g., generating too many false positives
when identifying kin. Experimental psychological evidence and social scientific
field observations aid assessment of these proposals. These modules have
changed little. Modern humans manage with primitive hunter-gatherers’ cognitive
equipment amid the rapid cultural change that equipment produces. The pace of
that change outstrips the ability of biological evolution to keep up.
Evolutionary psychologists hold, consequently, that: 1 contrary to
sociobiology, which appeals to biological evolution directly, exclusively
evolutionary explanations of human behavior will not suffice; 2 contrary to
theories of cultural evolution, which appeal to biological evolution
analogically, it is at least possible that no cultural arrangement has ever
been adaptive; and 3 contrary to social scientists, who appeal to some general
conception of learning or socialization to explain cultural transmission,
specialized psychological evolutionary ethics evolutionary psychology 295 295 mechanisms contribute substantially to
that process.
descriptum: Grice: “The root
script provides many niceties in Roman: inscriptum, descriptum, prescriptum,
subscriptum, … -- descriptivism, the thesis that the meaning of any evaluative
statement is purely descriptive or factual, i.e., determined, apart from its
syntactical features, entirely by its truth conditions. Nondescriptivism of
which emotivism and prescriptivism are the main varieties is the view that the
meaning of full-blooded evaluative statements is such that they necessarily
express the speaker’s sentiments or commitments. Nonnaturalism, naturalism, and
supernaturalism are descriptivist views about the nature of the properties to
which the meaning rules refer. Descriptivism is related to cognitivism and
moral realism. Discussed at large by
Grice just because his tuteeF. Strawson, showed an interst in it. theory of
descriptions, an analysis, initially developed by Peano, and borrowed from (but
never returned to) Peano by Russell, of sentences containing descriptions. In Peano’s
view, it’s about the ‘article,’ definite (‘the’) and ‘indefinite’ (‘some (at
least one).’ Descriptions include indefinite descriptions such as ‘an elephant’
and definite descriptions such as ‘the positive square root of four’. On
Russell’s analysis, descriptions are “incomplete symbols” that are meaningful
only in the context of other symbols, i.e., only in the context of the
sentences containing them. Although the words ‘the first president of the
United States’ appear to constitute a singular term that picks out a particular
individual, much as the name ‘George Washington’ does, Russell held that
descriptions are not referring expressions, and that they are “analyzed out” in
a proper specification of the logical form of the sentences in which they occur.
The grammatical form of ‘The first president of the United States is tall’ is
simply misleading as to its logical form. According to Russell’s analysis of
indefinite descriptions, the sentence ‘I saw a man’ asserts that there is at
least one thing that is a man, and I saw that thing symbolically, Ex Mx & Sx. The role of the
apparent singular term ‘a man’ is taken over by the existential quantifier ‘Ex’
and the variables it binds, and the apparent singular term disappears on
analysis. A sentence containing a definite description, such as ‘The present
king of France is bald’, is taken to make three claims: that at least one thing
is a present king of France, that at most one thing is a present king of
France, and that that thing is bald
symbolically, Ex {[Fx & y Fy / y % x] & Bx}. Again, the apparent
referring expression ‘the present king of France’ is analyzed away, with its
role carried out by the quantifiers and variables in the symbolic
representation of the logical form of the sentence in which it occurs. No
element in that representation is a singular referring expression. Russell held
that this analysis solves at least three difficult puzzles posed by
descriptions. The first is how it could be true that George IV wished to know
whether Scott was the author of Waverly, but false that George IV wished to
know whether Scott was Scott. Since Scott is the author of Waverly, we should
apparently be able to substitute ‘Scott’ for ‘the author of Waverly’ and infer
the second sentence from the first, but we cannot. On Russell’s analysis,
‘George IV wished to know whether Scott was the author of Waverly’ does not,
when properly understood, contain an expression ‘the author of Waverly’ for
which the name ‘Scott’ can be substituted. The second puzzle concerns the law
of excluded middle, which rules that either ‘The present king of France is
bald’ or ‘The present king of France is not bald’ must be true; the problem is
that neither the list of bald men nor that of non-bald men contains an entry
for the present king of France. Russell’s solution is that ‘The present king of
France is not bald’ is indeed true if it is understood as ‘It is not the case
that there is exactly one thing that is now King of France and is bald’, i.e.,
as -Ex {Fx & y {[Fy / y % x] & Bx}. The final puzzle is how ‘There is
no present king of France’ or ‘The present king of France does not exist’ can
be true if ‘the present king of France’
is a referring expression that picks out something, how can we truly deny that
that thing exists? Since descriptions are not referring expressions on
Russell’s theory, it is easy for him to show that the negation of the claim
that there is at least and at most i.e., exactly one present king of France,
-Ex [Fx & y Fy / y % x], is true. Strawson offered the first real challenge
to Russell’s theory, arguing that ‘The present king of France is bald’ does not
entail but instead presupposes ‘There is a present king of France’, so that the
former is not falsified by the falsity of the latter, but is instead deprived
of a truth-value. Strawson argued for the natural view that definite
descriptions are indeed referring expressions, used to single something out for
predication. More recently, Keith Donnellan argued that both Russell and
Strawson ignored the fact that definite descriptions have two uses. Used
attributively, a definite description is intended to say something about
whatever it is true of, and when a sentence is so used it conforms to Russell’s
analysis. Used referentially, a definite description is intended to single
something out, but may not correctly describe it. For example, seeing an
inebriated man in a policeman’s uniform, one might say, “The cop on the corner
is drunk!” Donnellan would say that even if the person were a drunken actor
dressed as a policeman, the speaker would have referred to him and truly said
of him that he was drunk. If it is for some reason crucial that the description
be correct, as it might be if one said, “The cop on the corner has the
authority to issue speeding tickets,” the use is attributive; and because ‘the
cop on the corner’ does not describe anyone correctly, no one has been said to
have the authority to issue speeding tickets. Donnellan criticized Russell for
overlooking referential uses of theory of descriptions theory of descriptions
914 914 descriptions, and Strawson for
both failing to acknowledge attributive uses and maintaining that with
referential uses one can refer to something with a definite description only if
the description is true of it. Discussion of Strawson’s and Donnellan’s
criticisms is ongoing, and has provoked very useful work in both semantics and
speech act theory, and on the distinctions between semantics and pragmatics and
between semantic reference and speaker’s reference, among others. .
de sensu implicaturum: vide casus obliquus. The casus rectus/casus obliquus
distinction. Peter Abelard, Kneale, Grice, Aristotle. Aquinas. de sensu implicaturum.
Ariskantian quessertions on de sensu implicate. “My sometimes mischievous friend Richard Grandy once
said, in connection with some other occasion on which I was talking, that to
represent my remarks, it would be necessary to introduce a new form of
speech act, or a new operator, which was to be called the operator of
quessertion. It is to be read as “It is perhaps possible that someone might
assert that . . .” and is to be symbolized “?├”; possibly it
might even be iterable […]. Everything I shall
suggest here is highly quessertable.” Grice 1989:297. If Grice had one thing, he had linguistic creativity.
Witness his ‘implicaturum,’ and his ‘implicaturum,’ not to mention his
‘pirotologia.’Sometime, somewhere, in the history of philosophy, a need was
felt by some Griceian philosopher, surely, for numbering intentions. The verb,
denoting the activity, out of which this ‘intention’ sprang was Latin
‘intendere,’ and somewhere, sometime, the need was felt to keep the Latinate
/t/ sound, and sometimes to make it sibilate, /s/. The source of it all seems to be Aristotle in
Soph.
Elen., 166a24–166a30, which was rendered twice om Grecian to Latin. In the
second Latinisation, ‘de sensu’ comes into view. Abelard proposes to use ‘de
rebus,’ or ‘de re,’ for what the previous translation had as ‘per divisionem.’
To make the distinction, he also proposes to use ‘de sensu’ for what the
previous translation has as ‘per compositionem,’ and ‘per conjunctionem.’ But
what did either mean? It was a subtle question, indeed. And trust Nicolai
Hartmann, in his mediaevalist revival, to add numbers and a further
distinction, now the ‘recte/’oblique’ distinction, and ‘intentio’ being
‘prima,’ ‘seconda,’ ‘tertia,’ and so on, ad infinitum. The proposal is clear.
We need a way to conceptualise first-order propositions. But we also need to
conceptualise ‘that’-clauses. The ‘that’-clause subordination is indeed
open-ended. ‘mean.’ Grice’s motivation in the presentation at the Oxford
Philosophical Society is to offer, as he calls it, a ‘proposal.’ In his words,
notice the emphasis on the Latinate ‘intend,’where it occurs, as applied to an
emissor, and as having as content, following that ‘that’-clause, an
‘intensional’ verb like ‘believe,’ which again, involves an ‘intentio tertia,’
now referring to a state back in the emissor expressed by yet another
intensional verball long for, ‘you communicate that p if you want your
addressee to realise that you hold this or that propositional attitude with
content p.’ "A meantNN something by x" is
(roughly) equivalent to "A intended the utterance of x to produce some
effect in an audience by means of the recognition of this intention"; and
we may add that to ask what A meant is to ask for a specification of the
intended effect (though, of course, it may not always be possible to get a
straight answer involving a "that" clause, for example, "a
belief that . . ."). (Grice 1989: 220). Grice’s motivation is to ‘reduce’ “mean”
to what has come to be known in the Griceian [sic] literature as a ‘Griceian’
[sic] ‘reflexive’ intentionhe prefers M-intention -- which we will read as
involving an intentio seconda, and indeed intentio tertia, and beyond, which
makes its appearance explicitly in the second clause -- or ‘prong,’ as he’d
prefer -- of his ‘reductive’ analysis. Prong 1 then corresponds to the
intention prima or intention recta: Utterer U intends1 that Addressee
A believes that Utterer U holds psychological state or attitude ψ with content
“p.” Prong 2 corresponds to the intentio seconda or
intentio obliqua: Utterer
U intends2 that Addressee A believes (i) on the ‘rational,’ and not
just ‘causal,’ basis of (ii), i.e. of the addressee A’s recognition of the
utterer U’s intentio seconda or intentio obliqua i2, that Addressee
A comes to believe that Utterer U holds psychological state or attitude ψ with
content “p.” In Grice’s wording, “i2” acts as a ‘reason,’ and not
merely a ‘cause’ for Addressee A’s coming to believe that U holds psychological
state or attitude ψ with content “p”. Kemmerling has used “↝” to represent this
‘reason’ (i1 ↝ i2,
Kemmerling in Grandy/Warner, 1986, cf. Petrus in Petrus ). Prong 3 is a closure
prong, now involving a self-reflective third-order intention, there is no
‘covert’ higher-order intention involved in (i)-(iii). Meaning-constitutive intentions
in utterer u’s meaning that p should be out there ‘in the open,’ or ‘above
board,’ to count as having been ‘communicated.Grice quotes only one author in
‘Meaning’: C. L. Stevenson, who started his career with a degree in English
from Yale. Willing to allow a ‘metabolical’ use of ‘mean’ he recognises, he
scare quotes it: “There is a sense, to be sure,
in which a groan “means“ something, just a reduced temperature may at times
”mean” convalescence.” Stevenson 1944:38). This remark will have Grice later
attempting an ‘evolutionary’ model of how an ‘x’ causing ‘y’ may proceed from
‘natural’ to less natural ones. Consider ‘is in pain.’ A creature is physically
hurt, and the expression of pain comes up naturally as an effect. But if the
creature attains rational control over his expressive behaviour, and the
creature is in pain (or expects his addressee A to think that he is in pain), U
can now imitate or replicate, in a something like a Peirceian iconic mode, the
natural behaviour manifested by a spontaneous response to a hurtful stimulus.
