COLORNI Eugenio
Colorni Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Eugenio Colorni Eugenio Colorni (Milano, 22 aprile 1909 – Roma, 30
maggio1944) è stato un filosofo, politico e antifascista italiano. Oltre
che per le sue opere filosofiche, Colorni è noto come uno dei massimi promotori
del federalismo europeo: mentre era confinato, in quanto socialista e
antifascista, nell'isola di Ventotene, partecipò con Altiero Spinelli ed
Ernesto Rossi, anch'essi lì confinati, alla scrittura del Manifesto per
un’Europa libera e unita, che poi da quel luogo prese il nome. In seguito,
nella Roma occupata dai nazisti, curò l'introduzione e la pubblicazione
clandestina di questo documento fondamentale per lo sviluppo dell'idea
federalista europea. Indice 1 Biografia
1.1 Formazione
1.2 Attività
politica 1.3 Il
confino a Ventotene 1.4 La
resistenza romana e l'assassinio 2 Onorificenze
3 Commemorazioni
4 Note
5 Bibliografia
6 Fonti
7 Voci
correlate 8 Altri
progetti 9 Collegamenti
esterni Biografia Colorni nacque a Milano il 22 aprile del 1909 da una famiglia
ebraica. Il padre, Alberto Colorni, era un commerciante originario di Mantova,
mentre la madre, Clara Pontecorvo, milanese di famiglia pisana, era zia del
fisico nucleare Bruno Pontecorvo, del regista Gillo, del genetista Guido e del
giurista Tullio Ascarelli. Si sposò con Ursula Hirschman, un'ebrea tedesca,
sorella dell'economista Albert O. Hirschmann, e da cui ebbe 3 figlie: Silvia,
Renata e Eva Colorni. Formazione Colorni frequentò il Liceo Ginnasio
Statale Alessandro Manzoni di Milano. Durante gli anni del liceo, si appassionò
al Breviario di estetica di Benedetto Croce. La sua formazione adolescenziale -
come raccontò egli stesso nella Malattia filosofica - fu influenzata dal
rapporto intrattenuto con i cugini Enrico, Enzo ed Emilio Sereni, tutti più
grandi di lui. Fu Enzo, che era un convinto socialista sionista, ad esercitare
su di lui una forte influenza ideale e religiosa, tanto da far avvicinare il
quattordicenne Eugenio, seppur per breve tempo, al sionismo[1]. Nel 1926
si iscrisse presso la facoltà milanese di Lettere e filosofia. Giuseppe Antonio
Borgese e Piero Martinetti furono suoi insegnanti prediletti. Col secondo dei
due si laureò in filosofia nel 1930, discutendo una tesi su Sviluppo e
significato dell'individualismo leibniziano; a Leibniz dedicherà poi gran parte
dei suoi studi. Durante il periodo universitario, strinse amicizia con
Guido Piovene, che sarà giornalista e scrittore, amicizia che però verrà
interrotta nel 1931 per via di certi articoli anti-semitici scritti dallo
stesso Piovene su L'Ambrosiano. In quel periodo, Colorni partecipò all'attività
dei Gruppi goliardici per la libertà di Lelio Basso e Rodolfo Morandi.
Nel 1928, sotto lo pseudonimo di G. Rosenberg, pubblicò su Pietre, la rivista
di Basso, un articolo sull'estetica di Roberto Ardigò. Nel 1930 si accostò alla
divisione milanese del movimento anti-fascista Giustizia e Libertà; collaborò
in seguito col nucleo giellista torinese, che fece capo prima a Leone Ginzburg
e poi a Vittorio Foa. Nel 1931 incontrò Benedetto Croce, con il quale
discusse a lungo[2]. Nello stesso anno, compì un viaggio di studi in
Germania, a Berlino, dove conobbe la futura compagna Ursula, che sposò nel
1935. Dal 1931, cominciò a scrivere recensioni ed articoli per Il
Convegno, La Cultura, Civiltà Moderna, Solaria e la Rivista di filosofia di Martinetti.
Nel 1932 pubblicò, presso la società editrice "La Cultura" di Milano,
uno studio critico su L'estetica di Croce. Tra il 1932 ed il 1933, fu
lettore d'italiano presso l'Università di Marburgo; con l'avvento del nazismo
in Germania, fu costretto a tornare in Italia. Nel 1933, conclusa la tesi
di perfezionamento sulla filosofia giovanile di Leibniz, vinse il concorso per
l'insegnamento di storia e filosofia nei licei; dopo una prima assegnazione al
liceo Grattoni di Voghera, nel 1934 ottenne la cattedra di filosofia e
pedagogia all'istituto magistrale "Giosuè Carducci" di Trieste; qui
conobbe e frequentò, fra gli altri, Umberto Saba (ritratto poi in Un poeta) ed
anche Pier Antonio Quarantotti Gambini, Bruno Pincherle ed Eugenio Curiel.
Nel 1934, nella collana scolastica che Giovanni Gentile diresse per Sansoni,
pubblicò una traduzione della Monadologia di Leibniz, preceduta da una lunga
introduzione intitolata Esposizione antologica del sistema leibniziano. Come
scrisse Eugenio Garin, «Leibniz lo costrinse ad affrontare studi di logica e di
matematica, a rimettere in discussione il modo stesso di concepire la scienza,
e i rapporti fra scienza e filosofia. [...] Ripartì da Kant e dalla
problematica kantiana, e meditò sulle conseguenze che la fisica teorica e la
psicanalisi potevano avere per la dissoluzione di impostazioni filosofiche
tradizionali». Quando, come si legge in Un poeta, Umberto Saba gli
domanderà «Perché fa filosofia?», Colorni concluse: «Da quel giorno, io non
faccio più filosofia», o come ebbe a dire lo stesso Garin, «In realtà non era
la filosofia che rifiutava, ma un orientamento legato a quell'idealismo di cui
erano seguaci [...] Croce come Gentile e Martinetti». Attività politica A
partire dal 1935, Colorni intensificò il proprio impegno politico contro il
regime fascista. Quando una riuscita operazione di polizia, nel maggio
del 1935, portò all'arresto di quasi tutto il direttivo giellista torinese,
prese contatto con il Centro interno socialista, costituito clandestinamente a
Milano nell'estate del 1934 da Rodolfo Morandi, Lelio Basso, Lucio Mario
Luzzatto, Bruno Maffi e altri, come organismo di collegamento dei socialisti in
Italia. Nell'aprile del 1937, dopo gli arresti di Luzzato e Morandi,
Colorni divenne, di fatto, il responsabile del Centro. Nell'estate del
1937, in occasione del "IX Congresso internazionale di filosofia" di
Parigi, ebbe modo d'incontrare di persona Carlo Rosselli, Angelo Tasca, Pietro
Nenni ed altri esponenti della direzione del PSI, del quale entrò poi a far
parte, mantenendosi su un'originale posizione autonomista. Con vari pseudonimi,
ma soprattutto con quello di Agostini, tra il 1936 ed il 1937, pubblicò
importanti articoli su Politica socialista e sul Nuovo Avanti. L'8
settembre del 1938, all'inizio della campagna razziale promossa dal regime, fu
arrestato dall'OVRA a Trieste, in quanto ebreo ed anti-fascista militante,
venendo pertanto rinchiuso nel carcere di Varese. I giornali pubblicarono la
notizia con gran risalto, sottolineando che egli «di razza ebraica, manteneva
rapporti di natura politica con altri ebrei residenti in Italia e all'estero»;
in questa campagna giornalistica contro di lui si distinsero, con articoli di
particolare livore anti-semita, Il Piccolo di Trieste ed il Corriere della Sera[3].
La sottolineatura sul "complotto ebraico" serviva a giustificare la
legislazione anti-semita appena varata in Italia dal regime, per potersi così
allineare alla linea politica seguita dagli alleati nazisti. Il Tribunale
speciale non riuscì però ad imbastire un formale processo nei suoi confronti.
Venne quindi assegnato al confino per la durata massima, ovvero cinque
anni[4]. Il confino a Ventotene Dal gennaio del 1939 all'ottobre del
1941, Colorni fu confinato nell'isola di Ventotene, dove proseguì i suoi studi
filosofico-scientifici e discusse intensamente con gli altri compagni
confinati, Ernesto Rossi, Manlio Rossi Doria e Altiero Spinelli: un'eco fedele
di quelle discussioni si ritrova nei sette Dialoghi di Commodo, scritti in
collaborazione con Spinelli e pubblicati postumi. Risale a questo periodo
la sua adesione alle idee federaliste europee propugnate da Spinelli e Rossi,
con i quali, nel 1941, partecipò alla stesura del Manifesto per un’Europa
libera e unita, meglio noto come Manifesto di Ventotene. Nel 1944, a Roma, nel
mezzo della lotta partigiana, Colorni riuscì a pubblicare clandestinamente un
volumetto dal titolo Problemi della Federazione Europea, che raccoglieva il
Manifesto ed altri scritti sul tema dello stesso Spinelli. Nella sua "Prefazione"
al Manifesto, auspicò la nascita di una politica federalista europea di respiro
universalista, come scenario democraticamente praticabile dopo la catastrofe
della guerra. In tale ottica, la creazione di una federazione di Stati europei
era da lui considerata come condizione indispensabile per un profondo
rinnovamento sociale, anche per iniziativa popolare, che partendo dagli enti
territoriali avrebbe coinvolto tutta l’Italia e, quindi, l’intera Europa.
Circa le dinamiche che portarono alla stesura del Manifesto, è generalmente
ricondotto ai soli Spinelli e Rossi il contributo maggioritario del testo,
sebbene, alcuni recenti studi storiografici, abbiano seriamente rivalutato il
suo ruolo: «Di trinità si tratta, e lo spirito santo della situazione è
Eugenio Colorni, che partecipò alle discussioni preparatorie alla stesura del
Manifesto assieme a poche altre persone, ed ebbe una parte di rilievo,
soprattutto nella funzione di stimolo e di critica, dal suo punto di vista di
socialista autonomista, verso i due autori del documento, fino al suo
trasferimento a Melfi, nell'ottobre del 1941, benché comunque i contatti non
cessassero del tutto» (Pietro S. Graglia[5].) Nell'ottobre del 1941,
grazie anche all'intervento di Giovanni Gentile, riuscí ad essere trasferito a
Melfi, in provincia di Potenza, dove, nonostante lo stretto controllo della
polizia, riuscì ad avere contatti con alcuni degli anti-fascisti locali.
Nel 1942, assieme con Ludovico Geymonat, elaborò il progetto di una rivista di
metodologia scientifica. La resistenza romana e l'assassinio Il 6 maggio
del 1943 riuscì a fuggire da Melfi, rifugiandosi a Roma, dove visse da
latitante. Dopo la capitolazione di Mussolini, il 25 luglio del 1943, si
dedicò all'organizzazione del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria,
nato nell'agosto dalla fusione del PSI col giovane gruppo del Movimento di
Unità Proletaria. Tra il 27 e il 28 agosto partecipò, assieme ad Altiero
Spinelli, Ernesto Rossi, Ursula Hirschmann, Manlio Rossi Doria, Giorgio Braccialarghe
e Vittorio Foa, in casa dello scienzato azionista Mario Alberto Rollier a
Milano, alla riunione che diede vita al Movimento Federalista Europeo[6]. Il
movimento adottò come proprio programma il "Manifesto di
Ventotene". A seguito dell'8 settembre, svolse nella capitale
un'intensissima attività nelle file della Resistenza: prese parte alla
direzione del PSIUP e s'impegnò a fondo nella ricostruzione della Federazione
Giovanile Socialista Italiana e nella formazione partigiana della prima brigata
Matteotti. «[...] io ero da poco stato nominato segretario della
Federazione Giovanile Socialista per suggerimento e per decisione di Sandro
Pertini, che era membro della segreteria del partito in quell'epoca. Avevamo
organizzato una... chiamiamola brigata, anche se era un gruppo armato che era
comandato da Eugenio Colorni che poi è stato assassinato alla vigilia della
liberazione di Roma [...]» (Matteo Matteotti[7]) Fu redattore capo
dell'Avanti! clandestino; così Sandro Pertini ricordò il suo impegno per la stampa
del giornale socialista: «Ricordare l'Avanti! clandestino di Roma vuol
dire ricordare prima di tutto due nostri compagni che a forte ingegno univano
una fede purissima, entrambi caduti sotto il piombo fascista: Eugenio Colorni e
Mario Fioretti. Ricordo come Colorni, mio indimenticabile fratello d'elezione,
si prodigasse per far sì che l'Avanti! uscisse regolarmente. Egli in persona,
correndo rischi di ogni sorta, non solo scriveva gli articoli principali, ma ne
curava la stampa e la distribuzione, aiutato in questo da Mario Fioretti, anima
ardente e generoso apostolo del Socialismo. A questo compito cui si sentiva
particolarmente portato per la preparazione e la capacità della sua mente,
Colorni dedicava tutto se stesso, senza tuttavia tralasciare anche i più
modesti incarichi nell'organizzazione politica e militare del nostro Partito.
Egli amava profondamente il giornale e sognava di dirigerne la redazione nostra
a Liberazione avvenuta e se non fosse stato strappato dalla ferocia fascista,
egli sarebbe stato il primo redattore capo dell'Avanti! in Roma liberata e oggi
ne sarebbe il suo direttore, sorretto in questo suo compito non solo dal suo
forte ingegno e dalla sua vasta cultura, ma anche dalla sua profonda onestà e
da quel senso di giustizia che ha sempre guidato le sue azioni. Per opera sua e
di Mario Fioretti, l'Avanti! era tra i giornali clandestini quello che aveva
più mordente e che sapeva porre con più chiarezza i problemi riguardanti le
masse lavoratrici. La sua pubblicazione veniva attesa con ansia e non solo da
noi, ma da molti appartenenti ad altri partiti, i quali nell'Avanti! vedevano
meglio interpretati i loro interessi.[8].» Il 22 gennaio del 1944, nella
Roma occupata dalle forze naziste, in una tipografia nascosta di Monte Mario,
fece stampare 500 copie di un libriccino di 125 pagine intitolato Problemi
della Federazione Europea, contenente il "Manifesto di
Ventotene"[9]. Il 28 maggio del 1944, pochi giorni prima della
liberazione della capitale, venne fermato in via Livorno[10] da una pattuglia
di militi fascisti della famigerata banda Koch: tentò di fuggire, ma fu
raggiunto e ferito gravemente da tre colpi di pistola. Trasportato all'Ospedale
San Giovanni, morì il 30 maggio, a soli 35 anni, sotto la falsa identità di
Franco Tanzi. Nel 1946 gli fu conferita la medaglia d'oro al valor
militare alla memoria. È sepolto al Cimitero Monumentale di Milano, nella
tomba di famiglia[11]. Onorificenze Medaglia d'oro al valor militare -
nastrino per uniforme ordinaria Medaglia
d'oro al valor militare «Indomito assertore della libertà, confinato durante la
dominazione fascista, evadeva audacemente dedicandosi quindi a rischiose
attività cospirative. Durante la lotta antinazista, organizzato il centro
militare del Partito Socialista Italiano, dirigeva animosamente partecipandovi,
primo fra i primi, una intensa, continua e micidiale azione di guerriglia e di
sabotaggio. Scoperto e circondato da nazisti li affrontò da solo, combattendo
con estremo ardimento, finché travolto dal numero, cadde nell'impari gloriosa
lotta.» — Roma, 28 maggio 1944.[12] Commemorazioni Nel 2014, in occasione del
70º anniversario della morte, il Comune di Melfi, la locale Sezione ANPI e
l'Associazione "Francesco Saverio Nitti" hanno celebrato la Festa
della Liberazione dedicando la ricorrenza del 25 aprile al ricordo della figura
e dell'opera di Eugenio Colorni[13]. In via Livorno a Roma, luogo dove
Colorni venne ferito a morte, vennero poste tre lapidi in suo ricordo, che
furono distrutte da atti vandalici. Delle tre lapidi esistenti, una, posta nel
1982 dalla III Circoscrizione del Comune di Roma è semilleggibile perché
scurita dal tempo, un'altra, posta nel 1978 dal Partito Socialista Italiano, è
spaccata in due e un'ultima, posta nel 2004 sempre dalla III Circoscrizione del
Comune di Roma, contiene un errore[14]. Note ^ Numerosi sono i
riferimenti a Colorni nel carteggio tra i fratelli Sereni: Cfr. Enzo Sereni,
Emilio Sereni, Politica e utopia. Lettere 1926-1943, a cura di D. Bidussa e M.
G. Meriggi, La Nuova Italia, 2000. ^ Stefano Miccolis, Eugenio Colorni ventenne
e Croce, Relazione tenuta al convegno su «Eugenio Colorni e la cultura italiana
fra le due guerre» (Milano, 15-16 ottobre 2009), organizzato dal Consiglio
Nazionale delle Ricerche, pubblicata in Belfagor: rassegna di varia umanità,
anno LXV, n. 4, 31 luglio 2010 (n. 388), 2010 (Firenze: L. S. Olschki, 2010),
p. 416. ^ cfr. la biografia di Eugenio Colorni nel sito web dell'ANPI ^ cfr.
Commissione di Trieste, ordinanza del 21.12.1938 contro Eugenio Colorni ("Attività
antifascista"). In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, L'Italia al
confino 1926-1943. Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle
Commissioni provinciali dal novembre 1926 al luglio 1943, Milano 1983
(ANPPIA/La Pietra), vol. II, p. 620 ^ cfr. Pietro S. Graglia, Colorni, Spinelli
e il federalismo europeo, in Eugenio Colorni dall'antifascismo all'europeismo
socialista e federalista, a cura di Maurizio Degl'Innocenti, Lacaita, 2010, p.
215. ^ Intervista di Sonia Schmidt ad Altiero Spinelli, Democratici Nel Mondo,
1982. URL consultato il 21 agosto 2016 (archiviato dall'url originale il 4
marzo 2016). ^ cfr. Enzo Cicchino, Dopo mezzo secolo l'incontro con i
protagonisti, 1994, in Adattamento ed elaborazione dall'intervista originale a,
Matteo Matteotti, partigiano, figlio del defunto Giacomo, realizzata dal
regista Enzo Cicchino e andata in onda durante una puntata del programma
televisivo della RAI Mixer di Giovanni Minoli. ^ cfr. Sandro Pertini,
Cinquantenario dell'Avanti!, numero unico del 25 dicembre 1946, riprodotto nel
sito web del Centro Espositivo "Sandro Pertini" di Firenze. ^ cfr.
Ugo Intini, L’unità europea e i pericoli del post fascismo, in Il Mattino del
23 marzo 2017, riprodotto in Avanti!online del 23 marzo 2017 ^ vicino piazza
Bologna, nel quartiere Nomentano di Roma ^ Comune di Milano, App di ricerca
defunti Not 2 4get. ^ Quirinale.it. ^ cfr. 70º della morte di Eugenio Colorni
nel sito web dell'ANPI. ^ chieracostui.com, foto delle tre lapidi. Bibliografia
Scritti, a cura di Norberto Bobbio, la Nuova Italia, Firenze, 1975 Il coraggio
dell'innocenza, a cura di Luca Meldolesi, La Città del Sole (Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici), Napoli, 1998 Un poeta e altri racconti, con
prefazione di Claudio Magris, Il Melangolo, Genova, 2002 La malattia della
metafisica. Scritti filosofici e autobiografici, a cura di Geri Cerchiai,
Einaudi, Torino, 2009 Fonti Elvira Gencarelli, Profilo politico di Eugenio
Colorni, in «Mondo Operaio», n. 7, luglio 1974, pp. 49–54 Elvira Gencarelli,
Eugenio Colorni, voce in Il Movimento Operaio Italiano. Dizionario Biografico,
Editori Riuniti, Roma, 1976, vol. II, pp. 74–81 Leo Solari, Eugenio Colorni.
Ieri e sempre, Marsilio, Venezia, 1980 Eugenio Garin, Colorni, Eugenio, in
«Dizionario Biografico degli Italiani», XXVII, Istituto dell'Enciclopedia
italiana, Roma, 1982 Norberto Bobbio, Maestri e compagni, Passigli Editori,
Firenze, 1984 Nunzio Dell'Erba, L'itinerario politico di Eugenio Colorni, in
Id., Il socialismo riformista tra politica e cultura, Franco Angeli, Milano
1990, pp. 135–150 Massimo Orlandi, Il socialismo federalista di Eugenio
Colorni, tesi di laurea (inedita), Università degli studi di Firenze, Anno
Accademico 1991-1992 Gaetano Arfé, Eugenio Colorni, l'antifascista,
l'europeista, in AA. VV., Matteotti, Buozzi, Colorni. Perché vissero, perché
vivono, Franco Angeli, Milano, 1996, pp. 58–77 Sandro Gerbi, Tempi di malafede.
Una storia italiana tra fascismo e dopoguerra. Guido Piovene ed Eugenio
Colorni, Einaudi, Torino 1999 e Hoepli, Milano, 2012. Geri Cerchiai,
L'itinerario filosofico di Eugenio Colorni, in «Rivista di Storia della
Filosofia», n. 3, 2002 Stefano Miccolis, Eugenio Colorni ventenne e Croce, in
«Belfagor», 4, LXV, 31 luglio 2010, pp. 415–434 Geri Cerchiai, Alcune
riflessioni su Eugenio Colorni, in «Rivista di Storia della Filosofia», LXVII
2012, pp. 351–360. Michele Strazza, Melfi terra di confino. Il confino a Melfi
durante il fascismo, Melfi, Tarsia, 2002. Maurizio Degl'Innocenti (a cura di),
Eugenio Colorni dall'antifascismo all'europeismo socialista e federalista,
Lacaita, 2010, ISBN 9788889506899. Voci correlate Altiero Spinelli Ernesto
Rossi Manifesto di Ventotene Antifascismo Movimento Federalista Europeo
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Filosofi italiani del XX secoloPolitici italiani del XX secoloAntifascisti
italianiNati nel 1909Morti nel 1944Nati il 22 aprileMorti il 30 maggioNati a
MilanoMorti a RomaAssassinati con arma da fuocoBrigate MatteottiEbrei
italianiMedaglie d'oro al valor militarePartigiani italianiStudenti
dell'Università degli Studi di MilanoPolitici del Partito Socialista
ItalianoSepolti nel Cimitero Monumentale di Milano[altre]
CONTE Amedeo Giovanni Conte Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Amedeo Giovanni Conte
(Pavia, 24 maggio 1934 – Cava Manara, 17 maggio 2019) è stato un filosofo e
accademico italiano. Indice 1 Biografia 2 Ricerca
3 Opere
scientifiche 4 Opere
letterarie 5 Note
6 Voci
correlate Biografia Dopo aver conseguito la maturità classica presso il liceo
classico "Ugo Foscolo" di Pavia, proseguì gli studi presso
l'Università degli Studi di Pavia, quale alunno del Collegio Ghislieri. Si
laureò in Giurisprudenza con una tesi in Filosofia del diritto, il 23 aprile
1957. Dopo la laurea, studiò Logica matematica all'Università di Münster e
Filosofia all'Università di Freiburg im Breisgau. Sposò nel 1964 Maria-Elisabeth Conte (Soest,
1935 – Pavia, 1998), docente ordinario di Semiotica all'Università di Pavia. Da
Maria-Elisabeth, Conte ha avuto nel 1965 una figlia, Adelheid Conte. Nell'anno accademico 1963-1964 tenne il primo
corso italiano di Logica deontica, presso il Collegio Ghislieri di Pavia.
