Bordon Giulio Cesare Scaligero Da Wikipedia,
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Scaligero Giulio Cesare Scaligero o della Scala, latinizzato in Julius Caesar
Scaliger (Riva del Garda, 23 aprile 1484 – Agen, 21 ottobre 1558) è stato un
umanista, filosofo e medico italiano. Il suo vero nome era Giulio Bordon.
Di origine italiana, trascorse in Francia parte della sua vita, e la parte più
fruttuosa della sua carriera. A dispetto del suo atteggiamento arrogante e
incline alla polemica, era alta la sua reputazione tra i contemporanei, che lo
giudicavano così distinto nel suo sapere e talento, che, secondo Jacques
Auguste de Thou, nessuno degli antichi poteva essere collocato sopra di lui, e
che l'età in cui visse non presentò nessun sapiente paragonabile a lui.
Indice 1 Biografia
1.1 Partecipa
alla battaglia di Ravenna 1.2 Diventa
medico personale del vescovo di Agen 1.3 Accusa
di eresia 2 Opere
filosofiche e scientifiche 2.1 Il
Dialogue de plantis e le Exercitationes 2.2 Pubblicazioni
postume: De causis plantarum e Storia degli animali 2.3 Anticipa il ragionamento induttivo del metodo
scientifico. 3 Edizioni
4 Onorificenze
5 Note
6 Bibliografia
7 Voci
correlate 8 Altri
progetti 9 Collegamenti
esterni Biografia Nelle proprie note biografiche, Scaligero si spaccia per un
discendente del casato dei Della Scala (che furono, per 150 anni, i signori di
Verona) e si dice nato nell'anno 1484 a Rocca di Riva, sulle rive del Lago di
Garda. Era forse figlio di Niccolò della Scala, a sua volta figlio di
Guglielmo.[1] Quando era dodicenne, il suo protettore, l'imperatore
Massimiliano I d'Asburgo, lo nominò tra i suoi paggi. Rimase per diciassette
anni al servizio dell'imperatore, distinguendosi prima come soldato e poi come
capitano. Ma non dimenticava di coltivare né le lettere, nelle quali aveva
avuto come precettori alcuni tra i più eminenti studiosi del tempo, né le arti,
che aveva studiato con considerevole successo sotto la direzione di Albrecht
Dürer. Partecipa alla battaglia di Ravenna Nel 1512, nella battaglia di
Ravenna, in cui padre e suo fratello maggiore rimasero uccisi, mostrò grandi
doti di coraggio, e in seguito ricevette i più alti onori della cavalleria dal
suo imperiale cugino[non chiaro], che gli conferì con le proprie mani l'Ordine
dello Speron d'oro, aumentato con il collare e l'aquila d'oro. Questa è stata
l'unica ed elevatissima decorazione da lui ottenuta. Lasciò la corte di
Massimiliano I e, dopo un breve impiego presso un altro mecenate, il duca di
Ferrara, decise di abbandonare la vita militare, e nel 1514 s'iscrisse come
studente all'Università di Bologna. Decise di prendere i voti, nell'aspettativa
di diventare cardinale, e forse anche papa, se fosse riuscito a strappare dai
veneziani il Ducato di Verona, del quale la repubblica aveva usurpato i suoi
antenati. Ma, dal momento che restò secolare, abbandonò questi progetti e
rimase all'università fino al 1519. I seguenti sei anni li passò al
castello di Vico Nuovo, in Piemonte, come ospite dei Della Rovere, all'inizio
dividendo il suo tempo tra spedizioni militari in estate, e lo studio,
principalmente della medicina e della storia naturale, in inverno, fino a che
un forte attacco di gotta reumatica portò alla fine la sua carriera
militare. Diventa medico personale del vescovo di Agen Di conseguenza, da
allora la sua vita divenne totalmente devota allo studio. Nel 1525 accompagnò,
nel ruolo di medico personale, Antonio della Rovere, vescovo di Agen.
Pochi anni dopo la morte dello Scaligero, i nemici del figlio cominciarono a
insinuare che egli non fosse un discendente della famiglia dei Della Scala, ma
il figlio di Benedetto Bordone, un illustratore e maestro di liceo da Verona;
che fosse stato educato a Padova, dove avrebbe ottenuto il titolo di medico; e
che la storia della sua vita e delle sue avventure prima dell'arrivo ad Agen
non fosse nient'altro che una trama di favole. Certamente, molte delle sue
affermazioni non sono sostenute da alcun'altra prova se non le sue proprie
dichiarazioni, e alcune di queste sono in contraddizione con fatti ben
accertati (si veda sotto). Trascorse quasi tutti i restanti trentadue
anni della sua vita nella città di Agen, sotto la luce dei riflettori della
storia contemporanea. Furono anni senza particolari vicissitudini, quasi senza
incidenti; proprio in quegli anni, d'altra parte, egli raggiunse una fama così
grande che dopo la sua morte, nel 1558, godeva d'una reputazione scientifica e
letteraria tra le migliori in Europa. Pochi giorni dopo il suo arrivo ad Agen
s'innamorò di un'incantevole orfanella di tredici anni, Andiette de Roques
Lobejac. Gli amici della ragazza s'opposero al suo matrimonio con un
avventuriero sconosciuto, ma nel 1528 egli aveva ottenuto tanto successo come
medico che le obiezioni della famiglia furono superate, e a quarantacinqu'anni
egli sposò Andiette, che era sedicenne. Il matrimonio si dimostrò un completo
successo; fu seguito da ventinove anni di felicità coniugale quasi
ininterrotta, e dalla nascita di quindici figli, tra i quali il famoso Giuseppe
Giusto Scaligero. Accusa di eresia Messo sotto accusa, per sospetti di
eresia nel 1538, dei quali venne prosciolto dai suoi amici giudici (uno tra
questi era Arnoul Le Ferron). Nello stesso periodo pubblica i suoi principali
libri, che suscitano querele e critiche. Nel 1531 stampa la sua prima invettiva
contro Erasmo da Rotterdam, in difesa di Cicerone e dei Ciceronianus[2]. È un
pezzo di invettiva vigorosa, che mostra, come in tutti i suoi scritti
successivi, una sorprendente padronanza del latino, e una retorica brillante,
anche se carica dell'abuso del volgare, che forse non inquadrava affatto la
vera essenza dei ciceroniani di Erasmo. Fu grande l'indignazione dello
scrittore quando l'unica risposta che ricevette dal grande Erasmus era stata
l'essere trattato con un silenzioso disprezzo (Erasmo pensava che questa sua
opera fosse il lavoro di un suo nemico personale, Meander, che Erasmo credeva
si nascondesse sotto lo pseudonimo di G.C.S.), e indusse Scaligero a scrivere
una seconda invettiva (pubblicata nel 1536), più violenta e abusiva, con una
maggiore auto-glorificazione, ma con meriti reali davvero inferiori rispetto
alla prima. Questi discorsi venivano seguiti da un prodigiosa quantità di versi
latini, che apparvero in volumi successivi nel 1533, 1534, 1539, 1546 e 1547;
di questi, un critico amico, Mark Pattison, si sentì obbligato ad approvare il
giudizio di Pierre Daniel Huet, che disse, "par ses poésies brutes et
informes Scaliger a deshonoré le Parnasse" (per le sue poesie aspre e
informi ha disonorato il Parnaso); nonostante questo, le numerose edizioni
stampate di questi, mostrano come questi versi fossero grati non soltanto ai
contemporanei, ma anche agli studiosi successivi. Un breve trattato sui versi
comici De comicis dimensionibus (Lione, 1540) e un'opera De causis linguae
Latinae (Ginevra, 1580)[3], lo resero il primo grammatico latino che seguiva
principi scientifici e che seguiva un metodo scientifico, e dunque, sono questi
i suoi due unici lavori puramente letterari pubblicati in vita.
Frontespizio dell'edizione lionese dei Poetices libri septem (1561). I
suoi Poetices libri septem (Ginevra e Lione 1561; Leyda 1581) apparirono dopo
la sua morte. Con molti paradossi, con molte critiche ad altri autori che
rasentano il disprezzo, e molte esibizioni di pura animosità personale
(specialmente quando si riferiva a Étienne Dolet, arrivando a scrivere glosse
sulla sua morte, piene di brutale malignità), eppure contenenti acute critiche
basate sulla Poetica di Aristotele, "imperator noster; omnium bonarum
artium dictator perpetuus"[4], un trattato che divenne influente nella
storia della critica letteraria. Come molti della sua generazione, Scaligero
considerava Virgilio superiore ad Omero. La sua lode delle tragedie di Seneca
il giovane sopra quelle dei greci influenzò sia Shakespeare che Pierre
Corneille. Opere filosofiche e scientifiche Ma è piuttosto come filosofo
e uomo di scienza che Scaligero voleva essere giudicato. Definiva i suoi studi
classici come un gradevole rilassamento da compiti più severi. Qualsiasi siano
state le sue vere faccende nei suoi primi 40 anni di vita, sicuramente queste
lo resero un osservatore accurato e ravvicinato, e lo avevano reso edotto di
molti fenomeni curiosi e poco noti, che aveva pienamente registrato in una tra
le più tenaci memorie della storia. Il Dialogue de plantis e le
Exercitationes I suoi scritti scientifici sono tutti sotto forma di commenti, e
non è stato se non sino al suo settantesimo anno (con l'eccezione di un breve
trattato sul De insomniis di Ippocrate) che sentì che uno qualsiasi di questi
scritti fosse sufficientemente completo per essere dato alla stampa. Nel 1556
fa stampare il suo Dialogue sulle piante De plantis attribuito ad Aristotele, e
nel 1557 le sue Exercitationes basata sul lavoro di Girolamo Cardano, De
subtilitate. Pubblicazioni postume: De causis plantarum e Storia degli
animali Alla sua morte rimasero incompiute altre sue opere scientifiche, tra
cui i commentari su Teofrasto De causis plantarum e la Storia degli animali di
Aristotele, che vennero stampati postumi. Sono tutte opere contrassegnate da un
dogmatismo arrogante, violenza nel linguaggio, e una costante tendenza all'auto
glorificazione, stranamente combinate con autentiche conoscenze alquanto
estese, accompagnate da ragionamenti acuti, corredate da osservazioni dei fatti
e dei dettagli senza paragoni tra gli altri studiosi del tempo. In effetti, lui
era soltanto il maggiore naturalista del Cinquecento, con tutti i limiti dell'epoca.
Anticipa il ragionamento induttivo del metodo scientifico. Non si può mettere
in discussione che non abbia anticipato in qualche maniera il ragionamento
induttivo del vero metodo scientifico, anche se i suoi studi di botanica non lo
condussero, (come il suo contemporaneo Konrad von Gesner), a qualche forma di
idea su un sistema naturale di classificazione; rigettò, inoltre, con estrema
arroganza e violenza di linguaggio le scoperte di Niccolò Copernico. Rimase
ancorato ai dogmi di Aristotele nella metafisica e nella storia naturale, così
come a quelli di Galeno in medicina, anche se non rimase schiavo alla lettera
dei loro testi o ai dettagli di entrambi. Scaligero dominava ampiamente e
profondamente i loro principi, ed era capace di accorgersi quando i suoi
maestri non erano coerenti con loro stessi. In molti aspetti corregge alcune
dichiarazioni di Aristotele utilizzando i principi aristotelici.
Scaligero si trova in una fase del processo di evoluzione del sapere nella
quale si tenta di armonizzare gli scritti dei classici con la realtà dei fatti
che si riscontrano in natura, e il risultato finale è che i suoi lavori
scientifici hanno un valore puramente storico. Le sue Exercitationes basate sul
libro De subtilitate di Cardano (1551) è il libro che dà a Scaligero la sua
notorietà come filosofo. Le numerose edizioni testimoniano la loro popularità
all'epoca, e fino alla totale caduta finale delle vedute fisiche di Aristotele
continuarono ad essere un libro di testo molto usato. Le Exercitationes sono rinomate
per il loro sfoggio di una grande ricchezza di conoscenze enciclopediche, il
vigoroso stile dell'autore nel sostenere le proprie tesi, e l'accuratezza delle
sue osservazioni; allo stesso modo, come osservò Gabriel Naudé, i suoi lavori
contengono più falle rispetto a quelle che lui stesso scoprì in Cardano.
Charles Nisard scrive che questo suo lavoro sembra pesantemente fazioso, perché
cerca di negare tutto quello che Cardano afferma e di affermare tutto quello
che Cardano nega. Nonostante questo, Leibniz e Sir William Hamilton lo
riconoscono come il migliore esponente della fisica e metafisica di
Aristotele. Giulio Cesare Scaligero morì nella città di Agen nel
1558. Edizioni Iulius Caesar Scaliger, Poetices libri septem, Genevae,
apud Ioannem Crispinum, 1561. Onorificenze Cavaliere dello Speron d'oro -
nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere
dello Speron d'oro Note ^ Pompeo Litta, Famiglie celebri d'Italia. Scaligeri di
Verona, Torino, 1835. ^ Oratio pro Cicerone contra Erasmum (Parigi 1531), nel quale
liquidava Erasmo come un parassita letterario, un mero correttore di bozze ^ In
queste Scaligero analizza il corretto stile di Cicerone e indica 634 errori
commessi da Lorenzo Valla e i suoi predecessori umanisti ^ "Imperatore
nostro, dittatore perpetuo di ogni buona qualità nelle arti". Bibliografia
Questo articolo (in alcune parti) incorpora testi provenienti dalla
Encyclopædia Britannica (Undicesima Edizione, del 1911) una pubblicazione che
attualmente si trova nel public domain mondiale. (EN) Catholic
Encyclopedia: Julius Caesar Scaliger (EN) Correspondents of Scaliger Julius
Caesar Scaliger was the father of Josephus Justus Scaliger (1540-1609), who
maintained a vast correspondence with European humanists and scholars, whose
names are listed here. Pompeo Litta, Famiglie celebri d'Italia. Scaligeri di
Verona, Torino, 1835. Voci correlate Luca Gaurico Giuseppe Giusto Scaligero
Nostradamus Della Scala Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource
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Giulio Cesare Scaligero, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
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Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Giulio Cesare
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Biografie Filosofia Portale Filosofia Letteratura Portale Letteratura
Rinascimento Portale Rinascimento Categorie: Umanisti italianiFilosofi italiani
del XVI secoloMedici italianiNati nel 1484Morti nel 1558Nati il 23 aprileMorti
il 21 ottobreNati a Riva del GardaMorti ad AgenPersone legate all'Università di
BolognaScrittori in lingua latinaItaliani emigrati in FranciaCavalieri dello
Speron d'oroUomini universali[altre]
BORELLI-D
BORRELI- Giovanni Alfonso Borelli Da Wikipedia,
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riferimento. Giovanni Alfonso Borelli Giovanni Alfonso Borelli (Napoli,
28 gennaio 1608 – Roma, 31 dicembre 1679) è stato un matematico, astronomo,
fisiologo e filosofo italiano. Borelli fu studioso poliedrico,
promulgatore delle dottrine galileiane ed ebbe il merito di applicare il metodo
matematico ai problemi di carattere biologico. Fu socio dell'Accademia del
cimento e maestro di Marcello Malpighi e di Lorenzo Bellini. Indice
1 Biografia 1.1 Roma
(1614-1635) 1.2 Messina
(1635-1656) 1.3 Pisa
(1656-1667) 1.4 Messina
(1667-1674) 1.5 Roma
(1674-1679) 2 Studi
2.1 Fisiologia
2.2 Astronomia
3 Opere
4 Note
5 Bibliografia
6 Voci
correlate 7 Altri
progetti 8 Collegamenti
esterni Biografia Monumento funerario di Giovanni Alfonso Borelli. Alcuni
studiosi[1] ritengono che sia nato tra il 1598 e il 1599 da donna santagatina
(Motta Sant'Agata di Reggio di Calabria). La ricostruzione della sua
biografia si basa sull'epistolario che Borelli ha tenuto con Vincenzo Viviani,
Alessandro Marchetti (suo discepolo all'Università di Pisa), Antonio
Magliabechi e Marcello Malpighi.[2] Malpighi introdurrà anche delle
informazioni riguardanti Borelli nella sua autobiografia.[3] Grazie a questi
riferimenti è possibile affermare che Giovanni Alfonso Borelli nacque il 28
gennaio 1608 e fu battezzato con il nome di Giovanni Francesco Antonio. Il
padre di Borelli, Miguel Alonzo, secondo il contributo dei personaggi prima
menzionati, era un semplice soldato di fanteria del presidio spagnolo
distaccato al Castel Nuovo di Napoli, mentre la madre era una umile
popolana.[4] Circa i suoi natali è inoltre insistita una maldicenza forse priva
di fondatezza che ne attribuiva la paternità a Tommaso Campanella, a quel tempo
esiliato al Castel Nuovo di Napoli. Anche l'origine napoletana è stata messa in
discussione, in particolare è stata ipotizzata la nascita di Borelli a Messina,
che potrebbe però essere la città natale del fratello minore.[5] Nel 1614
il padre di Borelli, Alonzo, fu processato, forse per aver favorito la fuga del
Campanella, e fu condannato alla pena capitale, che gli fu poi commutata
nell'esilio a Roma. Questo ultimo sarà il luogo dove Borelli effettuerà i suoi
studi diventando anche allievo di Benedetto Castelli. Borelli insegnò
matematica prima a Messina nel 1649 e poi a Pisa nel 1656 dove fondò
l'Accademia degli Investigandi. Nel 1674 si ritirò a Roma dove visse sotto la
protezione di Cristina di Svezia e dove fondò nel 1677 l'Accademia
dell'Esperienza conosciuta anche come Accademia di Fisica-Matematica. Sempre a
Roma incontra Vitale Giordano di cui diventa amico.[6] Roma (1614-1635)
Circa la data del trasferimento a Roma di Borelli ci sono dei dubbi. Secondo
Francesco Puccinotti Borelli si sarebbe trasferito non nel 1614, ma più tardi,
ovvero successivamente al conseguimento della laurea in medicina. Anche su
questa laurea sono stati espressi dei dubbi, ma la si deve credere quasi certa
se si considera la competenza che Borelli dimostra nelle sue opere mediche; è
da considerare anche che nell'ultimo periodo della sua vita divenne medico
della regina Cristina di Svezia. A Roma frequentò le lezioni di idrodinamica
dell'abate Benedetto Castelli. Castelli godeva di una notevole fama e fu
certamente in quell'occasione che Borelli cominciò ad appassionarsi alla fisica
e, in particolare, alla meccanica classica.[7] Chiaramente questo periodo fu
decisivo per il suo indirizzo culturale in quanto gli permise di elaborare
quella metodologia di pensiero grazie alla quale lascerà impresso il suo nome
nella storia. Borelli infatti utilizza l'applicazione della matematica della
meccanica e del metodo sperimentale, proprio della scuola galileiana, per
risolvere i problemi biologici. Messina (1635-1656) Nel 1635 Borelli fu chiamato
dal senato accademico dell'Università di Messina, grazie in parte alla
raccomandazione del Castelli, al fine di occupare la nuova lettura de
matematiche. L'Università di Messina lo tenne in gran conto e gli fornì i mezzi
per viaggiare e mettersi in contatto con i professori delle altre università.
Grazie al suo lavoro, nel 1646, Borelli pubblicò la risoluzione di alcuni
problemi geometrici di Pietro Emanuele[8] Nel 1647-1648, scoppiò una epidemia
in Sicilia che diede l'occasione a Borelli di scrivere la sua prima opera da
medico. L'opera intitolata cagioni delle febbri maligne in Sicilia negli anni
1647-1648 venne pubblicata/ripubblicata a Cosenza nel 1649 in omaggio all'amico
Tommaso Cornelio. La precisione con la quale Borelli trattò questo problema
confermano ulteriormente che egli già in precedenza aveva raggiunto notevoli
conoscenze mediche.[9] Pisa (1656-1667) Nella primavera del 1656 Borelli
lasciò Messina al fine di occupare la cattedra di matematica all'Università di
Pisa, conferitagli dal Granduca Ferdinando II. Il 19 marzo dello stesso anno
tenne la sua prima lezione pisana ma con scarso successo. Non passò molto tempo
però che quegli stessi allievi dovettero ricredersi sulle qualità del maestro.
Tra i suoi più illustri discepoli, merita di essere citato Alessandro
Marchetti. Il soggiorno pisano si rivelò di grandissima importanza al fine di
plasmare l'orientamento scientifico di Borelli, che già alla scuola del
Castelli si era andato rafforzando.[10] Per sottolineare l'importanza del soggiorno
pisano è giusto considerare che il territorio di Pisa ha visto passare i più
illustri medici del tempo: Andrea Vesalio nel 1543, Realdo Colombo nel 1546,
Andrea Cesalpino nel 1581, Galileo Galilei infine che era stato a Pisa per
conseguire il titolo di dottorato, ma poi finì per insegnare matematica.
Sebbene tra i medici appena nominati Galileo possa sembrare estraneo al loro
campo non bisogna escluderlo del tutto. La tradizione galileiana infatti traeva
nuove risorse grazie alla fondazione dell'Accademia del Cimento che ha
costituito un evento di notevole importanza per l'evoluzione del progresso
scientifico. Della suddetta accademia fecero parte: Vincenzo Viviani, Carlo
Roberto Dati, Alessandro Segni, Francesco Redi, Evangelista Torricelli, Antonio
Oliva (di Reggio Calabria), Giovanni Alfonso Borelli. Il motto di questa
accademia era: provando e riprovando, ancora conosciuto ai giorni nostri.[11]
Con l'accademia del Cimento viene dato credito al metodo sperimentale
galileiano in contrapposizione al principio di autorità del metodo
aristotelico. Borelli diede un contributo notevole a ogni importante esperienza
dell'accademia. Giovanni Targioni Tozzetti si riferisce a lui come uno dei
maggiori luminari dell'accademia.[12] Nel 1658 Borelli pubblicò l'opera
l'Euclides restitutus, di notevole importanza matematica, successivamente si
dedicò alla traduzione del Dei conici di Apollonio, voluta da principe
Leopoldo. Nel 1661 Pisa si presentò come il teatro di una epidemia di febbri.
Borelli studiò questo nuovo morbo e ne fece una descrizione in alcune lettere
che inviò a Marcello Malpighi.[13] Nel 1664 pubblicò il De rerum usu,
completando le osservazioni anatomiche del Bellini L. con delle osservazioni
fisiologiche. Sempre nel 1664 si occupò anche di astronomia, in particolare
della cometa che era apparsa a dicembre di quell'anno. Nel 1666 nel Theoricae
medieorum planetarum ex causis phisicis deductaem si interessò del movimento
dei satelliti di Giove.[14] Borelli, parallelamente alle esperienze di
matematica e fisica, si occupò di anatomia e soprattutto di fisiologia. Queste
ultime esperienze gli saranno di estremo aiuto per la successiva elaborazione
del De motu animalium. Sia l'anatomia che la fisiologia compiono in questi
momenti dei progressi significativi, soprattutto grazie all'applicazione del
metodo sperimentale alla fisiologia (William Harvey con la dimostrazione della
circolazione del sangue). In questo periodo storico l'intento principale è
quello di abbandonare il cieco empirismo al fine di porre le basi di quella che
sarà la medicina moderna. Sotto questi auspici nasceva, grazie anche a Borelli,
un nuovo movimento, la scuola iatromeccanica che agli inizi veniva anche
chiamata scuola iatromatematica.[15] Tuttavia, già nel 1665 sorgevano i primi dissidi
e le primeinimicizie tra gli accademici del Cimento; Borelli era in dissidio
soprattutto con Vincenzo Viviani, per cui cominciava a maturare il
convincimentodi ritornare a Messina.[16] Il 18 marzo 1667, Borelli scrive al
Principe Leopoldo e manifesta l'intenzione di lasciare Pisa adducendo il
pretesto della salute. La partenza di Borelli dispiacque al Principe Leopoldo,
il quale tuttavia non lo privò della sua stima. Secondo Francesco
Redi, Borelli si pentì di aver lasciato Pisa. Con il ritorno a Messina si
chiudeva la fase più feconda di risultati nella vita di Borelli. Messina
(1667-1674) Il ritorno di Borelli a Messina fu molto gradito dai cittadini di
questa città, grazie sia al ricordo che avevano conservato e sia per la fama
che Borelli aveva conquistato in Toscana. Nella città sicula, Borelli riprese
l'attività di docente impegnandosi sullo studio dei fenomeni riguardanti
l'astronomia e la fisiologia; nel 1669 pubblicò le Osservazioni intorno alle
virtù ineguali degli occhi.[17] Sempre nel 1669, fu incaricato dalla Royal
Society di Londra per studiare l'eruzione dell'Etna. Alla descrizione
dell'eruzione del vulcano fatta da Borelli si interessò anche il Principe
Leopoldo. Durante il soggiorno messinese, Borelli frequentò la casa del
Visconte Ruffo, luogo nel quale, a quanto sembra, si cospirava contro il regime
spagnolo. Questa attività cospiratrice culminò nella congiura del 1674 la
quale, oltre a non provocare nessuna alterazione nella situazione politica,
ebbe conseguenze disastrose per la cultura dell'isola. Borelli, per le sue idee
e per il suo operare in nome della libertà e dell'indipendenza, fu accusato di
ribellione e dovette espiare la sua colpa a Roma, un territorio non dominato
dalla corona spagnola.[18] Roma (1674-1679) Borelli, esule e povero,
raggiunse Roma nel 1674. Il poco avere che era riuscito a portare con sé gli fu
derubato da un servo infedele. Malgrado queste tristi condizioni, egli non
abbandonò l'attività intellettuale, anzi riprese lo studio al fine di portare a
termine la sua più grande opera, il De motu animalium. Fortunatamente il
Borelli incontrò a Roma la regina Cristina di Svezia, la quale avrebbe poi
patrocinato la pubblicazione della sua opera capitale. A causa delle condizioni
economiche in cui versava, Borelli dovette accettare l'ospitalità offertagli da
B. Carlo Giovanni di Gesù nella sua casa di San Pantaleo.[4] Il De motu
animalium rappresenta il suo ultimo grande contributo per la conoscenza
scientifica infatti, mentre lavorava su questa opera, fu colpito dalla malattia,
probabilmente polmonite, che lo avrebbe condotto alla morte il 31 dicembre
1679.[10] Prima di morire, Borelli, raccomandò la pubblicazione del De motu
animalium a B. Carlo Giovanni di Gesù. L'edizione completa del De motu
animalium porta la data: Romae idibus Augusti 1680. Studi Fisiologia
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: De motu animalium. L'opera più conosciuta del
Borelli è il trattato De Motu Animalium (1680), uscito postumo, con il quale
cercò di spiegare il movimento del corpo animale basandosi su principi
meccanici, tentando di estendere all'ambito biologico il metodo di analisi
geometrico-matematica elaborato da Galileo in ambito meccanico e per il quale
si guadagnò il titolo di padre della iatromeccanica. Astronomia Borelli
si occupò anche di astronomia, elaborando una teoria generale sul moto dei
pianeti, seppure limitatamente ai satelliti di Giove. Si suppone che la
decisione di limitare lo studio a tali corpi fosse stata dettata
dall'opportunità di non andare in contrasto con le teorie geocentriche imposte
dalla Chiesa. Nel suo studio Theoricae mediceorum planetarum, sostiene che
tutti i satelliti abbiano una naturale tendenza ad avvicinarsi a Giove, mentre
la loro orbita circolare intorno ad esso li spingerebbe ad allontanarsene. Le
forze contrapposte si equilibrerebbero: l'attrazione verso Giove sarebbe
costante mentre la spinta contraria sarebbe inversamente proporzionale alla
distanza dei satelliti da Giove. Borelli giustifica il moto delle orbite e la loro
forma ellittica come una combinazione di forze tra "l'attrazione dei raggi
solari" e i "raggi motori" originati da Giove.[19]
Giovanni Alfonso Borelli, continuando i tentativi di Galileo sulla misurazione
della velocità della luce, eseguì un esperimento utilizzando un sistema di
specchi riflettenti sulla distanza tra Firenze e Pistoia, circa 35 km. Questo
metodo fu poi ripreso dal francese Armand Hippolyte Fizeau che, nel 1849,
riuscì a valutare una velocità di 283.000 km/s, molto vicino alla misura esatta.[20]
Opere Frontespizio di Euclides restitutus di Giovanni Alfonso Borelli
(Pisa, 1658) Elenco parziale: Cagioni delle febbri maligne in Sicilia
negli anni 1647-1648. Della cagioni delle febbri maligni. (Pisa 1658) Euclides
restitutus, sive prisca geometriae elementa, brevius, & facilius contexta.
(Pisa 1658) De Renum usu Judicium. (Strasburgo 1664) Lettera del movimento
della cometa apparsa il mese di dicembre del 1664 a Pisa. (1665) Theoricae
mediceorum planetarum ex causis phisicis deductae. (Pisa 1666) De Vi
Percussionis, et Motionibus Naturalibus a Gravitate Pendentibus. (Bologna 1667)
(Leida 1686) Osservazioni intorno alle virtù ineguali degli occhi. (Messina
1669) Meteorologia Aetnea, seu historia et methereologia incendi Aetnei anni
1669. (Reggio Calabria 1670) De motionibus naturalibus a gravitate pendentibus.
(Bologna 1670) De Motu Animalium. 1ª parte (Roma 1680) ; 2ª parte (Roma, 1681)
Note ^ Fra i quali D. Rotundo ^ Derenzini T. - Alcune lettere di Borelli ad
Alessandro Marchetti.1959, pp.224-243 ^ Gaizo M. - Alcune lettere di Giovanni
Alfonso Borelli, dirette una a Malpighi, le altre a Magliabechi. Napoli,
1886 Capparoni P. - Sulla patria di Giovanni Alfonso Borelli. Rivista
storica, scientifica, medica, 1931, pp.53-63. ^ Capparoni P. - Sulla patria di
Giovanni Alfonso Borelli. Rivista storica, scientifica, medica, 1931, pp.57-63.
^ Barbensi G. - Borelli. Collana di vita di medici e naturalisti celebri,
Trieste, 1947. ^ Gaizo M. - L'opera scientifica di Giovanni Alfonso Borelli e
la scuola di Roma nel secolo XVII.1909, pp.152-207. ^ Gaizo M. - L'opera
scientifica di Giovanni Alfonso Borelli e la scuola di Roma nel secolo
XVII.1909, pp.275-307. ^ Barbensi G. - Borelli. Collana di vita di medici e
naturalisti celebri. Trieste, 1947. Derenzini T. - Alcune lettere di
Borelli ad Alessandro Marchetti. ^ Derenzini T. - Giovanni Alfonso Borelli,
fisico: Celebrazione dell'Accademia del Cimento nel tricentenario della
fondazione (19 giugno 1957), Pisa, 1958, pp.35-42. ^ Derenzini T. - Giovanni
Alfonso Borelli, fisico: Celebrazione dell'Accademia del Cimento nel
tricentenario della fondazione (19 giugno 1957), Pisa, 1958, pp.43-45 ^ Belloni
L. - Dal Borelli al Malpighi.1967. ^ Koyré A. - La mécanique céleste de
Giovanni Alfonso Borelli. Rivista Storica, Scientifica, 1952. ^ Pazzini A. - La
medicina nella storia, nell'arte, nel costume. 1970. ^ Derenzini T. - Giovanni
Alfonso Borelli, fisico: Celebrazione dell'Accademia del Cimento nel
tricentenario della fondazione (19 giugno 1957), Pisa, 1958, pp.52-56. ^ Gaizo
M. - L'opera scientifica di Giovanni Alfonso Borelli e la scuola di Roma nel
secolo XVII.1909.. ^ Capparoni P. - Sulla patria di Giovanni Alfonso Borelli.
Rivista storica, scientifica, medica, 1931. ^ J. L. E. Dreyer, Storia
dell'astronomia da Talete a Keplero, traduzione di Libero Sosio, Milano,
Feltrinelli, 1977. ^ F. Savornian, Da Leonardo a Marconi, Milano, Hoepli, p.
119. Bibliografia Bernoulli J. - Opera Omnia. Lausanae, (1742). Barbensi G. -
Borelli. Collana di vita di medici e naturalisti celebri.(1947), Trieste.
Barbensi G. - Di una diversa soluzione di un problema di meccanica muscolare da
parte di due medici matematici. Rivista Storica, Medica, Scientifica. (1938),
Siena. Baldoni N. - Introduzione a Giovanni Borelli Vico.(1961), Milano. Capparoni
P. - Sulla patria di Giovanni Alfonso Borelli. Rivista storica, scientifica,
medica (1931). Caprariis E. - Considerazioni sulle vedute neurofisiologiche di
Hermann Boerhaave. Caprariis E. - Spunti di neurofisiologia nel De Motu
Animalium di Giovanni Alfonso Borelli (1608-1679). (1969-1970). Derenzini T. -
Giovanni Alfonso Borelli, fisico: Celebrazione dell'Accademia del Cimento nel
tricentenario della fondazione (19 giugno 1957).(1958), Pisa. Derenzini T. -
Alcune lettere di Borelli ad Alessandro Marchetti. (1959). Franceschini P. -
L'apparato motore nello studio di Borelli e di Stenone. Rivista storica,
medica, scientifica, (1951). Gaizo M. Del - L'opera scientifica di Giovanni
Alfonso Borelli e la Scuola di Roma nel secolo XVII. Memoria della pontificia
Accademia Romana dei Nuovi Lincei, (1909). Gaizo M. Del - Alcune lettere di
Giovanni Alfonso Borelli, dirette una a Marcello Malpighi, le altre ad Antonio
Magliabechi.(1886), Napoli. Alexandre Koyré - La mécanique céleste de Giovanni
Alfonso Borelli. Rivista Storica, Scientifica, (1952). Alexandre Koyré, La
rivoluzione astronomica. Copernico, Keplero, Borelli.Feltrinelli.(1966),
Milano. Pazzini A. - La medicina nella storia, nell'arte, nel costume. (1970).
Questo testo proviene in parte dalla relativa voce del progetto Mille anni di
scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della
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Alfonso Borelli, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
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dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Giovanni Alfonso Borelli,
su MacTutor, University of St Andrews, Scotland. Modifica su Wikidata (EN)
Giovanni Alfonso Borelli, su Mathematics Genealogy Project, North Dakota State
University. Modifica su Wikidata Opere di Giovanni Alfonso Borelli, su
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Alfonso Borelli, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata
Stefania Montacutelli, Giovanni Alfonso Borelli, in Il contributo italiano alla
storia del Pensiero: Scienze, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2013. Controllo
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italiani del XVII secoloAstronomi italianiFisiologi italianiNati nel 1608Morti
nel 1679Nati il 28 gennaioMorti il 31 dicembreNati a NapoliMorti a
RomaProfessori dell'Università di Pisa[altre]
BORSA Matteo Borsa Da Wikipedia, l'enciclopedia
libera. Jump to navigationJump to search Matteo Borsa (Mantova, 1751 – Mantova,
18 gennaio 1798) è stato un saggista, critico letterario e filosofo
italiano. Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Note
4 Bibliografia
5 Collegamenti
esterni Biografia Matteo Borsa nacque a Mantova nel 1751, figlio di una cugina
dell'abate Saverio Bettinelli, celebre studioso che costituì sempre per Borsa
un importante punto di riferimento. Dopo aver studiato a Verona presso il
collegio dei Gesuiti e a Reggio Emilia nel collegio dei preti secolari,
intraprese studi di medicina all'Università di Bologna. Gli interessi del
Borsa, in realtà, erano di stampo prettamente letterario e filosofico, come
aveva già avuto modo di dimostrare durante gli studi dell'adolescenza. La
scelta del percorso universitario fu imposta dal padre, ma il giovane ottenne
comunque la laurea e pubblicò anche due testi di argomento medico, I fisiologi
e Gli empirici. Anche negli anni dell'università, Borsa non trascurò la
passione per le umane lettere e per la filosofia, cui si dedicò in maniera
pressoché esclusiva dal 1776, quando tornò a Mantova, trascorrendovi un'esistenza
ritirata e segnata da una salute cagionevole. Nominato, forse grazie
all'interessamento di Bettinelli, segretario dell'Accademia mantovana, pubblicò
nel 1784 Del gusto presente in letteratura italiana, saggio scritto in risposta
a un quesito posto dalla medesima Accademia. Negli anni successivi il Borsa
tornerà sull'opera fino a darne alla luce un'edizione ampliata e modificata con
il nuovo titolo I vizi più comuni e osservabili del corrente gusto italiano in
belle lettere (1795). La dissertazione del 1784 sosteneva essersi
incarnata la corruzione del gusto in tre diversi aspetti; il « neologismo
straniero », il « filosofismo enciclopedico » e la « confusione dei generi ».
Nel 1785 Melchiorre Cesarotti difese posizioni opposte a quelle del Borsa nel
Saggio sulla filosofia del gusto e nel Saggio sopra la lingua italiana,
inserendosi in un dibattito molto acceso soprattutto nell'Italia
settentrionale. L'opera dell'accademico mantovano costituì un punto di
riferimento importante, come afferma Dionisotti, il quale ricorda anche che «
la fortuna in Italia della parola neologismo deriva dalla dissertazione di
Matteo Borsa Del gusto presente in letteratura italiana, apparsa a Venezia nel
1784 ».[1] Ricoprì dal 1783 l'incarico di professore di logica e metafisica
nel ginnasio di Mantova e mantenne sempre uno stretto rapporto con Bettinelli,
di cui sposò oltretutto una nipote. Visse poi assieme alla moglie e all'abate,
dopo che il padre lo aveva cacciato di casa per « scontentezze domestiche
».[2] Tra le opere del Borsa vanno inoltre ricordati due saggi che
trattano di problemi estetici in relazione alla musica e alla danza, argomenti
cui lo studioso mantovano si era interessato nel periodo universitario. Si
cimentò inoltre nella composizione di una tragedia, l'Agamennone e
Clitennestra, pubblicata a Venezia nel 1786. Opere La musica imitativa,
1781 I balli pantomimi, 1783 Del gusto presente in letteratura italiana,
Venezia, Palese, 1784 Agamennone e Clitennestra, Venezia, Zatta, 1786 I vizi
più comuni e osservabili del corrente gusto italiano in belle lettere, 1795
Note ^ C. Dionisotti, Venezia e il noviziato di Foscolo, in Appunti sui
moderni, Bologna, il Mulino, 1988, p. 39. ^ Si veda, per la biografia, E. Bigi,
Nota introduttiva a Matteo Borsa, in Critici e storici della poesia e delle
arti nel secondo Settecento, Milano-Napoli, 1955, p. 695. Bibliografia Emilio
Bigi, « Nota introduttiva » a Matteo Borsa, in Critici e storici della poesia e
delle arti nel secondo Settecento (in La letteratura italiana. Storia e testi,
vol. 44, tomo IV), Milano-Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1955, pp.
695–705. Emilio Bigi, Tra classicismo e preromanticismo: Matteo Borsa, in
Poesia e critica tra fine Settecento e primo Ottocento, Milano,
Cisalpino-Goliardica, 1986, pp. 223–238. Collegamenti esterni R. Amaturo,
Borsa, Matteo, DBI, su treccani.it. Controllo di autorità VIAF (EN) 100177659 · ISNI
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del XVIII secoloNati nel 1751Morti nel 1798Morti il 18 gennaioNati a
MantovaMorti a Mantova[altre]
BOTERO -- Giovanni Botero Da Wikipedia,
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Giovanni Botero (Bene Vagienna, 1544 – Torino, 23 giugno 1617) è stato un
presbitero, scrittore e filosofo italiano, autore del trattato Della Ragion di
Stato, in dieci libri, stampato a Venezia nel 1589, e delle Relazioni
universali, un trattato di geografia politica. Indice 1 Biografia 2 L'opera di Giovanni
Botero 3 Opere
3.1 Edizioni
moderne 4 Note
5 Bibliografia
6 Altri
progetti 7 Collegamenti
esterni Biografia Della ragion di stato, 1589 Nato in una famiglia di
modeste condizioni economiche, all'età di 15 anni entrò nel collegio dei
Gesuiti di Palermo; fu poi in varie case dell'Italia centrale, fra cui nel
Collegio Romano dove ebbe come compagno di corso Roberto Bellarmino. Pur
essendo stimato quale poeta in versi in latino, forse a causa di un carattere
difficile e da una tendenza alla polemica, nel 1561 dovette interrompere gli
studi a Roma e fu inviato come insegnante in località periferiche (ad Amelia e
a Macerata). A Roma fu al servizio del giovane cardinale Federico Borromeo, del
cui cugino, san Carlo, fu stretto collaboratore a Milano nel decennio
precedente, impegnato nella riforma della diocesi, una volta uscito dalla
Compagnia di Gesù nel 1580[1]. Morì all'età di 73 anni e fu sepolto a
Torino nella chiesa dei Santi Martiri, retta dai gesuiti. La città di Torino,
nel 1860, gli ha dedicato una via. L'opera di Giovanni Botero Occorre
tenere presente sin dall'inizio che Giovanni Botero s'impegna nella sua nota
opera dal titolo emblematico di Ragion di Stato - dieci agili libri di circa
300 pagine, ove rimedita le tesi esposte nel suo De Regia Sapientia - in quanto
ritiene essenziale combattere il machiavellismo per poter riaffermare la
stretta dipendenza di ogni potere politico dalla Religione e dalla Chiesa (fu
segretario di Federico Borromeo) ed approfondire gli studi sulla "Ragion
di Stato", principalmente al fine di individuare un pensiero politico-guida
alternativo a quello cui si riferivano le tesi dei Riformatori (quello cioè di
Machiavelli e di Bodin). La controriforma, dunque, necessitava di un suo punto
di riferimento in materia di scientia civilis (teoria politica), come aveva già
fatto presente Monsignor Minuccio Minucci. Il fine e, per alcuni aspetti,
il metodo di Giovanni Botero può solo apparentemente e prima facie, richiamare
quelli del Secretario Fiorentino [Niccolò Machiavelli]: egli infatti considera
lo stato come un dominio assoluto e stabile sui popoli, e la ragion di stato
secondo lui altro non è che l'insieme di tutti i metodi ("i mezi") e
gli strumenti necessari e opportuni per conservare e gestire questo dominio. Ma
in realtà, sia la sostanza del suo pensiero politico, che lo scopo ultimo cui
esso è indirizzato, sono decisamente divergenti, tanto che egli arriva a
definire "rea e falsa" la Ragion di Stato machiavelliana e giunge a
sostenere che il Principe, rispettoso dei precetti religiosi, non ha bisogno di
leggere né Machiavelli né Tacito. Si comprende, allora, come la
differenza principale del pensiero di Botero rispetto a quello di Machiavelli
consista nell'importanza assegnata alla morale e alla religione come strumenti
di governo; l'uso spregiudicato della ragion di stato (di natura machiavelliana),
da parte del governante, dev'essere cioè temperato dall'applicazione di virtù,
quali la moderazione e la giustizia, e dalla considerazione non solo
strumentale della religione. Ciò, infatti, conferisce allo stesso quella
reputazione indispensabile per ottenere obbedienza dai sudditi. Egli, peraltro,
afferma che solo «...i sudditi devoti e religiosi siano sudditi ubbidienti». In
questo senso Botero propone una ferma lotta alle eresie, che comportano dissidi
fra i sudditi; lo stato deve essere confessionale e la ragion di stato
comprende, al suo interno, la garanzia dell'ortodossia religiosa, la cui cura -
nella divisione boteriana delle funzioni dello Stato - spetta alla Chiesa.
Ulteriore fondamentale differenza con il pensatore fiorentino è l'importanza
che Botero dà all'economia e alla demografia come parametro per la misurazione
della potenza di uno Stato. Egli, invero, non fu giurista e, conseguentemente,
pose l'accento sull'interesse. Pienamente conscio dell'importanza della
variabile economica, Botero prende ad esempio la Spagna, incapace di promuovere
manifatture e attività commerciali, come regno dalle risorse coloniali
praticamente infinite, ma destinato ad essere relegato in secondo piano da
Stati più dinamici nel campo dello sviluppo e della crescita dell'agricoltura e
delle attività produttive interne.[2] Nell'ambito della polemica antieuropea,
che portò, tra l'altro, a un'elaborazione del concetto di civiltà in
opposizione a ciò che è barbaro o selvaggio, Botero ha tratteggiato il processo
di incivilimento come passaggio dall'idolatria alla coscienza religiosa
cristiana, dalla pastorizia all'agricoltura, all'attività industriale e
commerciale; è un processo che richiede, inoltre, il costituirsi di governi
stabili e la promulgazione di leggi certe.[3] Opere Della ragion di
stato, Venezia, Giovanni Giolito de Ferrari, Giovanni Paolo Giolito de Ferrari,
1589. URL consultato il 23 giugno 2015. Delle cause della grandezza e
magnificenza delle città, 1588 Relazioni Universali, 1591-1618 (riedita con
aggiunte e correzioni fino all'edizione del 1618) I Capitani, Giovan Domenico
Tarino, Torino, 1607. Edizioni moderne Ragion di Stato (testo della prima
edizione del 1589), a cura di Chiara Continisio, Collana Biblioteca n.23, Roma,
Donzelli, 1997, ISBN 978-88-7989-315-2. - Collana Virgolette n.40, Donzelli,
2009, ISBN 978-88-60-36323-7. Le Relazioni universali (voll. I-II), a cura di
Alice Blythe Raviola, Torino, Nino Aragno Editore, 2015, ISBN
978-88-8419-722-1. Delle cause della grandezza delle città, a cura di Romain
Descendre, trad. A. De Vincentiis, Collana Cliopoli.Nuova serie, Roma, Viella,
2016, ISBN 978-88-6728-348-4. Della Ragion di Stato (edizione definitiva del
1598 con tutte le varianti del testo del 1589), a cura di Pierre Benedittini e Romain
Descendre, Collana I Millenni, Torino, Einaudi, 2016, ISBN 978-88-06-22594-0.
Delle cause della grandezza delle città, a cura di Claudia Oreglia, con un
saggio di Luigi Firpo, Collana Biblioteca, Torino, Aragno, 2016, ISBN
978-88-8419-779-5. Le Relazioni universali (vol.III: Parte V), a cura di Alice
Blythe Raviola, Torino, Aragno, 2017, ISBN 978-88-841-9924-9. I Capitani, a
cura di Alice Blythe Raviola, Collana Biblioteca, Torino, Aragno, 2017, ISBN
978-88-841-9903-4. Note ^ Massimo Firpo, Le relazioni universali. Enciclopedia
del mondo, in Il Sole 24 Ore-Domenica, 27 dicembre 2015, p. 27. ^
Andreatta-Baldini (a cura di), Storia del pensiero politico - da Machiavelli a
Kant, Torino, Utet ^ Federico Chabod, Storia dell'idea d'Europa Bibliografia
Pietro Orsi, Saggio biografico e bibliografico su Giovanni Botero, Mondovì
1882; Carlo Gioda, La vita e le opere di Giovanni Botero, Milano 1895 (il vol.
III contiene la 5ª parte delle Relazioni universali, il cui ms. andò distrutto,
nel 1904, nell'incendio della biblioteca di Torino); Ernesto Bottero, Prudenza
di Stato, o maniere di governo di Giovanni Botero, Milano 1896; Alberto
Breglia, A proposito di Giovanni Botero "economista", in Annali di
Economia, IV, i, Milano 1928, pp. 87-128; Friedrich Meinecke, Die Idee der
Staatsräson, Berlino-Monaco 1924; Roberto Almagià, Il primo scritto italiano di
Oceanografia, in Bollettino della Società geografica italiana, 1905; Alberto
Magnaghi, Le Relazioni universali di Giovanni Botero, e le origini della
Statistica e dell'Antropogeografia, Torino 1906; Bruno Mayer, «Botero,
Giovanni», in Vittore Branca (a cura di), Dizionario critica della letteratura
italiana, Torino, UTET, Vol. I, pp. 393–403, 1973. Chiara Continisio (a cura
di), Della ragion di Stato. Giovanni Botero, Roma, Donzelli, 1997. ISBN
88-7989-315-7 Chiara Continisio, Giovanni Botero, in Il contributo italiano
alla storia del Pensiero: Diritto, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2012.
Cosimo Perrotta, Giovanni Botero, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero:
Economia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2012. Robertino Ghiringhelli,
Giovanni Botero, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2012. Romain Descendre, Giovanni Botero,
in Enciclopedia machiavelliana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2014.
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Giovanni Botero Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su
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su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
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Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su
Wikidata Giovanni Botero, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 2010. Modifica su Wikidata Giovanni Botero, su sapere.it, De
Agostini. Modifica su Wikidata (EN) Giovanni Botero, su Enciclopedia
Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Luigi Firpo,
Giovanni Botero, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Giovanni Botero,
su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Relationi vniuersali di
Giouanni Botero Benese diuise in quattro parti, Vicenza, 1595. V · D · M
Compagnia di Gesù Controllo di autorità VIAF
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Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Filosofia Portale Filosofia
Letteratura Portale Letteratura Categorie: Presbiteri italianiScrittori
italiani del XVI secoloScrittori italiani del XVII secoloFilosofi italiani del
XVI secoloFilosofi italiani del XVII secoloNati nel 1544Morti nel 1617Morti il
23 giugnoNati a Bene VagiennaMorti a TorinoSaggisti italiani del XVI
secoloSaggisti italiani del XVII secoloScrittori cattoliciScrittori in lingua
italianaFilosofi della politica[altre]
BOTTA Vincenzo
Botta (accademico) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump
to search Vincenzo Botta Vincenzo Botta
(Cavallermaggiore, 11 novembre 1818 – New York, 5 ottobre 1894) è stato un
politico, accademico e scrittore italiano naturalizzato statunitense. Indice 1 Biografia
2 Opere
principali 3 Note
4 Collegamenti
esterni Biografia Vincenzo Botta nacque in Piemonte a Cavallermaggiore l'11
novembre 1818[1]. Studiò presso la Università di Torino e vi divenne professore
di filosofia. Nel 1849 fu eletto nel Parlamento sabaudo, e nel 1850, in
collaborazione con un altro deputato, Luigi Parola, fu incaricato di studiare
il sistema educativo in Germania. La loro relazione sulle università e le
scuole tedesche fu pubblicata quello stesso anno a spese del governo [2]. Nel 1853 Botta incontrò a Torino la
scrittrice statunitense Anne Lynch, che si trovava in viaggio in Europa. Per
rimanerle accanto, Botta si fece subito trasferire a New York con l'incarico di
indagare il sistema scolastico pubblico americano. Trovò New York di suo
gradimento, e vi si stabilì. Botta e Lynch si sposarono nel 1855 ed egli fu
naturalizzato americano. I due formarono un collaudato sodalizio culturale. La
loro casa divenne un rinomato salotto culturale, frequentato da molti dei più
famosi autori, pittori e musicisti d'Europa e d'America.[3] Mentre Anne Lynch
continuò la sua attività letteraria, Botta dal 1856 al 1894 insegnò filosofia e
italiano alla New York University, ricoprendo per molti anni la carica di
direttore del dipartimento di lingua e letteratura italiana fino alla sua morte
il 5 ottobre 1894. Opere principali Del
pubblico insegnamento in Germania. Studi, coautore Luigi Parola, Torino, Tip.
G. Favale, 1851 Public instruction in Sardinia: an account of the system of education,
and of the institutions of science and art in the Kingdom of Sardinia,
Hartford, F.L. Brownell, 1858 A discourse on the life, character, and policy of
count Cavour, New York, G. P. Putnam, 1862 Dante as philosopher, patriot, and
poet, with an analysis of the Divina Commedia, its plot and episodes, New York,
Scribner, 1865; nuova ed. 1886 An Historical Account of Modern Philosophy in
Italy in Ueberweg's History of Philosophy from Thales to the Present Time,
London, Hodder and Stoughton, 1872 Note ^ Questa è la data riportata in Virtual
American Biographies e nella voce della Enciclopedia Italiana (riferimenti in
Collegamenti esterni). Maria T. Zagrebelsky Prat nel Dizionario Biografico
degli Italiani (sempre in Collegamenti esterni) lo fa nascere l'11 febbraio
1818. ^ Luigi Parola e Vincenzo Botta, Del pubblico insegnamento in Germania:
studi, Torino, Tip. G. Favale, 1851 ^ Virtual American Biographies, su
famousamericans.net. URL consultato il 4 ottobre 2013 (archiviato dall'url
originale il 5 ottobre 2013). Collegamenti esterni Vincenzo Botta, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su
Wikidata Vincenzo Botta, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Vincenzo Botta,
su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Vincenzo Botta, su
storia.camera.it, Camera dei deputati. Modifica su Wikidata (EN) Virtual
American Biographies Controllo di autorità VIAF
(EN) 21164870 · ISNI (EN) 0000 0000 8100 2825 · LCCN (EN) n86095818 · BAV (EN)
495/109726 · WorldCat Identities (EN) lccn-n86095818 Biografie Portale
Biografie Letteratura Portale Letteratura Categorie: Politici italiani del XIX
secoloPolitici statunitensi del XIX secoloAccademici italiani del XIX
secoloAccademici statunitensiScrittori italiani del XIX secoloScrittori
statunitensi del XIX secoloNati nel 1818Morti nel 1894Nati l'11 novembreMorti
il 5 ottobreNati a CavallermaggioreMorti a New YorkItaliani emigrati negli
Stati Uniti d'AmericaAccademici italiani negli Stati Uniti d'AmericaFilosofi
italiani del XIX secoloDeputati della II legislatura del Regno di
Sardegna[altre]
BOTTIROLLI Giovanni
Bottiroli Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
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riferimento 1, 2. Giovanni Bottiroli (Novi Ligure, 24 giugno 1951) è un
filosofo e professore universitario italiano.
Indice 1 Biografia 2 Pensiero
2.1 Una
filosofia della flessibilità 2.2 Dalla
filosofia alla letteratura (come modo di pensare) 2.3 La teoria della letteratura 2.4 L'interpretazione
dei testi come conflictual reading 3 Opere
3.1 Libri
3.2 Voci
di Enciclopedia 3.3 Articoli
di filosofia e di teoria della letteratura (una selezione) 3.4 Articoli di
cinema (una selezione) 3.5 Recensioni
4 Note
5 Collegamenti
esterni Biografia Professore ordinario di Teoria della letteratura, da molti
anni, a Bergamo. Ha insegnato Retorica e Narrazione, Teoria
dell’interpretazione, Estetica, in questa Università.[1] Inoltre, è docente
all’IRPA[2] (Istituto di Ricerca di Psicoanalisi applicata), diretto da Massimo
Recalcati. È direttore della rivista
“Comparatismi" (rivista della Consulta del SSD “Critica letteraria e
Letterature Comparate”). Dal 2015 è Presidente della Consulta di questo settore.[3] Fa parte del Comitato Scientifico di
“Enthymema”[4] e di “Symbolon”, e della Direzione di “L’immagine Riflessa”.
Collabora alla rivista “Segnocinema”.[5]
Pensiero Una filosofia della flessibilità Giovanni Bottiroli ha
elaborato una nuova prospettiva filosofica che si ispira alla nozione di
“flessibilità”, e che egli ha indicato con diverse espressioni: ragione
flessibile, pensiero della Metis, pensiero strategico[6]. Questa prospettiva viene esposta nella forma
più ampia e sistematica in La ragione flessibile (2013) e La prova
non-ontologica (2020)[7]. Dalla
filosofia alla letteratura (come modo di pensare) In Teoria dello stile la
letteratura viene intesa come modo di pensare e ad essere privilegiato è il suo
legame con la filosofia. Il legame – non privo di conflittualità – tra
letteratura e filosofia richiede di essere analizzato mediante il concetto di
stile, inteso sia come invenzione linguistica sia come “stile di pensiero”.
Esemplare, da questo punto di vista, è l’analisi della “Lettera rubata” di Poe,
proposta da Lacan negli Scritti (1966).[8]
La teoria della letteratura In Che cos'è la teoria della letteratura.
Fondamenti e problemi, la teoria della letteratura viene intesa come una
disciplina ibrida che deve attingere alle teorie del linguaggio, alle teorie
del desiderio e alle teorie dell’interpretazione, ispirandosi principalmente a
tre fonti: Saussure, Freud, Heidegger.[9]
L'interpretazione dei testi come conflictual reading L’interpretazione del
testo è intesa come un conflictual reading capace di lasciare emergere la
pluralità degli stili, il problema dell’identità del soggetto e le dinamiche
del desiderio. Il suo orizzonte sono le estetiche conflittuali, a cui – in
prospettive assai diverse – hanno contribuito Nietzsche e Heidegger, Freud e
Lacan, ma anche Bachtin. Le riflessioni su questo tema sono confluite in
diversi articoli tra cui Il desiderio “effrayant” di Julien Sorel. Un
“conflictual reading” per un romanzo di formazione in “Enthymema”, 21,
2018[10]. Opere Libri 1975 Parodia
Milano: Scheiwiller (con prefazione di Cesare Segre) 1980 La contraddizione e
la differenza. Il materialismo dialettico e la semiotica di Julia Kristeva,
Giappichelli, Torino 1987 Interpretazione e strategia, Guerini e associati,
Milano 1987 Retorica della creatività. Per l'interpretazione e la produzione di
testi, Paravia, Torino 1990 Figure di pensiero. La svolta retorica in
filosofia, Paravia, Torino 1993 Retorica. L'intelligenza figurale nell'arte e
nella filosofia, Bollati Boringhieri, Torino 1995 Il reggicalze. Come
l'abbigliamento diventò seduzione, Gribaudo, Torino 1997 Teoria dello stile, La
nuova Italia, Firenze 2001 Problemi del personaggio (curatela), Bergamo
University Press, Bergamo 2002 Jacques Lacan. Arte linguaggio desiderio,
Bergamo University Press, Bergamo 2005 Le incertezze del desiderio. Scritti
brevi su strategia e seduzione, Ecig, Genova 2006 Che cos'è la teoria della
letteratura. Fondamenti e problemi, Einaudi, Torino 2013 La ragione flessibile.
Modi d'essere e stili di pensiero, Bollati Boringhieri, Torino 2020 La prova
non-ontologica. Per una teoria del Nulla e del “non”, Mimesis, Milano-Udine
Voci di Enciclopedia Enciclopedia Einaudi: Eros (1978), Piacere (1980),
Pulsione (1980), Soma/Psiche (1981) (quest’articolo in collaborazione con Guido
Ferraro). Enciclopedia Treccani: Letteratura e psicoanalisi, in Appendice 2000
Manuale di letteratura italiana. Storia per generi e problemi (diretta da
Franco Brioschi e Costanzo Di Girolamo): Il pensiero filosofico e scientifico e
La prosa della filosofia e della scienza, vol. IV, 1996 (pp. 21-58 e 945-974)
Letteratura europea (a cura di P. Boitani e M. Fusillo): Letteratura e
psicoanalisi, vol. 5, pp. 399-417, UTET, Torino 2014 Articoli di filosofia e di
teoria della letteratura (una selezione) 1990 Bachtin, la parodia del
possibile, in "Strumenti critici", 63, pp. 147-66 1994 Il comico
inesistente. I regimi figurali nell’opera di Calvino in “Calvino e il comico”
(a cura di L. Clerici e B. Falcetto), Marcos Y Marcos 1996 Sinistra come
"bêtise". Il problema degli attriti nel "Dono” di Nabokov in
"Strumenti critici” 80, 1996 2001 Il comico delle articolazioni, in
Barbieri – Bottiroli – Perissinotto “Il Comico: approcci semiotici”, Documenti
di lavoro 303-304-305, Centro Internazionale di Semiotica e Linguistica, Urbino
2001, pp. 27-39 2002 Introduzione a Flaubert, L’educazione sentimentale,
Einaudi, Torino, pp. V-XXI 2003 Un sogno di Raskolnikov, in “Nel paese dei
sogni” (a cura di V. Pietrantonio e F. Vittorini), Le Monnier, Firenze 2003,
pp. 70-84 2004 La logica del diviso in "William Wilson" in Fantastico
Poe (a cura di R. Cagliero, Ombre Corte, Verona) 2007 Non sorvegliati e
impuniti. Sulla funzione sociale dell’indisciplina, in Forme contemporaneee del
totalitarismo (a cura di Massimo Recalcati), Bollati Boringhieri, Torino 2007
Metaphors and Modal Mixtures in Metaphors (a cura di di Stefano Arduini),
Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2008 L’identità modale nei romanzi di
Kafka. Descrizione di un progetto di ricerca in “Cultura tedesca”, 35 2009 In
principio era la bêtise, in Soggettivazione e destino. Saggi intorno al
‘Flaubert’ di Sartre (a cura di G. Farina e R. Kirchmayr), Bruno Mondadori,
Milano 2010 Ibridare, problema per artisti. Alcune tesi, in “Enthymema”, n.1,
pp. 154-163 2011 Dalle somiglianze alle differenze di famiglia, in L’immagine
riflessa, n.1-2, pp. 181-2 2012 L’inganno del cortile centrale. Interpretazione
della “Phèdre” come testo diviso, in Ermeneutica letteraria, VIII 2015
Introduzione a “La conversazione infinita” di M. Blanchot, Einaudi, Torino 2015
Lost in styles. Perché nel cognitivismo non c’è abbastanza intelligenza per
capire l’intelligenza figurale, in “Lo sguardo”, 17 pp.153-193 2015 Il
perturbante è l’identità divisa. Un’interpretazione di “Der Sandmann” in Enthymema,
12, pp. 205-229 2016 The possibility of not coinciding with oneself: a reading
of Heidegger as a modal thinker, in The Italian Psychoanalytic Annual, 2016/10,
pp. 133-149, Cortina Editore 2016 Le parole uccidono le cose oppure altre
parole? Il linguaggio come perdita e come articolazione agonistica in Per Enza
Biagini (a cura di A. Brettoni, E. Pellegrini, S. Piazzesi, D. Salvadori),
Firenze University Press, Firenze 2016 Liberatore e incatenato: le aporie di
Dioniso (e del dionisiaco) da Euripide a Nietzsche in Enthymema, XIV, pp. 51-81
2018 Return to literature. A manifesto in favour of theory and against
methodologically reactionary studies (cultural studies etc.) in “Comparatismi”,
3, pp. 1-37 2018 What is alive and what is dead in Jakobson. From codes to
styles in Roman Jakobson, linguistica e poetica (a cura di E. Esposito, S. Sini
e M. Castagneto), Ledizioni, Milano 2018, pp. 213-220 2018 Il desiderio
“effrayant” di Julien Sorel. Un “conflictual reading” per un romanzo di
formazione in Enthymema, 21, pp. 134-151 2018 Shakespeare e il teatro
dell’intelligenza. Dagli errori di Bruto a quelli di René Girard in Metodo,
vol. 6, n. 1, pp. 73-98 2019 Il desiderio e i suoi destini: dal rapporto ai
modi del rapporto, in A. Badiou, Il sesso l’amore (a cura di Federico Leoni e
Silvia Lippi), Mimesis, Milano-Udine, pp. 41-52 2019 Sade e il desiderio di
essere in “aut aut” 3822019 To be and not to be. Hamlet’s Identity, in
Enthymema 23, pp. 250-285 2019 Heart of Darkness e la teoria lacaniana dei
registri in Anglistica pisana, XIV, 1-2 (2017) 2019 The Turn of the Screw. A
tale that “turns” in Enthymema 24, pp. 43-58 Articoli di cinema (una selezione)
2007 I registi sono alleati preziosi. Un'interpretazione di Mulholland Drive di
David Lynch, in Segnocinema 144 2010 Identità come identificazione (nei film e
non negli spettatori), in “Imago”, 2 2015 Joe, o le disavventure di una
ninfomane (Nymphomaniac di Lars von Trier), in “Segnocinema” 196 2018 Non
infantilizzate, vi prego, Ingmar Bergman. Desideri senza magia in “Fanny e
Alexander” in Segnocinema 214 2020 L’arte è un lusso, la fiction una necessità.
Žižek e Hitchcock, qualche anno dopo in “Segnocinema” 223-224 Recensioni
Niccolò Scaffai, recensione a Che cos'è la teoria della letteratura? Fondamenti
e problemi, in Allegoria, n. 55, 2007 Panella Giuseppe, recensione a Che cos'è
la teoria della letteratura? Fondamenti e problemi, in Ermeneutica letteraria
n. 3, 2007 Franzini Elio, recensione a La ragione flessibile, in “Enthymema”,
n. IX, pp. 412-414, 2013 Dalmasso Gianfranco, recensione a La ragione
flessibile, in “Rivista di Filosofia Neo-Scolastica”, 1, pp. 240-245, 2016
Carmello Marco, recensione a La prova non-ontologica, in “Enthymema”, n. XXV,
pp.703-707, 2020 Note ^ Giovanni Bottiroli (database Università degli Studi di
Bergamo), su www00.unibg.it. ^ Docenti titolari di materia - Irpa Milano, su
istitutoirpa.it. ^ Comparatismi. Rivista della Consulta di Critica letteraria e
Letterature comparate, su ledizioni.it. ^ Enthymema, su riviste.unimi.it. ^
Curriculum Vitae (PDF), su unipa.it. ^ Elio Franzini, La ragione flessibile di
Giovanni Bottiroli, in Enthymema, n. 9. ^ Marco Carmello, Giovanni Bottiroli
"La prova non-ontologica. Per una teoria del nulla e del 'non' ",
Enthymema, n. 25. ^ Giuseppe Panella, A proposito di Giovanni Bottiroli,
"Che cos'è la teoria della letteratura", in Ermeneutica letteraria.
Rivista internazionale, n. 3. ^ Niccolò Scaffai, Giovanni Bottiroli - "Che
cos'è la teoria della letteratura. Fondamenti e problemi", in Allegoria,
n. 55. ^ Giovanni Bottiroli, Il desiderio "effrayant" di Julien
Sorel, in Enthymema, n. 21. Collegamenti esterni Letteratura e psicoanalisi, su
treccani.it. https://www.giovannibottiroli.it/it/
http://www00.unibg.it/struttura/strutturasmst.asp?rubrica=1&persona=89&nome=Giovanni&cognome=Bottiroli&titolo=Prof.
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Biografie Letteratura Portale Letteratura Psicologia Portale Psicologia
Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI
secoloAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani del XXI secoloNati
nel 1951Nati il 24 giugnoNati a Novi Ligure[altre]
BOTTONI Albertino
Bottoni Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Albertino Bottoni Albertino
Bottoni, Noto anche come Albertinus Bottonnus o Albertinus Bottoni o Albertini
Bottoni (Padova, prima metà del Cinquecento – Padova, 1º dicembre 1596), è
stato un medico e filosofo italiano.
Indice 1 Biografia 2 Opere
principali 3 Bibliografia
4 Collegamenti
esterni Biografia È stato uno dei grandi medici italiani del Rinascimento. La
sua formazione avvenne nella città natale, dove si laureò in medicina e
filosofia. Dal 1555 divenne professore
nell'Università di Padova, dove insegnò in successione logica, medicina teorica
straordinaria, medicina pratica e medicina teorica ordinaria. Introdusse l'uso
del mercurio nella cura della sifilide. Fu rivale del medico padovano Ercole
Sassonia, di cui tentò d'impedirne l'insegnamento. I suoi contributi scientifici più importanti
riguardano le funzioni dirette alla conservazione dell'individuo e della
specie, quindi nutrizione, crescita e generazione, che definì tria suprema
naturae munera. Opere principali De vita
conservanda, Padova, Iacobum Bozzam, 1582. De morbis mulieribus libri tres, Venezia,
Paulum Meietum, 1585, 1588. Methodi medicinales duae, Francoforte, 1595. De
modo discurrendi circa morbos, eosdemque curandi tractatos, Francoforte, 1607.
Bibliografia Castiglioni A., Storia della Medicina, II, Mondadori, Milano,
1948. De Renzi S., Storia della Medicina in Italia, III, Napoli, 1845. Gliozzi
G., «Albertino Bottoni», in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 13,
Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1971. Pazzini A., Storia della
Medicina, I, Società Editrice Libraria, Milano, 1947. Collegamenti esterni
Albertino Bottoni, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Controllo di autorità VIAF
(EN) 77129132 · ISNI (EN) 0000 0000 1289 4217 · LCCN (EN) no2016161435 · GND
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Categorie: Medici italianiFilosofi italiani del XVI secoloMorti nel 1596Morti
il 1º dicembreNati a PadovaMorti a PadovaPersone legate all'Università degli
Studi di Padova[altre]
BOVIO –
Giovanni Bovio Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
navigationJump to search Giovanni Bovio Giovanni Bovio (1837-1903).jpg Deputato
del Regno d'Italia Legislature XIII,
XIV, XV, XVI, XVII, XVIII, XIX, XX, XXI Sito istituzionale Dati generali
Partito politico repubblicano
Titolo di studio Laurea
Professione Docente
universitario, Pubblicista/Giornalista Giovanni Bovio (Trani, 6 febbraio 1837 –
Napoli, 15 aprile 1903) è stato un filosofo e politico italiano, sistematizzatore
dell'ideologia repubblicana e deputato al Parlamento del Regno d'Italia.