The ‘simulated’ pain will be an ‘icon’ of the natural pain. Grice is getting
Peirceian by the day, and he is not telling us! There are, Grice says, as if to
simplify Peirce the most he can, two modes of representation. The primary one
is now the explicitly Peirceian iconic one. The ‘risus naturaliter significat
interiorem laetitiam’ of Occam. And then, there’s the derivative *non*-iconic
representation, in that order. The first is, shall we say, ‘natural,’ and
beyond the utterer U’s voluntary control (cf. Darwin on the expression of
emotions in man and animals); the second is not. Grice is allowing for smoke
representing fire, or if one must, alla Stevenson, ‘representing’ it. In
Grice’s motivation to along the right lines, his psychologist austere views of
his 1948 ‘Meaning,’ when he rather artificially disjoins a ‘natural’ “mean” and
an ‘artificial’ “mean,” when merely different ‘uses’ stand for what he then
thought were senses, he wants now to re-introduce into philosophical discourse
the iconic natural representation or meaning that he had left aside.If this is
part of what he calls a ‘myth,’ even if an evolutionary one, to account for the
emergence of ‘systems of communication,’ it does starts with an utterer U expressing
(very much alla Croce or Marty) a psychological state or attitude ψ by
displaying some behavioural pattern in an unintentional way. Grice is being
Wittgensteinian here, and quotes almost verbatim from Anscombe’s rendition, “No
psychological concept except when backed in behaviour that manifests it.” If Ockham notes that “Risus naturaliter
significat interiorem laetitiam,” Grice shows this will allow to avoid, also
alla Ockham, a polysemy to ‘mean.’In Grice’s three clauses in his 1948
conceptual analysis of ‘meaning’the first clause of exhibitiveness, the second
clause of intentio seconda or reflexivity, and the third clause of
communicative overtness, voluntary control on the part of the utterer U is
already in order. Since the utterer’s addressee A is intended to recognise
this, no longer is it required any prior ‘iconic’ association between a
simulated behaviour and the behaviour naturally displayed as a response to a
stimulus. This amounts, for Grice to deeming the system of expression as having
become a full system now of intention-based ‘communication.’‘know’’ Intentio
seconda or intentio obliqua comes up nicely when Grice delivers the third
William James Lecture, later reprinted as “Further notes on logic and
conversation.” There, Grice targets one type of anti-Gettier scenario for the
use of a factive psychological state or attitude expressed by a verb like
“know,” again followed by a “that”-clause. Grice is criticisign Austin’s hasty
attempt to analyse ‘know’ in terms of the ‘performatory’ ‘guarantee.’ As Grice
puts it in “Prolegomena,” “to say ‘I know’ is to give a guarantee.” (Grice
1989:9) which can be traced back to Austin, although since, as Grice witnessed
it, Austin ‘all too frequently ignored’ the real of emissor’s communicatum, one
is never sure. In any case, Grice wants
to overcome this ‘performatory’ fallacy, and he expands on the ‘suspect’
example of the Prolegomena in the Third lecture. Grice’s troubles with ‘know’
were long-dated. In Causal Theory he lists as the third philosophical mistake,
“What is known by me to be the case is not also believed by me to be the case.”
(1989: 237). Uncredited, but he may be having in mind Ryle’s odd
characterisations with terms such as ‘occurrence,’ ‘episode,’ and so on. In the section on ‘stress,’ Grice asks us to
assume that Grice knows that p. The question is whether this claim commits the
philosopher to the further clause, ‘Grice knows that Grice knows that p, and so
on, … to use the scholastic term we started this with, ad infinitum. It is not that
Grice is adverse to a regressive analysis per se. This is, in effect, with what
the third clause or prong in his analysis of ‘meaning’ does‘let all
meaning-constitutive intentions be overt, including this one. Indeed, when it comes to meaning or knowing,
we are talking optimal, we are talking ‘virtue.’ Both ‘meaning,’
‘communicating, ‘and ‘knowing,’ represent an ‘ideal,’ value-paradeigmatic
conceptwhere value, a favourite with Hartmann, appears under the guise of a
noumenon in the topos ouranos that only realises imperfectly in the sub-lunary
world. In the third William James lecture Grice cursorily dismisses these
demanding or restrictive anti-Gettier scenarios as too stipulatory for the
colloquial, ordinary, useand thus ‘sense’ -- of ‘know.’ The approach Gettier is
cricising ends up being too convoluted, seeing that conversationalists tend to
make a rather loose use of the verb. Grice’s example illustrates linguistic
botanising. So we have Grice bringing the examinee who does know that the
battle of Waterloo was fought in 1815, with hardly conclusive evidence, or any
‘de sensu’ knowledge that the evidence (which he does not have) is conclusive.
Grice grants that, in a specially emphatic utterance of ‘know,’ there might be
a cancellable implicaturum to the effect that the knower does have conclusive
evidence for what he alleges to know. Grice’s explicit reference to this
‘regressive nature’ (p. 59) touches on the topic of intention de sensu. Grice
is contesting the strong view, as represented, according to Gettier, by
philosophers ranging from Plato’s Thaetetus to Ayer’s Problem of Empirical
Knowledge (indeed the only two loci Gettier cares to cite in his short essay)
that a claim, “Grice knows that p” entails a claim to the effect that there is
conclusive evidence for p, and which gives Grice a feeling of subjective
certainty, and that Grice knows that there is such conclusive evidence, and so
on, ad infinitum. Grice casts doubts on the intentio de sensu as applied to the
colloquial or ‘ordinary’ uses of ‘know’. If I know that p, must I know that I
know that p? Having just introduced his
“Modified Occam’s Razor”‘Senses are not to be multiplied beyond necessity’ --,
Grice doesn’t think so. At this point, however, he adds a characteristic
bracket: “(cf. causal theory).” With that bracket, Grice is allowing that the
denotatum of “p,” qua content of U’s psychological state or attitude of
‘knowing,’ the state-of-affairs itself, as we may put it, should play something
like a causal role in U’s knowing that p. Grice is open-minded as to what type
of link or connection that is. It need not be strictly causal. He is merely
suggesting the open-endness of ‘know in terms of these “further conditions” as
to how Grice ‘comes’ to know that p, and refers to the ‘causal theory,’ as
later developed by philosophers like E. F. Dretske and others. As a linguistic
botanist, Grice is well aware that ‘know,’ like ‘see,’ is what the Kiparskys
(whom Grice refers to) call a ‘factive.’An ascription of “Grice knows that p,”
or, indeed, “Grice sees that p,” (unless Grice hallucinates) entails “p.” The
defeating ‘hallucination’ scenario is key. It involves what Grice calls a dis-implicaturum.
The utterer is using ‘know’ or‘see’ in a loose way (and meaning less, rather
than more than he explicitly conveys. Note incidentally, as Grice later noted
in later seminars, how his analysis proves the philosopher’s adage wrong.
Surely what is known by me to be the case is believed by me to be the case. Any
divergence to the contrary is a matter of ‘implicatural’ stressby which he
means supra-segmentation.‘want’Soon after his delivering the William James
lectures, Grice got involved in a project concerning an evaluation of Quine’s
programme, where again he touches on issues of intentio seconda or intentio
obliqua, and brings us back to Russell and ‘the author of Waverley.’ Grice’s
presentation comes out in Words and Objections, edited by Davidson and
Hintikka, a pun on Quine’s Word and Object. Grice’s contribution, ‘Vacuous
Names,’ (later reprinted in part in Ostertag’s volume on Definite descriptions)
concludes with an exploration of “the” phrases, and further on, with some
intriguing remarks on the subtle issues surrounding the scope of an ascription
of a predicate standing for a psychological state or attitude. Grice’s choice
of an ascription now notably involves an ‘opaque’ (rather than ‘factive,’ like
‘know’) psychological state or attitude: ‘wanting,’ which he symbolizes as “W.”
Grice considers a quartet of utterances: Jack wants someone to marry him; Jack
wants someone or other to marry him; Jack wants a particular person to marry
him, and There is someone whom Jack wants to marry him. Grice notes that “there
are clearly at least *two* possible readings” of an utterance like our (i): a
first reading “in which,” as Grice puts it, (i) might be paraphrased by (ii).”
A second reading is one “in which it might be paraphrased by (iii) or by (iv).”
Grice goes on to symbolize the phenomenon in his own version of a first-order
predicate calculus. ‘Ja wants that p’ becomes ‘Wjap,’ where ‘ja’
stands for the individual constant “Jack” as a super-script attached to the
predicate standing for Jack’s psychological state or attitude. Grice writes:
“Using the apparatus of classical predicate logic, we might hope to represent,”
respectively, the external reading and the internal reading (involving an
intentio secunda or intentio obliqua) as ‘(Ǝx)WjaFxja’
and ‘Wja(Ǝx)Fxja.’ Grice then
goes on to discuss a slightly more complex, or oblique, scenario involving this
second internal reading, which is the one that interests us, as it involves an
‘intentio seconda.’ Grice notes: “But suppose that Jack wants a specific
individual, Jill, to marry him, and this because Jack has been “*deceived* into
thinking that his friend Joe has a highly delectable sister called Jill, though
in fact Joe is an only child.” (The Jill Jack eventually goes up the hill with
is, coincidentally, another Jill, possibly existent). Let us recall that
Grice’s main focus of the whole essay is, as the title goes, ‘emptiness’! In
these circumstances, one is inclined to say that (i) is true only on reading
(vii),” where the existential quantifier occurs within the scope of the
psychological-state or -attitude verb, “but we cannot now represent (ii) or
(iii), with ‘Jill’ being vacuous, by (vi), where the existential quantifier (Ǝx) occurs outside the scope of the
psychological-attitude verb, want, “since [well,] Jill does not really exist,”
except as a figment of Jack’s imagination. In a manoeuver that I interpret as
‘purely intentionalist,’ and thus favouring by far Suppes’s over Chomsky’s
characterisation of Grice as a mere ‘behaviourist,’ Grice hopes that “we should
be provided with distinct representations for two familiar readings” of, now:
Jack wants Jill to marry him; Jack wants ‘Jill’ to marry him. It is at this
point that Grice applies a syntactic scope notation involving sub-scripted
numerals, (ix) and (x), where the numeric values merely indicate the order of
introduction of the symbol to which it is attached in a deductive schema for
the predicate calculus in question. Only the first notation yields the internal
de sensu reading (where ‘ji’ stands for ‘Jill’): ‘W2ja4F1ji3ja4’
and ‘W3ja4F2ji1ja4.’