Conseguì la libera docenza nel 1964 all'Università degli Studi di Torino, sotto
la guida di Norberto Bobbio. Dal 1964 al 1974 insegnò Teoria generale del
diritto e dal 1974 al 2016 Filosofia del diritto, sempre all'Università di
Pavia. Dal 2000 fu socio (classe di
scienze morali) dell'Accademia Nazionale dei Lincei [1] e dell'Istituto
Lombardo Accademia di Scienze e Lettere.
Ricerca Si occupò prevalentemente di semiotica (in particolare: di
semiotica dei performativi) e di deontica filosofica. Le sue ricerche di
deontica filosofica si dividono in due insiemi: ricerche di deontica e ricerche
sulla deontica. Delle prime fanno parte le ricerche sulle regole
eidetico-costitutive, le ricerche sulla validità deontica, le ricerche sulla
logica del linguaggio normativo, le ricerche sull'ontologia del normativo, le
ricerche sulla pragmatica del linguaggio normativo. Delle ricerche sulla
deontica fanno invece parte le ricerche teoretiche di metadeontica (ricerche
sullo statuto della deontica) e le ricerche storiografiche di storia della
deontica. Come scrive Conte stesso[2]:
"Queste ricerche sono come punti d'una circonferenza, punti accomunati
dalla relazione intercorrente tra ognuno di essi ed un altro punto (il centro),
che sulla circonferenza stessa non appare." A connettere le ricerche di
Conte è la loro relazione con una domanda fondamentale: "In che cosa
consiste quel déon, dal quale la deontica prende il nome, e del quale la
deontica è teoria?" [3] Opere
scientifiche Ricerche in tema d'interpretazione analogica. Pavia, Tipografia
del Libro, 1959. Saggio sulla completezza degli ordinamenti giuridici. Torino,
Giappichelli, 1962. Primi argomenti per una critica del normativismo. Pavia,
Tipografia del Libro, 1968. Ricerca d'un paradosso deontico. Pavia, Tipografia
del Libro, 1974. Deontische Logik und Semantik (con Risto Hilpinen e Georg
Henrik von Wright). Wiesbaden, Athenaion, 1977. Nove studi sul linguaggio
normativo. Torino, Giappichelli, 1985. Filosofia del linguaggio normativo. I.
Studi 1965-1981. Torino, Giappichelli, 1989. Filosofia del linguaggio
normativo. II. Studi 1982-1994. Con una lettera di Norberto Bobbio. Torino,
Giappichelli, 1995. Filosofia dell'ordinamento normativo. Studi 1957-1968.
Torino, Giappichelli, 1997. Filosofia del linguaggio normativo. III. Studi
1995-2001. Torino, Giappichelli, 2001. Filosofia del diritto (con Paolo Di
Lucia, Luigi Ferrajoli, Mario Jori). Milano, Cortina, 2002, 2013. Ricerche di
Filosofia del diritto (con Paolo Di Lucia, Antonio Incampo, Giuseppe Lorini,
Lorenzo Passerini Glazel, Wojciech Żełaniec). Torino, Giappichelli, 2007. Res
ex nomine. Napoli, Editoriale Scientifica, 2009. Sociologia filosofica del
diritto. Torino, Giappichelli, 2011. Adelaster. Il nome del vero. Milano, LED,
2016. Opere letterarie È inventore del genere letterario da lui chiamato
"eidogramma" ed autore di numerosi eidogrammi, solo parzialmente
éditi: Nella parola. Osnago,
Pulcinoelefante, 2004. Kenningar. Bari, Adriatica, 2006. Note ^ Accademia
Nazionale dei Lincei. Elenco dei soci, su lincei.it. URL consultato il 9
ottobre 2013 (archiviato dall'url originale il 9 gennaio 2014). ^ Amedeo
Giovanni Conte, "Per una critica della ragione deontica"
(introduzione al secondo volume di Filosofia del linguaggio normativo). ^ Scheda
nel sito della Università di Pavia - Centro di filosofia sociale Archiviato il
19 agosto 2012 in Internet Archive. Voci correlate Filosofia del diritto Logica
deontica Ontologia Performativo (atto verbale) Pragmatica Semiotica Semantica
Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi
italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloAccademici italiani del
XX secoloAccademici italiani del XXI secoloNati nel 1934Morti nel 2019Nati il
24 maggioMorti il 17 maggioNati a PaviaAccademici dei LinceiFilosofi del
dirittoMembri dell'Istituto Lombardo Accademia di Scienze e LettereProfessori
dell'Università degli Studi di PaviaStudenti dell'Università degli Studi di
PadovaStudenti dell'Università degli Studi di PaviaStudenti dell'Università di
Friburgo[altre]
CONTESTABILE Domenico
Contestabile Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà. Jump to
navigationJump to search Domenico Contestabile (1937 – vivente), politico,
giurista e filosofo italiano.
Contestabile: «Cacciato con una telefonata» Intervista di Dino
Martirano, Corriere della sera, 7 marzo 2006, p. 13 Con il Psi non ho ricoperto grandi incarichi
ma ho avuto l'onore di essere stato amico di Craxi. Mi mancherà la politica ma
non è una tragedia. Torno ai miei studi, alla[filosofia medioevale. Mi
mancheranno certi momenti. Io, che ero stato nel Psi fin quando nel '92 la
procura della Repubblica lo ha sciolto, ricordo bene i mesi trascorsi al
ministero della Giustizia: col ministro Biondi fummo i protagonisti del
tentativo fallito, però generoso, di riportare la giustizia sui binari della
normalità. Sciolto il partito [Psi], chi si è fatto maomettano, chi ebreo, chi
cattolico. Però sempre socialisti siamo rimasti. Altri progetti Collabora a
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CONTI -- Angelo Conti Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Angelo Conti
(Roma, 21 giugno 1860 – Napoli, 8 luglio 1930) è stato uno scrittore, storico
dell'arte e filosofo italiano. Indice 1 Biografia 2 Opere 3 Curiosità
4 Note
5 Bibliografia
6 Altri
progetti 7 Collegamenti
esterni Biografia La casa di Angelo
Conti ad Arpino Nato a Roma in una famiglia originaria di Arpino, dove frequentò
il locale liceo, studiò medicina, senza però arrivare alla laurea[1]. Preferì
occuparsi di musica, di storia dell'arte e di letteratura, ma soprattutto di
filosofia estetica, scrivendo saggi critici per riviste quali Capitan Fracassa,
Cronaca bizantina e a cominciare dal 1882 per La Tribuna e La Tribuna
illustrata, sotto lo pseudonimo di Doctor Mysticus[1]. Fu amico del pittore
Adolfo De Carolis e di Gabriele D'Annunzio, che lo citò nel suo romanzo
Giovanni Episcopo[1] e si ispirò a lui per il personaggio di Daniele Glauro de
Il fuoco.[2] Nel 1893 lavorò a Firenze
presso la Galleria degli Uffizi[1], collaborando al Marzocco[1], poi nel 1894 a
Venezia presso l'Accademia di Belle Arti. Nella città lagunare Conti conobbe
Eleonora Duse[1], con la quale ebbe frequenti scambi epistolari. Qui scrisse
Giorgione, un saggio d'arte ed estetica sul pittore veneto. Tornato a Firenze, nel 1900 uscì La beata
riva, raccolta di saggi che delineavano la sua concezione critica ed estetica,
ispirata dichiaratamente a Platone, Kant e Schopenhauer. La prefazione fu
curata da Gabriele D'Annunzio, il quale scriveva di stimare molto il Conti e di
ammirare il suo ascetismo estetico. Dal
1901 ricoprì l'incarico di direttore delle Antichità e Belle Arti di Roma[1],
fino al 1925, anno in cui si trasferì a Napoli come direttore della Reggia di
Capodimonte[1]. Nelle sue opere si
ispirò alle poetiche di Walter Pater e John Ruskin[1]. Opere Giorgione, Firenze, F.lli Alinari,
1894. Catalogo delle regie gallerie di Venezia, Venezia, Tip. L. Merlo, 1895.
La beata riva, Milano, F.lli Treves, 1900. Sul fiume del tempo, Napoli, R.
Ricciardi, 1907. Dopo il canto delle Sirene, Napoli, R. Ricciardi, 1911.
Domenico Morelli, Napoli, Edizioni d'arte Renzo Ruggiero, 1927. San Francesco,
con un saggio di Giovanni Papini, Firenze, Vallecchi, 1931. Virgilio dolcissimo
padre, Napoli, R. Ricciardi, 1931. Curiosità Mario Praz ha scritto che il suo
maestro Ernesto Giacomo Parodi era solito leggere La beata riva di Conti prima
di addormentarsi; quando morì, la lettura non era stata ancora
terminata.[3] Note Vedi M. Carlino, Dizionario Biografico degli
Italiani, riferimenti in Collegamenti esterni. ^ Angela Guidotti, Forme del tragico
nel teatro italiano del Novecento. Modelli della tradizione e riscritture
originali, Pisa, ETS, p. 42. ^ Mario Praz, Romantici, vittoriani, decadenti e
museo dannunziano, in Bellezza e bizzarria, I Meridiani, Milano, Mondadori,
2002, p. 635. Bibliografia Benedetto Croce, La letteratura della nuova Italia,
Volume VI, Bari, Laterza, 1940. Marcello Carlino, CONTI, Angelo, in Dizionario
biografico degli italiani, vol. 28, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
1983. URL consultato il 18 giugno 2016. Modifica su Wikidata Altri progetti
Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Angelo Conti
Collegamenti esterni Angelo Conti, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Angelo Conti, su
siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo Unificato per le
Soprintendenze Archivistiche. Modifica su Wikidata Opere di Angelo Conti, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Angelo
Conti, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata A. Conti, Due
disegni di Rembrandt nella Pinacoteca di Napoli, Bollettino d'Arte, 9, 1907 A.
Conti, Due conviti di Mattia Preti, Bollettino d'Arte, 1, 1908 Controllo di
autorità VIAF
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Letteratura Categorie: Scrittori italiani del XIX secoloScrittori italiani del
XX secoloStorici dell'arte italianiFilosofi italiani del XIX secoloFilosofi
italiani del XX secoloNati nel 1860Morti nel 1930Nati il 21 giugnoMorti l'8
luglioNati a RomaMorti a Napoli[altre]
Conti:
Antonio Schinella Conti Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
navigationJump to search Antonio Schinella Conti (Padova, 22 gennaio 1677 –
Padova, 6 aprile 1749) è stato un fisico, matematico, storico, filosofo e
drammaturgo italiano. Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Bibliografia
4 Altri
progetti 5 Collegamenti
esterni Biografia Noto come Abate Conti e famoso per essere stato arbitro nella
controversia tra Leibniz e Newton, circa l'invenzione del calcolo
infinitesimale, nel 1715 in Inghilterra.
Fu a lungo a Parigi dove si legò in amicizia con Charles Francois Du
Fay, noto per gli esperimenti fisici che conduceva all'Accademia delle
Scienze. Una volta tornato in Italia, si
ritirò a vita sedentaria tra Padova e Venezia. Morì nel 1749. Di lui esiste una
statua in Prato della Valle, opera dello scultore padovano Felice Chiereghin,
che venne eretta nel 1781 da Carolina de' Conti. Scrisse trattati riguardanti la struttura
della tragedia, e nel caso del Trattato dei fantasmi poetici, discusse la
funzione dei cori. Tra le sue tragedie, la più significativa fu il Giulio
Cesare. Ne scrisse altre tre, tutte di soggetto romano: Marco Bruto (1742),
Giunio Bruto (1743) e Druso (1748). Nel
1751 apparvero a Firenze in volume unico le quattro opere teatrali,
accompagnate ciascuna da una prefazione dell'autore. Opere Antonio Schinella Conti, [Opere]. 1, In
Venezia, presso Giambatista Pasquali, 1739. Antonio Schinella Conti, [Opere].
2, In Venezia, presso Giambatista Pasquali, 1756. Antonio Schinella Conti,
Versioni poetiche, Bari, Laterza, 1966. Bibliografia Giovanna Scianatico, Il
secolo neoclassico. Antonio Conti e la lezione di Gian Vincenzo Gravina, in
"Esperienze Letterarie", a. XXXVI, 2011, n. 2, pp. 3–21. Altri
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Antonio Schinella Conti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons
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Antonio Schinella Conti, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Giulio Natali, Antonio
Schinella Conti, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata Giovanna Gronda, Antonio Schinella Conti, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su
Wikidata Opere di Antonio Schinella Conti, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
Modifica su Wikidata (EN) Opere di Antonio Schinella Conti, su Open Library,
Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Spartiti o libretti di Antonio
Schinella Conti, su International Music Score Library Project, Project Petrucci
LLC. Modifica su Wikidata Le quattro tragedie composte dal signor abate Antonio
Conti patrizio veneto, Firenze, 1751, Appresso Andrea Bonducci, su
books.google.it. Controllo di autorità VIAF
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Matematica Portale Matematica Teatro Portale Teatro Categorie: Fisici italiani
del XVII secoloFisici italiani del XVIII secoloMatematici italiani del XVII
secoloMatematici italiani del XVIII secoloNati nel 1677Morti nel 1749Nati il 22
gennaioMorti il 6 aprileNati a PadovaMorti a Padova[altre]
CONTI -- Augusto Conti Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Augusto
Conti Villa di castello, sede dell'accademia della crusca, busto di augusto
conti.jpg Busto di Augusto Conti presso la sede dell'Accademia della Crusca
Deputato del Regno d'Italia Legislature IX,
X Gruppo parlamentare cattolici-liberali
Sito istituzionale Dati generali Titolo di studio Laurea in giurisprudenza Professione Pedagogista Augusto Conti, Mezzobusto ed epigrafe - San
Miniato, Palazzo Comunale Augusto Conti (San Miniato, 6 dicembre 1822 –
Firenze, 6 marzo 1905) è stato un filosofo e pedagogista italiano. Indice 1 Biografia
2 Alcune
sue opere 3 Note
4 Bibliografia
5 Voci
correlate 6 Altri
progetti 7 Collegamenti
esterni Biografia Augusto Conti nacque a San Pietro alle Fonti di San Miniato
al Tedesco nel 1822 da famiglia oriunda livornese. Studiò a Siena e Pisa; in questa Università
aggredì un professore da lui ritenuto reazionario. Fu espulso dall'ateneo e
passò alcuni mesi in carcere. Dopo quell'episodio fu costretto a completare gli
studi fuori dal Granducato di Toscana. Si trasferì dunque nel Ducato di Lucca e
all'Università di Lucca si laureò in legge. Fu combattente a Montanara con i
volontari toscani; insegnò a Lucca, a Pisa e nell'Istituto superiore di
Firenze. Insigne filosofo cristiano, scrittore di pregio, pedagogista,
collaborò con Raffaello Lambruschini al periodico La famiglia e la scuola. Il 31 marzo del 1869, per i suoi meriti
letterari e scientifici, fu chiamato a sedere nel Collegio dei Residenti
dell'Accademia della Crusca[1]; in seguito ne ricoprì più volte
l'Arciconsolato[2]. Fu il filosofo della bellezza, che definì stare fra il vero
e il buono, e li collegava come il mezzo tra il principio e fine. Ebbe stile
classico e le sue opere a volte sono apprezzate più per l'eleganza della prosa
che per il contenuto. A Firenze fu a
lungo consigliere superiore della pubblica istruzione e collaborò con
l'architetto Emilio De Fabris per la definizione dell'apparato ornamentale
della facciata di Santa Maria del Fiore.[3]
Alcune sue opere Cose di storia e d'arte (1874). Evidenza, amore e fede,
o i criteri della filosofia, discorsi e dialoghi. Famiglia, patria, Dio, o i
tre amori (1887). I discorsi del tempo in un viaggio in Italia (1867): in ogni
città coglie occasione per un insegnamento civile; a Venezia il capitolo sulla
religione, a Milano sullo stato, ecc. Il bello nel vero, o estetica. Il buono
nel vero, o morale e diritto naturale. Illustrazione delle sculture e dei
mosaici sulla facciata del Duomo di Firenze (1887). Il vero nell'ordine (1876),
o ontologia e logica. L'armonia delle cose, o antropologia; cercò di costruire
una metafisica fondata sulla relazione, l'armonia, l'ordine; ha capitoli
sull'educazione religiosa, civile e privata (versione digitalizzata)
Letteratura e patria, collana di ricordi nazionali Nuovi discorsi del tempo, o
famiglia, Patria, Dio Religione ed arte, collana di ricordi nazionali. Storia
della filosofia, molto accreditata. Sveglie dell'anima. Il Messia redentore
vaticinato, uomo dei dolori, re della gloria. La mia corona del rosario. Ai
figli del popolo, consigli. Giovanni Duprè o Dell'arte, 2 dialoghi. Evidenza,
amore e fede o i criteri della filosofia (1858), lezioni e dialoghi sulla
filosofia cristiana; lavoro scientifico e popolare, e discorsi sulla storia
della filosofia, accordo della filosofia con la tradizione; discussione sulla
filosofia e la fede. La filosofia di Dante. La bellezza qual mezzo potente di
educazione. Note ^ Nella stessa seduta era eletto Socio residente anche
Terenzio Mamiani. Cfr. "La Rassegna nazionale", v. 142 (1905), p.
619. ^ La prima volta dal 1873 al 1883 e poi dal 1897 fino alla morte. ^ C.
Cresti, M. Cozzi, G. Carapelli, Il Duomo di Firenze 1822-1887. L'avventura
della facciata, Firenze 1987. Bibliografia Giovanni Casati, Dizionario degli
scrittori d'Italia dalle origini fino ai viventi, Romolo Ghirlanda Editore,
Milano, 1926-1934. Mario Themelly, «CONTI, Augusto» in Dizionario Biografico
degli Italiani, Volume 28, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1983.
Grande Dizionario Enciclopedico UTET (Fedele), Torino, UTET, 1992, volume V,
alla voce. Voci correlate Facciata di Santa Maria del Fiore Altri progetti
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Collegamenti esterni Augusto Conti, su Treccani.it – Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Augusto Conti, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata Augusto Conti, su accademicidellacrusca.org, Accademia
della Crusca. Modifica su Wikidata Opere di Augusto Conti, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Augusto Conti, su
Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Augusto Conti, su
storia.camera.it, Camera dei deputati. Modifica su Wikidata Controllo di
autorità VIAF (EN) 120695957 ·
ISNI (EN) 0000 0000 8348 8339 · SBN IT\ICCU\RAVV\075324 · LCCN (EN) nr89016624
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Biografie Filosofia Portale Filosofia Istruzione Portale Istruzione Categorie:
Filosofi italiani del XIX secoloPedagogisti italianiNati nel 1822Morti nel
1905Nati il 6 dicembreMorti il 6 marzoNati a San MiniatoMorti a FirenzeDeputati
della IX legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della X legislatura del Regno
d'Italia[altre]
CONTRI Siro
Contri Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Siro Contri Siro Contri (Cazzano di Tramigna, 27 maggio 1898 –
Pegli, 1969) è stato un accademico e filosofo italiano cattolico allievo di
Giuseppe Zamboni. Elaborò una minuziosa critica al pensiero logico di Hegel di
cui mise in rilievo le incongruenze gnoseologiche e metodologiche che portano
alla errata concezione hegeliana della realtà come vita dell'idea. Rovesciando
l'immanentismo hegeliano, Contri scoprì un mondo di realtà sviluppando una
concezione della filosofia della storia che denominò storiosofia.
Indice 1 Biografia
1.1 La
polemica in difesa della Gnoseologia Pura di Giuseppe Zamboni e la rivista
Criterion 1.2 La Genesi
fenomenologica della Logica hegeliana 1.3 La
compromissione con il Fascismo dal 1942 al 1945 1.4 La storiosofia 2 Pensiero 2.1 L'adesione
alla gnoseologia di Giuseppe Zamboni 2.2 La
critica alla posizione della neoscolastica di Gemelli, Olgiati e Masnovo sulla
conoscenza indimostrata dell'ente e la soluzione tramite la gnoseologia pura di
Zamboni 2.3 La
critica alla logica di Hegel e la storiosofia 3 Opere
4 Letteratura
su Siro Contri 4.1 Recensioni
5 Note
6 Voci
correlate Biografia Siro anagraficamente Luigi Sirio Contri nacque a Cazzano di
Tramigna (Verona) il 27 maggio 1898 fu alunno del Collegio Don Mazza di Verona
riservato a studenti indigenti dotati e meritevoli, si diplomò allo storico
Liceo classico Scipione Maffei[1] . Nel 1917 partecipò alla prima guerra
mondiale e cadde prigioniero nel 1918 e trattenuto a Dunaszerdahely nella
attuale Slovacchia. Nel 1921 si laureò a Padova in Filosofia. Nel
1923 entrò nella redazione del quotidiano di Bologna L'Avvenire d'Italia. Fu discepolo
fervente di Giuseppe Zamboni, di cui accolse e sostenne la dottrina della
gnoseologia pura. In alcune occasioni Il Contri si descrisse come elaboratore
in contemporanea al suo maestro Zamboni di alcune teorie, collegate
all’estetica ma non solo[2]. Insegnò storia e filosofia al Liceo classico S.