Indice 1 L'opera 2 Il
pensiero 3 Bovio
e la massoneria 4 Il
centenario della Rivoluzione di Altamura 5 Antenati
e discendenti di Giovanni Bovio 6 Note
7 Bibliografia
8 Voci
correlate 9 Altri
progetti 10 Collegamenti
esterni L'opera La casa natale di Giovanni Bovio a Trani Giovanni
Scipione Bovio nasce a Trani da Nicola Bovio di Altamura, impiegato, e Chiara
Pasquini. Autodidatta, pubblica nel 1864 Il Verbo Novello, un poema
filosofico scritto con intonazione enfatica. Fra i suoi scritti si ricordano la
Filosofia del diritto, il Sommario della storia del diritto in Italia, il
Genio, gli Scritti filosofici e politici, la Dottrina dei partiti in Europa, i
Discorsi. Sotto il Ministero Minghetti, nel 1872, ottenne il pareggiamento
della cattedra di Storia del Diritto all'Università di Napoli e, nel 1875
consegui la libera docenza in Filosofia del diritto. Bovio fu anche
deputato alla Camera: nel 1876, con il subentrare della Sinistra costituzionale
alla Destra, fu eletto nel collegio di Minervino Murge. Il suo atteggiamento,
diversamente da quello dei suoi compagni che condividevano l'idea repubblicana,
non fu incline all'astensionismo. Nel 1880 Bovio sposò a Napoli Bianca
Nicosia dalla quale ebbe due figli, Corso Bovio, così chiamato in onore agli
italiani di Corsica sottomessi al dominio francese e Libero Bovio (1883-1942),
poeta ed autore dei testi di molte celebri canzoni napoletane. Libero Bovio, a
sua volta, fu il nonno dell'avvocato, giornalista e docente Libero Corso Bovio
(1948-2007). Napoli fu la sua città di adozione, dove morì il 15 aprile
1903. La città gli ha dedicato una piazza, che i napoletani continuano però a
chiamare con l'antico nome di Piazza Borsa. La città di Firenze gli ha dedicato
una strada. La città di Piombino gli ha intitolato la piazza sul mare più
grande d'Europa, Piazza Bovio. La città di Teramo gli ha intitolato un
importante viale. La città di Terni gli ha intitolato un intero quartiere che
comprende tutta la zona est chiamato, appunto, Borgo Bovio. «(Napoli) In
questa casa morì povero e incontaminato Giovanni Bovio che meditando con animo
libero l'Infinito e consacrando le ragioni dei popoli in pagine adamantine
ravvivò d'alta luce il pensiero italico e precorse veggente la nuova
età.» (Epigrafe di Mario Rapisardi) Il pensiero Targa in memoria di
Bovio nella piazza di Napoli a lui dedicata Passo Corese: targa, con
testo attribuito a Giovanni Bovio, dedicata a Garibaldi Giovanni Bovio era
sostanzialmente contrario alla monarchia. Come ideologo repubblicano, Bovio
ebbe il motto "definirsi o sparire": palesò insomma ai repubblicani
l'esigenza urgente di un'impostazione non confusa e non settaria, di una chiara
direzione che spinse poi i repubblicani a definirsi in partito di moderno
tenore. Bovio stabilì per il Partito repubblicano nessi e prospettive
nazionali ed europee. Egli considera la monarchia come l'attuale realtà
italiana. Ne segue che la repubblica è utopia, e Bovio si dichiara utopista.
Nel suo pensiero la monarchia cadrà, proprio quando dovrà risolvere il problema
della libertà. Serve comunque un lungo periodo perché la situazione monarchica
si deteriori. Colma evidentemente di determinismo, la sua filosofia si definiva
come naturalismo matematico. Differentemente dalla teoria socialista,
Bovio riteneva che il nuovo Stato a venire avrebbe avuto una "forma
storica", non potendo dimensionarsi unicamente sulla base di azioni
economiche. Bovio introduceva dunque una concezione formale dello Stato, che si
sforzò di divulgare anche presso i ceti operai. Fu molto considerato
anche a Matera dove non si dimenticava peraltro che nella locale "scuola
detta regia, fondata nel 1769 da Bernardo Tanucci, libero pensatore dei tempi
suoi, quando era libertà contrastare alle pretensioni papali, fu insegnante di
letteratura e di diritto Francesco Bovio, il quale intese queste dottrine nella
libertà e per la libertà. Quell'insegnamento fu seme fecondo, e dalla sua
scuola venne fuori la nobile schiera dei martiri del 1799, i cui militi
rispondono ai nomi di Giovanni Firrao, Giambattista Torricelli, Fabio Mazzei,
Liborio Cufaro, Antonio Lena-Santoro, Gennaro Passarelli, Marco
Malvinni-Malvezzi". Nel 1904, a circa un anno dalla sua morte, nella
"giornata più adatta" come "il fatidico XX Settembre", gli
intellettuali laici materani con la loro associazione "G.B.
Torricelli" tennero una solenne commemorazione "per pagare un tributo
di affetto e di riverenza al Grande, che ci fu Maestro e ci amò di quell'amore
di cui sono capaci soltanto gli educatori come Lui" dice un oratore. E un
secondo aggiunge che "la titanica figura di quell'illustre profeticamente
ci addita il sole dell'avvenire", per cui il tributo di affetto al suo
carattere fiero ed onesto è tanto più doveroso "in questi tempi
borgiani". Un terzo oratore, rivolgendosi al sindaco Raffaele Sarra, e nel
consegnargli la lapide, lo invita ad additare "quel nome a questi onesti
operai per indirizzarli sulla via della dea ragione, scuotendo così il giogo
dell'oscurantismo e della superstizione, che li avvince e li abbruttisce".
Promessa che il sindaco Raffaele Sarra non esita a fare, ritenendo quel marmo
"un severo monito all'indirizzo di tutti coloro i quali nulla fecero e
tuttora nulla fanno per strappare la nostra plebe dalla miseria, dalla
ignoranza, dalla superstizione, dall'abbruttimento secolare". Per la
precisione, la lapide commemorativa, scoperta quel giorno sulla facciata del
palazzo di giustizia, sarà tolta negli anni '30 per iniziativa della sezione fascista
(e gli incauti scalpellatori si riferiranno nell'operazione).[1] Bovio
ebbe comunque anche l'esigenza di definirsi rispetto agli anarchici. La forma
repubblicana, scrisse, è a metà strada fra la monarchia e l'anarchia, vale a
dire fra l'ipertrofia dello Stato e la sua totale anarchica abolizione. Non a
caso, quando l'anarchico Gaetano Bresci compì l'attentato contro Umberto I,
Bovio invitò tutti gli anarchici a desistere dalla violenza. In sostanza,
un'esagerazione utopistica tradotta in atti sanguinari (l'opera degli
anarchici) avrebbe prodotto un rafforzamento reattivo dell'autorità costituita,
allontanando proprio il momento dell'avvento della repubblica. Troviamo in lui
un tentativo di superare l'idealismo della metafisica idealistica e insieme con
essa l'approccio empirico del positivismo. Fondamentalmente Bovio introdusse in
Italia l'eco delle nuove correnti speculative nella filosofia del
diritto. «Giovanni Bovio — cittadino di spartana austerità — fra il
mercimonio affannoso dei politicanti — pensatore solitario — fra lo strepito di
cozzanti dottrine — artefice possente di stile — fra la pretenziosa nullaggine
dei parolai — traversò impavido — le torbide correnti del secolo — e ne uscì
puro a fronte alta — con l'animo illuminato — dalla fede confortevole —
nell'ascensione perpetua del pensiero umano.» (Epigrafe di Mario
Rapisardi) Bovio e la massoneria Bovio fu un membro eminente della
massoneria[2][3](raggiunse il 33º ed ultimo grado del Rito scozzese antico ed
accettato[4]), così come lo erano i suoi familiari (suo padre Nicola, suo zio
Scipione e suo nonno Francesco Bovio). Iniziato nella Loggia Caprera di Trani
nel 1863, il 17 giugno del 1865 Giovanni Bovio ne divenne oratore. Il 30 maggio
1878, su invito della massoneria milanese, tenne a Milano la commemorazione del
centenario della morte di Voltaire. Nel maggio 1882 fu nominato membro
del Grande Oriente d'Italia, di cui presiedette la Costituente del 1887. Il 17
febbraio 1889 fu eletto grande oratore, e restò in carica fino alla Costituente
del 1894. Il 6 giugno 1889, in Campo dei Fiori a Roma, fu l'oratore ufficiale
per l'inaugurazione del monumento a Giordano Bruno, voluto dalla massoneria
romana ed eseguito da Ettore Ferrari, che sarà gran maestro del Grande Oriente
d'Italia. Gran Maestro della Loggia Napoletana[5], nel 1896 fu candidato
all'elezione di Gran Maestro nazionale. L'8 giugno 1896, in
un'interpellanza rivolta al presidente del consiglio e ministro dell'interno
marchese di Rudinì a proposito dei provvedimenti che aveva annunciato contro la
massoneria, Bovio disse[6] «La massoneria è un'istituzione universale quanto
l'Umanità ed antica quanto la memoria. Essa ha le sue primavere periodiche,
perché da una parte custodisce le tradizioni ed il rito che la legano ai
secoli, dall'altra si mette all'avanguardia di ogni pensiero e cammina con la
giovinezza del mondo» Il centenario della Rivoluzione di Altamura
Celebrazioni per il primo centenario (1899) della Rivoluzione di Altamura (con
Giovanni Bovio) Giovanni Bovio partecipò alle celebrazioni del centenario della
Rivoluzione di Altamura (nell'anno 1899), durante il quale fu eretto un
monumento sulla piazza centrale di Altamura, che ancora oggi è presente e che
fu realizzato da Arnaldo Zocchi. Il padre di Giovanni Bovio, Nicola Bovio, era
di Altamura, così come lo era suo nonno Francesco Bovio, il quale insegnò
diritto presso l'Università degli Studi di Altamura.[7] Nel suo discorso,
Giovanni Bovio esaltò lo spirito degli altamurani e affermò che il concetto di
libertà era stato sempre vivo nei loro cuori. Anche grazie al fervore di idee
dell'antica Università di Altamura, dotti, nobili e plebei altamurani si erano
uniti tutti sotto l'idea di libertà ed erano pronti a sacrificare le loro
ricchezze, i loro titoli e persino la loro vita per la libertà.[7]
Antenati e discendenti di Giovanni Bovio Francesco Maria Bovio (anni 1750 -
1830) - nonno di Giovanni Bovio - professore di diritto e lettere presso le
Regie Scuole di Matera e l'antica Università degli Studi di Altamura. Fu anche
"giudice interino di pace" e massone iscritto alla loggia
"Oriente di Altamura". Difese inoltre la Repubblica Napoletana,
prendendo parte, nel maggio 1799, alla Rivoluzione di Altamura Nicola Bovio -
padre di Giovanni Bovio - carbonaro (iscritto alla vendita "il
Pellicano" di Trani) Scipione Bovio - zio di Giovanni Bovio - carbonaro
(iscritto alla vendita "il Pellicano" di Trani) Corso Bovio - figlio
di Giovanni Bovio- avvocato del foro di Napoli e successivamente docente
Diritto Penale Università di Milano Libero Bovio (1883 - 1942) - figlio di
Giovanni Bovio - poeta e musicista Giovanni Bovio (1920-1978) - nipote di
Giovanni Bovio - avvocato del foro di Milano [8] Libero Corso Bovio (1948-2007)
- pronipote di Giovanni Bovio - avvocato, giornalista e docente Note ^ Matera
contemporanea - Cultura e società, Leonardo Sacco, 1983, Basilicata editrice ^
Alfonso Scirocco, BOVIO, Giovanni, in Dizionario biografico degli italiani,
vol. 13, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1971. URL consultato il 26
ottobre 2018. ^ Gran Loggia 2017. Massoneria e i suoi trecento anni di
modernità, una mostra ricorda i massoni protagonisti del Novecento - Grande
Oriente d'Italia - Sito Ufficiale, su Grande Oriente d'Italia, 4 aprile 2017.
URL consultato il 6 aprile 2017 (archiviato dall'url originale il 22 marzo
2017). ^ Ferdinando Cordova, Massoneria e Politica in Italia, 1892-1908, Carte
Scoperte, Milano, 2011, p. 42. ^ Biografia di Giovanni Bovio (con video a cura
di GOI radio), su montesion.it (archiviato il 13 gennaio 2005). ^ Vittorio
Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Erasmo ed., Roma, 2005, p. 47.
Copia archiviata, su comunedipignataro.it. URL consultato il 25 luglio 2018
(archiviato dall'url originale il 30 giugno 2018). ^ Morto l'avvocato Bovio,
"principe" della difesa, in La Stampa, 14-03-1978. Bibliografia
Giovanni Bovio, Teatro morale dogmatico-istorico, dottrinale e predicabile,
Roma, nella stamparia di Giorgio Placho presso a San Marco, 1731. Giovanni
Bovio, Teatro morale dogmatico-istorico, dottrinale e predicabile. Tomo
secondo, In Roma, per Filippo Zenobj stampatore, e intagliatore di n.s.
Clemente XII, incontro il Seminario Romano, 1734. Voci correlate
Repubblicanesimo Partito Repubblicano Italiano Piazza Giovanni Bovio (Napoli)
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Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su
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Giovanni Bovio, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN)
Opere di Giovanni Bovio, su Open Library, Internet Archive. Modifica su
Wikidata Giovanni Bovio, su storia.camera.it, Camera dei deputati. Modifica su
Wikidata Armando Carlini, BOVIO, Giovanni, in Enciclopedia Italiana, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1930, giovanni-bovio. Alfonso Scirocco,
BOVIO, Giovanni, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 13, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1971. Controllo di autorità VIAF
(EN) 61554372 · ISNI (EN) 0000 0001 0906 9475 · SBN IT\ICCU\CFIV\023926 · LCCN
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Politica Categorie: Deputati della XIII legislatura del Regno d'ItaliaDeputati
della XIV legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della XV legislatura del Regno
d'ItaliaDeputati della XVI legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della XVII
legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della XVIII legislatura del Regno
d'ItaliaDeputati della XIX legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della XX
legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della XXI legislatura del Regno
d'ItaliaFilosofi italiani del XIX secoloPolitici italiani del XIX secoloNati
nel 1837Morti nel 1903Nati il 6 febbraioMorti il 15 aprileNati a TraniMorti a
NapoliRepubblicanesimoMassoniMazzinianiPolitici dell'Estrema sinistra
storicaPolitici del Partito Repubblicano ItalianoStudiosi di diritto penale del
XIX secolo[altre]
BOZZELLI Francesco
Paolo Bozzelli Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
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sinottico {{Carica pubblica}} Francesco
Paolo Bozzelli Francesco Paolo Bozzelli (Manfredonia, 22 maggio 1786 – Napoli,
2 febbraio 1864) è stato un giurista, filosofo e politico italiano, noto per
essere stato l'estensore della Costituzione del Regno delle Due Sicilie del
1848. Indice 1 Biografia 1.1 Esordi 1.2 L'esilio
(1821-1837) 1.3 La
Costituzione del 1848 1.4 Epilogo
2 Note
3 Bibliografia
4 Collegamenti
esterni Biografia Esordi Dopo le scuole secondarie dagli Scolopi, Bozzelli
studiò all'università di Napoli, dove si iscrisse nel 1806. Laureatosi in
giurisprudenza, entrò nell'amministrazione statale: nel 1813 fu uditore
giudiziario presso il Consiglio di Stato; e nel 1816 entrò nella
sopraintendenza della Salute, dapprima come ispettore generale e poi come
segretario[1]. Nello stesso tempo Bozzelli si dedicò anche all'attività letteraria
e nel 1815 pubblicò "Poesie varie" una antologia di versi scritti
secondo il gusto del XVIII secolo[2].
L'esilio (1821-1837) Di sentimenti liberali, Bozzelli prese parte ai
moti costituzionali del 1820-1821 che gli costarono dapprima la prigione e successivamente
un esilio, durato oltre quindici anni, che trascorse all'estero, soprattutto in
Francia. Durante l'esilio espose in numerosi saggi in lingua francese le sue
concezioni politiche di liberale moderato, fautore di una monarchia
costituzionale e avverso al programma democratico-radicale[3][4]. Scrisse
inoltre saggi filosofici di etica[5] e di estetica[6][7]. La Costituzione del 1848 Bozzelli poté
rientrare in patria solo nel 1837. La fama di grande cultura giuridica e di
integrità morale acquistata durante l'esilio, garantì a Bozzelli un grande
prestigio all'interno del partito liberale delle Due Sicilie. La sua popolarità
divenne ancora più grande dopo un nuovo periodo di prigionia subito nel 1844
assieme a Carlo Poerio e a Mariano d'Ayala. Pertanto, dopo l'inizio
dell'insurrezione siciliana (12 gennaio 1848) Bozzelli fu incaricato dal
presidente Serracapriola di preparare il decreto reale, pubblicato poi il 29
gennaio 1848, che fissava i principi costituzionali. Il 30 gennaio 1848
Bozzelli fu nominato ministro degli Interni, in sostituzione di Carlo
Cianciulli, con l'incarico di stendere il testo della Costituzione. Dapprima Bozzelli era fautore, con Carlo
Poerio e Mariano d'Ayala, dell'idea di ripristinare la Costituzione napoletana
del 1820. Tuttavia, poco dopo si convinse della necessità di stendere carta
costituzionale completamente nuova, un compito che portò a termine da solo e in
soli dieci giorni (30 gennaio - 8 febbraio 1848). La costituzione delle Due
Sicilie approntata da Bozzelli era composta di 89 articoli: ricalcava di fatto
sia la Costituzione francese del 1830 (eccetto nei punti in cui si trattavano
le autonomie locali) che la Costituzione belga del 1831. La Costituzione del
Bozzelli venne tuttavia criticata immediatamente dai democratici perché non
offriva sufficienti garanzie di libertà ai cittadini, limitava i diritti
elettorali su base censuale e lasciava al Re ampi poteri
discrezionali[8][9]. Epilogo Il 6 aprile
1848 Bozzelli venne escluso dal governo costituzionale di Carlo Troya per
divergenze sulla politica estera (Bozzelli era contrario alla guerra contro
l'Austria). Partecipò invece, come ministro degli Interni e dell'Istruzione
Pubblica, al governo Spinelli costituito dopo il colpo di mano di Ferdinando II
del 15 maggio 1848. Sebbene l'intento di Bozzelli fosse quello di mitigare la
reazione regia e affrettare il ritorno alla legalità, venne accomunato
dall'opinione pubblica nel discredito del governo delle Due Sicilie, nonostante
fosse sostituito agli Interni con Giovanni Vignali per ordine dello stesso
Ferdinando II (7 settembre 1848). Bozzelli si ritirò pertanto a vita privata
avendo come unica fonte di reddito la pensione maturata per essere stato
consigliere di Stato nel 1820. Con la conquista del Regno delle Due Sicilie
(1860) il nuovo Regno d'Italia gli revocò anche questa. Note ^ Supremo Magistrato e Soprintendenza
Generale di Salute delle Due Sicilie, Giornale di tutti gli atti, discussioni e
determinazioni della Sopraintendenza Generale e Supremo Magistrato di Sanità
del Regno di Napoli. In occasione del morbo contagioso sviluppato nella città
di Nola. Napoli: nella Stamperia Reale, 1816 ^ Francesco Paolo Bozzelli, Poesie
varie di Francesco Paolo Bozzelli. Napoli: da' torchi di Giovanni de Bonis,
1815; v, anche Bozzelli, F. P. (2010). La strega di Manfredonia. Napoli :
Guida, 2010. ^ Essai sur les rapports primitifs qui lient ensemble la
philosophie et la morale, èar le chevalier Bozzelli, Paris: Grimbert, 1825
(on-line) ^ (Anonimo) Esquisse politique sur l'action des forces sociales dans
les differentes espèces de gouvernement. Bruxessel, 1827 ^ De l'influence des
lois sur les moeurs et des moeurs sur les lois. Paris: Firmin Didot, 1832 ^ De
l'esprit de la comédie et de l'insuffisance du ridicule pour corriger les travers
et les caractères, Paris: Firmin Didot, 1832 ^ Della imitazione tragica presso
gli antichi e presso i moderni: ricerche del cavalier Bozzelli. Lugano: Ruggia,
1837 (on-line) ^ Giuseppe Massari, I casi di Napoli dal 29 gennaio 1848 in poi:
lettere politiche per Giuseppe Massari. Torino: Tipografia Ferrero e Franco,
1849 (on-line) ^ Raffaele Santoro, Comento della carta costituzionale del Regno
delle Due Sicilie per l'avv. Raffaele Santoro, Napoli, 1848 (on-line)
Bibliografia Guido D'Agostino, Francesco Paolo Bozzelli, in Dizionario
biografico degli italiani, vol. 13, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
1971. Modifica su Wikidata Collegamenti esterni (EN) Opere di Francesco Paolo
Bozzelli, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Predecessore Ministro dell'Interno del Regno delle Due
Sicilie Successore Coat
of arms of the Kingdom of the Two Sicilies.svg Giuseppe Parisi 1848 Giovanni
Vignali
Controllo di autorità VIAF
(EN) 88752804 · ISNI (EN) 0000 0001 0922 8675 · LCCN (EN) no2010179239 · GND
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Biografie Due Sicilie Portale Due Sicilie Storia Portale Storia Categorie:
Giuristi italiani del XIX secoloFilosofi italiani del XIX secoloPolitici
italiani del XIX secoloNati nel 1786Morti nel 1864Nati il 22 maggioMorti il 2
febbraioNati a ManfredoniaMorti a NapoliCostituzionalisti italianiMinistri
dell'Interno delle Due SicilieLetterati italiani[altre]
BOZZETTI – Giuseppe
Bozzetti Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Giuseppe Bozzetti (Borgoratto Alessandrino, 19 settembre 1878 – Roma, 27 giugno
1956) è stato un presbitero, filosofo e docente italiano. Indice 1 Biografia
1.1 Profili
2 Bibliografia
3 Voci
correlate 4 Collegamenti
esterni Biografia Fratello minore del pittore Cino Bozzetti era figlio di Romeo
(uno dei Mille di Garibaldi, divenne colonnello e poi generale dell’Esercito
Italiano) e da Edvige Griziotti De Gianani. I genitori erano originari dalla
provincia di Cremona. Tutta la famiglia Bozzetti si spostò a Trapani, poi a
Napoli, a Reggio Calabria, ad Ancona, a Genova e infine a Torino, seguendo le
destinazioni del capofamiglia. Giuseppe scriveva delicate poesie, indirizzate
ai suoi familiari. Giuseppe Bozzetti,
dopo la laurea in Giurisprudenza all'Università di Torino, ottenuta nel 1900,
entrò nell’ordine dei Rosminiani. Fu novizio al Convento rosminiano del Sacro
Monte Calvario di Domodossola (dove una sala è oggi a lui dedicata) e ordinato
sacerdote nel 1906. Si laureò anche in Filosofia nel 1908 e nel 1909 in Lettere
classiche all'Università di Roma La Sapienza, materia che insegnò al liceo
"Mellerio-Rosmini" di Domodossola. Nel 1929 fu nominato Superiore
Provinciale dei Collegi rosminiani e a Roma, il 25 marzo 1935, fu eletto
Preposito Generale, cioè VII successore di Antonio Rosmini, carica che ricoprì
fino alla morte. Fu libero docente di Filosofia all’Università di Roma La
Sapienza, dal 1942 al 1946. Autore di saggi filosofici e teologici, sostenne e
spiegò le tesi di Antonio Rosmini, in particolare quelle esposte nella
Filosofia del diritto. Sacro Monte
Calvario di Domodossola, Via Crucis Per Giuseppe Bozzetti la persona è soggetto
di diritto, cioè cerca liberamente la verità e aderisce liberamente alla legge
morale, su cui forma la propria coscienza e la consapevolezza di avere una
destinazione eterna. Gli scritti dei
Giuseppe Bozzetti sono stati recentemente raccolti in: Giuseppe Bozzetti, Opere
complete: saggi, scritti inediti, opere minori, recensioni, a cura di Michele
Federico Sciacca, Milano, Marzorati, 2006.
Profili L'Accademia Roveretana degli Agiati ha pubblicato questo
sintetico profilo di Giuseppe Bozzetti:
«Attratto dalla filosofia rosminiana che faceva della persona il diritto
sussistente ed il fondamento della famiglia e dello Stato, ripropose la
metafisica del filosofo roveretano quale unica speculazione che sapesse
inquadrare il problema dell'essere personale in un'organicità ontologica più
alta. Fu filosofo costruttivo, capace di far convergere, in una prospettiva
anche pedagogica, molteplicità ed unità, frammentarismo e organicità. Sacerdote
profondamente umano e colto (lasciò belle prose e brevi testi poetici di
raffinata sensibilità ed eleganza), aperto al dialogo con tutti, guidò come
superiore generale l'Istituto della carità secondo lo spirito del suo fondatore
e in conformità alle esigenze dei tempi.»
Bibliografia Michele Federico Sciacca, Rosmini e noi (Linee di un
programma): Lettera al p. Giuseppe Bozzetti; Risposta al prof. Sciacca,
Domodossola, C. Antonioli, 1944, SBN IT\ICCU\VIA\0226448. Rinaldo Orecchia,
Giuseppe Bozzetti, Milano, Giuffre, 1957, SBN IT\ICCU\TO0\0507687. Giovanni
Pusineri (a cura di), Ricordo di P. Giuseppe Bozzetti: testimonianze, onori
funebri, scritti inediti, bibliografia, Domodossola-Milano, Sodalitas, 1957,
SBN IT\ICCU\LO1\0428859. Leandro Felici, Padre Giuseppe Bozzetti, Milano, Spes,
1981, SBN IT\ICCU\PAL\0120561. Centro di studi filosofici di Gallarate,
Enciclopedia Filosofica, Firenze, G. C. Sansoni, 1968-1969, SBN
IT\ICCU\RAV\0217501. Francesco Traniello, Giorgio Campanini, Dizionario storico
del movimento cattolico in Italia, 1860-1980, Casale Monferrato, Marietti,
1981-1984, SBN IT\ICCU\CFI\0014528. Voci correlate Cino Bozzetti Romeo Bozzetti
Collegamenti esterni Giuseppe Bozzetti, in Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Opere
di Giuseppe Bozzetti, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata
Controllo di autorità VIAF (EN)
47646070 · ISNI (EN) 0000 0000 6124 5571 · SBN IT\ICCU\RAVV\041345 · LCCN (EN)
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495/8680 · WorldCat Identities (EN) lccn-n2001089651 Biografie Portale
Biografie Filosofia Portale Filosofia Religione Portale Religione Categorie:
Presbiteri italianiFilosofi italiani del XIX secoloFilosofi italiani del XX
secoloInsegnanti italiani del XIX secoloInsegnanti italiani del XX secoloNati nel
1878Morti nel 1956Nati il 19 settembreMorti il 27 giugnoMorti a RomaProfessori
della Sapienza - Università di Roma[altre]
Branciforte branciforte
– Giuseppe Giovanni Luigi Enrico Lanza di Trabia-Branciforte. trabia: Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto (n. San Vito dei
Normanni) è un filosofo. Esponente della nobile famiglia siciliana dei Lanza di
Trabia. Il suo vero nome è infatti Giuseppe Giovanni Luigi Enrico Lanza di
Trabia-Branciforte. La sua personalità eccezionale riunisce caratteristiche
disparate: filosofo con una forte vena mistica, ma anche patriarca fondatore di
comunità rurali e attivista nonviolento contro la guerra d'Algeria o gli
armamenti nucleari. Trabia nacque in un piccolo paese salentino,
San Vito dei Normanni, nella masseria "Specchia di Mare", da famiglia
antica ed illustre: il padre, Luigi Giuseppe, nato a Ginevra il 18 novembre
1857, dottore in giurisprudenza e titolare di un'azienda agricola-vitivinicola
era figlio illegittimo del principe siciliano Giuseppe III Lanza di Trabia (1833-1868)
e la madre, belga, era la marchesa Anna Maria Enrichetta Nauts, nata ad Anversa
il I luglio 1874. Giuseppe Giovanni aveva due fratelli: Lorenzo Ercole, e
Angelo Carlo, cittadino americano nel 1939 (nel 1943 partecipò allo sbarco in
Sicilia). Lanza studiò al liceo Condorcet a Parigi, poi filosofia a Firenze e
Pisa, dove fu allievo di Armando Carlini. «La guerra di Abissinia già
iniziava ed il mio rifiuto a parteciparvi era la cosa più evidente. E poi
questa guerra non era che l’inizio: in seguito forse sarei stato ad uccidere
inglesi, tedeschi e un giorno avrei avuto dinanzi alla mia baionetta Rainer
Maria Rilke. No, la mia risposta era no. “Ma che cosa è che rende la guerra
inevitabile?”, mi domandavo. Benché giovane avevo capito la puerilità delle
risposte ordinarie, quelle che si rifanno alla nostra cattiveria, al nostro
odio e al pregiudizio. Sapevo che la guerra non aveva a che fare con tutto ciò.
“Certo, una dottrina esiste per opporsi alla guerra e la vedo nel Vangelo”,
dicevo, “ma com’è che i cristiani non la vedono? Manca quindi un metodo, un
metodo per difendersi senza offendere. Un modo nuovo, diverso, umano di
risolvere i conflitti umani”. Solo in Gandhi vedevo colui che avrebbe potuto
darmi una risposta ed il metodo.» (Pagni R., Ultimi dialoghi con Lanza
del Vasto, p.50-51) Così Lanza del Vasto ricorda la sua decisione di partire
per l'India, autofinanziandosi con la vendita a un'amica facoltosa del
manoscritto della sua prima opera, Giuda. Lanza non partiva alla ricerca di
spiritualità, tanto più che la conversione al cristianesimo gli impegnava
pienamente l'animo: «Ma mi ero, non senza pena, convertito alla mia
propria religione, e avevo il mio da fare per meditare le Scritture ed
applicarne i comandamenti. E se mi si chiedeva “siete cristiano?”, rispondevo:
“Sarebbe ben prezioso dire di sì. Tento di esserlo".» (L’Arca aveva
una vigna per vela, p.11). In India, Lanza conobbe il Mahatma Gandhi, con il
quale stette qualche mese, per poi recarsi in Himalaya. Durante il viaggio «conobbi
le inquietudini sociali dell'India ed il suo metodo di liberazione, la non
violenza, che era molto contraria al mio carattere (come del resto credo sia
contraria al carattere di tutti). Nessuno è non violento per natura: siamo
violenti e non proviamo vergogna a dirlo, anzi lo diciamo con un certo
orgoglio. Ma ciò che non diciamo è che la vigliaccheria e la violenza fanno la
forza delle nazioni e degli eserciti e la non violenza consiste nel superare
questi due grandi motivi della storia umana». In India trova «un'umanità simile
alla nostra quanto opposta: qualche cosa come un altro sesso.l ritorno in
Europa Lo scrittore e studioso in una delle sue comunità rurali (l'ultimo
a destra) Tornato dall'India dopo ulteriori peregrinazioni in Terra Santa,
Lanza comprende che la sua vocazione è di fondare una comunità rurale
nonviolenta, sul modello del gandhiano ashram, la comunità autarchica ed
egualitaria che per il Mahatma doveva essere la cellula della società. Gli ci
volle del tempo prima di riuscire a concretizzarla attraverso la fondazione
della comunità dell'Arca, che avvenne il 26 gennaio 1944[3]. Tra le poche
persone a cui gli riesce di esporre il suo progetto c'è Simone Weil, che
incontra a Marsiglia. Nonostante il suo pacifismo, la Weil non nutriva molta fiducia
nella nonviolenza gandhiana. Lanza gliene parlò e lei sembrò comprendere
meglio. Poi parlarono della visione dell'Arca, che allora non si chiamava
ancora così, ed era la prima volta che Lanza ne parlava con qualcuno: «Lei capì
subito! “È un diamante bellissimo”, disse. “Sì,” risposi “è vero. Ha solo un
minuscolo difetto: che non esiste”. E lei: “Ma esisterà, esisterà, perché Dio
lo vuole"."Simone aveva ragione. L'ultima sede della comunità fu la
Borie Noble, con circa centocinquanta persone che vivono nel modo più frugale e
gioiosamente comunitario. Il nome venne quando si cominciò a parlare di
“lanzismo”: «Si cominciava a parlare di Lanzisti e Lanzismo, cosa che mi fece
rizzare il pelo. “Amici miei”, annunciai, “noi ci chiameremo l'Arca, quella di
Noè beninteso. E noi gli animali dell'Arca.»[5]. Negli anni successivi
numerosissime iniziative nonviolente videro protagonista Lanza e i suoi
compagni, che seppero attirare l'attenzione dell'opinione pubblica francese e
non solo. La prima azione pubblica nonviolenta è del 1957, contro le torture e
i massacri compiuti dai francesi in Algeria, e si svolge a Clichy in una casa
dove aveva vissuto San Vincenzo de Paoli. L'azione fu guardata con relativo
favore dalla stampa, e giunse la solidarietà di personalità come Mauriac o
l'Abbé Pierre. Poi vennero le lotte contro il nucleare, la prima delle quali
nel 1958: Lanza con i suoi compagni penetrano nel cancello di una centrale
elettronucleare e vengono poi trascinati via dai poliziotti. Poi ancora la
campagna contro i “campi di assegnazione per residenza”, sorta di campi di
concentramento per gli algerini “sospetti”, e quella in favore degli obiettori
di coscienza. Durante la Quaresima del 1963, tra due sessioni del Concilio
Vaticano II Lanza fece un digiuno di quaranta giorni compiuto nell'attesa di
una parola forte sulla pace da parte della Chiesa. Poco dopo il trentesimo
giorno, il Segretario di Stato consegnò a Chanterelle, la moglie di Lanza, il
testo dell'enciclica Pacem in Terris: «Dentro ci sono cose che non sono mai
state dette, pagine che potrebbero essere firmate da suo marito!»[6].
Opere: Le pèlerinage aux sources, Denoël, Parigi, traduzione italiana:
Pellegrinaggio alle sorgenti, Jaca Book, Milano; Approches de la vie
intérieure, Denoël, Parigi; traduzione italiana: Introduzione alla vita
interiore, Jaca Book, Milano 1989; Technique de la non-violence, Denoël, Parigi
1965; traduzione italiana: Che cos'è la non violenza, Jaca Book, Milano 1979;
Il canzoniere del peregrin d'amore, Jaca Book, Milano 1980; Vinôbâ, ou le
nouveau pèlerinage, Denoël, Parigi 1954; traduzione italiana: Vinoba, o il
nuovo pellegrinaggio, Jaca Book, Milano 1980; L'Arche avait pour voilure une
vigne, Denoël, Parigi 1978; traduzione italiana: L'Arca aveva una vigna per
vela, Jaca Book, Milano 1980; Pour éviter la fin du monde, Rocher, Parigi;
traduzione italiana: Per evitare la fine del mondo, Jaca Book, Milano 1991;
Principes et préceptes du retour à l'évidence, Denoël, Parigi 1945; traduzione
italiana: Principi e precetti del ritorno all'evidenza, Gribaudi, Torino 1988;
Préface au Message Retrouvé de Louis Cattiaux, Denoël, Parigi 1956; traduzione
italiana: Il Messaggio Ritrovato, Mediterranee, Roma 2002. Note ^ Pagni, cit.,
p. 51 ^ Lanza del Vasto, Pellegrinaggio alle sorgenti, p. 82 ^ Gabriella Fiori,
Lanza del Vasto e Simone Weil, Prospettiva Persona n° 86/2013,
http://www.prospettivapersona.it/editoriale/86/lanza_weil.pdf ^ Pagni, cit.,
p.58-59 ^ L'Arca aveva una vigna per vela, p. 48 ^ ivi, p. 99 Bibliografia
Jacques Madaule, Chi è Lanza del Vasto Arnaud de Mareuil, Lanza del Vasto
(Seghers, 1965) René Doumerc, Dialoghi con Lanza del Vasto (Albin Michel)
Claude-Henri Roquet, Les Facettes du cristal (Conversazioni con Lanza del
Vasto, Parigi 1981) Arnaud de Mareuil, Lanza del Vasto, sa vie, son oeuvre, son
message (Saint-Jean-de-Braye 1998) Anne Fougère, Claude-Henri Rocquet: Lanza
del Vasto. Pellegrino della nonviolenza, patriarca, poeta, (Paoline, Milano
2006) Antonino Drago, Paolo Trianni (a cura di), La filosofia di Lanza del Vasto
(Jaka Book, Milano 2008) Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource
contiene una pagina in lingua francese dedicata a Lanza del Vasto Collabora a
Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Lanza del
Vasto Collegamenti esterni L'Arche de Lanza del Vasto (sito principale) (fr),
su arche-nonviolence.eu. Comunità di St Antoine (Fr), su
arche-de-st-antoine.com. Comunità dell'Arca in Italia, su xoomer.virgilio.it.
Provincia di Brindisi su Lanza del Vasto. Lanza del Vasto & Ramon Llull
(es), su denip.webcindario.com. Controllo di autoritàVIAF (EN) 2472923 · ISNI
(EN) 0000 0001 2275 7061 · SBN IT\ICCU\CFIV\001261 · LCCN (EN) n50047299 · GND
(DE) 121291928 · BNF (FR) cb11911016p (data) · BNE (ES) XX956618 (data) · NLA
(EN) 35291519 · NDL (EN, JA) 00446875 · WorldCat Identities (EN) lccn-n50047299
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italiani del XX secoloPoeti italiani del XX secoloScrittori italiani del XX
secoloNati nel 1901Morti nel 1981Nati il 29 settembreMorti il 5 gennaioNati a
San Vito dei NormanniNonviolenzaLanza[altre]. vasto: essential Italian philosopher – Branciforte: Giuseppe Giovanni
Luigi Enrico Lanza di Trabia-Branciforte -- Vasto: Essential Italian
philosopher. Grice: “Note that he is Lanza del Vasto, but if he wants to keep
the Vasto, under Vasto he goes! Even though Lanza is the aristocratic bit to
it!” Lanza del Vasto Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
navigationJump to search Giuseppe
Giovanni Lanza del Vasto Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto (San Vito dei
Normanni, 29 settembre 1901 – Elche de la Sierra, 5 gennaio 1981) è stato un
filosofo, poeta e scrittore italiano. Esponente della nobile famiglia siciliana
dei Lanza di Trabia. Il suo vero nome è infatti Giuseppe Giovanni Luigi Enrico
Lanza di Trabia-Branciforte. La sua personalità eccezionale riunisce
caratteristiche disparate: poeta, scrittore, filosofo, pensatore religioso con
una forte vena mistica, ma anche patriarca fondatore di comunità rurali sul
modello di quelle gandhiane e attivista nonviolento contro la guerra d'Algeria
o gli armamenti nucleari. Indice 1Vita
1.1L'incontro con Gandhi 1.2Il ritorno in Europa 2Opere 3Note 4Bibliografia 5Altri
progetti 6Collegamenti esterni Vita Nacque in un piccolo paese salentino, San
Vito dei Normanni, nella masseria "Specchia di Mare", da famiglia
antica ed illustre: il padre, Luigi Giuseppe, nato a Ginevra il 18 novembre
1857, dottore in giurisprudenza e titolare di un'azienda agricola-vitivinicola
era figlio illegittimo del principe siciliano Giuseppe III Lanza di Trabia
(1833-1868) e la madre, belga, era la marchesa Anna Maria Enrichetta Nauts,
nata ad Anversa il I luglio 1874. Giuseppe Giovanni aveva due fratelli: Lorenzo
Ercole, nato nel 1903, morto a Rapallo nel 1958 e Angelo Carlo, nato nel 1904,
cittadino americano nel 1939 (nel 1943 partecipò allo sbarco in Sicilia). Lanza
studiò al liceo Condorcet a Parigi, poi filosofia a Firenze e Pisa, dove fu
allievo di Armando Carlini. «La guerra
di Abissinia già iniziava ed il mio rifiuto a parteciparvi era la cosa più
evidente. E poi questa guerra non era che l’inizio: in seguito forse sarei
stato ad uccidere inglesi, tedeschi e un giorno avrei avuto dinanzi alla mia
baionetta Rainer Maria Rilke. No, la mia risposta era no. “Ma che cosa è che
rende la guerra inevitabile?”, mi domandavo. Benché giovane avevo capito la
puerilità delle risposte ordinarie, quelle che si rifanno alla nostra
cattiveria, al nostro odio e al pregiudizio. Sapevo che la guerra non aveva a
che fare con tutto ciò. “Certo, una dottrina esiste per opporsi alla guerra e
la vedo nel Vangelo”, dicevo, “ma com’è che i cristiani non la vedono? Manca
quindi un metodo, un metodo per difendersi senza offendere. Un modo nuovo,
diverso, umano di risolvere i conflitti umani”. Solo in Gandhi vedevo colui che
avrebbe potuto darmi una risposta ed il metodo.» (Pagni R., Ultimi dialoghi con Lanza del
Vasto, p.50-51) Così Lanza del Vasto ricorda la sua decisione di partire per l'India
nell'autunno del 1936, autofinanziandosi con la vendita a un'amica facoltosa
del manoscritto della sua prima opera, Giuda. Lanza non partiva alla ricerca di
spiritualità, tanto più che la conversione al cristianesimo gli impegnava
pienamente l'animo: «Ma mi ero, non
senza pena, convertito alla mia propria religione, e avevo il mio da fare per
meditare le Scritture ed applicarne i comandamenti. E se mi si chiedeva “siete
cristiano?”, rispondevo: “Sarebbe ben prezioso dire di sì. Tento di
esserlo".» (L’Arca aveva una vigna
per vela, p.11) L'incontro con Gandhi In India, Lanza conobbe il Mahatma
Gandhi, con il quale stette qualche mese, per poi recarsi in Himalaya. Durante
il viaggio «conobbi le inquietudini sociali dell'India ed il suo metodo di
liberazione, la non violenza, che era molto contraria al mio carattere (come
del resto credo sia contraria al carattere di tutti). Nessuno è non violento
per natura: siamo violenti e non proviamo vergogna a dirlo, anzi lo diciamo con
un certo orgoglio. Ma ciò che non diciamo è che la vigliaccheria e la violenza
fanno la forza delle nazioni e degli eserciti e la non violenza consiste nel
superare questi due grandi motivi della storia umana»[1]. In India trova
«un'umanità simile alla nostra quanto opposta: qualche cosa come un altro
sesso»[2]. Il ritorno in Europa Lo scrittore e studioso in una delle sue
comunità rurali (l'ultimo a destra) Tornato dall'India dopo ulteriori
peregrinazioni in Terra Santa, Lanza comprende che la sua vocazione è di
fondare una comunità rurale nonviolenta, sul modello del gandhiano ashram, la
comunità autarchica ed egualitaria che per il Mahatma doveva essere la cellula
della società. Gli ci volle del tempo prima di riuscire a concretizzarla
attraverso la fondazione della comunità dell'Arca, che avvenne il 26 gennaio
1944[3]. Tra le poche persone a cui gli riesce di esporre il suo progetto c'è
Simone Weil, che incontra a Marsiglia, nel 1941. Nonostante il suo pacifismo,
la Weil non nutriva molta fiducia nella nonviolenza gandhiana. Lanza gliene
parlò e lei sembrò comprendere meglio. Poi parlarono della visione dell'Arca,
che allora non si chiamava ancora così, ed era la prima volta che Lanza ne
parlava con qualcuno: «Lei capì subito! “È un diamante bellissimo”, disse.
“Sì,” risposi “è vero. Ha solo un minuscolo difetto: che non esiste”. E lei:
“Ma esisterà, esisterà, perché Dio lo vuole”»[4]. Simone aveva ragione.
L'ultima sede della comunità fu la Borie Noble, con circa centocinquanta
persone che vivono nel modo più frugale e gioiosamente comunitario. Il nome
venne quando si cominciò a parlare di “lanzismo”: «Si cominciava a parlare di
Lanzisti e Lanzismo, cosa che mi fece rizzare il pelo. “Amici miei”, annunciai,
“noi ci chiameremo l'Arca, quella di Noè beninteso. E noi gli animali
dell'Arca.»[5]. Negli anni successivi
numerosissime iniziative nonviolente videro protagonista Lanza e i suoi
compagni, che seppero attirare l'attenzione dell'opinione pubblica francese e
non solo. La prima azione pubblica nonviolenta è del 1957, contro le torture e
i massacri compiuti dai francesi in Algeria, e si svolge a Clichy in una casa
dove aveva vissuto San Vincenzo de Paoli. L'azione fu guardata con relativo
favore dalla stampa, e giunse la solidarietà di personalità come Mauriac o
l'Abbé Pierre. Poi vennero le lotte contro il nucleare, la prima delle quali
nel 1958: Lanza con i suoi compagni penetrano nel cancello di una centrale
elettronucleare e vengono poi trascinati via dai poliziotti. Poi ancora la
campagna contro i “campi di assegnazione per residenza”, sorta di campi di
concentramento per gli algerini “sospetti”, e quella in favore degli obiettori
di coscienza. Durante la Quaresima del 1963, tra due sessioni del Concilio
Vaticano II Lanza fece un digiuno di quaranta giorni compiuto nell'attesa di
una parola forte sulla pace da parte della Chiesa. Poco dopo il trentesimo
giorno, il Segretario di Stato consegnò a Chanterelle, la moglie di Lanza, il
testo dell'enciclica Pacem in Terris: «Dentro ci sono cose che non sono mai
state dette, pagine che potrebbero essere firmate da suo marito!»[6]. Opere Le pèlerinage aux sources, Denoël,
Parigi 1943, traduzione italiana: Pellegrinaggio alle sorgenti, Jaca Book,
Milano 1991; Approches de la vie intérieure, Denoël, Parigi 1962; traduzione
italiana: Introduzione alla vita interiore, Jaca Book, Milano 1989; Technique
de la non-violence, Denoël, Parigi 1965; traduzione italiana: Che cos'è la non
violenza, Jaca Book, Milano 1979; Il canzoniere del peregrin d'amore, Jaca
Book, Milano 1980; Vinôbâ, ou le nouveau pèlerinage, Denoël, Parigi 1954;
traduzione italiana: Vinoba, o il nuovo pellegrinaggio, Jaca Book, Milano 1980;
L'Arche avait pour voilure une vigne, Denoël, Parigi 1978; traduzione italiana:
L'Arca aveva una vigna per vela, Jaca Book, Milano 1980; Pour éviter la fin du
monde, Rocher, Parigi 1971; traduzione italiana: Per evitare la fine del mondo,
Jaca Book, Milano 1991; Principes et préceptes du retour à l'évidence, Denoël,
Parigi 1945; traduzione italiana: Principi e precetti del ritorno all'evidenza,
Gribaudi, Torino 1988; Préface au Message Retrouvé de Louis Cattiaux, Denoël,
Parigi 1956; traduzione italiana: Il Messaggio Ritrovato, Mediterranee, Roma
2002. Note ^ Pagni, cit., p. 51 ^ Lanza del Vasto, Pellegrinaggio alle
sorgenti, p. 82 ^ Gabriella Fiori, Lanza del Vasto e Simone Weil, Prospettiva
Persona n° 86/2013,
http://www.prospettivapersona.it/editoriale/86/lanza_weil.pdf ^ Pagni, cit.,
p.58-59 ^ L'Arca aveva una vigna per vela, p. 48 ^ ivi, p. 99 Bibliografia
Jacques Madaule, Chi è Lanza del Vasto Arnaud de Mareuil, Lanza del Vasto (Seghers,
1965) René Doumerc, Dialoghi con Lanza del Vasto (Albin Michel) Claude-Henri
Roquet, Les Facettes du cristal (Conversazioni con Lanza del Vasto, Parigi
1981) Arnaud de Mareuil, Lanza del Vasto, sa vie, son oeuvre, son message
(Saint-Jean-de-Braye 1998) Anne Fougère, Claude-Henri Rocquet: Lanza del Vasto.
Pellegrino della nonviolenza, patriarca, poeta, (Paoline, Milano 2006) Antonino
Drago, Paolo Trianni (a cura di), La filosofia di Lanza del Vasto (Jaka Book,
Milano 2008) Altri progetti Collabora a
Wikisource Wikisource contiene una pagina in lingua francese dedicata a Lanza
del Vasto Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o
altri file su Lanza del Vasto Collegamenti esterni L'Arche de Lanza del Vasto
(sito principale) (fr), su arche-nonviolence.eu. Comunità di St Antoine (Fr),
su arche-de-st-antoine.com. Comunità dell'Arca in Italia, su
xoomer.virgilio.it. Provincia di Brindisi su Lanza del Vasto. Lanza del Vasto
& Ramon Llull (es), su denip.webcindario.com. Controllo di autoritàVIAF
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Letteratura Categorie: Filosofi italiani del XX secoloPoeti italiani del XX
secoloScrittori italiani del XX secoloNati nel 1901Morti nel 1981Nati il 29
settembreMorti il 5 gennaioNati a San Vito dei NormanniNonviolenzaLanza[altre] Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e del Vasto," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Brandalise -- Adone
Brandalise Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Adone Brandalise nel 2010 Adone
Brandalise (Pistoia, 16 giugno 1949) è un critico letterario, letterato e
accademico italiano. Indice 1 Biografia 2 Operaismo
3 Opere
4 Bibliografia
5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Si è laureato nel 1972 con Vittore Branca con una tesi dal
titolo L'opera e la critica. Esperimenti critici su testi narrativi italiani,
in cui vengono sperimentati nuovi metodi critici su testi di Alessandro Manzoni
e Carlo Emilio Gadda. Professore di
teoria della letteratura presso l'Università di Padova, la sua attività di
ricerca si caratterizza per il costante intreccio tra riflessione filosofica e
psicoanalitica con l'interpretazione del testo letterario. I luoghi seminali
della sua ricerca vanno individuati nello studio di Spinoza e Plotino, cui si
dedica sin dalla giovinezza, di Hegel e dell'idealismo tedesco, oltre che
nell'approfondimento risalente agli anni Settanta dell'opera di Jacques
Lacan. Promotore di numerose iniziative
scientifiche, tra cui alcuni progetti di didattica e ricerca legati agli studi
interculturali, ha collaborato a riviste quali "Lettere italiane",
"Studi novecenteschi", "Immagine riflessa", "Il
centauro" , "Filosofia politica" o "Trickster". Tra i temi che segnano la sua ricerca vanno senz'altro
segnalati alcuni molto ricorrenti: il problema della singolarità, il rapporto
tra mistica ed evento soggettivo, quello tra pensiero filosofico e azione
politica, quello tra poesia e pensiero. Attentissimo cultore della musica
operistica e del cinema, tra gli autori che maggiormente animano la scena della
sua riflessione, affidata soprattutto all'oralità, sono Platone, Leopardi,
Melville, Nietzsche, Shakespeare, Luis de León, Max Ophüls e Orson Welles. Operaismo Brandalise opera sin dal 1973 presso
la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Padova, dove anima e
partecipa a partire dagli anni settanta alla costituzione di numerosi seminari
e momenti di studio, anche in relazione con i dibattiti dell'operaismo. Oltre
all'attività sindacale, in comunicazione con Guido Bianchini (Padova, 1926 -
1998), segna questa fase di sua riflessione politica il lavoro svolto "off
air" nella direzione romana di "Il Centauro. Rivista di Filosofia e
teoria politica" (1981-86), nel cui comitato direttivo operavano anche
Nicola Auciello, Adriana Cavarero, Remo Bodei, Massimo Cacciari, Umberto Curi,
Giuseppe Duso, Roberto Esposito, Giacomo Marramao, Giangiorgio Pasqualotto,
Biagio De Giovanni (direttore) e Roberto Racinaro. Il Centauro, rivista pubblicata dall'editore
Guida, nasce in una fase storica segnata dal caso Moro, dal compromesso
storico, dal teorema Calogero. L'idea dei redattori era di avviare un
laboratorio politico in cui potessero intervenire intellettuali legati al PCI,
anche se in modi spesso prossimi al dissenso. Tuttavia non compare nelle
rievocazioni più recenti degli anni dell'operaismo il nome di Brandalise, certo
per la relativa assenza di suoi interventi scritti, ma anche per il coagularsi
del suo percorso politico negli anni Novanta intorno alla "nozione
sintomatica" di politica invisibile e poi, nel decennio successivo, di
decostituzionalizzazione. Opere
Oltranze. Simboli e concetti in letteratura, Padova, 2002 Categorie e figure.
Metafore e scrittura nel pensiero politico, Padova, 2003. con E. Macola,
Psicoanálisis y arte de ingenio: de Cervantes a María Zambrano, Malaga, Miguel
Gomez, 2004 con E. Macola e P. Sanchez Otin, Bestiario lacaniano, Milano, Bruno
Mondadori, 2007. L'immagine del territorio e i processi migratori, in M. BERTONCIN,
A. PASE (a cura di), Territorialità, Milano, Franco Angeli, 2007. In weiter
Ferne so nah. In margine al sermone Beati Pauperes, in (a cura di G. Panno) Il
silenzio degli angeli. Il ritrarsi di Dio nella mistica medievale e nelle
riscritture moderne, Padova, Unipress, 2008, pp. 157–163. Oltre la
comparazione. Modi e posizioni del pensiero dopo l'intercultura, in (a cura di
G. Pasqualotto), Per una filosofia interculturale, pp. 59–69, Milano, Mimesis,
2008. Introduzione (con A. Barbieri), in (a cura di A. Barbieri, P. Mura, G.
Panno), Le vie del racconto. Temi antropologici, nuclei mitici e rielaborazione
letteraria nella narrazione medievale germanica e romanza, Padova, Unipress,
2008, pp. I-XXVIII. Il multilinguismo nella mediazione (con A. Celli, K. Rhazzali,
E. Sartori), in (a cura di G. Mantovani) Intercultura e mediazione, Roma,
Carocci, 2008. Postfazione, in C. Tenuta, Dal mio esilio non sarei mai tornato,
io. Profili ebraici tra cultura e letteratura nell'Italia del Novecento, Roma,
Aracne, 2009, pp. 167–170 ISBN 978-88-548-2376-1. con N. Fazioni (a cura di),
Cosa cambia con Lacan? Saperi, pratiche, poteri, in International Journal of
Žižek Studies, Vol 6, n. 4, 2012, ISSN 1751-8229 (WC · ACNP). Dentro il
confine, Milano, Mimesis, 2019. ISBN 978-88-575-5688-8 Metodi della
singolarità, Milano, Mimesis, 2019. ISBN 978-88-575-5735-9 La necessità
dell'Altro: scritti in onore di Adone Brandalise, Milano, Mimesis, 2019. ISBN
978-88-575-6349-7 Bibliografia Dario Gentili (a cura di), La crisi del
politico. Antologia di "Il Centauro", Guida (2007) Altri progetti
Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file
su Adone Brandalise Collegamenti esterni www.adonebrandalise.it: Sito dedicato
all'opera e al pensiero di Adone Brandalise
Podcast degli interventi del Rpf Adone Brandalise Controllo di autorità VIAF (EN) 37146852 · ISNI
(EN) 0000 0000 0334 8281 · BNF (FR) cb14501594c (data) · WorldCat Identities
(EN) lccn-n78067894 Biografie Portale Biografie Letteratura Portale Letteratura
Università Portale Università Categorie: Critici letterari italiani del XX
secoloCritici letterari italiani del XXI secoloLetterati italianiAccademici
italiani del XX secoloAccademici italiani del XXI secoloNati nel 1949Nati il 16
giugnoNati a Pistoia[altre]
bradley: One of the few
English philosophers who saw philosophy, correctly, as a branch of literature!
(Essay-writing, strictly). f. h., Cited by H. P. Grice in “Prolegomena,” now
repr. in “Studies in the Way of Words.” Also in Grice, “Metaphysics,” in D. F.
Pears, “The nature of metaphysics,” -- the most original and influential
nineteenth-century British idealist. Born at Clapham, he was the fourth son of
an evangelical minister. His younger brother A. C. Bradley was a well-known
Shakespearean critic. From 1870 until his death Bradley was a fellow of Merton
, Oxford. A kidney ailment, which first occurred in 1871, compelled him to lead
a retiring life. This, combined with his forceful literary style, his love of
irony, the dedication of three of his books to an unknown woman, and acclaim as
the greatest British idealist since Berkeley, has lent an aura of mystery to
his personal life. The aim of Bradley’s first important work, Ethical Studies
1876, is not to offer guidance for dealing with practical moral problems
Bradley condemned this as casuistry, but rather to explain what makes morality
as embodied in the consciousness of individuals and in social institutions
possible. Bradley thought it was the fact that moral agents take morality as an
end in itself which involves identifying their wills with an ideal provided in
part by their stations in society and then transferring that ideal to reality
through action. Bradley called this process “selfrealization.” He thought that
moral agents could realize their good selves only by suppressing their bad
selves, from which he concluded that morality could never be completely
realized, since realizing a good self requires having a bad one. For this
reason Bradley believed that the moral consciousness would develop into
religious consciousness which, in his secularized version of Christianity,
required dying to one’s natural self through faith in the actual existence of
the moral ideal. In Ethical Studies Bradley admitted that a full defense of his
ethics would require a metaphysical system, something he did not then have.
Much of Bradley’s remaining work was an attempt to provide the outline of such
a system by solving what he called “the great problem of the relation between
thought and reality.” He first confronted this problem in The Principles of
Logic3, which is his description of thought. He took thought to be embodied in
judgments, which are distinguished from other mental activities by being true
or false. This is made possible by the fact that their contents, which Bradley
called ideas, represent reality. A problem arises because ideas are universals
and so represent kinds of things, while the things themselves are all
individuals. Bradley solves this problem by distinguishing between the logical
and grammatical forms of a judgment and arguing that all judgments have the
logical form of conditionals. They assert that universal connections between
qualities obtain in reality. The qualities are universals, the connections
between them are conditional, while reality is one individual whole that we
have contact with in immediate experience. All judgments, in his view, are
abstractions from a diverse but non-relational immediate experience. Since
judgments are inescapably relational, they fail to represent accurately
non-relational reality and so fail to reach truth, which is the goal of
thought. From this Bradley concluded that, contrary to what some of his more
Hegelian contemporaries were saying, thought is not identical to reality and is
never more than partially true. Appearance and Reality 3 is Bradley’s
description of reality: it is experience, all of it, all at once, blended in a
harmonious way. Bradley defended this view by means of his criterion for
reality. Reality, he proclaimed, does not contradict itself; anything that does
is merely appearance. In Part I of Appearance and Reality Bradley relied on an
infinite regress argument, now called Bradley’s regress, to contend that
relations and all relational phenomena, including thought, are contradictory.
They are appearance, not reality. In Part II he claimed that appearances are
contradictory because they are abstracted by thought from the immediate
experience of which they are a part. Appearances constitute the content of this
whole, which in Bradley’s view is experience. In other words, reality is
experience in its totality. Bradley called this unified, consistent
all-inclusive reality “the Absolute.” Today Bradley is mainly remembered for
his argument against the reality of relations, and as the philosopher who
provoked Russell’s and Moore’s revolution in philosophy. He would be better
remembered as a founder of twentiethcentury philosophy who based metaphysical
conclusions on his account of the logical forms of judgments. bradley’s
thatness: :The investing of
the content, which is in Bradleian language a `what', with self-existent reality or ‘that-ness'." Athenaeum 24 Dec. 1904’ If thought
asserted the existence of any content which was not an actual or possible
object of thought—certainly that assertion in my judgment would contradict
itself. But the Other which I maintain, is not any such content, nor is it
another separated “ what,” nor in any case do I suggest that it lies outside
intelligence. Everything, all will and feeling, is an object for thought, and
must be called intelligible. This is certain; but, if so, what becomes of the
Other? If we fall back on the mere “ that,” thatness itself seems a distinction
made by thought. And we have to face this difficulty: If the Other exists, it
must be something; and if it is nothing, it certainly does not exist. There is only one way to get rid
of contradiction, and that way is by dissolution. Instead of one subject
distracted, we get a larger subject with distinctions, and so the tension is
removed. We have at first A, which possesses the qualities c and b,
inconsistent adjectives which collide; and we go on to produce harmony by
making a distinction within this subject. That was really not mere A, but
either a complex within A, or (rather here) a wider whole in which A is
included. The real subject is A + D; and this subject contains the
contradiction made harmless by division, since A is c and D is b. This is the
general principle, and I will attempt here to apply it in particular. Let us
suppose the reality to be X (abcdefg . . .), and that we are able only to get
partial views of this reality. Let us first take such a view as “ X (ab) is b.”
This (rightly or wrongly) we should probably call a true view. For the content
b does plainly belong to the subject; and, further, the appearance also—in
other words, the separation of b in the predicate—can partly be explained. For,
answering to this separation, we postulate now another adjective in the
subject: let us call it *. The “ thatness,” the psychical existence of the
predicate, which at first was neglected, has now also itself been included in
the subject. We may hence write the subject as X (ab*); and in this way we seem
to avoid contradiction. Let us go further on the same line, and, having dealt
with a truth, pass next to an error. Take the subject once more as X (abcde . .
.), and let us now say “ X (ab) is d.” To be different from another is to have already transcended
one’s own being; and all finite existence is thus incurably relative and ideal.
Its quality falls, more or less, outside its particular “ thatness”; and,
whether as the same or again as diverse, it is equally made what it is by
community with others.
brentano: f., philosopher,
one of the most intellectually influential and personally charismatic of his
time. He is known especially for his distinction between psychological and
physical phenomena on the basis of intentionality or internal
object-directedness of thought, his revival of Aristotelianism and empirical
methods in philosophy and psychology, and his value theory and ethics supported
by the concept of correct pro- and anti-emotions or love and hate attitudes.
Brentano made noted contributions to the theory of metaphysical categories,
phenomenology, epistemology, syllogistic logic, and philosophy of religion. His
teaching made a profound impact on his students in Würzburg and Vienna, many of
whom became internationally respected thinkers in their fields, including
Meinong, Husserl, Twardowski, Christian von Ehrenfels, Anton Marty, and Freud.
Brentano began his study of philosophy at the Aschaffenburg Royal Bavarian
Gymnasium; in 185658 he attended the universities of Munich and Würzburg, and
then enrolled at the of Berlin, where he
undertook his first investigations of Aristotle’s metaphysics under the
supervision of F. A. Trendelenburg. In 1859 60, he attended the Academy in
Münster, reading intensively in the medieval Aristotelians; in 1862 he received
the doctorate in philosophy in absentia from the of Tübingen. He was ordained a Catholic
priest in 1864, and was later involved in a controversy over the doctrine of
papal infallibility, eventually leaving the church in 1873. He taught first as
Privatdozent in the Philosophical Faculty of the of Würzburg 186674, and then accepted a
professorship at the of Vienna. In 0 he
decided to marry, temporarily resigning his position to acquire Saxon
citizenship, in order to avoid legal difficulties in Austria, where marriages
of former priests were not officially recognized. Brentano was promised restoration
of his position after his circumvention of these restrictions, but although he
was later reinstated as lecturer, his appeals for reappointment as professor
were answered only with delay and equivocation. He left Vienna in 5, retiring
to Italy, his family’s country of origin. At last he moved to Zürich,
Switzerland, shortly before Italy entered World War I. Here he remained active
both in philosophy and psychology, despite his ensuing blindness, writing and
revising numerous books and articles, frequently meeting with former students
and colleagues, and maintaining an extensive philosophical-literary
correspondence, until his death. In Psychologie vom empirischen Standpunkt
“Psychology from an Empirical Standpoint,” 1874, Brentano argued that intentionality
is the mark of the mental, that every psychological experience contains an
intended object also called an
intentional object which the thought is
about or toward which the thought is directed. Thus, in desire, something is
desired. According to the immanent intentionality thesis, this means that the
desired object is literally contained within the psychological experience of
desire. Brentano claims that this is uniquely true of mental as opposed to
physical or non-psychological phenomena, so that the intentionality of the
psychological distinguishes mental from physical states. The immanent
intentionality thesis proBrentano, Franz Brentano, Franz 100 100 vides a framework in which Brentano
identifies three categories of psychological phenomena: thoughts Vorstellungen,
judgments, and emotive phenomena. He further maintains that every thought is
also self-consciously reflected back onto itself as a secondary intended object
in what he called the eigentümliche Verfleckung. From 5 through 1, with the publication
in that year of Von der Klassifikation der psychischen Phänomene, Brentano
gradually abandoned the immanent intentionality thesis in favor of his later
philosophy of reism, according to which only individuals exist, excluding
putative nonexistent irrealia, such as lacks, absences, and mere possibilities.
In the meantime, his students Twardowski, Meinong, and Husserl, reacting
negatively to the idealism, psychologism, and related philosophical problems
apparent in the early immanent intentionality thesis, developed alternative
non-immanence approaches to intentionality, leading, in the case of Twardowski
and Meinong and his students in the Graz school of phenomenological psychology,
to the construction of Gegenstandstheorie, the theory of transcendent existent
and nonexistent intended objects, and to Husserl’s later transcendental
phenomenology. The intentionality of the mental in Brentano’s revival of the
medieval Aristotelian doctrine is one of his most important contributions to
contemporary non-mechanistic theories of mind, meaning, and expression.
Brentano’s immanent intentionality thesis was, however, rejected by
philosophers who otherwise agreed with his underlying claim that thought is
essentially object-directed. Brentano’s value theory Werttheorie offers a
pluralistic account of value, permitting many different kinds of things to be
valuable although, in keeping with his
later reism, he denies the existence of an abstract realm of values. Intrinsic
value is objective rather than subjective, in the sense that he believes the
pro- and anti-emotions we may have toward an act or situation are objectively
correct if they present themselves to emotional preference with the same
apodicity or unquestionable sense of rightness as other selfevident matters of
non-ethical judgment. Among the controversial consequences of Brentano’s value
theory is the conclusion that there can be no such thing as absolute evil. The
implication follows from Brentano’s observation, first, that evil requires evil
consciousness, and that consciousness of any kind, even the worst imaginable
malice or malevolent ill will, is considered merely as consciousness
intrinsically good. This means that necessarily there is always a mixture of
intrinsic good even in the most malicious possible states of mind, by virtue
alone of being consciously experienced, so that pure evil never obtains.
Brentano’s value theory admits of no defense against those who happen not to
share the same “correct” emotional attitudes toward the situations he describes.
If it is objected that to another person’s emotional preferences only good
consciousness is intrinsically good, while infinitely bad consciousness despite
being a state of consciousness appears instead to contain no intrinsic good and
is absolutely evil, there is no recourse within Brentano’s ethics except to
acknowledge that this contrary emotive attitude toward infinitely bad
consciousness may also be correct, even though it contradicts his evaluations.
Brentano’s empirical psychology and articulation of the intentionality thesis,
his moral philosophy and value theory, his investigations of Aristotle’s
metaphysics at a time when Aristotelian realism was little appreciated in the
prevailing climate of post-Kantian idealism, his epistemic theory of evident
judgment, his suggestions for the reform of syllogistic logic, his treatment of
the principle of sufficient reason and existence of God, his interpretation of
a fourstage cycle of successive trends in the history of philosophy, together
with his teaching and personal moral example, continue to inspire a variety of
divergent philosophical traditions.
broad: cited by H. P.
Grice in “Personal identity” and “Prolegomena” (re: Benjamin on Broad on
remembering). Charlie Dunbar 71, English epistemologist, metaphysician, moral
philosopher, and philosopher of science. He was educated at Trinity ,
Cambridge, taught at several universities in Scotland, and then returned to
Trinity, first as lecturer in moral science and eventually as Knightbridge
Professor of Moral Philosophy. His philosophical views are in the broadly
realist tradition of Moore and Russell, though with substantial influence also
from his teachers at Cambridge, McTaggart and W. E. Johnson. Broad wrote
voluminously and incisively on an extremely wide range of philosophical topics,
including most prominently the nature of perception, a priori knowledge and
concepts, the problem of induction, the mind Brentano’s thesis Broad, Charlie
Dunbar 101 101 body problem, the free
will problem, various topics in moral philosophy, the nature and philosophical
significance of psychical research, the nature of philosophy itself, and
various historical figures such as Leibniz, Kant, and McTaggart. Broad’s work
in the philosophy of perception centers on the nature of sense-data or sensa,
as he calls them and their relation to physical objects. He defends a rather
cautious, tentative version of the causal theory of perception. With regard to
a priori knowledge, Broad rejects the empiricist view that all such knowledge
is of analytic propositions, claiming instead that reason can intuit necessary
and universal connections between properties or characteristics; his view of
concept acquisition is that while most concepts are abstracted from experience,
some are a priori, though not necessarily innate. Broad holds that the
rationality of inductive inference depends on a further general premise about
the world, a more complicated version of the thesis that nature is uniform,
which is difficult to state precisely and even more difficult to justify.
Broad’s view of the mindbody problem is a version of dualism, though one that
places primary emphasis on individual mental events, is much more uncertain
about the existence and nature of the mind as a substance, and is quite
sympathetic to epiphenomenalism. His main contribution to the free will problem
consists in an elaborate analysis of the libertarian conception of freedom,
which he holds to be both impossible to realize and at the same time quite
possibly an essential precondition of the ordinary conception of obligation.
Broad’s work in ethics is diverse and difficult to summarize, but much of it
centers on the issue of whether ethical judgments are genuinely cognitive in
character. Broad was one of the few philosophers to take psychical research
seriously. He served as president of the Society for Psychical Research and was
an occasional observer of experiments in this area. His philosophical writings
on this subject, while not uncritical, are in the main sympathetic and are
largely concerned to defend concepts like precognition against charges of
incoherence and also to draw out their implications for more familiar
philosophical issues. As regards the nature of philosophy, Broad distinguishes
between “critical” and “speculative” philosophy. Critical philosophy is
analysis of the basic concepts of ordinary life and of science, roughly in the
tradition of Moore and Russell. A very high proportion of Broad’s own work
consists of such analyses, often amazingly detailed and meticulous in
character. But he is also sympathetic to the speculative attempt to arrive at
an overall conception of the nature of the universe and the position of human
beings therein, while at the same time expressing doubts that anything even
remotely approaching demonstration is possible in such endeavors. The foregoing
catalog of views reveals something of the range of Broad’s philosophical
thought, but it fails to bring out what is most strikingly valuable about it.
Broad’s positions on various issues do not form anything like a system he
himself is reported to have said that there is nothing that answers to the
description “Broad’s philosophy”. While his views are invariably subtle,
thoughtful, and critically penetrating, they rarely have the sort of one-sided
novelty that has come to be so highly valued in philosophy. What they do have
is exceptional clarity, dialectical insight, and even-handedness. Broad’s skill
at uncovering and displaying the precise shape of a philosophical issue,
clarifying the relevant arguments and objections, and cataloging in detail the
merits and demerits of the opposing positions has rarely been equaled. One who
seeks a clear-cut resolution of an issue is likely to be impatient and
disappointed with Broad’s careful, measured discussions, in which unusual
effort is made to accord all positions and arguments their due. But one who
seeks a comprehensive and balanced understanding of the issue in question is
unlikely to find a more trustworthy guide.
