strozzi: Important Italian
philosopher, especially influential at what Grice called Italy’s Oxford, i. e.
Firenze – “Palla Strozzi was more a mentor than a philosopher, but I would
consider him both a Grecian and Griceian in spirit.” -- Palla Strozzi Da Wikipedia, l'enciclopedia
libera. Jump to navigationJump to search
Palla e Lorenzo Strozzi, dettaglio dell'Adorazione dei Magi di Gentile
da Fabriano (1423) Palla di Onofrio Strozzi (o Palla di Noferi) (Firenze, 1372
– Padova, 18 maggio 1462) è stato un banchiere, politico, letterato, filosofo e
filologo italiano. Stemma degli
Strozzi Indice 1 Biografia 1.1
L'opposizione ai Medici 1.2 L'esilio 2 Matrimoni e discendenza 3 Onorificenze 4
Bibliografia 5 Altri progetti 6 Collegamenti esterni Biografia Grazie alla
ricchezza accumulata nelle ultime generazioni dalla sua famiglia degli Strozzi,
il padre poté far istruire il figlio da letterati ed umanisti, e grazie
all'interesse e all'intelligenza, Palla divenne di fatto uno dei più fini
uomini di cultura fiorentini del suo tempo.
Ricco e colto, commissionò numerose opere d'arte, tra le quali la
Cappella Strozzi (oggi Sagrestia) nella Basilica di Santa Trinita, opera di
Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti (1419-1423). La cappella, progetto
irrealizzato del padre Noferi, venne fatta erigere in sua memoria da Palla dopo
la morte, e ne ospitò la sepoltura monumentale. Per questo ambiente commissionò
l'Adorazione dei Magi a Gentile da Fabriano e la Deposizione dalla Croce a
Lorenzo Monaco, terminata poi da Beato Angelico che ne fece uno dei suoi
capolavori. L'opposizione ai Medici
Collezionista di libri rari e conoscitore del greco e del latino, si trovò già
sessantenne invischiato nell'opposizione strenua contro Cosimo de' Medici. Cosimo il Vecchio infatti era l'uomo che per
la prima volta si era di fatto preso tutto il potere cittadino, grazie a un
sistema di clientelismo con uomini chiave alla guida degli uffici della
Repubblica fiorentina. Davanti a Cosimo solo due strade erano possibili:
l'alleanza accettando un ruolo subordinato o lo scontro frontale; e Palla,
forte della sua ricchezza e fiero della propria cultura, fu a capo della
fazione antimedicea assieme ad un altro oligarca indomabile, Rinaldo degli
Albizi. In un primo momento la fortuna
arrise alla sua fazione, riuscendo ad ottenere prima l'incarcerazione di
Cosimo, poi la dichiarazione del medesimo come magnate, cioè tiranno, ed il suo
conseguente esilio dalla città (1433). L'obiettivo dello Strozzi comunque non
era tanto l'eliminazione di un avversario, ma la restaurazione della libertas
fiorentina e in questo fu diverso dall'alleato Rinaldo degli Albizi. Intanto Cosimo mandava già segni di
prepararsi a un rientro, che avvenne puntuale al cambio di governo con il
veloce avvicendamento dei gonfalonieri, meno di un anno dopo la sua partenza da
Firenze. L'esilio Tra i primi
provvedimenti vi è proprio la vendetta sugli avversari, con l'esilio delle
famiglie degli Albizi e degli Strozzi, e in questo Cosimo fu favorito anche dall'appoggio
popolare che lui e la sua casata si erano saputi conquistare. Nel 1434 quindi lo Strozzi parte per Padova,
dove si preparava per un rientro che non avvenne mai. La sua casa di Padova,
nella quale egli visse una seconda giovinezza, fu un ritrovo di artisti e
letterati, nel periodo d'oro quando la città veneta era uno dei centri
culturali più notevoli della penisola italiana, per certi risultati artistici
più importante della stessa Firenze (si pensi ai capolavori lasciati proprio da
due fiorentini come Giotto o Donatello).
Lasciò la sua raccolta di libri rari, arricchita ulteriormente durante
il suo soggiorno padovano, al monastero di Santa Giustina. Morì a Padova l'8
maggio 1462, nel suo palazzo verso il Prato della Valle. Fu sepolto nella
vicina chiesa di Santa Maria di Betlemme.
Matrimoni e discendenza Dalla moglie Maria Strozzi, sua lontana parente,
ebbe undici figli: Lorenzo (1404-1452)
Onofrio (1411-1452) Nicola detto Tita (1412-?) Gianfrancesco (1418-1468 circa)
Carlo Bartolomeo Margherita Lena (morta nel 1449, moglie di Felice Brancacci)
Ginevra Jacopa (moglie di Giovanni di Paolo Rucellai) Tancia. In tarda età si
sposò con una figlia di Felice Brancacci, che lo seguì a Padova. I suoi discendenti si stabilirono in seguito
a Ferrara e diedero origine al ramo ferrarese degli Strozzi (quello di Tito
Vespasiano ed Ercole Strozzi).
Onorificenze Cavaliere dello Speron d'oro - nastrino per uniforme
ordinaria Cavaliere dello Speron d'oro Bibliografia Marcello Vannucci, Le
grandi famiglie di Firenze, Roma, Newton Compton Editori, 2006. ISBN
88-8289-531-9 Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons
contiene immagini o altri file su Palla Strozzi Collegamenti esterni G.
Reichenbach, «STROZZI, Palla», in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1936. Roberto Palmarocchi, «La famiglia STROZZI»,
in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1936.
Controllo di autorità VIAF (EN) 32432314 · ISNI (EN) 0000 0000 4346 1318 · LCCN
(EN) no91009565 · GND (DE) 104350172 · CERL cnp00369282 · WorldCat Identities
(EN) lccn-no91009565 Biografie Portale Biografie Storia Portale Storia
Categorie: Banchieri italianiPolitici italiani del XIV secoloPolitici italiani
del XV secoloLetterati italianiNati nel 1372Morti nel 1462Morti il 18 maggioNati
a FirenzeMorti a PadovaUmanisti italianiCollezionisti d'arte
italianiStrozziCavalieri dello Speron d'oro[altre]. Refs.:Luigi Speranza, "Grice e Strozzi -- Grecian,
Griceian," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia.
structuratum: mid-15c.,
"action or process of building or construction;" 1610s, "that
which is constructed, a building or edifice;" from Latin structura "a
fitting together, adjustment; a building, mode of building;" figuratively,
"arrangement, order," from structus, past participle of struere
"to pile, place together, heap up; build, assemble, arrange, make by
joining together," related to strues "heap," from PIE *streu-,
extended form of root *stere- "to spread.” structuralism, a
distinctive yet extremely wide range of productive research conducted in the
social and human sciences from the 0s through the 0s, principally in France. It
is difficult to describe structuralism as a movement, because of the
methodological constraints exercised by the various disciplines that came to be
influenced by structuralism e.g.,
anthropology, philosophy, literary theory, psychoanalysis, political theory,
even mathematics. Nonetheless, structuralism is generally held to derive its
organizing principles from the early twentieth-century work of Saussure, the
founder of structural linguistics. Arguing against the prevailing historicist
and philological approaches to linguistics, he proposed a “scientific” model of
language, one understood as a closed system of elements and rules that account
for the production and the social communication of meaning. Inspired by
Durkheim’s notion of a “social fact”
that domain of objectivity wherein the psychological and the social
orders converge Saussure viewed language
as the repository of discursive signs shared by a given linguistic community.
The particular sign is composed of two elements, a phonemic signifier, or
distinctive sound element, and a corresponding meaning, or signified element.
The defining relation between the sign’s sound and meaning components is held
to be arbitrary, i.e., based on conventional association, and not due to any
function of the speaking subject’s personal inclination, or to any external
consideration of reference. What lends specificity or identity to each
particular signifier is its differential relation to the other signifiers in
the greater set; hence, each basic unit of language is itself the product of
differences between other elements within the system. This principle of
differential and structural relation was extended by Troubetzkoy to the
order of phonemes, whereby a defining set of vocalic differences underlies the
constitution of all linguistic phonemes. Finally, for Saussure, the closed set
of signs is governed by a system of grammatical, phonemic, and syntactic rules.
Language thus derives its significance from its own autonomous organization,
and this serves to guarantee its communicative function. Since language is the
foremost instance of social sign systems in general, the structural account
might serve as an exemplary model for understanding the very intelligibility of
social systems as such hence, its
obvious relevance to the broader concerns of the social and human sciences.
This implication was raised by Saussure himself, in his Course on General
Linguistics6, but it was advanced dramatically by the anthropologist Claude Lévi-Strauss who is generally acknowledged to be the
founder of modern structuralism in his
extensive analyses in the area of social anthropology, beginning with his
Elementary Structures of Kinship 9. Lévi-Strauss argued that society is itself
organized according to one form or another of significant communication and
exchange whether this be of information,
knowledge, or myths, or even of its members themselves. The organization of
social phenomena could thus be clarified through a detailed elaboration of
their subtending structures, which, collectively, testify to a deeper and
all-inclusive, social rationality. As with the analysis of language, these
social structures would be disclosed, not by direct observation, but by
inference and deduction from the observed empirical data. Furthermore, since
these structures are models of specific relations, which in turn express the
differential properties of the component elements under investigation, the
structural analysis is both readily formalizable and susceptible to a broad
variety of applications. In Britain, e.g., Edmund Leach pursued these analyses
in the domain of social anthropology; in the United States, Chomsky applied
insights of structuralism to linguistic theory and philosophy of mind; in
Italy, Eco conducted extensive structuralist analyses in the fields of social
and literary semiotics. With its acknowledgment that language is a
rule-governed social system of signs, and that effective communication depends
on the resources available to the speaker from within the codes of language
itself, the structuralist approach tends to be less preoccupied with the more
traditional considerations of “subjectivity” and “history” in its treatment of
meaningful discourse. In the post-structuralism that grew out of this approach,
the philosopher Foucault, e.g., focused
on the generation of the “subject” by the various epistemic discourses of
imitation and representation, as well as on the institutional roles of
knowledge and power in producing and conserving particular “disciplines” in the
natural and social sciences. These disciplines, Foucault suggested, in turn
govern our theoretical and practical notions of madness, criminality,
punishment, sexuality, etc., notions that collectively serve to “normalize” the
individual subject to their determinations. Likewise, in the domain of
psychoanalysis, Lacan drew on the work of Saussure and Lévi-Strauss to
emphasize Freud’s concern with language and to argue that, as a set of
determining codes, language serves to structure the subject’s very unconscious.
Problematically, however, it is the very dynamism of language, including
metaphor, metonymy, condensation, displacement, etc., that introduces the
social symbolic into the constitution of the subject. Althusser applied the
principles of structuralist methodology to his analysis of Marxism, especially
the role played by contradiction in understanding infrastructural and superstructural
formation, i.e., for the constitution of the historical dialectic. His account
followed Marx’s rejection of Feuerbach, at once denying the role of traditional
subjectivity and humanism, and presenting a “scientific” analysis of
“historical materialism,” one that would be anti-historicist in principle but
attentive to the actual political state of affairs. For Althusser, such a
philosophical analysis helped provide an “objective” discernment to the
historical transformation of social reality. The restraint the structuralists
extended toward the traditional views of subjectivity and history dramatically
colored their treatment both of the individuals who are agents of meaningful
discourse and of the linguistically articulable object field in general. This
redirection of research interests particularly in France, due to the
influential work of Barthes and Michel Serres in the fields of poetics,
cultural semiotics, and communication theory has resulted in a series of
original analyses and also provoked lively debates between the adherents of
structuralist methodology and the more conventionally oriented schools of
thought e.g., phenomenology, existentialism, Marxism, and empiricist and
positivist philosophies of science. These debates served as an agency to open
up subsequent discussions on deconstruction and postmodernist theory for the
philosophical generation of the 0s and later. These post-structuralist thinkers
were perhaps less concerned with the organization of social phenomena than with
their initial constitution and subsequent dynamics. Hence, the problematics of
the subject and history or, in broader
terms, temporality itself were again
engaged. The new discussions were abetted by a more critical appraisal of
language and tended to be antiHegelian in their rejection of the totalizing
tendency of systematic metaphysics. Heidegger’s critique of traditional
metaphysics was one of the major influences in the discussions following
structuralism, as was the reexamination of Nietzsche’s earlier accounts of “genealogy,”
his antiessentialism, and his teaching of a dynamic “will to power.”
Additionally, many poststructuralist philosophers stressed the Freudian notions
of the libido and the unconscious as determining factors in understanding not
only the subject, but the deep rhetorical and affective components of language
use. An astonishing variety of philosophers and critics engaged in the debates
initially framed by the structuralist thinkers of the period, and their
extended responses and critical reappraisals formed the vibrant,
poststructuralist period of intellectual
life. Such figures as Ricoeur, Emmanuel Levinas, Kristeva, Maurice Blanchot,
Derrida, Gilles Deleuze, Félix Guattari, Lyotard, Jean Baudrillard, Philippe
LacoueLabarthe, Jean-Luc Nancy, and Irigaray inaugurated a series of
contemporary reflections that have become international in scope. Refs.: H. P.
Grice, “The structure of structure.” .
subiectum: sub-iectum – sub-iectificatio -- subjectification: Grice
is right in distinguishing this from nominalization, because not all
nominalization takes the subject position. Grice plays with this. It is a
derivation of the ‘subjectum,’ which Grice knows it is Aristotelian. Liddell
and Scott have the verb first, and the neuter singular later. “τὸ ὑποκείμενον,”
Liddell and Scott note “has three main applications.” The first is “to the
matter (hyle) which underlies the form (eidos), as opp. To both “εἶδος” and
“ἐντελέχεια” Met. 983a30; second, to the substantia (hyle + morphe) which
underlies the accidents, and as opposed to “πάθη,” and “συμβεβηκότα,” as in
Cat. 1a20,27 and Met.1037b16, 983b16; third, and this is the use that
‘linguistic’ turn Grice and Strawson are interested in, “to the logical subject
to which attributes are ascribed,” and here opp. “τὸ κατηγορούμενον,” (which
would be the ‘praedicatum’), as per Cat.1b10,21, Ph.189a31. If Grice uses
Kiparsky’s factive, he is also using ‘nominalisation’ as grammarians use it.
Refs.: Grice, “Reply to Richards,” in PGRICE, also BANC. subjectivism: When
Grice speaks of the subjective condition on intention, he is using ‘subject,’
in a way a philosophical psychologist would. He does not mean Kant’s
transcendental subject or ego. Grice means the simpler empiricist subject,
personal identity, or self. The choice is unfelicitious in that ‘subject’
contrasts with ‘object.’ So when he speaks of a ‘subjective’ person he means an
‘ego-centric’ condition, or a self-oriented condition, or an agent-oriented
condition, or an ‘utterer-oriented’ or ‘utterer-relative’ condition. But this
is tricky. His example: “Nixon should get that chair of theology.” The utterer
may have to put into Nixon’s shoes. He has to perceive Nixon as a PERSON, a
rational agent, with views of his own. So, the philosophical psychologist that
Grice is has to think of a conception of the self by the self, and the
conception of the other by the self. Wisdom used to talk of ‘other minds;’
Grice might speak of other souls. Grice was concerned with intending folloed by
a that-clause. Jeffrey defines desirability as doxastically modified. It is
entirely possible for someone to desire the love that he already has. It is
what he thinks that matters. Cf. his dispositional account to intending. A
Subjectsive condition takes into account the intenders, rather than the
ascribers, point of view: Marmaduke Bloggs intends to climb Mt. Everest on
hands and knees. Bloggs might reason: Given my present state, I should do
what is fun. Given my present state, the best thing for me to do would be
to do what is fun. For me in my present state it would make for my
well-being, to have fun. Having fun is good, or, a good. Climbing a
mountain would be fun. Climbing the Everest would be/make for climbing
fun. So, I shall climb the Everest. Even if a critic insisted that a
practical syllogism is the way to represent Bloggs finding something to be
appealing, and that it should be regarded as a respectable evaluation, the
assembled propositions dont do the work of a standard argument. The premises do
not support or yield the conclusion as in a standard argument. The premises may
be said to yield the conclusion, or directive, for the particular agent whose
reasoning process it is, only on the basis of a Subjectsive condition:
that the agent is in a certain Subjectsive state, e.g. feels like going out for
dinner-fun. Rational beings (the agent at some other time, or other
individuals) who do not have that feeling, will not accept the conclusion. They
may well accept as true. It is fun to climb Everest, but will not accept it as
a directive unless they feel like it now. Someone wondering what to do for the
summer might think that if he were to climb Everest he would find it fun or
pleasant, but right now she does not feel like it. That is in general the end
of the matter. The alleged argument lacks normativity. It is not authoritative
or directive unless there is a supportive argument that he needs/ought to do
something diverting/pleasant in the summer. A practical argument is different.
Even if an agent did not feel like going to the doctor, an agent would think I
ought to have a medical check up yearly, now is the time, so I should see my
doctor to be a directive with some force. It articulates a practical
argument. Perhaps the strongest attempt to reconstruct an (acceptable or
rational) thought transition as a standard arguments is to
treat the Subjectsive condition, I feel like having climbing fun in the
summer, as a premise, for then the premises would support the conclusion. But
the individual, whose thought transition we are examining, does not regard a
description of his psychological state as a consideration that supports the
conclusion. It will be useful to look more closely at a variant of the
example to note when it is appropriate to reconstruct thinking in the form of
argument. Bloggs, now hiking with a friend in the Everest, comes to a
difficult spot and says: I dont like the look of that, I am frightened. I am
going back. That is usually enough for Bloggs to return, and for the
friend to turn back with him. Bloggss action of turning back, admittedly
motivated by fear, is, while not acting on reasons, nonetheless rational unless
we judge his fear to be irrational. Bloggss Subjectsive
condition can serve as a premise, but only in a very different
situation. Bloggs resorts to reasons. Suppose that, while his friend does not
think Bloggss fear irrational, the friend still attempts to dissuade Bloggs
from going back. After listening and reflecting, Bloggs may say I am so
frightened it is not worth it. I am not enjoying this climbing anymore. Or I am
too frightened to be able to safely go on. Or I often climb the Everest and
dont usually get frightened. The fact that I am now is a good indication that
this is a dangerous trail and I should turn back. These are reasons,
considerations implicitly backed by principles, and they could be the initial
motivations of someone. But in Bloggss case they emerged when he was challenged
by his friend. They do not express his initial practical reasoning. Bloggs was
frightened by the trail ahead, wanted to go back, and didnt have any reason not
to. Note that there is no general rational requirement to always act on
reasons, and no general truth that a rational individual would be better off
the more often he acted on reasons. Faced with his friends objections,
however, Bloggs needed justification for acting on his fear. He reflected and
found reason(s) to act on his fear. Grice plays with Subjectsivity already in
Prolegomena. Consider the use of carefully. Surely we must include the agents
own idea of this. Or consider the use of phi and phi – surely we dont want the
addressee to regard himself under the same guise with which the utterer regards
him. Or consider “Aspects”: Nixon must be appointed professor of theology at
Oxford. Does he feel the need? Grice raises the topic of Subjectsivity again in
the Kant lectures just after his discussion of mode, in a sub-section entitled,
Modalities: relative and absolute. He finds the topic central for his
æqui-vocality thesis: Subjectsive conditions seem necessary to both practical
and alethic considerations. Refs.: The source is his essay on intentions and
the subjective condition, The H. P. Grice Papers, BANC. The subject:
hypokeimenon -- When Frege turned from ‘term logic’ to ‘predicate logic’ “he
didn’t know what he was doing.” Cf. Oxonian nominalization. Grice plays a lot
on that. His presentation at the Oxford Philosophical Society he entitled, in a
very English way, as “Meaning” (echoing Ogden and Richards). With his “Meaning,
Revisited,” it seems more clearly that he is nominalizing. Unless he means,
“The essay “Meaning,” revisited,” – alla Putnam making a bad joke on Ogden:
“The meaning of ‘meaning’” – “ ‘Meaning,’ revisited” -- Grice is very familiar with this since it’s
the literal transliteration of Aristotle’s hypokeimenon, opp. in a specific
context, to the ‘prae-dicatum,’ or categoroumenon. And with the same sort of
‘ambiguity,’ qua opposite a category of expression, thought, or reality. In
philosophical circles, one has to be especially aware of the subject-object
distinction (which belong in philosophical psychology) and the thing which
belongs in ontology. Of course there’s the substance (hypousia, substantia),
the essence, and the sumbebekon, accidens. So one has to be careful. Grice
expands on Strawson’s explorations here. Philosophy, to underlie, as the
foundation in which something else inheres, to be implied or presupposed by
something else, “ἑκάστῳ τῶν ὀνομάτων . . ὑ. τις ἴδιος οὐσία” Pl.Prt.349b, cf.
Cra.422d, R.581c, Ti.Locr.97e: τὸ ὑποκείμενον has three main applications: (1)
to the matter which underlies the form, opp. εἶδος, ἐντελέχεια,
Arist.Metaph.983a30; (2) to the substance (matter + form) which underlies the
accidents, opp. πάθη, συμβεβηκότα, Id.Cat.1a20,27, Metaph.1037b16, 983b16; (3)
to the logical subject to which attributes are ascribed, opp. τὸ
κατηγορούμενον, Id.Cat.1b10,21, Ph.189a31: applications (1) and (2) are
distinguished in Id.Metaph.1038b5, 1029a1-5, 1042a26-31: τὸ ὑ. is occasionally
used of what underlies or is presupposed in some other way, e. g. of the
positive termini presupposed by change, Id.Ph.225a3-7. b. exist, τὸ ἐκτὸς
ὑποκείμενον the external reality, Stoic.2.48, cf. Epicur.Ep.1pp.12,24 U.; “φῶς
εἶναι τὸ χρῶμα τοῖς ὑ. ἐπιπῖπτον” Aristarch. Sam. ap. Placit.1.15.5; “τὸ κρῖνον
τί τε φαίνεται μόνον καὶ τί σὺν τῷ φαίνεσθαι ἔτι καὶ κατ᾽ ἀλήθειαν ὑπόκειται”
S.E.M.7.143, cf. 83,90,91, 10.240; = ὑπάρχω, τὰ ὑποκείμενα πράγματα the
existing state of affairs, Plb.11.28.2, cf. 11.29.1, 15.8.11,13, 3.31.6,
Eun.VSp.474 B.; “Τίτος ἐξ ὑποκειμένων ἐνίκα, χρώμενος ὁπλις μοῖς καὶ τάξεσιν
αἷς παρέλαβε” Plu.Comp.Phil.Flam.2; “τῆς αὐτῆς δυνάμεως ὑποκειμένης” Id.2.336b;
“ἐχομένου τοῦ προσιόντος λόγου ὡς πρὸς τὸν ὑποκείμενον” A.D.Synt.122.17. c. ὁ
ὑ. ἐνιαυτός the year in question, D.S.11.75; οἱ ὑ. καιροί the time in question,
Id.16.40, Plb.2.63.6, cf. Plu.Comp.Sol.Publ.4; τοῦ ὑ. μηνός the current month,
PTeb.14.14 (ii B. C.), al.; ἐκ τοῦ ὑ. φόρου in return for a reduction from the
said rent, PCair.Zen.649.18 (iii B. C.); πρὸς τὸ ὑ. νόει according to the
context, Gp.6.11.7. Note that both Grice and Strawson oppose Quine’s Humeian
dogma that, since the subjectum is beyond comprehension, we can do with a
‘predicate’ calculus, only. Vide Strawson, “Subject and predicate in logic and
grammar.” Refs: H. P. Grice, Work on the categories with P. F. Strawson, The H.
P. Grice Papers, BANC MSS 90/135c. subjectum – Grecian hypokeimenon – Grice’s
‘implying,’ qua nominalization, is a category shift, a subjectification, or
objectificiation. – We have ‘employ,’ ‘imply,’ and then ‘implication,’
‘implicature, and ‘implying’ Using the participles, we have the active voice
present implicans, the active voice future, implicaturum, and the passive
perfect ‘impicatum.’ subjectivism, any philosophical view that attempts to
understand in a subjective manner what at first glance would seem to be a class
of judgments that are objectively either true or false i.e., true or false independently of what we
believe, want, or hope. There are two ways of being a subjectivist. In the
first way, one can say that the judgments in question, despite first appearances,
are really judgments about our own attitudes, beliefs, emotions, etc. In the
second way, one can deny that the judgments are true or false at all, arguing
instead that they are disguised commands or expressions of attitudes. In
ethics, for example, a subjective view of the second sort is that moral
judgments are simply expressions of our positive and negative attitudes. This
is emotivism. Prescriptivism is also a subjective view of the second sort; it
is the view that moral judgments are really commands to say “X is good” is to say, details aside,
“Do X.” Views that make morality ultimately a matter of conventions or what we
or most people agree to can also be construed as subjective theories, albeit of
the first type. Subjectivism is not limited to ethics, however. According to a
subjective view of epistemic rationality, the standards of rational belief are
the standards that the individual or perhaps most members in the individual’s
community would approve of insofar as they are interested in believing those
propositions that are true and not believing those propositions that are false.
Similarly, phenomenalists can be regarded as proposing a subjective account of
material object statements, since according to them, such statements are best
understood as complex statements about the course of our experiences. -- -obiectum-abiectumm-exiectum
quartet, the: Grice: subject-object dichotomy, the distinction between
thinkers and what they think about. The distinction is not exclusive, since
subjects can also be objects, as in reflexive self-conscious thought, which
takes the subject as its intended object. The dichotomy also need not be an
exhaustive distinction in the strong sense that everything is either a subject
or an object, since in a logically possible world in which there are no
thinkers, there may yet be mind-independent things that are neither subjects
nor objects. Whether there are non-thinking things that are not objects of
thought in the actual world depends on whether or not it is sufficient in logic
to intend every individual thing by such thoughts and expressions as ‘We can
think of everything that exists’. The dichotomy is an interimplicative
distinction between thinkers and what they think about, in which each
presupposes the other. If there are no subjects, then neither are there objects
in the true sense, and conversely. A subjectobject dichotomy is acknowledged in
most Western philosophical traditions, but emphasized especially in Continental
philosophy, beginning with Kant, and carrying through idealist thought in
Fichte, Schelling, Hegel, and Schopenhauer. It is also prominent in
intentionalist philosophy, in the empirical psychology of Brentano, the object
theory of Meinong, Ernst Mally, and Twardowski, and the transcendental
phenomenology of Husserl. Subjectobject dichotomy is denied by certain
mysticisms, renounced as the philosophical fiction of duality, of which
Cartesian mindbody dualism is a particular instance, and criticized by mystics
as a confusion that prevents mind from recognizing its essential oneness with
the world, thereby contributing to unnecessary intellectual and moral dilemmas.
sub-ordination. Grice must be the only Oxonian
philosopher in postwar Oxford that realised the relevance of subordination.
Following J. C. Wilson, Grice notes that ‘if’ is a subordinating connective,
and the only one of the connectives which is not commutative. This gives Grice
the idea to consult Cook Wilson and develop his view of ‘interrogative
subordination.’ Who killed Cock Robin. If it was not the Hawk, it was the
Sparrow. It was not the Hawk. It was the Sparrow. What Grecian idiom is
Romanesque sub-ordinatio translating. The opposite is co-ordination. “And” and
“or” are coordinative particles. Interrogative coordination is provided by ‘or,’
but it relates to yes/no questions. Interrogative subordination involves
x-question. WHO killed Cock Robin. The Grecians were syntactic and hypotactic.
Varro uses jungendi. is the same and wherefrom it is different, in relation to
what &c." It may well be doubted whether he has thus improved upon his
predecessors. Surely the discernment of sameness and difference is a function
necessarily belonging to soul and necessarily included in the catalogue of her
functions : yet Stallbaum's rendering excludes it from that catalogue. The fact
that we have ory hv $, not orcp ecri, does not really favour his view—"
with whatsoever a thing may be the same, she declares it the same.' I coincide
then with the other interpreters in regarding the whole sentence from orw t' hv
as indirect INTERROGATION SUBORDINATE interrogation subordinateto \iyeiThis
mistake in logic carries with it serious mistakes in trans lation. The clause
otw t av ti tovtov rj kcu otov hv erepov is made an indirect INTERROGATIVE
COORDINATE with itpbs o tC re pu£Aio-ra xai ottt? [ 39 ] k.t.\., which is
impossible. Stallbaum rightly makes the clause a substantive clause and subject
of elvai or £vp.f}aivei elvai. (3) eKao-ra is of course predicate with elvai to
this sthe question, ‘How many sugars would Tom like in his tea?’ is not
‘satisfied’ by the answer ‘Tom loves sugar’. It may well be true that Tom loves
sugar, but the question is not satisfied by that form of answer. Conversely the
answer ‘one spoonful’ satisfies the question, even though it might be the wrong
answer and leave the tea insufficiently sugary for the satisfaction of Tom’s
sweet tooth.
sub-perceptum: This relates to Stich and his sub-doxastic. For
Aristotle, “De An.,” the anima leads to the desideratum. Unlike in ‘phuta,’ or
vegetables, which are still ‘alive,’ (‘zoa’ – he had a problem with ‘sponges’
which were IN-animate, to him, most likely) In WoW:139, Grice refers to “the
pillar box seems red” as “SUB-PERCEPTUAL,” the first of a trio. The second is
the perceptual, “A perceives that the pillar box is red,” and the third, “The
pillar box is red.” He wishes to explore the truth-conditons of the
subperceptum, and although first in the list, is last in the analsysis. Grice
proposes: ‘The pillar box seems red” iff (1) the pillar box is red; (2) A
perceives that the pillar box is red; and (3) (1) causes (2). In this there is
a parallelism with his quasi-causal account of ‘know’ (and his caveat that
‘literally,’ we may just know that 2 + 2 = 4 (and such) (“Meaning Revisited). In
what he calls ‘accented sub-perceptum,’ the idea is that the U is choosing the
superceptum (“seems”) as opposed to his other obvious choices (“The pillar box
IS red,”) and the passive-voice version of the ‘perceptum’: “The pillar box IS
PERCEIVED red.” The ‘accent’ generates the D-or-D implicaturum: By uttering
“The pillar box seems red,” U IMPLICATES that it is denied that or doubted that
the pillar box is perceived red by U or that the pillar box is red. In this,
the accented version contrasts with the unaccented version where the implicaturum
is NOT generated, and the U remains uncommitted re: this doubt or denial implicaturum.
It is this uncommitment that will allow to disimplicate or cancel the implicaturum
should occasion arise. The reference Grice makes between the sub-perceptum and
the perceptum is grammatical, not psychological. Or else he may be meaning that
in uttering, “I perceive that the pillar box is red,” one needs to appeal to
Kant’s apperception of the ego. Refs.: Pecocke, Sense and content, Grice, BANC.
sub-perceptual -- subdoxastic, pertaining to states of mind postulated to
account for the production and character of certain apparently non-inferential
beliefs. These were first discussed by Stephen P. Stich in “Beliefs and
Subdoxastic States” 8. I may form the belief that you are depressed, e.g., on
the basis of subtle cues that I am unable to articulate. The psychological
mechanism responsible for this belief might be thought to harbor information
concerning these cues subdoxastically. Although subdoxastic states resemble
beliefs in certain respects they
incorporate intentional content, they guide behavior, they can bestow
justification on beliefs they differ
from fullyfledged doxastic states or beliefs in at least two respects. First,
as noted above, subdoxastic states may be largely inaccessible to
introspection; I may be unable to describe, even on reflection, the basis of my
belief that you are depressed. Second, subdoxastic states seem cut off
inferentially from an agent’s corpus of beliefs; my subdoxastic appreciation
that your forehead is creased may contribute to my believing that you are
depressed, but, unlike the belief that your forehead is creased, it need not,
in the presence of other beliefs, lead to further beliefs about your visage.
subscriptum: Quine thought that Grice’s subscript device was
otiose, and that he would rather use brackets, or nothing, any day. Grice plays with various roots of ‘scriptum.’
He was bound to. Moore had showed that ‘good’ was not ‘descriptive.’ Grice
thinks it’s pseudo-descriptive. So here we have the first, ‘descriptum,’ where
what is meant is Griceian: By uttering the “The cat is on the mat” U means, by
his act of describing, that the cat is on the mat. Then there’s the
‘prae-scriptum.’ Oddly, Grice, when criticizing the ‘descriptive’ fallacy,
seldom mentions the co-relative ‘prescriptum.’ “Good” would be understood in
terms of a ‘prae-scriptum’ that appeals to his utterer’s intentions. Then
there’s the subscriptum. This may have various use, both in Grice. “I
subscribe,” and in the case of “Pegasus flies.” Where the utterer subscribes to
his ontological commitment. subscript device. Why does Grice think we NEED a
subscript device? Obviously, his wife would not use it. I mean, you cannot
pronounce a subscript device or a square-bracket device. So his point is
ironic. “Ordinary” language does not need it. But if Strawson and Quine are
going to be picky about stuff – ontological commitment, ‘existential
presupposition,’ let’s subscribe and bracket! Note that Quine’s response to
Grice is perfunctory: “Brackets would have done!” Grice considers a quartet of
utterances: Jack wants someone to marry him; Jack wants someone or
other to marry him; Jack wants a particular person to marry him,
and There is someone whom Jack wants to marry him.Grice notes that
there are clearly at least two possible readings of an utterance
like our (i): a first reading in which, as Grice puts it, (i) might be
paraphrased by (ii). A second reading is one in which it might be
paraphrased by (iii) or by (iv). Grice goes on to symbolize the
phenomenon in his own version of a first-order predicate calculus. Ja wants
that p becomes Wjap where ja stands for the individual constant Jack
as a super-script attached to the predicate standing for Jacks psychological
state or attitude. Grice writes: Using the apparatus of classical predicate
logic, we might hope to represent, respectively, the external reading and the
internal reading (involving an intentio secunda or intentio
obliqua) as (Ǝx)WjaFxja and Wja(Ǝx)Fxja. Grice then
goes on to discuss a slightly more complex, or oblique, scenario involving this
second internal reading, which is the one that interests us, as it involves an
intentio seconda.Grice notes: But suppose that Jack wants a specific individual, Jill,
to marry him, and this because Jack has been deceived into thinking that his
friend Joe has a highly delectable sister called Jill, though in fact Joe is an
only child. The Jill Jack eventually goes up the hill with is, coincidentally, another Jill,
possibly existent. Let us recall that Grices main focus of the whole essay is,
as the title goes, emptiness! In these circumstances, one is inclined to say
that (i) is true only on reading (vii), where the existential
quantifier occurs within the scope of the psychological-state or
-attitude verb, but we cannot now represent (ii) or (iii), with Jill
being vacuous, by (vi), where the existential quantifier (Ǝx)
occurs outside the scope of the psychological-attitude verb, want,
since [well,] Jill does not really exist, except as a figment of Jacks
imagination. In a manoeuver that I interpret as purely intentionalist, and thus
favouring by far Suppess over Chomskys characterisation of Grice as a mere
behaviourist, Grice hopes that we should be provided with distinct representations
for two familiar readings of, now: Jack wants Jill to marry him and
Jack wants Jill to marry him. It is at this point that Grice applies a
syntactic scope notation involving sub-scripted numerals, (ix) and (x),
where the numeric values merely indicate the order of introduction of the
symbol to which it is attached in a deductive schema for the predicate calculus
in question. Only the first formulation represents the internal reading (where
ji stands for Jill): W2ja4F1ji3ja4 and
W3ja4F2ji1ja4. Note
that in the second formulation, the individual constant for Jill, ji, is
introduced prior to want, – jis sub-script is 1, while Ws sub-script is the
higher numerical value 3. Grice notes: Given that Jill does not exist, only the
internal reading can be true, or alethically satisfactory. Grice sums up
his reflections on the representation of the opaqueness of a verb standing for
a psychological state or attitude like that expressed by wanting with one
observation that further marks him as an intentionalist, almost of a Meinongian
type. He is willing to allow for existential phrases in cases of vacuous
designata, provided they occur within opaque psychological-state or attitude
verbs, and he thinks that by doing this, he is being faithful to the richness
and exuberance of ordinary discourse, while keeping Quine happy. As Grice
puts it, we should also have available to us also three neutral, yet distinct,
(Ǝx)-quantificational forms (together with their isomorphs), as a philosopher
who thinks that Wittgenstein denies a distinction, craves for a generality!
Jill now becomes x. W4ja5Ǝx3F1x2ja5, Ǝx5W2ja5F1x4ja3, Ǝx5W3ja4F1x2ja4. As Grice
notes, since in (xii) the individual variable x (ranging over Jill) does not
dominate the segment following the (Ǝx) quantifier, the formulation does not
display any existential or de re, force, and is suitable therefore for
representing the internal readings (ii) or (iii), if we have to allow, as we do
have, if we want to faithfully represent ordinary discourse, for the
possibility of expressing the fact that a particular person, Jill, does not
actually exist.
stupid. Grice loved Plato. They are considering
‘horseness.’ “I cannot see horeseness; I can see horses.” “You are the epitome
of stupidity.” “I cannot see stupidity. I see stupid.”
società
filosofia italiana
sub-gestum -- suggestio falsi – suggest. To suggest is
like to ‘insinuate,’ only different. The root involves a favourite with Grice,
‘a gesture.’ That gesture is very suggesture. Grice explores hint versus
suggest in Retrospective epilogue. Also cited by Strawson and Wiggins. The
emissor’s implication is exactly this suggestio, for which suggestum. To suggest, advise, prompt, offer, bring to mind: “quoties aequitas restitutionem suggerit,” Dig. 4, 6, 26 fin.; cf.:
“quae (res) suggerit, ut Italicarum rerum esse credantur eae res,” reminds, admonishes, ib. 28, 5, 35 fin.: “quaedam de republicā,” Aur. Vict. Vir. Ill. 66, 2. — Absol.: “suggerente conjuge,” at the instigation of, Aur. Vict. Epit. 41, 11; cf.: “suggerente irā,” id. ib. 12, 10 suggestio falsi. Pl. suggestiones
falsi. [mod.L., = suggestion of what is false.] A misrepresentation
of the truth whereby something incorrect is implied to be true; an indirect
lie. Often in contexts with suppressio veri. QUOTES: 1815 H.
Maddock Princ. & Pract. Chancery I. 208 Whenever Suppressio veri or
Suggestio falsi occur..they afford a sufficient ground for setting aside any
Release or Conveyance. 1855 Newspaper & Gen. Reader's Pocket
Compan. i.4 He was bound to say that the suppressio veri on that occasion
approached very nearly to a positive suggestio falsi. 1898 Kipling
Stalky & Co. (1899) 36 It seems..that they had held back material
facts; that they were guilty both of suppressio veri and suggestio falsi.
1907 W. de Morgan Alice-for-Short xxxvi. 389 That's suppressio veri
and suggestio falsi! Besides, it's fibs! 1962 J. Wilson Public
Schools & Private Practice i. 19 It is rare to find a positively
verifiable untruth in a school brochure: but it is equally rare not to find a
great many suggestiones falsi, particularly as regards the material comfort and
facilities available. 1980 D. Newsome On Edge of Paradise 7
There are undoubted cases of suppressio veri; on the other hand, he appears to
eschew suggestio falsi. --- Fibs indeed. Suppress, suggest.
Write: "Griceland, Inc." "Yes, I agree to
become a Doctor in Gricean Studies" EXAM QUESTION: 1.
Discuss suggestio falsi in terms of detachability. 2. Compare suppresio
veri and suggestion falsi in connection with "The king of France is
bald" uttered during Napoleon's time. 3. Invent things for
'suppressio falsi' and 'suggestio veri'. 4. No. You cannot go to the
bathroom. -- sub-gestum -- suggestum:
not necesarilyy ‘falsi.’ The verb is ‘to suggest that…’ which is diaphanous.
Note that the ‘su-‘ stands for ‘sub-‘ which conveys the implicitness or
covertness of the impicatum. Indirectness. It’s ‘under,’ not ‘above’ board.’ To
suggest, advise, prompt, offer, bring to mind: “quoties aequitas restitutionem
suggerit,” Dig. 4, 6, 26 fin.; cf.: “quae (res) suggerit, ut Italicarum rerum
esse credantur eae res,” reminds, admonishes, ib. 28, 5, 35 fin.: “quaedam de republicā,”
Aur. Vict. Vir. Ill. 66, 2. — Absol.: “suggerente conjuge,” at the instigation
of, Aur. Vict. Epit. 41, 11; cf.: “suggerente irā,” id. ib. 12, 10.— The implicaturum
is a suggestum – ALWAYS cancellable. Or not? Sometimes not, if ‘reasonable,’ but
not ‘rational.’ Jill suggests that Jack is brave when she says, “He is an
Englishman, he is; therefore, brave.” The tommy suggests that her povery
contrasts with her honesty (“’Tis the same the whole world over.”) So the
‘suggestum’ is like the implicaturum. A particular suggesta are ‘conversational
suggestum.’ For Grice this is philosophically important, because many
philosophical adages cover ‘suggesta’ which are not part of the philosopher’s
import! Vide Holdcroft, “Some forms of indirect communication.”
substantia – hypostasis, the
process of regarding a concept or abstraction as an independent or real entity.
The verb forms ‘hypostatize’ and ‘reify’ designate the acts of positing objects
of a certain sort for the purposes of one’s theory. It is sometimes implied
that a fallacy is involved in so describing these processes or acts, as in
‘Plato was guilty of the reification of universals’. The issue turns largely on
criteria of ontological commitment. The exact Greek transliteration is “hypostasis” Arianism,
diverse but related teachings in early Christianity that subordinated the Son
to God the Father. In reaction the church developed its doctrine of the
Trinity, whereby the Son and Holy Spirit, though distinct persons hypostases,
share with the Father, as his ontological equals, the one being or substance
ousia of God. Arius taught in Alexandria, where, on the hierarchical model of
Middle Platonism, he sharply distinguished Scripture’s transcendent God from
the Logos or Son incarnate in Jesus. The latter, subject to suffering and
humanly obedient to God, is inferior to the immutable Creator, the object of
that obedience. God alone is eternal and ungenerated; the Son, divine not by
nature but by God’s choosing, is generated, with a beginning: the unique
creature, through whom all else is made. The Council of Nicea, in 325,
condemned Arius and favored his enemy Athanasius, affirming the Son’s
creatorhood and full deity, having the same being or substance homoousios as
the Father. Arianism still flourished, evolving into the extreme view that the
Son’s being was neither the same as the Father’s nor like it homoiousios, but
unlike it anomoios. This too was anathematized, by the Council of 381 at
Constantinople, which, ratifying what is commonly called the Nicene Creed,
sealed orthodox Trinitarianism and the equality of the three persons against
Arian subordinationism.
Sub-positum
-- suppositum
– Cicero for ‘hypothesis’, as in ‘hypothetico-deductive’ – a
hypothetico-deductive method, a method of testing hypotheses. Thought to be
preferable to the method of enumerative induction, whose limitations had been
decisively demonstrated by Hume, the hypothetico-deductive (H-D) method has
been viewed by many as the ideal scientific method. It is applied by introducing
an explanatory hypothesis resulting from earlier inductions, a guess, or an act
of creative imagination. The hypothesis is logically conjoined with a statement
of initial conditions. The purely deductive consequences of this conjunction
are derived as predictions, and the statements asserting them are subjected to
experimental or observational test. More formally, given (H • A) P O, H is the
hypothesis, A a statement of initial conditions, and O one of the testable
consequences of (H • A). If the hypothesis is ‘all lead is malleable’, and
‘this piece of lead is now being hammered’ states the initial conditions, it
follows deductively that ‘this piece of lead will change shape’. In deductive
logic the schema is formally invalid, committing the logical fallacy of
affirming the consequent. But repeated occurrences of O can be said to confirm
the conjunction of H and A, or to render it more probable. On the other hand,
the schema is deductively valid (the argument form modus tollens). For this
reason, Karl Popper and his followers think that the H-D method is best
employed in seeking falsifications of theoretical hypotheses. Criticisms of the
method point out that infinitely many hypotheses can explain, in the H-D mode,
a given body of data, so that successful predictions are not probative, and
that (following Duhem) it is impossible to test isolated singular hypotheses
because they are always contained in complex theories any one of whose parts is
eliminable in the face of negative evidence.
sub-pressum
-- suppresum veri: This is a bit like
an act of omission – about which Urmson once asked, “Is that ‘to do,’ Grice?” –
Strictly, it is implicatural. “Smith has a beautiful handwriting.” Grice’s
abductum: “He must be suppressing some ‘veri,’ but surely the ‘suggestio falsi’
is cancellable. On the other hand, my abent-minded uncle, who ‘suppresses,’ is
not ‘implicating.’ The ‘suppressio’ has to be ‘intentional,’ as an ‘omission’
is. Since for the Romans, the ‘verum’ applied to a unity (alethic/practical)
this was good. No multiplication, but unity – cf. untranslatable (think) –
modality ‘the ‘must’, neutral – desideratum-doxa – think – Yes, when
Untranslatable discuss ‘vero’ they do say it applies to ‘factual’ and
sincerity, I think. At Collections, the expectation is that Grice gives a
report on the philosopher’s ability – not on
his handwriting. It is different when Grice applied to St. John’s. “He
doesn’t return library books.” G. Richardson. Why did he use this on two
occasions? In “Prolegomena,” he uses it for his desideratum of conversational
fortitude (“make a strong conversational move”). To suppress. suggestio falsi.
Pl. suggestiones falsi. [mod.L., = suggestion of what is false.] A
misrepresentation of the truth whereby something incorrect is implied to be
true; an indirect lie. Often in contexts with suppressio veri.
QUOTES: 1815 H. Maddock Princ. & Pract. Chancery I. 208
Whenever Suppressio veri or Suggestio falsi occur..they afford a sufficient
ground for setting aside any Release or Conveyance. 1855 Newspaper
& Gen. Reader's Pocket Compan. i.4 He was bound to say that the
suppressio veri on that occasion approached very nearly to a positive suggestio
falsi. 1898 Kipling Stalky & Co. (1899) 36 It seems..that
they had held back material facts; that they were guilty both of suppressio
veri and suggestio falsi. 1907 W. de Morgan Alice-for-Short xxxvi.
389 That's suppressio veri and suggestio falsi! Besides, it's
fibs! 1962 J. Wilson Public Schools & Private Practice i.
19 It is rare to find a positively verifiable untruth in a school
brochure: but it is equally rare not to find a great many suggestiones falsi,
particularly as regards the material comfort and facilities available.
1980 D. Newsome On Edge of Paradise 7 There are undoubted cases of
suppressio veri; on the other hand, he appears to eschew suggestio falsi.
--- Fibs indeed. Suppress, suggest. Write: "Griceland,
Inc." "Yes, I agree to become a Doctor in Gricean
Studies" EXAM QUESTION: 1. Discuss suggestio falsi in
terms of detachability. 2. Compare suppresio veri and suggestion falsi in
connection with "The king of France is bald" uttered during
Napoleon's time. 3. Invent things for 'suppressio falsi' and 'suggestio
veri'. 4. No. You cannot go to the bathroom.
super-knowing. In WoW. A notion Grice detested. Grice,
“I detest superknowing.” “For that reason, I propose a closure clause – for a
communicatum to count as one, there should not be any sneaky intention.” The
use of ‘super’ is Plotinian. If God is super-good, he is not good. If someobody
superknows, he doesn’t know. This is an implicaturum. Surely it is cancellable:
“God is supergood; therefore, He is good.” “Smith superknows that p; therefore,
Smith, as per a semantic entailment, knows that p.” Grice: “The implicature
arise out of the postulate of conversational fortitude: why stop at knowing if
you can claim that Smith superknows? Why say that God is love, when He is
super-love?”
Si –
Grice: “If Quine likes ‘vel’ to represent ‘or,’ I shall use ‘si’ to represent
‘if.’ -- “if”
– (Italian: “si”, Roman, “si”). Unlike Austin, Grice never was stuck with an
English expression. Part of his rationalism is that for an expression E, if E
is to be implicaturum, i.e. the vehicle of an ‘implicatum,’ there must be an
expression E2 that does the trick. Implicatura are non-detachable. You cannot
detach it from one expression and using another. Grice: “Whitehead lists ‘and,’
‘or,’ and ‘if,’ but had he known some classical languages, he would have noted,
as J. C. Wilson does, that ‘if’ is totally subordinating, and thus totally
non-commutative!” -- German “ob,” Latin, “si,” Grecian, “ei” -- conditional, a
compound sentence, such as ‘if Abe calls, then Ben answers,’ in which one
sentence, the antecedent, is connected to a second, the consequent, by the
connective ‘if . . . then’. Propositions statements, etc. expressed by
conditionals are called conditional propositions statements, etc. and, by
ellipsis, simply conditionals. The ambiguity of the expression ‘if . . . then’
gives rise to a semantic classification of conditionals into material
conditionals, causal conditionals, counterfactual conditionals, and so on. In
traditional logic, conditionals are called hypotheticals, and in some areas of
mathematical logic conditionals are called implications. Faithful analysis of
the meanings of conditionals continues to be investigated and intensely
disputed. conditional proof. 1 The
argument form ‘B follows from A; therefore, if A then B’ and arguments of this
form. 2 The rule of inference that permits one to infer a conditional given a
derivation of its consequent from its antecedent. This is also known as the
rule of conditional proof or /- introduction. conditioning, a form of
associative learning that occurs when changes in thought or behavior are
produced by temporal relations among events. It is common to distinguish
between two types of conditioning; one, classical or Pavlovian, in which
behavior change results from events that occur before behavior; the other,
operant or instrumental, in which behavior change occurs because of events
after behavior. Roughly, classically and operantly conditioned behavior
correspond to the everyday, folk-psychological distinction between involuntary
and voluntary or goaldirected behavior. In classical conditioning, stimuli or
events elicit a response e.g., salivation; neutral stimuli e.g., a dinner bell
gain control over behavior when paired with stimuli that already elicit
behavior e.g., the appearance of dinner. The behavior is involuntary. In
operant conditioning, stimuli or events reinforce behavior after behavior
occurs; neutral stimuli gain power to reinforce by being paired with actual
reinforcers. Here, occasions in which behavior is reinforced serve as
discriminative stimuli-evoking behavior. Operant behavior is goal-directed, if
not consciously or deliberately, then through the bond between behavior and
reinforcement. Thus, the arrangement of condiments at dinner may serve as the
discriminative stimulus evoking the request “Please pass the salt,” whereas
saying “Thank you” may reinforce the behavior of passing the salt. It is not
easy to integrate conditioning phenomena into a unified theory of conditioning.
Some theorists contend that operant conditioning is really classical
conditioning veiled by subtle temporal relations among events. Other theorists
contend that operant conditioning requires mental representations of
reinforcers and discriminative stimuli. B. F. Skinner 4 90 argued in Walden Two
8 that astute, benevolent behavioral engineers can and should use conditioning
to create a social utopia. conditio sine
qua non Latin, ‘a condition without which not’, a necessary condition;
something without which something else could not be or could not occur. For example,
being a plane figure is a conditio sine qua non for being a triangle. Sometimes
the phrase is used emphatically as a synonym for an unconditioned
presupposition, be it for an action to start or an argument to get going. I.Bo.
Condorcet, Marquis de, title of Marie-JeanAntoine-Nicolas de Caritat
174394, philosopher and political
theorist who contributed to the Encyclopedia and pioneered the mathematical
analysis of social institutions. Although prominent in the Revolutionary
government, he was denounced for his political views and died in prison.
Condorcet discovered the voting paradox, which shows that majoritarian voting
can produce cyclical group preferences. Suppose, for instance, that voters A,
B, and C rank proposals x, y, and z as follows: A: xyz, B: yzx, and C: zxy.
Then in majoritarian voting x beats y and y beats z, but z in turn beats x. So
the resulting group preferences are cyclical. The discovery of this problem
helped initiate social choice theory, which evaluates voting systems. Condorcet
argued that any satisfactory voting system must guarantee selection of a
proposal that beats all rivals in majoritarian competition. Such a proposal is
called a Condorcet winner. His jury theorem says that if voters register their
opinions about some matter, such as whether a defendant is guilty, and the
probabilities that individual voters are right are greater than ½, equal, and
independent, then the majority vote is more likely to be correct than any
individual’s or minority’s vote. Condorcet’s main works are Essai sur
l’application de l’analyse à la probabilité des décisions rendues à la
pluralité des voix Essay on the Application of Analysis to the Probability of
Decisions Reached by a Majority of Votes, 1785; and a posthumous treatise on
social issues, Esquisse d’un tableau historique des progrès de l’esprit humain
Sketch for a Historical Picture of the Progress of the Human Mind, 1795. “if” corresponding conditional of a given
argument, any conditional whose antecedent is a logical conjunction of all of
the premises of the argument and whose consequent is the conclusion. The two
conditionals, ‘if Abe is Ben and Ben is wise, then Abe is wise’ and ‘if Ben is
wise and Abe is Ben, then Abe is wise’, are the two corresponding conditionals
of the argument whose premises are ‘Abe is Ben’ and ‘Ben is wise’ and whose
conclusion is ‘Abe is wise’. For a one-premise argument, the corresponding
conditional is the conditional whose antecedent is the premise and whose
consequent is the conclusion. The limiting cases of the empty and infinite
premise sets are treated in different ways by different logicians; one simple
treatment considers such arguments as lacking corresponding conditionals. The
principle of corresponding conditionals is that in order for an argument to be
valid it is necessary and sufficient for all its corresponding conditionals to
be tautological. The commonly used expression ‘the corresponding conditional of
an argument’ is also used when two further stipulations are in force: first,
that an argument is construed as having an ordered sequence of premises rather
than an unordered set of premises; second, that conjunction is construed as a
polyadic operation that produces in a unique way a single premise from a
sequence of premises rather than as a dyadic operation that combines premises two
by two. Under these stipulations the principle of the corresponding conditional
is that in order for an argument to be valid it is necessary and sufficient for
its corresponding conditional to be valid. These principles are closely related
to modus ponens, to conditional proof, and to the so-called deduction
theorem. “if” counterfactuals, also
called contrary-to-fact conditionals, subjunctive conditionals that
presupcorner quotes counterfactuals pose the falsity of their antecedents, such
as ‘If Hitler had invaded England, G.y would have won’ and ‘If I were you, I’d
run’. Conditionals or hypothetical statements are compound statements of the
form ‘If p, then q’, or equivalently ‘q if p’. Component p is described as the
antecedent protasis and q as the consequent apodosis. A conditional like ‘If
Oswald did not kill Kennedy, then someone else did’ is called indicative,
because both the antecedent and consequent are in the indicative mood. One like
‘If Oswald had not killed Kennedy, then someone else would have’ is
subjunctive. Many subjunctive and all indicative conditionals are open,
presupposing nothing about the antecedent. Unlike ‘If Bob had won, he’d be
rich’, neither ‘If Bob should have won, he would be rich’ nor ‘If Bob won, he
is rich’ implies that Bob did not win. Counterfactuals presuppose, rather than
assert, the falsity of their antecedents. ‘If Reagan had been president, he
would have been famous’ seems inappropriate and out of place, but not false,
given that Reagan was president. The difference between counterfactual and open
subjunctives is less important logically than that between subjunctives and
indicatives. Whereas the indicative conditional about Kennedy is true, the
subjunctive is probably false. Replace ‘someone’ with ‘no one’ and the truth-values
reverse. The most interesting logical feature of counterfactuals is that they
are not truth-functional. A truth-functional compound is one whose truth-value
is completely determined in every possible case by the truth-values of its
components. For example, the falsity of ‘The President is a grandmother’ and
‘The President is childless’ logically entails the falsity of ‘The President is
a grandmother and childless’: all conjunctions with false conjuncts are false.
But whereas ‘If the President were a grandmother, the President would be
childless’ is false, other counterfactuals with equally false components are
true, such as ‘If the President were a grandmother, the President would be a
mother’. The truth-value of a counterfactual is determined in part by the
specific content of its components. This property is shared by indicative and
subjunctive conditionals generally, as can be seen by varying the wording of
the example. In marked contrast, the material conditional, p / q, of modern
logic, defined as meaning that either p is false or q is true, is completely
truth-functional. ‘The President is a grandmother / The President is childless’
is just as true as ‘The President is a grandmother / The President is a
mother’. While stronger than the material conditional, the counterfactual is
weaker than the strict conditional, p U q, of modern modal logic, which says
that p / q is necessarily true. ‘If the switch had been flipped, the light
would be on’ may in fact be true even though it is possible for the switch to
have been flipped without the light’s being on because the bulb could have
burned out. The fact that counterfactuals are neither strict nor material
conditionals generated the problem of counterfactual conditionals raised by
Chisholm and Goodman: What are the truth conditions of a counterfactual, and
how are they determined by its components? According to the “metalinguistic”
approach, which resembles the deductive-nomological model of explanation, a
counterfactual is true when its antecedent conjoined with laws of nature and
statements of background conditions logically entails its consequent. On this
account, ‘If the switch had been flipped the light would be on’ is true because
the statement that the switch was flipped, plus the laws of electricity and
statements describing the condition and arrangement of the circuitry, entail
that the light is on. The main problem is to specify which facts are “fixed”
for any given counterfactual and context. The background conditions cannot
include the denials of the antecedent or the consequent, even though they are
true, nor anything else that would not be true if the antecedent were.
Counteridenticals, whose antecedents assert identities, highlight the
difficulty: the background for ‘If I were you, I’d run’ must include facts
about my character and your situation, but not vice versa. Counterlegals like
‘Newton’s laws would fail if planets had rectangular orbits’, whose antecedents
deny laws of nature, show that even the set of laws cannot be all-inclusive. Another
leading approach pioneered by Robert C. Stalnaker and David K. Lewis extends
the possible worlds semantics developed for modal logic, saying that a
counterfactual is true when its consequent is true in the nearest possible
world in which the antecedent is true. The counterfactual about the switch is
true on this account provided a world in which the switch was flipped and the
light is on is closer to the actual world than one in which the switch was
flipped but the light is not on. The main problem is to specify which world is
nearest for any given counterfactual and context. The difference between
indicative and subjunctive conditionals can be accounted for in terms of either
a different set of background conditions or a different measure of nearness.
counterfactuals counterfactuals
Counterfactuals turn up in a variety of philosophical contexts. To
distinguish laws like ‘All copper conducts’ from equally true generalizations
like ‘Everything in my pocket conducts’, some have observed that while anything
would conduct if it were copper, not everything would conduct if it were in my
pocket. And to have a disposition like solubility, it does not suffice to be
either dissolving or not in water: it must in addition be true that the object
would dissolve if it were in water. It has similarly been suggested that one
event is the cause of another only if the latter would not have occurred if the
former had not; that an action is free only if the agent could or would have
done otherwise if he had wanted to; that a person is in a particular mental
state only if he would behave in certain ways given certain stimuli; and that
an action is right only if a completely rational and fully informed agent would
choose it. “If the cat is on the mat, she is purring.” INDICATIVE PLUS
INDICATIVE – “Subjective ‘if’ is a different animal as Julius Caesar well
knew!” -- Refs: “If and Macaulay.”
iff: Grice: “a silly
abbreviation for ‘if and only if’” -- that is used as if it were a single
propositional operator (connective). Another synonym for ‘iff’ is ‘just in
case’. The justification for treating ‘iff’ as if it were a single
propositional connective is that ‘P if and only if Q’ is elliptical for ‘P if
Q, and P only if Q’, and this assertion is logically equivalent to ‘P biconditional
Q’.
sublime: sub-lime, neuter. sublīmie (collat.
form sublīmus , a, um: ex sublimo vertice, Cic. poët. Tusc. 2, 7, 19; Enn. ap.
Non. 169; Att. and Sall. ib. 489, 8 sq.; Lucr. 1, 340), adj. etym. dub.; perh.
sub-limen, up to the lintel; cf. sublimen (sublimem est in altitudinem elatum,
Fest. p. 306 Müll.), I.uplifted, high, lofty, exalted, elevated (mostly poet.
and in postAug. prose; not in Cic. or Cæs.; syn.: editus, arduus, celsus,
altus). I. Lit. A. In gen., high, lofty: “hic vertex nobis semper sublimis,”
Verg. G. 1, 242; cf. Hor. C. 1, 1, 36: “montis cacumen,” Ov. M. 1, 666:
“tectum,” id. ib. 14, 752: “columna,” id. ib. 2, 1: “atrium,” Hor. C. 3, 1, 46:
“arcus (Iridis),” Plin. 2, 59, 60, § 151: “portae,” Verg. A. 12, 133: “nemus,”
Luc. 3, 86 et saep.: os, directed upwards (opp. to pronus), Ov. M. 1, 85; cf.
id. ib. 15, 673; Hor. A. P. 457: “flagellum,” uplifted, id. C. 3, 26, 11:
“armenta,” Col. 3, 8: “currus,” Liv. 28, 9.—Comp.: “quanto sublimior Atlas
Omnibus in Libyā sit montibus,” Juv. 11, 24.—Sup.: “triumphans in illo
sublimissimo curru,” Tert. Apol. 33.— B. Esp., borne aloft, uplifted, elevated,
raised: “rapite sublimem foras,” Plaut. Mil. 5, 1: “sublimem aliquem rapere
(arripere, auferre, ferre),” id. As. 5, 2, 18; id. Men. 5, 7, 3; 5, 7, 6; 5, 7,
13; 5, 8, 3; Ter. And. 5, 2, 20; id. Ad. 3, 2, 18; Verg. A. 5, 255; 11, 722 (in
all these passages others read sublimen, q. v.); Ov. M 4, 363 al.: “campi armis
sublimibus ardent,” borne aloft, lofty, Verg. A. 11, 602: sublimes in equis
redeunt, id. ib. 7, 285: “apparet liquido sublimis in aëre Nisus,” id. G. 1,
404; cf.: “ipsa (Venus) Paphum sublimis abit,” on high through the air, id. A.
1, 415: “sublimis abit,” Liv. 1, 16; 1, 34: “vehitur,” Ov. M. 5, 648 al.— C. On
high, lofty, in a high position: “tenuem texens sublimis aranea telum,” Cat.
68, 49: “juvenem sublimem stramine ponunt,” Verg. A. 11, 67: “sedens solio
sublimis avito,” Ov. M. 6, 650: “Tyrio jaceat sublimis in ostro,” id. H. 12,
179.— D. Subst.: sublīme , is, n., height; sometimes to be rendered the air:
“piro per lusum in sublime jactato,” Suet. Claud. 27; so, in sublime, Auct. B.
Afr. 84, 1; Plin. 10, 38, 54, § 112; 31, 6, 31, § 57: “per sublime volantes
grues,” id. 18, 35, 87, § 362: “in sublimi posita facies Dianae,” id. 36, 5, 4,
§ 13: “ex sublimi devoluti,” id. 27, 12, 105, § 129.—Plur.: “antiquique memor
metuit sublimia casus,” Ov. M. 8, 259: “per maria ac terras sublimaque caeli,”
Lucr. 1, 340.— II. Trop., lofty, exalted, eminent, distinguished. A. In gen.:
“antiqui reges ac sublimes viri,” Varr. R. R. 2, 4, 9; cf. Luc. 10, 378:
“mens,” Ov. P. 3, 3, 103: “pectora,” id. F. 1, 301: “nomen,” id. Tr. 4, 10,
121: “sublimis, cupidusque et amata relinquere pernix,” aspiring, Hor. A. P.
165; cf.: “nil parvum sapias et adhuc sublimia cures,” id. Ep. 1, 12,
15.—Comp.: “quā claritate nihil in rebus humanis sublimius duco,” Plin. 22, 5,
5, § 10; Juv. 8, 232.—Sup.: “sancimus supponi duos sublimissimos judices,” Cod.
Just. 7, 62, 39.— B. In partic., of language, lofty, elevated, sublime (freq.
in Quint.): “sublimia carmina,” Juv. 7, 28: “verbum,” Quint. 8, 3, 18: “clara
et sublimia verba,” id. ib.: “oratio,” id. 8, 3, 74: “genus dicendi,” id. 11,
1, 3: “actio (opp. causae summissae),” id. 11, 3, 153: “si quis sublimia
humilibus misceat,” id. 8, 3, 60 et saep.—Transf., of orators, poets, etc.:
“natura sublimis et acer,” Hor. Ep. 2, 1, 165: “sublimis et gravis et
grandiloquus (Aeschylus),” Quint. 10, 1, 66: “Trachalus plerumque sublimis,”
id. 10, 1, 119.—Comp.: “sublimior gravitas Sophoclis,” Quint. 10, 1, 68:
“sublimius aliquid,” id. 8, 3, 14: “jam sublimius illud pro Archiā, Saxa atque
solitudines voci respondent,” id. 8, 3, 75.—Hence, advv. 1. Lit., aloft,
loftily, on high. (α). Form sub-līmĭter (rare ): “stare,” upright, Cato, R. R.
70, 2; so id. ib. 71: “volitare,” Col. 8, 11, 1: “munitur locus,” id. 8, 15,
1.— (β). Form sub-līme (class. ): “Theodori nihil interest, humine an sublime
putescat,” Cic. Tusc. 1, 43, 102; cf.: “scuta, quae fuerant sublime fixa, sunt
humi inventa,” id. Div. 2, 31, 67: “volare,” Lucr. 2, 206; 6, 97: “ferri,” Cic.
Tusc. 1, 17, 40; id. N. D. 2, 39, 101; 2, 56, 141 Orell. N. cr.: “elati,” Liv.
21, 30: “expulsa,” Verg. G. 1, 320 et saep.— b. Comp.: “sublimius altum
Attollit caput,” Ov. Hal. 69.— 2. Trop., of speech, in a lofty manner, loftily
(very rare): “alia sublimius, alia gravius esse dicenda,” Quint. 9, 4, 130.
Grice’s favoured translation of Grecian ‘hypsos’ -- a feeling brought about by
objects that are infinitely large or vast such as the heavens or the ocean or
overwhelmingly powerful such as a raging torrent, huge mountains, or
precipices. The former in Kant’s terminology is the mathematically sublime and
the latter the dynamically sublime. Though the experience of the sublime is to
an important extent unpleasant, it is also accompanied by a certain pleasure:
we enjoy the feeling of being overwhelmed. On Kant’s view, this pleasure
results from an awareness that we have powers of reason that are not dependent
on sensation, but that legislate over sense. The sublime thus displays both the
limitations of sense experience and hence our feeling of displeasure and the
power of our own mind and hence the feeling of pleasure. The sublime was an
especially important concept in the aesthetic theory of the eighteenth and
nineteenth centuries. Reflection on it was stimulated by the appearance of a
translation of Longinus’s Peri hypsous On the Sublime in 1674. The “postmodern
sublime” has in addition emerged in late twentieth century thought as a basis
for raising questions about art. Whereas beauty is associated with that whose
form can be apprehended, the sublime is associated with the formless, that
which is “unpresentable” in sensation. Thus, it is connected with critiques of
“the aesthetic” understood as that which
is sensuously present as a way of
understanding what is important about art. It has also been given a political
reading, where the sublime connects with resistance to rule, and beauty
connects with conservative acceptance of existing forms or structures of
society.
subsidiarium: sub-sidiarium -- subsidiarity, a basic principle of
social order and the common good governing the relations between the higher and
lower associations in a political community. Positively, the principle of
subsidiarity holds that the common good, i.e., the ensemble of social resources
and institutions that facilitate human self-realization, depends on fostering
the free, creative initiatives of individuals and of their voluntary
associations; thus, the state, in addition to its direct role in maintaining
public good which comprises justice, public peace, and public morality also has
an indirect role in promoting other aspects of the common good by rendering
assistance subsidium to those individuals and associations whose activities
facilitate cooperative human self-realization in work, play, the arts,
sciences, and religion. Negatively, the principle of subsidiarity holds that
higher-level i.e., more comprehensive associations while they must monitor, regulate, and
coordinate ought not to absorb, replace,
or undermine the free initiatives and activities of lower-level associations
and individuals insofar as these are not contrary to the common good. This
presumption favoring free individual and social initiative has been defended on
various grounds, such as the inefficiency of burdening the state with myriad
local concerns, as well as the corresponding efficiency of unleashing the free,
creative potential of subordinate groups and individuals who build up the
shared economic, scientific, and artistic resources of society. But the deeper
ground for this presumption is the view subjunctive conditional subsidiarity
886 886 that human flourishing depends
crucially on freedom for individual self-direction and for the self-government
of voluntary associations and that human beings flourish best through their own
personal and cooperative initiatives rather than as the passive consumers or
beneficiaries of the initiatives of others.
subsistum: sub-sistum -- subsistence translation of G. Bestand,
in current philosophy, especially Meinong’s system, the kind of being that
belongs to “ideal” objects such as mathematical objects, states of affairs, and
abstractions like similarity and difference. By contrast, the kind of being
that belongs to “real” wirklich objects, things of the sorts investigated by
the sciences other than psychology and pure mathematics, is called existence
Existenz. Existence and subsistence together exhaust the realm of being Sein.
So, e.g., the subsistent ideal figures whose properties are investigated by
geometers do not exist they are nowhere
to be found in the real world but it is
no less true of them that they have being than it is of an existent physical
object: there are such figures. Being does not, however, exhaust the realm of
objects or things. The psychological phenomenon of intentionality shows that
there are in some sense of ‘there are’ objects that neither exist nor subsist.
Every intentional state is directed toward an object. Although one may covet
the Hope Diamond or desire the unification of Europe, one may also covet a
non-existent material object or desire a non-subsistent state of affairs. If
one covets a non-existent diamond, there is in some sense of ‘there is’
something that one covets one’s state of
mind has an object and it has certain
properties: it is, e.g., a diamond. It may therefore be said to inhabit the
realm of Sosein ‘being thus’ or ‘predication’ or ‘having properties’, which is
the category comprising the totality of objects. Objects that do not have any
sort of being, either existence or subsistence, belong to non-being Nichtsein.
In general, the properties of an object do not determine whether it has being
or non-being. But there are special cases: the round square, by its very
nature, cannot subsist. Meinong thus maintains that objecthood is ausserseiend,
i.e., independent of both existence and subsistence.
substratum: sub-statum: hypoeinai, hypostasis, hypokemeinon -- substantia
– Grice: “The Romans never felt the need for the word ‘substantia’ but trust
Cicero to force them to use it!” -- Grice lectured on this with J. L. Austin
and P. F. Strawson. hypousia -- as defined by Aristotle in the Categories, that
which is neither predicable “sayable” of anything nor present in anything as an
aspect or property of it. The examples he gives are an individual man and an
individual horse. We can predicate being a horse of something but not a horse;
nor is a horse in something else. He also held that only substances can remain
self-identical through change. All other things are accidents of substances and
exist only as aspects, properties, or relations of substances, or kinds of
substances, which Aristotle called secondary substances. An example of an
accident would be the color of an individual man, and an example of a secondary
substance would be his being a man. For Locke, a substance is that part of an
individual thing in which its properties inhere. Since we can observe, indeed
know, only a thing’s properties, its substance is unknowable. Locke’s sense is
obviously rooted in Aristotle’s but the latter carries no skeptical
implications. In fact, Locke’s sense is closer in meaning to what Aristotle
calls matter, and would be better regarded as a synonym of ‘substratum’, as
indeed it is by Locke. Substance may also be conceived as that which is capable
of existing independently of anything else. This sense is also rooted in
Aristotle’s, but, understood quite strictly, leads to Spinoza’s view that there
can be only one substance, namely, the totality of reality or God. A fourth
sense of ‘substance’ is the common, ordinary sense, ‘what a thing is made of’.
This sense is related to Locke’s, but lacks the latter’s skeptical
implications. It also corresponds to what Aristotle meant by matter, at least
proximate matter, e.g., the bronze of a bronze statue Aristotle analyzes
individual things as composites of matter and form. This notion of matter, or
stuff, has great philosophical importance, because it expresses an idea crucial
to both our ordinary and our scientific understandings of the world. Philosophers
such as Hume who deny the existence of substances hold that individual things
are mere bundles of properties, namely, the properties ordinarily attributed to
them, and usually hold that they are incapable of change; they are series of
momentary events, rather than things enduring through time.
substantialism, the view that the primary, most
fundamental entities are substances, everything else being dependent for its
existence on them, either as a property of them or a relation between them.