Note that in the alternative external notation, the individual constant for
“Jill,” ‘ji,’ is introduced prior to ‘want,’‘ji’’s sub-script is 1, while ‘W’’s
sub-script is the higher numerical value 3. If Russell could have avowed of
this he would have had that the Prince Regents, by issuing the invitation,
wants to confirm that ‘the author of Waverley’
Scott, already having confirmed that the author of Waverley =M the
author of Waverley. Grice warns Quine. Given that Jill does not exist, only the
internal reading “can be true,” or alethically satisfactory. Similarly, we
might imagine an alternative scenario where the butler informs the Prince: ‘We
are sorry to inform Your Majesty that your invitation was returned: apparently
the author of Waverley does not SEEM to exist.’ Grice sums up his reflections
on the representation of the opaqueness of a verb standing for a psychological state
or attitude like that expressed by ‘wanting’ with one observation that further
marks him as an intentionalist, almost of a Meinongian type. If he justified a
loose use of ‘know,’ he is now is ready to allow for ‘existential’ phrases in
cases of ‘vacuous’ designata, which however baffling, should not lead a
philosopher to the wrong characterisation of the linguistic phenomena (as it
led Austin with ‘know’). Provided such a descriptors occur within an opaque,
intensional, de sensu, psychological-state or attitude verbs, Grice captures
the nuances of ‘ordinary’ discourse, while keeping Quine happy. As Grice puts
it, we should also have available to us also three neutral, yet distinct, (Ǝx)-quantificational forms (together with their
isomorphs),” as a philosopher who thinks that Wittgenstein denies a
distinction, craves for a generality! “Jill” now becomes “x”: ‘W4ja5Ǝx3F1x2ja5,’
‘Ǝx5W2ja5F1x4ja3’,
and ‘Ǝx5W3ja4F1x2ja4
.’ Since in (xii) the individual variable ‘x’ (ranging over ‘Jill’) “does not
dominate the segment following the ‘(Ǝx)’
quantifier, the formulation does not display any ‘existential’ or de re,
‘force,’ and is suitable therefore for representing the internal readings (ii)
or (iii), “if we have to allow, as we do have, if we want to faithfully represent
‘ordinary’ discourse, for the possibility of expressing the fact that a
particular person, Jill, does not actually exist.” At least Grice does not
write, “really,” for he knew that Austin detested a ‘trouser word.’ Grice
concludes that (xi) and (xiii) are derivable from each of (ix) and (x), while
(xii) will be “derivable only” from (ix).‘intend’By this time, Grice had been
made a Fellow of the British Academy and it was about time for the delivery of
the philosophical lecture that goes with it. It only took him six five years.
Grice choses “Intention and uncertainty” as its topic. He was provoked by two
members of his ‘playgroup’ at Oxford, Hart and Hampshire, who in an essay
published in Mind, what Grice finds, again, as he did with the anti-Gettier
cases of ‘know,’ as rather a too strong analysis of ‘intending.’ In his
British-Academy lecture, Grice plays now with the psychological state or
attitude, realised by the verbal form, ‘intend,’ when specifically followed by
a ‘that’-clause, “intends that…,” as an echo of his dealing with “meaning to”
as merely ‘natural.’ He calls himself a neo-Prichardian, reviving this ‘willing
that’ which Urmson had popularised at Oxford, bringing to publication
Prichard’s exploration of William James and his “I will that the distant chair
slides over the floor towards me. It does not.”Grice’s ‘intending that…’ is
notably a practical, boulemaic, or buletic, or desiderative, rather than
alethic or doxastic, psychological state or attitude. It involves not just an
itentum, but an intentum that involves both a desideratum AND a factumfor the
‘future indicative’ is conceptually involved. Grice claims that, if the
conceptual analysis of “intending that…” is to represent ‘ordinary’ discourse,
shows that it contains, as one of its prongs, in the final ‘neo-Prichardian’
version that Grice gives, also a ‘doxastic’ (rather than ‘factive’ and
‘epistemic’) psychological state or attitude, notably a belief on the part of
the ‘intender’ that his willing that p has a probability greater than 0.5 to
the effect that p be realised. Contra Hart and Hampshire, Grice acknowledges
the investigations by the playgroup member Pears on this topic. Interestingly,
a polemic arose elsewhere with Davidson, who trying to be more Griceian thatn
Grice, sees this doxastic constraint as a mere cancellable implicaturum. Grice
grants it may be a dis-implicaturum at most, as in loose cases of ‘know,’ or
‘see.’ Grice is adamant in regarding the doxastic component as a conceptual
‘entailment’ in the ‘ordinary’ use of ‘intend,’ unless the verb is used in a
merely ‘disimplicatural,’ loose fashion. Grice’s example, ‘Jill intends to
climb Everest next week,’ when the prohibitive conditions are all to evident to
anyone concerned with such an utterance of (xv), perhaps Jill included, and
‘intends’ has to be read only ‘internally’ and hyperbolically. At this point,
if in “Vacuous Names, he fights with Meinong while enjoying engaging in
emptiness, it should be stressed that Grice gives as an illustration of a ‘disimplicaturum,’
along with a use of ‘see’ in a Shakespeareian context. ‘See,’ like ‘know,’ or ‘mean,’ exhibit what
Grice calls diaphaneity. So it’s only natural Grice turns his attention to
‘see.’ Grice’s examples are ‘Macbeth saw Banquo’ and ‘Hamlet saw his father on
the ramparts of Elsinore,’ and both involve hallucination! It is worth
comparing the fortune of ‘disimplicaturum’ with that of ‘implicaturum.’ Grice
coins ‘to dis-implicate’ as an active verb, for a case where the utterer does
NOT, as in the case of implicaturum, mean MORE than he says, but LESS. Grice’s
point is a subtle one. It involves his concession on something like an
explicatum, but alsoo on something like Moore’s entailment. If the ‘doxastic
condition’ is entailed by “intending that…,’ an utterer U may STILL use, in an
‘ordinary’ fashion, a strong ‘intending that…’ in a scenario where it is common
ground between the utterer U and his addressee A that the probability of ‘p’
being realised is lower than 0.5. The expression of the psychological state or
attitude is loose, since the utterer is, as it were, dropping an ‘entailment’
that applies in a use of ‘intending that’ where that ‘common-ground’ assumption
is absent. One reason may be echoic. Jill may think that she can succeed in
climbing Mt. Everest; she herself has used ‘intend.’ When that information is
transmitted, the strong psychological verb is kept when the doxastic constraint
is no longer shared by the utterer U and his addressee A (Like an implicaturum,
a disimplicaturum has to be recognised as such to count as one. No such thing as an ‘unwanted’ disimplicaturum.‘motivate’Sometimes,
it would seem that, for Grice, the English philosopher of English
‘ordinary-language’ philosophy, English is not enough! Grice would amuse at
Berkeley seminars, with things like, ‘A pirot potches o as fang, or potches o
and o’ as F-id,’ just to attract his addressee’s attention. The full passage,
in what Grice calls, after Carnap, pirotese, reads: “A pirot can be said to
potch of some obble x as fang or feng; also to cotch of x, or some obble o, as
fang or feng; or to cotch of one obble o and another obble o’ as being fid to
one another.” Grice’s deciphering, with ‘pirot,” a tribute to Carnapand Locke
-- as any agent, and an ‘obble’ as an object. Grice borrows, but does not
return, the ‘pirot’ from Carnap (for whom pirots karulise elaticallyCarnap’s
example of a syntactically well-formed formula in Introduction to Semantics).
Grice uses ‘pirotese’ ‘to potch’ as a correlate for ‘perceive,’ such as the
factive ‘see’ and ‘to cotch’ as a correlate for the similarly factive
‘know.’While ‘perceive’ strictly allows for a ‘that’-clause (as in Grice
analysis of “I perceive that the pillar box is red” in “The causal theory of
perception”), for simplificatory purposes, Grice is using ‘to potch’ as
applying directly to an object, which Grice rephrases as an ‘obble.’ Since some
perceptual feature or other is required in a predication of ‘perceiving’ and
‘potching,’ ‘feng’ is introduced as a perceptual predicate. And since pirots should
also be allowed to perceive an ‘obble’ o in some relation with another ‘obble’
o2, Grice introduces the dyadic ‘relational’ feature ‘fid.’ Grice’s exegesis reads: “‘To potch’ is
something like ‘to perceive,’ whereas ‘to cotch’ is something like ‘to think.’
‘Feng’ and ‘fang’ are possible descriptions, much like our adjectives; ‘fid’ is
a possible relation between ‘obbles.’”).
At this point, Grice has been made, trans-territorially, the President
of the American Philosophical Association, and is ready to give his
Presidential Address (now reprinted in his Conception of Value, for Clarendon.
He chooses ‘philosophical psychology’ It’s when Grice goes on to play now with
the neo-Wittgensteinian issues of incorrigibility and privileged access, that
issues of intentio seconda become prominent.
For any psychological attitude ψ1, if U holds it, U holds, as
a matter of what Grice calls ‘genitorial construction,’ a meta-psychological
attitude, ψ2, a seconda intentio if ever there was one, -- Grice
even uses the numeral ‘2’ -- that has, as its content followed the second
‘that’-clause, the very first psychological attitude ψ1. The general
schema being given below, with an instance of specification: ‘ψup ⊃ ψuψup,’
and ‘if U wills that p, U wills that U wills that p.’ The interesting bit, from
the perspective of our exploration of ‘intentio seconda,’ is that, if, alla
Peano, we apply this to itself, as in the anti-Gettier cases Grice discussed
earlier, we end with an ad-infinitum clause. It was Judith Baker, who earned
her doctorate under Grice at Berkeley who sees this clearlier than everyone
(She was a regular contributor to the Kant Society in Germany). Baker’s
publications are, like those of her tutor, scarce. But in a delightful
contribution to the Grice festschrift, “Do one’s motives have to be pure?” (in
Grandy/Warner 1986), Baker explores the crucial importance of that ad-infinitum
chain of intentiones secondæ as it applies to questions of not alethic but
practical value or satisfactoriness. Consider ‘ought’. Grice would say that
‘must’ is aequi-vocal, i.e. it is not that ‘must’ has an alethic ‘sense’ and a
practical ‘sense.’ Only “one” must, if one must! (As Grice jokes, “Who needs
ichthyological necessity?”). Baker notes
that the ad-infinitum chain may explain how ‘duty’ ‘cashes out’ in ‘interest.’
Both Grice and Baker are avowed Kantotelians. By allowing ‘duty’ to cash out in
interest they are merging Aristotle’s utilitarian teleology with Kant’s
deontology, and succeeding! It is possible to symbolize Grice’s and Baker’s
proposal. If there is a “p” SUCH AS, at some point in the iteration of willing
and intentiones secondæ, the agent is not willing to accept it, this blocks the
potential Kantian universalizability of the content of a teleological attitude
“p,” stripping “p” of any absolute value status that it may otherwise attain.In
Grice’s reductive analysis of ‘mean,’ ‘know,’ ‘want,’ ‘intend,’ and ‘motivate,’
we witness the subtlety of his approach that is only made possible from the
recognition of Aristotle’s insight back in “De Sophisticis Elenchis” to Kant’s
explorations on the purity of motives. It should not surprise us. It’s Grice’s
nod, no doubt, to an unjustly neglected philosopher, who should be neglected no
more.ReferencesBlackburn, S. W. 1984. Spreading the words: groundings in the
philosophy of language. Oxford: Oxford University Press. Darwin, Charles. 1872.
The expression of emotions in man and animals. London: Murray. Grandy, R. E.
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repr. in Grice 1989. Grice, H.P. 1987. Retrospective epilogue, in Studies in
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C. L. 1944. Ethics and language. New Haven, Conn.: Yale University Press.