Luigi di Bologna dei P.P. Barnabiti. Intensificò l’attività di pubblicista e
collaborò con il Corriere d'Italia, Il popolo veneto di Padova, L'Avvenire
d'Italia[3], Il Carroccio[4], Il Nuovo cittadino[5] e la La rivista pedagogica.
Tenne conferenze, alcune delle quali furono pubblicate, al “Circolo di Cultura”
di Bologna[6]. La polemica in difesa della Gnoseologia Pura di Giuseppe
Zamboni e la rivista Criterion Nel 1931 in difesa e sostegno a Giuseppe Zamboni
iniziò una vivace polemica con l'Università Cattolica di Milano in particolare
contro Padre Agostino Gemelli, Francesco Olgiati e Amato Masnovo. Uno dei primi
atti dello scontro filosofico fu la conferenza al Circolo di Cultura di Bologna
su La filosofia scolastica in Italia nell'ora presente. A cui seguì la risposta
firmata da Olgiati. Nel 1932 Zamboni, il maestro e amico di Contri, fu espulso
da Gemelli con il supporto di Olgiati e Masnovo, dall'Università Cattolica con
la motivazione di allontanamento dalla ortodossia tomistica e con accusa di non
conformità al Magistero della Dottrina Cattolica Romana. Ad alcuni testi di
Zamboni fu tolto l’imprimatur. Molti anni più tardi queste accuse sollevate a
Zamboni risultarono errate e Zamboni fu riabilitato anche se tardivamente con
la testimonianza di personalità quali Sofia Vanni Rovighi[7]. Contri pubblicò
la Lettera a S. Santità Pio XI sull'interpretazione di S. Tommaso in
prosecuzione della lunga polemica promossa dal Contri contro i rappresentanti
dell'Università Cattolica di Milano. Li accusò di mantenere una posizione
chiusa a ogni proposta di rinnovamento del pensiero cattolico, mantenendolo
ancorato ad un tomismo corretto ma non più sufficiente ad interpretare le
dinamiche innovazioni della società industriale e di dare una adeguata
interpretazione della storia. Contrì definì la posizione della Cattolica con il
termine da lui coniato di “archeoscolastica”. La posizione “archeoscolastica”
della Cattolica di Milano, di una conoscenza indimostrata, a priori, dell’ente era
bersaglio di critiche da parte di filosofi cristiani e non che la ritenevano
inadeguata nell’ambito del pensiero moderno[8]. Contri sostenne che la
dimostrazione della conoscenza dell’ente data dalla Gnoseologia Pura di Zamboni
superava definitivamente tali critiche e ridava certezza dimostrata della
conoscenza e dell’esistenza di Dio. Sul giornale di Milano
L'Ambrosiano, numeri 5, 8, 10, 15, 29, Contri accusò di plagio Padre Agostino
Gemelli per aver pubblicato nella monografia Il mio contributo alla filosofia
neoscolastica (Milano, 1926) pagine già scritte da Desiré Mercier e da Morice
De Wulf, senza indicare le citazioni. Gemelli diede le dimissioni da Rettore
della Università Cattolica ma rimase in carica. Successivamente a questo
episodio, Contri fu licenziato come insegnante dal Liceo classico S. Luigi dei
P.P. Barnabiti di Bologna. Il prof. Ferdinando Napoli, Generale dei Barnabiti,
cultore di scienze naturali, venne depennato dalla Pontificia Accademia delle
Scienze, allora presieduta dal Gemelli. Venne dato ordine ai giornali cattolici
di non pubblicare più articoli a firma di Siro Contri[6]. Nel 1933
Contri, continuando la difesa della dottrina del suo maestro Zamboni, fondò la
rivista quadrimestrale di polemica e di dottrina neoscolastica “Criterion”. La
rivista di cui Contri era il direttore responsabile fu pubblicata dal 1933 al
1941. Il confronto con l’Università Cattolica di Milano continuò negli anni
successivi con relazioni a numerosi congressi di cui Contri diede resoconto
sulla rivista[9]. Contri tornò all’insegnamento nel 1934 quando fu
nominato titolare di cattedra, al liceo classico di Ivrea.Nel 1936 incontrò
Irene Baggio con cui si unì in matrimonio e ebbe tre figli. La Genesi
fenomenologica della Logica hegeliana Sulla rivista Criterion apparvero intanto
i primi Saggi del Contri sui suoi studi hegeliani che prelusero all'opera
definitiva del '38, '39, '40: La Genesi fenomenologica della Logica hegeliana.
L’opera fu pubblicata sulla rivista Criterion a capitoli a partire dal gennaio
1938 e l’ultima parte nel 1941. La compromissione con il Fascismo dal
1942 al 1945 Dal 1942 al 1945 Siro Contri partecipò attivamente agli organi
culturali del fascismo[10] e a frange cattoliche aderenti al partito fascista.
Durante la svolta fascista, giudicata da alcuni autori” tardiva ed
oggettivamente incomprensibile”, Contri scrisse su giornali quali Il Secolo
Fascista, Quadrivio, Il Regime Fascista,[11] Il meridiano di Roma e La Crociata
Italica. Contri si avvalse della tribuna offerta da queste testate per
promuovere i suoi studi filosofici e criticò filosoficamente un, da lui
definito, pensiero ebraico negli scritti di Spinoza, Durkeheim e Bergson. Dal
25 aprile 1945, dopo la guerra, per questa sua compromissione politica con il
fascismo Contri fu sospeso dall’insegnamento[12]. La storiosofia Dal 1947
Contri riprese il ruolo di insegnate presso il Liceo classico Giuseppe Parini
di Milano[13] e tenne conferenze su studi hegeliani e biblici. Nel 1948 sorse
una disputa con Giuseppe Zamboni in seguito all'articolo Il campo della
gnoseologia, il campo della storiosofia, Verona, 1948, in risposta alla
pubblicazione del Contri Dallo storicismo alla storiosofia, Verona, Albarelli,
1947[14]. Il carteggio Controversia Zamboni-Contri è conservato presso la Biblioteca
Capitolare di Verona.[15] Nel 1952 fu docente in Storia della filosofia
all'Università di Milano. Prese parte attiva a congressi tomistici
internazionali e a congressi rosminiani. Dal 1957 partecipò attivamente
alla “Missione di Milano”, lanciata dall’allora Arcivescovo di Milano, Giovanni
Battista Montini. Come riconoscimenti ai suoi studi nel 1958 conseguì
alcuni premi fra i quali uno indetto dall'Angelicum sul tema “Quid est
veritas”, e una segnalazione all'Accademia dei Lincei per l'opera: Punti di
trascendenza nell'immanentismo hegeliano, Milano, LSU, 1955. Nel 1968
andò in pensione e morì a Pegli nel 1969. Pensiero L'adesione alla
gnoseologia di Giuseppe Zamboni Siro Contri fu discepolo e, secondo Gaetano
Peretti, geniale continuatore di Giuseppe Zamboni. Contri così potrebbe
definire la situazione filosofica di oggi: "Il mondo del pensiero, perduta
la bussola non teologica d'orientamento, è costituito da una miriade di
metafisiche che cozzano le une contro le altre tanto da definirsi che heghelianicamente
come il divenire in sè, che è puro fenomenismo."[1] A tale
fenomenismo corrispondono molteplici fenomenologie. Per esempio quella di
Martin Heidegger, afferma: "il reale è un solo, una totalità
onniafferrante (Hegel direbbe begriff), tanto come essere quanto come
niente". Anche Hidegger poi tenta la via della salvezza ammettendo la
realtà del mondo esterno come di un che, che resiste al soggetto, ponendosi nel
solco del pensiero di Zamboni. In questo modo Hidegger ha toccato "il
problema che si volle e che si vuole eludere: la realtà del mondo esterno.
Esistono queste realtà, come la mia realtà, indipendentemente dal
pensarle?" Per dare risposta a questo interrogativo cruciale,
secondo Siro Contri è necessaria la gnoseologia pura di Giuseppe Zamboni.
Il filosofo veronese Giuseppe Zamboni, secondo Contri, scoprì la risoluzione
definitiva del problema della certezza della conoscenza umana, con la
fondazione della gnoseologia pura. Essa permise di risolvere il problema
dell'esistenza di Dio, riavvalorando criticamente le cinque vie della
dimostrazione di S.Tommaso d'Aquino. Sono meriti del metodo filosofico di
Zamboni il poter affermare "la sostanzialità del mio io personale, la mia
realtà individua e dimostrare l'esistenza di Dio, trascendente,
personale". Il metodo zamboniano distingue gli elementi della
conoscenza umana tra sensazioni, che sono sempre oggettive, e stati d'animo e
tra questi "quello stato d'animo che è anche atto: l'attenzione". Gli
stati d'animo sono sempre soggettivi. Nel tentativo di fare una descrizione
sintetica del metodo zamboniano Gaetano Peretti così scrisse: Zamboni
"riesce a cogliere la realtà del proprio io, nei suoi atti e stati. Essi
sono reali, perché immediatamente presenti all'io, e se sono reali gli accidenti
dell'io, perché essi sono modo di essere dell'io, reale è l'io, come sostanza,
cui essi ineriscono. Perciò dall'immediata certezza della realtà degli
accidenti di un ente si giunge alla certezza della realtà sostanziale
dell'io."[15] La critica alla posizione della neoscolastica di
Gemelli, Olgiati e Masnovo sulla conoscenza indimostrata dell'ente e la
soluzione tramite la gnoseologia pura di Zamboni La descrizione di Peretti,
continua affrontando il tema della dimostrazione della realtà dell'ente:"
Si fonda così nell'esperienza immediata ed integrale il concetto di ente, che
non è più necessario assumere acriticamente, come qualcosa di razionalmente
immediato, pena l'impossibilità di una logica razionale. L'assunzione acritica
del concetto di ente è propria del neotomismo dell'Università Cattolica, che in
un suo autore, Amato Masnovo, perviene alla sua massima teorizzazione nel
"mio hic et nunc diveniente atto di pensiero". Ma con questo l'ente è
solo pensato e ammesso acriticamente come pensiero, è un presupposto, mentre
nella gnoseologia zamboniana è il risultato di un processo di astrazione, che
deriva da una realtà immediatamente presente all'autocoscienza dell'io, che non
ha la natura del pensiero, non è pensiero essa stessa, ma qualcosa di diverso. Si
può pertanto uscire dalla formula logica della ragion sufficiente, che è sempre
e comunque razionalista e riduce al razionalismo anche il neotomismo.
Nell'ambito dell'esperienza immediata ed integrale si scopre invece non la
ragion sufficiente, ma la sufficienza ad esistere o no. E la fondazione ed il
ripensamento delle prove dell'esistenza di Dio, e in particolare della terza
via tomistica, diventano inoppugnabili. Nessuno più può dubitare dell'esistenza
del sufficiente ad esistere, che è Dio."[16] Secondo Peretti la
fondazione gnoseologica della metafisica è il più grande merito di Giuseppe
Zamboni. L'ambiente filosofico dell'Università Cattolica non accettò la
gnoseologia zamboniana e fondò la metafisica sul concetto di ente, assunto
acriticamente, come un presupposto indimostrabile. Esso finì per identificarsi
con l'ente di ragione, non sfuggendo all'insidia hegeliana, che lo aveva
dialettizzato sia come essenza che come esistenza. La dialettica negativa di
Hegel produsse ben presto nella corrente neotomista di Milano (ma anche in
altre università cattoliche) i suoi effetti devastanti. Siro Contri, aveva
messo in guardia i neotomisti dalla fraus hegeliana, che si svela nell'antitesi
come negazione. La critica alla logica di Hegel e la storiosofia Seguendo
la metodologia gnoseologica zamboniana, Siro Contri ha affrontato Hegel, il
"padre del fenomenismo" compiendo una minuziosa e sistematica analisi
della fenomenologia hegeliana. Dopo averle individuate ha messo in rilievo le
incongruenze gnoseologiche e perciò metodologiche degli scritti e del pensiero
di Hegel, che sfocia nella concezione della realtà come vita dell'idea,
presentandola "come uno svolgimento dialettico del begiff, come qualche
cosa che non mai in sé, ma diviene eternamente in sé e per sé".
Contri resa evidente questa impostazione, anima del fenomenismo, e scoperta
nella deficienza gnoseologica e pertanto metodologica, derivata
dall'impostazione razionalista ed empirista che al fondo dello stesso
criticismo, rovescia l'immanentismo hegeliano, che si gli scopre non più come
mondo di idee, ma di realtà, di cui ognuna è altro del suo altro, in un ordito
cosmologico, di cui la storia dell'uomo rappresenta l'essenza. Ed ecco la
storiosofia[17] contriana, che reclama, al posto dell'immanentismo
gnoseologicamente insostenibile, la trascendenza della trama di questo ordito,
che a questo punto in sé e per sé non può più essere spiegato (si ricordi che
l'anima della spiegazione hegeliana è la "negazione"!). Tale
trascendenza prova l'esistenza di un Dio trascendente, che ha concepito la
trama creando le realtà ordito di questa trama, di realtà in reciproca
relazione, in cui non c'è membro che sia fermo. In questo ordine si risolvono
in modo nuovo i rapporti tra le realtà, che per esempio tra l'anima e il corpo,
superando così gli scogli di una spinosa questione di eredità aristotelica, di
grande importanza anche oggi, in cui le realtà terrene e spirituali non trovano
la sintesi equilibratrice[14]. La storiosofia contriana rappresenta uno
sviluppo realizzato da Contri del metodo di Zamboni, considerandolo la via per
rinnovare tutta la filosofia "poiché esso non è storicismo filosofico, non
è naturalismo, è avanti positivistico, non è speculazione, ma metodo appunto, (
metodo) che da secoli la filosofia europea ha cercato, perdendolo oggi nella
disperazione del momento."[18] Opere Il problema della verità in San
Tommaso d'Aquino: passi scelti dalla Somma Teologica e da altre opere
tomistiche con introduzione, inquadramento e interpretazione del dott. Siro
Contri, Torino, SEI, 1925 Aspetti caratteristici di gnoseologia pura, Bologna,
L.Cappelli, 1927 Verso l'armonia del pensiero, Bologna, 1927 Il tomismo e il
pensiero moderno secondo le recenti parole del Pontefice, Bologna, Coop.
tipografica Azzoguidi, 1927 Sintesi di gnoseologia pura, Bologna, Coop.
tipografica Azzoguidi, 1927 L'A.B.C. della filosofia del bello, Firenze,
Libreria Editrice Fiorentina, 1929 La filosofia scolastica in Italia nell' era
presente, op. I, Bologna, Cuppini, 1931 La filosofia scolastica nell'era
presente (dedicata a Giulio Canella), op. II,Bologna, ed. Galleri, 1931 Piccola
enciclopedia filosofica: sintesi organica elementare di filosofia dell'ente e
del pensiero, Bologna, C. Galleri, 1931 Lettera a S. Santità Papa Pio 11. sull'interpretazione
di S. Tommaso, Bologna, Stab. tip. Felsineo, 1932 Un confronto istruttivo:
Mercier, Gemelli, De Wulf ed altri ancora, Bologna, C. Galleri, 1932 Pane al
pane: riassunto d'una situazione, Bologna, Costantino Galleri, 1932 Filosofia e
Cattolicesimo: neoscolastici e archeoscolastici, sulla rivista Italia
letteraria, 24 aprile 1932. Alla ricerca del segreto di Hegel, Bologna, La
Grafolito, 1933 Pedagogia mussoliniana: dai discorsi del duce, Bologna, La
Diana scolastica, 1933 Giuseppe Zamboni e la sua gnoseologia pura di A.
Hilckmann . Il segreto di Hegel di S. Contri, Bologna, Stabilimento Tipografico
Felsineo, 1934 Riassunto della mia interpretazione di Hegel, Ivrea, ed.
Criterion, 1935. La genesi fenomenologica della logica hegeliana, I volume, Bologna,
ed.Criterion, 1938 Ambrogino o della neoscolastica, dialogo filosofico,
Bologna, 1939 La soluzione del nodo centrale della filosofia della storia,
Bologna, Criterion, 1940 Complementi di storiosofia, Bologna, Criterion, 1941
Punti di storiosofia, Bologna, Criterion, 1941 Lettera a S.S. Pio XII sulla
filosofia della storia, Bologna, Criterion, 1942 Il Reiner Begriff (=concetto
puro) hegeliano ed una recensione gesuitica, Bologna, Criterion, 1942 Dallo
storicismo alla storiosofia. Lettura prima, Verona, Albarelli, 1947 I tre
chiasmi della storia del pensiero filosofico. Inquadratura unitotale
della controversia sulla storiosofia, Milano, ed. Criterion, 1949 L'attualità
del Rosmini, Domodossola, La cartografica C. Antonioli, 1949 L'ispirazione divina
della S. Scrittura secondo l'interpretazione storiosofica, Milano, Criterion,
1950 La sapienza di Salomone, Milano, ed. Criterion, 1950 La riforma della
metafisica, Milano, ed. Criterion, 1951. L'attualità della filosofia
medioevale. Raggiungere la forma nuova, Fiera Letteraria, 5 agosto 1951.
Punti di trascendenza nell'immanentismo hegeliano, alla luce della momentalità
storiosofica, Milano, Libreria Editrice Scientifico Universitaria, 1954 Il
pensiero filosofico di Rosmini, Milano, Centro di cultura religiosa, 1955
Posizioni dello spiritualismo cristiano : La dottrina della poieticita in un
quadro rosminiano, Domodossola, Tip. La cartografica C. Antonioli, 1957 1956
Assiologia ed estetica, Theorein, n. 2, 1956. 1957 Posizione dello
spiritualismo cristiano. La dottrina della poieticità, in un quadro rosminiano,
Rivista rosminiana, n. 1, 1957. Heidegger in una luce rosminiana: la favola di
Igino e il sentimento fondamentale, Domodossola, La cartografica, 1958 Missione
di Milano. Chiosa storico-filosofica, Ragguaglio, 1958 Heidegger in una
luce rosminiana, Rivista rosminiana, 1958 La coscienza infelice nella
filosofia hegeliana, Palermo, Manfredi, 1961 Husserl edito e Husserl inedito,
Palermo, Manfredi, 1961 Kierkegaard: profeta laico dell'interiorità umana. Saggi
di una poetica vichiana, Milano, Il ragguaglio librario, 1962 La fenomenologia
dello spirito di G. Hegel, Rivista rosminiana, n.1, 1962. L'unità del pensiero
filosofico, Sapienza, n. 5-6, 1962 Il pluralismo filosofico nell'ambito di una
concezione cristiana, Sapienza, n. 3, 1965 In margine al centenario dantesco,
Sapienza, n. 4, 1965 La negazione come principio metodologico di unificazione
speculativa, Theorein, n. 2-3, 1967 Vita e pensiero di Hegel, Rivista
rosminiana, n. 1, 1967 Possibilità di un accordo tra la dottrina rosminiana del
sentimento fondamentale e le concezioni moderne sull'inconscio,
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Siro Contri, in L'Arena, Verona, 26 gennaio 1969, p. 6. ^ Francesco Olgiati, Il
caso Contri, in Rivista di Filosofia Neo-Scolastica, vol. 23, n. 3, 1931, pp.
271-278 (archiviato dall'originale). ^ Siro Contri, (Circa il volume di Croce
'La storia d'Italia dal 1871 al 1915'), tratto da «L'Avvenire d'Italia» -
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L'Estetica di Benedetto Croce, tratto da «Il carroccio» (1a parte) - Patrimonio
dell'Archivio storico Senato della Repubblica, su
patrimonio.archivio.senato.it. URL consultato il 2 agosto 2020. ^ Siro Contri,
Ricerca e dottrina, tratto da «Il Nuovo cittadino» (Circa il volume di Zamboni
'Sistema di gnoseologia e morale') - Patrimonio dell'Archivio storico Senato
della Repubblica, su patrimonio.archivio.senato.it. URL consultato il 2 agosto
2020. Siro Contri, Il sofisma di Hegel, 1ª ed., Jaca Book, 1989,
©1988, p. 237, ISBN 88-16-95055-2, OCLC 32350261. URL consultato il 2
agosto 2020. ^ Sina, Mario,, Studi su John Locke e su altri pensatori cristiani
agli albori del secolo dei lumi, ISBN 978-88-343-2278-9, OCLC 900470701. URL
consultato il 23 agosto 2020. «( in riferimento ad Agostino Gemelli
)...Certi gesti - scriveva la Vanni Rovighi - che gli furono rimproverati come
acquiescenza al potere politico fascista (e furono ben pochi in confronto a
quelli di molti altri) furono dettati dalla preoccupazione di difendere la sua
Università dalla minaccia di chiusura da parte del potere politico, minaccia
tutt’altro che immaginaria. E forse fu il timore di fronte alle obiezioni di
un’altra autorità, quella ecclesiastica, che gli premeva ben più di quella
politica, a indurlo ad allontanare dall’Università un uomo di grande ingegno e
di purezza adamantina: Giuseppe Zamboni, un gesto che non può non essergli
rimproverato e che lasciò anche a noi allora studenti dell’amaro in bocca.». ^
Alberto Soave, Azione Cattolica. Lotta intorno alla filosofia neoscolastica, su
Antonio Gramsci: I QUADERNI DEL CARCERE, 18 settembre 2014. URL consultato il 2
agosto 2020. ^ Siro Contri, (Circa il volume di Croce 'La storia come pensiero
e come azione'), tratto da «Criterion» - Patrimonio dell'Archivio storico
Senato della Repubblica, su patrimonio.archivio.senato.it. URL consultato il 2
agosto 2020. ^ Redazione, Inaugurazione ad Asti dei corsi della Università
Popolare, in La Stampa, 2 aprile 1944, p. 8 (archiviato dall'originale).