Different versions of the view would correspond to the different senses of the
word ‘substance’.
salva-veritate/salva-congruitate distinction, the The phrase occurs in two fragments from Gottfried Leibniz's
General Science. Characteristics: In Chapter 19, Definition 1, Leibniz
writes: "Two terms are the same (eadem) if one can be substituted for the
other without altering the truth of any statement (salva veritate)." In
Chapter 20, Definition 1, Leibniz writes: "Terms which can be substituted
for one another wherever we please without altering the truth of any statement
(salva veritate), are the same (eadem) or coincident (coincidentia). For
example, 'triangle' and 'trilateral', for in every proposition demonstrated by
Euclid concerning 'triangle', 'trilateral' can be substituted without loss of
truth (salva veritate)." ubstitutivity salva veritate: Grice: “The
phrase ‘salva veritate’ has been used at Oxford for years, Kneale tells me!” --
a condition met by two expressions when one is substitutable for the other at a
certain occurrence in a sentence and the truth-value truth or falsity of the
sentence is necessarily unchanged when the substitution is made. In such a case
the two expressions are said to exhibit substitutivity or substitutability
salva veritate literally, ‘with truth saved’ with respect to one another in
that context. The expressions are also said to be interchangeable or
intersubstitutable salva veritate in that context. Where it is obvious from a
given discussion that it is the truth-value that is to be preserved, it may be
said that the one expression is substitutable for the other or exhibits
substitutability with respect to the other at that place. Leibniz proposed to
use the universal interchangeability salva veritate of two terms in every “proposition”
in which they occur as a necessary and sufficient condition for identity presumably for the identity of the things
denoted by the terms. There are apparent exceptions to this criterion, as
Leibniz himself noted. If a sentence occurs in a context governed by a
psychological verb such as ‘believe’ or ‘desire’, by an expression conveying
modality e.g., ‘necessarily’, ‘possibly’, or by certain temporal expressions
such as ‘it will soon be the case that’, then two terms may denote the same
thing but not be interchangeable within such a sentence. Occurrences of
expressions within quotation marks or where the expressions are both mentioned
and used cf. Quine’s example, “Giorgione was so-called because of his size”
also exhibit failure of substitutivity. Frege urged that such failures are to
be explained by the fact that within such contexts an expression does not have
its ordinary denotation but denotes instead either its usual sense or the
expression itself. Salva congruitate From Wikipedia, the free encyclopedia Jump
to navigationJump to search Salva congruitate[1] is a Latin scholastic term in
logic, which means "without becoming ill-formed",[2] salva meaning
rescue, salvation, welfare and congruitate meaning combine, coincide, agree.
Salva Congruitate is used in logic to mean that two terms may be substituted
for each other while preserving grammaticality in all contexts.[3][4] Contents 1 Remarks on salva congruitate 1.1
Timothy C. Potts 1.2 Bob Hale 2See also 3References Remarks on salva congruitate
Timothy C. Potts Timothy C. Potts describes salva congruitate as a form of
replacement in the context of meaning. It is a replacement which preserves
semantic coherence and should be distinguished from a replacement which
preserves syntactic coherence but may yield an expression to which no meaning
has been given. This means that supposing an original expression is meaningful,
the new expression obtained by the replacement will also be meaningful, though
it will not necessarily have the same meaning as the original one, nor, if the
expression in question happens to be a proposition, will the replacement
necessarily preserve the truth value of the original.[5] Bob Hale Bob Hale explains salva congruitate,
as applied to singular terms, as substantival expressions in natural language,
which are able to replace singular terms without destructive effect on the
grammar of a sentence.[6] Thus the singular term 'Bob' may be replaced by the
definite description 'the first man to swim the English Channel' salva congruitate.
Such replacement may shift both meaning and reference, and so, if made in the
context of a sentence, may cause a change in truth-value. Thus terms which may
be interchanged salva congruitate may not be interchangeable salva veritate
(preserving truth). More generally, expressions of any type are interchangeable
salva congruitate if and only if they can replace one another preserving
grammaticality or well-formedness. See
also Salva veritate Reference principle Referential opacity Crispin Wright Peter
Geach References W.V.O. Quine,
Philosophy of logic Dr. Benjamin
Schnieder, Canonical Property Designators, P9
W.V.O. Quine, Quiddities, P204
W.V.O. Quine, Philosophy of Logic, P18
Timothy C. Potts, Structures and categories for the representation of
meaning, p57 Bob Hale, Singular Terms,
P34 Categories: Concepts in logicPhilosophical logicPhilosophy of languageLatin
logical phrases. Refs.: H. P. Grice, “Implicaturum salva veritate,” H. P.
Grice, “What I learned from T. C. Potts.” – T. C. Potts, “My tutorials with
Grice at St. John’s.”
summum bonum: Grice: “that in relation to which all other things
have at most instrumental value value only insofar as they are productive of
what is the highest good. Philosophical conceptions of the summum bonum have
for the most part been teleological in character. That is, they have identified
the highest good in terms of some goal or goals that human beings, it is
supposed, pursue by their very nature. These natural goals or ends have
differed considerably. For the theist, this end is God; for the rationalist, it
is the rational comprehension of what is real; for hedonism, it is pleasure;
etc. The highest good, however, need not be teleologically construed. It may
simply be posited, or supposed, that it is known, through some intuitive
process, that a certain type of thing is “intrinsically good.” On such a view,
the relevant contrast is not so much between what is good as an end and what is
good as a means to this end, as between what is good purely in itself and what
is good only in combination with certain other elements the “extrinsically
good”. Perhaps the best example of such a view of the highest good would be the
position of Moore. Must the summum bonum be just one thing, or one kind of
thing? Yes, to this extent: although one could certainly combine pluralism the
view that there are many, irreducibly different goods with an assertion that
the summum bonum is “complex,” the notion of the highest good has typically
been the province of monists believers in a single good, not pluralists.
summum genus. What adjective is the ‘sumum’ translating, Grice
wondered. And he soon found out. We know that the Romans were unoriginally
enough with their ‘genus’ (cf. ‘gens’) translating Grecian ‘genos.’ The highest
category in the ‘arbor griceiana’ -- The categories. There is infimum genus, or
sub-summum. Talk of categories becomes informal in Grice when he ‘echoes’ Kant
in the mention of four ‘functions’ that generate for Kant twelve categories.
Grice however uses the functions themselves, echoing Ariskant, rather, as
‘caegory’. We have then a category of conversational quantity (involved in a
principle of maximization of conversational informativeness). We have a
category of conversational quality (or a desideratum of conversational
candour). We have a category of conversational relation (cf. Strawson’s
principle of relevance along with Strawson’s principles of the presumption of
knowledge and the presumption of ignorance). Lastly, we have a category of
conversational mode. For some reason, Grice uses ‘manner’ sometimes in lieu of
Meiklejohn’s apt translation of Kant’s modality into the shorter ‘mode.’ The
four have Aristotelian pedigree, indeed Grecian and Graeco-Roman: The quantity
is Kant’s quantitat which is Aristotle’s posotes (sic abstract) rendered in
Roman as ‘quantitas.’ Of course, Aristotle derives ‘posotes,’ from ‘poson,’ the
quantum. No quantity without quantum. The quality is Kant’s qualitat, which
again has Grecian and Graeco-Roman pediegree. It is Aristotel’s poiotes (sic in
abstract), rendered in Roman as qualitas. Again, derived from the more basic
‘poion,’ or ‘quale.’ Aristotle was unable to find a ‘-tes’ ending form for what
Kant has as ‘relation.’ ‘pros it’ is used, and first translated into Roman as
‘relatio.’ We see here that we are talking of a ‘summum genus.’ For who other
but a philosopher is going to lecture on the ‘pros it’? What Aristotle means is
that Socrates is to the right of Plato. Finally, for Grice’s mode, there is
Kant’s wrong ‘modalitat,’ since this refers to Aristotle ‘te’ and translated in
Roman as ‘modus,’ which Meiklejohn, being a better classicist than Kant,
renders as ‘mode,’ and not the pretentious sounding ‘modality.’ Now for Kant,
12 categories are involved here. Why? Because he subdivides each summum genus
into three sub-summum or ‘inferiore’ genus. This is complex. Kant would
DISAGREE with Grice’s idea that a subject can JUDGE in generic terms, say,
about the quantum. The subject has THREE scenarios. It’s best to reverse the
order, for surely unity comes before totality. One scenario, he utters a
SINGULAR or individual utterance (Grice on ‘the’). The CATEGORY is the first
category, THE UNUM or UNITAS. The one. The unity. Second scenario, he utters a
PARTICULAR utterance (Grice’s “some (at least one). Here we encounter the
SECOND category, that of PLURALITAS, the plurum, plurality. It’s a good thing
Kant forgot that the Greeks had a dual number, and that Urquhart has fourth
number, a re-dual. A third scenario: the nirvana. He utters a UNIVERSAL (totum)
utterance (Grice on “all”). The category is that of TOTUM, TOTALITAS, totality.
Kant does not deign to specify if he means substitutional or
non-substitutional. For the quale, there are again three scenarios for Kant,
and he would deny that the subject is confronted with the FUNCTION quale and be
able to formulate a judgement. The first scenario involves the subject uttering
a PROPOSITIO DEDICATIVA (Grice elaborates on this before introducing ‘not’ in
“Indicative conditionals” – “Let’s start with some unstructured amorophous
proposition.” Here the category is NOT AFFIRMATION, but the nirvana “REALITAS,”
Reality, reale.Second scenario, subject utters a PROPOSITIO ABDICATIVA (Grice
on ‘not’). While Kant does not consider affirmatio a category (why should he?),
he does consider NEGATIO a category. Negation. See abdicatum. Third scenario,
subject utters an PROPOSITIO INFINITA. Here the category is that of LIMITATION,
which is quite like NEGATIO (cf. privatio, stelesis, versus habitus or hexis), but
not quite. Possibly LIMITATUM. Regarding the ‘pros ti.’ The first scenario
involves a categorema, PROPOSITIO CATEGORICA. Here Kant seems to think that
there is ONE category called “INHERENCE AND SUBSTISTENCE or substance and
accident. There seem rather two. He will go to this ‘pair’ formulation in one
more case in the relation, and for the three under modus. If we count the
‘categorical pairs’ as being two categories. The total would not be 12
categories but 17, which is a rather ugly number for a list of categories,
unles it is not. Kant is being VERY serious here, because if he has
SUBSTISTENCE or SUBSTANCE as a category, this is SECUNDA SUBSTANTIA or
‘deutero-ousia.’ It is a no-no to count the prote ousia or PRIMA SUBSTANTIA as
a category. It is defined as THE THING which cannot be predicated of anything!
“SUMBEBEKOS” is a trick of Kant, for surely EVERYTHING BUT THE SUBSTANCE can be
seen as an ‘accidens’ (In fact, those who deny categories, reduce them to
‘attribute’, or ‘property.’ The second scenario involves an ‘if’ Grice on ‘if’
– PROPOSITIO CONDITIONALIS – hypothetike protasis -- this involves for the
first time a MOLECULAR proposition. As in the previous case, we have a
‘category pair’, which is formulated either as CAUSALITY (CAUSALITAS) and DEPENDENCE
(Dependentia), or “cause’ (CAUSA) and ‘effect’ (Effectum). Kant is having in
mind Strawson’s account of ‘if’ (The influence of P. F. Strawson on Kant). For
since this is the hypothetical, Kant is suggeseting that in ‘if p, q’ q depends
on p, or q is an effect of its cause, p. As in “If it rains, the boots are in
the closet.” (J). The third scenario also involves a molectural proposition, A
DISJUNCTUM. PROPOSITIO DISJUNCTIVA. Note that in Kant, ‘if’ before ‘or’! His
implicaturum: subordination before coordination, which makes sense. Grice on
‘or.’ FOR SOME REASON, the category here for Kant is that of COMMUNITAS
(community) or RECIPROCITAS, reciprocity. He seems to be suggesting that if you
turn to the right or to the left, you are reciprocally forbidden to keep on
going straight. For the modus, similar. Here Kant is into modality. Again, it
is best to re-order the scenarios in terms of priority. Here it’s the middle
which is basic. The first scenario, subject utters an ASSERTORIC. The category
is a pair: EXISTENCE (how is this different from REALITY) and NON-EXISTENCE
(how is this different from negation?). He has in mind: ‘the cat is in the
room,’ ‘the room is empty.’ Second scenario, the subject doubts. subject utters
a problematical. (“The pillar box may be red”). Here we have a category pair:
POSSIBILITIAS (possibility) and, yes, IMPOSSIBILITAS – IMPOSSIBILITY. This is
odd, because ‘impossibility’ goes rather with the negation of necessity. The
third and last scenario, subject utters an APODEICTIC. Here again there is a
category pair – yielding 17 as the final number --: NECESSITAS, necessity, and
guess what, CONTINGENTIA, or contingency. Surely, possibilitas and contingentia
are almost the same thing. It may be what Grice has in mind when he blames a
philosopher to state that ‘what is actual is not also possible.’ Or not. Refs.:
H. P. Grice, “Gilbert Ryle’s criticism of Ariskant’s categories,” Ryle,
“Categories.” “The nisnamed categories.” Ryle notes that when it comes to
‘relatio,’ Kant just murders Aristotle’s idea of a ‘relation’ as in higher
than, or smaller than. – “His idea of the molecular propositions has nothing to
do with Aristotle’s ‘relation’ or ‘pros ti.’”
sub-positum, suppositum – (literally, ‘sub-positum,’) -- cf.
presuppositum -- in the Middle Ages, reference. The theory of supposition, the
central notion in the theory of proprietates terminorum, was developed in the
twelfth century, and was refined and discussed into early modern times. It has
two parts their names are a modern convenience. 1 The theory of supposition
proper. This typically divided suppositio into “personal” reference to
individuals not necessarily to persons, despite the name, “simple” reference to
species or genera, and “material” reference to spoken or written expressions.
Thus ‘man’ in ‘Every man is an animal’ has personal supposition, in ‘Man is a
species’ simple supposition, and in ‘Man is a monosyllable’ material
supposition. The theory also included an account of how the range of a term’s
reference is affected by tense and by modal factors. 2 The theory of “modes” of
personal supposition. This part of supposition theory divided personal
supposition typically into “discrete” ‘Socrates’ in ‘Socrates is a man’,
“determinate” ‘man’ in ‘Some man is a Grecian’, “confused and distributive”
‘man’ in ‘Every man is an animal’, and “merely confused” ‘animal’ in ‘Every man
is an animal’. The purpose of this second part of the theory is a matter of
some dispute. By the late fourteenth century, it had in some authors become a theory
of quantification. The term ‘suppositio’ was also used in the Middle Ages in
the ordinary sense, to mean ‘assumption’, ‘hypothesis’. H. P. Grice,
“Implicaturum, implicatum, positum, subpositum;” H. P. Grice: “A
communicational analogy: explicatum/expositum:implicatum/impositum,” H. P.
Grice, “The positum: between the sub-positum and the supra-positum,” H. P.
Grice, “The implicaturum, the sous-entendu, and the sub-positum.”
survival: discussed by Grice in what he calls the ‘genoritorial
programme, where the philosopher posits himself as a creature-constructor. It’s
an expository device that allows to ask questions in the third person, “seeing
that we can thus avoid the so-called ‘first-person bias’” -- continued
existence after one’s biological death. So understood, survival can pertain
only to beings that are organisms at some time or other, not to beings that are
disembodied at all times as angels are said to be or to beings that are
embodied but never as organisms as might be said of computers. Theories that
maintain that one’s individual consciousness is absorbed into a universal
consciousness after death or that one continues to exist only through one’s
descendants, insofar as they deny one’s own continued existence as an
individual, are not theories of survival. Although survival does not entail
immortality or anything about reward or punishment in an afterlife, many
theories of survival incorporate these features. Theories about survival have
expressed differing attitudes about the importance of the body. supervenient
behaviorism survival 892 892 Some
philosophers have maintained that persons cannot survive without their own
bodies, typically espousing a doctrine of resurrection; such a view was held by
Aquinas. Others, including the Pythagoreans, have believed that one can survive
in other bodies, allowing for reincarnation into a body of the same species or
even for transmigration into a body of another species. Some, including Plato
and perhaps the Pythagoreans, have claimed that no body is necessary, and that
survival is fully achieved by one’s escaping embodiment. There is a similar
spectrum of opinion about the importance of one’s mental life. Some, such as
Locke, have supposed that survival of the same person would require memory of
one’s having experienced specific past events. Plato’s doctrine of
recollection, in contrast, supposes that one can survive without any
experiential memory; all that one typically is capable of recollecting are
impersonal necessary truths. Philosophers have tested the relative importance
of bodily versus mental factors by means of various thought experiments, of
which the following is typical. Suppose that a person’s whole mental life memories, skills, and character traits were somehow duplicated into a data bank and
erased from the person, leaving a living radical amnesiac. Suppose further that
the person’s mental life were transcribed into another radically amnesiac body.
Has the person survived, and if so, as whom?
swinburne: Grice: “Those Savoyards among us should never confuse
Swinburne, parodied in “Patience,” and the Oxonian theologian – hardly an
aesthete!” -- English philosopher of religion and of science. In philosophy of
science, he has contributed to confirmation theory and to the philosophy of
space and time. His work in philosophy of religion is the most ambitious
project in philosophical theology undertaken by a British philosopher in the
twentieth century. Its first part is a trilogy on the coherence and
justification of theistic belief and the rationality of living by that belief:
TheCoherence of Theism 7, The Existence of God 9, and Faith and Reason 1. Since
5, when Swinburne became Nolloth Professor of the Philosophy of the Christian
Religion at the of Oxford, he has
written a tetralogy about some of the most central of the distinctively
Christian religious doctrines: Responsibility and Atonement 9, Revelation 2,
The Christian God 4, and Providence and the Problem of Evil 8. The most
interesting feature of the trilogy is its contribution to natural theology.
Using Bayesian reasoning, Swinburne builds a cumulative case for theism by
arguing that its probability is raised sustaining cause Swinburne, Richard
893 893 by such things as the existence
of the universe, its order, the existence of consciousness, human opportunities
to do good, the pattern of history, evidence of miracles, and religious
experience. The existence of evil does not count against the existence of God.
On our total evidence theism is more probable than not. In the tetralogy he explicates
and defends such Christian doctrines as original sin, the Atonement, Heaven,
Hell, the Trinity, the Incarnation, and Providence. He also analyzes the
grounds for supposing that some Christian doctrines are revealed truths, and
argues for a Christian theodicy in response to the problem of evil. Refs.: H.
P. Grice, “Swinburne et moi.”
synæsthesia: cum-perceptum: co-sensibile – cum-sensibile –
co-sensatio, co-sensation -- a conscious experience in which qualities normally
associated with one sensory modality are or seem to be sensed in another.
Examples include auditory and tactile visions such as “loud sunlight” and “soft
moonlight” as well as visual bodily sensations such as “dark thoughts” and
“bright smiles.” Two features of synaesthesia are of philosophic interest.
First, the experience may be used to judge the appropriateness of sensory
metaphors and similes, such as Baudelaire’s “sweet as oboes.” The metaphor is
appropriate just when oboes sound sweet. Second, synaesthesia challenges the
manner in which common sense distinguishes among the external senses. It is
commonly acknowledged that taste, e.g., is not only unlike hearing, smell, or
any other sense, but differs from them because taste involves gustatory rather
than auditory experiences. In synaesthesia, however, one might taste sounds
sweet-sounding oboes. G.A.G. syncategoremata, 1 in grammar, words that cannot
serve by themselves as subjects or predicates of categorical propositions. The
opposite is categoremata, words that can do this. For example, ‘and’, ‘if’,
‘every’, ‘because’, ‘insofar’, and ‘under’ are syncategorematic terms, whereas
‘dog’, ‘smooth’, and ‘sings’ are categorematic ones. This usage comes from the
fifth-century Latin grammarian Priscian. It seems to have been the original way
of drawing the distinction, and to have persisted through later periods along
syllogism, demonstrative syncategoremata 896
896 with other usages described below. 2 In medieval logic from the
twelfth century on, the distinction was drawn semantically. Categoremata are
words that have a definite independent signification. Syncategoremata do not
have any independent signification or, according to some authors, not a
definite one anyway, but acquire a signification only when used in a
proposition together with categoremata. The examples used above work here as
well. 3 Medieval logic distinguished not only categorematic and
syncategorematic words, but also categorematic and syncategorematic uses of a
single word. The most important is the word ‘is’, which can be used both
categorematically to make an existence claim ‘Socrates is’ in the sense
‘Socrates exists’ or syncategorematically as a copula ‘Socrates is a
philosopher’. But other words were treated this way too. Thus ‘whole’ was said
to be used syncategorematically as a kind of quantifier in ‘The whole surface
is white’ from which it follows that each part of the surface is white, but
categorematically in ‘The whole surface is two square feet in area’ from which
it does not follow that each part of the surface is two square feet in area. 4
In medieval logic, again, syncategoremata were sometimes taken to include words
that can serve by themselves as subjects or predicates of categorical
propositions, but may interfere with standard logical inference patterns when
they do. The most notorious example is the word ‘nothing’. If nothing is better
than eternal bliss and tepid tea is better than nothing, still it does not
follow by the transitivity of ‘better than’ that tepid tea is better than
eternal bliss. Again, consider the verb ‘begins’. Everything red is colored,
but not everything that begins to be red begins to be colored it might have
been some other color earlier. Such words were classified as syncategorematic
because an analysis called an expositio of propositions containing them reveals
implicit syncategoremata in sense 1 or perhaps 2. Thus an analysis of ‘The
apple begins to be red’ would include the claim that it was not red earlier,
and ‘not’ is syncategorematic in both senses 1 and 2. 5 In modern logic, sense
2 is extended to apply to all logical symbols, not just to words in natural
languages. In this usage, categoremata are also called “proper symbols” or
“complete symbols,” while syncategoremata are called “improper symbols” or
“incomplete symbols.” In the terminology of modern formal semantics, the
meaning of categoremata is fixed by the models for the language, whereas the
meaning of syncategoremata is fixed by specifying truth conditions for the
various formulas of the language in terms of the models. H. P. Grice,
“Implicatures of synaesthesia,” “Some remarks about the senses.”
syneidesis,
conscientia -- synderesis: Grice
disliked the word as a ‘barbarism.’ Grice: “synderesis was by most of us at the Playgroup
reckoned to be a corruption of the Greician
“συνείδησις” shared knowledge, literally
‘co-ideatio,’ formed from ‘syn’ and ‘eidesis,’ ‘co-vision,’ or
conscience, the corruption appearing in the medieval manuscripts of what
Austin called ‘that ignorant saint,’ Jerome in his Commentary.” Douglas Kries in Traditio vol.
57: Origen, Plato, and Conscience (Synderesis) in Jerome's Ezekiel
Commentary, p. 67. συνείδησις , εως, ἡ, A.
Liddell and Scott render as “knowledge shared with another,” -- τῶν ἀλγημάτων
(in a midwife) Sor.1.4. 2. communication, information, εὑρήσεις ς. PPar. p.422
(ii A.D.); “ς. εἰσήνεγκαν τοῖς κολλήγαις αὐτῶν” POxy. 123.13 (iii/iv A.D.). 3.
knowledge, λῦε ταῦτα πάντα μὴ διαλείψας ἀγαθῇ ς. (v.l. ἀγαθῇ τύχῃ) Hp.Ep.1. 4.
consciousness, awareness, [τῆς αὑτοῦ συστάσεως] Chrysipp.Stoic.3.43, cf.
Phld.Rh.2.140 S., 2 Ep.Cor.4.2, 5.11, 1 Ep.Pet.2.19; “τῆς κακοπραγμοσύνης”
Democr.297, cf. D.S.4.65, Ep.Hebr.10.2; “κατὰ συνείδησιν ἀτάραχοι διαμενοῦσι”
Hero Bel.73; inner consciousness, “ἐν ς. σου βασιλέα μὴ καταράσῃ” LXX Ec.
10.20; in 1 Ep.Cor.8.7 συνειδήσει is f.l. for συνηθείᾳ. 5. consciousness of
right or wrong doing, conscience, Periander and Bias ap. Stob.3.24.11,12,
Luc.Am.49; ἐὰν ἐγκλήματός τινος ἔχῃ ς. Anon. Oxy.218 (a) ii 19; “βροτοῖς ἅπασιν ἡ ς. θεός” Men.Mon.654, cf. LXX
Wi.17.11, D.H.Th.8 (but perh. interpol.); “ς. ἀγαθή” Act.Ap.23.1; ἀπρόσκοπος
πρὸς τὸν θεόν ib.24.16; “καθαρά” 1 Ep.Ti.3.9, POsl.17.10 (ii A.D.);
“κολαζομένους κατὰ συνείδησιν” Vett.Val.210.1; “θλειβομένη τῇ ς. περὶ ὧν
ἐνοσφίσατο” PRyl.116.9 (ii A.D.); τὸν . . θεὸν κεχολωμένον ἔχοιτο καὶ τὴν ἰδίαν
ς. Ath.Mitt.24.237 (Thyatira); conscientiousness, Arch.Pap.3.418.13 (vi
A.D.).--Senses 4 and 5 sts. run one into the other, v. 1 Ep.Cor.8.7, 10.27 sq.
6. complicity, guilt, crime, “περὶ τοῦ πεφημίσθαι αὐτὴν ἐν ς. τοιαύτῃ”
Supp.Epigr.4.648.13 (Lydia, ii A.D.). Grice: “The rough Romans could not do
with the ‘cum-‘ of the ‘syn-‘ but few of us at Oxford think of Laurel and Hardy
or Grice and Strawson when they say ‘conscientia’!” con-scĭo , īre, v. a. * I.
To be conscious of wrong: nil sibi, * Hor. Ep. 1, 1, 61.— II. To know well
(late Lat.): “consciens Christus, quid esset,” Tert. Carn. Chr. 3. moral theology, conscience. Jerome used ‘synderesis.’
‘Synderesis’ becomes a fixture because of Peter Lombard’s inclusion of it in
his Sentences. Despite this origin, Grecian ‘synderesis’ is distinguished from Roman
‘conscience’ (from cum-scire) -- by
Aquinas. For Aquinas, Grecian ‘synderesis’ is the quasi-habitual grasp of the
most common principles of the moral order i.e., natural law, whereas ‘conscienntia’
is the *application* of such knowledge to fleeting and unrepeatable
circumstances. ’Conscientia,’ Aquinas misleadingly claims, is allegedly ambiguous
in the way in which ‘knowledge’ is. Knowledge (Scientia) can be the mental
state of the knower or what the knower knows (scitum, cognitum) – Grice: “In
fact, Roman has four participles, active present, sciens, passive perfect,
sctium, future active, sciendus, future passive, sciturus -- But ‘conscientia’ like ‘synderesis’, is typically used for the
state of the soul. Sometimes, however, conscientia is taken to include general
moral knowledge as well as its application here and now; but the content of
synderesis is the most general precepts, whereas the content of conscience, if
general knowledge, will be less general precepts. Since conscience can be
erroneous, the question arises as to whether synderesis and its object, natural
law precepts, can be obscured and forgotten because of bad behavior or
upbringing. Aquinas holds that while great attrition can take place, such
common moral knowledge cannot be wholly expunged from the soul. This is a
version of the Aristotelian doctrine that there are starting points of
knowledge so easily grasped that the grasping of them is a defining mark of the
human being. However perversely the human agent behaves there will remain not
only the comprehensive realization that good (bonum) is to be done and evil (malum)
avoided, but also the recognition of some substantive human goods. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice ad Aquino,” Villa Grice --. H. P. Grice, “Kenny on Aquinas,”
“Kenny uses barbaric Griceian and Grecian.”
synergism: in soteriology, the cooperation within human
consciousness of free will and divine grace in the processes of conversion and
regeneration. Synergism became an issue in sixteenth-century Lutheranism during
a controversy prompted by Philip Melanchthon 1497 syncategorematic synergism
897 897 1569. Under the influence of
Erasmus, Melanchthon mentioned, in the 1533 edition of his Common Places, three
causes of good actions: “the Word, the Holy Spirit, and the will.” Advocated by
Pfeffinger, a Philipist, synergism was attacked by the orthodox,
predestinarian, and monergist party, Amsdorf and Flacius, who retorted with
Gnesio-Lutheranism. The ensuing Formula of Concord 1577 officialized monergism.
Synergism occupies a middle position between uncritical trust in human noetic
and salvific capacity Pelagianism and deism and exclusive trust in divine
agency Calvinist and Lutheran fideism. Catholicism, Arminianism, Anglicanism,
Methodism, and nineteenth- and twentieth-century liberal Protestantism have
professed versions of synergism.
systems
theory: the transdisciplinary study of
the abstract organization of phenomena, independent of their substance, type, or
spatial or temporal scale of existence. It investigates both the principles
common to all complex entities and the usually mathematical models that can be
used to describe them. Systems theory was proposed in the 0s by the biologist
Ludwig von Bertalanffy and furthered by Ross Ashby Introduction to Cybernetics,
6. Von Bertalanffy was both reacting against reductionism and attempting to
revive the unity of science. He emphasized that real systems are open to, and
interact with, their environments, and that they can acquire qualitatively new
properties through emergence, resulting in continual evolution. Rather than
reduce an entity e.g. the human body to the properties of its parts or elements
e.g. organs or cells, systems theory focuses on the arrangement of and
relations among the parts that connect them into a whole cf. holism. This
particular organization determines a system, which is independent of the
concrete substance of the elements e.g. particles, cells, transistors, people.
Thus, the same concepts and principles of organization underlie the different
disciplines physics, biology, technology, sociology, etc., providing a basis
for their unification. Systems concepts include: system environment boundary,
input, output, process, state, hierarchy, goal-directedness, and information.
The developments of systems theory are diverse Klir, Facets of Systems Science,
1, including conceptual foundations and philosophy e.g. the philosophies of
Bunge, Bahm, and Laszlo; mathematical modeling and information theory e.g. the
work of Mesarovic and Klir; and practical applications. Mathematical systems
theory arose from the development of isomorphies between the models of
electrical circuits and other systems. Applications include engineering,
computing, ecology, management, and family psychotherapy. Systems analysis,
developed independently of systems theory, applies systems principles to aid a
decision maker with problems of identifying, reconstructing, optimizing, and
controlling a system usually a socio-technical organization, while taking into
account multiple objectives, constraints, and resources. It aims to specify
possible courses of action, together with their risks, costs, and benefits.
Systems theory is closely connected to cybernetics, and also to system dynamics,
which models changes in a network of synergy systems theory 898 898 coupled variables e.g. the “world
dynamics” models of Jay Forrester and the Club of Rome. Related ideas are used
in the emerging “sciences of complexity,” studying self-organization and
heterogeneous networks of interacting actors, and associated domains such as
far-from-equilibrium thermodynamics, chaotic dynamics, artificial life,
artificial intelligence, neural networks, and computer modeling and simulation.
taddio: essential Jump to
navigationJump Luca Taddio Da Wikipedia, l'enciclopedia liberto search Dubbio
di enciclopedicità La rilevanza enciclopedica di questa voce o sezione
sull'argomento filosofi è stata messa in dubbio. Motivo: dalla voce non si
evince particolare rilevanza, la maggior parte dei volumi sono stati pubblicati
per la casa editrice che codirige e forse ha fondato, ma riguardo a questo le
due voci sono contradditorie. A parte una recensione di Sole24h, la maggior
parte delle fonti parlano di lui solo marginalmente. Una richiesta un anno fa
in pagina di discussione di esplicitare la rilevanza del soggetto non ha
ottenuto risposte. In realtà il dubbio era già stato apposto nel 2016 ed
eliminato senza discussione Puoi aiutare aggiungendo informazioni verificabili
e non evasive sulla rilevanza, citando fonti attendibili di terze parti e
partecipando alla discussione. Se ritieni la voce non enciclopedica, puoi
proporne la cancellazione. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento.
Per interpellare gli autori della voce o il progetto usa: {{AiutoE|Luca
Taddio}}--~~~~ Questa voce è da wikificare Questa voce o sezione sull'argomento
filosofi non è ancora formattata secondo gli standard. Commento: da togliere i
collegamenti esterni in corpo voce e soprattutto i collegamenti a pagine per
l'acquisto; alcuni collegamenti sembrano ormai puntare a siti non più attivi
Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Segui i
suggerimenti del progetto di riferimento. Luca Taddio (Udine, 1974) è un
filosofo e editore italiano. Si occupa in particolare di fenomenologia della
percezione, ontologia e teoria della conoscenza a cavallo tra estetica e
metafisica[1]. È direttore editoriale, con Pierre dalla Vigna, della casa
editrice Mimesis Edizioni. Indice 1Biografia 2Monografie 3Curatele
4Note 5Collegamenti esterni Biografia Luca Taddio nasce a Udine nel 1974. Dopo
i primi studi artistici si laurea in Filosofia a Trieste, successivamente,
trascorre un periodo di studio presso il dipartimento di Filosofia dell'Università
di Edimburgo: completa la sua formazione all'Università di Trieste conseguendo
il titolo di dottore di ricerca. È stato allievo dello psicologo sperimentale
Paolo Bozzi e del filosofo Giorgio Derossi. Il primo libro, Spazi
immaginali (Prefazione di Maurizio Ferraris), è un testo di narrativa
filosofica che si inserisce all'interno della tradizione del realismo magico:
l'esistenza viene espressa da una sequenza di istantanee emergenti dallo spazio
immaginale. Tutti gli scritti dell'autore sono di matrice realista:
Fenomenologia eretica è un libro incentrato sull'analisi di un unico esempio
considerato dall'autore paradigmatico per l'intera tradizione fenomenologica,
la percezione di un cubo. L'analisi critica dell'esperienza è sviluppata, da un
lato, in rapporto alla fenomenologia sperimentale di Paolo Bozzi e, dall'altro,
in risposta alle critiche che Emanuele Severino rivolge alla
fenomenologia.[2] A partire dall'opera pittorica di René Magritte, ne I
due misteri viene applicata la teoria della percezione diretta, elaborata
in Fenomenologia eretica, al problema della raffigurazione pittorica. Il
pensiero di Magritte viene discusso alla fine del volume in un dialogo con
Massimo Donà.[3] L'insegnamento di estetica alla facoltà di Architettura
lo porta a realizzare, con Damiano Cantone, il testo: L'affermazione
dell'architettura. La relazione filosofia-architettura sta al centro di altri
due libri da lui curati: Costruire abitare pensare e Città metropoli
territorio; il concetto di affermazione sarà nuovamente preso in esame in un
numero di aut aut dedicato a Derrida e l'architettura.[4] In Verso un
nuovo realismo si delinea un'ontologia della metastabilità, il libro si
conclude con un dialogo con Maurizio Ferraris sul Nuovo realismo. Sul tema del
Nuovo realismo avvia un articolato confronto con Maurizio Ferraris ed Emanuele
Severino.[5] [6] Le riflessioni sul Nuovo realismo si sono sviluppate in
diversi direzioni: politica, architettura, cinema, ontologia ed epistemologia
(Si veda: Alfabeta2[7]; “aut aut”[8]; “Cinema&Cie”[9]; “Teoria &
Modelli”[10]; “La Filosofia Futura”[11]; “Philosophical Readings”[12];).
Nel 2006 fonda, con Pierre dalla Vigna, Mimesis Edizioni: la società è
detentrice dei marchi editoriali di Mimesis in Italia e all'estero. Nel 2006
costituisce, con Marco Brollo, lo studio grafico Mimesis Communication.
Nel 2014 progetta e realizza la rivista di approfondimento culturale Scenari
diretta da Damiano Cantone e nello stesso anno crea e dirige il Festival
Mimesis – Territori delle idee. A partire da una prima formazione
politica di stampo liberal-socialista lavora in direzione di un rilancio della
cultura cosmopolita in rapporto alle nuove forme di partecipazione
democratica (interventi: Festival Vicino Lontano[13], Pop
Sophia[14], Radio Radicale[15]). Nel 2016 viene nominato dal Ministro
Dario Franceschini nel Cda di Palazzo Reale a Genova[16]. Dall'anno accademico
2018-19 è professore associato di estetica presso l'Università degli studi di
Udine. Monografie Spazi immaginali, Campanotto Editore, 2004
Fenomenologia eretica. Saggio sull'esperienza immediata della cosa, Mimesis,
2011 L'affermazione dell'architettura. Una riflessione introduttiva (con
Damiano Cantone), Mimesis, 2014 Global Revolution, Mimesis, 2012 I due misteri.
Da Magritte alla natura delle rappresentazioni pittoriche, Mimesis, 2012 Verso
un nuovo realismo. Osservazioni sulla stabilità tra estetica e metafisica,
Jouvence, 2013 Curatele Paolo Bozzi, Un mondo sotto osservazione, Mimesis, 2009
La guerra e il mortale. A lezione da Emanuele Severino, Mimesis, 2009 Costruire
Abitare Pensare, Mimesis, 2009 Quale filosofia per il partito democratico e la
sinistra, Mimesis, 2011 La Terra e il Sacro. A lezione da Massimo Donà,
Mimesis, 2011 Città Metropoli Territorio, Mimesis, 2012 David Cronenberg. Un
metodo pericoloso, Mimesis, 2012 Manifesto per una sinistra cosmopolita,
Mimesis, 2013 Radicalmente liberi. A partire da Marco Pannella, con L. Caffo,
Mimesis 2014 In dialogo con Maurizio Ferraris, Mimesis 2016 Note ^ Curriculum Luca
Taddio (PDF), su lucataddio.com (archiviato dall'url originale il 1º giugno
2016). ^ Massimo Donà - L'apparire della Cosa - La Fenomenologia Eretica Di
Luca Taddio, su youtube.com. ^ Uno scandalo per il pensiero, su
ilsole24ore.com. ^ “aut aut” n. 368/2015, su autaut.ilsaggiatore.com. ^ Ma il
realismo non è tutto nuovo, su corriere.it. ^ È il crepuscolo delle tradizioni,
su corriere.it. ^ Sinistra e Nuovo Realismo, su alfabeta2.it. ^ Vuoti di
sapere, su autaut.ilsaggiatore.com. ^ The Geopolitics of Cinema and the Study
of Film, su cinemaetcie.net (archiviato dall'url originale il 24 settembre
2016). ^ Teorie & Modelli, su pitagoragroup.it (archiviato dall'url
originale il 7 maggio 2016). ^ La Filosofia Futura, su lafilosofiafutura.it. ^
PHILOSOPHICAL READINGS - Special Issue on: REALISM AND ANTI-REALISM: NEW
PERSPECTIVES (PDF), su philosophicalreadings.files.wordpress.com. ^ Passione
politica e democrazia. Con U. Curi, M. Pacini, M. Panarari e L.Taddio, su
youtube.com. ^ "Marionette al potere" Curi, Marramao, Taddio, su
youtube.com. ^ Oratore: Luca Taddio, su radioradicale.it. ^ CDA Palazzo Reale
Genova (PDF), su beniculturali.it. Collegamenti esterni Sito ufficiale, su
lucataddio.it. Modifica su Wikidata Registrazioni di Luca Taddio, su
RadioRadicale.it, Radio Radicale. Modifica su Wikidata Intervista a E. Severino
Artribune: intervista di Davide Dal Sasso Controllo di autorità VIAF (EN) 170547256 ·
SBN IT\ICCU\CFIV\217449 · WorldCat Identities (EN) lccn-no2011068878 Biografie
Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del
XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloEditori italianiNati nel 1974Nati a
Udine[altre]
Tagliabue Guido Morpurgo-Tagliabue Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Guido Morpurgo-Tagliabue
(Milano, 9 gennaio 1907 – Milano, 29 marzo 1997) è stato un filosofo, critico
letterario e accademico italiano.
Indice 1Biografia 2Opere principali 2.1Introduzioni e prefazioni 3Note
4Bibliografia 5Voci correlate 6Collegamenti esterni Biografia Nato da padre
ignoto e dalla giovane Giovanna Tagliabue, poi moglie del maturo avvocato,
assessore e filantropo Gerolamo Morpurgo (1847-1920), si formò all'Università
degli Studi di Milano, laureandosi in Filosofia. Dopo diverse collaborazioni a
riviste come critico letterario e teatrale, si occupò lui stesso di filosofia a
partire da due saggi del dopoguerra, Le strutture del trascendentale e Il
concetto dello stile (entrambi pubblicati nel 1951), che gli fecero avere il
posto di professore di Estetica all'Università degli Studi di Milano (fino al
1961), poi quello di Filosofia teoretica all'Università degli Studi di Trieste
(dal 1964 al 1982). In precedenza aveva
collaborato dal 1931 al 1938 alla rivista Il Convegno, ma scrisse anche su La
Lettura e La Rassegna d'Italia, e più di recente su Rivista critica di storia
della filosofia, Rivista di filosofia, Belfagor, Giornale critico della
filosofia italiana, Rivista di estetica, Il pensiero, Aretusa , Lingua e stile,
Studi di estetica, Studi tedeschi, aut aut ecc.
Si occupò di germanistica, gnoseologia, semantica, estetica e poetica,
attraverso numerosi saggi di taglio fenomenologico. Come per Adelchi Baratono e Antonio Banfi, la
sua analisi dell'estetica e delle scelte poetiche e stilistiche degli artisti
si distacca dall'impostazione di Benedetto Croce e poi di Guido Calogero per
orientarsi verso l'aspetto pratico (influenzato anche dall'esistenzialismo
positivo di Nicola Abbagnano) del fare arte, che non può ridursi alla sola
conoscenza, ed è fortemente legato alla tecnica, intesa anche come gesto
manuale e meccanico, e allo stile, inteso come rapporto tra gli elementi
formali e quelli contenutistici dell'opera (sede, inoltre, dell'unità nel
rapporto tra percezione e immaginazione).
Nel 1960 i suoi studi sono ripresi e sistemati in L'esthétique
contemporaine, pubblicato in francese e tradotto in diverse lingue. Qui
organizza le teorie d'artista e le dottrine estetiche non tanto in senso
cronologico, ma per tipi: estetiche vitalistiche, psicologistiche,
formalistiche, fenomenologiche ecc. In
Linguistica e stilistica di Aristotele (1967) e Demetrio, dello stile (1980) si
occupa di retorica e stilistica antiche. Aristotelismo e Barocco (1954) e Il
Barocco e noi (1986) (poi riuniti in Anatomia del Barocco, 1987) indagano sul
Barocco (artistico e letterario). Si è anche occupato di estetica del XVIII
secolo, degli scritti pre-critici di Kant, della polemica Nietzsche-Wagner, di
Goethe, Musil, Roth, Kafka ecc. Fu critico
con la contestazione studentesca del 1968, eppure non evitò il confronto con il
movimento. Una grave malattia gli levò l'uso della voce, ma continuò a tenere
lezione con l'aiuto di un sintetizzatore vocale. Morì senza figli e senza essersi mai sposato
a 90 anni, nel 1997. A suo ricordo la sorella
Ernesta ha aperto una fondazione e un premio per gli studi di filosofia a
Trieste[1]. Opere principali I processi
di Galileo e l'epistemologia, Milano: F.lli Bocca, 1947; Milano: Ed. di
Comunità, 1963; Roma: Armando, 1981 Il concetto dello stile. Saggio di una
fenomenologia dell'arte, Milano: F.lli Bocca, 1951 Le strutture del
trascendentale. Piccola inchiesta sul pensiero critico, dialettico,
esistenziale, Milano: F.lli Bocca, 1951 Dai romantici a noi, Milano: Marzorati,
1953 Aristotelismo e barocco, Milano: F.lli Bocca, 1955 L'esthétique
contemporaine. Une enquête, Milano: Marzorati, 1960 Il concetto del
"gusto" nell'Italia del Settecento, Firenze: La Nuova Italia, 1962
Linguistica e stilistica di Aristotele, Roma: Ed. dell'Ateneo, 1967 Fenomenologia
dei giudizi di valore, Trieste: Istituto di Filosofia, 1973 La semantica e i
suoi problemi, Trieste: Istituto di Filosofia, 1974 Demetrio, dello stile,
Roma: Ed. dell'Ateneo, 1980 La nevrosi austriaca. Saggi sul romanzo, Casale
Monferrato: Marietti, 1983 Nietzsche contro Wagner, Pordenone: Studio Tesi,
1984 Geologia letteraria, Milano: Garzanti, 1986 Anatomia del barocco, Palermo:
Aesthetica, 1987 Goethe e il romanzo, Torino: Einaudi, 1991 Il gusto
nell'estetica del Settecento, a cura di Luigi Russo e Giuseppe Sertoli,
Palermo: Centro internazionale studi di estetica, 2002 Introduzioni e
prefazioni Herbert Read, Arte e alienazione. Il ruolo dell'artista nella
societa, Milano: Marzorati, 1975 Immanuel Kant, I sogni di un visionario
spiegati coi sogni della metafisica, Milano: Rizzoli, 1982 Immanuel Kant,
Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, Milano: Rizzoli, 1989
Charles-Louis Montesquieu, Sul gusto, Genova: Marietti, 1990 Note ^ Crf. la
pagina sul sito dell'Università di Trieste. Bibliografia Numero speciale di
"Esercizi filosofici", n. 4, 1998. Luigi Russo (a cura di), Guido
Morpurgo-Tagliabue e l'estetica del Settecento, in "Aesthetica
Pre-Print", 67, aprile 2003. Paolo D'Angelo, «MORPURGO-TAGLIABUE, Guido»,
in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 77, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2012. Voci correlate Morpurgo Collegamenti esterni
Guido Morpurgo-Tagliabue, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Morpurgo Tagliabue, ritratto di un genio politicamente
scorretto necrologio di Claudio Magris, Corriere della Sera, 4 aprile 1997, p.
33, Archivio storico. Controllo di autoritàVIAF (EN) 10974332 · ISNI (EN) 0000
0000 8076 3438 · SBN IT\ICCU\CFIV\003982 · LCCN (EN) n83236452 · GND (DE)
11944898X · BNF (FR) cb12071154b (data) · BNE (ES) XX1372794 (data) · BAV (EN)
495/281077 · WorldCat Identities (EN) lccn-n83236452 Biografie Portale
Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX
secoloCritici letterari italiani del XX secoloAccademici italiani del XX
secoloNati nel 1907Morti nel 1997Nati il 9 gennaioMorti il 29 marzoNati a
MilanoMorti a MilanoStudenti dell'Università degli Studi di MilanoProfessori
dell'Università degli Studi di MilanoSepolti nel Cimitero Monumentale di Milano[altre]
Tagliagambe Silvano Tagliagambe Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Jump to navigationJump to search Silvano Tagliagambe (Legnano, 9 luglio 1945) è
un filosofo, fisico e accademico italiano, epistemologo. Indice
1Cenni biografici 2Pensiero 3Note 4Opere 5Collegamenti esterni Cenni biografici
Silvano Tagliagambe è nato nel 1945 a Legnano e si è trasferito poi a Milano
dove ha studiato Filosofia alla Statale come allievo di Ludovico Geymonat con
cui si è laureato con la lode attraverso una tesi sull'interpretazione della
meccanica quantistica di Hans Reichenbach. Ha proseguito i suoi studi
specializzandosi in Fisica quantistica all'Università degli Studi Lomonosov di
Mosca sotto la direzione di Ja.P. Terleckij e poi presso l'Accademia delle Scienze
dell'URSS, Istituti di Filosofia e di Fisica dal 1971 al 1974 dove si è
perfezionato in Filosofia della fisica con la supervisione di V.A. Fock e M.E.
Terleckij. La sua attività scientifica e didattica si è sviluppata
attraverso un variegato percorso universitario che l'ha portato ad insegnare
presso diversi atenei dal 1974 al 2008[1] e a collaborare con differenti centri
di ricerca ed enti istituzionali come consulente scientifico.[2] Pensiero
Il lavoro di ricerca di Tagliagambe si è concentrato inizialmente sul rapporto
tra filosofia e fisica (soprattutto quantistica) nella cultura russa tra '800 e
'900, in particolare sul concetto di realtà fisica (Bohr, Heisenberg, Born) e
sui rapporti tra materialismo dialettico e sviluppi della fisica del '900.[3]
Dagli anni '90 ha rivolto l'attenzione sui temi del rapporto tra realtà
osservata e sistema osservante, le interazioni reciproche e il ruolo del
linguaggio, della comunicazione intersoggettiva, della mediazione linguistica e
della semiotica nel pensiero scientifico.[4] Ha elaborato il ruolo e il
significato di interfaccia, il rapporto tra intelligenza naturale e
intelligenza artificiale, in particolare il ruolo progressivamente avuto dalle
tecnologie di informazione e comunicazione. Ha elaborato i contributi sul
profondo significato del concetto di "margine", sia esso su un essere
vivente, un'interfaccia o il rapporto tra corpo e mente, nei sistemi sociali e
nella comunicazione.[5] Ha studiato le forti interconnessioni tra artificiale e
naturale, il profondo senso dell'interdisciplinarità, e il libro Il Sogno di
Dostoevskij, attraverso una visitazione storica dal dibattito tra lo scrittore
e lo scienziato Secënov, fino alle recenti scoperte della neurofisiologia,
mettendo a fuoco il senso del rapporto tra le mente e il corpo e il significato
e la funzione dell'inconscio.[6] Ha ricostruito e interpretato l'intenso
scambio dialogico tra il premio Nobel della fisica Wolfgang Pauli e il
fondatore della psicologia analitica Carl Gustav Jung, nel quale emerge il
profondo rapporto tra filosofia, fisica e psicanalisi.[7] [8] L'analisi
tra visibile e invisibile, il ruolo dell'arte e il senso epistemologico dello
spazio intermedio e del confine sono stati da lui sviluppati anche attraverso
un'esegesi del pensiero di Florenskij.[9][10] Le ricadute del suo
pensiero sulle scienze sociali ed economiche trovano approfondimenti nelle
opere dedicate all'analisi dei sistemi organizzativi socio-economici.[11] [12]
[13] L'attività presso la facoltà di Architettura l'ha portato a
riflettere sulla'"epistemologia del progetto", sulla relazione tra
possibilità e realtà, sul rapporto tra l'Io, lo spazio, il tempo, l'ambiente,
tra urbs e civitas, sul concetto di paesaggio, sul ruolo delle città globali e
sul nesso tra globale e locale. [14] [15] [16] [17] Gli sviluppi delle
tecnologie digitali e poi della rete come fenomeno prima tecnologico poi
culturale e sociale vengono elaborati e incorporati nel suo pensiero.[18] [19]
[20] La sua riflessione teorica è indirizzata anche ai temi
dell'apprendimento e dell'organizzazione della conoscenza soprattutto alla luce
delle reali esperienze della scuola, dei processi di modernizzazione e
innovazione che la coinvolgono e delle nuove esigenze che essa deve
affrontare[21] [22] [23] [24] Nel 2012 ha diretto il rifacimento del
manuale di filosofia di Ludovico Geymonat e pubblicato da Garzanti Scuola con
il titolo La realtà e il pensiero. La ricerca filosofica e scientifica in
collaborazione con Edoardo Boncinelli.[25] Collabora dal 2014 con il CNI
per il premio Scintille dedicato all'innovazione (AD). Note ^ (Università
di Pisa, Cagliari, Roma La Sapienza, Sassari: Facoltà di Architettura di
Alghero) ^ (Vicepresidente CRS4(1994-2000) , Ministero dell'Istruzione,
dell'Università e della Ricerca per la Riforma, CIES, FIESEC, Direttore
scientifico del progetto “Scuola digitale” della Regione Sardegna). ^ Vedi
L'interpretazione materialistica della meccanica quantistica. Fisica e
filosofia in URSS. Vedi Scienza, filosofia, politica in Unione Sovietica.1924-1939.
Vedi Materialismo e dialettica nella filosofia sovietica. Vedi Scienza e
marxismo in Urss. ^ Vedi La mediazione linguistica. Il rapporto
pensiero-linguaggio da Leibniz a Hegel ^ Vedi Epistemologia del confine ^ Vedi
Il Sogno di Dostoevskij ^ (vedi Pauli e Jung. Un confronto su materia e psiche
^ Vedi recensione di Edoardo Boncinelli in Corriere della Sera lunedì 24
ottobre 2011 che cita “con quest'opera Tagliagambe va avanti sul progetto di
esplorare una originalissima «epistemologia del confine»”. ^ Vedi Come leggere
Florenskij ^ Vedi La tecnica e il corpo. Riflessioni su uno scritto di Pavel
Florenskij ^ vedi Organizzazioni. Soggetti umani e sviluppo socio-economico ^
Vedi Individui e imprese: centralità delle relazioni ^ Vedi La politica che non
c'è. Idee guida per un progetto tra razionalità e valori ^ Vedi L'albero
flessibile. La cultura della progettualità ^ Vedi Le due vie della percezione e
l'epistemologia del progetto ^ Vedi La città possibile ^ Vedi People and Space.
New Forms of interaction in City Project ^ Vedi: Epistemologia del cyberspazio
^ Vedi La comunicazione nell'era di Internet ^ Vedi Lo spazio intermedio, poi
tradotto anche in spagnolo, che riprende, rielabora ed estende il concetto di
confine. ^ Vedi La didattica e la rete ^ Vedi Più colta e meno Gentile ^ Vedi
Saper fare la scuola: il triangolo che non c'è ^ Vedi Nuovi percorsi per
l'obbligo formativo ^ Vedi * La realtà e il pensiero 1. La ricerca filosofica e
scientifica, Garzanti Scuola, 2012, ISBN 978-88-6964-402-3; * La realtà e il
pensiero 2. La ricerca filosofica e scientifica, Garzanti Scuola, 2012, ISBN
978-88-6964-403-0; * La realtà e il pensiero 3. La ricerca filosofica e
scientifica, Garzanti scuola, 2012, ISBN 978-88-6964-404-7. Opere È autore di
oltre 200 opere tra cui: L'interpretazione materialistica della meccanica
quantistica. Fisica e filosofia in URSS, Feltrinelli, Milano, 1972; Scienza,
filosofia, politica in Unione Sovietica. 1924-1939, Feltrinelli, Milano, 1978;
Materialismo e dialettica nella filosofia sovietica, Loescher, Torino, 1979;
Scienza e marxismo in Urss, Loescher, Torino, 1979; La mediazione linguistica.
Il rapporto pensiero-linguaggio da Leibniz a Hegel, Feltrinelli, Milano, 1980;
D.I. Mendeleev, Scritti sullo spiritismo. . Traduzione e studio storico-critico
introduttivo (pp. I-XCVI) di S. Tagliagambe, Bollati-Boringhieri, Torino, 1992;
L'impresa tra ipotesi, miti e realtà (in collaborazione con G.Usai), ISEDI,
Torino, 1994; Epistemologia del confine, Il Saggiatore, Milano, 1997; La politica
che non c'è. Idee guida per un progetto tra razionalità e valori, Demos,
Cagliari, 1997; Il sequestro dell'identità, CUEC, Cagliari, 1997; La città
possibile, (in collaborazione con G. Maciocco), Dedalo, Bari, 1997;
Epistemologia del cyberspazio, Demos, Cagliari, 1997; L'albero flessibile. La
cultura della progettualità, Masson, Milano, 1997; Il profilo del tempo, ‘Nuova
civiltà delle Macchine', Anno XVII, 1999, n. 1(a cura di), Organizzazioni.
Soggetti umani e sviluppo socio-economico, (in collaborazione con G.Usai),
Giuffré, Milano, 1999 La didattica e la rete, Pitagora Editrice, Bologna, 2000
La comunicazione nell'era di Internet, (in collaborazione con C. Crespellani
Porcella e G. Usai, Collana Fondazione IBM – Etas Libri, Milano, 2000 (a cura
di) Il destino del marxismo in Russia: dall'idolatria al rifiuto, (in
collaborazione con V. Mironov), Luiss Edizioni, Collana di studi metodologici,
Roma, 2001; La vittoria di Babele. Dalla filosofia naturale alla separazione
dei linguaggi, ‘ Civiltà delle macchine', anno XVIII, n. 4, 2000, (a cura di)
Il sogno di Dostoevskij. Come la mente emerge dal cervello, Raffaello Cortina
Editore, Milano, 2002; Filosofia della scienza (in collaborazione con G.
Boniolo, M.L. Dalla Chiara, G. Giorello, C. Sinigaglia), Cortina, Milano, 2002;
(a cura di) Nuovi percorsi per l'obbligo formativo, Edizioni PLUS. Università
di Pisa, Pisa, 2003; Il pensiero unitario di Ludovico Geymonat, in
collaborazione cn AA.VV. Edizioni Nuova Cultura, Teramo, 2004; Le due vie della
percezione e l'epistemologia del progetto, Franco Angeli, Milano, 2005; Più
colta e meno gentile. Una scuola di massa e di qualità, Armando, Roma, 2006;
Come leggere Florenskij, Bompiani, Milano, 2006; La tecnica e il corpo.
Riflessioni su uno scritto di Pavel Florenskij, (in collaborazione con B.
Antomarini) Franco Angeli, Milano, 2007; (a cura di), Individui e imprese:
centralità delle relazioni, (in collaborazione con G. Usai) Giuffrè, Milano,
2008; Saper fare la scuola: il triangolo che non c'è, (in collaborazione con
V.Campione) Einaudi, Torino, 2008; Lo spazio intermedio, Università Bocconi
Editore, Milano, 2008; Storia della filosofia, vol. XIII, Filosofi italiani del
Novecento, (in collaborazione con D.Antiseri) Bompiani, Milano, 2008; Storia
della filosofia, vol. XIV, Filosofi italiani del Novecento, (in collaborazione
con D.Antiseri) Bompiani, Milano, 2008; “People and Space. New Forms of
interaction in City Project”, (in collaborazione con G.Maciocco)
Springer-Verlag Berlin, Heidelberg, New York, 2009; El espacio intermedio. Red,
individuo y comunidad, Fragua Editorial, Madrid, 2009; Pauli e Jung. Un
confronto su materia e psiche,(in collaborazione con A. Malinconico) Raffaello
Cortina, Milano, 2011; La libertà, le lettere, il potere, (in collaborazione
con D.Antiseri e P.Maninchedda) Rubbettino, Soveria Mannelli, 2011; La realtà e
il pensiero 1. La ricerca filosofica e scientifica Garzanti Scuola 2012 ISBN
978-88-6964-402-3 La realtà e il pensiero 2. La ricerca filosofica e
scientifica Garzanti Scuola 2012 ISBN 978-88-6964-403-0 La realtà e il pensiero
3. La ricerca filosofica e scientifica Garzanti scuola 2012 ISBN
978-88-6964-404-7 Collegamenti esterni Opere di Silvano Tagliagambe, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata Controllo di autoritàVIAF
(EN) 277914199 · ISNI (EN) 0000 0003 8482 5407 · SBN IT\ICCU\CFIV\114761 · LCCN
(EN) n78067976 · GND (DE) 132165724 · BNF (FR) cb12019198n (data) · BNE (ES)
XX1283792 (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-n78067976 Biografie Portale
Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX
secoloFilosofi italiani del XXI secoloFisici italiani del XX secoloFisici
italiani del XXI secoloAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani del
XXI secoloNati nel 1945Nati il 9 luglioNati a LegnanoEpistemologiProfessori
della Sapienza - Università di RomaProfessori dell'Università degli Studi di
CagliariProfessori dell'Università degli Studi di SassariProfessori
dell'Università di PisaStudenti dell'Università degli Studi di Milano[altre]
Taglialatela Pietro Taglialatela Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Pietro
Taglialatela (Mondragone, 7 gennaio 1829 – Roma, 23 settembre 1913) è stato un
pastore protestante, filosofo e scrittore italiano. Indice 1Biografia 2Scritti 3 Bibliografia 4Voci correlate 5Collegamenti
esterni Biografia Studiò al Seminario vescovile di Sessa. Ordinato sacerdote,
insegnò teologia al Seminario vescovile di Cava dei Tirreni dal 1852 al
1856. Dal 1860, lasciato il sacerdozio,
tentò di arruolarsi nelle truppe di Garibaldi, per poi decidere di predicare
nell'Italia meridionale i nuovi ideali del movimento unitario. Nel 1861, fu nominato professore di teologia
all'Università di Napoli. A seguito della soppressione di tale cattedra aprì,
sempre a Napoli, una scuola privata.
Incominciò da questo periodo a riscoprire lo studio e la saggistica, in
particolare riprendendo e sposando le tesi di Vincenzo Gioberti, che lo avevano
affascinato in gioventù. Su questo indirizzo filosofico è stato imperniato il
manuale Istituzioni di filosofia del 1864 che, seppur non prescelto come testo
d'insegnamento liceale, in quanto particolarmente complesso, ricevette le lodi
di Bertrando Spaventa. Non mancò, in
seguito, avendo aderito al protestantesimo, di compiere opere missionarie, in
particolare in Puglia e in Abruzzo. A tal riguardo è documentato il viaggio di
Pescasseroli nel 1886, sul quale scrisse Benedetto Croce, che segnalò anche
come Taglialatela fosse considerato, assieme a Bonaventura Mazzarella e Enrico
Caporali, fra le «menti più forti del movimento protestante in Italia». Scritti Istituzioni di filosofia, Tip.
all'Insegna del Diogene, Napoli 1864; Apologia delle dottrine filosofiche di V.
Gioberti, Tip. all'Insegna del Diogene, Napoli 1867; La scienza, la vita e
Francesco de Sanctis. Discorso, Tip. all'insegna del Diogene, Napoli 1872;
Giuseppe Garibaldi. Conferenza, La Speranza, Roma s.d.; Il Papa-re nelle
profezie e nella storia, La Speranza, Roma 1902; In Dio. Saggi, discorsi,
frammenti di filosofia cristiana, ed. postuma, La Speranza, Roma 1927; Fede,
speranza e carità. Meditazioni, ed. postuma, La Speranza, Roma 1927; Teoria
evangelica della vita, ed. postuma, La Speranza, Roma 1929; Bibliografia D.
Ciampoli, L'opera letteraria di Pietro Taglialatela, Tip. Unione editrice, Roma
1913; B. Croce, Pescasseroli, Laterza, Bari 1922 (poi in Storia del Regno di
Napoli); R. Fiore, Pietro Taglialatela, in «Civiltà Aurunca», XVIII (2002), n.
47, pp. 7-16; G. Iurato, Pietro Taglialatela. Dalla filosofia del Gioberti
all'evangelismo antipapale, Claudiana, Torino 1972. Voci correlate Vincenzo
Gioberti Protestantesimo in Italia Collegamenti esterni Pietro Taglialatela.
Biografia, pubblicazioni e bibliografia in "Dizionario biografico dei
protestanti in Italia". Sito della Società di studi valdesi. URL visitato
il 1º gennaio 2014. Pietro Tagliatela, Apologia della dottrina filosofica di V.
Gioberti (il testo in Google Libri). URL visitato il 1º gennaio 2014. Controllo
di autoritàVIAF (EN) 89492643 · ISNI (EN) 0000 0000 6248 7804 · BAV (EN)
495/264652 · WorldCat Identities (EN) viaf-89492643 Biografie Portale Biografie
Letteratura Portale Letteratura Categorie: Pastori protestanti italianiFilosofi
italiani del XIX secoloFilosofi italiani del XX secoloScrittori italiani del
XIX secoloScrittori italiani del XX secoloNati nel 1829Morti nel 1913Nati il 7
gennaioMorti il 23 settembreNati a MondragoneMorti a Roma[altre]
Tagliapietra Andrea Tagliapietra Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Andrea
Tagliapietra Andrea Tagliapietra (Venezia, 7 marzo 1962) è uno scrittore e
filosofo italiano. Indice 1Biografia 2Opere principali 3Opere
costituite da raccolte di lezioni 4Opere in collaborazione con altri autori
5Edizioni scientifiche, curatele e traduzioni 6Alcuni saggi e articoli 7Testi
in rete 8Interviste e video 9Note 10Collegamenti esterni Biografia Dopo la
maturità classica al Liceo Marco Foscarini di Venezia, ha compiuto studi di
medicina e di filosofia, laureandosi in filosofia teoretica all'Università Ca'
Foscari con una tesi discussa con Emanuele Severino e Romano Madera. In quegli
stessi anni perfeziona gli studi di ermeneutica biblica sotto la guida di Carlo
Enzo. Ha insegnato Storia della filosofia moderna e contemporanea presso l'Università
degli studi di Sassari (1997-2004). Attualmente è professore ordinario di
Storia della filosofia presso la Facoltà di Filosofia dell'Università
Vita-Salute San Raffaele di Milano dove insegna Storia delle idee, Filosofia
della cultura e Storia della filosofia. Fonde nelle sue ricerche
un'indagine storico filosofica sul pensiero greco, sulla tradizione
apocalittica ebraica e cristiana e sul canone del pensiero moderno, con
un'attenzione a temi contemporanei legati al mondo delle immagini e della comunicazione,
allo studio del linguaggio e delle metafore, nonché all'intreccio storico e
teorico fra teatro e filosofia. In quest'ultima prospettiva si orientano i suoi
studi sull'idea di sincerità e sul significato della bugia nel quadro di una
costruzione drammaturgica dell'individuo,[1] sul ridere e sulla natura del
personaggio comico.[2] Ha curato, per Feltrinelli, Bollati Boringhieri e Bruno
Mondadori edizioni importanti: L'Apocalisse di Giovanni, raccolte di scritti
sull'Illuminismo e sul tema della "catastrofe"; opere di Platone,
Gioacchino da Fiore, Kant, Benjamin Constant, Voltaire, Jean-Jacques Rousseau,
Alessandro Manzoni, Constantin-François de Chassebœuf de Volney, Ludwig Andreas
Feuerbach, Louis-Sébastien Mercier. Dal 2007 sta curando l'edizione delle
opere complete di Italo Valent. Collabora saltuariamente a Il Gazzettino, il
quotidiano della sua città, e ha collaborato a varie testate giornalistiche
(Capital; Panorama; Il Sole 24 Ore; l'inserto culturale "Saturno" de
Il fatto quotidiano, ecc.), con interventi di carattere culturale o legati
all'attualità sociale e politica. Con La virtù crudele. Filosofia e storia
della sincerità [3] ha vinto nel 2004 il Premio Viareggio per la saggistica.[4]
Nel 2013 gli è stato conferito il premio di filosofia "Viaggio a
Siracusa" per il saggio Gioacchino da Fiore e la filosofia. È
direttore, insieme a Sebastiano Ghisu, della rivista internazionale di
filosofia Giornale critico di storia delle idee.[5] È fondatore e direttore del
Centro di Ricerca Interdisciplinare di Storia delle Idee (CRISI)[6], che ha
sede presso la Facoltà di Filosofia del San Raffaele, e di ICONE, Centro
Europeo di Ricerca di storia e teoria dell'immagine di Palazzo Arese Borromeo
[7]. Opere principali La metafora dello specchio. Lineamenti per una
storia simbolica, Feltrinelli, Milano 1991 (2ª ed. riveduta e accresciuta,
Bollati Boringhieri, Torino 2008) Il velo di Alcesti. La filosofia e il teatro
della morte, Feltrinelli, Milano 1997 Filosofia della bugia. Figure della
menzogna nella storia del pensiero occidentale, Bruno Mondadori, Milano 2001
(2ª ed. riveduta, Bruno Mondadori, Milano 2008) La virtù crudele. Filosofia e
storia della sincerità, Einaudi, Torino 2003 La forza del pudore: per una
filosofia dell'inconfessabile, Rizzoli, Milano 2006 (tr. francese, a c. di
Robert Kremer, La force de la pudeur. Pour une philosophie de l'inavouable,
Salvator, Paris 2017) Il dono del filosofo: sul gesto originario della
filosofia, Einaudi, Torino 2009 Icone della fine. Immagini apocalittiche, filmografie,
miti, il Mulino, Bologna 2010 Sincerità, Raffaello Cortina, Milano 2012 (tr.
francese, a c. di Robert Kremer, La sincérité, Salvator, Paris 2015) Gioacchino
da Fiore e la filosofia, il Prato, Padova 2013 Non ci resta che ridere, il
Mulino, Bologna 2013 Alfabeto delle proprietà. Filosofia in metafore e storie,
Moretti & Vitali Editori, Bergamo 2016 Esperienza. Filosofia e storia di
un'idea, Raffaello Cortina, Milano 2017 Filosofia dei cartoni animati. Una
mitologia contemporanea, Bollati Boringhieri, Torino 2019 Opere costituite da
raccolte di lezioni Cartografia intellettuale dell'Europa. La migrazione dello
spirito, a c. di Erminio Maglione, introduzione di Renato Rizzi, Mimesis
Edizioni, Milano-Udine 2018[8] Tempo a termine e tempo senza fine. Breve storia
figurale della temporalità, a c. di Caterina Piccione, con DVD-ROM delle
lezioni, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2018 Opere in collaborazione con altri
autori con Gianfranco Ravasi, Non desiderare la donna e la roba d'altri, il
Mulino, Bologna 2010 (tr. francese, a c. di Robert Kremer, Tu ne convoiteras
pas la femme d'autrui ni son bien, Salvator, Paris 2013) con Renato Corrado, Il
senso del dolore. Testimonianza e argomenti, Editrice San Raffaele, Milano 2011
con Claudio Bartocci e Piero Martin, Zerologia. Sullo zero, il vuoto e il
nulla, il Mulino, Bologna 2016 Edizioni scientifiche, curatele e traduzioni
Apocalisse di Giovanni, testo latino a fronte, prefazione di Andrea
Tagliapietra, traduzione e postfazione di Massimo Bontempelli, Feltrinelli,
Milano 1992 Platone, Fedone o sull'anima, testo greco a fronte, traduzione,
introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, saggio critico di Elisa Tetamo,
Feltrinelli, Milano 1994 (7ª ed., 2011) Gioacchino da Fiore, Sull'Apocalisse,
testo latino a fronte, introduzione, traduzione e cura di Andrea Tagliapietra,
Feltrinelli, Milano 1994 (2ª ed., 2008) Immanuel Kant-Benjamin Constant, La
verità e la menzogna. Dialogo sulla fondazione morale della politica,
introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, traduzioni di Silvia Manzoni e di
Elisa Tetamo, Bruno Mondadori, Milano 1996 Che cos'è l'Illuminismo? I testi e
la genealogia del concetto, introduzione e cura di Andrea Tagliapietra,
traduzioni di Silvia Manzoni e di Elisa Tetamo, Bruno Mondadori, Milano 1997 (2ª
ed., 2000) Rudolf Otto, Il sacro, introduzione, note e apparati di Andrea
Tagliapietra, traduzione di Ernesto Buonaiuti, Gallone Editore, Milano 1998
Voltaire-Rousseau-Kant, Sulla catastrofe. L'illuminismo e la filosofia del
disastro, introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, traduzioni di Silvia
Manzoni e di Elisa Tetamo, con un saggio di Paola Giacomoni, Bruno Mondadori,
Milano 2004 Immanuel Kant, La fine di tutte le cose, a cura e con un saggio di
Andrea Tagliapietra, traduzione di Elisa Tetamo, Bollati Boringhieri, Torino
2006 Alessandro Manzoni, La storia e l'invenzione. Scritti filosofici,
introduzione, note e apparati di Andrea Tagliapietra, il Prato, Padova 2014
Constantin-François de Chassebœuf de Volney, Le rovine, ossia meditazione sulle
rivoluzioni degli imperi, a cura di Andrea Tagliapietra e Marco Bruni,
introduzione di Andrea Tagliapietra, postfazione e traduzione di Marco Bruni,
Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2016 Ludwig Feuerbach, L'uomo è ciò che mangia,
a cura e con un saggio di Andrea Tagliapietra, traduzione e nota
biobibliografica di Elisa Tetamo, Bollati Boringhieri, Torino 2017
Louis-Sébastien Mercier, Montesquieu a Marsiglia, a cura di Andrea Tagliapietra
e Caterina Piccione, traduzione di Andrea Tagliapietra e Caterina Piccione, Inschibboleth,
Roma 2019 Immanuel Kant, Bisogna sempre dire la verità?, a cura di Andrea
Tagliapietra, traduzione di Elisa Tetamo, Raffaello Cortina Editore, Milano
2019 Alcuni saggi e articoli Kant e l'idea della fine, di Andrea Tagliapietra,
in Agalma, n. 19, aprile 2010, pp. 17–36. Il rischio e il limite, di Andrea
Tagliapietra, in Magazine, n. 1 (dossier Energia), Pearson, marzo 2012.