BRECCIA -- Pier Augusto Breccia Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Pier
Augusto Breccia nel suo studio a Roma nel 2014 Pier Augusto Breccia (Trento, 12
aprile 1943 – Roma, 20 novembre 2017) è stato un pittore, filosofo e saggista
italiano. La pittura di Breccia esplora l’essere umano con un approccio
ermeneutico (nel senso della filosofia ermeneutica moderna di Jaspers,
Heidegger, Gadamer) e si apre su un vasto orizzonte di temi filosofici. L’opera
di Breccia include oli su tela, matite e pasteli su carta, 7 libri e numerosi
saggi critici. Breccia ha esposto in personali in Europa e USA.
Indice 1 Adolescenza
e primi studi 2 Professione
medica 3 Il
punto di svolta: dal bisturi alla matita 4 Ragione
e immaginazione: “lo spazio pensante” 5 Forme,
colori e luce: dis-oggettivazione 6 Pittura
ermeneutica 7 Note
8 Bibliografia
9 Altri
progetti 10 Collegamenti
esterni Adolescenza e primi studi La famiglia paterna è originaria di Porano,
un piccolo paese dell’Umbria, dove sua madre, Elsa Faini (di Trento), si era
trasferita nel dopoguerra. I genitori di Pier Augusto lavoravano entrambi nel
settore ospedaliero: infermiera la madre e chirurgo il padre Angelo. Quando
Pier Augusto ha cinque anni, la famiglia si trasferisce a Roma, dove Breccia
trascorrerà la maggior parte della sua vita.[1] Il giovane Pier Augusto si
iscrive al “Liceo classico statale Giulio Cesare” di Roma, dove matura un
profondo interesse per gli studi umanistici che lo accompagnerà per il resto
della vita. A 14 anni, scopre la Divina Commedia che studia di sua iniziativa
affascinato dalle allegorie dantesche. Subito dopo, attratto dalla filosofia e
dalla mitologia greca, traduce per l’editore Signorelli l’“Antigone” di Sofocle
e il “Prometeo legato” di Eschilo. Ancora nella fase adolescenziale traduce i
“Dialoghi” di Platone[2]. Completati gli studi liceali, nel 1961 si
iscrive alla facoltà di medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e
nel luglio del 1967 riceve, con il massimo dei voti, la laurea in
medicina[3][4]. Professione medica Dopo la laurea consegue una
specializzandosi in urologia, in chirurgia generale e successivamente in
chirurgia cardiovascolare mentre comincia a far pratica al Policlinico Agostino
Gemelli di Roma[4]. Nel 1969, sposa Maria Antonietta Vinciguerra, nel ’70 nasce
il primo figlio, Claudio e nel '71 la figlia Adriana. Nei primi anni 1970, si
trasferisce a Stoccolma, dove lavora al centro di chirurgia toracica e
cardiovascolarere dell'Istituto Karolinska sotto la supervisione di Viking
Björk (inventore della valvola cardiaca Bjork–Shiley). Tornato all’università
Cattolica di Roma e al connesso ospedale Gemelli, nel 1979 diviene professore
associato. Nel corso degli anni 1970, pratica più di mille interventi a cuore
aperto e pubblica circa cinquanta articoli in riviste mediche.[5] Il
punto di svolta: dal bisturi alla matita È l’estate del 1977 quando Breccia
scopre un inaspettato talento per il disegno, che nei due anni successivi
diverrà il suo hobby[6]. Soltanto nel 1979, dopo la morte di suo padre e a seguito
di una profonda crisi esistenziale[6], il talento disegnativo trova la sua
espressione creativa[1]. La produzione artistica dei primi due anni e il
pensiero filosofico da questa ispirato confluiscno nel libro
"Oltreomega".[7] Nell’agosto del 1983, durante un periodo di
produzione artistica e di mostre in Italia e all’estero (‘'Monologo corale’',
‘'Le forme concrete dell in-esistente’', ‘'La semantica del silenzio’') prende
un'aspettativa dalla professione medica.[5] Nel biennio seguente, lo stile artistico,
da lui definito "ideomorfico", si delinea con maggior chiarezza[8],
così come il pensiero filosofico, che nell’84 presenta nel libro “L’Eterno
Mortale”. Nel 1985 dà le dimissioni dalla professione di chirurgo e nello
stesso anno porta le sue opere a New York, presentandole in due mostre
consecutive, alla Gucci Gallery e all’Arras Gallery. La strada dell’arte[9], si
delinea rapidamente e, appena date le dimissioni, si trasferisce a New York
dove trascorre la maggior parte del tempo tra il 1985 e il 1996. Durante questo
periodo, espone in diverse città degli Stati Uniti[10] (New York, Columbus,
Santa Fe, Miami e Houston). Sin dall’inizio è estremamente prolifico e
l'opera dei primi dieci anni viene raccolta nel libro “Animus-Anima”,[9] che
comprende 500 immagini di sue opere.[11] Nel 1996, torna stabilmente a Roma ed
espone in diverse città italiane ed europee. Nel ‘96, pubblica "L’altro
Libro", contenente opera del periodo 1991-1999[12] e nel 1999, scrive “Il
linguaggio sospeso dell’auto-coscienza”. Nel 2002 Breccia presenta novanta
opera in un’imponente personale al museo Vittoriano e nel 2004 pubblica
“Introduzione alla pittura ermeneutica”, il suo manifesto artistico, al quale
collabora il filosofo Elio Matassi. Negli anni seguenti, malgrado le condizioni
di salute, è impegnato in numerose mostre in musei italiani ed europei.
Il 17 Novembre 2017, due settimane dopo la chiusura della sua mostra di Trento,
ha un infarto nel suo studio di Roma, viene portato al Policlinico Gemelli, e
lunedì 20 novembre 2017 muore all’età di settantaquattro anni. Ragione e
immaginazione: “lo spazio pensante” Lo spazio è l’elemento più distintivo delle
opere di Breccia, che egli stesso definisce “denominatore comune della pittura
ermeneutica[...] principio stesso delle nostre facoltà intellettive”[13].
Tuttavia, se nello spazio paradossale di Breccia la ragione si sospende e
precipita di continuo, il senso di armonia ed equilibrio,[10] che caratterizza
tutta la sua opera permette all’immaginazione di entrare nello spazio senza
alcun tormento. Forme, colori e luce: dis-oggettivazione Un'altra
caratteristica delle tele di Breccia è la presenza di “oggetti”, in un
equilibrio generato tuttavia da forme e colori piuttosto che da una oggettiva
metrica di spazio.[14] Allo stesso tempo, tali “oggetti”, ridotti a
forme/colori essenziali o addirittura trasformati in spazio stesso o “altro da
sé”, sono privi di una vera oggettività e di conseguenza sono aperti ad essere
letti come linguaggi, segni o, più propriamente nel senso della filosofia
ermeneutica di Karl Jaspers, come “cifre”, cioè “segni” non ancora
interpretati.[15] L’uso della luce e del chiaroscuro è parallelo a quello
dello spazio e della prospettiva nella molteplicità di paradossi.
L’assenza di una fonte di luce all’interno dello spazio pittorico contribuisce
a rimuovere contenuti emozionali. In ultimo, il rapporto
luce-spazio-forma crea l'ennesimo paradosso di Breccia. Se la luce è spesso
associata a ciò che è comprensibile razionalmente (e.g. “luce della ragione”),
nelle opere di Breccia tutto appare al contempo luminoso e
misterioso.[16] Pittura ermeneutica Breccia ha usato il termine “pittura
ermeneutica” per descrivere la sua posizione come artista[17] nel suo Manifesto
“Introduzione alla pittura ermeneutica” (2004). Il presupposto di
significabilità della cifra pittorica ermeneutica è la libertà da canoni,
convenzioni, dogmi di spazio e tempo, del qui e dell’ora, che permette una
verifica della significabilità dal di dentro. In tal senso, l’arte può essere un’esperienza
di conoscenza[18], in quanto “apertura” da “un lato sull’infinita alterità
dell’essere o di Dio, e dall’altro sulla personale coscienza dell’ ‘Io’
.”(Introduzione alla pittura ermeneutica, 2004). Note Moschini e
Zitko 2018, p.37. ^ Zitko 2010, p.11. ^ Zitko 2010, p.15. Comunicare, n.
82, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2017. Unomattina, RAI, Gennaio
2000. Unomattina, Gennaio 2004. ^ Zitko 2010, p. 12. ^ Moschini e Zitko
2018, p.38. Steiner 1997. Steiner 1991. ^ Moschini e Zitko 2018,
p.39. ^ Moschini e Zitko 2018, p.40. ^ P.A. BRECCIA, Introduzione alla Pittura
Ermeneutica, 2004, p.45-46 ^ Vivaldi 1988. ^ Moschini Zitko, 2018, p. 40. ^
Steiner 1988. ^ Moschini e Zitko 2018, pp.38-43. ^ Moschini e Zitko 2018,
pp.40-42. Bibliografia Moschini, M. e Zitko, P. (2018), "The educational
path of Ideomorphism. From theory of knowledge to philosophy", Journal of
Philosophy and Culture supplement, XVI-1, laNOTTOLAdiMINERVA Zitko, P. (2010),
"Il linguaggio della pittura ermeneutica e la Chiffer di Karl
Jaspers", Dipartimento di Letteratura e Filosofia, Universita' di Pisa
Steiner, R. (1988) "Profile: Pier Augusto Breccia", ART TIMES
Steiner, R. (1991) "Critique: Pier Augusto Breccia at Arras Gallery,
NYC", ART TIMES Steiner, R. (1997) "Pier Augusto Breccia: Another
Look, NYC", ART TIMES Matassi, E. (2008) "Sur la peinture
Hernéutique: Pier Augusto Breccia, “le messager d’alterité”.In: Du Nihilism à
l’hermenéutique Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons
contiene immagini o altri file su Pier Augusto Breccia Collegamenti esterni
Sito ufficiale, su pieraugustobreccia.com. Modifica su Wikidata libri gratis su
itunes The educational path of Ideomorphism La pittura ermeneutica, su
didatticaermeneutica.it. URL consultato il 1º maggio 2019 (archiviato dall'url
originale il 26 dicembre 2017). Pier Augusto Breccia: biografia, su direnzo.it.
Controllo di autorità VIAF
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Wikipedia che trattano di biografie Categorie: Pittori italiani del XX
secoloFilosofi italiani del XX secoloSaggisti italiani del XX secoloNati nel 1943Morti
nel 2017Nati il 12 aprileMorti il 20 novembreNati a TrentoMorti a Roma[altre]
BRESSANI -- Gregorio
Bressani Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Discorsi sopra le obbiezioni
fatte dal Galileo alla dottrina di Aristotile, 1760 Gregorio Bressani (Treviso,
3 febbraio 1703 – 12 gennaio 1771) è stato un filosofo italiano. Biografia Si laureò all'università di Padova
nel 1726 interessandosi a letteratura e filosofia. Fu aiutato da Francesco
Algarotti, cui aveva inviato delle proprie opere. Sostenne uno scolasticismo classico in
opposizione alla scienza moderna di Galileo e Newton. Opere Gregorio Bressani, Modo del filosofare
introdotto dal Galilei, ragguagliato al saggio di Platone e di Aristotile, In
Padova, nella Stamperia del Seminario, 1753. URL consultato il 2 luglio 2015.a
Gregorio Bressani, Discorsi sopra le obbiezioni fatte dal Galileo alla dottrina
di Aristotile, In Padova, Angelo Comino, 1760. URL consultato il 2 luglio 2015.
Collegamenti esterni Gregorio Bressani, in Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata
Controllo di autorità VIAF
(EN) 76688195 · ISNI (EN) 0000 0000 5019 5388 · LCCN (EN) nr98042042 · GND (DE)
1089393768 · CERL cnp00965452 · WorldCat Identities (EN) lccn-nr98042042
Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi
italiani del XVIII secoloNati nel 1703Morti nel 1771Nati il 3 febbraioMorti il
12 gennaioNati a Treviso[altre]
BRUNI -- Leonardo
Bruni Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Leonardo Bruni The historian Leonardo Bruni.jpg Cancelliere di Firenze Durata
mandato1410 – 1411 PredecessoreColuccio Salutati Durata mandato1427 – 9 marzo
1444 MonarcaCosimo de' Medici SuccessoreCarlo Marsuppini Dati generali
Professionescrittore Leonardo Bruni, detto Leonardo Aretino (Arezzo, 1º
febbraio 1370 – Firenze, 9 marzo 1444), è stato un politico, scrittore e
umanista italiano di Toscana, attivo soprattutto a Firenze, della cui Repubblica
ricoprì la più alta carica di governo di Cancelliere nella prima metà del
Quattrocento. Indice 1Biografia 2Opere
3Note 4Bibliografia 5Voci correlate 6Altri progetti 7Collegamenti esterni
Biografia Noto anche come Leonardo Aretino, uomo di grande personalità, arguto
e forbito parlatore dotato di grande eloquenza, si inserì nella disputa sulla
questione della lingua, discussione apertasi con l'avvento della lingua volgare
all'interno della lingua in uso - specie in chiave letteraria a quell'epoca.
Conobbe Francesco Filelfo ed ebbe come maestro Giovanni Malpaghini. Leon Battista Alberti Nei suoi studi
riscontrò fenomeni di corruzione della lingua latina dall'interno, rilevando ad
esempio in Plauto le forme di assimilazione linguistica isse per ipse, oppure
colonna per columna; teorizzò quindi che il latino si fosse evoluto dal proprio
interno, sostenendo l'esistenza di una diglossia: oltre al latino classico,
aulico, sarebbe esistito un livello inferiore, meno corretto, usato
informalmente nei contesti quotidiani, da cui provengono le lingue romanze.
Oppositore di questa teoria fu Flavio Biondo, il quale sosteneva invece che la
causa della decadenza del latino fosse stata l'aggressione esterna dei popoli
germanici. Gli studi moderni di linguistica hanno mostrato che le due teorie
non sono effettivamente incompatibili e che il latino si è evoluto per ragioni
sia interne sia esterne. Nella prima
metà del XV secolo si avevano pareri opposti in merito alla dignità del volgare;
intellettuali come Coluccio Salutati e Lorenzo Valla disprezzavano il volgare
perché non dotato di norme grammaticali; Leon Battista Alberti e Nicola Cusano,
al contrario, si adoperarono molto per far riconoscere il volgare come lingua
ricca di dignità nel panorama letterario. Leonardo Bruni concepì il dialogo Ad
Petrum Paulum Histrum, nel quale dava la parola a due esponenti dell'umanesimo
del periodo: Coluccio Salutati, appunto, e Niccolò Niccoli. Nella finzione
letteraria, il primo asseriva che il volgare sarebbe stato degno solo se regolamentato
da assiomi linguistici precisi, e si dispiaceva del fatto che Dante non avesse
scritto la sua Commedia nel ben più nobile latino; il secondo proponeva una
visione ancora più radicale, arrivando a giudicare tre fra i principali
letterati italiani - Alighieri, Petrarca e Boccaccio - poco più che degli
ignoranti. L'autore difendeva questi ultimi, riconoscendo la grandezza delle
loro opere, invece di giudicarli in base alla lingua che usarono. È celebre una sua epistola in cui delinea
princìpi fondamentali dell'umanesimo.[1]
È sepolto nella basilica fiorentina di Santa Croce in un monumento opera
di Bernardo Rossellino.[2] Opere Sopra, De primo bello punico (1471). Sotto,
Historia florentini populi. Leonardo Bruni, Vita Ciceronis o Cicero novus, 1415
Aristotele, Ethica nicomachaea (traduzione dal greco), 1416-17 Leonardo Bruni,
Oratio in hypocritas, 1417 Leonardo Bruni, De primo bello punico (in
fiorentino) Pseudo-Aristotele, Libri oeconomici (traduzione dal greco), 1420-21
Leonardo Bruni, Commentarius de bello punico, 1421 (adattamento di Polibio)
(versione digitalizzata) Leonardo Bruni, De militia, 1421 Leonardo Bruni,
Commentarius rerum graecarum, data incerta Leonardo Bruni, De interpretatione
recta, 1420 circa. Aristotele, Politica (traduzione dal greco) Leonardo Bruni,
Commentarius rerum suo tempore gestarum, data incerta (prima edizione a stampa:
1475) Leonardo Bruni,De bello italico adversus Gothos, 1442 Leonardo Bruni,
Historiae Florentini populi , 1415-1444 circa - prima edizione a stampa: 1610
(versione digitalizzata). L'opera fu tradotta in fiorentino ad opera di Donato
Acciaiuoli ed uscì a stampa già nel 1473 a Venezia. Note ^ Vedi alla voce
"letteratura umanistica" in umanesimo ^ Fonte: Dizionario Biografico
degli Italiani, riferimenti in Bibliografia. Bibliografia Carlo Dionisotti,
«Bruni, Leonardo», in Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1970. Cesare Vasoli, «BRUNI, Leonardo, detto Leonardo Aretino», in
Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 14, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1972. James Hankins (a cura di), Repertorium
Brunianum, 1997. Gary Ianziti, Writing History in Renaissance Italy: Leonardo
Bruni and the Uses of the Past, 0674061527, 9780674061521, Harvard University
Press, 2012. Voci correlate Lingua volgare Questione della lingua Monumento
funebre di Leonardo Bruni di Bernardo Rossellino, basilica di Santa Croce,
Firenze (1450) Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una
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esterni Leonardo Bruni, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Leonardo Bruni, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su
Wikidata Leonardo Bruni, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 2010. Modifica su Wikidata (EN) Leonardo Bruni, su Enciclopedia
Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Leonardo Bruni,
in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata (DE) Leonardo Bruni, su ALCUIN, Università di Ratisbona.
Modifica su Wikidata Opere di Leonardo Bruni, su Liber Liber. Modifica su
Wikidata Opere di Leonardo Bruni / Leonardo Bruni (altra versione) / Leonardo
Bruni (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su
Wikidata (EN) Opere di Leonardo Bruni, su Open Library, Internet Archive.
Modifica su Wikidata (EN) Audiolibri di Leonardo Bruni, su LibriVox. Modifica
su Wikidata (FR) Bibliografia su Leonardo Bruni, su Les Archives de littérature
du Moyen Âge. Modifica su Wikidata (EN) Leonardo Bruni, in Catholic
Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata James Hankins,
Coluccio Salutati e Leonardo Bruni, su Treccani. Approfondimento (.pdf) (PDF),
su classicitaliani.it. Novella di Leonardo Bruni, su google.com. Istoria
fiorentina, su google.com. Vita di Cicerone, su google.com. Epistole (in
latino), su google.com. V · D · M Dante Alighieri Controllo di autoritàVIAF
(EN) 95283478 · ISNI (EN) 0000 0001 2144 2279 · SBN IT\ICCU\BVEV\018004 · LCCN
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XX1179189 (data) · ULAN (EN) 500315043 · NLA (EN) 35069563 · BAV (EN) 495/19688
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Biografie Filosofia Portale Filosofia Letteratura Portale Letteratura
Categorie: Politici italiani del XV secoloScrittori italiani del XV
secoloUmanisti italianiNati nel 1370Morti nel 1444Nati il 1º febbraioMorti il 9
marzoNati ad ArezzoMorti a FirenzeSepolti nella basilica di Santa CroceDantisti
italiani[altre]
bruno: g., apeculative
philosopher. He was born in Naples, where he entered the Dominican order in
1565. In 1576 he was suspected of heresy and abandoned his order. He studied
and taught in Geneva, but left because of difficulties with the Calvinists.
Thereafter he studied and taught in Toulouse, Paris, England, various G.
universities, and Prague. In 1591 he rashly returned to Venice, and was
arrested by the Venetian Inquisition in 1592. In 1593 he was handed over to the
Roman Inquisition, which burned him to death as a heretic. Because of his
unhappy end, his support for the Copernican heliocentric hypothesis, and his
pronounced anti-Aristotelianism, Bruno has been mistakenly seen as the
proponent of a scientific worldview against medieval obscurantism. In fact, he
should be interpreted in the context of Renaissance hermetism. Indeed, Bruno
was so impressed by the hermetic corpus, a body of writings attributed to the
mythical Egyptian sage Hermes Trismegistus, that he called for a return to the
magical religion of the Egyptians. He was also strongly influenced by Lull,
Nicholas of Cusa, Ficino, and Agrippa von Nettesheim, an early
sixteenth-century author of an influential treatise on magic. Several of
Bruno’s works were devoted to magic, and it plays an important role in his
books on the art of memory. Techniques for improving the memory had long been a
subject of discussion, but he linked them with the notion that one could so
imprint images of the universe on the mind as to achieve special knowledge of
divine realities and the magic powers associated with such knowledge. He
emphasized the importance of the imagination as a cognitive power, since it
brings us into contact with the divine. Nonetheless, he also held that human
ideas are mere shadows of divine ideas, and that God is transcendent and hence
incomprehensible. Bruno’s best-known works are the dialogues he wrote while in England,
including the following, all published in 1584: The Ash Wednesday Supper; On
Cause, Principle and Unity; The Expulsion of the Triumphant Beast; and On the
Infinite Universe and Worlds. He presents a vision of the universe as a living
and infinitely extended unity containing innumerable worlds, each of which is
like a great animal with a life of its own. He maintained the unity of matter
with universal form or the World-Soul, thus suggesting a kind of pantheism
attractive to later G. idealists, such as Schelling. However, he never identified
the World-Soul with God, who remained separate from matter and form. He
combined his speculative philosophy of nature with the recommendation of a new
naturalistic ethics. Bruno’s support of Copernicus in The Ash Wednesday Supper
was related to his belief that a living earth must move, and he specifically
rejected any appeal to mere mathematics to prove cosmological hypotheses. In
later work he described the monad as a living version of the Democritean atom.
Despite some obvious parallels with both Spinoza and Leibniz, he seems not to
have had much direct influence on seventeenth-century thinkers. Refs.: Luigi
Speranza, Bruniana.
bundle: theory: Is Grice
proposing a ‘bundle theory’ of “Personal identity”: He defines “I” as an
interlinked chain of mnemonic states, a view that accepts the idea that
concrete objects consist of properties but denies the need for introducing
substrata to account for their diversity. By contrast, one traditional view of
concrete particular objects is that they are complexes consisting of two more
fundamental kinds of entities: properties that can be exemplified by many
different objects and a substratum that exemplifies those properties belonging
to a particular object. Properties account for the qualitative identity of such
objects while substrata account for their numerical diversity. The bundle
theory is usually glossed as the view that a concrete object is nothing but a
bundle of properties. This gloss, however, is inadequate. For if a “bundle” of
properties is, e.g., a set of properties, then bundles of properties differ in
significant ways from concrete objects. For sets of properties are necessary
and eternal while concrete objects are contingent and perishing. A more
adequate statement of the theory holds that a concrete object is a complex of
properties which all stand in a fundamental contingent relation, call it
co-instantiation, to one another. On this account, complexes of properties are
neither necessary nor eternal. Critics of the theory, however, maintain that
such complexes have all their properties essentially and cannot change
properties, whereas concrete objects have some of their properties accidentally
and undergo change. This objection fails to recognize that there are two
distinct problems addressed by the bundle theory: a individuation and b
identity through time. The first problem arises for all objects, both momentary
and enduring. The second, however, arises only for enduring objects. The bundle
theory typically offers two different solutions to these problems. An enduring
concrete object is analyzed as a series of momentary objects which stand in
some contingent relation R. Different versions of the theory offer differing
accounts of the relation. For example, Hume holds that the self is a series of co-instantiated
impressions and ideas, whose members are related to one another by causation
and resemblance this is his bundle theory of the self. A momentary object,
however, is analyzed as a complex of properties all of which stand in the
relation of co-instantiation to one another. Consequently, even if one grants
that a momentary complex of properties has all of its members essentially, it
does not follow that an enduring object, which contains the complex as a
temporal part, has those properties essentially unless one endorses the
controversial thesis that an enduring object has its temporal parts
essentially. Similarly, even if one grants that a momentary complex of
properties cannot change in its properties, it does not follow that an enduring
object, which consists of such complexes, cannot change its properties. Critics
of the bundle theory argue that its analysis of momentary objects is also
problematic. For it appears possible that two different momentary objects have
all properties in common, yet there cannot be two different complexes with all
properties in common. There are two responses available to a proponent of the
theory. The first is to distinguish between a strong and a weak version of the
theory. On the strong version, the thesis that a momentary object is a complex
of co-instantiated properties is a necessary truth, while on the weak version
it is a contingent truth. The possibility of two momentary objects with all
properties in common impugns only the strong version of the theory. The second
is to challenge the basis of the claim that it is possible for two momentary
objects to have all their properties in common. Although critics allege that
such a state of affairs is conceivable, proponents argue that investigation
into the nature of conceivability does not underwrite this claim.
Bradwardine, fellow of Merton.
buonafede: essential Italian philosopher. Appiano
Buonafede, nome religioso di Tito Benvenuto Buonafede (Comacchio, 4 gennaio
1716 – Roma, 17 dicembre 1793), è stato un religioso e letterato italiano,
procuratore e prefetto generale della Congregazione dei celestini.
Indice 1Biografia 2La polemica con il Baretti 3Il giudizio della critica
4Opere 5Note 6Bibliografia 7Voci correlate 8Altri progetti 9Collegamenti esterni
Biografia Abbazia di Santo Spirito al Morrone, sede del prefetto generale
dei Celestini e dimora temporanea di Buonafede Nato nel 1716 in una famiglia
patrizia, dopo aver frequentato le prime scuole nella natia Comacchio, rimasto
orfano del padre, per poter proseguire gli studi entrò nel 1734 nella
Congregazione dei celestini[1], mutando il nome secolare di Tito Benvenuto in
quello religioso di Appiano[2]. Dopo aver frequentato il corso di filosofia a
Bologna, dal 1737 seguì quello successivo di teologia a Roma[1]. Conclusi i tre
di anni di studio romani, fu trasferito a Napoli come predicatore e insegnante
di teologia. Nella città partenopea pubblicò nel 1745 Ritratti poetici,
storici e critici, opera accolta favorevolmente negli ambienti culturali napoletani
frequentati da Buonafede, nella quale convivono giudizi critici su alcuni
importanti esponenti del pensiero moderno (quali Machiavelli e Spinoza), con
parziali accoglimenti di altri (Cartesio e Locke), in uno stile composito tra
il barocco e l'arcadico[1]. Nel 1749 fu nominato abate di un monastero
pugliese, per passare poi in uno di Bergamo e in una badia di Rimini. Nel 1754
Buonafede entrò nell'Accademia dell'Arcadia, assumendo il nome di Agatopisto
Cromaziano[1] con il quale diede alle stampe numerosi lavori. Nel 1771, anche
grazie alla benevolenza con cui le gerarchie della Chiesa avevano accolto i
suoi scritti, fu nominato procuratore generale della Congregazione e trasferito
a Roma. Sei anni dopo, divenne prefetto generale e, per ragioni del suo ufficio,
fu obbligato a risiedere nell'abbazia di Santo Spirito al Morrone, nei pressi
di Sulmona[1]. Buonafede, che a Roma aveva goduto della benevolenza di Clemente
XIV e quella dei salotti letterari e arcadici, non si trovò a suo agio
nell'isolamento della nuova residenza[1]. Trascorsi i tre anni dell'incarico di
prefetto, nel 1780 assunse nuovamente l'ufficio di procuratore generale che,
dimessosi, lasciò nel 1782[1]. Nel 1785 papa Pio VI lo nominò abate
perpetuo di Sant'Eusebio, incarico che, senza richiedere eccessive cure,
assicurò al Buonafede quei benefici economici che gli consentirono di attendere
tranquillamente ai suoi lavori letterari e filosofici e di completare l'opera,
dedicata allo stesso pontefice, Della restaurazione di ogni filosofia, particolarmente
critica verso il pensiero moderno che aveva voluto rendersi indipendente
dall'insegnamento della Chiesa cattolica[1]. Morì a Roma, ormai
infermo[3], a settantasette anni, nel 1793. La polemica con il
Baretti Il critico letterario Giuseppe Baretti: ebbe una violenta
polemica con Buonafede Nel 1754 Buonafede pubblicò il Saggio di commedie
filosofiche, contenente un testo in endecasillabi I filosofi fanciulli che, in
uno stile comico, criticava celebri filosofi dell'antichità riportando, fuori dal
contesto, citazioni dei loro scritti. Venivano beffeggiati, tra gli altri,
Socrate, Democrito e Anassagora. L'opera trovò qualche apprezzamento[1]. Dieci
anni più tardi, nel 1764, Giuseppe Baretti, scrittore e critico letterario
torinese, in un numero del suo periodico la Frusta letteraria nel quale era
solito firmarsi con lo pseudonimo di Aristarco Scannabue, espresse giudizi
negativi sul Saggio del Buonafede trovandolo irrilevante e privo di comicità.
L'abate, punto sul vivo, replicò immediatamente con il libello, dai toni assai
aspri, Il bue pedagogo (1764)[1]. Gli rispose ancora Baretti con una nutrita
serie di articoli, Discorsi fatti dall'autore della Frusta letteraria al
reverendissimo padre don Luciano Firenzuola da Comacchio autore del Bue pedagogo,
pubblicati su diversi numeri della Frusta[1]. La polemica, una delle più aspre
e celebri delle cronache letterarie italiane del Settecento, proseguì ancora:
Buonafede fece pressioni verso i responsabili della Repubblica di Venezia
affinché eliminassero gli articoli apparsi sulla Frusta e perché Baretti fosse
poi espulso dallo Stato Pontificio quando si trasferì ad Ancona. Il critico
torinese non fu lasciato tranquillo neppure quando fuggì in Inghilterra:
l'irriducibile Buonafede lo accusò allora di simpatie verso il
protestantesimo[1]. Il giudizio della critica Il giudizio di Benedetto
Croce fu piuttosto negativo, scrisse che le opere del Buonafede erano il
risultato di «un ingegno da predicatore e da predicatore mestierante, che ha un
impegno da assolvere, un sentimento da inculcare, un nemico da abbattere» senza
che possano distrarlo dal suo fine «né la ricerca della verità delle cose né
l'ammirazione di quel che è bello»[1]. Più positivo il giudizio di Giulio
Natali, storico della letteratura e professore di letteratura italiana
all'Università di Catania[4]: nella voce redatta per l'Enciclopedia Italiana,
giudicò il Buonafede: «uomo d'ingegno acutissimo [...] scrittore non volgare,
spesso arguto e vivace» e «dotato di dottrina assai superiore a quella del
Baretti»[5]. Opere Delle conquiste celebri, 1763 (Milano,
Fondazione Mansutti) Ritratti poetici, storici e critici di varj uomini di
lettere di Appio Anneo de Faba Cromaziano[6], Napoli, Stamperia di Giovanni di
Simone, 1745. Saggio di commedie filosofiche con ampie annotazioni di A.
Agatopisto Cromaziano, Faenza, pel Benedetti impressor vescovile, e delle
insigni Accademie degl'illustrissimi sigg. Remoti e Filoponi, 1754. Sermone
apologetico di T.B.B.[7] per la gioventù italiana contro le accuse contenute in
un libro intitolato Della necessità e verità della religione naturale, e
rivelata, Lucca, per Filippo Maria Benedini, 1756. Della malignità istorica
discorsi tre di A. B. contro Pier Francesco Le Courayer nuovo interprete della
Istoria del Concilio di Trento di Pietro Soave, Bologna, per Lelio dalla Volpe
impr. dell'Instituto delle Scienze,1757. Dell'apparizione di alcune ombre
novella letteraria di T.B.B., Lucca, appresso Jacopo Giusti nuovo stampatore
alla Colonna del Palio, 1758. Istoria critica e filosofica del suicidio
ragionato di Agatopisto Cromaziano, Lucca, Stamperia di Vincenzo Giuntini, a
spese di Giovanni Riccomini, 1761. Il testo, edizione 1788, consultabile in
Google libri. Delle conquiste celebri esaminate col naturale diritto delle genti
libri due di Agatopisto Cromaziano ..., Lucca, per Giovanni Riccomini, 1763. Il
bue pedagogo novelle menippee di Luciano da Fiorenzuola contro una certa Frusta
pseudoepigrafa di Aristarco Scannabue, Lucca, 1764. Versi liberi di Agatopisto
Cromaziano messi in luce da Timoleonte Corintio con una epistola della libertà
poetica ..., Cesena , Società di Pallade per Gregorio Biasini al Palazzo
Dandini, 1766. Della istoria e della indole di ogni filosofia di Agatopisto
Cromaziano, 7 voll., Lucca, per Giovanni Riccomini, 1766-1781. Il genio
borbonico, versi epici di Agatopisto Cromaziano nelle nozze auguste delle
altezze reali di Ferdinando di Borbone, infante di Spagna ... e di Maria
Amalia, arciduchessa infanta, Parma, per Filippo Carmignani, stampatore per privilegio
di sua altezza reale, 1769. Della restaurazione di ogni filosofia ne' secoli
XVI, XVII e XVIII di Agatopisto Cromaziano, 3 voll., Venezia, Stamperia
Graziosi, 1785-1789. Il testo dell'ultimo volume consultabile in Google libri,
nella edizione in quattro volumi pubblicata a Milano dalla Società Tipografica
de classici italiani, 1837-38. Della letteratura comacchiese lezione parenetica
in difesa della patria di Agatopisto Cromaziano giuniore, Parma, Bodoni, 1786.
Opere di Agatopisto Cromaziano, 16 voll., Napoli, presso Giuseppe Maria
Porcelli, 1787-1789. Epistole tusculane di un solitario ad un uomo di città,
Gerapoli, 1789. Storia critica del moderno diritto di natura e delle genti di
Agatopisto Cromaziano, fa parte della Biblioteca cristiano-filosofica decennio
primo, consacrato alla divinità..., vol. 10, Firenze, nella Stamperia della
Carità, 1799. Note Fonte: G. Salinari, Dizionario Biografico degli
Italiani, riferimenti e link in Bibliografia. ^ Enciclopedie on line, riimenti
e link in Collegamenti esterni. ^ Soffriva di gotta e una caduta in piazza
Navona aggravò le sue condizioni. G. Salinari, op. citata. ^ «Natali, Giulio»
la voce nella Enciclopedia Italiana, III Appendice. ^ Fonte: G. Natali,
Enciclopedia Italiana, riferimenti e link in Collegamenti esterni. ^ Altro
pseudonimo, oltre quello prevalente di Agatopisto Cromaziano, di Buonafede. ^
Iniziali del suo nome secolare Tito Benvenuto Buonafede. Bibliografia
Giambattista Salinari, «BUONAFEDE, Appiano (al secolo, Tito Benvenuto)» in
Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 15, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1972. Gregorio Piaia: "Appiano Buonafede e le
origini della storiografia filosofica cattolica”, "Vestigia
philosophorum”. Il medioevo e la storiografia filosofica, Rimini, Maggioli
Editore, 1983, pp. 214-232. Fondazione Mansutti, Quaderni di sicurtà. Documenti
di storia dell'assicurazione, a cura di M. Bonomelli, schede bibliografiche di
C. Di Battista, note critiche di F. Mansutti. Milano: Electa, 2011, p. 92.
Ilario Tolomio: “Theism and the History of Philosophy: Appiano Buonafede”, en
G. Piaia – G. Santinello (eds.): Models of the History of Philosophy. Vol. III:
The Second Enlightenment and the Kantian Age, Dordrecht, Springer, 2015, pp.
359-379. Voci correlate Antonio Genovesi Congregazione dei celestini Giuseppe
Baretti Frusta letteraria Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource
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Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Giulio Natali,
Appiano Buonafede, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Modifica su Wikidata Giambattista Salinari, Appiano Buonafede, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata Opere di Appiano Buonafede, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Appiano Buonafede, su Open
Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Appiano Buonafede, in G. A.
Barotti e altri, Memorie istoriche di letterati ferraresi, vol. III, Ferrara, 1811,
pp. 197-204. Testo consultabile in Google Libri, su books.google.it. Ritratto
di Appiano Buonafede. Sito "Cultura Italia - un patrimonio da
esplorare", su culturaitalia.it. Controllo di autoritàVIAF (EN) 24656381 ·
ISNI (EN) 0000 0001 2124 5662 · SBN IT\ICCU\TO0V\260943 · LCCN (EN) n85351689 ·
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(EN) lccn-n85351689 Biografie Portale Biografie Letteratura Portale Letteratura
Categorie: Religiosi italianiLetterati italianiNati nel 1716Morti nel 1793Nati
il 4 gennaioMorti il 17 dicembreNati a ComacchioMorti a RomaStoria
dell'assicurazione[altre]. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Buonafede," per
Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia.
BUONAMICI -- Francesco Buonamici (1533-1603) Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Abbozzo Questa voce
sull'argomento filosofi italiani è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla
secondo le convenzioni di Wikipedia. Francesco Buonamici (Firenze, 1533 –
Orticaia, 29 settembre 1603) è stato un medico, filosofo e scrittore italiano
della seconda metà del XVI secolo.
Indice Biografia 2Pubblicazioni 3Note 4Bibliografia 5Altri progetti 6Collegamenti
esterni Biografia Francesco Buonamici ha studiato allo Studio di Firenze, dove
ha seguito i corsi di greco con l'umanista Piero Vettori (si conservano alcune
lettere scambiate tra i due). Medico,
professore di filosofia naturale, grecista e latinista, Francesco Buonamici si
è ispirato molto agli antichi testi che commentava (Aristotele, Averroè,
Nicomaco…). È stato uno dei maestri di
Galileo all'università di Pisa[1][2].
Pubblicazioni De Motu libri X, quibus generalia naturalis philosophiae
principia summo studio collecta continentur, necnon universae quaestiones ad
libros de physico auditu, de caelo, de ortu et interitu pertinentes
explicantur, multa item Aristotelis loca explanantur et Graecorum, Averrois, aliorumque
doctorum sententiae ad theses peripateticas diriguntur… (XIV kal. decemb.
1587.), apud Sermartellium, Firenze, 1591, in-fol. XX-1011 p. e indice;
Discorsi poetici nella accademia fiorentina in difesa d'Aristotile. Appresso
Giorgio Marescotti, Firenze, 1597, in-4, VII-156 p. ; De Alimento libri V, B.
Sermartellium juniorem, 1603, Firenze, in-4 ̊, XXII-759 p. e indice, fig. Note
^ "Helbing 2008". ^ Stuart Shanker, Routledge History of Philosophy,
Volume IV - The Renaissance and seventeenth century rationalism, éd. Routledge,
1993, ISBN 0-415-30876-3 Bibliografia Mario Otto Helbing, Mechanics and Natural
Philosophy Before the Scientific Revolution - Late 16th-Century Pisa: Cesalpino
and Buonamici, Humanist Masters of The Faculty of Arts, in Boston Studies in
the Philosophy of Science, Vol. 254, Springer Netherlands, 2007, ISBN
1-4020-5966-3. Mario Otto Helbing La filosofia di Francesco Buonamici,
professore di Galileo, Pisa 1989 Michele Cameroto, Mario Helbing: Galileo and
Pisan Aristotelianism. Galileo’s De motu antiquiora and the Quaestiones de motu
elementorum of the Pisan Professors, In: Early Science and Medicine 5 (2000)
319–365. Michele Camerota in Dictionary of Scientific Biography Altri progetti
Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Francesco
Buonamici Collegamenti esterni Opere di Francesco Buonamici, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata Controllo di autoritàVIAF (EN)
61662669 · ISNI (EN) 0000 0001 2135 8042 · LCCN (EN) nr2001021468 · GND (DE)
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Filosofia Portale Filosofia Medicina Portale Medicina Categorie: Medici
italianiFilosofi italiani del XVI secoloScrittori italiani del XVI secoloNati
nel 1533Morti nel 1603Morti il 29 settembreNati a FirenzeScrittori in lingua
latinaProfessori dell'Università di Pisa[altre]
BUONARROTI – Grice: “Some call him
Michelangelo, but that’s rude!” -- See
the study of Buonarroti’s Moses by Freud, “filosofia”
Buonsanti -- Nicola Lanzillotti Buonsanti Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Questa voce è orfana
Questa voce sull'argomento medici è orfana, ovvero priva di collegamenti in entrata
da altre voci. Inseriscine almeno uno pertinente e non generico e rimuovi
l'avviso. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Abbozzo Questa voce
sugli argomenti filosofi italiani e veterinari è solo un abbozzo. Contribuisci
a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Nicola Lanzillotti Buonsanti Nicola
Lanzillotti Buonsanti (Ferrandina, 16 ottobre 1846 – Bergamo, 28 aprile 1924) è
stato un veterinario, filosofo e patriota italiano. Biografia Esponente di spicco della storia
della medicina veterinaria italiana ed europea è stato una delle figure più
rappresentative della Scuola veterinaria milanese. Diresse l'Enciclopedia medica italiana edita
da Vallardi e La Clinica veterinaria (di cui fu anche fondatore). Opere Dizionario dei termini antichi e
moderni delle scienze mediche e veterinarie Manuale delle malattie delle
articolazioni Trattato di tecnica e terapeutica chirurgica generale e speciale
La medicina Veterinaria all'Estero, organizzazione dell'insegnamento e del
servizio sanitario Collegamenti esterni Giuseppina Bock Berti, «LANZILLOTTI
BUONSANTI, Nicola» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 63, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2004. Vita di Nicola Lanzillotti
Buonsanti[collegamento interrotto] tratto da "La Basilicata nel
Mondo", sito Basilicata.cc. Profilo[collegamento interrotto] Biblioteca G.
B. Ercolani, sito Unibo.it. Controllo di autoritàVIAF (EN) 309574915 · BNF (FR)
cb10618675w (data) · WorldCat Identities (EN) viaf-309574915 Animali Portale
Animali Biografie Portale Biografie Medicina Portale Medicina Categorie:
Veterinari italianiFilosofi italiani del XIX secoloPatrioti italiani del XIX
secoloNati nel 1846Morti nel 1924Nati il 16 ottobreMorti il 28 aprileNati a
FerrandinaMorti a Bergamo[altre]
BUONSANTO Vito Buonsanto Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
navigationJump to search Niente fonti! Questa voce o sezione sugli argomenti
filosofi italiani e letterati italiani non cita le fonti necessarie o quelle
presenti sono insufficienti. Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni
da fonti attendibili secondo le linee guida sull'uso delle fonti. Vito
Buonsanto o Buonsanti (San Vito dei Normanni, 22 giugno 1762 – Napoli, 22
maggio 1850) è stato un letterato, filosofo e accademico pontaniano
italiano. Indice 1 Biografia 2 Note
3 Opere
4 Bibliografia
5 Collegamenti
esterni Biografia Nato nella cittadina salentina nell'allora via Vento (oggi
via Cesare Battisti), qui compie i suoi primi studi classici [1]. Fattosi
domenicano, non ancora ventenne, entra nel convento dei Padri predicatori di
San Vito dei Normanni, ove si dedica allo studio della filosofia
scolastica[1]. Diventando educatore, si
distingue per le sue idee innovatrici nei metodi didattici, diventando ben
presto un vero luminare del pensiero pedagogico della cittadina. Vito Buonsanto diventa anche un attivo
sostenitore del movimento repubblicano, e insieme al notaio Domenico Oronzo
Carella, porta dalla vicina Brindisi un albero di naviglio per piantarlo, in
segno di libertà, nella piazza antistante il Castello. Le sue convinzioni,
però, lo costringono a fuggire da San Vito ed egli ripiega prima a Ostuni e poi
a Martina Franca, da cui raggiunge, da ultimo, il convento di San Domenico a
Napoli, dove muore. La città natale ha
dedicato al suo nome una scuola media cittadina. Note
Fonte: Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in
Bibliografia. Opere Etica iconologica, 1808; Il Nuovo sistema metrico, 1812;
Introduzione alla Geografia, 1816, Introduzione alla storia antica e moderna
del Regno di Napoli, 1816; Antologia Latina (i tre testi del 1853 sono
conservati nella Biblioteca Comunale di San Vito dei Normanni); Ragionamento di
Vito Buonsanto sul suo Sistema d'istruire i giovanetti, 1826. Bibliografia
Camillo M. Gamba, «BUONSANTO (Buonsanti), Vito», in Dizionario Biografico degli
Italiani, Volume 15, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1972.
Collegamenti esterni Vito Buonsanto Archiviato il 6 marzo 2016 in Internet
Archive. biografia nel sito della Città di San Vito dei Normanni. Biografie
Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Letteratura Portale Letteratura
Categorie: Letterati italianiFilosofi italiani del XVIII secoloFilosofi
italiani del XIX secoloNati nel 1762Morti nel 1850Nati il 22 giugnoMorti il 22
maggioNati a San Vito dei NormanniMorti a NapoliDomenicani italiani[altre]
BURGIO Alberto Burgio Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
navigationJump to search Alberto Burgio Deputato della Repubblica Italiana
Legislature XV
Legislatura Gruppo parlamentare Rifondazione
Comunista Coalizione L'Unione
Circoscrizione Lombardia
3 Incarichi parlamentari giunta per il regolamento; XI Commissione (Lavoro
pubblico e privato); Commissione esaminatrice del premio Lucio Colletti dal 28
luglio 2006 Dati generali Partito politico PRC
Titolo di studio Laurea
in lettere e filosofia Professione docente
universitario Alberto Burgio (Palermo, 13 maggio 1955) è un filosofo e politico
italiano. Nato a Palermo il 13 maggio
1955, dal 1993 insegna Storia della filosofia presso l'Università di Bologna. È
stato eletto deputato al Parlamento della Repubblica alle elezioni politiche
del 2006 (XV legislatura). Indice 1 Studi 2 Opere
3 Altri
progetti 4 Collegamenti
esterni Studi Si è occupato prevalentemente di storia della filosofia politica
e di filosofia della storia con studi su Rousseau e l'idealismo classico, la
teoria della storia tra Kant e Marx e il marxismo italiano (Labriola e
Gramsci), il razzismo e il nazismo.
Opere Eguaglianza, interesse, unanimità. La politica di Rousseau,
Napoli, Bibliopolis, 1989. ISBN 978-88-7088-209-4. Rousseau, la politica e la
storia. Tra Montesquieu e Robespierre, Milano, Guerini, 1996. ISBN
88-7802-707-3. Robespierre duecento anni dopo, con Antonio Gargano e Michel
Vovelle, Napoli, La Città del Sole, 1996. ISBN 9788886521291. Studi sul
razzismo italiano, a cura di, con Luciano Casali, Bologna, Clueb, 1996. ISBN
8880914308. L'invenzione delle razze. Studi su razzismo e revisionismo storico,
Roma, manifestolibri, 1998. ISBN 88-7285-149-1. Nel nome della razza. Il
razzismo nella storia d'Italia 1870-1945, a cura di, Bologna, Il Mulino, 1999.
ISBN 88-15-07200-4 (seconda ed., 2000. ISBN 88-15-07854-1). Modernità del
conflitto. Saggio sulla critica marxiana del socialismo, Roma, DeriveApprodi,
1999. ISBN 88-87423-20-2. Strutture e catastrofi. Kant Hegel Marx, Roma,
Editori Riuniti, 2000. ISBN 88-359-4987-4 (Vernunft und Katastrophen: Das
Problem der Geschichtsentwicklung bei Kant, Hegel und Marx, Frankfurt am Main,
Peter Lang, 2003; ISBN 978-3-631-39245-4). La guerra delle razze, Roma,
manifestolibri, 2001. ISBN 88-7285-205-6. Gramsci storico. Una lettura dei
"Quaderni del carcere", Roma–Bari, Laterza, 2003. ISBN 88-420-6854-3.
La forza e il diritto. Sul conflitto tra politica e giustizia, a cura di, Roma,
DeriveApprodi, 2003. ISBN 88-88738-09-6. Guerra. Scenari della nuova
"grande trasformazione", Roma, DeriveApprodi, 2004. ISBN
88-88738-34-7. Antonio Labriola nella storia e nella cultura della nuova
Italia, a cura di, Macerata, Quodlibet, 2005. ISBN 88-7462-040-3. Escalation.
Anatomia della guerra infinita, con Manlio Dinucci e Vladimiro Giacché, Roma,
DeriveApprodi, 2005. ISBN 88-88738-65-7. Per un lessico critico del
contrattualismo moderno, Napoli, La Scuola di Pitagora, 2006. ISBN
88-89579-03-X. Dialettica. Tradizioni, problemi, sviluppi, a cura di, Macerata,
Quodlibet, 2007. ISBN 978-88-7462-153-8. Per Gramsci. Crisi e potenza del
moderno, Roma, DeriveApprodi, 2007. ISBN 978-88-89969-33-5. Manifesto per
l'università pubblica, con Gaetano Azzariti, Alberto Lucarelli e Alfio
Mastropaolo, Roma, DeriveApprodi, 2008. ISBN 978-88-89969-63-2. Senza
democrazia. Un'analisi della crisi, Roma, DeriveApprodi, 2009. ISBN
978-88-89969-70-0. Nonostante Auschwitz. Il "ritorno" del razzismo in
Europa, Roma, DeriveApprodi, 2010. ISBN 978-88-6548-003-8. Rousseau e gli
altri. Teoria e critica della democrazia tra Sette e Novecento, Roma,
DeriveApprodi, 2012. ISBN 978-88-6548-057-1. Il razzismo, con Gianluca
Gabrielli, Roma, Ediesse, 2012. ISBN 978-88-230-1670-5. Identità del male. La
costruzione della violenza perfetta, a cura di, con Adriano Zamperini, Milano,
FrancoAngeli, 2013. ISBN 9788820450359. Gramsci. Il sistema in movimento, Roma,
DeriveApprodi, 2014. ISBN 978-88-6548-091-5. Questioni tedesche, a cura di,
Mucchi, Modena, 2015 («dianoia», 20). ISSN 1125-1514. Orgoglio e genocidio.
L'etica dello sterminio nella Germania nazista, con Marina Lalatta Costerbosa,
Roma, DeriveApprodi, 2016. ISBN 978-88-6548-160-8. Il sogno di una cosa. Per
Marx, Roma, DeriveApprodi, 2018. ISBN 978-88-6548-234-6. Critica della ragione
razzista, Roma, DeriveApprodi, 2020. ISBN 978-88-6548-317-6 Altri progetti
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deputati. Modifica su Wikidata Alberto Burgio, su Openpolis, Associazione
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multimediale delle scienze filosofiche, su emsf.rai.it. URL consultato il 15
ottobre 2008 (archiviato dall'url originale il 10 ottobre 2006). Alberto
Burgio. Sito web del docente Curriculum vitae e pubblicazioni, Università di
Bologna Controllo di autorità VIAF
(EN) 73977825 · ISNI (EN) 0000 0000 2772 4114 · SBN IT\ICCU\CFIV\043492 · LCCN
(EN) n88025044 · GND (DE) 1054101612 · BNF (FR) cb12733694t (data) · WorldCat
Identities (EN) lccn-n88025044 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale
Filosofia Politica Portale Politica Categorie: Filosofi italiani del XX
secoloFilosofi italiani del XXI secoloPolitici italiani del XX secoloPolitici
italiani del XXI secoloNati nel 1955Nati il 13 maggioNati a PalermoDeputati della
XV legislatura della Repubblica ItalianaPolitici del Partito della Rifondazione
Comunista - Sinistra EuropeaProfessori dell'Università di Bologna[altre]
BURTIGLIONE – search.
burlæus: burley -- born in
Burley-in-Whaferdale, Yorkshire. Burleigh’s donkey – Grice preferred the
spelling “Gualterus Burlaeus.” “One would hardly realise it’s Irish to the
backbone!” – Grice. Geach’s donkey: geach, Peter b.6, English philosopher and
logician whose main work has been in logic and philosophy of language. A great
admirer of McTaggart, he has published a sympathetic exposition of the latter’s
work Truth, Love and Immortality, 9, and has always aimed to emulate what he
sees as the clarity and rigor of the Scottish idealist’s thought. Greatly
influenced by Frege and Vitters, Geach is particularly noted for his powerful
use of what he calls “the Frege point,” better called “the Frege-Geach point,”
that the same thought may occur as asserted or unasserted and yet retain the
same truth-value. The point has been used by Geach to refute ascriptivist
theories of responsibility, and can be employed against noncognitivist theories
of ethics, which are said to face the Frege-Geach problem of accounting for the
sense of moral ascriptions in contexts like ‘If he did wrong, he will be
punished’. He is also noted for helping to bring Frege to the English-speaking
world, through co-translations with Max Black 9 88. In logic he is known for
proving, independently of Quine, a contradiction in Frege’s way out of
Russell’s paradox Mind, 6, and for his defense of modern Fregean-Russellian
logic against traditional Aristotelian-Scholastic logic. He also has a deep
admiration for the Polish logicians. In metaphysics, Geach is known for his
defense of relative identity, the thesis that an object a can be the same F
where F is a kind-term as an object b while not being the same G, even though a
and b are both G’s. His spirited defense of the thesis has been met by equally
vigorous attacks, and it has not received wide acceptance. An obvious
application of the thesis is to the defense of the doctrine of the Trinity
e.g., the Father is the same god as the Son but not the same person, which has
caught the attention of some philosophers of religion. Geach’s main works
include Mental Acts 8, which attacks dispositional theories of mind, Reference
and Generality 2, which contains much important work on logic, and the
collection Logic Matters 2. A notable defender of Catholicism despite his
animadversions against Scholastic logic, his religious views find their
greatest exposure in God and the Soul 9, Providence and Evil 7, and The Virtues
7. He is married to the philosopher Elizabeth Anscombe. burleigh:
Grice: “Actually his name should be borough-leah, since this is what burley
means in Yorkshire!” -- W. H. P. Grice preferred the spelling “Burleigh,”
or “Burleighensis” if you must – Burlaeus -- “That’s how we called him at
Oxford!” English philosopher who taught philosophy at Oxford and theology at
Paris. An orthodox Aristotelian and a realist, he attacked Ockham’s logic and
his interpretation of the Aristotelian categories. Burley commented on almost
of all of Aristotle’s works in logic, natural philosophy, and moral philosophy.
An early Oxford Calculator, Burley begins his work as a fellow of Merton He later moved to Paris. Burley – Grice adds – “was a tutee of
Thomas Wilton, if you heard of him.” he was
incepted, and later a a fellow of the Sorbonne. His commentary on Peter
Lombard’s Sentences has been lost. After leaving Paris, Burley is ssociated
with the household of Richard of Bury and the court of Edward III, who sent him
as an envoy to the papal curia. De vita et moribus philosophorum,” an
influential, popular account of the lives of the philosophers, has often been
attributed to Burley, but modern scholarship suggests that the attribution is
incorrect. Many of Burley’s independent works dealt with problems in natural
philosophy, notably De intensione et remissione formarum “De potentiis animae, and
De substantia orbis. De primo et ultimo instanti discusses which temporal
processes have intrinsic, which extrinsic limits. In his Tractatus de formis
Burley attacks Ockham’s theory of quantity. Similarly, Burley’s theory of
motion opposed Ockham’s views. Ockham restricts the account of motion to the
thing moving, and the quality, quantity, and place acquired by motion. By
contrast, Burley emphasizes the process of motion and the quantitative
measurement of that process. Burley attacks the view that the forms
successively acquired in motion are included in the form finally acquired. He
ridicules the view that contrary qualities hot and cold could simultaneously
inhere in the same subject producing intermediate qualities warmth. Burley
emphasized the formal character of logic in his De puritate artis logicae “On
the Purity of the Art of Logic”, one of the great medieval treatises on logic.
Ockham attacked a preliminary version of De puritate in his Summa logicae;
Burley called Ockham a beginner in logic. In De puritate artis logicae, Burley
makes syllogistics a subdivision of consequences. His treatment of negation is
particularly interesting for his views on double negation and the restrictions
on the rule that notnot-p implies p. Burley distinguished between analogous
words and analogous concepts and natures. His theory of analogy deserves
detailed discussion. These views, like the views expressed in most of Burley’s
works, have seldom been carefully studied. Luigi Speranza, “Grice and the
Mertonians.”
butlerianism: J., cited by H.
P. Grice, principle of conversational benevolence. English theologian and
Anglican bishop who made important contributions to moral philosophy, to the
understanding of moral agency, and to the development of deontological ethics.
Better known in his own time for The Analogy of Religion 1736, a defense, along
broadly empiricist lines, of orthodox, “revealed” Christian doctrine against
deist criticism, Butler’s main philosophical legacy was a series of highly
influential arguments and theses contained in a collection of Sermons 1725 and
in two “Dissertations” appended to The Analogy
one on virtue and the other on personal identity. The analytical method
of these essays “everything is what it is and not another thing” provided a
model for much of English-speaking moral philosophy to follow. For example,
Butler is often credited with refuting psychological hedonism, the view that
all motives can be reduced to the desire for pleasure or happiness. The sources
of human motivation are complex and structurally various, he argued. Appetites
and passions seek their own peculiar objects, and pleasure must itself be
understood as involving an intrinsic positive regard for a particular object.
Other philosophers had maintained, like Butler, that we can desire, e.g., the
happiness of others intrinsically, and not just as a means to our own
happiness. And others had argued that the person who aims singlemindedly at his
own happiness is unlikely to attain it. Butler’s distinctive contribution was
to demonstrate that happiness and pleasure themselves require completion by
specific objects for which we have an intrinsic positive regard. Self-love, the
desire for our own happiness, is a reflective desire for, roughly, the
satisfaction of our other desires. But self-love is not our only reflective
desire; we also have “a settled reasonable principle of benevolence.” We can
consider the goods of others and come on reflection to desire their welfare
more or less independently of particular emotional involvement such as
compassion. In morals, Butler equally opposed attempts to reduce virtue to
benevolence, even of the most universal and impartial sort. Benevolence seeks
the good or happiness of others, whereas the regulative principle of virtue is
conscience, the faculty of moral approval or disapproval of conduct and
character. Moral agency requires, he argued, the capacities to reflect
disinterestedly on action, motive, and character, to judge these in
distinctively moral terms and not just in terms of their relation to the
non-moral good of happiness, and to guide conduct by such judgments. Butler’s
views about the centrality of conscience in the moral life were important in
the development of deontological ethics as well as in the working out of an
associated account of moral agency. Along the first lines, he argued in the
“Dissertation” that what it is right for a person to do depends, not just on
the non-morally good or bad consequences of an action, but on such other
morally relevant features as the relationships the agent bears to affected
others e.g., friend or beneficiary, or whether fraud, injustice, treachery, or
violence is involved. Butler thus distinguished analytically between
distinctively moral evaluation of action and assessing an act’s relation to
such non-moral values as happiness. And he provided succeeding deontological
theorists with a litany of examples where the right thing to do is apparently
not what would have the best consequences. Butler believed God instills a
“principle of reflection” or conscience in us through which we intrinsically
disapprove of such actions as fraud and injustice. But he also believed that
God, being omniscient and benevolent, fitted us with these moral attitudes
because “He foresaw this constitution of our nature would produce more
happiness, than forming us with a temper of mere general benevolence.” This
points, however, toward a kind of anti-deontological or consequentialist view,
sometimes called indirect consequentialism, which readily acknowledges that
what it is right to do does not depend on which act will have the best
consequences. It is entirely appropriate, according to indirect
consequentialism, that conscience approve or disapprove of acts on grounds
other than a calculation of consequences precisely because its doing so has the
best consequences. Here we have a version of the sort of view later to be
found, for example, in Mill’s defense of utilitarianism against the objection
that it conflicts with justice and rights. Morality is a system of social
control that demands allegiance to considerations other than utility, e.g.,
justice and honesty. But it is justifiable only to the extent that the system
itself has utility. This sets up something of a tension. From the conscientious
perspective an agent must distinguish between the question of which action
would have the best consequences and the question of what he should do. And
from that perspective, Butler thinks, one will necessarily regard one’s answer
to the second question as authoritative for conduct. Conscience necessarily
implicitly asserts its own authority, Butler famously claimed. Thus, insofar as
agents come to regard their conscience as simply a method of social control
with good consequences, they will come to be alienated from the inherent
authority their conscience implicitly claims. A similar issue arises concerning
the relation between conscience and self-love. Butler says that both self-love
and conscience are “superior principles in the nature of man” in that an action
will be unsuitable to a person’s nature if it is contrary to either. This makes
conscience’s authority conditional on its not conflicting with self-love and
vice versa. Some scholars, moreover, read other passages as implying that no
agent could reasonably follow conscience unless doing so was in the agent’s interest.
But again, it would seem that an agent who internalized such a view would be
alienated from the authority that, if Butler is right, conscience implicitly
claims. For Butler, conscience or the principle of reflection is uniquely the
faculty of practical judgment. Unlike either self-love or benevolence, even
when these are added to the powers of inference and empirical cognition, only
conscience makes moral agency possible. Only a creature with conscience can
accord with or violate his own judgment of what he ought to do, and thereby be
a “law to himself.” This suggests a view that, like Kant’s, seeks to link
deontology to a conception of autonomous moral agency.
byzantine. This is important
since it displays Grice’s disrespect for stupid traditions. There is Austin
trying to lecture what he derogatorily called ‘philosophical hack’ (“I expect
he was being ironic”) into learning through the Little Oxford Dictionary.
HARDLY Grice’s cup of tea. Austiin, or the ‘master,’ as Grice ironically calls
him, could patronize less patrician play group members, but not him! In any
case, Austin grew so tiresome, that Grice grabbed the Little Dictionary. Austin
had gave him license to go and refute Ryle on ‘feeling’. “So, go and check with
the dictionary, to see howmany things you can feel.” Grice started with the A
and got as far as the last relevant item under the ‘B,” he hoped. “And then I
realised it was all hopeless. A waste. Language botany, indeed!” At a later
stage, he grew more affectionate, especially when seeing that this was part of
his armoury (as Gellner had noted): a temperament, surely not shared by
Strawson, for subtleties and nuances. How Byzantine can Grice feel? Vide
‘agitation.’ Does feeling Byzantine entail a feeling of BEING Byzantine? originally used of the style of art and architecture
developed there 4c.-5c. C.E.; later in reference to the complex, devious, and
intriguing character of the royal court of Constantinople (1937). Bȳzantĭum , ii, n., = Βυζάντιον,I.a city in Thrace, on the Bosphorus, opposite the Asiatic Chalcedon, later
Constantinopolis, now Constantinople; among
the Turks, Istamboul or Stamboul (i.e. εις τὴν πόλιν), Mel. 2, 2, 6; Plin. 4, 11, 18, § 46; 9, 15, 20, § 50 sq.; Nep. Paus. 2, 2; Liv. 38, 16, 3 sq.; Tac. A. 12, 63 sq.; id. H. 2. 83; 3, 47 al.—II. Derivv.A. Bȳzantĭus , a, um, adj., of Byzantium, Byzantine: “litora,” the Strait of Constantinople, Ov. Tr. 1, 10, 31: “portus,” Plin. 9, 15, 20, § 51.—Subst.: Bȳ-zantĭi , ōrum, m., the inhabitants of Byzantium, Cic. Prov. Cons. 3, 5; 4, 6 sq.; Cic. Verr. 2, 2, 31, § 76; Nep. Timoth. 1, 2; Liv. 32, 33, 7.—B. Bȳzantĭăcus , a, um, adj., of Byzantium: “lacerti,” Stat. S. 4, 9, 13. — C. Bȳzantīnus , a, um, adj., the same
(post-class.): “Lygos,” Aus. Clar. Urb. 2: “frigora,” Sid. Ep. 7, 17. Byzantine
feeling -- Einfühlung G., ‘feeling into’, empathy. In contrast to sympathy,
where one’s identity is preserved in feeling with or for the other, in empathy
or Einfühlung one tends to lose oneself in the other. The concept of Einfühlung
received its classical formulation in the work of Theodor Lipps, who characterized
it as a process of involuntary, inner imitation whereby a subject identifies
through feeling with the movement of another body, whether it be the real leap
of a dancer or the illusory upward lift of an architectural column. Complete
empathy is considered to be aesthetic, providing a non-representational access
to beauty. Husserl used a phenomenologically purified concept of Einfühlung to
account for the way the self directly recognizes the other. Husserl’s student
Edith Stein described Einfühlung as a blind egoism Einfühlung 255 255 mode of knowledge that reaches the
experience of the other without possessing it. Einfühlung is not to be equated
with Verstehen or human understanding, which, as Dilthey pointed out, requires
the use of all one’s mental powers, and cannot be reduced to a mere mode of
feeling. To understand is not to apprehend something empathetically as the
projected locus of an actual experience, but to apperceive the meaning of
expressions of experience in relation to their context. Whereas understanding
is reflective, empathy is prereflective.
cabeo:
essential Italian philosopher. Niccolò Cabeo (n.
Ferrara) è stato un gesuita, filosofo e matematico italiano. Con il suo nome è
stato chiamato il cratere lunare Cabeus. Nel 1602 novizio della Compagnia
di Gesù, ebbe Giuseppe Biancani come insegnante di matematica nel collegio
gesuitico di Parma dove compiuti i suoi studi fu docente di filosofia per molti
anni e ricevette gli ordini sacerdotali nel 1622[1]. Dopo il 1622 abbandonato
l'insegnamento fu predicatore in varie città italiane mantenendo sempre stretti
rapporti di familiarità con Ferdinando Gonzaga e Francesco d'Este. [2]
Cabeo prese parte alla contesa tra Bologna e Ferrara sull'introduzione del Reno
nel Po Grande avvenuta negli anni 20 del seicento, prendendo le parti dei
ferraresi e opponendosi alle teorie di Benedetto Castelli[3] Nel 1632 si
stabilì a Genova dove conobbe Giovanni Battista Baliani divenendone amico. Nel
suo commento alle Meteore di Aristotele Cabeo sostenne e testimoniò la priorità
della scoperta della legge di caduta dei gravi dello scienziato genovese
rispetto a quella di Galilei. Cabeo collaborò con vari fisici del suo
tempo su argomenti che mettevano in discussione le ricerche di Galilei: con lo
stesso Baliani a Genova, con il Renieri a Pisa, con il Riccioli, suo amico e
allievo anche lui del Biancani, con il quale nel 1634 aveva condotto a Ferrara
esperimenti sulla caduta dei gravi. Soggiornò a Roma nello stesso periodo in
cui era presente nel 1645 e nel 1646 Marin Mersenne, il "segretario dell'
Europa dotta" [4] che vi si trovava in occasione dell'elezione di Vincenzo
Carafa a generale dei gesuiti. Tornato a Genova per dedicarsi
all'insegnamento nel collegio gesuitico, morì dopo due mesi nel 1650.
Opere Fin dal 1617 Cabeo aveva iniziato a comporre la Philosophia magnetica che
stampata poi a Ferrara nel 1629 fu criticata negativamente dagli studiosi
galileiani. Nell'introduzione Cabeo sosteneva l'imprescindibile necessità che
ogni asserzione scientifica fosse sostenuta dall'esperienza e, sulla base degli
studi di Pierre Pelerin de Maricourt, di Giovanni Battista Della Porta, e di
William Gilbert, dell'opera inedita del gesuita Leonardo Garzoni, asseriva,
dopo aver condotto accurati esperimenti, che la Terra possedeva una qualità
magnetica che assieme alla gravità faceva sì che quella fosse stabile e
immobile. Nella stessa opera definiva il fenomeno della repulsione
elettrica. Nel 1646 venivano pubblicati a Roma i quattro volumi di un
commento alle Meteore di Aristotele con il titolo In quatuor libros
Meteorologicorum Aristotelis commentaria,et quaestiones quatuor tomis
compraehensa... poi modificato nella ristampa del 1686 in Philosophia
experimentalis dove Cabeo si schierava a difesa della priorità del Baliani e,
nel criticare in nome dell'osservazione e dell'esperimento la concezione
metafisica aristotelica, introduceva la presentazione di questioni scientifiche
attuali. L'opera era condotta in duri toni antigalileiani con un'aspra
contestazione del fenomeno delle maree così com'era stato descritto da Galilei
sostenendo invece che fosse dovuto «all'ebollizione, operata dalla Luna, di
"spiriti sulfurei e salnitrosi" presenti sul fondo del mare.»
[5] Cabeo sostenne la validità scientifica dell'alchimia da lui ritenuta
una "philosophia chimica" che, depurata da ogni aspetto esoterico ,
era degna di studio e osservazione. Note ^ Mario Di Fidio, Claudio
Gandolfi, Idraulici italiani (PDF), Fondazione BEIC, p. 57. ^ Alfonso Ingegno,
Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 15, (1972) alla voce corrispondente
^ Mario Di Fidio, Claudio Gandolfi, Idraulici italiani (PDF), Fondazione BEIC,
p. 56. ^ Domenico Massaro SFI Archiviato il 13 giugno 2008 in Internet Archive.
^ A. Ingegno, Op. cit. Bibliografia Claudii Berigardi Circulus Pisanus... De
veteri et peripatetica philosophia in Aristotelis libros de Coelo..., Utini
1647, pp. 82-85; Galileo Galilei, Opere (ediz. naz.), XIV, pp. 32-34, 35-37,
61, 77, 79, 300; XV, p. 273; XVI, p. 325; XVIII, pp. 87, 93-95, 99, 305, 310,
312; Le opere dei discepoli di Galileo Galilei, I, L'Accademia del Cimento,
parte 1, Firenze 1942, pp. 51, 374 s., 411 s.; Fulvio Testi, Lettere, a cura di
Maria Luisa Doglio, III, 1638-1646, Bari 1967, pp. 208, 236, 239, 504 s.; Opere
di Evangelista Torricelli, Faenza 1919, I, 1, p. X; III, p. 415; Lorenzo
Barotti, Memorie istoriche di letterati ferraresi, II, Ferrara 1793, pp.