«...Siro Contri Presidente dell' Istituto di Cultura Fascista...». ^ Siro
Contri, Un grande traduttore, tratto da «Il regime fascista» (circa Novelli) -
Patrimonio dell'Archivio storico Senato della Repubblica, su
patrimonio.archivio.senato.it. URL consultato il 2 agosto 2020. ^ Annarosa
Dordoni, Crociata italica : fascismo e religione nella repubblica di Salò :
gennaio 1944-aprile 1945, Milano, Sugar Co. Se Edizioni, 1976. ^ Foto di
classe, su liceoparini.edu.it. URL consultato il 2 agosto 2020. «Foto di
Classe al Liceo classico Giuseppe Parini con il professor Siro Contri nel
1952». Gaetano Peretti, Siro Contri tra gnoseologia e storiosofia, in
Theorein, n. 2, 1969, p. 65. Gaetano Peretti, Mons. Zamboni a cent'anni
dalla nascita, in Verona Fedele, Verona, 12 ottobre 1975. ^ Gaetano Peretti,
Maria Tu qui...!, Verona, Copygraph, 2002, pp. 52-53. ^ F. L. Marcolungo,
Metafisica e Storia, in Verona Fedele, 24 novembre 1974, p. 6. ^ Gaetano
Peretti, In ricordo di Siro Contri, in L'Arena, 26 gennaio 1969, p. 6. Voci
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CORBELLINI Gilberto Corbellini
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relatore al Darwin Day romano dell'UAAR, febbraio 2020 Gilberto Corbellini
(Cadeo, 22 febbraio 1958) è un epistemologo italiano, i cui interessi
accademici riguardano la storia della medicina e la bioetica. Indice 1 Biografia
2 Libri
3 Note
4 Voci
correlate 5 Altri
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esterni Biografia Gilberto Corbellini è professore ordinario di storia della
medicina e insegna bioetica alla Sapienza Università di Roma, dove è anche
direttore del Museo di storia della medicina - Dipartimento di medicina
molecolare. Laureatosi in filosofia
della scienza con una tesi sull'epistemologia evoluzionistica di Donald
Campbell, Konrad Lorenz e Karl Popper, è dottore di ricerca in sanità pubblica.
I suoi primi interessi di studio hanno riguardato la storia e la filosofia
della biologia evoluzionistica, delle immunoscienze e delle neuroscienze, per
includere poi anche lo studio della storia della malaria e della malariologia
in Italia, delle ricadute della genetica molecolare in medicina, delle
implicazioni del pensiero evoluzionistico darwiniano per la medicina e
l'evoluzione della pedagogia medica.
L'approccio storico-epistemologico all'evoluzione del pensiero medico ha
trovato una sintesi nella ricostruzione della storia delle idee di salute e
malattia e delle trasformazioni metodologiche a cui è andata incontro la
ricerca delle spiegazioni causali delle patologie (Storia e teorie della salute
e della malattia, Carocci 2015). La sua
ricerca si è orientata anche verso l'esame delle radici storiche e culturali
delle controversie bioetiche. Nei suoi libri, articoli e interventi pubblici
difende un'idea non confessionale della bioetica, che ha radici filosofiche in
uno scetticismo morale radicale, naturalistico e non relativista (Bioetica per
perplessi. Una guida ragionata, Mondadori 2016 - con Chiara Lalli). Sulla base delle esperienze maturate come
divulgatore e commentatore di temi scientifici nei mezzi di informazione, ha
coltivato anche un interesse per la percezione sociale della scienza e per il
ruolo della cultura scientifica nella costruzione dei valori civili della
modernità. In Scienza, quindi democrazia (Einaudi 2011) sostiene che
l'invenzione e l'espansione del metodo scientifico hanno consentito e favorito
l'evoluzione del libero mercato e della stato di diritto, ovvero che la scienza
ha funzionano come catalizzatore nella costruzione e manutenzione dei valori
critico-cognitivi e morali che rendono possibile il funzionamento dei sistemi
liberaldemocratici. Collabora
regolarmente, dal 1997, al supplemento culturale Domenica del Sole 24 Ore. È
stato per dieci anni copresidente dell'Associazione Luca Coscioni per la
Libertà di Ricerca Scientifica, è presidente della Fondazione Antonio Ruberti,
ha fondato e codiretto la rivista di cultura scientifica “darwin” e ha fatto
parte, dimettendosi dopo un anno, del Comitato Nazionale per la Bioetica. Il 7 aprile 2017 è stato nominato direttore
del Dipartimento di scienze sociali e umane, patrimonio culturale (Dsu) del
Consiglio Nazionale delle Ricerca, subentrando a Riccardo Pozzo[1]. Libri Nel Paese della Pseudoscienza. Perché i
pregiudizi minacciano la nostra libertà. Milano, Feltrinelli, 2019. Cavie?
Sperimentazione e diritti animali (con Chiara Lalli), Bologna, Il Mulino, 2016;
Tutta colpa del cervello: un'introduzione alla neuroetica (con Elisabetta
Sirgiovanni), Milano, Mondadori Università, 2013[2]; Scienza, Torino, Bollati
Boringhieri, 2013; Dalla cura alla scienza (con Maria Conforti e Valentina
Gazzaniga), Milano, Encyclomedia Publishers, 2011; Scienza, quindi democrazia,
Torino, Einaudi, 2011; Perché gli scienziati non sono pericolosi, Milano,
Longanesi, 2009; La razionalità negata. Psichiatria e antipsichiatria in Italia
(con Giovanni Jervis), Torino, Bollati Boringhieri, 2008; EBM. Medicina basata
sull'evoluzione, Roma-Bari, Laterza, 2007; Bi(blio)etica (con Pino Donghi e
Armando Massarenti), Torino, Einaudi, 2006; Breve storia delle idee di salute e
malattia, Roma, Carocci, 2004; Le grammatiche del vivente. Storia della
biologia e della medicina molecolare, Roma-Bari, Laterza, 1999; L'evoluzione
del pensiero immunologico, Bollati Boringhieri, Torino, 1990. Note ^ (EN)
Nominato il nuovo direttore Dsu-Cnr | Consiglio Nazionale delle Ricerche, su
www.cnr.it. URL consultato il 20 aprile 2017. ^ Libro insignito del Premio
Nazionale di Divulgazione Scientifica 2014
http://www.cnr.it/news/index/news/id/5961 e del Premio alla Cultura Mario
Tiengo da AISD (Associazione Italiana per lo Studio del Dolore) Voci correlate
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nel sito della Facoltà di Farmacia e Medicina. Corso di Laurea in Biotecnologie
- Sapienza Università di Roma, su biotecnologie.frm.uniroma1.it (archiviato il
22 ottobre 2012). «Paura degli Ogm? Agricoltori manipolati». L'opinione del
piacentino Gilberto Corbellini, docente di bioetica alla Sapienza di Elena
Salini, La cronaca di Piacenza, 27 marzo 2010, p. 2. Sito "salmone.org".
Per una bioetica non difensiva, di Gilberto Corbellini, Ie Italianieuropei, 1º
aprile 2003, sito "italianieuropei.it" La puntata del settimanale di
informazione culturale di Rai Cinque "Terza Pagina" con gli
interventi di Gilberto Corbellini 12 febbraio 2016 Controllo di autorità VIAF
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XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloAccademici italiani del XX
secoloAccademici italiani del XXI secoloSaggisti italiani del XX secoloSaggisti
italiani del XXI secoloNati nel 1958Nati il 22 febbraioNati a CadeoAttivisti
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CORDESCHI -- Roberto
Cordeschi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Roberto Cordeschi (L'Aquila, 10 luglio 1946 – Roma, 12 ottobre 2014) è stato un
filosofo italiano. Indice 1 Biografia
2 Pensiero
3 Opere
e Pubblicazioni 4 Note
5 Collegamenti
esterni Biografia Roberto Cordeschi nasce a L'Aquila il 10 luglio 1946. Nel
1965 dalla sua città natale si trasferisce a Roma dove intraprende gli studi in
filosofia alla Sapienza - Università di Roma sotto la supervisione di Vittorio
Somenzi. Si appassiona subito alla storia della Cibernetica, di cui Somenzi fu
tra i primi studiosi e contributori in Italia[1]. Con la co-supervisione di
Lucio Lombardo Radice discute una tesi sui Teoremi di incompletezza di Gödel.
Tra il 1970 e il 1972 insegna in alcuni licei pubblici: prima a Morino, poi ad
Avezzano e successivamente a Torino. Durante il periodo di insegnamento liceale
inizia a collaborare all'attività didattica universitaria svolgendo una serie
di seminari all'interno del suo ateneo. Tra il 1972 e il 1980 continua e
consolida la sua attività accademica all'interno de La Sapienza grazie ad una
serie di borse di studio e contratti di ricerca. A partire dal 1980 e fino al
1988 ricoprirà il ruolo di ricercatore associato sempre nel suo ateneo di
origine. Nel 1988 viene nominato professore associato nel Dipartimento di
Filosofia dell'Università degli Studi di Salerno. Successivamente, nel 2000,
viene strutturato come professore di Logica e Filosofia della scienza e nel
2002 diventa direttore del corso di studio in Scienze della comunicazione. Dopo
gli intensi anni di ricerca che caratterizzarono il periodo salernitano,
Cordeschi lascia Salerno nel 2005 per una cattedra in Filosofia della scienza
nella sua Alma mater. Insegnerà qui, nel Dipartimento di studi filosofici ed
epistemologici, Filosofia della Scienza e Filosofia dell'Intelligenza
artificiale e delle Scienze cognitive fino alla sua prematura scomparsa nel
2014. Pensiero Le sue ricerche hanno riguardato la storia
dell'intelligenza artificiale, della cibernetica e della protocibernetica. Si è
profondamente occupato del ruolo esplicativo degli artefatti nella comprensione
della mente umana dalla protocibernetica fino alle recenti tendenze
dell'intelligenza artificiale. Opere e Pubblicazioni Cordeschi, R.,
Tamburrini G. (2015). Alan Turing e il programma di ricerca dell’intelligenza
artificiale. In: Hosni H., a cura di. Menti e macchine. Alan Mathison Turing a
cento anni dalla nascita. Pisa: Edizioni della Normale: 87-126. Boccignone, G.,
Cordeschi R. (2015). Coping with levels of explanation in the behavioral
sciences. Frontiers in Psychology, 6: 4-5. Boccignone, G., Cordeschi, R., eds.
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Frontiers media. Doi: 10.3389/978-2-88919-597-8. Cordeschi, R. (2013).
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society”. Ontology studies / Cuadernos de Ontolología, 8: 111-125. Cordeschi,
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1-Jan-2016. Controllo di autorità VIAF
(EN) 206686379 · SBN IT\ICCU\RAVV\023953 · WorldCat Identities (EN)
lccn-n2002021853 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia
Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloNati
nel 1946Morti nel 2014Nati il 10 luglioMorti il 12 ottobreNati all'AquilaMorti
a Roma[altre]
CORLEO -- Simone Corleo Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Simone
Corleo Simone Corleo.jpg Deputato del Regno d'Italia Legislature VIII, XIV, XV Dati
generali Titolo di studio laurea
Professione Docente
universitario Simone Corleo (Salemi, 2 settembre 1823 – Palermo, 1º marzo 1891)
è stato un politico, filosofo e docente italiano. Indice 1 Biografia
1.1 Attività
politica 2 Riconoscimenti
3 Opere
4 Note
5 Bibliografia
6 Altri
progetti 7 Collegamenti
esterni Biografia Studiò nel Seminario vescovile di Mazara del Vallo. Lasciata
la carriera ecclesiastica si laureò nel 1849 in medicina presso l'Università
degli Studi di Palermo e tornò per insegnare filosofia e matematica nel
Seminario mazarese e in seguito in alcuni convitti a Palermo. Nel 1864 fu nominato professore di filosofia
morale nell'università di Palermo, e creò nel 1889 il primo laboratorio di psicologia
sperimentale in Italia[1],presso l'Istituto di Fisiologia della Facoltà di
Medicina. Dal 1883 al 1885 è stato
Rettore della Università di Palermo[2].
Attività politica Liberale, aderì alla rivoluzione siciliana del 1848 e
quell'anno scrisse il testo Progetto per una adeguata costituzione siciliana.
Nel 1860 durante la spedizione dei Mille, fu nominato da Giuseppe Garibaldi
governatore di Salemi. Su quel periodo scrisse nel 1886 il memoriale Garibaldi
e i Mille. Il 27 gennaio 1861 fu eletto
deputato al primo Parlamento di Torino nel collegio di Calatafimi e vi restò
fino al 1864. In questa veste prese il suo nome la legge disciplinante
l'Enfiteusi dei beni ecclesiastici in Sicilia. Nel 1880 tornò alla Camera nella
XIV legislatura e riconfermato nel 1882 nella XV, fino al 1886[3]. Il presidente del Consiglio Francesco Crispi
lo fece investire del titolo di conte di Salemi[4]. Riconoscimenti Il suo corpo è tumulato nella
Chiesa di Sant'Agostino di Salemi, divenuta con delibera comunale dell'11
ottobre 1891 pantheon dei salemitani illustri.
Uno busto del Corleo si trova all'ingresso dell'Università di
Palermo. A Simone Corleo è intitolato
inoltre (in coabitazione con l'erudito ottocentesco Gaetano Daita)
un'importante segmento viario della pianta palermitana, che collega Piazza
Croci al centralissimo Politeama e una piazza nella sua città natale
(Salemi). Anche la biblioteca di Salemi
è intitolata a Simone Corleo. Opere Si
occupò di letteratura, medicina, scienza fisica e naturale. Scrisse diverse tragedie
e opere di carattere filosofico.
Meditazioni filosofiche, (1844) Progetto per una adeguata costituzione
siciliana, (1848) La filosofia universale, 2 voll., (1860-63) Per la filosofia
morale, (1865) Storia della enfiteusi dei terreni ecclesiastici di Sicilia,
(1871) Il sistema della filosofia universale, ovvero la filosofia della
identità, (1879) Lezioni di filosofia morale, (1890-91) Note ^ CORLEO, Simone
in Dizionario Biografico – Treccani ^ Annuario dei Rettori della Università di
Palermo ^ Simone Corleo / Deputati / Camera dei deputati - Portale storico ^
http://www.trapaninostra.it/Foto_Trapanesi/Didascalie/Corleo_Simone.htm
Bibliografia Alfredo Li Vecchi, Simone Corleo, in Dizionario biografico degli
italiani, vol. 29, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1983. URL
consultato il 22 maggio 2015. Modifica su Wikidata Altri progetti Collabora a
Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Simone Corleo Collabora a
Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Simone
Corleo Collegamenti esterni Opere di Simone Corleo, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Simone Corleo, su Open
Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Simone Corleo, su
storia.camera.it, Camera dei deputati. Modifica su Wikidata Predecessore Rettore Università degli Studi di
Palermo Successore Stemma
Università Palermo.jpg Gaetano Giorgio Gemmellaro 1883 - 1885 Emanuele
Paternò
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(EN) 46773193 · ISNI (EN) 0000 0000 2502 1183 · SBN IT\ICCU\PALV\016077 · LCCN
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Biografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie
Categorie: Deputati dell'VIII legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della XIV
legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della XV legislatura del Regno
d'ItaliaPolitici italiani del XIX secoloFilosofi italiani del XIX
secoloInsegnanti italiani del XIX secoloNati nel 1823Morti nel 1891Nati il 2
settembreMorti il 1º marzoNati a SalemiMorti a PalermoRettori dell'Università
degli Studi di Palermo[altre]
CORNELIO -- Tommaso Cornelio Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search ritratto di Tommaso Cornelio, 1688 Tommaso
Cornelio (Rovito, 1614 – Napoli, 28 novembre 1684) è stato un medico,
matematico e filosofo italiano, protagonista della rivoluzione scientifica del
secolo XVII nel Regno di Napoli. Indice
1 Biografia 2 Opere
3 Bibliografia
4 Voci
correlate 5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Tommaso Cornelio nacque in Calabria, dove poté formarsi alla
scuola cosentina sulle teorie anti-aristoteliche di Bernardino Telesio, molto
studiato nell'Accademia del capoluogo della Calabria Citeriore. È una delle principali personalità che
introdussero il pensiero moderno e scientifico nella penisola italiana e nel
regno di Napoli. Studiò medicina a Roma, dove entrò a contatto con la cultura scientifica
dell'Italia rinascimentale, approfondendo e facendo proprie molte tesi
galileiane, conobbe il naturalismo telesiano e campanelliano, di cui fu erede
il suo maestro Marco Aurelio Severino.
Appena rientrò a Napoli divenne professore di matematica e medicina
teoretica: nella capitale del sud portò la filosofia di Cartesio e di Gassendi.
Al 1663 risale la sua opera principale, i Progymnasmata physica, in cui sono
esposte le sue teorie matematiche e filosofiche. Opere Progymnasmata physica Ad illustriss.
marchionem Marcellum Crescentium epistola... De cognatione aëris et aquae. Ad
Marcum Aurelium Severinum epistola Bibliografia Questo testo proviene in parte
dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera del
Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze (home page),
pubblicata sotto licenza Creative Commons CC-BY-3.0 Luca Addante, "Tommaso
Cornelio (1614-1686)" in Cosenza e i cosentini: un volo lungo tre
millenni. Soveria Mannelli: Rubbettino Editore, 2001, pp. 57–58, ISBN
8849801270, ISBN 9788849801279 (on-line) Voci correlate Regno di Napoli
Cartesio Pierre Gassendi Lucantonio Porzio Altri progetti Collabora a
Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Tommaso Cornelio Collabora
a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Tommaso
Cornelio Collegamenti esterni Vittor Ivo Comparato, Tommaso Cornelio, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata Opere di Tommaso Cornelio, su openMLOL, Horizons Unlimited
srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Tommaso Cornelio, su Open Library,
Internet Archive. Modifica su Wikidata Giuseppe Inzitari, Tommaso Cornelio, in
Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970. Controllo di
autorità VIAF
(EN) 39528654 · ISNI (EN) 0000 0000 6124 1626 · SBN IT\ICCU\UFIV\078269 · LCCN
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Portale Biografie Matematica Portale Matematica Medicina Portale Medicina
Categorie: Medici italianiMatematici italiani del XVII secoloFilosofi italiani
del XVII secoloNati nel 1614Morti nel 1684Morti il 28 novembreNati a
RovitoMorti a NapoliAccademia cosentinaRegno di NapoliSalottieri[altre]
CORRADO -- Vincenzo
Corrado Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Niente fonti! Questa voce o sezione sugli argomenti filosofi italiani e cuochi
noncita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Puoi migliorare
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della principale opera, o almeno specificare meglio se le informazioni
riportate provengono tutte da quest'ultima. Contribuisci a migliorarla secondo
le convenzioni di Wikipedia. Segui i suggerimenti dei progetti di riferimento 1,
2. Vincenzo Corrado Vincenzo Corrado (Oria, 18 gennaio 1736 – Napoli, 11
novembre 1836) è stato un cuoco, filosofo e letterato italiano[1]. Uomo di
grande cultura, fu soprattutto grande gastronomo e uno dei maggiori cuochi che
si distinsero tra il '700 e l'800 nelle corti nobiliari di Napoli, simbolo del
suo tempo nella variegata realtà partenopea. Fu il primo cuoco che mette per
iscritto la "cucina mediterranea", il primo, a valorizzare la grande
cucina regionale italiana[2]. Scrisse Il cuoco galante nel 1773[1],
definito all'epoca un libro di alta cucina, testo richiesto in tutto il mondo
dalle principali autorità dell'epoca, e ristampato per ordini del principe per
ben 6 volte. Preparava elegantissimi banchetti in principio alla corte di
Don Michele Imperiali Principe di Francavilla presso il palazzo Cellamare di
Napoli, dove coordinava un piccolo esercito di maggiordomi, domestici, volanti
e paggi e preparava i pranzi o le cene con particolare assortimento di vivande
accoppiandole con tanta fantasia e particolari accorgimenti architettonici ed
artistici al fine di formare una coreografia sontuosa e raffinata.