L'ultimo gesto di Socrate. Il pudore e l'enigma, di Andrea Tagliapietra, in
Spazio Filosofico, n. 5, maggio 2012. Tipologia del riso, di Andrea
Tagliapietra, in Fillide, n. 5, settembre 2012. Kant and the Idea of the End di
Andrea Tagliapietra, in European Journal of Psychoanalysis, n. 1, 2014/1, The
End. Corpo di pazienza di Andrea Tagliapietra, in European Journal of Psychoanalysis,
ISAP, Saggi ed Articoli (2016). Testi in rete Esser contro di Andrea
Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno I, n. 1 marzo-giugno 2002. Il
dono del filosofo. Il dono della filosofia di Andrea Tagliapietra, in XÁOS.
Giornale di confine, Anno I, n. 2 luglio - Ottobre 2002. Il giallo della
filosofia, di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno I, n. 3
novembre-febbraio 2002-2003. Il volto del potere di Andrea Tagliapietra, in
XÁOS. Giornale di confine, Anno II, n. 1 marzo-giugno 2003. La Lotteria di
Babele. Appunti filosofici su caso e fortuna nella società della comunicazione
di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno II, n. 2
luglio-ottobre 2003. L'apocalisse delle immagini. Esegesi del cinema di Wim
Wenders a partire da "Fino alla fine del mondo", di Andrea
Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno II, n. 3 novembre-febbraio
2003/2004. La gola del filosofo. Il mangiare come metafora del pensare di
Andrea Tagliapietra in XÁOS. Giornale di confine Anno IV, n. 1 marzo -giugno
2005/2006. Dire la verità. L'insistenza della critica di Andrea Tagliapietra,
in Giornale critico di storia delle idee, Anno IV, n. 8, 2012. Interviste e
video L'uomo è un animale che esita. Intervista con Andrea Tagliapietra di
Marco Dotti, in Vita, n. 6, 2017. Presentazione. Il dono del filosofo. Sul
gesto originario della filosofia in Inschibboleth WEB TV. Presentazione. Icone
della fine. Immagini apocalittiche, filmografie, miti Del senso della fine.
Dialogo con Andrea Tagliapietra di Marco Dotti, in Communitas, n. 4, 2012. RAI
Cultura: Andrea Tagliapietra: futuro, progresso e possibilità Lezione
magistrale al Festival di Filosofia (Modena 2018), Inganni. Finzioni di verità
e storia naturale dell'intelligenza Note ^ Eigentlichkeit und Dichtung? La
filosofia della sincerità di Andrea Tagliapietra, di Vincenzo Pinto ^ Il riso è
il proprio dell'uomo. Commento in margine a Non ci resta che ridere di Andrea
Tagliapietra, di Claudio Tugnoli ^ Se essere sinceri è una virtù crudele. Uno
studio fra storia e filosofia, di Umberto Galimberti, in "La
Repubblica", 3 gennaio 2004, pp. 42-43 ; Recensione ad Andrea
Tagliapietra, La virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità, di Claudio
Tugnoli, in "Dialeghestai. Rivista telematica di filosofia", anno VI,
2004 ^ Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su
premioletterarioviareggiorepaci.it. URL consultato il 9 agosto 2019. ^ Home
page del Giornale Critico di Storia delle Idee ^ Home page del Centro di
Ricerca in Storia delle Idee - CRISI ^ Home page di ICONE, Centro Europeo di
Ricerca di storia e teoria dell'immagine, su centroeuropeopalazzoborromeo.it.
URL consultato il 17 giugno 2018 (archiviato dall'url originale il 17 giugno
2018). ^ Ciclo di dieci lezioni teoriche, dette "Decadi", tenuto
nell'Aula Tafuri di Palazzo Badoer, a Venezia, dall'11 novembre 2015 al 29
gennaio 2016, nel quadro del Laboratorio di Progettazione Architettonica dello
IUAV diretto da Renato Rizzi e costituente il vol. I, Libro dello Studio, del
progetto "Lampedusa. La cattedrale di Solomon". Collegamenti esterni
(EN) Opere di Andrea Tagliapietra, su Open Library, Internet Archive. Modifica
su Wikidata Registrazioni di Andrea Tagliapietra, su RadioRadicale.it, Radio
Radicale. Modifica su Wikidata Pagina docente con informazioni biografiche e
bibliografiche sito dell'Università Vita-Salute San Raffaele. V · D · M
Vincitori del Premio Viareggio per la saggistica Controllo di autoritàVIAF (EN)
14833145 · ISNI (EN) 0000 0000 6155 709X · SBN IT\ICCU\CFIV\114763 · LCCN (EN)
n95016670 · GND (DE) 1105593339 · BNF (FR) cb122814839 (data) · WorldCat
Identities (EN) lccn-n95016670 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale
Filosofia Categorie: Scrittori italiani del XX secoloScrittori italiani del XXI
secoloFilosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloNati nel
1962Nati il 7 marzoNati a VeneziaVincitori del Premio Viareggio per la
saggistica[altre]
Tamburino
Tommaso Tamburino Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
navigationJump to search Tommaso Tamburini o Tamburino (Caltanissetta, 6 marzo
1591 – Palermo, 10 ottobre 1675) è stato un gesuita e filosofo italiano.
Indice 1Biografia 2Pensiero 3 Opere
3.1Traduzioni 4Bibliografia 5Collegamenti esterni Biografia Tommaso Tamburino
era figlio del giudice Fabrizio e di Agata Adelicia Tramontana. Entrò nella
compagnia di Gesù a quindici anni, restò a Caltanissetta dopo aver ricevuto gli
ordini, successivamente fu incaricato dell'insegnamento di retorica, di
filosofia e di teologia sistematica nel locale collegio gesuitico. A trent'anni
fu trasferito nel collegio di Messina per insegnare teologia morale e a
quarantacinque anni passò in quello di Palermo. Resse i collegi gesuitici di
Caltanissetta, Monreale e Palermo. Fu esaminatore delle curie arcivescovili di
Palermo e Monreale, consigliere e qualificatore nel Sant'Uffizio della
Inquisizione spagnola, ossia di esaminatore dei reati prima della loro
attribuzione alla competenza dell'Inquisizione. Tommaso Tamburini durante
un soggiorno romano, quale rappresentante della provincia gesuitica siciliana
alla undicesima congregazione generale della compagnia di Gesù, conobbe lo
scultore Johann Friedrich Greuter, che in quel periodo lavorava per la casa
generalizia dei gesuiti. Il teologo siciliano, apprezzandone le doti, gli
affidò l'incarico di incidere le immagini della Madonna. Realizzava finalmente
il progetto, da qualche anno vagheggiato, di dare alle stampe le notizie
preparate dal confratello Ottavio Gajetano, riguardanti appunto i luoghi del
culto mariano nell'isola, facendo illustrare l'opera con tavole riproducenti le
relative icone della Madonna. Così accanto all'imponente produzione
filosofica del Tamburini, restano anche due edizioni, una in latino ed una in
volgare, di un volume con 36 incisioni del ‘600, di raro pregio per la
raffinatezza dei disegni di Greuter; l'opera non fu firmata dal gesuita. Di
queste due edizioni si trovano rari esemplari che, per le limitazioni derivanti
dall'esaurimento delle "matrici", sono, per buona parte, prive delle
pagine in cui sono stampate le incisioni. Pensiero Il gesuita siciliano
nella conoscenza del peccato attribuisce importanza primaria alla cognitio
singulorum cioè alla capacità di valutazione dei singoli. Diverso è, infatti,
il peso delle colpe a seconda se a commettere l'infrazione è l'individuo colto
oppure l'ignorante. Nel primo prevale la vis ratiocinandi (forza della ragione)
e nel secondo la vis sentiendi (forza del sentimento). Ancora differenza c'è
tra l'actio humana e l'actio hominis essendo la prima compiuta in perfetta consapevolezza,
mentre nella seconda la coscienza è spesso condizionata dal patire passionale,
che può essere violentum, coactum, necessarium (violento, costretto,
necessario), venendo così a mitigare la colpa. Nel trasporto passionale
c'è dell'involontario, spesso frutto di ignoranza che rende la coscienza
erronea. Il tutto si traduce in una interpretazione benignista della epieìcheia
(prudenza), riprendendo in un certo modo la tradizione tomista. A sostenere
questa intensa produzione sul probabilismo, col rientro da Palermo a Genova di
Diana, rimase il Tamburino, le cui opere ebbero ampia diffusione in tutta
Europa, dalla metà del Seicento fino al riconoscimento della validità delle
tesi probabiliste ad opera di S. Alfonso de' Liguori che con la sua Theologia
Moralis mise sostanzialmente fine al rigorismo giansenista. Il
probabilismo del Tamburini incontrò ostilità negli ambienti religiosi più
vicini al rigorismo dei giansenisti. A contrastare le tesi del probabilismo i
più influenti furono i domenicani francesi, che spinsero il cardinale Retz, a
farsi portavoce presso la Santa Sede per l'emanazione di un provvedimento di
condanna. Nel 1665, papa Alessandro VII, sollecitato più volte, condannò il
probabilismo, furono censurate solo le tesi più estreme, senza peraltro
indicare i nomi degli autori. Nel 1679, un'altra condanna del
probabilismo veniva promulgata da papa Innocenzo XI, quattro anni dopo la morte
del Tamburini. Però questa volta il gesuita siciliano non subiva sanzioni ad
personam, così Tommaso Tamburini passò alla storia della teologia morale, come
padre della probabilità tenue. Con esso si chiuse il periodo d'oro della
esportazione della cultura teologica siciliana. Nel 1753 fu sancita la completa
riabilitazione del gesuita siciliano con la pubblicazione di Verità Vindicata
che Carlo Niceti diede alle stampe a Roma. Opere (Confronta anche la
"voce Tommaso Tamburini" in lingua inglese.) Gli scritti di
teologia morale del Tamburini sono stati riuniti nella Opera Omnia, edita più
volte in Italia e all'estero dal 1689. Methodus Expeditae Confessionis
(1647) Opuscola Tria de Confessione, Comunione et Sacrificio Missae (1649)
Expedita Decaloghi Explicatio. Libris decem digesta (1654) De Sacrificio Missae
Expedite Celebrando. Libri tres. (1656) Della Consolazione della Filosofia di
Anicio Manlio Boezio. Libri cinque. Traduzione di Tommaso Tamburino.(1657)
Juris Divini. Naturalis et Ecclesiastici Expedita Moralis Explicatio,
Complectens Tractationes tres, de Sacramentis, quae sunt de Jure Divino, de Contrattibus,
quos dirigit Jus Naturale, de Censuris et Irregularitate, quae sunt de Jure
Ecclesiastico. (1661) Tractatus de Bulla cruciata. (1663) Sanctissimae Deiparae
Cultus in Sicilia. (Nomen sublatum) (et 1663) Ragguagli delli Ritratti della
SS. Vergine Nostra Signora più celebri, che si riveriscono in varie Chiese
nell'isola di Sicilia. Opera postuma del R. P. Ottavio Cajetano della Compagnia
di Gesù. Trasportato nella lingua volgare. (1664) Germana Doctrina R. P. Thomae
Tamburini S. J. perspicue refellens impugnationes R. P. Vincentii Baronii
adversus illam allatas. (1666) Tractatus in Quinque Ecclesiae Praecepta. (1694)
[opera postuma] Tractatus de Jubileo Manoscritto.(senza data) Additamentum
continens aliquot epistolas, et levem vindicationem contra Joannem Sinichium
hybernum authorem libri Saul et Rex. Manoscritto. Bibl.Naz.Roma. Fondo
Gesuitico, ms.1236, cc278r-301v.(senza data) Traduzioni De consolatione
philosophiae (della Consolazione della Filosofia di Anicio Manlio Boezio. Libri
cinque. (1657) L'Anno dei Giorni Memorabili, scritto dal P. Gio. Nadasi della
Compagnia di Gesù. (senza data) Bibliografia V. Baron, Theologia moralis
adversus laxiores probabilistas, Parigi, Piget, 1665. R. Brouillard,
Dictionnaire de Théologie Catholique, Parigi, Letouzej, 1930. S. Burgio, Il
probabilismo in Sicilia, Catania, Soc. Storia Patria, 1998. V. Contenson,
Theologiae mentis of cordis, Tolosa, 1671. T. Deman, Probabilisme, Colonia,
1658. C. Hebermann, Enciclopedia cattolica, R. Appelton Company, 1913 M.
Petrocchi, Il problema del lassismo nel secolo XVII, Roma, Storia e
letteratura, 1953. J. Sinnichins, Saul et Pax, Lovanio, Nempaei, 1662.
Collegamenti esterni Tommaso Tamburino, su Treccani.it – Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Pietro Tacchi
Venturi, Tommaso Tamburino, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Tommaso Tamburino, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Tommaso
Tamburino, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Tommaso
Tamburino, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su
Wikidata Controllo di autorità VIAF
(EN) 69875611 · ISNI (EN) 0000 0001 0858 4045 · LCCN (EN) n82005010 · GND (DE)
124970540 · BNE (ES) XX826873 (data) · BAV (EN) 495/106982 · CERL cnp00946033 ·
WorldCat Identities (EN) lccn-n82005010 Biografie Portale Biografie Filosofia
Portale Filosofia Letteratura Portale Letteratura Categorie: Gesuiti
italianiFilosofi italiani del XVII secoloNati nel 1591Morti nel 1675Nati il 6
marzoMorti il 10 ottobreNati a CaltanissettaMorti a Palermo[altre]
Tafuri Matteo Tafuri Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Matteo Tafuri
Matteo Tafuri (Soleto, 8 agosto 1492 – Soleto, 18 novembre 1584) è stato un
filosofo e medico italiano. Fu un versatile e bizzarro ingegno, che dopo
studi universitari a Napoli, Parigi, Salamanca si ritirò nella sua natia Soleto
(nel Salento) dove aveva un cenacolo di allievi filosofi del platonismo
esoterico. Indice 1Biografia 2Note 3Bibliografia 4Voci correlate
Biografia Il "Socrate di Soleto", illustre rappresentante del
Rinascimento, fu una personalità eclettica ed un affascinante intellettuale dei
suoi tempi, amante della conoscenza e studioso e di molteplici campi del
sapere: alchimia, filosofia, astronomia, astrologia, medicina, fisiognomica,
magia naturale. Al centro dei suoi interessi vi era l'interesse e lo studio dei
fenomeni della Natura, l'Anima del Mondo, il miracolo e le meraviglie del
Creato e l'unicità irripetibile di ogni Essere Umano. Considerato alla
stregua di un "Nostradamus salentino" fu onorato e temuto per le sue
capacità divinatorie e fisiognomiche tanto da attribuirgli poteri occulti e
demonologici.[1] Un suo ritratto col rosso copricapo della Sorbona si
trova nel dipinto del 1580 (ad opera del galatinese Lavinio Zappa) della
Madonna del Rosario nella navata sinistra della Chiesa Matrice di Soleto. Fu
sepolto dapprima nella chiesetta di "S.Lorenzo (delli Tafuri)"
adiacente alla sua abitazione e poi, dopo la demolizione della cappella nel
1672, nel Monastero di San Nicola in una cassa di legno con lo stemma della
famiglia[2]. Sull'architrave della sua casa natale è inciso il
motto: «HUMILE SO ET HUMILTA' ME BASTA. DRAGON DIVENTARO' SE ALCUN ME
TASTA» Lo stemma della famiglia Tafuri nella casa natale di Soleto
Con quest'iscrizione Matteo Tafuri esprimeva e manifestava ai cittadini e a
chiunque passasse dalla sua dimora la sua mite natura caratteriale, mortificata
dalle ingiurie e maldicenze in conseguenza delle quali poteva trasformarsi,
ironicamente, attraverso alchimia e magia, in un dragone. Nella Soleto del
Cinquecento era diffusa la consuetudine di incidere sulle architravi delle
finestre, sui cornicioni dei balconi o all'interno di uno stemma, delle
epigrafi con la finalità di motto. Un proverbio, una citazione, un passo
letterario, filosofico, o religioso, e un pensiero personale descrivevano la
personalità e le attitudini del padrone di casa o invitavano il passante a
riflettere su un tema o un monito saggio e profondo.[3] Lo stemma della
famiglia, presente sulla porta della casa natia, è costituito da un albero di
quercia con due fulmini che si scagliano contro ma non lo colpiscono. Un'aquila
bicipite scolpita sopra fa pensare ad un'origine albanese della famiglia già
presente a Soleto nel XIV sec. Infatti molte famiglie albanesi e greche di
confessione cristiano-ortodossa e cattolica dal XIII al XVI secolo furono
costrette a fuggire ed alcune emigrarono nel Salento a causa dell'avanzata dei
Turchi mussulmani che occupavano i loro territori. "Del salentin
suol gloria ed onore" lo definisce il De Tommasi. E davvero egli fu, tra i
molti filosofi, scienziati ed eruditi che fiorirono in Puglia tra la metà del
XV secolo e l'inizio del XVII, il più universalmente noto. Partito da
Soleto per Napoli poco più che ventenne, per approfondirsi nella matematica e
nella medicina dopo la preparazione umanistica ricevuta a Zollino da Sergio
Stiso, vi tornò avanti negli anni, famoso in tutto il mondo e pieno di
gloria. Desideroso solo di pace fisica e mentale, aprì una pubblica
scuola di greco, latino, matematica, fisica e medicina.[4] Tra i suoi
allievi: Giovan Tommaso Cavazza - alchimista - Galatina (1540-1611)
Giovan Paolo Vernaleone - matematico - Galatina (1527-1602) Francesco Scarpa -
filosofo - Soleto (XVI sec) Quinto Mario Corrado - filosofo umanista - Oria
(1508-1575)[5] "Assiduo verso gli infermi", esercitò con zelo e
successo la professione di medico ma mentre era "di modello coi suoi
scritti, di ammirazione e rispetto coi suoi consulti" fu dalla ignoranza
popolana ritenuto un "Mago" perché cultore di scienze inusitate quali
l'Astronomia e l'Astrologia. Tornando da Padova, Parigi e Salamanca, cioè
dai più grandi centri culturali del tempo, sollevò certo le gelosie interessate
di coloro che non sapevano rassegnarsi al suo prestigio professionale. A ciò si
aggiunse il vigile sospetto della Curia Arcivescovile messa sull'avviso dal
Concilio di Trento. Egli che portò per tutto il mondo l'amore per il
suolo natio col nome di Matteo da Soleto, proprio in patria ebbe a difendersi
da accuse di stregoneria come spesso avviene a chi, uomo di scienza, si rende
filantropo. Fu più volte interrogato per le sue capacità di previsione del
futuro (divinatorie) ma fu sempre rilasciato innocente.[6] Il Codice
Vaticano 2264, è testimonianza - pressoché l'unica superstite - dell'impegno
speculativo di Matteo Tafuri. Da questo capostipite molti furono i Tafuri
medici o giureconsulti che da Soleto trasferirono poi la loro residenza a
Gallipoli - Nardò e Lecce - Galatone.Così troviamo nel "Liber
baptesimorum" dell'Archivio Parrocchiale di Soleto un Clericus Phisicus
Honofrius Taphurus filius eccellentissimi Doctori Francisci che nel 1670 è
padrino al battesimo di Diego Carrozzini. Il pronipote di Onofrio, Vincenzo
Maria fu sindaco di Gallipoli nel 1789 mentre il fratello di Onofrio, dottore
in giurisprudenza, visse presso la corte di Napoli dove morì nel 1699. Svariati
giureconsulti, medici e sindaci a Lecce e Galatone. Ricordiamo, non per ultimo,
fra Diego da Lequile (al secolo Diego Tafuri 1604-1673). Note ^ Manni, La
guglia di..., p. 30 ^Luigi Galante, Matteo Tafuri. Nuove rivelazioni da un
manoscritto secentesco, pag.12, in 'Il filo di aracne' anno viii- n°5,
novembre/dicembre Galatina, 2013 ^ Manni, La guglia, l'astrologo..., p.41 ^
Bernari, p. 42 ^ Istoria scrittori Regno di Napoli G.B.Tafuri Vol.3 1752 ^
Bernari, p.60 Bibliografia Bernari, A., Il mago di Soleto: Matteo Tafuri, Milano,
2009. De Tommasi, G.B., Matteo Tafuri in "Biografia degli uomini illustri
del Regno di Napoli" tomo VIII, Napoli, 1822. del Balzo di Presenzano, A.,
I del Balzo ed il loro tempo, Napoli, 2003. Manni, L., Guida di Soleto,
Galatina, 1992. Manni, L., La guglia di Soleto, Galatina, 1994. Manni, L., La
guglia, l'astrologo, la macàra, Galatina, 2004. Montinari, M., Soleto, Fasano,
1993. Tafuri, G.B., Istoria degli Scrittori del Regno di Napoli, Napoli, 1744.
D. Bacca "Personaggi del sole culturale", Lecce 2008 Voci correlate
Alchimia Galatina Giovanni Battista Della Porta Orsini Orsini Del Balzo Guglia
di Raimondello Soleto Controllo di autoritàVIAF (EN) 23193525 · ISNI (EN) 0000
0000 2065 1776 · LCCN (EN) no2014114791 · GND (DE) 128483709 · BNF (FR) cb145131719
(data) · CERL cnp00494074 · WorldCat Identities (EN) lccn-no2014114791
Biografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di
biografie Categorie: Filosofi italiani del XVI secoloMedici italianiNati nel
1492Morti nel 1584Nati l'8 agostoMorti il 18 novembreNati a SoletoMorti a
Soleto[altre]
TarantinoF Filippo Tarantino Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Filippo Tarantino
(Gravina in Puglia, 1943) è un filosofo e scrittore italiano .[1] In ambito filosofico
è noto per i suoi studi sul filosofo Giuseppe Tarantino, col quale è
imparentato[senza fonte], e per aver fondato insieme a Gerardo Marotta la
sezione dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli (intitolata a
Giuseppe Tarantino) di cui è stato anche presidente[senza fonte]. Come
scrittore, ha anche scritto alcuni saggi su temi quali la pedagogia, la
psicologia e l'Umanesimo.[1] Indice 1Biografia 2Cariche ricoperte
3Opere 4Note 5Voci correlate 6Collegamenti esterni Biografia Filippo Tarantino
nasce nel 1943. Dopo la laurea in storia e filosofia, diviene insegnante delle
stesse materie per i licei italiani; in particolare, insegnerà al liceo
scientifico Federico II di Svevia di Altamura dove uno dei suoi studenti sarà
l'attore Sergio Rubini.[2] Nel 1991 viene nominato dirigente scolastico
del Liceo classico Luca de Samuele Cagnazzi di Altamura, portando la scuola al
più alto numero di studenti mai raggiunto. Manterrà la carica fino al
raggiungimento della pensione, avvenuta agli inizi degli anni 2010. Nel
2011, in qualità di dirigente scolastico, si recò a Tokyo, in Giappone insieme
a sua moglie per una "visita preparatoria di incontro tra scuole".
Durante la sua permanenza si verificò un violento terremoto, che gli causò
paura e notevoli disagi con un volo di ritorno pagato 4000 euro e un'assistenza
a quanto pare insufficiente da parte delle autorità consolari del posto.
[3] Cariche ricoperte Dirigente scolastico del Liceo classico Luca de
Samuele Cagnazzi (1991- inizi anni 2010) Presidente di circoscrizione del Lions
Club Puglia[4] Consigliere di Club del Lions Club Altamura Host[5] Presidente
dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (IISF) di Napoli[senza fonte]
Opere Speranze e proposte formative nel primo Novecento. La lezione di Giuseppe
Tarantino, Bari, 1995.[1] Dietro la ruota. Infanzia pregiata, Levante, 1995,
ISBN 978-8879490924. Lezioni di volo, Bari, 2002.[1] L'inconscio e la coscienza
nel pensiero di Giuseppe Tarantino, Bari, 2014.[1] L'Umanesimo mediterraneo.
Orizzonte storico-culturale per la costruzione di una cittadinanza cosmopolita,
2015, ISBN 978-8867171712. Storia antica e moderna dell'Ordine del Tempio,
Nisroch, 2018, ISBN 978-8894168303. L'Umanesimo scientifico di Giuseppe
Tarantino, Aracne Editrice, 2019, ISBN 978-8825522563. Note
http://www.aracneeditrice.it/index.php/autori.html?auth-id=407986 ^
http://teatro.liceocagnazzi.edu.it/storia-della-rassegna/ ^
https://www.altamuralife.it/notizie/la-testimonianza-di-un-gravinese-in-giappone-durante-il-terremoto/
^
https://www.lions108ab.it/wp-content/uploads/2015/06/Rivista-Lions-numero-4.compressed.pdf
^ https://www.lions.it/data/club.php?id=21110 Voci correlate Giuseppe Tarantino
Liceo classico Luca de Samuele Cagnazzi Collegamenti esterni Sito web ufficiale
e blog di Filippo Tarantino Biografie Portale Biografie Filosofia Portale
Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI
secoloScrittori italiani del XX secoloScrittori italiani del XXI secoloNati nel
1943Nati a Gravina in Puglia[altre]
TarantinoG Giuseppe Tarantino Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Nota disambigua.svg
Disambiguazione – Se stai cercando il politico italiano del XXI secolo, vedi
Giuseppe Tarantino (politico). Giuseppe Tarantino (Gravina in Puglia, 22 luglio
1857 – Gravina in Puglia, 25 gennaio 1950) è stato un filosofo italiano e
docente di filosofia morale e di pedagogia a Pisa[1]. Indice 1 Biografia
2Opere[4] 3Note 4Bibliografia 5Voci correlate 6Collegamenti esterni Biografia
Giuseppe Tarantino nacque a Gravina in Puglia da Filippo Tarantino, nobile
locale, e Arcangela Maria Letizia Spagnuolo.[2]
Studiò nel ginnasio della sua città, sotto la guida dello zio materno
Nicola. Compì gli studi superiori a Pisa, dapprima come studente all'università
della stessa città e successivamente come allievo della Scuola normale
superiore di Pisa. Iniziò gli studi sotto la guida di Francesco Fiorentino. A
ventidue anni conseguì la laurea in Lettere e Filosofia e seguì a Napoli il
maestro Fiorentino fino alla sua morte, nel 1884.[2] In sua memoria dedicò al suo maestro il suo
primo libro, intitolato I Saggi Filosofici e pubblicato nel gennaio 1885; nello
stesso anno ottenne la docenza in filosofia teoretica. Inizia ad acquisire
notorietà grazie ai saggi critici che pubblica sul Giornale Napoletano. Nel
1887 ottiene la cattedra di filosofia nel Liceo Antonio Genovesi di Napoli. Per
ben dieci anni, lavorò all'opera Saggio sulla Volontà, pubblicato nel 1897.
Ebbe anche una breve relazione con la fiorentina Bice, anche se era
sentimentalmente legato ad un'altra donna di Gravina, conosciuta nel 1891 a
Napoli, alla quale dedicò particolare cura. Dopo aver vinto il relativo
concorso, gli fu assegnata la cattedra di filosofia teoretica all'Università di
Palermo, ma per motivi sentimentali vi rinunciò.[2] Insegnò dal 1886 al 1888 al Liceo Marciano,
anno in cui ottiene la cattedra di filosofia nel Liceo Genovesi. Per un periodo
abbandonò la sua relazione sentimentale per ritornare a lavorare sulle sue opere.
Agli inizi del Novecento, vinse il concorso per la cattedra di filosofia morale
dell'Università di Pisa e questa volta accettò. A Pisa insegnò anche alla
Scuola di Pedagogia, dove tra i suoi insegnanti figurò anche il futuro ministro
Giovanni Gentile. La sua notorietà crebbe sempre più grazie ad alcuni suoi
saggi critici pubblicati sulla Rivista di Filosofia Scientifica di Morselli, il
più noto dei quali è su Locke.[2] Tra i
suoi ex-studenti di Pisa più noti figurano Enrico De Nicola e il marchese Francesco
Dentice di Accadia, prefetto di Pisa. Nell'ultima parte della sua vita tornò
nella sua città natale Gravina in Puglia, dove visse nella casa di un nipote
suo omonimo che aveva studiato sotto la sua egida a Pisa. Nel 1947 donò alla
biblioteca "Ettore Pomarici Santomasi" di Gravina in Puglia una parte
cospicua dei suoi libri.[3] A lui è
stato intitolato il liceo scientifico della sua città natale Gravina in
Puglia. Opere[4] Appunti di Filosofia ad
uso dei giovani del Liceo, Filippo Toso, Aversa 1885. Saggi filosofici, Napoli,
Vincenzo Morano, 1885. Studio storico su Giovanni Locke, in Rivista di
Filosofia, II, Milano-Torino, F.lli Dumolard, 1886. Saggio sul criticismo e
sull'associazionismo di Davide Hume, Napoli, Vincenzo Morano, 1887. In morte di
Michelangelo Calderoni, Vecchi, Trani 1889. Saggio sulla volontà, Napoli, Tip.
editrice F. di Gennaro e A. Morano, 1897. In morte di Antonietta Cagiati, nella
necrologia per Gaetano e Antonietta Cagiati, Napoli 1898. Saggio sulle idee
morali e politiche di Tommaso Hobbes, Napoli, Tip. F. Giannini & Figli,
1900 Il problema della morale di fronte al positivismo e alla metafisica, Pisa,
Tip. A. Valenti, 1901. Il principio dell'etica e la crisi morale contemporanea,
Napoli, A. Tessitore & figlio, 1904. Il concetto dello stato ed il
principio di nazionalità, Napoli 1917 Discorso preposto alle traduzioni dal
latino, dall’inglese e dal francese di G. Sottile. Napoli 1917. Leonardo da
Vinci e la scienza della natura. Nel centenario di L. da Vinci, 1919. La
politica e la morale. Discorso , Pisa, Tipografia editrice cav. F. Mariotti,
1920. Sulla riforma universitaria, in «Rivista di filosofia» 1921. Note ^ Cfr.
Gabriele Turi, Giovanni Gentile: una biografia, Firenze, Giunti, 1995, ISBN
88-09-20755-6, p. 219. (Parzialmente consultabile in Google Libri.) tarantino-inconscio-2014, pagg. 55-62. ^
tarantino-inconscio-2014, pagg. 61-62. ^ tarantino-inconscio-2014, pag. 99.
Bibliografia Filippo Tarantino, Liborio Dibattista, Rosalba Pappalardi e Angelo
Recchia-Luciani, L’inconscio e la coscienza nel pensiero di Giuseppe Tarantino
(PDF), a cura di Filippo Tarantino, Mario Adda Editore, 2014, ISBN
9788867171217. Filippo Tarantino, Speranze e proposte formative nel primo
Novecento. La lezione di Giuseppe Tarantino, Bari, Levante, 1995. ISBN
88-7949-097-4 Beniamino D'Amato, Orazione funebre in onore di Giuseppe
Tarantino (PDF). Voci correlate Filippo Tarantino Collegamenti esterni Scheda
biografica nel sito del Liceo statale Giuseppe Tarantino di Gravina in Puglia.
Controllo di autoritàVIAF (EN) 23865590 · ISNI (EN) 0000 0000 6161 6539 · SBN
IT\ICCU\SBNV\009819 · LCCN (EN) n96062928 · BAV (EN) 495/332623 · WorldCat
Identities (EN) lccn-n96062928 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale
Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XIX secoloFilosofi italiani del XX
secoloNati nel 1857Morti nel 1950Nati il 22 luglioMorti il 25 gennaioNati a
Gravina in PugliaMorti a Gravina in Puglia[altre]
Tari Antonio Tari Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Antonio Tari
Antonio Tari (Villa Santa Maria Maggiore, 1º luglio 1809 – Napoli, 15 marzo
1884) è stato un filosofo, scrittore e critico musicale italiano.
Indice 1Profilo 2Il filosofo “giullare di Dio” 3Musica ed Estetica 4Opere
principali 5Note 6Bibliografia 7Collegamenti esterni Profilo Epigrafe
situata alla destra del portone d'ingresso del palazzo dove nacque Antonio Tari
Di famiglia originaria di Terelle, nel Frusinate, nacque in un palazzo
seicentesco della non distante Villa Santa Maria Maggiore, l'odierna Santa
Maria Capua Vetere, anch'essa rientrante in Terra di Lavoro, da un impiegato
che si trovava lì di passaggio [1]. Il palazzo natìo, conosciuto come palazzo
Mazzocchi, ove aveva schiuso gli occhi anche l'archeologo Alessio Simmaco
Mazzocchi [2], era situato nell'allora strada della Croce, l'odierna via
Mazzocchi, ed è oggi gravemente degradato. Studiò a Montecassino, dove
conobbe Silvio Spaventa. Nel 1830 si trasferì a Napoli dove si laureò in
giurisprudenza e iniziò la professione di avvocato [3]. Ben presto però
all'avvocatura preferì la filosofia, la letteratura e la musica, unendosi
all'amico Spaventa, a Cusano, a Francesco de Sanctis e ad altri pensatori
liberali dell'epoca e collaborando a vari giornali letterari partenopei. Nel
1861 fu eletto deputato per il collegio di S. Germano, ma rifiutò il mandato
per dedicarsi all'insegnamento. Infatti lo stesso anno era entrato per concorso
nella Regia Università di Napoli, divenendo il primo cattedratico di estetica
in Italia, nello stesso periodo in cui vi insegnavano anche Francesco de
Sanctis, Luigi Settembrini, Silvio Spaventa e Giovanni Bovio [4]. Vi insegnò
per oltre un ventennio, fino alla sua morte. Si dedicò a vari rami della
filosofia e delle scienze del linguaggio, traducendo anche, per la casa
editrice Detken, opere di autori stranieri all'epoca non molto noti come Leon
Brothier [5], Sigismond Zaborowski-Moindron [6] e Eugene Noel [7], traduzioni
pubblicate tra il 1881 e il 1885. Il suo sistema estetico, variamente
criticato, in particolare per la scarsa originalità, si caratterizzava per una
vivacità espressiva, con ricche e talvolta variopinte esemplificazioni, che
peraltro ne resero celebri e molto frequentate le lezioni universitarie. Parte
significativa dei suoi studi filosofici fu pubblicata postuma. Il
filosofo “giullare di Dio” Benedetto Croce, nei saggi critici della Letteratura
della Nuova Italia, definì Tari «giullare di Dio», vale a dire, per riprendere
le parole dello stesso Croce, il «lieto giullare della filosofia». Il pensatore
abruzzese spiegava, al riguardo, che Tari non ebbe mai nemici, riuscendo a
farsi ben volere sia dagli amici sia dagli avversari, che «prendeva a
braccetto, e li menava a spasso con sé, divertendosi a contradirli e a sentirsi
contradetto». Quasi ad avallare la definizione sopra riportata, il
pensatore abruzzese ebbe anche a rilevare che la bizzarra genialità di Tari
«gli faceva trovare piacere nei ravvicinamenti e collegamenti più disparati e
più comici: della frase sublime con la scherzosa, del ricordo solenne con
l'aneddoto salace, del linguaggio latino o del tedesco col vernacolo
napoletano. Parla in gergo, ma in gergo che è quintessenza di cultura e
stravagante miscuglio di elementi geniali» [8]. A proposito dell'opera
"Manuale di estetica" del Tari (inedita), Croce disse:
«Filosofo di professione ed uomo di dottrina enciclopedica, nonostante tutta la
sua perizia filosofica, la sua sterminata dottrina e il suo molto acume, il
Tari fu soprattutto un bizzarro artista. La sua concezione metafisica non gli
concedeva una trattazione veramente logica dei problemi. Ma la sua personalità,
vibrante di commozione innanzi alle opere dell'arte, riboccante di entusiasmo,
dotata di bontà e di nobiltà di sentire, gli ispirava pagine che sono di una
specie assai rara nella nostra letteratura.» Musica ed Estetica L'essenza
giocosa si mischiava, confondendosi, con un'acuta critica, che si
rivolgeva a tutti i campi in cui l'estetica si sostanziava e, in particolare,
ad una delle “arti” al quale Tari era più attratto: la musica. Tra il
serio e il faceto, infatti, il filosofo, dopo aver pubblicato nel 1879 un
interessante studio critico su Serietà e ludo, compose un saggio musicale, con
tanto di note, dal titolo in tal senso emblematico di Lezioni di estetica generale
[9]. Questo indirizzo lo portò ad occuparsi, scrivendone nel 1883, anche
sulla celebre pastorale di Beethoven [10]. Opere principali Estetica
ideale, Tip. del Fibreno, Napoli 1863; Ente spirito e reale. Confessioni
filosofiche, Stamperia della Regia Università, Napoli 1872; Opera, melodramma,
dramma: nota critica, Tip. della Regia Università, Napoli 1878; Serietà e ludo:
saggio critico, Tip. della Regia Università, Napoli 1879; Saggi di critica, con
prefazione di R. Cotugno, Tip. Vecchi, Trani 1886; Saggi di estetica e
metafisica, a cura di B. Croce, Laterza, Bari 1910; Estetica esistenziale, a
cura di M. Leotta, Morano, Napoli 1987 L'estetica reale, a cura di F.
Solitario, Prometheus, Milano 2003 Note ^ A. Lauri, Dizionario dei cittadini
notevoli di Terra di Lavoro antichi e moderni, Arnaldo Forni Editore, Bologna
1979 (ed. or. Sora 1915). ^ A. Perconte Licatese, Alessio Simmaco Mazzocchi,
Ed. Spartaco, Santa Maria Capua Vetere 2001. ^ A. Perconte Licatese, Santa
Maria di Capua. Storia e monumenti della città di Santa Maria Capua Vetere,
vol. II, Tip. Stampa Sud, Curti 1983. ^ A. Lauri, op. cit., p. ^ L. Brothier,
Storia popolare della filosofia, trad. di A. Tari, Detken, Napoli 1881. ^ S.
Zaborowski-Moindron, Origine del linguaggio, trad. di A. Tari, Detken, Napoli
1882. ^ E. Noel, Voltaire e Rousseau, trad. di A. Tari, Detken, Napoli 1885. ^
B. Croce, La letteratura della Nuova Italia. Saggi critici, vol. I, Laterza,
Bari 1967, pp. 403-409. ^ A. Tari, Lezioni di estetica generale, a cura di C.
Scamaccia-Luvara, Tocco, Napoli 1884. ^ A. Tari, Beethoven e la sua sinfonia
pastorale. Saggio critico, Tip. della Regia Università, Napoli 1883.
Bibliografia Benedetto Croce, La letteratura della nuova Italia. Saggi critici,
vol. I, Laterza, Bari 1967. Massimo Leotta, La filosofia di Antonio Tari,
Istituto Italiano per gli Studi Storici, Napoli 1983. Francesco Solitario,
Antonio Tari nella "Critica" di Benedetto Croce. Contributo per un
recupero, Prometheus, Milano 1998. Francesco Solitario (a cura di), L'Estetica
di Antonio Tari e la cultura filosofica meridionale del suo tempo, Prometheus,
Milano 2007. Collegamenti esterni Antonio Tari, su Treccani.it – Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Antonio
Tari, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica
su Wikidata (EN) Opere di Antonio Tari, su Open Library, Internet Archive.
Modifica su Wikidata Antonio Tari, su storia.camera.it, Camera dei deputati.
Modifica su Wikidata AA. VV., «Tari, Antonio» in Dizionario di filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Archivi di Teatro Napoli, Foto di
Antonio Tari [collegamento interrotto], su cir.campania.beniculturali.it. URL
consultato il 17-07-2013. Controllo di autoritàVIAF (EN) 22134164 · ISNI (EN)
0000 0000 6119 7362 · LCCN (EN) n2002093604 · GND (DE) 119351757 · BNF (FR)
cb10927439z (data) · BAV (EN) 495/90041 · CERL cnp01314199 · WorldCat
Identities (EN) lccn-n2002093604 Biografie Portale Biografie Letteratura
Portale Letteratura Categorie: Filosofi italiani del XIX secoloScrittori
italiani del XIX secoloCritici musicali italianiNati nel 1809Morti nel 1884Nati
il 1º luglioMorti il 15 marzoMorti a NapoliDeputati dell'VIII legislatura del
Regno d'Italia[altre]
Tartarotti Girolamo Tartarotti Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Girolamo
Tartarotti Girolamo Tartarotti (Rovereto, 2 gennaio 1706 – Rovereto, 16 maggio
1761) è stato un abate, letterato e filosofo italiano. Chiamato anche
Gerolamo Tartarotti, divenne famoso per aver contrastato i processi contro le
streghe e per aver osteggiato la devozione per il vescovo del XII secolo
Adelpreto, mettendone in discussione santità e martirio. Indice
1Biografia 2Lo studioso 3La biblioteca 3.1La prima biblioteca pubblica a Rovereto
4Tartarotti e gli agiati 5Opere 6Note 7 Bibliografia
8Voci correlate 9Altri progetti 10Collegamenti esterni Biografia Girolamo
Tartarotti nacque a Rovereto dal giureconsulto Francesco Antonio e da Olimpia
Camilla Volani, discendente dell'antica famiglia dei Serbati. Impersonò
la figura dell'intellettuale che non si lascia limitare dal luogo nel quale
nasce, cioè nel Trentino, lontano dai grandi centri culturali del tempo. Egli
seppe anzi sfruttare le opportunità e le peculiarità della città di Rovereto,
al confine tra mondo tedesco e italiano, in un periodo storico nel quale
rifiorirono i commerci e i rapporti economici, grazie al suo trovarsi su una
delle principali vie di comunicazione in Europa. Suo merito fu la capacità di
saper tessere legami con intellettuali italiani e stranieri che risiedevano a
Venezia, Roma, Salisburgo, Torino, Brescia, Vienna, Innsbruck. Utrecht e
Parigi.[1] Studiò inizialmente nell'Imperial Regio Ginnasio di Rovereto e
poi continuò come autodidatta. Si interessò di filosofia, che seguì presso
l'Università di Padova sino a quando difficoltà economiche familiari non lo
obbligarono a tornare nelle città natale. Al suo ritorno si interessò
personalmente per far insediare nella Città della Quercia la stamperia del
tipografo veronese Pierantonio Berno e, nel 1730, fondò la prima accademia
cittadina, l'Accademia dei Dodonei. Compì viaggi a Verona, dove conobbe
Scipione Maffei e altri studiosi, poi ad Innsbruck, dove rimase alcuni mesi
come precettore, e in seguito si trasferì a Roma, come segretario del Cardinale
Domenico Silvio Passionei. Casa dove abitò Girolamo Tartarotti, in
Via Garibaldi 61, a Rovereto, prima di trasferirsi in Via della Terra Dal 1730
al 1751, durante le sue permanenze roveretane, visse nella stessa casa dove
abitavano Giuseppe Valeriano Vannetti e Bianca Laura Saibante, e dove questi
iniziarono a tenere un vivace salotto letterario che portò, probabilmente su
ispirazione dello stesso Tartarotti, alla nascita dell'Accademia degli
Agiati.[nota 1] Il soggiorno romano fu relativamente breve, per contrasti
col Cardinale, quindi fece ritorno a Rovereto. Nel 1739, morì il fratello
Jacopo, e nel 1741 si trasferì a Venezia, come collaboratore del futuro Doge
Marco Foscarini. Nel 1743 ebbe discussioni anche con Foscarini e tornò ancora
una volta a Rovereto, da dove non si allontanò più.[2] I viaggi di
Girolamo Tartarotti furono in definitiva relativamente pochi e di breve durata,
e trascorse la maggior parte della sua vita matura a Rovereto. Si dimostrò poco
propenso ad accettare l'aiuto di ricchi mecenati che lo avrebbero limitato
nella sua libertà e approfittò delle occasioni che gli venivano offerte lontano
dalla sua città per comprare libri o incontrare altri studiosi.[3] Lo
studioso Sin dagli anni giovanili Tartarotti si dedicò agli studi letterari
interessandosi della poesia toscana e scrivendo egli stesso varie composizioni
poetiche. Approfondì tematiche della filosofia scolastica e scrisse trattati
critici nei confronti di questa. Collaborò con Angelo Calogerà per la sua
Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, e venne in polemica con Trento
dimostrando, in una sua pubblicazione, che la città tridentina divenne sede
episcopale solo nel IV secolo e non al tempo dei primi apostoli. Nel 1749
pubblicò Congresso notturno delle Lammie, la sua opera più nota, nella quale
dichiarò inesistente la stregoneria come la si voleva descrivere al suo tempo,
e questo sulla base della logica, della scienza e della stessa ortodossia dei
cattolici. Collaborò con Ludovico Antonio Muratori pubblicando nel suo
venticinquesimo tomo dei Rerum Italicarum scriptores le sue conclusioni
relative alla cronaca di Andrea Dandolo e correggendone le fonti nelle sue basi
documentarie.[4] Durante i suoi ultimi anni continuò nelle indagini storiche
alla quali aveva dedicato gran parte della sua vita e arrivò a dimostrare, ad
esempio, che era sbagliata la venerazione dei trentini per Adelpreto, Vescovo
di Trento. La sua tesi era spiegata nella Lettera intorno alla santità e
martirio di Alberto vescovo di Trento, del 1754. Uno dei suoi ultimi lavori,
sempre legato a questo tema: Notizie istorico-critiche intorno al B.M.
Adalpreto vescovo di Trento venne messa al rogo su disposizione del principe
vescovo Francesco Felice Alberti di Enno nel 1761. Intanto la salute di
Girolamo Tartarotti peggiorava, e lo studioso morì il 16 maggio dello stesso
anno, senza sapere del suo libro bruciato a Trento.[5] Fu sepolto nella chiesa
arcipretale di San Marco dove una targa a lato della porta d'ingresso lo ricorda.[6]
La biblioteca Sempre amante dei libri, quando non gli fu possibile viaggiare
per acquistarli personalmente si affidò a contatti che col tempo divennero per
lui preziosi per procurarseli. A Verona poté contare su Ottolino Ottolini, a
Brescia su Gianmaria Mazzucchelli, a Modena su Ludovico Antonio Muratori e a
Venezia su Gian Rinaldo Carli. A Rovereto fu molto vicino a Giuseppe Valeriano
Vannetti, dal 1750 segretario dell'Accademia Roveretana degli Agiati, e anche
da lui ebbe aiuti per procurasi i testi dei quali aveva bisogno per i suoi
studi. Al Vannetti fu legato anche per altri motivi, essendo stato per vari
anni precettore di Bianca Laura Saibante, futura moglie di Giuseppe Valeriano,
e del fratello di lei, Francesco. Il Tartarotti si procurò libri anche
grazie a donazioni, eredità e prestiti.[7] Al momento della sua morte,
per esplicita volontà testamentaria, la sua ricca biblioteca venne donata
all'Ospedale dei Poveri Infermi di Loreto, retta dalla Confraternita dei Santi
Rocco e Sebastiano. La Confraternita tuttavia, poco dopo, decise di metterla in
vendita, offrendola per primo al Comune di Rovereto. In quell'occasione
Giuseppe Valeriano Vannetti e Francesco Saibante si spesero affinché tale
importante acquisizione culturale per Rovereto avesse successo, e l'atto di
compravendita venne registrato il 22 gennaio 1764.[8] La prima biblioteca
pubblica a Rovereto Nel 1764, tre anni dopo la morte di Tartarotti, venne così
creata la prima biblioteca aperta al pubblico a Rovereto. Le intenzioni dello studioso
non furono queste, tuttavia fu proprio il nucleo dei suoi testi ad essere
destinato a questa importante iniziativa culturale, perché sino a quel momento
esistevano in città solo biblioteche appartenenti a privati, come ad esempio
quella dei Rosmini, dei Vannetti, dei Saibante, oppure conservate in conventi;
si stava formando anche quella dell'Accademia Roveretana degli Agiati,
sicuramente molto importante, ma nessuna di queste destinata alla consultazione
di chiunque.[9] Il totale delle opere appartenenti a Tartarotti che
confluì nella biblioteca ammontava originariamente a 2.027 volumi e a 13
manoscritti. Per quanto riguarda i luoghi di pubblicazione dei volumi, quasi il
30% di essi proveniva da Venezia.[10] I volumi raccolti durante tutta la
vita da Girolamo Tartarotti costituirono così il primo nucleo della Biblioteca
Civica di Rovereto, che in seguito fu a lui dedicata.[11] Tartarotti e
gli agiati Lo studioso, come sopra ricordato, fu molto attivo a Rovereto e si
spese per portare una maggior apertura culturale in città facilitando l'arrivo
di un tipografo, fondando l'Accademia dei Dodonei, svolgendo il ruolo di
precettore per due dei fondatori dell'Accademia Roveretana degli Agiati, ma non
divenne mai un socio di quella istituzione. Le ragioni del suo rifiuto di
far parte di quell'Accademia, che pure rispondeva a molte delle esigenze che
sentiva anche sue, furono diverse. La principale fu la forte inimicizia con
Scipione Maffei, e il fatto che l'uomo di lettere veronese fosse entrato tra i
primi come socio aggregato dell'associazione. Questo fece sì che non
partecipasse alle riunioni del nascente sodalizio culturale
roveretano.[1] Opere Casa di Girolamo Tartarotti, in via della
Terra 15, a Rovereto Si riporta qui una piccola selezione di alcuni lavori di
Girolamo Tartarotti, da non intendersi come fonti di questa pagina ma come
approfondimento e confronto. Ragionamento intorno alla poesia lirica
toscana (1728) Delle disfide letterarie, o sia pubbliche difese di conclusioni
(1735) De auctoribus ab Andrea Dandulo laudatis in Chronico Veneto (1751)
Apologia del Congresso notturno delle Lammie (1751) Memorie antiche di Rovereto
e dei luoghi circonvicini (1754) Apologia delle Memorie antiche di Rovereto
(1758) Lettera seconda di un giornalista d'Italia ad un giornalista
oltramontano sopra il libro intitolato: Notizie istorico-critiche intorno al
b.m. Adalpreto Vescovo di Trento (1760) Alcune opere pubblicate nella Raccolta
d'opuscoli scientifici e filologici curata da Angelo Calogerà: Relazione
d'un manoscritto dell'Istoria manoscritta di Giovanni Diacono veronese (1738)
Dissertazione intorno all'arte critica (1740) Lettera al sig. N.N. intorno alla
sua tragedia intitolata il Costantino (1741) Lettera intorno alla differenza
delle voci nella lingua italiana (1745) Alcune opere pubblicate postume:
Osservazioni sopra la Sofonisba del Trissino con prefazione del cav. Clementino
Vannetti (1784) La conclusione dei frati francescani riformati (postumo, 1785)
Annotazioni al Dialogo delle false esercitazioni delle scuole d'Aonio Paleario
(1795) Note Annotazioni ^ Ipotesi avanzata da Gianmario Baldi, Direttore della
Biblioteca civica G. Tartarotti e membro dell'Accademia Roveretana degli Agiati
G.Baldi, p.50. Fonti M.Farina, pp.9-14. ^ Mostra Tartarotti, p.4. ^
Mostra Tartarotti, p.11. ^ (LA) Lodovico Antonio Muratori, Rerum Italicarum
scriptores. 25, Mediolani, ex typographia Societatis Palatinae in Regia Curia,
1751. URL consultato il 22 giugno 2016. ^ Mostra Tartarotti, pp.5,6. ^
R.Trinco, pp.109-111. ^ Mostra Tartarotti, pp.15.19. ^ Mostra Tartarotti,
pp.31.34. ^ Mostra Tartarotti, pp.38.39. ^ Mostra Tartarotti, p.52. ^ Sito
Biblioteca Civica G. Tartarotti, su bibliotecacivica.rovereto.tn.it, Comune di
Rovereto. URL consultato il 23 giugno 2016. Bibliografia Gianmario Baldi, La
Biblioteca civica Girolamo Tartarotti di Rovereto: contributo per una storia,
Calliano,Trento, Manfrini, 1995, SBN IT\ICCU\VEA\0082515. Marino Berengo, La
letteratura italiana - Storia e testi" - vol. XLIV - tomo I, Milano-Napoli,
Ricciardi, 1978. Leonardo Franchini, Adversum malleum maleficarum, biografia
del filosofo pre-illuminista roveretano Girolamo Tartarotti, Rovereto, Stella,
2008. Nicola Cusumano, Ebrei e accusa di omicidio rituale nel Settecento. Il
carteggio tra Girolamo Tartarotti e Benedetto Bonelli (1740-1748), Milano,
Unicopli, 2012. Marcello Farina, Antonio Rosmini e l'Accademia degli Agiati,
Brescia, Morcelliana Edizioni, 2000, ISBN 88-372-1805-2. testi di Serena
Gagliardi, Elena Leveghi e Rinaldo Filosi, La Biblioteca di Girolamo
Tartarotti: intellettuale roveretano del Settecento : Rovereto, Palazzo
Alberti, 11-31 ottobre 1995, Rovereto, Provincia autonoma, Servizio beni
librari e archivistici,Comune di Rovereto, Biblioteca civica G. Tartarotti,
1995, ISBN 88-86602-03-0. Renato Trinco, San Marco in Rovereto : la chiesa
arcipretale tra storia, arte e devozione, Mori, La grafica, 2007, ISBN
88-86757-60-3. Voci correlate Accademia Roveretana degli Agiati Bianca Laura
Saibante Biblioteca civica G. Tartarotti Clementino Vannetti Altri progetti
Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Girolamo
Tartarotti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o
altri file su Girolamo Tartarotti Collegamenti esterni Girolamo Tartarotti, su
Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata Girolamo Tartarotti, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Girolamo Tartarotti, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata Opere di Girolamo Tartarotti, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Girolamo Tartarotti, su Open
Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Controllo di autoritàVIAF (EN)
32272167 · ISNI (EN) 0000 0000 6141 5489 · SBN IT\ICCU\CFIV\076243 · LCCN (EN)
n86811967 · GND (DE) 119335522 · BNF (FR) cb15002305w (data) · BNE (ES)
XX1764185 (data) · BAV (EN) 495/262094 · CERL cnp01387839 · WorldCat Identities
(EN) lccn-n86811967 Biografie Portale Biografie Letteratura Portale Letteratura
Categorie: Abati e badesse italianiLetterati italianiFilosofi italiani del
XVIII secoloNati nel 1706Morti nel 1761Nati il 2 gennaioMorti il 16 maggioNati
a RoveretoMorti a Rovereto[altre]
Tataranni Onofrio Tataranni Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Onofrio Tataranni
(Matera, 19 ottobre 1727 – Matera, 27 marzo 1803) è stato un filosofo e
saggista italiano. Lucano di origine, fu esponente dell'Illuminismo
napoletano. Indice 1Biografia 2Pensiero 3Opere 4Note 5Bibliografia
6Voci correlate 7Collegamenti esterni Biografia Nacque in Basilicata, a Matera,
da Angelo Bruno e Nunzia Pistoia. Non sappiamo a quale ceto appartenesse la sua
famiglia, ma sicuramente essa era fornita dei mezzi economici e delle relazioni
sociali necessarie per avviare il figlio verso la carriera ecclesiastica: non a
caso, quando fu battezzato (il 19 ottobre 1727) nella Chiesa cattedrale di
Matera, i suoi genitori scelsero come padrini i nobili Giovan Battista Ferraù e
Giovanna Cordova[1]. Sin da ragazzo maturò quella che doveva essere la
sua vocazione, tanto che divenne prima allievo e poi docente del seminario
diocesano materano[2]. Sebbene avesse una posizione di un certo rilievo sia in
ambito ecclesiastico, sia in ambito educativo, il Tataranni non mostrò alcun
tentennamento nell'accettare l'invito di Michele Imperiali, principe di
Francavilla, che lo volle a Napoli per affidargli la direzione della sua
Paggeria[3]. Grazie all'incarico conferitogli dal principe di
Francavilla, Tataranni accrebbe ancor di più la stima di cui già godeva,
stringendo rapporti amichevoli con le personalità più illustri ed autorevoli
del tempo, incardinate nella Reale Accademia delle Scienze e Belle Lettere[4].
Il Tataranni ebbe la possibilità di frequentare proprio tali stimolanti
dibattiti, che del resto avrebbero formato l'humus delle sue future
riflessioni, in qualità prima di Direttore della Paggeria, poi della Scuola
militare del Real Collegio militare, ufficialmente Reale Accademia Militare,
fondata il 18 novembre 1787 e fortemente voluta da re Ferdinando IV, che mostrò
di aderire al generale clima di rinnovamento e consolidamento delle istituzioni
militari del Regno. Proprio in questi anni Onofrio Tataranni ebbe l'onore di
esserne il direttore, partecipando vivamente, dunque, al graduale svilupparsi e
moltiplicarsi dell'alveo della cultura politica riformatrice, che, negli anni
Ottanta, ancora auspicava un reale cambiamento all'interno dello stesso apparato
monarchico. Così, nell'arco di un settennio, pubblicò delle opere molto
significative, in cui era evidente il suo tracciato ideale di società[5].
Tuttavia, in seguito agli avvenimenti del 1791 e del 1794, quindi dopo il
Concordato e dopo la fallita congiura di Carlo Lauberg, le sue posizioni
rispetto alla politica e allo Stato cambiarono considerevolmente[6]. Con questa
disillusione coincide il silenzio dell'intellettuale materano, che in quegli
anni si limitò, a quanto noto, a proseguire i suoi studi come Direttore. La
delusione, si può ipotizzare, lo spinse a tacere fino alla proclamazione della
Repubblica Napoletana, quando - dichiarava - sicuro dell'importanza
dell'istruzione del popolo e del “nuovo cittadino”, elaborò il Catechismo
Nazionale pe'l Cittadino, nel quale incoraggiava il popolo a difendere i
principi della Rivoluzione a vantaggio dell'umanità intera. Il catechismo vinse
il primo premio indetto dal governo provvisorio e venne adottato come
catechismo ufficiale della Repubblica Napoletana[7], pubblicato il 12 febbraio
1799 ebbe il compito di educare i sudditi a divenire cittadini[8]. Alla
caduta della Repubblica, nel giugno, Tataranni riuscì a porsi in salvo,
rifugiandosi a Matera, nei cui tribunali, in tale periodo, venivano esaminate le
posizioni di ben 1370 «rei di Stato» lucani, 228 dei quali furono condannati
all'«esportazione» e sette a morte. Comunque, a Matera il Tataranni poté
contare su solide relazioni interne al locale Capitolo cattedrale, morendovi il
27 marzo 1803[9]. Pensiero Più volte Tataranni tiene a sottolineare
l'importanza della triade Dio-Ragione-Sentimento, in una sorta di compromesso
tra Illuminismo, sensismo e religione. Inoltre, caratteristica del suo
pensiero è una forte connotazione politica, mirando alla figura del sovrano
quale principale esempio per i sudditi, capace di governare un Regno che si
sarebbe dovuto fondare su solidi valori, legati all'importanza della famiglia,
della civiltà contadina e della piccola proprietà terriera, quest'ultima
ottenuta con un giusto ed onesto lavoro. È da evidenziare come il Tataranni
avesse maturato idee di una peculiare modernità, al punto da convincersi che il
passaggio verso una nuova stagione dell'umanità sarebbe potuto avvenire
attraverso la Costituzione di una «Dieta Universale»: egli sosteneva, infatti,
che, ad ogni rappresentante di questo nuovo organismo, essa avrebbe espresso «i
giusti diritti del suo Monarca», al fine di raggiungere la «felicità comune» e
la «pubblica sicurezza», ponendosi, negli ordini e nelle attività sociali,
sull'unica distinzione del «Merito». Notevole importanza era, poi,
assegnata al ruolo dell'educazione e dell'istruzione, poiché Tataranni
affermava l'importanza dello studio delle humanae litterae, unico mezzo, per i
giovani, per riscoprire i principali temi della letteratura e della filosofia
morale antica ed attualizzarli. Inoltre, egli si faceva anche sostenitore
dell'istruzione scientifica, dando priorità alla geometria e, ancora una volta,
seguendo il modello greco, suggeriva di avviare gli alunni sin «dall'età più
tenera» al processo educativo, seguendo le direttive di grandi pensatori. Il
sacerdote-riformatore auspicava tutto questo in un contesto socio-economico che
riservasse particolare attenzione all'attività agraria e ad una pratica
religiosa «semplice pura e brieve». Dunque, il Tataranni predicava il
ritorno alla religione delle origini, costruita sull'aiuto reciproco tra gli
individui, in modo che «gli Uomini si rassomiglino in qualche modo all'Ente
Supremo d'infinità Bontà». Pertanto, affermava che i sacerdoti dovessero essere
«esenti dalle Pubbliche Cariche» e che come gli altri uomini dovessero essere
soggetti «alla Giurisdizione dei Giudici Laici nelle loro Cause Civili».
Opere La prima, monumentale, opera del Tataranni fu il Saggio d'un filosofo
politicoamico dell'uomo, pubblicata a Napoli, in cinque tomi, dal 1784 al 1788:
il primo tomo nel 1784, il secondo e il terzo nel 1785, il quarto nel 1786 e il
quinto nel 1788. on la composizione di quest'opera, Tataranni si proponeva di
delineare il suo tracciato ideale di società, confidando nella figura del
sovrano. Infatti, già il titolo dell'opera risulta molto significativo, in
quanto l'autore si presentava come un filosofo con atteggiamento filantropico
nei confronti di Ferdinando IV, al fine di mostrargli la retta direzione per
guidare un giusto governo ed attuare delle riforme interne allo stesso apparato
monarchico, favorevoli alle idee democratiche. La fiducia che Tataranni
riponeva nei riguardi del monarca veniva ancora espressa nel Ragionamento sul
carattere religioso di Carlo III umiliato a Ferdinando IV re delle Due Sicilie,
pubblicato a Napoli nel 1789. Sostanzialmente, si trattava di un panegirico
riferito al padre del sovrano, Carlo di Borbone, che, spentosi l'anno precedente,
veniva proposto come esempio da seguire al suo erede. In tal senso, egli si
rivolgeva ancora pieno di ammirazione nei confronti di Ferdinando IV nel
Ragionamento sulle sovrane leggi della nascente popolazione di S. Leucio
umiliata alla maestà di Ferdinando IV re delle Due Sicilie, pubblicata a Napoli
il 25 luglio 1789. Nella Brieve memoria sull'educazione nazionale della
nobile gioventù guerriera l'autore affrontava il tema, a lui caro come
Direttore di istituti di formazione, dell'educazione dei giovani (1790).
Negli anni Novanta, benché il canonico avesse raggiunto un'età avanzata, non
solo decise di aderire alla Repubblica Napoletana, ma, convinto dell'importanza
che rivestiva la formazione del popolo e del nuovo cittadino, decise di scrivere,
come detto, un Catechismo Nazionale pe'l Cittadino, che fu dato alle stampe il
12 febbraio 1799. Note ^ Archivio Diocesano di Matera, Cattedrale,
Battesimi (1713-1737), f. 173 r. ^ Antonio Lerra, Onofrio Tataranni. Catechismo
nazionale pe' l cittadino. Progetto di cultura politica e ruolo dell'antico, p.
XV. ^ Antonio Lerra, p. XVII. ^ Elvira Chiosi, Lo spirito del secolo. Politica
e religione a Napoli nell'età dell'illuminismo, Napoli, Giannini, 1992, pp.
107-126. ^ Patrizia Di Maggio, Nunziatella, Castellammare di Stabia, Longobardi
Editore, 1999. ^ Antonio Lerra, p. XXXVI. ^ Salvatore Bruno, Onofrio Tataranni
e il suo "Catechismo nazionale pe' il cittadino". Contributo alla
storia della Repubblica Partenopea del 1799, in "Studi Meridionali",
9 (1989), pp. 23-38. ^ Cronache di una rivoluzione: Napoli 1799, FrancoAngeli,
Milano, 1998, p. 78. ^ Antonio Lerra, L'albero e la croce. Istituzioni e ceti
dirigenti nella Basilicata del 1799, Napoli, ESI, 2001, pp. 108-110.
Bibliografia Salvatore Bruno, Onofrio Tataranni e il suo "catechismo
nazionale pe' il cittadino" (noterelle di storia napoletana), in Scritti
in onore di Romualdo Trifone, Storia Meridionale, vol. II, Sapri, Ed. del
Centro Librario, 1963. Salvatore Bruno, Onofrio Tataranni e il suo "Catechismo
nazionale pe' il cittadino". Contributo alla storia della Repubblica
Partenopea del 1799, in Studi Meridionali, n. 9, 1989, pp. 23-38. Luciano
Guerci, Istruire alle verità repubblicane. La letteratura politica per il
popolo nell'Italia in rivoluzione (1796-1799), Bologna, il Mulino, 1999.
Giovanni Caserta, Onofrio Tataranni. Teologo della rivoluzione napoletana del
1799, Napoli, Vivarium, 2003. Rosaria Capobianco, La pedagogia dei catechismi
laici nella Repubblica napoletana, Napoli, Liguori Editore, 2007. Antonio
Lerra, Onofrio Tataranni. Catechismo nazionale pe' l cittadino. Progetto di
cultura politica e ruolo dell'antico, Manduria-Roma-Bari, Lacaita, 2006.
Antonio D'Andria, Onofrio Tataranni. Un riformatore napoletano in limine (PDF),
in Sguardi sul Mezzogiorno in età moderna e contemporanea, Quaderni eretici |
Cahiers hérétiques. Studi sul dissenso politico, religioso e letterario,
fascicolo 2, n. 6, 2018, pp. 53-87, DOI:10.5281/zenodo.2554821, ISSN 2421-3012
(WC · ACNP). URL consultato il 1º dicembre 2019. Voci correlate Illuminismo in
Italia Repubblica Napoletana (1799) Storia della Basilicata Collegamenti
esterni Un'analisi dei concetti politici nel Catechismo, su
nuovomonitorenapoletano.it. L'indice ragionato del Filosofo Politico amico
dell'Uomo La Brieve memoria in edizione integrale V · D · M Illuministi italiani
Controllo di autoritàVIAF (EN) 74737527 · ISNI (EN) 0000 0001 1448 1253 · LCCN
(EN) n2004024512 · GND (DE) 122557948 · BNF (FR) cb14553798t (data) · CERL
cnp01380050 · WorldCat Identities (EN) lccn-n2004024512 Basilicata Portale
Basilicata Biografie Portale Biografie Due Sicilie Portale Due Sicilie
Categorie: Filosofi italiani del XVIII secoloFilosofi italiani del XIX
secoloSaggisti italiani del XVIII secoloSaggisti italiani del XIX secoloNati
nel 1727Morti nel 1803Nati il 19 ottobreMorti il 27 marzoNati a MateraMorti a
MateraPersonalità della Repubblica Napoletana (1799)Illuministi[altre]
Tasso Torquato Tasso Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Nota disambigua.svg
Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Torquato Tasso
(disambigua). Ritratto anonimo del Tasso, intorno al 1590 Torquato Tasso
(Sorrento, 11 marzo 1544 – Roma, 25 aprile 1595) è stato un poeta, scrittore,
drammaturgo e filosofo italiano. Stemma dei Tasso di Cornello. La
sua opera più importante, conosciuta e tradotta in molte lingue, è la
Gerusalemme liberata (1581), in cui vengono cantati gli scontri tra cristiani e
musulmani durante la prima crociata, culminanti nella presa cristiana di
Gerusalemme. Indice 1Biografia 1.1Infanzia e adolescenza 1.2Periodo
universitario 1.3 A Ferrara 1.4Il
capolavoro e la revisione 1.5Disagi presso la corte estense e fughe 1.6Prigionia
a Sant'Anna 1.7Dopo la prigionia: le delusioni, le sofferenze, le
peregrinazioni 1.8Ultimi anni 2Albero genealogico 3Opere 3.1Gerusalemme
3.2Rinaldo 3.3Rime 3.4Discorsi dell'arte poetica 3.5Aminta 3.6Re Torrismondo
3.7Gerusalemme liberata 3.8I Dialoghi 3.9Le sette giornate del mondo creato
3.10Le lacrime di Maria Vergine e Le lacrime di Gesù Cristo 4Influenze culturali
5Torquato Tasso nel cinema 6Adattamenti cinematografici de La Gerusalemme
liberata 7Onori 8Onorificenze 9Bibliografia 9.1Biografie 9.2Capitoli di storie
letterarie 9.3Monografie critiche 9.4Edizioni 9.5Studi critici 9.5.1Sulla vita
di Tasso e sulla fortuna 9.5.2Sulle Rime 9.5.3Sull'«Aminta» 9.5.4Sui Dialoghi
10Note 11Voci correlate 12Altri progetti 13Collegamenti esterni Biografia
Infanzia e adolescenza Il padre Bernardo Tasso. Torquato nacque a Sorrento
l'11 marzo 1544, ultimo dei tre figli di Bernardo Tasso, letterato e cortigiano
nato a Venezia, ma di antica nobiltà bergamasca, poi al servizio del principe
di Salerno Ferrante Sanseverino del regno di Napoli, compreso nella
monarchia spagnola,[1] e di Porzia de' Rossi, nobildonna napoletana di origini
toscane, pistoiesi da parte paterna[2] e pisane da parte materna. La
primogenita Cornelia era venuta alla luce nel 1537. Di Sorrento e della
«dolce terra natìa» il poeta conserverà sempre un magnifico ricordo,
rimpiangendo «... le piagge di Campagna amene, pompa maggior de la
natura, e i colli che vagheggia il Tirren fertili e molli.» (Gerusalemme
liberata, I, 390-92) Quando Torquato era ancora bambino, il principe di Salerno
fu bandito dal regno e Bernardo seguì il suo protettore.[1] All'età di 6 anni
si recò in Sicilia e dalla fine del 1550 fu con la famiglia a Napoli, dove lo
seguì il precettore privato Giovanni d'Angeluzzo. Frequentò per due anni la
scuola dei Gesuiti appena istituita e conobbe Ettore Thesorieri con il quale
poi restò in corrispondenza epistolare. Ebbe un'educazione cattolica e da
giovane frequentò spesso il monastero benedettino di Cava de' Tirreni (dove si
trovava la tomba di Urbano II, il papa che aveva indetto la prima crociata), e
ricevette il sacramento dell'Eucaristia quando «non avea anco forse i
nov'anni», come scrisse egli stesso.[3] Due anni dopo la sorella Cornelia, che
nel frattempo si era sposata con il nobile sorrentino Marzio Sersale, rischiò
di essere rapita durante un'incursione ottomana a Sorrento, e questo rimase
impresso nella sua memoria.[4] Guidobaldo II Della Rovere. Rimase a
Napoli fino ai dieci anni, poi seguì il padre a Roma, abbandonando con grande
dolore la madre che fu costretta a rimanere nella città partenopea perché i
suoi fratelli «rifiutavano di sborsarle la dote».[5] Nella città pontificia fu
Bernardo a educare privatamente il figlio, ed entrambi subirono un grave trauma
quando nel febbraio 1556 vennero a sapere della morte di Porzia, probabilmente
avvelenata dai fratelli per motivi d'interesse.[1] La situazione politica
a Roma subì però uno sviluppo che preoccupò Bernardo: era scoppiato un dissidio
tra Filippo II e Paolo IV e gli spagnoli sembravano sul punto di attaccare
l'Urbe. Mandò allora Torquato a Bergamo presso Palazzo Tasso e la Villa dei
Tasso da alcuni parenti e si rifugiò presso la corte urbinate di Guidobaldo II
Della Rovere, dove fu raggiunto dal figlio pochi mesi dopo. A Urbino
Torquato studiò assieme a Francesco Maria II Della Rovere, figlio di
Guidobaldo, e a Guidobaldo Del Monte, poi illustre matematico. In questo
periodo ebbe maestri di assoluto livello quali il poligrafo Girolamo Muzio, il
poeta locale Antonio Galli e il matematico Federico Commandino. Torquato
passava a Urbino solo l'estate, dal momento che la corte trascorreva l'inverno
a Pesaro, dove Tasso entrò in contatto con il poeta Bernardo Cappello e con
Dionigi Atanagi, e scrisse il primo componimento a noi noto: un sonetto in lode
della corte.[6] Bernardo si spostò intanto a Venezia, indiscussa
capitale dell'editoria, per occuparsi della pubblicazione del suo Amadigi. Poco
tempo dopo, quindi, anche il figlio cambiò una volta di più città, stabilendosi
in laguna nella primavera del 1559. Sembra che proprio a Venezia, non ancora
sedicenne, abbia cominciato a mettere mano al poema sulla prima crociata e al
Rinaldo.[7] Il Libro I del Gierusalemme (conservato dal Codice
vaticano-urbinate 413) fu scritto dietro consiglio di Giovanni Maria
Verdizzotti e Danese Cataneo, due poeti mediocri che allora frequentava e che
già avevano scorto nel Tasso un talento straordinario.[8] Periodo
universitario Sperone Speroni Nel novembre 1560 Torquato si iscrisse per
volere paterno alla facoltà di legge dello Studio patavino, raccomandato a
Sperone Speroni, la cui casa frequentò più delle aule universitarie,
affascinato dalla vastissima cultura dell'autore della Canace. Tasso non amava
la giurisprudenza, tanto che attendeva più alla produzione poetica che allo
studio del diritto. Così, dopo il primo anno ottenne dal padre il consenso per
frequentare i corsi di filosofia ed eloquenza con illustri professori tra cui
spicca il nome di Carlo Sigonio. Quest'ultimo rimarrà un modello costante per
le dissertazioni teoriche tassesche future - prime fra tutte quelle dei
Discorsi dell'arte poetica, in cui si nota anche l'influsso dello Speroni - e
lo avvicinò allo studio della Poetica aristotelica. È in quest'epoca che
si colloca il primo innamoramento del ragazzo, già molto sensibile e sognatore.