StrawsonF. 1964 Intention and convention in speech acts, The Philosophical
Review, repr. in Logico-Linguistic Papers, London, Methuen, 1971, 149-169 as Blackburn puts it in his discussion of
Grice in the intention-based chapter of his “Spreading the word: groundings in
the philosophy of language.” Intentio seconda or obliqua bears heavily on
Grice’s presentation for the Oxford Philosophical Society. The motivation
behind Grice’s analysis pertains to philosophical methodology. Grice is
legitimizing an ascription of ‘mean’ to a rational agent, such as … a
philosopher. This very ascription Grice finds to be ‘seemingly denied by
Wittgenstein’ (Grice 1986). As an exponent of what he would later and in jest
dub “The Post-War Oxonian School of ‘Ordinary-Language’ Philosophy,” Grice
engages in a bit of language botany, and dealing with the intricacies of
‘communicative’ uses of “mean.” Interestingly, and publiclyalthough a provision
is in order hereGrice acknowledges emotivist Stevenson, who apparently taught
Grice about ‘metabolic’ uses of “mean.” Stevenson, who read English as a minor
at Yale, would not venture to apply ‘mean’ to moans! Realising it as a
colloquial extension, he is allowed to use ‘mean,’ but in scare quotes only!
(“Smith’s reduced temperature ‘means’ that he is is convalescent.” “There is a sense, to be sure, in which a groan
“means“ something, just a reduced temperature may at times ”mean”
convalescence.” Stevenson 1944:38). Close enough but no cigar. Stevenson
has ‘groan,’ which at least rhymes with ‘moan.’ (As for the proviso, Grice
never ‘meant’ to ‘publish’ his talk on ‘Meaning,’ but one of his tutees
submitted for publication, and on acceptance, Grice allowed the publication).
In “Meaning” Grice does not provide a conceptual analysis for, ‘by moaning, U
means [simpliciter] that p.’ He will in his “Meaning Revisited”the metabolical
scare quotes are justified on two counts: ‘By moaning U means that p’ is
legitimized on the basis of the generic ‘x ‘means’ y iff x is a consequence of
y.’ But it is also justified on the basis that there is a continuum between U’s
involuntarily moaning thereby meaning that he is in pain, and U’s voluntarily
moaning, thereby ‘communicating’ that he is in pain. However, and more
importantly for our exploration of the ‘intentum,’ Grice hastens to add that he
does not agree with Stevenson’s purely ‘causal’ account. The main reason is not
‘anti-naturalistic.’ It is just that Grice sees Stevenson’s proposal as as
involving a vicious circle. Typically, Grice extrapolates the relevant quote
from Stevenson, slightly out of context. Grice refers to Stevenson’s appeal to
"an elaborate process of conditioning attending …
communication."Grice: “If we have to take seriously the second part of the
qualifying phrase ("attending … communication"), Stevenson’s account
of meaning is obviously circular. We might just as well say, "U means” if
“U communicates,” which, though true, is not helpful. It MIGHT be helpful for
Cicero translating from Grecian to Roman: ‘com-municatio’ indeed translates a
Grecian turn of phrase involving ‘what is common.’ f. “con-” and root “mu-,” to
bind; cf.: immunis, munus, moenia.’And the suggestion would be helpful if we
say that to ‘communicate,’ or ‘mean,’ is just to bring some intentum to be
allotted ‘common ground,’ because of the psi-transmission it is shared between
the emissor and his intended addressee. This one hopes is both true AND
‘helpful.’ In any case, Grice’s tutee Strawson later
found Grice’s elucidation of utterer’s meaning to be ‘objection-proof’
(Starwson and Wiggins, 2001) in terms of a set of necessary and sufficient
conditions, of an utterer or emissor E meaning that p, by uttering ‘x,’ and
appealing to primary and secondary intentionality. But is Grice’s
intentionalism a sort of behaviourism? Grice denies that in “Method” calling
‘behaviourism’ ‘silly. Grice further explores intentio obliqua as it pertains
to his remarks towards a general theory of “re-presentation.” The place where
this excursus takes place is crucial. It is his Valediction to his compilation
of essays, Studies in the Way of Words, posthumously published. At this stage,
he must have felt that, what he once regarded krypto-technic in Peirce, is no
more! Grice has already identified in that ‘Valediction’ many strands of his
philosophical thought, and concludes his re-assessment of his ‘philosophy of
language’ and semiotics with an attempt to provide some general remarks about
‘to represent’ in general, perhaps to counter the allegations of vicious
circularity which his approach had received, seeing that “p” features, as a
‘gap-sign,’ as the content of both an ‘expression’ and a ‘psychological’
attitude. In trying to reconcile his austere views on “Meaning,” back in that
evening at the Oxford Philosophical Society, where he distinguished two senses
of ‘mean’ (“Smoke ‘means’ fire,” and ““Smoke” means ‘smoke’”). By focusing on
the most general of verbs for a psychological state or attitude, ‘to
represent,’ that even allows for a non-psychological reading, Grice wants to be
seen as answering the challenge of an alleged vicious circle with which his
intention-based approach is usually associated. The secondary-intentional
non-iconic mode of representation rests on a prior iconic mode and can be
understood as ‘pre-conventional,’ without any explicit recourse to the features
we associate with a developed system of communication. Grice needs no ‘language
of thought’ or sermo mentalis alla Ockham there. Grice allows that one can
communicate fully without the need to use what more conventional philosophers
call ‘a language.’ Artists do it all the time!
The passage from intentio prima to full intentio seconda is, for Grice,
gradual and complex. Grice means to adhere with ‘ordinary’ discourse, in its implicatura
and dis-implicaata. The passage also adhering to a functionalist approach qua
‘method in philosophical psychology,’ as he’d prefer, that needs not to
postulate a full-blown ‘linguistic entity’ as the object of intentional
thought. In this respect, it is worth mentioning the work of C. A. B. Peacocke,
who knew Grice from his Oxford days and later joined his seminars at Berkeley,
and who has developed this line of thought in a better fashion than less
careful philosophers. Grice’s programme has occasionally, and justly, been
compared with phenomenological approaches to expression and communication, such
as Marty’s. It is hoped that the previous notes have shed some light on those
aspects where this interface can further be elaborated. Even as we leave an
intentio seconda to resume the discussion for a longer day. In his explorations
on the embedding of intensional concepts, Grice should be inspirational to
philosophers in more than one way, but especially in the one that he favoured
most: the problematicity of it all. As he put it in another context, when
defending absolute value. “Such a defence of absolute value is
of course, bristling with unsolved or incompletely solved problems. I do not
find this thought daunting. If philosophy generated no new problems it would be
dead, because it would be finished; and if it recurrently regenerated the same
old problems it would not be alive because it could never begin. So those who
still look to philosophy for their bread-and-butter should pray that the supply
of new problems never dries up.” (Grice 1991). In the Graeco-Roman tradition,
philosophers started to use ‘intentio prima,’ ‘intentio secunda,’ ‘intentio
tertia,’ and “… ad infinitum,” as they would put it. In post-war Oxford,
English philosopher H. P. Grice felt the need. The formalist he was, he found
subscribing numbers to embedded intentions has a strong appeal for him. Grice’s
main motivation is in the philosophy of language, but as ancillary towards
solving this or that problem concerning the ‘linguistic’ methodology of his
day. To appreciate Grice’s contribution one need to abstract a little from his
own historical circumstances, or rather, place them in the proper context, and
connect it with the general history of philosophy. As a matter of
history, ‘intentio prima,’ or ‘recta,’ as opposed to ‘obliqua,’ is part of
Nicolai Hartmann’s ‘mediaeval revival,’ as a reaction to mediaevalism having
made scorn by the likes of Rabelais that amused D. P. Henry. For the mediaeval
philosopher, to use Grice’s symbolism, was concerned with whether a chimaera
could eat ‘I2,’ a second intention. The mediaeval philosopher’s implicaturum
seems to be that a chimaera can easily eat ‘I1.’ Such a ‘quaestio
subtilissima,’ Rabelais jokes. If ‘I1,’ or, better, for
simplificatory purposes, ‘IR’ is a specific state, stance, or
attitude of the ‘soul,’ ‘ψ1’ or ‘ψR’ directed towards
its ‘de re’ ‘intentum,’ or ‘prae-sentatum,’ of the noumenon, ‘IO,’
‘intentio obliqua,’ is a state, stance, or attitude of the ‘soul,’ of the same
genus, ‘ψ2,’ or ‘ψS’ directed towards ‘ψR,’
its ‘de sensu’ ‘intentum’ now ‘re-prae-sentatum’ of the phainomenon or
ob-jectum (Abelard translates Aristotle’s ‘per divisionem’ as ‘de re’ and ‘per
compositionem’ and ‘per conjunctionem’ by ‘de sensu,’ and ‘per Soph. Elen.,
Kneale and Kneale, 1966). Grice’s intentionalism has been widely discussed, but
the defense he himself makes of intensionalism (versus extensionalism) has
proved inspiring, as when he assumes as an attending commentary to his
reductive analysis of the state of affairs by which the emissor communicates
that p, that he is putting forward “the legitimacy of [the] application of
[existential generalization] to a statement the expression of which contains
such [an] "intensional" verb[…] as "intend" (Grice 1989:
116 ). The expression ‘de sensu’ is due to Abelard, but Russell likes it. While
serving as Prince Regent of England in 1815, George IV casually remarks his
wish to meet ‘the author of Waverley’ in the flesh. The Prince was being funny,
you see. The prince would not know this, but when his press becomes embroiled
in pecuniary difficulties, Scotts set out to write a cash-cow. The result is
Waverley, a novel which did not name its author. It is a tale of the last
Jacobite rebellion in England, the “Forty-Five.” The novel meets with
considerable success. The next year, Scott. There follows a sequel, the same
general vein. Mindful of his reputation,
Scotts maintains the anonymous habit he displays with Waverley, and publishes
the sequel under “the Author of Waverley.” The identity “Author of Waverley” =
“Scott” is widely rumoured, and Scott is
given the honour of dining with George, Prince Regent, who had wished to
meet “Author of Waverley” in the flesh for a ‘snug little dinner’ at Carleton,
on hearing ‘the author of Waverley’ was in town. The use of a descriptor may
lead to the implicaturum that His Majesty is p’rhaps not sure that ‘the author
of Waverley’ has a name, and isR Scott. Lack of certainty is one
thing, yet, to quote from Russell, “an interest in the law of identity can
hardly be attributed to the first gentleman of Europe.” Grice admired Russell
profusely and one of his essays is wittily entitled, “Definite descriptions in
Russell and in the Vernacular,” so his explorations of ‘intentio’ ‘de sensu’
have an intrinsic interest. Keywords: H.
Paul Grice, intentio seconda, implicaturum, intentionalism, intentum, intentum de sensu, ‘that’-clause, the
recte-oblique distinction. Grice explored issues of intentum de sensu in
various areas. First, ‘meaning.’ Second, ‘knowing.’ Third, ‘wanting.’ Fourth,
‘intending,’ Fifth, pirots, with incorrigibility and privileged access. Sixth,
morality and the regressus. Seventh, the continuum and the unity. With Grice, it all
starts, roughly, when Grice comes up with a topic for a talk at The Oxford
Philosophical Society.The Society is holding one of those meetings, and Grice
thinks of presenting a few conclusions he had reached at his seminars on C. S.