Indice 1 Biografia 2 Le
opere 2.1 Il
Cuoco Galante 2.2 Altre
opere 3 La
dedizione alla grande nobiltà 4 La
preparazione dei banchetti 4.1 Precettori
4.2 Chef
e Cuochi 4.3 Serventi
5 Termini
culinari 6 Note
7 Altri
progetti 8 Collegamenti
esterni Biografia Vincenzo Corrado nacque in Oria il 18 gennaio 1736 da
Domenico e da Maddalena Carbone. Rimasto orfano per la morte del padre, ancora
adolescente, divenne paggio alla corte di Don Michele Imperiali che era
Principe di Modena e Francavilla Fontana, Marchese di Oria e Gentiluomo di
camera di S.M. il Re delle due Sicilie, che lo condusse a Napoli dove risedette
per diversi anni. Appena maggiorenne, entrò a far parte della Congregazione dei
Padri Celestini nel convento di Oria. Dopo l'anno di noviziato, Vincenzo
fu chiamato dal Superiore Generale De Leo nella residenza napoletana di San
Piero in Maiella, dove si specializzò negli studi di matematica, di astronomia
e filosofia. Dallo stesso padre generale fu avviato, anche, allo studio delle
scienze naturali e dell'arte culinaria, per la quale divenne famoso. Non
diventò mai sacerdote per cui, dopo la soppressione degli ordini religiosi,
all'età di 38 anni, si stabilì a Napoli, ove risedette per oltre cinquant'anni,
insegnando la lingua francese e spagnola ai figli delle famiglie aristocratiche
della città, pubblicando contemporaneamente molte sue opere che gli diedero
successo e notorietà. Per i molti impegni che ebbe a Napoli, V. Corrado non
tornò più ad Oria, anche se non mancarono momenti di nostalgia per la
lontananza dalla sua famiglia e dalla sua città natale. Egli morì proprio a
Napoli il 11 novembre 1836 all'età di 100 anni[2]. Il Principe di Francavilla
gli attribuì la mansione di "Capo dei Servizi di Bocca" (antica
mansione con cui veniva chiamato colui che era preposto a sovrintendere alla
cucina, alla preparazione delle vivande e all'organizzazione dei banchetti) di
Palazzo Cellamare, sito sulla collina delle Mortelle prospiciente il golfo di
Napoli e della famiglia del Principe, poiché molti illustri personaggi di un
certo livello e rango, che venivano a Napoli, invitati a mensa poterono
constatare la fama di questa opulenta ospitalità più spagnolesca e tipicamente
partenopea che era in uso al tempo. Parlando del suo lavoro Vincenzo
Corrado così si esprimeva: «L'abbondanza, la varietà, la delicatezza
delle vivande, la splendidezza e la sontuosiotà delle tavole richiedevano una
schiera di uomini d'arte, saggi e probi» Questa mastodontica
organizzazione, era guidata proprio da Vincenzo Corrado. Alle sue dipendenze
lavoravano un maestro di casa, un maestro di cucina ed un maestro di scalco che
aveva il compito di acquistare, di cucinare, di dissodare e di trinciare ogni
tipo di animale, mentre una schiera di cuochi, rispettando la gerarchia allora
in uso, lavorava secondo la propria specializzazione (oggi le grandi cucine dei
Ristoranti hanno i cuochi di rango) : vi era il cuoco friggitorie, quello per
le insalate, il pasticciere, il bottigliere e il ripostiere. Tutti questi erano
aiutati da una serie di sguatteri e di serventi che avevano il compito di
girare intorno al tavolo per esibire lo spettacolo fantasioso delle portate
prima ancora di servirle. Tutta questa organizzazione era coadiuvata da un
piccolo esercito di maggiordomi, domestici, volanti e paggi che interveniva non
appena il servizio di cucina consegnava le varie portate artisticamente
decorate. Vincenzo Corrado, a seconda degli ospiti del Principe preparava i
pranzi o le cene con particolare assortimento di vivande accoppiandole con
tanta fantasia e particolari accorgimenti architettonici ed artistici al fine
di formare una coreografia sontuosa e raffinata. Egli stesso ci descrive queste
splendide composizioni con pregevole gusto e raffinatezza, lasciando, anche,
delle visioni grafiche. Gli elementi decorativi della tavola erano affidati al
maestro ripostiere che usava gusto artistico e genialità: grandi vasi in
porcellana ricolmi di fiori variopinti, alzate di cristallo e argento a tre o
quattro piani colmi di dessert o frutta o fiori o ortaggi, bianchi gruppi di
porcellana raffiguranti scene arcadiche o bucoliche; puttini d'argento;
gabbiette dorate con piccoli uccellini cinguettanti; coppe di cristallo di
varie fogge in cui guizzavano pesciolini tra foglie di rose ed altri fiori. Il
centro veniva racchiuso da una cornice di frutta, di fiori freschi e di
ortaggi, secondo la stagione variante, disposti, intervallati da piccole spalliere
di agrumi in porcellana con ortolani nell'atto di raccoglierli. La composizione
era la sintesi di un artista di provata esperienza, di raffinata fantasia e di
vivace estro, capace di accoppiare tanti svariati elementi fondendoli insieme a
formare uno spettacolo di gran gusto e di particolare gradevolezza. Il valore
del tavolo di gala completato dal vasellame, cristalleria e argenteria di
grande pregio era inestimabile. Questo senso artistico, anche, nell'arte
culinaria V. Corrado lo aveva ereditato da un suo antenato Q. M. Corrado,
letterato di mestiere. Ma per quanto dotato di una cultura autodidatta, di
vivacità d'ingegno, di originalità e di una particolare facilità
nell'insegnamento, se non avesse avuto la fortuna di conoscere Don Michele
Imperiali, che ne coltivò le particolari doti incoraggiandolo a scrivere della
sua specifica arte per tramandarla ai posteri, probabilmente sarebbe rimasto un
ottimo organizzatore, un appassionato gastronomo, ma la sua fama si sarebbe
estinta con lui. Le opere Il Cuoco Galante Il Cuoco Galante
Il primo libro vegetariano della nostra storia il credenziere: colui che
si prendeva cura della credenza L'opera fu sottoposta, fino al 1857, a ben 7
ristampe. Prodotta fino al 1801 in 7500 copie, fu diffusa, in traduzione, anche
all'estero. Dalla dedica si ricava il leitmotiv dello scritto nonché la
filosofia in cui credeva l'autore, che è di questo tenore: il “buon Gusto nella
Tavola” inteso come “sano pensare”. Questo trattato di gastronomia fu
pubblicato in prima edizione nel 1773; il successo fu istantaneo e inaspettato,
in quanto la precedente opera gastronomica, La lucerna dei cortigiani, stampata
presso Napoli nel 1634 e dedicata a Ferdinando II duca di Toscana, non era
riuscita ad attirare l'interesse del pubblico che la trascurò
ignorandola. Invece grande successo ottenne la prima edizione del
"Cuoco Galante" che si esaurì rapidamente, tanto che nel 1778 il
Principe ne ordinò una seconda edizione che ebbe eguale successo. Intanto
Vincenzo Corrado migliorò e ampliò il testo di questa opera e ne preparò una
terza edizione che venne pubblicata nel 1786. La fama del libro superò i
confini del Regno di Napoli e dell'Italia; infatti dall'estero giunsero
richieste da tutti quegli stranieri che avevano conosciuto ed apprezzato il
Corrado alla corte degli Imperiali, per cui nel 1794 si pervenne ad una quarta
edizione, seguita nel 1806 dalla quinta e infine la sesta pubblicata. Assolute
novità introdotte dall'autore erano allora la patata, il pomodoro[3], il caffè
e la cioccolata. Altre opere Incoraggiato dal successo del Cuoco Galante,
il Principe spinse l'autore a pubblicare nel 1778 un Credenziere del buon
gusto, del bello, del soave e del dilettevole per soddisfare gli uomini di
sapere e di gusto. Egli scrisse e pubblicò inoltre Il cibo Pitagorico, Trattato
sulle patate, Manovre del cioccolato e del caffè, Trattato sull'agricoltura e
la pastorizia ed infine Poesie baccanali per commensali. La dedizione
alla grande nobiltà Siamo dunque a fine settecento. Vincenzo Corrado è il faro
della cucina moderna della nobiltà a cavallo del periodo della rivoluzione
francese. Egli privilegia i personaggi di rango in visita alla mensa del
principe con opulenta ospitalità, più spagnolesca che partenopea. Orbene in
questo contesto di sfarzo godereccio, di lusso e di differenze sociali
abissali, il Corrado rimase fin dalla giovane età abbagliato dalla nobiltà, la
gente ricca e potente, verso la quale nutrirà sempre sentimenti di grande
reverenza se non addirittura di venerazione. Proprio per riconoscenza al
Principe, Vincenzo Corrado, dando alle stampe i suoi due libri, confessa:
«Questi due libri che del buon gusto trattano, con la guida e norma scrissi, e
pur mercé la tua generosità mandai alle stampe, e Tu di propria mano ne segnasti
il titolo il -Cuoco Galante- l'uno e il -Credenziere del Buon Gusto- l'altro,
tutti e due a te li porgo come frutto di un albero dalla mano piantato... Mio
Scopo egli è di richiamare alla memoria dei nobili uomini dei quali Tu fosti la
gloria l'ornamento alla memoria e la lode. Ah? Ma qual Tu fosti non basterebbe
di dire di cento e mille lingue, per cui io stimo meglio il tacere e con il
silenzio benedire gli anni che ti fu appresso.» La preparazione dei
banchetti L'organizzazione dei magnifici banchetti e delle cene lussuose gli
diedero l'appellativo di cuoco galante. La cosa straordinaria è che dietro gli
scenari di un favoloso pranzo o cena vi era una preparazione, quasi orchestrale
della quale il direttore era il Corrado. Alle sue dipendenze vi era una vera e
propria squadra di addetti alle cucine formata da precettori cuochi e
servienti. La presentazione estetica, oltre al gusto, acquista la sua
importanza in cucina, ed il Corrado dedica grande spazio alle decorazioni e al
modo di imbandire le tavole dei banchetti. Nell'opera del Corrado sono anche
presentati i sorbetti, in vari gusti, ed il caffè, che, a differenza
dall'attuale espresso, veniva bollito in apposite caffettiere.
esempio di banchetto, tratta dall'opera il cuoco galante Precettori un
precettore di alloggio e sistemazione posti per gli invitati, un precettore di
preparazione dei cibi, un precettore abile con utensili domestici, che aveva la
mansione di far provviste e comperare il necessario al mercato per le mense, di
dissodare e di affettare ogni tipo di carne o pesce. Chef e Cuochi Il cuoco
friggitore, il cuoco per le insalate, il pasticciere, il bottigliere, il
ripostiere. Serventi lavapiatti, camerieri, maggiordomi, domestici,
volteggianti e giullari che intervenivano non appena il servizio di cucina
consegnava le varie portate artisticamente decorate. Non era solo una
semplice cena, era un vero e proprio spettacolo, fuori dall'immaginato. A volte
comprendeva l'utilizzo di 100 persone per altrettanti o più invitati. I
banchetti o le cene con caratteristiche e assortimenti di piatti erano
accoppiate con tanta inventiva e particolari astuzie architettoniche ed
eleganti al fine di plasmare una scenografia sfarzosa e affinata. Egli
stesso nelle sue opere e nei suoi diari ci descrive queste splendide
composizioni culinarie come opere d'arte, quasi uno spreco consumarle.
Decorazioni Bicchieri e coppe di cristallo, posate in argento intagliate,
tovaglie di pizzo fiorentino, buche e composizioni floreali, piatti in
porcellana di Capodimonte Termini culinari "Il Cuoco Galante",
proprio nella terza edizione (1786), alfine di una maggiore comprensione,
Vincenzo Corrado spiega alcuni termini "cucinarj" usati per la
preparazione delle varie pietanze, ne riportiamo un esempio: Bianchire:
Far per poco bollire in acqua quel che si vuole; Passare: Far soffriggere cosa
in qualsiasi grasso; Barda: Fetta di lardo; Inviluppare: Involgere cosa in quel
che si dirà; Arrossare: Ungere con uova sbattute cosa; Stagionare: Far ben
soffrigere le carni o altro; Piccare: Trapassar esteriormente con fini lardelli
carne; Farsa: Pastume di carne, uova, grasso ecc.; Farcire: Riempire cosa con
la sarsa; Adobare: Condire con sughi acidi, erbette, ed aromi; Bucché: Mazzetto
d'erbe aromatiche che si fa bollire nelle vivande; Salza: Brodo alterato con
aromi, con erbe, o con sughi acidi; Colì: Denso brodo estratto dalla sostanza
delle carni; Purè: Condimento che si estrae dai legumi, o d'altro; Sapore: La
polpa della frutta condita, e ridotta in un denso liquido; Entrées: Vivande di
primo servizio; Hors-dœuvres: Vivande di tramezzo a quelle di primo servizio;
Entremets: Vivande di secondo servizio; Rilevé: Vivande di muta alle zuppe,
potaggi, o d'altro. Note Gian Paolo Spaliviero, Il Vitello tonnato -
Storia e ricette. URL consultato il 14 agosto 2018 (archiviato dall'url
originale il 14 agosto 2018). Vincenzo Corrado, su mastroscappi.org. URL
consultato il 14 agosto 2018. ^ (EN) Vincenzo Corrado, su
pizzanapoletanismo.com. URL consultato il 14 agosto 2018 (archiviato dall'url
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Collegamenti esterni Opere di Vincenzo Corrado, su openMLOL, Horizons Unlimited
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(EN) n86837292 · WorldCat Identities (EN) lccn-n86837292 Biografie Portale
Biografie Cucina Portale Cucina Napoli Portale Napoli Categorie: Cuochi
italianiFilosofi italiani del XVIII secoloLetterati italianiNati nel 1736Morti
nel 1836Nati il 18 gennaioMorti l'11 novembreNati a OriaMorti a NapoliScrittori
di gastronomia italiani[altre]
CORSINI -- Odoardo
Corsini Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Odoardo Corsini Odoardo Corsini, o Edoardo, nato Silvestro,
(Fellicarolo, 5 ottobre 1702 – Pisa, 27 novembre 1765[1]), è stato un
religioso, matematico e filosofo italiano. Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Note
4 Bibliografia
5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Studiò nel Collegio dei padri scolopi fananesi, dove in
seguito entrò quale novizio nel 1717 e in seguito si trasferì nel Noviziato di
Firenze[1]. Le sue capacità lo portarono a diventare docente di filosofia
a soli vent'anni presso la stessa scuola nel 1723, prima ancora
dell'ordinazione sacerdotale del 1725[1]. Si trasferì quindi all'Università di
Pisa dove insegnò fino alla sua morte. Tuttavia nel periodo che va dal
1754 al 1760, il Corsini fu eletto Superiore Generale e dovette trasferirsi a
Roma. I principali campi di studio ai quali si applicò furono: la
filosofia, la cronologia, l'epigrafia, la filologia e la numismatica ma si interessò
anche di matematica, di logica, di fisica, di idraulica, di didattica, di
storia e di lettere antiche e moderne. Illustrazione relativa alle
recensioni su De Minnisari e Dubia de Minnisari pubblicate ne gli Acta
Eruditorum del 1758 Opere Illustrazione relativa all'Epistola ad Paulum
M. Paciaudum, ...pubblicata negli Acta Eruditorum del 1758 Ragionamento
istorico sopra la Valdichiana, Firenze, 1742 Index notarum Graecarum quae in
aereis ac marmoreis Graecorum tabulis observantur, Firenze 1752 De Minnisari
aliorumque Armeniae regum nummis et Arsacidarum epocha dissertatio, Firenze
1754 Note DBI. Bibliografia A. Fabbroni, Vitae Italorum..., vol. VIII,
Pisis 1781, pp. 76–130 E. de Tipaldo, Biografie degli italiani illustri, vol.
X, Venezia 1845. C. Antonioli, Elogio di Odoardo Corsini, Nov. Lett. di
Firenze, vol. 27, col. 101. Ugo Baldini, CORSINI, Edoardo, in Dizionario
biografico degli italiani, vol. 29, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
1983. URL consultato il 3 dicembre 2014. Modifica su Wikidata F. Barbieri e M.
Zuccoli, Un elogio inedito di Odoardo Corsini (con tre lettere del Fananese a
Geminiano Rondelli), Rassegna Frignanese, 28, 1994-1996, pp. 331–354. Altri
progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a
Odoardo Corsini Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene
immagini o altri file su Odoardo Corsini Collegamenti esterni Biografia SISM,
su dm.unito.it. URL consultato il 2 giugno 2004 (archiviato dall'url originale
il 4 giugno 2004). Biografia Università di Pisa, su biblio.adm.unipi.it:8081.
URL consultato il 18 dicembre 2007 (archiviato dall'url originale il 12 maggio
2006). Controllo di autorità VIAF
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Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Filosofia
Portale Filosofia Matematica Portale Matematica Categorie: Religiosi
italianiMatematici italiani del XVIII secoloFilosofi italiani del XVIII
secoloNati nel 1702Morti nel 1765Nati il 5 ottobreMorti il 27 novembreNati a
FananoMorti a PisaScolopi[altre]
CORTESE -- Alessandro Cortese
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Nota
disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando l'umanista, vedi Alessandro
Cortese (umanista). Alessandro Cortese (Milano, 16 febbraio 1940 – Milano, 29
dicembre 2007) è stato un filosofo, traduttore e accademico italiano. Indice 1 Biografia
2 Opere
2.1 Traduzioni
e commenti 2.2 Edizioni
critiche e curatele 3 Collegamenti
esterni Biografia Docente universitario di filosofia, professore ordinario
all'Università degli studi di Trieste, scrittore, curatore di opere filosofiche
e docente di lingua danese, è stato allievo di Gustavo Bontadini e poi di
Augusto del Noce che lo chiamò come assistente all'Università di Trieste, dove
poi salì in cattedra e insegnò per molti anni fino alla pensione. Studioso di Søren Kierkegaard, tradusse e
commentò buona parte della sua opera. Per la sua passione per questo filosofo,
cominciò negli anni cinquanta, dapprima da autodidatta, lo studio della lingua
danese, di cui in seguito divenne docente presso l'Università Cattolica di
Milano, dopo averla perfezionata con lunghi soggiorni a Copenaghen durante i
quali ebbe modo di entrare a stretto contatto con gli specialisti
kierkegaardiani. Tra i suoi campi di
interesse si annovera anche Vincenzo Gioberti, di cui curò l'edizione critica;
nel tempo libero si dedicava all'alpinismo, alla pittura ed alla musica. È morto a 67 anni, pochi giorni dopo la
conclusione della versione definitiva di un'opera a cui stava lavorando da
anni. I suoi funerali sono stati concelebrati a Sant'Angelo Lodigiano, città
d'origine della sua famiglia, dal Parroco della Chiesa dei SS. Antonio e
Francesca, da don Aldo Locatelli e dal prefetto della Biblioteca Ambrosiana di
Milano, Mons. Franco Buzzi, di cui era amico personale da tempo e che aveva
curato la prefazione di alcuni suoi libri. È sepolto nella cappella di famiglia
a Sant'Angelo Lodigiano. Opere Una nuova
bibliografia kirkegaardiana, Vita e pensiero, Milano, 1963. Esistenzialismo e
fenomenologia, SEI, Torino, 1964. Protologia e temporalità, Gregoriana, Roma,
1966. Kierkegaard oggi (a cura di), Vita e pensiero, Milano 1986 ISBN
88-343-3805-7 Del principio di creazione o del significato, Liviana, Padova,
1967. Kierkegaard, La scuola, Brescia, 1974. Per il concetto di ironia,
Marietti, Genova, 2004 ISBN 88-211-6336-9 La Creazione - Un'apologia
accidentale della filosofia, prefazione di Mons. Franco Buzzi, Marietti,
Genova, 2005 ISBN 88-211-8685-7 Traduzioni e commenti Søren Kierkegaard, La
lotta tra il vecchio e il nuovo negozio del sapone, Liviana, Padova, 1967 Søren
Kierkegaard, Enten-Eller ([Victor Eremita], 1843), Adelphi, Milano 1976-89, 5
volumi, tr. integrale (tomo primo: ISBN 978-88-459-0193-5; tomo secondo: ISBN
88-459-0329-X; tomo terzo: ISBN 88-459-0364-8; tomo quarto: ISBN 88-459-0465-2;
tomo quinto: ISBN 978-88-459-0664-0) Søren Kierkegaard, L'attrice. Opera
pseudonima di Kierkegaard, Antilia, Treviso, 1997 ISBN 88-211-6316-4 Søren
Kierkegaard, Due discorsi edificanti del maggio 1843, Marietti, Genova, 2000
ISBN 88-211-6308-3 Edizioni critiche e curatele Vincenzo Gioberti, Teorica del
sovrannaturale o sia discorso sulle convenienze della religione rivelata colla
mente umana e col progresso civile delle nazioni, 3 voll., Cedam, Padova, 1970
(fa parte di Edizione nazionale delle opere di Vincenzo Gioberti) Angelo
Marchesi, Di ermeneutica e rivelazione. Due conferenze, a cura e con una nota
di Alessandro Cortese, Lint, Trieste, 1995 Vincenzo Gioberti, Introduzione allo
studio della filosofia, Cedam, Padova, 2001 ISBN 88-13-23756-1 Collegamenti esterni
Uniba, su lgxserver.uniba.it. URL consultato il 24 ottobre 2013 (archiviato
dall'url originale il 29 ottobre 2013). Controllo di autorità VIAF (EN)
5015182 · ISNI (EN) 0000 0000 3723 0329 · LCCN (EN) nb90754900 · BNF (FR)
cb12394062b (data) · BNE (ES) XX1134989 (data) · WorldCat Identities (EN)
lccn-nb90754900 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia
Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI
secoloTraduttori italianiAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani
del XXI secoloNati nel 1940Morti nel 2007Nati il 16 febbraioMorti il 29
dicembreNati a MilanoMorti a MilanoProfessori dell'Università Cattolica del
Sacro CuoreTraduttori dal daneseProfessori dell'Università degli Studi di
Trieste[altre]
CORVAGLIA Luigi Corvaglia Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Niente fonti! Questa
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sistemare maiuscole v. Manuale di stile Contribuisci a migliorarla secondo le
convenzioni di Wikipedia. Segui i suggerimenti dei progetti di riferimento 1,
2. Luigi Corvaglia nella sua biblioteca a Melissano Luigi Corvaglia
(Melissano, 1892 – Roma, 1966) è stato un filosofo e scrittore italiano.
Indice 1 Biografia 2 Opere
postume 3 Opere
3.1 Opere
letterarie - commedie 3.2 Opere
Letterarie - Romanzo 3.3 Opere
Filosofiche 3.4 Opere
Politiche 4 Bibliografia
5 Note
6 Note
7 Altri
progetti Biografia Epigrafe casa natale di L. Corvaglia a Melissano Luigi
Corvaglia ha operato soprattutto in tre campi: nella Filosofia del
Rinascimento, nel Teatro e nella Letteratura Narrativa, pubblicandone a suo tempo
i risultati. Tra i lavori teatrali meritano di essere ricordate le
commedie:La casa di Seneca (1926); Rondini (1928); Tantalo (1929); Santa Teresa
e Aldonzo (1931). Tra gli studi filosofico-scientifici si distinguono per
vastità e profondità i volumi Le opere di Giulio Cesare Vanini e le loro fonti
(1933-34) e Vanini - Edizioni e plagi, risposta polemica condotta contro le
veementi critiche ricevute da Guido Porzio. Nel 1936 pubblica il romanzo
Finibusterre, trasfigurazione quasi sacra della sua amata terra e del popolo
del Basso Salento, ch'egli incitava - con ogni mezzo, anche se spesso travisato
e intralciato e persino calunniato - a crescere, per migliorare materialmente e
moralmente. Il romanzo fu ben accolto dalla critica. Benedetto Croce, a cui
Corvaglia lo aveva dedicato, rimarcò "lo sfondo storico rappresentato in
modo assai vigoroso" e il "trattamento dei caratteri e degli
effetti". Con maggiore puntualità Annibale Pastore (già suo professore
all'Università di Torino) gli confidava di sentire emergere nella sua mente,
attraverso figure e temi del romanzo, ricordi sepolti, "struggente
malinconia", un mondo molto simile a quello del Manzoni, "anch'esso
celato alla superficie, soffuso d'ironia-limite", e tuttavia turbato da
altri affascinanti caratteri, quali: "il sorprendente realismo, la
perfetta armonia, l'effusione poetica, l'occhio acuto e sicuro, che scruta
l'animo umano fin nelle più remote pieghe". Dal 1936 fino alla morte
si dedica totalmente, per un trentennio intero, allo studio del pensiero del
Rinascimento, animato dal bisogno di "trarre alla luce obliterate
sorgive", e percorrendo il movimento (spesso alquanto sconosciuto) della
filosofia europea, che dal Rinascimento risale fino al Medio Evo. Dal
1943 al 1946 s'apre nella sua vita uno spiraglio di fiducia verso gli
"uomini impegnati", e si presta - "doverosamente" secondo
la sua fede politica - all'attività politica, accogliendo e votandosi alla
cultura mazziniana, cui rimane fedele sin dagli anni della prima giovinezza. È
di questo periodo la pubblicazione, tra l'altro, dei Quaderni Mazziniani: Noi
Mazziniani, Mazzini ed il Partito di Azione, L'Acherontico retaggio, Il Partito
Repubblicano italiano, il discorso Ai giovani, la conferenza (edita da Laterza)
su Giuseppe Mazzini. Carta del Salento Dopo la proclamazione della
Repubblica Italiana, però, si allontana da ogni azione politica, ritenendola
del tutto estranea e lontana dall'ideale da lui vagheggiato e sperato. Si
trasferisce a Roma, nell'ambiente culturale a lui più consono, ritornando agli
studi tra i suoi libri, dove soltanto sente di vivere senza alcun compromesso,
in assoluta libertà. Cascata di S.M. di Leuca Opere postume Al
lavoro dell'ultimo ventennio si deve il proseguimento degli studi vaniniani,
con la stesura di un terzo, quarto e quinto volume, pubblicati postumi a cura
della figlia Maria. Rimasta ancora inedita e inesplorata rimane, invece, la
monografia di Giulio Cesare Scaligero, un lavoro di "speleologia
dottrinaria", come egli stesso amava dire e come lasciò scritto. Luigi
Corvaglia si spense proprio quando il traguardo era già vicino. Dovrebbe aver
ultimato anche una monografia su Gerolamo Cardano, ma anche questa andrebbe
posta tra gli inediti. Ancora oggi, a 50 anni di distanza dalla sua scomparsa,
il problema degli inediti resta aperto e forse lontano dalla soluzione.