Il padre era stato introdotto nella corte del cardinale Luigi d'Este, e nel
settembre 1561 si era recato col figlio a fare la conoscenza dei familiari del
suo protettore. Torquato conobbe nell'occasione Lucrezia Bendidio, dama di
Eleonora d'Este, sorella di Luigi.[9] Lucrezia, quindicenne, era molto
bella ed eccelleva nel canto, anche se era piuttosto frivola. Avendo notato un
interessamento della fanciulla, Tasso cominciò a dedicarle rime
petrarcheggianti, ma dovette presto essere ricondotto alla realtà, poiché nel
febbraio 1562 scoprì che la ragazza era promessa sposa al conte Baldassarre
Macchiavelli. Non si arrese, continuando a cantarla in poesia, ma dopo le nozze
si lasciò andare al risentimento e alla delusione.[10] Intanto,
l'entourage cominciava ad avvedersi del talento del Tassino (come veniva
chiamato per essere distinto dal padre), e nel 1561 e 1562 gli furono
commissionate delle rime per alcuni funerali. Confluendo in due raccolte,
furono le prime poesie pubblicate da Torquato. Ancora più notevoli erano
gli sforzi prodigati per il Rinaldo, composto in soli dieci mesi e dedicato a
Luigi d'Este. Il poema epico cavalleresco,[1] incentrato sulle avventure del
cugino di Orlando, fu stampato a Venezia nel 1562 e contribuì a diffondere il
nome di Tasso, che aveva ancora soltanto diciotto anni.[11] Il padre
intanto lo aveva messo nel 1561 al servizio del nobile Annibale Di Capua, e il
duca d'Urbino gli aveva procurato una borsa di studio di cinquanta scudi annui
per permettergli di continuare i corsi universitari.[12] Dopo due anni a
Padova, Tasso proseguì gli studi all'Università di Bologna, ma durante il
secondo anno di permanenza nella città felsinea, nel gennaio 1564, fu accusato
di essere l'autore di un testo che attaccava pesantemente, con una satira sferzante,
alcuni studenti e professori dello Studio. Espulso e privato della borsa di
studio, fu costretto a ritornare a Padova, dove poté beneficiare
dell'ospitalità di Scipione Gonzaga, che gli fornì il necessario per continuare
il percorso di formazione. Ritrovò tra i maestri Francesco Piccolomini e
seguì le lezioni di Federico Pendasio. In casa del principe Gonzaga era appena
stata istituita l'Accademia degli Eterei, ritrovo di seguaci dello Speroni che
miravano alla perfezione della forma, non senza scadere nell'artificiosità.
Tasso vi entrò assumendo il nome di Pentito e leggendovi molti componimenti,
tra cui quelli scritti per Lucrezia Bendidio e per una donna che la critica ha
per lungo tempo identificato in Laura Peperara. Secondo questa
versione Torquato conobbe Laura nell'estate del 1563, quando aveva raggiunto a
Mantova Bernardo, nel frattempo messosi al servizio del duca Guglielmo Gonzaga.
La delicatezza nei modi della giovane fece dimenticare presto al Nostro le
ancor fresche pene amorose per Lucrezia Bendidio. Lo spirito del Petrarca
rivisse allora nelle liriche del ragazzo nuovamente innamorato. L'anno dopo,
rivedendola, fu però deluso, e pur continuando a cantarla dovette ben presto
rassegnarsi al secondo scacco.[13] Ricerche recenti hanno tuttavia
collocato la nascita della Peperara nel 1563, rendendo quindi impossibile che
fosse lei la seconda musa del Tasso.[14] I due canzonieri amorosi
andarono in parte a finire tra le Rime degli Accademici Eterei, stampate a
Padova nel 1567, assieme ad alcune che scriverà nel primo anno
ferrarese.[15] Si legò anche all'Accademia degli Infiammati. A
Ferrara Torquato Tasso all'eta di 22 anni ritratto da Jacopo Bassano
Nell'ottobre 1565 giunse a Ferrara in occasione del secondo matrimonio (quello
con Barbara d'Austria) del duca Alfonso II d'Este[16], al servizio del
cardinale Luigi d'Este, fratello del duca, spesato di vitto e alloggio, mentre
dal 1572 sarà al servizio del duca stesso. I primi dieci anni ferraresi
furono il periodo più felice della vita di Tasso, in cui il poeta visse
apprezzato dalle dame e dai gentiluomini per le sue doti poetiche e per
l'eleganza mondana. Il cardinale lasciò al Nostro la possibilità di
attendere solamente all'attività poetica, e Tasso poté così continuare il poema
maggiore. Rapporti particolarmente intensi intercorsero con le due sorelle del
duca, Lucrezia e Leonora. La prima era uno spirito libero e incarnava ideali di
vivacità e vitalità, mentre la seconda, malata e fragile, fuggiva la vita
mondana e conduceva un'esistenza ritirata. Per quanto Tasso fosse attratto da
entrambe e per quanto si sia avallata l'ipotesi di una relazione amorosa con
Leonora, la critica tassesca ha concluso che non si andò al di là di forti
simpatie.[17] La ricchezza culturale della corte estense costituì per lui
un importante stimolo; ebbe infatti modo di conoscere Battista Guarini, Giovan
Battista Pigna e altri intellettuali dell'epoca. In questo periodo riprese il
poema sulla prima crociata, dandogli il nome di Gottifredo. Nel 1566 i canti
erano già sei, e aumenteranno negli anni appresso. Nel 1568 diede alle
stampe le Considerazioni sopra tre canzoni di M. G. B. Pigna, dove emerge la
concezione platonica e stilnovistica che il Tasso aveva dell'amore, con alcune
note però affatto peculiari, che lo portavano a ravvisare il divino in tutto
ciò che è bello, e a definire di matrice soprannaturale anche l'amore puramente
fisico. I concetti vennero ribaditi nelle cinquanta Conclusioni amorose
pubblicate due anni più tardi.[18] Compose anche i quattro Discorsi
dell'arte poetica e in particolare sopra il poema eroico, anche se videro
la luce solo nel 1587 a Venezia, per i tipi di Licino. Nell'ottobre 1570
partì per la Francia al seguito del cardinale e, temendo gli potesse accadere
qualche disgrazia nel lungo e pericoloso viaggio, volle dettare le proprie
volontà all'amico Ercole Rondinelli, richiedendo la pubblicazione dei sonetti
amorosi e dei madrigali, mentre precisava che «gli altri, o amorosi o in altra
materia, c'ho fatti per servizio di alcun amico, desidero che restino sepolti
con esso meco», ad eccezione di Or che l'aura mia dolce altrove
spira.[19] Per il Gottifredo afferma di voler far conoscere «i sei ultimi
canti, e de' due primi quelle stanze che saranno giudicate men ree», il che prova
che il numero dei canti era salito almeno a otto. Intanto, sempre nel
1570, Lucrezia d'Este sposò Francesco Maria II Della Rovere, compagno di studi
di Torquato nel periodo urbinate. Il soggiorno transalpino fu di sei
mesi, ma, siccome Luigi aveva messo a disposizione del poeta poco denaro,
questi trascorse il periodo francese sostanzialmente nell'ombra, con il solo
onore di essere ricevuto da Caterina de' Medici, la moglie di Enrico II. Di
ritorno a Ferrara, il 12 aprile 1571 decise di lasciare il seguito del
cardinale. Credeva incorrere in miglior fortuna presso Ippolito II, e
scese pertanto a Roma. Anche il cardinale di villa d'Este però lo deluse, e
Tasso decise di risalire la penisola, facendosi ospitare qualche tempo da
Lucrezia e Francesco a Urbino, prima di entrare, nel maggio 1572, al servizio
di Alfonso II.[20] In questo periodo continuò ad attendere al capolavoro,
ma si diede anche al teatro, e scrisse l'Aminta, celebre favola pastorale che
rientrava nei gusti delle corti cinquecentesche. Rappresentata con ogni
probabilità il 31 luglio 1573 all'isola di Belvedere, dov'era una delle
«delizie» estensi, ebbe un grande successo e fu richiesta anche da Lucrezia
d'Este a Urbino l'anno successivo. Nell'euforia del successo, nello stesso 1573
Tasso cominciò a scrivere una tragedia, Galealto re di Norvegia, ma la
abbandonò all'inizio del secondo atto, salvo rimettervi mano molto più tardi
trasformandola nel Re Torrismondo.[21] Il capolavoro e la revisione
L'impegno principale rimaneva comunque il poema epico, per il quale l'autore
non aveva ancora stabilito un titolo. Nel novembre '74 l'opera era quasi
completa, visto che «io aveva comincio quest'agosto l'ultimo canto»[22], ma si
deve aspettare fino al 6 aprile[23] 1575 per avere l'annuncio del completamento
del testo, quando in una lettera al cardinale Giovan Girolamo Albano leggiamo:
«Sappia dunque Vostra Signoria illustrissima, che dopo una fastidiosa
quartana sono ora per la Dio grazia assai sano, e dopo lunghe vigilie ho
condotto finalmente al fine il poema di Goffredo».[24] Completato quindi
nel 1575 il poema maggiore, si aprì per Tasso il periodo della nevrosi e del
terrore di aver portato a termine un lavoro non gradito all'Inquisizione,
allora in una fase di rigidità estrema (il concilio di Trento si era concluso
da soli dodici anni). Da una lettera emerge l'inquietudine del poeta: «Qui va
pur intorno questo benedetto romore de la proibizione d'infiniti poeti: vorrei
sapere se ve n'è cosa alcuna di vero».[25] Scipione Gonzaga Tasso
sottopose il testo al giudizio di cinque autorevoli personaggi romani -
garanzia di validi consigli concernenti l'estetica e la morale - nevroticamente
insoddisfatto delle proprie scelte estetiche ma principalmente preoccupato,
come s'è visto, dalle questioni religiose. I cinque erano il maestro ed
erudito Sperone Speroni, il principe e cardinale Scipione Gonzaga, il cardinale
Silvio Antoniano, il poeta Pier Angelio Bargeo e il grecista Flaminio de'
Nobili. Torquato condivise in parte i consigli degli illustri letterati,
che gli avevano rivolto critiche di stampo moralistico, ma talvolta li respinse
bruscamente. Ne nacquero missive quasi quotidiane che mettono in luce un autore
intimamente travagliato e continuamente bisognoso di dimostrare (forse
soprattutto a sé stesso) di non trasgredire principi di poetica né tanto meno
di fede. Ossessivo nell'apportare modifiche al testo, era continuamente
combattuto e incerto sul da farsi, al punto che nell'ottobre arrivò a scrivere
al Gonzaga: «Forse a questao condotto finalmente al fine il poema di
Goffredo».[24] Completato quindi nel 1575 il poema maggiore, si aprì per
Tasso il periodo della nevrosi e del terrore di aver portato a termine un
lavoro non gradito all'Inquisizione, allora in una fase di rigidità estrema (il
concilio di Trento si era concluso da soli dodici anni). Da una lettera emerge
l'inquietudine del poeta: «Qui va pur intorno questo benedetto romore de la
proibizione d'infiniti poeti: vorrei sapere se ve n'è cosa alcuna di
vero».[25] Scipione Gonzaga Tasso sottopose il testo al giudizio di
cinque autorevoli personaggi romani - garanzia di validi consigli concernenti
l'estetica e la morale - nevroticamente insoddisfatto delle proprie scelte
estetiche ma principalmente preoccupato, come s'è visto, dalle questioni
religiose. I cinque erano il maestro ed erudito Sperone Speroni, il
principe e cardinale Scipione Gonzaga, il cardinale Silvio Antoniano, il poeta
Pier Angelio Bargeo e il grecista Flaminio de' Nobili. Torquato condivise
in parte i consigli degli illustri letterati, che gli avevano rivolto critiche
di stampo moralistico, ma talvolta li respinse bruscamente. Ne nacquero missive
quasi quotidiane che mettono in luce un autore intimamente travagliato e
continuamente bisognoso di dimostrare (forse soprattutto a sé stesso) di non
trasgredire principi di poetica né tanto meno di fede. Ossessivo
nell'apportare modifiche al testo, era continuamente combattuto e incerto sul
da farsi, al punto che nell'ottobre arrivò a scrivere al Gonzaga: «Forse a questa particolare
istoria di Goffredo si conveniva altra trattazione; e forse anco io non ho
avuto tutto quel riguardo che si doveva al rigor de' tempi presenti [...] E le
giuro che se le condizioni del mio stato non m'astringessero a questo, ch'io
non farei stampare il mio poema né così tosto, né per alcun anno, né forse in
vita mia; tanto dubito de la sua riuscita».[26] Nemmeno l'entusiastica
ammirazione di Lucrezia d'Este cui leggeva il poema ogni giorno «molte ore in
secretis»[27], né l'essere venuto a conoscenza del grande piacere con cui da
più parti l'opera veniva letta, poterono placare le sue angosce.[28] Nel
1576 scrisse Allegoria, con cui rivisitava tutto il poema in chiave allegorica
cercando di emanciparsi dalle possibili accuse di immoralità. Ma non bastava:
gli scrupoli di carattere religioso assunsero la forma di vere e proprie manie
di persecuzione. Per mettere alla prova la propria ortodossia nella fede
cristiana si sottopose spontaneamente al giudizio dell'Inquisizione di Ferrara,
ricevendo nel 1575 e nel 1577 due sentenze di assoluzione.[29]
Barbara Sanseverino Disagi presso la corte estense e fughe Due belle
signore, giunte alla corte nel 1575 e protrattesi presso il duca fino all'anno
dopo, costituirono un intermezzo piacevole - forse l'ultimo - in mezzo a tante
preoccupazioni. Per loro, la contessa di Sala Barbara Sanseverino e la contessa
di Scandiano Leonora Sanvitale, cantò gioiosamente in alcune rime amorose, che,
com'era accaduto per Lucrezia e Leonora d'Este, obbediscono alle conventions de
genre e non rivelano altro che una sincera amicizia.[30] Ma il Tasso si
era stancato anche di Alfonso, e sognava diandare a Firenze, presso la corte
medicea. Non è chiaro perché volesse abbandonare Ferrara, ma i motivi
adducibili sono vari e variamente intriganti, e tutti hanno in loro almeno una
parte di verità. «Ch'io desideri sommamente di mutar paese, e ch'io abbia
intenzione di farlo, assai per se stesso può essere manifesto, a chi considera
le condizioni del mio stato»[31], scriveva a Scipione Gonzaga. Le
«condizioni del mio stato» possono avere una valenza materiale: Tasso riceveva
dal duca solo cinquantotto lire marchesane mensili, che sommate alle
centocinquanta percepite in qualità di lettore all'Università (carica che
ricopriva per i soli giorni festivi) danno una cifra sicuramente bassa che a un
poeta ormai affermato doveva parere stretta, anche solo per una questione di
dignità, senza voler pensare a motivazioni di pretta bramosia.[32]
L'espressione tassesca può assumere però anche una connotazione morale e
psicologica: si erano in effetti verificati alcuni episodi spiacevoli presso la
corte estense. Nel 1576 Torquato aveva avuto una lite con il cortigiano Ercole
Fucci. Provocato, aveva rifilato uno schiaffo al Fucci, che in risposta lo colpì
più volte con un bastone. Un servo aveva inoltre rivelato al Tasso che,
durante una sua assenza, un altro cortigiano, Ascanio Giraldini, aveva fatto
forzare la porta della sua camera, nel tentativo di appropriarsi di alcuni
manoscritti. Tasso sarebbe anche riuscito a rintracciare il magnano ottenendone
una confessione, come risulta da un'altra lettera al Gonzaga, in cui si
ipotizzano altre trame ordite alle sue spalle, anche se «io non me ne posso
accertare».[33] A far precipitare il rapporto con il duca e la corte
furono però gli scrupoli religiosi del poeta. Nell'aprile 1577 Tasso si
autoaccusò presso l'Inquisizione ferrarese (dopo l'autoaccusa presso il
tribunale bolognese avvenuta due anni prima[34]), attaccando inoltre influenti
personaggi di corte. Si cercò allora di far desistere il poeta dall'intenzione
di confermare le sue affermazioni negli interrogatori successivi, senza
risparmiargli punizioni corporali che non riuscirono afar cambiare idea al
Tasso, che si presentò altre due volte davanti all'inquisitore.[35] Le
accuseerano rivolte in particolare contro Montecatini, il segretario ducale.
Siccome Torquato voleva recarsi a deporre presso il Tribunale capitolino,
l'inquisitore ferrarese, conscio del fatto che una simile azione poteva mettere
a repentaglio i rapporti con la Santa Sede, - vitali per casa d'Este - informò
immediatamente il duca con una missiva del 7 giugno.[36] Alfonso mise il poeta
sotto sorveglianza, e il 17 giugno Tasso, ritenendosi spiato da un servo, gli
scagliò contro un coltello. Il Castello Estense Tasso rimase nella
prigione del Castello fino all'11 luglio, quando Alfonso lo fece liberare e lo
accolse presso la villeggiatura di Belriguardo, dove però rimase pochi giorni,
venendo rimandato a Ferrara per essere consegnato ai frati del convento di S.
Francesco.[37] Il poeta supplicò allora i cardinali dell'Inquisizione
romana affinché lo sollevassero da una situazione ormai insopportabile
trovandogli una sistemazione nell'Urbe, e nel contempo si lamentava con
Scipione Gonzaga per il trattamento ricevuto, ma pochi giorni dopo si ritrovò
nuovamente nella prigione del Castello. Tentò quindi un'altra via e chiese
invano perdono al suo signore.[38] Tasso era indubbiamente provato dalle
fatiche della Gerusalemme, e le lettere del periodo rivelano un animo inquieto
e agitato, spesso preoccupato di smentire chi voleva vedere in lui i germi
della pazzia. Le manie di persecuzione e l'instabilità si erano impadronite di
lui, ma fino a qual punto? Fino a qual punto invece certe manifestazioni del
poeta, che mantiene nelle missive una lucidità pressoché completa, funsero da
pretesto per emarginare un personaggio divenuto pericoloso? Su questo punto i
critici non sono mai riusciti a trovare un accordo. Intanto la prigionia
el Castello si prolungava, e non restava che la fuga: nella notte tra il 26 e
il 27 luglio si travestì da contadino e fuggì nei campi. Raggiunta Bologna,
proseguì fino a Sorrento, dove, ancora sotto mentite spoglie e fisicamente
distrutto, si recò dalla sorella, annunciandole la propria morte, così da
vedere la sua reazione, e svelandole la sua vera identità solo dopo aver
osservato la reazione realmente addolorata della donna.[39] A Sorrento
rimase parecchi mesi ma, volendo riprendere parte alla vita di corte, fece inviare
da Cornelia una supplica al duca, in data 4 dicembre 1577, chiedendo di essere
riammesso alle sue dipendenze, in un testo che fu certamente dettato, almeno in
parte, dal poeta stesso: «La maggior colpa che io credo sia in lui, è la poca
sicurezza, che ha mostrata d'avere nella parola di V.A., e il molto diffidarsi
della sua benignità».[40] Così, nell'aprile 1578 ritornò a Ferrara, ma,
tempo tre mesi, era di nuovo in fuga; Mantova, Padova, Venezia. Presa la via di
Pesaro, da Cattolica mandò ad Alfonso una missiva in cui cerca di spiegare i
motivi dell'abbandono, che restano, anche nella testimonianza diretta del
Tasso, criptici: «ora me ne dono partito. per non consentire a quello, a che
non dee consentire uomo, che faccia alcuna professione d'onore, o ch'abbia
nell'animo alcuno spirito di nobiltà».[41] Paura, instabilità? Quello che
è certo è che nello stesso mese le parole di Maffio Venier - che lo aveva
incontrato a Venezia - sembrano far perdere credibilità alle ipotesi di follia:
«sebbene si può dire che egli non sia di sano intelletto, scuopre tuttavia più
tosto segni di afflizione che pazzia».[42] Anche gli scambi epistolari
intrattenuti con Francesco Maria Della Rovere paiono rivelare una personalità
afflitta e agitata più che folle. Il Leitmotiv, adesso più che mai, è il
dolore.[43] Il dolore si fa allora poiesis, creazione. È proprio questo il
periodo in cui vengono composti i versi dell'incompiuta canzone Al Metauro, tra
i più citati e famosi dell'opera tassesca. Qui, in una rievocazione della propria
vita sub specie doloris[44], affiorano i ricordi delle proprie sofferenze e
della morte dei genitori. Il poeta è un esiliato, concretamente e
metaforicamente, sin da quando bambino dovette lasciare il luogo natìo:
«In aspro esiglio e 'n dura povertà crebbi in quei sì mesti errori;
intempestivo senso ebbi a gli affanni: ch'anzi stagion, matura l'acerbità de'
casi e de' dolori in me rendé l'acerbità degli anni» Intanto continuava a
vagare. Percorse a piedi il tratto che separa Urbino da Torino, ma non sarebbe
riuscito a entrare nella città - era stato respinto dai doganieri perché
in stato pietoso - se Angelo Ingegneri, amico di Torquato da alcuni anni, non
lo avesse riconosciuto e aiutato a entrare. A Torino ricevette l'ospitalità del
marchese Filippo d'Este, genero del duca di Savoia[45], e godette di una certa
tranquillità che gli permise di comporre poesie e iniziare tre dialoghi, la
Nobiltà, la Dignità e la Precedenza.[43] Prigionia a Sant'Anna In seguito
a nuovi pentimenti e nuove nostalgie della corte ferrarese, il poeta si adoperò
ancora una volta per il rientro nella città ducale, facendo leva sulle
intercessioni del cardinale Albano e di Maurizio Cataneo, e infine riguadagnò
la capitale estense tra il 21 e il 22 febbraio, proprio mentre fervevano i
preparativi per le terze nozze di Alfonso, quelle con Margherita Gonzaga,
figlia del duca di Mantova Guglielmo. Fu ospitato da Luigi d'Este, ma
nessuno badava a lui: «Ora le fo sapere, che io qui ho trovato quelle
difficoltà che m'imaginava, non superate né dal favore di monsignor
illustrissimo, né da alcuna sorte d'umanità ch'io abbia saputo usare», scrisse
a Maurizio Cataneo il 24 febbraio.[46] In una missiva al cardinale Albano,
recante la data del 12 marzo, Tasso chiede almeno gli si faccia riottenere lo
stipendio precedente.[47] A questo punto i fatti precipitano: «Iersera
l'altra si mandò il povero Tasso a Sant'Anna, per le insolenti pazzie ch'avea
fatte intorno alle donne del Signor Cornelio, e che era poi venuto a fare con
le Dame di Sua Altezza, quali, per quanto m'è stato rifferto, furono così
brutte e disoneste, che indussero il Signor Duca a quella risoluzione».[48] Non
è chiaro quando accadesse esattamente il fatto, si oscilla tra l'11 e il 12
marzo, ma è certo che in quest'ultima data il poeta fosse già stato recluso
nella prigione di Sant'Anna.[49] Pare sicuro anche che le parole
offensive pronunciate in preda all'ira si siano indirizzate poi in modo
esplicito allo stesso duca, ed è probabile che si trattasse di gravi accuse
(forse legate ancora una volta alla vicenda dell'Inquisizione) che, fatte in
pubblico, chiedevano una risoluzione drastica. Il duca Alfonso II
rinchiuse quindi Tasso nell'Ospedale Sant'Anna, nella celebre cella detta poi
"del Tasso", dove rimase per sette anni. Qui, alle manie di
persecuzione, si aggiunsero tendenze autopunitive.
Delacroix: Tasso all'ospedale di Sant'Anna Nell'Ospedale veniva
trattato alla stregua dei «forsennati», ricevendo poche razioni di cibo
scadente, privato di ogni comodità materiale e di ogni conforto spirituale,
visto che il cappellano, «se ben io ne l'ho pregato, non ha voluto mai o
confessarmi o comunicarmi».[50] È vero che dopo nove mesi ci fu un
miglioramento del vitto, ma dovette trattarsi di ben poca cosa, e i primi tre
anni coincisero con una sorta di isolamento. Scrisse comunque
ininterrottamente a principi, prelati, signori e intellettuali pregandoli di
liberarlo e difendere la propria persona. Le suppliche erano rivolte al solito
Gonzaga, alla mai dimenticata Lucrezia d'Este, a Francesco Panigarola (che
sarebbe divenuto vescovo di Asti), a Ercole Tasso e molti altri.[51] I primi
anni di reclusione non impedirono a Torquato di scrivere; anzi, le tre canzoni
del periodo rivelano una poesia essenziale, magistrale nella gestione delle armonie,
simbolo di un'ormai indiscussa maturità e dimostrazione, una volta di più, di
come le facoltà mentali del poeta fossero ancora intatte. Ecco quindi A
Lucrezia e Leonora, con la celebre invocazione alle «figlie di Renata», in una
nostalgico ricordo dei tempi sereni trascorsi a corte, messo in contrasto con
la durezza del tempo presente, ecco Ad Alfonso, nuova supplica al duca che,
rimasta inascoltata, diventò un inno Alla Pietà nell'omonima canzone. Le
condizioni mutarono con gli anni: a partire dal 1580 gli fu permesso di uscire
qualche volta e di ricevere visite, nel novembre 1582 il vitto migliorò
ulteriormente, mentre dal 1583 poté lasciare Sant'Anna più volte alla
settimana, «accompagnato da gentiluomini e qualche volta fu condotto anche a
corte».[52] Tuttavia il trattamento rimaneva molto duro e, a distanza di
secoli, pare spropositato se il motivo dovesse ridursi alla pazzia o a delle
offese personali. Certo, il Tasso soffriva di turbe psichiche. A questo
proposito è illuminante la lettera di aiuto che indirizzò il 28 giugno
1583 al celebre medico forlivese Girolamo Mercuriale. Qui troviamo un
elenco e una descrizione dei mali che affliggono il poeta: «rodimento
d'intestino, con un poco di flusso di sangue; tintinni ne gli orecchi e ne la
testa, [...] imaginazione continua di varie cose, e tutte spiacevoli: la qual
mi perturba in modo ch'io non posso applicar la mente a gli studi per un
sestodecimo d'ora», fino alla sensazione che gli oggetti inanimati si mettano a
parlare. È da notare tuttavia come tutte queste sofferenze non l'abbiano reso
«inetto al comporre».[53] Si può poi ammettere che «il Tasso non fu
semplicemente un melanconico, ma di tratto in tratto veniva sorpreso da eccessi
di mania, da riescire pericoloso a sé ed agli altri»[54], ma, anche se questi
squilibri dovessero essersi manifestati realmente, essi non giustificano né la
tesi della pazzia né la necessità di allontanare il Tasso dalla corte per un
periodo così lungo. Con buone probabilità, quindi, la ragione principale deve essere
riallacciata ancora una volta ai tentativi tasseschi di ricorrere
all'Inquisizione romana, e l'imprigionamento era il solo modo per non
compromettere il rapporto con lo Stato Pontificio. Dopo l'edizione
veneziana "pirata" e mutila di Celio Malespini (estate 1580), nel
1581, sempre durante la prigionia, vennero pubblicate - nel tentativo di porre
rimedio alla sciagurata operazione - a Parma e Casalmaggiore, ancora senza il
suo consenso, due edizioni del poema iniziato all'età di quindici anni. Il titolo
di Gerusalemme liberata fu scelto dal curatore di queste ultime versioni,
Angelo Ingegneri, senza l'avallo dell'autore. L'opera ebbe un grande
successo. Siccome anche le stampe dell'Ingegneri presentavano delle
imperfezioni e la Gerusalemme era ormai di dominio pubblico, bisognava
approntare la versione migliore possibile, ma per far questo era necessaria
l'autorizzazione e la collaborazione del Tasso. Così, seppur riluttante, il
poeta diede il proprio consenso a Febo Bonnà, che diede alla luce la Gerusalemme
liberata il 24 giugno 1581 a Ferrara, restituendola in modo ancora più preciso
pochi mesi dopo.[55] Queste traversie editoriali addolorarono il Tasso,
che avrebbe voluto mettere mano al poema in modo da renderlo conforme alla
propria volontà. All'amarezza per le pubblicazioni seguì ben presto quella che
gli fu causata dallapolemica con la neonata Accademia della Crusca. La diatriba
non fu scatenata, per la verità, né dal poeta né dall'Accademia. La sua
origine va ricercata nel dialogo Il Carrafa, o vero della epica poesia, che il
poeta capuano Camillo Pellegrino stampò presso l'editore fiorentino Sermartelli
all'inizio di novembre del 1584. Nel dialogo Torquato viene esaltato assieme
alla sua opera, in quanto fautore di una poesia etica e fedele ai dettami
aristotelici, mentre l'Ariosto viene duramente condannato a causa della
leggerezza, delle fantasiose invenzioni e dell'eccessiva dispersione che si
possono riscontrare nell'Orlando Furioso.[56] Leonardo Salviati Il
testo provocò la reazione dell'Accademia, che rispose nel febbraio dell'anno
seguente con la Difesa dell'Orlando Furioso degli Accademici della Crusca,
stroncando il Tasso ed esaltando invece «il palagio perfettissimo di modello,
magnificentissimo, ricchissimo, e ornatissimo»[57], che era il Furioso. La
Difesa fu fondamentalmente opera di Leonardo Salviati e di Bastiano de' Rossi.
Tasso decise di scendere in campo con l'Apologia in difesa della Gerusalemme
Liberata, edita a Ferrara dal Licino il 20 luglio. Rivendicando la necessità di
un'invenzione che si fondi sulla storia, il poeta si opponeva alle opinioni dei
paladini del volgare fiorentino, e respingeva le accuse di un lessico intriso
di barbarismi e poco chiaro.[58] La polemica continuò, visto che il
Salviati replicò in settembre con la Risposta all'Apologia di Torquato Tasso
(testo noto anche come Infarinato primo[59]), cui seguirono un nuovo opuscolo
di Pellegrino e un Discorso del Nostro, dopo di che - se si esclude un
ulteriore scritto del Salviati, l'Infarinato secondo (1588) - per qualche tempo
le acque si calmarono, ma la querelle tra ariosteschi e tasseschi proseguì fino
al secolo successivo, e fu una delle più infiammate della storia della
letteratura italiana. Durante la reclusione Tasso scrisse principalmente
discorsi e dialoghi[60]: fra i primi quello Della gelosia (redatto già nel 1577
ma pubblicato nel 1585), Dell'amor vicendevole tra 'l padre e 'l figliuolo
(1581), Della virtù eroica e della carità (1583), Della virtù femminile e
donnesca (1583), Dell'arte del dialogo (1586), Il Secretario (1587), cui si
deve aggiungere il Discorso intorno alla sedizione nata nel regno di Francia
l'anno 1585 (composto nel 1585, edito solo nel 1817) e il Trattato della
Dignità, già iniziato a Torino, come si è visto.[61] Queste opere sviluppano
tematiche morali, psicologiche o strettamente religiose. La virtù cristiana è
proclamata come superiore alla pur nobile virtù eroica, si afferma la comune
origine di amore e gelosia, si valutano i talenti specifici della donna, il
tutto arricchito dal racconto di esperienze personali che giustificano
l'opinione dell'autore. Vengono affrontate anche questioni politiche, in
special modo nel Secretario, diviso in due parti, la prima dedicata a Cesare
d'Este, la seconda ad Antonio Costantini. Qui, nella descrizione del principe
ideale, si enucleano alcune caratteristiche come la clemenza (chiaro il
riferimento alla propria condizione), l'esser filosofo, e soprattutto «un
gentiluomo a la cui fede ed al cui sapere si possono confidare gli Stati e la
vita e l'onor del principe».[62] Più copiosa ancora fu la composizione di
dialoghi, scritti sotto il nume ideale di Platone, ma paragonabili più
obiettivamente a quelli del sedicesimo secolo. Quasi ogni tematica morale viene
sviscerata in una serie davvero lunga di opere più o meno prolisse e più o meno
felici. Tasso scrisse, nell'ordine[63], Il Forno, o vero de la Nobiltà
(1579, 1581, modificato nel 1586 e ripubblicato l'anno seguente); il Gonzaga, o
vero del Piacer onesto (1580, 1583), in seguito rivisto e stampato con il
titolo Il Nifo, o vero del piacere; Il Messaggero (1580, 1582. Qui immaginò di
interagire amichevolmente con il folletto da cui si credeva perseguitato nella
realtà. Questo dialogo ispirò la celebre operetta morale leopardiana Dialogo di
Torquato Tasso e del suo Genio familiare), con una seconda lezione del 1586; Il
padre di famiglia (1580, 1583, ispirato a un gentiluomo che lo ospitò a Borgo
Sesia prima dell'arrivo a Torino); Il cavalier amante e la gentildonna amata
(1580, 1583, con dedica a Giulio Mosti, giovane ammiratore del poeta); Romeo o
vero del giuoco (1580, 1581), rivisto e dato alle stampe con titolo Il Gonzaga
secondo, o vero del giuoco (1581, 1582); La Molza, o vero de l'Amore
(1583, 1587, prende spunto dalla conoscenza che il Tasso fece della celebre
poetessa Tarquinia Molza a Modena, nel dicembre 1576, ed è dedicato a Marfisa
d'Este); Il Malpiglio, o vero della corte (1583, 1586, con riferimento al
gentiluomo ferrarese Lorenzo Malpiglio); Il Malpiglio secondo o vero del fuggir
la moltitudine (1583, 1666); Il Beltramo, overo de la Cortesia (1584, 1586); Il
Rangone, o vero de la Pace (1584, 1586, in risposta a uno scritto di Fabio
Albergati); Il Ghirlinzone, o vero l'Epitafio (1585, 1586); Il Forestiero
napolitano, o vero de la Gelosia (1585, 1586); Il Cataneo, o vero de gli Idoli
(1585, 1586) e, infine, La Cavalletta, o vero de la poesia toscana (1584,
1587). In tutto questo non aveva dimenticato l'opera principe,
dimostrando di avere al riguardo idee piuttosto lontane da quella che sarà la
realizzazione finale. A Lorenzo Malpiglio espose intenzioni sostanzialmente
opposte agli interventi che avrebbe apportato negli anni successivi: parla di
portare la Liberata da venti a ventiquattro canti (secondo l'idea originaria) e
di accrescere il numero delle stanze, tagliando anche dei passaggi ma con il
risultato che «la diminuzione sarà molto minor de l'accrescimento».[64]
Nel 1586 qualche segnale, magari anche dettato da semplice interesse, lasciava
intravedere un astio meno severo nei confronti del Nostro. Prima della
reclusione, nel marzo del 1577, a Comacchio era stata rappresentata una
commedia tassesca alla presenza della corte.[65] Ora Virginia de' Medici voleva
che il testo fosse perfezionato e completato per essere interpretato durante i
festeggiamenti del suo matrimonio con Cesare d'Este. Tasso si mise al lavoro ed
esaudì la richiesta. L'opera fu poi pubblicata nel 1603 e ricevette il
titolo - Gli intrichi d'amore - dal Perini, uno degli attori dell'Accademia di
Caprarola, che aveva messo in scena la commedia nel 1598.[66] L'opera,
ricolma di intrecci amorosi e di agnizioni secondo il costume dell'epoca, è
sofisticata e inverosimile, ma non mancano pagine vivaci ed episodi ispirati
all'Aminta. Vi si possono inoltre vedere alcuni elementi che confluiranno nella
commedia dell'arte: il personaggio del Napoletano, parlando in dialetto e
«profondendosi in spiritosaggini sbardellate», richiama alla mente la futura
maschera di Pulcinella.[67] La critica è stata piuttosto concorde nel ritenerla
infelice, tutta una goffaggine pedantesca e superficiale, nel giudizio di
Francesco D'Ovidio.[68] F. Pourbus: Vincenzo Gonzaga Dopo la
prigionia: le delusioni, le sofferenze, le peregrinazioni Il 13 luglio 1586
finì la prigionia: Tasso venne affidato a Vincenzo Gonzaga[69], che lo volle
alla sua corte di Mantova. Nelle intenzioni di Alfonso, Tasso doveva restare
presso il figlio di Guglielmo Gonzaga solo per un breve periodo[70], ma di
fatto il poeta non tornò più a Ferrara, e restò presso Vincenzo, in un ambiente
in cui conobbe Ascanio de' Mori da Ceno, diventandone amico. A Mantova
Tasso ritrovò qualche barlume di tranquillità; riprese in mano il Galealto re
di Norvegia, la tragedia che aveva lasciato interrotta alla seconda scena del
secondo atto - e che aveva frattanto avuto un'edizione nel 1582 -, e la
trasformò nel Re Torrismondo, conglobando nei primi due atti quanto aveva
precedentemente scritto ma cambiando i nomi, e procedendo alla stesura dei tre
atti successivi in modo da arrivare ai cinque canonici. Quando nell'agosto si
recò a Bergamo, ritrovando amici e parenti, si mise subito in azione per dare
alle stampe la tragedia, e l'opera uscì, a cura del Licino e per i tipi del
Comin Ventura, con dedica a Vincenzo Gonzaga, nuovo duca di Mantova.[71]
Si trattava comunque di una "libertà vigilata", e i fatti
dell'autunno 1587 lo dimostrano chiaramente. Dopo essere tornato a Mantova,
deluso e preoccupato di una possibile venuta di Alfonso, Tasso andò a
Bologna e a Roma senza chiedere al Gonzaga l'autorizzazione e questi, sotto la
pressione del duca di Ferrara, tentò in ogni modo di farlo tornare indietro.
Antonio Costantini, sedicente amico del poeta che metteva al primo posto
l'ambizione e l'obiettivo di essere tenuto in onore presso la corte mantovana,
e Scipione Gonzaga si mobilitarono, ma Torquato capì la situazione e rifiutò di
ritornare, rendendo impossibile qualsiasi mossa, dal momento che un intervento
che lo riportasse nel ducato mantovano con la forza non sarebbe mai stato
tollerato dal Pontefice.[72] Il fatto che nessuno impedisse il viaggio a
Bergamo mentre ci fosse una mobilitazione generale per allontanare il poeta
dall'Urbe rimane comunque un segnale che pare ulteriormente ridimensionare il
peso della presunta follia di Torquato nelle preoccupazioni dei duchi del
settentrione. Il santuario di Loreto in un'incisione di Francisco
de Hollanda (prima meta del sec. XVI) Nel corso del tragitto Tasso passò da
Loreto, raccogliendosi in preghiera nel santuario e concependo quella canzone
«a la gloriosa Vergine» che può forse richiamare il Petrarca della Canzone alla
Vergine in qualche scelta lessicale, ma, in mezzo alla lode e alla supplica, è
tanto più intessuta di travaglio e sofferenza: «Vedi, che fra' peccati
egro rimango, qual destrier, che si volve nell'alta polve, e nel tenace
fango.» Torquato fu a Roma nell'autunno 1587 e fino alla primavera
successiva. L'irrequietudine era di nuovo alle stelle: le lettere registrano le
sue richieste di denaro e le lamentele per la propria condizione di salute. Il
poeta è ormai disilluso, e fa meno affidamento sulla possibilità che gli altri
lo aiutino. Come scrisse alla sorella in una lettera del 14 novembre, gli
uomini «non hanno voluto sanarmi, ma ammaliarmi».[73] Tuttavia, il Nostro è in
preda al bisogno materiale e continua ad autoumiliarsi, scrivendo versi
encomiastici per Scipione Gonzaga, divenuto cardinale, senza ottenere alcunché.
Anche la speranza di essere ricevuto dal papa Sisto V viene delusa, nonostante
le lodi che Tasso rivolge al pontefice in varie poesie, confluite assieme ad
altre del periodo in un volumetto del 1589, stampato a Venezia.[74] Vista
l'inutilità del soggiorno romano, il peregrinante poeta pensò trovare maggior
fortuna nell'amata Napoli. Così, ai primi di aprile del 1588 Tasso ritornò
nella città vesuviana fortemente intenzionato a risolvere a proprio favore le
cause contro i parenti per il recupero della dote paterna e di quella materna.
Benché potesse contare su amici e congiunti, e sulle conoscenze altolocate
partenopee, tra cui i Carafa (o Carrafa) di Nocera, i Gesualdo, i Caracciolo di
Avellino, i Manso, preferì accettare l'ospitalità di un convento di frati
olivetani. Qui conobbe l'amico più caro degli ultimi anni: Giovan Battista
Manso, signore di Bisaccia e primo entusiasta biografo dell'autore dopo la sua
morte. Il clima amichevole in cui fu accolto, la stima di amici e
letterati, e il conforto di una «bellissima città, la quale è quasi una
medicina al mio dolore»[75], riuscirono a risollevare per un breve periodol'infelice
animo tassiano. Per ringraziare i monaci scrisse il poemetto, rimasto
incompiuto, Monte Oliveto, in riferimento al convento in cui sorgeva il
complesso monastico che attualmente ospita la caserma dei carabinieri (resta
visitabile la chiesa Sant'Anna dei Lombardi). L'opera - un resoconto
encomiastico delle principali tappe esistenziali e delle principali virtù di
Bernardo Tolomei, il fondatore della Congregazione - è fortemente intessuta di
spirito cristiano, in un severo richiamo ad una vita sobria, lontana dalle
vanità del mondo. Dedicata al cardinale Antonio Carafa, si interrompe alla
centoduesima ottava.[76] Al pari del Re Torrismondo e di molta parte
dell'ultima produzione tassesca, il Monte Oliveto non ha goduto dei favori
della critica. Guido Mazzoni vi vide più una predica che un poema[77], mentre
Eugenio Donadoni utilizzò quasi le medesime parole che gli erano servite per
stroncare il Torrismondo (v. Re Torrismondo): questa è «l'opera non più di un
poeta, ma di un letterato, che cerca di dare forma e tono epico a una
convenzionale vita di santo».[78] Come per la tragedia nordica, la
rivalutazione è arrivata con l'analisi di Luigi Tonelli e di alcuni studiosi
più recenti. In ogni caso, anche questo periodo napoletano si rivelò
problematico per Tasso, a causa delle precarie condizioni di salute e delle
ristrettezze economiche, a cui si aggiunsero anche nuove polemiche letterarie e
religiose sulla Gerusalemme liberata. Spostatosi a Bisaccia, Tasso poté vivere
un periodo di maggiore tranquillità. Manso ricorda un episodio curioso: mentre
sedeva con l'amico davanti al fuoco, questi disse di vedere uno «Spirito, col
quale entrò in ragionamenti così grandi e meravigliosi per l'altissime cose in
essi contenute, e per un certo modo non usato di favellare, ch'io rimaso da
nuovo stupore sopra me inalzato, non ardiva interrompergli». Alla fine della
visione, Manso confessò di non aver visto nulla, ma il poeta gli si rivolse
sorridendo: «Assai più veduto hai tu, di quello che forse... E qui si
tacque».[79] Viste le rare manifestazioni allucinatorie di cui abbiamo notizia,
(si ricordino quelle che erano state descritte, nel 1580, nel dialogo Il
messaggero, in cui è descritto uno spirito amoroso che appare a Tasso sotto la
figura di un giovanetto dagli occhi azzurri, simili a quelli che Omero alla dea
d'Atene attribuisce), la risposta del Nostro assume una valenza indubbiamente
ambigua, e non può escludersi che avesse voluto mettere alla prova il Manso per
vedere se anche lui lo avrebbe considerato un "folle". Ferdinando
I de' Medici A dicembre era di nuovo a Roma, dove giunse nella speranza di
poter essere ospitato dal Papa in Vaticano, confidando negli illusori pareri di
alcuni amici.[80] Ad ospitare Tasso fu invece Scipione Gonzaga, e il poeta si
sentì di nuovo «più infelice che mai».[81] Ricominciava la routine: richieste
d'aiuto a destra e a sinistra, con l'obiettivo di ricevere i cento scudi che
gli erano stati promessi per la stampa delle sue opere: «vorrei in tutti i modi
trovar questi cento ducati, per dar principio a la stampa, avendo ferma
opinione che di sì gran volume se ne ritrarrebbero molto più», scrisse ad
Antonio Costantini.[82] I destinatari erano ancora una volta i più disparati:
il principe di Molfetta, il Costantini, il duca di Mantova Vincenzo
Gonzaga, gli editori. Il Nostro si umiliò per l'ennesima volta anche con
Alfonso, cui chiese nuovamente perdono, mentre al Granduca di Toscana
Ferdinando I domandò l'intercessione del cardinal Del Monte, lo stesso che
prenderà sotto la propria protezione Caravaggio. Tutte le speranze, però,
furono disattese. Al tempo stesso anche le missive ai medici si rifecero
intense. Tuttavia, in mezzo a tante delusioni e a tanto affanno non venne meno
la verve creativa: oltre ad aver raccolto le Rime in tre volumi, e avervi
scritto il commento, Tasso compose anche un poema pastorale che riprende, anche
se solo nel nome, alcuni personaggi dell'Aminta. È Il rogo di Corinna, dedicato
a Fabio Orsino. La prima pubblicazione dell'opera fu postuma (1608).[83]
Per quanto Grazioso Graziosi, agente del duca di Urbino, dicesse al suo signore
del modo eccellente in cui il Tasso era trattato presso il cardinale Gonzaga,
egli rilevava al contempo le infermità fisiche e mentali di Torquato, che
privavano la sua età «del maggior ingegno che abbian prodotto molte delle
passate».[84] Tuttavia, è bene diffidare della prima quanto della seconda
affermazione. Se «il povero Signor Tasso è veramente degno di molta pietà per
le infelicità della sua fortuna»[85], come si legge in una missiva del Graziosi
di due settimane dopo, perché cacciare il poeta in malo modo, mentre Scipione
Gonzaga non era presente, e costringerlo a una nuova situazione di bisogno? In
aiuto del Tasso vennero ancora i monaci della Congregazione del Tolomei, che lo
ospitarono a Santa Maria Nuova degli Olivetani.[86] Gli ultimi anni del
Tasso, però, non conobbero pace duratura: le sofferenze psichiche si acuirono
nuovamente, certo per le nuove delusioni derivanti da richieste di denaro non
esaudite, dall'obbligo di piegarsi alla composizione di poesie a pagamento, e
il poeta fu costretto a farsi ricoverare nell'Ospedale dei Pazzarelli,
adiacente alla chiesa dei Santi Bartolomeo e Alessandro dei Bergamaschi,
la cui costruzione era appena stata ultimata. Il dolore emerge in modo chiaro
in una lettera inviata il primo dicembre 1589 ad Antonio Costantini, divenuto
ormai suo confidente.[87] A febbraio ritornò presso Scipione Gonzaga,
sempre lamentandosi per la scarsa considerazione in cui era tenuto e sempre
scrivendo della propria infelicità.[88] Tasso premeva, come già più volte in
passato, per essere accolto a Firenze dal Granduca di Toscana, e accettò quindi
con gioia l'invito di Ferdinando de' Medici. A Firenze giunse in aprile, ospite
prima dei fidati Olivetani, poi di ricchi e illustri cittadini quali Pannucci e
Gherardi. Alla tranquillità necessaria per rivedere la Gerusalemme si
aggiunsero anche relative soddisfazioni economiche (sempre comunque in cambio
di versi encomiastici): dal Granduca ricevette centocinquanta scudi[89], da
Giovanni III di Ventimiglia, marchese di Geraci, sembrerebbe, duecento
scudi.[90] Il motivo di gioia principale era tuttavia un altro, era
l'avvicinarsi dell'evento più ambito da chi si sentiva, sopra ogni cosa, poeta:
«Penso a la mia coronazione, la qual dovrebbe esser più felice per me, che
quella de' principi, perché non chiedo altra corona per acquetarmi».[91] Non ci
fu nessuna incoronazione. C'è chi ha asserito che questa lettera contenesse
solo una bislacca speranza del Tasso, senza alcun legame con la realtà.[92]
Tuttavia, la sicurezza con cui l'evento viene ormai dato per certo lascia
pensare che le illusioni del Nostro avessero un fondamento, e non fossero una
pura chimera. Un nuovo evento lo indusse all'ennesimo spostamento: papa Urbano
VII era succeduto a Sisto V, incoraggiando il Tasso a fare nuovamente
affidamento sugli aiuti pontifici. Tasso scese così a Roma, accolto dagli
Olivetani di Santa Maria del Popolo. Giovanni Battista Castagna morì tredici
giorni dopo l'elezione, lasciando il posto a Gregorio XIV. Anche questa volta
le lettere del poeta registrano un amaro scacco: «Ho perduto tutti gli appoggi;
m'hanno abbandonato tutti gli amici, e tutte le promesse ingannato», confidò,
sempre più afflitto, a Niccolò degli Oddi.[93] Il Palazzo Ducale di
Mantova, residenza dei Gonzaga L'autore della Gerusalemme è ogni giorno che
passa più confuso, sballottato qua e là dagli eventi come una barca in mezzo al
mare. Tutto questo riflette la condizione interiore di una persona disincantata
ma al tempo stesso ancora ingenuamente pronta a fidarsi delle fallaci promesse
che giungono dal mondo intorno, riflette un'instabilità ormai cronica. È vero
che la fede andò radicandosi sempre più in Tasso, ma il fatto che al duca di
Mantova scrivesse di volersi ritirare in un monastero e pochi giorni dopo
accettasse il suo invito a tornare a corte è l'evidente manifestazione di
un'anima senza pace.[94] Ritornato quindi sul Mincio (marzo 1591),
accolto con tutti gli onori, poté dedicarsi totalmente al lavoro letterario, e
in particolare alla revisione del capolavoro. La missiva a Maurizio Cataneo del
4 luglio ci informa del fatto che il poeta era già a buon punto, e illustra le
linee direttrici della propria opera correttrice: «sono al fine del penultimo
libro; e ne l'ultimo mi serviranno molte di quelle stanze che si leggono nello
stampeato. Desidero che la riputazione di questo mio accresciuto ed illustrato
e quasi riformato poema toglia il credito a l'altro, datogli dalla pazzia de
gli uomini più tosto che dal mio giudicio».[95] Sono parole che possono parere
sciagurate, ma riflettono gli scrupoli religiosi sempre più pressanti.
Non si era comunque concentrato solo sul poema: aveva raccolto le Rime in
quattro volumi, e con l'editore veneziano Giolito parlava della
possibilità di stampare tutte le opere (esclusa la Gerusalemme) in sei libri. A
tutto questo va aggiunto un nuovo lavoro che aveva intrapreso, lasciandolo poi
incompiuto. La genealogia di Casa Gonzaga, con dedica a Vincenzo, si interruppe
dopo centodiciannove ottave, per essere pubblicato solo nel 1666, tra le Opere
non più stampate dell'edizione romana Dragondelli.[96] Il poemetto è
sicuramente trascurabile, fatto di una versificazione fredda, appesantita da
nozioni e nomi. Tra le fonti il ruolo principale è stato svolto da un regesto
di Cesare Campana, Arbori delle famiglie... e principalmente della Gonzaga,
uscito a Mantova l'anno prima, e dall'Historia sui temporis di Paolo Giovio,
accanto a cui va ricordata la tradizione orale legata alla battaglia del
Taro.[97] La calma, tuttavia, era ormai un ricordo di gioventù, e ogni
soggiorno diventava insopportabile dopo un certo numero di mesi. Così,
ridiscese la penisola, con l'intenzione di raggiungere nuovamente Roma. Il
viaggio fu travagliato e appesantito dal fatto che Tasso si ammalò più volte
durante il tragitto, costretto a sostare in varie località, fra cui Firenze.
Giunto nell'Urbe il 5 dicembre 1591, ricevette l'ospitalità di Maurizio
Cataneo. Poche settimane dopo era ancora in viaggio, diretto a Napoli.[98]
Ultimi anni Cinzio Aldobrandini A questo punto, inaspettatamente, ci fu
spazio per qualche luce e qualche reale soddisfazione. Il soggiorno napoletano,
durato dal febbraio alla fine di aprile del 1592, non tradì, né per quanto riguarda
l'accoglienza ricevuta (fu ospitato dal principe di Conca Matteo di Capua e poi
da Manso con grandi onori e affetto), né sulle questioni letterarie, né su
quelle relative alla salute dell'artista. In effetti, in virtù della «purità
dell'aria»[99], Tasso cominciò a sentirsi meglio, e di conseguenza poté
dedicarsi in modo più proficuo alle proprie attività. In questi mesi completò
la Conquistata, e, sempre durante il soggiorno partenopeo, mise mano all'ultima
opera significativa, Le sette giornate del Mondo creato.[100] Gli ultimi
tre anni di vita lo videro prevalentemente a Roma: nell'aprile 1592 l'elezione
al soglio pontificio di Clemente VIII lo fece venire nell'Urbe, e anche qui
ebbe un trattamento decisamente migliore rispetto alle recenti esperienze. Poté
infatti alloggiare nel palazzo dei nipoti del Papa, Pietro e
CinzioAldobrandini, in procinto di diventare cardinali. Cinzio sarà di fatto il
vero mecenate dell'ultimo periodo. La produzione letteraria ebbe nuovi
sussulti, consacrandosi ormai quasi esclusivamente agli argomenti sacri:
compose i Discorsi del poema eroico e altri Dialoghi, carmi latini e rime
religiose. Addolorato per la morte di Scipione Gonzaga, gli dedicò, nel marzo
1593, Le lagrime di Maria Vergine e Le lagrime di Gesù Cristo.[101] Tasso aveva
intanto finito di rivedere il poema, e sempre nel 1593 vide la luce a Roma, per
i tipi di Guglielmo Facciotti, la Gerusalemme conquistata. Esistono
inoltre chiare testimonianze del fatto che ci fosse l'intenzione di incoronare
Tasso in Campidoglio, nonostante alcuni studiosi si siano ostinati a negarlo e
a considerarla un'invenzione del poeta.[102] «È veramente degno il Signor
Torquato Tasso di esser celebrato in questi medesimi tempi come raro per la sua
poesia, ed è parimente degno della grandezza dell'animo del Signor Cinzio
Aldobrandini di erigergli una statua laureata, con mill'altre cerimonie e
specie, come dicono che tosto si vedrà, e dargli luogo in Campidoglio fra le
più degne ed antiche cerimonie [...]», rivela Matteo Parisetti in una lettera ad
Alfonso II, risalente all'agosto del 1593.[103] Lo stesso Tasso è
esplicito al riguardo: «Qui in Roma mi voglion coronar di lauro», scrive al
Granduca di Toscana il 20 dicembre 1594, «o d'altra foglia».[104] Sennonché,
pur essendo ancora bisognoso di soldi e continuando a fare richiesta per
ottenerli, il poeta sentiva sempre più lontane le preoccupazioni del mondo, e
sempre meno si curava della vanità e dei successi terreni. La salute, dopo la
parentesi napoletana, andava aggravandosi nuovamente, e Torquato cominciava a
capire che la fine non era lontana. Per questo ritornò alle falde del Vesuvio,
per concludere rapidamente in proprio favore la questione legata all'eredità
materna: il risultato fu soddisfacente, acconsentendo il principe di Avellino a
versargli duecento ducati all'anno, ai quali vanno aggiunti cento ducati annui
che il Papa si risolverà a dargli a partire dal febbraio 1595. A Napoli
rimase dal giugno al novembre del 1594, alloggiato al monastero benedettino di
san Severino, sempre più votato alla vita monastica e attratto ancora dalla
letteratura agiografica. Fu probabilmente nei mesi trascorsi presso i
benedettini che Tasso abbozzò l'incompiuta Vita di San Benedetto. Alla fine
dell'anno ritornò a Roma. Cambiò città per l'ultima volta: la fine era
dietro l'angolo. Riconosciuta la definitiva infermità che gli rendeva ormai
impossibile scrivere e correggere, non sentì più che un ultimo bisogno,
tralasciando tutto il resto, il bisogno della «fuga dal mondo».[105] Il 1º
aprile entrò al monastero di S. Onofrio, sul Gianicolo, senza più nemmeno
curarsi del fatto che il Mondo creato non era stato ancora rivisto. Tutto
svaniva, di fronte all'importanza di prepararsi al trapasso: «Che dirà il mio
signor Antonio, quando udirà la morte del suo Tasso? E per mio avviso non
tarderà molto la novella, perch'io mi sento al fine de la mia vita [...] Non è
più tempo ch'io parli de la mia ostinata fortuna, per non dire de
l'ingratitudine del mondo». Tutto perdeva importanza, a fronte della dolcezza
della «conversazione di questi divoti padri», che cominciava «la mia
conversazione in cielo».[106] Monumento in Sant'Onofrio Il 25
aprile, all'«undecima ora»[107], Torquato Tasso moriva all'età di 51 anni. Era
una morte serena, ricevuta con tutti i conforti dei sacramenti: «La
morte del Tasso è stata accompagnata da una particolar grazia di Dio
benedetto, perché in questi ultimi giorni le duplicate confessioni, le lagrime
e insegnamenti spirituali pieni di pietà e di giudizio, mostrarono che fosse
affatto guarito dall'umor malinconico, e che quasi uno spirito gli avesse
accostato al naso l'ampolle del suo cervello».[108] Venne sepolto nella Chiesa
di Sant'Onofrio al Gianicolo. Presso il monastero, accanto alla strada è
ancora visibile la rampa della quercia, dove si trova il tronco nero di una
quercia secolare sostenuto da un sopporto metallico. Secondo la tradizione
locale si tratta della cosiddetta quercia del Tasso, l'albero alla cui ombra il
poeta spesso sedeva per riposarsi. Albero genealogico Reinerius de Tassis[109]
(1117) SconosciutaOmedeo Tasso (1290)[110] SconosciutaRuggero Tasso[111]
SconosciutaBenedetto Tasso[112] SconosciutaPalazzo de Tassis Tonola de Magnasco
(†1504)Pasimo (o Paxio) de Tassis[113][114] (†1496) SconosciutaPietro
Tasso[115] SconosciutaGiovanni Tasso[116] Catalina de Tassi[117]Gabriel Tasso
Porzia de RossiBernardo Tasso Torquato Tasso Opere Un ritratto a
Sorrento. Gerusalemme Scritto quando egli aveva solo 15 anni il Gierusalemme
rappresenta il primissimo tentativo di Tasso di maneggiare il genere epico
nonché il suo primo impegno letterario di rilievo. Se ne possiedono soltanto
centosedici stanze del canto I. Oltre a condividere con la Liberata l'argomento
(la prima Crociata), si notano pure alcune somiglianze tra il proemio di questo
esordio poetico giovanile e quello del capolavoro della maturità. Rinaldo
All'età di diciotto anni Tasso riprese la materia del romanzo cavalleresco e
nel 1562 pubblicò il Rinaldo, poema in ottave che narra in dodici canti (circa
8000 versi) la giovinezza del paladino della tradizione carolingia e le sue
imprese di armi e di amori. Nella prefazione al poema Tasso dichiara di voler
imitare in parte gli "antichi" (Omero e Virgilio), in parte i
"moderni" (Ariosto). Si concentra però su un unico protagonista,
secondo le esigenze di unità proposte dall'aristotelismo. Si tratta di un'opera
tipicamente giovanile, ancora priva di originalità, ma compaiono già alcuni
temi e toni fondamentali che caratterizzeranno il Tasso maturo e formato
culturalmente. Rime Torquato Tasso compose un gran numero di poesie
liriche, lungo l'arco di tutta la sua vita. Le prime furono pubblicate nel 1567
col titolo di Rime degli Accademici Eterei. Nel 1581 uscirono Rime e prose.
Tasso lavorò fino al 1593 ad un riordino complessivo dei testi, distinguendo
rime amorose e rime encomiastiche. Previde poi una terza sezione, dedicata alle
rime religiose e una quarta di rime per musica, ma non realizzò il
progetto. Nelle Rime amorose è ben riconoscibile l'influenza della poesia
petrarchesca e della vasta produzione petrarchistica del Quattrocento e
Cinquecento; contemporaneamente, però, il gusto per le preziosità linguistiche
e l'intensa sensualità rivelano l'evoluzione verso un linguaggio nuovo che
maturerà nel Seicento. L'uso frequente di forme metriche poco usate dai poeti
precedenti, come il madrigale, e la raffinata musicalità dei versi fecero sì
che molti di essi fossero musicati da grandi autori come Claudio Monteverdi e
Gesualdo da Venosa. Più solenni e classicheggianti le Rime encomiastiche,
dedicate alle figure e alle famiglie signorili che ebbero rilievo nella vita
del poeta. Per la loro creazione si ispira a Pindaro, Orazio e al celebre
Monsignor della Casa. Fra tutte, la più famosa è la Canzone al Metauro,
intessuta di elementi autobiografici. Le Rime religiose sono
caratterizzate dal tono cupo e plumbeo, forse dovuto al fatto che le scrisse
negli ultimi anni di vita. Qui il poeta manifesta il desiderio di sconfiggere
l'ansia esistenziale e il tormentoso senso del peccato attraverso la fede e
l'espiazione. Discorsi dell'arte poetica Attorno alla metà degli Anni
Sessanta scrisse i quattro libri dei Discorsi dell'arte poetica ed in
particolare sopra il poema eroico, letti all'Accademia Ferrarese e pubblicati
molto più tardi, nel 1587, dal Licino. Il testo fornisce una chiara visione
della concezione tassesca del poema eroico, piuttosto distante da quella
ariostesca, che dava la prevalenza all'invenzione e all'intrattenimento del
pubblico. Perché possa essere giudicato di buon livello, deve basarsi su
un evento storico, da rielaborare in modo inedito. Infatti, «la novità del
poema non consiste principalmente in questo, cioè che la materia sia finta, e
non più udita; ma consiste nella novità del nodo e dello scioglimento della
favola».[118] Al verosimile deve essere unito il meraviglioso, e Tasso
trova l'unione perfetta di queste due componenti nella religione
cristiana.[119] Intiera, l'opera deve essere una, ossia prevedere l'unità
d'azione, ma senza schemi rigidi: ci può essere largo spazio per la varietà, e
per la creazione di numerosi racconti nel racconto, e in questo senso la
Gerusalemme liberata costituisce una piena realizzazione delle idee
dell'autore. Lo stile, infine, deve adeguarsi alla materia, e variare tra il
sublime e il mediocre a seconda dei casi. Aminta Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Aminta (Tasso). Le sofferenze
di Aminta, dipinto di Bartolomeo Cavarozzi «L'Aminta non è un dramma pastorale
e neppure un dramma. Sotto nomi pastorali e sotto forma drammatica è un
poemetto lirico, narrazione drammatizzata, anzi che vera rappresentazione,
com'erano le tragedie e le commedie e i così detti drammi pastorali in Italia …
Essa è in fondo una novella allargata a commedia, di quel carattere romanzesco
che dominava nell'immaginazione italiana, aggiuntavi la parte del buffone, che
è il Ruffo, la cui volgarità fa contrasto con la natura cavalleresca de' due
protagonisti, Virginia e il principe di Salerno. Gli avvenimenti più strani si
accavallano con magica rapidità, appena abbozzati, e quasi semplice occasione a
monologhi e capitoli, dove paion fuori i sentimenti dei personaggi misti alla
narrazione … L'Aminta è un'azione fuori del teatro, narrata da testimoni o da
partecipi con le impressioni e le passioni in loro suscitate. L'interesse è
tutto nella narrazione sviluppata liricamente e intramessa di cori, il cui
concetto è l'apoteosi della vita pastorale e dell'amore: "s'ei piace, ei
lice". Il motivo è lirico, sviluppo di sentimenti idillici, anzi che di caratteri
e di avvenimenti. Abbondano descrizioni vivaci, soliloqui, comparazioni,
sentenze, movimenti appassionati. Vi penetra una mollezza musicale, piena di
grazia e delicatezza, che rende voluttuosa anche la lacrima. Semplicità molta è
nell'ordito, e anche nello stile, che senza perder di eleganza guadagna di
naturalezza, con una sprezzatura che pare negligenza ed è artificio finissimo.
Ed è perciò semplicità meccanica e manifatturata, che dà un'apparenza pastorale
a un mondo tutto vezzi e tutto concetti. È un mondo raffinato, e la stessa
semplicità è un raffinamento. A' contemporanei parve un miracolo di perfezione,
e certo non ci è opera d'arte così finamente lavorata.» (Francesco
De Sanctis) L'Aminta è una favola pastorale composta nel 1573 e pubblicata nel
1580 ca. Presenta un prologo, 5 atti, un coro. Ogni canto si conclude a lieto
fine. Ha ispirato la composizione della favola pastorale Flori di
Maddalena Campiglia lodata dallo stesso Torquato Tasso. Re Torrismondo
Intorno al 1573-1574, sulle ali dell'entusiasmo per il successo dell'Aminta
Tasso incominciò una tragedia, Galealto re di Norvegia, che però interruppe
alla seconda scena del secondo atto. Il poeta la riprese e la completò a
Mantova, subito dopo la liberazione dall'Ospedale di Sant'Anna cambiando però
il titolo, diventato Re Torrismondo, e il nome del protagonista.
L'ambientazione è nordica: in essa sono frequenti le immagini di distese
boschive. In questo, il Tasso mostra la sua forte curiosità per le leggende
nordiche, come ad esempio mostra la lettura dell'Historia de gentibus
septentrionalibus di Olao Magno. L'editio princeps è quella bergamasca
del 1587; seguirono a ruota le edizioni di Mantova, Ferrara, Venezia e Torino,
ma poi ci fu un lungo silenzio. L'opera fu rappresentata per la prima volta
soltanto nel 1618 al Teatro Olimpico di Vicenza. Trama Torrismondo è
intimamente segnato dal conflitto tra amore e amicizia: il sovrano (d'una
ignota regione nordica, non di Norvegia) ama Alvida, che a causa di un debito
passato (Germondo aveva salvato la vita a Torrismondo) deve sposarsi con
l'amico Germondo, re di Svezia, regno nemico a quello di Alvida poiché Germondo
stesso era stato accusato di omicidio del fratello di Alvida. Germondo dunque
non può sposarsi con la donna amata poiché il padre di quest'ultima lo odia.
Germondo decide allora che Torrismondo per sdebitarsi avrebbe dovuto chiedere
la mano di Alvida e al momento delle nozze avrebbe dovuto scambiare la sposa.
Ottenuta da Torrismondo la mano di Alvida i due consumano l'amore. La storia
prenderà un'altra china quando Torrismondo scoprirà che la donna amata non è
altri che la sorella, la situazione culminerà nel suicidio dei due. Il Re
Torrismondo è molto importante perché anticipa le tragedie barocche, nelle
quali si riprendono alcune caratteristiche fondamentali delle tragedie
senecane: la meditatio mortis (il Memento mori) e il gusto dell'orrido. Nel
Tasso, però, ciò che compare fortemente e caratterizza le sue tragedie è il
conflitto intimo che dilania l'animo dei personaggi: l'uomo si sente
intrappolato dal fato, poiché impossibilitato all'agire, a modificare il corso
degli eventi ormai già predisposti. Tuttavia, la critica non si è
espressa positivamente in merito all'opera: Angelo Solerti e Francesco D'Ovidio
si sono mostrati ostili verso il Torrismondo come lo erano stati nei confronti
degli Intrichi d'amore[120], e severo si è dimostrato anche Umberto Renda, che
alla tragedia ha dedicato una monografia.[121] Ancora più duro il giudizio di
Eugenio Donadoni, che arrivò a parlare di «opera di un ex-poeta, non più di un
poeta»[122], e nemmeno Giosuè Carducci, pur apprezzando lo sforzo di unire
elementi pagani e religiosi, classici ed esotici, ha ritenuto il dramma degno
dell'ingegno tassesco.[123] Solo Luigi Tonelli, nel 1935, ha fatto presente che
superava pur sempre «la maggior parte delle tragedie cinquecentesche e
rivaleggiava con le migliori del tempo».[124] Gerusalemme liberata
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Gerusalemme
liberata. Torquato Tasso con la sua Gerusalemme liberata La Gerusalemme
liberata è considerata il capolavoro di Tasso. Il poema tratta di un
avvenimento realmente accaduto, ossia la prima crociata. Tasso iniziò a
scrivere l'opera con il titolodi Gierusalemme nel 1559 durante il soggiorno a
Venezia e la concluse nel 1575. L'opera fu pubblicata integralmente nel 1581
con il titolo di Gerusalemme liberata. In seguito alla pubblicazione del poema
il poeta rimise mano all'opera e la riscrisse eliminando tutte le scene amorose
e accentuando il tono religioso ed epico della trama. Cambiò anche il titolo in
Gerusalemme conquistata. In realtà la Conquistata fu immediatamente dimenticata
e la redazione che continuò ad avere grande successo e ad essere ristampata, in
Italia e nei paesi stranieri, fu la Liberata. Trama Goffredo di Buglione
nel sesto anno di guerra raduna i crociati, viene eletto comandante supremo e
stringe d'assedio Gerusalemme. Uno dei guerrieri musulmani decide di sfidare a
duello il crociato Tancredi. Chi vince il duello vince la guerra. Il duello
però viene sospeso per il sopraggiungere della notte e rinviato. I diavoli
decidono di aiutare i musulmani a vincere la guerra. Uno strumento di Satana è
la maga Armida che con uno stratagemma riesce a rinchiudere tutti i migliori
eroi cristiani, tra cui Tancredi, in un castello incantato. L'eroe Rinaldo per
aver ucciso un altro crociato che lo aveva offeso viene cacciato via dal campo.