Peirce.What’s the good of an Oxford don of keeping tidy lecture notes if you
will not be able to lecture to a philosophical addressee? Peirce is the
philosopher on whom Grice choses to lecture. In part, for “not being
particularly popular on these shores,” and in part because Grice noted the
‘heretic’ in Peirce with which he could identify.Granted, at this stage, Grice
disliked the un-Englishness of some of Peirce’s over-Latinate jargon, what
Grice finds the ‘krypto-technic.’ ‘Sign,’ ‘symbol,’ ‘icon,’ and the rest of
them!Instead, Grice thinks, initially for the sake of his tutees and studentshe
was university lecturer -- sticking with the simpler, ‘ordinary’, short English
lexeme ‘mean.’A. M. Kemmerling, of all people, who wrote the obituary for Grice
for Synthese, has precisely cast doubts on the ‘universal’ validity of Grice’s
proposed conceptual reductive analysis, notably in his Ph.D dissertation on
‘Meinen.’ Note the irony in Kemmerling’s
title: Was Grice mit "Meinen"
meintEine Rekonstruktion der Griceschen Analyse rationaler Kommunikation.” Nothing jocular in the subtitle, for this
indeed is a reconstruction of ‘rational’ communication. The funny bit is in
“Was mit “Meinen” Grice meint”! In that very phrase, which is rhetorical, and
allows for an answer, because ‘meinen’ is both mentioned and used, Kemmerling
allows that he is ‘buying’ Grice’s idea that his reductive analysis of ‘mean’
applies to German ‘meinen.’ Kemmerling is also pointing to the ‘primacy’ (to
use Suppes’s phrase) of ‘utterer’s’ or ‘emissor’s “communicatum” or ‘Meinung.”
Kemmerling advertises his interest in exploring on what _Grice_ meansby
uttering ‘meinen,’ almost! As Kemmerling notes, German ‘meinen,’ cognate
via common Germanic with English ‘mean,’ (cf. Frisian ‘mein,’and Hazzlitt,
“Bread, butter, and green cheese, very good English, very good cheese”) is none
other than ‘mean’ that Grice means. And ‘Grice means’ is the only literal, i.
e. non-metabolic use of the verb Grice allowsas applied to a rational agent,
which features in the subtitle to Kemmerling’s dissertation. Thus one reads in
Kluge, “Etymologische Wörterbuch der deutschen Sprache, 1881, of “meinen,” rendered by J. F. Davis as ‘to think, opine, mean,’
from a MHG used to indicate, in
Davis’s rendition, ‘to direct one's thoughts to, have in view, aim at,
be affected towards a person, love,’ OHG meinen, meinan,
‘to mean, think, say, declare.’ = OS mênian, Du. meenen,
OE mœ̂nan, E mean (to this Anglo-Saxon mœ̂nan, cf. prob. moanI know your meaning from your moaning),
all from WGmc. meinen, mainjan, ‘mênjan,’ and cognate with ‘man,’ ‘to think’ (cf. ‘mahnen,’ ‘Mann,’
and ‘Minne’).
Kemmerling is very apropos, because Grice engaged in philosophical
discussion with him, as testified by his perceptive contribution to P. G. R. I.
C. E. (Kemmerling, 1986). On top, in his presentation for the Oxford
Philosophical Society, Grice wants to restrict the philosophical interest to
‘de sensu,’ the ‘that’-clause (cf. the recte-oblique distinction), viz. not
just ‘what Grice means,’ if this is going to be expaned as ‘something
wonderful.’ Not enough for Grice. It has to be expanded, for the thing to have
philosophical interest into a ‘propositional clause,’, an ‘intensional’
context, i. e., ‘Grice means that…’ Grice cavalierly dismisses other use of
‘mean,’notably the ubiquitous, ‘mean to…’He will later explain his reason for
this. It was after William James provoked Prichard. For William James uttered:
“I will that the distant table slides on the floor toward me. It doesn’t’.
Prichard turns this into the conceptual priority of ‘will that…’ for which
Grice gives him the credit he deserved at a later lecture now on his being
appointed a Fellow of The British Academy (Grice, 1971). Strictly, what Grice does in the Oxford
Philosophical Socieety presentation is to distinguish between various ‘mean’
and end up focusing on ‘mean’ as followed by a ‘that’-clause. In the typical
Oxonian fashion, that Grice borrows (but never returns) from J. C. Wilson,
Grice has the IO as ‘meaning that so-and-so’ (Grice, 1989: 217).
Grice explicitly displays the primacy of a reductive analysis of the conceptual
circumstances involving an emissor (Anglo-Saxon ‘utterer’) who ‘means’ that p.
It will be a longer ‘shaggy-dog’ story Grice tells when he crosses the divide
from ‘propositional’ (p) to ‘predicative’ ascriptions (“By uttering ‘Fido is
shaggy,’ Grice means that the dog is hairy-coated (Grice 1989). Grice notes
that ‘metabolically,’ “mean,” at least in English, can be applied to various
other things, sometimes even involving a ‘that’-clause. “By delivering his
budget, the major means that we will have a hard year.’ Grice finds that ‘but
we won’t’ turns him into a self-contradicter. In Grice’s usage, ‘x ‘means’ y’
iff ‘y is a consequence [consequentia] of x’ --. Quite a departure from Old
Frisian. If Hume’s objection to the use of the verb ‘cause,’ is that it covers
animistic beliefs (“Charles I’s decapitation willed his death”), English allows
for disimplicated or loose ‘metabolic’ uses of ‘will’ (“It ‘will’ rain”) and
‘mean’ (Grice’s moaning means that he is in pain).
desideratum: Qua volition,
a mental event involved with the initiation of action. ‘To will’ is sometimes
taken to be the corresponding verb form of ‘volition’. The concept of volition
is rooted in modern philosophy; contemporary philosophers have transformed it
by identifying volitions with ordinary mental events, such as intentions, or
beliefs plus desires. Volitions, especially in contemporary guises, are often
taken to be complex mental events consisting of cognitive, affective, and
conative elements. The conative element is the impetusthe underlying motivationfor
the action. A velleity is a conative element insufficient by itself to initiate
action. The will is a faculty, or set of abilities, that yields the mental
events involved in initiating action. There are three primary theories about
the role of volitions in action. The first is a reductive account in which
action is identified with the entire causal sequence of the mental event (the
volition) causing the bodily behavior. J. S. Mill, for example, says: “Now what
is action? Not one thing, but a series of two things: the state of mind called
a volition, followed by an effect. . . . [T]he two together constitute the
action” (Logic). Mary’s raising her arm is Mary’s mental state causing her arm
to rise. Neither Mary’s volitional state nor her arm’s rising are themselves
actions; rather, the entire causal sequence (the “causing”) is the action. The
primary difficulty for this account is maintaining its reductive status. There
is no way to delineate volition and the resultant bodily behavior without
referring to action. There are two non-reductive accounts, one that identifies
the action with the initiating volition and another that identifies the action
with the effect of the volition. In the former, a volition is the action, and
bodily movements are mere causal consequences. Berkeley advocates this view:
“The Mind . . . is to be accounted active in . . . so far forth as volition is
included. . . . In plucking this flower I am active, because I do it by the
motion of my hand, which was consequent upon my volition” (Three Dialogues). In
this century, Prichard is associated with this theory: “to act is really to
will something” (Moral Obligation, 1949), where willing is sui generis (though
at other places Prichard equates willing with the action of mentally setting oneself
to do something). In this sense, a volition is an act of will. This account has
come under attack by Ryle (Concept of Mind, 1949). Ryle argues that it leads to
a vicious regress, in that to will to do something, one must will to will to do
it, and so on. It has been countered that the regress collapses; there is
nothing beyond willing that one must do in order to will. Another criticism of
Ryle’s, which is more telling, is that ‘volition’ is an obscurantic term of
art; “[volition] is an artificial concept. We have to study certain specialist
theories in order to find out how it is to be manipulated. . . . [It is like]
‘phlogiston’ and ‘animal spirits’ . . . [which] have now no utility” (Concept
of Mind). Another approach, the causal theory of action, identifies an action
with the causal consequences of volition. Locke, e.g., says: “Volition or
willing is an act of the mind directing its thought to the production of any
action, and thereby exerting its power to produce it. . . . [V]olition is
nothing but that particular determination of the mind, whereby . . . the mind
endeavors to give rise, continuation, or stop, to any action which it takes to
be in its power” (Essay concerning Human Understanding). This is a functional
account, since an event is an action in virtue of its causal role. Mary’s arm
rising is Mary’s action of raising her arm in virtue of being caused by her
willing to raise it. If her arm’s rising had been caused by a nervous twitch,
it would not be action, even if the bodily movements were photographically the
same. In response to Ryle’s charge of obscurantism, contemporary causal
theorists tend to identify volitions with ordinary mental events. For example,
Davidson takes the cause of actions to be beliefs plus desires and Wilfrid
Sellars takes volitions to be intentions to do something here and now. Despite
its plausibility, however, the causal theory faces two difficult problems: the
first is purported counterexamples based on wayward causal chains connecting
the antecedent mental event and the bodily movements; the second is provision
of an enlightening account of these mental events, e.g. intending, that does
justice to the conative element. See also ACTION THEORY, FREE WILL PROBLEM,
PRACTICAL REASONING, WAYWARD CAUSAL CHAIN. M.B. volition volition. Grice makes a double use of this. It should be thus two
entries. There’s the conversational desideratum, where a desideratum is like a
maxim or an imperativeand then there are two specific desiderata: the
desideratum of conversational clarity, and the desideratum of conversational
candour. Grice was never sure what adjective to use for the ‘desiderative.’ He
liked buletic. He liked desideratum because it has the co-relate
‘consideratum,’ for belief. He uses
‘deriderative’ and a few more! Of course what he means is a sub-psychological
modality, or rather a ‘soul.’ So he would apply it ‘primarily’ to the soul, as
Plato and Aristotle does. The ‘psyche’, or ‘anima’ is what is ‘desiderativa.’
The Grecians are pretty confused about this (but ‘boulemaic’ and ‘buletic’ are
used), and the Romans didn’t help. Grice is concerned with a
rational-desiderative, that takes a “that”-clause (or oratio obliqua), and qua
constructivist, he is also concerned with a pre-rational desiderative (he has
an essay on “Needs and Wants,” and his detailed example in “Method” is a
squarrel (sic) who needs a nut. On top, while Grice suggest s that it goes both
ways: the doxastic can be given a reductive analaysis in terms of the buletic,
and the buletic in terms of the doxastic, he only cares to provide the former.