Nel 2016, in occasione del 50º anniversario della morte del letterato-filosofo,
su iniziativa dell'Amministrazione Comunale di Melissano, è stato avviato un
"Biennio di Studio dell'opera di Luigi Corvaglia" (2017-2019), al
fine di approfondirne e divulgarne la conoscenza. Alla realizzazione del
progetto collaborano, come protagonisti, anche l'Amministrazione Provinciale di
Lecce, l'Università degli Studi del Salento e l'Istituto Comprensivo Statale di
Melissano, che chiuderanno il biennio dei lavori, organizzando nell'aprile 2019
il "1º Convegno Nazionale di Studio su Luigi Corvaglia", al fine di
dibattere argomenti di particolare interesse presenti nella sua opera. A tale
riguardo si sta già operando non solo sul piano della ricerca specialistica e
accademica, ma anche sulla promozione d'iniziative, che coinvolgano biblioteche
e settori culturali degli Enti Locali, creando opportunità per sviluppare in
maniera articolata e organica la ricognizione e la valorizzazione del
patrimonio culturale salentino in generale e melissanese in particolare,
lasciato in eredità da Luigi Corvaglia. La casa di Seneca- Commedia
di L. Corvaglia Opere Opere letterarie - commedie La casa di Seneca (dedicata a
"A mio Padre"); Tipografia Fratelli Carra, Matino (Lecce), 1926.
Rondini (dedicata "Al mio povero innocente Nova, fuggevole visione di un
Infinito", che avvampa e dilegua in vicenda amara di avventi senza
natale"; Tipografia Fratelli Carra, Matino (Lecce), 1928. Tantalo
(dedicata "A mia Madre"); Tipografia Fratelli Carra, Matino (Lecce),
1929. Santa Teresa e Aldonzo (dedicata "Alla mia donna"); L. Cappelli
Editore, Bologna, 1931. Rondini- Commedia di L. Corvaglia Opere
Letterarie - Romanzo Finibusterre, Editrice Dante Alighieri, Milano, 1936.
Ristampato anastaticamente nel 1981 - con Introduzione di Donato Valli -,
presso Congedo Editore di Galatina e successivamente nel 2006 presso Edizioni
dell'Iride di Tricase .[1] Opere Filosofiche Le opere di Giulio Cesare Vanini e
le loro fonti, Vol. I. Anphitheatrum Aeternae Providentiae, Società Dante
Alighieri, Milano, 1933. Introduzione semiseria dialogata per il lettore
Vanini. Edizioni e plagi, Tipografia Carra di Casarano, 1934. Ricognizione
delle opere di G.C. Vanini, in "Giornale Critico della Filosofia
Italiana", fascicolo IV, 1957. Giulio Cesare Vanini e le sue fonti,
(postumo), pubblicato dalla figlia Maria Corvaglia in "Zagaglia", n.
43, settembre 1969. La poetica di Giulio Cesare Scaligero nella sua genesi e nel
suo sviluppo, in "Giornale Critico della Filosofia Italiana", Sansoni
Edizioni Scientifiche, Firenze, 1959, fascicolo II, pp. 213– 239. Le opere di
Giulio Cesare Vanini, Ristampa a cura di Maria Corvaglia e Gino Pisanò, in vari
tomi presso Congedo Editore, Galatina, negli anni 1991-1994. Ora anche in Le
opere di Giulio Cesare Vanini e le loro fonti: 1 PDF Download. Opere Politiche
Quaderni Mazziniani n° 1. Noi Mazziniani, Tipografica di Matino (Lecce), 1944
Quaderni Mazziniani n° 2. Mazzini e il partito d' azione (critica), Tipografica
di Matino (Lecce), 1944 Quaderni Mazziniani n° 3. L'acherontico retaggio (con
l'elogio della vita comune), Tipografica di Matino (Lecce), 1944 Quaderni
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(Lecce). Discorso tenuto a Lecce nel Teatro Paisiello il 21 gennaio 1945.
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pugliesi, a cura di Giancarlo Vallone, Galatina, Congedo, 2003. U. Franco,
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Valli, Introduzione a Finibusterre, nella ristampa fotomeccanica presso Congedo
Editore, Galatina, nel 1981. Quintino Scozzi, Luigi Corvaglia, in Un Paese del
Sud. Melissano. Storia e tradizioni popolari, Tipografia di Matino, 1981. Maria
Corvaglia e Gino Pisanò, curatori della ristampa in vari tomi deile Opere di
Giulio Cesare Vanini e le sue fonti, Congedo Editore, Galatina, 1991-1994. Aldo
Vallone, Corvaglia Meridionalista e Polemista, in Scritti Salentini e Pugliesi,
a cura di Giancarlo Vallone,, Congedo Editore, Galatina, 2003, pp. 211-222.
Enrico Gaballo, Il Salento nella produzione letteraria di Luigi Corvaglia
(1892-1966), pubblicato su “Spicilegia Sallentina”, n° 7, 13 gennaio 2011.
Fernando Scozzi, Luigi Corvaglia: non solo letterato, in "Fondazione Terra
d'Otranto", 11 febbraio 2011. Gigi Montonato, Cinquant’anni fa scompariva
Luigi Corvaglia, studioso del Vanini, scrittore e pensatore politico in
“Necrologi e Ricordi”, dell’Università Popolare “Aldo Vallone” di Galatina,
pubblicato anche in "Presenza Taurisanese" a. XXXIV n. 2 - febbraio
2016. Cosimo Scarcella, Introduzione allo studio di Luigi Corvaglia da
Melissano, Tipografia Emme, Tuglie, 2017 Antonio Lucio Giannone, Luigi
Corvaglia: una figura da riscoprire, in "Presenza Taurisanese" a.
XXXVI n. 1 – Gennaio 2018. Cosimo Scarcella, Luigi Corvaglia raccontato da Quintino
Scozzi, in "Presenza Taurisanese" a. XXXVI n. 4 – Aprile 2018. Cosimo
Scarcella (a cura di), Luigi Corvaglia. La Poetica di Giulio Cesare Scaligero
nella sua genesi e nel suo sviluppo, Musicaos Editore, 2018. Gigi Montonato,
Scarcella ripubblica il saggio di Luigi Corvaglia sulla Poetica di G.C.
Scaligero, in "Presenza Taurisanese" a. XXXVI n. 307, Dicembre 2018.
Gigi Montonato, Convegno di studio su Luigi Corvaglia. L'uomo, lo studioso, il
pensatore politico. A Melissano un Centro Studi, in "Presenza Taurisanese"
a. XXXVIII n. 317, Gennaio 2020. Cosimo Scarcella, Note sul pensiero politico
di Luigi Corvaglia. Popolo Sacralità Religiosità, in "Presenza
Taurisanese" a. XXXVIII, n. 5-6, maggiogiugno 2020, pp. 13-14. Note Note ^
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secoloScrittori italiani del XX secoloNati nel 1892Morti nel 1966Morti a Roma[altre]
COSI -- Giovanni Cosi Da
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(Firenze, 1951) è un filosofo, giurista e accademico italiano. Biografia Si laurea presso la Facoltà di
Giurisprudenza dell'Università di Firenze. Autore di diversi libri, il cui
primo è pubblicato nel 1979 con il titolo "La liberazione
artificiale", per la Giuffrè Editore. Tra gli anni settanta e ottanta del
XX secolo tiene alcuni seminari grazie ai quali pubblica nel 1981 due libri:
"Religiosità e teoria critica" e "Secolarizzazione e
risacralizzazioni", sempre pubblicati per la Giuffrè Editore. Questi due
libri vengono fusi nel 1990 in un unico volume dal titolo "Il sacro e
giusto", edito da FrancoAngeli.[1]
Dopo aver compiuto ricerche sull'espressione del dissenso in forma non
rivoluzionaria negli ordinamenti liberal-democratici, pubblica per la Giuffrè
Editore il volume "Saggio sulla disobbedienza civile". Dal 1985 si
occupa di indagini storiche e critiche sui problemi etici della professione
legale. Da queste indagini pubblica nel 1987 il testo: "Il giurista
perduto" per l'editrice Giuntina.
Ha insegnato presso le facoltà di Giurisprudenza delle Università di
Firenze e Sassari ed è ordinario a Siena.
Dal 2007 è coordinatore e responsabile scientifico dell'Ente di
formazione per mediatori istituito presso il Dipartimento di Giurisprudenza
dell'Università degli Studi di Siena.
Opere (parziale) La liberazione artificiale: l'uomo e il diritto di
fronte alla droga, Giuffrè Editore, 1979, Milano[2] Saggio sulla disobbedienza
civile: storia e critica del dissenso in democrazia, Giuffrè Editore, 1984,
Milano Il giurista perduto: avvocati e identità professionale, Giuntina, 1987,
Firenze Il sacro e il giusto: itinerari di archetipologia giuridica,
FrancoAngeli, 1990, Milano Il Logos del diritto, Giappichelli Editore, 1993,
Torino La responsabilità del giurista: etica e professione legale, Giappichelli
Editore, 1998, Torino Con Maria Antonietta Foddai, Lo spazio della mediazione,
Giuffrè Editore, 2003 Invece di giudicare, Giuffrè Editore, 2007, 203 pagine
Con Giuliana Romualdi, La mediazione dei conflitti, Giappichelli Editore, Torino
2012. Legge, Diritto, Giustizia, Giappichelli Editore, Torino 2013. Con Stefano
Berni, Fare giustizia. Due scritti sulla vendetta, Giuffré Editore, Milano
2014. Note ^ Giovanni Cosi, dirittoestoria.it. URL consultato il 21-03-2012. ^
Prof. Giovanni Cosi, ass-equilibrio.it. URL consultato il 21-04-2012. Controllo
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Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloGiuristi
italiani del XX secoloGiuristi italiani del XXI secoloAccademici italiani del
XX secoloAccademici italiani del XXI secoloNati nel 1951Nati a Firenze[altre]
COSMACINI -- Giorgio
Cosmacini Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Giorgio Cosmacini (Milano, 10 febbraio 1931) è un medico, filosofo, saggista e
accademico italiano. Indice 1 Biografia
1.1 Formazione
1.2 Sotto
le armi 1.3 La
morte di don Carlo Gnocchi 1.4 Medico
della mutua 1.5 La
nuova specialistica e il matrimonio 1.6 I
primi lavori scientifici 1.7 L'esame
per la libera docenza 1.8 Docenza
2 Opere
2.1 Curatele
3 Note
4 Altri
progetti 5 Collegamenti
esterni Biografia Formazione Giorgio Cosmacini nasce a Milano il 10 febbraio
del 1931, si diploma con il massimo dei voti e si iscrive alla facoltà di
medicina a Pavia. Il padre, architetto di professione, muore nel gennaio del
1950 a causa di un cancro ai polmoni, mentre Giorgio stava frequentando il
secondo anno di medicina.[1] Nel 1951 decise di trasferirsi a Pavia per seguire
più assiduamente le lezioni e le esercitazioni del terzo anno di università. In
questo periodo gli fu diagnosticata una cardite reumatoide, dovuta allo stress
per la morte del padre. Nello stesso anno si recò in viaggio in Francia con la
madre, vide il Tour de France e assistette, negli studi di Radio France,
all'intervista radiofonica fatta ai due campioni Bartali e Coppi.[2] Durante la
sua permanenza a Limoges conobbe l'anziano medico della famiglia Quinque,
proprietari del più rinomato negozio di porcellane della città, il quale gli
regalò un'opera di Bichat: “La vie et la mort”, per insegnargli che la vita
doveva essere definita e compresa a partire dalla morte.[3] Gli studi medici a
Pavia procedettero per il meglio, tanto da ricevere esenzioni dalle tasse
universitarie per gli ottimi risultati ottenuti. Dopo che l'esondazione del
Ticino ebbe inondato Pavia, si trasferì nel palazzo Vistrarino, che poi
abbandonò negli ultimi anni di università, durante i quali si dedicò anima e
corpo allo studio e al tirocinio in clinica. Nel pomeriggio del 12 luglio 1954,
a ventitré anni, si laureò in medicina con un biennio di anticipo rispetto al
normale corso di studi.[4] Nella scelta della specializzazione fu molto
indeciso tra il corso in odontoiatria e quello in radiologia, ma nel frattempo
gli fu offerto un ruolo di “volontario tappabuchi”, per colmare le lacune
dell'ospedale Busto Arsizio. Il suo nuovo impiego prevedeva l'esecuzione di
pratiche endovenose e la sperimentazione di nuove soluzioni farmaceutiche sui
malati. Nonostante il suo notevole impegno durante il tirocinio, non aveva
ancora acquisito l'esperienza necessaria per eseguire correttamente queste
pratiche e soffriva di un complesso di inferiorità. Questo svanì quando fu
affiancato ad un compagno di corso che gli fece da "mentore" e gli
insegnò anche ad entrare in confidenza col malato. Sotto le armi Nel gennaio
del 1955 finisce il suo apprendistato e, chiamato alle armi, si presenta alla
Scuola di Sanità Militare di Firenze. Questa esperienza diviene propizia allo
studio della patologia traumatica, dell'assistenza bellica, delle urgenza di
guerra, delle aggressioni da armi atomiche, chimiche, biologiche,
dell'organizzazione sanitaria nelle varie emergenze e calamità.[5] Lasciò anche
spazio per la frequentazione di un “Corso di igiene pratica” presso
l'Università di Firenze, che seguì assiduamente nelle ore serali, ottenendo il
relativo diploma in data 24 maggio 1955.[6] Finita l'esperienza militare
fiorentina, ulteriore pedana di lancio per la sua carriera, viene nominato
sottotenente e assegnato all'Ospedale Militare di Milano, dopo essere risultato
secondo in graduatoria. Rientrato da Firenze, le trasformazioni di
modernizzazione di quel periodo di benessere generale lo riguardarono in prima
persona: viveva a casa propria, al mattino prendeva il tram che lo portava
all'Ospedale Militare di Baggio, passava tre o quattro ore nel “Reparto II
medicina”, rincasava per il pranzo, aveva il resto della giornata a
disposizione, si incontrava con la fidanzata e gli amici prima o dopo cena. Da
lui stesso questo periodo fu definito: “Una pacchia: pagata, in
sovrappiù”.[7] La morte di don Carlo Gnocchi La morte di don Carlo
Gnocchi a soli 53 anni, avvenuta alla fine di febbraio 1956, rattrista
profondamente Giorgio.[8] Difatti, il sacerdote fu il padre spirituale del
medico nella sua infanzia. Anche se Giorgio, da tempo, non aveva più uno stretto
legame con lui, i suoi insegnamenti gli rimasero impressi per tutta la vita:
“Non dimenticarti di essere buono”.[9] Medico della mutua L'esperienza
dell'Ospedale Militare si conclude nel maggio del 1956 e sul finire dello
stesso anno ottiene, in qualità di medico generico, la “convenzione della
mutua” o INAM(Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie) e apre
un ambulatorio mutualistico nel quartiere della Barona di Milano.[10] Secondo
Giorgio per saper essere medico – “essere” nel senso pieno – non è sufficiente
la competenza acquisita, fatta di conoscenza ed esperienza e soggetta ad
aggiornamento periodico, è necessaria anche la disponibilità, dote caratteriale
permanente, fatta di comprensione e partecipazione. Un buon medico non deve
esclusivamente misurare le problematiche della malattia, ma ha l'obbligo di
analizzare le qualità psicologiche, sociali ed esistenziali del malato. Fare
bene il mestiere di “medico della mutua” non significava gestire un certo
numero di “mutuanti”; voleva inoltre dire aver cura di una comunità di persone,
ciascuna delle quali con esigenze proprie. Qualche tempo dopo gli viene offerto
un posto all'ospedale Fatebenefratelli, in corso di Portanuova, quindi inizia a
fare numerose “supplenze” per i colleghi e anche alcune visite a domicilio. Le
serie di supplenze più numerose furono quelle a Limito e si protrassero per un
anno e mezzo. La nuova specialistica e il matrimonio Nel 1958 si iscrisse
alla specialistica di radiologia arrivando secondo all'esame di ammissione
raggiungendo in quel periodo circa trecento mutuanti.[11] Il 15 settembre 1958
coronò il suo fidanzamento, durato otto anni, e il viaggio di nozze fu su una
Fiat Nuova 500. Della nuova utilitaria era il quarto acquirente in Italia e, in
quanto tale, la rivista Quattroruote lo ritrasse accanto all'autovettura nuova
nell'atto di aprire la portiera davanti all'ambulatorio.[12] Al rientro dal
viaggio di nozze dovette rinunciare momentaneamente a specializzarsi in
radiologia, poiché gli fu offerta una lunga supplenza, della durata totale di
sei mesi e ben retribuita, nell'Ospedale Civile “Giuseppe Fornaroli” di
Magenta.[13] Dopo la nascita della sua primogenita Paola, decise di continuare
gli studi di cardiologia abbozzati durante i mesi di supplenza. Ciò non gli fu
possibile, perché il suo precedente corso di specialistica in radiologia non
era ancora terminato. Tornò quindi a frequentare i corsi di radiologia e, nel
giro di un anno, si specializzò con una tesi d'avanguardia: “Il fosforo
radioattivo nella terapia della policitemia rubra (morbo di Vaquez)”. In
seguito gli fu offerto l'incarico di “assistente radiologo” nel più grande
ospedale cittadino: l'Ospedale Maggiore di Milano-Niguarda.[14] Nell'estate del
1960 contrasse un'epatite acuta di tipo A nell'esercizio della professione
curando una giovane malata affetta da itterizia. I primi lavori
scientifici All'inizio degli anni '60 poteva contare su più di mille assistiti;
in quel periodo nacque la sua secondogenita Barbara.[15] Nel marzo e nell'agosto
1966, sulla più prestigiosa rivista radiologica italiana “La Radiologia
Medica”, comparvero i suoi due primi lavori scientifici, dedicati allo studio
di due malattie pressoché sconosciute: la “emosiderosi polmonare” e la
“sindrome di Dressler consecutiva a infarto miocardico”. Alla fine
dell'anno le sue pubblicazioni scientifiche erano ventuno e sul finire del '68
circa settanta.[16] L'Ospedale Maggiore gli conferì il premio di “operosità
scientifica”. Scrisse anche un libro, edito da “Minerva Medica”, in
collaborazione con l'amico-collega Fiorentino Costa e dedicato a delle malattie
della cistifellea relativamente frequenti, ma ignorate da più: le
“colecistosi”. L'esame per la libera docenza Nel 1959, quando i suoi
mutuanti erano circa millecinquecento[17], decise di realizzare un suo sogno:
la libera docenza. Per diventare professore bisognava superare, previa
ammissione “per titoli”, degli esami da sostenere a Roma, davanti a una
commissione composta da cinque cattedratici del ramo, veri e propri “luminari”.
Ma il 30 maggio 1969 il Corriere della Sera pubblicò la notizia che quell'anno
il concorso per la libera docenza, sotto decisione del Ministro
Ferrari-Aggradi, non si sarebbe svolto.[18] Per lui quel titolo era "un
saldo di conto col passato", una garanzia per il suo futuro e un
riconoscimento di un ruolo che era congeniale alla sua persona. Finalmente dopo
una serie di lettere scambiate con l'onorevole Ferrari-Aggradi e un'ennesima
delusione per una “finta ammissione”, il 9 giugno 1971, dopo un breve esame, il
radiologo in carriera fu abilitato alla libera docenza con un decreto
ministeriale. Quando tale decreto venne notificato, il neo professore non era
più assistente all'Ospedale di Niguarda, ma già da sei mesi dirigente, nel
Policlinico Universitario, del Servizio di radiologia dell'Istituto di
patologia medica.[19] Docenza Attualmente insegna Storia della medicina
presso la Facoltà di Filosofia e quella di Medicina e Chirurgia dell'Università
Vita-Salute San Raffaele e presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell'Università degli Studi di Milano. È considerato il maggiore storico della
medicina italiano ed è autore di numerose opere d'argomento storico-medico e
filosofico-medico. È collaboratore della pagina culturale del Corriere della
Sera. Il 14 gennaio 2016 il sindaco di Milano Giuliano Pisapia gli
conferisce l'Ambrogino d'oro.[20] Opere Scienza medica e giacobinismo in
Italia. L'impresa politico-culturale di Giovanni Rasori (1796-1799), Collana La
società, Milano, Franco Angeli, 1982. Röntgen. Il "fotografo
dell'invisibile", lo scienziato che scoprì i raggi x, Collana Biografie,
Milano, Rizzoli, 1984. Gemelli. Il Machiavelli di Dio, Collana Biografie,
Milano, Rizzoli, 1985. Storia della medicina e della sanità in Italia. Dalla peste
europea alla guerra mondiale (1348-1918), Gius. Laterza & Figli, 1987 [ I
volume di 3 ] Medicina e Sanità in Italia nel Ventesimo secolo. Dalla
'Spagnola' alla 2ª Guerra Mondiale (1918-1945), Roma-Bari, Laterza, 1989. [ II
volume di 3 ] La medicina e la sua storia. Da Carlo V al Re Sole, Collana
Osservatorio italiano, Milano, Rizzoli, 1989. Una dinastia di medici. La saga
dei Cavacciuti-Moruzzi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 1992. Storia
della medicina e della Sanità nell'Italia contemporanea, Roma-Bari, Laterza,
1994. [ III volume di 3 ] G. Cosmacini-Cristina Cenedella, I vecchi e la cura.