262-269; Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VIII, 1,
Firenze 1812, pp. 249 s.; Timoteo Bertelli, Sopra Pietro Peregrino di Maricourt
e la sua epistola "De Magnete", in Bull. di bibliogr. e di storia
delle scienze mat. e fisiche pubbl. da B. Boncompagni, I (1868), pp. 1-32,
65-99, 101-139, 319-420; Pietro Riccardi, Biblioteca matematica italiana, Modena
1870, p. 206; Raffaello Caverni, Storia del metodo sperimentale in Italia, II,
Firenze 1892, pp. 257, 265-271; IV, ibid. 1895, pp. 237 s., 279 58-, 315 ss.,
391-400, 404, 413-416, 526, 570 s.; V, ibid. 1898, pp. 9 s., 27; Silvio
Magrini, Il "De Magnete" del Gilbert e i primordi della magnotologia
in Italia in rapporto alla lotta intorno ai massimi sistemi, in Archivio di
storia della scienza, VIII (1927), n. 2, pp. 17-39; Jean Daujat, Origines et
formation de la théorie des phénomènes électriques et magnétiques, Paris 1945,
pp. 190-204; Lynn Thorndike, A History of magic and experimental Science, New
York 1958, VII, pp. 61, 276-79, 422 ss., 685; VIII, pp. 204, 207, 430;
Alexandre Koyré, Etudes d'histoire de la pensée scientifique, Paris 1966, pp.
198-201, 271; Serge Moscovici, L'expérience du mouvement. Jean Baptiste Baliani
disciple et critique de Galilée, Paris 1967, pp. 49 53, 55, 58; Claudio
Costantini, Baliani e i gesuiti. Annotazioni in margine alla corrispondenza del
Baliani con Gio. Luigi Confalonieri e Orazio Grassi, Firenze 1969, pp. 5, 7,
52, 103; Maria Bellucci, La filosofia naturale di Claudio Berigardo, in Rivista
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Borgato, Niccolò Cabeo tra teoria ed esperimenti: le leggi del moto, in G.P.
Brizzi and R. Greci (ed), Gesuiti e Università in Europa, Bologna: Clueb, 2002,
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"Meteorology", in Early Science and Medicine, vol. 11, n. 2, 2006, pp.
135-161, JSTOR 4130256. Carlos Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de
Jésus II, p. 483. Collegamenti esterni Niccolò Cabeo, su Treccani.it –
Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata
Niccolò Cabeo, su sapere.it, De Agostini. Modifica su Wikidata Alfonso Ingegno,
Niccolò Cabeo, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Niccolò Cabeo /
Niccolò Cabeo (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica
su Wikidata (EN) Niccolò Cabeo, in Galileo Project, Rice University. V · D · M
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Gesuiti italianiFilosofi italiani del XVI secoloFilosofi italiani del XVII
secoloMatematici italiani del XVI secoloMatematici italiani del XVII secoloNati
nel 1586Morti nel 1650Nati il 26 febbraioMorti il 30 giugnoNati a FerraraMorti
a Genova[altre]Niccolò Cabeo (26 febbraio 1586 - 30 Giugno, 1650), noto anche
come Nicolaus Cabeo , è stato un italiano gesuita filosofo , teologo ,
ingegnere e matematico . Biografia E 'nato a Ferrara nel 1586, ed è stato
istruito nel collegio dei Gesuiti a Parma inizio nel 1602. Passò i prossimi due
anni a Padova e ha trascorso 1606-07 studia in Piacenza prima di completare tre
anni (1607-10) di studio in filosofia a Parma. Ha trascorso altri quattro anni
(1612-1616) a studiare teologia a Parma e l'apprendistato di un altro anno di a
Mantova . Ha poi insegnato teologia e la matematica a Parma , poi nel 1622 è
diventato un predicatore. Per un certo periodo ha ricevuto il patrocinio dei
Duchi di Mantova e del Este a Ferrara. Durante questo periodo è stato coinvolto
in idraulica progetti. Egli avrebbe poi tornare a insegnare la matematica
ancora una volta in Genova , la città dove sarebbe morto nel 1650. Egli è
noto per i suoi contributi alla fisica esperimenti e osservazioni. Egli ha
osservato gli esperimenti di Giovanni Battista Baliani per quanto riguarda la
caduta di oggetti, e ha scritto su questi esperimenti osservando che due
oggetti diversi cadono nello stesso lasso di tempo, indipendentemente dal
mezzo. Inoltre ha effettuato esperimenti con pendoli e osservato che una carica
elettricamente corpo può ottenere oggetti non elettrificato. Egli ha anche
notato che due oggetti carichi respinti a vicenda. Le sue osservazioni
sono state pubblicate nelle opere, Philosophia Magnetica (1629) e in quatuor
libros Aristotelis meteorologicorum Commentaria (1646). La prima di queste
opere esaminato la causa della Terra magnetismo ed è stata dedicata ad uno
studio del lavoro di William Gilbert . Cabeo pensato alla Terra immobile, e
quindi non ha accettato il suo movimento come la causa del campo magnetico .
Cabeo descritto attrazione elettrica in termini di effluvi elettrici,
rilasciato sfregando alcuni materiali insieme. Questi effluvi spinto nell'aria
circostante spostarlo. Quando l'aria riportato nella sua posizione originale,
portava corpi leggeri con essa facendole muovere verso il materiale attraente.
Entrambi Accademia del Cimento e Robert Boyle eseguiti esperimenti con vuoti a
tentativi di confermare o smentire le idee di Cabeo. Seconda
pubblicazione di Cabeo era un commento di Aristotele Meteorologia . In questo
lavoro, ha esaminato attentamente una serie di idee proposte da Galileo Galilei
, tra cui il movimento della terra e la legge di caduta dei gravi. Cabeo si è
opposto alle teorie di Galileo. Cabeo anche discusso la teoria del flusso
d'acqua proposta da allievo di Galileo, Benedetto Castelli . Lui e Castelli
sono stati coinvolti per una disputa nel nord Italia circa il reinstradamento
del fiume Reno . La gente di Ferrara erano su un lato della controversia e
Cabeo era il loro avvocato. Castelli ha favorito l'altro lato della
controversia e agiva come agente del Papa, Urbano VIII . Cabeo anche discusso
alcune idee su alchimia in questo libro. Il cratere Cabeus sulla Luna
porta il suo nome. Il LCROSS progetto ha scoperto la prova di acqua nel cratere
Cabeus nell'ottobre 2009. Guarda anche Storia di Geomagnetismo Elenco dei
cattolici-scienziati chierici Riferimenti Heilbron, JL, energia elettrica nei
secoli 17 e 18 . Los Angeles: University of California Press, 1979. Maffioli,
Cesare, Out of Galileo, The Science of Waters 1628-1718 . Rotterdam: Erasmus
Publishing, 1994. Sommervogel (a cura di), Bibliothèque de la Compagnie de
Jesus . Bruxelles: 1960. Gillispie, Charles Coulston (a cura di), Dizionario
della biografia scientifica Vol. 3. New York: Scribners, 1973 Borgato, Maria
Teresa, Niccolò Cabeo Tra Teoria ed Esperimenti: le leggi del moto , in GP
Brizzi e R. Greci (a cura di), Gesuiti e Università in Europa, Bologna: Clueb,
2002, pp 361-385.. Caro Peter. Disciplina e Esperienza: Il modo matematico
nella rivoluzione scientifica . Chicago: University of Chicago Press, 1995.
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Cookie-policy. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Cabeo," per Il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
cacciari:
essential Italian philosopher. Massimo Cacciari (n. Venezia) è un
filosofo, politico, accademico e opinionista italiano, ex sindaco di
Venezia. Di ascendenze emiliane per via paterna (il nonno Gino Cacciari,
di Medicina, si era trasferito a Venezia per dirigere i cantieri navali della
città), è figlio di Pietro, pediatra, e di una casalinga proveniente da una
famiglia di artisti[2][3][4]. Dopo aver frequentato il Ginnasio Liceo
Marco Polo di Venezia, si è laureato in Filosofia nel 1967 all'Università degli
Studi di Padova, con una tesi sulla Critica del Giudizio di Immanuel Kant, con
relatore Dino Formaggio. Ancora studente, fu collaboratore dei professori Carlo
Diano, Sergio Bettini e Giuseppe Mazzariol[4]. Carriera accademica Nel
1980 diviene professore associato di Estetica presso l'Istituto di Architettura
di Venezia, dove nel 1985 diventa professore ordinario[5]. Nel 2002 fonda la
Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele[6] a Cesano
Maderno, di cui è preside fino al 2005. È tra i fondatori di alcune riviste di
filosofia politica, che hanno segnato il dibattito dagli anni sessanta agli
anni ottanta, tra cui Angelus Novus, Contropiano, il Centauro, Laboratorio
politico. Al centro della sua riflessione filosofica si colloca la crisi
della razionalità moderna, che si è rivelata incapace di cogliere il senso
ultimo del reale, abbandonando la ricerca dei fondamenti del conoscere. La sua
visione muove dal concetto di "pensiero negativo", ravvisato nelle
filosofie di Friedrich Nietzsche, di Martin Heidegger e di Ludwig Wittgenstein,
per risalire ai suoi presupposti in alcuni aspetti della tradizione religiosa e
del pensiero filosofico occidentali.[7] Ha pubblicato numerose opere e
saggi, tra i quali meritano una particolare attenzione: Krisis (del 1976); Pensiero
negativo e razionalizzazione; (1977), Dallo Steinhof (1980), Icone della legge
(1985), L'angelo necessario (1986)[8], Dell'inizio (1990), Della cosa ultima
(2004) vincitore del Premio Cimitile. Hamletica, Adelphi, Milano, 2009 è il suo
lavoro più recente. I volumi Icone della legge e L'angelo necessario
presentano, inoltre, alcune pagine dedicate alla filosofia dell'icona e agli
esiti del pensiero del mistico russo Pavel Aleksandrovič Florenskij. Tra
i numerosi riconoscimenti sono da ricordare la laurea honoris causa in
Architettura conferita dall'Università degli Studi di Genova nel 2003, la
laurea honoris causa in Scienze politiche conferita dall'Università di Bucarest
nel 2007 e la laurea honoris causa in "filologia, letteratura e tradizione
classica" conferita dall'Università di Bologna nel 2014. Attualmente
è Presidente della fondazione Gianni Pellicani [9] e insegna Pensare filosofico
e metafisica presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San
Raffaele di Milano, di cui è stato anche prorettore vicario[10]. Suo
fratello Paolo è stato deputato di Rifondazione Comunista tra il 2006 e il
2008. Carriera politica In Potere Operaio e nel PCI Da giovane fu un
politico militante e occupò con gli operai della Montedison la stazione di
Mestre.[2] Collaborò negli anni sessanta alla rivista mensile Classe operaia e,
dopo contrasti interni tra Mario Tronti, Alberto Asor Rosa e Toni Negri (il
quale fu un incontro essenziale per la sua formazione), diresse insieme ad Asor
Rosa la rivista, definita di "materiali marxisti", Contropiano con la
quale si tentò la riunificazione del gruppo. Ma il tentativo fallì e il gruppo
veneto trasformò la rivista nel giornale Potere Operaio "Giornale politico
dagli operai di Porto Marghera" a cui Cacciari, deluso, non aderì.[11] In
seguito entrò nel Partito Comunista Italiano[2], ricoprendo cariche
apparentemente lontane dai suoi interessi filosofici: responsabile della
Commissione Industria del PCI Veneto negli anni settanta, fu poi eletto alla
Camera dei deputati dal 1976 al 1983, e fu membro della Commissione Industria
della Camera. Sindaco di Venezia (1993-2000) Fu sindaco di Venezia dal
1993 al 2000 schierato tra i principali sostenitori de I Democratici di Romano
Prodi tanto che si parlò di lui come un probabile leader dell'Ulivo. Fin
dall'inizio della sua attività politica vide nel federalismo una tradizione da
recuperare per i progressisti italiani laddove buona parte dei dirigenti della
sinistra vedevano in questa attenzione agli ideali federalisti un freno al
consenso elettorale del centro-sud. In preparazione delle elezioni regionali
del 2000, era convinto che per vincere in una regione tradizionalmente
moderata, la sinistra avrebbe dovuto agganciare una parte dell'elettorato in
fuga dalla ex DC e per questo scopo tentò di "aprire" ad un'alleanza
con la Lega Nord (poi disapprovata dal centro-sinistra italiano), e mosse in
questa direzione politica alcuni significativi passi, ma non riuscì a
convincere fino in fondo l'elettorato autonomista[12][13]. Nel 1997 fu
sua la volontà di realizzare il progetto per edificare il ponte di Calatrava,
il quale ha portato continue polemiche con la Corte dei conti nel corso degli
anni[14]. Europarlamentare e consigliere regionale veneto Alle europee
del 1999 si candida con la lista de I Democratici risultando eletto in due
circoscrizioni: lui ha optato per quella nord-occidentale. La sua sconfitta
alle Regionali del 2000, quando fu candidato per la presidenza della regione
Veneto, fece tramontare l'ipotesi che potesse diventare il futuro leader
dell'Ulivo. Cacciari ottenne in quella tornata il 38,2% dei voti, uscendo
sconfitto dal rappresentante della Casa delle Libertà Giancarlo Galan, che
ricevette il 54,9% dei consensi. In quella tornata elettorale Cacciari ottenne
un seggio da consigliere regionale: per questo si dimise, per incompatibilità,
da europarlamentare. Sindaco di Venezia (2005-2010) Nel 2005 annunciò
l'intenzione di ricandidarsi per la seconda volta a sindaco di Venezia. I
partiti di sinistra dell'Ulivo, avevano però, già raggiunto l'accordo per la
candidatura unitaria del magistrato Felice Casson, ma Cacciari dichiarò di non
voler rinunciare alla propria candidatura, anche a costo di spaccare l'unità
della coalizione, come effettivamente avvenne, con Cacciari sostenuto da UDEUR
Popolari e La Margherita e Casson appoggiato da tutti gli altri partiti del
centrosinistra. Al primo turno delle votazioni Casson ebbe il 37,7% dei
voti, mentre Cacciari si fermò al 23,2%; sfruttando le divisioni presenti in
maniera ancora più acuta nel centrodestra a Venezia, furono proprio i due
rappresentanti del centro-sinistra ad andare al ballottaggio. A sorpresa
Cacciari, seppur sostenuto da liste più deboli, riuscì a far leva
sull'elettorato moderato e vinse la sfida con 1 341 voti di vantaggio sul suo
competitore (50,5% contro 49,5%). L'inattesa vittoria del
politico-filosofo causò malumori all'interno della coalizione (Casson commentò
il risultato esclamando: "Ha vinto Cacciari? Allora ha vinto la
destra!") e una particolare situazione nel consiglio comunale veneziano:
la Margherita, con il 13,4% di voti, ebbe diritto a ben 26 seggi, (mentre i DS,
che ottennero il 21,2%, si dovettero accontentare di 6 seggi) e l'UDEUR,
nonostante un modesto 1,4%, si accaparrò 2 seggi (a differenza di Rifondazione
Comunista che con il 6,8% si aggiudicò un solo seggio). Nel complesso,
quindi, la coalizione Cacciari, con il 14,8% dei suffragi, ebbe diritto a 28
seggi, mentre il raggruppamento di Casson, con il 41%, risultò possessore di 9
seggi. Ciò consentì a Cacciari, iscritto alla Margherita, di cui era esponente
di punta in Veneto, di poter governare la città con una solida maggioranza
consiliare. In occasione delle successive elezioni regionali del 2005,
delle elezioni politiche del 2006 e delle amministrative del 2007 Cacciari mise
in evidenza quella che egli chiamava la questione settentrionale. Il 2 novembre
2009, anche deluso dall'evoluzione del Partito Democratico, annunciò
l'abbandono della politica attiva dopo la conclusione del mandato di sindaco,
avvenuta nell'aprile 2010.[15] Abbastanza accesa la politica condotta
dalla sua giunta contro gli ambulanti abusivi[16] e molto contestate furono
anche le ordinanze che, ai fini del decoro urbano, imponevano il divieto di
vendere dei cibi da asporto presso la piazza San Marco, di girare a torso nudo,
di sdraiarsi in terra ecc.[17] Nel 2007 inoltre, con la creazione del festival
di Roma da parte dell'allora sindaco Walter Veltroni, espresse disappunto nel
caso in cui quello di Venezia ne fosse stato oscurato.[18] Non pochi gli
attriti con la Lega Nord in vista della sua intenzione di realizzare un campo
Sinti, nella zona di Mestre.[19] Celebre poi la campagna che favoriva l'uso
dell'acqua pubblica in contrapposizione all'acquisto di quella in
bottiglia.[20] A lui si deve il restauro di Palazzo Grassi e di Punta della
Dogana.[21] Il 23 luglio 2010, a Mogliano Veneto, presentò il manifesto
politico Verso Nord, un'Italia più vicina, diretto a chi non si riconosceva né
nel PD, né nel PdL e voleva una politica per il Nord diversa da quella attuata
dalla Lega. Il manifesto si è poi trasfuso in un partito politico chiamato appunto
Verso Nord, nato ufficialmente il 12 ottobre 2010.[22][23] Pensiero
Massimo Cacciari nel 1976 Nelle sue prime opere (Krisis, 1976, Pensiero
negativo e razionalizzazione, 1977) Massimo Cacciari sviluppa la sua
riflessione che, prendendo spunto da Friedrich Nietzsche, Ludwig Wittgenstein e
Martin Heidegger, conferma «... la fine della razionalità classica e dialettica
e l'emergere pieno, costruttivo, rifondativo e non distruttivo [...] del
"pensiero negativo".»[24] Dall'analisi della cultura viennese e
mitteleuropea, che si forma sullo sfondo dei grandi mutamenti del sistema
capitalistico tra l'800 e il '900, Cacciari identifica una società reazionaria
incapace di aprirsi alla modernità e improntata al nihilismo, punto d'arrivo
del fallimento del pensiero dialettico della scuola hegeliano-marxista. In
quest'ambito si origina il pensiero negativo (Negatives Denken) che ad iniziare
da Schopenhauer sembra collegarsi all'irrazionalismo ma che in realtà è la
conseguenza ultima della tradizione metafisica occidentale che pretendeva di
superare ogni contraddizione e la negatività dell'esistenza stessa tramite
quella libera volontà, coerentemente negata da Nietzsche e ancora presente
invece nell'ascesi schopenhaueriana, come strumento per la liberazione dal dolore
di vivere[25]. La crisi della metafisica occidentale è anche dimostrata
dalla fiducia nella tecnica, presuntuosa esaltazione di quella ragione che
invece rivela il sostanziale fallimento dei valori ultimi che dovrebbero
guidare il progresso umano: « ...la tecnica realizza la direzione implicita
della metafisica moderna – ma nel realizzarla ne critica e liquida anche l'idea
centrale [il fondamento originario]» che era la certezza dei valori. Da qui
un'epoca caratterizzata dal nulla dei valori e dalla fine della filosofia ormai
rivolta «tutta al passato, a prima della ratio»[26] Con l'avvento del
pensiero negativo finalmente ci si libera «da un ideale totalitario del sapere,
per cui non si dipende più da un ordine naturale, fisso ed immutabile, di cui la
ragione scopre le leggi, ma si interviene creativamente, dando ordine alle
cose, in una molteplicità di saperi».[27] Nelle sue ultime opere Cacciari
intreccia la riflessione filosofica con quella teologica quasi risalendo ad una
tradizione interpretativa platonica. Se ormai la filosofia si è specializzata e
frantumata in una serie di campi specifici che cosa vorrà dire
"pensare" al suo stesso inizio? Cacciari cerca la risposta in quella
tradizione filosofico-teologica che pone il principio, l'"inizio" nella
nozione di "Deus-Esse".[28] Fin dal libro primo della sua opera
filosofica, Dell’Inizio, Cacciari si colloca su un terreno complementare e
diametralmente opposto a quello di Emanuele Severino: se il primo evidenzia la
contingenza dell'originato, il secondo enfatizza l'unicità eterna dell'origine.
Mentre per Cacciari l’originario è inizio a-logico, che conserva sempre
inalterata la possibilità di non essere inizio di qualcosa che altro-da-sé, di
negarsi come inizio e che quindi non esista originato alcuno, secondo Severino,
invece, l’originario è la struttura logico-necessaria di significati il cui
contenuto è tutto ciò che è, tale per cui non è mai potuto esistere, non è mai
esistito e non potrà mai esistere alcun ente non originato da quell'unica totalità
iniziale. Secondo Severino, la veracità di Dio e del Destino prevale sulla Sua
onnipotenza, nel senso che è inevitabile e scontata in partenza la vittoria sul
nemico, mentre è impossibile che Egli fugga davanti ad esso, finendo con il
cadere nel nulla, il proprio contrario.[29] Citazioni «Caro C., non
possiamo proseguire la nostra via che attraverso lo straniero che ospitiamo - e
che chiamiamo 'nostro' Io. Questo è il vero volto dell'altro, del prossimo
ineludibile, appiccicato a noi come un incubo! Hospes / hostis,
necessariamente. 'Assicurarcelo' è impossibile.» (Massimo Cacciari, Della
cosa ultima, Adelphi, Mi, 2004, pag. 135) «Pietà afferra il poeta —
pericolosissima pietà, sul limite estremo della misericordia inordinata.»
(Massimo Cacciari, "Della cosa ultima", Adelphi, Mi, 2004, pag.
251) Opere Introduzione di Massimo Cacciari a Georg Simmel, Saggi di
estetica, Padova, 1970 Qualificazione e composizione di classe, in Contropiano
n. 2, 1970 Ciclo chimico e lotte operaie, con S. Potenza, in Contropiano, n. 2,
1971 Dopo l'autunno caldo: ristrutturazione e analisi di classe, Marsilio,
Padova, 1973 Pensiero negativo e razionalizzazione. Problemi e funzione della
critica del sistema dialettico, 1973 Metropolis, Roma, Officina, 1973 Piano
economico e composizione di classe, Feltrinelli, 1975 Lavoro, valorizzazione,
cervello sociale, in Aut Aut, n. 145-146, Milano, 1975 Note intorno a «sull'uso
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Milano, settembre - dicembre 1975 Oikos. Da Loos a Wittgenstein, con Francesco
Amendolagine, Roma, 1975 Krisis, Saggio sulla crisi del pensiero negativo da
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Honoris Causa in Architettura, conferita dall'Università degli Studi di Genova
nel 2003[31] - nastrino per uniforme ordinariaLaurea Honoris Causa in
Architettura, conferita dall'Università degli Studi di Genova nel 2003[31]
Laurea Honoris Causa in Scienze politiche, conferita dall'Università degli
Studi di Bucarest nel 2007 - nastrino per uniforme ordinariaLaurea Honoris
Causa in Scienze politiche, conferita dall'Università degli Studi di Bucarest
nel 2007 Laurea Honoris Causa in Filologia, Letteratura e Tradizione Classica,
conferita dall'Alma Mater Studiorum - Università di Bologna nel 2014 - nastrino
per uniforme ordinariaLaurea Honoris Causa in Filologia, Letteratura e
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Cacciari Recensione di Geofilosofia dell'Europa, su ItaliaLibri Recensione di
Hamletica, a cura di Andrea Fiamma Recensione di Il potere che frena, a cura di
Andrea Fiamma Traduzione francese in versione integrale e gratuita di un libro
inedito in italiano: Drân. Méridiens de la décision dans la pensée
contemporaine (Drân. Meridiani della decisione nel pensiero contemporaneo) I.
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Editrice, Napoli-Salerno, 2017. Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote
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MargheritaPolitici del Partito Comunista ItalianoPolitici del Partito Democratico
(Italia)Professori dell'Università IUAV di VeneziaStudenti dell'Università
degli Studi di Padova[altre]. Refs.: Luigi Speranza, "Grice
e Cacciari," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia.
Cacciatore Giuseppe
Cacciatore Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Giuseppe Cacciatore (Salerno, 2 dicembre 1945) è un filosofo
italiano. Indice 1 Biografia
2 Bibliografia
3 Altri
progetti 4 Collegamenti
esterni Biografia Laureatosi in Filosofia presso l'Università degli studi di
Roma"La Sapienza" nel 1968, ha collaborato nei primi anni settanta in
qualità di assistente con Fulvio Tessitore nell'Università di Salerno, dove ha
anche avviato la sua carriera accademica. Dal 1981 è Ordinario di Storia della
Filosofia presso la Facoltà di Filosofia dell'Università degli Studi di Napoli
Federico II, di cui tra il 1990 e il 1995 è stato anche Presidente del Corso di
Laurea. Nel 1995, inoltre, diventa direttore del Centro di Studi Vichiani del
CNR di Napoli. Dal 2001 al 2007 è stato direttore del dipartimento di
filosofia "Antonio Aliotta" dell'Università federiciana. Ha
tenuto numerose conferenze presso le Università di Barcellona, Berlino, (Freie
Universität Berlin e Humboldt Universität), Bochum, Brema, Brno, Bruxelles,
Düsseldorf, Essen, Graz, Halle, Lipsia, Maracaibo, Monaco di Baviera, Parigi,
Potsdam, Valencia, Varsavia, Città del Messico (UNAM e UIC). È vicepresidente
del CdA e membro del comitato scientifico dell'Istituto di Studi Latinoamericani
(ISLA) di Pagani, del quale è diventato direttore a partire dal 2007. Nel 2007
è stato nominato socio corrispondente dell'Accademia nazionale dei Lincei. Dal
2013 è presidente della Società Salernitana di Storia Patria Nel 2013 è stato
insignito del premio nazionale “Frascati Filosofia”. È stato Presidente della
Società Italiana degli storici della filosofia dal 2010 al 2014. È dal 2014
coordinatore del dottorato di ricerca in Scienze filosofiche dell'Università di
Napoli “Federico II”. A partire dal 2015 è stato nominato rappresentante
dell'Università di Napoli “Federico II” nel comitato tecnico-scientifico del
Consorzio universitario Civiltà del Mediterraneo. Bibliografia Wilhelm
Dilthey e il metodo delle scienze storico-sociali, Istituto di Filosofia
dell'Università di Salerno, Salerno, 1972. Scienza e filosofia in Dilthey,
Voll. I e II, Napoli, Guida, 1976. Ragione e speranza nel marxismo. L'eredità
di Ernst Bloch, Bari, Dedalo, 1979. La sinistra socialista nel dopoguerra,
pref. di F. De Martino, Bari, Dedalo, 1979. Vita e forme della scienza storica.
Saggi sulla storiografia di Dilthey, Napoli, Morano, 1985. Storicismo
problematico e metodo critico, Napoli, Guida, 1993. La lancia di Odino. Teorie
e metodi della scienza storica tra Ottocento e Novecento, Milano, Guerini e
associati, 1994. La Quercia di Goethe. Note di viaggio dalla Germania, Soveria
Mannelli (CZ), Rubbettino, 1998. L'etica dello storicismo, Lecce, Milella,
2000. Metaphysik, Poesie und Geschichte. Über die Philosophie von Giambattista
Vico, Akademie Verlag, Berlino, 2002. Giordano Bruno e noi. Momenti della sua
fortuna tra 700 e 900, Edizioni Marte, Salerno, 2003. Cassirer interprete di
Kant e altri saggi, Siciliano Editore, Messina, 2005. Filosofia pratica e
filosofia civile nel pensiero di Benedetto Croce, Rubbettino, Soveria Mannelli
(CZ), 2005. Antonio Labriola in un altro secolo. Saggi, Rubbettino, Soveria
Mannelli (CZ), 2006. Saperi umani e consulenza filosofica, Meltemi Editore,
Roma, 2007. L'infinito nella storia. Saggi su Vico, con una postfazione di V.
Vitiello, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2009. Interculturalità, Tra
etica e politica (in coll. con G. D'ANNA), Carocci, Roma, 2010.
Interculturalità. Religione e teologia politica (in coll. con R. DIANA), Guida,
Napoli, 2010 A quattro mani. Saggi di filosofia e storia della filosofia (in
coll. con G. CANTILLO), a cura di M. Martirano Edizioni Marte, Salerno, 2010.
El búho y el cóndor. Ensayos en torno a la filosofía ispanoamericana, prólogo
de Antonio Scocozza, epilogo edición y traducción de Maria Lida Mollo,
Editorial Planeta Colombia, 2011. La vocazione dell'arciere. Prospettive
critiche sul pensiero di José Ortega y Gasset (in coll. con A. MASCOLO),
Bergamo, Moretti&Vitali, 2012. Sulla filosofia spagnola. Saggi e ricerche,
Bologna, Il Mulino, 2013. Problemi di filosofia della storia nell'età di Kant e
di Hegel. Filologia, critica, storia civile, Presentazione di F. Lomonaco,
Aracne, Roma, 2013. G.Cacciatore-G. D'Anna-R. Diana (a cura di), Mente, Corpo,
Filosofia pratica, Interculturalità, Mimesis, Milano-Udine, 2013, G.
Cacciatore-A.Giugliano, Dimensioni filosofiche e storiche
dell'interculturalità, Mimesis, Milano, 2014 Dallo storicismo allo storicismo,
Introduzione di F. Tessitore, a cura di G. Ciriello, G. D'Anna, A. Giugliano,
ETS, Pisa, 2015. In dialogo con Vico. Ricerche, note, discussioni, a cura di M.
Sanna, R. Diana e A. Mascolo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2015.
Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Giuseppe
Cacciatore Collegamenti esterni Accademia Nazionale dei Lincei, su lincei.it.
Centro di Studi Vichiani, su csv.cnr.it. URL consultato il 30 settembre 2008
(archiviato dall'url originale il 14 dicembre 2008). Istituto di Studi
LatinoAmericani di Pagani, su isla.it. Controllo di autorità VIAF (EN) 114594052 ·
ISNI (EN) 0000 0001 1798 3603 · SBN IT\ICCU\CFIV\014067 · LCCN (EN) n81139485 ·
GND (DE) 140889191 · BNF (FR) cb12150145w (data) · BNE (ES) XX1179778 (data) ·
BAV (EN) 495/79057 · WorldCat Identities (EN) lccn-n81139485 Biografie Portale
Biografie Filosofia Portale Filosofia Università Portale Università Categorie:
Filosofi italiani del XX secoloNati nel 1945Nati il 2 dicembreNati a
Salerno[altre]
cæteris paribus: Strawson and Wiggins: that the
principle holds ceteris paribus is a necessary condition for the very existence
of the activity in question. Central. Grice technically directs his attenetion
to this in his “Method”. There, he tries to introduce “WILLING” as a predicate,
i.e. a theoretical concept which is implicitly defined by the LAW in a THEORY
that it occurs. This theory is ‘psychology,’ but understood as a ‘folk
science.’ So the conditionals are ‘ceteris paribus.’ Schiffer and Cartwright
were aware of this. Especially Cartwright who attended seminars on this with
Grice on ‘as if.’ Schiffer was well aware of the topic via Loar and others.
Griceians who were trying to come up with a theory of content without relying
on semantic stuff would involve ‘caeteris paribus’ ‘laws.’ Grice in discussion
with Davidson comes to the same conclusion, hence his “A T C,’ all things
considered and prima facie. H. L. A. Hart, with his concept of ‘defeasibility’
relates. Vide Baker. And obviously those who regard ‘implicaturum’ as
nonmonotonic. Caeteris paribus -- Levinon “generalised implicaturum as by
default” default logic, a formal system for reasoning with defaults, developed
by Raymond Reiter in 0. Reiter’s defaults have the form ‘P:MQ1 , . . . ,
MQn/R’, read ‘If P is believed and Q1 . . . Qn are consistent with one’s
beliefs, then R may be believed’. Whether a proposition is consistent with
one’s beliefs depends on what defaults have already been applied. Given the
defaults P:MQ/Q and R:M-Q/-Q, and the facts P and R, applying the first default
yields Q while applying the second default yields -Q. So applying either
default blocks the other. Consequently, a default theory may have several
default extensions. Normal defaults having the form P:MQ/Q, useful for
representing simple cases of nonmonotonic reasoning, are inadequate for more
complex cases. Reiter produces a reasonably clean proof theory for normal
default theories and proves that every normal default theory has an
extension.
Caffarelli Lamberto Caffarelli
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Lamberto
Caffarelli (Faenza, 6 agosto 1880 – Faenza, 13 marzo 1963) è stato un
compositore, filosofo e poeta italiano di ispirazione antroposofica. Indice 1 Biografia
2 Archivio
3 Pensiero
4 Opere
(selezione) 4.1 Musica
4.2 Saggi
4.3 Opere
letterarie 5 Note
6 Bibliografia
7 Collegamenti
esterni Biografia Figlio di Colombo Caffarelli[1] e di Edvige Regoli, fu una
figura singolare nel panorama culturale faentino della prima metà del
Novecento. Dal 1891 al 1896 fu alunno del il seminario diocesano e
successivamente frequentò la Scuola di musica di Faenza ed il Liceo musicale di
Bologna, dove conseguì, nel 1902, il diploma di maestro in
composizione[2]. Fu direttore della
Scuola di musica dal 1921 al 1925 e autore dei poemi scenici
"Galeotus" (1920) e "Kisa Gotami" (1919). Gli anni tra la fine del secolo e lo scoppio
del primo conflitto mondiale furono, per Caffarelli, un periodo di intensa e
tormentata ricerca interiore, caratterizzata dall'allontanamento dalle credenze
religiose tradizionali; gli esiti mistico-esoterici della sua ricerca
accentuarono progressivamente il suo isolamento e la sua solitudine. In ambito
locale ebbe stretti rapporti con i cattolici "autonomisti" della Lega
democratica nazionale murriana e postmurriana, collaborando a diverse
iniziative pubblicistiche quali l'«Azione» di Giuseppe Donati ed Eligio
Cacciaguerra, la «Rivista bibliografica», «La Rivolta ideale». A 33 anni partecipa al concorso della Casa
Sonzogno di Milano per opere liriche da far rappresentare Teatro alla Scala con
un lavoro dal titolo Galeotus, " poema scenico in 4 azioni per la
musica"[3], grazie al quale acquisì una discreta fama presso il panorama
musicale italiano[4] Nel corso degli anni
venti si avvicina agli ideali antroposofici di Rudolf Steiner, diventando uno
dei primi e principali esponenti di questa corrente in Italia[5]. La sua piena
adesione alla dottrina steineriana trovò espressione ne "L'arte nel mondo
spirituale" (1925), vero e proprio manifesto di un'estetica antroposofica.
Di analoga ispirazione furono il poema musicale "Adonie" (1930) e il
dramma "Ikhunaton" (1933)
Molto attento alle rinnovazioni culturali della sua epoca, collaborò con
il compositore futurista Francesco Balilla Pratella[6][7], e partecipò alle
attività del cosiddetto Cenacolo Baccarini dove conobbe anche Dino Campana.
Attivo non solo come compositore, ma anche come organista, fra il 1900 e il
1921 fu organista presso la cattedrale di Faenza. Oltre alla sua attività
musicale si segnalano anche traduzioni dal tedesco e saggi filosofici. Volle
donare il suo archivio e la sua biblioteca alla Biblioteca Comunale Manfrediana
di Faenza che li conserva tuttora[8].
Archivio Il Comune di Faenza acquisì il fondo nel 1963, in seguito alla
morte di Caffarelli, il quale - privo di eredi - in vita aveva già espresso la
volontà di donare le sue carte e i suoi libri alla Biblioteca comunale. La loro
acquisizione completa avvenne anche grazie alla volontà dell'avvocato Domenico
Silvestrini (1898-1974), presidente dell'associazione faentina Amici dell'arte.
Testimonianze coeve parlano di "una decina fra bauli e casse pieni di
manoscritti che si trovano in un disordine impressionante". A tale
donazione si aggiunse anche il pianoforte utilizzato da Caffarelli, tuttora
conservato presso la biblioteca[9].
Pensiero Partendo dal pensiero musicale antroposofico proclamato da
Steiner, sviluppa un personale sistema armonico collegato con alcune istanze
della filosofia antroposofica, comprendente la tavolozza dei dodici suoni della
scala cromatica e che egli chiama sistema dodecamorfo,[10] secondo il quale la
musica deve divenire immagine e manifestazione visibile traendo le sue fonti in
una sfera spirituale. Così egli afferma nel saggio L'arte nel mondo spirituale,
pubblicato nel 1925: «La musica non sarà più una esteriore costruzione di
piacevoli temi, ma intrecci di suoni-forze, rapporti di suoni-forme, ricami di
suoni-movimenti-archetipi. Tenderà a crear forme espansive, delle quali il
nucleo germinale è suono archetipo.»
Così prosegue nel suo Saggio sull'Armonia sintetica: «In questo senso è
possibile considerare il ciclo eptafonico accordale come il generatore del
susseguente ciclo ultraeptafonico, precisamente come la gamma eptafonica
diatonica genera il ciclo cromatico, e perché l'analogia sia piena, come la
gamma diatonica di sette suoni ne genera altri cinque cromatici, così il ciclo
eptafonico accordale genera altri cinque accordi ultraeptafonici e cromatici,
che sono la sua completa espansione materiale. [...] L'accostamento che noi
facciamo di queste profonde parole al mondo armonico non è arbitrario e
fantastico, ma implicito nella natura stessa delle cose. E di nuova purissima
luce illumina il mondo armonico, e svela così nuovi rapporti e nuove
possibilità, che il mondo dei suoni ci appare essere un Sistema, come un
Universo di Suoni, che nella generazione e nella vita rispecchia fedelmente le
leggi cosmiche e le manifesta come Vita Sonora.» Opere (selezione) Musica Messa in Mib per cori
virili a tre voci ed organo (1910 ca.) Galeotus[11] (1913–1920) Silfo: commento
musicale per orchestra al poemetto in prosa di Arturo Onofri (1929) Le anime
orfane: canto per violoncello e pianoforte (1930) Triodia seconda (1933) Saggi
L' arte nel mondo spirituale: tre saggi come introduzione a una conoscenza
spirituale-cosmica dell'arte (Montanari, Faenza, 1925; ried. Il Capitello del
Sole, Bologna, 2013, con una Introduzione di Alessandro Sbardelli e il saggio
introduttivo "Lamberto Caffarelli. Una prospettiva di arte e di vita come ricerca
spirituale" di Giuseppe Fagnocchi) Saggio sull'Armonia Sintetica (Doppia
generazione delle armonie) (s.d.) Studi sull'Armonia. L'armonia come
espressione vocale e strumentale, tra il 1910 ed il 1930 (manoscritto
conservato presso la Biblioteca Manfrediana di Faenza) Disegno storico sulla
evoluzione della Sonata (s.d.) Il segreto spirituale di Boito, tra il 1910 ed
il 1930 (manoscritto conservato presso la Biblioteca Manfrediana di Faenza) Da
Wagner a Debussy tra il 1920 ed il 1930 (manoscritto conservato presso la
Biblioteca Manfrediana di Faenza) Rudolf Steiner e gli orizzonti esoterici
dell'arte, (dattiloscritto conservato presso la Biblioteca Manfrediana di
Faenza) Beethoven e la Gioia (in "I nostri quaderni", Carabba,
Lanciano, 1927) Opere letterarie Prose e poesie inedite, a cura di Giovanni
Cattani, Lega, Faenza, 1982 Note ^ Caffarelli Lamberto, su SIUSA Sistema
Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. URL consultato il 10
settembre 2018. ^ Spada, Domenico, All'egregio maestro Lamberto Caffarelli che
il giorno 19 maggio 1902 veniva laureato in musica nel Liceo Rossini di Bologna
alcuni amici oo. Le armonie dell'universo / canonico prof. don Domenico Spada,
Faenza, tipolitografia Montanari,, [1902]. ^ Caffarelli, Lamberto, Galeotus : poema
scenico in 4 azioni per la musica / di Lamberto Caffarelli ; ornato dalle
xilografie di G. Malmerendi, Faenza, Lega, stampa 1920. ^ Gianfranco De Turris,
Esoterismo e fascismo: storia, interpretazioni, documenti, Edizioni
Mediterranee, 2006, ISBN 978-88-272-1831-0. URL consultato il 10 settembre
2018. ^ CESNUR. Center for Studies on New Religions, su cesnur.org. URL
consultato il 10 settembre 2018. ^ Roberto Zanetti, La musica italiana nel
Novecento, Bramante, 1985. URL consultato il 10 settembre 2018. ^ Ennio Grassi,
Romagna futurista, Maggioli, 1986. URL consultato il 10 settembre 2018. ^
Silvia Fanti, «Il Fondo Caffarelli della Biblioteca Manfrediana». In: Giuseppe
Fagnocchi (a cura di), Lamberto Caffarelli, poeta pensatore musicista faentino,
Faenza, Mobydick, 2013., pp. 367 e segg. ^ Fondo Caffarelli Lamberto, su SIUSA
Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. URL
consultato il 10 settembre 2018. ^ Documento per la commemorazione dei 50 anni
dalla scomparsa del Caffarelli, a cura di Giuseppe Fagnocchi - Pro Loco Faenza
^ Biblioteca digitale faentina. Fondi, Caffarelli Lamberto, su
manfrediana.comune.faenza.ra.it. Bibliografia M. Beraldo, Il movimento
antroposofico italiano durante il regime fascista, in Esoterismo e Fascismo. Storia,
interpretazioni, documenti, a cura di Gianfranco de Turris, Edizioni
Mediterranee, Roma 2006 A. Casanova, Lamberto Caffarelli, vita, catalogo delle
opere, scritti, bibliografia, Stab. Grafico F.lli Lega, Faenza 1964 Giovanni
Cattani, Lamberto Caffarelli e i suoi inediti, in “Torricelliana”, n.25, 1974
Giuseppe Fagnocchi (a cura di), Lamberto Caffarelli, poeta pensatore musicista
faentino, Mobydick, Faenza 2013. ISBN 9788881785087 E. Golfieri, Lamberto
Caffarelli. Un enigma esistenziale, in “Torricelliana”, bollettino della
Società torricelliana di scienze e letteratura, n.41, Faenza 1990 E. Grassi,
Romagna Futurista, Maggioli 1986 R. Savini, I faentini dello stradario, Faenza
1986 Collegamenti esterni Lamberto Caffarelli, su siusa.archivi.beniculturali.it,
Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Modifica su
Wikidata (EN) Opere di Lamberto Caffarelli, su Open Library, Internet Archive.
Modifica su Wikidata (DE) Notizie su goetheanum.org (PDF), su goetheanum.org.
Biblioteca digitale faentina, Fondo Lamberto Caffarelli Composizioni musicali
di Lamberto Caffarelli su Scoprirete, Rete Bibliotecaria di Romagna e San
Marino V · D · M Antroposofia Controllo di autorità VIAF (EN) 4089190 · ISNI (EN)
0000 0000 3977 9278 · LCCN (EN) n90624900 · GND (DE) 1044269197 · WorldCat
Identities (EN) lccn-n90624900 Biografie Portale Biografie Musica Portale
Musica Categorie: Compositori italiani del XX secoloFilosofi italiani del XX
secoloPoeti italiani del XX secoloNati nel 1880Morti nel 1963Nati il 6
agostoMorti il 13 marzoNati a FaenzaMorti a FaenzaAntroposofi italiani[altre]
Caffi Andrea Caffi Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Andrea Caffi
(San Pietroburgo, 1º maggio 1887 – Parigi, 22 luglio 1955) è stato un filosofo,
politico e giornalista italiano.
Intellettuale poliedrico e ribelle, fu sodale di figure di primo piano
del panorama del Novecento europeo, quali Albert Camus, Carlo Rosselli e Nicola
Chiaromonte. Indice 1 Biografia 2 Pensiero 3 Opere
4 Note
5 Bibliografia
6 Collegamenti
esterni Biografia Nacque a San Pietroburgo, in una famiglia italiana: il padre,
Giovanni Caffi, era emigrato da Belluno in Russia, dove lavorava come
costumista ai Teatri Imperiali; la madre, Emilia Carlini, è una figura di cui i
biografi non sono riusciti a ricostruire con precisione le origini, ma si
ipotizza che fosse nata in Francia da emigrati italiani. Già da adolescente, liceale alla scuola
Internazionale di San Pietroburgo, Andrea Caffi si avvicinò alle idee
socialiste e al movimento operaio. In questo periodo giovanile affiancò agli
studi e al confronto dialettico l'esperienza diretta che gli fece conoscere da
vicino le condizioni di sfruttamento dei lavoratori e dei contadini nella
Russia zarista. Partecipò alla Rivoluzione russa del 1905, che esplose proprio
nella sua città, fu arrestato e condannato a tre anni di reclusione. Uscirà di
galera con un anno di anticipo, grazie all'intercessione delle autorità
consolari italiane, e prenderà la via dell'esilio in Germania. Trascorsi alcuni
anni a Berlino, dove svolse anche studi universitari in filosofia, si trasferì
a Firenze e poi a Parigi, in un contesto internazionale che di lì a poco
sarebbe stato segnato dall'esplosione della Prima guerra mondiale, vista da
Caffi come uno scontro fra potenze portatrici di idee progressiste e il
conservatorismo dell'area germanica. Dapprima volontario nell'esercito francese
e poi arruolato in quello italiano, rimase ferito due volte, la seconda proprio
sul fronte dolomitico bellunese, nella zona da cui proveniva suo padre, e
infine fu assegnato al servizio di comunicazione e propaganda. Dopo la guerra, mentre allacciava relazioni
nel mondo culturale italiano, decise di tornare in Russia dove collaborò con i
suoi vecchi compagni socialisti libertari dei quali condivideva anche la
condanna indirizzata ai metodi bolscevichi, ritenuti autoritari e violenti. In
seguito a questa attività politica critica nei riguardi della Rivoluzione
d'ottobre, Caffi fu arrestato: dopo le carceri zariste conobbe dunque quelle
leniniste. Uscito di prigione, rimase un altro periodo a Mosca, prima di
rientrare in Italia, nel 1923, dove collaborò con alcune riviste dell'area
socialista[1]. Nel 1926 il degenerare della situazione politica, con l'imporsi
della dittatura fascista, costrinse Caffi a fuggire in Francia, a Versailles e
poi a Parigi dove si guadagnò umilmente da vivere prevalentemente lavorando
come traduttore e redattore per alcune case editrici. In questo periodo
intensificò i rapporti con l'antifascismo in esilio avvicinandosi in
particolare al gruppo di Giustizia e Libertà, con il quale peraltro entrò
rapidamente in conflitto contestandone la prassi politica. Caffi aveva via via
consolidato una visione marcatamente pacifista e nonviolenta, professando un'idea
di democrazia socialista e libertaria nella quale i mezzi non possono
contrastare con i fini (da qui la condanna dell'autoritarismo sovietico e del
fallimento sostanziale della democrazia occidentale). Nel 1940 si trasferì a
Tolosa dove fu tra gli animatori della resistenza antinazista, in stretto
collegamento con le comunità di emigrati e esiliati italiani. Nel 1948 tornò a Parigi, dove lavorò per le
edizioni Gallimard e fu come sempre una figura attiva nel dibattito politico e
intellettuale dell'epoca. Fu sepolto
presso il Cimitero del Père-Lachaise a Parigi.
Pensiero Il suo attivismo ne segnò l'intera esistenza da cosmopolita,
sotto forma di dialoghi conviviali, di lettere e articoli sulla stampa, di
rapporti epistolari. Si formò "non
tanto sulla lettura dei classici, quanto dal contatto diretto con i problemi
delle classi subalterne e dalla fascinazione giovanile esercitata dalle
tendenze nichiliste di cui era permeata una certa intelligencija russa. Risultò
inoltre fondamentale per la formazione del pensiero politico il sentimento di
“filia” verso il genere umano, e come su questo concetto di naturale empatia
che lega le esistenze umane Caffi puntasse per un definitivo superamento dello
Stato e delle sue logiche gerarchiche e di dominio"[2]. Nel suo intenso girovagare per l'Europa,
nella sua attenzione all'attualità sociale e politica e nel tempo dedicato alle
relazioni interpersonali risiede probabilmente la spiegazione della scarsa
produzione letteraria lasciata da Caffi, il cui pensiero è più facilmente
deducibile dalla mole di articoli in riviste e di corrispondenza con altri
intellettuali che non da grandi opere scritte in modo strutturato. Opere Critica della violenza, con prefazione
di Nicola Chiaromonte, Bompiani, Milano, 1966 (nuova edizione con prefazione di
Nicola Chiaromonte e postfazione di Alberto Castelli, Roma, Castelvecchi,
2018). Critica della violenza, con prefazione di Nicola Chiaromonte, e/o, Roma,
1995 Appunti su Mazzini, in A. Castelli (a cura di), L'Unità d'Italia. Pro e
contro il Risorgimento, edizioni e/o, Roma, 1997 (seconda edizione Roma, e/o,
2011) Note ^ Nicola Del Corno, Il socievole eremita, Mondoperaio, 10/2014:
"aveva iniziato a scrivere di politica su riviste antifasciste, e più
precisamente sul Quarto Stato di Carlo Rosselli e di Pietro Nenni, e su Volontà
di Roberto Marvasi e Vincenzo Torraca. Su questa rivista pubblicò le famose
Cronache di dieci giornate a proposito dell'assassinio di Matteotti". ^
Nicola Del Corno, Il socievole eremita, Mondoperaio, 10/2014, p. 47.
Bibliografia Gino Bianco, Scritti politici di Andrea Caffi, Firenze, La Nuova
Italia, 1970 Gino Bianco, Un socialista "irregolare": Andrea Caffi
intellettuale e politico d'avanguardia, Cosenza, Edistampa Lerici, 1977. ISBN
88-87280-18-5 Lamberto Borghi, Società e nonviolenza nel pensiero di Andrea
Caffi, in «Linea d'ombra», n. 93, 1994 Giampiero Landi (a cura di), Andrea
Caffi: un socialista libertario : atti del convegno di Bologna, 7 novembre 1993
/ G. Armani ... [et al.] ; introduzione di Gino Bianco, Pisa, BFS, 1996.
Alberto Castelli, Andrea Caffi e la rivoluzione delle coscienze, in Eretici e
dissidenti. Nuovi protagonisti del XIX e XX secolo tra politica e cultura, a
cura di G. Angelini e A. Colombo, Milano, Franco Angeli, 2006. Alberto Castelli,
Socievolezza e amicizia nel pensiero di Andrea Caffi, in De amicitia. Scritti
dedicati a Arturo Colombo, a cura di G. Angelini e M. Tesoro, Milano, Franco
Angeli, 2007, pp. 172–181. Marco Bresciani, La rivoluzione perduta : Andrea
Caffi nell'Europa del Novecento, Bologna, Il Mulino, 2009. Alberto Castelli,
Andrea Caffi. Socialismo e critica della violenza, in L'altro Novecento.
Comunismo eretico e pensiero critico, a cura di P.P. Poggio, Milano, Jaca Book,
2010, pp. 393–408. Alberto Castelli (a cura di), H. Arendt, A. Caffi, P.
Goodman, D. Macdonald, "politics" e il nuovo socialismo. Per una
critica radicale del marxismo, Genova-Milano, Marietti 1820, 2012. Marco
Bresciani (a cura di),Cosa sperare? Il carteggio tra Andrea Caffi e Nicola
Chiaromonte: un dialogo sulla rivoluzione (1932-1955), Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 2012. Collegamenti esterni Andrea Caffi sezione
biografica nel sito della rivista Una città. Fondo Andrea Caffi, Biblioteca
Gino Bianco Andrea Caffi, Quaderni di appunti digitalizzati dalla Biblioteca
Gino Bianco Controllo di autorità VIAF
(EN) 24730782 · ISNI (EN) 0000 0000 6155 9300 · SBN IT\ICCU\RAVV\009975 · LCCN
(EN) nr97017413 · GND (DE) 119552817 · BNF (FR) cb12866578t (data) · WorldCat
Identities (EN) lccn-nr97017413 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale
Filosofia Politica Portale Politica Categorie: Filosofi italiani del XX
secoloPolitici italiani del XX secoloGiornalisti italiani del XX secoloNati nel
1887Morti nel 1955Nati il 1º maggioMorti il 22 luglioNati a San
PietroburgoMorti a ParigiAntifascisti italiani[altre]
Caffo Leonardo
Caffo Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Leonardo Caffo Leonardo Caffo (Catania, 22 novembre 1988) è un
filosofo e saggista italiano. Indice 1 Biografia 2 Opere
2.1 In
collaborazione con altri 3 Premi 4 Note 5 Voci correlate 6 Altri progetti 7
Collegamenti esterni Biografia Si è laureato in filosofia alla Università degli
Studi di Milano e ha conseguito il dottorato, sempre in Filosofia, presso l’Università
degli Studi di Torino dove, sotto la guida di Maurizio Ferraris, ha poi anche
lavorato al Laboratorio di Ontologia diretto da Tiziana Andina[1]. È noto
soprattutto per le sue teoria sugli Animal Studies, il postumano
contemporaneo[2], e l’antispecismo (“debole” nella sua versione), per cui è
stato anche criticato da alcuni media[3][4]. Ne La vita di ogni giorno (edito
da Einaudi nel 2016) si è invece occupato di filosofia in senso più ampio e
divulgativo proponendo una "alternativa filosofia"[5]. In Fragile
umanità. Il postumano contemporaneo (Einaudi, 2017)[6], "si interroga su
quale possa essere il nuovo paradigma di vita destinato a sostituire l'Homo
Sapiens"[7]. Dal 2017 insegna Ontologia presso la Facoltà di Architettura
del Politecnico di Torino[8]; insegna anche alla Nuova Accademia di Belle Arti
di Milano, alla Scuola Holden e al Made Program della Accademia di Belle Arti
Rosario Gagliardi a Siracusa[9]. È collaboratore de La Lettura, scrive
saltuariamente anche sulle pagine culturali de La Sicilia, L'Espresso, il
manifesto e il Corriere della Sera. Ha un blog su The Huffington Post[10].
Dirige la rivista Animot: l’altra filosofia ed è opinionista di varie
trasmissioni televisive, come Tagadà[11] o Porta a Porta. [12] Per le sue
posizioni antispeciste, interviene spesso su reti televisive e radiofoniche
italiane e straniere[13][14][15], oltre che in festival culturali[16][17]. La
sua teoria dell'antispecismo debole è dibattuta nella stampa specializzata[18].
Ha pubblicato le sue ricerche su riviste filosofiche quali The Monist, Journal
of Animal Ethics, Domus, Rivista di Estetica[1]. È stato definito da Maurizio
Ferraris «il più promettente, versatile e originale tra i giovani filosofi
italiani»[19]. A Milano ha co-fondato il caffè letterario Walden[20]. Nel 2018
è entrato a far parte, appoggiandone il progetto, nell'Advisory Panel italiano
di Diem25. Nel febbraio 2019, conduce assieme a Margherita D'Amico un programma
radiofonico su Rai Radio 3, intitolato "L'umanità e altri animali"[21].
Ha partecipato come speaker alla edizione 2019 del FestivalFilosofia di Modena
con una lectio sull'antropocentrismo e le "persone non umane". È
co-curatore del Public Program 2020 della Triennale di Milano[22]. Opere
Soltanto per loro, Roma, Aracne, 2011, ISBN 978-88-548-4510-7. Azioni e natura
umana, Rimini, Fara, 2011, ISBN 9788897441069. La possibilità di cambiare,
Milano-Udine, Mimesis, 2012, ISBN 978-88-575-1108-5. Flatus Vocis, Novalogos,
Aprilia, 2012, ISBN 978-88-9733-907-6. Adesso l'animalità, Perugia, Graphe.it,
2013, ISBN 978-88-97010-45-6. Il maiale non fa la rivoluzione, Casale
Monferrato, Sonda, 2013, ISBN 978-88-7106-701-8. Margini dell’umanità,
illustrazioni di Tiziana Pers, Milano-Udine, Mimesis, 2014, ISBN
978-88-575-2137-4. Il bosco interiore, Casale Monferrato, Sonda, 2015, ISBN
978-88-7106-767-4. Del destino umano. Nietzsche e i quattro errori
dell'umanità, Prato, Piano B, 2016, ISBN 978-88-99271-80-0. La vita di ogni
giorno, Torino, Einaudi, 2016, ISBN 978-88-06-23129-3. Fragile Umanità. Il postumano
contemporaneo, Torino, Einaudi, 2017, ISBN 978-88-06231-11-8. "28 anni. O
della filosofia giovanile", in H. D. Thoreau, La Disobbedienza Civile,
Einaudi, Torino 2018, ISBN 97888806236861, pp. V-XIII. Vegan. Un manifesto
filosofico, Torino, Einaudi, 2018, ISBN 9788806235628. Il cane e il filosofo.
Lezioni di vita dal mondo animale, Milano, Mondadori, 2020, ISBN 9788804723226.
Dopo il COVID 19. Punti per una discussione, Milano, Nottetempo, 2020, ISBN
9788874528394. Quattro Capanne. O della semplicità, Milano, Nottetempo, 2020,
ISBN 9788874528066. In collaborazione con altri Leonardo Caffo e Valentina
Sonzogni, Un'arte per l'altro. L'animale nella filosofia e nell'arte, Firenze,
goWare, 2013, ISBN 9788867971244. Edizione cartacea: Graphe.it, Perugia 2014 -
ISBN 978-88-97010-61-6; (EN) An Art for the Other. Animals in Art and
Philosophy, Lantern Books, New York 2015 - ISBN 978-15-9056-489-9; (FR) Un art
pour l’autre. L’animal dans la philosophie et dans l’art, Harmattan, Parigi
2015 – ISBN 978-2-336-30725-1) Leonardo Caffo e Luca Taddio (a cura di),
Radicalmente liberi: A partire da Marco Pannella, Milano-Udine, Mimesis, 2014,
ISBN 978-88-5752-325-5 Leonardo Caffo e Roberto Marchesini, Così parlò il
postumano, a cura di. E. Adorni, Aprilia, Novalogos, 2014, ISBN
978-88-97339-31-1. Leonardo Caffo e Felice Cimatti (a cura di), A come Animale,
Milano, Bompiani, 2015, ISBN 978-88-452-7857-0. Leonardo Caffo e Melanie Joy,
Manifesto per gli animali, Roma-Bari, Laterza, 2018, ISBN 9788858133538.
Leonardo Caffo e Azzurra Muzzonigro, Costruire Futuri. Migrazioni, città,
immaginazioni, Milano, Bompiani, 2018, ISBN 978-88-45295-78-2 Leonardo Caffo e
Valentina Sonzogni, A partire da Tiziano Terzani, con prefazione di Angela
Terzani, Pordenone, Safarà, 2019, ISBN 9788897561859. Leonardo Caffo e Franco
La Cecla, Intromettersi, Elèuthera, Milano, 2020, ISBN 9788833020747. Premi
Premio Nazionale Frascati Filosofia: 2015 (miglior esordiente)[23] Note (EN)
Leonardo Caffo, su Laboratorio di Ontologia, Dipartimento di Filosofia dell'Università
degli Studi di Torino. URL consultato il 7 febbraio 2017. ^ Elena Tabano parla
del postumano contemporaneo di Caffo sul Corriere della Sera (JPG), su
waitingposthuman.files.wordpress.com. ^ Maurizio Crippa, I vegani non sono
hooligans, sono i temibili filosofi anti-umani del futuro, in Il Foglio, 12
aprile 2016. URL consultato il 7 febbraio 2017. ^ La fantafilosofia di Leonardo
Caffo vuole togliere all'uomo ciò che lo rende tale | il Foglio, su
ilfoglio.it. ^ Daniela Monti, L’ecologia vale più della metafisica. Ecco il
nuovo orizzonte filosofico, in Corriere della Sera, 30 agosto 2016. URL
consultato il 7 febbraio 2017. ^ Leonardo Caffo, info, su einaudi.it. ^
Disperanza, in bilico tra disperazione e speranza, su treccani.it. ^
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^ http://madeprogram.it/#about ^ Leonardo Caffo, The Huffington Post. URL
consultato il 7 febbraio 2017. ^ Tagadà: Puntata del 25 ottobre 2016, 25
ottobre 2016. URL consultato il 7 febbraio 2017. ^ bit.ly/pasquavegan ^ Quante
storie, su raiplay.it. ^ Leonardo Caffo al microfono di Andrea Fazioli, su
rsi.ch. ^ TG5, su mediasetplay.mediaset.it. ^ Festival for the Earth, su
festivalfortheearth.com. ^ Leonardo Caffo, su festivaletteratura.it. ^ Rassegna
stampa Antispecismo debole, su gallinaeinfabula.com. ^ Rai Cultura Filosofia,
http://www.filosofia.rai.it/articoli/caffo-il-maiale-non-fa-la-rivoluzione/22120/default.aspx.
URL consultato il 2 marzo 2017. ^ Nasce a Milano il bistrot letterario Walden |
Artribune, su artribune.com. ^ L'umanità e altri animali, su raiplayradio.it. ^
Public Program 2020, su triennale.org. ^ Premio Nazionale Frascati Filosofia -
Albo d'oro, Premio Nazionale Frascati. URL consultato il 7 febbraio 2017. Voci
correlate Antispecismo Felice Cimatti Postumanesimo Peter Singer Altri progetti
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completa, su sites.google.com. Leonardo Caffo: superare l'antropocentrismo, su
raiscuola.rai.it. Leonardo Caffo e il mondo animale, su raiplay.it. Leonardo
Caffo: A come animale, su raicultura.it. Controllo di autorità VIAF (EN)
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Categorie: Filosofi italiani del XXI secoloSaggisti italiani del XXI secoloNati
nel 1988Nati il 22 novembreNati a CataniaAccademici italiani del XXI
secoloDirettori di periodici italianiProfessori del Politecnico di
TorinoSostenitori del vegetarianismoStudenti dell'Università degli Studi di
MilanoStudenti dell'Università degli Studi di Torino[altre]
Calboli Francesco Paulucci
di Calboli Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Exercitatio philosophica, 1771
Francesco Giuseppe Paulucci di Calboli (... – XVIII secolo) è stato un filosofo
italiano. Opere Francesco Paulucci di Calboli,
Exercitatio philosophica, Romae, Giovanni Zempel, 1771. URL consultato il 12
luglio 2015. Controllo di autorità VIAF
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Categorie: Filosofi italiani del XVIII secoloMorti nel XVIII secolo[altre]
Calderoni -- Mario
Calderoni Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Mario Calderoni (Ferrara, 30 giugno 1879 – Imola, 14 dicembre 1914) è stato un
filosofo italiano. Fu un teorico del diritto italiano (pragmatismo analitico
italiano). Indice 1 Biografia
2 Posizioni
filosofiche 3 Posizioni
giusfilosofiche 4 Bibliografia
5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Questa voce è da wikificare Questa voce o sezione
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suggerimenti del progetto di riferimento. Mario Calderoni nasce a Ferrara nel
1879. Fino alle scuole secondarie studia a Firenze e si laurea nel 1901 in
Diritto, all'Università di Pisa, con la tesi I Postulati della Scienza Positiva
ed il Diritto Penale; collabora alle riviste Il Regno e Leonardo, su cui scrive
una serie di articoli, in autonomia o in collaborazione col maestro Giovanni
Vailati. Presenta comunicazioni in diversi Congressi internazionali: Monaco
(1896), Parigi (1900) e Ginevra (1904); mantiene contatti e scambi culturali
con intellettuali di notorietà mondiale: D. Halévy, Boutroux, Russell,
Couturat, Brentano, Ferrari, Pikler, Mosca, Pareto, Croce, Juvalta, C.S. Peirce
e molti altri. Nel 1906 scrive il volumetto Disarmonie economiche e disarmonie
morali; successivamente, nel 1909, ottiene una libera docenza in Filosofia
Morale all'Università di Bologna, dove con l'anno accademico 1912/13 tiene un
corso sul pragmatismo dal titolo Teoria Generale dei valori. Tra il 1909 ed il
1910 scrive - in collaborazione con Giovanni Vailati- il volume Il Pragmatismo,
raccolta di tre articoli introdotti nella Rivista di Psicologia applicata (Le
origini e l'idea fondamentale del Pragmatismo; Il Pragmatismo ed i vari modi di
non dir niente; L'arbitrario nel funzionamento della vita psichica), che uscirà
nel 1918. Morto il maestro Vailati nel 1909, col 1914 Calderoni, trascorsa
l'estate a Rimini a curare i sintomi d'una bruttissima depressione, ritorna a
Firenze, dove inizia nuovamente il corso universitario su Teoria Generale dei
valori all'Istituto di Studi Superiori, senza riuscire a terminarlo, dal
momento che, a causa di un aggravamento repentino dell'esaurimento mentale,
abbandona la docenza. Muore a soli 35 anni in una casa di salute ad Imola, il
14 dicembre del 1914. Posizioni filosofiche Mario Calderoni mette sotto
analisi e in correlazione senso comune e scienza attraverso lo strumento
meta-discorsivo della filosofia, intendendo costruire conoscenza e scienza coi
mattoni della teoria della mente, e usando come riferimenti culturali analisi
brentaniana di stati mentali e teoria dinamico-funzionale della mente di James
e di Pikler [articoli di riferimento sono due: è con La Previsione nella teoria
della conoscenza, del 1907, che Calderoni intende analizzare condizioni di
verità e condizioni di validità della conoscenza, sia discernendo enunciazioni
sensate da non-sensi sia indicando un metodo di verificazione, nell'istanza
verificazionista di illustrare a fondo i meccanismi della conoscenza
(verificazione e verità), oltre all'obiettivo – come accade anche nel Peirce-
di avvicinare teoria della conoscenza e semantica dei discorsi (verità e
senso); ed è col successivo articolo L'arbitrario nel funzionamento della vita
psichica che Calderoni, accettata l'eredità vailatiana, intende mostrare
l'esistenza di una stretta connessione tra attività conoscitive dell'uomo
comune ed attività conoscitive dello scienziato, accostando tale articolo
teoria della mente e teoria della scienza]. La lettura sinottica dei due testi
conduce a riconoscere nel nostro autore la tendenza a costruire una teoria della
mente caratterizzata da riferimenti costanti alla teoria della conoscenza e
alla teoria della scienza. Precorrendo semiotica moderna e
verificazionismo schlickiano, costui – sulla scia di una certa tradizione
continentale e americana indicata dal maestro Vailati- riconosce nei discorsi
umani un trait d'union irresistibile tra senso e verità, e ri-definisce la
norma di Peirce come norma di senso e norma di verificazione [articoli di
riferimento sono due: col breve Il senso dei non sensi, del 1905, Calderoni
intende esaminare cosa sia senso di una enunciazione e se esista un unico
criterio idoneo a differenziare enunciazioni sensate da non-sensi o a costruire
un concreto metodo di verificazione, unendo all'istanza semantica di attribuire
un senso ai vari modelli di mezzo comunicativo inter-individuale il sincero
desiderio analitico di rinvenire rimedi sicuri contro l'indeterminatezza
naturale di termini, enunciazioni e discorsi umani, ed essendo cassa di
risonanza all'obiezione contestualistica vailatiana contro l'atomismo semiotico
dominante; nel successivo articolo Il Pragmatismo e i vari modi di non dir
niente – totalmente debitore alla Prolusione vailatiana al corso di Storia
della meccanica Alcune osservazioni sulle questioni di parole nella storia della
scienza e della cultura - il nostro autore mostra di essere abile
concretizzatore dell'eredità vailatiana tentando di mettere in stretta
combinazione intuizione dell'artificialità dei discorsi umani e nozione di
analisi semantica come “rimedio” all'indeterminatezza dei mezzi di
comunicazione. La lettura sinottica dei due testi conduce a riconoscere in
Calderoni tendenze a costruire una teoria dei discorsi umani caratterizzata da
riferimenti a convenzionalismo e contestualismo, a rifiutare derive “essenzialistiche”
nell'uso di termini ed enunciazioni e a sottolineare la valenza farmaceutica
dell'analisi semantica. Posizioni giusfilosofiche L'etica, nella sua
dimensione totale, è tematica centrale nella riflessione culturale
calderoniana, introducendo costui una modalità rivoluzionaria di considerare
tale materia; nel nostro autore – e in altri autori d'ambiente simile come
Juvalta e Limentani - la tradizionale distinzione tra etica normativa ed etica
descrittiva è considerata insufficiente. Calderoni si mostra sostenitore di un
orientamento innovativo in merito al discorso sullo statuto dell'etica: se
l'etica normativa domina l'intero corso della storia dell'etica umana, il
riconoscimento della valenza descrittiva dell'etica è ricorrenza teoretica
dell'intero ottocento, avendo effetto sulla cultura ottocentesca la tendenza
rinascimentale a considerare l'etica come una scienza. L'Ottocento
concretizza antecedenti tendenze ad estendere all'ambito dell'etica i metodi
delle scienze naturali e delle scienze sociali. Questa intuizione e il
riconoscimento della centralità dell'analisi conducono Calderoni ad introdurre
e sostenere un nuovo modello di statuto dell'etica: etica è una scienza
costituita dai tre rami della meta-etica, dell'etica descrittiva e dell'etica
normativa. Più che al discorso meta-etico, la narrazione di Calderoni si
orienta verso l'etica descrittiva e normativa; in merito alla meta-etica non
esiste un discorso diretto dei nostri due autori, laddove invece etica
descrittiva e etica normativa sono esaminate con riferimenti diretti ed
attraverso articoli mirati [articoli a cui si rinvia - senza tener conto della
tesi di laurea I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale dove è
comunicata una visione immatura e non ancora coerente dell'etica- sono: con Du
role de l'évidence en morale, del 1904, Calderoni introduce una coerente
critica dell'etica normativa tradizionale mettendo sotto esame utilitarismo e
kantismo etici, e con l'articolo successivo De l'utilité “marginale” dans les
questions d'etìque, del 1904, introduce un tentativo di indicare un'etica
descrittiva che si serva dello strumentario dell'economia; tali tentativi si
concretizzano nello scritto Disarmonie economiche e disarmonie morali,
contenente estesi accenni a tutti i rami della nuova scienza e mirando ad
estendere in maniera definitiva all'etica lo strumentario della recente scienza
economica; in L'imperativo categorico, del 1906, c'è la reazione calderoniana a
neokantismo etico e ad un articolo di Croce in cui si recensiva, con molte
riserve, Disarmonie; con i brevi La filosofia dei valori, del 1910, ed Il
filosofo di fronte alla vita morale, del 1911, ci si limita a riassumere
tematiche e discussioni antecedenti, introducendo chiarimenti ed attuando
delucidazioni]. La lettura sinottica dei testi di Calderoni e Vailati mi
conduce ad indicare l'esistenza di tre aree tematiche essenziali: a] un
discorso sulle funzioni e sullo statuto dell'etica (meta-teoria etica), b] un
dibattito sul senso di termini, enunciazioni e discorsi morali e c] una
discussione su funzionamento effettivo ed ideale di un sistema morale (etica
descrittiva e normativa); Calderoni si chiede cosa sia l'etica, che senso
abbiano i suoi discorsi e che modello di normatività essa abbia, e si domanda
come descrivere in maniera esauriente i cosiddetti mercati etici o come
massimizzare l'incidenza dello scienziato della morale nella modificazione
delle scelte sociali. Più che Vailati, è Calderoni ad estrinsecare
l'«atteggiamento» giuridico del Pragmatismo italiano, nella sua riflessione
ius-criminalistica sulle nozioni di volizione, libertà e responsabilità. La
discussione in merito alle relazioni tra volizione e diritto è fervente
all'interno della cultura italiana dell'Ottocento: secondo Scuola Classica del
diritto criminale volizione umana è base del momento d'attribuzione della
sanzione, in connessione al “libero arbitrio”; secondo Scuola Positiva del
diritto criminale è necessario sconnettere tale nozione dal concetto di “libero
arbitrio”, non esistendo azioni incausate (scevre da coazione) e cadendo
volizione insieme a “libero arbitrio”. Calderoni affronta il dilemma della
volizione (distinzione tra atti volontari e involontari) all'interno del suo
cammino di chiarimento e ridiscussione dei termini di discorso ordinario e
discorsi tecnici, stimolato da alcune antecedenti intuizioni del maestro
Vailati; e analizza tale dilemma in due diversi momenti della vita, nella tesi
di laurea I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, del 1901, e
sia nell'articolo leonardiano Credenza e volontà. Intorno alla distinzione fra
atti volontari ed involontari, del 1905, sia in un successivo contributo su
altra rivista La volontarietà degli atti e la sua importanza sociale, del
1907]. La tesi di laurea di Mario Calderoni introduce un'analisi culturale
ricchissima di riferimenti al diritto e immersa nello scenario storico del
conflitto ottocentesco tra determinismi ed indeterminismi. Il dibattito tra
scuola classica italiana (classici) e Positivisti sulle condizioni teoretiche
del diritto criminale evidenzia il tentativo «conciliazionista» calderoniano di
mediare tra due diversi modi di intendere libertà, sanzione e metodo
scientifico, ricorrendo ad un uso attento della ri-definizione tanto caro a
Vailati e all'intera analitica novecentesca. Pescando dalla metodica analitica
lo strumento della ri-definizione – mutuato dal maestro Vailati e riassunto con
estrema abilità nella recensione al volume I presupposti filosofici della
nazione del diritto di Del Vecchio -, Calderoni avvia un tentativo di
«conciliazione» tra scuola classica e Positivisti, in cui «[…] la riflessione
sul libero arbitrio e il diritto di punire costituisce la premessa per
affrontare con un chiaro apparato concettuale l'ulteriore questione dei metodi
di studio del diritto penale», attraverso un'esaustiva ridiscussione dei binomi
libertà/ causazione (momento di attribuzione del delitto), tutela/ difesa
(momento di esecuzione della sanzione) e metodo astratto/ concreto (momento di
determinazione del delitto); il nostro autore riconosce: Due sono i punti
teorici fondamentali nei quali la scuola positiva si pone come avversaria alla
classica. L'uno è rappresentato dalla questione del libero arbitrio,
l'esistenza del quale la scuola “classica” postula come fondamento della
imputabilità, mentre è dall'altra scuola negata. L'altro punto è la
“giustificazione” del diritto di punire, che l'una pone nella giustizia,
l'altra nell'utilità, nella necessità in cui si trova la società di difendersi
dai suoi nemici. Per misurare la nozione di «responsabilità» introdotta
nell'orizzonte culturale italiano d'inizio secolo scorso da Mario Calderoni, è
necessario muoversi tra due contributi calderoniani scarsamente esaminati dalla
dottrina moderna (I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale del
1901 e Forme e criteri di responsabilità del 1908), senza trascurare come tale
concetto mai si distacchi dalla distinzione vailatiana tra atti volontari e
involontari o dal binomio libertà/ causazione, tanto cari al dibattito ottocentesco
tra Positivisti e scuola classica italiana del diritto criminale. Gli accenni
vailatiani e calderoniani ai temi della volizione, causazione, libertà
confluiscono – alla luce dell'attento ed autonomo esame dell'autore ferrarese-
in un'assai moderna definizione del concetto di «responsabilità», in cui
Il “negatore del libero arbitrio” che non sia vittima di equivoci sul valore di
tal negazione, sarà portato invece a vedere nella libertà e responsabilità,
qualità esistenti nell'uomo, ma analoghe alle altre, atte cioè ad essere
studiate nella loro genesi e nella loro evoluzione, suscettibili di gradazioni
infinite, e subordinate alla presenza di certe condizioni e concomitanti, a
concepire in altri termini la responsabilità piuttosto dinamicamente ed
evoluzionisticamente, che staticamente. Pur se tale concetto sottenda
contaminazioni etiche d'inaudita modernità e benché in Forme e criteri di
responsabilità sia delineata l'idea dell'esistenza di un confine sottile tra
morale e diritto, il nostro autore – nascendo come teorico del diritto- si
mantiene saldo nel declinare come il termine «responsabilità» si usi
all'interno dell'universo di diritto criminale e diritto civile; nella
trattazione calderoniana «responsabilità» si immette – come in Hegel / Weber -
nel contesto della vita statale o sociale e si smarca – come nel «marxismo
occidentale» moderno e in Lévinas - dai risvolti individualistici dell'etica
antica. Calderoni – nell'incipit di Forme e criteri di responsabilità-
scrive: Pochi termini trovano, in ogni campo della vita sociale, così
larga applicazione come il termine responsabilità. L'”andar soggetto a
responsabilità” è la sorte, spiacevole o piacevole, di chiunque vive nella
compagnia dei propri simili e si trovi in una data compagnia di dati suoi
simili; e nulla potrebbe meglio servire a distinguere l'uomo vivente in società
da un ipotetico uomo “vivente in stato di natura” che l'essere il primo avvolto
in una fitta rete di responsabilità. Responsabilità se ne trovano dovunque gli
uomini vengano in urto o in conflitto fra di loro […]. La riflessione
calderoniana incentrata sulla strada della critica sia nei confronti del
nazionalismo corradiniano sia nei confronti del socialismo rivoluzionario si
innesta su un contesto storico e culturale - come l'Italia di Giolitti d'inizio
novecento - caratterizzato dalla intensa dialettica civile tra nazionalismi e
socialismi, e, all'interno di essa, tra visioni moderate (nazionalismo liberale
e socialismo riformista) e concezioni estreme (nazionalismo estremo e
socialismo rivoluzionario). «Gli interventi di Calderoni pubblicati sulla
rivista di Corradini – scrive M. Toraldo di Francia- possono distinguersi dal
punto di vista dei contenuti e cronologicamente in due gruppi: del primo fanno
parte gli articoli polemici nei confronti del nazionalismo propagandato dalla
rivista, nel secondo invece si collocano gli ultimi due scritti, di impronta
nettamente antisocialista […]» . La via dell'analisi sul nazionalismo moderato
(liberale e liberista) – sondata nelle recensioni vailatiane a Pareto, Dumont,
Trivero, Tombesi, Pierson, Einaudi, Rignano e Landry - è battuta da Calderoni
in maniera minuziosa alla luce dei due articoli Nazionalismo antiprotezionista?