Basically, an agent judges that p, if his willing that p correlates to a state
of affairs that satisfies his desires. Since he does not provide a reductive
analysis for Prichard’s willing-that, one is left wondering. Grice’s position
is that ‘willing that…’ attains its ‘sense’ via the specification, as a
theoretical concept, in some law in the folk-science that agents use to explain
their behaviour. Grice gets subtler when he deals with mode-markers for the
desiderative: for these are either utterer-oriented, or addressee-oriented, and
they may involve a buletic attitude itself, or a doxastic attitude. When
utterer-addressed, utterer wills that utterer wills that p. There is no closure
here, and indeed, a regressus ad infinitum is what Grice wants, since this
regressus allows him to get univeersabilisability, in terms of conceptual,
formal, and applicational kinds of generality. In this he is being Kantian, and
Hareian. While Grice praises Kantotle, Aristotle here would stay unashamedly ‘teleological,’
and giving priority to a will that may not be universalisable, since it’s the
communitarian ‘good’ that matters. what does Grice have to say about our
conversational practice? L and S have “πρᾶξις,” from “πράσσω,” and which they
render as ‘moral action,’ oποίησις, τέχνη;” “oποιότης,” “ἤθη καὶ πάθη καὶ π.,”
“oοἱ πολιτικοὶ λόγοι;” “ἔργῳ καὶ πράξεσιν, οὐχὶ λόγοις” Id.6.3; ἐν ταῖς πράξεσι
ὄντα τε καὶ πραττόμενα, “exhibited in actual life,” action in drama, “oλόγος;
“μία π. ὅλη καὶ τελεία.” With practical Grice means buletic. Praxis involves
acting, and surely Grice presupposes acting. By uttering, i. e. by the act of
uttering, expression x, U m-intends that p. Grice occasionally refers to action
and behaviour as the thing which an ascription of a psychological state
explains. Grice prefers the idiom of soul. Theres the ratiocinative soul.
Within the ratiocinative, theres the executive soul and the merely
administrative soul. Cicero had to translate Aristotle into prudentia, every
time Aristotle talked of phronesis. Grice was aware that the terminology
by Kant can be confusing. Kant used ‘pure’ reason for reason in the doxastic
realm. The critique by Kant of practical reason is hardly symmetrical to
his critique of doxastic reason. Grice, with his æqui-vocality thesis of
must (must crosses the buletic-boulomaic/doxastic divide), Grice is being more
of a symmetricalist. The buletic, boulomaic, or volitive, is a part of the
soul, as is the doxatic or judicative. And judicative is a trick because there
is such a thing as a value judgement, or an evaluative judgement, which is
hardly doxastic. Grice plays with two co-relative operators: desirability
versus probability. Grice invokes the exhibitive/protreptic distinction he had
introduced in the fifth James lecture, now applied to psychological attitudes
themselves. This Grice’s attempt is to tackle the Kantian problem in the
Grundlegung: how to derive the categorical imperative from a counsel of
prudence. Under the assumption that the protasis is Let the agent be happy,
Grice does not find it obtuse at all to construct a universalisable imperative
out of a mere motive-based counsel of prudence. Grice has an earlier paper on
pleasure which relates. The derivation involves seven steps. Grice
proposes seven steps in the derivation. 1. It is a fundamental law of
psychology that, ceteris paribus, for any creature R, for any P and Q, if R
wills P Λ judges if P, P as a result of Q, R wills Q. 2. Place this
law within the scope of a "willing" operator: R wills for any
P Λ Q, if R wills P Λ judges that if P, P as a result of Q,
R wills Q. 3. wills turns to should. If rational, R will have to block
unsatisfactory (literally) attitudes. R should (qua rational) judge for any
P Λ Q, if it is satisfactory to will that P Λ it is
satisfactory to judge that if P, P as a result of Q, it is sastisfactory to
will that Q. 4. Marking the mode: R should (qua rational) judge for any
P Λ Q, if it is satisfactory that !P Λ that if it .P, .P
only as a result of Q, it is satisfactory that !Q. 5. via (p & q
-> r) -> (p -> (q -> r)): R should (qua rational)
judge for any P Λ Q, if it is satisfactory that if .P, .P only
because Q, i is satisfactory that, if let it be that P, let it be that Q. 6. R
should (qua rational) judge for any P Λ Q, if P, P only because p
yields if let it be that P, let it be that Q. 7. For any P Λ Q if P,
P only because Q yields if let it be that P, let it be that Q. Grice was
well aware that a philosopher, at Oxford, needs to be a philosophical psychologist.
So, wanting and needing have to be related to willing. A plant needs water. A
floor needs sweeping. So need is too broad. So is want, a non-Anglo-Saxon root
for God knows what. With willing things get closer to the rational soul. There
is willing in the animal soul. But when it comes to rational willing, there
must be, to echo Pritchard, a conjecture, some doxastic element. You cannot
will to fly, or will that the distant chair slides over the floor toward you.
So not all wants and needs are rational willings, but then nobody said they
would. Grice is interested in emotion in his power structure of the soul. A
need and a want may count as an emotion. Grice was never too interested in
needing and wanting because they do not take a that-clause. He congratulates
Urmson for having introduced him to the brilliant willing that … by Prichard.
Why is it, Grice wonders, that many ascriptions of buletic states take
to-clause, rather than a that-clause? Even mean, as ‘intend.’ In this Grice is
quite different from Austin, who avoids the that-clause. The explanation
by Austin is very obscure, like those of all grammars on the that’-clause, the
‘that’ of ‘oratio obliqua’ is not in every way similar to the ‘that’-clause in
an explicit performative formula. Here the utterer is not reporting his own
‘oratio’ in the first person singular present indicative active. Incidentally,
of course, it is not in the least necessary that an explicit performative verb
should be followed by a ‘that’-clause. In important classes of cases it is
followed by ‘to . . .,’ or by or nothing, e. g. ‘I apologize for…,’ ‘I salute
you.’ Now many of these verbs appear to be quite satisfactory pure
performatives. Irritating though it is to have them as such, linked with
clauses that look like statements, true or false, e. g., when I say ‘I prophesy
that …,’ ‘I concede that …’, ‘I
postulate that …,’ the clause following normally looks just like a statement,
but the verb itself seems to be pure performatives. One may
distinguish the performative opening part, ‘I state that …,’ which makes clear
how the utterance is to be taken, that it is a statement, as distinct from a
prediction, etc.), from the bit in the that-clause which is required to be true
or false. However, there are many cases which, as language stands at present,
we are not able to split into two parts in this way, even though the utterance
seems to have a sort of explicit performative in it. Thus, ‘I liken x to y,’ or
‘I analyse x as y.’ Here we both do the likening and assert that there is a
likeness by means of one compendious phrase of at least a quasi-performative
character. Just to spur us on our way, we may also mention ‘I know that …’, ‘I
believe that …’, etc. How complicated are these examples? We cannot assume that
they are purely descriptive, which has Grice talking of the pseudo-descriptive.
Want etymologically means absence; need should be preferred. The squarrel
(squirrel) Toby needs intake of nuts, and youll soon see gobbling them! There
is not much philosophical bibliography on these two psychological states Grice
is analysing. Their logic is interesting. Smith wants to play
cricket. Smith needs to play cricket. Grice is concerned with
the propositional content attached to the want and need predicate. Wants
that sounds harsh; so does need that. Still, there are propositional
attached to the pair above. Smith plays cricket. Grice took a very
cavalier attitude to what linguists spend their lives analysing. He
thought it was surely not the job of the philosopher, especially from a
prestigious university such as Oxford, to deal with the arbitrariness of
grammatical knots attached to this or that English verb. He rarely used
English, but stuck with ordinary language. Surely, he saw himself in the
tradition of Kantotle, and so, aiming at grand philosophical truths: not
conventions of usage, even his own! 1. Squarrel Toby has a nut, N, in
front of him. 2. Toby is short on squarrel food (observed or assumed), so, 3.
Toby wills squarrel food (by postulate of Folk Pyschological Theory θ connecting
willing with intake of N). 4. Toby prehends a nut as in front (from (1) by
Postulate of Folk Psychological Theory θ, if it is assumed that nut and in
front are familiar to Toby). 5. Toby joins squarrel food with gobbling, nut,
and in front (i.e. Toby judges gobbling, on nut in front, for squarrel food (by
Postulate of Folk Psychological Theory θ with the aid of prior
observation. So, from 3, 4 and 5, 6. Tobby gobbles; and since a nut is in front
of him, gobbles the nut in front of him. The system of values of the society to
which the agent belongs forms the external standard for judging the relative
importance of the commitments by the agent. There are three dimensions of
value: universally human, cultural that vary with societies and times; and personal
that vary with individuals. Each dimension has a standard for judging the
adequacy of the relevant values. Human values are adequate if they satisfy
basic needs; cultural values are adequate if they provide a system of values
that sustains the allegiance of the inhabitants of a society; and personal
values are adequate if the conceptions of well‐being
formed out of them enable individuals to live satisfying lives. These values
conflict and our well‐being requires some way of settling their conflicts, but
there is no universal principle for settling the conflicts; it can only be done
by attending to the concrete features of particular conflicts. These features
vary with circumstances and values. Grice reads Porter.The idea of the value
chain is based on the process view of organizations, the idea of seeing a
manufacturing (or service) organization as a system, made up of subsystems each
with inputs, transformation processes and outputs. Inputs, transformation
processes, and outputs involve the acquisition and consumption of
resourcesmoney, labour, materials, equipment, buildings, land, administration
and management. How value chain activities are carried out determines costs and
affects profits.In his choice of value system and value sub-system, Grice is defending
objectivity, since it is usually the axiological relativist who uses such a
pretentious phrasing! More than a value may co-ordinate in a system. One such
is eudæmonia (cf. system of ends). The problem for Kant is the reduction of the
categorical imperative to the hypothetical or
suppositional imperative. For Kant, a value tends towards the
Subjectsive. Grice, rather, wants to offer a metaphysical defence of objective
value. Grice called the manual of conversational maxims the Conversational
Immanuel. The keyword to search the H. P. Grice is ‘will,’ and ‘volitional,’
even ‘ill-will,’ (“Metaphysics and ill-will,” s. V, c. 7-f. 28) and
‘benevolence’ (vide below under ‘conversational benevolence”). Also
‘desirability’: “Modality, desirability, and probability,” s. V, c. 8-ff.
14-15, and the conference lecture in a different series, “Probability,
desirability, and mood operators,” s. II, c. 2-f.11). Grice makes systematic use of ‘practical’ to
contrast with the ‘alethic,’ too (“Practical reason,” s. V, c. 9-f.1), The H.
P. Grice Papers, BANC.
desideratum of conversational
candour: The key for philosophical
attention here is ‘candour’ but the collocation is delightfully Griceian, “the
desideratum of conversational candour”
where only ‘candour,’ and just about, should be taken seriously. The term
‘desideratum’ has to be taken seriously. It involves freedom. This includes the
maximin. It should be noted that candour is DESIRABLE. There is a desirability
for candour. Candour is not a given. Ditto for clarity. See conversational
desideratum, simpliciter. A rational desideratum is a desideratum by a rational
agent and which he expects from another rational agent. One should make the
strongest move, and on the other hand try not to mislead.Grice's Oxford
"Conversation" Lectures, 1966Grice: Between Self-Love and Benevolence
As I was saying (somewhere), Grice uses "self-love", charmingly
qualified with capitals, as
"Conversational Self-Love", and, less charmingly, "Conversational Benevolence", in
lectures advertised at Oxford, as "Logic and Conversation" that he gave at Oxford in
1964 as "University Lecturer in
Philosophy". He also gave seminars on "Conversational
helpfulness." A number of the lectures by Grice include discussion of
thetypes of behaviour people in general exhibit, and thereforethe types of
expectations[cfr. owings]they might bring to a venture such as a
conversation.Grice suggests that people in general both exhibitand EXPECT a
certain degree of helpfulness [-- alla Rosenschein, epistemic/boulemaic:If A
cognizes that B wills p, then A wills p.]