Storia del Pio Albergo Trivulzio, Roma-Bari, Laterza, 1994. La qualità del tuo
medico. Per una filosofia della medicina, Roma-Bari, Laterza, 1995 Medici nella
storia d'Italia, Roma-Bari, Laterza, 1996 L'arte lunga. Storia della medicina
dall'antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza, 1997 Il medico ciarlatano. Vita
inimitabile di un europeo del Seicento, Laterza, 1998 Ciarlataneria e medicina.
Cure, maschere, ciarle, Milano, Raffaello Cortina, 1998 La Ca' Granda dei
milanesi. Storia dell'Ospedale Maggiore, Roma-Bari, Laterza, 1999. Il mestiere
di medico. Storia di una professione, Collana Scienze e Idee, Milano, Raffaello
Cortina, 2000 G. Cosmacini-Claudio Rugarli, Introduzione alla medicina,
Roma-Bari, Laterza, 2000 Biografia della Ca' Granda. Uomini e idee
dell'Ospedale Maggiore di Milano, Laterza, 2001 Medicina e mondo ebraico. Dalla
Bibbia al secolo dei ghetti, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza, 2001
Il male del secolo. Per una storia del cancro, Roma-Bari, Laterza, 2002 La
stagione di una fine, 1943-1945, Terziaria, 2002. Il medico giacobino. La vita
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Cosmacini-Roberto Satolli, Lettera a un medico sulla cura degli uomini,
Roma-Bari, Laterza, 2003 La vita nelle mani. Storia della chirurgia, Collana
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Moleschott, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza, 2004 «La mia
baracca». Storia della fondazione Don Gnocchi, Presentazione del Cardinale
Dionigi Tettamanzi, Laterza, 2004 G. Cosmacini-Maurizio De Filippis-Patrizia
Sanseverino, La peste bianca. Milano e la lotta antitubercolare (1888-1945),
Milano, Franco Angeli, 2004. L'arte lunga. Storia della medicina dall'antichità
a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2005 Il romanzo di un giovane medico (1951-1971),
viennepierre edizioni, 2005 L'Islam a La Thuile nel Medioevo. Un «tuillèn» alla
terza crociata: andata, ritorno, morte misteriosa, KC Edizioni, 2006. Le spade
di Damocle. Paure e malattie nella storia, Collana Storia e Società, Roma-Bari,
Laterza, 2006 La religiosità della medicina. Dall'antichità a oggi, Collana
Storia e Società, Roma-Bari, Laterza, 2007 L'anello di Asclepio. 1990-2007.
L'età dell'oro, viennepierre edizioni, 2008. G. Cosmacini-Andrea W. D'Agostino,
La peste, passato e presente, Milano, Editrice San Raffaele, 2008 La medicina
non è una scienza. Breve storia delle sue scienze di base, Collana Scienze e
Idee, Milano, Raffaello Cortina, 2008 Il medico saltimbanco. Vita e avventure
di Buonafede Vitali, giramondo instancabile, chimico di talento, istrione di
buona creanza, Roma-Bari, Laterza, 2008 Prima lezione di medicina, Collana
Universale.Prime lezioni, Roma-Bari, Laterza, 2009 Il medico e il cardinale,
Milano, Editrice San Raffaele, 2009 Testamento biologico. Idee ed esperienze
per una morte giusta, Bologna, Il Mulino, 2010 G. Cosmacini-Giuseppe Scotti,
Francesco Scotti 1910-1973. Politica per amore, Presentazione di Arturo
Colombo, Milano, Franco Angeli, 2010. Guerra e medicina. Dall'antichità a oggi,
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misericordia ieri e oggi, Bologna, Il Mulino, 2012. La scomparsa del dottore.
Storia e cronaca di un'estinzione, Milano, Raffaello Cortina, 2013. Camillo De
Lellis. Il santo dei malati, Roma-Bari, Laterza, 2013. G. Cosmacini-Paola
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(1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005 pag.87. ^ Giorgio Cosmacini,
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(1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005 pag.96. ^ Giorgio Cosmacini,
"Il romanzo di un giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni,
2005 pag.98. ^ Giorgio Cosmacini, "La mia baracca".Storia della
Fondazione Don Gnocchi, Laterza, Roma-Bari 2004, p.XX . ^ Giorgio Cosmacini,
"Il romanzo di un giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni,
2005 pag.102. ^ Giorgio Cosmacini, "Il romanzo di un giovane medico
(1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005 pag.115. ^ Giorgio Cosmacini,
"Il romanzo di un giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni,
2005 pag.117. ^ Giorgio Cosmacini, "Il romanzo di un giovane medico
(1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005 pag.119. ^ Giorgio Cosmacini,
"Il romanzo di un giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni,
2005 pag.129. ^ Giorgio Cosmacini, "Il romanzo di un giovane medico
(1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005 pag.145. ^ Giorgio Cosmacini,
"Il romanzo di un giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni,
2005 pag.176. ^ Giorgio Cosmacini, "Il romanzo di un giovane medico
(1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005 pag.189. ^ Giorgio Cosmacini,
"Il romanzo di un giovane medico (1951-1971)", viennepierre edizioni,
2005 pag.190. ^ Giorgio Cosmacini, "Il romanzo di un giovane medico
(1951-1971)", viennepierre edizioni, 2005 pag.197. ^ Il Sindaco consegna
Ambrogino d'Oro al professor Giorgio Cosmacini, su comune.milano.it, 14 gennaio
2016. URL consultato il 9 ottobre 2018. Altri progetti Collabora a Wikiquote
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Giorgio Cosmacini su don Gnocchi, su youtube.com. Controllo di autorità VIAF (EN) 34470812 · ISNI (EN) 0000 0000
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Medici italianiFilosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloSaggisti
italiani del XX secoloSaggisti italiani del XXI secoloNati nel 1931Nati il 10
febbraioNati a MilanoStorici della medicinaStudenti dell'Università degli Studi
di PaviaProfessori dell'Università degli Studi di MilanoAmbrogino
d'oroAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani del XXI secolo[altre]
COSMI-De -- Giovanni Agostino
De Cosmi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Abbozzo Questa voce sull'argomento filosofi italiani è solo un abbozzo.
Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Giovanni Agostino De Cosmi Giovanni Agostino
De Cosmi (Casteltermini, 5 luglio 1726 – Palermo, 24 gennaio 1810) è stato un
pedagogista e filosofo italiano. Fu
un'imponente figura della cultura siciliana nel XVIII secolo. Formatosi nel
Seminario dei Chierici di Agrigento, ricoprì la carica di rettore
dell'Università degli Studi di Catania; nel 1788 ricevette da Ferdinando di
Borbone l'incarico di redigere il piano regolatore delle Scuole Normali
dell'Isola. Diede un rilevante contributo all'innovazione del pensiero
pedagogico illuministico europeo. Secondo lo storico Francesco Renda il De
Cosmi fu un «grande pedagogista, il primo e il più geniale del regno
meridionale e uno dei primi e più geniali del Settecento italiano». Bibliografia Francesco Renda, Storia della
Sicilia dalle origini ai giorni nostri, vol. 2, Palermo, Sellerio, 2003, p.
753, ISBN 88-389-1914-3. Caterina Sindoni, Giovanni Agostino De Cosmi e la scuola
popolare di Sicilia, Messina, Samperi, 2011, p. 160, ISBN 978-88-86038-88-1.
Collegamenti esterni Giovanni Agostino De Cosmi, in Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di
Giovanni Agostino De Cosmi, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su
Wikidata Controllo di autorità VIAF
(EN) 54953196 · ISNI (EN) 0000 0000 3154 0959 · SBN IT\ICCU\CFIV\014185 · LCCN
(EN) n94048826 · GND (DE) 119217651 · BNF (FR) cb17125738j (data) · BAV (EN)
495/46636 · CERL cnp00550344 · WorldCat Identities (EN) lccn-n94048826
Biografie Portale Biografie Storia Portale Storia Categorie: Pedagogisti
italianiFilosofi italiani del XVIII secoloNati nel 1726Morti nel 1810Nati il 5
luglioMorti il 24 gennaioNati a CastelterminiMorti a PalermoRettori dell'Università
degli Studi di Catania[altre]
COSSOTTINI Mirio
Cosottini Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
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Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Mirio Cosottini Nazionalità Italia Italia
Genere Musica
contemporanea Musica sperimentale Jazz Musica d'ambiente Periodo di attività
musicale 1994 – in
attività Strumento tromba,
flicorno, pianoforte Etichetta Impressus
Rec., Amirani Rec., Materiali Sonori Modifica dati su Wikidata · Manuale Mirio
Cosottini (Figline Valdarno, 9 settembre 1971) è un trombettista, compositore e
filosofo italiano. Indice 1 Biografia
1.1 La
filosofia e la musica 2 Opere
3 Discografia
3.1 Timet
3.2 Collaborazioni
3.3 Apparizioni
in raccolte 3.4 DVD
4 Note
Biografia Si diploma in tromba al Conservatorio di Firenze "Luigi
Cherubini”, perfezionando poi lo studio dello strumento con il trombettista
francese Pierre Thibaud. Successivamente s'interessa di improvvisazione
musicale collaborando con il collettivo sperimentale Timet, dove riveste il
ruolo di esecutore, compositore e teorico musicale. Questa esperienza, portata
avanti dal 1996 al 2002, gli consente di conoscere numerosi musicisti e artisti
italiani e stranieri, fra i quali Stefano Bollani, Monica Demuru, Beppe
Mangione, Ares Tavolazzi, Mirko Guerrini, Letizia Renzini, Fernando Maraghini,
Raffaella Giordano, il poeta Giancarlo Majorino, Andres Bosshard, Mariposa,
Enrico Gabrielli, Alessandro Fiori, Andrea de Luca, Elliott Sharp, Zeena
Parkins, Ikue Mori, Stefano Battaglia, Enrico Rava, Frank Shulte, Werner
Puntigam. Inoltre, negli stessi anni, collabora con musicisti e compositori fra
cui Maurizio Ben Omar, Oliviero Lacagnina, Vinko Globocar. Nel 1998
compone le musiche per il film Anche le donne hanno perso la guerra del regista
Carlo Bolli, tratto da un testo teatrale di Curzio Malaparte e prodotto da
RaiSat con la collaborazione del Comune di Prato. Nel 1999 si laurea in
Filosofia all’Università degli Studi di Firenze e prosegue gli studi in
Filosofia della Musica ottenendo, nel 2019, il Dottorato in Storia delle
Società, delle Istituzioni e del Pensiero dal Medio Evo all’Età Contemporanea,
con una tesi di Filosofia della Musica dal titolo Fenomenologia
dell'improvvisazione musicale. La prospettiva del performer. Nel 2002 è
chiamato da Stefano Bollani, che ne cura produzione e arrangiamenti, a
partecipare alle session in studio per il CD di Bobo Rondelli Disperati
Intellettuali Ubriaconi[1]. Nel 2003, con il compositore e pianista Bruno
De Franceschi, compone le musiche per There Where We Were prodotto dalla
compagnia di danza Deja Donné, fondata da Lenka Flory e Simone Sandroni. La
prima mondiale dello spettacolo avviene al Tanzwerkstatt Europa Festival di
Monaco di Baviera[2]. Con De Franceschi continuerà poi a collaborare per
numerose performance in Italia e all’estero. Collaboreranno inoltre con il
gruppo vocale Tacitevoci Ensemble (Cristiana Arcari, Elena Arcuri, Enrico Fink)
dove parteciperanno anche musicisti come Paolino Dalla Porta, Damiano Puliti,
Marco Papeschi, Oliviero Lacagnina. Nello stesso anno è poi chiamato dal
regista Massimo Luconi, con il quale nascerà successivamente una proficua e
intensa collaborazione, per comporre le musiche di No Man's Land, uno
spettacolo teatrale con testo di Sandro Veronesi e la produzione del Teatro
Metastasio di Prato. Nel 2005 compone, con Dialy Maly Cissoko
dell'Orchestra di Piazza Vittorio, le musiche per Le pareti della solitudine
dall'opera di Tahar Ben Jelloun, un progetto drammaturgico per la regia di
Massimo Luconi e con l'attore Ferdinando Maraghini. Nello stesso anno, con il
fagottista Alessio Pisani, fonda l'Associazione GRIM (Musical Improvisation
Research Group)[3], la quale gli dà modo di collaborare con musicisti come
Gianni Mimmo, Mario Arcari, Angelo Contini, Marco Tindiglia, Francesco Cigana,
Filippo Pedol, Andrea Melani, Paolo Botti, Michel Godard e Luca Cartolari degli
Anatrofobia; inoltre, come GRIMedia Records, realizza numerose produzioni
discografiche. Sempre nello stesso anno compone le musiche per la compagnia
Sosta Palmizi (A.Paz e La favola Esplosa), potendo così collaborare con
danzatori come Giorgio Rossi, Raffaella Giordano, Simone Sandroni, Masako
Noguchi, Teodora Popova. Dal 2005 al 2010 insegna Improvvisazione Musicale al
Conservatorio di Padova, periodo nel quale tiene numerosi laboratori
d’improvvisazione (Exploratorium, Berlino; Corsi di Alto Perfezionamento di
Bertinoro di Romagna; Cantieri di Montepulciano; Conservatorio "Bruno
Maderna" di Cesena, Conservatorio di Musica “L. Cherubini” di
Firenze). Nel 2007 compone le musiche per il documentario storico And They
Came To Chicago: The Italian American Legacy, prodotto da Gia Amelia e con la
voce narrante di Joe Mantegna. Il documentario è premiato al WTTW11 (PBS) e al
NBC5, mentre la colonna sonora vince il Telly Awards del 2008. Sempre nel
2008 è con Mirko Guerrini nell'ensemble che accompagna Massimo Altomare e
Stefano Bollani per i concerti legati al disco Le Fanfole, canzoni composte su
testi del poemetto metasemantico di Fosco Maraini Gnosi delle Fanfole. Nello
stesso anno instaura la collaborazione con il pianista e didatta Tonino Miano,
elaborando teorizzazioni sul rapporto tra Linearità e Nonlinearita nella musica
che poi i due sviluppano e applicano realizzando alcuni cd pubblicati per la
Impressus Records e GRIMedia Records. The Curvature of Pace del 2008[4].
Cardinal del 2009, che si avvale della partecipazione di Alessio Pisani e
Andrea Melani, un progetto dove i quattro musicisti si muovono pacatamente per
le loro vie, variando direzioni e anche versi, ascoltandosi sempre, ma con
dialoghi liberi e mai serrati[5]. The Inner Life of Residue del 2014, più
coerente con un idioma jazzistico[6]. A fine anno appare nella classifica Top
Jazz della rivista Musica Jazz come miglior strumentista dell'anno per la
categoria ottoni. Nel 2009 realizza come EA Silence (trio composto da
Cosottini, Cartolari e Pisani) Cono di Ombra e Luce[7] ed appare di nuovo nelle
classifiche di fine anno della rivista Musica Jazz, sia nella categoria
Musicista, sia come Miglior Nuovo Talento e Strumentista (per la categoria
ottoni) e Cono di Ombra e Luce, insieme al CD Cardinal, è nella classifica di
Miglior Disco dell'Anno. Nel 2010 compone le musiche per Il Dolore,
dall'opera di Marguerite Duras. Uno spettacolo con Mariangela Melato, la regia
di Massimo Luconi e prodotto dal Teatro Comunale di Firenze e dal Teatro
Stabile di Genova; nel 2013, uscirà il DVD dello spettacolo pubblicato per il
Corriere della Sera. Inoltre, a fine anno, risulta come Miglior Strumentista
della categoria ottoni nella classifica Top Jazz della rivista Musica Jazz ed è
anche presente come Miglior Disco con Flatime e come Miglior Formazione con
EASilence. Sempre nello stesso anno collabora di nuovo con Massimo Altomare per
le registrazioni del disco Outing dove, tra gli altri, partecipano anche
Stefano Bollani, Lorenzo Piscopo e Walter Paoli. Nel 2011 compone le
musiche per Sarabanda, spettacolo teatrale con Luciana Lo Jodice, la regia di
Massimo Luconi e la produzione del Teatro Metastatio di Prato. Nel 2012
partecipa come musicista alla trasmissione radiofonica Il Dottor Djembè, via
dal solito tam tam di Radio RAI Tre, condotta da David Riondino, Stefano
Bollani e Mirko Guerrini. Da questa esperienza, oltre a consolidare il rapporto
artistico e di amicizia con Guerrini, inizia una fitta collaborazione con David
Riondino che accompagna spesso nei suoi spettacoli, curandone le musiche ed
eseguendole dal vivo: La musica dei matti con Mirko Guerrini (2013), Alatiel
con Monica Demuru (2014), Bocca Baciata (2014), Triglie, Principesse, Tronisti
e Alpini (2015). Sempre nello stesso anno, con Mirko Guerrini, elabora una
sorta di ritrattistica sonora costituita attorno ad alcuni vincoli fisionomici
e zodiacali, i Ritratti Sonori appunto, che ha avuto un largo spazio nella
trasmissione radiofonica Alza il Volume in onda su Radio3 e in seguito, sempre
per la stessa emittente, partecipano al Materadio, la festa che si svolge a
Matera dal 2011 e curata dalla radio. L'esperimento dei Ritratti Sonori fu
anche commissionato da La Repubblica e pubblicato sul sito Rep TV nel giugno
del 2012[8]. Dal 2013 collabora regolarmente con l’Exploratorium di
Berlino e con il pianista, ricercatore e insegnante di musica Reinhard Gagel.