(1904) e Nazionalismo borghese e protezionista (1904), nella direzione d'una
estesa accusa al nazionalismo corradiniano; moderati dall'interesse vailatiano
verso il socialismo riformista, internazionalista, e non materialista di
darwinismo sociale kiddiano e anti-materialismo effertziano, i moniti critici
del nostro autore nei confronti del socialismo rivoluzionario si estrinsecano
invece con consueta chiarezza nei due contributi La questione degli scioperi
ferroviari (1904) e La necessità del capitale (1905). Dalle colonne della
rivista corradiniana Il Regno, Calderoni – sulla scia del moderatismo del
maestro Vailati - tenta di maturare una concezione intermedia tra estremismi di
“destra” e di “sinistra”, idonea a sacrificare valori e ideali della
«borghesia» italiana alla tutela del bene comune dell'intera nazione, in nome
della necessaria vitalità di un'industria e di un'economia in inarrestabile
ascesa internazionale; a detta del nostro autore – contra Prezzolini- si deve
sacrificare il bene comune dei ceti sociali abbienti sull'altare del bene
nazionale: Per me personalmente, che mi sento anzitutto italiano e poi
borghese, mi auguro che l'Italia sappia sbarazzarsi di tutti gli elementi
dannosi ed infecondi che la dissanguano e la opprimono; dovesse anche, in
questo processo di eliminazione, andar sacrificata buona parte della borghesia
attuale, per essere sostituita (attraverso il meccanismo democratico) da
elementi più vitali e più utili che sono veramente gli interessi della
Patria. Bibliografia M. Calderoni, Scritti, Firenze, La Voce, 1924, voll.
I e II M. Toraldo di Francia, Pragmatismo e disarmonie sociali: il pensiero di
Mario Calderoni, Milano, Angeli, 1983 A. Di Giovanni (a cura di), M. Calderoni-
Scritti sul Pragmatismo, Roma, Bonanno Editore, 2007 I. Pozzoni, Il pragmatismo
analitico italiano di Mario Calderoni, Roma, IF Press, 2009 Fulvio Papi,
CALDERONI, Mario, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 16, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1973. Modifica su Wikidata Altri progetti
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Identities (EN) lccn-n82250797 Biografie Portale Biografie Diritto Portale
Diritto Categorie: Filosofi italiani del XIX secoloFilosofi italiani del XX
secoloNati nel 1879Morti nel 1914Nati il 30 giugnoMorti il 14 dicembreNati a
FerraraMorti a Imola[altre]
Caloprese -- Gregorio Caloprese
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Gregorio Caloprese Gregorio Caloprese,
indicato anche come Gregorio Caroprese, Caropreso, Calopreso (Scalea, 1654[1] –
Scalea, 31 marzo-1º aprile 1715), è stato un filosofo, medico e matematico
italiano[2]. Indice 1 Biografia 2 Opere
3 Note
4 Studi
critici 5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Gregorio Caloprese nacque a Scalea nel 1654, da Carlo e da
Lucrezia Gravina, che si sposarono a Roggiano nel 1653, cade così la leggenda
che Gregorio fosse nato nel 1650, quando i suoi genitori ancora non si
conoscevano [3]. «Da onestissimi
parenti, di condizione cittadina, nella terra di Scalea, posta nel paese dei
Bruzii, trasse, nel 1650, i suoi natali Gregorio Caloprese, o Caroprese...Fu
celebre pel suo ingegno, e per l'universale sua letteratura. Visse molto tempo
in Napoli, e in Roma; finalmente tornato alla patria vi morì nel 1715 all'età
di 65 anni...»[4]» I suoi genitori si
resero presto conto dell'intelligenza del loro figliolo e lo avviarono a studiare
a Napoli sotto la guida del letterato Giuseppe Porcella [5] Si laureò
successivamente nel campo a lui più congeniale della medicina. Rimase sempre in
rapporto da Scalea, dove si era ritirato, con i centri intellettuali di Napoli
e Roma dove risiedeva suo cugino Gian Vincenzo Gravina e dove lo stesso
Caloprese soggiornò sul finire del'600.
A Scalea fondò una scuola [6] che ebbe una certa rinomanza e partecipò
all'attività culturale dell'Accademia di Medinaceli traendone ispirazione per i
suoi interessi antiautoritari e antidogmatici scientifici e filosofici che lo
fecero schierare dalla parte di coloro che subordinavano l'indagine
naturalistica al metodo razionale di tipo cartesiano. Vico, Metastasio [7], Giannone lo qualificano
come «gran renatista»[8] ma la sua reale posizione filosofica è piuttosto da
rintracciare in chi era a lui più vicino: il suo discepolo Francesco Maria
Spinelli che racconta come Caloprese, tornato da Napoli a Scalea visse dei
proventi di alcune sue proprietà praticando la medicina solo per i suoi amici e
i poveri e che descrive la scuola di Caloprese come fondata sullo studio
letterario e scientifico e l'esercizio fisico nella convinzione del rapporto
tra mente e corpo. Alla lettura dei testi di Cartesio si associava quella di Lucrezio
e Bacone secondo l'ideale teorico di una sintesi di sperimentalismo e atomismo,
razionalismo e mentalismo. Opere
Dell'origine degli imperi. Un'etica per la politica, versione moderna con testo
a fronte e note di Enrico Esposito, introduzione di Alfonso Mirto, Milano,
Salviati, 2002. Opere, a cura di Fabrizio Lomonaco e Alfonso Mirto, Napoli,
Giannini, 2004. Note ^ Alfonso Mirto, editore delle Opere di Caloprese, avverte
che il personaggio nacque nel 1654 e non nel 1650 come erroneamente indicato nell'epigrafe
del busto a lui dedicato ^ Ove non indicato diversamente, le informazioni
contenute nel paragrafo "Biografia" hanno come fonte: Amedeo Quondam,
Dizionario biografico degli Italiani (2006) alla voce corrispondente ^ Notizie
su questi aspetti della vita di Caloprese, cugino di Gianvincenzo Gravina in:
Francesco Guzzolino, Gian Vincenzo Gravina, Castrovillari 1993 ^ in Luigi
Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, Cosenza, dalla
tip. Municipale (poi: dalla tip. della Redenzione, e poi dalla tip.
Migliaccio), 1869-1877 (ristampa anastatica A. Forni, 1977) ^ «Meravigliosa
vivezza d'ingegno ed acume d'intendimento comparvero in lui sin dai più teneri
anni, e gran diletto di apprendere; per cui gli avveduti genitori, solleciti di
coltivare in lui si belle doti, apparati nella patria i primi rudimenti delle
lettere lo inviarono di buon'ora in Napoli per imprendervi l'usato corso degli
studii. Ebbe da prima a maestro delle lettere umane Giuseppe Porcella insigne
letterato a quel tempo, e non ignobil poeta. Sotto la costui disciplina molto
si approfittò, congiungendo alla fertilità d'ingegno fervente non interrotta
applicazione; di modo che egli fece la soddisfazione del Maestro e dei suoi
genitori, e l'emulazione dei compagni.» (In L. Accattatis, op. cit.) ^ «Nella
sua patria intanto per qualche tempo era egli stato, dove date avea le prime
letterarie istituzioni al celebratissimo Giov. Vincenzo Gravina, suo cugino per
madre» (In L. Accattatis, op. cit.). ^ «...ed ebbe il vanto d'istruire nelle
materie filosofiche, in cui era versatissimo, il gran Metastasio, che seco avea
per ciò condotto alla sua patria, come attesta il Metastasio medesimo in una
sua lettera scritta da Vienna nel 1769» (in L. Accattatis, op. cit.). ^ G.
Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palumbo, Palermo 1987, p. 376:
«Gregorio Caloprese, che abitava allora alla Scalea in Calabria, [...] godeva
gran fama come uno dei maggiori cartesiani italiani ('gran renatista' lo
dissero, fra gli altri, il Vico e il Giannone)». Studi critici Rena A.
Syska-Lamparska, Letteratura e scienza. Gregorio Caloprese teorico e critico
della letteratura, Napoli, Guida, 2005. Alfonso Mirto, Contributo alla
biografia e alla bibliografia calopresiane, Napoli, Liguori editore, 2010 Diego
Forestieri, La civil società e il viver civile: una lettura sociologica delle
Lezioni dell'Origine degli Imperij di Gregorio Caloprese, in «Rivista di Studi
Politici», n. 4, Roma, Editrice Apes, 2010. Altri progetti Collabora a
Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Gregorio Caloprese Collegamenti
esterni Gregorio Caloprese, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Gregorio Caloprese,
su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata Controllo di autorità VIAF
(EN) 61676961 · ISNI (EN) 0000 0000 6138 1610 · SBN IT\ICCU\LO1V\090566 · LCCN
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Categorie: Filosofi italiani del XVII secoloMedici italianiMatematici italiani
del XVII secoloNati nel 1654Morti nel 1715Nati a ScaleaMorti a Scalea[altre]
Camilla -- Giovanni Camilla Da
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riferimento. De' misterii e maravigliose
cause della compositione del mondo, 1564 Giovanni Camilla (scritto anche
Camilli o Camillo) (Genova, XVI secolo – XVI secolo) è stato un medico e
filosofo italiano operante nella seconda metà del Cinquecento.[1] Opere Giovanni Camilla, De' misterii e
maravigliose cause della compositione del mondo, In Vinegia, Gabriele Giolito
de Ferrari, 1564. Note ^ Camilla, Giovanni Controllo di autorità CERL
cnp01232315 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Matematica
Portale Matematica Categorie: Medici italianiFilosofi italiani del XVI
secoloNati nel XVI secoloMorti nel XVI secoloNati a Genova[altre]
Cammarata Angelo Ermanno
Cammarata Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Angelo Ermanno Cammarata (Catania, 1899 – Roma, 1971) è stato un filosofo,
avvocato e docente italiano. Fu uno dei più conosciuti rettori dell'Università
di Trieste dal 1946 al 1952, per la difesa della quale ricevette la medaglia
d'oro della Cultura e dell'Arte, mentre all'Ateneo fu conferita nel 1962 la
medaglia d'oro al valor civile.
Biografia Nel corso della sua carriera insegnò filosofia del diritto e
altre materie giuridiche nelle università di Messina, Macerata, Trieste, Napoli
e Roma. Allievo di Giovanni Gentile, aderì all'idealismo immanentista. Gli
scritti principali di filosofia del diritto sono inseriti, in massima parte, in
Formalismo e sapere giuridico, Giuffrè 1963. Buona parte degli scritti
riguardanti invece la "questione di Trieste" sono pubblicati in Fra
la teoria del diritto e la questione di Trieste - Scritti inediti e rari, Eut,
Trieste 2007. Fu anche un notevole
fotografo, come documentano le due mostre (Trieste 2004 e Gorizia 2013) a lui
dedicate. Bibliografia Cammarata, Angelo
Ermanno, in Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
2009. URL consultato il 9 luglio 2014. Collegamenti esterni (EN) Opere di
Angelo Ermanno Cammarata, su Open Library, Internet Archive. Modifica su
Wikidata Controllo di autorità VIAF
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Portale Filosofia Università Portale Università Categorie: Filosofi italiani
del XX secoloAvvocati italiani del XX secoloInsegnanti italiani del XX secoloNati
nel 1899Morti nel 1971Nati a CataniaMorti a RomaFilosofi del diritto[altre]
Campa – Grice:
“Philosophy runs out of names: there are British philosophers G. R. Grice and
H. P. Grice, and Itallian philosophers R. Campa, and R. Campa.” Riccardo
Campa Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando il sociologo, vedi
Riccardo Campa (sociologo). Riccardo Campa con il premio Nobel Eugenio
Montale (1971) Riccardo Campa (Presicce, 21 aprile 1934) è un filosofo e
storico della filosofia italiano, la cui indagine teorica si è incentrata sulla
relazione fra la cultura umanistica e la cultura scientifica, delineando il
percorso storico della cultura occidentale, in particolare nell'ambito
europeo-latinoamericano. Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Note
4 Bibliografia
5 Altri
progetti Biografia Negli anni sessanta e settanta ha diretto la Biblioteca
delle idee, sotto la presidenza scientifica del premio Nobel Eugenio Montale e
contemporaneamente è stato condirettore responsabile del periodico Nuova
Antologia, nel quale ha pubblicato saggi di letteratura e filosofia sul
pensiero del Novecento; vi ha inoltre tradotto e pubblicato testi di Jorge Luis
Borges, George Uscătescu, Vittorio Dan Segre, André Chastel, Walter Kaufmann,
Ortega y Gasset. Riccardo Campa con Jorge Luis Borges a Roma (1983)
(ES) «Riccardo Campa fue nombrado doctor honoris causa en las ciudades de
Atenas y Nueva York, alfa y omega del conocimiento de lo que constituye
Occidente [...] Asombra en su obra la recopilacion enciclopedica del
pensamiento europeo, cimentada en la razon que la describe.» (IT)
«Riccardo Campa ha ricevuto dottorati honoris causa nelle città di Atene e New
York, l'alfa e l'omega della conoscenza di ciò che costituisce l'Occidente
[...] Sorprende nella sua opera la raccolta enciclopedica del pensiero europeo,
fondata sulla ragione che lo descrive.» (Domingo Barbolla Camarero,
Prologo, in Riccardo Campa La razon instrumental. El mesianismo nostalgico de
la contemporaneidad, Madrid, Editorial Biblioteca Nueva, 2011) Ha partecipato,
a seguito di regolare concorso a livello internazionale, al Forum Europeo di
Alpbach, al Collège de France, e all'Universidad Internacional Menéndez Pelayo,
e, a partire dal 1973[1], ha insegnato presso diverse università italiane e
straniere (Università di Bologna, Università degli Studi di Napoli Federico
II[2], Università per stranieri di Siena[3], Universidad de Morón), tenendo
corsi di storia delle dottrine politiche, storia della filosofia,,storia delle
Americhe e diritto politico. Riccardo Campa all'Università per
Stranieri di Siena (2011) Dal 1987 al 1991 ha diretto l'Istituto Italiano di
Cultura di Buenos Aires e successivamente, dal 1991 al 1992, ha coordinato in
Italia e nell'America Latina le attività celebrative del V Centenario
dell'America , per disposizione del Ministero degli Affari Esteri.. Dal 1993 al
1997 ha svolto le funzioni di Vicepresidente della Commissione Nazionale per la
promozione della cultura italiana all'estero (Legge 22.12.1990, n.401). Quale
ormai consolidata personalità-ponte fra i due mondi, geograficamente separati
ma culturalmente legati dalle comuni radici, dal 1994 svolge le funzioni di
Direttore del Centro Studi, Documentazione e Biblioteca dell'Istituto
Italo-Latino Americano di Roma. Contemporaneamente è stato Vicedirettore della
Società Dante Alighieri. Dal 2002 al 2005 ha presieduto il Forum Internazionale
sulla Società Contemporanea di Madeira e, alla scadenza di questo mandato, è
stato eletto a Roma presidente della Federazione Internazionale di Studi
sull'America Latina e i Caraibi per il biennio 2005-2007[4]. In questo
ambito, con il suo operato, ha garantito l'interscambio delle figure
intellettuali più significative fra la cultura latinoamericana e quella
europea, favorendone la reciproca conoscenza. Riceve la nomina di
Director Emeritus del Giambattista Vico Chair of Italian Studies en Dowling
College, Nueva York nel 2012. Studioso di diverse discipline: dalla
linguistica teorica alla filosofia del linguaggio, dalla filologia all'analisi
letteraria alla storia della lingua; dalla filosofia teoretica alla filosofia
della scienza, nella gestione della complessa realtà istituzionale, dal 2005 al
2014, ha assunto l'incarico di Direttore del Centro di Eccellenza della Ricerca
dell'Università di Siena. Già Ordinario del S.S.D SPS/2 (Storie delle
dottrine politiche) presso la Facoltà di Lingua e Cultura Italiana
dell'Università per Stranieri di Siena, l'11 febbraio 2010 gli è stato conferito
il titolo di "Professore emerito". Opere Appartengono, fra gli
altri, alla produzione classica: Il potere politico nell'America Latina,
Edizioni di Comunità, Milano, 1968; Il riformismo rivoluzionario cileno,
Marsilio, Padova, 1970; Appunti per una storia del pensiero politico
latino-americano, Lugano, Pantarei, 1971; L'universo politico omogeneo,
Istituto Editoriale Internazionale, Milano, 1974 Las nuevas herejias,
Biblioteca de Estudios Criticos, Madrid, Ediciones Istmo, 1978; La visione e la
prassi: profilo di Bolìvar (pref. di P. Pignatti, intr. di R. Medina Elorga,
postfaz. di L. C. Camacho Leyva), Istituto Italo Latino-Americano, Roma 1983; A
reta e a curva - Reflexōes sobre nosso tempo (Riflessioni con Oscar Niemeyer),
São Paulo, Max Limonad, 1986; El estupor de Epicuro - Ensayo sobre Erwin
Schrödinger, Buenos Aires-Madrid, Alianza Editorial, 1988; La emocion: la
filosofia de la infidelidad (prol. di R. H. Castagnino), Editorial
Sudamericana, Buenos Aires, 1988; La escritura y la etimologia del mundo (con
un saggio di Roland Barthes), Buenos Aires, Editorial Sudamericana, 1989; La
malinconia di Epicuro - Riflessioni in penombra con Jorge Luis Borges, Buenos
Aires, Editorial Sudamericana - Fondazione Internazionale Jorge Luis Borges,
1990; La primeva unità: saggio sulla storia, Le Monnier, Firenze, 1990; La
practica del dictamen: del ius a la humanitas, Grupo Editor Latinoamericano,
Buenos Aires, 1990; El sondeo de la apariencia: el libro y la imagen, Gedisa,
Buenos Aires, 1991; La trama del tiempo: ensayo sobre Italo Calvino, Grupo
Editor Latinoamericano, Buenos Aires, 1991; L'avventura e la nostalgia: Omaggio
al Portogallo, Presidenza dei Consiglio dei Ministri, Roma 1994 La
metarrealidad, Buenos Aires, Biblios, 1995; Le daimôn de la persuasion, Toulouse
Cedex, Éditions Universitaires du Sud, 1996; The Renaissance and the invention
of method, New York, Dowling College, 1998; La metafora dell'irrealtà: saggio
su "Le avventure di Pinocchio", M. Pacini Fazzi, Lucca, 1999,
L'esilio saggi di letteratura Latinoamericana, Il Mulino, Bologna, 2000; Il
sortilegio e la vanità: saggio su Louis-Ferdinand Céline, Welland Ontario,
Soleil, 2000; Caratterizzano la produzione più recente: L'immediatezza e
l'estemporaneità, New York, Dowling College Press - Binghamton University,
2000; L'età delle ombre, New York, Binghamton University, 2001; Dismisura,
Bologna, il Mulino, 2003; Le vestigia di Orfeo. Meditazioni in penombra con
Jorge Luis Borges, Bologna, Il Mulino, 2003; A modernidade, Lisboa, Fim de
século, 2005; Della comprensione - Compendio di mitografia contemporanea,
Bologna, il Mulino, 2005; Ontem. L'elegia del Brasile, Bologna, il Mulino,
2007; Vicinanze abissali. L'approssimazione nell'epoca della scienza, Bologna,
il Mulino, 2009; Langage et stratégie de communication, Paris, L'Harmattan,
2009; El Inca Garcilaso de la Vega, Madrid, Binghamton University, Ediciones
Clasicas - Ediciones del Orto, 2010; I Trattatisti spagnoli del diritto delle
genti, Bologna, Il Mulino, 2010; La place et la pratique plébiscitaire, Paris,
L'Harmattan, 2011; El sortilegio de la palabra, Madrid, Biblioteca Nueva, 2011;
Elegy. Essays on the Word and the Desert, University Press Of The South, 2013;
L'America Latina. Un profilo, Bologna, Il Mulino, 2014; La filosofia de la
crisis. Epicureismo y Estoicismo, Editorial Sindéresis, Madrid, 2014; El tiempo
de la inedia. El invierno de Gunter, AntropiQa 2.0, Badajoz, 2014; La
eventualidad y la inexorabilidad. El invierno de Gunter, Editorial Sindéresis,
Madrid, 2015; La Destreza y el engano. Ensayo sobre Don Quijote de Miguel de
Cervantes Saavedra, Ediciones Clasicas, Madrid, 2015; L'America Latina. Un
compendio, Bologna, Il Mulino, 2016; Octavio Paz. El desconcierto de la
modernidad, Ediciones Clasicas, Madrid, 2016; La parola, Bologna, Il Mulino,
2017; Cervantes. La linea del horizonte, Valencia, Albatros, 2017, L'elegia del
Nuovo Mondo, Bologna, Il Mulino, 2018. La mundializacion, Valencia, Albatros,
2019. Il convivio linguisttico. Riflessioni sul ruolo dell'italiano nel mondo
contemporaneo, Roma, Carocci, 2019 Note ^ Anno di conseguimento del titolo di
Professore Ordinario. ^ Dal 1974 al 1987 ne ha diretto l'Istituto
Storico-politico della Facoltà di Scienze Politiche. ^ Con decreto dell'11
febbraio 2010 del Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, vi
è stato nominato Professore Emerito di Storia delle dottrine politiche. ^ Dopo
averne curato, dal 2003 al 2005, il XII Congresso Internazionale, designato
dall'Accademia delle Scienze di Russia ed eletto dall'Università di Osaka. Bibliografia
Luigi Trenti (a cura di), Il viaggio delle parole: scritti in onore di Riccardo
Campa, Perugia, Guerra Editore, 2008. ISBN 978-88-557-0155-6 Antonio Requeni,
Nueva vision de la literatura argentina, "Les Andes", 16 settembre
1984, 3° Seccion pag.1. Antonio Requeni, Presencia cultural de Italia en la
Argentina, "La Prensa", 18 ottobre 1987, pag.3. Antonio Requeni, Los
intelectuales del mundo: hoy, Riccardo Campa: la Argentina, en el laberinto de
Borges, "La Nacion", 20 settembre 2006, 1-3. Jesus Francisco Sanchez,
Crisis del neocapitalismo podria hacer renacer ideas del socialismo y la
izquierda: Ricardo Campa, "El Sol de Durango", 22 ottobre 2008, 6/A
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Riccardo Campa Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene
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Letteratura Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI
secoloStorici della filosofia italianiNati nel 1934Nati il 21 aprileNati a
PresicceProfessori dell'Università degli Studi di Napoli Federico II[altre]
Campa -- Riccardo Campa
(sociologo) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Riccardo Campa (Mantova, 4 maggio 1967) è un sociologo e filosofo
italiano che vive e lavora a Cracovia. È conosciuto soprattutto per i suoi
studi nel campo dell'etica della scienza e del transumanesimo e, precisamente,
per la sua difesa dell'idea di evoluzione autodiretta. Svolge ricerche sia
nella veste di Professore associato di Sociologia della scienza e della tecnica
all'Università Jagellonica di Cracovia, sia nella veste di Presidente
dell'Associazione Italiana Transumanisti, della quale è fondatore. Indice 1 Studi
2 Pensiero
3 Opere
4 Note
5 Bibliografia
6 Collegamenti
esterni Studi Laureato in Scienze politiche nel 1990 e in Filosofia nel 1994
all'Università di Bologna, Riccardo Campa ha conseguito il titolo di
Giornalista professionista presso l'Ordine dei giornalisti di Roma nel 1995, il
dottorato in Epistemologia all'Università Nicolaus Copernicus di Torun nel 1999
e l'abilitazione in Sociologia all'Università Jagellonica di Cracovia nel
2009[1]. Nell'ambito della sociologia della scienza, è annoverato tra gli
allievi di Robert K. Merton[2], fondatore di questa disciplina. A differenza di
alcuni continuatori della scuola costruttivista, Merton ha sempre mostrato un
atteggiamento positivo nei confronti delle scienze, e Campa è rimasto fedele a
questa impostazione. A tal proposito, il filosofo argentino-canadese Mario
Bunge ha rimarcato il fatto che «Campa è uno degli ultimi esemplari rimasti di
una specie in estinzione: lo studioso pro-scienza della comunità
scientifica»[3]. Pensiero I suoi studi
hanno ricevuto una certa attenzione da parte dei media, a partire dal 2005,
dopo che Francis Fukuyama, all'epoca consigliere per la bioetica del presidente
statunitense George W. Bush, ha definito il transumanesimo «l'idea più
pericolosa del mondo»[4]. Secondo Fukuyama il transumanesimo è una nuova forma
di biopolitica che, pur essendo liberale e non coercitiva, rischia di minare il
concetto di uguaglianza tra gli uomini. Simili posizioni critiche hanno
assunto, in Italia, Marcello Veneziani[5], Giuliano Ferrara[6], Paolo Rossi[7],
e diversi opinionisti del quotidiano cattolico Avvenire[8], che hanno criticato
le idee di Campa e di altri filosofi e scienziati transumanisti (tra i quali,
Nick Bostrom, James Hughes, Gregory Stock, e Max More), stimolando un dibattito
ad ampio raggio sulle prospettive aperte dalle nuove tecnologie. Campa ha
difeso le idee transumaniste in numerose pubblicazioni, interviste e dibattiti
pubblici[9], apparendo talvolta anche in televisione[10], e sostenendo che le
tecnologie emergenti e convergenti GRIN (un acronimo per Genetica, Robotica,
Informatica e Nanotecnologia) non rappresentano un rischio inutile, come
lasciano intendere i critici, ma un'opportunità di sviluppo in linea con
l'atteggiamento prometeico che caratterizza la storia della civiltà
occidentale. Le sue valutazioni, sull'opportunità di allungare la vita media e
potenziare le facoltà mentali e fisiche dell'uomo, sono soprattutto di ordine
etico e sociale. Opere È autore di
numerosi articoli e saggi, tra i quali spiccano sette libri monografici: Epistemological Dimensions of Robert Merton's
Sociology (Copernicus University Press, 2001) Il filosofo è nudo (Marszalek,
2001) Etica della scienza pura (Sestante Edizioni, 2007) Mutare o perire. La
sfida del transumanesimo (Sestante Edizioni, 2010) Le armi robotizzate del
futuro. Il problema etico (CEMISS, 2011) Trattato di filosofia futurista
(Avanguardia 21 Edizioni, 2012) La specie artificiale. Saggio di bioetica
evolutiva (D Editore, 2013) La rivincita del paganesimo. Una teoria della
modernità (D Editore, 2014) Creatori e Creature. Anatomia dei movimenti pro e
contro gli OGM (D Editore, 2016) La società degli automi. Studi sulla
disoccupazione tecnologica e sul reddito di cittadinanza (D Editore, 2017)
Still Think Robots Can't Do Your Job?: Essays on Automation and Technological
Unemployment (D Editore, 2018) Credere nel futuro: Il lato mistico del
transumanesimo (Orbis Idearum Press, 2019) È inoltre curatore della serie
"Divenire. Rassegna di studi interdisciplinari sulla tecnica e il
postumano"[11]. Note ^ Cerimonia di
abilitazione all'Università di Cracovia ^ C. Cipolla, Manuale di sociologia
della salute, Franco Angeli, 2004, p. 39. ^ R. Campa, Epistemological
Dimensions of Robert K. Merton's Sociology, Copernicus University Press, 2001,
quarta di copertina. ^ F. Fukuyama, “Transhumanism: The World's Most Dangerous
Idea”, Foreign Policy, 1º settembre 2004.. La versione italiana è apparsa sul
Corriere della Sera con il titolo “Biotecnologie: la fine dell'uomo”, il 10
febbraio 2005. ^ M. Veneziani, “Attenti l'uomo è fuori moda. La scienza prepara
“l'oltreuomo”, Libero, 20 aprile 2005. ^ G. Ferrara, “Mettere in dubbio il
dubbio”, Il Foglio, 11 ottobre 2005. ^ P. Rossi, Speranze, Il Mulino, Bologna
2008: pp. 53-90. ^ A. Galli, “Nietzsche, profeta dell'eugenetica”, Avvenire, 21
settembre 2005. ^ Rassegna stampa degli articoli pro e contro il
transumanesimo. ^ “Nascita del superuomo”, documentario di RAI 3, 15 novembre
2006. Archiviato l'11 aprile 2015 in Internet Archive.; “Futuro in pillole”,
puntata de Le Invasioni Barbariche condotta da Daria Bignardi, LA7, 21 gennaio
2011.;“Musica maestro”, servizio biografico di RAI 1, 5 luglio 2012. ^ Sito
della rivista Divenire Bibliografia Giorgia Mazzotti, Il Prof che suonava il
rock, Gazzetta di Mantova, 8 gennaio 2008. Roberto Guerra, Futurismo per la
nuova umanità, Armando Editore, Roma 2011. AA.VV. Il transumanismo. Cronaca di
una rivoluzione annunciata, Lampi di Stampa, Milano 2008. Collegamenti esterni
Riccardo Campa biografia e bibliografia nel sito "transumanisti.it".
Controllo di autorità VIAF
(EN) 165171786 · ISNI (EN) 0000 0001 1500 1223 · LCCN (EN) n2009049215 · BNE
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Campailla Tommaso
Campailla Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Tommaso Campailla (Modica, 6 aprile 1668 – Modica, 7 febbraio 1740) è stato un
filosofo, poeta e medico italiano. Indice 1 Biografia 2 Campailla,
filosofo e poeta 3 La
cura della sifilide con le botti del Campailla 4 Teatro 5 Note 6 Bibliografia
7 Altri
progetti 8 Collegamenti
esterni Biografia Tommaso Campailla nasce a Modica, in Sicilia, il 6[1] aprile
del 1668, nell'attuale Via Posterla, sotto la rupe del Castello dei Conti e a
pochi metri dalla casa che quasi 250 anni dopo vide nascere un altro importante
concittadino, Salvatore Quasimodo. Tommaso Campailla, incisione
dall'Adamo (Roma-Palermo, 1737) Mostrò le sue migliori doti d'ingegno in età
matura, giacché, in gioventù, per la sua gracile costituzione, il padre preferì
educarlo in campagna affinché si irrobustisse all'aria aperta, piuttosto che
indirizzarlo agli studi. Nel 1684, si trasferì a Catania per studiarvi
giurisprudenza, ma l'improvvisa morte del padre, che lo lasciava erede di un
discreto patrimonio, lo costrinse a ritornare nella città natale, la sua cara
Modica, in cui rimase fino alla morte, senza mai muoversi da essa. Lì,
poté dedicarsi interamente agli amati studi, prevalentemente da autodidatta,
coltivando con passione ed abnegazione, fra le tante discipline, l'astronomia,
le lettere e la filosofia. Sempre da autodidatta, studiò Aristotele e i
classici, per poi dedicarsi alla fisica, forse spinto dall'onda emotiva
suscitata dal terribile sisma che, nel 1693, distrusse Modica e tutto il Val di
Noto. Morì[2] per un colpo apoplettico, il 7 febbraio del 1740. Il suo
corpo fu sepolto sotto l'altare maggiore del duomo di San Giorgio in Modica,
del quale una lapide, deposta alla sinistra dell'ingresso principale, lo
ricorda. Campailla, filosofo e poeta Studioso di Cartesio, che vuole
conciliare con la filosofia scolastica, ne applicò i principi alle sue indagini
conoscitive, fatte di osservazione ed esperimenti, divenendo, insieme col
filosofo trapanese Michelangelo Fardella, uno dei principali divulgatori delle
teorie cartesiane in Sicilia. Poeta raffinato, fu accademico degli
Assorditi di Urbino, dei Geniali di Palermo, e della più celebre Accademia
degli Arcadi di Roma; restaurò quindi l'Accademia degli Infocati nella sua
città natale. Nel 1709 diede alle stampe i primi sei canti (ispirati ai moduli
letterari lucreziani) del poema filosofico, in due parti, L'Adamo, ovvero il
Mondo Creato,[3] successivamente dedicato, nella sua stesura completa (in venti
canti) del 1723, a Carlo VI d'Austria, Imperatore e Re di Sicilia. Il poema,
che conobbe una discreta fortuna e che è stato recentemente ristampato,
rappresenta una summa delle idee teologiche, cosmologiche, fisiche e
filosofiche dell'autore, alla luce del cartesianesimo. All'inizio del
Settecento, la fama del Campailla, tra l'altro in corrispondenza epistolare con
importanti personalità fra i quali Ludovico Antonio Muratori (bibliotecario del
Duca di Modena), si diffuse anche all'estero, toccando Lipsia, Parigi, Londra,
tanto che il filosofo George Berkeley volle conoscerlo personalmente e, poiché il
Campailla non si muoveva mai dalla sua città natale (come Kant), nel 1718 fu lo
stesso Berkeley a recarsi in Sicilia a trovarlo, informandolo fra l'altro delle
nuove teorie newtoniane, le quali verranno poi usate dal Campailla nelle sue
successive opere. Il Muratori si fece intermediario persino per una
cattedra all'Università di Padova da assegnargli, invito che venne pure da
Londra, ma il suo ostinato rifiuto a viaggiare e lasciare la sua Modica (in
ciò, ancora simile a Kant) lo portò a declinare tali prestigiose ed onorevoli
proposte. Per lo stesso motivo, invitato ad assistere, il 24 dicembre 1713,
all'incoronazione a Re di Sicilia, nella Cattedrale di Palermo, del Duca
Vittorio Amedeo II di Savoia, disdisse gentilmente la visita. Nel 1738, pubblicò,
rimanendo però incompiuto, il poema sacro L'Apocalisse di San Paolo, in cui,
oltre ad affrontare i temi della grazia e della virtù attiva, fornì pure una
personale confutazione delle teorie di Miguel Molinos, fondatore del
"Quietismo", un'eresia che aspirava all'unificazione con Dio. Infine,
nello stesso periodo, iniziò a scrivere il primo volume di un'opera sistematica
intitolata Opuscoli filosofici, di cui uscì solo il primo volume (in dialoghi)
intitolato Considerazioni sopra la fisica del signor Isacco Newton (1738),
contemporaneamente alla stesura di un trattato, in due volumi, di fisica
cartesiana, pubblicato postumo, nel 1841, sotto il titolo Filosofia per
principi e cavalieri.[4][5] La cura della sifilide con le botti del
Campailla Pur non essendo medico di professione, Campailla riuscì tuttavia a
promuovere, nella Contea di Modica, gli studi di medicina. Infatti, il suo
impegno, quasi umanitario, lo portò a sperimentare, dal 1698 in poi, le sue
famose "botti" (dette poi botti del Campailla) per la cura non solo
della sifilide (considerata, allora, il male del secolo, e ritenuta dalla
Chiesa come un castigo di Dio per i peccati degli uomini), ma anche dei
reumatismi e, in genere, di qualunque forma di artrosi. La
"botte", in realtà, è una stufa mercuriale con all'interno uno
sgabello, sul quale il paziente veniva fatto sedere, in attesa della cura.
Questa consisteva nel versare, in un braciere che si trovava pure all'interno
della stufa, la relativa dose di cinabro, da cui, per sublimazione, esalavano
dei vapori di mercurio, che erano poi assorbiti dal corpo del paziente in piena
sudorazione. La novità introdotta dal Campailla consistette nell'aggiunta di
incenso all'interno della botte, in una dose che consentiva, ai vapori
sprigionati, di essere più "respirabili" per un certo lasso di tempo,
variabile dai 10 ai 20 minuti circa, a seconda dalle condizioni soggettive del
paziente. Il contributo del Campailla consentì pure di modificare la
forma della botte, rispetto alle altre già esistenti in Italia ed in Europa, le
quali avevano un foro in alto da cui fuoriusciva la testa del paziente che, in
tal modo, non poteva respirare i vapori di mercurio medicamentosi. Tuttavia,
questi vapori, così esalati, erano curativi solamente per i sifilomi che
infestavano la cute, i quali regredivano sì ma senza remissione del morbo (che
solo con l'avvento della penicillina, nel '900, si debellerà), con i germi
patogeni che continuavano ad agire e moltiplicarsi nel sangue dei soggetti
infetti. Invece, grazie all'innovazione del Campailla, i pazienti,
completamente all'interno della botte, potevano ora respirare la miscela di
mercurio e incenso, la quale, agendo così in modo sottocutaneo, uccideva i
germi diminuendone la carica patogena; spesso, si ottenevano delle guarigioni,
a volte anche definitive, che, all'epoca, venivano considerate quasi
miracolose. Infatti, un rapporto medico dell'epoca riferisce che "
[...] Dopo la cura mercuriale col metodo Campailla, si può assistere a delle
rinascite complete di individui ridotti in condizioni impressionanti di
cachessia o con lesioni tali da rendersi impossibile qualsiasi intervento
curativo per via percutanea o ipodermica".[6] I risultati
furono talmente soddisfacenti che Modica acquisì notorietà in tutta Europa
proprio per le botti del Campailla, ancor oggi esistenti all'interno
dell'antico Ospedale di S. Maria della Pietà e visitabili all'interno di un
percorso museale appositamente dedicato. Negli anni a venire, le botti
del Campailla furono, ma con scarsi risultati, imitate altrove, sia in Italia
che all'estero: ad esempio, nel 1891, sorse a Palermo, per volere del prof.
Mannino della locale facoltà di Medicina, un Sanatorio Campailla; agli inizi
del '900, fu poi costruita, a Roma, una cosiddetta Botte di Modica; a Milano,
ancora negli anni '50, furono costruite botti di vetro sul modello di quelle
del Campailla; mentre, a Parigi, furono fondati istituti a imitazione del
Sifilocomio Campailla palermitano, per la cura delle malattie reumatiche e
nevralgiche. Teatro La rappresentazione Cygnus, atto unico scritto da
Nausica Zocco, prende spunto dalla vita e dalle opere di Tommaso Campailla, ed
è stato portato in scena l'8 maggio 2011 a Modica, per la regia di Tiziana
Spadaro. Note ^ L'esatta data di nascita è riscontrabile, come quella di
morte, negli appositi registri dell'Archivio Parrocchiale della Chiesa Madre di
San Giorgio in Modica. ^ Taluni, sulla base di nessuna fonte storica
attendibile, hanno diffuso l'infondata notizia secondo cui il Campailla stesso
sia stato vittima della sifilide, contrariamente al fatto che lo studioso
modicano costruì comunque le sue botti, per il trattamento di questa infezione,
nel 1698, quando aveva solo 30 anni, ma morì a 72 anni, età veneranda e
considerevole, per quei tempi, in cui la vita media di un individuo di sesso
maschile era di 55-58 anni, per non tener conto poi del fatto che, nel
Settecento (e così, fino all'avvento degli antibiotici nel Novecento), un
sifilitico aveva comunque delle bassissime aspettative di vita dopo il manifestarsi
della malattia, dell'ordine di pochissimi anni. Ad ogni modo, le botti del
Campailla raccolsero, per molti decenni, un gran numero di pareri positivi a
favore di un loro benefico influsso contro il morbo. ^ Tommaso Campailla,
"L'Adamo" ovvero "Il mondo creato" poema filosofico [1],
Volume unico, Messina, Michele Chiaramonte e Antonino Provenzano, 1728. ^
http://www.treccani.it/enciclopedia/tommaso-campailla/ ^ Cfr. D. Scinà,
Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, Tipografia
Lorenzo Dato, Palermo, 1824, Vol. I, Capo III. ^ Tratto dalla Rassegna di
Clinica, Terapia e Scienze Affini, Anno XXVIII, Fascicolo IV. Bibliografia
Secondio Sinesio, Vita del celebre filosofo, e poeta Signor D. Tommaso
Campailla, Patrizio modicano, Siracusa, 1783; ristampa Modica, 2005. Valentino
Guccione (a cura di), Tommaso Campailla ed il suo museo in Modica, Leggio &
Diquattro, Ragusa, 1992. Carmelo Ottaviano, Tommaso Campailla. Contributo
all'interpretazione e alla storia del cartesianesimo in Italia, introduzione e
note a cura di Domenico D'Orsi, CEDAM, Padova, 1999. Giovanni Criscione,
Tommaso Campailla. Un poeta e filosofo modicano, Idealprint, Modica, 2000.
Valentino Guccione, Tommaso Campailla, il suo museo, la scuola medica modicana,
Comune di Modica, Modica, 2001. AA.VV., Tommaso Campailla e la Scuola Medica
Modicana, Ed. IngegniCulturaModica, Modica, 2010. Altri progetti Collabora a
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Campailla Collegamenti esterni Tommaso Campailla, su Treccani.it – Enciclopedie
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Campailla, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Tommaso Campailla, su openMLOL,
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italiani del XVIII secoloPoeti italiani del XVIII secoloMedici italianiNati nel
1668Morti nel 1740Nati il 6 aprileMorti il 7 febbraioNati a ModicaMorti a
Modica[altre]
Campanella
-- campanella:
one of the most important of the Italian philosophers. H. P. Grice enjoyed his philosophical
poems.- 15681639, theologian, philosopher, and poet. He joined
the Dominican order in 1582. Most of the years between 1592 and 1634 he spent
in prison for heresy and for conspiring to replace rule in southern Italy with a utopian
republic. He fled to France in 1634 and spent his last years in freedom. Some
of his best poetry was written while he was chained in a dungeon; and during
less rigorous confinement he managed to write over a hundred books, not all of
which survive. His best-known work, The City of the Sun 1602; published 1623,
describes a community governed in accordance with astrological principles, with
a priest as head of state. In later political writings, Campanella attacked
Machiavelli and called for either a universal
monarchy with the pope as spiritual head or a universal theocracy with
the pope as both spiritual and temporal leader. His first publication was Philosophy
Demonstrated by the Senses 1591, which supported the theories of Telesio and
initiated his lifelong attack on Aristotelianism. He hoped to found a new
Christian philosophy based on the two books of nature and Scripture, both of
which are manifestations of God. While he appealed to sense experience, he was
not a straightforward empiricist, for he saw the natural world as alive and
sentient, and he thought of magic as a tool for utilizing natural processes. In
this he was strongly influenced by Ficino. Despite his own difficulties with
Rome, he wrote in support of Galileo. Tommaso
Campanella, al secolo chiamato Giovan Domenico Campanella, noto anche con lo
pseudonimo di Settimontano Squilla[1] (Stilo, 5 settembre 1568 – Parigi, 21
maggio 1639), è stato un filosofo, teologo, poeta e frate domenicano
italiano. Giovan Domenico Campanella nacque a Stilo[2], un piccolo borgo
della Calabria Ulteriore, al tempo parte del Regno di Napoli (attualmente in
provincia di Reggio Calabria), il 5 settembre del 1568, come egli stesso più
volte afferma nei suoi scritti e come dichiarò il 23 novembre del 1599 nel
carcere di Castel Nuovo a Napoli, al giudice Antonio Peri: «son di una terra
chiamata Stilo in Calabria Ultra, mio padre si domanda Geronimo Campanella e
mia madre Caterina Basile».[3] Fino al 1806 si conservava anche l'atto di
battesimo nella parrocchia di San Biagio, borgo di Stilo, così redatto: «A dì
12 settembre 1568, battezzato Giovan Domenico Campanella figlio di Geronimo e
Catarinella Martello, nato il giorno 5, da me D. Terentio Romano, parroco di S.
Biaggio [sic] nel Borgo».[4] Il padre era un ciabattino povero e analfabeta che
non poteva permettersi di mandare i figli a scuola e Giovan Domenico ascoltava
dalla finestra le lezioni del maestro del paese, segno precoce di quella voglia
di conoscenza che non l'abbandonò per tutta la vita. Nel 1581 la famiglia
si trasferì nella vicina Stignano e nella primavera del 1582 il padre pensò di
mandare il figlio presso un fratello, a Napoli, perché vi studiasse diritto, ma
il giovane Campanella, per il desiderio di seguire corsi regolari di studi e
abbandonare un destino di miseria, più che per una reale vocazione religiosa,
decise di entrare nell'Ordine domenicano. Novizio nel convento della vicina
Placanica, vi fece i primi studi e pronunciò i voti a quindici anni nel
convento di San Giorgio Morgeto, assumendo il nome di Tommaso (in onore di san
Tommaso d'Aquino)[5], continuando gli studi superiori a Nicastro dal 1585 al
1587 e poi, a vent'anni, a Cosenza, dove affrontò lo studio della
teologia. L'istruzione ricevuta dai domenicani non lo soddisfaceva e non
gli era sufficiente: «essendo inquieto, perché mi sembrava una verità non
sincera, o piuttosto falsità in luogo della verità rimanere nel Peripato,
esaminai tutti i commentatori d'Aristotele, i greci, i latini e gli arabi; e
cominciai a dubitare ancor più dei loro dogmi, e perciò volli indagare se le
cose ch'essi dicevano fossero nella natura, che io avevo imparato dalle
dottrine dei sapienti essere il vero codice di Dio. E poiché i miei maestri non
potevano rispondere alle miei obiezioni contro i loro insegnamenti, decisi di
leggere da me tutti i libri di Platone, di Plinio, di Galeno, degli stoici, dei
seguaci di Democrito e principalmente i Telesiani, e metterli a confronto con
il primo codice del mondo per sapere, attraverso l'originale e autografo,
quanto le copie contenessero di vero o di falso».[6] Fu in particolare il
De rerum natura iuxta propria principia di Bernardino Telesio una rivelazione e
una liberazione insieme: scoprì che non esisteva soltanto la filosofia
scolastica e che la natura poteva essere osservata per quello che è[7], e
poteva e doveva essere indagata con i mezzi concreti posseduti dall'uomo, con i
sensi e con la ragione, prima osservando e poi ragionando, senza schemi
precostituiti e senza mandare a memoria quanto altri credevano di aver già
scoperto e di conoscere su di essa. Era il 1588 e Telesio, che da anni era
tornato a vivere nella nativa Cosenza, vi moriva ottantenne proprio in quei
giorni. Il neofita frate entusiasta non poté sottrarsi a deporre sulla bara,
nel duomo, versi latini di ringraziamento devoto. Quelle che dai suoi
superiori furono considerate intemperanze gli costarono il trasferimento nel
piccolo convento di Altomonte, dove tuttavia il Campanella non rimase inattivo:
la segnalazione di alcuni amici, che gli mostrarono il libro di un certo Jacopo
Antonio Marta, napoletano,[8] scritto contro l'amato Telesio, lo spinse a
replicare e nell'agosto del 1589 concluse quella che è la sua prima opera, la
Philosophia sensibus demonstrata, pubblicata a Napoli due anni dopo.[9]
In essa Campanella ribadì la sua adesione al naturalismo di Telesio, inquadrato
però in una cornice neoplatonica, di derivazione ficiniana, per la quale le
leggi della natura non mantengono più la loro autonomia, come in Telesio, ma
sono spiegate dall'azione creatrice di Dio, dal quale deriva anche l'ordine
provvidenziale che governa l'universo: «chi regola la natura è quel glorioso
Iddio, sapientissimo artefice, che ha provveduto in modo da non reprimere le
forze della natura, nella quale tuttavia agisce con misura». Campanella
non poteva rimanere a lungo ad Altomonte: alla fine del 1589 abbandonò il
convento calabrese e se ne andò a Napoli, ospite dei marchesi del Tufo. Nella
capitale del viceregno, pur non abbandonando l'abito di frate, fu tutto inteso
ad approfondire i suoi interessi neoplatonici e scientifici, che allora erano
connessi strettamente con gli studi alchemici e magici: «scrissi due opere,
l'una del senso, l'altra della investigazione delle cose. A scrivere il libro
De sensu rerum mi spinse una disputa avuta prima in pubblico, poi in privato
con Giovanni Battista Della Porta, lo stesso che scrisse la Fisiognomica, il
quale sosteneva che della simpatia e dell'antipatia non si può rendere ragione;
disputa con lui avuta appunto quando esaminavamo insieme il suo libro già
stampato. Scrissi poi il De investigatione rerum,[10] perché mi pareva che i
peripatetici ed i platonici portassero i giovani per una via larga ma non
diritta alla ricerca della verità».[11] Il De sensu rerum et magia,
iniziato a scrivere in latino nel 1590, fu completato e dedicato al granduca di
Toscana Ferdinando I de' Medici nel 1592; sequestratogli il manoscritto a
Bologna dal Sant'Uffizio, fu riscritto in italiano nel 1604, tradotto in latino
nel 1609 e pubblicato finalmente nel 1620 a Francoforte. Campanella vi persegue
una sintesi di naturalismo telesiano e di platonismo: a Democrito e ai
materialisti rimprovera di voler far derivare l'ordine del mondo all'azione degli
atomi, che non hanno sensibilità, e agli aristotelici la mancata iniziativa di
Dio nella costituzione della natura. D'altra parte egli non intende nemmeno
sacrificare l'autonomia delle forze che agiscono nella natura[12], pur se la
spiegazione ultima delle cose va ricercata nella primitiva azione divina.
Secondo Campanella, i tre principi, materia, caldo e freddo, di cui è composta
la natura, sono frutto della creazione divina: «Dio prima fece lo spazio,
composto pure di Potenza, Sapienza e Amore [...] e dentro a quello pose la
materia, che è la mole corporea [...] Nella materia poi Dio seminò due principi
maschi, cioè attivi, il caldo e il freddo, perché la materia e lo spazio sono
femmine, principi passivi. E questi maschi, da codesta materia divisa, combattendo,
formano due elementi, cielo e terra, che combattendo tra loro, dalla loro virtù
fatta languida nascono i secondi enti, avendo per guida della generazione le
tre influenze, la Necessità, il Fato e l'Armonia, che portano l'Idea». Le
tre primalità (primalitates) - che corrispondono alle tre nature divine -
costituiscono il triplice carattere di ogni essere: Dio «ha dato a tutte le
cose potenza di vivere, sapienza e amore quanto basti alla loro conservazione
[...] Dunque il calore può, sente e ama essere, e così ogni cosa, e desidera
eternarsi come Dio e attraverso Dio nessuna cosa muore ma si muta soltanto,
anche se ogni cosa pare morta all'altra e in verità è morta, così come il fuoco
pare cattivo al freddo ed è veramente cattivo per lui, ma per Dio ogni cosa è
viva e buona». Se si considera ogni cosa nel tutto ci si rende conto che nulla
muore veramente: «muore il pane e si fa chilo, questo muore e si fa sangue, poi
il sangue muore e si fa carne, nervi, ossa, spirito, seme e patisce varie morti
e vite, dolori e piaceri».[13] Dalla Potenza le cose sono solo perché
possono essere e hanno una determinata natura; Dio attraverso questa potenza
dona la Necessità alle cose, la Sapienza permette alle cose di conoscere il
Fato, ossia il saper vedere la successione di causa-effetto nei processi
naturali e infine l'Amore permette l'Armonia fra gli esseri, perché questi
amano essere così e non diversamente: «tutti gli enti si compongono di Potenza,
Sapienza e Amore e ognuno è perché può essere, sa essere e ama essere, combatte
contro il non essere e, quando gli manca il potere o il sapere o l'amore
dell'essere, muore e si trasmuta in chi ne ha di più». Tutte le cose
hanno sensibilità: «Tanta sciocchezza è negare il senso alle cose perché non
hanno occhi, né bocca, né orecchie, quanto è negare il moto al vento perché non
ha gambe, e il mangiare al fuoco perché non ha denti, e il vedere a chi sta in
campagna perché non ha finestre da cui affacciarsi e all'aquila perché non ha
occhiali. La medesima sciocchezza indusse altri a credere che Dio abbia certo
corpo e occhi e mani». Inoltre Campanella ci parla anche delle primalità
del non-essere, presenti inevitabilmente nel mondo finito, che sono
l’Impotenza, l’Insipienza e l’Odio: solo in Dio, che è infinito, le primalità
dell'essere non sono contrastate dalle primalità del non-essere. A queste tre
primalità si contrappongono le potenze negative, che possono variamente
combinarsi alle primalità nell'ambito delle varie forme della magia, che è
l'insieme delle regole che vanno osservate per intervenire nella natura. Il
mago è il sapiente che scopre le relazioni esistenti tra le cose: «beato chi
legge nel libro della natura, e impara quello che le cose sono, da esso e non
dal proprio capriccio, e impara così l'arte e il governo divino, facendosi di
conseguenza, con la magia naturale, simile e unanime a Dio». La magia si
manifesta attraverso le sensazioni, che possono essere negative o positive:
sensazioni che l'uomo coglie, e che gli fanno capire di essere parte integrante
di un ordine universale; tuttavia, nonostante sia parte di questo ordine, può
opporsi a tale ordine, e se si oppone all'ordine universale la magia è
negativa, se invece si armonizza, ovvero cerca di seguire l'ordine universale,
allora la magia è positiva. La pubblicazione della Philosophia
sensibus demonstrata provocò scandalo nel convento di San Domenico: un
domenicano che non frequenta il convento e che rifiuta Aristotele e San Tommaso
per Telesio non può essere un buon cattolico. Anche se nessuna affermazione
eretica è contenuta nel libro, in un giorno imprecisato del 1591 Campanella fu
arrestato dalle guardie del nunzio apostolico con l'accusa di pratiche
demoniache. Non si conoscono gli atti del processo ma è conservato il testo
della sentenza,[14] emessa in San Domenico il 28 agosto 1592, contro «frater
Thomas Campanella de Stilo provinciae Calabriae» dal padre provinciale di
Napoli, fra Erasmo Tizzano e da altri giudici domenicani. L'accusa di praticare
con il demonio e di aver pronunciato una frase irriverente contro l'uso delle
scomuniche vengono a cadere, ma resta quella di essere un telesiano, di non
tener conto dell'ortodossia filosofica di Tommaso d'Aquino e di essere stato
per mesi «in domibus saecolarium extra religionem»: dopo quasi un anno di carcere
già scontato, è allora sufficiente che reciti dei salmi e torni, entro otto
giorni, nel suo convento di Altomonte. Campanella si guardò bene
dall'ubbidire all'ordine del tribunale, che lo avrebbe costretto a rinunciare,
a soli 24 anni, a un mondo di cultura nel quale egli era convinto di poter
offrire un contributo fondamentale. Così, munito di una lusinghiera lettera di
presentazione al granduca di Toscana, rilasciatagli dall'amico ed estimatore,
il padre provinciale di Calabria fra Giovanni Battista da Polistena, il 5
settembre 1592 fra Tommaso partì da Napoli alla volta di Firenze, con il suo
carico di libri e manoscritti, contando su di un posto di insegnante a Pisa o a
Siena. La prudente diffidenza di Ferdinando I, che non mancò di chiedere
informazioni sul suo conto al cardinale Del Monte, ottenendo una risposta
negativa,[15] spinse il 16 ottobre Campanella a lasciare Firenze per Bologna,
dove l'Inquisizione, che lo sorvegliava, per mezzo di due falsi frati gli rubò
gli scritti che si portava appresso, per poterli esaminare in cerca di prove a
suo danno.[16] Ai primi del 1593 Campanella fu a Padova, ospite del
convento di Sant'Agostino. Qui, tre giorni dopo il suo arrivo, il Padre
generale del convento venne nottetempo sodomizzato da alcuni frati, senza che
egli potesse identificarli, e perciò, fra i tanti sospettati del grave abuso,
anche il Campanella fu messo sotto inchiesta. Non si sa se dall'inchiesta si
passò a un processo[17] che abbia visto imputato, tra gli altri frati, anche
Campanella: in ogni caso egli ne uscì innocente. Rimase a Padova,
probabilmente con la speranza di trovarvi lavoro; vi incontrò Galileo e conobbe
il medico e filosofo veneziano Andrea Chiocco. Ma il Sant'Uffizio lo teneva
ormai sotto osservazione: alla fine del 1593 o all'inizio del 1594 fu
nuovamente arrestato. Fu accusato di: aver scritto l'opuscolo De tribus
impostoribus - Mosè, Gesù e Maometto - diretto contro le tre religioni
monoteiste,[18] un libro della cui esistenza allora si favoleggiava, ma che nessuno
aveva mai letto;[19] sostenere le opinioni atee di Democrito,[20] evidentemente
un'accusa tratta dall'esame del suo scritto De sensu rerum et magia, rubatogli
a Bologna; essere oppositore della dottrina e dell'istituzione della
Chiesa;[21] essere eretico;[22] aver disputato su questioni di fede con un
giudaizzante, forse condividendone le tesi, e di non averlo comunque
denunciato;[23] aver scritto un sonetto contro Cristo,[24] il cui autore
sarebbe stato però, secondo Campanella, Pietro Aretino; possedere un libro di
geomanzia, che in effetti gli fu sequestrato al momento dell'arresto. A Padova,
in un primo tempo gli furono contestate solo le ultime tre accuse: per
estorcere le confessioni, Campanella e due imputati presunti «giudaizzanti»,
Ottavio Longo, originario di Barletta, e Giovanni Battista Clario, di Udine,
medico dell'arciduca Carlo d'Asburgo, furono sottoposti a tortura. Nel
frattempo, dall'esame del suo De sensu rerum, fatto a Roma, dovettero trarsi
nuove imputazioni, che richiesero lo spostamento del processo da Padova a Roma,
dove infatti Campanella fu condotto e rinchiuso nel carcere dell'Inquisizione
l'11 ottobre 1594. Per difendersi dalle nuove accuse di essere oppositore
della Chiesa, Campanella scrisse già nel carcere padovano un De monarchia
Christianorum, perduto, e il De regimine ecclesiae, ai quali fece seguito, nel
1595, per contestare l'accusa di intelligenza con i protestanti, il Dialogum
contra haereticos nostri temporis et cuisque saeculi e, a difesa
dell'ortodossia di Telesio e dei suoi seguaci, la Defensio Telesianorum ad
Sanctum Officium. La tortura cui fu sottoposto nell'aprile del 1595 segnò la
pratica conclusione del processo: il 16 maggio Campanella abiurava nella chiesa
di Santa Maria sopra Minerva e veniva confinato nel convento domenicano di
Santa Sabina, sul colle Aventino. Le disavventure giudiziarie di
Campanella non finirono però qui. Il 31 dicembre 1596 era stato liberato dal
confino di Santa Sabina e assegnato al convento di Santa Maria sopra Minerva;
intanto, a Napoli, un concittadino di Campanella, condannato a morte per reati
comuni, Scipione Prestinace, prima di essere giustiziato il 17 febbraio 1597,
forse per ritardare l'esecuzione, denunciava diversi suoi conterranei e il
Campanella in particolare, accusandolo di essere eretico: così, il 5 marzo,
Campanella fu nuovamente arrestato.[25] Non si conoscono i precisi
contenuti della deposizione del Prestinace né i dettagli del nuovo processo,
che si concluse il 17 dicembre 1597: nella sentenza, Campanella fu assolto dalle
imputazioni e, diffidato dallo scrivere, liberato «sub cautione iuratoria de se
representando toties quoties», finché, consegnato ai suoi superiori, questi lo
confinino in qualche convento «senza pericolo e scandalo». In tutto
questo periodo di tempo, il Campanella non era certamente rimasto inoperoso
nemmeno sotto l'aspetto della produzione speculativa e letteraria: oltre agli
scritti difensivi del De monarchia, del Dialogo contro i Luterani e del De
regimine, e ai Discorsi ai prìncipi d'Italia, che è un tentativo di captatio
benevolentiae all'indirizzo della Spagna, giustificato dalla difficile
situazione giudiziaria, scrisse l'Epilogo magno, destinato a essere integrato
nella successiva Philosophia realis, con il Prodromus philosophiae instaurandae,
pubblicato nel 1617, l'Arte metrica, dedicata al compagno di sventura Giovan
Battista Clario, la Poetica, dedicata al cardinale Cinzio Aldobrandini, e i
perduti Consultazione della repubblica Veneta, Syntagma de rei equestris
praestantia, De modo sciendi e Physiologia. Ai primi del 1598
Campanella prese la via di Napoli, dove si fermò diversi mesi, dando lezioni di
geografia, scrivendo le perdute Cosmographia e Encyclopaedia facilis e
terminando l'Epilogo Magno. In luglio s'imbarcò per la Calabria: sbarcato a
Piana di Sant'Eufemia, raggiunse Nicastro e di qui, il 15 agosto, Stilo, ospite
del convento domenicano di Santa Maria di Gesù. Per poco tempo il
Campanella rimase tranquillo in convento, dove scrisse il piccolo trattato De
predestinatione et reprobatione et auxiliis divinae gratiae, nel quale affermò
la dottrina cattolica del libero arbitrio. In un abbozzo dei suoi Articuli
prophetales, appare già l'attesa del nuovo secolo che gli sembra annunciato da
fenomeni straordinari: inondazioni del Po e del Tevere, allagamenti e terremoti
in Calabria, il passaggio di una cometa, profezie e coincidenze astrologiche.