Il giorno del duello arriva e poiché Tancredi è scomparso viene sostituito da
un altro crociato aiutato da un angelo. I diavoli aiutano il musulmano e
trasformano il duello in battaglia generale. I crociati sembrano perdere la
guerra quando arrivano gli eroi imprigionati liberati da Rinaldo che rovesciano
la situazione e fanno vincere la battaglia ai cristiani. Goffredo ordina ai
suoi di costruire una torre per dare l'assalto a Gerusalemme ma Argante e
Clorinda (di cui Tancredi è innamorato) la incendiano di notte. Clorinda non
riesce a entrare nelle mura e viene uccisa in duello proprio da colui che
l'ama, Tancredi, che non l'aveva riconosciuta. Tancredi è addolorato per aver
ucciso la donna che amava e solo l'apparizione in sogno di Clorinda gli
impedisce di suicidarsi. Il mago Ismeno lancia un incantesimo sul bosco in modo
che i crociati non possano ricostruire la torre. L'unico in grado di spezzare
l'incantesimo è Rinaldo, prigioniero della maga Armida. Due guerrieri vengono
inviati da Goffredo per cercarlo e alla fine lo trovano e lo liberano. Rinaldo
vince gli incantesimi della selva e permette ai crociati di assalire e
conquistare Gerusalemme. I Dialoghi La stesura di prose dialogiche impegnò
Tasso fin dal 1578, anno della composizione del Forno overo de la
Nobiltà. La dialogistica tassiana è stata da sempre relegata al margine
dalla critica: De Sanctis accenna soltanto al Minturo overo della Bellezza,
limitandosi ad asserire che Tasso da giovane fu “infetto dalla peste
filosofica”. Un giudizio a dir poco sminuente se si considera che il poeta
compose venticinque dialoghi (e questa è solo la cifra canonica; non si fa
riferimento, infatti, agli abbozzi e ai rimaneggiamenti) e vi pose il suo
impegno fino alla morte. Una valutazione più precisa è fornita da
Donadoni: lo studioso dedica un intero capitolo della sua monografia ai
Dialoghi indagandone trame, fonti e suggestioni. La prima edizione moderna
del corpus dialogico tassiano è quella di Guasti (1858-1859), il quale, però,
non riuscendo a reperire tutti i manoscritti dei Dialoghi si basa sui testimoni
a stampa, dando vita ad un’edizione, che presenta corruttele da far
rabbrividire i moderni filologi. Un grande passo in avanti nella fortuna
dei Dialoghi è rappresentato dall’edizione critica di Ezio Raimondi pubblicata
nel 1958, di capitale importanza per gli studiosi tassiani i quali, ancora oggi,
continuano a considerarla punto di riferimento. Raimondi considerò i Dialoghi
tassiani come opere postume, scegliendo la versione più attendibile fra
manoscritti e stampe in base alla loro storia individuale. Questo
criterio non è stato accettato da Stefano Prandi e Carlo Ossola, i quali hanno
proposto un’edizione storica dei Dialoghi che tenesse conto dei testi
effettivamente circolanti all’epoca dello scrittore. L’edizione in realtà non
ha mai visto la luce e si è fermata al 1996 ad uno specimen che avrebbe dovuto
anticipare una successiva edizione completa. Negli ultimi anni gli
studiosi della prosa tassiana sono aumentati: si è posta attenzione al Tasso
politico, con due edizioni commentate della Risposta di Roma a
Plutarco[125][126] e al Tasso egittologo di cui si è occupato Bruno Basile. Non
mancano letture dei singoli dialoghi: Basile e Arnaldo Di Benedetto si sono
occupati del Padre di Famiglia (rispettivamente, Fonti culturali e invenzione
letteraria nel «Padre di famiglia» di Torquato Tasso; e Torquato Tasso, «Il
padre di famiglia»); Emilio Russo del Manso (Amore e elezione nel
"Manso" di Torquato Tasso), Massimo Rossi del Malpiglio Secondo e del
Rangone (Io come filosofo era stato dubbio. La retorica dei
"Dialoghi" di Tasso); Maiko Favaro, dopo la monografia di
Prandi/Ossola, ha offerto una puntuale lettura del Forno, premiata con il
premio Tasso 2016 (Le virtù del tiranno e le passioni dell’eroe. Il “Forno
overo de la Nobiltà” e la trattatistica sulla virtù eroica); Angelo Chiarelli
si è, invece, occupato del Malpiglio overo de la corte (Una «congregazione di
uomini raccolti per onore». Tentativi di aggiornamento della teoria cortigiana
nella dialogistica e nella prosa tassiana[127]), preceduto dal contributo di
Massimo Lucarelli sullo stesso argomento (Il nuovo «Libro del Cortegiano»: una
lettura del «Malpiglio» di Tasso) e del Costante («Questa concordia è sempre
nelle cose vere». Note per una contestualizzazione de «Il Costante overo de la
clemenza» di Tasso[128]). L'edizione critica di Raimondi fornisce il
testo dei venticinque dialoghi tassiani, con un'appendice che ci permette di
conoscere i manoscritti superstiti e le stampe. Questo il titolo dei vari
dialoghi: Il Forno overo de la Nobiltà; Il Beltramo overo de la cortesia;
Il Forestiero Napoletano overo de la gelosia; Il N. overo de la pietà; Il Nifo
overo del piacere; Il messaggiero; Il padre di famiglia; De la dignità; Il
Gonzaga secondo overo del giuoco; Dialogo; Il Rangone overo de la pace; Il
Malpiglio overo de la corte; Il Malpiglio secondo overo del fuggir la
moltitudine; La Cavalletta overo de la poesia toscana; Il Gianluca overo de le
maschere; Il Cataneo overo de gli idoli; Il Ghirlinzone overo l'epitaffio; La
Molza overo de l'amore; Il Costante overo de la clemenza; Il Cataneo overo de
le conclusioni amorose; Il Manso overo de l'amicizia; Il Ficino overo de
l'arte; Il Minturno overo de la bellezza; Il Porzio overo de le virtù; Il Conte
overo de le imprese. Le sette giornate del mondo creato È un poema in
endecasillabi sciolti, composto tra il 1592 e il 1594, accanto ad altre opere
di contenuto religioso di impronta chiaramente controriformistica. Il poema
venne pubblicato postumo nel 1607. Si fonda sul racconto biblico della
creazione ed è suddiviso in sette parti, corrispondenti come dice il titolo ai
sette giorni nei quali Dio creò il mondo, e presenta una continua esaltazione
della grandezza divina della quale la realtà terrena è un pallido
riflesso. Le lacrime di Maria Vergine e Le lacrime di Gesù Cristo Si
tratta, come nel caso de Le sette giornate del mondo creato, di due scritti
facenti parte delle cosiddette "opere devote" del Tasso. Nello
specifico, sono due poemetti in ottave che riprendono la tradizione della
"poesia delle lacrime", in voga nella seconda metà del Cinquecento,
scritti e pubblicati nel 1593, appena qualche anno prima della morte.
Influenze culturali Statua di Tasso a Sorrento La figura del Tasso, anche
per la sua pazzia, divenne subito popolare. La lucidità delle opere scritte
durante il periodo di prigionia nell'Ospedale di Sant'Anna fece diffondere la
leggenda secondo cui il poeta non era veramente pazzo ma fu fatto passare per
tale dal duca Alfonso che voleva punirlo per aver avuto una relazione con sua
sorella, imprigionandolo (anche se, come si è visto, è assai più probabile che
la vera ragione della reclusione consistesse nell'autoaccusa del poeta di
fronte al tribunale dell'Inquisizione). Questa leggenda si diffuse rapidamente
e rese particolarmente popolare la figura del Tasso, fino a ispirare a Goethe
il dramma Torquato Tasso (1790)[129]. In età romantica il poeta divenne
il simbolo del conflitto individuo-società, del genio incompreso e perseguitato
da tutti coloro che non sono in grado di comprendere il suo talento
straordinario. In particolare Giacomo Leopardi, che quando si recò a Roma il
giorno venerdì 15 febbraio del 1823 pianse sul sepolcro del Poeta in S. Onofrio
(commentando in una lettera che quella esperienza era stata per lui "il
primo e l'unico piacere che ho provato in Roma"), considerava Torquato
Tasso come un fratello spirituale, ricordandolo in numerosi passi dei propri
scritti (tra cui quello citato) e nel Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio
familiare (una delle Operette morali). Molta parte della poesia
recanatese è impregnata di stile tassesco: i notturni di alcuni canti, come La
sera del dì di festa o Canto notturno di un pastore errante dell'Asia,
richiamano quelli della Gerusalemme, mentre nella canzone Ad Angelo Mai
Leopardi crea una forte empatia con il «misero Torquato»[130], spirito fraterno
«concepito come un alter ego».[131] I due nomi femminili più celebri presenti
nei Canti, Silvia e Nerina, furono ripresi dall'Aminta. In generale,
l'attenzione si spostò dai personaggi della Liberata al dramma esistenziale
vissuto dal suo autore. Pochi anni dopo, nel 1833, Jacopo Ferretti scrisse le
parole del Torquato Tasso, melodramma in tre atti musicato da Gaetano Donizetti
e rappresentato per la prima volta al Teatro Valle.[132] Il "mito"
conquistò anche Franz Liszt: era il 1849 quando l'apostolo del Romanticismo
metteva in musica l'opera byroniana Il lamento del Tasso, dando vita al poema
sinfonico Tasso. Lamento e Trionfo. Il poeta vicentino ottocentesco
Jacopo Cabianca ha dedicato al Tasso un poema in dodici canti intitolato
appunto Il Torquato Tasso. Nei primi anni del ventesimo secolo il
compositore catanese Pietro Moro si concentrò sugli ultimi momenti di vita del
poeta con Ultime ore di Torquato Tasso, carme in un atto sulle parole di
Giovanni Prati (riviste per l'occasione da Rojobe Fogo). Torquato Tasso
nel cinema Torquato Tasso, regia di Luigi Maggi (1909) Torquato Tasso, regia di
Roberto Danesi (1914) Adattamenti cinematografici de La Gerusalemme liberata Il
primo regista a girare un film sull'opera fu Enrico Guazzoni. Lo stesso nel
1913 e nel 1918 ne farà due remake; Gerusalemme liberata, di Enrico
Guazzoni (1910); La Gerusalemme liberata, di E. Guazzoni (1918); La Gerusalemme
liberata, di Carlo Ludovico Bragaglia (1957); I due crociati, parodia di
Giuseppe Orlandini con Franco e Ciccio (1968). Onori Nel 2009 Alitalia gli ha
dedicato uno dei suoi Airbus A320-216 (EI-DTH). Onorificenze Laurea poetica
(postuma) - nastrino per uniforme ordinariaLaurea poetica (postuma) — Roma,
1595 Bibliografia Biografie Giovan Pietro D'Alessandro, Vita di Torquato Tasso
(1604), ed. da C. Gigante, in «Giornale storico della Letteratura Italiana»,
CLXXVII 2000, pp. 59–70 Giovan Battista Manso, Vita di Torquato Tasso (1621), a
cura di B. Basile, Roma, Salerno Editrice, 1995 Pier Antonio Serassi, La vita
di Torquato Tasso, Bergamo, Stamp. Locatelli, 1790², 2 to. Angelo Solerti, Vita
di Torquato Tasso, Torino-Roma, Loescher, 1895, 3 voll. Luigi Tonelli, Tasso,
Torino, Paravia, 1935 Giulio Natali, Torquato Tasso, Roma, Tariffi, 1943 Capitoli
di storie letterarie Ettore Bonora, in Storia della letteratura italiana, dir.
E. Cecchi e N. Sapegno, Milano, Garzanti, 1966, vol. IV, pp. 713–811 Marziano
Guglielminetti, in Storia della civiltà letteraria italiana, dir. G. Barberi
Squarotti, Torino, Utet, 1990, vol. III, pp. 303–355 Guido Baldassarri, in
Storia generale della letteratura italiana, a cura di N. Borsellino e W.
Pedullà, vol. V. L'età della Controriforma. Il tardo Cinquecento, Milano,
Motta, 1999, pp. 281–446. Monografie critiche Francesco Falco, Dottrine
filosofiche di Torquato Tasso, Lucca, Serchio, 1895. Felice Vismara, L'animo di
Torquato Tasso rispecchiato ne' suoi scritti, Milano, Hoepli, 1895. Giuseppe
Bianchini, Il pensiero filosofico di Torquato Tasso, Verona, Drucker, 1897. Augusto
Sainati, La lirica di Torquato Tasso, Pisa, Nistri, 1912. Eugenio Donadoni,
Tasso, Venezia, La Nuova Italia, 1928². Giovanni Getto, Interpretazione del
Tasso, Napoli, ESI, 1966. Mario Fubini, La poesia del Tasso, in Studi sulla
letteratura del Rinascimento, Firenze, La Nuova Italia, 1971 (seconda
edizione), pp. 248-86. Walter Moretti, Torquato Tasso, Roma-Bari, Laterza,
1974. Arnaldo Di Benedetto, Con e intorno a Torquato Tasso, Napoli, Liguori,
19963. Franco Fortini, Dialoghi col Tasso, Torino, Bollati Boringhieri, 1999
ISBN 88-339-1132-2. «Nel mondo mutabile e leggiero» Torquato Tasso e la cultura
del suo tempo, a cura di Pasquale Sabbatino, Dante Della Terza, Giuseppina
Scognamiglio, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2003, ISBN 88-495-0568-X.
Claudio Gigante, Tasso, Roma, Salerno Editrice, 2007. Edizioni Aminta, a cura
di B. T. Sozzi, in T. Tasso, Opere, Torino, UTET, 1974. Appendice alle opere in
prosa, a cura di A. Solerti, Firenze, Successori Le Monnier, 1892. Dialoghi, a
cura di E. Raimondi, Firenze, Sansoni («Autori classici e Documenti di lingua
pubblicati dall'Accademia della Crusca»), 1958, 3 voll. (4 tomi). Discorsi
dell'arte poetica e del poema eroico, a cura di L. Poma, Bari, Laterza
(«Scrittori d'Italia»), 1964. Discorso della virtù feminile e donnesca, a cura
di M.L. Doglio, Palermo, Sellerio, 1997. Gerusalemme conquistata, a cura di
L. Bonfigli, Bari, Laterza («Scrittori d'Italia»), 1934, 2 voll.
Gerusalemme conquistata. Ms. Vind. Lat. 72 della Biblioteca Nazionale di
Napoli, a cura di C. Gigante, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 2010.
Gerusalemme liberata, a cura di L. Caretti, Milano, Mondadori («I Meridiani»),
1979. Giudicio sovra la ‘Gerusalemme' riformata, a cura di C. Gigante, Roma,
Salerno Editrice («Testi e documenti di letteratura e di lingua», XX), 2000. Il
Gierusalemme, a cura di L. Caretti, Parma, Zara («Le parole ritrovate», 8),
1993. Il Monte Oliveto, a cura di A. M. Lagomarzini, in «Studi tassiani», XI
1961, pp. 5-67. Il Re Torrismondo, a cura di V. Martignoni, Parma-[Milano],
Guanda-Fondazione Pietro Bembo («Biblioteca di scrittori italiani»), 1993.
Intrichi d'amore, a cura di E. Malato, Roma, Salerno Editrice («Testi e
documenti di letteratura e di lingua», I), 1976. Le Lettere di T. T. disposte
per ordine di tempo ed illustrate da C. Guasti, Firenze, Le Monnier, 1852-1855,
5 voll: vol. 1, vol. 2, vol. 3, vol. 4, vol. 5. Le prose diverse, a cura di C.
Guasti, 2 voll., Firenze, Le Monnier, 1875. Le Rime, a cura di B. Basile, 2
voll., Roma, Salerno Editrice, 1994. Le Rime, edizione critica su i manoscritti
e le antiche stampe a cura di A. Solerti, Bologna, Romagnoli-Dall'Acqua,
1898-1902, 4 voll. Lettere poetiche, a cura di C. Molinari, Parma-[Milano],
Guanda-Fondazione Pietro Bembo («Biblioteca di scrittori italiani»), 1995.
Mondo creato, a cura di G. Petrocchi, Firenze, Le Monnier, 1951. Opere minori
in versi, a cura di A. Solerti, Bologna, Zanichelli, 1891, 2 voll. Prose, a
cura di E. Mazzali, Milano-Napoli, Ricciardi, 1959, pp. 410–85. Rinaldo, a cura
di L. Bonfigli, Bari, Laterza («Scrittori d'Italia»), 1936. Risposta di Roma a
Plutarco, a cura di E. Russo, commento di E. Russo e C. Gigante, Torino, RES,
2007. Teatro, a cura di M. Guglielminetti, Milano, Garzanti, 1990. Risposta di
Roma a Plutarco e Marginalia, a cura di Paola Volpe Cacciatore, Roma, ESL,
2004. Studi critici Sulla vita di Tasso e sulla fortuna Arnaldo Di Benedetto,
«La sua vita stessa è una poesia»: sul mito romantico di Torquato Tasso, in Dal
tramonto dei Lumi al Romanticismo. Valutazioni, Modena, Mucchi, 2000, pp.
203–242. Maria Luisa Doglio, Origini e icone del mito di Torquato Tasso, Roma,
Bulzoni, 2002. Anderson Magalhães, «Uno scrittore di cose secrete»: la fortuna
de Il Secretario di Torquato Tasso fra Italia e Francia, in «Il Segretario è
come un angelo». Trattati, raccolte epistolari, vite paradigmatiche, ovvero
come essere un buon segretario nel Rinascimento, Atti del XIV Convegno
Internazionale di Studio organizzato dal Gruppo di Studio sul Cinquecento
francese, Verona 25-27 maggio 2006, a cura di Rosanna Gorris Camos, Fasano,
Schena, 2008, pp. 109–142. Umberto Lorenzetti, Cristina Belli Montanari,
L'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Tradizione e rinnovamento
all'alba del Terzo Millennio, Fano (PU), settembre 2011. Sulle Rime Arnaldo Di
Benedetto, Fra petrarchismo e Barocco: le «Rime» di Torquato Tasso, «A me
versato il mio dolor sia tutto», Lo sguardo di Armida (Un'icona della
«Gerusalemme liberata»), Per un anonimo in meno: l'autore del dialogo «Il
Tasso», in Tra Rinascimento e Barocco. Dal petrarchismo a Torquato Tasso,
Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2007, pp. 63–116. Massimo Colella, «Parmi
ne’ sogni di veder Diana». Emersioni seleniche nelle Rime di Torquato Tasso, in
«Griseldaonline», 14, 2014.[133] Sull'«Aminta» Mario Fubini, L'«Aminta»:
intermezzo alla tragedia della «Liberata», in Studi sulla letteratura del
Rinascimento, cit., pp. 200-15. Maria Grazia Accorsi, «Aminta»: ritorno a
Saturno, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998. Arnaldo Di Benedetto, Il sorriso
dell'«Aminta», in «Giornale storico della letteratura italiana», CLXXXVI
(2009), pp. 3-16. Arnaldo Di Benedetto, Tasso, Haller, Ungaretti, in «Studi
tassiani», LIX-LXI (2011-2013), pp. 89-95. Sui Dialoghi Arnaldo Di Benedetto,
Torquato Tasso, «Il padre di famiglia», in L'«incipit» e la tradizione
letteraria italiana. Dal Trecento al tardo Cinquecento, a cura di Pasquale
Guaragnella e Stefania De Toma, Lecce-Brescia, Pensa MultiMedia, 2011, pp.
365–376. Angelo Chiarelli, «Questa concordia è sempre nelle cose vere».
Note per una contestualizzazione de «Il Costante overo de la clemenza» di
Tasso, in «Filologia e Critica», a. XLI, 2 2016, pp. 257-70. Angelo Chiarelli,
Una «congregazione di uomini raccolti per onore». Tentativi di aggiornamento
della teoria cortigiana nella dialogistica e nella prosa tassiana, in «La
Rassegna della letteratura italiana», 2017, vol. 121, nº1, pp. 34-43. Raimondi
Ezio, Il Problema Filologico e Letterario dei Dialoghi di T. Tasso, in
Rinascimento Inquieto, Einaudi, Torino 1994, pp. 189-217. Bozzola Sergio,
«Questo quasi arringo del ragionare». La Tecnica dei «Dialoghi» Tassiani, in
«Italianistica, Rivista di Letteratura Italiana», LIX 1998, pp. 71-79.
Baldassarri Guido, L’arte del dialogo in Torquato Tasso, in «Studi Tassiani»,
XX 1970, pp. 5-46. Note Guido Armellini e Adriano Colombo, Torquato Tasso
- L'uomo, in Letteratura italiana - Guida storica: Dal Duecento al Cinquecento,
Zanichelli Editore, 2009 [2000], p. 175, ISBN 88-08-19732-8. ^ Luperini,
Cataldi, Marchiani, La scrittura e l'interpretazione, Palumbo, 1997, vol. 3,
pag. 91; L. Tonelli, Tasso, Torino 1935, p. 40 ^ Lettere di Torquato Tasso,
Firenze, Le Monnier, 1901, vol. II, p. 90 ^ L. Tonelli, cit., p. 42 ^ G.
Natali, Torquato Tasso, Roma, 1943, pp. 13-14. ^ G. Natali, cit., pp. 14-16 ^
A. Solerti, Vita di Torquato Tasso, Torino 1895, vol. I, pp. 51-52. Altri
pensano invece che queste sperimentazioni risalgano al periodo patavino o
addirittura a quello bolognese. ^ G. Natali, cit., pp. 16-18 ^ Luperini,
Cataldi, Marchiani, La scrittura e l'interpretazione, Palumbo, 1997, vol. 3,
pag. 96 ^ G. Natali, cit., pp. 21-22 ^ G. Natali, cit., p. 20 ^ L. Tonelli,
cit., p. 68 ^ G. Natali, cit., p. 22; L. Tonelli, cit., p. 60 ^ E. Durante, A.
Martellotti, «Giovinetta Peregrina». La vera storia di Laura Peperara e
Torquato Tasso, Firenze, Olschki, 2010 ^ W. Moretti, Torquato Tasso, Roma-Bari
1981, p. 10 ^ Baldi, Giusso, Razetti, Zaccaria, Dal testo alla storia. Dalla
storia al testo, Milano: Paravia, 1994, vol. 2/1, p. 653 ^ L. Tonelli, cit.,
pp. 72-73; il rapporto amoroso è stato ipotizzato in particolare da Angelo de
Gubernatis in T. Tasso, Roma, Tipografia popolare, 1908 ^ L. Tonelli, cit., p.
82 ^ Lettere, cit., I, p. 22 ^ L. Tonelli, cit., p. 89 ^ L. Tonelli, cit., pp.
99-100 ^ Lettere, cit., I, p. 49 ^ Secondo Maria Luisa Doglio la data non è
casuale e si inserirebbe nella tradizione petrarchesca. Petrarca avrebbe
infatti visto per l'unica volta Laura il 6 aprile 1327; cfr. M. L. Doglio,
Origini e icone del mito di Torquato Tasso, Roma 2002, p. 21 ^ Lettere, cit.,
I, p. 61 ^ Lettere, cit., I, p. 67 ^ Lettere, cit., I, p. 114 ^ Si tratta di
un'epistola al Gonzaga del luglio 1575; Lettere, cit., I, p. 103 ^ L. Tonelli,
p. 117 ^ S. Guglielmino, H. Grosser, Il sistema letterario, Milano, Principato,
1996, vol. 2/A, p. 367 ^ L. Tonelli, cit., pp. 94-95 ^ Lettere, cit, I, p. 141
^ Si trattava comunque di uno stipendio oggettivamente basso, che a una persona
comune avrebbe garantito a stento la sopravvivenza; L. Tonelli, cit., p. 172 ^
Lettere, cit., I, pp. 219-220 ^ L. Chiappini, Gli Estensi, Milano, Dall'Oglio,
1967, p. 303 ^ A. Solerti, cit., II, pp. 118-119 ^ A. Solerti, cit., II, pp.
120-121 ^ A. Solerti, cit., II, p. 124 ^ L. Tonelli, cit., p. 176 ^ G. B.
Manso, Vita del Tasso, in Opere del Tasso, Firenze, 1724, vol. I, p. XXVIII ^
M. Vattasso, Di un gruppo sconosciuto di preziosi codici tasseschi, Torino,
1925, p. 19 ^ M. Vattasso, cit., p. 8 ^ A. Solerti, cit., II, p. 139 L.
Tonelli, cit., p. 181 ^ M. L. Doglio, cit., p. 23 ^ I. De Bernardi, F. Lanza,
G. Barbero, Letteratura Italiana, vol. 2, SEI, Torino, 1987 ^ Lettere, cit., I,
p. 298 ^ Lettere, cit., I, p. 299 ^ A. Solerti, cit., II, p. 143; così scrive
al cardinale Luigi un suo informatore il 14 marzo ^ L. Tonelli, cit., p. 182 ^
Lettere, cit., II, p. 89 ^ L. Tonelli, cit., p. 187 ^ A. Solerti, cit., I, pp.
313-314 ^ T. Tasso, Lettere, a cura di Cesare Guasti, Napoli, Rondinella, 1857,
vol.I, pp. 166-168 ^ A. Corradi, Delle infermità di Torquato Tasso, Regio
Instituto Lombardo, p. 548 ^ L. Tonelli, cit., pp. 118-119 ^ M. L. Doglio,
cit., pp. 41 e ss. ^ Opere di Torquato Tasso, Firenze, Tartini e Franchi, 1724,
vol. V, p. 412 ^ L. Tonelli, cit., pp. 207-211 ^ Infarinato era il nome
accademico assunto dal Salviati ^ Tra parentesi sono indicate le date di
pubblicazione ^ L. Tonelli, cit., p. 216 ^ Opere, cit., II, p. 276 ^ Tra
parentesi si indicano due date, quella di composizione e quella di
pubblicazione ^ Lettere, cit., II, p. 56 ^ La prima versione di quelli che
saranno Gli intrichi d'amore non ci è pervenuta ^ L. Tonelli, cit., p. 238 ^ L.
Tonelli, cit., pp. 239-240 ^ F. D'Ovidio, Saggi critici, Napoli, Morano, 1871,
pp. 266-267. Non fu più tenero il Solerti; cfr. op. cit., I, p. 475 ^ L.
Chiappini, cit, p. 303 ^ L. Tonelli, cit., p. 188 ^ L.Tonelli, pp. 247-248 ^ A.
Solerti, cit., II, pp. 277 e ss. ^ Lettere, cit., IV, pp. 8-9 ^ L. Tonelli,
cit., pp. 266-267 ^ Lettere, cit., IV, p. 55 ^ L. Tonelli, cit., pp. 270-273 ^
G. Mazzoni, Del Monte Oliveto e del Mondo creato di Torquato Tasso, in Opere minori
in versi di Torquato Tasso, Bologna, Zanichelli, 1891, vol. II, p. XI ^ E.
Donadoni, Torquato Tasso, Firenze, Battistelli, 1921, vol. II, p. 225 ^ G. B.
Manso, Vita di T. Tasso, in Opere di Torquato Tasso, Firenze 1724, cit., pp.
XLVI-XLVII ^ Lettere, cit., IV, p.152 ^ Così al Costantini; Lettere, cit., IV,
p. 149 ^ Lettere, IV, p. 180 ^ L. Tonelli, cit., p. 275 ^ Passo riportato in A.
Solerti, cit., II, p. 323 ^ A. Solerti, cit., II, p. 326 ^ L. Tonelli, cit., p.
276 ^ Lettere, cit., IV, p. 265 ^ Lettere, cit., IV, pp. 296-297 ^ Lettere,
cit., IV, p. 334 ^ Lettere, cit., IV, p. 333: "A niuno sono più obligato
che a Vostra Eccellenza, ed a niuno vorrei essere maggiormente; perché è cosa
da animo grato l'esser capace de le grazie e de gli oblighi. Laonde non ho
voluto più lungamente ricusare il secondo suo dono di cento scudi,
bench'io non abbia mostrato ancora alcuna gratitudine del primo; ma la conservo
ne l'animo, e ne le scritture: e ne l'uno sarà forse eterna, e ne l'altre
durerà tanto, quanto la memoria de le mie fatiche. Niuno de' presenti o de'
posteri saprà chi mi sia, che non sappia insieme quant'io sia debitore a la
cortesia di Vostra Eccellenza, ed a la sua liberalità; con la quale supera
tutti coloro che possono superar la fortuna." Così scrive il Tasso al
marchese Giovanni Ventimiglia da Firenze nella primavera del 1590. Soltanto
nello stesso 1590, il Tasso dedicherà al marchese due composizioni
encomiastiche, non portando però a compimento il promessogli poema Tancredi
normando. ^ Lettera a Scipione Gonzaga del 10 giugno 1590, in Lettere, cit.,
IV, p. 320 ^ E. Rossi, Il Tasso in Campidoglio, in Cultura, aprile-giugno 1933,
pp. 310-311 ^ Lettere, cit., V, p. 6 ^ L. Tonelli, cit., p. 278 ^ Lettere,
cit., V, p. 62 ^ L. Tonelli, cit., pp. 278-279 ^ C. Cipolla, Le fonti storiche
della «Genealogia di Casa Gonzaga», in Opere minori in versi di Torquato Tasso,
cit., vol. I ^ L. Tonelli, cit., p. 281 ^ G. B. Manso, cit., p. LXVI ^
L.Tonelli, cit., pp. 282-283 ^ L. Tonelli, cit., p. 284 ^ E. Rossi, cit., pp.
313-314 ^ A. Solerti, cit., vol. II ^ Lettere, cit., V, p. 194 ^ Lettere, cit.,
V, p. 200 ^ Lettera ad Antonio Costantini, in Lettere, cit., V, p. 203 ^
Lettera di Maurizio Cataneo a Ercole Tasso, 29 aprile 1595; A. Solerti, cit.,
II, p. 363 ^ Lettera di monsignor Quarenghi a Giovan Battista Strozzi, 28
aprile 1595; A. Solerti, cit., II, p. 361 ^ (FR) Almanach du gotha, 1922, p.
236. ^ (FR) de J.-H. de Randeck, Les plus anciennes familles du monde:
répertoire encyclopédique des 1.400 plus anciennes familles du monde, encore
existantes, originaires d'Europe, vol. 2, 1984, p. 1432. ^ (DE) de Karl Hopf,
Historisch-genealogischer Atlas: Seit Christi Geburt bis auf unsere Zeit, p.
433. ^ (FR) de A. M. H. J. Stokvis, Manuel d'histoire: Les états de Europe et leurs
colonies, 1893. ^ de Pierantonio Serassi, La vita de Torquato Tasso, p. 8. ^ de
Niccolò Morelli di Gregorio, Della vita di Torquato Tasso, p. 7. ^ de
Pierantonio Serassi, La vita di Torquato Tasso, p. 10. ^ (DE) de Karl Hopf,
Historisch-genealogischer Atlas: Seit Christi Geburt bis auf unsere Zeit, p.
434. ^ (FR) de Heinrich Léo Dochez, Histoire d'Italie pendant le Moyen-âge, p.
125. ^ T. Tasso, Discorsi dell'arte poetica, I, 12 in Le prose diverse di
Torquato Tasso (a cura di C. Guasti), Firenze, Le Monnier, 1875 ^ Discorsi
dell'arte poetica, cit., I, 15 ^ A. Solerti, cit, I, p. 556; F. D'Ovidio, Saggi
critici, Napoli, Morano, 1879, pp. 300-392 ^ U. Renda, Il Torrismondo di
Torquato Tasso e la tecnica tragica nel Cinquecento, Teramo, 1916 ^ E. Donadoni,
cit., vol. II, pp. 91-92 ^ G. Carducci, Il Torrismondo, testo premesso all'ed.
Solerti delle Opere minori in versi di Torquato Tasso, cit., pp. LXXXIV ^ L.
Tonelli, cit., p. 253 ^ Torquato Tasso, Risposta di Roma a Plutarco, Res, 2007,
ISBN 978-88-85323-53-7. URL consultato il 12 agosto 2017. ^ Risposta di Roma a
Plutarco e marginalia | Edizioni di Storia e Letteratura, su
storiaeletteratura.it. URL consultato il 12 agosto 2017 (archiviato dall'url
originale il 12 agosto 2017). ^ (EN) Angelo Chiarelli, Una «congregazione di
uomini raccolti per onore». Tentativi di aggiornamento della teoria cortigiana
nella dialogistica e nella prosa tassiana, in «La Rassegna della letteratura
italiana», 2017, vol. 121, n°1, pp. 34-43.. URL consultato il 12 agosto 2017. ^
(EN) «Questa concordia è sempre nelle cose vere». Note per una
contestualizzazione de «Il Costante overo de la clemenza» di Tasso, in
«Filologia e Critica», a. XLI, 2 2016, pp. 257-70.pdf (PDF). URL consultato il
12 agosto 2017. ^ Sul muro esterno della Chiesa di S. Onofrio, a Roma, una
tavola con iscrizione tedesca ricorda il soggiorno di Goethe e l'ispirazione
che lo portò a scrivere il dramma, dopo aver veduto la tomba del poeta
custodita all'interno dell'edificio sacro ^ Ad Angelo Mai, v. 124 ^ G. Baldi,
S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al
testo, Milano, Paravia, 2001, vol. 3/A, p. 570 ^ S. E. Failla, Ante Musicam
Musica. Torquato Tasso nell'Ottocento musicale italiano, Acireale-Roma,
Bonanno, 2003, pp. 14-15 ^ Emersioni seleniche nelle Rime di Torquato Tasso |
Massimo Colella | Griselda Online, su www.griseldaonline.it. URL consultato il
29 marzo 2017. Voci correlate Torquato Tasso, commedia goldoniana Torquato
Tasso, dramma di Goethe (1790) Torquato Tasso, opera di Gaetano Donizetti
Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare, dalle Operette morali di
Giacomo Leopardi Thurn und Taxis, ramo austriaco della famiglia Tasso di
Bergamo, fondatori delle prime poste europee Museo tassiano, museo dedicato a
Torquato Tasso Accademia dei Catenati Cella del Tasso, attuale ubicazione a
Ferrara Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina
dedicata a Torquato Tasso Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di
o su Torquato Tasso Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene
immagini o altri file su Torquato Tasso Collegamenti esterni Torquato Tasso, su
Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata Torquato Tasso, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Torquato Tasso, su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata
Torquato Tasso, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Modifica su Wikidata
Opere di Torquato Tasso, su Liber Liber. Modifica su Wikidata Opere di Torquato
Tasso, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di
Torquato Tasso, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN)
Opere di Torquato Tasso, su Progetto Gutenberg. Modifica su Wikidata (EN)
Audiolibri di Torquato Tasso, su LibriVox. Modifica su Wikidata (EN) Torquato
Tasso, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata
(EN) Spartiti o libretti di Torquato Tasso, su International Music Score
Library Project, Project Petrucci LLC. Modifica su Wikidata (EN) Torquato
Tasso, su Internet Movie Database, IMDb.com. Modifica su Wikidata Torquato
Tasso Testi completi e cronologia delle opere. Opere integrali in più volumi
dalla collana digitalizzata "Scrittori d'Italia" Laterza Opere di
Torquato Tasso, testi con concordanze, lista delle parole e lista di frequenza
Due segregazioni: il Cantico spirituale di Giovanni della Croce e Il Re
Torrismondo di Torquato Tasso, su midesa.it. URL consultato il 2 luglio 2009
(archiviato dall'url originale il 19 maggio 2011). Opere di Torquato Tasso
colle controversie sulla Gerusalemme poste in migliore ordine, ricorrette
sull'edizione fiorentina, ed. illustrate dal professore Gio. Rosini, 33 voll.,
Pisa, presso Niccolò Capurro, 1821-32: vol. 1, vol. 2, vol. 3, vol. 4, vol. 5,
vol. 6, vol. 7, vol. 8, vol. 9, vol. 10, vol. 11, vol. 12, vol. 17, vol. 18,
vol. 23, vol. 25, vol. 30, vol. 31, vol. 32, vol. 33. Le lettere di Torquato
Tasso disposte per ordine di tempo e illustrate da Cesare Giusti, 5 voll.,
Firenze, Felice Le Monnier, 1854-55: vol. 1, vol. 2, vol. 3, vol. 4, vol. 5. I
dialoghi di Torquato Tasso a cura di Cesare Guasti, 3 voll., Firenze, Felice Le
Monnier, 1858-59: vol. 1, vol. 2, vol. 3. Le rime di Torquato Tasso. Edizione
critica su i manoscritti e le antiche stampe a cura di Angelo Solerti, 4 voll.,
Bologna, presso Romagnoli-Dall'Acqua, 1898-1902: vol. 1, vol. 2, vol. 3, vol.
4. V · D · M Opere di Torquato Tasso (1544 - 1595) Controllo di autoritàVIAF
(EN) 4936996 · ISNI (EN) 0000 0001 2118 517X · SBN IT\ICCU\CFIV\001784 ·
Europeana agent/base/60451 · LCCN (EN) n79082132 · GND (DE) 118620916 · BNF
(FR) cb119260670 (data) · BNE (ES) XX913568 (data) · ULAN (EN) 500326795 · NLA
(EN) 35539974 · BAV (EN) 495/14994 · CERL cnp01259565 · NDL (EN, JA) 00458354 ·
WorldCat Identities (EN) lccn-n79082132 Biografie Portale Biografie Letteratura
Portale Letteratura Teatro Portale Teatro Categorie: Poeti italiani del XVI
secoloScrittori italiani del XVI secoloDrammaturghi italiani del XVI secoloNati
nel 1544Morti nel 1595Nati l'11 marzoMorti il 25 aprileNati a SorrentoMorti a
RomaFigli d'arteFilosofi italiani del XVI secoloPoeti ed umanisti alla corte
degli EstensiScrittori cattoliciScrittori in lingua italianaStudenti
dell'Università di BolognaStudenti dell'Università degli Studi di PadovaTasso
(famiglia)Torquato Tasso[altre]
tautologum: The difference between a truth and a tautological
truth is part of the dogma Grice defends. “A three-year old cannot understand Russell’s
theory of types” is possibly true. “It is not the case that a three-year old is
an adult” is TAUTOLOGICALLY true. As Strawson and Wiggins note, by coining
implicaturum Grice is mainly interested in having the MAN implying this or
that, as opposed to what the man implies implying this or that. So, in Strawson
and Wiggins’s rephrasing, the implicaturum is to be distinguished with the
logical and necessary implication, i. e., the ‘tautological’ implication. Grice
uses ‘tautological’ variously. It is tautological that we smell smells, for
example. This is an extension of ‘paradigm-case,’ re: analyticity. Without
‘analytic’ there is no ‘tautologicum.’ tautŏlŏgĭa , ae, f., = ταυτολογία,I.a repetition of the same meaning in different words, tautology, Mart. Cap. 5, § 535; Charis,
p. 242 P. ταὐτολογ-έω ,A.repeat what has been
said, “περί τινος” Plb.1.1.3; “ὑπέρ τινος” Id.1.79.7; “τ. τὸν λόγον” Str.12.3.27:—abs., Plb.36.12.2, Phld. Po.Herc.994.30, Hermog.Inv.3.15.
Oddly why Witters restricts tautology to truth-table propositional logic,
Grice’s two examples are predicate calculus: Women are women and war is war.
4.46 GER [→OGD | →P/M] Unter den möglichen Gruppen von Wahrheitsbedingungen
gibt es zwei extreme Fälle. In dem einen Fall ist der Satz für sämtliche
Wahrheitsmöglichkeiten der Elementarsätze wahr. Wir sagen, die
Wahrheitsbedingungen sind t a u t o l o g i s c h. Im zweiten Fall ist der Satz
für sämtliche Wahrheitsmöglichkeiten falsch: Die Wahrheitsbedingungen sind k o
n t r a d i k t o r i s c h. Im ersten Fall nennen wir den Satz eine
Tautologie, im zweiten Fall eine Kontradiktion. 4.461 GER [→OGD | →P/M] Der
Satz zeigt was er sagt, die Tautologie und die Kontradiktion, dass sie nichts
sagen. Die Tautologie hat keine Wahrheitsbedingungen, denn sie ist
bedingungslos wahr; und die Kontradiktion ist unter keiner Bedingung wahr.
Tautologie und Kontradiktion sind sinnlos. (Wie der Punkt, von dem zwei Pfeile
in entgegengesetzter Richtung auseinandergehen.) (Ich weiß z. B. nichts über
das Wetter, wenn ich weiß, dass es regnet oder nicht regnet.) 4.4611 GER [→OGD
| →P/M] Tautologie und Kontradiktion sind aber nicht unsinnig; sie gehören zum
Symbolismus, und zwar ähnlich wie die „0“ zum Symbolismus der Arithmetik. 4.462
GER [→OGD | →P/M] Tautologie und Kontradiktion sind nicht Bilder der
Wirklichkeit. Sie stellen keine mögliche Sachlage dar. Denn jene lässt j e d e
mögliche Sachlage zu, diese k e i n e. In der Tautologie heben die Bedingungen
der Übereinstimmung mit der Welt—die darstellenden Beziehungen—einander auf, so
dass sie in keiner darstellenden Beziehung zur Wirklichkeit steht. 4.463 GER
[→OGD | →P/M] Die Wahrheitsbedingungen bestimmen den Spielraum, der den
Tatsachen durch den Satz gelassen wird. (Der Satz, das Bild, das Modell, sind
im negativen Sinne wie ein fester Körper, der die Bewegungsfreiheit der anderen
beschränkt; im positiven Sinne, wie der von fester Substanz begrenzte Raum,
worin ein Körper Platz hat.) Die Tautologie lässt der Wirklichkeit den
ganzen—unendlichen—logischen Raum; die Kontradiktion erfüllt den ganzen
logischen Raum und lässt der Wirklichkeit keinen Punkt. Keine von beiden kann
daher die Wirklichkeit irgendwie bestimmen. 4.464 GER [→OGD | →P/M] Die
Wahrheit der Tautologie ist gewiss, des Satzes möglich, der Kontradiktion
unmöglich. (Gewiss, möglich, unmöglich: Hier haben wir das Anzeichen jener
Gradation, die wir in der Wahrscheinlichkeitslehre brauchen.) 4.465 GER [→OGD |
→P/M] Das logische Produkt einer Tautologie und eines Satzes sagt dasselbe, wie
der Satz. Also ist jenes Produkt identisch mit dem Satz. Denn man kann das
Wesentliche des Symbols nicht ändern, ohne seinen Sinn zu ändern. 4.466 GER
[→OGD | →P/M] Einer bestimmten logischen Verbindung von Zeichen entspricht eine
bestimmte logische Verbindung ihrer Bedeutungen; j e d e b e l i e - b i g e
Verbindung entspricht nur den unverbundenen Zeichen. Das heißt, Sätze, die für
jede Sachlage wahr sind, können überhaupt keine Zeichenverbindungen sein, denn
sonst könnten ihnen nur bestimmte Verbindungen von Gegenständen entsprechen.
(Und keiner logischen Verbindung entspricht k e i n e Verbindung der
Gegenstände.) Tautologie und Kontradiktion sind die Grenzfälle der
Zeichenverbindung, nämlich ihre Auflösung. 4.4661 GER [→OGD | →P/M] Freilich
sind auch in der Tautologie und Kontradiktion die Zeichen noch mit einander
verbunden, d. h. sie stehen in Beziehungen zu einander, aber diese Beziehungen
sind bedeu- tungslos, dem S y m b o l unwesentlich. 4.46 OGD [→GER | →P/M]
Among the possible groups of truthconditions there are two extreme cases. In
the one case the proposition is true for all the truth-possibilities of the
elementary propositions. We say that the truth-conditions are tautological. In
the second case the proposition is false for all the truth-possibilities. The
truth-conditions are self-contradictory. In the first case we call the
proposition a tautology, in the second case a contradiction. 4.461 OGD [→GER |
→P/M] The proposition shows what it says, the tautology and the contradiction
that they say nothing. The tautology has no truth-conditions, for it is
unconditionally true; and the contradiction is on no condition true. Tautology
and contradiction are without sense. (Like the point from which two arrows go
out in opposite directions.) (I know, e.g. nothing about the weather, when I
know that it rains or does not rain.) 4.4611 OGD [→GER | →P/M] Tautology and
contradiction are, however, not nonsensical; they are part of the symbol- ism,
in the same way that “0” is part of the symbolism of Arithmetic. 4.462 OGD
[→GER | →P/M] Tautology and contradiction are not pictures of the reality. They
present no possible state of affairs. For the one allows every possible state
of affairs, the other none. In the tautology the conditions of agreement with
the world—the presenting relations— cancel one another, so that it stands in no
presenting relation to reality. 4.463 OGD [→GER | →P/M] The truth-conditions
determine the range, which is left to the facts by the proposition. (The
proposition, the picture, the model, are in a negative sense like a solid body,
which restricts the free movement of another: in a positive sense, like the
space limited by solid substance, in which a body may be placed.) Tautology
leaves to reality the whole infinite logical space; contradiction fills the
whole logi- cal space and leaves no point to reality. Neither of them,
therefore, can in any way determine reality. 4.464 OGD [→GER | →P/M] The truth
of tautology is certain, of propositions possible, of contradiction impossible.
(Certain, possible, impossible: here we have an indication of that gradation
which we need in the theory of probability.) 4.465 OGD [→GER | →P/M] The
logical product of a tautology and a proposition says the same as the
proposition. Therefore that product is identical with the proposition. For the
essence of the symbol cannot be altered without altering its sense. 4.466 OGD
[→GER | →P/M] To a definite logical combination of signs corresponds a definite
logical combination of their meanings; every arbitrary combination only
corresponds to the unconnected signs. That is, propositions which are true for
ev- ery state of affairs cannot be combinations of signs at all, for otherwise
there could only correspond to them definite combinations of objects. (And to
no logical combination corresponds no combination of the objects.) Tautology
and contradiction are the limiting cases of the combination of symbols, namely
their dissolution. 4.4661 OGD [→GER | →P/M] Of course the signs are also
combined with one another in the tautology and contradiction, i.e. they stand
in relations to one another, but these relations are meaningless, unessential
to the symbol. 4.46 P/M [→GER | →OGD] Among the possible groups of
truthconditions there are two extreme cases. In one of these cases the
proposition is true for all the truth-possibilities of the elementary
propositions. We say that the truth-conditions are tautological. In the second
case the proposition is false for all the truth-possibilities: the
truth-conditions are contradictory. In the first case we call the proposition a
tautology; in the second, a contradiction. 4.461 P/M [→GER | →OGD] Propositions
show what they say: tautolo- gies and contradictions show that they say
nothing. A tautology has no truth-conditions, since it is unconditionally true:
and a contradiction is true on no condition. Tautologies and contradictions
lack sense. (Like a point from which two arrows go out in opposite directions
to one another.) (For example, I know nothing about the weather when I know
that it is either raining or not raining.) 4.4611 P/M [→GER | →OGD] Tautologies
and contradictions are not, however, nonsensical. They are part of the
symbolism, much as ‘0’ is part of the symbolism of arithmetic. 4.462 P/M [→GER
| →OGD] Tautologies and contradictions are not pictures of reality. They do not
represent any possible situations. For the former admit all possible
situations, and latter none. In a tautology the conditions of agreement with
the world—the representational relations—cancel one another, so that it does
not stand in any representational relation to reality. 4.463 P/M [→GER | →OGD]
The truth-conditions of a proposition determine the range that it leaves open
to the facts. (A proposition, a picture, or a model is, in the negative sense,
like a solid body that restricts the freedom of movement of others, and, in the
positive sense, like a space bounded by solid substance in which there is room
for a body.) A tautology leaves open to reality the whole—the infinite whole—of
logical space: a contradiction fills the whole of logical space leaving no
point of it for reality. Thus neither of them can determine reality in any way.
4.464 P/M [→GER | →OGD] A tautology’s truth is certain, a proposition’s
possible, a contradiction’s impossible. (Certain, possible, impossible: here we
have the first indication of the scale that we need in the theory of
probability.) 4.465 P/M [→GER | →OGD] The logical product of a tautology and a
proposition says the same thing as the proposition. This product, therefore, is
identical with the proposition. For it is impossible to alter what is essential
to a symbol without altering its sense. 4.466 P/M [→GER | →OGD] What
corresponds to a determinate logical combination of signs is a determinate
logical combination of their meanings. It is only to the uncombined signs that
absolutely any combination corresponds. In other words, propositions that are
true for every situation cannot be combinations of signs at all, since, if they
were, only determinate combinations of objects could correspond to them. (And
what is not a logical combination has no combination of objects corresponding
to it.) Tautology and contradiction are the limiting cases—indeed the
disintegration—of the combination of signs. 4.4661 P/M [→GER | →OGD] Admittedly
the signs are still combined with one another even in tautologies and
contradictions—i.e. they stand in certain relations to one another: but these
relations have no meaning, they are not essential to the symbol. Grice would
often use ‘tautological,’ and ‘self-contradiction’ presupposes ‘analyticity,’
or rather the analytic-synthetic distinction. Is it contradictory, or a
self-contradiction, to say that one’s neighbour’s three-year-old child is an
adult? Is there an implicaturum for ‘War is not war’? Grice refers to Bayes in
WOW re Grices paradox, and to crazy Bayesy, as Peter Achinstein does (Newton
was crazy, but not Bayesy). We can now, in principle, characterize
the desirability of the action a 1 , relative to each end (E1 and E2), and to
each combination of ends (here just E1 and E2), as a function of the
desirability of the end and the probability that the action a 1 will realize
that end, or combination of ends. If we envisage a range of possible actions,
which includes a 1 together with other actions, we can imagine that each such action
has a certain degree of desirability relative to each end (E1 and (or) E2) and
to their combination. If we suppose that, for each possible action, these
desirabilities can be compounded (perhaps added), then we can suppose that one
particular possible action scored higher (in actiondesirability relative to
these ends) than any alternative possible action; and that this is the action
which wins out; that is, is the action which is, or at least should, end p.105
be performed. (The computation would in fact be more complex than I have
described, once account is taken of the fact that the ends involved are often
not definite (determinate) states of affairs (like becoming President),
but are variable in respect of the degree to which they might be realized (if
ones end is to make a profit from a deal, that profit might be of a varying
magnitude); so one would have to consider not merely the likelihood of a
particular actions realizing the end of making a profit, but also the
likelihood of its realizing that end to this or that degree; and this would
considerably complicate the computational problem.) No doubt most readers are
far too sensible ever to have entertained any picture even remotely resembling
the "Crazy-Bayesy" one I have just described. Grice was
fascinated by the fact that paradox translates the Grecian neuter paradoxon.
Some of the paradoxes of entailment, entailment and paradoxes. This is not the
first time Grice uses paradox. As a classicist, he was aware of the nuances
between paradox (or paradoxon, as he preferred, via Latin paradoxum, and
aporia, for example. He was interested in Strawsons treatment of this or that
paradox of entailment. He even called his own paradox involving if and
probablility Grices paradox. tautologicum:
Grice gives two examples: War is war, and Women are women – “Note that “Men are
men” sounds contingent.” tautology, a proposition whose negation is
inconsistent, or self- contradictory, e.g. ‘Socrates is Socrates’, ‘Every human
is either male or nonmale’, ‘No human is both male and non-male’, ‘Every human
is identical to itself’, ‘If Socrates is human then Socrates is human’. A
proposition that is or is logically equivalent to the negation of a tautology
is called a self-contradiction. According to classical logic, the property of
being Tao Te Ching tautology 902 902
implied by its own negation is a necessary and sufficient condition for being a
tautology and the property of implying its own negation is a necessary and
sufficient condition for being a contradiction. Tautologies are logically
necessary and contradictions are logically impossible. Epistemically, every
proposition that can be known to be true by purely logical reasoning is a
tautology and every proposition that can be known to be false by purely logical
reasoning is a contradiction. The converses of these two statements are both
controversial among classical logicians. Every proposition in the same logical
form as a tautology is a tautology and every proposition in the same logical
form as a contradiction is a contradiction. For this reason sometimes a
tautology is said to be true in virtue of form and a contradiction is said to
be false in virtue of form; being a tautology and being a contradiction
tautologousness and contradictoriness are formal properties. Since the logical
form of a proposition is determined by its logical terms ‘every’, ‘some’, ‘is’,
etc., a tautology is sometimes said to be true in virtue of its logical terms
and likewise mutatis mutandis for a contradiction. Since tautologies do not exclude
any logical possibilities they are sometimes said to be “empty” or
“uninformative”; and there is a tendency even to deny that they are genuine
propositions and that knowledge of them is genuine knowledge. Since each
contradiction “includes” implies all logical possibilities which of course are
jointly inconsistent, contradictions are sometimes said to be
“overinformative.” Tautologies and contradictions are sometimes said to be
“useless,” but for opposite reasons. More precisely, according to classical
logic, being implied by each and every proposition is necessary and sufficient
for being a tautology and, coordinately, implying each and every proposition is
necessary and sufficient for being a contradiction. Certain developments in
mathematical logic, especially model theory and modal logic, seem to support
use of Leibniz’s expression ‘true in all possible worlds’ in connection with
tautologies. There is a special subclass of tautologies called truth-functional
tautologies that are true in virtue of a special subclass of logical terms
called truthfunctional connectives ‘and’, ‘or’, ‘not’, ‘if’, etc.. Some logical
writings use ‘tautology’ exclusively for truth-functional tautologies and thus
replace “tautology” in its broad sense by another expression, e.g. ‘logical
truth’. Tarski, Gödel, Russell, and many other logicians have used the word in
its broad sense, but use of it in its narrow sense is widespread and entirely
acceptable. Propositions known to be tautologies are often given as examples of
a priori knowledge. In philosophy of mathematics, the logistic hypothesis of
logicism is the proposition that every true proposition of pure mathematics is
a tautology. Some writers make a sharp distinction between the formal property
of being a tautology and the non-formal metalogical property of being a law of
logic. For example, ‘One is one’ is not metalogical but it is a tautology,
whereas ‘No tautology is a contradiction’ is metalogical but is not a
tautology.
telementationalism: see psi-transmission. The coinage is interesting.
Since Grice has an essay on ‘modest mentalism,’ and would often use ‘mental’
for ‘psychological,’ it does make sense. ‘Ideationalism’ is analogous. this is
a special note, or rather, a very moving proem, on Grices occasion of delivering
his lectures on ‘Aspects of reason and reasoning’ at Oxford as the Locke
Lectures at Merton. Particularly apt in mentioning, with humility, his having
failed, *thrice* [sic] to obtain the Locke lectureship, Strawson did, at once,
but feeling safe under the ægis of that great English philosopher (viz. Locke!
always implicated, never explicited) now. Grice starts the proem in a very
moving, shall we say, emotional, way: I find it difficult to convey to you just
how happy I am, and how honoured I feel, in being invited to give these
lectures. Difficult, but not impossible. I think of this university and this
city, it has a cathedral, which were my home for thirty-six years, as my
spiritual and intellectual parents. The almost majestic plural is Grices implicaturum
to the town and gown! Whatever I am was originally fashioned here; I never left
Oxford, Oxford made me, and I find it a moving experience to be, within these
splendid and none too ancient walls, once more engaged in my old occupation of
rendering what is clear obscure, by flouting the desideratum of conversational
clarity and the conversational maxim, avoid obscurity of expression, under be
perspicuous [sic]!. Grices implicaturum on none too ancient seems to be
addressed to the truly ancient walls that saw Athenian dialectic! On the other
hand, Grices funny variant on the obscurum per obscurius ‒ what Baker found as
Grices skill in rendering an orthodoxy into a heterodoxy! Almost! By clear
Grice implicates Lewis and his clarity is not enough! I am, at the same time,
proud of my mid-Atlantic [two-world] status, and am, therefore, delighted that
the Old World should have called me in, or rather recalled me, to redress, for
once, the balance of my having left her for the New. His implicaturum seems to be:
Strictly, I never left? Grice concludes his proem: I am, finally, greatly
heartened by my consciousness of the fact that that great English philosopher,
under whose ægis I am now speaking, has in the late afternoon of my days
extended to me his Lectureship as a gracious consolation for a record threefold
denied to me, in my early morning, of his Prize. I pray that my present
offerings may find greater favour in his sight than did those of long ago. They
did! Even if Locke surely might have found favour to Grices former offerings,
too, Im sure. Refs.: The allusions to Locke are in “Aspects.” Good references
under ‘ideationalism,’ above, especially in connection with Myro’s ‘modest
mentalism,’ The H. P. Grice Papers, BANC.
telesio: philosopher whose empiricism influences Francis Bacon
and Galileo. Telesio studies in Padova, where he completed his doctorate, and practiced philosophy in Naples and Cosenza
without holding any academic position. His major oeuvre, “De rerum natura iuxta
propria principia,” contains an attempt to interpret nature on the basis of its
own principles, which Telesio identifies with the two incorporeal active forces
of heat and cold, and the corporeal and passive physical substratum. As the two
active forces permeate all of nature and are endowed with sensation, Telesio
argues that all of nature possesses some degree of sensation. Human beings
share with animals a material substance produced by heat and coming into
existence with the body, called spirit. They are also given a mind by God.
Telesio knew various interpretations of Aristotle. However, Telesio broke with foreign exegeses, criticizing
Aristotle’s Physics and claiming that nature is investigated better by the
senses than by the intellect. Bernardino Telesio (n.
Cosenza) è stato un filosofo. Mentre le sue teorie naturali sono state
successivamente smentite, la sua enfasi sull'osservazione fece il "primo
dei moderni" che alla fine hanno sviluppato il metodo
scientifico. Telesio è nato da genitori nobili in Cosenza , una
città in Calabria, Italia meridionale. È stato istruito a Milano dallo zio,
Antonio, lui stesso uno studioso e poeta di eminenza, e poi a Roma e Padova . I
suoi studi hanno incluso tutta la vasta gamma di argomenti, classici , scienza
e filosofia, che costituivano il curriculum degli rinascimentali sapienti. Così
equipaggiata, ha iniziato il suo attacco sul aristotelismo medievale che poi
fiorì a Padova e Bologna . Nel 1553 si sposò e si stabilì a Cosenza, diventando
il fondatore dell'Accademia Cosentina . Per un certo periodo ha vissuto nella
casa di Alfonso III Carafa , duca di Nocera. Nel 1563, o forse due anni più
tardi, apparve la sua grande opera De Rerum Natura Iuxta Propria Principia (
Sulla natura delle cose secondo i loro propri principi ), seguito da un gran
numero di opere scientifiche e filosofiche di importanza sussidiaria. Le
opinioni eterodosse, che ha mantenuto suscitato l'ira della Chiesa per conto
del suo amato aristotelismo , e poco tempo dopo la sua morte i suoi libri sono
stati immessi sul Index. Steepto Teoria della materia, calore e
freddo Invece di postulare materia e forma, si basa l'esistenza sulla materia e
la forza. Questa forza ha due elementi opposti: calore, che si espande, e
fredde, che i contratti. Questi due processi rappresentano tutte le diverse
forme e tipi di esistenza, mentre la massa su cui opera la forza rimane la
stessa. L'armonia del tutto consiste nel fatto che ogni cosa separata sviluppa
in sé e per sé conformemente alla sua natura e allo stesso tempo il suo moto
avvantaggia il resto. I difetti evidenti di questa teoria, (1) che solo i sensi
possono non comprendere materia stessa, (2) che non è chiaro come la
molteplicità dei fenomeni potrebbe derivare da queste due forze, pensato non è
meno convincente di Aristotles caldo / freddo , secca spiegazione / umido, e
(3) che ha addotto alcuna prova per dimostrare l'esistenza di queste due forze,
sono stati sottolineato a suo tempo dal suo allievo, Patrizzi . Inoltre,
la sua teoria della terra fredda a riposo e il sole caldo in moto era destinato
a confutazione per mano di Copernico . Allo stesso tempo, la teoria era
sufficientemente coerente per fare una grande impressione sul pensiero
italiano. Va ricordato, però, che la sua obliterazione di una distinzione tra
superlunar e fisica sublunare era certamente abbastanza preveggente anche se
non riconosciuto dai suoi successori come particolarmente degno di nota. Quando
Telesio ha continuato a spiegare la relazione tra mente e materia, era ancora
più eterodossa. Forze materiali sono, per ipotesi, in grado di sentire;
questione deve anche essere stato fin dal primo dotato di coscienza. Per la
coscienza esiste, e non avrebbe potuto essere sviluppato dal nulla. Questo lo
porta a una forma di ilozoismo . Anche in questo caso, l'anima è influenzato
dalle condizioni materiali; di conseguenza, l'anima deve avere un esistenza
materiale. Ha inoltre dichiarato che tutta la conoscenza è sensazione (
"non-ratione sensu sed") e che l'intelligenza è, quindi, un
agglomerato di dati isolati, in sensi. Non lo fa, però, riesce a spiegare come
solo i sensi possono percepire la differenza e identità. Alla fine del
suo schema, probabilmente in ossequio alla teologiche pregiudizi, ha aggiunto
un elemento che era completamente estraneo, vale a dire, un impulso più alto,
un'anima sovrapposta da Dio, in virtù della quale ci sforziamo di là del mondo
sensibile. Questa anima divina non è affatto un concetto completamente nuovo,
se visto nel contesto di Averroestic o tommasiana teoria percettiva.
L'intero sistema di Telesio mostra lacune nella sua tesi, e l'ignoranza dei
fatti, ma allo stesso tempo è un precursore di tutte le successive
dell'empirismo , scientifico e filosofico, e segna chiaramente il periodo di
transizione da autorità e la ragione di sperimentare e individuale
responsabilità. Il ricorso a dati sensoriali Statua di Bernardino
Telesio in Piazza XV Marzo, Cosenza Telesio era il capo del grande movimento
italiano del sud, che ha protestato contro l'autorità accettata della ragione
astratta e semina i semi da cui spuntavano i metodi scientifici di Tommaso
Campanella e Giordano Bruno , di Francis Bacon e René Descartes , con i loro
risultati ampiamente divergenti. Egli, quindi, ha abbandonato la sfera
puramente intellettuale e ha proposto un'indagine sui dati forniti dai sensi,
dai quali ha ricoperto che tutta la vera conoscenza viene veramente (la sua
teoria della percezione sensoriale era essenzialmente una rielaborazione della
teoria di Aristotele dal De anima ). Telesio scrive all'inizio del Proemio
del primo libro della terza edizione del De Rerum Natura Iuxta propria
principia Libri Ix ... "che la costruzione del mondo e la grandezza dei
corpi in esso contenuti, e la natura del mondo, è da ricercare non dalla
ragione, come è stato fatto dagli antichi, ma è da intendersi per mezzo di
osservazione." ( Mundi constructionem, corporumque in eo contentorum
magnitudinem, naturamque non ratione, quod antiquioribus factum est,
inquirendam, sed sensu percipiendam. ) Questa affermazione, che si trova sulla prima
pagina, riassume ciò che molti studiosi moderni hanno generalmente considerato
filosofia telesiana, e spesso sembra che molti non leggere oltre per nella
pagina successiva si imposta il suo caldo teoria / freddo della materia
informata, una teoria che non è chiaramente informato dalla nostra idea moderna
di osservazione. Per Telesio, l'osservazione ( sensu percipiendam ) è un
processo mentale molto più grande di una semplice registrazione dei dati,
l'osservazione comprende anche il pensiero analogico. Anche se Francis
Bacon è generalmente accreditato al giorno d'oggi, con la codificazione di un
induttiva metodo che sottoscrive pienamente l'osservazione come procedura
primaria per l'acquisizione di conoscenze, non era certamente il primo a suggerire
che la percezione sensoriale dovrebbe essere la fonte primaria per la
conoscenza. Tra i filosofi naturali del Rinascimento, questo onore è
generalmente conferito a Telesio. Bacone si riconosce Telesio come "il
primo dei moderni" ( De Telesio autem bene sentimus, atque eum ut amantem
veritatis, e Scientiis utilem, e nonnullorum Placitorum emendatorem &
novorum hominum primum agnoscimus. , Da Bacon De principiis atque originibus )
per mettere l'osservazione di sopra di tutti gli altri metodi di acquisizione
delle conoscenze sul mondo naturale. Questa frase spesso citata da Bacon, però,
è fuorviante, perché semplifica eccessivamente e travisa l'opinione di Bacone
di Telesio. La maggior parte del saggio di Bacon è un attacco a Telesio e
questa frase, invariabilmente fuori contesto, ha facilitato un malinteso
generale della filosofia naturale telesiana dando ad essa un timbro baconiana
di approvazione, che era lontano dalle intenzioni originali di Bacon. Bacone
vede in Telesio un alleato nella lotta contro l'antica autorità, ma ha poco
positivo da dire su specifiche teorie di Telesio. Ciò che forse colpisce
di più De Rerum Natura è il tentativo di Telesio di meccanizzare il più
possibile. Telesio si sforza di spiegare tutto chiaramente in termini di materia
informati dalla calda e fredda e per mantenere i suoi argomenti il più semplice
possibile. Quando i suoi colloqui si rivolgono agli esseri umani che introduce
un istinto di auto-conservazione per spiegare le loro motivazioni. E quando
discute la mente umana e la sua capacità di ragionare in astratto su argomenti
immateriali e divine, aggiunge un'anima. Per senza anima, tutto il pensiero,
dal suo ragionamento, sarebbe limitato alle cose materiali. Ciò renderebbe Dio
impensabile e chiaramente questo non era il caso, per l'osservazione dimostra
che la gente pensa di Dio. Telesii, Bernardini (1586). De Rerum Natura
Iuxta Propia Principii, Libri IX . Horatium Saluianum, Napoli. Oltre a De Rerum
Natura , ha scritto: de Somno De la quae in aere fiunt de Mari De cometis
et Circulo Lactea respirationis De USU. Gli appunti Riferimenti Neil C. Van
Deusen, Telesio: primo dei moderni (New York, 1932) link esterno
Wikimedia Commons ha mezzi relativi a Bernardino Telesio . Stanford
Encyclopedia of Philosophy entry De La sua, Quae in aere Sunt, & de
Terraemotibus - piena facsimile digitale a Linda Hall Library. Refs.:
Luigi Speranza, “Telesio e Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
tempus: cited by Grice and Myro in the Grice-Myro theory of
identity. tense logic, an extension of classical logic introduced by Arthur
Prior Past, Present, and Future, 7, involving operators P and F for the past
and future tenses, or ‘it was the case that . . .’ and ‘it will be the case that
. . .’. Classical or mathematical logic was developed as a logic of unchanging
mathematical truth, and can be applied to tensed discourse only by artificial
regimentation inspired by mathematical physics, introducing quantification over
“times” or “instants.” Thus ‘It will have been the case that p,’ which Prior
represents simply as FPp, classical logic represents as ‘There [exists] an
instant t and there [exists] an instant tH such that t [is] later than the
present and tH [is] earlier than t, and at tH it [is] the case that pH, or
DtDtH t o‹t8tH ‹t8ptH, where the brackets indicate that the verbs are to be
understood as tenseless. Prior’s motives were in part linguistic to produce a
formalization less removed from natural language than the classical and in part
metaphysical to avoid ontological commitment to such entities as instants. Much
effort was devoted to finding tense-logical principles equivalent to various
classical assertions about the structure of the earlierlater order among
instants; e.g., ‘Between any two instants there is another instant’ corresponds
to the validity of the axioms Pp P PPp and Fp P FFp. Less is expressible using
P and F than is expressible with explicit quantification over instants, and
further operators for ‘since’ and ‘until’ or ‘now’ and ‘then’ have been
introduced by Hans Kamp and others. These are especially important in
combination with quantification, as in ‘When he was in power, all who now
condemn him then praised him.’ As tense is closely related to mood, so tense logic
is closely related to modal logic. As Kripke models for modal logic consist
each of a set X of “worlds” and a relation R of ‘x is an alternative to y’, so
for tense logic they consist each of a set X of “instants” and a relation R of
‘x is earlier than y’: Thus instants, banished from the syntax or proof theory,
reappear in the semantics or model theory. Modality and tense are both involved
in the issue of future contingents, and one of Prior’s motives was a desire to
produce a formalism in which the views on this topic of ancient, medieval, and
early modern logicians from Aristotle with his “sea fight tomorrow” and
Diodorus Cronos with his “Master Argument” through Ockham to Peirce could be
represented. The most important precursor to Prior’s work on tense logic was
that on many-valued logics by Lukasiewicz, which was motivated largely by the
problem of future contingents. Also related to tense and mood is aspect, and
modifications to represent this grammatical category evaluating formulas at
periods rather than instants of time have also been introduced. Like modal
logic, tense logic has been the object of intensive study in theoretical
computer science, especially in connection with attempts to develop languages
in which properties of programs can be expressed and proved; variants of tense
logic under such labels as “dynamic logic” or “process logic” have thus been
extensively developed for technological rather than philosophical motives.
Refs.: H. P. Grice, “D. H. Mellor on real and irreal time.” applied by H. P.
Grice and G. Myro in the so-called “Grice-Myro theory of identity,” a
time-relative identity, drawing from A. N. Prior, of Oxford, D. Wiggins,
Wykeham professor of logic at Oxford, and Geach (married to an Oxonian donna), time, “a moving image of eternity” Plato;
“the number of movements in respect of the before and after” Aristotle; “the
Life of the Soul in movement as it passes from one stage of act or experience
to another” Plotinus; “a present of things past, memory, a present of things
present, sight, and a present of things future, expectation” Augustine. These
definitions, like all attempts to encapsulate the essence of time in some neat
formula, are unhelpfully circular because they employ temporal notions.
Although time might be too basic to admit of definition, there still are many
questions about time that philosophers have made some progress in answering by
analysis both of how we ordinarily experience and talk about time, and of the
deliverances of science, thereby clarifying and deepening our understanding of
what time is. What follows gives a sample of some of the more important of
these issues. Temporal becoming and the A- and B-theories of time. According to
the B-theory, time consists in nothing but a fixed “B-series” of events running
from earlier to later. The A-theory requires that these events also form an
“A-series” going from the future through the present into the past and,
moreover, shift in respect to these determinations. The latter sort of change,
commonly referred to as “temporal becoming,” gives rise to well-known
perplexities concerning both what does the shifting and the sort of shift
involved. Often it is said that it is the present or now that shifts to
ever-later times. This quickly leads to absurdity. ‘The present’ and ‘now’,
like ‘this time’, are used to refer to a moment of time. Thus, to say that the
present shifts to later times entails that this very moment of time the present
will become some other moment of time and thus cease to be identical
with itself! Sometimes the entity that shifts is the property of nowness or
presentness. The problem is that every event has this property at some time,
namely when it occurs. Thus, what must qualify some event as being now
simpliciter is its having the property of nowness now; and this is the start of
an infinite regress that is vicious because at each stage we are left with an
unexpurgated use of ‘now’, the very term that was supposed to be analyzed in
terms of the property of nowness. If events are to change from being future to
present and from present to past, as is required by temporal becoming, they
must do so in relation to some mysterious transcendent entity, since temporal
relations between events and/or times cannot change. The nature of the shift is
equally perplexing, for it must occur at a particular rate; but a rate of
change involves a comparison between one kind of change and a change of time.
Herein, it is change of time that is compared to change of time, resulting in
the seeming tautology that time passes or shifts at the rate of one second per
second, surely an absurdity since this is not a rate of change at all. Broad
attempted to skirt these perplexities by saying that becoming is sui generis
and thereby defies analysis, which puts him on the side of the mystically
inclined Bergson who thought that it could be known only through an act of
ineffable intuition. To escape the clutches of both perplexity and mysticism,
as well as to satisfy the demand of science to view the world
non-perspectivally, the B-theory attempted to reduce the A-series to the
B-series via a linguistic reduction in which a temporal indexical proposition
reporting an event as past, present, or future is shown to be identical with a
non-indexical proposition reporting a relation of precedence or simultaneity
between it and another event or time. It is generally conceded that such a
reduction fails, since, in general, no indexical proposition is identical with
any non-indexical one, this being due to the fact that one can have a propositional
attitude toward one of them that is not had to the other; e.g., I can believe
that it is now raining without believing that it rains tenselessly at t 7. The
friends of becoming have drawn the wrong moral from this failure that there is a mysterious Mr. X out there
doing “The Shift.” They have overlooked the fact that two sentences can express
different propositions and yet report one and the same event or state of
affairs; e.g., ‘This is water’ and ‘this is a collection of H2O molecules’,
though differing in sense, report the same state of affairs this being water is nothing but this being a
collection of H2O molecules. It could be claimed that the same holds for the
appropriate use of indexical and non-indexical sentences; the tokening at t 7
of ‘Georgie flies at this time at present’ is coreporting with the
non-synonymous ‘Georgie flies tenselessly at t 7’, since Georgie’s flying at
this time is the same event as Georgie’s flying at t 7, given that this time is
t 7. This effects the same ontological reduction of the becoming of events to
their bearing temporal relations to each other as does the linguistic
reduction. The “coreporting reduction” also shows the absurdity of the
“psychological reduction” according to which an event’s being present, etc.,
requires a relation to a perceiver, whereas an event’s having a temporal
relation to another event or time does not require a relation to a perceiver.
Given that Georgie’s flying at this time is identical with Georgie’s flying at
t 7, it follows that one and the same event both does and does not have the
property of requiring relation to a perceiver, thereby violating Leibniz’s law
that identicals are indiscernible. Continuous versus discrete time. Assume that
the instants of time are linearly ordered by the relation R of ‘earlier than’.