"from OTHERS" [-- reciprocal vs. reflexive, etc.] usually on
the understanding that such helpfulness does NOT get in the way of particular
goals and does not involve undue effort cf. least effort?cfr. Hobbes on self-love.
It two people, even complete strangers,are going through a gate, the
expectation isthat the FIRST ONE through will hold thegate open, or at least
leave it open, for thesecond. The expectation is such that todo OTHERWISE
without particular reasonwould be interpreted as RUDE. The type of helpfulness
exhibited andexpected in conversation is more specificbecause of a particular,
although not a unique feature of conversation.It is a COLLABORATIVE venture
betweenthe participants.There is a SHARED aimGrice wonders. His words, Does "helpfulness in something WE ARE
DOING TOGETHER” equate to 'cooperation'?He seems to have decided that it
does. By the later lectures in the series, 'the principle of conversational
helpfulness'has been rebranded the expectation of 'cooperation.' During the
Oxford lectures, Grice develops his account of the precise nature of this
cooperation. It can be seen as governed by certain regularities, or principles,
detailing expected behaviour. The expression'maxim' to describe these
regularities appears relatively late in the lectures.Grice's INITIAL choices of
terms are 'objectives' and 'desiderata'.He was particularly fond of the latter.
He was interested in detailing the desirable forms of behaviour for the purpose
of achieving a joint goal of the conversation. Initially, Grice posits TWO such
desiderata. Those relating to candour on the one hand and clarity on the other.
The desideratum of candour contains his general PRINCIPLE of making the
strongest (MAX) possible statement and, as a LIMITING (MAX) factor on this, the
suggestion that speakers should try not to mislead. (Do not mislead). cfr.
our"We are brothers"-- but not mutual."We are married to each
other". "You _are_ a boor".----The desideratum of conversational
clarity concerns the manner of expression. [His later reference to Modus or
Mode as used by Kant as one of the four
categories] for any conversational contribution. It includes the IMPORTANT
expectations of relevance to understanding and also insists that the main
import of an utterance be clear and explicit. (“Explicate!”) These two factors
are constantly to be WEIGHED against two
FUNDAMENTAL and SOMETIMES COMPETING DEMANDS. Contributions to a conversation
are aimed towards the agreed current purposes by the PRINCIPLE of Conversational
Benevolence. The principle of CONVERSATIONAL SELF-LOVE ensures the assumption
on the part of both participants that neither will go to unnecessary trouble
[LEAST EFFORT] in framing their contribution. This has been a topic of interest
to Noh end. In "Conversational Immanuel" Grice tries different ways
of making sense -- it is very easy to do so -- of Grice's distinctions that go
over the head of some linguists I know! Reasonable versus rational for example.
A Rawlsian distinction of sorts. Rational is too weak. We need 'reasonable'.
So, what sort of reasonableness is that which results from this harmonious, we
hope, clash of self-love and benevolence? Grice tried, wittily, to extend the
purposes of conversation to involve MUTUALLY INFLUENCING EACH OTHER -- a
reciprocal. (WoW, ii). And there's a mythical reconstruction of this in his
"Meaning Revisited" which he contributed to this symposium organised
by N. Smith on Mutua knowledge. But issues remains, we hope. The concept of
‘candour’is especially basic for Grice since it is constitutive of what it
means to identify the ‘significatum.’ As he notes, ‘false’ information is no
information. This is serious, because it has to do with the acceptum. A
contribution which is not trustworthy is not deemed a contribution. It is
conceptually impossible to intend to PROVIDE information if you are aware that
you are not being trustworthy and not conveying it. As for the degree of
explicitness, as Grice puts it. Since in communication in a certain fashion all
must be public, if an idea or thesis is heavily obscured, it can no longer be
regarded as having been propounded. This gives acceptum justification to the
correlative desideratum of conversational clarity. On top, if there is a level
of obscurity, the thing is not deemed to have been a communicatum or
significatum. It is all about confidence, you know. U expects A will find him
confident. Thus we find in Short and Lewis, “confīdo,” wich they render as
“to trust confidently in something,” and also, “confide in, rely firmly upon,
to believe, be assured of,” as an enhancing of “sperare,” in Cicero’s Att. 6,
9, 1. Trust and rationality are pre-requisites of conversation. Urmson develops
this. They phrase in Urmson is "implied claim." Whenever U makes a
conversational contribution in a standard context, there is an implied claim to
U being trustworthy and reasonable. What do Grice and Urmson mean by an
"implied claim"? It is obvious enough, but they both love to expand.
Whenever U utters an expression which can be used to convey truth or falsehood
there is an implied claim to trustworthiness by U, unless the situation shows
that this is not so. U may be acting or reciting or incredulously echoing the
remark of another, or flouting the expectation. This, Grice and Urmson think,
may need an explanation. Suppose that U utters, in an ordinary
circumstance, ‘It will rain tomorrow,’ or ‘It rained yesterday,’ or ‘It is
raining.’ This act carries with it the claim that U should be trusted and
licenses A to believe that it will rain tomorrow. By this is meant that
just as it is understood that no U will give an order unless he is entitled to
give orders, so it is understood that no U will utter a sentence of a kind
which can be used to make a statement unless U is willing to claim that that
statement is true, and hence one would be acting in a misleading manner if one
uttered the sentence if he was not willing to make that claim. Here, the
predicate “implies that …,” Grice, Grant, Moore, Nowell-Smith, and Urmson hasten
to add, is being used in such a way that, if there is a an expectation that a
thing is done in Circumstance C, U implies that C holds if he does the thing.
The point is often made if not always in the terms Grice uses, and it is,
Urmson and Grice believe, in substance uncontroversial. Grice and Urmson wish
to make the point that, when an utterer U deploys a hedge with an indicative
sentence, there is not merely an implied claim that the whole statement is true
but also that is true. The implied or expressed claim by the utterer to
trustworthiness need not be very strong. The whole point of a hedge is to
modify or weaken (if not, as Grice would have it, flout) the claim by U to full
trustworthiness which would be implied by the unhedged assertion. But
even if U utters “He is, I suppose, at home;” or “I guess that the penny
will come down heads," U expresses, or for Urmson plainly implies,
with however little reason, that this is what U accepts as worth the trust by
A. Now Grice and Urmson meet an objection which is made by some philosophers to
this comparison. Grice and Urmson intend to meet the objection by a fairly
detailed examination of the example which they themselves would most likely
choose. In doing this Grice and Urmson further explain the use of a
parenthetical verb. The adverb is "probably" and the verb is “I
believe.” To say, that something is probable, the imaginary objector will say,
is to imply that it is reasonable to believe, that the evidence justifies a
guarded claim for the trust or trustworthiness of U and the truth of the
statement. But to say that someone else, a third person, believes something
does not imply that it is reasonable for U or A to believe it, nor that the
evidence justifies the guarded or implied claim to factivity or truth which U
makes. Therefore, the objector continues, the difference between the use
of “I believe” and “probably” is not, as Grice and Urmson suggest, merely one
of nuance and degree of impersonality. In one case, “probably,” reasonableness
is implied; in the other, “believe,” it is not. This objection is met by Grice
and Urmson. They do so by making a general point. To use the
rational-reasonable distinction in “Conversational implicaturum” and “Aspects,”
there is an implied claim by U to reasonableness. Further to an implied
claim to trust whenever a sentence is uttered in a standard context, now Grice
and Urmson add, to meet the sceptical objection about the contrast between
“probably” and “I believe” that, whenever U makes a statement in a standard
context there is an implied claim to reasonableness. This contention must be
explained alla Kant. Cf. Strawson on the presumption of conversational
relevance, and Austin, Moore, Nowell-Smith, Grant, and Warnock. To use
Hart’s defeasibility, and Hall’s excluder, unless U is acting or story-telling,
or preface his remarks with some such phrase as “I know Im being silly,
but …” or, “I admit it is unreasonable, but …” it is, Grice and
Urmson think, a presupposition or expectation of communication or conversation
that a communicator will not make a statement, thereby implying this trust,
unless he has some ground, however tenuous, for the statement. To
utter “The King is visiting Oxford tomorrow,” or “The President of the BA has a
corkscrew in his pocket,” and then, when asked why the utterer is uttering
that, to answer “Oh, for no reason at all,” would be to sin,
theologically, against the basic conventions governing the use of discourse.
Grice goes on to provide a Kantian justification for that, hence his amusing
talk of maxims and stuff. Therefore, Urmson and Grice think there is an
implied or expressed claim to reasonableness which goes with all
our statements, i.e. there is a mutual expectation that a communicator will not
make a statement unless he is prepared to claim and defend its reasonablenesss.
Cf. Grice’s desideratum of conversational candour, subsumed under the
over-arching principle of conversational helpfulness (formerly conversational
benevolence-cum-self-love). Grice thinks that the principle of
conversational benevolence has to be weighed against the principle of
conversational self-love. The result is the overarching principle of
conversational helpfulness. Clarity gets in the picture. The desideratum of
conversational clarity is a reasonable requirement for conversants to abide
by. Grice follows some observations by Warnock. The logical grammar
of “trust,” “candour,” “charity,” “sincerity,” “decency,” “honesty,” is subtle,
especially when we are considering the two sub-goals of conversation: giving
and receiving information/influencing and being influenced by others. In both
sub-goals, trust is paramount. The explorations of trust has become an Oxonian
hobby, with authors not such like Warnock, but Williams, and
others. Grice’s essay is entitled, “Trust, metaphysics, value.” Trust as a
corollary of the principle of conversational helpfulness. In a given
conversational setting, assuming the principle of conversational helpfulness is
operating, U is assumed by A to be trustworthy and candid. There are two
modes of trust, which relate to the buletic sub-goal and the doxastic sub-goal
which Grice assumes the principle of conversational helpfulness captures:
giving and receiving information, and influencing and being influenced by
others. In both sub-goals, trust is key. In the doxastic realm, trust
has to do, not so much or only, with truth (with which the expression is
cognate), or satisfactoriness-value, but evidence and probability. In the
buletic realm, there are the dimensions of satisfactoriness-value (‘good’
versus ‘true’), and ‘ground’ versus evidence, which becomes less crucial. But
note that one is trustworthy regarding BOTH the buletic attitude and the
doxastic attitude. Grice mentions this or that buletic attitudes which is not
usually judged in terms of evidential support (“I vow to thee my country.”)
However, in the buletic realm, U is be assumed as trustworthy if U has the
buletic attitude he is expressing. The cheater, the insincere, the dishonest,
the untrustworthy, for Grice is not irrational, just repugnant. How immoral is
the idea that honesty is the best policy? Is Kant right in thinking there is no
right to refrain from trust? Surely it is indecent. For Kant, there is no
motivation or ‘motive,’ pure or impure, behind telling the truthit’s just a
right, and an obligationan imperative. Being trustworthy for Kant is associated
with a pure motive. Grice agrees. Decency comes into the picture. An indecent
agent may still be rational, but in such a case, conversation may still be seen
as rational (if not reasonable) and surely not be seen as rational helpfulness
or co-operation, but rational adversarial competition, rather, a zero-sum game.