Un nuovo mondo sembra alle porte, a sostituire il vecchio che in Calabria, ma
non solo, vedeva «i soprusi dei nobili, la depravazione del clero, le violenze
d'ogni specie [...] la Santa Sede [...] sanciva i soprusi e proteggeva i
prepotenti. Il clero minore, corrottissimo nei costumi, abusava ogni giorno più
delle immunità ecclesiastiche, e profanava in ogni modo il suo ufficio. Fazioni
avverse contendevano talvolta aspramente tra loro, e non poche lotte erano
coronate da omicidi e delitti d'ogni specie. Gruppi di frati si davano alla
campagna, e, forniti di comitive armate, agivano come banditi, senza che il
governo riuscisse a colpirli [...] I nobili e le famiglie private, dilaniate da
inimicizie ereditarie, tenevano agitato il paese con combattimenti incessanti
tra fazioni [...] l'estrema severità delle leggi, che comminavano la pena di
morte per moltissimi delitti anche minimi [...] la frequenza delle liti e delle
contese, aumentavano in maniera preoccupante il numero dei banditi».[26]
In tale situazione di degrado e nell'illusione di un rivolgimento già scritto
nelle stelle, Campanella progettò, senza preoccuparsi di valutare
realisticamente le possibilità di realizzazione, la costituzione in Calabria di
una repubblica ideale, comunistica e insieme teocratica. Era necessario per
questo cacciare gli Spagnoli, ricorrendo anche all'aiuto dei Turchi: cominciò a
predicare dai primi mesi del 1599 l'imminente ed epocale rivolgimento,
intessendo nell'estate una fitta trama di contatti con le poche decine di
congiurati che aderirono a quella fantastica impresa. Le autorità ebbero ben
presto sentore del tentativo di insurrezione e in agosto truppe spagnole intervennero
a rafforzare i presidi. Il 17 agosto Campanella fuggì dal convento di Stilo,
nascondendosi prima a Stignano, poi nel convento di Santa Maria di Titi;
infine, nascosto in casa di un amico, progettò di imbarcarsi da Roccella, ma
venne tradito e consegnato il 6 settembre agli spagnoli. Incarcerato a
Castelvetere, il 10 settembre firmò una confessione nella quale faceva i nomi
dei principali congiurati, negando ogni sua partecipazione all'impresa. Ma le
testimonianze dei suoi complici erano concordi nell'indicarlo come capo della
cospirazione. Trasferito a Napoli insieme ai suoi compagni di avventura,
Campanella fu rinchiuso in Castel Nuovo. Il 23 novembre 1599 avvenne il
riconoscimento formale dell'accusato, descritto come «giovane con barba nera,
vestito di abiti civili, con cappello nero, casacca nera, calzoni di cuoio e
mantello di lana». Il Santo Uffizio non ottenne dall'autorità spagnola che i
religiosi imputati - Campanella e altri sette frati domenicani - fossero
trasferiti a Roma e papa Clemente VIII, l'11 gennaio 1600, nominò il nunzio a
Napoli, Jacopo Aldobrandini e don Pedro de Vera, che fu fatto ecclesiastico per
l'occasione, giudici nel processo che si sarebbe tenuto a Napoli. Ad essi venne
aggiunto il 19 aprile il domenicano Alberto Tragagliolo, vescovo di Termoli,
già consultore nel primo processo, scelto dal papa per trattare in modo
favorevole Campanella, poiché Clemente VIII era, anche se prudentemente,
antispagnolo. Campanella era passato sotto la giurisdizione del
Sant'Uffizio, che nessun tribunale statale poteva violare, nemmeno nei casi di
lesa maestà. Ciò permise di ritardare la prevedibile condanna a morte del
frate. Durante il processo presieduto dal vescovo Benedetto Mandina,
Campanella, sotto tortura, riconobbe le proprie eresie e, in quanto relapso,
diventò passibile della pena capitale. La sua strategia di difesa, disperata e
rischiosissima, fu quella di fingersi pazzo, poiché un eretico insano di mente
non poteva essere messo a morte dal Sant'Uffizio. I giudici, dubbiosi, lo
sottoposero il 18 luglio, per un'ora, al supplizio della corda per fargli
confessare la simulazione, ma egli resistette, rispondendo alle domande
cantando o dicendo cose senza senso. L'accettazione da parte dei giudici della
pazzia avvenne il 4 e 5 giugno 1601, durante una terribile seduta di tortura
denominata "la veglia", che consistette in 40 ore di corda alternata
al cavalletto, con tre brevi interruzioni. La resistenza morale e fisica di
Campanella gli permise di superare la prova, anche se rimase poi tra la vita e
la morte per sei mesi. Frontespizio della Metaphysica Trascorse 27
anni in prigione a Napoli. Durante la prigionia scrisse le sue opere più
importanti: La Monarchia di Spagna (1600), Aforismi Politici (1601), Atheismus
triumphatus (1605-1607), Quod reminiscetur (1606?), Metaphysica (1609-1623),
Theologia (1613-1624), e la sua opera più famosa, La città del Sole (1602), in
cui vagheggiava l'instaurazione di una felice e pacifica repubblica universale
retta su principi di giustizia naturale. Egli addirittura intervenne sul
cosiddetto “primo processo a Galileo Galilei” con la sua coraggiosa Apologia di
Galileo (scritta nel 1616 e pubblicata nel 1622). Fu infine scarcerato
nel 1626, grazie a Maffeo Barberini, arcivescovo di Nazareth a Barletta, poi
papa col nome di Urbano VIII, che personalmente intercedette presso Filippo IV
di Spagna. Campanella fu portato a Roma e tenuto per qualche tempo presso il
Sant'Uffizio; fu liberato definitivamente nel 1629. Visse per cinque anni a
Roma, dove fu il consigliere di Urbano VIII per le questioni astrologiche,
avendo con successo, secondo il Papa, impedito il verificarsi di profezie che
preannunciavano la sua morte imminente in occasione di due eclissi del 1628 e
1630. Nel 1634, però, una nuova cospirazione in Calabria, portata avanti
da uno dei suoi seguaci, gli procurò nuovi problemi. Con l'aiuto del cardinale
Barberini e dell'ambasciatore francese de Noailles, fuggì in Francia, dove fu
benevolmente ricevuto alla corte di Luigi XIII. Protetto dal cardinale
Richelieu e finanziato dal re, passò il resto dei suoi giorni al convento
parigino di Saint-Honoré. Il suo ultimo lavoro fu un poema che celebrava la
nascita del futuro Luigi XIV (Ecloga in portentosam Delphini
nativitatem). Gli è stato dedicato un asteroide, 4653
Tommaso. Il pensiero di Campanella prende le mosse, in età
giovanile, dalle conclusioni cui era giunto Bernardino Telesio; egli si
riallaccia quindi al naturalismo telesiano, sostenendo che la natura vada
conosciuta nei suoi propri principi, che sono tre: caldo, freddo e materia.
Essendo tutti gli esseri formati da questi tre elementi, allora gli esseri
della natura sono tutti dotati di sensibilità, in quanto la struttura della
natura è comune a tutti gli enti; quindi mentre Telesio aveva affermato che
anche i sassi possono conoscere, Campanella porta all'esasperazione questo
naturalismo, e sostiene che anche i sassi conoscono, perché nei sassi noi
ritroviamo questi tre principi, ovvero caldo, freddo e massa corporea
(materia). Il problema della conoscenza (e la rivalutazione dell'uomo) Il
naturalismo di Campanella, in conseguenza di ciò, comporta una teoria della
conoscenza essenzialmente sensistica: egli sosteneva infatti che tutta la
conoscenza è possibile solo grazie all'azione diretta o indiretta dei sensi, e
che Cristoforo Colombo aveva potuto scoprire l'America perché si era rifatto
alla sensazione, non di certo alla razionalità. La razionalità deriva dalla
sensazione: non esiste una conoscenza razionale intellettiva che non derivi da
quella sensitiva. Tuttavia Campanella, a differenza di Telesio, cerca di
rivalutare l'uomo e pertanto afferma l'esistenza di due tipi di conoscenze: una
innata, una sorta di coscienza interiore, e una conoscenza esteriore, che si
avvale dei sensi. La prima è definita ‘sensus inditus', che è la conoscenza di
sé, la seconda ‘sensus additus' che è la conoscenza del mondo esterno. La
conoscenza del mondo esterno appartiene a tutti, anche agli animali; la
conoscenza di sé, invece, appartiene solo all'uomo, ed è la coscienza di essere
un essere pensante. Campanella si rifà ad Agostino d'Ippona, poiché afferma che
noi possiamo dubitare della conoscenza del mondo esterno, mentre non possiamo
dubitare della conoscenza di sé. Questo ‘sensus inditus' sarà poi il punto essenziale
della filosofia cartesiana, che si basa sul ‘cogito': io penso quindi esisto
(cogito ergo sum). La religione e la politica In base a queste premesse,
Campanella si sofferma sulla religione che egli distingue in due tipologie: una
religione naturale e religioni positive. La religione naturale è una religione
che rispetta l'ordine universale dell'universo stesso; le religioni positive
sono invece religioni che vengono imposte dallo stato. Campanella afferma però
che il cristianesimo è l'unica religione positiva, poiché è imposto dallo
stato, ma al contempo coincide con l'ordine naturale (cui però aggiunge il
valore della rivelazione). Tuttavia anche questa teoria della religione
razionale contrastava con i dogmi della Chiesa della Controriforma. Egli sostenne,
del resto, la superiorità del potere temporale su quello spirituale,
individuando poi il potere supremo, di volta in volta, nella Spagna e poi nella
Francia, a seconda di convenienze politiche e personali. La città del
Sole Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: La città
del Sole. Civitas Solis Campanella fu autore anche di un'importante opera
di carattere utopico, ovvero La città del Sole. Nella Città del Sole egli
descrive una città ideale, utopica, governata dal Metafisico, un re-sacerdote
volto al culto del Dio Sole, un dio laico proprio di una religione naturale, di
cui Campanella stesso è sostenitore, pur presupponendo razionalmente che
coincida con la religione cristiana. Questo re-sacerdote si avvale di tre assistenti,
rappresentanti le tre primalità su cui si incentra la metafisica campanelliana:
Potenza, Sapienza e Amore. In questa città vige la comunione dei beni e la
comunione delle donne. Nel delineare la sua concezione collettivista della
società, Campanella si rifà a Platone (V secolo a.C.) e all'Utopia di Tommaso
Moro (1517); fra gli antecedenti dell'utopismo campanelliano è da annoverare
anche La nuova Atlantide di Francesco Bacone. L'utopismo partiva dal
presupposto che, poiché non si poteva realizzare un modello di Stato che
rispecchiasse la giustizia e l'uguaglianza, allora questo Stato si ipotizzava,
come aveva fatto a suo tempo Platone. È però importante sottolineare che,
mentre Campanella tratta una realtà utopistica, Niccolò Machiavelli rappresenta
la realtà concretamente, e la sua concezione dello Stato non è affatto
utopistica, ma assume una valenza di metodo di governo, finalizzato ad ottenere
e mantenere stabilmente il potere. Interpretazioni storiografiche del
pensiero politico L'incertezza è già evidente nell'interpretazione della
critica idealistica, che, nei limiti di una conoscenza ancora incompleta
dell'opera, coglie nel pensiero campanelliano un deciso orientamento in
direzione del moderno immanentismo, contaminato tuttavia da residui del passato
e della tradizione cristiana e medioevale. Per Silvio Spaventa,
Campanella è il "filosofo della restaurazione cattolica", in quanto
la stessa proposizione che la ragione domina il mondo, è inficiata dalla
convinzione che essa risieda unicamente nel papato. Non molto dissimile la
lettura di Francesco de Sanctis: "Il quadro è vecchio, ma lo spirito è
nuovo. Perché Campanella è un riformatore, vuole il papa sovrano, ma vuole che
il sovrano sia ragione non solo di nome ma di fatto, perché la ragione governa
il mondo". È la ragione che determina e giustifica i mutamenti politici, e
questi ultimi "sono vani se non hanno per base l'istruzione e la felicità
delle classi più numerose". Tutto ciò conduce Campanella, secondo il
pensiero idealista, alla concezione di un moderno immanentismo. Opere
Aforismi politici, a cura di A. Cesaro, Guida, Napoli 1997 An monarchia
Hispanorum sit in augmento, vel in statu, vel in decremento, a cura di L.
Amabile, Morano, Napoli 1887 Antiveneti, a cura di L. Firpo, Olschki, Firenze
1944 Apologeticum ad Bellarminum, a cura di G. Ernst, in «Rivista di storia
della filosofia», XLVII, 1992 Apologeticus ad libellum ‘De siderali fato
vitando’, a cura di L. Amabile, Morano, Napoli 1887 Apologeticus in
controversia de concepitone beatae Virginis, a cura di A. Langella, L'Epos,
Palermo 2004 Apologia pro Galileo, a cura di Michel-Pierre Lerner. Pisa, Scuola
Normale Superiore, 2006 Apologia pro Scholis Piis, a cura di L. Volpicelli,
Giuntine-Sansoni, Firenze 1960 Articoli prophetales, a cura di G. Ernst, La
Nuova Italia, Firenze 1977 Astrologicorum libri VII, Francofurti 1630 L'ateismo
trionfato, ovvero riconoscimento filosofico della religione universale contra
l'antichristianesimo macchiavellesco, a cura di G. Ernst, Edizioni della Normale,
Pisa 2004 ISBN 88-7642-125-4 De aulichorum technis, a cura di G. Ernst, in
«Bruniana e Campanelliana», II, 1996 Avvertimento al re di Francia, al re di
Spagna e al sommo pontefice, a cura di L. Amabile, Morano, Napoli 1887 Calculus
nativitatis domini Philiberti Vernati, a cura di L. Firpo, in Atti della R.
Accademia delle Scienze di Torino, 74, 1938-1939 Censure sopra il libro del
Padre Mostro [Niccolò Riccardi]. Proemio e Tavola delle censure, a cura di L.
Amabile, Morano, Napoli 1887 Censure sopra il libro del Padre Mostro:
«Ragionamenti sopra le litanie di nostra Signora», a cura di A. Terminelli,
Edizioni Monfortane, Roma 1998 Chiroscopia, a cura di G. Ernst, in «Bruniana e
Campanelliana», I, 1995 La città del Sole, a cura di L. Firpo, Laterza, Roma-Bari
2008 ISBN 88-420-5330-9 Commentaria super poematibus Urbani VIII, codd. Barb.
Lat. 1918, 2037, 2048, Biblioteca Vaticana Compendiolum physiologiae tyronibus
recitandum, cod. Barb. Lat. 217, Biblioteca Vaticana Compendium de rerum natura
o Prodromus philosophiae instaurandae, Francofurti 1617 Compendium veritatis
catholicae de praedestinatione, a cura di L. Firpo, Olschki, Firenze 1951
Consultationes aphoristicae gerendae rei praesentis temporis cum Austriacis ac
Italis, a cura di L. Firpo, Olschki, Firenze 1951 Defensio libri sui 'De sensu
rerum', apud L. Boullanget, Parisiis 1636 Dialogo politico contro Luterani,
Calvinisti e altri eretici, a cura di D. Ciampoli, Carabba, Lanciano 1911
Dialogo politico tra un Veneziano, Spagnolo e Francese, a cura di L. Amabile,
Morano, Napoli 1887 Discorsi ai principi d'Italia, a cura di L. Firpo,
Chiantore, Torino 1945 Discorsi della libertà e della felice soggezione allo
Stato ecclesiastico, a cura di L. Firpo, s.e., Torino 1960 Discorsi universali
del governo ecclesiastico, a cura di L. Firpo, UTET, Torino 1949 Disputatio
contra murmurantes in bullas ss. Pontificum adversus iudiciarios, apud T.
Dubray, Parisiis 1636 Disputatio in prologum instauratarum scientiarum, a cura
di R. Amerio, SEI, Torino 1953 Documenta ad Gallorum nationem, a cura di L.
Firpo, Olschki, Firenze 1951 Epilogo Magno, a cura di C. Ottaviano, R.
Accademia d'Italia, Roma 1939 Expositio super cap. IX epistulae sancti Pauli ad
Romanos, apud T. Dubray, Parisiis 1636 Index commentariorum Fr. T. Campanellae,
a cura di L. Firpo, in «Rivista di storia della filosofia», II, 1947 Lettere
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in tomi nove, a cura di L. Firpo, in «Rivista di storia della filosofia», II,
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1967 Metafisica. Universalis philosophiae seu metaphysicarum rerum iuxta
propria dogmata. Liber 1º, a cura di P. Ponzio, Levante, Bari 1994 Metafisica.
Universalis philosophiae seu metaphysicarum rerum iuxta propria dogmata. Liber
14º, a cura di T. Rinaldi, Levante, Bari 2000 Monarchia Messiae, a cura di L.
Firpo, Bottega d'Erasmo, Torino 1960 Philosophia rationalis, apud I. Dubray,
Parisiis 1638 (comprende Logicorum libri tres) Philosophia realis, ex
typographia D. Houssaye, Parisiis 1637 Philosophia sensibus demonstrata, a cura
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Einaudi, Torino 1998 Poetica, a cura di L. Firpo, Mondatori, Milano 1954 De
praecedentia, presertim religiosorum, a cura di M. Miele, in «Archivum Fratrum
Praedicatorum», LII, 1982 De praedestinatione et reprobatione et auxiliis
divinae gratiae cento Thomisticus, apud I. Dubray, Parisiis 1636 Quod
reminiscentur et convertentur ad Dominum universi fines terrae, a cura di R.
Amerio, CEDAM, Padova 1939 (L. I-II), Olschki, Firenze 1955-1960 (L. III-IV)
Del senso delle cose e della magia, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003 De libris
propriis et recta ratione. Studendi syntagma, a cura di A. Brissoni,
Rubbettino, Soveria Mannelli 1996 Theologia, L. I-XXX, Libro Primo, Edizione a
cura di Romano Amerio, Vita e Pensiero, Milano, 1936. Scelta di alcune poesie
filosofiche - Choix de quelques poésies philosophiques, Edizione a cura di
Marco Albertazzi, Traduzione francese di Franc Ducros, La Finestra editrice,
Lavis 2016 ISBN 978-88-95925-70-7. Campanella nel cinema La città del
sole, regia di Gianni Amelio (1973) Note ^ A. Casadei, M. Santagati, Manuale di
letteratura italiana medievale e moderna, Laterza, Roma-Bari 2014, p. 249. ^
Luigi Firpo, Campanella Tommaso, «Dizionario biografico degli Italiani», Roma
1974: «Non hanno fondamento le asserzioni ricorrenti, attizzate da un patetico
campanilismo, che lo vorrebbero nato nel vicino comune di Stignano». Nel
Novecento nacque una disputa campanilistica tra il comune di Stilo e quello di
Stignano, che rivendica di aver dato i natali al filosofo calabrese e indica
nel proprio territorio la presunta casa natale di Campanella ^ In Luigi Firpo,
I processi di Tommaso Campanella, Roma 1998, p. 117 ^ In Opere di Tommaso
Campanella, a cura di Alessandro d'Ancona, Torino 1854, p. 12. Un decreto del
16 maggio 1968 ad opera del Ministero della Pubblica Istruzione Caleffi fissa
la casa natale di Tommaso Campanella nell'attuale Comune di Stignano, al tempo
casale del vastissimo territorio di Stilo, adducendo a prova del fatto
l'archivio provinciale di Napoli. La differente indicazione del cognome della
madre, Basile e Martello, fa ritenere che quest'ultimo sia un soprannome ^
Massimo Baldini,Nota biobibliografica, in T. Campanella, La Città del Sole,
Newton Compton, Roma 1995, p.16 ^ T. Campanella, Syntagma de libris propriis et
recta ratione studendi, I ^ Germana Ernst, Tommaso Campanella: The Book and the
Body of Nature [1 ed.], 9048131251, 9789048131259, Springer Netherlands, 2010.
^ Gli amici Giovanni Francesco Branca, medico di Castrovillari, e Rogliano da
Rogiano, entrambi telesiani, gli segnalarono il libro dell'aristotelico Marta,
il Propugnaculum Arìstotelis adversus principia B. Telesii, Roma 1587 ^
Philosophia sensibus demonstrata, impressum Neapoli per Horativm Salvianum 1591
^ Il libro è andato perduto ^ T. Campanella, Syntagma de libris propris, p. 14
^ John M. Headley, Tommaso Campanella and the Transformation of the World,
0691026793, 9780691026794, Princeton University Press, 1997. ^ T. Campanella,
De sensu rerum et magia, II, 26 ^ Pubblicata da Vincenzo Spampanato in Vita di
Giordano Bruno, Messina 1921, p. 572 ^ Il cardinale rispose che l'inquisitore
fra Vincenzo da Montesanto gli aveva riferito che del Campanella «si rivedono
molti libri pieni [...] di leggerezza e vanitade, e [...] ancora non sono
chiari se vi sia cosa che appartenghi alla religione»; cfr: lettera del Del
Monte a Ferdinando I del 25 settembre 1592 in Archivio di Stato di Firenze,
Mediceo, f. 3759 ^ La vicenda di questo sequestro, simulato con il furto, è
esaminata da Luigi Firpo, Appunti campanelliani, in «Giornale critico della
filosofia italiana», XXI, 1940 ^ Non vi sono documenti relativi a
quell'episodio, essendone unica fonte lo stesso Campanella in due sue tarde
lettere, a papa Paolo V il 12 aprile 1607 e a Kaspar Schoppe il 1º giugno dello
stesso anno, nelle quali Campanella sottolinea la sua innocenza senza entrare
in dettagli. ^ Campanella, lettera a Kaspar Schoppe del 1º giugno 1607:
«accusarunt me quod composuerim librum de tribus impostoribus, qui tamen
invenitur typis excusis annos triginta ante ortum meum ex utero matri». ^ Due
libri di simile contenuto furono scritti soltanto alla fine del Seicento e ai
primi del Settecento. ^ Campanella, ivi: «quod sentirem cum Democrito, quando
ego iam contra Democritum libros edideram». ^ Ibidem: «quod de ecclesiae
republica et doctrina male sentirem». ^ Ibidem: «quod sim haereticus». ^
Campanella, lettera al papa del 12 aprile 1607: «Primo ex dicto unius
judaizantis molestatus». Il giudaizzante dovrebbe essere un certo Ottavio Longo
da Barletta, anch'egli arrestato a Padova e processato a Roma. ^ Ibidem:
«secundo ob rythmum impium Aretini non meum». ^ «Lecta depositione Scipionis
Prestinacis de Stylo, Squillacensis Diocesis, facta in Curia archiepiscopali
Neapolitana, Illustrissimi et Reverendissimi Domini Cardinales generales
Inquisitionis praefatae mandaverunt dictum fratrem Thomam reduci ad carceres
dictae Sanctae Inquisitionis», in L. Firpo, I processi di Tommaso Campanella,
p. 88 ^ C. Dentice di Accadia, Tommaso Campanella, 1921, pp. 43-44 Bibliografia
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Tampach, 1622. Tommaso Campanella, Metaphysica, vol. 1, Paris, 1638. Tommaso
Campanella, Metaphysica, vol. 2, Paris, 1638. Tommaso Campanella, Metaphysica,
vol. 3, Paris, 1638. Tommaso Campanella, Poesie, Bari, Laterza, 1915. (LA)
Tommaso Campanella, Medicinalium libri, Lugduni, ex officina Ioannis Pillehotte
: sumptibus Ioannis Caffin, & Francisci Plaignard, 1635. Delle virtù e dei
vizi in particolare, testo critico e traduzione a cura di Romano Amerio, Ed.
Centro internazionale di studi umanistici, Roma, 1978 Studi Luigi Amabile, Fra
Tommaso Campanella, la sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, 3 voll.,
Morano, Napoli 1882 (ristampa anastatica, Franco Pancallo Editore, Locri 2009).
ID., L'andata di Fra Tommaso Campanella a Roma dopo la lunga prigionia di
Napoli, Memoria letta all'Accademia Reale di Scienze Morali e Politiche,
Tipografia della Regia Università, Napoli 1886 (ristampa anastatica, Franco
Pancallo Editore, Locri 2009). ID., Fra Tommaso Campanella ne' castelli di
Napoli, in Roma ed in Parigi, 2 voll., Morano, Napoli 1887. Giuliano F.
Commito, IUXTA PROPRIA PRINCIPIA - Libertà e giustizia nell'assolutismo
moderno. Tra realismo e utopia, Aracne, Roma, 2009, ISBN 978-88-548-2831-5.
Luigi Cunsolo, Tommaso Campanella nella storia e nel pensiero moderno: la sua
congiura giudicata dagli storici Pietro Giannone e Carlo Botta, Officina F.lli
Passerini e C., Prato 1906. Rodolfo De Mattei, La politica di Campanella, ARE,
Roma 1928. ID., Studi campanelliani, Sansoni, Firenze 1934. Francisco Elías de
Tejada, Napoli spagnola, vol. IV, cap. II, Tommaso Campanella astrologo e
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Campanella, l'impeto di un filosofo poeta, Napoli, Città del Sole, 2009. Paola
Gatti, Il gran libro del mondo nella filosofia di Tommaso Campanella, Roma,
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Campanella, Reggio Calabria, Città del Sole Edizioni, 2008, ISBN
978-88-7351-241-7. Saverio Ricci, Campanella (Apocalisse e governo universale),
Roma, Salerno Editrice, 2018. Luca Addante, Tommaso Campanella. Il filosofo
immaginato, interpretato, falsato, Roma-Bari, Laterza, 2018. Voci correlate
Metafisica (Tommaso Campanella) Altri progetti Collabora a Wikisource
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Campanella Collegamenti esterni Tommaso Campanella, su Treccani.it –
Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata
Tommaso Campanella, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Tommaso Campanella, su Enciclopedia
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Campanella, su The Encyclopedia of Science Fiction. Modifica su Wikidata
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dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Tommaso Campanella,
su Liber Liber. Modifica su Wikidata Opere di Tommaso Campanella, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Tommaso Campanella,
su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Tommaso
Campanella, su Progetto Gutenberg. Modifica su Wikidata (EN) Audiolibri di
Tommaso Campanella, su LibriVox. Modifica su Wikidata (EN) Bibliografia di
Tommaso Campanella, su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff.
Modifica su Wikidata Bibliografia italiana di Tommaso Campanella, su Catalogo
Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com. Modifica su Wikidata
(EN) Tommaso Campanella, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.
Modifica su Wikidata Archivio Tommaso Campanella, su iliesi.cnr.it. Le opere di
Campanella, su bivio.filosofia.sns.it. Historiographiae liber unus iuxta
propria principia, su imagohistoriae.filosofia.sns.it. testo tratto da Tutte le
opere di Tommaso Campanella, Milano, 1954. (EN) Germana Ernst, Tommaso
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di Stanford. Controllo di autorità VIAF
(EN) 7387920 · ISNI (EN) 0000 0001 2098 8843 · SBN IT\ICCU\CFIV\003037 · LCCN
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secoloTeologi italianiPoeti italiani del XVII secoloNati nel 1568Morti nel
1639Nati il 5 settembreMorti il 21 maggioNati a StiloMorti a ParigiDomenicani
italianiLetteratura utopicaAccademia cosentinaVallata dello StilaroErmetisti
italianiAforisti italianiItaliani emigrati in Francia[altre]. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Campanella," per Il
Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia –
Campanelliana.
Cantoni Remo
Cantoni Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Remo Cantoni Remo Cantoni (Milano, 14 ottobre 1914 – Milano, 3
febbraio 1978) è stato un filosofo e accademico italiano. Insegnò filosofia
morale in alcune università italiane. In opposizione alla tradizione
storicista, idealistica crociana si occupò di cultura e storia usando
contaminazioni sociologiche e antropologiche. Per queste aperture venne
considerato uno dei maggiori promotori dell'antropologia culturale in Italia.
Nel solco del maestro Antonio Banfi fu uno dei maggiori esponenti della
"Scuola di Milano". Oltre ai numerosi volumi pubblicati fondò
le riviste Studi filosofici e Il pensiero critico[1]. Indice 1 Biografia
2 Pensiero
2.1 Antropologia
e mito 3 Opere
4 Note
5 Bibliografia
6 Voci
correlate 7 Altri
progetti 8 Collegamenti
esterni Biografia Fu allievo del filosofo Antonio Banfi, coetaneo e amico di
Vittorio Sereni e Dino Formaggio. Nella cerchia di amicizie di Banfi conobbe la
poetessa Antonia Pozzi che di lui si innamorò di amore non corrisposto. In una
lettera a Sereni ella scrisse: «[…] Non riesco nemmeno a trarre un senso
da tutti questi giorni che abbiamo vissuto insieme: sono qui, in questa pausa
di solitudine, come un po' d'acqua ferma per un attimo sopra un masso sporgente
in mezzo alla cascata, che aspetta di precipitare ancora. Vivo come se un
torrente mi attraversasse; tutto ha un senso di così immediata fine, e è sogno
che sa d'esser sogno, eppure mi strappa con così violente braccia via dalla
realtà. […] Sempre così smisuratamente perduta ai margini della vita
reale: difficilmente la vita reale mi avrà e se mi avrà sarà la fine di tutto
quello che c'è di meno banale in me. Forse davvero il mio destino sarà di
scrivere dei bei libri per i bambini che non avrò avuti. Povero Manzi: senza
saper niente, mi chiamava Tonia Kröger. E questi tuoi occhi che sono tutto un
mondo, con già scritta la tua data di morte […] Un'ora sola in cui si guardi in
silenzio è tanto più vasta di tutte le possibili vite […][2]» Pensiero
Antropologia e mito Cantoni definiva come "primitivo" quel pensiero
sincretico che non distingueva nettamente tra mito e realtà tra affezione e
razionalità. In questo senso "primitivo" in Cantoni assume una
valenza psicologica più che antropologica. Il pensiero mitico, scrive Cantoni
in "Pensiero dei primitivi, preludio ad un'antropologia", non è
"arbitrario e caotico", ma "pervaso di una razionalità" (p.
299); una "razionalità fusa in un crogiuolo affettivo" (p.
196). Secondo Cantoni "una delle differenze fondamentali tra il
pensiero moderno e quello primitivo consiste nel fatto che il pensiero moderno
ha una chiara coscienza della relazione e dell'intreccio delle varie forme
culturali tra loro e può sempre transitare da una all'altra quando lo voglia;
mentre noi sappiamo, ad esempio, che v'è un conflitto tra la scienza e la
religione, l'arte e la morale, il sogno e la realtà, il pensiero logico e la
creazione mitica, i primitivi mantengono tutte queste forme su di un piano
indistinto per cui fondono e confondono ciò che noi non sempre distinguiamo, ma
possiamo pur sempre distinguere. Questa mancanza di distinzioni nette è uno dei
caratteri più salienti della mentalità primitiva" (p. 183) Quindi
"sogno e realtà trapassano uno nell'altro e costituiscono nella loro saldatura
un continuum omogeneo" (p. 185). Cantoni si occupò con prefazioni,
traduzioni, curatele e altro di Søren Kierkegaard, Fëdor Dostoevskij, Friedrich
Nietzsche, Franz Kafka, Baruch Spinoza, Johann Gottlieb Fichte, Ernest Renan,
Nicolai Hartmann, Julian Huxley, Honoré de Balzac, Karl Jaspers, Antonio Banfi,
Émile Durkheim, Sofocle e Robert Musil. Opere Il pensiero dei primitivi,
Milano: Garzanti, 1941; n. ed. Milano: La goliardica, 1959; Milano: Il
Saggiatore, 1963, 1966, 1968, 1974 Estetica ed etica nel pensiero di
Kierkegaard, Milano: Denti, 1945 Crisi dell'uomo: il pensiero di Dostoevskij,
Milano: Mondadori, 1948, n. ed. Milano: Il Saggiatore, 1975 La coscienza
inquieta: Soren Kierkegaard, Milano: Mondadori, 1949; n. ed. Milano: Il
Saggiatore, 1976 Mito e storia, Milano: Mondadori, 1953 La vita quotidiana:
ragguagli dell'epoca, Milano: Mondadori, 1955 (articoli apparsi su
"Epoca" 1950-54); n. ed. Milano: Il Saggiatore, 1966, 1972 La
coscienza mitica, Milano: Universitarie, 1957 (lezioni dell'anno accademico
1956-57) Umano e disumano, Milano: IEI, 1958 Il pensiero dei primitivi, Milano:
La goliardica, 1959 Il tragico come problema filosofico, Milano: La goliardica,
1960 La crisi dei valori e la filosofia contemporanea: con appendice sullo
storicismo, Milano: La goliardica, 1961 Filosofia del mito, Milano: La
goliardica, 1962 Il problema antropologico nella filosofia contemporanea,
Milano: La goliardica, 1963 Tragico e senso comune, Cremona: Mangiarotti, 1963
Società e cultura, Milano: La goliardica, 1964 Filosofie della storia e senso
della vita, Milano: La goliardica, 1965 Scienze umane e antropologia
filosofica, Milano: La goliardica, 1966 Illusione e pregiudizio: l'uomo
etnocentrico, Milano: Il Saggiatore, 1967, 1970 Storicismo e scienze dell'uomo,
Milano: La goliardica, 1967 Personalità, anomia e sistema sociale, Milano: La
goliardica, 1969 (con Franco Fergnani) Che cosa ha veramente detto Kafka, Roma:
Ubaldini, 1970 Il significato del tragico, Milano: La goliardica, 1970
Introduzione alle scienze umane, Milano: La goliardica, 1971 Che cosa ha detto
veramente Hartmann, Roma: Ubaldini, 1972 Robert Musil e la crisi dell'uomo
europeo, Milano: La goliardica, 1972; n. ed. Milano: Cuem, 2000 ISBN 8860016673
Persona, cultura e società nelle scienze umane, Milano: Cisalpino-Goliardica,
1973 Antropologia quotidiana, Milano: Rizzoli, 1975 Il senso del tragico e il
piacere, prefazione di Nicola Abbagnano, Milano: Editoriale nuova, 1978 Franz
Kafka e il disagio dell'uomo contemporaneo, con una nota di Carlo Montaleone ,
Milano: Unicopli, 2000 ISBN 8840005986 Note ^ Attiva tra 1950 ed il 1962 e
edita dall'Istituto Editoriale Italiano ^ Lettere d'amore di Antonia Pozzi
Archiviato il 12 dicembre 2008 in Internet Archive. URL visitato il 17 dicembre
2008 Bibliografia Carlo Montaleone, Cultura a Milano nel dopoguerra. Filosofia
e engagement in Remo Cantoni, Torino: Bollati Boringhieri, 1996 ISBN 8833909689
Caterina Genna, «Il pensiero critico» di Remo Cantoni, Firenze: Le Lettere,
2008 ISBN 8860871603 Massimiliano Cappuccio e Alessandro Sardi (a cura di),
Remo Cantoni, Milano: Cuem, 2007 ISBN 9788860011381 Clementina Gily Reda,
L'antropologia filosofica di Remo Cantoni. Miti come arabeschi, Fondazione Ugo
Spirito, 2008 ISBN 8886225091 Voci correlate Antonia Pozzi Antonio Banfi Scuola
di Milano Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di
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Pozzi, su antoniapozzi.it. Controllo di autorità VIAF (EN) 100190569 ·
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Portale Filosofia Letteratura Portale Letteratura Università Portale Università
Categorie: Filosofi italiani del XX secoloAccademici italiani del XX secoloNati
nel 1914Morti nel 1978Nati il 14 ottobreMorti il 3 febbraioNati a MilanoMorti a
MilanoStudenti dell'Università degli Studi di MilanoProfessori dell'Università
degli Studi di CagliariProfessori della Sapienza - Università di RomaProfessori
dell'Università degli Studi di PaviaProfessori dell'Università degli Studi di
MilanoFondatori di riviste italianeDirettori di periodici italiani[altre]
Capitini Aldo
Capitini Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Aldo Capitini Aldo Capitini (Perugia, 23 dicembre 1899 – Perugia,
19 ottobre 1968) è stato un filosofo, politico, antifascista, poeta ed
educatore italiano. Fu uno tra i primi in Italia a cogliere e a teorizzare il
pensiero nonviolento gandhiano, al punto da essere chiamato il Gandhi
italiano.[1][2] Indice 1 Biografia
1.1 Formazione
1.2 La
lotta contro il fascismo 1.3 Il
Centro di Orientamento Sociale (COS) 1.4 Il
Centro di Orientamento Religioso (COR) 2 Il
pensiero 2.1 Religione
e laicità 2.2 Persuasione,
apertura, compresenza, omnicrazia 2.3 La
nonviolenza e il liberalsocialismo 2.4 L'educazione
e la civiltà 3 Riconoscimenti
4 Opere
5 Note
6 Bibliografia
7 Voci
correlate 8 Altri
progetti 9 Collegamenti
esterni Biografia Formazione Nato in una famiglia modesta, Capitini si dedica
dapprima agli studi tecnici, per necessità economiche e, in seguito, a quelli
letterari, come autodidatta. La madre lavora come sarta e il padre era
impiegato comunale, custode del campanile municipale di Perugia. Ritenuto
inabile al servizio militare per ragioni di salute, non partecipa alla Prima
guerra mondiale. Dopo gli studi della scuola tecnica e dell'istituto per
ragionieri, dai diciannove ai ventuno anni si dedica alla lettura dei classici
latini e greci, studiando da autodidatta anche dodici ore al giorno, dando così
inizio al suo ininterrotto lavoro di approfondimento interiore e
filosofico. In questi anni legge autori e libri molto diversi tra loro,
su cui forma la propria cultura letteraria e filosofica: D'Annunzio,
Marinetti, Boine, Slataper, Jahier, Ibsen, Leopardi, Manzoni, la Bibbia,
Gobetti, Michelstaedter, Kant, Kierkegaard (profondamente influenzato dal
Vangelo), Francesco d'Assisi, Mazzini, Tolstoj e Gandhi. In questo periodo
aderisce quindi al pensiero nonviolento del politico indiano. Nel 1924
vince una borsa di studio presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, nel
curriculum universitario di Lettere e Filosofia. La lotta contro il
fascismo Nel 1929 Capitini critica aspramente il Concordato con la Chiesa
cattolica, da lui giudicato una "merce di scambio" per ottenere da
Pio XI e dalle gerarchie ecclesiali un atteggiamento "morbido" nei
confronti del fascismo. In uno dei suoi libri arriva ad affermare che «...se
c'è una cosa che noi dobbiamo al periodo fascista è di aver chiarito per sempre
che la religione è una cosa diversa dall'istituzione». Nel 1930 viene
nominato segretario della Normale di Pisa. Durante il periodo trascorso a Pisa,
Capitini matura la scelta del vegetarianismo come conseguenza della scelta di
non uccidere, e ogni suo pasto alla mensa della Normale diventa un comizio
efficace e silenzioso, un'affermazione della nonviolenza in opposizione alla
violenza del regime fascista.[3] Insieme a Claudio Baglietto, suo
compagno di studi, promuove tra gli studenti della Scuola Normale riunioni
serali dove diffonde e discute scritti sulla nonviolenza e la nonmenzogna.
Allorché Baglietto, recatosi all'estero con una borsa di studio, rifiuta di
tornare in Italia in quanto obiettore di coscienza al servizio militare,
scoppia lo scandalo e il direttore della Scuola Normale Giovanni Gentile, per
reazione, chiede a Capitini l'iscrizione al partito fascista. Capitini rifiuta
e Gentile ne decide il licenziamento. Sergio Romano scriverà: «Gentile e
Capitini si separarono poco tempo dopo nella sala delle adunanze del palazzo
dei Cavalieri. Il filosofo disse di sperare che "le future esperienze gli
facessero vedere la vita e la realtà delle cose sotto un aspetto diverso";
e Capitini rispose che non poteva fare altro che "contraccambiare
l'augurio". Fu certamente una rottura. Ma non appena il giovane pacifista
uscì dalla sala, il filosofo si voltò verso Francesco Arnaldi, che aveva
assistito a questo scambio di battute, e disse "Abbiamo fatto bene a
mandarlo via perché, oltre tutto, è un galantuomo".[4]»
Benedetto Croce; in riferimento a lui Capitini scriverà: «dal Croce può
venire il servizio ai valori. Il Croce è greco-europeo, perché la civiltà
europea porta al suo sommo l'affermazione dei valori»[5]. A questo punto
Capitini torna a Perugia nella casa paterna, vivendo di lezioni private. Nel
periodo di tempo tra il 1933 e il 1934 compie frequenti viaggi a Roma, Firenze,
Bologna, Torino e Milano per incontrare numerosi amici antifascisti e intessere
in questo modo una fitta rete di contatti. Nell'autunno del 1936 a
Firenze, a casa di Luigi Russo, ha modo di conoscere Benedetto Croce, a cui
consegna un pacco di dattiloscritti che Croce apprezza e fa pubblicare nel
gennaio dell'anno seguente presso l'editore Laterza di Bari con il titolo
Elementi di un'esperienza religiosa. In poco tempo gli Elementi diventano uno
tra i principali riferimenti letterari della gioventù antifascista.
Giovanni Gentile negli anni trenta, ai tempi del direttorato alla Normale
In seguito alla larga diffusione del suo libro, Capitini promuove assieme a
Guido Calogero un movimento culturale che negli anni successivi cercherà di
trasformare in un progetto politico atto a realizzare le idee di libertà
individuale e di uguaglianza sociale contenute negli "Elementi".
Nasce così nel 1937 il Movimento Liberalsocialista, in un anno segnato dall'assassinio
dei Fratelli Rosselli, dalla morte di Antonio Gramsci e da una forte ondata di
violenza repressiva contro l'opposizione antifascista. Alle attività del
movimento collaborano, tra gli altri, Ugo La Malfa, Giorgio Amendola, Norberto
Bobbio e Pietro Ingrao. Nel febbraio 1942 la polizia fascista effettua
una retata nel corso di una riunione del gruppo dirigente liberalsocialista, in
seguito alla quale Capitini e gli altri partecipanti alla riunione vengono
rinchiusi nel carcere fiorentino delle Murate. Dopo quattro mesi Capitini viene
rilasciato, grazie alla sua fama di "religioso". «Quale tremenda
accusa contro la religione, se il potere ha più paura dei rivoluzionari che dei
religiosi», commenterà più tardi. Nel giugno 1942 nasce il Partito d'Azione,
la cui dirigenza proviene direttamente dalle file del liberalsocialismo.
Capitini rifiuta di aderire a qualsiasi partito, poiché a suo giudizio «... il
rinnovamento è più che politico, e la crisi odierna è anche crisi
dell'assolutizzazione della politica e dell'economia». Per il suo rifiuto di
collocarsi all'interno delle logiche dei partiti, Capitini rimane escluso sia
dal Comitato di Liberazione Nazionale, sia dalla Costituente, pur avendo lui
dato un'impronta indelebile alla nascita della Repubblica con il suo lavoro
culturale, politico, filosofico e religioso di opposizione morale al
fascismo. Nel maggio 1943 Capitini viene nuovamente arrestato e
rinchiuso, questa volta, nel carcere di Perugia; viene definitivamente liberato
col 25 luglio. Capitini tra gli anni '30 e '40 Il Centro di
Orientamento Sociale (COS) Nel 1944 Capitini cerca di realizzare un primo
esperimento di democrazia diretta e di decentralizzazione del potere, fondando
a Perugia il primo Centro di Orientamento Sociale (COS), un ambiente
progettuale e uno spazio politico aperto alla libera partecipazione dei
cittadini, uno «...spazio nonviolento, ragionante, non menzognero», secondo la
definizione data dallo stesso Capitini. Durante le riunioni del COS i problemi
di gestione delle risorse pubbliche vengono discussi liberamente assieme agli
amministratori locali, invitati a partecipare al dibattito per rendere
conto del loro operato e per recepire le proposte dell'assemblea, con
l'obiettivo di far diventare "tutti amministratori e tutti
controllati". A Partire da Perugia, i COS si moltiplicano in diverse città
d'Italia: Ferrara, Firenze, Bologna, Lucca, Arezzo, Ancona, Assisi, Gubbio,
Foligno, Teramo, Napoli e in moltissimi altri luoghi. Aldo Capitini
nel 1929 I Centri di Orientamento Sociale si sono diffusi sul territorio
nazionale, scontrandosi tuttavia con l'indifferenza della Sinistra e con
l'aperta ostilità della Democrazia Cristiana, che impediscono l'affermazione su
scala nazionale dell'autogoverno e della decentralizzazione del potere
sperimentati con successo nelle riunioni dei COS. Nel secondo dopoguerra
Capitini diventa rettore dell'Università per stranieri di Perugia (come
Commissario, dal 1944 al 1946), un incarico che sarà costretto ad abbandonare a
causa delle fortissime pressioni della locale Chiesa cattolica. Si trasferisce
a Pisa, dove ricopre il ruolo di docente incaricato di Filosofia morale presso
l'università degli Studi. Parallelamente all'attività didattica, politica
e pedagogica, Capitini prosegue la sua attività di ricerca spirituale e
religiosa, promuovendo nel 1947 il Movimento di religione insieme a Ferdinando
Tartaglia, singolare figura di sacerdote scomunicato ed audace teologo, che
però se ne allontanerà nel 1949[6]. Negli anni che vanno dal 1946 al 1948 il
Movimento di religione organizza una serie di convegni con cadenza trimestrale,
che culminano con il "Primo congresso per la riforma religiosa" (Roma
13/15 ottobre 1948). Nel 1948 il giovane Pietro Pinna, dopo aver
ascoltato Capitini in un convegno promosso a Ferrara dal Movimento di
religione, matura la sua scelta di obiezione di coscienza: è il primo obiettore
del dopoguerra. Pinna è processato dal tribunale militare di Torino il 30
agosto 1949 e a nulla serve la testimonianza a suo favore di Aldo Capitini.
Pinna subisce una serie di processi, condanne e carcerazioni, fino al
definitivo congedo per una presunta "nevrosi cardiaca". Agli inizi
degli anni 60 si dimetterà dal suo impiego in banca per raggiungere Danilo
Dolci in Sicilia e dopo un anno si trasferirà a Perugia per diventare il più
stretto collaboratore di Capitini. Dopo l'arresto di Pinna, Capitini
promuove una serie di attività per il riconoscimento dell'obiezione di
coscienza, convocando a Roma nel 1950 il primo convegno italiano sul tema.
Il Centro di Orientamento Religioso (COR) Un primo piano di Aldo Capitini
(ca. 1960) Nel 1952, in occasione del quarto anniversario dell'uccisione di
Gandhi, Capitini promuove un convegno internazionale e fonda il primo Centro
per la nonviolenza. Sempre nel 1952 Capitini affianca ai Centri di Orientamento
Sociale il Centro di Orientamento Religioso (COR), fondato a Perugia con Emma
Thomas (una quacchera inglese di ottant'anni). Il COR è uno spazio aperto, in
cui trova espressione la religiosità e la fede di tutte le persone, i movimenti
e i gruppi che non trovavano posto nel Cattolicesimo preconciliare. Lo scopo
dei COR era quello di favorire la conoscenza delle religioni diverse dalla
cattolica, e di stimolare i cattolici stessi ad un approccio più critico e
impegnato alle questioni religiose. La Chiesa locale vieta la
frequentazione del Centro di Orientamento Religioso, e quando nel 1955 Capitini
pubblica Religione Aperta il libro viene immediatamente inserito nell'Indice
dei libri proibiti. Nonostante l'ostracismo delle alte gerarchie ecclesiali,
Capitini stabilisce ugualmente degli efficaci rapporti di collaborazione con
alcuni cattolici come Don Lorenzo Milani e Don Primo Mazzolari. Il 12
settembre del 1952 Capitini organizza a Perugia un convegno su La nonviolenza
riguardo al mondo animale e vegetale e, insieme a Edmondo Marcucci – autore di
Che cos'è il vegetarismo e, al pari di Capitini, mai iscritto al partito
fascista – fonda la prima organizzazione nazionale di coordinamento delle
tematiche del vegetarianismo, la "Società vegetariana
italiana".[7] La polemica tra Capitini e la Chiesa Cattolica
continua anche dopo il Concilio Vaticano II, con la pubblicazione del libro
Severità religiosa per il Concilio. A partire dal 1956 Capitini insegna all'Università
di Cagliari come docente ordinario di Pedagogia[8] e nel 1965 ottiene un
definitivo trasferimento a Perugia. Nel marzo 1959 è tra i fondatori
dell'ADESSPI, l'Associazione di Difesa e Sviluppo della Scuola Pubblica in
Italia. Capitini arriva a chiedere al proprio vescovo di non essere più
annoverato nella Chiesa[9], lui profondamente religioso, della quale non
condivideva più i metodi e le idee. La prima Bandiera della
pace Bandiera della pace portata da Capitini nella prima marcia
Perugia-Assisi, attualmente custodita presso la Biblioteca San Matteo degli
Armeni del comune di Perugia. Domenica 24 settembre 1961 Capitini organizza la
Marcia per la Pace e la fratellanza dei popoli, un corteo nonviolento che si
snoda per le strade che da Perugia portano verso Assisi, una marcia tuttora
proposta in media ogni due/tre anni dalle associazioni e dai movimenti per la
pace. In questa occasione viene per la prima volta utilizzata la Bandiera della
pace, simbolo dell'opposizione nonviolenta a tutte le guerre. Capitini descrive
l'esperienza della marcia nel libro Opposizione e liberazione: «Aver mostrato
che il pacifismo, che la nonviolenza, non sono inerte e passiva accettazione
dei mali esistenti, ma sono attivi e in lotta, con un proprio metodo che non lascia
un momento di sosta nelle solidarietà che suscita e nelle noncollaborazioni,
nelle proteste, nelle denunce aperte, è un grande risultato della Marcia».
Aderiscono molte personalità, tra cui lo scrittore Italo Calvino. L'impegno di
Capitini per la pace infranazionale e internazionale (con particolare
attenzione al pericolo atomico) lo coinvolse sempre più in una collaborazione
con Norberto Bobbio, il quale raccoglierà tali riflessioni nell'opera Il
problema della guerra e le vie della pace. Negli ultimi anni della sua
vita Capitini fonda e dirige un periodico intitolato Il potere di tutti,
sviluppando i principi di quella che lui definì "omnicrazia", la
gestione diffusa e delocalizzata del potere da lui contrapposta al centralismo
dei partiti. In questi anni Capitini promuove anche il Movimento nonviolento
per la Pace e il mensile "Azione nonviolenta", l'organo di stampa del
movimento, che attualmente viene pubblicato a Verona. Dedito
completamente al suo lavoro di divulgatore della nonviolenza, Capitini non si
sposò mai, per scelta, in modo da poter dedicare tutte le proprie energie alla
sua attività.[10] Il 19 ottobre 1968 Aldo Capitini muore circondato da
amici e allievi, dopo aver subìto un intervento chirurgico che consuma le sue
ultime energie. Il 21 ottobre il leader socialista Pietro Nenni scrive una nota
sul suo diario: «È morto il prof. Aldo Capitini. Era una eccezionale figura di
studioso. Fautore della nonviolenza, era disponibile per ogni causa di libertà
e di giustizia. (...) Mi dice Pietro Longo che a Perugia era isolato e
considerato stravagante. C'è sempre una punta di stravaganza ad andare contro
corrente, e Aldo Capitini era andato contro corrente all'epoca del fascismo e
nuovamente nell'epoca post-fascista. Forse troppo per una sola vita umana, ma
bello». È sepolto a Perugia nella tomba di amici del C.O.R., insieme a Emma
Thomas. Il pensiero Religione e laicità Il Mahatma Gandhi Aldo
Capitini aveva l'abitudine di definirsi un "religioso laico". Egli
accomunava la religione alla morale in quanto essa critica la realtà e la
spinge al cambiamentoin positivo. Quella di Capitini era un'opposizione
religiosa al fascismo. Il sentimento religioso, inoltre, nasce nei momenti
di difficoltà e sofferenza, in particolare nel rapporto individuale con la
morte. L'idea di laicità nasceva dal distacco di Capitini dalla Chiesa
cattolica, complice del regime: egli sosteneva che col Concordato del 1929 la
Chiesa avesse legittimato il potere di Mussolini, dimenticando le violenze
squadriste e, in tal modo, lo sostenesse garantendo la sua moralità di fronte
alla maggior parte della popolazione che riponeva fiducia nell'istituzione
religiosa. Capitini è molto distante dalla religione istituzionalizzata. Dio,
come Ente, non esiste per Capitini: per evitare ogni equivoco e marcare la
distanza della sua concezione religiosa da quella corrente, Capitini preferirà
parlare di compresenza piuttosto che di Dio; per la stessa ragione, per
indicare la vita religiosa così intesa non parla di fede, ma riprende da
Michelstaedter il termine persuasione.[11] Capitini si dichiara post-cristiano
– evidente anche dal suo "sbattezzo" – e non cattolico, ma ama e si
ispira alle figure religiose[12]. Ogni figura con una profonda credenza, anche
laica, è per lui un "religioso". Egli nega con decisione la divinità
di Gesù Cristo: convinzione senza la quale non si può essere cristiani.
Contesta, come Tolstoj, tutti gli aspetti leggendari e non dimostrabili dei
Vangeli, compresa la Risurrezione[13]. Ciò che apprezza sono le Beatitudini, il
modello spirituale di un agire verso gli ultimi. Gesù ha insegnato dove può
giungere una coscienza religiosa, è stato più di un uomo: "fu anche lui,
come tutti, un essere con certi limiti; ma d'altra parte fu in lui, come in
ogni altro essere, la qualità della coscienza che va oltre i limiti, che è in
lui come in un mendicante" scrive negli Elementi. L'imitazione di Cristo
secondo Capitini non è altro che realizzazione della propria realtà umana. Si
potrebbe ugualmente parlare di una imitazione del Buddha, di Francesco
d'Assisi, di Gandhi, di Tolstoj e molti altri.[11] Persuasione, apertura,
compresenza, omnicrazia Col termine "persuasione", ripreso da Carlo
Michelstaedter e da Gandhi, Capitini indicava la fede, sia in senso laico sia
religioso, la profonda credenza in determinati valori ed assunti, e tramite
essa, la capacità di persuadere gli altri della bontà del proprio ideale.
Il professor Aldo Capitini negli anni '60 L'apertura è
l'opposto della chiusura conservatrice ed autoritaria del fascismo, e l'elevazione
dell'anima verso l'alto e verso Dio. Un concetto chiave nella filosofia
capitiniana era la compresenza di tutti gli esseri, dei morti e dei viventi,
legati tra loro ad un livello trascendente, uniti e compartecipi nella
creazione di valori. Nella vita sociale e politica la compresenza si
traduce in omnicrazia, o governo di tutti, un processo in cui la popolazione
tutta prende parte attiva alle decisioni e alla gestione della cosa
pubblica. La nonviolenza e il liberalsocialismo Non può mancare il
concetto di nonviolenza, un ideale nobile, sinonimo di amore, coerenza di mezzi
e fini, la forza in grado di sconfiggere il fascismo, che non è solo un regime,
ma anche un modo di essere violento e autoritario. Il liberalsocialismo
di Capitini e di Guido Calogero si sviluppa in modo autonomo dal socialismo
liberale di Carlo Rosselli. Si forma infatti in un periodo posteriore, quando
il regime fascista è vicino al collasso, nell'ambiente dei giovani crociani che
hanno studiato ed insegnato alla Normale di Pisa, mentre il pensiero di
Rosselli, che lo precede temporalmente, essendosi forgiato nel fuoco della
lotta antifascista, in Italia e in Europa, già a partire dagli anni Venti, si
iscrive in modo diretto nella tradizione socialista. Capitini per liberalismo
intende il libero sviluppo personale, la libera ricerca spirituale e la
produzione di valori. Il socialismo è invece nei suoi intendimenti la
realizzazione nel lavoro, l'assistenza fraterna dell'umanità lavoratrice
soggetto corale della storia. Anche se «...il socialismo liberale di Rosselli
[…] è una delle eresie del socialismo, mentre il liberalsocialismo è un'eresia
del liberalismo» (M. Delle Piane), si può affermare tuttavia che entrambi
condividessero la critica ai totalitarismi,sia di destra che di sinistra, una
visione laica della politica e l'obiettivo di una profonda riforma morale e
sociale dell'Italia distrutta dalla guerra.[14] L'educazione e la civiltà
L'educazione "profetica" è quella di colui che, con uno sguardo al futuro,
è capace di criticare la realtà sulla base di valori morali, anche a costo di
sembrare fuori dal suo tempo. Con l'espressione "civiltà
pompeiana-americana" intende biasimare la mentalità materialista che vede
nel lusso e nel possesso la realizzazione delle persone. Il "tempo
aperto" è il tempo libero che ognuno potrebbe destinare alla discussione,
alla socializzazione, al raccoglimento, all'elevazione spirituale. Ad Aldo
Capitini sono intitolate strade in molte città di Italia: Perugia, Firenze,
Roma, Pisa, Milano, ecc Riconoscimenti Ad Aldo Capitini sono oggi
intitolati un Istituto di istruzione tecnica economica e tecnologica, un centro
congressi a Perugia, un'Aula magna all'interno dell'Università di Cagliari,
presso la Facoltà di Studi umanistici. Opere 1937 Elementi di
un'esperienza religiosa, Laterza, Bari. 1942 Vita religiosa, Cappelli, Bologna.
1943 Atti della presenza aperta, Sansoni, Firenze. 1947 Saggio sul soggetto
della storia, La Nuova Italia, Firenze. 1948 Esistenza e presenza del soggetto
in Atti del Congresso internazionale di Filosofia (II Vol.), Castellani,
Milano. 1948 La realtà di tutti, Arti Grafiche Tornar, Pisa. 1949 Italia
nonviolenta, Libreria Internazionale di Avanguardia, Bologna. 1950 Nuova
socialità e riforma religiosa, Einaudi, Torino. 1951 L'atto di educare, La
Nuova Italia, Firenze. 1955 Religione aperta, Guanda, Modena. 1956 Colloquio
corale, Pacini Mariotti, Pisa. 1957 Discuto la religione di Pio XII, Parenti,
Firenze. 1958 Aggiunta religiosa all'opposizione, Parenti, Firenze. 1958 "Danilo
Dolci", Piero Lacaita Editore, Manduria. 1961 Battezzati non credenti,
Parenti, Firenze. 1966 Antifascismo tra i giovani, Celebes editore, Trapani.
1966 La compresenza dei morti e dei viventi, Saggiatore, Premio Viareggio
Speciale[15]. 1967 Le tecniche della nonviolenza, Feltrinelli, Milano (rist.
Linea D'Ombra, Milano 1989; rist. Edizioni dell'asino, Roma 2009). 1967-1968
Educazione aperta (2 Voll.), La Nuova Italia, Firenze. 1969 Il potere di tutti,
introduzione di N. Bobbio, prefazione di P. Pinna, La Nuova Italia, Firenze.
1992 Scritti sulla nonviolenza, a cura di L. Schippa, Protagon, Perugia. 1994
Scritti filosofici e religiosi, a cura di M. Martini, Protagon, Perugia. 1999
Il potere di tutti, 2 ed. riveduta e corretta, Guerra Edizioni, Perugia. 2003
Opposizione e liberazione: una vita nella nonviolenza, a cura di Piergiorgio
Giacché, Napoli, L'ancora del Mediterraneo. 2004-2007-2016 Le ragioni della
nonviolenza. Antologia degli scritti, a cura di Mario Martini, ETS, Pisa scheda
2007 Lettere 1931-1968, "Epistolario di Aldo Capitini, 1" - con
Walter Binni, a cura di L. Binni e L. Giuliani, Carocci, Roma (intr.di M.
Martini). 2008 Lettere 1952-1968, "Epistolario di Aldo Capitini, 2" -
con Danilo Dolci, a cura di G. Barone e S. Mazzi, Carocci, Roma. 2008 La
religione dell'educazione: scritti pedagogici, a cura di Piergiorgio Giacché,
La meridiana, Molfetta. 2009 Lettere 1936-1968, "Epistolario di Aldo
Capitini, 3" - con Guido Calogero, a cura di Th. Casadei e G. Moscati,
Carocci, Roma. 2010 L'atto di educare, a cura di M. Pomi, Armando editore,
Roma. 2011 Lettere 1941-1963, "Epistolario di Aldo Capitini, 4" - con
Edmondo Marcucci, a cura di A. Martellini, Carocci, Roma. 2011 Religione
Aperta, a cura di M.Martini, Laterza, Roma-Bari. 2012 Lettere 1937-1968,
"Epistolario di Aldo Capitini, 5" - con Norberto Bobbio, a cura di P.
Polito, Carocci, Roma. 2012 Lettere familiari, "Epistolario di Aldo
Capitini, 6" - a cura di M. Soccio, Carocci, Roma. 2016 Un'alta passione,
un'alta visione. Scritti politici 1935-1968 - a cura di L. Binni e M. Rossi, Il
Ponte Editore, Firenze. 2016 Attraverso due terzi del secolo, Omnicrazia: il
potere di tutti - a cura di L. Binni e M. Rossi, Il Ponte Editore, Firenze.
2017 La mia nascita è quando dico un tu, quaderno per la ricerca - a cura di
Lanfranco Binni e Marcello Rossi, Il Ponte Editore, Firenze. 2018 Antifascismo
tra i giovani, collana «Opere di Aldo Capitini», Il Ponte Editore, coedizione
con Fondo Walter Binni e Fondazione Centro studi Aldo Capitini, Firenze. 2018
Nuova socialità e riforma religiosa, collana «Opere di Aldo Capitini», Il Ponte
Editore, coedizione con Fondo Walter Binni e Fondazione Centro studi Aldo
Capitini, Firenze. 2018 La compresenza dei morti e dei viventi, collana «Opere
di Aldo Capitini», Il Ponte Editore, coedizione con Fondo Walter Binni e
Fondazione Centro studi Aldo Capitini, Firenze. 2019 Educazione aperta collana
«Opere di Aldo Capitini», Il Ponte ditore, Voll. 1-2, coedizione con Fondo
Walter Binni e Fondazione Centro studi Aldo Capitini, Firenze. Note ^ Incontro
con il "Gandhi" italiano, La Stampa, 22 giugno 1968; Il Gandhi
Italiano, Panorama n.372, 1973 ^ Tale soprannome è condiviso con altri, come
Danilo Dolci e Franco Corbelli ^ Capitini ricorderà: «Gentile era impaziente
che io sistemassi le cose e me ne andassi, perché ero divenuto di colpo
vegetariano (per la convinzione che esitando davanti all'uccisione degli
animali, gli italiani – che Mussolini stava portando alla guerra – esitassero
ancor di più davanti all'uccisione di esseri umani): e a Gentile infastidiva
che io, mangiando a tavola con gli studenti, come continuavo a fare, fossi di
scandalo con la mia novità». (citato in Lorenzo Guadagnucci, Restiamo animali,
Milano, Terre di mezzo, 2012, p. 250. ISBN 978-88-6189-224-8) ^ Sergio Romano,
Aldo Capitini e il pacifismo alla Scuola Normale, Corriere della Sera, 4 luglio
2006. URL consultato l'8 febbraio 2013 (archiviato dall'url originale il 18
giugno 2013). ^ Aldo Capitini, La compresenza dei morti e dei viventi, Il
Saggiatore, Milano, 1966, p. 131. ^ Da Le lettere di religione Archiviato il 26
novembre 2011 in Internet Archive. su aldocapitini.it ^ Edmondo Marcucci, Che
cos'è il vegetarismo?, Società vegetariana italiana, 1953. ^ Giulio Angioni,
Tutti dicono Sardegna, Cagliari, Edes, 1990, 3049 ^ Dal sito del COS fondato da
Capitini[collegamento interrotto] ^ Testimonianza di Luciano Capitini, figlio
del cugino di primo grado Piero, il parente più stretto di Capitini
Antonio Vigilante, Religione e nonviolenza in Aldo Capitini. ^ Martini Mario,
Aldo Capitini e le possibilità religiose della laicità, Nuova antologia : 608,
2262, 2, 2012, Firenze (FI): Le Monnier, 2012. ^ Nel 1938 aveva reso
visita a Piero Martinetti, ritiratosi nella sua villa di Spineto a
Castellamonte, con le cui concezioni religiose aveva una grande sintonia. ^ Per
un approfondimento, vedi i seguenti testi: G. Calogero, Difesa del
liberalsocialismo, Marzorati, Milano, 1972; M. Bovero, V. Mura, F. Sbarberi (a
cura di), I dilemmi del liberalsocialismo, La Nuova Italia Scientifica, Roma
1994; A. Capitini, Liberalsocialismo, e/o, Roma, 1996 (che raccoglie una serie
di scritti apparsi fra il '37 e il '49). ^ Premio letterario Viareggio-Rèpaci,
su premioletterarioviareggiorepaci.it. URL consultato il 9 agosto 2019.
Bibliografia Piero Craveri, CAPITINI, Aldo, in Dizionario biografico degli
italiani, vol. 18, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1975. URL
consultato il 26 maggio 2016. Modifica su Wikidata Norberto Bobbio, La
filosofia di Aldo Capitini, Religione e politica in Aldo Capitini, in Id.,
Maestri e compagni, Firenze, Passigli Editori, 1984. Antonio Areddu, La via
italiana al gandhismo in “Il Manifesto”, 13 agosto 1888, p. 10. Antonio Areddu,
Non violenza e utopia. Aldo Capitini ed Ernst Bloch, in “Behemoth”, trimestrale
di cultura politica, a. 1988, vol. 4, fasc.1-2. Giacomo Zanga, Aldo Capitini.
La sua vita, il suo pensiero, Torino, Bresci Editore, 1988. Marco Capanna,
Speranze, Rizzoli, 1994. Mario Martini, L'etica della nonviolenza e l'aggiunta
religiosa, in "Il Ponte", n. 10, 1998. Mario Martini, Capitini
ispiratore di Bucchi. La sintesi di pensiero del Colloquio corale, in
"Esercizi Musica e spettacolo", nn. 16-17, 1997-98. Antonio
Vigilante, La realtà liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Foggia,
Edizioni del Rosone, 1999. Mario Martini, I limiti della democrazia e
l'aggiunta religiosa all'opposizione, in G. B. Furiozzi (a cura di), Aldo
Capitini tra socialismo e liberalismo, Milano, Franco Angeli, 2001. Pietro
Polito, L'eresia di Aldo Capitini, prefazione di N. Bobbio, Aosta, Stylos,
2001. Giuseppe Moscati, La presenza alla persona nell'etica di Aldo Capitini:
considerazioni in alcuni scritti minori, in "Kykeion", n. 7, Firenze,
University Press, 2002. Tuscano, Pasquale, Poetica e poesia di Aldo Capitini,
Critica letteraria. N. 4, 2008, Napoli: Loffredo Editore, 2008. Mario Martini,
Mazzini, Capitini, Gandhi: una religione umanitaria per la democrazia, in
"Il Pensiero Mazziniano", ott.-dic. 2002. Rocco Altieri, La
rivoluzione nonviolenta. Biografia intellettuale di Aldo Capitini, 1ª ed. BFS
edizioni, 2 ed., Pisa, BFS edizioni, 2003. Mario Martini, Laicità religione
nonviolenza, in M. Soccio (a cura di), Convertirsi alla nonviolenza?, Verona,
Il Segno dei Gabrielli, 2003. Mario Martini, Religiosità, ateismo e laicità: la
religione aperta, in D. Tessore (a cura di), L'evoluzione della religiosità
nell'Italia multiculturale, Roma, Settimo Sigillo, 2003. Federica Curzi, Vivere
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Merlo, La teoria della compresenza di Aldo Capitini. Fisionomia logica di una
categoria religiosa, in "Itinerari" (seconda serie), XLVIII, 3, 2009.
Nunzio Dell'Erba, Aldo Capitini, in Id., in "Intellettuali laici nel 900
italiano", Padova 2011, pp. 169–188 Mario Martini, Capitini oltre il
quarantennio della sua scomparsa. Una rassegna, in "Quaderni
dell'Associazione Diomede", n. 2, 2011. Mario Martini, Capitini, maestro
di rigore intellettuale e politico, in "Il Ponte", nn. 7-8, 2011.
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"Nuova Antologia", aprile-giugno 2012. Gian Biagio Furiozzi, Aldo
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Rigano, Religione aperta e pensiero nonviolento: Aldo Capitini tra Francesco
d'Assisi e Gandhi, Mondo contemporaneo: rivista di storia: 2, 2011 (Milano:
Franco Angeli). Polito, Pietro, editor; Impagliazzo, Pina, editor, Norberto
Bobbio: testimonianze e ricordi su Aldo Capitini, Nuova antologia: 607, 2260,
2011 (Firenze (FI): Le Monnier). Mario Martini, Aldo Capitini e le possibilità
religiose della laicità, Nuova antologia: 608, 2262, 2, 2012 (Firenze (FI): Le
Monnier). Aldo Capitini (a cura di Lanfranco Binni e Marcelo Rossi), Numero
speciale di “Il Ponte” n.4, luglio-agosto 2018. Voci correlate Danilo Dolci
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su citinv.it. Puntata de "La grande storia", su rai.it. URL
consultato il 3 ottobre 2011 (archiviato dall'url originale il 7 marzo 2014).
Tesi di laurea: Guido Calogero, Aldo Capitini, Norberto Bobbio - Tre idee di
democrazia per tre proposte di pace, su peacelink.it. Predecessore Rettore
dell'Università per Stranieri di Perugia Successore
Astorre Lupattelli 1944
- 1946 commissario Carlo
Sforza Controllo di autorità VIAF
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Portale Filosofia Politica Portale Politica Categorie: Filosofi italiani del XX
secoloPolitici italiani del XX secoloAntifascisti italianiNati nel 1899Morti
nel 1968Nati il 23 dicembreMorti il 19 ottobreNati a PerugiaMorti a
PerugiaAccademici italiani del XX secoloAttivisti italianiEducatori
italianiNonviolenzaPacifistiPersone legate alla Resistenza italianaPoeti
italiani del XX secoloPolitici del Partito d'AzioneSostenitori del
vegetarianismoTeorici dei diritti animali[altre]
Capizzi Antonio
Capizzi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Antonio Capizzi all'Istituto dell'Enciclopedia Italiana
AntonioCapizzi (Genova, 7 dicembre 1926 – Roma, 18 novembre 2003) è stato un
filosofo e storico italiano. Dal 1986 fu professore associato di filosofia
teoretica all'Università La Sapienza di Roma, succedendo a Guido Calogero nella
cattedra che ha sede a Villa Mirafiori. Capizzi si contraddistinse per
l'accurato studio storico e filologico dei presocratici e dei filosofi greci.