To say that this order is continuous is, first, to imply the property of
density or infinite divisibility: for any instants i 1 and i 2 such that Ri1i
2, there is a third instant i 3, such that Ri1i 3 and Ri3i 2. But continuity
implies something more since density allows for “gaps” between the instants, as
with the rational numbers. Think of R as the ‘less than’ relation and the i n
as rationals. To rule out gaps and thereby assure genuine continuity it is
necessary to require in addition to density that every convergent sequence of
instants has a limit. To make this precise one needs a distance measure d
, on pairs of instants, where di m, i n
is interpreted as the lapse of time between i m and i n. The requirement of continuity
proper is then that for any sequence i l , i 2, i 3, . . . , of instants, if di
m i n P 0 as m, n P C, there is a limit instant i ø such that di n, iø P 0 as n P C. The analogous property
obviously fails for the rationals. But taking the completion of the rationals
by adding in the limit points of convergent sequences yields the real number
line, a genuine continuum. Numerous objections have been raised to the idea of
time as a continuum and to the very notion of the continuum itself. Thus, it was
objected that time cannot be composed of durationless instants since a stack of
such instants cannot produce a non-zero duration. Modern measure theory
resolves this objection. Leibniz held that a continuum cannot be composed of
points since the points in any finite closed interval can be put in one-to-one
correspondence with a smaller subinterval, contradicting the axiom that the
whole is greater than any proper part. What Leibniz took to be a contradictory
feature is now taken to be a defining feature of infinite collections or
totalities. Modern-day Zenoians, while granting the viability of the
mathematical doctrine of the continuum and even the usefulness of its
employment in physical theory, will deny the possibility of its applying to
real-life changes. Whitehead gave an analogue of Zeno’s paradox of the
dichotomy to show that a thing cannot endure in a continuous manner. For if i
1, i 2 is the interval over which the thing is supposed to endure, then the
thing would first have to endure until the instant i 3, halfway between i 1 and
i 2; but before it can endure until i 3, it must first endure until the instant
i 4 halfway between i 1 and i 3, etc. The seductiveness of this paradox rests
upon an implicit anthropomorphic demand that the operations of nature must be
understood in terms of concepts of human agency. Herein it is the demand that
the physicist’s description of a continuous change, such as a runner traversing
a unit spatial distance by performing an infinity of runs of ever-decreasing
distance, could be used as an action-guiding recipe for performing this feat,
which, of course, is impossible since it does not specify any initial or final
doing, as recipes that guide human actions must. But to make this
anthropomorphic demand explicit renders this deployment of the dichotomy, as
well as the arguments against the possibility of performing a “supertask,”
dubious. Anti-realists might deny that we are committed to real-life change
being continuous by our acceptance of a physical theory that employs principles
of mathematical continuity, but this is quite different from the Zenoian claim
that it is impossible for such change to be continuous. To maintain that time
is discrete would require not only abandoning the continuum but also the
density property as well. Giving up either conflicts with the intuition that
time is one-dimensional. For an explanation of how the topological analysis of
dimensionality entails that the dimension of a discrete space is 0, see W.
Hurewicz, Dimension Theory, 1. The philosophical and physics literatures
contain speculations about a discrete time built of “chronons” or temporal
atoms, but thus far such hypothetical entities have not been incorporated into
a satisfactory theory. Absolute versus relative and relational time. In a
scholium to the Principia, Newton declared that “Absolute, true and
mathematical time, of itself and from its own nature, flows equably without
relation to anything external.” There are at least five interrelated senses in
which time was absolute for Newton. First, he thought that there was a
frame-independent relation of simultaneity for events. Second, he thought that
there was a frame-independent measure of duration for non-simultaneous events.
He used ‘flows equably’ not to refer to the above sort of mysterious “temporal
becoming,” but instead to connote the second sense of absoluteness and partly
to indicate two further kinds of absoluteness. To appreciate the latter, note
that ‘flows equably’ is modified by ‘without relation to anything external’. Here
Newton was asserting third sense of ‘absolute’ that the lapse of time between
two events would be what it is even if the distribution and motions of material
bodies were different. He was also presupposing a related form of absoluteness
fourth sense according to which the metric of time is intrinsic to the temporal
interval. Leibniz’s philosophy of time placed him in agreement with Newton as
regards the first two senses of ‘absolute’, which assert the non-relative or
frame-independent nature of time. However, Leibniz was very much opposed to
Newton on the fourth sense of ‘absolute’. According to Leibniz’s relational
conception of time, any talk about the length of a temporal interval must be
unpacked in terms of talk about the relation of the interval to an extrinsic
metric standard. Furthermore, Leibniz used his principles of sufficient reason
and identity of indiscernibles to argue against a fifth sense of ‘absolute’,
implicit in Newton’s philosophy of time, according to which time is a
substratum in which physical events are situated. On the contrary, the
relational view holds that time is nothing over and above the structure of
relations of events. Einstein’s special and general theories of relativity have
direct bearing on parts of these controversies. The special theory necessitates
the abandonment of frame-independent notions of simultaneity and duration. For
any pair of spacelike related events in Minkowski space-time there is an
inertial frame in which the events are simultaneous, another frame in which the
first event is temporally prior, and still a third in which the second event is
temporally prior. And the temporal interval between two timelike related events
depends on the worldline connecting them. In fact, for any e 0, no matter how small, there is a worldline
connecting the events whose proper length is less than e. This is the essence
of the so-called twin paradox. The general theory of relativity abandons the
third sense of absoluteness since it entails that the metrical structure of space-time
covaries with the distribution of mass-energy in a manner specified by
Einstein’s field equations. But the heart of the absoluterelational
controversy as focused by the fourth and
fifth senses of ‘absolute’ is not
settled by relativistic considerations. Indeed, opponents from both sides of
the debate claim to find support for their positions in the special and general
theories. H. P. Grice, “D. H. Mellor on real and irreal time.” Tempus is ne of
Arsitotle’s categories, along with space – cfr. Kant – and Grice on Strawson’s
“Individuals” -- time slice: used by Grice in two different contexts: personal
identity, and identity in general. In identity in general, Grice draws from
Geach and Wiggins, and with the formal aid of Myro, construct a system of a
first-order predicate calculus with time-relative identity -- a temporal part
or stage of any concrete particular that exists for some interval of time; a
three-dimensional cross section of a fourdimensional object. To think of an
object as consisting of time slices or temporal stages is to think of it as
related to time in much the way that it is related to space: as extending
through time as well as space, rather than as enduring through it. Just as an
object made up of spatial parts is thought of as a whole made up of parts that
exist at different locations, so an object made up of time slices is thought of
as a whole made up of parts or stages that exist at successive times; hence,
just as a spatial whole is only partly present in any space that does not
include all its spatial parts, so a whole made up of time slices is only partly
present in any stretch of time that does not include all its temporal parts. A
continuant, by contrast, is most commonly understood to be a particular that
endures through time, i.e., that is wholly present at each moment at which it
exists. To conceive of an object as a continuant is to conceive of it as
related to time in a very different way from that in which it is related to
space. A continuant does not extend through time as well as space; it does not
exist at different times by virtue of the existence of successive parts of it
at those times; it is the continuant itself that is wholly present at each such
time. To conceive an object as a continuant, therefore, is to conceive it as
not made up of temporal stages, or time slices, at all. There is another, less
common, use of ‘continuant’ in which a continuant is understood to be any
particular that exists for some stretch of time, regardless of whether it is
the whole of the particular or only some part of it that is present at each
moment of the particular’s existence. According to this usage, an entity that
is made up of time slices would be a kind of continuant rather than some other
kind of particular. Philosophers have disputed whether ordinary objects such as
cabbages and kings endure through time are continuants or only extend through
time are sequences of time slices. Some argue that to understand the
possibility of change one must think of such objects as sequences of time
slices; others argue that for the same reason one must think of such objects as
continuants. If an object changes, it comes to be different from itself. Some
argue that this would be possible only if an object consisted of distinct,
successive stages; so that change would simply consist in the differences among
the successive temporal parts of an object. Others argue that this view would
make change impossible; that differences among the successive temporal parts of
a thing would no more imply the thing had changed than differences among its
spatial parts would. H. P. Grice, “D. H.
Mellor on real and irreal time.”
terminus – horos – Cicero’s transliteration of the Greianism
--. terminist logic, a school of semantics until its demise in the humanistic
reforms. The chief goal of ‘terminisim’ – or terministic semantics -- is the
elucidation (or conceptual analysis) of the
form, the “exposition,” of a proposition advanced in the context of
Scholastic disputation. The cntral theory of terminisitc semantics concerns
this or that property of this or that term, especially the suppositum.
Terminisic semantics does the work of modern quantification theory. Important
semanticists in the school include Peter of Spain, Sherwood, Burleigh
(Burlaeus), Heytesbury, and Paolo Veneto. terminus
a quo-terminus a quem distinction, the: used by Grice for the starting
point of some process, as opposed to the terminus ad quem, the ending point. E.
g., change is a process that begins from some state, the terminus a quo, and proceeds
to some state at which it ends, the terminus ad quem. In particular, in the
ripening of an apple, the green apple is the terminus a quo and the red apple
is the terminus ad quem.
tertulliano: Roman – Grice says that ‘you’re the cream in my
coffee’ is absurd – “Can you believe it?” -- Adored by Grice because he
believed what he thought was absurd.
theologian, an early father of the Christian church. A layman from
Carthage, he laid the conceptual and linguistic basis for the doctrine of the
Trinity. Though appearing hostile to philosophy “What has Athens to do with
Jerusalem?” and to rationality “It is certain because it is impossible”,
Tertullian was steeped in Stoicism. He denounced all eclecticism not governed
by the normative tradition of Christian doctrine, yet commonly used
philosophical argument and Stoic concepts e.g., the corporeality of God and the
soul. Despite insisting on the sole authority of the New Testament apostles, he
joined with Montanism, which taught that the Holy Spirit was still inspiring
prophecy concerning moral discipline. Reflecting this interest in the Spirit,
Tertullian pondered the distinctions to which he gave the neologism trinitas
within God. God is one “substance” but three “persons”: a plurality without
division. The Father, Son, and Spirit are distinct, but share equally in the
one Godhead. This threeness is manifest only in the “economy” of God’s temporal
action toward the world; later orthodoxy e.g. Athanasius, Basil the Great,
Augustine, would postulate a Triunity that is eternal and “immanent,” i.e.,
internal to God’s being. Tertulliano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
navigationJump to search Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando
il nome proprio di persona, vedi Tertulliano (nome). Tertulliano Quinto
Settimio Fiorente Tertulliano (in latino: Quintus Septimius Florens
Tertullianus; Cartagine, 155 circa – 230 circa) , conosciuto semplicemente come
Tertulliano, è stato uno scrittore romano, filosofo e apologeta cristiano, fra
i più celebri del suo tempo. Negli ultimi anni della sua vita entrò in contatto
con alcune sette ritenute eretiche, come quella riconducibile al prete Montano;
per questo motivo fu l'unico apologeta cristiano antico, insieme ad Origene
Adamantio, a non ottenere il titolo di Padre della Chiesa[1].
Indice 1Biografia 2Pensiero 2.1Dottrina trinitaria 2.2La dottrina dell'anima
naturaliter cristiana 2.3Il Credo quia absurdum 2.4La tecnica della
praescriptione 2.5Altri aspetti del pensiero 3Linguaggio 4Opere 5Note 6Bibliografia
7Altri progetti 8Collegamenti esterni Biografia Tertulliano nacque a Cartagine
verso la metà del II secolo (intorno al 155) da genitori pagani (patre
centurione proconsulari[2], figlio di un centurione proconsolare) e, dopo
essere stato verosimilmente iniziato ai misteri di Mitra, compì gli studi di
retorica e diritto nelle scuole tradizionali imparando il greco. Visse durante
l'impero di Settimio Severo e Caracalla. Dopo una giovinezza dissipata
esercitò la professione di avvocato dapprima in Africa e in seguito a Roma;
ritornò quindi nella città natale e probabilmente verso il 195 si convertì al
cristianesimo, attratto forse dall'esempio dei martiri (Cfr. Apol. 50,15; Ad
Scap. 5,4) Nel 197 scrisse la sua prima opera, Ad nationes ("Ai pagani").
Presi gli ordini sacerdotali, adottò posizioni religiose molto intransigenti e
nel 213 aderì alla setta religiosa dei montanisti, nota proprio per la sua
intransigenza e il suo fanatismo[3]. Anche nel periodo montanista, per
Tertulliano la Chiesa è sempre "Madre". Negli ultimi anni della
sua vita abbandonò il gruppo per fondarne uno nuovo, quello dei tertullianisti.
Quest'ultima setta era ancora esistente all'epoca di sant'Agostino, che
riferisce di averla fatta rientrare nell'alveo dell'ortodossia. Le ultime
notizie che si possiedono su Tertulliano risalgono al 222, quando attaccò
polemicamente il pontefice romano Callisto[4]. La sua morte si data dopo il
230. Pensiero Tertulliano è un grande teorico e un acuto pensatore che
assume un posto di rilievo nel panorama letterario del suo tempo.
Dottrina trinitaria È considerato un grande teologo cristiano soprattutto
perché pensa ed esprime la teologia trinitaria attraverso una terminologia
latina rigorosa. A lui si deve l'introduzione del termine "persona",
nella teologia Trinitaria.[5] Tertulliano fu storicamente il primo
scrittore ecclesiastico ad utilizzare la parola latina trinitas
("Trinità") con riferimento al Dio biblico e a definire Dio come unam
substantiam in tribus cohaerentibus (Adversus Praxean, 12:7), chiamati anche
personae, mutuando i termini di persona e di sostanza dalla metafisica stoica.
In questo modo, distingueva l'unicità della sostanza divina rispetto alla
pluralità delle tre persone, tra loro coeterne e consustanziali in un piano
paritetico (per quanto concerne la sostanza).[6] Tertulliano
sottolineò il fatto che la processione presume la superiorità del Padre Dio
rispetto al Figlio Dio e allo Spirito Santo Dio, da Lui inviati, pur non
negando la loro consustanzialità e coeternità "paritetica" dal punto
di vista della sostanza. Da queste considerazioni derivò il fatto che la
relazione fra il Padre Dio e il Figlio Dio non è coeterna, bensì l'effetto
della libera volontà di Dio di creare l'universo. Tertulliano elaborò un
concetto di economia della salvezza, che vede la generazione del Figlio già in
qualità di Salvatore e di Redentore e che assorbe il Logos all'interno del
mistero trinitario. La dottrina di Tertulliano anticipava di circa un
secolo il concilio di Nicea. La sua importanza storica fu notevolmente
rivalutata dalla teologia moderna. Il teologo Roger Olson lo definì come il
padre della dottrina trinitaria,[7] mentre il gesuita francese Joseph Moingt,
nella sua opera Théologie trinitaire de Tertullien[8] affermò che il Contra Praxeam
fu il primo trattato trinitario nella storia della Chiesa.[6] La sua dottrina
non fu considerata perfettamente conforme alla formula nicena. Alcuni Padri
della Chiesa lo accusarono di coltivare una forma di subordinazionismo affine
all'arianesimo.[6] La dottrina dell'anima naturaliter cristiana
Nell'Apologeticum, Tertulliano afferma che l'anima "sebbene rinchiusa nel
carcere del corpo [...] come dopo l'ubriachezza [...] nomina Dio con un solo
nome[9]". Tali espressioni linguistiche sono per il pensatore cartaginese,
testimonianze dell'anima che - nonostante l'assenza di sovrastrutture -
spontaneamente menziona Dio. Tale "scoperta", per Tertulliano, ha
come obiettivo quello di dimostrare la naturalezza del sentimento religioso
senza dover ricorrere alle astrusità dei filosofi. Tertulliano dedica uno
scritto apposito a tale questione: il De testimonio animae (La testimonianza
dell'anima). In questo piccolo libro, l'apologeta cristiano dichiara
espressamente di non voler essere aiutato da chi in precedenza abbia, in modo
artificiale, utilizzato le fonti pagane per "documentare che noi cristiani
non abbiamo abbracciato alcuna dottrina nuova o mostruosa"[10] ma suo
obiettivo è andare a ricercare le fonti dell'anima nella loro purezza più
originaria. Quest'operazione, nella sua formulazione, ha un impianto di
derivazione stoica e più precisamente si rivedono echi della dottrina
dell'anticipazione. Come dice I. Vecchiotti "ciò che interessa di più in
questa sede è l'accento messo sull'ambiente tertullianeo e il modo come questo
accento è messo. È messo cioè in modo da supporre che effettivamente il
sentimento religioso costituisca un primum rispetto ad ogni altra
determinazione: quando questa interviene – vuol dire che essa rappresenta una
maculazione – economica o psicologica – sulla nobiltà del sentimento
originario[11]". Dunque, Tertulliano riconosce che il "concetto
di Dio" (per lo più quando lo si esprime, quando lo si dice) viene fuori
nel momento in cui il soggetto umano si allontana da tutti i tipi di costruzioni
artificiali: e tale spontaneità è sintomo dell'intrinseca presenza della
religione cristiana all'interno di ogni soggettività ed è l'indicazione
fondamentale della superiorità della religione cristiana rispetto alle
molteplici religioni pagane. Il Credo quia absurdum È attribuita a
Tertulliano la famosa locuzione latina Credo quia absurdum. In realtà
l'apologeta cristiano non parla mai di "assurdità" del concetto di
Dio ma ritiene che dalla "incomprensibilità" di quest'ultimo possa
essere compresa la sua realtà. (LA) «Hoc est, quod deum aestimari facit,
dum aestimari non capit.» (IT) «Questo è ciò che ci fa comprendere Dio,
il fatto che non lo si può comprendere.» (Apologeticum, 17, 3,) Un'altra
affermazione che si immette nel solco sin qui delineato è quella che si trova
in De Carne Christi V, 4: "Natus est Dei Filius; non pudet, quia pudendum
est: et mortuus est Dei Filius; prorsus credibile est, quia ineptum est"
che si traduce in: "Nacque il Figlio di Dio; non è vergognoso, perché v'è
da vergognarsi: e il Figlio di Dio è morto: che è del tutto credibile, poiché è
del tutto incredibile". La tecnica della praescriptione
Importantissima risulta storicamente e dogmaticamente la sua opera De
praescriptione haereticorum, in cui egli giunge alla conclusione fondamentale
che è inutile disputare con gli eretici sulla base della Scrittura, poiché essi
continueranno a loro volta a fare lo stesso. La regula fidei contiene
l'interpretazione autorevole della Scrittura ed essa è trasmessa integralmente
e fedelmente solo dove sussiste la successione apostolica, cioè dai vescovi
legittimi, appartenenti all'unica Chiesa cattolica e ortodossa. Ruolo
primaziale nella conservazione dell'autentico deposito della fede lo ha la sede
vescovile di Roma. Altri aspetti del pensiero Alcune opere di Tertulliano
(De spectaculis, De virginibus velandis, De cultu feminarum) sono improntate ad
un estremo rigorismo morale che condanna ogni mondanità e diletto terreno come
un'insidia diabolica; la donna stessa, discendente di Eva, è vista come una
creatura del demonio. Tale rigorismo indusse Tertulliano ad aderire al
montanismo che predicava l'imminenza della resurrezione della carne e l'avvento
del regno di Cristo, rifiutava la gerarchia della Chiesa e prescriveva una
vita ascetica distaccata dal mondo.[12] Degna di nota è la sua
affermazione: “Caro salutis est cardo”,[13] “la carne è il cardine della
salvezza”. Come molti pensatori del tempo anche Tertulliano era contrario
alla pratica della contraccezione, celebre è infatti il principio da lui
esposto secondo il quale: "Impedire la nascita di un bambino significa
commettere un omicidio anticipato"[14]. Linguaggio Alla fine del II
secolo e all'inizio del III, Tertulliano è fra i primi scrittori cristiani in
lingua latina e sicuramente uno dei primissimi teologi che scrivono in questa
lingua. Usa nei suoi scritti un linguaggio specificamente tecnico preso dal
gergo avvocatizio e costruisce i periodi in modo volutamente irregolare, con
interrogazioni, esclamazioni, battute ad effetto, giochi di parole, anastrofe,
metafore, così da rendere più incisivo il discorso. Lo stile è veemente,
polemico e aspro. L'espressione libero arbitrio è entrata nel vocabolario
filosofico con Tertulliano, che per primo usò il termine «liberum arbitrium»[15]
per tradurre il greco αὐτεξούσιος (autexousios) di Epitteto.[16]
Opere Septimi Florensis Tertulliani Opera, 1598 Sono pervenute trenta
opere teologiche e polemiche contro i pagani, contro gli avversari religiosi e
contro alcuni cristiani che non condividevano le sue tesi. Periodo
cristiano (197-206) Ad nationes (197): in difesa del Cristianesimo contro
i pagani; Apologeticum (197): una impetuosa difesa in nome della libertà di
coscienza, sia contro i delitti manifesti imputati ai cristiani, sia contro i
cosiddetti crimina occulta, come incesti, infanticidi e altre depravazioni
morali pagane; De testimonio animae (198/200); Adversus Iudaeos (prima del
207); opera di polemica dottrinale contro gli Ebrei; Ad martyras: esortazione
ad un gruppo di cristiani incarcerati e condannati a morte; De spectaculis:
opera in cui vengono considerati immorali gli spettacoli teatrali e circensi;
De oratione; De patientia; De cultu feminarum; Ad uxorem; De praescriptione
haereticorum: contro i cristiani che contaminano la fede con filosofie pagane e
con interpretazioni troppo libere della Bibbia; Adversus Hermogenem; De
baptismo; De paenitentia. Periodo influenzato dal montanismo (207-212) Ad
Scapulam (212): l'opera è indirizzata al governatore dell'Africa proconsolare
che stava conducendo una campagna contro i cristiani; De idolatria: contro
quelle attività economiche legate in qualche modo al paganesimo; De corona:
contro il servizio militare che non poteva essere compatibile con chi si
professava cristiano; De exhortatione castitatis; De virginibus velandis: opera
in cui vengono fatte considerazioni sulla donna, considerata alla stregua di un
essere inferiore; per esempio, secondo Tertulliano, deve apparire rigorosamente
velata; Adversus Marcionem, Adversus Praxean e altre: opere (trattati) di
carattere violentemente polemico contro avversari religiosi; Adversus
Valentinianos; De Scorpiace; De anima: (212) è l'opera più importante, nella
quale Tertulliano rielabora anche fonti pagane; De carne Christi; De resurrectione
mortuorum. Periodo apertamente montanista (213-220) De fuga in
persecutione; De pallio; Adversus Praxean; (prima definizione della formula del
rapporto tra una sola sostanza e tre Persone). De ieiunio adversus Psychicos;
De Monogamia; De pudicitia: contro i rapporti sessuali al di fuori del
matrimonio. Note ^ I requisiti per essere definito Padre della Chiesa sono
elencati in Johannes Quasten, Patrologia, Torino, Marietti, 1980, Vol. 1, p.
12. ^ San Girolamo, De viris illustribus, 53. ^ Battista Mondin, Storia della
teologia. Vol. 1: Epoca patristica, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 1996,
p. 144. ^ Tertulliano, Difesa del cristianesimo = Apologeticum, a cura di Marta
Sordi, Attilio Carpin, Moreno Morani, San Clemente, 2008, p. 10, ISBN
978-88-7094-691-8, OCLC 231580052. ^ Adversus Praxean, 27, 11: "Videmus
duplicem statum, non confusum sed coniunctum in una persona Deum et hominem
Iesum", (Noi osserviamo una duplice condizione, non confusa ma congiunta
in una sola persona, Dio e l'uomo Gesù", trad. di G. Scarpat, Torino, SEI,
1985, p. 143) Bryan M. Liftin, Tertullian on the Trinity (XML), in
Perichoresis: The Theological Journal of Emanuel University, vol. 17, 2019, pp.
81-98, DOI:10.2478/perc-2019-0012, ISSN 2284-7308 (WC · ACNP), OCLC 8125116872.
URL consultato l'11 febbraio 2020. ^ Roger Olson, The Story of Christian
Theology: Twenty Centuries of Tradition and Reform. Downers Grove, IL:
InterVarsity, 1999, p. 95. ^ Parigi, Aubier, 1966, 4 volumi; la citazione è nel
volume I, p. 53. ^ Tertulliano, Apologeticum, 17, 5-6. ^ Tertulliano, De
testimonio animae, 1, 2. ^ Icilio Vecchiotti, La filosofia di Tertulliano,
Pubblicazioni dell'Università di Urbino, Argalia editore, 1970, p. 229. ^
Luciano Perelli, Storia della letteratura latina, ed. Paravia, Torino, 1969,
pag. 349-350. ^ De carnis resurrectione, 8,3. ^ Tertulliano, Apologeticum,
9,2.8. ^ De anima, 21, 6. ^ "Che cos'è, dunque, che fa l'uomo incoercibile
e padrone di se stesso? (αὐτεξούσιον)" Epitteto, Diatribe, IV, 1, 62.
Bibliografia René Braun, Deus christianorum. Recherches sur le vocabulaire
doctrinal de Tertullien, Parigi, Études augustiniennes, 1977 (seconda edizione
ampliata, prima edizione 1962). Alessandro Capone, “Il problema del male in
Tertulliano: l'eresia” in Pagani e Cristiani alla ricerca della salvezza
(secoli I-III), Atti del XXXIV Incontro di studiosi dell'antichità cristiana.
Roma, 5-7 maggio 2005, Roma 2006, pp. 489–504. Alessandro Capone, “Plinio il
Vecchio e Tertulliano: scrittura e riscrittura”, Auctores Nostri 4, 2006, pp. 147–165.
Alessandro Capone, “Osservazioni sull'ironia di Tertulliano nell'Adversus
Valentinianos”, Auctores Nostri 4, 2006, pp. 229–242. Gosta Claesson, Index
Tertullianeus, Parigi, Études augustiniennes, 1975 (3 volumi). Pietro Podolak,
Introduzione a Tertulliano, Brescia, Morcellaiana, 2006. (LA) Tertulliano,
[Opere], Parisiis, apud Laurentium Sonnium, via Iacobaea, 1598. Icilio
Vecchiotti, La filosofia di Tertulliano, Pubblicazioni dell'Università di
Urbino, Argalia editore, 1970. Dario Annunziata, Temi e problemi della
giurisprudenza severiana. Annotazioni su Tertulliano e Menandro, Editoriale
Scientifica, Napoli, 2019. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource
contiene una pagina dedicata a Tertulliano Collabora a Wikisource Wikisource
contiene una pagina in lingua latina dedicata a Tertulliano Collabora a
Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Tertulliano Collabora a
Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su
Tertulliano Collegamenti esterni Tertulliano, su Treccani.it – Enciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Tertulliano, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su
Wikidata Tertulliano, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
2010. Modifica su Wikidata (EN) Tertulliano, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Tertulliano, su BeWeb,
Conferenza Episcopale Italiana. Modifica su Wikidata (DE) Tertulliano, su
ALCUIN, Università di Ratisbona. Modifica su Wikidata (LA) Opere di
Tertulliano, su Musisque Deoque. Modifica su Wikidata Opere di Tertulliano, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di
Tertulliano, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN)
Tertulliano, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su
Wikidata Opera Omnia dal Migne Patrologia Latina, su documentacatholicamnia.eu.
con indici analitici a traduzioni in francese, inglese, russo e tedesco.
Chronica Tertullianea et Cyprianea, su etudes-augustiniennes.paris-sorbonne.fr.
Bibliografia esaustiva della letteratura cristiana fino alla morte di Cipriano
(258) Catechesi, su w2.vatican.va. di papa Benedetto XVI su Tertulliano tenuta
durante l'Udienza generale di mercoledì 30 maggio 2007. V · D · M Padri e
dottori della Chiesa cattolica Controllo di autoritàVIAF (EN) 100226395 · ISNI
(EN) 0000 0001 2283 4506 · LCCN (EN) n79091867 · GND (DE) 118621386 · BNF (FR)
cb11926244w (data) · BNE (ES) XX873455 (data) · NLA (EN) 35778726 · BAV (EN)
495/52084 · CERL cnp00396668 · NDL (EN, JA) 00798864 · WorldCat Identities (EN)
lccn-n79091867 Antica Roma Portale Antica Roma Biografie Portale Biografie
Cristianesimo Portale Cristianesimo Lingua latina Portale Lingua latina
Categorie: Scrittori romaniNati a CartagineApologetiMillennialismoScrittori
africani di lingua latinaScrittori ecclesiasticiQuinto Settimio Fiorente
TertullianoScrittori cristiani antichiAntigiudaismo cristiano[altre]
tessitore: Grice: “If there’s Oxonian
dialectic and Athenian dialectic, there is, to follow Fulvio Tessitore, the
‘scuola napoletana.’” Fulvio Tessitore Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Jump to navigationJump to search Fulvio Tessitore Fulvio Tessitore.JPG Deputato
della Repubblica Italiana LegislatureXV Legislatura Gruppo parlamentarePD-Ulivo
CoalizioneL'Unione Circoscrizione circoscrizioneXIXCollegioCampania1Incarichiparlamentari
Membro della 7ª Commissione (Cultura, scienza e istruzione) dal 6 giugno 2006
Sito istituzionale Senatore della Repubblica Italiana LegislatureXIV Legislatura
Gruppo parlamentareDemocratici di Sinistra - l'Ulivo CircoscrizioneCollegio: 2
(Napoli Bagnoli) Incarichi parlamentari Membro della Commissione per la
biblioteca dal 30 luglio 2001 al 27 aprile 2006 Membro della 7ª Commissione
permanente (Istruzione pubblica, beni culturali) dal 22 giugno 2001 al 27
aprile 2006 Membro della 14ª Commissione permanente (Politiche dell'Unione
europea) dal 7 ottobre 2003 al 27 aprile 2006 Sito istituzionale Dati generali
Partito politicoDemocratici di Sinistra Titolo di studioLaurea in
giurisprudenza UniversitàUniversità degli Studi di Napoli Federico II
ProfessioneDocente universitario Fulvio Tessitore (Napoli, 10 maggio 1937) è un
filosofo, storico e politico italiano.
Indice 1Biografia e carriera 2Opere principali 3Altri progetti 4Collegamenti
esterni Biografia e carriera Tessitore si è laureato in giurisprudenza (la sua
tesi ricevette dignità di stampa) presso l'Università degli Studi di Napoli,
allievo di Pietro Piovani. Nel 1964 è libero docente "per meriti
eccezionali" in Filosofia del diritto; l'anno successivo diventa
professore ordinario. Ha dapprima insegnato, dal 1965 al 1975, Storia delle
dottrine politiche; quindi, dal 1975 in poi, Storia della filosofia. È stato
preside della Facoltà di Magistero dell'Università degli Studi di Salerno dal
1968 al 1973. Dal 1978 al 1993 è stato preside della Facoltà di Lettere e
Filosofia dell'Università Federico II di Napoli, della quale è stato anche
rettore dal 1993 al 2001. Dal dicembre
del 1983 è socio dell'Accademia dell'Arcadia col nome di Echione Cineriano. È
inoltre socio nazionale dell'Accademia dei Lincei e di numerose altre accademie
nazionali italiane e straniere. È professore emerito della Facultad de
Humanidades dell'Università Centrale del Venezuela, con sede a Caracas, e
professore onorario della Università dell'Avana (Cuba). Ha tenuto lezioni nelle
università di Düsseldorf, Erlangen-Nürnberg (Norimberga), Braunschweig,
Valencia, Halle-Wittenberg, Salamanca, Siviglia e molte altre. Ha diretto il
Centro di studi vichiani del CNR dal 1970 al 1995 ed oggi fa parte del
Consiglio scientifico dello stesso Centro.
È presidente della Fondazione Pietro Piovani per gli studi vichiani e
del Consorzio interuniversitario "Civiltà del Mediterraneo". È
presidente del Comitato Tecnico Scientifico della Fondazione Internazionale
D'Amato onlus. È socio onorario dell'Istituto per l'Oriente “Carlo Alfonso
Nallino” di Roma. È vicepresidente della Fondazione "Guido e Roberto
Cortese". Siede inoltre nel Consiglio Direttivo dell'Istituto italiano per
gli studi storici fondato da Benedetto Croce. È stato componente del Consiglio
Scientifico dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani. È stato
componente, dal 1989 al 1997, del Consiglio Universitario Nazionale, in cui è
stato presidente del Comitato di Lettere, Lingue e Magistero (fino al 1993). È
stato vice presidente della Fondazione Teatro di San Carlo (1997–2007),
componente del Consiglio Generale della Fondazione Banco di Napoli dal 2000 al
2006, del Consiglio direttivo dal 1997 al 1998 e vice presidente dal 1999 al
2000 della CRUI, la Conferenza permanente dei Rettori delle Università
italiane. È Cavaliere di gran croce
dell'Ordine al merito della Repubblica. È stato senatore della Repubblica
italiana nella XIV legislatura (dal 30 maggio 2001 al 27 aprile 2006) nelle
file dei Democratici di Sinistra - L'Ulivo e deputato nella XV Legislatura
(dall'aprile 2006 all'aprile 2008) nelle file del L'Ulivo. È medaglia d'oro
della Scuola dell'arte e della cultura (1983) e della Scienza e della cultura
(1996). È autore di una vastissima
bibliografia di oltre 1500 titoli, tra i quali 26 volumi, ai quali sono stati
assegnati numerosi premi. Opere
principali Aspetti del pensiero neoguelfo napoletano dopo il 1860, Morano,
Napoli, 1962 Crisi e trasformazioni dello Stato. Ricerche sul pensiero
giuspubblicistico italiano tra 800 e 900, I ed. Morano, Napoli, 1963; III ed.
Giuffrè, Milano, 1988 I fondamenti della filosofia politica di Wilhelm von
Humboldt, Morano, Napoli, 1965. Stampato in una nuova edizione nel 2013 per
Liguori editore, con un saggio di Claudio Cesa e con la bibliografia aggiornata
dei lavori di Fulvio Tessitore su W. von Humboldt Friedrich Meinecke storico
delle idee, Le Monnier, Firenze, 1969 Profilo dello storicismo politico, UTET,
Torino, 1981, (traduzione spagnola 1993) Introduzione allo storicismo, Laterza,
Roma-Bari, 1991, (V ed. 2010) Introduzione a Meinecke, Laterza, Roma-Bari, 1998
Filosofia, storia e politica in Vincenzo Cuoco, Marco, Lungro (CS), 2002
Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo (voll. 5), Edizioni di
Storia e Letteratura, Roma, 1995 – 2000 Nuovi contributi alla storia e alla
Teoria dello storicismo, Edizioni di Storia e letteratura, Roma, 2002 (II rist.
2004) Altri contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, Edizioni di
Storia e Letteratura, Roma, 2007, Kritischer Historismus, Böhlau, Köln – Weimar
– Wien, 2005. Interpretazione dello storicismo, Scuola Normale Superiore, Pisa,
2008 (trad. spagnola, Barcellona, 2007). Contributi alla storiografia
arabo-islamica tra Otto e Novecento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma,
2008. (III rist. 2008) Ultimi contributi alla storia e alla teoria dello
storicismo, voll. 3, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2010. La mia
Napoli. Frammenti di ricordi e di pensieri, Grimaldi, Napoli, 1998. Letture
quotidiane (voll. 7), Editoriale scientifica, Napoli, 1988-2010, che raccolgono
articoli di giornali quotidiani. Trittico Anti-hegeliano da Diltehy a Weber.
Contributo alla teoria dello storicismo, con una nora introduttiva di E.
Massimilla, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2016 Da Cuoco a Weber.
Contributi alla storia dello storicismo, 2 voll., con una nota introduttiva di
D. Conte, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2017. Ha fondato e dirige i
seguenti periodici scientifici:
Bollettino del Centro di Studi Vichiani (dal 1971), diretto con G.
Giarrizzo e G. Cacciatore, e (dal 2017) con G. Cacciatore, E. Nuzzo e M. Sanna.
Archivio di Storia della Cultura (dal 1988), diretto dal 2018 con D. Conte e E.
Massimilla. Civiltà del Mediterraneo: I serie, 1991-1995, diretta con G.
Galasso e S. Moscati; II serie 2002 …, diretta con F. Lomonaco. Altri progetti
Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file
su Fulvio Tessitore Collegamenti esterni Una biografia (PDF) (PDF), su
pontaniana.unina.it. URL consultato il 18 settembre 2015. Curriculum del Prof.
Fulvio Tessitore (PDF), su filosofia.unina.it. URL consultato il 30 giugno
2019. Tessitóre, Fulvio, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 18 settembre 2015. Controllo di
autoritàVIAF (EN) 9859355 · ISNI (EN) 0000 0001 1020 8452 · SBN
IT\ICCU\CFIV\013955 · LCCN (EN) n79102801 · GND (DE) 120406640 · BNF (FR)
cb12018382k (data) · BNE (ES) XX857269 (data) · BAV (EN) 495/73542 · WorldCat
Identities (EN) lccn-n79102801 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale
Filosofia Politica Portale Politica Storia Portale Storia Categorie: Filosofi
italiani del XXI secoloStorici italiani del XXI secoloPolitici italiani del XXI
secoloNati nel 1937Nati il 10 maggioNati a NapoliPolitici dei Democratici di
SinistraPolitici del Partito Democratico (Italia)Professori dell'Università di
SalamancaStudenti dell'Università degli Studi di Napoli Federico IIProfessori
dell'Università degli Studi di Napoli Federico IIRettori dell'Università degli
Studi di Napoli Federico II[altre]
testa Alfonso Testa Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Abbozzo Questa voce
sull'argomento filosofi italiani è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla
secondo le convenzioni di Wikipedia. Curly Brackets.svg A questa voce o sezione
va aggiunto il template sinottico {{Carica pubblica}} nobile e senatore del
Regno d'Italia Alfonso Testa (Borgonovo Val Tidone, 23 febbraio 1784 –
Piacenza, 16 giugno 1860) è stato un filosofo e politico italiano. Nasce
a Borgonovo Val Tidone nella nobile famiglia Testa dal giudice Giuseppe e dalla
madre N.D. Vittoria Brigidini. Viene battezzato nella Chiesa della Collegiata
il 23 febbraio 1784 alla presenza dei genitori e del conte Andrea Arcelli,
padrino e parente di Alfonso. Fu Sacerdote cattolico dal 1807, rifiutò la
cattedra filosofica dell'università di Pisa nel 1849 e preferì lavorare
all'università di Parma, divenendone nel 1859 presidente dell'area
filosofica. Dal 1848 fu deputato al Parlamento Sabaudo.
Bibliografia Alfonso Testa. Storia di un povero pretazzuolo di Fausto Chiesa,
pubblicato dalla Lir (Libreria internazionale Romagnosi) di Piacenza
Collegamenti esterni Alfonso Testa, su Treccani.it – Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Alfonso Testa, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su
Wikidata Alfonso Testa, su storia.camera.it, Camera dei deputati. Modifica su
Wikidata Controllo di autoritàVIAF (EN) 89517413 · BAV (EN) 495/268275 ·
WorldCat Identities (EN) viaf-89517413 Biografie Portale Biografie
Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Politica Portale Politica Categorie:
Filosofi italiani del XIX secoloPolitici italiani del XIX secoloNati nel
1784Morti nel 1860Nati il 23 febbraioMorti il 16 giugnoNati a Borgonovo Val
TidoneMorti a PiacenzaDeputati della I legislatura del Regno di Sardegna[altre]
testing: Grice: “A token proving testability.” Grice: “We need
a meta-test: a test for a test for implicatura.” late
14c., "small vessel used in assaying precious metals," from Old
French test, from Latin testum "earthen pot," related to testa
"piece of burned clay, earthen pot, shell" (see tete). Sense of
"trial or examination to determine the correctness of something" is
recorded from 1590s. The connecting notion is "ascertaining the quality of
a metal by melting it in a pot." Test Act was the name given to various
laws in English history meant to exclude Catholics and Nonconformists from
office, especially that of 1673, repealed 1828. Test drive (v.) is first
recorded 1954. In the sciences, capacity of a theory to undergo
experimental testing. Theories in the natural sciences are regularly subjected
to experimental tests involving detailed and rigorous control of variable
factors. Not naive observation of the workings of nature, but disciplined,
designed intervention in such workings, is the hallmark of testability.
Logically regarded, testing takes the form of seeking confirmation of theories
by obtaining positive test results. We can represent a theory as a conjunction
of a hypothesis and a statement of initial conditions, H • A. This conjunction
deductively entails testable or observational consequences O. Hence, H • A P O.
If O obtains, H • A is said to be confirmed, or rendered probable. But such
confirmation is not decisive; O may be entailed by, and hence explained by,
many other theories. For this reason, Popper insisted that the testability of
theories should seek disconfirmations or falsifications. The logical schema H •
A P O not-O not-H • A is deductively valid, hence apparently decisive. On this
view, science progresses, not by finding the truth, but by discarding the
false. Testability becomes falsifiability. This deductive schema modus tollens
is also employed in the analysis of crucial tests. Consider two hypotheses H1
and H2, both introduced to explain some phenomenon. H1 predicts that for some
test condition C, we have the test result ‘if C then e1’, and H2, the result
‘if C then e2’, where e1 and e2 are logically incompatible. If experiment
falsifies ‘if C then e1’ e1 does not actually occur as a test result, the
hypothesis H1 is false, which implies that H2 is true. It was originally
supposed that the experiments of J. B. L. Foucault constituted a decisive
falsifcation of the corpuscular theory of the nature of light, and thus
provided a decisive establishment of the truth of its rival, the wave theory of
light. This account of crucial experiments neglects certain points in logic and
also the role of auxiliary hypotheses in science. As Duhem pointed term, minor
testability 908 908 out, rarely, if
ever, does a hypothesis face the facts in isolation from other supporting
assumptions. Furthermore, it is a fact of logic that the falsification of a
conjunction of a hypothesis and its auxiliary assumptions and initial
conditions not-H • A is logically equivalent to not-H or not-A, and the test
result itself provides no warrant for choosing which alternative to reject.
Duhem further suggested that rejection of any component part of a complex
theory is based on extra-evidential considerations factors like simplicity and
fruitfulness and cannot be forced by negative test results. Acceptance of
Duhem’s view led Quine to suggest that a theory must face the tribunal of
experience en bloc; no single hypothesis can be tested in isolation. Original
conceptions of testability and falsifiability construed scientific method as
hypothetico-deductive. Difficulties with these reconstructions of the logic of
experiment have led philosophers of science to favor an explication of
empirical support based on the logic of probability. Grice: “Linguists never
take ‘testability’ too conceptually, as one can witness in Saddock’s hasty
proofs!” – Refs: H. P. Grice, “On testing for testing for conversational
implicatura.”
testis:
n., pl. testes; Latin
testis "testicle," usually regarded as a special application of
testis "witness" (see testament), presumably because it "bears
witness to male virility" [Barnhart]. Stories that trace the use of the
Latin word to some supposed swearing-in ceremony are modern and
groundless. Compare Greek parastatai "testicles," from
parastates "one that stands by;" and French slang témoins, literally
"witnesses." But Buck thinks Greek parastatai "testicles"
has been wrongly associated with the legal sense of parastates "supporter,
defender" and suggests instead parastatai in the sense of twin "supporting
pillars, props of a mast," etc. Or it might be a euphemistic use of the
word in the sense "comrades." OED, meanwhile, points to Walde's
suggestion of a connection between testis and testa "pot, shell,
etc." (see tete). testis "witness," from PIE *tri-st-i- "third
person standing by," from root *tris- "three" (see three) on the
notion of "third person, disinterested witness." -- as Grice
notes, “it is etymologically -- or
etymythologically -- related to ‘testicles,’” -- Grice proposes an analysis of ‘testify’ in
terms of necessary and sufficient conditions, “t is a testimony iff t is an act
of telling, including any assertion apparently intended to impart information,
regardless of social setting.” In an extended use, personal letters and
messages, books, and other published material purporting to contain factual
information also constitute testimony. As Grice notes, “testimony may be
sincere or insincere” -- and may express knowledge or baseless prejudice. When
it expresses knowledge, and it is rightly believed, this knowledge is
disseminated to its recipient, near or remote. Second-hand knowledge can be
passed on further, producing long chains of testimony; but these chains always
begin with the report of an eye-witness or expert. In any social group with a
common language there is potential for the sharing, through testimony, of the
fruits of individuals’ idiosyncratic acquisition of knowledge through
perception and inference. In advanced societies specialization in the gathering
and production of knowledge and its wider dissemination through spoken and
written testimony is a fundamental socio-epistemic fact, and a very large part
of each person’s body of knowledge and belief stems from testimony. Thus, the
question when a person may properly believe what another tells her, and what
grounds her epistemic entitlement to do so, is a crucial one in epistemology.
Reductionists about testimony insist that this entitlement must derive from our
entitlement to believe what we perceive to be so, and to draw inferences from
this according to familiar general principles. See e.g., Hume’s classic
discussion, in his “Enquiry into Human Understanding,” section X. On this view,
I can perceive that someone has told me that p, but can thereby come to know
that p only by means of an inference one
that goes via additional, empirically grounded knowledge of the trustworthiness
of that person. Anti-reductionists insist, by contrast, that there is a general
entitlement to believe what one is told just as such defeated by knowledge of
one’s informant’s lack of trustworthiness her mendacity or incompetence, but
not needing to be bolstered positively by empirically based knowledge of her
trustworthiness. Anti-reductionists thus see testimony as an autonomous source
of knowledge on a par with perception, inference, and memory. One argument
adduced for anti-reductionism is transcendental: We have many beliefs acquired
from testimony, and these beliefs are knowledge; their status as knowledge
cannot be accounted for in the way required by the reductionist, i. e., the
reliability of testimony cannot be independently confirmed; therefore, the
reductionist’s insistence on this is mistaken. However, while it is perhaps
true that the reliability of all the beliefs one has that depend on past
testimony cannot be simultaneously confirmed, one can certainly sometimes
ascertain, without circularity, that a specific assertion by a particular
person is likely to be correct if,
e.g.,one’s own experience has established that that person has a good track
record of reliability about that kind of thing. Grice: “Sometimes I use
testimonium.” Refs.: H. P. Grice, “Trust and rationality.”
Thaulero: Vincenzo
Filippone-Thaulero Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump
to search Vincenzo Filippone-Thaulero Vincenzo Filippone-Thaulero (Roma,
12 maggio 1930 – Alba Adriatica, 11 settembre 1972) è stato un filosofo,
sociologo e poeta italiano. Indice 1 Biografia 2 Opere 2.1 Saggi e
articoli 3 Note 4 Bibliografia 5 Collegamenti esterni Biografia Abruzzese di
origine tedesca[1], era figlio del barone Carlo, nobile di Chieti e patrizio
teramano, e di donna Maria Clemente. Conseguì la maturità classica al Liceo
"Massimo" di Roma. Si iscrisse nel 1948 alla Facoltà di
Giurisprudenza dell'Università "La Sapienza" di Roma, dove si laureò
a pieni voti con una tesi in Filosofia del Diritto, Una metodologia cristiana
del diritto, relatore Giorgio Del Vecchio e ottenne il Diploma di
perfezionamento con lode in Filosofia del Diritto nella Scuola di Perfezionamento
di Filosofia del Diritto dell'Università di Roma, con la tesi La fictio juris
in Bartolo da Sassoferrato, relatore Widar Cesarini Sforza. Assistente
volontario di Giacomo Perticone, ordinario di Storia contemporanea a Scienze
politiche, usufruì di una borsa della Humboldt-Stiftung che gli consentì lunghe
permanenze di studi in Germania per approfondire i suoi studi sulla
problematica dei valori[2]. Nel 1954 Luigi Sturzo gli affidò insieme a
Mario d'Addio la direzione del Bollettino di Sociologia, poi divenuto nel 1956
la rivista Sociologia, divenendo uno dei maggiori collaboratori dell'Istituto
creato dal fondatore del Partito Popolare Italiano. Inviato al terzo Congresso
Mondiale di Sociologia di Amsterdam (1956), fu fra i fondatori della Società
Italiana di Scienze Sociali. Conseguì nel 1965 la libera docenza in
Filosofia Morale e ricoprì vari incarichi presso il Magistero e la Facoltà di
Lettere e Filosofia dell'Università di Salerno (1965-1970). Nel 1972 vinse il
concorso a cattedra per Filosofia Morale del Magistero di Salerno.[3]
Morì l'11 settembre 1972 in un incidente automobilistico insieme alle figlie
Maria Gabriella e Maria Elisabeth[4]. Il 22 novembre 2003 gli è stata
intitolata la scuola elementare di Cologna Spiaggia (Roseto degli
Abruzzi). Opere Società e cultura nel pensiero di Max Scheler, Giuffré,
Milano, 1964 Seconda attesa, Neri Pozza, Vicenza (edizione postuma). Il mare ha
voce, ha voce il vento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma (edizione
postuma). Opera omnia di Vincenzo Filippone-Thaulero: Volume I, Il darsi
dell'Origine nell'esperienza sociale e religiosa, V. Filippone-Thaulero, R.
Pezzimenti, V. Di Marco, Studium Edizioni, Roma 2018 Saggi e articoli Il terzo
Congresso Mondiale di Sociologia (Amsterdam, 22-29 Agosto 1956), in Bollettino
di Sociologia dell'Istituto Luigi Sturzo, N. 2, luglio-settembre 1956, pp.
1-38. Intorno al concetto di sociologia generale, in Sociologia, Bollettino
dell'Istituto Luigi Sturzo, Anno III, gennaio-marzo 1958, N. 1, A. Giuffré,
Milano, 1958, pp. 47-66. Il problema del risentimento in Max Scheler, in
Sociologia, Bollettino dell'Istituto Luigi Sturzo, Anno IV, gennaio-marzo 1959,
N. 1, A. Giuffré, Milano, 1959, pp. 5-44. Scienze sociali e Sociologia, in
Sociologia, Bollettino dell'Istituto Luigi Sturzo, Anno IV, aprile-giugno 1959,
N. 2, A. Giuffré, Mi-lano, 1959, pp. 242-261. La Sociologia storicista di L.
Sturzo e alcuni riferimenti alle teorie sociologiche moderne, in Sociologia,
Bollettino dell'Istituto Luigi Sturzo, Anno IV, ottobre-novembre 1959, N. 4, A.
Giuffré, Mi-lano, 1959, pp. 637-669. Razionalità e storia nella sociologia
sturziana, in Civitas, N. 4-5, aprile-maggio 1960, pp. 3-34. L'autorità in Max
Weber, in Sociologia, gennaio-dicembre, 1960. Il problema dell'autorità in Max
Scheler, in Autorité et Liberté, Atti del IV Convegno di Cultura Europea,
Bolzano 1961, pp. 117-128. Società e cultura nel pensiero di Max Scheler, in
Rivista di Sociologia Anno I, N. 1, Roma 1963, pp. 1-40. Società e cultura nel
pensiero di Max Scheler, vol. I, Giuffré, Milano, 1964, pp. VII-539. Conoscenza
e sociologia, in Rivista di Sociologia, settembre-dicembre 1964, pp. 111-142.
Appunti per la XXXVII settimana sociale dei cattolici d'Italia, in Rivista di
Sociologia, gennaio-aprile 1965, pp. 127-138. Note sulla VIII Conferenza di
sociologia religiosa, in Rivista di Sociologia, n. 7, maggio-agosto 1965.
Cristianesimo e storia, in Rivista di Sociologia, Anno III, N. 8,
settembre-dicembre 1965, pp. 155-162. Riflessioni su pregiudizio e religione,
in Rivista di Sociologia, Anno III, N. 9, Roma 1966, pp. 41-52. Metafisica
della scienza e sociologia, in Rivista di Sociologia, Anno V, N. 13, Roma 1967,
pp. 87-100. Analisi culturale ed ecumenismo, in Rivista di Sociologia, Anno V,
N. 14, Roma 1967, pp. 129-136. Religione e pregiudizio (in collaborazione con
O. Klineberg, T. Tentori, F. Crespi), Cappelli, Bologna, 1968, pp. 222. Il
problema di un'antropologia filosofica, in Rivista di Sociologia, Anno IV, N.
17, settembre-dicembre 1968, pp. 57-76. Il problema di un'antropologia
filosofica, Guida, Napoli, 1969, pp. 98 (Corso di lezioni ciclostilate, con la
traduzione, in appendice, di un testo di Max Scheler). Religione e pregiudizio
- Analisi di contenuto dei libri cattolici di insegnamento religioso in Italia e
in Spagna, Cappelli, Bologna, 1968. Nota introduttiva a Nicolai Hartmann, Etica
I, Fenomenologia dei costumi, in Esperienze 1, 1969, pp. VII-XXXII.
Osservazioni in margine ad una ricerca su pregiudizio e religione, in Rivista
di sociologia, Anno VII, 1-3, gennaio-dicembre 1969, pp. 171-188. Società e
cultura nel pensiero di Max Scheler, vol. II, Giuffré, Milano, 1969, pp.
VIII-546. Prospettive culturali e sociologiche dell'impegno sociale (Relazione
tenuta alla Consulta dei Movimenti Effettive e Seniores della Gioventù di
Azione Cattolica), pp. 1-27. Un nuovo indirizzo storiografico nella analisi
della struttura socioeconomica meridionale (Relazione tenuta in occasione del
convegno Ignazio Rozzi e l'agricoltura meridionale, Teramo 28-29 giugno 1970,
promosso dal Centro di Studi Storici Abruzzo Teramano), in Rivista di
Sociologia, Anno VIII, N. 1, gennaio-aprile 1970, pp. 139-160. Riflessione
sull'Università televisiva, in Informazione Radio TV. Studi, documenti e
notizie, Speciale Televisione e Istruzione, RAI, maggio 1970, pp. 19-25.
Sociologia ed esperienza religiosa e politica in Luigi Sturzo, in Ricerche di
Storia sociale e religiosa, N. 2, luglio-dicembre, 1972, pp. 5-30. Note ^
Discendente del Beato Johannes Thauler ^ Centro studi Filippone-Thaulero ^ Vincenzo
Di Marco in occasione della pubblicazione de "Il darsi dell'origine
nell'esperienza sociale e religiosa" ^ Il Tempo 12 settembre 1972
Bibliografia V. Mathieu, Vincenzo Filippone-Thaulero, Salerno, 1973 G. De
Rosa,Vincenzo Filippone-Thaulero in V. Filippone-Thaulero, Seconda Attesa,
Vicenza, 1991 G. De Rosa, La storia che non passa: diario politico 1968-1989,
Soveria Mannelli, 1999 G. Savarese, Presentazione in V. Filippone-Thaulero, Il
mare ha voce, ha voce il vento, Roma, 2005 Collegamenti esterni Centro studi
Filippone-Thaulero, su centrostudifilipponethaulero.wordpress.com. Controllo di
autorità VIAF (EN) 70652483 · ISNI (EN) 0000 0000 3203 0651 · LCCN (EN)
n96016056 · WorldCat Identities (EN) lccn-n96016056 Biografie Portale Biografie
Sociologia Portale Sociologia Categorie: Filosofi italiani del XX
secoloSociologi italianiPoeti italiani del XX secoloNati nel 1930Morti nel
1972Nati il 12 maggioMorti l'11 settembreNati a RomaStudenti della Sapienza -
Università di RomaNobili italiani del XX secolo[altre]
thales: Grice: “We call him Greek, but he certainly weren’t
[sic] born in Greece!” -- called by Grice the first Grecian philosopher
(“Oddly, we call him a Ionian, but the Ionian is quite a way from where he was
born!”) – who poisted a ‘philosophical’ why-explanation. Grecian philosopher who was regarded as one
of the Seven Sages of Greece. He was also considered the first philosopher,
founder of the Milesians. Thales is also reputed to have been an engineer, astronomer,
mathematician, and statesman. His doctrines even early Grecian sources know
only by hearsay: he said that water is the arche, and that the earth floats on
water like a raft. The magnet has a soul, and all things are full of the gods.
Thales’ attempt to explain natural phenomena in natural rather than exclusively
supernatural terms bore fruit in his follower Anaximander.
‘that’: a demonstrative. Since Grice would make so many
references to the ‘that’-clause, he is aware that ‘that’ is etymologically a
demonstrative, that has lost its efficacy there. But the important etymological
lesson is that what follows a ‘that’-clause (cf. the classical languages Grice
learned at Clifton, Greek and Latin) is a ‘propositio’ just because the ‘that’
POINTS at the proposition. Sometimes he refers to ‘obliquus casus,’ and ‘oratio
obliqua,’ but he is more at home with things like ‘verba percipienda,’ verba
volendi, etc. Refs.: H. P. Grice, “Bradley on this and that and thisnesss and
thatness.’-- ‘that’-clause: Grice’s
priority for the ‘that’-clause is multiple. He dislikes what he calls an
‘amorphous’ propositional complex. His idea is to have at least ‘The S is P,’
one act involving a subjectum or denotatum, and one involving the praedicatum.
There is also what he calls sub-perceptual utterances. They do look like
structured (“That red pillar seems red”) but they are not perceptual reports
like “I perceive that the pillar box is red.” At points he wanst to restrict
utterer’s communucatum to a ‘that’-clause; but ignoring Austin’s remark that to
wonder about what a ‘word’ ‘means’ is senseless, Grice sometimes allows for
things like ‘The cat sat on the mat’ to ‘mean’ that the cat sat on the mat.
Grice thinks that his account of ‘the red-seeming pillar box’ succeeded, and
that it was this success that prompted him to apply the thing to other areas,
notably Strawson, but one hopes, all the theses he presents in “Causal” and
“Prolegomena.” But he does not go back to the is/seems example, other than
perhaps the tie is/seems blue. The reason is that the sense-datum theory is
very complex. Note “seems.” “It seems to me that…” but the ‘that’-clause not as
a content of a state of the agent. If the pillar box seems red to Grice because
it is red, what ‘that’-clause are we talking about to involve in the
implicaturum? And what generates the implicaturum. “By uttering “The pillar box
seems red,” U conversationally implicates that there is a denial or doubt,
somewhere as to whether the pillar box IS red.” Grice thought of Staal as
particularly good at this type of formalistic philosophy, which was still
adequate to reflect the subtleties of ordinary language. How do we
define a Griceian action? How do we define a Griceian event? This is Grices
examination and criticism of Davidson, as a scientific realist, followed by a
Kantian approach to freedom and causation. Grice is especially interested in
the logical form, or explicitum, so that he can play with the implicaturum. One
of his favourite examples: He fell on his sword, having tripped as he crossed
the Galliæ. Grice manages to quote from many and varied authors (some of which
you would not expect him to quote) such as Reichenbach, but also Robinson, of
Oriel, of You Names it fame (for any x, if you can Names it, x exists).
Robinson has a brilliant essay on parts of Cook Wilsons Statement and
inference, so he certainly knows what he is talking about. Grice also quotes
from von Wright and Eddington. Grice offers a linguistic botanic survey
of autonomy and free (sugar-free, free fall, implicaturum-free) which some
have found inspirational. His favourite is Finnegans alcohol-free. Finnegans
obvious implicaturum is that everything is alcohol-laden. Grice kept a copy of
Davidsons The logical form of action sentences, since surely Davidson, Grice
thought, is making a primary philosophical point. Horses run fast; therefore,
horses run. A Davidsonian problem, and there are more to come! Smith went
fishing. Grices category shift allows us to take Smiths fishing as the
grammatical Subjects of an action sentence. Cf. indeed the way to cope with
entailment in The horse runs fast; therefore, the horse runs. Grices Actions
and events is Davidsonian in motivation, but Kantian in method, one of those
actions by Grice to promote a Griceian event! Davidson had published, Grice
thought, some pretty influential (and provocative, anti-Quineian) stuff on
actions and events, or events and actions, actually, and, worse, he was being
discussed at Oxford, too, over which Grice always keeps an eye! Davidsons
point, tersely put, is that while p.q (e.g. It is raining, and it is pouring)
denotes a concatenation of events. Smith is fishing denotes an action, which is
a kind of event, if you are following him (Davidson, not Smith). However,
Davidson is fighting against the intuition, if you are a follower of Whitehead
and Russell, to symbolise the Smith is fishing as Fs, where s stands for Smith
and F for fishing. The logical form of a report of an event or an action seems
to be slightly more complicated. Davidsons point specifically involves adverbs,
or adverbial modifiers, and how to play with them in terms of entailment. The
horse runs fast; therefore, the horse runs. Symbolise that! as Davidson told
Benson Mates! But Mates had gone to the restroom. Grice explores all these and
other topics and submits the thing for publication. Grice quotes, as isnt his
wont, from many and various philosophers, not just Davidson, whom he saw every
Wednesday, but others he didnt, like Reichenbach, Robinson, Kant, and, again
even a physicist like Eddington. Grice remarks that Davidson is into
hypothesis, suppositio, while he is, as he should, into hypostasis, substantia.
Grice then expands on the apparent otiosity of uttering, It is a fact that
grass is green. Grice goes on to summarise what he ironically dubs
an ingenious argument. Let σ abbreviate the operator consists in the fact that , which, when
prefixed to a sentence, produces a predicate or
epithet. Let S abbreviate Snow is white, and
let G abbreviate Grass is green. In that case, xσS is 1 just in
case xσ(y(y=y and S) = y(y=y) is 1, since the first part of the
sub-sentence which follows σ in the main sentence is logically equivalent
logically equivalent to the second part. And xσ(y(y=y and S) =
y(y=y) is 1 just in case xσ(y(if y=y, G) = y(y=y) is 1,
since y(if y=y, S) and y(if y=y, G) are each a singular term, which, if
S and G are both true, each refers to y(y=y), and are therefore
co-referential and inter-substitutable. And xσ(y(if y=y, G) =
y(y=y) is true just in case xσG is 1, since G is logically equivalent
to the sub-sentence which follows σ. So, this fallacy goes, provided that
S and G are both 1, regardless of what an utterer explicitly conveys by
uttering a token of it, any event which consists of the otiose fact that S also
consists of the otiose fact that G, and vice versa, i. e. this randomly
chosen event is identical to any other randomly chosen event. Grice hastens to
criticise this slingshot fallacy licensing the inter-substitution of this or
that co-referential singular term and this or that logically equivalent
sub-sentence as officially demanded because it is needed to license a
patently valid, if baffling, inference. But, if in addition to providing
this benefit, the fallacy saddles the philosopher with a commitment to a
hideous consequence, the rational course is to endeavour to find a way of
retaining the benefit while eliminating the disastrous accompaniment, much
as in set theory it seems rational to seek as generous a comprehension
axiom as the need to escape this or that paradox permits. Grice proposes to retain
the principle of co-reference, but prohibit is use after the
principle of logical equivalence has been used. Grice finds such a
measure to have some intuitive appeal. In the fallacy, the initial
deployment of the principle of logical equivalence seems tailored to
the production of a sentence which provides opportunity for
trouble-raising application of the principle of
co-referentiality. And if that is what the game is, why not stop
it? On the assumption that this or that problem which originally prompts
this or that analysis is at least on their way towards independent
solution, Grice turns his attention to the possibility of providing a
constructivist treatment of things which might perhaps have more intuitive
appeal than a naïve realist approach. Grice begins with a class of
happenstance attributions, which is divided into this or that basic
happenstance attribution, i.e. ascriptions to a Subjects-item of an
attribute which is metabolically expressible, and this or that non-basic
resultant happenstance attribution, in which the attribute ascribed,
though not itself metabolically expressible, is such that its possession
by a Subjects item is suitably related to the possession by that or by some
other Subjects item, of this or that attribute which is metabolically
expressible. Any member of the class of happenstance attributions may be
used to say what happens, or happens to be the case, without talking about
any special entity belonging to a class of a happening or a happenstance. A
next stage involves the introduction of the operator consists of the fact that This
operator, when prefixed to a sentence S that makes a happen-stance
attribution to a Subjects-item, yields a predicate which is satisfied by an
entity which is a happenstance, provided that sentence S is doxastically
satisfactory, i. e., 1, and that some further metaphysical condition obtains,
which ensures the metaphysical necessity of the introduction into reality of
the category of a happenstance, thereby ensuring that this new category is
not just a class of this or that fiction. As far as the slingshot fallacy,
and the hideous consequence that all facts become identical to one Great Big
Fact, in the light of a defence of Reichenbach against the realist attack,
Grice is reasonably confident that a metaphysical extension of reality will not
saddle him with an intolerable paradox, pace the caveat that, to some, the
slingshot is not contradictory in the way a paradox is, but merely an
unexpected consequence ‒ not seriously hideous, at that. What this
metaphysical condition would be which would justify the metaphysical extension
remains, alas, to be determined. It is tempting to think that the
metaphysical condition is connected with a theoretical need to have this or
that happenstance as this or that item in, say, a causal relation. Grice goes
on to provide a progression of linguistic botanising
including free. Grice distinguishes four elements or stages in the
step-by-step development of freedom. A first stage is the transeunt
causation one finds in inanimate objects, as when we experience a stone in free
fall. This is Hume’s realm, the atomistss realm. This is external or transeunt
casuation, when an object is affected by processes in other objects. A second
stage is internal or immanent causation, where a process in an object is the
outcome of previous stages in that process, as in a freely moving body. A third
stage is the internal causation of a living being, in which changes are
generated in a creature by internal features of the creature which are not
earlier stages of the same change, but independent items, the function or
finality of which is to provide for the good of the creature in question. A
fourth stage is a culminating stage at which the conception of a certain mode
by a human of something as being for that creatures good is sufficient to
initiate the doing of that thing. Grice expands on this interesting last stage.
At this stage, it is the case that the creature is liberated from every factive
cause. There is also a discussion of von Wrights table of adverbial modifiers,
or Grices pentagram. Also an exploration of specificity: Jack buttering a
parsnip in the bathroom in the presence of Jill. Grice revisits some of his
earlier concerns, and these are discussed in the appropriate places, such as
his exploration on the Grecian etymology of aition. “That”-clause should be
preferred to ‘oratio obliqua,’ since the latter is a misnomer when you ascribe
a psychological state rather than an utterance. Refs.: The main sources are
given under ‘oratio obliqua’ above, The BANC.
theism: as an
Aristotelian scholar, H. P. Grice is aware of the centrality of God, nous
nouseos, in Aristotle’s philosophy -- atheism from Grecian a-, ‘not’, and
theos, ‘god’, the view that there are no gods. A widely used sense denotes
merely not believing in God and is consistent with agnosticism. A stricter
sense denotes a belief that there is no God; this use has become the standard
one. In the Apology Socrates is accused of atheism for not believing in the
official Athenian gods. Some distinguish between theoretical atheism and
practical atheism. A theoretical atheist is one who self-consciously denies the
existence of a supreme being, whereas a practical atheist may believe that a
supreme being exists but lives as though there were no god. -- theology --
Grice’s philosophical theology -- concursus dei, God’s concurrence. The notion
derives from a theory from medieval philosophical theology, according to which
any case of causation involving created substances requires both the exercise
of genuine causal powers inherent in creatures and the exercise of God’s causal
activity. In particular, a person’s actions are the result of the person’s
causal powers, often including the powers of deliberation and choice, and God’s
causal endorsement. Divine concurrence maintains that the nature of God’s
activity is more determinate than simply conserving the created world in
existence. Although divine concurrence agrees with occasionalism in holding
God’s power to be necessary for any event to occur, it diverges from
occasionalism insofar as it regards creatures as causally active. -- theosophia: any philosophical mysticism,
especially those that purport to be mathematically or scientifically based,
such as Pythagoreanism, Neoplatonism, or gnosticism. Vedic Hinduism, and
certain aspects of Buddhism, Taoism, and Islamic Sufism, can also be considered
theosophical. In narrower senses, ‘theosophy’ may refer to the philosophy of
Swedenborg, Steiner, or Madame Helena Petrovna Blavatsky 183. Swedenborg’s
theosophy originally consisted of a rationalistic cosmology, inspired by
certain elements of Cartesian and Leibnizian philosophy, and a Christian
mysticism. Swedenborg labored to explain the interconnections between soul and
body. Steiner’s theosophy is a reaction to standard scientific theory. It
purports to be as rigorous as ordinary science, but superior to it by
incorporating spiritual truths about reality. According to his theosophy,
reality is organic and evolving by its own resource. Genuine knowledge is
intuitive, not discursive. Madame Blavatsky founded the Theosophical Society in
1875. Her views were eclectic, but were strongly influenced by mystical
elements of philosophy.
thema: a term Grice borrows from Stoic logic, after attending
a seminar on the topic by Benson Mates – a ‘thema’ is a ground rule used to
reduce argument forms to basic forms. The Stoics analyzed arguments by their
form schema, or tropos. They represented forms using numbers to represent
claims; for example, ‘if the first, the second; but the first; therefore the
second’. Grice uses “so-and-so” for ‘the first’ and ‘such and such’ for the
‘second’. “If so and so, such and such, but so and so; therefore, such and
such.” Some forms were undemonstrable; others were reduced to the
undemonstrable argument forms by ground rules themata; e.g., if R follows from
P & Q, -Q follows from P & -R. The five undemonstrable arguments are: 1
modus ponendo ponens; 2 modus tollendo tollens; 3 not both P and Q, P, so not-Q;
4 P or Q but not both, P, so not-Q; and 5 disjunctive syllogism. The evidence
about the four ground rules is incomplete, but a sound and consistent system
for propositional logic can be developed that is consistent with the evidence
we have. See Diogenes Laertius, Lives of the Philosophers, for an introduction
to the Stoic theory of arguments; other evidence is more scattered.
theseus’s
ship. Grice sails on Theseus’s ship. Theseus’ ship: Example used by Grice to relativise
‘identity.’ After the hero Theseus accomplished his mission to sail to Crete to
kill the Minotaur, his ship (Ship 1) was put on display in Athens. As the time
went by, its original planks and other parts were replaced one by one with new
materials until one day all of its parts were new, with none of its original
parts remaining. Do we want to say that the completely rebuilt ship (Ship 2) is
the same as the original or that it is
a different ship? The case is further complicated. If all the original
materials were kept and eventually used to construct a ship (Ship 3), would
this ship be the same as the original? This example has inspired much
discussion concerning the problems of identity and individuation. “To be
something later is to be its closest continuer. Let us apply this view to one
traditional puzzle about identity over time: the puzzle of the ship of
Theseus.” Nozick, Philosophical Explanation. Grice basically formalized this
with G. Myro. Refs.: Collingwood, translation of Benedetto Croce, “Il paradosso
della nave di Teseo,” H. P. Grice, “Relative identity,” The Grice Papers, BANC.
θ: or theta -- Grice’s symbol for a theory. Grice uses
small-case theta for a token of a theory, and capital theta for a type of
theory.– Grice couldn’t quite stand some type of attitude he found in people like
J. M. Rountree – Rountree was claiming that one needs a ‘theory’ of meaning.
Grice responded: “ Rountree is wrong: if meaning is a matter of theory, it
cannot be a matter of intuition; and I’m sure it should be a matter of
intuition for Rountree!” theoretical term – Grice was once attracted to
Ramsey’s essay on “Theories,” but later came to see it as ‘pretentious’.
“Surely the way *I* use ‘theory’ is not Ramsey’s!” – If something is an object
of an intuition by Grice, it cannot be a theoretical term – theory and
intuition don’t go together. They repel each other! a term occurring in a
scientific theory that purports to make reference to an unobservable entity
e.g., ‘electron’, property e.g., ‘the monatomicity of a molecule’, or relation
‘greater electrical resistance’. The qualification ‘purports to’ is required
because instrumentalists deny that any such unobservables exist; nevertheless,
they acknowledge that a scientific theory, such as the atomic theory of matter,
may be a useful tool for organizing our knowledge of observables and predicting
future experiences. Scientific realists, in contrast, maintain that at least
some of the theoretical terms e.g., ‘quark’ or ‘neutrino’ actually denote
entities that are not directly observable
they hold, i.e., that such things exist. For either group, theoretical
terms are contrasted with such observational terms as ‘rope’, ‘smooth’, and
‘louder than’, which refer to observable entities, properties, or relations.