Grice found the etymology of ‘decent’ too obscure. Short and Lewis have
“dĕcet,” which they deem cognate with Sanscrit “dacas,” ‘fame,’ and Grecian
“δοκέω,‘to seem,’ ‘to think,’ and with Latin ‘decus,’ ‘dingus.’ As an
impersonal verb, Short and Lewis render it as ‘it is seemly, comely, becoming,;
it beseems, behooves, is fitting, suitable, proper (for syn. v. debeo init.):
decere quasi aptum esse consentaneumque tempori et personae, Cic. Or. 22, 74;
cf. also nunc quid aptum sit, hoc est, quid maxime deceat in oratione videamus,
id. de Or. 3, 55, 210 (very freq. and class.; not in Caesar). Grice’s idea of
decency is connected to his explorations on rational and reasonable. To cheat
may be neither unreasonable nor rational. It is just repulsive. Indecent,
in other words. In all this, Grice is concerned with ordinary language,
and treasures Austin questioning Warnock, when Warnock was pursuing a
fellowship at Magdalen. “What would you say the difference is between ‘Smith
plays cricket rather properly’ and ‘Smith plays cricket rather incorrectly’?”
They spent the whole dinner over the subtlety. By desserts, Warnock was in love
with Austin. Cf. Grice on his prim and proper Aunt Matilda. The
exploration by Grice on trust is Warnockian in character, or vice versa. In
“Object of morality,” Warnock has trust as key, as indeed, the very object of
morality. Grice starts to focus on trust in an Oxford seminars on the implicaturum.
If there is a desideratum of conversational candour, and the goal of the
principle of conversational helpfulness is that of giving and receiving
information, and influencing and being influenced by others, ‘false’
‘information’ is just no informationSince exhibiteness trumps protrepsis, this
applies to the buletic, too. Grice loved that Latin dictum, “tuus candor.” He
makes an early defence of this in his fatal objection to Malcolm. A philosopher
cannot intentionally instill a falsehood in his tutee, such as “Decapitation
willed the death of Charles I” (the alleged paraphrase of the paradoxical
philosopher saying that ‘causing’ is ‘willing’ and rephrasing “Decapitation was
the cause of the death of Charles I.” There is, for both Grice and Apel, a
transcendental (if weak) justification, not just utilitarian (honesty as the
best policy), as Stalnaker notes in his contribution to the Grice symposium for
APA. Unlike Apel, the transcendental argument is a weak one in that Grice aims
to show that conversation that did not abide by trust would be unreasonable,
but surely still ‘possible.’ It is not a transcendental justification for the
‘existence’ of conversation simpliciter, but for the existence of ‘reasonable,’
decent conversation. If we approach charity in the first person, we trust
ourselves that some of our beliefs have to be true, and that some of our
desires have to be satisfactory valid, and we are equally trusted by our
conversational partners. This is Grice’s conversational golden rule. What would
otherwise be the point of holding that conversation is rational co-operation?
What would be the point of conversation simpliciter? Urmson follows Austin, so
Austin’s considerations on this, notably in “Other minds,” deserve careful
examination. Urmson was of course a member of Grice’s play group, and these are
the philosophers that we consider top priority. Another one was P. H.
Nowell-Smith. At least two of his three rules deserve careful examination.
Nowell-Smith notes that this
or that ‘rule’ of contextual implication is not meant to be taken as a ‘rigid
rule’. Unlike this or that rule of entailment, a conversational rule can be
broken without the utterer being involved in self-contradiction or absurdity.
When U uses an expression to make a statement, it is contextually implied that
he believes it to be true. Similarly, when he uses it to perform any of the
other jobs for which sentences are used, it is contextually implied that he is
using it for one of the jobs that it normally does. This rule is often in fact
broken. Anti-Kantian lying, Bernhard-type play-acting, Andersen-type
story-telling, and Wildeian irony is each a case in which U breaks the rule, or
flouts the expectation, either overtly or covertly. But each of these four
cases is a secondary use, i.e. a use to which an expression cannot logically or
conceptually be put unless, as Hart would have it, it has a primary use. There
is no limit to the possible uses to which an expression may be put. In many
cases a man makes his point by deliberately using an expression in a queer way
or even using it in the ‘sense’ opposite to its unique normal one, as in irony
(“He is a fine friend,” implying that he is a scoundrel). The distinction
between a primary and a secondary use is important because many an argument
used by a philosopher consists in pointing out some typical example of the way
in which some expression E is used. Such an argument is always illegitimate if
the example employed is an example of a secondary use, however common such a
use may be. U contextually implies that he has what he himself believes to be
good reasons for his statement. Once again, we often break this rule and we
have special devices for indicating when we are breaking it. Phrases such as
‘speaking offhand …,’ 'I do not really know but …,’ and ‘I should be inclined
to say that …,’ are used by scrupulous persons to warn his addressee that U has
not got what seem to him good reasons for his statement. But unless one of these
guarding phrases is used we are entitled to believe that U believes himself to
have good reasons for his statement and we soon learn to *mistrust* people who
habitually infringe this rule. It is, of course, a mistake to infer from what
someone says categorically that he has in fact good reasons for what he says.
If I tell you, or ‘inform’ to you, that the duck-billed platypus is a bird
(because I ' remember ' reading this in a book) I am unreliable; but I am not
using language improperly. But if I tell you this without using one of the
guarding phrases and without having what I think good reasons, I am. What U
says may be assumed to be relevant to the interests of his addressee. This is
the most important of the three rules; unfortunately it is also the most
frequently broken. Bores are more common than liars or careless talkers. This
rule is particularly obvious in the case of answers to questions, since it is
assumed that the answer is an answer. Not all statements are answers to
questions; information may be volunteered. Nevertheless the publication of a
text-book on trigonometry implies that the author believes that there are
people who want to learn about trigonometry, and to give advice implies a
belief that the advice is relevant to one’s addressee's problem. This rule is
of the greatest importance for ethics. For the major problem of ethics is that
of bridging the gap between a decisions, an ought-sentence, an injunction, and
a sentence used to give advice on the one hand and the statements of *fact*, sometime
regarding the U’s soul, that constitute the reasons for these on the other. It
is in order to bridge these gaps that insight into necessary synthetic
connexions is invoked. This rule of contextual implication may help us to show
that there is no gap to be bridged because the reason-giving sentence must turn
out to be also *practical* from the start and not a statement of *fact*, even
concerning the state of the U’s soul, from which a practical sentence can
somehow be deduced. This rule is, therefore, more than a rule of good manners;
or rather it shows how, in matters of ordinary language, rules of good manners
shade into logical rules. Unless we assume that it is being observed we cannot
understand the connexions between decisions, advice, and appraisals and the
reasons given in support of them.
Refs.: The main reference is in the first set of ‘Logic and conversation.’ Many
keywords are useful, not just ‘candour,’ but notably ‘trust.’ (“Rationality and
trust,” c. 9-f. 5, “Trust, metaphysics, and value,” c. 9-f. 20, and “Aristotle
and friendship, rationality, trust, and decency,” c. 6-f. 18), BANC.
desideratum of conversational
clarity. There is some overlap here with
Grice’s category of conversational mannerof Grice’s maxim of conversational
perspicuity [sic]and at least one of the maxims proper, ‘obscuirty avoidance,’
or maxim of conversational obscurity avoidance. But at Oxford he defined the
philosopher as the one whose profession it is to makes clear things obscure. The
word desideratum has to be taken seriously. It involves freedom. In what way is
“The pillar box seems red to me” less perspicuous than “The pillar box is red”?
In all! If mutual expectation not to mislead and produce the stronger
contribution are characteristics of candour, expectation of mutual relevance to
interests, and being explicit and clear in your point are two characteristics
of this desideratum. “Candour” and “clarity’ are somewhat co-relative for
Grice. He is interested in identifying this or that desideratum. By having two
of them, he can play. So, how UNCLEAR can a conversationalist be provided he
WANTS to be candid? Candour trumps clarity. But too much ‘unperspicuity’ may
lead to something not being deemed an ‘implicaturum’ at all. Grice is
especially concerned with philosopher’s paradoxes. Why would Strawson say that
the usage of ‘not,’ ‘and,’ ‘or,’ ‘if,’ ‘if and only if,’ ‘all,’ ‘some (at least
one), ‘the,’ do not correspond to the logician’s use? Questions of candour and
clarity interact. Grice’s first application, which he grants is not original,
relates to “The pillar box seems red” versus “The pillar box is red.” “I would
not like to give the false impression that the pillar box is not red” seems
less clear than “The pillar box is red”Yet the unperspicuous contributin is
still ‘candid,’ in the sense that it expresses a truth. So one has to be
careful. On top, philosophers like Lewis were using ‘clarity is not enough’ as
a battle cry! Grice’s favourite formulations of the imperatives here are
‘self-contradictory,’ and for which he uses ‘[sic]’, notably: “Be perspicuous
[sic]’ and “Be brief. Avoid unnecessary prolixity [sic].’ Desirabile,
neuter, out of ‘desideratum’so by using ‘desirability,’ Grice is getting into
the modals -- desirability: Correlative: credibility. For Grice,
credibility reduces to desirability (He suggests that the reverse may also be
possible but does not give a proposal). This Grice calls the Jeffrey operator.
If Urmson likes ‘probably,’ Grice likes ‘desirably.’ This theorem is a
corollary of the desirability axiom by Jeffrey, which is: "If prob XY = 0,
for a prima facie PF(A V B) A (x E w)] =
PFA A (x E w)] + PfB A (x El+ w)]. This is the account by Grice of the
adaptability of a pirot to its changeable environs. Grice borrows the
notion of probability (henceforth, “pr”) from Davidson, whose early claim to
fame was to provide the logic of the notion. Grice abbreviates probability
by Pr. and compares it to a buletic operator ‘pf,’ ‘for prima facie,’ attached
to ‘De’ for desirability. A rational agent must calculate both the probability
and the desirability of his action. For both probability and desirability,
the degree is crucial. Grice symbolises this by d: probability in degree d;
probability in degree d. The topic of life Grice relates to that of
adaptation and surival, and connects with his genitorial programme of creature
construction (Pology.): life as continued operancy. Grice was fascinated with
life (Aristotle, bios) because bios is what provides for Aristotle the definition
(not by genus) of psyche. The steps are as follows. Pf(p ⊃!q)/Pr(p ⊃ q); pf((p1 p2) ⊃!q)/pr(p1 p2 ⊃q);
pf((p1 p2 p3) ⊃!q)/pr(p1 p2
p3 p4 ⊃q);
pf (all things before me ⊃!q)/pr (all things before me ⊃
q); pf (all things considered ⊃ !q)/pr(all things considered ⊃ q); !q/|- q; G wills !q/G judges q. Strictly, Grice avoids
using the noun probability (other than for the title of this or that lecture).
One has to use the sentence-modifier ‘probably,’ and ‘desirably.’ So the
specific correlative to the buletic prima facie ‘desirably’ is the doxastic ‘probably.’
Grice liked the Roman sound to ‘prima facie,’ ‘at first sight’: “exceptio, quae prima facie justa videatur.” Refs.:
The two main sources are “Probability, desirability, and mood operators,” c.
2-f. 11, and “Modality, desirability and probability,” c. 8-ff. 14-15. But most
of the material is collected in “Aspects,” especially in the third and fourth
lectures. The H. P. Grice Papers, BANC.
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