Contestò radicalmente le ricostruzioni ottocentesche del pensiero occidentale
del VI e V secolo a.C., che attribuiscono validità storica alle interpretazioni
di Aristotele e alla dossografia dipendente da Teofrasto. A questo scopo
collaborò con il circolo urbinate di Bruno Gentili nello sforzo di inserire i
sapienti greci nelle tematiche concernenti le città, il pubblico, il
committente, l'evoluzione delle strutture sociali, il trapasso dalla tradizione
orale alla società della scrittura. Indice 1 Biografia 2 Opere
principali 3 Articoli 4 Curiosità 5 Note 6 Voci correlate 7 Altri progetti 8
Collegamenti esterni Biografia Antonio Capizzi ha vissuto prevalentemente a
Roma, formandosi alla scuola di Pantaleo Carabellese. Ben presto entrò nei
circoli degli studenti e degli studiosi che gravitavano intorno ai filosofi Ugo
Spirito e Guido Calogero. Giovane professore di storia e filosofia nei licei
classici prima di Frosinone e poi di Roma, negli anni quaranta fu libero
docente di storia della filosofia, di storia della filosofia antica e di
filosofia teoretica presso l'Università La Sapienza di Roma, evidenziandosi,
fin dagli esordi, per l'originalità delle vedute e la radicalità del
temperamento. Coltivò due interessi paralleli. Uno, da storico, per
la sapienza greca arcaica, che lo portò a contestare la narrazione dei
presocratici fatta da Aristotele. Questi, secondo Capizzi, scrisse «per
esigenze di insegnamento del proprio pensiero»[1] nell'ambito del Liceo, e non
con lo scopo di ricostruire quanto realmente accaduto. Dopo di lui, per «un
colossale equivoco»[2], Teofrasto, i grammatici alessandrini, Georg Wilhelm
Friedrich Hegel, Eduard Zeller, Theodor Gomperz e John Burnet protrassero «una
sistematica falsificazione»[2]. Capizzi riprese, per contro, la lezione di
Hermann Diels, Karl Reinhardt, Harold Cherniss, John Baptist Mc Diarmid e
Geoffrey Kirk, i quali dimostrarono che Aristotele ha avuto solo interessi
speculativi: per Capizzi, Aristotele, come tutti i filosofi, «ha parlato sempre
e soltanto del suo tempo, della cultura del suo tempo, dei problemi del suo
tempo». Approfondendo gli studi di Guido Calogero sul prelogismo, di Marcel
Detienne sul mito antropomorfico, di Eric Havelock sulla diffusione orale del
pensiero e di Giorgio Colli sulla sapienza prefilosofica, Capizzi fu il primo
storico di formazione filosofica a scoprire l'importanza della dimensione
politica negli enigmatici frammenti dei sapienti presocratici. Egli ritenne
che, ogni volta che si studiano autori pre-periclei, occorra «privilegiare il
rapporto tra ogni singolo autore e la sua singola città»[3]. L'altro
interesse, preminentemente teoretico, si svolse sui temi dell'attualismo del
pensiero di Giovanni Gentile, che Capizzi tentò di superare liberandolo dal
presupposto interioristico e cogitativistico e proponendo di passare dal
pensiero alla comunicazione, in particolare a quella comunicazione protesa
verso una risposta futura che è il dialogo. Intransigente oppositore dei
pensieri assoluti, nella sua opera di maggior rilievo filosofico, pubblicata
dopo uno studio durato 35 anni, Capizzi distinse la filosofia in
"comica" e "tragica". «Per "filosofia comica" -
scrisse - intendo quella che presuppone una struttura unitaria a priori della
realtà, che pertanto analizza cose come l'"essere",
l'"uomo", la "conoscenza", la "ragione", che
ignora i modi di essere delle singole società, i tipi di uomo, i modi di
conoscere legati ai modi di vivere, le ragioni dei singoli gruppi esistenti in
vari luoghi e in vari momenti".»[4] L'altra filosofia, ampiamente
minoritaria e controcorrente, è quella che presuppone la pluralità delle
culture, dei costumi, dei pensieri, e che, avendo a che fare, nei vari momenti
storici, con incontri e scontri di alcune culture, alcuni costumi e alcuni
pensieri, entra nell'età adulta del dilemma tragico, della scelta tra due
opzioni contrarie le quali, in assoluto, non rappresentano il bene o il male,
ma ciascuna il bene in un determinato sentire che spesso coincide con il male
di un sentire opposto. Opere principali Protagora. Le testimonianze e i
frammenti, 1955 La difesa del libero arbitrio da Erasmo a Kant, 1963 Per un
attualismo del dialogo, 1965 Dall'ateismo all'umanismo. Correnti incredule del
dopoguerra e loro prospettive dialogiche, 1967 Socrate e i personaggi filosofi
di Platone. Uno studio sulle strutture della testimonianza platonica e
un'edizione delle testimonianze contenute nei dialoghi, Roma, 1970 Impegno e
disponibilità. La doppia morale degli intellettuali di oggi, 1971 I
Presocratici. Antologia di testi, Firenze, La Nuova Italia, 1972, ISBN
88-221-0263-0 Introduzione a Parmenide, Roma-Bari, Laterza, 1975 La porta di
Parmenide. Due saggi per una nuova lettura del poema, 1975 I Sofisti. Antologia
di testi, Firenze, La Nuova Italia, 1976 Sinfonia patriarcale. Storia
antologica del pensiero maschile sulla donna, Roma, Savelli editore, 1976,
scritto con Viola Angelini Alle radici ideologiche dei fascismi. Il mito della
libertà individuale da Constant a Hitler, Roma, Savelli, 1977 Socrate.
Antologia di testi, Firenze, La Nuova Italia, 1977 Eraclito e la sua leggenda.
Proposta di una diversa lettura dei frammenti, 1979 La repubblica cosmica.
Appunti per una storia non peripatetica della nascita della filosofia in
Grecia, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1982 Platone e il suo tempo, Roma, Edizioni
dell'Ateneo, 1984 Forme del sapere nei presocratici, Roma, Edizioni
dell'Ateneo, 1987, scritto con Giovanni Casertano L'uomo a due anime.
Dall'infanzia mimica, dalla comicità adolescenziale, al tragico come scelta
adulta, Firenze, La Nuova Italia, 1988 Il tragico in filosofia, Roma, Edizioni
dell'Ateneo, 1988 I sofisti ad Atene. L'uscita retorica dal dilemma tragico,
Bari, Levante Editori, 1990 Paradigma, mito, scienza. Studi sul pensiero greco,
Gruppo editoriale internazionale, 1995 Platone nel suo tempo. L'infanzia della
filosofia e i suoi pedagoghi, 1997 Articoli "Anima e corpo nel XIII
secolo", in Giornale critico della filosofia italiana, fasc. 1-2, Firenze,
Sansoni, 1951 "Recenti studi sull'Eleatismo", in Rassegna di filosofia,
1955 "Il 'mito di Protagora' e la polemica sulla democrazia, "La
cultura", 8, 1970 "A proposito di Parmenide e di Socrate
demistificati", in Rivista critica di storia della filosofia, 32, 1977
"Appunti di un demistificatore", in Rivista critica di Storia della
Filosofia, 32, 1977 "I presocratici furono filosofi? Il circolo di Pericle
e le origini dello specifico filosofico", in Giornale critico della
filosofia italiana 1978 "Tracce di una polemica sulla scrittura in
Eraclito e Parmenide", in Giornale critico della filosofia italiana 1979
"Cerchie e polemiche filosofiche del V secolo", in Storia e civiltà
dei Greci, vol. III, Milano, 1979 "Eliadi Meleagridi Pandionidi.
Osservazioni sulla metafora mitica in Parmenide", in Quaderni Urbinati di
Cultura Classica, N. S. 3, 1979 "Eraclito e Parmenide, un tipico luogo
comune", in Il Contributo, luglio-agosto 1979 "A proposito di un
recente libro su Parmenide", in Quaderni Urbinati di Cultura Classica, 33,
1980 "Eschilo e Parmenide", in Quaderni Urbinati di Cultura Classica,
N. S. 10, 1982 "Oysia-physis, eimi-phyo, sum-fui. I due concetti di essere
del pensiero antico", in "Discorsi" 3, 1983 "Mente elevata
e mente profonda" in AA.VV., Il Sublime: contributi per la storia di
un'idea. Studi in onore di Giuseppe Martano, Napoli, 1983 "Opsis akoé. The
sources of the problem of sensations in Parmenides", in Museum
Philologicum Londiniense, 6, 1984 "Trasposizione del lessico omerico in
Parmenide ed Empedocle", in Quaderni Urbinati di Cultura Classica, 54,
1987 "Quattro ipotesi eleatiche", in La Parola del Passato, 43, 1988
"Di Pitodoro, di Omar, di Don Ferrante e anche degli aristotelici
attuali", in "Il contributo", 12, 2, 1988, pagg. 69 e segg.
"Introduzione", in Platone, Protagora, Firenze, La Nuova Italia, 1991,
pagg. VII-XXIV Curiosità Il 31 marzo 1977 partecipa con una delegazione di
professori ad un'assemblea indetta dagli studenti della Facoltà di Lettere
dell'Università La Sapienza. La discussione si fa animata soprattutto con
Rosario Romeo, professore di Storia Moderna, che prima accusa Capizzi di
fiancheggiare gli "squadristi rossi" e poi lo schiaffeggia. Gli
Indiani metropolitani rincorrono Romeo al grido di "Compagno Capizzi, te
lo giuriamo, ogni Romeo preso te lo schiaffeggiamo".[5]. Note ^ La
repubblica cosmica. Appunti per una storia non peripatetica della nascita della
filosofia in Grecia, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1982, pag. 16 Ivi, pag.
16 ^ Ivi, pag. 13 ^ L'uomo a due anime. Dall'infanzia mimica, dalla comicità
adolescenziale, al tragico come scelta adulta, Firenze, La Nuova Italia, 1988,
pag. IX ^ Settantasette, su complessoperforma.it. URL consultato il 26-12-2010
(archiviato dall'url originale il 4 aprile 2011). Voci correlate Filosofia
greca Presocratici Attualismo (filosofia) Altri progetti Collabora a Wikiquote
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Filosofi italiani del XX secoloStorici italiani del XX secoloNati nel 1926Morti
nel 2003Nati il 7 dicembreMorti il 18 novembreNati a GenovaMorti a Roma[altre]
Capocasale Giuseppe Capocasale
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Giuseppe Capocasale Giuseppe Capocasale
(Montemurro, 1º marzo 1754 – Napoli, 21 ottobre 1828) è stato un abate e
filosofo italiano. Figura di spicco del panorama culturale in era borbonica,
era noto con l'appellativo di "Socrate cristiano".[1] Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Note
4 Bibliografia
5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Nato in una povera famiglia, da Lorenzo e Maria Lucca, sin da
ragazzino aiutò il padre nel suo mestiere di fabbro ferraio. Nel tempo libero
si dedicò agli studi, mostrando grande attitudine nelle lettere e nel latino in
particolare. Con la morte del padre, avvenuta quando Capocasale aveva 15 anni,
visse tra Corleto Perticara, Stigliano e San Mauro Forte, procurandosi da
vivere come insegnante privato, dedicandosi contemporaneamente allo studio
della filosofia e del diritto. Dopo
esser stato governatore baronale di Sarconi, incarico ottenuto appena ventenne,
lasciò la Basilicata per trasferirsi a Napoli, conseguendo la laurea in
giurisprudenza. Dopo gli studi universitari, insegnò filosofia nella scuola
dallo stesso fondata a Napoli. Dal 1801 vestì l'abito talare e, dal 1804, fu
nominato da Ferdinando IV precettore di logica e di metafisica all'Università
di Napoli. Perse tale incarico con
l'arrivo di Giuseppe Bonaparte: sotto il suo governo gli fu concessa solamente
la docenza privata. Con la restaurazione, Ferdinando IV lo nominò vescovo di
Cassano nel 1816. Capocasale, tuttavia, preferendo l'insegnamento, rinunciò
alla carica, così come fece più tardi con l'incarico di pari grado conferitogli
per la diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo[2]. Sempre nell'ateneo partenopeo
ebbe, dal 1818, la cattedra di diritto di natura e delle genti: i suoi teoremi,
di stampo lockiano, ebbero una certa risonanza, tanto da essere citati da
filosofi come Francesco Fiorentino,[3] Giovanni Gentile[4] e Eugenio
Garin[5]. Alcuni suoi discepoli divennero
importanti personalità culturali del tempo come Francesco Iavarone, Giustino
Quadrari, Giuseppe Scorza, Gaetano Arcieri e Giuseppe Mazzarella. Sempre fedele
alla monarchia borbonica, si schierò contro le insurrezioni carbonare del 1820.
Dal 1822 fu precettore del futuro re delle Due Sicilie: Ferdinando II. Fu
inoltre membro di varie Accademie come la Parmense, la Fiorentina, la
Cosentina, l'Augusta di Perugia, Aletina e Renia di Bologna, degli Intrepidi di
Ferrara, de' Nascenti e degli Assorditi di Urbino, dei Filoponi di Faenza.[6] Opere Divota novena del gloriosissimo
taumaturgo S. Mauro, Roma, 1781. Esercizio di divozione verso il glorioso
confessore S. Rocco, Napoli, 1781. Cursus philosophicus, Napoli, 1789. Saggio
di politica privata per uso dei giovanetti ricavata dagli scritti dei più sensati
pensatori, Napoli, 1791. Catechismo dell'uomo e del cittadino, Napoli, 1792.
Codice eterno ridotto in sistema secondo i veri principi della ragione e del
buon senso, Napoli, 1793. Saggio di fisica per giovanetti, Napoli, 1796.
Istituzioni elementari di matematica, Napoli, 1824. Note ^ F. De Sanctis, La
giovinezza; memorie postume seguite da testimonianze biografiche di amici e
discepoli, Einaudi, 1961, p.41 ^ L. Alonzi, Il Vescovo-prefetto. La diocesi di
Sora nel periodo napoleonico (1796-1818), Centro Studi Sorani "Vincenzo
Patriarca", Sora 1998, p. 254, n. 138. ^ F. Fiorentino, Giornale
napoletano di folosofia e lettere, scienze morali e politiche, 1876, pp. 513 ^
G. Gentile, Storia della filosofia italiana dal Genovesi al Galluppi, vol. II,
Sansoni, Firenze 1937, pp. 103 e ss. ^ E. Garin, Storia della filosofia
italiana, vol. III, Einaudi, Torino 1978, pp. 995 e 1101. ^ E. De Tipaldo,
Biografia degli Italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo
XVIII, e de' contemporanei, Volume 8, Alvisopoli, 1841, p.103 Bibliografia E.
Di Tipaldo (a cura di), Biografia degli italiani illustri, vol. VIII, Tip.
Alvisopoli, Venezia 1841, pp. 103-104, ad vocem, su books.google.it. Giacoma
Maria Pagano, CAPOCASALE, Giuseppe, in Dizionario biografico degli italiani,
vol. 18, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1975. Modifica su Wikidata
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immagini o altri file su Giuseppe Capocasale Collegamenti esterni Alcuni
documenti riguardanti Capocasale sono visibili sul sito Montemurro Sul Web
Giuseppe Capocasale, un filosofo lucano alla corte dei Borboni[collegamento
interrotto] dal sito del Consiglio regionale della Basilicata Controllo di
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Biografie Diritto Portale Diritto Due Sicilie Portale Due Sicilie Filosofia
Portale Filosofia Categorie: Abati e badesse italianiFilosofi italiani del
XVIII secoloFilosofi italiani del XIX secoloNati nel 1754Morti nel 1828Nati il
1º marzoMorti il 21 ottobreNati a MontemurroMorti a Napoli[altre]
capocci: Grice: “That’s how I
shall call him – others favour “Giacomo da Viterbo.”” – Essential Italian philosopher – Capocci (n.
Viterbo), filosofo. Beato Giacomo da Viterbo, olio su tela XVII secolo, Viterbo,
chiesa della Santissima Trinità Religioso, teologo e vescovo
Nascitacirca 1255, Viterbo Morte1307, Napoli Venerato daChiesa cattolica
Beatificazione1911 da Papa Pio X Ricorrenza4 giugno Manuale Giacomo da Viterbo,
O.E.S.A. arcivescovo della Chiesa cattolica GiacomoDaVt.Trin.jpg
Template-Metropolitan Archbishop.svg Incarichi ricopertiArcivescovo
di Benevento, Arcivescovo di Napoli Natocirca 1255 a Viterbo
Elevato arcivescovo1302 Deceduto1307 a Napoli Manuale Giacomo da
Viterbo (Viterbo, 1255 circa – Napoli, 1307) è stato un filosofo, teologo e
arcivescovo cattolico italiano, appartenente all'Ordine di Sant'Agostino,
beatificato da papa Pio X nel 1911. Fu arcivescovo di Benevento nel 1302,
poi di Napoli, dal 1302 fino alla morte (1307). Nacque a Viterbo tra il
1255 ed il 1256; alcuni storici del XVIII secolo lo hanno considerato
appartenente alla nobile famiglia viterbese dei Capocci, ma in proposito
sussistono attualmente molti dubbi[1]. Studiò sicuramente presso il convento
viterbese della Santissima Trinità degli Eremitani di Sant'Agostino, nel cui
ordine entrò intorno al 1272, sempre presso lo stesso convento. Recatosi a
Parigi, si perfezionò negli studi teologici con il confratello filosofo e
teologo Egidio Romano; rientrato in Italia, ricoprì più volte, tra il 1281 ed
il 1286, su indicazione di Egidio, le cariche di Definitore e Visitatore nella
Provincia Romana del suo ordine. Tornato a Parigi per completare gli studi,
conseguì prima il baccellierato (1288) e quindi, nel 1293, il dottorato in
teologia[2]. In quegli anni mostrò tutte le sue grandi capacità letterarie e
filosofiche, arrivando a succedere allo stesso Egidio Romano - che era stato
nel frattempo eletto Priore Generale dell'Ordine - presso lo Studium parigino e
guadagnandosi l'appellativo di Doctor speculativus. Nel 1300 ricevette
l'incarico di Primus Lector, cioè Direttore dell'insegnamento, presso lo
Studium fondato a Napoli dagli agostiniani[3]. Scrisse la sua opera più
conosciuta, il trattato De regimine christiano, negli anni tra il 1296 ed il
1303, epoca in cui si faceva sempre più acuto lo scontro tra papa Bonifacio
VIII ed il re di Francia Filippo IV il Bello. Il lavoro di Giacomo riprendeva
le tesi della bolla pontificia Unam Sanctam, difendendo l'idea ierocratica, o,
meglio, teocratica, ed il diritto del papato ad esercitare il potere
temporale[4]. Bonifacio VIII gli manifestò la sua stima ordinandolo prima
arcivescovo di Benevento, il 3 settembre 1302, e quindi nominandolo, il 12
dicembre dello stesso anno, dopo soli tre mesi, arcivescovo dell'ancor più
prestigiosa sede di Napoli. Qui, grazie all'appoggio del re Carlo II d'Angiò e
di suo figlio Roberto, con i quali ebbe ottimi rapporti, diede notevole impulso
ai lavori per la costruzione di una nuova Cattedrale. Il suo ruolo fu
importante anche in occasione della canonizzazione del santo pontefice
Celestino V in quanto fu affidata proprio a lui la causa, da parte di papa
Clemente V: per istruire tale causa nel 1306 ascoltò non meno di trecento
testimoni, tra Campania ed Abruzzo. La morte lo colse alla fine del 1307, ma se
ne ignora la data precisa[5], così come non è noto il luogo della sepoltura.
Subito dopo la morte fu venerato come santo. Il suo culto[6] venne
confermato ab immemorabili il 14 giugno 1914 da papa Pio X; la sua memoria
liturgica ricorre il 4 giugno[7]. Il De regimine christiano e le altre
opere L'opera più significativa di Giacomo è sicuramente il De regimine
christiano - dedicato a papa Bonifacio VIII e terminato presumibilmente nel
1303 - in cui il religioso viterbese approfondisce i temi, estremamente
rilevanti in quegli anni, del papato, inteso come teocrazia, e del potere
temporale della Chiesa. In questo lavoro Giacomo, partendo da considerazioni di
stampo prettamente agostiniano, ritiene che il potere temporale abbia un
fondamento naturale, perfezionato dall'opera della Chiesa. Questo scritto ha
suscitato nei secoli l'interesse di molti teologi e studiosi, anche perché è
comunemente considerato il primo trattato sistematico sulla Chiesa[8]; ve ne
sono attualmente diverse traduzioni in varie lingue: in italiano la più recente
è quella del 1993, a cura di A. Rizzacasa e G. B. Marcoaldi, che ha il
significativo titolo de Il Governo della Chiesa. Tra le altre opere di Giacomo
tradotte e pubblicate vanno ricordati due lavori squisitamente teologici, le
Quaestiones disputatae de praedicamentis in divinis, collocabili tra il 1293 ed
il 1295 e pubblicate dall'Ypma, che sono ritenute di grande interesse da parte
degli studiosi[9], e la Summa de peccatorum distinctione, scritta tra il 1300
ed il 1306, ed edita dall'Ambrasi. Esistono tuttora numerosi manoscritti di
questo teologo agostiniano che non sono stati tradotti integralmente.
Note ^ L'argomento è approfondito da Ugo Mariani, Giacomo da Viterbo in Chiesa
e Stato nei teologi agostiniani del XIV secolo, Roma, 1957; lo studioso
agostiniano, dopo lunghe ricerche, non ha trovato alcuna menzione di Giacomo
tra i membri della famiglia viterbese dei Capocci. Lo stesso Mariani indica
l'epoca della nascita, desunta da altre ricerche. ^ Molte notizie sulla vita di
Giacomo sono reperibili on line nella monografia di Paolo Vian,GIACOMO DA
VITERBO, su Dizionario Biografico degli Italiani Treccani, che reca anche una
notevole bibliografia. ^ Su questi aspetti della biografia si veda il volume di
Giacomo da Viterbo Il Governo della Chiesa (De regimine christiano), Nardini,
Firenze, 1993, con traduzione e commento di G.B.Marcoaldi e A.Rizzacasa, che
reca una interessante e corposa nota bio-bibliografica , ricca di notizie sulla
vita di questo religioso ^ Si veda in proposito l'edizione succitata del 1993
del De regimine christiano, nella cui introduzione vengono ampiamente trattate
tali problematiche. ^ Secondo il Vian (op.cit.) la sua morte va collocata tra
il 6 settembre 1307, ultima data in cui il suo nome compare in una lettera di
Carlo II d'Angiò, ed una data antecedente il 17 marzo 1308, giorno in cui
Clemente V ne nominò il successore alla sede arcivescovile di Napoli, Umberto
de Montauro. ^ Sempre secondo Vian (op.cit.) vi sono immagini del Trecento, nel
viterbese, nel beneventano e nel napoletano, in cui Giacomo viene raffigurato
con l'aureola dei Santi, ad indicare la fama di santità di cui godette sin
dalla morte. ^ Fino al 2005 la memoria era il 12 dicembre. ^ Lo precisa
puntualmente l'articolo di Bruno Silvestrini,O.S.A., su SantieBeati on-line
(v.Collegamenti esterni). ^ Si veda in proposito quello che scrive sulle
Quaestiones il Mariani (op.cit.). Bibliografia (FR) Henri-Xavier Arquillière,
Le plus ancien traité de l'Église. Jacques de Viterbe: de regimine christiano
(1301-1302) Étude des sources et édition critique, Parigi, 1926. (LA) David
Gutierrez, De beati Jacopi Viterbiensis vita, operibus et doctrina theologica,
Roma, 1939. Fidel Casado, El pensamiento filosofico del Beato Santiago de
Viterbo, in " La Ciudad de Diós " CLXIII (1951) 437-454; CLXIV (1952)
301-331; CLXV (1953) 103-144, 283-302, 491-500. Ugo Mariani, Chiesa e Stato nei
teologi agostiniani del sec. XIV, Roma, 1957, pp. 75-88 e 151-174. Domenico
Maffei, La donazione di Costantino nei giuristi medievali, Milano, 1964, p.
129. R.W. e A.J. Carlyle, Il pensiero politico medievale, a cura di Luigi
Firpo, III, Bari 1967, 94 e 433-442. Giacomo da Viterbo, Il Governo della
Chiesa, note e commento di Aurelio Rizzacasa e Giovanni B. Marcoaldi, Nardini,
Firenze, 1993. Giuseppe Signorelli, Viterbo nella Storia della Chiesa, Cionfi,
Viterbo, 1907. Voci correlate Viterbo Ordine di Sant'Agostino Egidio Romano
Bonifacio VIII Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons
contiene immagini o altri file su Giacomo da Viterbo Collegamenti esterni Paolo
Vian, Giacomo da Viterbo, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Giacomo da Viterbo, su Santi,
beati e testimoni, santiebeati.it. Modifica su Wikidata Filippo Cancelli,
Giacomo da Viterbo, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1970. (EN) Antoine Côté, James of Viterbo, in Edward N. Zalta (a cura
di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and
Information (CSLI), Università di Stanford. PredecessoreArcivescovo di
BeneventoSuccessoreArchbishopPallium PioM.svg Adenolfo1302Monaldo Monaldeschi,
O.F.M.PredecessoreArcivescovo di NapoliSuccessoreArchbishopPallium PioM.svg
Filippo Minutolo1302-1307Umberto de MontauroControllo di autoritàVIAF (EN)
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Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XIV secoloTeologi
italianiArcivescovi cattolici italiani del XIV secoloMorti nel 1307Nati a
ViterboMorti a NapoliBeati italianiBeati proclamati da Pio XBeati
agostinianiAgostiniani italianiScrittori medievali in lingua latina[altre]
Capograssi Giuseppe
Capograssi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Giuseppe Capograssi Giuseppe Capograssi (Sulmona, 21 marzo 1889 –
Roma, 23 aprile 1956) è stato un giurista, filosofo e accademico italiano che
si è occupato principalmente di filosofia del diritto. Fu membro della Corte
costituzionale. Indice 1 Biografia
2 Pensiero
3 Opere
4 Note
5 Bibliografia
6 Altri
progetti 7 Collegamenti
esterni Biografia Giuseppe Capograssi nacque a Sulmona da un'antica famiglia
nobile che vi si era trasferita da un comune della provincia di Salerno nel
1319, a seguito del vescovo Andrea. Nipote di Nunzio Federigo Faraglia,
Capograssi si laureò in Giurisprudenza a Roma nel novembre del 1911 discutendo
la tesi di laurea "Lo Stato e la Storia", in cui già affiorano le
problematiche connesse alle interrelazioni fra individuo, società e Stato:
problematiche che impegneranno tutta la sua attività di studioso. Dopo
aver esercitato l'avvocatura, iniziò la carriera accademica all'Università
degli Studi di Sassari, poi insegnò all'Università degli Studi di Macerata,
dove venne nominato anche rettore e quindi si trasferì nel 1938 a Padova, poi
nel 1940 a Roma, di qui a Napoli, presso l'Università degli Studi di Napoli
Federico II, per un decennio, trascorso il quale si trasferì ex novo a
Roma. Nel luglio del 1943 prese parte ai lavori che portarono alla
redazione del Codice di Camaldoli. Il 3 dicembre 1955 venne nominato
giudice della Corte costituzionale dal Presidente della Repubblica Giovanni
Gronchi e giurò il 15 dicembre insieme agli altri quattordici giudici. Di fatto
non partecipò ai lavori della Corte in quanto morì il giorno della seduta
inaugurale (23 aprile 1956).[1] Fu tra i fondatori dell'Ugci (Unione
giuristi cattolici italiani), di cui fu anche il primo presidente.
Pensiero La sua filosofia viene denominata "dottrina dell'esperienza
giuridica" ed è rivolta alla centralizzazione della volontà del soggetto
agente, che si imprime nell'azione stessa, vera fonte di espressione giuridica
e di vita. La filosofia dovrebbe quindi occuparsi della vita e dell'azione,
avendo a centro della sua speculazione la "persona". Il suo
pensiero si ricollega al personalismo cattolico, il cui approfondimento si ebbe
proprio nel Novecento, sulle orme di sant'Agostino, Pascal, Rosmini, anche ad
opera di pensatori francesi quali Maritain e Mounier. Perciò, l'aver posto
al centro della sua indagine il problema di comprendere i rapporti essenziali
che intercorrono fra il diritto, inteso come esigenza giuridica, e la vita
consente alla sua filosofia del diritto di superare il campo della tecnica
giuridica per pervenire ad una visione organica e totale del reale, cioè a
Dio. Opere Fede e scienza, 1912 Saggio sullo Stato, 1918 Riflessioni
sull'autorità e la sua crisi, 1921 La nuova democrazia diretta, 1922 Analisi
dell'esperienza comune, 1930 Studi sull'esperienza giuridica, 1932 Introduzione
alla vita etica, 1953 Il problema della scienza del diritto, 1937 Incertezze
sull'individuo, Milano, Giuffrè, 1969 Pensieri a Giulia, 1918-1924 [2] Note ^
Sito web della Corte costituzionale: note biografiche giudice. Archiviato il 3
febbraio 2012 in Internet Archive. ^ I Pensieri a Giulia sono alcuni scritti di
Capograssi, vergati su foglietti e consegnati alla sua futura moglie Giulia
Ravaglia dal dicembre del 1918 al 18 febbraio 1924, data del loro matrimonio.
Nei Pensieri, poi raccolti e pubblicati, si colgono i momenti salienti della
sua maturazione intellettuale e spirituale che culminerà nella conversione.
Bibliografia M. Glustich, La teoria dei valori in Giuseppe Capograssi, Alassio,
1972. Jesús Ballesteros, La filosofía jurídica de Giuseppe Capograsi,
Roma-Madrid, Instituto Jurídico Español de Roma, C.S.I.C., 1973 (in spagnolo)
Giuseppe Papponetti, Capograssi a Sulmona. Sei secoli in un paese, Milano,
Giuffrè, 1990. Ulderico Pomarici, L'individuo oltre lo Stato. La filosofia del
diritto di Giuseppe Capograssi, Napoli, Editoriale Scientifica, 1996 M. G.
Esposito, Diritto e vita, La lezione di Capograssi, Milano, Giuffrè, 1997.
Giuseppe Papponetti, Un inventario cinquecentesco di casa Capograssi, L'Aquila,
Deputazione Abruzzese di Storia Patria, 2003. Antonio Delogu, Introduzione alla
Analisi della esperienza comune in: Giuseppe Capograssi, La vita etica, a cura
di Francesco Mercadante, Milano, Bompiani, 2007. Raffaele Panico, Giuseppe
Capograssi: le nuove generazioni e l'unità del Mondo. La scoperta
dell'individuo contemporaneo nel segno del personalismo cristiano, Rinascita 'Filosofia',
pag. 16 'Cultura', edizione quotidiana del 9/10 febbraio 2008. Antonio Delogu e
Aldo Maria Morace, Esperienza e verità. Giuseppe Capograssi: un Maestro oltre
il suo tempo, Bologna, Il Mulino, 2009. Antonio Delogu (a cura di) Antonio
Pigliaru, Saggi capograssiani, Roma, SPES, 2010. Antonio Merlino, La recezione
di Kelsen in Italia. Santi Romano e Giuseppe Capograssi, in "Challenging
Centralism. Decentramento e autonomie nel pensiero politico europeo",
Firenze, Firenze University Press, 2011 Vincenzo Lattanzi, Giuseppe Capograssi.
I sentieri dell'uomo comune, con prefazione di Francesco Mercadante, Edizioni
Solfanelli, 2011. Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene
citazioni di o su Giuseppe Capograssi Collegamenti esterni Vittorio Frosini,
CAPOGRASSI, Giuseppe, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 18, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1975. URL consultato il 3 ottobre 2015.
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Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Giuristi
italiani del XX secoloFilosofi italiani del XX secoloAccademici italiani del XX
secoloNati nel 1889Morti nel 1956Nati il 21 marzoMorti il 23 aprileNati a
SulmonaMorti a RomaFilosofi del dirittoGiudici della Corte costituzionale
(Italia)Militanti cattolici italianiNobili italiani del XX secoloNobili
italiani del XXI secoloProfessori della Sapienza - Università di RomaProfessori
dell'Università degli Studi di MacerataProfessori dell'Università degli Studi
di Napoli Federico IIProfessori dell'Università degli Studi di SassariRettori
dell'Università degli Studi di MacerataStudenti della Sapienza - Università di
Roma[altre]
Caporali Enrico Caporali Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Enrico Caporali Enrico Caporali (Como,
1838[1] – Todi, febbraio 1918) è stato un filosofo italiano. Indice 1 Biografia
2 Opere
principali 3 Note
4 Bibliografia
5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Laureatosi in giurisprudenza all'Università di Padova, studiò
anche storia e geografia presso l'ateneo bolognese, così come approcciò, sia
Italia che all'estero, le scienze naturali e la matematica. Nel corso dei suoi viaggi si avvicinò al
movimento metodista[2], tanto che nel 1875 a Milano, dove l'anno prima aveva
dato alle stampe la Geografia enciclopedica, ne ricevette l'ordinazione a
evangelista, mentre quella a diacono la ricevette a Terni nel 1879. E, non a
caso, Caporali è stato segnalato fra le menti più eccelse
dell'evangelicismo[3]. Dal 1876 a
Perugia, e poi come ministro a Todi dalla fine del 1881, finì per distaccarsi
dal movimento metodista. È in quel contesto che diede vita alla rivista La
nuova scienza, uscita in 6 volumi tra il 1882 e il 1896. La notorietà che ne
conseguì gli portò l'offerta di reggere come titolare, su indicazione di Nicola
Fornelli, la cattedra di filosofia all'Università di Bologna, che tuttavia
Caporali rifiutò. Dal 1905 riprese e
approfondì le questioni filosofiche, studiando, in particolare, la dottrina di
Pitagora, che avrebbe ricondotto, da nazionalista qual era, ad una tradizione
italica e latina, in funzione anti-straniera. Secondo Caporali, la formulazione
pitagorica del numero reale consentiva di riconoscere la relazione
dell'espressione della coscienza e della volontà umane con i problemi della
vita. Opere principali Geografia
enciclopedica rispondente al bisogno degl'italiani ordinata alfabeticamente,
Politti, Milano 1873. Epitome di Filosofia italica della nuova scienza.
Vademecum delle persone colte che vogliono diventare filosoficamente italiane,
Tip. dell'Umbria, Spoleto 1911; La natura secondo Pitagora, Atanor, Todi 1914;
L'uomo secondo Pitagora, Atanor, Todi 1915; Il pitagorismo confrontato con le
altre scuole, Atanor, Todi 1916; La Chiara religione degli anticlericali
italiani con la nebbiosa tedesca di Romolo Murri (della pubblica opinione
moderatore), Tip. Tuderte, Todi 1916. Note ^ L'Enciclopedia Italiana, vedi
Collegamenti esterni, indica il 1841 come anno di nascita. ^ V. Vinay, Luigi
Desanctis, Claudiana, Torino 1965, p. 240. ^ In tal senso B. Croce,
Pescasseroli, Laterza, Bari 1922, p. 55, che lo cita con i filosofi protestanti
Taglialatela e Mazzarella. Bibliografia G.B. Furiozzi, Enrico Caporali tra
politica, religione e filosofia, in Idem, Dal Risorgimento all'Italia liberale,
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1997, pp. 125–136. R. Mariani, Del sommo
filosofo pitagorico Enrico Caporali da Como (1838-1918): da Pitagora ad Alberto
Einstein, Domini, Perugia 1955. Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Enrico Caporali
Collegamenti esterni M.C.C., «CAPORALI, Enrico», in Enciclopedia Italiana, I
Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1938. Luca Pilone,
«Enrico Caporali», in Dizionario biografico dei protestanti in Italia, Società
di studi valdesi, sito studivaldesi.org. Controllo di autorità VIAF (EN)
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Categorie: Filosofi italiani del XIX secoloFilosofi italiani del XX secoloNati
nel 1838Morti nel 1918Nati a ComoMorti a TodiScrittori italiani del XX
secoloPersonalità del protestantesimo[altre]
Cappelletti Vincenzo
Cappelletti Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Vincenzo Cappelletti Vincenzo
Cappelletti (Roma, 2 agosto 1930 – Roma, 21 maggio 2020) è stato un filosofo e
storico della scienza italiano. Indice
1 Biografia 2 Pubblicazioni principali
3 Onorificenze
4 Note
5 Bibliografia
6 Altri
progetti 7 Collegamenti
esterni Biografia Dopo gli studi liceali classici, si laurea prima in medicina
poi in filosofia.[1] Nel 1967,[2] consegue la libera docenza in storia della
scienza che, dal 1968 al 1971, insegna, per incarico, all'Università di
Perugia, quindi, dal 1972, all'Università di Roma La Sapienza dove, nel 1980,
consegue l'ordinariato; ha successivamente insegnato la stessa disciplina
all'Università Roma Tre fino al 2002, quando è andato in quiescenza.[3] Nel 1956, inizia a collaborare con l'Istituto
dell'Enciclopedia Italiana di Roma, fino a diventarne, nel 1969, vicedirettore
generale, quindi, l'anno successivo, direttore generale, carica che manterrà
fino al 1992. Questo periodo, vedrà una progressiva affermazione sia in campo
nazionale che internazionale dell'Istituto, con un forte incremento nella
produzione delle opere nonché l'apertura di nuovi ed innovativi progetti
editoriali. Dal 1992 al 2002, è
vicepresidente e direttore scientifico dell'Enciclopedia Italiana, carica
rivestita negli anni trenta da Giovanni Gentile, poi da Gaetano De Sanctis,
quindi da Aldo Ferrabino di cui Cappelletti sarà appunto collaboratore negli
anni 50'. Già condirettore della rivista di storia della scienza Physis (dal
1991) e degli Archives Internationales d'Histoire des Sciences, dirige, dal
1956, Il Veltro. Rivista della civiltà italiana (da lui fondata assieme a Aldo
Ferrabino), nonché presiede la casa editrice Studium. È anche socio storico dei
"Martedì Letterari". Dal 1970
al 2011, è presidente della Domus Galilaeana di Pisa e, dal 1989 al 1997,
dell'Académie Internationale d'Histoire des Sciences. Dal 1999, è presidente
della Società Italiana di Storia della Scienza (presidente onorario dal 2011)
e, dal 1997 al 2010, dell'Istituto Accademico di Roma. Inoltre, dal 2001 al
2005, è commissario straordinario dell'Istituto Italiano di Studi Germanici[4],
quindi presidente dal 2006 al 2011, promuovendone il passaggio da istituzione
culturale a ente di ricerca. Presiede inoltre, dal 1988, la Società Europea di
Cultura[5], fra gli anni 80' e 90' il Centro Italiano di Sessuologia (CIS), la
Fondazione Nazionale "C. Collodi" dal 1989, il Consorzio
BAICR-Sistema Cultura (Biblioteche e Archivi Istituti Culturali di Roma) dal
1991, la Fondazione FUCI dal 1996 al 2011.
Dottore honoris causa dell'Università di El Salvador e di Moron-Buenos
Aires, è stato socio straniero dell’Accademia delle Scienze di Bucarest. Nel
1991, riceve il Premio internazionale Montaigne per le scienze umane. Medaglia
d'oro al merito accademico, è insignito, nel 2003, della medaglia Koiré
dell'Académie Internationale d'Histoire des Sciences e, per due volte, della
medaglia d'oro al merito della cultura italiana, sia per gli sviluppi
dell'Enciclopedia Italiana che per la promozione degli studi di storia della
scienza. La sua attività scientifica ha
riguardato inizialmente la storia e l'epistemologia delle scienze biologiche
nella Germania dell'Ottocento, quindi le teorie psicoanalitiche, in particolare
la psicoanalisi freudiana e la psicologia analitica, nei loro rapporti con le
altre discipline socio-umanistiche, fra cui l'antropologia, la politica e la
filosofia. Ha anche curato collectanee su aspetti del pensiero nonché le opere
di alcuni scienziati del Settecento e dell'Ottocento, fra cui Giovanni Battista
Morgagni, Emil Du Bois-Reymond, Rudolf Virchow, Hermann von Helmholtz. Quindi,
dopo aver ulteriormente approfondito gli aspetti storiografici e metodologici
delle scienze esatte e naturali, i suoi interessi di ricerca si sono rivolti
verso la filosofia e la sociologia delle scienze, analizzando, sia dal punto di
vista storiografico che epistemologico, i rapporti storico-dialettici fra
scienza e società, con particolare riguardo alle scienze umane. Pubblicazioni principali Emil Du Bois-Reymond
– I sette enigmi del mondo (a cura di), Firenze, Tip. L'impronta, 1957. Atomi e
vita, Bologna, Edizioni Cappelli, 1958. Entelechìa. Saggi sulle dottrine
biologiche del secolo XIX, Firenze, G.C. Sansoni, 1965. Opere di Hermann von Helmholtz
(a cura di), Torino, UTET, 1967 (2ª ed., 1995). Rudolf Virchow – Vecchio e
nuovo vitalismo (a cura di), Roma-bari, Editori Laterza, 1969.
L'interpretazione dei fenomeni della vita (a cura di), Bologna, Società
editrice il Mulino, 1972. Emil Du Bois-Reymond – I confini della conoscenza
della natura (a cura di), Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 1973. Freud.
Struttura della metapsicologia, Roma-Bari, Editori Laterza, 1973.
Epistemologia, metodologia clinica e storia della scienza medica (AA.VV.), 5
voll. (IV e V curati da V. Cappelletti e Dario Antiseri, 1982), Roma, Arti
grafiche E. Cossidente, 1977-82. La scienza tra storia e società, Roma,
Edizioni Studium, 1978. Saggi di storia del pensiero scientifico dedicati a
Valerio Tonini (a cura di), Roma, Casa Editrice Jouvence, 1983. Antropologia
dei valori e critica del marxismo (a cura di), Roma, PWPA-Edizioni
dell'Accademia, 1984. Alle origini della "philosophia
anthropologica", Napoli, Guida editori, 1985. De sedibus, et causis. Morgagni
nel centenario (curato assieme a Federico Di Trocchio), Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1986. L'Enciclopedia Italiana per l'Europa: le
nuove opere Treccani, Roma, Quaderni de Il Veltro, 1992. Le scienze umane nella
cultura e nella società odierne (a cura di), Edizioni Studium, 1993. Etnia e
Stato, localismo e universalismo (a cura di), Roma, Edizioni Studium, 1995.
Introduzione a Freud, Roma-Bari, Editori Laterza, 1997 (2ª ed., 2000; 3ª ed.
ampliata, 2010). Filosofia come scienza rigorosa. Edmund Husserl a
centocinquant'anni dalla nascita (con Renato Cristin), Soveria Mannelli (CZ),
Rubbettino Editore, 2012. L'Università e la sua riforma (curato assieme a
Giuseppe Bertagna), Roma, Edizioni Studium, 2012. Natura e pensiero. Percorsi
storico-filosofici, Roma, Aracne Editrice, 2018. Onorificenze Medaglia d'oro ai
benemeriti della cultura e dell'arte - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e
dell'arte — Roma, 28 novembre 1992 Note ^ Notizie bio-bibliografiche
sull'autore si trovano in V. Cappelletti, Natura e pensiero. Percorsi
storico-filosofici, Aracne Editrice, Roma, 2018, Introduzione di G. Cimino (pp.
9-48), Appendice (pp. 247-252). ^ Cfr. V. Cappelletti, "Attualità della
storiografia scientifica", in: AA.VV., La storiografia della scienza:
metodi e prospettive, Quaderni di storia e critica della scienza, N. 5, Domus
Galilaeana (Pisa), CLUEB, Bologna, 1975, pp. 315-329. ^ La maggior parte delle
notizie biografiche qui riportate, sono tratte dalla biografia dell'autore scritta
da G. Cimino per l'Enciclopedia Italiana (cfr. sezioni "Bibliografia"
e "Collegamenti esterni"). ^ Istituto Italiano di Studi germanici -
Home page ^ Società europea di Cultura - Home page Bibliografia Guido Cimino,
CAPPELLETTI, Vincenzo, in Enciclopedia Italiana, V Appendice, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1991, vincenzo-cappelletti. Altri progetti
Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Vincenzo
Cappelletti Collegamenti esterni Vincenzo Cappelletti, su Treccani.it –
Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata
Bibliografia italiana di Vincenzo Cappelletti, su Catalogo Vegetti della
letteratura fantastica, Fantascienza.com. Modifica su Wikidata Registrazioni di
Vincenzo Cappelletti, su RadioRadicale.it, Radio Radicale. Modifica su Wikidata
Vincenzo Cappelletti: La nascita della Psicoanalisi. Aforismi, storia del
termine inconscio, documento video, Rai Scuola. Controllo di autorità VIAF (EN) 110874544 ·
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XX secoloStorici della scienza italianiNati nel 1930Morti nel 2020Nati il 2
agostoMorti il 21 maggioNati a RomaMorti a Roma[altre]
Capra Marcello Capra
(medico) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Marcello Capra (Nicosia, 1510[1] – fine del Cinquecento[1]) è stato un medico e
filosofo italiano. Studiò medicina a
Padova sotto la guida di Giovanni Battista Montano e del celebre Gabriele
Falloppio. Tornato a Nicosia, vi fondò una scuola di medicina e filosofia. In
seguito, si trasferì prima a Palermo e poi a Messina. Divenne medico personale
di Don Giovanni D'Austria e medico della flotta dell'Impero Spagnolo, per cui
partecipò nel 1571 alla battaglia di Lepanto. Tornato in Sicilia, su incarico
del viceré Don Diego Enriquez de Gusman studiò l'epidemia di peste verificatasi
nel 1591 e 1592 e descrisse i risultati dei suoi studi in un volume dal titolo
De morbi pandemici causis, symptomatibus et curatione, che fu pubblicato a
Messina nel 1593. Scrisse anche un volume sulle proprietà mediche della
scorzonera. Marcello Capra si occupò anche di filosofia e nel 1589 pubblicò a
Palermo due opere filosofiche. La prima di tali opere fu dedicata alla sede
dell'anima e considerava i principi di Aristotele e i quesiti di Galeno; la
seconda trattava dell'immortalità dell'anima alla luce del pensiero di
Aristotele, Pitagora, Epicuro e Averroè. Di Marcello Capra non si conoscono
esattamente il luogo e la data precisa della morte[1]. Note
Vedi Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in Collegamenti
esterni. Bibliografia G.E. Ortolani, Biografia degli uomini illustri della
Sicilia, Nicola Garrasi Editore, Napoli, 1821. Collegamenti esterni Giuliano
Gliozzi, CAPRA, Marcello, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 19,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1979. URL consultato il 2 luglio
2017. Modifica su Wikidata Biografie Portale Biografie Filosofia Portale
Filosofia Medicina Portale Medicina Categorie: Medici italianiFilosofi italiani
del XVI secoloNati nel 1510Nati a Nicosia (Italia)[altre]
Capua Leonardo
Di Capua Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Ritratto di Leonardo di Capua Leonardo Di Capua (Bagnoli Irpino,
10 agosto 1617 – Napoli, 17 giugno 1695) è stato un medico, scienziato e
filosofo italiano. Impegnato nella ricerca e nella sperimentazione, in
antitesi ai vecchi capiscuola come Aristotele, Ippocrate, Galeno ed altri, fu a
capo di un'accademia dal nome gli "Investiganti". Nel 1681
pubblicò il "Parere", sostenendo le idee di chi opponeva la ricerca
medica e scientifica al sapere della tradizione. Indice 1 Biografia 1.1 Famiglia e formazione 1.2 Il
trasferimento a Napoli 1.3 Vita
privata 2 Leonardo
Di Capua e il contesto culturale del Seicento 2.1 L'ambiente culturale a Napoli 2.2 Leonardo Di
Capua, Francesco Redi e la Regina di Svezia 2.3 Leonardo
Di Capua e Giambattista Vico 3 L'Accademia
degli Investiganti 4 Opere
4.1 Stile
ed idee 4.1.1 Produzione
poetica 4.1.2 Il
"Parere" 4.1.3 "Lezioni
sulla natura delle mofete" 4.1.4 "Vita
di Andrea Cantelmo" 5 Note
6 Bibliografia
7 Altri
progetti 8 Collegamenti
esterni Biografia Famiglia e formazione Ingresso del portone della casa
di nascita di Leonardo di Capua. Via Carpine, Bagnoli Irpino Leonardo di Capua
nacque a Bagnoli Irpino il 10 agosto 1617 da Cesare e Giovanna Bruno, dei quali
fu l'ultimo figlio.[1] Nonostante la famiglia fosse facoltosa, non gli venne
assegnato un precettore che lo seguisse negli studi oltre le basi grammaticali.
Ad ogni modo, egli si dedicò con passione, sin da giovanissimo,
all'approfondimento del latino, del greco e della retorica.[2] Ad undici anni,
nel 1628, perse entrambi i genitori e dovette cominciare a provvedere da sé
alla sua educazione. Trasferitosi a Napoli per seguire la sorella, frequentò la
scuola dei padri della Compagnia di Gesù, studiando per sette anni filosofia e
teologia.[3] A diciotto anni si dedicò agli studi giuridici e successivamente
alla medicina. Imparò le Istituzioni di Giustiniano, leggendo al tempo stesso anche
le osservazioni di Giacomo Cuiacio, testi che segnarono profondamente la sua
formazione, come è evidente in vari passaggi del suo "Parere" e nelle
sue "Lezioni intorno alla natura delle mofete".[4] All'età di 22 anni
si laureò in medicina e fece ritorno a Bagnoli, con l’intenzione di
approfondire le sue conoscenze naturali ed anatomiche, effettuando osservazioni
dirette su animali vivi sezionati e con il supporto di testi reperiti a Napoli.
Proprio in quegli anni prese forma il suo pensiero critico circa
l'inadeguatezza del metodo utilizzato sino ad allora in ambito medico.[5] Degli
anni di ritiro a Bagnoli non abbiamo ulteriori notizie biografiche.[6] Niccolò
Amenta, autore di una sua biografia, ci riferisce anche di una certa attività
letteraria, collocabile in questo periodo, di cui, tuttavia, non ci è giunta
testimonianza: i suoi testi furono rubati[7] mentre era in viaggio verso
Napoli.[8] Il trasferimento a Napoli Intorno ai primi mesi degli anni
Quaranta si trasferì definitivamente nella città partenopea.[6] Probabilmente
il suo trasferimento fu favorito dalla presenza a Napoli di Tommaso Cornelio,
suo amico, il quale vantava una lunga preparazione alla scuola galileiana e
indirizzò Di Capua alla ricerca scientifica nella linea segnata da Galileo
Galilei e da Cartesio, protagonisti della rivoluzione che la filosofia
sperimentale portava all'interno di una cultura legata al passato e in cui
vigeva la legge dell'"ipse dixit".[6] Sulla scia di questo fervore
intellettuale, Di Capua fondò intorno al 1650 insieme a Tommaso Cornelio,
Francesco D'Andrea e Giovanni Alfonso Borelli l'Accademia degli Investiganti,
accademia filosofica e scientifica di ispirazione antiaristotelica. Vita
privata Di Capua si sposò quando aveva già quarant'anni con Annamaria Orilia,
molto più giovane di lui.[9] I due convissero a Napoli dove nacque anche la
loro prima ed unica figlia nel 1673, morta appena nata. La sua casa fu
spesso luogo, ad ogni modo, di incontri tra gli intellettuali napoletani che
facevano capo all'Accademia degli Investiganti.[10] Due anni prima della sua
morte, Di Capua ottenne il riconoscimento dal Principe Francesco Carafa, di
essere iscritto all'Arcadia di Roma, con il nome di Alessi Cillenio.[11] Tale
riconoscimento scaturisce dalla fama e dall'operosità scientifica che ottenne
non solo a Napoli, ma in tutta Italia. A causa del suo ruolo di spicco
all'interno dell'Accademia e della pubblicazione della sua opera più celebre,
il "Parere", fu coinvolto nel "processo agli ateisti", che
fu da molti visto come un processo indetto dal tribunale dell'Inquisizione per
contrastare il diffondersi delle nuove idee in ambito scientifico e filosofico.
Il processo era ancora aperto quando Leonardo Di Capua morì a Napoli il 17
giugno 1695, e fu poi sepolto nella Chiesa di S. Pietro a Majella.[10]
Leonardo Di Capua e il contesto culturale del Seicento L'ambiente culturale a
Napoli Di Capua fu un professionista scrupoloso e un illustre innovatore
scientifico nello scenario culturale napoletano della seconda metà del Seicento.[12]
Egli dimostrò notevole interesse per le dispute galileiane e i processi contro
lo scienziato pisano, che in quegli anni erano al centro delle cronache del
mondo politico, religioso e scientifico.[12] In quel periodo Di Capua era anche
interessato al pensiero di Giordano Bruno, Tommaso Campanella e Giambattista
Della Porta, ma soprattutto era affascinato dalle novità scientifiche a cui lo
introdusse il suo amico Tommaso Cornelio, riguardanti i libri e le
pubblicazioni dei principali scienziati e filosofi italiani ed europei come
Francesco Bacone, Cartesio, William Harvey, Thomas Hobbes, Pierre Gassendi,
Daniel Samert, Robert Hooke, Thomas Willis, Robert Boyle.[13] Tra Tommaso
Cornelio e Di Capua sorse una solida amicizia basata su ideali comuni: entrambi
non condividevano né l'autoritarismo aristotelico né le vecchie teorie di
Ippocrate e di Galeno. Dello stesso pensiero era Giovanni Alfonso Borelli
(1608-1679), medico fisico e matematico, ammiratore, anche lui, del metodo di
Galileo.[14] Infatti lo sperimentalismo galileiano, basilare nell'attività
dell'Accademia del Cimento, influenzò e si congiunse con l'attivismo
speculativo degli Investiganti napoletani.[15] L'ambiente culturale
napoletano era dunque vivo e attivo e le librerie di via San Biagio dei Librai
divennero centri di raduno intellettuale, in cui si discuteva sulle novità di
fisica, astronomia, filosofia e medicina.[15] Di Capua, ancora prima della
fondazione dell'Accademia degli Investiganti, aveva già incominciato a
contribuire al risorgere della cultura napoletana, partecipando attivamente
alle riunioni e ai circoli culturali sorti a Napoli nella seconda metà del
Seicento, tra cui quello fondato da Camillo Colonna.[16] In un’ottica del tutto
contrastante alla Controriforma della Chiesa cattolica che da circa cinquanta
anni aveva preso piede, Napoli diventa il centro della vita letteraria e delle
attività scientifico filosofiche, spostando l'attenzione da Firenze a Napoli:
si passa dal “Cimento” e dai “Lincei” agli “Investiganti”, dalle Accademie
fiorentine e romane a quella napoletana.[16] Leonardo Di Capua si formò
quindi in questa “nuova” Napoli, sotto lo stimolo, l'esempio e l'amicizia di
Tommaso Cornelio e Alfonso Borelli, i quali, durante i loro viaggi, erano stati
illuminati dall’ “Accademie des Sciences” di Parigi e la “Royal Society” di
Londra.[17] È in questo contesto culturale che l’opera di Di Capua “ Il Parere”
richiama l’attenzione del famosissimo Francesco Redi e della Regina di
Svezia.[18] Leonardo Di Capua, Francesco Redi e la Regina di Svezia
Leonardo Di Capua e Francesco Redi erano entrambi scienziati, intellettuali,
accaniti osservatori della natura; tutti e due seguivano il metodo sperimentale
secondo lo spirito galileiano.[19] Il 21 dicembre 1683 il Redi scrisse a Di Capua
una lettera dopo aver letto le sue "Lezioni sulla natura delle
mofete", in cui gli manifesta tutta la sua stima e ammirazione.[19]
Francesco Redi fu un famosissimo medico, il primo ad effettuare ricerche sul
cancro e sulla parassitologia.[20] L’ammirazione che provava nei
confronti del Di Capua era la dimostrazione che quest’ultimo era inserito
nell'élite culturale italiana del tempo, anche al di fuori del circuito
napoletano, fino al punto che la Regina Maria Cristina di Svezia si interessò
vivamente a lui e alle sue idee, comunicandogli il desiderio di conoscere con
maggiore chiarezza ed approfondimenti il suo parere sullo stato dell’incertezza
della medicina. Di Capua scrisse allora i “Tre Ragionamenti sull'Incertezza dei
Medicamenti”.[21] Leonardo Di Capua e Giambattista Vico Nelle sue
pubblicazioni Di Capua non fa menzione di Vico, suo devoto alunno,
probabilmente in quanto al momento della sua morte il Vico aveva soltanto 25
anni.[22] Di Capua quindi non aveva avuto modo di intuire le capacità intellettuali
di Vico, il suo genio raziocinante di storico e di filosofo. Certamente il Vico
fu influenzato dalle idee e dalle teorie di Di Capua, che affiorano in alcune
orazioni giovanili vichiane (il concetto della divinità presente in tutta la
natura).[23] Il Vico, di natura solitaria, fu molto sensibile alle novità
scientifiche e filosofiche del tempo, partecipò al movimento culturale
napoletano e frequentò la casa Di Capua, che considerava il suo ideale
maestro.[24] L'Accademia degli Investiganti Magnifying glass icon
mgx2.svg Lo stesso argomento in
dettaglio: Accademia degli Investiganti. Nel 1650 Leonardo Di Capua, Tommaso
Cornelio, Francesco D'Andrea, Giovanni Alfonso Borelli fondarono a Napoli
l'Accademia degli Investiganti insieme ad altre illustri personalità del mondo
scientifico filosofico napoletano. Questa Accademia sorse in uno scenario di
fervore intellettuale nuovo, dall'esigenza, quindi, di allontanarsi dalla
filosofia aristotelica e dalle teorie di Ippocrate e di Galeno, per abbracciare
le nuove teorie rivoluzionarie.[25] Il motto degli Investiganti era una
citazione di Lucrezio: "vestigia lustrat"[26] seguito dall'immagine
di un cane che segue le tracce e fiuta le impronte, rappresentando a pieno lo
sforzo degli Investiganti nella ricerca delle cause alla base dei fenomeni
naturali. L'Accademia fu chiusa per la peste nel 1656. Venne riaperta dal
marchese Andrea Conclubet, spinta da una nuova energia vitale: superare
l'arretratezza culturale del paese per mettersi al passo con gli altri Stati
europei. Gli investiganti si riunivano ogni 20 giorni e non si limitavano alla
discussione dei vari argomenti, ma anche alla sperimentazione proprio come gli
accademici della Royal Society di Londra e del Cimento.[27] Alla riapertura
dell'Accademia, quindi, le prime lezioni furono tenute dal Di Capua su
argomenti di natura scientifica. Altre lezioni ebbero come argomento l'anima,
la fisiologia e l'embriologia. Si eseguirono anche esperimenti di fisica,
meccanica e idromeccanica in situ, cioè nei luoghi dove certi fenomeni si
verificavano (per esempio nella grotta del cane di Pozzuoli, nota per i
fenomeni mefitici)[28]. Le nuove teorie degli Investiganti determinarono
una reazione nel mondo del conservatorismo gesuitico, che sfociò nella fondazione
di un'Accademia antagonista: l'"Accademia dei Discordanti", guidata
dai famosi medici Carlo Pignatari e Luca Tozzi (1638-1717). Quest'ultimo fu
primo medico del Regno di Napoli, professore alla Sapienza e in seguito alla
morte di Marcello Malpighi, nel 1695, gli venne affidata la carica di archiatra
pontificio.[29] Da allora i contrasti tra le due Accademie si moltiplicarono a
tal punto che il viceré Pedro Antonio de Aragón dispose di chiudere entrambe le
Accademie. In seguito Di Capua riaprì una sua scuola, dando prova della sua
convinzione sulla fondatezza delle sue teorie e sul desiderio di trasmettere
queste verità agli alunni[29]. Questo periodo rappresenta un momento di massima
notorietà del pensiero culturale a capo di Di Capua, tanto che, il viceré spagnolo
Ferdinando Gioacchino Faiardo indisse un congresso, in cui diversi medici
dovettero esprimere il proprio parere per ciò che concerne lo stato delle
teorie medico scientifiche oggetto di disputa. Fu così che, in occasione del
convegno, Di Capua compose il suo "Parere Divisato in otto
ragionamenti..", che ottenne notevoli riconoscimenti oscurando il
conservatorismo cattolico dei suoi detrattori[30]. Opere Busto del
Di Capua in Piazza Leonardo Di Capua, Bagnoli Irpino. Stile ed idee Nonostante
il Seicento, secolo del barocco, avesse come personaggio di spicco a Napoli
Giambattista Marino (1569-1625), ritenuto dai suoi contemporanei un genio
poetico di grandezza insuperabile, Di Capua si dichiarò nettamente
antimarinista, in quanto la sua mentalità era di natura critica, analitica e
scientifica.[31] Di Capua si formò nel pieno delle dispute letterarie tra
marinisti e tradizionalisti di stampo petrarchista, come Fulvio Testi, Vincenzo
da Filicaia e Alessandro Guidi. In quell'epoca predominava il trecentismo linguistico,
perorato da Pietro Bembo e codificato nel famoso Vocabolario della Crusca, che
Leonardo Salviati dettò e di cui nel solo Seicento esistevano ben 3
edizioni.[32] La notorietà, l'autorità, il peso culturale di questo nuovo dogma
della lingua italiana ebbe una notevole presa su Di Capua grazie anche
alla sua predilezione per la poesia di Petrarca.[33] Poiché i petrarchisti del
Seicento erano considerati “antiquari” dai marinisti, Di Capua stesso venne
etichettato come un antiquario, in quanto purista linguistico e seguace della
tradizione dei dettami dell’Accademia della Crusca.[33] Di fatto, tuttavia,
egli sosteneva principi rivoluzionari di scienza, seppur mediati da un
linguaggio ormai "arcaico". A questo proposito dice Mario Puppo
«Tuttavia a Napoli, nella seconda metà del Seicento, si afferma intorno a
Leonardo Di Capua un movimento puristico, a tendenza arcaicizzante che esercitò
il suo influsso anche sul grande Vico[34]» (Mario Puppo) Questa citazione
sottolinea l'aspetto conservatore del Di Capua, riferito esclusivamente al
linguaggio da lui usato, tipico del purismo letterario petrarchesco. In
contrasto con questo atteggiamento letterario antiquario, Di Capua fu senza
dubbio un rivoluzionario in ambito scientifico nello scenario culturale napoletano.[33]
La sua produzione letteraria è, dunque, caratterizzata nel complesso da una
forte contraddizione tra il "nuovo" del suo pensiero scientifico ed
il "vecchio" della lingua da lui scelta. Produzione poetica
L'opera poetica di Leonardo Di Capua è costituita da duemila sonetti, due
tragedie: "Il martirio di Santa Tecla" e "Il martirio di Santa
Caterina", alcune commedie, una favola a sfondo idilliaco e altri scritti
vari.[35] Di questa produzione non abbiamo testimonianza a causa del furto
subito dal Di Capua in viaggio verso Napoli.[36] I sonetti, tanto nella forma
quanto nel contenuto, sono di imitazione petrarchesca.[37] La stesura di questi
ultimi, inoltre, è collocabile al periodo dell'adolescenza e, pur non potendolo
affermare con certezza, è lecito intuire che la sua cosiddetta produzione
poetica non abbia potuto assurgere ad alte cime, considerata anche la sua
indole disposta più allo studio dei fenomeni e al razionalismo che all'aspetto
psicologico o ai fattori emotivi.[38] Le opere drammatiche sono, al contrario,
ispirate al modello di Gian Battista Della Porta.[38] Il
"Parere" Il Parere del Sig. Lionardo di Capua divisato in otto
ragionamenti è indubbiamente l'opera più importante di Leonardo Di Capua,
pubblicata a Napoli per la prima volta nel 1681, ristampata nel 1689 e ancora
nel 1695 con l'inclusione delle Lezioni intorno alle mofete.[39][40] In questo
testo Di Capua parte dalla pretesa di dimostrare "quanto vana, quanto
priva di ogni salda dottrina fosse la filosofia di Aristotele"[41],
rivendicando un rinnovamento culturale , un bisogno di liberarsi dagli eccessi
del potere politico ed ideologico di alcune posizioni. Proprio a causa di
questo "spirito di rivolta" rintracciabile nel testo fu intentato un
processo contro Di Capua da parte dei Gesuiti, capitanati da De Benedictis, che
si svolse a Napoli tra il 1688 e il 1697.[42] Nel Parere, tuttavia, più che
negare il pensiero di Aristotele nel campo della conoscenza, egli intendeva
contestare l'atteggiamento di coloro che ne avevano adottato in maniera
eccessivamente pedissequa il metodo. La posizione da lui presa è tutta in
favore della rivalutazione delle scienze e di un approccio nei confronti di
queste che non sia statico, bensì critico anche nei confronti della
tradizione.[43] La medicina in particolare è una scienza che non può fondarsi,
a suo parere, su nozioni incontestabili, ma deve piuttosto essere costantemente
messa in discussione, pur mantenendosi nei limiti dell'esperienza e della
"debole ragione".[44]Nell'opera, comprensiva di otto ragionamenti,
viene anche delineata la figura ideale del "buon medico", il quale
deve essere allo stesso tempo anche amante della filosofia e buon conoscitore
della geometria.[45] Su esplicita richiesta della Regina di Svezia, agli
otto ragionamenti iniziali, nel 1689, Leonardo Di Capua aggiunse un'appendice
al "Parere": "Ragionamenti intorno all'incertezza dei
medicamenti."[46] In entrambe le opere Di Capua finisce con il constatare
lo stato dubbioso tanto della medicina quanto della terapia e come proprio il
loro caratteristico elemento di imprevedibilità, anche in quanto soggette agli
elementi umani, rendano impossibile una conoscenza del tutto obiettiva di una
malattia.[47] "Lezioni sulla natura delle mofete" Quest'opera,
pubblicata a Napoli nel 1683, riprende i concetti già esposti nel
"Parere" sull'aria, concepita come anima dell'universo.[48]Anche
nella descrizione e nello studio delle mofete, fenomeni naturali caratterizzati
dall'uscita di anidride carbonica, vapore acqueo e altri gas da terreni di
origine vulcanica, Leonardo Di Capua rivela le sue attitudini alla razionalità,
alla dimostrazione obiettiva di ogni evento fisico, sostenendo come la
conoscenza di un fenomeno debba essere fondata sul metodo
sperimentale.[49] "Vita di Andrea Cantelmo" Nel 1693 viene
pubblicata a Napoli l'ultima opera di Leonardo di Capua, una biografia del
condottiero Andrea Cantelmo, il quale militò nell'esercito di Ferdinando II
D'Austria e a cui veniva attribuita l'invenzione delle mine volanti e di un
tipo di pistola a ripetizione con 25 colpi. La biografia diventa il pretesto
per l'autore per far affiorare la sua concezione sull'individuo, sull'uomo, sui
giochi della fortuna, sulla dialettica tra gli avvenimenti storici riguardanti
l'uomo come personalità unica ed individuale e l'intreccio dello svolgimento
degli eventi.[50] Note ^ Niccolò Amenta, Vita di Lionardo Di Capua,
Venezia 1710, p.3. ^ Niccolò Amenta, Vita di Lionardo Di Capua, Venezia 1710,
p.4. ^ Niccolò Amenta, Vita di Lionardo Di Capua, Venezia 1710, pp.4-5. ^
Niccolò Amenta, Vita di Lionardo Di Capua, Venezia 1710, p.5-6. ^ Niccolò
Amenta, Vita di Lionardo Di Capua, Venezia 1710, pp.6-7. Silvano
Scalabrella, Dizionario biografico degli italiani, Istituto della Enciclopedia
italiana, Roma 1991, volume 39, p.712. ^ Generoso De Rogatis, Cenni biografici
degli uomini illustri di Bagnoli Irpina..., 1914, op.cit., p.62 ^ Niccolò
Amenta, Vita di Lionardo Di Capua, Venezia 1710, p.12. ^ Silvano Scalabrella,
Dizionario biografico degli italiani,Istituto della Enciclopedia italiana, Roma
1991, volume 39, p.714. Silvano Scalabrella, Dizionario biografico degli
italiani, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1991, volume 39, p.714. ^
Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., p.57-58. Reppucci, Breve
saggio monografico..., op. cit., p.23. ^ Reppucci, Breve saggio monografico...,
op. cit., p.24. ^ Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., p.25.
Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., p.26. Reppucci, Breve
saggio monografico..., op. cit., p.27. ^ Reppucci, Breve saggio monografico...,
op. cit., pp.28-29. ^ Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit.,
pp.33-35. Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., p.40. ^
Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., p.41. ^ Reppucci, Breve saggio
monografico..., op. cit., pp.41-42. ^ Reppucci, Breve saggio monografico...,
op. cit., p.37. ^ Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., p.38. ^
Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., p.39. ^ Reppucci, Breve saggio
monografico..., op. cit., p.45. ^ Carmine Jannaco Martino Capucci, Storia
letteraria d'Italia, Volume 8: Il Seicento, F. Vallardi, Milano, Piccin nuova
libraria, Padova 1986, pag. 745. ^ Reppucci, Breve saggio monografico..., op.
cit., pp.46-48. ^ Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., p.48.
Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., p.49. ^ Reppucci, Breve saggio
monografico..., op. cit., p.50. ^ Reppucci, Breve saggio monografico..., op.
cit., p.19. ^ Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., p.20.
Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., p.21. ^ Mario Puppo,
Discussioni linguistiche del Seicento, UTET, Torino 1957. ^ Reppucci, Breve
saggio monografico..., op. cit., p.61 ^ Niccolò Amenta, Vita di Lionardo Di
Capua, Venezia 1710, pp.32-40. ^ Reppucci, Breve saggio monografico..., op.
cit., p.62 Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., p.63 ^
Niccolò Amenta, Vita di Lionardo Di Capua, Venezia 1710, p.32. ^ Silvano
Scalabrella, Dizionario biografico degli italiani, Istituto della Enciclopedia
italiana, Roma 1991, volume 39, pp.712-714. ^ Leonardo Di Capua, Parere del
signor Lionardo di Capoa divisato in otto ragionamenti, ne' quali partitamente
narrandosi l'origine, e'l progresso della medicina, chiaramente l'incertezza della
medesima si fa manifesta, Antonio Bulifon, Napoli 1681, p.94 ^ Niccolò Amenta,
Vita di Lionardo Di Capua, Venezia 1710, p.46. ^ Niccolò Amenta, Vita di
Lionardo Di Capua, Venezia 1710, pp.39-48. ^ Reppucci, Breve saggio
monografico..., op. cit., pp.62-64 ^ Reppucci, Breve saggio monografico..., op.
cit., pp.118-121 ^ Silvano Scalabrella, Dizionario biografico degli italiani,
Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1991, volume 39, p.713. ^ Reppucci,
Breve saggio monografico..., op. cit., pp.123-124 ^ Reppucci, Breve saggio
monografico..., op. cit., pp.87-90 ^ Reppucci, Breve saggio monografico..., op.
cit., pp.93-95 ^ Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., pp.133-135
Bibliografia Niccolò Amenta, Vita di Lionardo di Capoa detto fra gli Arcadi Alcesto
Cilleneo , Venezia 1710 Nicola Badaloni, Introduzione a Giambattista Vico ,
Laterza, Roma; Bari 1995, pp.124-147, 157-164, 246 ss., 301 s., 314 s., 352-359
Raffaele Cotugno, La sorte di Giambattista Vico e le polemiche scientifiche e
letter. dalla fine del XVII alla metà del XVIII secolo, Tip. del R. Ospizio V.