Much philosophical controversy has centered on how to draw the distinction
between the observable and the unobservable. Did Galileo observe the moons of
Jupiter with his telescope? Do we observe bacteria under a microscope? Do
physicists observe electrons in bubble chambers? Do astronomers observe the supernova
explosions with neutrino counters? Do we observe ordinary material objects, or
are sense-data the only observables? Are there any observational terms at all,
or are all terms theory-laden? Another important meaning of ‘theoretical term’
occurs if one regards a scientific theory as a semiformal axiomatic system. It
is then natural to think of its vocabulary as divided into three parts, i terms
of logic and mathematics, ii terms drawn from ordinary language or from other
theories, and iii theoretical terms that constitute the special vocabulary of
that particular theory. Thermodynamics, e.g., employs i terms for numbers and
mathematical operations, ii such terms as ‘pressure’ and ‘volume’ that are
common to many branches of physics, and iii such special thermodynamical terms
as ‘temperature’, ‘heat’, and ‘entropy’. In this second sense, a theoretical
term need not even purport to refer to unobservables. For example, although
special equipment is necessary for its precise quantitatheoretical entity theoretical
term 912 912 tive measurement,
temperature is an observable property. Even if theories are not regarded as
axiomatic systems, their technical terms can be considered theoretical. Such
terms need not purport to refer to unobservables, nor be the exclusive property
of one particular theory. In some cases, e.g., ‘work’ in physics, an ordinary
word is used in the theory with a meaning that departs significantly from its
ordinary use. Serious questions have been raised about the meaning of
theoretical terms. Some philosophers have insisted that, to be meaningful, they
must be given operational definitions. Others have appealed to coordinative
definitions to secure at least partial interpretation of axiomatic theories.
The verifiability criterion has been invoked to secure the meaningfulness of
scientific theories containing such terms. A theoretical concept or construct
is a concept expressed by a theoretical term in any of the foregoing senses.
The term ‘theoretical entity’ has often been used to refer to unobservables,
but this usage is confusing, in part because, without introducing any special
vocabulary, we can talk about objects too small to be perceived directly e.g., spheres of gamboge a yellow resin less
than 106 meters in diameter, which figured in a historically important
experiment by Jean Perrin. Grice uses
Ramsey’s concept of ‘theory’ – “granting that Ramsey overrated theory, as all
Cambridge men do!” -- theory-laden, dependent on theory; specifically, involving
a theoretical interpretation of what is perceived or recorded. In the heyday of
logical empiricism it was thought, by Carnap and others, that a rigid
distinction could be drawn between observational and theoretical terms. Later,
N. R. Hanson, Paul Feyerabend, and others questioned this distinction, arguing
that perhaps all observations are theory-laden either because our perception of
the world is colored by perceptual, linguistic, and cultural differences or
because no attempt to distinguish sharply between observation and theory has been
successful. This shift brings a host of philosophical problems. If we accept
the idea of radical theoryladenness, relativism of theory choice becomes
possible, for, given rival theories each of which conditions its own
observational evidence, the choice between them would seem to have to be made
on extra-evidential grounds, since no theory-neutral observations are
available. In its most perplexing form, relativism holds that, theory-ladenness
being granted, one theory is as good as any other, so far as the relationship
of theory to evidence is concerned. Relativists couple the thesis of
theory-ladenness with the alleged fact of the underdetermination of a theory by
its observational evidence, which yields the idea that any number of
alternative theories can be supported by the same evidence. The question
becomes one of what it is that constrains choices between theories. If
theory-laden observations cannot constrain such choices, the individual
subjective preferences of scientists, or rules of fraternal behavior agreed
upon by groups of scientists, become the operative constraints. The logic of
confirmation seems to be intrinsically contaminated by both idiosyncratic and
social factors, posing a threat to the very idea of scientific rationality.
thomson: Grice did not collaborate with that many friends. He
did with his tutee Strawson. He later did it with G. J. Warnock only on the
theory of perception (notably the ‘visum’). He collaborated with two more
Oxonian philosophers, and with both on the philosophy of action: D. F. Pears
and J. F. Thomson. J. F. Scots
London-born philosopher who would often give seminars with H. P. Grice. They
also explored ‘philosophy of action.’ Thomson presented his views on public
occasons on the topic, usually under the guidance of D. F. Pears – on topics
such as ‘freedom of the will.’ Thomson has assocations with University, and is
a Fellow of Corpus, Grice’s alma. --thomsonianism:
Grice explored philosophy of action with J. F. Thomson. Thomson would socialize
mainly with Grice and D. F. Pears. Oddly, Thomson was also interested in ‘if’
and reached more or less the same Philonian consequences that Grice does.
three-year-old’s
guide to Russell’s theory of types, the
– by H. P. Grice, with an appendix by P. F. Strawson, “Advice to parents,” v.
Grice’s three-year-old’s guide.
Tilgher Adriano Tilgher (filosofo) Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Adriano Tilgher
(Resìna, 8 gennaio 1887 – Roma, 3 novembre 1941) è stato un filosofo, saggista
e critico teatrale italiano. Nato a Resina (l'odierna Ercolano in provincia di
Napoli) da padre vetraio tedesco e madre valdostana[1], visse a Roma dove fu
amico e collaboratore di Ernesto Buonaiuti (studioso di storia del
cristianesimo ed esponente del modernismo italiano), fino alla morte. Lavorò
come bibliotecario all'Alessandrina e collaborò ad alcuni giornali (tra gli
altri, Il Mondo e il Popolo di Roma), molti dei quali vennero poi soppressi dal
regime fascista. Le sue principali opere sono: La crisi mondiale del 1921,
Estetica del 1931 e La filosofia delle morali del 1937, nella quale delinea la
sua originale visione individualistica. Negli anni '20 collaborò al giornale
satirico Il Becco giallo. Nel 1925 fu
tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti, redatto da
Benedetto Croce. Da ricordare, anche, tra i suoi diversi scritti antifascisti,
la Stroncatura di Giovanni Gentile del 1925 che, soprattutto nell'ironico e
irriverente sottotitolo, esprime un dissacrante giudizio sulla propaganda con
l'eloquente frase, di ascendenza bruniana, «lo spaccio del bestione
trionfante»[2]. Operò anche come critico
letterario e teatrale: fu tra i primi a notare l'originalità del teatro
pirandelliano[3], nonostante i tentativi di contestazione da parte del regime
fascista [4]. In ambito filosofico, egli
affermò che non esiste una scienza morale unica bensì una pluralità di morali
che emergono da un fondo caotico in virtù di un'iniziativa che in parte è
creatrice di valori e in parte effetto di coincidenze casuali, anche se
fortunate. In Tilgher riaffiora il dualismo manicheo di bene e di male, ribelle
a ogni composizione dialettica propria a ogni comodo, quanto illusorio e
superficiale ottimismo. Considerò mitico, utopistico, il concetto del progresso
che non considera come altrettanto reali "il regresso, la caduta e la
colpa".[5] Nella nota Antologia dei
Filosofi Italiani del dopoguerra, pubblicata nel 1937, oltre a suoi testi
incluse brani tratti dalle opere di Antonio Aliotta, Ernesto Buonaiuti, Julius
Evola, Piero Martinetti, Costanzo Mignone, Emilia Nobile, Giuseppe
Rensi.[6] A Ercolano gli è stato
intitolato l'Istituto d'Istruzione Superiore[7]. Opere Arte, Conoscenza e Realtà, Torino,
Bocca, 1911 Teoria del Pragmatismo trascendentale, Torino, Bocca 1915 Filosofi
antichi, Todi, Atanor, 1921 La crisi mondiale e Saggi di socialismo e marxismo,
Bologna, Zanichelli, 1921 Voci del tempo, Roma, Libreria di Scienza e Lettere,
1923 Relativisti contemporanei, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1923 Studi
sul Teatro contemporaneo, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1923
Ricognizioni, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1923 La scena e la vita,
Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1925 Lo Spaccio del Bestione trionfante.
Stroncatura di Giovanni Gentile. Un libro per filosofi e non filosofi, Torino,
Gobetti, 1926; con un saggio di Antimo Negri, La Mandragora, 1998; Prefazione
di Gabriele Turi, Roma, Storia e Letteratura, 2017, ISBN 978-88-9359-027-3. La
visione greca della vita, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1926; Giordano,
1996. Saggi di etica e di filosofia del diritto, Torino, Bocca, 1928 Homo
faber, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1929; col titolo Storia del
concetto di lavoro nella civiltà occidentale, Firenzelibri, 1983. La poesia
dialettale napoletana 1880-1930, Roma, Libreria di Scienza e Lettere,
1930-2001. Estetica, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1931 Etica di Goethe,
Roma, Maglione, 1932 Filosofi e Moralisti del Novecento, Roma, Libreria di
Scienza e Lettere, 1932 Studi di poetica, Roma, Libreria di Scienza e Lettere,
1934 Cristo e Noi, Modena, Guanda, 1934 Critica dello Storicismo, Modena,
Guanda, 1935 Antologia dei filosofi italiani del dopoguerra, Modena, Guanda,
1937 Filosofia delle Morali, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, 1937
Moralità. Punti di vista sulla vita e sull'uomo, Roma, Libreria di Scienza e
Lettere, 1938 Le orecchie dell'aquila. Studio sulle fonti dell'attualismo di
Giovanni Gentile, Roma, Religio, 1938 La filosofia di Leopardi, Roma, Religio,
1940; a cura di Raoul Bruni, Torino, Aragno, 2018 (con l'aggiunta di altri
scritti leopardiani mai riuniti in volume), ISBN 978-88-8419-879-2. Il
casualismo critico, Roma, Bardi, 1941 Mistiche nuove e Mistiche antiche, Roma,
Bardi, 1946 Tempo nostro, Roma, Bardi, 1946 Diario politico 1937-1941, a cura
di Liliana Scalero, Roma, Atlantica Editrice, 1946. Marxismo socialismo
borghesia, Firenzelibri, 1978. Carteggio Croce-Tilgher, a cura di Alessandra
Tarquini, Bologna, Il Mulino, 2004, ISBN 978-88-1510-180-8. Pirandello, con testi
di Antonio Gramsci, Pisa, Scuola Normale Superiore, 2015, ISBN
978-88-764-2547-9. Alberto Einstein, a cura di S. Trappetti e F. Secci, Dalia
Edizioni, 2016, ISBN 978-88-992-0720-5. [articolo pubblicato nel 1921 su La
Stampa di Torino] Note ^ Redazione, Adriano Tilgher, su Liber Liber, 6 marzo
2015. URL consultato il 21 agosto 2019. ^ Spaccio della bestia trionfante è
un'opera del filosofo Giordano Bruno, costituita da tre dialoghi di argomento
morale, pubblicata a Londra nel 1584. Le bestie trionfanti sono i segni delle
costellazioni celesti, rappresentate da animali: è necessario «spacciarle»,
ovvero cacciarle dal cielo in quanto rappresentano vecchi vizi che occorre
sostituire con moderne virtù. ^ Adriano Tilgher ^ Una nota dell'OVRA su un
presunto tentativo di contestare Pirandello nella tournée in Argentina "si
riferisce una grave dichiarazione confidenziale fatta dal noto letterato
antifascista Adriano Tilgher all'On. Bruno Cassinelli, dichiarazione che rileva
non solo l'animosità biliosa del Tilgher contro Pirandello ma anche e
soprattutto un piano prestabilito da oltre tre mesi da rinnegati contro degli
italiani che si apprestano a far conoscere ai nostri connazionali in Argentina,
le ultime novità letterarie degli autori italiani". Luigi Sedita, Pirandello,
l'apolitico spiato, Belfagor, 2006, n. 1, pp. 19-20, che riproduce la nota,
sottolinea l'enfasi negativa con cui in essa si presenta il <> e con cui ci si sofferma
"soprattutto sul suo perdurante <>. E significativo, alla luce degli studi di
Canali, che il tramite tra la polizia politica e Adriano Tilgher sia stato
l'on. Bruno Cassinelli (...) Cassinelli divenne amico di Pirandello che ne
parla con deferenza in due lettere alla Abba del '33 e del '36". ^ Adriano
Tilgher in Dizionario Biografico degli Italiani ^ Giuseppe Rensi (a cura di),
Frammenti d’una filosofia dell’errore e del dolore, del male e della morte,
Napoli, Orthotes, 2011, p. 14. ^ Istituto d'Istruzione Superiore Adriano
Tilgher, su adrianotilgher.edu.it. URL consultato il 20 aprile 2020.
Bibliografia Gianni Grana, Tilgher critico, in AA. VV., Letteratura italiana. I
critici, vol. V, Marzorati, Milano, 1987, pp. 3281-3327. R. Laz., «TILGHER,
Adriano», in Enciclopedia Italiana - II Appendice, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1949. URL visitato il 6 dicembre 2012. Livia
Tilgher, Adriano Tilgher com'era, Napoli, Edizioni del delfino, 1978. Voci
correlate Ernesto Buonaiuti Modernismo teologico Manifesto degli intellettuali
antifascisti Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una
pagina dedicata a Adriano Tilgher Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene
citazioni di o su Adriano Tilgher Collegamenti esterni Adriano Tilgher, su
Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata Adriano Tilgher, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Adriano Tilgher, su
Liber Liber. Modifica su Wikidata Opere di Adriano Tilgher, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Adriano Tilgher, su
Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Controllo di autorità VIAF (EN) 49272900 · ISNI (EN) 0000
0001 2279 6909 · SBN IT\ICCU\RAVV\029512 · LCCN (EN) n79039972 · GND (DE)
119033976 · BNF (FR) cb121978560 (data) · NLA (EN) 35715929 · BAV (EN)
495/74273 · NDL (EN, JA) 01181409 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79039972
Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi
italiani del XX secoloSaggisti italiani del XX secoloCritici teatrali
italianiNati nel 1887Morti nel 1941Nati l'8 gennaioMorti il 3 novembreNati a
ErcolanoMorti a RomaTraduttori italianiAntifascisti italiani[altre]
Timossi Roberto Giovanni
Timossi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Roberto Giovanni Timossi (Genova, 29 maggio 1953) è un filosofo
italiano. Ha compiuto i suoi studi presso l'Università di Genova, dove
nel 1974 ha conseguito la laurea in Filosofia. Dal 1974 al 1980 ha svolto
attività di ricerca e di insegnamento seminariale presso l'Ateneo genovese. I
suoi principali interessi sono rivolti alle cosiddette "questioni di
frontiera", che riguardano la filosofia, la teologia, la storia della
scienza, l'epistemologia e la religione. In questo ambito, si propone di
dimostrare la possibilità di una nuova metafisica cognitiva e in particolare di
una rinnovata teologia naturale o filosofica che proceda dai rivoluzionari
risultati e dalle conoscenze della scienza contemporanea. È inoltre noto
per i suoi studi critici sull'ateismo. Studioso di logica, ha pubblicato uno
dei manuali introduttivi più letti in Italia ("Imparare a ragionare. Un
manuale di logica", Marietti). Dal 2019 è Presidente del Consiglio
Scientifico della Scuola Internazionale Superiore per la Ricerca
Interdisciplinare (con Presidente onorario il fisico Ugo Amaldi) e dal 2016
membro del Comitato di Gestione della Fondazione Compagnia di San Paolo di
Torino. È accademico corrispondente della Accademia Ligure di Scienze e
Lettere. Oltre a numerosi articoli su quotidiani e riviste specializzate,
ha pubblicato saggi per case editrici di rilevanza nazionale.
Bibliografia Dio è possibile? Il problema dell'esistenza di un'Entità superiore,
Padova, Muzzio, 1996. ISBN 88-7021-742-6; Dio e la scienza moderna. Il dilemma
della prima mossa, Milano, A. Mondadori, 1999. ISBN 88-04-46890-4; Prove
logiche dell'esistenza di Dio da Anselmo d'Aosta a Kurt Gödel. Storia critica
dell'argomento ontologico, Milano, Marietti, 2005. ISBN 978-88-211-6825-3;
L'illusione dell'ateismo. Perché la scienza non nega Dio, presentazione del
cardinale Angelo Bagnasco arcivescovo metropolita di Genova e presidente della
Conferenza Episcopale Italiana, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009. ISBN
978-88-215-6504-5; Imparare a ragionare. Un manuale di logica, Milano,
Marietti, 2011. ISBN 978-88-211-7548-0; Decidere di credere. Ragionevolezza
della fede, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2012. ISBN 978-88-215-6999-9; Nel segno
del nulla. Critica dell'ateismo moderno, Torino, Lindau, 2015.ISBN
978-88-6708-310-7; Perché crediamo in Dio. Le ragioni della fede cristiana nel
mondo contemporaneo", Cinisello Balsamo, San Paolo, 2017, ISBN
978-88-922-1001-1; Credere per scommessa. La sfida di Pascal tra matematica e
fede, Bologna 2018, Marietti 1820 - Centro Editoriale Dehoniano, ISBN
978-88-211-1201-0. Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene
citazioni di o su Roberto Giovanni Timossi Controllo di autorità VIAF (EN) 100510425 · ISNI (EN) 0000
0001 2145 4149 · LCCN (EN) no2011113261 · BNF (FR) cb150314166 (data) ·
WorldCat Identities (EN) lccn-no2011113261 Biografie Portale Biografie
Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi
italiani del XXI secoloNati nel 1953Nati il 29 maggioNati a Genova[altre]
Tincari, persio. Philosopher of law,
Bergamo.
Toderini Giambattista Toderini Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Questa voce
è orfana Questa voce sull'argomento scrittori è orfana, ovvero priva di
collegamenti in entrata da altre voci. Inseriscinealmeno uno pertinente e non
generico e rimuovi l'avviso. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento.
Giambattista Toderini (Venezia, 27 giugno 1728 – Venezia, 4 luglio 1799) è
stato un abate, scrittore e filosofo italiano. Frontespizio della
Letteratura turchesca Figlio di Domenico Maria e di Anna Maria Cestari,
discendeva dai conti palatini Gagliardis dalla Volta. Letterato, pubblicò
nel 1787 la monografia in tre tomi Letteratura Turchesca[1], tradotta anche in
francese[2], frutto di una lunga permanenza a Costantinopoli. La vasta opera
merita di essere ricordata in quanto fu la prima trattazione occidentale di
storia della letteratura turca[senza fonte]. Tra gli altri scritti, in
particolare di erudizione e di filosofia morale, si ricordano la Filosofia
frankliniana delle punte preservatrici dal fulmine, particolarmente applicata
alle polveriere, alle navi, e a Santa Barbara in mare del 1771 e L'onesto uomo
ovvero saggi di morale filosofia dai principii della ragione del 1781[3].
Toderini è ricordato nel libro I Dogi di Venezia nella vita pubblica e privata
di Andrea da Mosto (Giunti Martello ed. 1977): «[...] La Dogaressa Pisana
morì con gran dolore del Doge il 10 marzo 1769 "circa le hore ventidue
colta da una gagliarda convulsione al petto et abbattuta dalla lunga penosa
malattia sofferta". Per tutti i tre giorni di esposizione si conservò così
fresca e rubiconda nel volto che sembrava anziché morta assorta in un dolce
riposo. Fu solennemente tumulata ai S.S. Giovanni e Paolo nella tomba comune
dei Mocenigo. Il Doge la seguì il 31 dicembre 1778, dopo nove giorni di
malattia in seguito a una infezione determinata da una risipola alla gamba
sinistra. Ai solenni funerali fatti alla sua statua ai S.S. Giovanni e Paolo
venne commemorato da Pietro Berti ed a quelli fattigli dalla Scuola di San
Rocco, cui apparteneva, dall'abate Giambattista Toderini[...].» Note ^
Cfr. G.Toderini, Letteratura turchesca, tt. 3, presso G. Tosti, Venezia 1787 ^
Idem, De la litterature des Turcs, 3 voll., Poincot, Paris 1789. ^ Cfr. Le sue
opere registrate dal «Sistema Bibliotecario Nazionale»[collegamento interrotto]
Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene
immagini o altri file su Giambattista Toderini Collegamenti esterni (EN) Opere
di Giambattista Toderini, su Open Library, Internet Archive. Modifica su
Wikidata Controllo di autorità VIAF
(EN) 30271804 · ISNI (EN) 0000 0000 6632 6346 · LCCN (EN) n83130018 · GND (DE)
115711783 · BNF (FR) cb141414393 (data) · BNE (ES) XX1764433 (data) · BAV (EN)
495/267869 · CERL cnp01374780 · WorldCat Identities (EN) lccn-n83130018
Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Letteratura
Portale Letteratura Categorie: Abati e badesse italianiScrittori italiani del
XVIII secoloFilosofi italiani del XVIII secoloNati nel 1728Morti nel 1799Nati
il 27 giugnoMorti il 4 luglioNati a VeneziaMorti a Venezia[altre]
tonk: a sentential connective whose meaning and logic
are completely characterized by the two rules or axioms 1 [P P P tonk Q] and 2
[P tonk Q P Q]. If 1 and 2 are added to any normal system, then every Q can be
derived from any P. A. N. Prior invented ‘tonk’ to show that deductive validity
must not be conceived as depending solely on arbitrary syntactically defined
rules or axioms. We may prohibit ‘tonk’ on the ground that it is not a natural,
independently meaningful notion, but we may also prohibit it on purely
syntactical grounds. E.g., we may require that, for every connective C, the
C-introduction rule [xxx P . . . C . . .] and the C-elimination rule [ - - - C
- - - P yyy] be such that the yyy is part of xxx or is related to xxx in some
other syntactical way.
token-reflexive, an expression that refers to itself in
an act of speech or writing, such as ‘this token’. The term was coined by
Reichenbach, who conjectured that all indexicals, all expressions whose
semantic value depends partly on features of the context of utterance, are
tokenreflexive and definable in terms of the phrase ‘this token’. He suggested
that ‘I’ means the same as ‘the person who utters this token’, ‘now’ means the
same as ‘the time at which this token is uttered’, ‘this table’ means the same
as ‘the table pointed to by a gesture accompanying this token’, and so forth.
Russell made a somewhat similar suggestion in his discussion of egocentric
particulars. Reichenbach’s conjecture is widely regarded as false; although ‘I’
does pick out the person using it, it is not synonymous with ‘the person who
utters this token’. If it were, as David Kaplan observes, ‘If no one were to
utter this token, I would not exist’ would be true. -- token-type
distinction – Grice: “Strictly, they are not antonyms – and token is too
English!” Grice: “Token is cognate with ‘teach,’ a Graeco-Roman thing, cfr.
insignum – insignare – to teach is to show, almost, with an m-intention
behind.” -- first the token, then the type – if necessary; “After all a type is
a set of tokens” -- used by Grice: there’s a type of an utterer, but there’s
the individual utterer: In symbols, “u” is an individual utterer, say, Grice.
“U” is a type of utterer, say Oxonian philosophy dons. Aas drawn by Peirce, the
contrast between a category and a member of that category. An individual or
token is said to exemplify a type; it possesses the property that characterizes
that type. In philosophy this distinction is often applied to linguistic
expressions and to mental states, but it can be applied also to objects,
events, properties, and states of affairs. Related to it are the distinctions
between type and token individuation and between qualitative and numerical
identity. Distinct tokens of the same type, such as two ants, may be
qualitatively identical but cannot be numerically identical. Irrespective of
the controversial metaphysical view that every individual has an essence, a
type to which it belongs essentially, every individual belongs to many types,
although for a certain theoretical or practical purpose it may belong to one particularly
salient type e.g., the entomologist’s Formicidae or the picnicker’s buttinsky.
The typetoken distinction as applied in the philosophy of language marks the
difference between linguistic expressions, such as words and sentences, which
are the subject of linguistics, and the products of acts of writing or speaking
the subject of speech act theory. Confusing the two can lead to conflating
matters of speaker meaning withmatters of word or sentence meaning as noted by
Grice. An expression is a linguistic type and can be used over and over,
whereas a token of a type can be produced only once, though of course it may be
reproduced copied. A writer composes an essay a type and produces a manuscript
a token, of which there might be many copies more tokens. A token of a type is
not the same as an occurrence of a type. In the previous sentence there are two
occurrences of the word ‘type’; in each inscription of that sentence, there are
two tokens of that word. In philosophy of mind the typetoken distinction
underlies the contrast between two forms of physicalism, the typetype identity
theory or type physicalism and the tokentoken identity theory or token
physicalism.
topos: Grice: “I will use the Latinate ‘commonplace’” –
‘locus communis’-- topic, the analysis of common strategies of argumentation,
later a genre of literature analyzing syllogistic reasoning. Aristotle
considered the analysis of types of argument, or “topics,” the best means of
describing the art of dialectical reasoning; he also used the term to refer to
the principle underlying the strategy’s production of an argument. Later
classical commentators on Aristotle, particularly Latin rhetoricians like
Cicero, developed Aristotle’s discussions of the theory of dialectical
reasoning into a philosophical form. Boethius’s work on topics exemplifies the
later classical expansion of the scope of topics literature. For him, a topic
is either a self-evidently true universal generalization, also called a
“maximal proposition,” or a differentia, a member of the set of a maximal
proposition’s characteristics that determine its genus and species. Man is a
rational animal is a maximal proposition, and like from genus, the differentia
that characterizes the maximal proposition as concerning genera, it is a topic.
Because he believed dialectical reasoning leads to categorical, not
conditional, conclusions, Boethius felt that the discovery of an argument
entailed discovering a middle term uniting the two, previously unjoined terms
of the conclusion. Differentiae are the genera of these middle terms, and one
constructs arguments by choosing differentiae, thereby determining the middle
term leading to the conclusion. In the eleventh century, Boethius’s logical
structure of maximal propositions and differentiae was used to study
hypothetical syllogisms, while twelfth-century theorists like Abelard extended
the applicability of topics structure to the categorical syllogism. By the
thirteenth century, Peter of Spain, Robert Kilwardby, and Boethius of Dacia
applied topics structure exclusively to the categorical syllogism, principally
those with non-necessary, probable premises. Within a century, discussion of
topics structure to evaluate syllogistic reasoning was subsumed by consequences
literature, which described implication, entailment, and inference relations
between propositions. While the theory of consequences as an approach to
understanding relations between propositions is grounded in Boethian, and
perhaps Stoic, logic, it became prominent only in the later thirteenth century
with Burley’s recognition of the logical significance of propositional
logic. topic-neutral, noncommittal
between two or more ontological interpretations of a term. J. J. C. Smart
suggested that introspective reports can be taken as topic-neutral: composed of
terms neutral between “dualistic metaphysics” and “materialistic metaphysics.”
When one asserts, e.g., that one has a yellowish-orange afterimage, this is
tantamount to saying ‘There is something going on that is like what is going on
when I have my eyes open, am awake, and there is an orange illuminated in good
light in front of me, i.e., when I really see an orange’. The italicized phrase
is, in Smart’s terms, topic-neutral; it refers to an event, while remaining
noncommittal about whether it is material or immaterial. The term has not
always been restricted to neutrality regarding dualism and materialism. Smart
suggests that topic-neutral descriptions are composed of “quasi-logical” words,
and hence would be suitable for any occasion where a relatively noncommittal
expression of a view is required.
toxin puzzle, a puzzle about intention and practical
rationality: trustworthy billionaire, call him Paul, offers you, Peter, a
million pounds for intending tonight to drink a certain toxin tomorrow. Peter
is convinced that Paul can tell what Peter intends independently of what Peter
does. The toxin would make Peter painfully ill for a day. But Peter needs to
drink it to get the money. Constraints on the formation of a prize-winning
intention include prohibitions against “gimmicks,” “external incentives,” and
forgetting relevant details; e. g. Peter will not receive the money if Peter
has a hypnotist “implant the intention” or hire a hit man to kill Peter should
Peter not drink the toxin. If, by midnight tonight, without violating any
rules, Peter forms an intention to drink the toxin tomorrow, Peter will find a
million pounds in his bank account when he awakes tomorrow morning. Peter
probably would drink the toxin for a million dollars. But can you, without
violating the rules, intend tonight to drink it tomorrow? Apparently, you have
no reason to drink it and an excellent reason not to drink it. Seemingly, you
will infer from this that you will eschew drinking the toxin, and believing
that you will top-down eschew drinking it seems inconsistent with intending to
drink it. Even so, there are several reports in the philosophical literature of
possible people who struck it rich when offered the toxin deal! Refs: H. P.
Grice, “Grice’s book of paradoxes, with puzzling illustrations to match!”
Trapani – napola da --
transcendentale: Grice: “Trust Cicero to look for the abstract!” --
transcendentia, broadly, the property of rising out of or above other things
virtually always understood figuratively; in philosophy, the property of being,
in some way, of a higher order. A being, such as God, may be said to be
transcendent in the sense of being not merely superior, but incomparably
superior, to other things, in any sort of perfection. God’s transcendence, or
being outside or beyond the world, is also contrasted, and by some thinkers
combined, with God’s immanence, or existence within the world. In medieval
philosophy of logic, terms such as ‘being’ and ‘one’, which did not belong
uniquely to any one of the Aristotelian categories or types of predication such
as substance, quality, and relation, but could be predicated of things
belonging to any or to none of them, were called transcendental. In Kant’s
Critique of Pure Reason, principles that profess wrongly to take us beyond the
limits of any possible experience are called transcendent; whereas anything
belonging to non-empirical thought that establishes, and draws consequences
from, the possibility and limits of experience may be called transcendental.
Thus a transcendental argument in a sense still current is one that proceeds
from premises about the way in which experience is possible to conclusions
about what must be true of any experienced world. Transcendentalism was a
philosophical or religious movement in mid-nineteenth-century New England,
characterized, in the thought of its leading representative, Ralph Waldo
Emerson, by belief in a transcendent spiritual and divine principle in human
nature. Grice: “The formation of this Ciceronian expression is fascinating.
There’s the descent of the lark, and the transcend of the lark!” --
transcendentals, also called transcendentalia, terms or concepts that apply to
all things regardless of the things’ ontological kind or category.
transcendental deduction transcendentals 926
926 Terms or concepts of this sort are transcendental in the sense that
they transcend or are superordinate to all classificatory categories. The
classical doctrine of the transcendentals, developed in detail in the later
Middle Ages, presupposes an Aristotelian ontology according to which all beings
are substances or accidents classifiable within one of the ten highest genera,
the ten Aristotelian categories. In this scheme being Grecian on, Latin ens is
not itself one of the categories since all categories mark out kinds of being.
But neither is it a category above the ten categories of substance and
accidents, an ultimate genus of which the ten categories are species. This is
because being is homonymous or equivocal, i.e., there is no single generic
property or nature shared by members of each category in virtue of which they
are beings. The ten categories identify ten irreducible, most basic ways of
being. Being, then, transcends the categorial structure of the world: anything
at all that is ontologically classifiable is a being, and to say of anything
that it is a being is not to identify it as a member of some kind distinct from
other kinds of things. According to this classical doctrine, being is the
primary transcendental, but there are other terms or concepts that transcend
the categories in a similar way. The most commonly recognized transcendentals
other than being are one unum, true verum, and good bonum, though some medieval
philosophers also recognized thing res, something aliquid, and beautiful
pulchrum. These other terms or concepts are transcendental because the
ontological ground of their application to a given thing is precisely the same
as the ontological ground in virtue of which that thing can be called a being.
For example, for a thing with a certain nature to be good is for it to perform
well the activity that specifies it as a thing of that nature, and to perform
this activity well is to have actualized that nature to a certain extent. But
for a thing to have actualized its nature to some extent is just what it is for
the thing to have being. So the actualities or properties in virtue of which a
thing is good are precisely those in virtue of which it has being. Given this
account, medieval philosophers held that transcendental terms are convertible
convertuntur or extensionally equivalent idem secundum supposita. They are not
synonymous, however, since they are intensionally distinct differunt secundum
rationem. These secondary transcendentals are sometimes characterized as
attributes passiones of being that are necessarily concomitant with it. In the
modern period, the notion of the transcendental is associated primarily with
Kant, who made ‘transcendental’ a central technical term in his philosophy. For
Kant the term no longer signifies that which transcends categorial
classification but that which transcends our experience in the sense of
providing its ground or structure. Kant allows, e.g., that the pure forms of
intuition space and time and the pure concepts of understanding categories such
as substance and cause are transcendental in this sense. Forms and concepts of
this sort constitute the conditions of the possibility of experience. transcendental argument: Grice: “I prefer
metaphysical argument.’ -- an argument that elucidates the conditions for the
possibility of some fundamental phenomenon whose existence is unchallenged or
uncontroversial in the philosophical context in which the argument is
propounded. Such an argument proceeds deductively, from a premise asserting the
existence of some basic phenomenon such as meaningful discourse,
conceptualization of objective states of affairs, or the practice of making
promises, to a conclusion asserting the existence of some interesting,
substantive enabling conditions for that phenomenon. The term derives from
Kant’s Critique of Pure Reason, which gives several such arguments. The
paradigmatic Kantian transcendental argument is the “Transcendental Deduction
of the Pure Concepts of Understanding.” Kant argued there that the objective
validity of certain pure, or a priori, concepts the “categories” is a condition
for the possibility of experience. Among the concepts allegedly required for
having experience are those of substance and cause. Their apriority consists in
the fact that instances of these concepts are not directly given in sense
experience in the manner of instances of empirical concepts such as red. This
fact gave rise to the skepticism of Hume concerning the very coherence of such
alleged a priori concepts. Now if these concepts do have objective validity, as
Kant endeavored to prove in opposition to Hume, then the world contains genuine
instances of the concepts. In a transcendental argument concerning the
conditions for the possibility of experience, it is crucial that some feature
entailed by the having of experience is identified. Then it is argued that
experience could not have this feature without satisfying some substantive
conditions. In the Transcendental Deduction, the feature of experience on which
Kant concentrates is the ability of a subject of experience to be aware of
several distinct inner states as all belonging to a single consciousness. There
is no general agreement on how Kant’s argument actually unfolded, though it
seems clear to most that he focused on the role of the categories in the
synthesis or combination of one’s inner states in judgments, where such
synthesis is said to be required for one’s awareness of the states as being all
equally one’s own states. Another famous Kantian transcendental argument the “Refutation of Idealism” in the
CriToynbee, Arnold transcendental argument 925
925 tique of Pure Reason shares a
noteworthy trait with the Transcendental Deduction. The Refutation proceeds
from the premise that one is conscious of one’s own existence as determined in
time, i.e., knows the temporal order of some of one’s inner states. According
to the Refutation, a condition for the possibility of such knowledge is one’s
consciousness of the existence of objects located outside oneself in space. If
one is indeed so conscious, that would refute the skeptical view, formulated by
Descartes, that one lacks knowledge of the existence of a spatial world
distinct from one’s mind and its inner states. Both of the Kantian
transcendental arguments we have considered, then, conclude that the falsity of
some skeptical view is a condition for the possibility of some phenomenon whose
existence is acknowledged even by the skeptic the having of experience;
knowledge of temporal facts about one’s own inner states. Thus, we can isolate
an interesting subclass of transcendental arguments: those which are
anti-skeptical in nature. Barry Stroud has raised the question whether such
arguments depend on some sort of suppressed verificationism according to which
the existence of language or conceptualization requires the availability of the
knowledge that the skeptic questions since verificationism has it that
meaningful sentences expressing coherent concepts, e.g., ‘There are tables’,
must be verifiable by what is given in sense experience. Dependence on a highly
controversial premise is undesirable in itself. Further, Stroud argued, such a
dependence would render superfluous whatever other content the anti-skeptical
transcendental argument might embody since the suppressed premise alone would
refute the skeptic. There is no general agreement on whether Stroud’s doubts
about anti-skeptical transcendental arguments are well founded. It is not
obvious whether the doubts apply to arguments that do not proceed from a premise
asserting the existence of language or conceptualization, but instead conform
more closely to the Kantian model. Even so, no anti-skeptical transcendental
argument has been widely accepted. This is evidently due to the difficulty of
uncovering substantive enabling conditions for phenomena that even a skeptic
will countenance. transcendens --
transcendental argument: Transcendental argument -- Davidson, D.: H. P. Grice,
“Reply to Davidson,” philosopher of mind and language. His views on the
relationship between our conceptions of ourselves as persons and as complex
physical objects have had an enormous impact on contemporary philosophy.
Davidson regards the mindbody problem as the problem of the relation between
mental and physical events; his discussions of explanation assume that the
entities explained are events; causation is a relation between events; and
action is a species of events, so that events are the very subject matter of
action theory. His central claim concerning events is that they are concrete
particulars unrepeatable entities
located in space and time. He does not take for granted that events exist, but
argues for their existence and for specific claims as to their nature. In “The
Individuation of Events” in Essays on Actions and Events, 0, Davidson argues
that a satisfactory theory of action must recognize that we talk of the same
action under different descriptions. We must therefore assume the existence of
actions. His strongest argument for the existence of events derives from his
most original contribution to metaphysics, the semantic method of truth Essays
on Actions and Events, pp. 10580; Essays on Truth and Interpretation, 4, pp.
214. The argument is based on a distinctive trait of the English language one
not obviously shared by signal systems in lower animals, namely, its
productivity of combinations. We learn modes of composition as well as words
and are thus prepared to produce and respond to complex expressions never
before encountered. Davidson argues, from such considerations, that our very
understanding of English requires assuming the existence of events. To
understand Davidson’s rather complicated views about the relationships between
mind and body, consider the following claims: 1 The mental and the physical are
distinct. 2 The mental and the physical causally interact. 3 The physical is
causally closed. Darwinism, social Davidson, Donald 206 206 1 says that no mental event is a
physical event; 2, that some mental events cause physical events and vice
versa; and 3, that all the causes of physical events are physical events. If
mental events are distinct from physical events and sometimes cause them, then
the physical is not causally closed. The dilemma posed by the plausibility of
each of these claims and by their apparent incompatibility just is the
traditional mind body problem. Davidson’s resolution consists of three theses:
4 There are no strict psychological or psychophysical laws; in fact, all strict
laws are expressible in purely physical vocabulary. 5 Mental events causally
interact with physical events. 6 Event c causes event e only if some strict
causal law subsumes c and e. It is commonly held that a property expressed by M
is reducible to a property expressed by P where M and P are not logically
connected only if some exceptionless law links them. So, given 4, mental and
physical properties are distinct. 6 says that c causes e only if there are
singular descriptions, D of c and DH of e, and a “strict” causal law, L, such
that L and ‘D occurred’ entail ‘D caused D'’. 6 and the second part of 4 entail
that physical events have only physical causes and that all event causation is
physically grounded. Given the parallel between 13 and 4 6, it may seem that
the latter, too, are incompatible. But Davidson shows that they all can be true
if and only if mental events are identical to physical events. Let us say that
an event e is a physical event if and only if e satisfies a basic physical
predicate that is, a physical predicate appearing in a “strict” law. Since only
physical predicates or predicates expressing properties reducible to basic
physical properties appear in “strict” laws, every event that enters into
causal relations satisfies a basic physical predicate. So, those mental events
which enter into causal relations are also physical events. Still, the
anomalous monist is committed only to a partial endorsement of 1. The mental
and physical are distinct insofar as they are not linked by strict law but they are not distinct insofar as mental
events are in fact physical events. transcendentalism,
a religious-philosophical viewpoint held by a group of New England
intellectuals, of whom Emerson, Thoreau, and Theodore Parker were the most
important. A distinction taken over from Samuel Taylor Coleridge was the only bond
that universally united the members of the Transcendental Club, founded in
1836: the distinction between the understanding and reason, the former
providing uncertain knowledge of appearances, the latter a priori knowledge of
necessary truths gained through intuition. The transcendentalists insisted that
philosophical truth could be reached only by reason, a capacity common to all
people unless destroyed by living a life of externals and accepting as true
only secondhand traditional beliefs. On almost every other point there were
disagreements. Emerson was an idealist, while Parker was a natural realist they simply had conflicting a priori
intuitions. Emerson, Thoreau, and Parker rejected the supernatural aspects of
Christianity, pointing out its unmistakable parochial nature and sociological
development; while James Marsh, Frederick Henry Hedge, and Caleb Henry remained
in the Christian fold. The influences on the transcendentalists differed widely
and explain the diversity of opinion. For example, Emerson was influenced by
the Platonic tradition, G. Romanticism, Eastern religions, and nature poets,
while Parker was influenced by modern science, the Scottish realism of Reid and
Cousin which also emphasized a priori intuitions, and the G. Higher Critics. Emerson,
Thoreau, and Parker were also bonded by negative beliefs. They not only
rejected Calvinism but Unitarianism as well; they rejected the ordinary concept
of material success and put in its place an Aristotelian type of
selfrealization that emphasized the rational and moral self as the essence of
humanity and decried idiosyncratic self-realization that admires what is unique
in people as constituting their real value.
trans-finitum: definitum, infinitum: Trans-finite number, in set
theory, an infinite cardinal or ordinal number.
Tocco, rather than Trocco Felice Tocco Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Felice Tocco
(Catanzaro, 11 settembre 1845 – Firenze, 6 giugno 1911) è stato un filosofo e
storico della filosofia italiano.
Indice 1Biografia 2Opere 3Bibliografia 4Altri progetti 5Collegamenti
esterni Biografia Studiò all'Università di Napoli con Bertrando Spaventa e in
quella di Bologna, allievo di Francesco Fiorentino. Insegnante di antropologia
a Roma, divenne professore di Storia della filosofia a Pisa e poi a
Firenze. Nel 1875 si pose, nelle sue
Ricerche platoniche, il problema della cronologia degli scritti platonici
mentre, nella sua monografia su Giordano Bruno, negò che il filosofo di Nola
potesse essere considerato un "martire del libero pensiero", quanto
piuttosto l'interprete dei nuovi bisogni di razionalizzazione delle teorie
filosofiche, in linea con l'impulso delle ricerche scientifiche in atto ai suoi
tempi. Contribuì alla pubblicazione delle opere latine di Bruno, individuandone
tre fasi di sviluppo: una fase neoplatonica, una fase panteistica e una
atomistica. Fu sostenitore del
neokantismo, rifiutando ogni costruzione metafisica e privilegiando le esigenze
della ragione pratica. Opere Ricerche platoniche,
Catanzaro 1876; L'eresia nel Medioevo, Firenze 1884; Le Opere latine di
Giordano Bruno esposte e confrontate con le italiane da Felice Tocco, 1889 (R.
Istituto di Studi Superiori Pratici e di Perfezionamento in Firenze); Le Fonti
più recenti della filosofia del Bruno. Nota del socio Felice Tocco, 1892 in
"Rendiconti della R. Accad. dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche
e filologiche", Vol. 1, fasc. 7/8. 1892; Le opere inedite di Giordano
Bruno. Memoria letta all’Accademia di scienze morali e politiche della Società
Reale di Napoli dal socio Felice Tocco, 1898; Studi francescani, Napoli 1909;
Studi kantiani, Palermo 1909. Bibliografia Simonetta Bassi, «Francesco
Fiorentino e Felice Tocco » in Il contributo italiano alla storia del Pensiero –
Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2012. ISBN
978-88-12-00089-0. Massimo Ferrari, I dati dell'esperienza. Il neokantismo di
Felice Tocco nella filosofia italiana tra Ottocento e Novecento, Firenze, Leo
S. Olschki, 1990. ISBN 88-222-3798-6. Giulio Raio (a cura di), Lezioni su Kant
di Felice Tocco: Studio ed edizione, Napoli, Liguori Editore, 1988. ISBN
8820716461. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una
pagina dedicata a Felice Tocco Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene
citazioni di o su Felice Tocco Collegamenti esterni Felice Tocco, su
Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata Felice Tocco, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Felice Tocco, su
siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo Unificato per le
Soprintendenze Archivistiche. Modifica su Wikidata Opere di Felice Tocco, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Felice Tocco,
su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Felice
Tocco, su Progetto Gutenberg. Modifica su Wikidata Tocco, Felice, in Dizionario
di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Controllo di autoritàVIAF
(EN) 64112436 · ISNI (EN) 0000 0000 8344 1936 · SBN IT\ICCU\CFIV\092217 · LCCN
(EN) n86095749 · GND (DE) 119007886 · BNF (FR) cb12515567c (data) · BNE (ES)
XX1137275 (data) · NLA (EN) 36031522 · BAV (EN) 495/110549 · WorldCat
Identities (EN) lccn-n86095749 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale
Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XIX secoloStorici della filosofia
italianiNati nel 1845Morti nel 1911Nati l'11 settembreMorti il 6 giugnoNati a
CatanzaroMorti a Firenze[altre]
Tolomei Giovanni Battista
Tolomei Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Giovanni Battista Tolomei, S.I. cardinale di Santa Romana Chiesa
Giovanni-Battista Tolomei (Ptolemaeus) (1653-1726).j pg Ritratto del cardinale
Tolomei Template-Cardinal (not a bishop).svg Incarichi
ricopertiRettore dell'Università Gregoriana (1698-1701) Cardinale presbitero di
Santo Stefano al Monte Celio (1712-1726) Camerlengo del Collegio Cardinalizio
(1720-1723) Nato3 dicembre 1653 a Pistoia Ordinato presbitero1684
Creato cardinale17 maggio 1702 da papa Clemente XI Deceduto19 gennaio 1726 (72
anni) a Roma Manuale Giovanni Battista Tolomei (Pistoia, 3 dicembre
1653 – Roma, 19 gennaio 1726) è stato un cardinale, filosofo e teologo
italiano, appartenente alla Compagnia di Gesù. Indice 1Biografia
2Opere 3Insegnamento 4La nomina a cardinale 5Altri progetti 6Collegamenti
esterni Biografia Nato a Villa Camberaia tra Pistoia e Firenze fu di nobili
origini. All'età di quindici anni fu mandato a studiare a Firenze dove studiò
legge presso l'Università di Pisa. Il 18 febbraio 1673 entrò a far parte
dell'ordine dei Gesuiti e venne ordinato a Roma. Divenne esperto di ben undici
lingue tra le quali latino, greco, ebraico, siriaco, arabo, inglese, illirico e
francese. Iniziò la sua carriera teologica esponendo le Sacre scritture
nelle letture pubbliche presso la Chiesa del Gesù a Roma. All'età di trent'anni
venne eletto alla carica di procuratore generale dell'Ordine dalla
Congregazione Generale, ufficio che tenne per cinque anni, fino a quando cioè
non ottenne la cattedra di filosofia al Collegio Romano. Opere Le sue
letture, che ebbero sempre un vasto uditorio, vennero poi date alla stampa nel
1696 con il titolo Philosphia mentis et sensuum, nella quale, pur nel pieno
rispetto dell'aristotelismo, accolse gran parte delle scoperte naturalistiche
della sua epoca, esponendole nelle sue lezioni. Le letture vennero ristampate
nel 1698 in Germania dove ottenne l'encomio dell'Accademia di Lipsia e del
celebre filosofo Leibniz. Insegnamento Successivamente ottenne la
cattedra di teologia alla Pontificia Università Gregoriana (allora ancora
Collegio Romano) e rinnovò le tematiche relative alla controversia sul concetto
di dogma già iniziate dal cardinal Bellarmino circa un secolo prima. Le letture
relative a queste lezioni furono tutte redatte in un manoscritto di ben sei
volumi in folio che tuttavia non vennero mai pubblicati dall'autore. Eletto
successivamente rettore del Collegio Romano e del Collegio Germanico, ricoprì
contemporaneamente la carica di Consultore presso la Congregazione dei
Riti. La nomina a cardinale Il 17 maggio 1702 venne con sua sorpresa
nominato cardinale da papa Clemente XI ed ottenne il titolo di Santo Stefano al
Monte Celio. Chiamato al servizio del Pontefice per giudicare gli errori in
materia di dogmatica si occupò della pronuncia di condanna dell'eresia del
teologo francese, esponente del giansenismo Pasquier Quesnel. In qualità
di cardinale fu uno degli elettori del conclave di nomina di papa Innocenzo
XIII e di Benedetto XIII. Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giovanni Battista Tolomei
Collegamenti esterni Giovanni Battista Tolomei, su Treccani.it – Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN)
Giovanni Battista Tolomei, su Find a Grave. Modifica su Wikidata (EN) Opere di
Giovanni Battista Tolomei, su Open Library, Internet Archive. Modifica su
Wikidata (EN) Giovanni Battista Tolomei, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton
Company. Modifica su Wikidata (EN) David M. Cheney, Giovanni Battista Tolomei,
in Catholic Hierarchy. Modifica su Wikidata Giovanni Battista Tolomei
nell'Archivio storico della Pontificia Università Gregoriana, su unigre.it.
Tolomèi, Giovanni Battista, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. PredecessoreRettore dell'Università
GregorianaSuccessoreEstemma UniGreg.png Angelo Alamanni, S.I.1º gennaio 1698 -
1º gennaio 1701Annibale Marchetti, S.I.PredecessoreCardinale presbitero di
Santo Stefano al Monte CelioSuccessoreCardinalCoA PioM.svg Francesco Bonvisi11
luglio 1712 - 19 gennaio 1726Giovanni Battista Salerni,
S.I.PredecessoreCamerlengo del Collegio CardinalizioSuccessoreEmblem Holy
See.svg Luigi Priuli20 marzo 1720 - 20 gennaio 1723Bernardino ScottiV · D · M
Compagnia di Gesù Controllo di autorità VIAF
(EN) 39609892 · ISNI (EN) 0000 0000 7100 4472 · GND (DE) 117628506 · BNF (FR)
cb145120995 (data) · BNE (ES) XX1764446 (data) · BAV (EN) 495/83409 · CERL
cnp00895598 · WorldCat Identities (EN) viaf-39609892 Biografie Portale
Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Categorie: Cardinali italiani del
XVII secoloCardinali italiani del XVIII secoloFilosofi italiani del XVII
secoloFilosofi italiani del XVIII secoloTeologi italianiNati nel 1653Morti nel
1726Nati il 3 dicembreMorti il 19 gennaioNati a PistoiaMorti a RomaCardinali
nominati da Clemente XIGesuiti italianiCamerlenghi del Collegio
cardinalizioSepolti nella chiesa di Sant'Ignazio di Loyola in Campo
Marzio[altre]
Tomatis Francesco Tomatis da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Francesco Tomatis
(Carrù, 5 luglio 1964) è un filosofo italiano. Dal 2002 insegna alla Facoltà di
Lettere e filosofia dell'Università degli Studi di Salerno come professore
ordinario in Filosofia teoretica. Indice 1Biografia 2Pensiero
3Opere 4Curatele 5Recensioni 6Note 7Collegamenti esterni Biografia Francesco
Tomatis ha studiato nelle Università di Torino, Università di Heidelberg,
Università di Perugia e Università di Macerata. Laureatosi in Filosofia
teoretica all'Università di Torino con Gianni Vattimo e Luigi Pareyson (1991),
dottore di ricerca all'Università di Perugia (1994), seguito da Giovanni
Ferretti e Giuseppe Riconda, di cui è stato assistente all'Università di Torino
dal 1995 al 2002, è stato borsista del Centro studi filosofico-religiosi Luigi
Pareyson[1] (1995-1998), ricercatore della Alexander von Humboldt-Stiftung
all'Università di Freiburg im Breisgau (1997), professore ordinario allo Studio
teologico interdiocesano di Fossano[2] (1991-2001) e professore ospite in
alcune Università europee e americane (Madrid, Córdoba, Mendoza..). È
membro dei comitati scientifici del Centro studi filosofico-religiosi Luigi
Pareyson di Torino, della Fondazione centro studi Augusto Del Noce di
Savigliano, dell'Accademia estetica internazionale di Rapallo[3], dell'Istituto
Xavier Tilliette[4], della Internationale Schelling-Gesellschaft. Nel
1987 ha fondato a Cuneo il Seminario angelus novus. Nel 1991 ha fondato con
Massimo Cacciari, Massimo Donà, Romano Gasparotti, Sergio Givone, Margherita
Petranzan, Carlo Sini e Vincenzo Vitiello la rivista “Paradosso”. Dal 1995
scrive sulle pagine culturali di “Avvenire”. Cura una rubrica sul mensile delle
vallate occitane d'Italia “Ousitanio Vivo”[5], di cui è collaboratore dal 1998,
e dal 2005 collabora a “La Rivista del Club alpino italiano”[6]. Dal 2012 è
garante scientifico internazionale dell'associazione Mountain Wilderness
International. Dal 2008 è istruttore di Kung Fu classico cinese, frequentando
la Scuola Kung Fu Chang dal 1994, allievo diretto dei maestri Ignazio Cuturello
e Roberto Fassi. Pensiero Ha dedicato le sue ricerche al pensiero di
Friedrich Schelling, Friedrich Nietzsche, Martin Heidegger in ambito tedesco,
di Luigi Pareyson e Luigi Einaudi in quello italiano, di Lao Tzu e Yang Chengfu
nel cinese, approfondendo in particolare il problema ontologico della libertà e
del male, del tempo e dell'escatologia, dei principi e del non-sapere. Ha poi
elaborato una filosofia esperienziale, sperimentata soprattutto in montagna,
che intende l'esistenza come esperienza personale della verticalità del limite,
e una filosofia ermeneutica del dialogo interculturale, particolarmente attenta
alla teologia cristiana trinitaria e al pensiero taoista cinese. Opere
Kenosis del logos. Ragione e rivelazione nell'ultimo Schelling, Prefazione di
Xavier Tilliette, Città Nuova Editrice, Roma, 1994, 384 pp. ISBN 88-311-3229-6
Ontologia del male. L'ermeneutica di Pareyson, Presentazione di Piero Coda,
Città Nuova Editrice, Roma, 1995, 200 pp. ISBN 88-311-0102-1 L'argomento
ontologico. L'esistenza di Dio da Anselmo a Schelling, 2ª ed., Roma, Città
Nuova Editrice, 2010 [1997], pp. 168, ISBN 88-311-0111-0. Bibliografia
pareysoniana, Trauben, Torino, 1998, 160 pp. ISBN 88-87013-20-X Pareyson. Vita,
filosofia, bibliografia, 2ª ed. ampliata, Morcelliana, Brescia, 2003, 208 pp.
ISBN 88-372-1914-8 Escatologia della negazione, Roma, Città Nuova Editrice,
1999, pp. 200, ISBN 88-311-0120-X. Friedrich Schelling. Invito alla lettura,
San Paolo, Cinisello Balsamo, 2004, 96 pp. ISBN 88-215-5023-0 Filosofia della
montagna, Prefazione di Armando Torno, Postfazione di Reinhold Messner, 3ª ed.,
Milano, Bompiani, 2005, pp. 224, ISBN 88-452-4138-6. Come leggere Nietzsche,
Bompiani, Milano, 2006, 208 pp. ISBN 88-452-5751-7 Dialogo dei principi con
Gesù Socrate Lao Tzu, Prefazione di Piero Coda, Bompiani, Milano, 2007, 160 pp.
ISBN 978-88-452-5956-2 Libertà di sapere. Università e dialogo interculturale,
Prefazione di Giovanni Reale, Bompiani, Milano, 2009, 128 pp. ISBN
978-88-452-6256-2 Verso la città divina. L'incantesimo della libertà in Luigi
Einaudi, Città Nuova Editrice, Roma, 2011, 304 pp. ISBN 978-88-311-7390-2 Corpo
e preghiera. La Via del T'ai Chi Ch'üan, con I. Cuturello, R. Fassi, D. Magni,
2ª ed., Roma, Città Nuova Editrice, 2012, pp. 276, ISBN 978-88-311-7399-5. La
via della montagna, Bompiani, Milano, 2019, 688 pp. ISBN 978-88-301-0010-7
Curatele Luigi Pareyson, Essere, libertà, ambiguità, Mursia, Milano, 1998, 224
pp. ISBN 88-425-2324-0 Giuseppe Riconda, Xavier Tilliette, Del male e del bene,
Città Nuova Editrice, Roma, 2001, 128 pp. ISBN 88-311-0129-3 Bruno Forte,
Vincenzo Vitiello, La vita e il suo oltre. Dialogo sulla morte, Città Nuova
Editrice, Roma, 2001, 128 pp. ISBN 88-311-0130-7 Luigi Pareyson, Iniziativa e
libertà, Mursia, Milano, 2005, 280 pp. ISBN 88-425-3303-3 Mauro Baudino,
White-out, Museo Nazionale della Montagna, Torino, 2006, 48 pp. ISBN
88-7376-024-4 Friedrich Nietzsche, Su verità e menzogna, Bompiani, Milano,
2006, 168 pp. ISBN 88-452-5741-X Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling, Sui
principi sommi. Filosofia della rivelazione 1841/42, Bompiani, Milano, 2016,
1536 pp. ISBN 978-88-452-8094-8 Luigi Pareyson, Prospettive di filosofia moderna
e contemporanea, Mursia, Milano 2017, 618 pp. ISBN 978-88-425-5781-4 Recensioni
Kenosis del logos. Ragione e rivelazione nell'ultimo Schelling, Pref. di X.
Tilliette, Città Nuova, Roma 1994, 384 pp. [recensito da: B. Forte («Avvenire»,
10.12.1994, p.22), G. Baget Bozzo («Il Sole-24 Ore», 8.1.1995, p.27), A.
Giordano («La Guida», 13.1.1995, p.3 e 20.1.1995, p.3), P. Bogo («la masca»,
18.1.1995, p.14), G. Pirola («La Civiltà Cattolica», 146, 3483/3484,
5-19.8.1995, pp.333–334), F. D'Agostini («La Stampa. Tuttolibri», 30.9.1995,
p.6), F. Viganò («Informazione filosofica», 26, 1995, pp.53–54), S. Sotgiu
(«Diorama letterario», 190, 1995, pp.34–36), B. Forte («Asprenas», 43, 1996, 1,
pp.127–129), X. Tilliette («Gregorianum», 1996, pp.195–196), E. Guglielminetti
(«Filosofia e teologia», 1996, 2, pp.408–411)]. Ontologia del male.
L'ermeneutica di Pareyson, Pres. di P. Coda, Città Nuova, Roma 1995, 200 pp.
[recensito da: G. Baget Bozzo («Il Sole-24 Ore», 30.7.1995, p.26), G. Ricci
(«Avvenire», 28.10.1995, p.19), A. Ribero («AdOvest», 4, 1995, pp.72–73), S.
Sotgiu («Diorama letterario», 190, 1995, pp.34–36), M. Micelli («Informazione
filosofica», 27, 1996, pp.24–25), F. Russo («Acta philosophica», 1996, p.185),
G. Garelli («La Guida», 14.3.1997, p.8)]. L'argomento ontologico.
L'esistenza di Dio da Anselmo a Schelling, Città Nuova, Roma 1997, 20102, 168
pp. [recensito da: M. Schoepflin («Avvenire», 5.7.1997, p.21), F. Dal Bo
(«Con-tratto», 1998, pp.515–516), F. Pepino («la Bisalta», 15.1.1999,
p.29)]. Bibliografia pareysoniana, Trauben, Torino 1998, 160 pp.
[recensito da: G. Garelli («La Guida», 15.1.1999, p.13), F. Russo («Acta
philosophica», 1999, p.189), F.P. Ciglia («Il Pensiero», 1999, 1,
pp.94–97)]. Escatologia della negazione, Città Nuova, Roma 1999, 200 pp.
[recensito da: G. Garelli («La Guida», 26.3.1999, p.4), F. Pepino («la
Bisalta», 26.3.1999, p.29), M. Schoepflin («Avvenire», 10.4.1999, p.23), A.
Folin («Tuttolibri», 17.6.1999, p.6), M.C. Di Nino («Dialegesthai», 2003,
http://mondodomani.org/dialegesthai/)]. Pareyson. Vita, filosofia,
bibliografia, Morcelliana, Brescia 2003, 208 pp. [recensito da: G. A[schero]
(«La Guida», 14.3.2003, p.58), M. Schoepflin («Il Giornale», 13.4.2003, p.28),
[N. Orengo] («La Stampa. Tuttolibri», 19.4.2003, p.10), M. Schoepflin
(«Avvenire», 14.5.2003, p.23), F. Pepino («Cuneo Provincia Granda», 2003, 5,
p.78), F. Russo («Acta philosophica», 2004, p.374)]. O argumento
ontológico. A existência de Deus de Anselmo a Schelling, tr. port. bras. di
S.J. Schirato, Paulus, Sâo Paulo 2003, Brasil, 160 pp. Filosofia della
montagna, Bompiani, Milano 2005, 20052, 20053, 20084, 224 pp. [recensito da: G.
Reale («Corriere della sera», 29.9.2005, p.49), E. Billò («Unione Monregalese»,
5.10.2005, p.7), V. Mathieu («Il Giornale», 27.10.2005, p.27), Vasta («La
Sicilia», 31.10.2005, p.18), U. Curi («Messaggero Veneto», 6.11.2005, pp.1 e
10), L. Caveri («Peuple Valdotain», 6.11.2005, p. ), A. Zaccuri («Letture»,
novembre 2005, p.64), D. Anghilante («Ousitanio Vivo», novembre 2005, p.7), G.
Lingua («Cuneo Provincia Granda», settembre-ottobre 2005, p.69), G. Brunod
(«PMNet», ottobre 2005, in www.pmnet.it), M. Schoepflin («Il Foglio»,
14.1.2006, p. x), A. Rosa («TorinoSette», 13.1.2006, p.42), A. Parodi («La
Stampa Web», 16.1.2006, www.lastampa.it), G. Pulina («Girodivite»,
www.girodivite.it), A. Rigobello («L'Osservatore romano», 2006, p. )].
Come leggere Nietzsche, Bompiani, Milano 2006, 208 pp. [recensito da: M.
Schoepflin («Jesus», 2007, 1, p.95), M. Del Vecchio («Diorama letterario», 282,
2007, pp.30–31), G. Pulina («Recensioni filosofiche», 29.12.2006,
www.recensionifilosofiche.it)]. Dialogo dei principi con Gesù Socrate Lao
Tzu, Bompiani, Milano 2007, 160 pp. [recensito da: M. Iacona («Secolo
d'Italia», 7.11.2007, p.9), E. Billò («L'Unione monregalese», 7.11.2007, p.41),
G. A[schero] («La Guida», 7.12.2007, p.16), M. Schoepflin («Giornale di
Brescia», p. ), M. Schoepflin («Avvenire», 19.3.2008, p. ), D. Monaco
(«Filosofia e teologia», 2008, 2, pp.417–420)]. Libertà di sapere.
Università e dialogo interculturale, Pref. di G. Reale, Bompiani, Milano 2009,
128 pp. [recensito da: G. Giorello («Corriere della Sera. Magazine», 7.5.2009,
18, p.29), E. Castagna («Avvenire», 26.6.2009, p.24), M. Iacona («Il Borghese»,
2009, 7, pp.75–76), A. Torno («Corriere della Sera», 7.9.2009, p.26)].
Verso la città divina. L'incantesimo della libertà in Luigi Einaudi, Città
Nuova, Roma 2011, 304 pp. [recensito da: F. Chittolina («La Guida», 21.10.2011,
p.63); [M. Schoepflin] («Il Giornale di Brescia», 5.11.2011, p.64); G.
Tarantino («Secolo d'Italia», 6.11.2011, p.9); M. Iacona («Il Giornale
d'Italia», 6.11.2012, p.11); D. Monaco («L'occhio», 1-15.11.2011, p.21); F.
Chittolina («La Voce del Popolo», 4.12.2011, p.6); F. Ranucci («Conquiste del
lavoro», 29.12.2011, p.4); [...] («Jesus», gennaio 2012, p.110); S. Bondi
(«Panorama», 29.2.2012, p. ); E. Di Nuoscio («Europa», 4.5.2012, pp.1 e 9); D.
Anghilante («Ousitanio vivo», 376, 2012, p.9); F.S. Festa, («», 2012, http://
); G. Bartoli («Dialegesthai», 10.7.2012, http://mondodomani.org/dialegesthai/;
D. Monaco («Filosofia e teologia», 2013, 1, pp. ]; P. Lubrano («Il Nostro
Tempo», 20.10.2013, p.14)]. Note ^ Centro studi filosofico-religiosi
Luigi Pareyson ^ Studio teologico interdiocesano di Fossano ^ Accademia estetica
internazionale di Rapallo Archiviato il 6 settembre 2011 in Internet Archive. ^
Istituto Xavier Tilliette ^ Ousitanio Vivo - Il Giornale ^ La Rivista del Club
alpino italiano Collegamenti esterni Prof. Francesco Tomatis curriculum,
pubblicazioni, biografia intellettuale. Pagina docente nel sito dell'Università
degli Studi di Salerno. URL visitato il 3 gennaio 2014. Controllo di autorità VIAF (EN)
44392278 · ISNI (EN) 0000 0000 7248 2708 · SBN IT\ICCU\RAVV\085518 · LCCN (EN)
nr95036258 · BNF (FR) cb12442709g (data) · WorldCat Identities (EN)
lccn-nr95036258 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia
Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloNati
nel 1964Nati il 5 luglioNati a CarrùPersone legate all'Università degli Studi
di Macerata[altre]
Tomeo Niccolò Leonico Tomeo Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Calcografia di
Niccolò Leonico Tomeo Niccolò Leonico Tomeo (in albanese: Νikolla Thomai;
Venezia, 1º febbraio 1456 – Padova, 28 marzo 1531) è stato un accademico e
docente veneziano, originario dell'Epiro, professore di filosofia
all'Università di Padova. Tomeo è stato uno dei primi professori di
origine Albanese per insegnare greco in Padova.[1][2] Indice
1Biografia 2Opere 3Note 4Bibliografia 5Ulteriore lettura 6Altri progetti
7Collegamenti esterni Biografia Tomeo nasce a Venezia, Italia il 1º febbraio
1456 da una famiglia epirota originaria di Durazzo (Regno
d'Albania).[3][4][5][6] Fu inviato a Firenze, dove ha studiato filosofia e
letteratura greca sotto la tutela del Demetrios Chalkokondyles.[3][6] Nel 1497
l'Università di Padova nomina Thomaeus come suo primo
docente ufficiale sul testo greco di Aristotele.[2][4][6] Nel 1504
viene eletto come successore di Giorgio Valla per la cattedra di greco a
Venezia, ma poiché Thomaeus non prese l'incarico sul serio, gli successe nel
1512 Marco Musuro.[6] Nel 1524, Thomaeus pubblica una raccolta di dialoghi
filosofici in latino, il primo dei quali era intitolato "Trophonius, sive,
De divinatione".[4] È stato ammirato da studiosi come Erasmo per le sue
capacità filologiche.[5] Quando l'Università di Padova venne riaperta dopo la
guerra della Lega di Cambrai, Tomeo insegnarà all'università fino alla sua
morte, avvenuta il 28 marzo 1531.[6] Opere Aristotelis Parva quae vocant
Naturalia, Bernardino Vitali, Venezia 1523. Trophonius, sive, De divinatione,
1524. Bembo sive de immortalitate animae, 1524. Opuscula. Ex Venetiis,
Bernardino Vitali, Venezia 1525. Edizione in linea: Nicolò Leonico Tomeo,
Opuscula, Ex Venetiis, Bernardino Vitali, 1525. URL consultato il 18 giugno
2015. Conversio in Latinum atque explanatio primi libri Aristotelis de partibus
animalium… nunc primum ex authoris archetypo in lucem aeditus. G. Farri,
Venezia 1540. Note ^ Runciman 1985, p. 212: "The University of Padua was
one of the first to encourage the study of Greek; and Greeks who could lecture
on Greek texts were especially welcome. A Chair of Greek was founded there in
1463 and given to the Athenian Demetrius Chalcondylas. One of his successors,
Nicholas Laonicus Thomaeus, an Epirot by birth, gave in 1497 a course of
lectures on Aristotle, using only the Greek text and a few Alexandrian
commentaries." Copenhaver e Schmidt 1992, p. 104: "A few years
later, cracks in the fortress of Latin Aristotelianism at Padua encouraged the
hiring of Niccolò Leonico Tomeo, an Italian-born Greek, to lecture on the Greek
Aristotle." Geanakoplos 1985, p. 358: "Born in Venice of Greek
parents (wrongly termed Albania by some scholars), Tomaeus as a youth was sent
to study in Florence, where at its stadium he read Greek literature and
philosophy with his famed compatriot, Demetrius Chalcondyles."
Ossa-Richardson 2013, p. 90: "Niccolò Leonico Tomeo (1456–1531), born in
Venice to Greek parents, taught philosophy at Padua from 1497, and became known
as a translator and interpreter of Aristotle. In 1524, he published a
collection of philosophical dialogues, written in an elaborate Latin; the first
of these is entitled 'Trophonius, sive, De divinatione'." Parkinson
2003, p. 40: "Pomponazzi's Paduan colleague Niccolò Leonico Tomeo
(1456–1531) was the first professor to lecture on the Greek text of Aristotle.
As a Venetian of Greek parentage, Leonico Tomeo inherited the mantle of
Byzantine scholars such as Gaza and Argyropoulos along with that of Italian
humanists like Poliziano and Barbaro." Bietenholz e Deutscher 1995,
pp. 323–324: "Niccolò LEONICO TOMEO 1 February 1456–28 March 1531 Niccolò
Leonico Tomeo (Leonicus Thomaeus) was born in Venice of Albanian parentage
(From DURRES, Albania) and studied Greek in Florence under Demetrios
*Chalcondyles. He had apparently been teaching at the University of Padua for
some time when he was appointed its first official lecturer on the Greek text
of Aristotle in 1497, since the Venetian senate's decree called him 'very
popular and acceptable to the students'. Though elected to succeed Giorgio
*Valla in the chair of Greek in Venice itself during 1504, he does not appear
to have taken the post up seriously and was superseded by *Musurus in 1512. He
returned to Padua as soon as the university reopened after the wars of the
League of Cambrai, teaching there continuously until his death..."
Bibliografia Bietenholz, Peter G. and Thomas Brian Deutscher, Contemporaries of
Erasmus: A Biographical Register of the Renaissance and Reformation (Volumes
1–3), Toronto, University of Toronto Press, 1995 [1985], ISBN
978-0-8020-8577-1. Copenhaver, Brian P. and Charles B. Schmidt, Renaissance
Philosophy, Oxford, Oxford University Press, 1992, ISBN 978-0-19-219203-5.
Geanakoplos, Deno J., The Career of the Little-known Renaissance Greek Scholar
Nicholas Leonicus Tomaeus and the Ascendancy of Greco-Byzantine Aristotelianism
at Padua University (1497), in Byzantina, vol. 13, n. 1, 1985, pp. 355–372.
Ossa-Richardson, Anthony, The Devil's Tabernacle: The Pagan Oracles in Early
Modern Thought, Princeton, NJ, Princeton University Press, 2013, ISBN
978-1-4008-4659-7. Parkinson, G.H.R., Routledge History of Philosophy Volume
IV: The Renaissance and Seventeenth Century Rationalism, London and New York,
Routledge, 2003 [1993], ISBN 978-0-415-05378-5. Runciman, Steven, The Great
Church in Captivity: A Study of the Patriarchate of Constantinople from the Eve
of the Turkish Conquest to the Greek War of Independence, Cambridge, Cambridge
University Press, 1985, ISBN 0-521-31310-4. Ulteriore lettura De Bellis,
Daniela, Niccolò Leonico Tomeo interprete di Aristotele naturalista, in Physis:
Rivista internazionale di storia della scienza, vol. 17, 1–2, 1975, pp. 71-93.
De Bellis, Daniela, La vita e l'ambiente di Niccolo Leonico Tomeo, in Quaderni
per la storia dell'Universita di Padova, vol. 13, 1980, pp. 37-75. De Bellis,
Daniela, I veicoli dell'anima nell'analisi di Niccolo Leonico Tomeo, in Annali
dell'Istituto di filosofia, Universita di Firenze, vol. 3, 1981, pp. 1-21.
Serena, A., Niccolò Leonico Tomeo, in Appunti Letterari, Rome, 1903, pp. 5-32.
Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a
Niccolò Leonico Tomeo Collegamenti esterni Niccolò Leonico Tomeo, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Niccolò
Leonico Tomeo, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Niccolò Leonico
Tomeo, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di
Niccolò Leonico Tomeo / Niccolò Leonico Tomeo (altra versione), su Open
Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Controllo di autoritàVIAF (EN)
88604630 · ISNI (EN) 0000 0001 2096 5860 · LCCN (EN) n85044581 · GND (DE)
102377138 · BNF (FR) cb122142622 (data) · BAV (EN) 495/359 · CERL cnp01879247 ·
WorldCat Identities (EN) lccn-n85044581 Biografie Portale Biografie: accedi
alle voci di Wikipedia che trattano di biografie Categorie: Nati nel 1456Morti nel
1531Nati il 1º febbraioMorti il 28 marzoNati a VeneziaMorti a PadovaFilologi
italianiFilosofi italiani del XV secoloFilosofi italiani del XVI secoloFilosofi
medievaliProfessori dell'Università degli Studi di PadovaTraduttori dal
grecoTraduttori dal greco al latinoUmanisti italiani[altre]
Tomitano Bernardino Tomitano Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Bernardino Tomitano
(Padova, 1517 – Padova, 1576) è stato un medico, letterato e filosofo italiano,
fondatore di accademie letterarie, autore di commenti alle opere di
Aristotele[1] e autore di scritti di logica, alcuni dei quali ancora
inediti. Indice 1Biografia 2Opere 3Note
4Bibliografia 5Collegamenti esterni Biografia Nacque a Padova da una famiglia
originaria di Feltre. Frequentò i corsi di filosofia e medicina all'Università
di Padova e si laureò in ambedue le discipline nel 1535, appena diciottenne.
Nel 1539 fu deputato dal Senato Veneto a leggere l'Organon di Aristotele alla
"Scuola di logica" dell'Università, incarico che conservò fino al
1563. Nel periodo in cui rimase a Padova strinse amicizia, fra gli altri, con
Sperone Speroni, Pietro Bembo, Jacopo Sadoleto, Paolo Giovio, Bernardo
Navagero, Girolamo Fracastoro e Aldo Manuzio, e fece parte dell'Accademia degli
Infiammati, il cui proposito era scrivere "compiutamente" in lingua
italiana e lingua veneta; le discussioni all'accademia degli Infiammati sono
alla base dei Quattro libri de la lingua thoscana[2]. Scrisse anche due brevi
dissertazioni matematiche: il Moisè-Geometria (1550), la dimostrazione del
teorema "due rette possono avvicinarsi all'infinito senza mai
unirsi", intuito dal profeta ebreo per Grazia divina, e Introductio
Cosmographiae, lezioni di geometria a fondamento della cosmografia tolemaica
(1551). Nel 1554 fu accusato dal Santo
Uffizio veneto di eresia per un'opera, divulgata a suo nome nel 1547 intitolata
Espositione letterale del testo di Mattheo Evangelista, traduzione della
parafrasi di Erasmo da Rotterdam al Vangelo secondo Matteo[3]. Tomitano dimostrò,
con due scritti[4], che quell'opera non era sua, ma edita a sua insaputa da un
"nobile signore N., con cui era assai famigliare". Fu creduto e
assolto, ma da allora in poi i suoi scritti divennero alquanto conformisti. Nel 1563 non ottenne la cattedra di
"ordinaria filosofia" a cui aspirava. Deluso lasciò Padova e si
trasferì con la famiglia a Venezia dove esercitò con successo la professione di
medico. L'opera più importante del periodo veneziano, a parte la biografia di
Astorre Baglioni, furono il De morbo gallico in due libri, e il carme
encomiastico Thetis in onore di Enrico III di Francia nominato anche re di
Polonia (1573). Opere Introductio ad
Sophisticos Elenchos Aristotelis. Eiusdem brevis methodus diluendorum
paralogismorum per divisionem, praeter illa quae Aristoteles habuit in
Elenchis. Quam methodum B. Tomitanus ex dialogis Platonis et ex Aristotele
nuper invenit. Adiecta sunt Famigerata veterum Sophismatum exernpla, ad
exercitationem adolescentium, Venezia 1544 Ragionamenti della lingua Toscana,
doue si parla del perfetto oratore, & poeta uolgari, dell'eccellente medico
& philosopho Bernardin Tomitano, diuisi in tre libri. Nel primo si pruoua
la philosophia esser necessaria allo acquistamento della rhetorica &
poetica. Nel secondo si ragiona de i precetti dell'oratore. Et nel terzo, delle
leggi appartenenti al poeta, & al bene scriuere, si nella prosa, come nel
uerso, Venezia, Giovanni de Farri & fratelli, 1546. Nuova ediz. Quattro
libri della lingua thoscana di M. Bernardino Tomitano. Oue si prova la
philosophia esser necessaria al perfetto oratore, & poeta con due libri
nuouamente aggionti, de i precetti richiesti a lo scriuere, & parlar con
eloquenza, Padoua, Lorenzo Pasquati, 1569. Sonetti e Canzoni, in Rime diuerse
di molti eccellentiss. autori nuouamente raccolte. Libro primo, con nuoua
additione ristampato, Venezia Gabriel Giolito De Ferrarii, 1546 Esposizione
letterale del testo di Mattheo Evangelista, Venezia, 1547 Sopra le Pistole di
S. Paolo, Venezia, 1550[5] Moisè. Geometria, Mantova 1550 Introductio
Cosmographiea, Venezia 1551 Prediche del reuerendissimo monsignor Cornelio
Musso, vescouo di Bitonto, fatte in diuersi tempi, et in diuersi luoghi. Nelle
quali si contengono molti santi euangelici precetti, non meno utili, che necessarij
alla interior fabrica dell'huomo cristiano. Con la tauola delle cose più
notabili in esse contenute, Venezia, Gabriel Giolito de Ferrari et fratelli,
1554 Oratione recitata per nome de lo Studio de le Arti padovano ne la
creatione del Serenissimo Principe di Vinetia M. Marcantonio Trivisano,
Venezia, 1554 Clonicus, sive de Reginaldi Poli laudibus, Venezia 1556 Consiglio
sopra la peste di Vinetia. Al Magnifico M. Francesco Longo del Clarissimo M.
Antonio, Padova 1556 Corydon, sive de Venetorum laudibus, et Carmen ad
Laurentium Priolum Venetorum Principem, Venezia 1556 G. Breznicio (a cura di).
Animadversiones aliquot in primum librum Posteriorum Resolutoriorum.
Contradictionum solutiones in Aristotelis et Averrois dicta, in primum librum
Posteriorum Resolutoriorum. In novero Averrois Quaesita demonstrativa
Argumenta, Venezia, 1562 Consiglio de l'eccell. m. Bernardino Tomitano sopra la
peste di Vinetia l'anno 1556, Padova, appresso Gratioso Perchacino, 1556 De
morbo gallico, in 2 voll, Venezia 1567 Vita e fatti di Astorre Baglioni[6]
Quattro libri della lingua thoscana, ove si prova la philosophia esser
necessaria al perfetto oratore et poeta con due libri nuovamenti aggionti dei
precetti richiesti a lo scrivere et parlar con eloquenza, Padova 1570 Thetis.
In adventu Regis Henrici III Galliae Christianissimi et IV Poloniae Serenissimi
ad felicissimam Venetiarum urbem, Venezia, Ziletti 1574 Note ^ Aristotelis
Opera omnia. Cum commentariis Averrois. Animadversiones et solutiones B.
Tomitani. Et alia plura. Venetiis, apud Iuntas, 1574 ^ I primi due libri sono
tesi a dimostrare che la filosofia è necessaria all'oratore e al poeta. Il
terzo libro ha per argomento i precetti della retorica necessari alla scrittura
e all'oratoria. L'ultimo libro è dedicato alla prosa d'arte ("locutione
oratoria, et de' suoi ornamenti, con la ragion de i motti, facetie et
apologi"). ^ Antonino Poppi. Ricerche sulla teologia e la scienza nella
scuola padovana del Cinque e Seicento, Soveria Mannelli, Rubbettino editore, 2001,
ISBN 88-498-0105-X, p. 72 Ricerche sulla teologia e la scienza nella Scuola
padovana del Cinque e Seicento - Antonino Poppi - Google Libri. ^ Oratione
prima alli Signori de la S. Inquisitione di Venetia, Padova 1556, e Oratione
seconda alli Signori medesimi, Venezia, 1557. ^ Quest'opera è nominata solo da
Anton Francesco Doni nella sua Prima Libraria, un repertorio dei libri italiani
stampati fino al 1550. L'opera del Tomitano, pertanto, deve essere stata
scritta prima del 1550. ^ È una biografia in otto libri su Astorre Baglioni, il
capitano ucciso con Marcantonio Bragadin a Famagosta nel 1571. L'opera,
composta tra il 1572 e il 1576, rimase ignota ai contemporanei del Tomitano ed
è in gran parte ancora adesso inedita. Ne sono stati stampati solo alcuni brani
a metà del XIX secolo. Bibliografia Girolamo Tiraboschi, Storia della
letteratura italiana di Girolamo Tiraboschi, della Compagnia di Gesù,
bibliotecario del serenissimo Duca di Modena, Firenze, Molini e Landi, 1810,
Tomo VII, parte 2, p. 438. Marco Pecoraro, Tomitano, Bernardino, in Vittore
Branca (a cura di), Dizionario critico della letteratura italiana, Torino,
UTET, 1973, vol. III, 507-512. Collegamenti esterni Bernardino Tomitano, su
sapere.it, De Agostini. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Bernardino Tomitano,
su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Aulo Greco, Bernardino
Tomitano, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970.
Controllo di autoritàVIAF (EN) 56709176 · ISNI (EN) 0000 0001 2134 2489 · LCCN
(EN) nr96006348 · GND (DE) 119290960 · BNF (FR) cb12468169j (data) · BAV (EN)
495/139872 · CERL cnp01345804 · WorldCat Identities (EN) lccn-nr96006348
Biografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di
Biografie Categorie: Medici italianiLetterati italianiFilosofi italiani del XVI
secoloNati nel 1517Morti nel 1576Nati a PadovaMorti a PadovaUmanisti
italiani[altre]
tornolia
Giovanni Torlonia (poeta) Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Corona real abierta.svg
Giovanni Torlonia Pal Braschi - da pal Torlonia - Giovanni e A Maria Torlonia e
Canova (Canova attr., 1811) P1090719.JPG Palazzo Braschi, da palazzo Torlonia,
Giovanni e A. Maria Torlonia (Canova attr., 1811) Principe Stemma PredecessoreMarino
Torlonia, principe di Civitella Cesi, duca di Poli e di Guadagnolo Nome completoGiovanni
Torlonia TrattamentoSua Grazia NascitaRoma, 22 febbraio 1795 MorteRoma, 9
novembre 1858 DinastiaTorlonia PadreMarino Torlonia, II principe Torlonia
MadreAnna Sforza Cesarini ConsorteFrancesca Ruspoli FigliClemente Religionecattolicesimo
Giovanni Torlonia (Roma, 22 febbraio 1831 – Roma, 9 novembre 1858) è stato un
poeta, filosofo e filantropo italiano.
Indice 1Biografia 2Note 3Bibliografia 4Voci correlate Biografia Giovanni
Torlonia fu secondogenito del duca Marino (1795-1865) e di Anna Sforza
Cesarini, figlia del VI principe di Genzano Francesco. Apparteneva a una delle
più facoltose famiglie nobiliari romane; il padre, duca di Poli e di
Guadagnolo, era titolare del feudo di Bracciano e viveva a Roma nel palazzo
Torlonia, già Núñez, in via Bocca di Leone. Anna Sforza Cesarini aveva portato
in dote una villa a Frascati, già appartenuta ai Ludovisi. Giovanni Torlonia sposò Francesca Ruspoli
(1830 - 1902), figlia di Bartolomeo e nipote del III principe di Cerveteri
Francesco[1]; dal loro matrimonio nacque Clemente (1852-1899). Fabio Nannarelli[2], amico intimo e primo
biografo di Giovanni Torlonia, così lo descrive: I capelli castani, abbondanti
e finissimi, il pallore e la gracilità del volto… Ma se la fronte era di
filosofo, l'occhio era d'artista, o meglio, di contemplatore… Svelto nella
persona. Di piccola statura, incedeva frettoloso a testa alta e
pensierosa. Giovanni Torlonia si
esprimeva con eleganza in francese, inglese e tedesco e aveva studiato
diligentemente il greco e il latino, procurandosi una fastidiosa malattia agli
occhi. Spirito avido di conoscenze, fu attratto dalla chimica e dalla botanica.
Nelle sue passeggiate nella Campagna Romana raccoglieva e catalogava piante e
fiori. Appassionato di Archeologia, collezionava monete di epoca Romana e
trascriveva antiche iscrizioni. Fu socio della Pontificia Accademia di
Archeologia. Pronunciò un discorso in occasione del Natale di Roma del 1854.
Religioso fervente, è stato introdotto da Monsignor Carlo Passaglia allo studio
della Patrologia e delle Sacre scritture. La famiglia Torlonia lo tollerava, ma
lo considerava visionario e innovatore pericoloso[3]. Da Platone e da Plotino Giovanni Torlonia
approdò alla filosofia tedesca, a Kant e a Fichte. Il pensiero filosofico –
scrive Nannarelli – che gli tornava in contemplazione entusiastica, gli si
faceva poesia. Giovanni Torlonia era in
contatto con un gruppo di poeti, suoi coetanei, oggi identificati come i Poeti
della Scuola romana che di sera si ritrovavano al caffè Nuovo, a piazza San
Lorenzo in Lucina (Palazzo Ruspoli). Scrive Nannarelli che Giovanni Torlonia,
novello Mecenate, aveva raccolto intorno a sé questo gruppo di giovani spinti
dal comune ideale di ricondurre l'arte poetica agli antichi splendori. Tra
questi, c'erano Domenico Gnoli, Ignazio Ciampi, Giovanni Battista Maccari,
Teresa Gnoli e il Nannarelli stesso. Scrive Domenico Gnoli:[4]Egli volle
riuniti idealisti e classicisti, nella fiducia che, temperata la nebulosità
metafisica degli uni e la gretta sensibilità degli altri, e prendendo il meglio
d'ambedue le scuole, potesse scaturire a grado a grado un'arte nazionale o
universale, profonda e intima d'idea e di sentimento, nitida, elegante di
forma. Poeta anch'egli, scrisse versi
sull'amore, sui fiori, sulla contemplazione del Divino. Amava la poesia di
Schiller, Goethe, Lenau e soprattutto di Leopardi. Declamava Dante e Tasso. Il
suo primo poemetto, Versi, del 1853, ha meritato le lodi di Gregorovius[5].
Suoi versi apparvero nella Raccolta di poesie I fiori della campagna romana,
stampata a Firenze nel 1857 e nella Strenna Romana, del 1858, che egli curò
insieme a Paolo Emilio Castagnola. Dedicò versi alla poetessa all'improvviso
Giannina Milli e a Teresa Gnoli. Ha dedicato un sonetto anche a Giovanna
Massani, moglie di Luigi Lezzani.
Giovanni Costa, Trebbiatura nella campagna Romana, 1854 A Monte Mario,
nei casali Mellini, sotto l'Osservatorio Astronomico, Giovanni Torlonia aprì a
sue spese una scuola rurale elementare. Straordinario precursore della
alfabetizzazione delle classi povere, con Giuseppe Bondino aveva creato una
Associazione promotrice delle scuole di campagna. A questa scuola rurale
privata Giovanni Torlonia dedicò una poesia in latino, pubblicata nel 1850,
sull’Album, giornale letterario e di belle arti. La salute cagionevole di Giovanni Torlonia
ebbe riflessi nefasti, sia sul destino della scuola rurale di Monte Mario, sia
sul gruppo dei Poeti della Scuola romana. Fabio Nannarelli accorse al capezzale
di Giovanni Torlonia: lo udì recitare il Salmo 41 e versi di Lenau; lo udì
citare Platone e filosofi della scuola tedesca. Giovanni raccomandò alla moglie
di mandare il figlio Clemente al Collegio di Marina di Genova. Fabio Nannarelli
tentò di raccogliere intorno a sé i Poeti della Scuola romana - che furono
decimati nel numero, per le morti precoci - ma nel 1860 si trasferì a Milano.
Secondo le ferree disposizioni ricevute da Giovanni Torlonia, il suo cameriere,
Raimondo Coccioletti, distrusse tutte le carte dell'archivio personale. Non è
rimasto un ritratto, né una fotografia, del giovane duca Giovanni Torlonia. Ma
Domenico Gnoli conservava i manoscritti di tre poesie di Giovanni Torlonia,
inedite. Le pubblicò nel 1913.[6] Note ^
Francesca Ruspoli ^ Fabio Nannarelli, op. cit. in Bibliografia. ^ Silvio Negro,
Seconda Roma, Vicenza, Neri Pozza, 1966. ^ Domenico Gnoli, op. citata in
Bibliografia. ^ Ferdinand Gregorovius, Passeggiate per l’Italia, 1907. ^
Domenico Gnoli, I Poeti della Scuola romana (1850-1870), Bari, Laterza, 1913.
Bibliografia Fabio Nannarelli, Giovanni Torlonia, Firenze, Le Monnier, 1859.
Giuseppe Cugnoni, Vita di D. Giovanni Torlonia, Velletri, Tip. di L. Cella,
1859, SBN IT\ICCU\RML\0106048. Domenico Gnoli, I Poeti della Scuola romana (1850-1870),
Bari, Laterza, 1913, SBN IT\ICCU\LIA\0064638. Ferruccio Ulivi, I poeti della
Scuola Romana dell'Ottocento. Antologia, Bologna, Cappelli, 1964, SBN
IT\ICCU\MOD\0089750. Mariella Casini-Cortesi, Profilo di Giovanni Torlonia, una
scuola rurale a Monte Mario, in: Strenna dei Romanisti, 18 aprile 2000, pp.
497–529. Voci correlate Fabio Nannarelli Paolo Emilio Castagnola Domenico Gnoli
(poeta e storico) Poeti della Scuola romana Ignazio Ciampi Teresa Gnoli
Torlonia Elena Gnoli Controllo di autoritàVIAF (EN) 30312613 · ISNI (EN) 0000
0000 7139 5688 · LCCN (EN) no2009157121 · GND (DE) 117406309 · BAV (EN)
495/70784 · WorldCat Identities (EN) lccn-no2009157121 Biografie Portale
Biografie Letteratura Portale Letteratura Categorie: Poeti italiani del XIX secoloFilosofi
italiani del XIX secoloFilantropi italianiNati nel 1831Morti nel 1858Nati il 22
febbraioMorti il 9 novembreNati a RomaMorti a Roma[altre]
Torricelli Evangelista Torricelli Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Nota
disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi
Evangelista Torricelli (disambigua). Voce da controllare Questa voce o sezione
sull'argomento scienziati è ritenuta da controllare. Motivo: Riguarda al luogo
di nascita Roma e al paragrafo sulle dispute sul luogo di nascita, oltre alla
mancanza di fonti non si capisce perché il luogo di battesimo sia assunto anche
a luogo di nascita, visto anche che Torricelli si definiva faentino come scritto
in voce Partecipa alla discussione e/o correggi la voce. Lorenzo Lippi
Ritratto di Evangelista Torricelli, 1647 circa. Evangelista Torricelli (Faenza,
15 ottobre 1608 – Firenze, 25 ottobre 1647) è stato un matematico, fisico e
accademico italiano. Indice 1Biografia 2 La disputa sulla nascita di
Torricelli 3Evangelista Torricelli e Galileo 4Risultati di Torricelli in fisica
5Risultati di Torricelli in matematica 6Onorificenze 7Note 8Bibliografia 9 Voci
correlate 10Altri progetti 11Collegamenti esterni Biografia Nato a Roma (ma,
fino al 1987, si è ritenuto che fosse nato a Faenza)[1] da Gaspare Ruberti,
originario di Bertinoro e tessitore, e Giacoma Torricelli, faentina,
Evangelista Torricelli rimase orfano in tenera età e trascorse l'infanzia e
l'adolescenza a Faenza, dove fu iniziato allo studio dallo zio materno, Gian
Francesco Torricelli (Don Jacopo, monaco camaldolese), parroco di S.Ippolito,
che curò la sua educazione primaria. Frequentò poi la scuola dei Gesuiti, prima
a Faenza e quindi a Roma, dove si avvicinò agli studi di matematica, che
approfondì sotto la guida di Benedetto Castelli (1577-1644), padre benedettino,
rinomato professore di matematica ed idraulica al Collegio della Sapienza, e
illustre discepolo di Galileo[2]. L'11 settembre del 1632 Evangelista
Torricelli scrisse a Galileo Galilei una lettera di risposta a sue richieste a
Benedetto Castelli, che assente in quei giorni aveva lasciato allo studente il
compito di segretario; in tale lettera Torricelli colse l'occasione per
presentarsi a Galileo, che egli ammirava grandemente come cultore di astronomia
e di matematica. Il vivere da vicino le vicende del processo a Galileo indusse
Torricelli a dedicarsi più strettamente alla matematica nonostante
padroneggiasse gli strumenti teorici e fosse un abile costruttore di
cannocchiali. Negli anni dal 1632 al 1641 egli lavorò e studiò a Roma con
padre Castelli e poi divenne segretario di Giovanni Ciampoli, un alto prelato e
intellettuale devoto a Galileo, che Torricelli seguì nei suoi incarichi
governativi nelle Marche e nell'Umbria. Nel 1641 Castelli presentò a Galileo,
nel suo ritiro ad Arcetri, il manoscritto dell'opera di Torricelli dal titolo:
De motu gravium suggerendogli di impiegarlo come discepolo e assistente. Così
fu e il 10 ottobre 1641 Torricelli divenne assistente di Galileo, assieme a
Vincenzo Viviani, e su domanda e insistenza di Galilei si trasferì nella sua
abitazione[3]. Galileo morì pochi mesi dopo (l'8 gennaio del 1642). Alla
sua morte, il Granduca Ferdinando II de' Medici nominò Torricelli suo
successore come matematico del Granducato di Toscana, carica che ricoprì fino
alla morte, e divenne professore di matematica presso l'Accademia
fiorentina. Frontespizio di De dimensione parabolae in: Opera
geometrica di Evangelista Torricelli (Firenze, 1644) Oltre all'attività di
matematico e studioso di geometria, nel corso della quale elaborò diversi
importanti teoremi e anticipò il calcolo infinitesimale, egli si dedicò alla
fisica, studiando il moto dei gravi e dei fluidi e approfondendo l'ottica.
Possedeva un laboratorio nel quale realizzava egli stesso lenti e telescopi. A
causa della sua prematura scomparsa, non conosciamo i particolari del processo
originale di lavorazione, poiché lo scienziato lo aveva coperto da
segreto. Torricelli si dedicò anche allo studio dei fluidi, giungendo ad
inventare il barometro a mercurio chiamato "tubo di Torricelli" o
"tubo da vuoto di Torricelli" prima della fine del 1644. Tale
invenzione era basata nella misurazione della pressione atmosferica attraverso
l'uso di un tubo che, proprio sotto la spinta di tale pressione, veniva
riempito dal mercurio fino all'altezza costante di 760 mm (esperimento
effettuato sul livello del mare). Proprio da questa invenzione è nata l'unità
di misura della pressione "millimetri di mercurio" (mmHg) e l'uguaglianza:
1 Atm = 760 mmHg (la pressione di un'atmosfera corrisponde a 760 millimetri di
mercurio). Nello stesso anno pubblicò l'opera in tre parti dal titolo: Opera
geometrica, della quale De motu gravium costituisce la seconda parte.
Torricelli morì a Firenze a soli 39 anni, pochi giorni dopo aver contratto
probabilmente una malattia (tifo oppure polmonite)[4], e venne sepolto nella
basilica di San Lorenzo. La disputa sulla nascita di Torricelli
Torricelli si diceva faentino e tale era considerato dalle persone che lo
conoscevano, ma le ricerche compiute già subito dopo la sua morte nei registri
battesimali di Faenza non ebbero esito. Ciò diede adito ad un secolare
dibattito, durante il quale varie altre località romagnole rivendicarono
l'onore di avergli dato i natali. Nel 1958, Giuseppe Rossini ricostruì
l'albero genealogico dei Torricelli, originari della località Pideura, nel
contado faentino, risalendo di due secoli oltre la nascita di Evangelista. Solo
nel 1987, Giuseppe Bertoni, già preside del liceo che da Torricelli prende
nome, trovò nel registro dei battezzati della Basilica di San Pietro in
Vaticano l'atto di battesimo di Evangelista.[senza fonte] Ciò che aveva
tratto in inganno fino ad allora i ricercatori era il fatto che Evangelista aveva
assunto il cognome della madre anziché del padre.[senza fonte] Si sapeva che il
nome del padre era Gaspare, pertanto si cercavano notizie di un inesistente
Gaspare Torricelli. Viceversa, si avevano notizie di una Giacoma Torricelli e
si riteneva che fosse la zia paterna; era invece la madre.[senza fonte]
Evangelista Torricelli e Galileo La lettera inviata da Evangelista Torricelli
(in Roma) a Galileo Galilei (in Arcetri), datata 11 settembre 1632, è
conservata (originale autografo) alla Biblioteca Nazionale di Firenze fra i
Manoscritti Galileiani[5] è il primo documento in ordine cronologico nel
carteggio scientifico di Torricelli. Essa rappresenta un documento fondamentale
per studiare la vita e l'opera dello scienziato faentino che descrive la
propria formazione scientifica; si dichiara a conoscenza dei fatti che
portarono a breve alla condanna di Galilei e dichiara la propria 'fede'
galileiana. Di seguito il testo: «Molto Ill.re et Ecc.mo Sig.r mio
Col.mo Nella absenza del Rev.mo Padre Matematico di N. Sig.re, sono
restato io; humilissimo suo discepolo e servitore, con l'honor di suo
secretario; fra le lettere del quale havendo io letta quella di V. S. molto
Ill.re et Ecc.ma, a lei ne accuso, conforme l'ordine datomi, la ricevuta, e a
lui Rev.mo ne do parte in compendio. Potrei nondimeno io medesimo assicurar V.
S. che il Padre Abbate in ogni occasione, e con il Maestro di Sacro Palazzo e
con i compagni di quello e con altri prelati ancora, ha sempre procurato di
sostenere in piedi li Dialoghi di lei Ecc.ma, e credo che sia stato causa che
non si è fatta precipitosa resolutione. Io sono pienissimamente informato
d'ogni cosa. Sono di professione matematico, ben che giovane, scolaro del Padre
R.mo di 6 anni, e duoi altri havevo prima studiato da me solo sotto la
disciplina delli Padri Gesuiti. Son stato il primo che in casa del Padre
Abbate, et anco in Roma, ho studiato minutissimamente e continuamente sino al
presente giorno il libro di V. S., con quel gusto che ella si puol imaginare
che habbia havuto uno che, già havendo assai bene praticata tutta la geometria,
Apollonio, Archimede, Teodosio, et che havendo studiato Tolomeo et visto quasi
ogni cosa del Ticone, del Keplero e del Longomontano, finalmente adheriva,
sforzato dalle molte congruenze, al Copernico, et era di professione e di setta
galileista. Il Padre Grienbergiero, che è molto mio, confessa che il
libro di V. S. gli ha dato gusto grandissimo e che ci sono molte belle cose, ma
che l'opinione non la loda, e se ben pare che sia, non la tien per vera. Il
Padre Scheiner, quando gliene ho parlato, l'ha lodato, crollando la testa; dice
anco che si stracca nel leggerlo per le molte disgressioni. Io gli ricordavo le
medesme scuse e diffese che V. S. in più lochi va intessendo. Finalmente dice
che V. S. si è portato male con lui, e non ne vol parlare. Del resto io
mi stimo fortunatissimo in questo, d'esser nato in un secolo nel quale ho
potuto conoscere et riverir con lettere un Galileo, cioè un oracolo della
natura, et honorarmi della padronanza et disciplina d'un Ciampoli, mio
amorevolissimo signore, eccesso di meraviglia, o se adopri la penna o la lingua
o l'ingegno. Haverà quanto prima il Padre R.mo la carissima di V. S., e le
risponderà. Intanto V. S. Ecc.ma mi farà degno, ben che inetto, d'esser nel numero
de' servi suoi e de' seguaci del vero; che già so che il Padre R.mo, o a bocca
o per lettere me gli haverà altre volte offerito per tale. E per fine a V. S.
faccio con ogni maggior affetto riverenza. Roma, 11 settembre 1632. Di V.
S. molto Ill.re et Ecc.ma Sig.r Gall. Gal.» Risultati di Torricelli in
fisica La lettura approfondita delle Due nuove scienze, l'ultima opera di
Galileo dei cui ultimi capitoli seguì direttamente la stesura ad Arcetri, gli
ha suggerito molti sviluppi dei principi della meccanica ivi stabiliti; tali
sviluppi sono esposti nel trattato dal titolo De motu gravium. Nel 1644,
anno di edizione della sua Opera Geometrica, concepì il principio del
barometro, costruendo quello che ora è chiamato tubo di Torricelli e individuando
il "vuoto torricelliano". Torricelli e Viviani dimostrarono che il
vuoto può esistere in natura e che l'aria ha un peso ponendo quindi fine alle
millenarie discussioni filosofiche sull'horror vacui.[6] Un'unità di misura
della pressione è stata chiamata Torr in suo onore e corrisponde a millimetri
di mercurio. L'unità di misura del Sistema Internazionale è invece il pascal,
in onore di un altro illustre fisico Blaise Pascal, che fece fiorire numerose
ricerche sperimentali dalla estesa e definitiva teoria della pressione
atmosferica descritta da Torricelli. La parola barometro coniata da
Robert Boyle nel 1667 è oggi quasi sempre associata al nome di Torricelli che
risulta quindi fra i più celebri scienziati italiani nella storia.
Risultati di Torricelli in matematica Essendo in diretto contatto con Cavalieri
iniziò a lavorare con la Geometria degli indivisibili e ben presto superò,
secondo lo stesso Cavalieri, il suo maestro. Fu abilissimo
nell'utilizzarne le tecniche, cioè il metodo degli indivisibili, come anche il
metodo d'esaustione, che era in uso presso gli antichi, fra tutti il grande
Archimede, di cui Torricelli fu entusiasta ammiratore: a lui dobbiamo la
riscoperta nel Rinascimento del matematico siracusano. Per il gusto di
imitare i classici, Torricelli dimostrò in 21 modi diversi un teorema di
Archimede: 11 con il metodo d'esaustione, 10 con il metodo degli
indivisibili. Spesso i risultati ottenuti con la geometria degli
indivisibili venivano poi confermati con altre dimostrazioni, a causa della
controversia sulla loro fondatezza. Il fatto interessante è che lo stesso
Archimede aveva elaborato una sorta di geometria degli indivisibili, ma non la
riteneva rigorosa, e perciò dimostrava sempre i suoi risultati con il metodo
d'esaustione. Tutto ciò si è scoperto soltanto nel 1906, quando il filologo
danese Heilberg scoprì un palinsesto con un'opera sconosciuta di Archimede, il
Metodo meccanico, nel quale esponeva questi procedimenti. Torricelli è
famoso per la scoperta del solido di rotazione infinitamente lungo detto tromba
di Gabriele, da lui chiamato "solido iperbolico acutissimo", avente
l'area della superficie infinita, ma il volume finito. Questo fu considerato
per molto tempo un paradosso "incredibile" per molti, incluso lo stesso
Torricelli, che cercò diverse spiegazioni alternative, anche perché l'idea di
un secchio che è possibile riempire di vernice, ma impossibile da pitturare è
senz'altro singolare. Il solido in questione ha scatenato un'aspra controversia
sulla natura dell'infinito, che ha coinvolto anche il filosofo Thomas Hobbes.
In questa disputa alcuni hanno sostenuto che il solido conducesse all'idea di
un "infinito completo". Torricelli è stato pioniere nel settore
delle serie infinite. Nella sua opera intitolata De dimensione parabolae del
1644, Torricelli considerò una successione decrescente di termini positivi
{\displaystyle a_{0},a_{1},a_{2}\cdots }{\displaystyle a_{0},a_{1},a_{2}\cdots
} e ha mostrato che la corrispondente serie telescopica {\displaystyle
(a_{0}-a_{1})+(a_{1}-a_{2})+\cdots }{\displaystyle
(a_{0}-a_{1})+(a_{1}-a_{2})+\cdots } converge necessariamente a {\displaystyle
a_{0}-L}{\displaystyle a_{0}-L}, dove L denota il limite della successione; in
questo modo riuscì a dare una dimostrazione della espressione per la somma
della serie geometrica. Onorificenze Ad Evangelista Torricelli sono stati
dedicati il cratere Torricelli di 22 km di diametro sulla Luna[7] e l'asteroide
7437 Torricelli. Gli è anche dedicata una piazza nel centro storico di Pisa,
dove per lungo tempo aveva sede il Dipartimento di Fisica dell'Università prima
del trasloco nell'attuale sede nell'ex fabbrica Marzotto. A Faenza, è presente
una statua (ubicata di fronte alla chiesa di San Francesco) che lo raffigura
con in mano un barometro a mercurio (curiosità sulle proporzioni: l'altezza del
barometro è inferiore a quella reale, che deve essere di almeno 76 cm). Sempre
a Faenza, è intitolato a Torricelli fin dal 1865 il Liceo che ha sede
nell'antico palazzo dei Gesuiti di cui Evangelista fu allievo. Note ^ Per
la storia della scoperta della vera origine di Torricelli, vedi anche
Registrazione del convegno per il quarto centenario della nascita di
Torricelli, ottobre 2008 ^ Mario Di Fidio, Claudio Gandolfi, Idraulici italiani
(PDF), Fondazione BEIC, 2014, p. 75. ^ Mario Di Fidio, Claudio Gandolfi,
Idraulici italiani (PDF), Fondazione Biblioteca Europea di Informazione
Cultura, 2015, p. 73. ^ Mario Di Fidio, Claudio Gandolfi, Idraulici italiani
(PDF), Fondazione BEIC, 2014, p. 77. ^ collocazione P. VI, T. XI, e. 232 ^ In
questa sperimentazione venne preceduto di qualche anno dal fisico contemporaneo
Gasparo Berti, che condusse un esperimento "barometrico" utilizzando
acqua anziché mercurio. Cfr. L'esperimento di Berti, realizzato a Roma fra il
1640 e il 1643 ^ (EN) Moon: Torricelli Bibliografia Questo testo proviene in
parte dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera
del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze (home
page), pubblicata sotto licenza Creative Commons CC-BY-3.0 Giuseppe Rossini, La
famiglia di Evangelista Torricelli, in AA.VV., Convegno di studi torricelliani
in occasione del 350º anniversario della nascita di Evangelista Torricelli:
19-20 ottobre 1958, Faenza, Lega, 1959, pp. 133-149. Giuseppe Bertoni, La
faentinità di Evangelista Torricelli e il suo vero luogo di nascita, in Studi e
ricerche del Liceo Torricelli, Faenza, Ragazzini, 2003, pp. 5-12. Fabio
Toscano, L'erede di Galileo. Vita breve e mirabile di Evangelista Torricelli,
Milano, Sironi, 2008. André Weil (1989): Prehistory of the Zeta-Function, in
"Number Theory, Trace Formulas and Discrete Groups", Aubert, Bombieri
and Goldfeld, eds., Academic Press Amir Alexander, Infinitamente piccoli. La
teoria matematica alla base del mondo moderno, Torino, Codice edizioni, 2015,
pp. 111-128. Voci correlate Barometro di Torricelli Equazione di Torricelli
Legge di Torricelli Torr Tromba di Torricelli Liceo ginnasio statale
Evangelista Torricelli Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene
una pagina dedicata a Evangelista Torricelli Collabora a Wikiquote Wikiquote
contiene citazioni di o su Evangelista Torricelli Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Evangelista Torricelli
Collegamenti esterni Evangelista Torricelli, su Treccani.it – Enciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Giovanni Vacca,
Evangelista Torricelli, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Evangelista Torricelli, su Enciclopedia
Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Evangelista
Torricelli, su accademicidellacrusca.org, Accademia della Crusca. Modifica su
Wikidata (EN) Evangelista Torricelli, su MacTutor, University of St Andrews,
Scotland. Modifica su Wikidata (EN) Evangelista Torricelli, su Mathematics
Genealogy Project, North Dakota State University. Modifica su Wikidata Opere di
Evangelista Torricelli, su Liber Liber. Modifica su Wikidata Opere di
Evangelista Torricelli, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su
Wikidata (EN) Opere di Evangelista Torricelli, su Open Library, Internet
Archive. Modifica su Wikidata (EN) Evangelista Torricelli, in Catholic
Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata (EN) Evangelista
Torricelli, in Galileo Project, Rice University. Carla Rita Palmerino,
Evangelista Torricelli, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero:
Scienze, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2013. Controllo di autoritàVIAF
(EN) 24633476 · ISNI (EN) 0000 0000 8076 6399 · SBN IT\ICCU\RAVV\037977 · LCCN
(EN) n85800789 · GND (DE) 118623427 · BNF (FR) cb12117674q (data) · BNE (ES)
XX1762491 (data) · NLA (EN) 35791203 · BAV (EN) 495/100568 · CERL cnp00396713 ·
WorldCat Identities (EN) lccn-n85800789 Biografie Portale Biografie Fisica
Portale Fisica Matematica Portale Matematica Categorie: Matematici italiani del
XVII secoloFisici italiani del XVII secoloAccademici italiani del XVII
secoloNati nel 1608Morti nel 1647Nati il 15 ottobreMorti il 25 ottobreNati a
FaenzaMorti a FirenzeStudenti della Sapienza - Università di Roma[altre]
Trabucco Mario Trabucco Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Mario Trabucco (... –
...) è stato un medico e filosofo italiano.
Non abbiamo grandi notizie della sua vita, della quale sappiamo solo che
esercitò con successo la medicina a Caltagirone, soprattutto durante l'epidemia
del 1622. Per il suo contributo fu creato nobile il 4 ottobre 1622 da Fernando
d'Aragona. Alcune sue opere sono conservate nella Biblioteca Comunale di
Caltagirone, città che gli ha anche dedicato una strada. Opere "De Morbis puerorum et
mulierum" Bibliografia Chaudon, L. M., Dictionnaire universel, historique,
critique, et bibliographique, 1812, tomo XVII, pag. 276, s. v. Amico e
Statella, V. M., Dizionario topografico della Sicilia, Palermo 1855, tomo I, p.
206. Libro d'oro della nobilità dell'imperial casa amoriense, Roma, vol. I, p.
282, s.v. Amati, A., Dizionario corografico dell'Italia, 1868, p. 157.
Biografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di
Biografie Categorie: Medici italianiFilosofi italiani del XVII secolo[altre]
Tragella Cesare Tragella Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Cesare Tragella prevosto
della Chiesa cattolica CesareTragella.jpg Monastergen.png Nato4 gennaio 1852,
Trezzano sul Naviglio Ordinato presbitero30 maggio 1874 dall'arcivescovo Luigi
Nazari di Calabiana Deceduto8 maggio 1934, Magenta Cesare Tragella (Trezzano
sul Naviglio, 4 gennaio 1852 – Magenta, 8 maggio 1934) è stato un filosofo e
presbitero italiano. Indice 1 Biografia 1.1I primi
anni 1.2 Le
grandi opere a Magenta 1.3Le accuse e gli ultimi anni travagliati 2Onorificenze
2.1Onorificenze italiane 2.2Onorificenze straniere 3Note 4Bibliografia 5Voci
correlate 6Collegamenti esterni Biografia I primi anni Cesare Tragella nacque a
Trezzano sul Naviglio nel 1852, figlio primogenito di Giovanni, medico
chirurgo, e da Amalia Santagostino. Dopo
aver frequentato il collegio di Gorla Minore, frequentò il seminario maggiore
di Milano e divenne sacerdote nel 1874, venendo destinato come coadiutore
presso la parrocchia di Santa Maria Nuova di Abbiategrasso dopo che il padre
dal 1867 era stato assunto presso le Pie Case degli Incurabili di quella città.
Successivamente divenne dottore in teologia presso l'Accademia pontificia di
Torino. Da questo momento si occupò molto di filosofia e di letteratura
cattolica avvicinandosi molto ideologicamente alle posizioni dell'allora
arcivescovo di Milano Luigi Nazari di Calabiana[1]. Furono questi gli anni inoltre che conobbe
don Davide Albertario, proprietario e direttore de L'Osservatore Cattolico, al
quale si legò molto a livello ideologico e per il quale scrisse diversi
articoli che vennero pubblicati sul giornale[1]. Le grandi opere a Magenta Nel 1884 venne
nominato parroco a Magenta, facendo il proprio ingresso il 12 giugno 1885 e qui
si occupò subito delle esigenze pratiche della città, interessandosi animosamente
alla vita politica del borgo. Nello stesso anno del suo ingresso nella nuova
parrocchia fondò assieme al celebre professore di musica Luigi Valisi la Banda
civica di Magenta che ancora oggi esiste. Nel 1893, prese parte alle esequie
del maresciallo francese Mac Mahon che si svolsero in Francia, in
rappresentanza della cittadinanza assieme al sindaco di Magenta. In questa
occasione venne decorato con la croce di cavaliere dell'Ordine della Legion
d'Onore. Tornato a Magenta, si prodigò per la raccolta dei fondi necessari alla
realizzazione di un monumento alla memoria del maresciallo Mac Mahon che ancora
oggi si trova nei pressi della stazione ferroviaria. Nel 1898 svolse altri incarichi ufficiali di
rappresentanza quando il governo austriaco lo incaricò di distribuire le
onorificenze coniate dall'Impero in occasione dei cinquant'anni di regno
dell'Imperatore Francesco Giuseppe d'Austria (il famoso Signum Memoriae) a quei
cittadini del magentino che avessero combattuto a suo tempo nelle armate
austriache[2]. In quello stesso anno si preoccupò di muovere col comune una
petizione popolare per la costruzione di una pensilina alla storica stazione
ferroviaria di Magenta e riuscì a provvedere dei fondi per la costruzione di un
ospizio per i vecchi[3] La Basilica
Minore romana di San Martino di Magenta, fatta erigere su progetto
dell'architetto Alfonso Parrocchetti, amico di don Cesare Targella Sempre nel
1898, accogliendo le proposte dei fedeli, decise di costruire una nuova chiesa
parrocchiale (successivamente elevata al titolo di Basilica Minore romana) che
andasse a sostituire la piccola e antica chiesa di san Martino (che venne
successivamente abbattuta). Egli stesso fu l'autore del nuovo progetto ispirato
alle cattedrali rinascimentali e si occupò in esso di serbare la memoria
storica degli eventi della battaglia di Magenta del 4 giugno 1859 con la
costruzione di una cappella espiatoria all'interno della chiesa per accogliere
le spoglie dei caduti. Quest'ultimo progetto non ebbe l'autorizzazione della
curia milanese in quanto era ritenuto sacrilego porre delle ossa non
appartenenti a santi o personalità venerate all'interno di un luogo di culto.
L'idea del Targella era indubbiamente quella di accomunare tutti, vincitori e
vinti, di fronte alla morte e ricordare nel contempo la necessità di non creare
divisioni sociali dopo l'unità italiana. Il progetto della chiesa, ad ogni
modo, venne concluso nel 1903 ed in quello stesso anno don Tragella poté
inaugurare il nuovo tempio assieme al vescovo di Vigevano, Giacomo Merizzi e al
vescovo ausiliare di Milano. Al termine
di questa grande epopea venne nominato Ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio
e Lazzaro e Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia e nel 1910 lasciò
Magenta per Inverigo cedendo il posto a don Domenico Bernareggi, fratello
minore dell'allora vescovo di Bergamo, Adriano Bernareggi[4] e poi, anche lui,
divenuto Vescovo (ausiliare di Milano).
Nel 1908 fondò a Magenta il Forno Cooperativo Ambrosiano per combattere
la cattiva nutrizione della popolazione e consentire di avere pane di ottima
qualità anche nelle campagne, e a prezzi accessibili[5]. Le accuse e gli ultimi anni travagliati Busto di don Cesare Tragella nella Basilica
di San Martino di Magenta Malgrado la munifica opera sostenuta dal Tragella
negli anni della sua direzione della parrocchia di Magenta, nel 1919, al
termine del primo conflitto mondiale, venne accusato di appropriazione indebita
di fondi appartenenti alla parrocchia di San Martino e di aver portato in
fallimento la sua chiesa. Gli accusatori erano alcuni fabbricieri magentini e
alcune tra le personalità di maggiore spicco nel paese come il commendatore
Giovanni Giacobbe (direttore dell'Asilo e proprietario dell'omonima villa
storica) ed il sindaco Giovanni Brocca il quale aveva avuto non pochi contrasti
per le idee rivoluzionarie di don Tragella. Il sacerdote venne pertanto
condannato alla pena di due anni e quattro mesi di prigione. Visto però il suo
lodevole operato e la sua fama di filosofo e letterato, Vittorio Emanuele III
di Savoia lo graziò con la commutazione della pena a due mesi di carcere da
scontarsi nel carcere di San Vittore a Milano[4]. Dopo di questo, don Tragella
visse per qualche tempo ospite del parroco di Margno in Valsassina per poi fare
ritorno a Magenta. Tornato nella sua ex
parrocchia come residente nel 1920, gli venne impartito l'ordine di non
occuparsi più della cosa pubblica, cosa non facile per un personaggio come lui.
Con il nuovo parroco insorsero subito dei contrasti circa la gestione delle
finanze della chiesa ed a questo punto, il 27 luglio 1923 gli giunse la
sospensione ecclesiastica da parte della curia.
Ammirato dal popolo malgrado le peripezie della sua vita, Cesare
Tragella si spense a Magenta l'8 maggio del 1934. Onorificenze Onorificenze italiane Cavaliere
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro - nastrino per uniforme ordinariaCavaliere
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Cavaliere dell'Ordine della Corona
d'Italia - nastrino per uniforme ordinariaCavaliere dell'Ordine della Corona
d'Italia Croce pro Ecclesia et Pontifice - nastrino per uniforme ordinariaCroce
pro Ecclesia et Pontifice Onorificenze straniere Cavaliere dell'Ordine della
Legion d'Onore (Francia) - nastrino per uniforme ordinariaCavaliere dell'Ordine
della Legion d'Onore (Francia) Note
Tunesi, Morani, Le stagioni, op. cit.. ^ Viviani, op. cit., p. 292. ^
Ricovero vecchi poveri (1902-1943) Sito Lombardia Beni Culturali. Viviani, op. cit., p.292. ^ Don Tragella
ridusse il prezzo del pane giallo di 10 centesimi al chilogrammo (quello bianco
era riservato solo alle classi più abbienti), cfr. Tunesi, Morani Le stagioni,
op. cit.. Bibliografia Cesare Tragella, Lettera a Romolo Murri n.185 del 6
settembre 1898, in: Romolo Murri, Lorenzo Bedeschi (cur.), Carteggio. II.
Lettere a Murri. 1898, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1971, p.
181-182. Carlo Morani, Natalia Tunesi, Le stagioni di un prete: storia di Don
Cesare Tragella, prevosto di Magenta (1852-1934), Giussano, Graffiti, 1993.
Carlo Morani, Natalia Tunesi, G. Vian, Le stagioni di un prete, «Rivista di
Storia e Letteratura Religiosa», 31 (3), 1995, p. 578. ISSN 0035-6573 (WC ·
ACNP) Ambrogio Viviani, 4 giugno 1859. Dalle ricerche la prima storia vera,
Magenta, Zeisciu, 1997. Voci correlate Magenta (Italia) Battaglia di Magenta
Collegamenti esterni Centro Culturale Don Cesare Tragella di Magenta AIC -
Associazione italiana centri culturali. PredecessorePrevosto di MagentaSuccessoreMonastergen.png
Carlo Giardini1885-1910Domenico Bernareggi Controllo di autoritàVIAF (EN)
4166649 · ISNI (EN) 0000 0000 4249 0205 · LCCN (EN) n94087772 · WorldCat
Identities (EN) lccn-n94087772 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo
Portale Cattolicesimo Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani
del XIX secoloFilosofi italiani del XX secoloPresbiteri italianiNati nel
1852Morti nel 1934Nati il 4 gennaioMorti l'8 maggioNati a Trezzano sul
NaviglioMorti a Magenta (Italia)Ufficiali dell'Ordine della Corona
d'ItaliaDecorati con l'Ordine dei Santi Maurizio e LazzaroCavalieri della
Legion d'onore[altre]
Trapè Trapè Da Wikipedia, l'enciclopedia
libera. Jump to navigationJump to search Agostino Trapè, O.S.A. (Montegiorgio,
9 gennaio 1915 – Roma, 14 giugno 1987), è stato un presbitero e filosofo
italiano, uno dei massimi studiosi del pensiero di sant'Agostino.
Indice 1Biografia 2Opere (selezione) 3Note 4Altri progetti 5Collegamenti
esterni Biografia Nato a Montegiorgio nelle Marche il 9 gennaio del 1915 Trapè
fu ordinato sacerdote a Roma il 15 luglio 1937. Si laureò in Teologia
sistematica nel 1938, presso l'Università Gregoriana con una tesi intitolata Il
concorso divino nel pensiero di Egidio Romano, pubblicata a Tolentino nel
1942.[1] Trapè fu professore presso la Pontificia Università Lateranense
dal 1960 al 1983. [2] Priore Generale dell'Ordine agostiniano dal 26 agosto
1965 al 10 settembre 1971 Agostino Trapè, promosse la fondazione dell'Istituto
Patristico Augustinianum.[3] Trapè ha fondato e diretto la "Nuova
Biblioteca Agostiniana" che si occupa della pubblicazione dell'Opera Omnia
di S. Agostino in edizione bilingue latino-italiano (Edita da Città Nuova) e la
serie del "Corpus Scriptorum Augustianorum", che pubblica le opere
dei filosofi scolastici agostiniani. Le sue opere sono state tradotte in
varie lingue. Opere (selezione) Il concorso divino nel pensiero di Egidio
Romano, Tolentino 1942; La doctrina de Seripando acerca de la concupiscencia,
La ciudad de Dios 159 (1947), pp. 501-533. Traduzione italiana; Introduzione a
S. Agostino e le grandi correnti della filosofia contemporanea. Atti del
congresso Italiano di filosofia Agostiniana, Roma 20-23 ottobre 1954. Tolentino
1956, pp. X-XVI; Varro et Augustinus praecipui humanitatis cultores, Latinitas
23 (1975) 13-24; Augustinus et Varro, in Atti del Congresso internazionale di
studi varroniani, Rieti 1976, pp. 553-563; Escatologia e antiplatonismo di
Sant'Agostino, Augustinianum 18 (1978), 237-244; S. Agostino filosofo e teologo
dell'uomo, Bollettino dell’Istituto di filosofia, Università di Macerata, anno
accademico 1978-1979, pp. 89-104; S. Agostino: L'ineffabilità di Dio, in AA.
VV. «La ricerca di Dio nelle religioni», EMI, Bologna, 1980; La Aeterni Patris
e la filosofia cristiana di S. Agostino, in Atti del VIII Congresso Tomistico
internazionale, Roma 1981, I, pp. 201-217; S. Agostino, l'uomo, il pastore, il
mistico, Fossano, 1976; Roma, Città Nuova, 2001, 440 pp. [traduzione spagnola,
Buenos Aires, 1984; tedesca, Monaco, 1984; Polacca, Varsavia, 1984; inglese,
New York, 1986; francese, Parigi, 1988; ungherese, Budapest, 1987]; S.
Agostino, in Patrologia III, Casale Monferrato 1978, pp. 322-434 [traduzione
spagnola, Madrid, 1981, pp. 405-553]; Agostino d'Ippona, in Dizionario
patristico e di antichità cristiana, Casale Monferrato, 1983, I, pp. 91-104.
[traduzione spagnola. Ed. Sígueme. Salamanca, 1992, vol. II, pp. 1728-1730];
Introduzione e commento alla Lettera apostolica «Hipponensem episcopum», Roma,
1988; Introduzione generale a sant'Agostino, Roma, 2006, pp. 380. Note ^ A.
TRAPÉ, Il concorso divino nel pensiero di Egidio Romano, Tolentino 1942, su
agostinotrape.it. ^ Agostino Trapè. L'amico, il maestro, il pioniere, Carlo
Cremona, Città Nuova, 2004, p. 49 ^ Agostino Trapè. L'amico, il maestro, il
pioniere, Carlo Cremona, Città Nuova, 2004, p. 71 Altri progetti Collabora a
Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Agostino Trapè Collegamenti
esterni Agostino Trapè - apostolo della cultura. Sito internet dedicato
all'opera di Agostino Trapè Controllo di autoritàVIAF (EN) 7406183 · ISNI (EN)
0000 0001 2119 3081 · SBN IT\ICCU\CFIV\010387 · LCCN (EN) n81149630 · GND (DE)
110316576 · BNF (FR) cb12032896m (data) · BAV (EN) 495/77355 · WorldCat
Identities (EN) lccn-n81149630 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo
Portale Cattolicesimo Filosofia Portale Filosofia Categorie: Presbiteri
italianiFilosofi italiani del XX secoloNati nel 1915Morti nel 1987Nati il 9
gennaioMorti il 14 giugnoNati a MontegiorgioMorti a Roma[altre]
Trasci -- Ferruccio Baffa Trasci Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Ferruccio Baffa Trasci
vescovo della Chiesa cattolica Coat of Arms of Ferruccio Baffa-Trasci.svg Nato 27
agosto 1590 a Bisignano Deceduto30 ottobre 1656 a Roma Manuale Ferrante Marco Antonio Baffa Trasci
(Bisignano, 27 agosto 1590 – Roma, 30 ottobre 1656) è stato un vescovo
cattolico, teologo e filosofo italiano.
Baffa-Trasci Arms of Baffa-Trasci.svg Spera in Deo D'azzurro, un aratro
d'argento, sostenente un basilisco verde. Data di fondazioneXVI secolo Etniaitaliana
Manuale Baffa Trasci nacque in una famiglia di origine arbëreshë a Bisignano in
Calabria nel 1590, figlio primogenito di Pietro Antonio ed Elisabetta Anna
Trentacapilli, donna pia e molto religiosa, erede di una famiglia da più secoli
ascritta al patriziato locale. Pur essendo il primogenito della famiglia e,
dunque, contravvenendo alle regole del maggiorascato, a causa della salute
cagionevole venne avviato alla carriera ecclesiastica nel locale Seminario di
Bisignano, proseguendo in seguito gli studi a Roma e Napoli. Fu nella città
partenopea che si legò particolarmente alla Compagnia di Gesù divenendo in
breve tempo uno dei confessori più vicini a Isabella della Rovere[1],
principessa di Bisignano[2]. L'esilio
volontario a Proceno Pur giovanissimo per non essere distolto dai propri studi
filosofici si ritirò volontariamente a vita privata, dapprima nella Tuscia e
poi ospite nel Castello di Proceno, presso Viterbo di proprietà della nobile
famiglia Sforza. Ancora nei primi del XX secolo una lapide marmore posta nella
rocca ne ricordava la sua permanenza[3]. Da tale volontario esilio uscì in
pochissime occasioni, per lo più per viaggi in Spagna, a Saragozza e Valladolid
a capo di missioni diplomatiche presso l'arcivescovo Juan Cebrían Pedro
assistito dal nipote Stanislao Baffa Trasci. Fu durante la reclusione
volontaria nella Rocca di Proceno che ebbe modo di conoscere Galileo Galilei
ospite nel palazzo durante un suo viaggio verso Roma[2]. La morte Ormai sessantaseienne, dopo esser
stato per alcun tempo vescovo ausiliare di Umbriatico[4], nell'estate del 1656
venne creato Vescovo titolare di Massimianopoli in partibus infidelium da papa
Alessandro VII[2]. Ferruccio Baffa
Trasci morì a Roma nell'ottobre dello stesso anno di peste presso il Lazzaretto
istituito sull'Isola Tiberina, venendo sepolto in una fossa comune. Gran Parte
dei suoi scritti vennero salvati dai nipoti e riordinati nel XIX secolo dal
pronipote Vincenzo Baffa Trasci. Il noto storico romano Giuseppe Tomassetti
dedicò un breve saggio sulla sua figura dal titolo Cenno storico sulla vita di
S.E. Ferrante Baffa Trasci Illustrissimo Vescovo di Massimianopoli 1590 -
1656. Opere Traduzione dei Pensieri o
Colloqui con se stesso di Marco Aurelio Universam Aristotelis philosophiam
Summa Aristotelicha Summa Theologica Dogmatica[5] Note ^ Bonita - Bojani, I
della Rovere nell'Italia della corti, Ed. Quattroventi 2002 Tomassetti G., Cenno storico sulla vita di
S.E. Ferrante Baffa Trasci Illustrissimo Vescovo di Massimianopoli 1590 - 1656,
Roma 1888 ^ C. Nutarelli, Proceno-Memorie storiche, Stab. Tip. FABRIZIO
Acquapendente 1932 ^ C. Nutarelli, Proceno-Memorie storiche, Stab. Tip.
FABRIZIO Acquapendente 1932 ^ D. Baffa Trasci Amalfitani di Crucoli, Ferruccio
Baffa Trasci-un erudito italoalbanese del XVII secolo ormai dimenticato,
Edizioni MIT Cosenza 2008 Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ferruccio Baffa Trasci
PredecessoreVescovo titolare di MassimianopoliSuccessore ...luglio 1656- 30
ottobre 1656.. Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo
Filosofia Portale Filosofia Categorie: Vescovi cattolici italiani del XVII
secoloTeologi italianiFilosofi italiani del XVII secoloNati nel 1590Morti nel
1656Nati il 27 agostoMorti il 30 ottobreNati a BisignanoMorti a Roma[altre]
Treves Renato Treves Da Wikipedia, l'enciclopedia
libera. Jump to navigationJump to search Renato Samuele Treves (Torino, 6
novembre 1907 – Milano, 31 maggio 1992) è stato un filosofo e sociologo
italiano. Indice 1Biografia 2Pensiero
3Opere principali 4Bibliografia 5Voci correlate 6Collegamenti esterni Biografia
Renato Treves nasce a Torino il 6 novembre 1907. Compie gli studi al Liceo M.
D'Azeglio e poi nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Torino, dove
entra in contatto, fra gli altri, con Norberto Bobbio, Vittorio Foa, Piero
Luzzati, Alessandro Passerin d'Entrèves, e simpatizza con il gruppo di
Giustizia e Libertà abbracciando i principi del socialismo liberale. Laureatosi
sotto la guida di Gioele Solari con una tesi su Henri de Saint-Simon e
conseguita la libera docenza, insegna dapprima nell'Università di Messina, dove
viene arrestato per sospetta attività antifascista, ma subito rilasciato.
Trasferito all'Università di Urbino, nel 1938 viene escluso, in quanto
proveniente da famiglia ebraica, dal concorso bandito sulla sua cattedra e si
trasferisce in Argentina. Qui sposa Fiammetta Lattes da cui ha tre figli
(Tullio, Aldo e Anna) e insegna filosofia del diritto e sociologia
nell'Università di Tucumán fino al 1947.
Rientrato in Italia e riottenuta la cattedra nell'Università di Parma,
si trasferisce subito all'Università di Milano dove insegna Filosofia del
diritto, Sociologia e Sociologia del diritto. Protagonista della rinascita
post-bellica della sociologia in Italia, coopera attivamente col Centro
nazionale di prevenzione e difesa sociale e col suo segretario generale Adolfo
Beria di Argentine, coordinando fra l'altro una vasta ricerca su
“L'amministrazione della giustizia e la società italiana in trasformazione” da
cui escono fra il 1967 e il 1976 dodici volumi di vari autori. Nel 1962
promuove con William M. Evan e Adam Podgórecki la costituzione del Research
Committee on Sociology of Law della International Sociological Association.
Presiede questo Comitato fino al 1974 facendosi attivo promotore, in patria e all'estero,
soprattutto in Spagna, della sociologia del diritto. Fonda nel 1974 la rivista
italiana della disciplina, di cui ottiene il riconoscimento accademico e che
insegna a Milano sino al ritiro nel 1983. Nel 1989 è tra i promotori
dell'International Institute for the Sociology of Law di Oñati (Guipúzkoa, País
Vasco, Spagna). È nominato dottore honoris causa dalle Università del País
Vasco, Carlos III de Madrid e Pandios di Atene. Muore a Milano il 31 maggio
1992. Pensiero Renato Treves difende una
posizione filosofica relativista e prospettivista, influenzata da autori come
Karl Mannheim, José Ortega y Gasset, Charles Wright Mills e Hans Kelsen, del
quale ultimo introduce in Italia la Dottrina pura del diritto. Alieno dal
dogmatismo e paladino di una concezione critica della scienza, rifiuta ogni
visione metafisica del diritto in favore di una visione metodologica che sfocia
nella sociologia del diritto intesa come scienza prevalentemente empirica, non
avalutativa, ma ispirata a valori, nel suo caso quelli di libertà e giustizia
sociale. Treves è considerato insigne maestro per un'intera generazione di
filosofi e sociologi del diritto. Per Renato Treves due erano i problemi che la
sociologia del diritto doveva affrontare: da un lato la posizione, la funzione
e il fine del diritto nella società vista nel suo insieme; dall'altro la
società nel diritto, cioè quei comportamenti effettivi che possono essere
conformi e difformi rispetto alle norme, ma comunque forniscono informazioni su
come una società vive le regole che si è data. Del primo problema si sono
occupate soprattutto le dottrine sociologiche e politologiche, mentre sul
secondo si sono soffermate le dottrine giuridiche antiformalistiche. Opere principali Il diritto come relazione,
Torino, 1934 Sociología y filosofía social, Buenos Aires, 1941 Benedetto Croce,
filósofo de la libertad, Buenos Aires, 1943 Diritto e cultura, Torino, 1947
Spirito critico e spirito dogmatico, Milano, 1954 Libertà politica e verità,
Milano, 1962 Giustizia e giudici nella società italiana, Bari, 1972
Introduzione alla sociologia del diritto, Torino, 1977 Sociologia del diritto.
Origini, ricerche, problemi, Torino, 1987 Sociologia e socialismo. Ricordi e
incontri, Milano, 1990. Bibliografia AA. VV:, Dizionario biografico dei giursti
italiani (XII-XX secolo), Bologna, Il MUlino, vol. II, pp. 1977-1980 André-Jean
Arnaud e Simona Andrini, Jean Carbonnier, Renato Treves et la sociologie du
droit. Archéologie d'une discipline, LGDJ, Parigi, 1995. Norberto Bobbio, Il
magistero di Renato Treves, in La Nuova Antologia, n. 553, ottobre-dicembre
1984, p. 204 ss. Arturo Colombo, La lezione di Renato Treves, in La Nuova
Antologia, n. 2183, luglio-settembre 1992, p. 315 ss. Elías Díaz, Renato Treves
(1907-1992), in Doxa. Cuadernos de Filosofía del Derecho, 1992, 12, p. 25 ss.
Vincenzo Ferrari, Renato Treves sociologo del diritto, in Rivista
internazionale di filosofia del diritto, LXX, IV serie, gennaio-marzo 1993, p.
21 ss. Vincenzo Ferrari, Treves, Renato, in International Encyclopedia of Law
and Society, Sage, Thousand Oaks-London-New Delhi-Singapore, 2007, III, p.
1520-1. Vincenzo Ferrari e Nella Gridelli Velicogna, Philosophy and Sociology
of Law in the Work of Renato Treves, in Ratio Juris, vol. 6, n. 2, July 1993,
p. 202 ss. Vincenzo Ferrari, Morris L. Ghezzi e Nella Gridelli Velicogna (a
cura di), Diritto, cultura e libertà. Atti del convegno in memoria di Renato
Treves (Milano, 13-15.10.1994), Giuffrè, Milano, 1997. Morris L. Ghezzi, La
scienza del dubbio. Volti e temi di sociologia del diritto, Mimesis,
Milano-Udine, 2009, p. 19 ss. Mario G. Losano, Renato Treves, sociologo tra il
vecchio e il nuovo mondo, Unicopli, Milano, 2000. Pio Marconi, Il legato
culturale di Renato Treves, in Sociologia del diritto, XXXVI, 2009, 1, p. 5-26.
Aristide Tanzi, Renato Treves, dalla filosofia alla sociologia del diritto,
ESI, Napoli, 1988. Carlo Nitsch, Renato Treves esule in Argentina. Sociologia,
filosofia sociale, storia. Con documenti inediti e la traduzione di due scritti
di Treves, Memorie dell'Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze
Morali, Storiche e Filologiche, Serie V, Volume 38, fasc. 2, 2014 Voci
correlate Sociologia del diritto Collegamenti esterni AA. VV., «Treves, Renato
(propr. Samuele Renato)» in Dizionario di filosofia, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Controllo di autoritàVIAF (EN) 19694041 ·
ISNI (EN) 0000 0001 1970 6327 · SBN IT\ICCU\CFIV\063429 · LCCN (EN) n82015494 ·
GND (DE) 120167255 · BNF (FR) cb12036000h (data) · BNE (ES) XX940296 (data) ·
BAV (EN) 495/270604 · WorldCat Identities (EN) lccn-n82015494 Biografie Portale
Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX
secoloSociologi italianiNati nel 1907Morti nel 1992Nati il 6 novembreMorti il
31 maggioNati a TorinoMorti a MilanoEbrei italianiFilosofi del dirittoSociologi
del dirittoMembri dell'Accademia delle Scienze di Torino[altre]
Tria Giovanni Andrea Tria Da Wikipedia, l'enciclopedia
libera. Jump to navigationJump to search Niente fonti! Questa voce o sezione
sugli argomenti vescovi italiani e filosofi italiani non cita le fonti
necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Puoi migliorare questa voce
aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sull'uso
delle fonti. Giovanni Andrea Tria arcivescovo della Chiesa cattolica
Template-Archbishop.svg Incarichi
ricopertiVescovo di Cariati e Cerenzia Vescovo di Larino Arcivescovo titolare
di Tiro Nato22 luglio 1676 a Laterza
Ordinato presbitero19 settembre 1699 Nominato vescovo4 marzo 1720 Consacrato vescovo17
marzo 1720 Elevato arcivescovo20 dicembre 1741 Deceduto16 gennaio 1761 a
Roma Manuale Giovanni Andrea Tria
(Laterza, 22 luglio 1676 – Roma, 16 gennaio 1761) è stato un filosofo, teologo
e arcivescovo cattolico italiano.
Indice 1Biografia 2Opere 3Genealogia episcopale 3.1Successione
apostolica 4Fonti 5Voci correlate 6Altri progetti 7Collegamenti esterni
Biografia Figlio di Francesco Tria e Margherita Geminale, completò i suoi studi
di filosofia, teologia e ambe leggi a Napoli e Roma. Nel 1704 fu uditore di
diritto canonico presso il monastero benedettino di Cava de' Tirreni rimase al
servizio di questa abbazia anche quando fu trasferito a Roma. Il 26 agosto 1709 fu nominato vicario
generale di monsignor Lorenzo Gherardi, vescovo di Loreto e Recanati, e tale
rimase fino al 1714. Più tardi, con monsignor Giuseppe Firrao, ebbe l'incarico
di "nunzio straordinario" alla Corte del Portogallo. Quando monsignor Firrao, per questione di
salute, fu trasferito in Svizzera, Tria andò con lui a Lucerna. Durante la sua
permanenza in Svizzera intraprese un'importante missione in Svezia e
Germania. Fu eletto vescovo di Cariati e
Cerenzia ed entrò in carica il 17 marzo 1720, presiedendo il sinodo (16/18
marzo 1726). Fu trasferito poi alla
diocesi di Larino, nel Molise, il 23 febbraio 1727. Partecipò al concilio provinciale di
Benevento dal 1º al 12 maggio 1729. Nel 1740 fu nominato «consulente del Sacro
Offizio» e nel dicembre dello stesso anno fu nominato arcivescovo di Tiro. Divenne «esaminatore di Vescovi» e fu
insignito del titolo di cavaliere dell'Ordine di San Giacomo per i suoi
meritori servigi resi alla Corte di Lisbona.
Morì di apoplessia a Roma il 16 gennaio 1761. Opere Il suo erudito lavoro include: Memorie storiche civili, ed ecclesiastiche
della citta e Diocesi di Larino (edite a Roma, 1744) Note di accommodamento tra
il Papato e la Corte Reale di Napoli (edito a Roma, 1743) Vita di Papa
Benedetto XIII Genealogia episcopale Cardinale Scipione Rebiba Cardinale Giulio
Antonio Santori Cardinale Girolamo Bernerio, O.P. Arcivescovo Galeazzo
Sanvitale Cardinale Ludovico Ludovisi Cardinale Luigi Caetani Cardinale
Ulderico Carpegna Cardinale Paluzzo Paluzzi Altieri degli Albertoni Cardinale
Gaspare Carpegna Cardinale Fabrizio Paolucci Cardinale Antonio Felice Zondadari
Arcivescovo Giovanni Andrea Tria Successione apostolica Vescovo Geronimo de
Laurenzi (1743) Fonti (IT) Camillo Minieri Riccio, Memorie storiche degli
scrittori nati nel regno di Napoli, Napoli, Tipografia dell'Aquila di V.
Puzziello, 1844, p. 357. URL consultato il 26-4-2019. Voci correlate Diocesi di
Larino Pietro Pollidori Giovan Battista Pollidori Altri progetti Collabora a
Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Giovanni Andrea Tria
Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Giovanni Andrea Tria
Collegamenti esterni Opere di Giovanni Andrea Tria, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) David M. Cheney, Giovanni Andrea Tria,
in Catholic Hierarchy. Modifica su Wikidata Controllo di autoritàVIAF (EN)
243947962 · BAV (EN) 495/41396 · CERL cnp00977994 · WorldCat Identities (EN)
viaf-243947962 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo
Categorie: Filosofi italiani del XVIII secoloTeologi italianiArcivescovi
cattolici italiani del XVIII secoloNati nel 1676Morti nel 1761Nati il 22
luglioMorti il 16 gennaioMorti a RomaVescovi di Cariati e CerenziaVescovi di
Larino[altre]
Trincheri Lorenzo Trincheri Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Nota disambigua.svg
Disambiguazione – Se stai cercando l'ultramaratoneta italiano, vedi Lorenzo
Trincheri (ultramaratoneta). Niente fonti! Questa voce o sezione sugli
argomenti filosofi italiani e critici letterari non cita le fonti necessarie o
quelle presenti sono insufficienti. Commento: Mancano del tutto le fonti Puoi
migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le
linee guida sull'uso delle fonti. Questa voce è da wikificare Questa voce o
sezione sugli argomenti filosofi e critici letterari non è ancora formattata
secondo gli standard. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di
Wikipedia. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Lorenzo Gioacchino
Trincheri (Pieve di Teco, 4 maggio 1768 – Parigi, 19 novembre 1846) è stato un
critico letterario, filosofo e saggista italiano. Biografia Nacque a Pieve di Teco, un poco
noto paese dell'entroterra ligure da una famiglia benestante che aveva in
possesso alcuni ettari di terreno. Fu
critico letterario, filosofo e saggista appassionato agli autori
romantici.[senza fonte] Fu riconosciuto e si affermò all'interno della cerchia
dei letterati del suo tempo grazie alla brillante difesa in favore di
Alessandro Manzoni, quando quest'ultimo pubblicò nel 1819 la sua prima tragedia
- Il Conte di Carmagnola. Fu con il sostegno del suo maestro e amico Goethe,
famoso filosofo e scrittore romantico, che egli riuscì a far valere la proprio
opinione positiva nei confronti dell'autore dei Promessi sposi. Poche altre
notizie biografiche si conoscono a proposito della sua vita che, a causa di un
incidente in cui ferì a morte un suo amico, un certo Andrea, crollò in una
situazione estremamente travagliata.
Negli ultimi anni della sua vita si trasferì a Parigi, svolgendo
incarichi di traduzione per pochi soldi[non chiaro], per poi morire in
tristezza e solitudine nel novembre del 1846.[senza fonte] Biografie Portale Biografie Letteratura
Portale Letteratura Categorie: Critici letterari italiani del XIX secoloFilosofi
italiani del XIX secoloSaggisti italiani del XIX secoloNati nel 1768Morti nel
1846Nati il 4 maggioMorti il 19 novembreNati a Pieve di TecoMorti a
Parigi[altre]
No comments:
Post a Comment