E., Giovinazzo 1910, pp.37, 52-57, 73 Salvo Mastellone, Pensiero politico e
vita culturale a Napoli nella seconda metà del Seicento, D'Anna editore,
Messina-Firenze 1965, pp.90, 157- 176 Walter Maturi, Fausto Nicolini, La
giovinezza di Gian Battista Vico (1666-1700), saggio biografico, Napoli 1932,
pp.79-90, 154-164 Camillo Minieri Riccio, Cenno storico delle Accademie fiorite
nella città di Napoli, Bologna 1879, volume IV, p.531 Luciano Osbat,
L'Inquisizione a Napoli. Il processo agli ateisti (1688-1697), Edizioni di
storia e letteratura, Roma 1974, pp.13-19, 58 s., 93 s., 163-166 Amedeo
Quondam, "Minima dandreiana: prima ricognizione sul testo delle
"risposte" di F. d'Andrea a Benedetto Aletino" in Rivista
storica italiana, Napoli 1970, pp.887-916 Gabriele Reppucci, Breve saggio
monografico su Leonardo Di Capua, scienziato-medico-filosofo bagnolese
(1617-1695), nel terzo centenario della sua morte, Circolo Sociale
"Leonardo di Capua", Bagnoli Irpino 1995, pp. 158 Silvano
Scalabrella, «Leonardo Di Capua» in Dizionario Biografico degli italiani,
Istituto della enciclopedia italiana, Roma 1991, volume 39, pp.712-715 Gian
Battista Vico, Autobiografia, Edizioni paoline, Milano 1960, a cura di B. Croce
Bari, pp.21-111Questo testo proviene in parte dalla relativa voce del progetto
Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di
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Categorie: Medici italianiScienziati italianiFilosofi italiani del XVII
secoloNati nel 1617Morti nel 1695Nati il 10 agostoMorti il 17 giugnoNati a
Bagnoli IrpinoMorti a NapoliSalottieri[altre]
Carabellese Pantaleo
Carabellese Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Pantaleo Carabellese Pantaleo
Carabellese (Molfetta, 6 luglio 1877 – Genova, 19 settembre 1948) è stato un
filosofo italiano. Indice 1 Biografia 2 Opere
3 Bibliografia
4 Voci
correlate 5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Laureato in storia a Napoli (1901) e poi a Roma in filosofia
(1906), insegna filosofia a Palermo (1922-1929) e a Roma (1929-1948),
sposandosi nel 1936. A partire da una critica ferrata alla dottrina cartesiana
(Le obbiezioni al cartesianesimo, 3 volumi, 1946; Il circolo vizioso in
Cartesio, 1938), portò a compimento studi critici su diversi autori, tra i
quali spiccano Immanuel Kant e Antonio Rosmini (tesi di laurea). Elaborò la
dottrina dell'"ontologismo critico", in cui l'essere non è mero
oggetto della coscienza ma è a essa intrinseco come fondamento irriducibile,
cioè "essere-di-coscienza", che in ultima istanza altri non è che Dio
(che, come già asseriva Vico, "è" e non "esiste"). Difese l'oggettività essenziale dell'Essere e
la filosofia, non come sapere specialistico trincerato, ma come operatrice
"per l'umanità tutta" così che "la coscienza filosofica esplica
quella teoria che nel diversificarsi concreto della spiritualità risulta
necessariamente implicita." E allora "lo sforzo della filosofia non
potrà mai, quindi, essere compiuto atto"--seppure "la
teoria...si...attu[i] sempre in una pratica, che è l'altro termine del
concreto" (Il Problema della Filosofia da Kant a Fichte, p. 7). Insomma
Carabellese difese la filosofia come ascesa teoretico-razionale a realtà
teologiche, o come sentiero che volge al fondamento comune della vita politica
e che alla politica rimane irriducibile.
Opere Critica del concreto, (1921) Il problema della filosofia da Kant a
Fichte (1781-1801), (1929) Il problema teologico come filosofia, (1931)
L'idealismo italiano, (1938) Il circolo vizioso in Cartesio, (1938) Le
obbiezioni al cartesianesimo, (tre volumi: Il metodo, L'idea, La dualità, 1946)
L'idea politica d'Italia, (1946) Da Cartesio a Rosmini. Fondazione storica
dell'ontologismo critico, (1946) L'essere e la manifestazione parte II, [corsi
del 1947-1948], (1998) L'essere e la manifestazione: Dialettica della Forme,
[corsi del 1947-1948], (2005) L'essere, (1948) Bibliografia Pagliarani, Romeo,
Pantaleo Carabellese: filosofo della coscienza concreta, Ravenna, Edizioni del
Girasole, 1979. Semerari, Giuseppe, La sabbia e la roccia: l'ontologia critica
di Pantaleo Carabellese, Bari, Dedalo, 1982. Valori, Furia, Il problema dell'io
in Pantaleo Carabellese, Napoli, ESI, 1996. Morabito, Bruno, Metafisica e
Teologia in Pantaleo Carabellese, Reggio Calabria, Falzea, 2001. Bini, Andrea,
Kant e Carabellese, Roma, Luiss University Press, 2006. Voci correlate
Ontologia Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons
contiene immagini o altri file su Pantaleo Carabellese Collegamenti esterni
Fulvio Papi, «CARABELLESE, Pantaleo» in Dizionario Biografico degli Italiani,
Volume 19, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1976. «Carabellese,
Pantaleo» in Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 2009. Pantaleo Carabellese a cura di Lorenzo Marras e Giuseppe
Tortora, nel sito "Filosofico.net". Autolimitazione della metafisica
critica? Momenti della recezione italiana di Fichte (1841-1948) con particolare
riferimento all'ontologismo critico di P. Carabellese di Federico Ferraguto,
Giornale di filosofia. Controllo di autorità VIAF
(EN) 56704908 · ISNI (EN) 0000 0000 8135 6690 · SBN IT\ICCU\CFIV\000359 · LCCN
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Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloNati
nel 1877Morti nel 1948Nati il 6 luglioMorti il 19 settembreNati a MolfettaMorti
a Genova[altre]
Caracciolo Alberto Caracciolo Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Alberto Caracciolo Alberto Caracciolo (San
Pietro di Morubio, 22 gennaio 1918 – Genova, 4 ottobre 1990) è stato un
filosofo, traduttore e accademico italiano.
Indice 1 Biografia
2 Pensiero
3 Opere
4 Bibliografia
sul pensiero filosofico di Caracciolo 5 Voci
correlate 6 Collegamenti
esterni Biografia Dopo gli studi liceali nella città di Verona, si trasferì a
Pavia, dove fu alunno del Collegio Ghislieri e studiò Filosofia all'Università
degli Studi di Pavia. In collegio fece la conoscenza di Teresio Olivelli, con
il quale collaborò alla stesura dei Quaderni del ribelle. Olivelli divenne uno
dei più noti martiri della Resistenza e a lui Caracciolo dedicò, su incarico
del Rettore del Ghislieri stesso, una monografia. Nel dopoguerra inizia a
insegnare nei licei (a Pavia, Lodi e Brescia), ma nel 1951 ottiene la cattedra
di Estetica e viene chiamato all'Università degli Studi di Genova, dove inizia
la sua carriera accademica, con studi che si allargheranno presto alla
filosofia teoretica e alla filosofia della religione. Pensiero La riflessione di Caracciolo si
sviluppa inizialmente all'interno della tradizione crociana, ma poi acquisisce
tratti più originali a contatto con la filosofia tedesca contemporanea:
specialmente Karl Jaspers, Karl Löwith e Martin Heidegger, di cui ha tradotto
in italiano - assieme alla moglie Maria Perotti Caracciolo - In cammino verso
il Linguaggio del 1959. Di particolare interesse e importanza sono i suoi studi
sul nichilismo - a partire dagli scritti su Giacomo Leopardi - e sulla
dimensione religiosa dell'esistenza. Nella sua riflessione egli ha pure
mostrato una forte attenzione per il rapporto tra pensiero e poesia, tra
pensiero e musica. Tra i suoi allievi vi sono stati Carlo Angelino, Giovanni
Moretto, Domenico Venturelli e Gerardo Cunico.
Opere Teresio Olivelli. Biografia di un martire, Brescia 1947 (nuova
edizione:1975). L'estetica di Benedetto Croce nel suo svolgimento e nei suoi
limiti, Torino 1948 (edizioni successive: L'estetica e la religione di
Benedetto Croce, Arona 1958, Genova, 1988). Scritti di estetica, Brescia 1949.
Etica e trascendenza, Brescia 1950. Arte e pensiero nelle loro istanze
metafisiche. I problemi della "Critica del giudizio", Milano 1953
(nuova edizione: Studi kantiani, Napoli 1995). La persona e il tempo, Arona
1955. Saggi filosofici, Genova 1955. Studi jaspersiani, Milano 1958. La
religione come struttura e come modo autonomo della coscienza, Milano 1965
(nuova edizione: Genova 2000). Arte e linguaggio, Milano 1970. Religione ed
eticità, Napoli 1971 (nuova edizione: Genova 1999). Karl Löwith, Napoli 1974
(nuova edizione: Brescia 1997). Pensiero contemporaneo e nichilismo, Napoli
1976. Nichilismo ed etica, Genova 1983. Studi heideggeriani, Genova 1989. Nulla
religioso e imperativo dell'eterno, Genova 1990. Opere postume Politica e
autobiografia, Brescia 1993. Leopardi e il nichilismo, Milano 1994. La virtù e
il corso del mondo. Lezioni anno accademico 1975-76, Alessandria 2002.
Traduzioni E. Troeltsch, L'assolutezza del Cristianesimo e la storia delle
religioni, Napoli 1968. A. Lang, Introduzione alla filosofia della religione,
in collaborazione con Maria Perotti Caracciolo, Brescia 1959-1969. M.
Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, in collaborazione con Maria Perotti
Caracciolo, Milano 1973-1979-1990. W.F. Otto, Theophania. Lo spirito della
religione greca antica, in collaborazione con Maria Perotti Caracciolo, Genova
1983. Bibliografia sul pensiero filosofico di Caracciolo Giovanni Moretto,
Filosofia umana. Itinerario di Alberto Caracciolo, Morcelliana, Brescia 1992.
Paola Ruminelli, Esistenza e Trascendenza. Una lettura del pensiero di Alberto
Caracciolo, Abelardo, Roma 1995. Alessandro Di Chiara, Lo spazio della
trascendenza. La prospettiva estetica ed etico-religiosa di Alberto Caracciolo,
il melangolo, Genova 2001. Domenico Venturelli, Alberto Caracciolo. Sentieri
del suo filosofare, il nuovo melangolo, Genova 2011. Voci correlate Nichilismo
Collegamenti esterni Alberto Caracciolo sito del comune natale di San Pietro di
Morubio. Alberto Caracciolo e gli scrittori italiani del primo Ottocento, di Luciano
Parisi, Project Muse, sito "muse.jhu.edu. Controllo di autorità VIAF (EN) 54248581 · ISNI (EN) 0000
0001 0923 4549 · SBN IT\ICCU\MODV\060286 · LCCN (EN) n92084117 · BNF (FR)
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Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Letteratura Portale
Letteratura Categorie: Filosofi italiani del XX secoloTraduttori
italianiAccademici italiani del XX secoloNati nel 1918Morti nel 1990Nati il 22
gennaioMorti il 4 ottobreNati a San Pietro di MorubioMorti a GenovaProfessori
dell'Università degli Studi di GenovaStudenti dell'Università degli Studi di
PaviaTraduttori all'italianoTraduttori dal tedesco all'italiano[altre]
Caramella Santino Caramella
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Niente
fonti! Questa voce o sezione sull'argomento filosofi italiani non cita le fonti
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aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sull'uso
delle fonti. Santino Caramella (Genova, 22 giugno 1902 – Palermo, 26 gennaio
1972) è stato un filosofo e storico della filosofia italiano. Indice 1 Biografia
e carriera 2 Pensiero
3 Opere
principali 4 Note
5 Bibliografia
6 Altri
progetti 7 Collegamenti
esterni Biografia e carriera Genovese di nascita, ancora al liceo (1919),
cominciò a collaborare con Piero Gobetti, il quale gli affidò la trattazione
della filosofia su Energie Nove. Dal 1921, dopo un primo contatto con Piero
Gobetti e La Rivoluzione liberale, su segnalazione di questi, entrò in
collaborazione con il pedagogista siciliano Giuseppe Lombardo Radice, da cui
apprese le dottrine del neoidealismo di Benedetto Croce e Giovanni Gentile.
Dopo la laurea in Filosofia a Genova nel 1923, insegnò negli istituti superiori
e conseguì la libera docenza, ma per le sue idee antifasciste fu arrestato nel
1928 e rinchiuso prima nelle carceri di Marassi a Genova, e poi fu trasferito a
San Vittore a Milano; fu scarcerato il 6 luglio dello stesso anno, ma nel 1929
venne sospeso dall'insegnamento e dalla libera docenza. Ottenne, per
intercessione di Croce, l'incarico di filosofia e storia della filosofia e di
pedagogia presso l'Università di Messina e, nel 1933, vinse la cattedra di
pedagogia nell'Università di Catania; negli anni 1935-1950 insegnò filosofia
teoretica sempre a Catania. Nel 1939 secondo Ruggero Zangrandi prese parte ai
convegni organizzati dalla Scuola di mistica fascista[1] Dal 1950 fino alla morte (1972) si trasferì
all'Università di Palermo, ereditando la cattedra che era stata di Giovanni
Gentile. Il suo allievo principale, che ne cura il lascito, è Francesco
Armetta, docente alla Pontifica Facoltà Teologica di Sicilia. Pensiero La sua vasta cultura, gli permise di
vedere la continuità del pensiero classico e cristiano e, nell'ambito del
pensiero moderno, l'unità delle opposte dialettiche nella legge vivente dello
spirito e nel dinamismo della natura e della storia. Fu apprezzato storico
della filosofia, della pedagogia e delle scienze. La sua filosofia si può definire un
neoidealismo crociano e gentiliano, ma reinterpretatto alla luce dello
spiritualismo cristiano. Il suo pensiero "supera" lo storicismo e la
dottrina crociana degli opposti e dei distinti, e si esprime nell'interpretazione
della pratica come eticità storica.[2].
La religione e la teosofia rappresentano la possibilità di un pensiero
spirituale più attento da un lato alla concretezza dell'uomo e dall'altro
all'ineffabilità di Dio. La religione, anziché risolversi nella filosofia,
colloca il proprio progresso in intima unità con il progresso della filosofia
stessa: da un lato è esclusa la riduzione della religione ad atteggiamento
pratico; dall'altro, le è conferita una distinta funzione teoretica. Opere principali Problemi e sistemi della
filosofia, Messina, 1930. Religione, teosofia e filosofia, (1931). Breve storia
della pedagogia, Messina, 1932. La logica moderna e le scienze
fisico-matematiche, Roma, 1936. La filosofia di Plotino e il neoplatonismo,
Catania, 1940. Ideologia, 1942. Metafisica, filosofia dell'esperienza, 1945.
Metalogica, filosofia dell'esperienza, Catania, 1946. Autocritica, in: Filosofi
italiani contemporanei, a cura di M.F. Sciacca, Milano, 1946, pp. 225-233.
L'Enciclopedia di Hegel, Padova, 1947. La filosofia dello Stato nel
Risorgimento, Napoli, 1947. Introduzione a Kant, Palermo, 1956. La pedagogia
tedesca in Italia, Roma, 1964. Conoscenza e metafisica, Palermo, 1966. La mia
prospettiva etica, Palermo, 1966. Santino Caramella-Benedetto Croce. Carteggio
(1919-1947), a cura di Francesco Armetta, OCLC 40766667 Note ^ Ruggero
Zangrandi, p. 387. ^ l'Enciclopedia, de La Biblioteca di Repubblica,
UTET-DeAgostini, 2003, Torino Bibliografia Ruggero Zangrandi, Il lungo viaggio
attraverso il fascismo, Feltrinelli, Milano, 1962 M.F. Sciacca, Profilo di
Santino Caramella, in «Annali della Facoltà di Magistero della Università di
Palermo», 1971-72, pp. 5-15. A. Guzzo, Santino Caramella, in «Filosofia», XXIII
(1972), pp. 165-167. M. F. Sciacca, Il pensiero di Santino Caramella, in «Atti
dell'Accademia di Scienze Lettere e Arti di Palermo», XXXII (1971 -73), n. 2,
pp. 11-24. P. Piovani, La dialettica del vero e del certo nella
"metafisica vichiana" di Santino Caramella, in Miscellanea di scritti
filosofici in memoria di Santino Caramella, Palermo 1974, pp. 251 -262. M. A.
Raschini, Commemorazione del prof. Santino Caramella, in «Giornale di
metafisica», XXIX (1974), pp. 465-472. V. Mathieu, Filosofia contemporanea,
Firenze 1978, pp. 8-10. P. Prini, La ontologia storico-dialettica di Santino
Caramella, in «Theorein», VIII (1979), pp. I-II. L. Pareyson, Inizi e caratteri
del pensiero di Santino Caramella, in «Giornale di metafisica», n. s., I
(1979), pp. 305-330. M. Corselli, La vita dello spirito nella filosofia di
Santino Caramella, in «Labor», XXI (1980), pp. 157-163. G.M. Sciacca, Santino
Caramella, filosofo, pedagogista, educatore, in «Pegaso. Annali della Facoltà
di Magistero della Università di Palermo», 1983-84, pp. 9-22. F. Armetta,
Santino Caramella. La verità in dialogo, SEI, Torino, 1995. F. Armetta, Il
carteggio tra Caramella e Lombardo Radice (1919-1935). Idealismo e riforma
della scuola, Sciascia Editore, Palermo, 2001. Altri progetti Collabora a
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Collegamenti esterni Silvano Scalabrella, Santino Caramella, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su
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Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloStorici
della filosofia italianiNati nel 1902Morti nel 1972Nati il 22 giugnoMorti il 26
gennaioNati a GenovaMorti a Palermo[altre]
Caramello Pietro Caramello Da
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è orfana Questa voce sull'argomento religiosi è orfana, ovvero priva di
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generico e rimuovi l'avviso. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento.
Pietro Caramello (Torino, 6 settembre 1908 – Torino, 13 maggio 1997) è stato un
presbitero e filosofo italiano.
Biografia Già allievo del prestigioso liceo classico Gioberti di Torino,
entra in seminario e nel 1926 riceve l'ordinazione presbiteriale con una
speciale dispensa papale dovuta alla giovane età a cui aveva completato gli
studi. Laureato in Teologia presso la
Facoltà teologica torinese nel 1930, nel 1933 consegue anche il titolo in
Filosofia presso l'Università di Torino.
Dal 1931 è docente di Filosofia sistematica presso il Seminario arcivescovile
con sede a Chieri, mentre tra il 1968 e il 1993 insegna Filosofia teoretica
alla Facoltà teologica. Riceve il titolo onorifico di Monsignore. Studioso di san Tommaso d'Aquino, di cui cura
diverse opere tra cui un'edizione della Summa Theologiae, è stato anche Custode
della Sindone fino alla revisione del Concordato del 1984. Bibliografia G. Tuninetti, In Memoriam. Clero
della diocesi di Torino defunto dal 1951 al 2007: vescovi, preti e diaconi,
Cantalupa, Effatà Editrice, 2008. Testo parzialmente disponibile in Google
Libri. Controllo di autorità VIAF
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Filosofia Categorie: Presbiteri italianiFilosofi italiani del XX secoloNati nel
1908Morti nel 1997Nati il 6 settembreMorti il 13 maggioNati a TorinoMorti a
Torino[altre]
Carando Ennio Carando Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Ennio Carando Ennio Carando (Pettinengo, 9
ottobre 1904 – Villafranca Piemonte, 5 febbraio 1945) è stato un partigiano e
filosofo italiano. Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria. Indice 1 Biografia
2 Onorificenze
3 Note
4 Bibliografia
5 Altri
progetti Biografia Laureatosi in Filosofia nel 1930 all'Università di Torino,
si avvicinò all'antifascismo attraverso l'influenza di Erminio Juvalta (con cui
discusse la tesi di laurea) e di Piero Martinetti. Collaborò alla Rivista di
filosofia di Martinetti, dove pubblicò un saggio su Africano Spir e insegnò nei
licei ed istituti superiori di Cuneo, Modena e Savona[1]. Divenuto militante
comunista, al momento dell'armistizio insegnava a La Spezia. Sebbene fosse
quasi completamente cieco[2] dopo l'armistizio si diede ad organizzare
formazioni partigiane in Liguria e in Piemonte (fu anche presidente del secondo
CLN spezzino). Era ispettore del Raggruppamento Divisioni Garibaldi nel
Cuneese, quando fu catturato in seguito ad una delazione. Sottoposto a torture atroci, non tradì i compagni
di lotta e fu trucidato con il fratello Ettore, capitano di artiglieria a
cavallo in spe e capo di stato maggiore della I Divisione Garibaldi. Dopo la
Liberazione, alla memoria di Ennio Carando fu concessa la Medaglia d'oro al
valor militare alla memoria[3]. Ludovico
Geymonat, che gli fu amico, lo ricorda come "un filosofo in senso
socratico", cioè essenzialmente un educatore[4]. Onorificenze Medaglia d'oro al valor militare
- nastrino per uniforme ordinaria Medaglia
d'oro al valor militare «Incaricato di importanti funzioni nelle formazioni
partigiane veniva catturato dal nemico a seguito di vile delazione e sottoposto
alle più crudeli sevizie. Minacciato di morte se non avesse rivelato le notizie
che interessavano al nemico, manteneva imperterrito il silenzio fin tanto che
non veniva barbaramente trucidato. Fulgido esempio di eroismo e di attaccamento
agli ideali di libertà.» — Villa Franca Piemonte (Torino), 5 febbraio 1945[5].
Note ^ Vigorelli, p. 299-300 nota. ^ Vigorelli, p. 299 nota. ^ ANPI: Biografia
Carando, su anpi.it. ^ Geymonat ; Vigorelli, p. 299-300 nota. ^ Dettaglio
decorato, quirinale.it. URL consultato il 24 febbraio 2016. Bibliografia Amedeo
Vigorelli, Piero Martinetti. La metafisica civile di un filosofo dimenticato,
Milano, Bruno Mondadori, 1998, ISBN 88-424-9455-0. Ludovico Geymonat, Contro il
moderatismo, Milano, Feltrinelli, 1978, p. 74-80. Altri progetti Collabora a
Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Ennio Carando Collabora a
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Carando Questo testo proviene in parte, o integralmente, dalla relativa voce
del progetto Donne e Uomini della Resistenza, opera dell'Associazione Nazionale
Partigiani d'Italia, pubblicata sotto licenza Creative Commons CC-BY-3.0 IT
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mondiale Categorie: Partigiani italianiFilosofi italiani del XX secoloNati nel
1904Morti nel 1945Nati il 9 ottobreMorti il 5 febbraioNati a PettinengoMorti a
Villafranca PiemonteMedaglie d'oro al valor militare[altre]
Caravita Nicola Caravita Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Nicola
Caravita, o Nicolò Caravita (Napoli, 24 maggio 1647 – Napoli, 22 novembre
1717), è stato un giurista e filosofo italiano. Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Note
4 Bibliografia
5 Collegamenti
esterni Biografia Appartenente a una famiglia nobile di origine spagnola resa
illustre in passato da insigni giureconsulti, Nicola Caravita fu fiscale[1]
della reale Giurisdizione e professore di diritto feudale all'università di
Napoli. Compose il trattato Nullum ius romani pontificis in Regnum neapolitanum
(1707), contro le pretese feudali della Santa Sede sul regno di Napoli;
l'opera, che fu poi tradotta nel 1790 in lingua italiana (Niun diritto compete
al sommo pontefice sul Regno di Napoli) da Eleonora Fonseca Pimentel, fu messa
all'Indice nel 1714. Nicola Caravita ebbe inoltre l'incarico di raccogliere
tutte le leggi del Regno in un Codice Filippino[2]; il Codice Filippino, era
tuttavia rimasto incompiuto per l'occupazione austriaca di Napoli nel
1707. In filosofia fu seguace
dell'antiaristotelismo di Leonardo Di Capua; la sua abitazione divenne il
centro della diffusione della filosofia di Cartesio a Napoli. Titolo di merito
di Nicola Caravita, come peraltro del figlio Domenico, è l'essere stato amico e
protettore di Giambattista Vico, a favore del quale si adoperò per fargli
ottenere la cattedra di retorica all'Università di Napoli e perché fosse
accolto nell'Accademia Palatina. Opere
Nicolò Caravita, Niun diritto compete al sommo pontefice sul Regno di Napoli :
dissertazione istorica-legale del consigliere Nicolò Caravita ; tradotta dal
latino, ed illustrata con varie note. Aletopoli (Napoli) : 1790 (on-line)
Nicolò Caravita, Ragioni a pro della fedelissima città e Regno di Napoli
contr'al procedimento straordinario nelle cause del Sant'Officio, divisate in
tre capi. Nel I si ragiona del grave pregiudicio della real giuridizione, Nel
II si tratta dell'ordinaria maniera di giudicio, che tener si dee nel regno , e
nel III si dimostra il pregiudicio, che fa alla real giuridizione, ed al regno
un editto in cui si stabilisce il tribunal della 'nquisizione. Napoli , 109
(on-line[collegamento interrotto]) Note ^ Il "fiscale" o
"procuratore fiscale" era il pubblico ufficiale che rappresentava
l'interesse della legge nei giudizi; tale funzione nell'ordinamento italiano è
affidata attualmente al pubblico ministero ^ Il nome deriva da Filippo IV di
Spagna al quale il giurista Carlo Tapia aveva dedicato nel 1643 la compilazione
privata di leggi del regno di Napoli, ordinate secondo il codice di Giustiniano
Bibliografia Fausto Nicolini, «CARAVITA, Nicola», in Enciclopedia Italiana,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1930. Salvatore Fodale, «CARAVITA,
Nicolò», in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 19, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1976. Collegamenti esterni Nicola Caravita, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
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Filosofia Portale Filosofia Categorie: Giuristi italiani del XVII
secoloGiuristi italiani del XVIII secoloFilosofi italiani del XVII
secoloFilosofi italiani del XVIII secoloNati nel 1647Morti nel 1717Nati il 24
maggioMorti il 22 novembreNati a NapoliMorti a NapoliSalottieri[altre]
Carbonara Cleto
Carbonara Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Cleto Carbonara (Potenza, aprile 1904 – Napoli, 27 luglio 1998) è stato un
filosofo italiano. Indice 1 Biografia
2 Il
pensiero 3 Opere
4 Note
5 Bibliografia
Biografia Conseguito il diploma liceale nel 1922, si trasferì con la famiglia a
Napoli nel 1925, frequentando la facoltà di filosofia presso l'università
partenopea. Ottenuta la laurea, nel 1929 iniziò a collaborare per la rivista
Logos di Antonio Aliotta (di cui fu allievo) ed esercitò la docenza: insegnante
nel Liceo di Campobasso e nel Giambattista Vico di Nocera Inferiore, professore
di filosofia teoretica all'Università di Cagliari e in quella di Catania,
professore di storia della filosofia nell'ateneo di Napoli e all'Accademia
della "Nunziatella". Il pensiero Con la pubblicazione nel 1938
dell'opera Disegno d'una filosofia critica dell'esperienza pura Carbonara
rifacendosi alla filosofia kantiana e riprendendo il discorso idealistico ne metteva
in rilievo il tentativo fallito di Giovanni Gentile di dare concretezza al
pensiero filosofico. Nell'attualismo gentiliano il ritorno ai fatti si
risolveva infatti nell'atto sempre uguale e sempre diverso del pensare, unica
realtà e verità del pensiero e della storia: «vera storia non è quella che si
dispiega nel tempo, ma quella che si raccoglie nell'eterno atto del
pensare».[1]. Il problema secondo Carbonara andava esaminato riportandolo
alla sua origine, cioè al problema del rapporto tra esperienza e pensiero, tra
realtà e pensiero così come era stato affrontato dalla filosofia kantiana e che
Gentile crede di risolvere stabilendo un rapporto dialettico tra il pensiero e
il suo negativo all'interno del pensiero stesso. La soluzione invece era in nuce
secondo Carbonara nella sintesi a priori kantiana dove convivono forma e
contenuto per cui la coscienza è per un verso forma, contenitore di un
contenuto storico e per un altro coincide col suo contenuto in quanto il
contenuto non avrebbe realtà al di fuori della forma della coscienza. La
successiva questione si poneva considerando oltre il rapporto del pensiero con
la materia quella collegata all'origine del pensiero stesso. Ancora una volta
Kant aveva intravisto la soluzione nella teoria dell'io penso che però va ora
intesa non come la struttura logico-metafisica della realtà storica, ma come la
sua struttura psicologico-trascendentale o "esistenziale", secondo
una concezione della "filosofia dell'esperienza pura" nel senso che l'esperienza
«viene a coincidere col divenire della vita spirituale e resta
indifferente (deve, anzi, restare indifferente) al problema, ch'è propriamente
di natura ontologica, circa la sua dipendenza o indipendenza da una realtà
diversa dallo spirito» [2] Il rapporto tra pensiero e materia portò
Carbonara ad indagare quello tra filosofia e scienza con l'opera Scienza e
filosofia ai principi dell' età moderna (Galilei-Bacone-Cartesio) 1935 in cui
sostiene che mentre da un punto di vista filosofico non si può andare oltre
l'ambito dell'autocoscienza, del cogito cartesiano, al contrario la scienza si
basa sulla necessità di fondarsi sul mondo esterno. Forse la soluzione di
questa antinomia, sostiene Carbonara, va ricercata nell'«insoddisfazione dello
stesso idealismo verso se stesso [...] non potendo rinunciare a se stesso ma
neppure al suo opposto...nec tecum nec sine te [3] Cleto Carbonara si
interessò anche del pensiero religioso rinascimentale a Firenze notando come in
quel periodo si fosse realizzata una fusione tra il cristianesimo e la
filosofia platonica e neoplatonica così come ad esempio in Marsilio Ficino
prete cattolico che visse la sua fede come teologia razionale dando una base
filosofica, trascurando la stessa rivelazione, alla sua spiritualità
religiosa: «Nella mente di Ficino, il platonismo si congiunge al
cristianesimo non soltanto sul fondamento di una religiosità profonda da cui il
primo appare permeato, ma anche per una tradizione storica ininterrotta, per
cui l'antichissima saggezza dell'Oriente, ripensata da Platone e dai
neoplatonici, si ritrova trasfigurata ma tuttavia persistente nei Padri della
Chiesa e nei dottori della Scolastica. Come apprendiamo dall'Epistolario
ficiniano, la sapienza fu intesa per la prima volta in Oriente come un dono
divino e come mezzo per cui l'uomo può elevarsi fino a Dio; tale principio fu
poi appreso da Pitagora, Eraclito, Platone, Aristotele, i neoplatonici;
riemerse nella speculazione filosofica ispirata dalla Rivelazione cristiana e
si ritrovò quindi in Agostino, Scoto, negli Arabi Avicebron, Alfarabi,
Avicenna. Lo stesso Cicerone figura nella catena dei platonici latini.
Riallacciandosi a quella tradizione e meditando sui testi platonici, il Ficino
concepí il disegno, portato a termine nel periodo della sua maturità spirituale,
dal 1469 al 1474, di ricostruire su fondamento platonico la teologia cristiana
[...] il platonismo vi è considerato come il nucleo essenziale di una teologia
razionale i cui princípi coincidono con quelli della rivelazione cristiana:
tale coincidenza è il principale argomento con cui si riesce a dimostrare
l'eccellenza del cristianesimo rispetto alle altre religioni positive. Del
resto il Ficino è disposto ad ammettere che qualsiasi culto, purché esercitato
con animo puro, reca onore e gradimento a Dio.[4]» Opere L'individuo e la
storia (1934) Scienza e filosofia ai principi dell' età moderna
(Galilei-Bacone-Cartesio) 1935 Disegno critico di una filosofia dell'esperienza
pura (1938) Il secolo XV (Milano, 1943) Umanesimo e Rinascimento (Catania, 1944)
Del Bello e dell'Arte (1944) Introduzione alla Filosofia (Napoli, 1946)
Materialismo storico e idealismo critico (1947) Sviluppo e problemi
dell'estetica crociana (Napoli, 1947) I presocratici (1950) La filosofia
dell'esperienza e la fondazione dell'umanesimo (Napoli, 1954) La filosofia di
Plotino (1954) Persona e libertà (1959) Ricerche di un'estetica del contenuto
(1960) L'esperienza e la prassi (1964) Discorso empirico delle arti (1973) Note
^ In Aldo Masullo, Il «materialismo» critico di Cleto Carbonara, in AA.VV., La
filosofia dell'esperienza di Cleto Carbonara, a cura di Giuseppe Martano e Aldo
Masullo, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1965 ^ C. Carbonara, Disegno
d'una filosofia critica dell'esperienza pura, 1938 in Aldo Masullo, op. cit.,
p. 232 ^ Gustavo Bontadini, Studi di filosofia moderna, Vita e Pensiero, p.406
^ C. Carbonara, Il platonismo nel Rinascimento, in Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1964, vol. VI, pagg. 534-535 Bibliografia Aniello Montano,
Il prisma a specchio della realtà: percorsi di filosofia italiana tra Ottocento
e Novecento, Rubettino, 2002. Controllo di autorità VIAF (EN) 46887761 · ISNI (EN)
0000 0000 8125 3384 · SBN IT\ICCU\CFIV\015579 · LCCN (EN) n88615659 · GND (DE)
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Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloNati nel 1904Morti nel
1998Morti il 27 luglioNati a PotenzaMorti a NapoliProfessori dell'Università
degli Studi di Napoli Federico II[altre]
Carbone Mauro Carbone Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Mauro
Carbone (Mantova, 8 dicembre 1956) è un filosofo italiano. Dal 2009 è professore ordinario di Filosofia
presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Jean Moulin Lyon 3 di Lione; dal
2012 è membro senior dell'Institut Universitaire de France. Si occupa
principalmente di estetica contemporanea.
Indice 1 Biografia 2 Aree
di Studio 3 Pensiero
4 Borse
di Studio, Premi e riconoscimenti scientifici 5 Opere
6 Note
7 Collegamenti
esterni Biografia Mauro Carbone si laurea nel 1980 in Storia della Filosofia
Contemporanea presso l'Università degli Studi di Bologna con la tesi dal titolo
"Il problema del soggetto nella storia: Merleau-Ponty e il marxismo".
Nel 1985 consegue il Diploma di Perfezionamento in Metodologia della Ricerca
filosofica e Filosofia delle scienze presso l'Università degli Studi di Padova.
Nel 1990 ottiene il dottorato di ricerca presso l'Institut Supérieur de
Philosophie dell'Université Catholique de Louvain, in Belgio, con la tesi dal
titolo "À partir de Cézanne et de Proust. La philosophie de l'expression
de Maurice Merleau-Ponty", premiata dall'Académie Royale de Belgique. Dal
1994 è stato ricercatore presso l'Università degli Studi di Milano, dove nel
2001 è diventato professore associato di Estetica, inaugurando tre anni più
tardi la cattedra di Estetica Contemporanea, che ha tenuto sino al 2009.
Carbone è l'ideatore della rivista "Chiasmi International. Pubblicazione
trilingue intorno al pensiero di Merleau-Ponty"[1] di cui è condirettore
sin dalla fondazione avvenuta nel 1999. È stato professore invitato in Francia,
in Messico, alla New School for Social Research di New York (2007), all'Università
Beida di Pechino (2009) e a quella cinese di Hong Kong (2010). Nella primavera
del 2005 è stato fellow dell'Italian Academy for Advanced Studies presso la
Columbia University di New York e nella primavera del 2011 Distinguished
Visiting International Scholar presso l'Università del Rhode Island. Nel 2005
ha scritto, in collaborazione con Paolo Bignamini, Condannàti alla libertà,
adattamento teatrale del romanzo di Sartre L'età della ragione, che è stato
messo in scena in quello stesso anno. Tra il 2008 e il 2010 è stato tra i
fondatori e direttori dell'European Network in Contemporary French Philosophy
(ENCFP) insieme con Miguel de Beistegui, University of Warwick (UK), A.
Davidson, Università degli Studi di Pisa (IT) e F. Worms, École Normale
Supérieure (FR), il quale, con il sostegno del «Leverhulme Trust», ha
organizzato un Programma internazionale di ricerca sulla filosofia del XX
secolo in Francia concentrandolo su alcune delle sue figure più importanti e
sulle parole-chiave «l'essere, la vita, il concetto». Dal 2002 dirige la
collana filosofica italo-francese «L'occhio e lo spirito. Estetica,
fenomenologia, testi plurilingui / L'œil et l'esprit. Esthétique,
phénoménologie, textes plurilingues»[2] per Mimesis Edizioni. Aree di Studio Mauro Carbone ha inizialmente
concentrato i suoi studi sulla fenomenologia di Maurice Merleau-Ponty,
indagandone il duplice ma unitario significato estetico di riflessione
filosofica sull'esperienza percettiva e sull'esperienza artistica attraverso
l'esame del parallelo interesse manifestato da Merleau-Ponty per l'opera
pittorica di Paul Cézanne e per quella letteraria di Marcel Proust. Tale
indirizzo di studi si è allargato dapprima a una più vasta considerazione della
fenomenologia e poi a quella del pensiero post-strutturalistico sviluppatosi in
Francia, pur mantenendosi imperniato sul parallelo interesse per la riflessione
filosofica sulla pittura e sulla letteratura moderne. Questo ampliamento ha
inoltre condotto gli studi di Carbone ad affrontare tematiche di carattere gnoseologico
e ontologico, spingendolo anche a problematizzare il tradizionale rapporto tra
la filosofia e la "non filosofia". Più recentemente, tali
orientamenti hanno trovato sbocco in una riflessione sul peculiare statuto
delle immagini nella nostra epoca, sulle possibili implicazioni etico-politiche
del rapporto con esse e sulla dimensione ontologica dell'"essere in
comune" che in tali implicazioni troverebbe espressione. Mauro Carbone ha
curato, tra l'altro, l'edizione italiana di quattro opere di Maurice
Merleau-Ponty (Il visibile e l'invisibile; Linguaggio Storia Natura. Corsi al
Collège de France, 1952-1961; La Natura. Lezioni al Collège de France,
1956-1960; È possibile oggi la filosofia? Lezioni al Collège de France
1958-1959 e 1960-1961), di una di Jan Patočka (Saggi eretici sulla filosofia
della storia) e di una di Ernst Cassirer (Eidos ed eidolon. Il problema del
bello e dell'arte nei dialoghi di Platone).
Pensiero Il pensiero di Mauro Carbone è stato influenzato
prevalentemente da quello di Maurice Merleau-Ponty, di cui ha sviluppato in
maniera teoreticamente personale alcune nozioni che il filosofo francese aveva
potuto soltanto abbozzare prima della sua morte improvvisa. Tra queste, spicca
la nozione di "idea sensibile", intesa quale essenza che s'inaugura
nel nostro incontro col sensibile e da questo rimane inseparabile,
sedimentandosi in una peculiare temporalità retroflessa che Carbone chiama, con
Merleau-Ponty, "tempo mitico". Alla prima di queste nozioni è
dedicato il dittico composto dai volumi Ai confini dell'esprimibile.
Merleau-Ponty a partire da Cézanne e da Proust (1990) e Una deformazione senza
precedenti. Marcel Proust e le idee sensibili (2004). Nel secondo di questi
volumi Carbone porta a sintesi le implicazioni filosofiche delle nozioni sopra
citate nell'originale idea di "deformazione senza precedenti", con
cui egli intende caratterizzare il peculiare statuto che a suo avviso la
deformazione assume nell'arte del XX secolo al fine di staccarsi dal principio
imitativo della rappresentazione e dunque dalla "concezione del modello
inteso quale forma preliminarmente data".[3] Alle nozioni sopra menzionate
si è andata successivamente collegando quella di "precessione
reciproca" tra immaginario e reale che Carbone ha proposto, sviluppando una
formulazione di Merleau-Ponty, al fine di dar conto del prodursi della
peculiare temporalità retroflessa detta "tempo mitico". Carbone ha
cercato inoltre di sviluppare le implicazioni etico-politiche della concezione
della memoria legata all'idea di "deformazione senza precedenti"
nella sua riflessione sull'evento dell'11 settembre 2001, di cui ha
sottolineato l'irriducibile carattere visivo indagandolo pertanto mediante un
approccio anzitutto estetico. Egli ha altresì cercato le radici ontologiche di
tali implicazioni etico-politiche nel pensiero di Maurice Merleau-Ponty, Jan
Patočka e Gilbert Simondon, proponendo le nozioni di "a-individuale"
e di "dividuo" per sottolineare l'intrinseco carattere relazionale (e
dunque il divenire e la divisibilità) di ogni identità. Borse di Studio, Premi e riconoscimenti
scientifici 1985 - Borsa di studio della Communauté française de Belgique
presso l'Institut Supérieur de Philosophie dell'Université Catholique de
Louvain-la-Neuve (Belgio). 1987 - Menzione speciale per la tesi di diploma di
perfezionamento al concorso per il Premio del Ministero dei Beni Culturali e
Ambientali per le scienze filosofiche. 1988 - Borsa di studio della Communauté
française de Belgique presso l'Institut Supérieur de Philosophie dell'Université
Catholique de Louvain-la-Neuve (Belgio). 1993 - Premio per la tesi di
dottorato, nella Categoria delle Lettere, al concorso annuale dell'Académie
Royale des sciences, des lettres et des beaux-arts del Belgio. 2005 -
Fellowship all'Italian Academy for Advanced Studies in America, presso la
Columbia University (New York). 2005 - Premio "Viaggio a Siracusa"
assegnato (ex aequo) al libro Una deformazione senza precedenti in quanto
migliore saggio italiano di carattere filosofico pubblicato nel 2004. 2009 -
"Premio Internazionale Maurizio Grande", riservato a saggi
d'argomento cinematografico, assegnato (ex aequo) al libro Sullo schermo
dell'estetica. La pittura, il cinema e la filosofia da fare. 2005/2011 -
Associate Fellow presso il Dipartimento di Filosofia dell'Università di Warwick
(UK). 2011 - University of Rhode Island Distinguished Visiting International
Scholar. 2012 - Membro senior dell'Institut Universitaire de France. Opere Ai
confini dell'esprimibile. Merleau-Ponty a partire da Cézanne e da Proust,
Milano, Guerini e Associati, 1990, 1992, 1993. Il sensibile e l'eccedente.
Mondo estetico, arte, pensiero, Milano, Guerini e Associati, 1996. Di alcuni
motivi in Marcel Proust, Milano, Libreria Cortina, 1998. La visibilité de
l'invisible. Merleau-Ponty entre Cézanne et Proust, Hildesheim, Georg Olms
Verlag, 2001. La carne e la voce. In dialogo tra estetica ed etica, Milano,
Mimesis, 2003 (con David Michael Levin). The Thinking of the Sensible.
Merleau-Ponty's A-Philosophy, Evanston (IL), Northwestern University Press,
2004. Una deformazione senza precedenti. Marcel Proust e le idee sensibili,
Macerata, Quodlibet, 2004; ed. ampliata "Proust et les idées
sensibles", tr. fr. di S. Kristensen rivista da P. Rodrigo e dall'autore,
Paris, Vrin, 2008; tr. ingl. di N. Keane, An unprecedented Deformation: Marcel
Proust and the Sensible Ideas, Albany (NY), SUNY Press, 2010. Essere morti
insieme. L'evento dell'11 settembre 2001, Torino, Bollati Boringhieri, 2007.
Sullo schermo dell'estetica. La pittura, il cinema e la filosofia da fare,
Milano, Mimesis Edizioni, 2008. Merleau-Ponty, la chair des images: entre
peinture et cinéma, Paris, Vrin, 2011. Pensare (con) Patočka oggi, a cura di
Mauro Carbone e Caterina Croce, Napoli, Orthotes Editrice, 2012. Note ^
Chiasmi, sito ufficiale ^ «L'occhio e lo spirito» Archiviato il 29 novembre
2011 in Internet Archive., sito della collana. ^ M. Carbone, Una deformazione
senza precedenti. Marcel Proust e le idee sensibili, Macerata, Quodlibet, 2004,
p. 94. Collegamenti esterni Opere di Mauro Carbone, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Modifica su Wikidata Controllo di autorità VIAF (EN) 76367955 · ISNI
(EN) 0000 0001 2282 0462 · SBN IT\ICCU\CFIV\102859 · Europeana
agent/base/146640 · LCCN (EN) nr94036545 · GND (DE) 12288860X · BNF (FR)
cb12222436s (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-nr94036545 Biografie Portale
Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX
secoloFilosofi italiani del XXI secoloNati nel 1956Nati l'8 dicembreNati a
MantovaStudenti dell'Università di Bologna[altre]
Carboni Massimo Carboni
(storico dell'arte) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump
to search Niente fonti! Questa voce o sezione sull'argomento storici italiani
non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Puoi
migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le
linee guida sull'uso delle fonti. Massimo Carboni (Livorno, 1954) è un filosofo
italiano. Biografia Massimo Carboni è
docente di Estetica presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Ha tenuto corsi e
seminari presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Bari, la Facoltà
di Beni Culturali dell’Università La Tuscia di Viterbo e la Facoltà di Lettere
e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma. Negli anni Ottanta e Novanta è
stato a lungo attivo come critico d’arte curando numerose mostre personali e
collettive presso gallerie private e spazi pubblici. Ha collaborato come
curatore e come autore di saggi in catalogo alle edizioni del 1993, del 1997 e del
2011 della Biennale di Venezia. È stato collaboratore dei quotidiani “Il
Tirreno”, “Paese Sera”, “Reporter”, “la Repubblica”, “il manifesto”. Si occupa principalmente dei rapporti tra
filosofia e arti moderno-contemporanee. Su questo tema ha scritto vari
contributi per la rivista di filosofia “aut-aut” ed è stato più volte invitato
al Festival delle Letterature di Mantova e al Festival di Filosofia di
Modena. Da tempo collabora alla
redazione dell’Enciclopedia Treccani: nel volume dal titolo XXI secolo. Gli
spazi e le arti contiene il suo saggio Le arti e la tecnica: gli scenari
futuri; nel volume di prossima pubblicazione dal titolo Enciclopedia dell’arte
contemporanea conterrà cinque voce da lui redatte. Tra i suoi saggi si
ricordano: L’angelo del fare. Fausto Melotti e la ceramica (Skira, 2003) e Il
colore nell’arte (Jaca Book, 2006). Ha
curato la nuova edizione di alcune tra le opere di Gillo Dorfles, Cesare
Brandi, Gilles Deleuze-Félix Guattari, Theodor Adorno. Tra le recensioni dei
suoi libri si segnalano: Giacomo Marramao, Gianni Vattimo (“L’Espresso”), Gillo
Dorfles (“Il Corriere della Sera”), Victor Stoichita (“il manifesto”). Al
Festival delle Letterature di Mantova hanno presentato i suoi libri Carlo Sini
(2005) e Georges Didi-Huberman (2007). Scrive sulle riviste in rete “Nòema” e
“Images Re-vues” e sulla “Rivista di Estetica”.
Opere L’Impossibile Critico. Paradosso della critica d’arte, Kappa,
1985; Cesare Brandi. Teoria e esperienza dell’arte, Editori Riuniti, 1992,
nuova ed. Jaca Book, 2004; Il Sublime è Ora. Saggio sulle estetiche
contemporanee, Castelvecchi, 1993, quarta ed. 2003; Non vedi niente lì?
Sentieri tra arti e filosofie del Novecento, Castelvecchi, 1999, nuova ed.
ampliata 2005; L’ornamentale. Tra arte e decorazione, Jaca Book, 2000; L’occhio
e la pagina. Tra immagine e parola, Jaca Book, 2002; Lo stato dell’arte.
L’esperienza estetica nell’era della tecnica, Laterza, 2005; La mosca di
Dreyer. L’opera della contingenza nelle arti, Jaca Book, 2007; Di più di tutto.
Figure dell’eccesso, Castelvecchi, 2009; Analfabeatles. Filosofia di una
passione elementare, Castelvecchi, 2012; Il genio è senza opera. Filosofie
antiche e arti contemporanee, Jaca Book, 2017; Malevič. L'ultima icona. Arte,
filosofia, teologia, Jaca Book, 2019. Collegamenti esterni Opere di Massimo
Carboni, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata Controllo di
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Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloNati
nel 1954Nati a Livorno[altre]
carcano: Paolo Filiasi
Carcano (n. Napoli) fu quarto Duca di Montaltino, Nobile dei Marchesi di
Carapelle, e fu anche un eminente filosofo italiano rinomato in particolare per
i suoi studi di fenomenologia, filosofia del linguaggio e più in generale di
filosofia analitica. Dopo gli studi universitari a Napoli, durante i quali si
formò alla scuola del filosofo Antonio Aliotta e si dedicò allo studio delle
scienze, Filiasi Carcano divenne a sua volta professore prima all'Università
degli Studi di Napoli e poi all'Università di Roma "La Sapienza".[1]
Sulla scia teoretica del suo maestro, l'Aliotta, Filiasi Carcano volle
approfondire le problematiche poste dalla filosofia contemporanea, sia europea
che americana, e riesaminare attentamente i linguaggi scientifici in uso. Tesi
centrale di Filiasi Carcano è che le correnti filosofiche del '900, in
particolare il pragmatismo, il neopositivismo, la fenomenologia,
l'esistenzialismo e la psicoanalisi, fossero il portato dell'esigenza teoretica
di una maggiore chiarezza delle varie questioni che emergevano dalla crisi
culturale, vitale ed esistenziale della sua epoca. Al centro di tale crisi giganteggiava la
polemica fra pensiero metafisico e pensiero antimetafisico, soprattutto a causa
del vigore critico neopositivista, contro il quale a sua volta Filiasi Carcano,
che ritiene necessaria una sostanziale alleanza o quantomeno un aperto dialogo
fra la metafisica e le scienze, pone diversi rilievi critici, principale dei
quali è quello di minare alla base l'unità dell'esperienza, che senza una
cornice o una struttura metafisica in cui inserirsi rimarrebbe indefinitamente
frammentata in percezioni fra loro irrelate. A questo inconveniente si può
rimediare, secondo il filosofo napoletano, temperando il positivismo e il
neopositivismo con lo sperimentalismo, ovvero accompagnando alla piena
accettazione del metodo scientifico una piena apertura alla voce
dell'esperienza così come è stata intesa, ad esempio, nella fenomenologia di
Husserl, che Filiasi Carcano ritiene per questo integralmente scientifica. In questo senso si può procedere a mantenere
una costante tensione sui problemi posti dalla filosofia, in opposizione a ogni
dogmatismo di sistema, e al contempo non cadere nell'angoscia a cui conduce lo
scetticismo radicale che tutto rifiuta, compresa l'esperienza. Non si
tratterebbe dunque per la filosofia teoretica di definire verità immutabili ma
di sincronizzarsi col ritmo del metodo scientifico, sussumendo i risultati
sperimentali delle scienze e integrandoli nel continuum di una struttura
metafisica mediante il ponte dell'esperienza.
Opere Crisi della civiltà e orientamenti della filosofia contemporanea,
Perrella, Roma 1939. La filosofia d'oggi al congresso di Amsterdam (11-18
agosto 1948), Soc. Ed. del Foro Italiano, Roma 1950. Problematica della
filosofia odierna, Fratelli Bocca, Roma 1953. Semantica, Fratelli Bocca, Roma
1955. La metodologia del rinnovarsi nel pensiero contemporaneo, Libreria
scientifica editrice, Napoli 1958. Filosofia della alienazione e analisi
esistenziale, CEDAM, Padova 1961. L'unificazione del sapere, Sansoni, Firenze
1964. Logica e analisi, CEDAM, Padova 1966 Filosofia e informazione, CEDAM,
Padova 1967. Introduzione allo studio della filosofia linguistica, Bulzoni
Editore, Roma 1972. Note ^ Geremia M. V. Borruso, Paolo Filiasi Carcano, in
Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Bibliografia Aniello Montano, La problematicità dell'esperienza e
l'analisi del linguaggio nella filosofia di Paolo Filiasi Carcano, in Piero Di
Giovanni (a cura di), Le avanguardie della filosofia italiana nel XX secolo,
FrancoAngeli, 2002. Istituto di Filosofia e Storia di filosofia della Facoltà
di Magistero dell'Università degli Studi di Roma (a cura di), Scienza,
linguaggio e metafilosofia. Scritti in memoria di Paolo Filiasi Carcano, Guida,
Napoli 1980. Collegamenti esterni Paolo Filiasi Carcano, in Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica
su Wikidata Controllo di autoritàVIAF (EN) 381906 · ISNI (EN) 0000 0000 9527
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Portale Filosofia Categorie: Nati nel 1911Morti nel 1977Nati l'11 marzoMorti il
24 febbraioNati a NapoliMorti a RomaFilosofi italiani del XX secoloProfessori
della Sapienza - Università di Roma[altre]
campsall: a village in Yorkshire, Richard
– of Balliol, semantics. Cf. Ricardus de Campsalle obtained a MA from Balliol
and then became a Fellow of Merton.
CERNUM
-- discernibile
– “There’s the discernible and the indiscernible, and Leibniz was a bit of a
genius in focusing on the second!” – Grice. indiscernibility: of identicals,
the principle that if A and B are identical, there is no difference between A
and B: everything true of A is true of B, and everything true of B is true of
A; A and B have just the same properties; there is no property such that A has
it while B lacks it, or B has it while A lacks it. A tempting formulation of
this principle, ‘Any two things that are identical have all their properties in
common’, verges on nonsense; for two things are never identical. ‘A is
numerically identical with B’ means that A and B are one and the same. A and B
have just the same properties because A, that is, B, has just the properties
that it has. This principle is sometimes called Leibniz’s law. It should be
distinguished from its converse, Leibniz’s more controversial principle of the
identity of indiscernibles. A contraposed form of the indiscernibility of
identicals – call it the distinctness of discernibles – reveals its point in
philosophic dialectic. If something is true of A that is not true of B, or (to say
the same thing differently) if something is true of B that is not true of A,
then A and B are not identical; they are distinct. One uses this principle to
attack identity claims. Classical arguments for dualism attempt to find
something true of the mind that is not true of anything physical. For example,
the mind, unlike everything physical, is indivisible. Also, the existence of
the mind, unlike the existence of everything physical, cannot be doubted. This
last argument shows that the distinctness of discernibles requires great care
of application in intentional contexts. Refs.: H. P. Grice, “Definite
descriptions in Leibniz and in the vernacular.”
conatum: Aristotle distinguishes three types of living beings:
vegetables, φυτά, which possess only the ability to nourish themselves τὸ
θϱεπτιϰόν; animals, ζαῷ, which possess the faculty of sensing τὸ αἰσθητιϰόν,
which opens onto that of desiring, τὸ ὀϱεϰτιϰόν, to orektikon, (desdideratum);
and man and — he says—any other similar or superior being, who possess in
addition the ability to think, “τὸ διανοητιϰόν τε ϰαὶ νοῦς.” -- De An., 414a
29-b.orme,
the technical Stoic definition of πάθος, viz. as a particular kind
of conation,
or impulse (ορμή). ... 4 ' This definition (amorem ipsum conatum amicitiae
faeiendae ex ... emotion and moral self-management in Galen's philosophical psychology', ..cōnātum , i, usu. in plur.: cōnāta , ōrum, n., v. conor.. The term is used by an the Wilde Reader at Oxford,
that Grice once followed – until he became a neo-Prichardian instead.(philosophy) The power or act which directs or impels to effort of any kind, whether
muscular or psychical. quotations 1899, George
Frederick Stout, A Manual of Psychology, page
234:Any pleasing sense-experience, when it has once taken
place, will, on subsequent occasions, give rise to a conation, when its conditions are only
partially repeated...
CALCVULATVM: Grice: “We speak
of the predicate calculus, but what did the Romans mean?” – account," originally "pebble used as a reckoning
counter," diminutive of calx (genitive calcis) "limestone" –
Grice, “On the roman meaning of calculus.”Grice speaks variously of
calculus. One of the characteristics of implicature is CALCULABILITY -- - In
the second William James, he uses CALCULATE variously. Conventional implata are not calculable.
Insofar as tl1e CALCULATION that a particular conversational implicature is
present requires, besides contextual and background information, only a
knowledge of what has been said (or of the conventional commitment of the
utterance), and insofar as the manner of expression plays no role in the
CALCULATION, it will not be possible to find another way of saying the same
thing, which simply lacks the implicature in question, except where some
special feature of the substituted version is itself relevant to the
determination of an implicature (in virtue of one of the maxims of Manner). If
we call this feature NONDETACIIAlliLITY, one may expect a generalized
conversational implicature that is carried by a familiar, nonspecial locution
to have a high degree of nondetachability. 3. To speak approximately, since the
CALCULATION of the presence of a conversational implicature presupposes an
initial knowledge of the conventional force of the expression the utterance of
which carries the implicature, a conversational implicatum will be a condition
that is not included in the original specification of the expression's
conventional force. Though it may not be impossible for what starts life, so to
speak, as a conversational implicature to become conventionalized, to suppose
that this is so in a given case would require special justification. So,
initially at least, conversational implicata are not part of the meaning of the
expressions to the employment of which they attach. 4. ·Since the. truth of a
conversational implicatum is not required by the truth of what is said (what is
said may be true-what is implicated may be false), the implicature is not
carried by what is said, but only by the saying of what is said, or by 'putting
it that way.' 5. Since, to CALCULATE a conversational implicature is to
CALCULATE what has to be supposed in order to preserve the supposition that the
Cooperative Principle is being observed, and since there may be various
possible specific explanations, a list of which may be open, the conversational
implicatum in such cases will be disjunction of such specific explanations; and
if the list of these is open, the implicatum will have just the kind of
indeterminacy that many actual implicata do in fact seem to possess. cf. calculation -- Hobbes uses ‘calculation –
How latin is that? calcŭlo , āre, v. a. id.,
I.to calculate, compute, reckon (late Lat.). from diminutive of ‘calx,’
a stone usef for reckon --- I. Lit., Prud. στεφ. 3, 131.— II. Trop., to
consider as, to esteem, Sid. Ep. 7, 9.Grice uses ‘calculus’ slightly different,
in the phrase “first-order predicate calculus with time-relative identity” -- a
central branch of mathematics, originally conceived in connection with the
determination of the tangent or normal to a curve and of the area between it
and some fixed axis; but it also embraced the calculation of volumes and of
areas of curved surfaces, the lengths of curved lines, and so on. Mathematical
analysis is a still broader branch that subsumed the calculus under its rubric
see below, together with the theories of functions and of infinite series.
Still more general and/or abstract versions of analysis have been developed
during the twentieth century, with applications to other branches of
mathematics, such as probability theory. The origins of the calculus go back to
Grecian mathematics, usually in problems of determining the slope of a tangent
to a curve and the area enclosed underneath it by some fixed axes or by a
closed curve; sometimes related questions such as the length of an arc of a
curve, or the area of a curved surface, were considered. The subject flourished
in the seventeenth century when the analytical geometry of Descartes gave
algebraic means to extend the procedures. It developed further when the
problems of slope and area were seen to require the finding of new functions,
and that the pertaining processes were seen to be inverse. Newton and Leibniz
had these insights in the late seventeenth century, independently and in
different forms. In the Leibnizian differential calculus the differential dx
was proposed as an infinitesimal increment on x, and of the same dimension as
x; the slope of the tangent to a curve with y as a function of x was the ratio
dy/dx. The integral, ex, was infinitely large and of the dimension of x; thus
for linear variables x and y the area ey dx was the sum of the areas of
rectangles y high and dx wide. All these quantities were variable, and so could
admit higher-order differentials and integrals ddx, eex, and so on. This theory
was extended during the eighteenth century, especially by Euler, to functions
of several independent variables, and with the creation of the calculus of
variations. The chief motivation was to solve differential equations: they were
motivated largely by problems in mechanics, which was then the single largest
branch of mathematics. Newton’s less successful fluxional calculus used limits
in its basic definitions, thereby changing dimensions for the defined terms.
The fluxion was the rate of change of a variable quantity relative to “time”;
conversely, that variable was the “fluent” of its fluxion. These quantities
were also variable; fluxions and fluents of higher orders could be defined from
them. A third tradition was developed during the late eighteenth century by J.
L. Lagrange. For him the “derived functions” of a function fx were definable by
purely algebraic means from its Taylorian power-series expansion about any
value of x. By these means it was hoped to avoid the use of both infinitesimals
and limits, which exhibited conceptual difficulties, the former due to their
unclear ontology as values greater than zero but smaller than any orthodox
quantity, the latter because of the naive theories of their deployment. In the
early nineteenth century the Newtonian tradition died away, and Lagrange’s did
not gain general conviction; however, the LeibnizEuler line kept some of its
health, for its utility in physical applications. But all these theories
gradually became eclipsed by the mathematical analysis of A. L. Cauchy. As with
Newton’s calculus, the theory of limits was central, but they were handled in a
much more sophisticated way. He replaced the usual practice of defining the
integral as more or less automatically the inverse of the differential or
fluxion or whatever by giving independent definitions of the derivative and the
integral; thus for the first time the fundamental “theorem” of the calculus,
stating their inverse relationship, became a genuine theorem, requiring
sufficient conditions upon the function to ensure its truth. Indeed, Cauchy
pioneered the routine specification of necessary and/or sufficient conditions
for truth of theorems in analysis. His discipline also incorporated the theory
of discontinuous functions and the convergence or divergence of infinite
series. Again, general definitions were proffered and conditions sought for
properties to hold. Cauchy’s discipline was refined and extended in the second
half of the nineteenth century by K. Weierstrass and his followers at Berlin.
The study of existence theorems as for irrational numbers, and also technical
questions largely concerned with trigonometric series, led to the emergence of
set topology. In addition, special attention was given to processes involving
several variables changing in value together, and as a result the importance of
quantifiers was recognized for example,
reversing their order from ‘there is a y such that for all x . . .’ to ‘for all
x, there is a y . . .’. This developed later into general set theory, and then
to mathematical logic: Cantor was the major figure in the first aspect, while
G. Peano pioneered much for the second. Under this regime of “rigor,”
infinitesimals such as dx became unacceptable as mathematical objects. However,
they always kept an unofficial place because of their utility when applying the
calculus, and since World War II theories have been put forward in which the
established level of rigor and generality are preserved and even improved but
in which infinitesimals are reinstated. The best-known of these theories, the
non-standard analysis of A. Robinson, makes use of model theory by defining
infinitesimals as arithmetical inverses of the transfinite integers generated
by a “non-standard model” of Peano’s postulates for the natural numbers. Refs.:
Luigi Speranza, “Hobbes’s calculatio and Grice’s calculability.”
campbell: n. r. – H. P.
Grice drew some ideas on scientific laws from Campbell -- British physicist and philosopher of science.
A successful experimental physicist, Campbell with A. Wood discovered the
radioactivity of potassium. His analysis of science depended on a sharp
distinction between experimental laws and theories. Experimental laws are
generalizations established by observations. A theory has the following
structure. First, it requires a largely arbitrary hypothesis, which in itself is
untestable. To render it testable, the theory requires a “dictionary” of
propositions linking the hypothesis to scientific laws, which can be
established experimentally. But theories are not merely logical relations
between hypotheses and experimental laws; they also require concrete analogies
or models. Indeed, the models suggest the nature of the propositions in the
dictionary. The analogies are essential components of the theory, and, for
Campbell, are nearly always mechanical. His theory of science greatly
influenced Nagel’s The Structure of Science 1.
campus -- field theory, a
theory that proceeds by assigning values of physical quantities to the points
of space, or of space-time, and then lays down laws relating these values. For
example, a field theory might suppose a value for matter density, or a
temperature for each space-time point, and then relate these values, usually in
terms of differential equations. In these examples there is at least the tacit
assumption of a physical substance that fills the relevant region of
space-time. But no such assumption need be made. For instance, in Ficino,
Marsilio field theory 309 309 Maxwell’s
theory of the electromagnetic field, each point of space-time carries a value
for an electric and a magnetic field, and these values are then governed by
Maxwell’s equations. In general relativity, the geometry e.g., the curvature of
space-time is itself treated as a field, with lawlike connections with the
distribution of energy and matter. Formulation in terms of a field theory
resolves the problem of action at a distance that so exercised Newton and his
contemporaries. We often take causal connection to require spatial contiguity.
That is, for one entity to act causally on another, the two entities need to be
contiguous. But in Newton’s description gravitational attraction acts across
spatial distances. Similarly, in electrostatics the mutual repulsion of
electric charges is described as acting across spatial distances. In the times
of both Newton and Maxwell numerous efforts to understand such action at a
distance in terms of some space-filling mediating substance produced no viable
theory. Field theories resolve the perplexity. By attributing values of
physical quantities directly to the space-time points one can describe
gravitation, electrical and magnetic forces, and other interactions without
action at a distance or any intervening physical medium. One describes the
values of physical quantities, attributed directly to the space-time points, as
influencing only the values at immediately neighboring points. In this way the
influences propagate through space-time, rather than act instantaneously across
distances or through a medium. Of course there is a metaphysical price: on such
a description the space-time points themselves take on the role of a kind of
dematerialized ether. Indeed, some have argued that the pervasive role of field
theory in contemporary physics and the need for space-time points for a
field-theoretic description constitute a strong argument for the existence of
the space-time points. This conclusion contradicts “relationalism,” which
claims that there are only spatiotemporal relations, but no space-time points
or regions thought of as particulars. Quantum field theory appears to take on a
particularly abstract form of field theory, since it associates a quantum
mechanical operator with each space-time point. However, since operators
correspond to physical magnitudes rather than to values of such magnitudes, it
is better to think of the field-theoretic aspect of quantum field theory in
terms of the quantum mechanical amplitudes that it also associates with the
space-time points.
captainship. Strawson calls
Grice his captain. In the inaugural lecture. . A struggle on what seems to be
such a From Meaning and Truth (Oxford: Oxford University Press, 1970) TRUTH AND
MEANING central issue in philosophy should have something of a Homeric quality;
and a Homeric struggle calls for gods and heroes. I can at least, though
tentatively, name some living captains and benevolent shades: on the one side,
say, Grice, Austin, and the later Wittgenstein; on the other, Chomsky, Frege,
and the earlier Wittgenstein.
cardinal -- H. P. Grice and
The cardinal virtues, prudence prudential (in ratione) practical wisdom, courage
(fortitude in irascibili), temperance (temperantia in concuspicibili), and
justice (iustitia in voluntate). Grice thought them oxymoronic: “Virtue is
entire, surely!” -- Medievals deemed them cardinal from Latin cardo, ‘hinge’
because of their important or pivotal role in human flourishing. In Plato’s
Republic, Socrates explains them through a doctrine of the three parts of the
soul, suggesting that a person is prudent when knowledge of how to live wisdom
informs her reason, courageous when informed reason governs her capacity for
wrath, temperate when it also governs her appetites, and just when each part
performs its proper task with informed reason in control. Development of
thought on the cardinal virtues was closely tied to the doctrine of the unity of
the virtues, i.e., that a person possessing one virtue will have them all.
carlyleianim:, T.: When Grice
was feeling that his mode operators made for poor prose he would wonder, “what
Carlyle might think of this!” -- Scottish-born essayist, historian, and social
critic, one of the most popular writers and lecturers in nineteenth-century
Britain. His works include literary criticism, history, and cultural criticism.
With respect to philosophy, his views on the theory of history are his most
significant contributions. According to Carlyle, great personages are the most
important causal factor in history. On Heroes, Hero-Worship and the Heroic in
History 1841 asserts, “Universal History, the history of what man has
accomplished in this world, is at bottom the History of the Great Men who have
worked here. They were the leaders of men, these great ones; the modellers,
patterns, and in a wide sense creators, of whatsoever the general mass of men
contrived to do or to attain; all things that we see standing accomplished in
the world are properly the outer material result, the practical realisation and
embodiment, of Thoughts that dwelt in the Great Men sent into the world: the
soul of the whole world’s history, it may justly be considered, were the
history of these.” Carlyle’s doctrine has been challenged from many different
directions. Hegelian and Marxist philosophers maintain that the so-called great
men of history are not really the engine of history, but merely reflections of
deeper forces, such as economic ones, while contemporary historians emphasize
the priority of “history from below” the
social history of everyday people as far
more representative of the historical process.
Grice,
in “Gli atti linguistici: aspetti e problemi di filosofia del lignuaggio.”
Campi del sapere/Feltrinelli.
levi:
filosofo italiano – Italian philosopher of Jewish descent. Author of “Storia
della filosofia romana.”
giornale
critico della filosofia italiana.
giovanni,
p. d. “Positivismo italiano.”
cassiodoro: noble Italian
philosopher. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Cassiodoro," per Il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia
casalegno,
paolo. Italian philosopher – author of “H. P. Grice” in “Filosofia del
linguaggio.”
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