Approfondisce i temi della didattica dell’improvvisazione con il saggio Sound
Invariance, Graphic and Improvisation (2016), la cui pubblicazione è curata da
Gagel stesso. Insieme, poi, pubblicano il CD Piece Without Memory (2015), una
creazione dialogica di suoni del tutto libera e interamente legata all'istante,
tale da produrre composizioni dallo sviluppo verticale, non direttamente legate
allo sviluppo nel tempo[9]. Le note di copertina sono del filosofo Alessandro
Bertinetto e con lui, Cosottini, continuerà una proficua collaborazione
filosofico/musicale all’interno dell’Università di Udine/Trieste. Con il
filosofo, nel 2018, con il tema Improvvisare la verità parteciperà anche agli
incontri di Musica e Filosofia Prismi, organizzati dall'Ateneo Veneto (San
Marco 1897, Venezia)[10]. Nel 2014 realizza le musiche per il CD Le
radici e le ali - Omaggio a Senghor con la partecipazione di Dialy Maly Cissoko
e il percussionista Papi Thiam. La musica è realizzata all’interno di
performance coordinate dal regista Massimo Luconi e con la presenza di
musicisti come Paolo Fresu e Uri Caine. Nel 2015, dallo spettacolo Bocca
Baciata, oltre a suonare cura anche gli arrangiamenti per il CD di David
Riondino Bocca Baciata non perde ventura, anzi rinnova come fa la Luna[11],
distribuito dalla Materiali Sonori. Inoltre, sempre dal 2015, collabora con il
centro di ricerca Tempo Reale, che si occupa del rapporto tra musica e nuove
tecnologie e fondato nel 1987 da Luciano Berio. In maniera particolare lavora
con il direttore Francesco Giomi e i musicisti Francesco Canavese e Monica
Benvenuti. Realizza la partitura grafica Dettagli - per tre esecutori, che
consiste di una mappa e ottantuno carte con segni grafici codificati (la mappa
e le carte sono i “veicoli” e il modo in cui si legge la grafia genera
molteplici possibilità musicali); e poi la partitura grafica I-Silence - per ensemble,
che in seguito sarà registrata e distribuita in digitale dall’etichetta
TRema. Nel 2016 costituisce con il trombonista Niccolò Pontenani il Free
Chamber Brass, un ensemble di musica improvvisata che debutta con un concerto
per la rassegna del Cantiere Internazionale d'Arte di Montepulciano,
manifestazione ideata dal compositore Hans Werner Henze. L'ensemble suonerà
all'interno della Tipografia Madonna delle Querce dove, insieme ai musicisti
del quartetto, suonano anche i tipografi che utilizzano le loro macchine da
lavoro[12]. Oltre a ciò compone le musiche per lo spettacolo Prometeo di
Massimo Luconi e la produzione del Teatro Stabile di Napoli. Nel 2018
collabora alle session in studio per il CD Majakovskij! - il futuro viene dal
vecchio ma ha il respiro di un ragazzo[13] di Arlo Bigazzi e Chiara
Cappelli, coinvolgendo inoltre Mirko Guerrini e partecipando poi ad alcune
rappresentazioni dal vivo dello spettacolo di teatro e musica. Nel 2019
partecipa con Arlo Bigazzi, Pier Luigi Andreoni e Blaine L. Reininger,
co-fondatore dei Tuxedomoon, alla realizzazione della colonna sonora per il
wordless novel del disegnatore Luca Brandi, edita dalla Hollow Press. Il CD
Tribæ Soundtrack è invece pubblicato dalla Materiali Sonori[14]. La
filosofia e la musica I suoi studi si concentrano sulla filosofia della musica
e sulla pedagogia dell’improvvisazione musicale, scrivendo numerosi saggi per
riviste specializzate come Musica Domani, Perspectives of New Music, Aisthesis,
Musicheria e la rivista online De Musica. Inoltre, nel 2015, pubblica Playing
with Silence per la Mimesis International, un libro sul silenzio e sulle sue
potenzialità performative, mentre nel 2017 dà alle stampe per la ETS
Metodologia dell'Improvvisazione Musicale. Tra Linearità e Nonlinearità, un
libro di metodologia dell’improvvisazione musicale nel quale Cosottini teorizza
la dicotomia tra Lineairtà e Nonlineairtà come strumento per l’analisi
dell’improvvisazione musicale. Opere 2008 - Musical research Through
Young Bodie in Perspectives of New Music, Volume 46/1 2009 - Non-linearità per
aprirsi all’improvvisazione musical in Musica Domani, trimestrale della Società
Italiana per l’Educazione Musicale, Anno XXXIX, N.151, EDT 2010 - Studio del
silenzio in contesti non lineari, su DE MUSICA, annuario a cura del Seminario
Permanente di Filosofia della Musica dell’Università di Milano, rivista online
diretta da Carlo Serra 2010 - La Non-linearità dell’ElectroAcousticSilence,
website All About Jazz Italia 2011 - con A. Pisani Metodi non lineari e l’improvvisazione
in Musica Domani trimestrale della Società Italiana per l’Educazione Musicale,
Anno XLI, N.158, EDT 2012 - Non linearità e segno grafico in Musica
Domanitrimestrale della Società Italiana per l’Educazione Musicale, n. 164-165,
EDT 2013 - Ascolto creativo e scrittura creativa di un’improvvisazione musicale
in Percorsi Musicali, blog di Ettore Garzia 2013 - Five Improvisations in
Ontologie Musicali, a cura di Alessandro Bertinetto e Alessandro Arbo,
Aisthesis – Università di Firenze 2015 - Invarianza, tempo e improvvisazione
musicale in Itinera, rivista online di filosofia e di teoria delle arti. DOI
2015 - Quando improvvisiamo, siamo tutti ciechi, 7/12/2015, Musicheria.net -
rivista di educazione musicale 2015 - Playing with Silence, Mimesis International,
ISBN 978-88-5752-665-2 2016 - Sound Invariance, Graphic and Improvisation in
Improvisation enforschen – Improvisierend forschen, eds. Gagel and Schwabe,
Transcript, ISBN 978-3-8376-3188-3 2017 - Metodologia dell’improvvisazione
musicale. Tra Linearità e Nonlinearità Edizioni ETS, ISBN 978-8-8467-46993 2019
- L’estetica dell’improvvisazione tra suono e silenzio in Musica Domani, n.180
Discografia 2001 - Papi Thiam, MIrko, Guerrini, Mirio Cosottini David Tiop - Le
terribili onde della libertà Officine della Cultura 2006 - Kao Cissoko, Mirio
Cosottini Le Radici e le Ali Teatro Metastasio di Prato 2007 - EAQuartett
Electroacousticquartett Grimedia Rec. 2008 - Mirio Cosottini Tonino Miano, The
Curvature of Pace Impressus Records 2009 - EA Silence Cono di Ombra e Luce
Grimedia Rec./Amirani Rec. 2009 - Mirio Cosottini, Alessio Pisani, Tonino
Miano, Andrea Melani Cardinal Grimedia Rec./Impressus Rec. 2010 - EA Silence
Flatime Grimedia Rec./Amirani Rec. 2011 - EAOrchestra Likeidos Grimedia
Rec./Amirani Rec. 2012 - A Windy Season Tidal - Amphidromic Cotidal Grimedia
Rec. 2013 - Mirio Cosottini Mantras IRC Discs 2014 - Mirio Cosottini, Tonino
Miano The Inner Life of Residue Impressus Rec. 2015 - Reinhard Gagel, Mirio
Cosottini Pieces without Memory IRC Discs 2018 - Arlo Bigazzi feat. Mirio
Cosottini, Blaine L. Reininger, Pier Luigi Andreoni Tribæ Soundtrack Materiali
Sonori Timet 1996 - Timet Cicli di Sintesi PerBox 1997 - Timet Quadri di
schermo vivo Arti Elettroniche 1997 - Timet Colazione con la pietra Arti
Elettroniche 1998 - Timet La via negativa I Dischi Forma 1999 - Timet
Restituzioni I Dischi Forma 2000 - Timet Carne capitata Matrix-I Dischi Forma
2002 - Timet Zaratustra I Dischi Forma Collaborazioni 1994 - Fulvio Caldini
Data - Hands Ariston 1997 - Andrea Chimenti - Fernando Maraghini Qoelet
Consorzio Produttori Indipendenti 1998 - Tacitevoci Ensemble - Naqqâra Ensemble
La mutazione Tve 2002 - Bobo Rondelli Disperati Intellettuali Ubriaconi Venus
2003 - Giorgio Gaber Io non mi sento italiano CGD 2003 - Irene Grandi Prima di
partire CGD 2004 - Marco Parente L’attuale giungla Mescal 2009 - Mirko Guerrini
Il bianco e l'augusto Emarcy Universal 2010 - Massimo Altomare Outing Wing/Edel
2015 - Neurodeliri Nuova Era autoproduzione 2016 - Tempo Reale Electroacoustic
Ensemble Open Music N.1 2017 - David Riondino Bocca baciata non perde ventura,
anzi rinnova come fa la Luna Giano Produzioni/Materiali Sonori Apparizioni in
raccolte 1998 - V.A. Snowdoniani baccelloni attaccano Megaton 4 Snowdonia –
Timet, E Sofferma E 2001 - V.A. Come fiori in Mare – Luigi Tenco, Riletto
Lilium Produzioni – Marco Parente, Se Potessi Amore Mio DVD 2013 - Il Dolore
regia Massimo Luconi, musiche Mirio Cosottini - Corriere della Sera 2005 - Le
pareti della solitudine regia Massimo Luconi, musiche Mirio Cosottini e Maly
Dialy Cissoko - Insekt multimedia Note ^ Rockol com s.r.l, √ 'Disperati
Intellettuali Ubriaconi', le nuove atmosfere di Bobo Rondelli, su Rockol. URL
consultato il 26 agosto 2019. ^ Peter M. Boenisch, recensione, www.tanznetz.de,
9 agosto 2003 - https://www.tanznetz.de/blog/2758/tanz-kino-zum-eindosen ^
A.V., Libro Bianco - sulla diffusione della musica contemporanea in Italia,
2009, Federazione CEMAT, Roma, p.176 ^ cfr. AAJ Italy Staff, All About Jazz, 7
marzo 2008 - https://news.allaboutjazz.com/mirio-cosottini-and-tonino-miano-release-the-curvature-of-pace-on-impressus-records.php
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http://ettoregarzia.blogspot.com/2013/06/cosottinimiano-inner-life-of-residue.html
Archiviato il 10 agosto 2019 in Internet Archive. ^ cfr. AAJ Italy Staff,
AltreMusiche, 3 aprile 2009 - http://www.altremusiche.it/wp/ea-silence-cono-di-ombra-e-luce/
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http://video.repubblica.it/edizione/firenze/madonna-il-ritratto-sonoro/98227/96609?ref=search
^ cfr. Neri Pollastri, All About Jazz, 24 giugno 2015 -
https://www.allaboutjazz.com/pieces-without-memory-mirio-cosottini-irc-improvisation-research-center-review-by-neri-pollastri.php
^ annuncio - Il Giornale della Musica, 11 ottobre 2018 -
https://www.giornaledellamusica.it/news/venezia-incontri-di-musica-e-filosofia
^ Felice Colussi, recensione - Folk Bulletin, 15 marzo 2017 -
https://www.folkbulletin.com/david-riondino-bocca-baciata-non-perde-ventura-cd-giabomateriali-sonori-99134-8012957991340/
^ Irene Trancossi, video - Rep TV, 16 luglio 2016 -
https://video.repubblica.it/edizione/firenze/stampatrici-e-tagliacarte-a-ritmo-di-musica-il-concerto-e-in-tipografia/246864/246969?fbclid=IwAR3xdUzA3IPV3WK3IoHuMVcjEW79APhuysATJsd425fcw-Xk91xV9DiL7P4
^ Mauro Leone, intervista ad Arlo Bigazzi - Do You Need A Sign, 5 marzo 2019 -
http://www.doyouneedasign.it/2019/03/05/arlo-bigazzi/ ^ Salvatore Esposito,
recensione - BlogFoolk n.418, 26 luglio 2019 -
https://www.blogfoolk.com/2019/07/arlo-bigazzi-feat-blaine-lreinger-pier.html
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italiani del XX secoloCompositori italiani del XXI secoloFilosofi italiani del
XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloNati nel 1971Nati il 9 settembreNati a
Figline Valdarno[altre]
COSTA -- Mario
Costa (filosofo) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Mario Costa (1995) Mario Costa (Torre del Greco, 7 dicembre 1936)
è un filosofo italiano. È conosciuto, in particolare, per aver studiato le
conseguenze, nell'arte e nell'estetica, delle nuove tecnologie, introducendo
nel dibattito internazionale una nuova prospettiva teorica, attraverso concetti
come "estetica della comunicazione", "sublime tecnologico",
"blocco comunicante", "estetica del flusso".
Indice 1 Biografia
2 Pensiero
3 Alcune
opere rappresentative 4 Opere
5 Progetti
6 Note
7 Bibliografia
8 Altri
progetti 9 Collegamenti
esterni Biografia È stato professore ordinario di Estetica all'Università di
Salerno e, come professore incaricato di Metodologia e storia della critica
letteraria e di Etica ed estetica della comunicazione, ha contemporaneamente
insegnato per molti anni nelle Università degli Studi di Napoli
"L'Orientale" e di Nizza (Sophia-Antipolis). All'Università di
Salerno ha fondato e diretto, dal 1985, Artmedia, Laboratorio permanente
dedicato al rapporto tra tecno-scienza, filosofia ed estetica, organizzando su
queste tematiche decine di iniziative di studio, mostre e convegni internazionali.
Nel 1991 il suo libro L'estetica dei media ha ottenuto il Premio Nazionale
"Diego Fabbri". Ha pubblicato una trentina di libri; alcuni di essi e
numerosi suoi saggi sono tradotti e pubblicati in Europa e in America.
Pensiero Il suo lavoro teorico si è svolto in due momenti successivi ed ha
seguito due fondamentali direzioni di ricerca: l'interpretazione socio-politica
e filosofica delle avanguardie artistiche del XX secolo, e l'elaborazione di
una filosofia della tecnica costruita soprattutto attraverso l'analisi dei
cambiamenti che la nuova situazione tecno-antropologica ha indotto nell'arte e
nell'estetico. Per quanto riguarda la prima delle due direzioni indicate,
egli, a partire dalla fine degli anni sessanta, ha fornito un complesso di interpretazioni
filosofiche ed estetiche di numerosi movimenti dell'avanguardia artistica e
letteraria. Momenti di particolare rilievo in questo ambito di ricerca possono
essere considerati i suoi lavori su Marcel Duchamp[1] e sulle funzioni della
moderna critica d'arte,[2] nonché i suoi studi sul "lettrismo"[3] e
sullo "schematismo",[4] movimenti artistici di grande importanza,
anche estetologica, ma, all'epoca, pressoché ignoti in Italia. Per quanto
riguarda la seconda delle direzioni indicate, il suo pensiero si è a sua volta
sviluppato secondo due assi fondamentali: uno riguardante le conseguenze
sociali ed etiche della comunicazione tecnologica, riassunte soprattutto nel
libro La televisione e le passioni del 1992 che analizza gli effetti
disgreganti e distruttivi della televisione, e poi nel più recente La
disumanizzazione tecnologica del 2008, e l'altro, dominante rispetto al primo,
consistente in un ripensamento del senso che l'"estetico" e
l'"artistico" vanno assumendo nella fase attuale delle nuove
tecnologie elettro-elettroniche e digitali della scrittura, dell'immagine,
della spazialità, del suono e della comunicazione,[5] ciò che lo ha condotto ad
una radicale ed originale reimpostazione teoretica di tutto il campo
investigato.[6] Negli ultimi suoi lavori (Ontologia dei media del 2012, e Dopo
la tecnica del 2015) la prospettiva teoretica si è andata ulteriormente
approfondendo dando luogo ad una compiuta filosofia dei media e della tecnica
in quanto tale. Alcune opere rappresentative L'estetica dei media (1990 e 1999)
può considerarsi, per i contenuti trattati e per la inedita metodologia di
indagine instaurata e seguita, un libro che apre un nuovo campo di ricerca,
prima del tutto ignorato ed inesplorato dalle discipline estetologiche, quello
appunto della "estetica dei media", da non confondere, ad esempio,
con l'estetica della fotografia o con quella del cinema, alle quali ha comunque
dedicato altri suoi importanti lavori. Il libro in questione segue ai diversi
contributi teorici relativi all'estetica della comunicazione le cui
identificazione, nominazione e formulazione teorica risalgono al 1983, e che è
ora rappresentata, nella sola Italia, da numerose Cattedre e indirizzi
universitari. Il sublime tecnologico (1990 e 1998) è considerato il lavoro più
noto e più innovativo di tutta la sua produzione teorica; è in esso che,
considerando le conseguenze indotte nel campo dell'arte e dell'estetico dalla
nuova situazione tecno-antropologica, si parla dell'oltrepassamento della
dimensione dell'arte e delle categorie ad essa connesse, nella direzione di una
nuova forma di sublime, quella appunto del sublime tecnologico, con tutto
quello che questo concetto implica e comporta. La nozione del sublime
tecnologico è stata diffusamente accolta e seguita sul piano internazionale
della teoria estetica ed ha sollecitato un incalcolabile numero di
sperimentazioni da parte di artisti di tutto il mondo. Arte contemporanea ed
estetica del flusso (2010) traccia le linee di una nuova estetica e della
sperimentazione artistica che da essa può scaturire. Si tratta da una parte di
un violento e argomentato pamphlet contro l'arte contemporanea, ritenuta “una
congerie più o meno sgradevole di nullità mercantili”, e dall'altra della
tematizzazione ed elaborazione del concetto di “flusso estetico tecnologico”,
considerato come ultima e residua possibilità di sperimentazione per gli
artisti e come chiave per comprendere alcuni aspetti dell'ontologia
contemporanea. Dopo la tecnica (2015) ripercorre la storia delle varie epoche
della tecnica sottolineandone la discontinuità e la capacità di agire
configurando, ogni volta in maniera diversa, l'organizzazione antropologica di
chi da esse è abitato. Sulla base di questi presupposti, si mostra come la
tecnica, una volta connessa e dipendente dai bisogni umani, si va rendendo
incondizionatamente autonoma forzando l'uomo a vivere dentro di essa, ad
appartenerle e a favorire il suo sviluppo. Opere Arte come soprastruttura,
Napoli, CIDED, 1972 Teoria e Sociologia dell'arte, Napoli, Guida Editori, 1974
Sulle funzioni della critica d'arte e una messa a punto a proposito di Marcel
Duchamp, Napoli, M.Ricciardi Editore, 1976 Il ‘lettrismo' di Isidore Isou.
Creatività e Soggetto nell'avanguardia artistica parigina posteriore al 1945,
Roma, Carucci Editore, 1980 Le immagini, la folla e il resto. Il dominio
dell'immagine nella società contemporanea, Napoli, Edizioni Scientifiche
Italiane, 1982 Il sublime tecnologico, Salerno, Edisud, 1990 L'estetica dei
media. Tecnologie e produzione artistica, Lecce, Capone Editore, 1990 Il
‘lettrismo'. Storia e Senso di un'avanguardia, Napoli, Morra, 1991 La
televisione e le passioni, Napoli, A.Guida, 1992 Lo ‘schematismo'. Avanguardia
e psicologia, Napoli, Morra, 1994 Lo ‘schématisme parisien'.Tra post-informale
ed estetica della comunicazione, Fondazione G.E.Ghirardi, Piazzola sul Brenta
(Padova), 1995 Sentimento del sublime e strategie del simbolico, Salerno,
Edisud, 1996 Della fotografia senza soggetto. Per una teoria dell'oggetto
tecnologico, Genova/Milano, Costa & Nolan, 1997 Il sublime tecnologico.
Piccolo trattato di estetica della tecnologia, Roma, Castelvecchi, 1998
Tecnologie e costruzione del testo, Napoli, L'Orientale, 1998 L'estetica dei
media. Avanguardie e tecnologia, Roma, Castelvecchi, 1999 L'estetica della comunicazione.
Come il medium ha polverizzato il messaggio. Sull'uso estetico della
simultaneità a distanza, Roma, Castelvecchi, 1999 Dall'estetica dell'ornamento
alla computerart, Napoli, Tempo Lungo, 2000 Internet e globalizzazione
estetica, Napoli, Tempo Lungo, 2002 New Technologies, Artmedia-Museo del
Sannio, ottobre 2003 Dimenticare l'arte. Nuovi orientamenti nella teoria e
nella sperimentazione estetica, Milano, Franco Angeli, 2005 Phenomenology of
New Tech Arts, University of Salerno, November, 2005 L'oggetto estetico e la
critica, Salerno, Edisud, 2007 La disumanizzazione tecnologica. Il destino
dell'arte nell'epoca delle nuove tecnologie, Milano, Costa & Nolan, 2007
Della fotografia senza soggetto. Per una teoria dell'oggetto estetico
tecnologico, Milano, Costa & Nolan, 2008 Arte contemporanea ed estetica del
flusso, Vercelli, Mercurio Edizioni, 2010 Ontologia dei media, Milano,
Postmediabooks, 2012 Dopo la tecnica. Dal chopper alle similcose, Napoli,
Liguori Editore, 2015 Progetti Il lavoro teorico di Costa teso, tra l'altro, a
definire la nuova epoca dell'estetico connessa alle neo-tecnologie
elettro-elettroniche e digitali, e a fare in modo che questa si andasse ben
configurando e definendo, si è, per ciò stesso, sempre accompagnato ad
un'intensa attività di promozione estetico-culturale: agli inizi degli
anni ottanta organizza a Napoli, col supporto della RAI-TV, una grande
esposizione di videoarte (Differenzavideo, novembre 1982); nell'ottobre 1983,
per sollecitare una riflessione sugli effetti estetico-antropologici indotti
dalle tecnologie della comunicazione, co-organizza (con Mario Perniola) presso
l'Università di Salerno, il Convegno Estetica e antropologia i cui Atti sono,
in parte, pubblicati sulla Rivista di estetica di Torino (n. 18 del 1984);
nell'ottobre del 1983 crea, con l'artista francese Fred Forest, il movimento
internazionale dell'Estetica della comunicazione che presenta in vari contesti
a Parigi nello stesso 1983 (Electra di Frank Popper il 14 dicembre 1983) e nel
1984 (il 21 maggio al Centre Pompidou a La Revue parlée di Blaise Gautier, il
23 maggio alla Sorbonne, al Séminaire de Philosophie de l'art di Olivier
Revault D'Allonnes); nei mesi di marzo-aprile del 1984 dà luogo al primo
evento/rassegna di estetica della comunicazione (L'immaginario tecnologico,
Benevento, Museo del Sannio); a partire dal 1985 concepisce e dirige, presso
l'Università di Salerno, Artmedia, Convegno Internazionale di Estetica dei
Media e della Comunicazione (edizioni: 1985, 1986, 1990, 1992, 1995, 1997, 1999,
2002 a Parigi, 2005, 2008 a Parigi); nel 1987 organizza presso l'Università di
Salerno un Convegno Internazionale su estetica e tecnologia; nel febbraio 1989
organizza presso la stessa Università il Convegno "Il suono da
lontano". Eventi sonori e tecnologie della comunicazione"; tra i mesi
di febbraio e marzo 1989 realizza, per la RAI-TV (Dipartimento Scuola e
Educazione) la trasmissione televisiva in tre puntate: Un'estetica per i media;
nel dicembre 1989 fa svolgere, presso la settecentesca Villa Bruno (S.Giorgio –
Napoli) Technettronica. Laboratorio di Estetica dei Media e della
Comunicazione; nel 1990 presenta per la prima volta in Italia presso
l'Università di Salerno due videoplays di Samuel Beckett; nel 1995 fonda e
dirige, la Rivista Internazionale Multilingue Epipháneia. Ricerca estetica e
tecnologie (3 numeri tra il 1995 e il 1996); nel 1999 fonda e dirige, presso le
Edizioni Tempo Lungo di Napoli, Vertici, una «Collana di Estetica e Poetiche»
aperta alle questioni estetologiche connesse ai nuovi media (testi di Francesco
Piselli, Anne Cauquelin, Theodor W. Adorno, Mario Costa, Marie-Claude
Vettraino-Solulard, Gillo Dorfles); nei mesi di novembre/dicembre del 2002
co-organizza a Parigi la VIII Edizione di Artmedia; nell'ottobre 2003
co-organizza presso l'Università di Salerno il Convegno Internazionale
Tecnologie e forme nell'arte e nella scienza; nell'ottobre 2003 organizza
presso il Museo del Sannio di Benevento la Mostra New Technologies (Roy Ascott,
Maurizio Bolognini, Fred Forest, Richard Kriesche, Mit Mitropoulos); nel
novembre 2005 organizza presso l'Università di Salerno la IX Edizione di
Artmedia; nel dicembre 2008 co-organizza a Parigi la X Edizione di Artmedia;
nell'ottobre 2009 organizza presso l'Università di Salerno un seminario conclusivo
di Artmedia dal titolo "L'oggetto estetico dell'avvenire". Ha
partecipato inoltre all'organizzazione di convegni ed eventi a Parigi, Colonia,
Toronto, Tel Aviv, San Paolo del Brasile. Note ^ Mario Costa, Duchamp et
le "reste", in "Traverses", 11, Parigi 1978, pp. 75-81. ^
Mario Costa, Sulle funzioni della critica d'arte e una messa a punto a
proposito di Marcel Duchamp, Napoli, Ricciardi Editore, 1976; Mario Costa,
L'oggetto estetico e la critica, Edisud, Salerno 2007. ^ Mario Costa, Il
'lettrismo' di Isidore Isou. Creatività e Soggetto nell'avanguardia artistica
parigina posteriore al 1945, Carucci Editore, Roma 1980; Mario Costa, Il
'lettrismo'. Storia e Senso di un'avanguardia, Morra, Napoli 1991. ^ Mario
Costa, Schéma et concept de l'ornement au schématisme, in "Schéma et
schématisation", 54, Parigi 2001, pp. 27-34. Si veda anche Signe, forme,
schéma, ornement, in "Schéma et schématisation", 57, Parigi 2002, pp.
103-106. ^ Mario Costa, L'estetica dei media. Avanguardie e tecnologia,
Castelvecchi, Roma 1999; Mario Costa, Il sublime tecnologico. Piccolo trattato
di estetica della tecnologia, Castelvecchi, Roma 1998; Mario Costa, Arte
contemporanea ed estetica del flusso, Mercurio, Vercelli 2010. Inoltre:
Technology, Artistic Production and the "Aesthetics of
communication", in "Leonardo", 24, 2, 1991, pp. 123-125;
Tecnologie e costruzione del testo, L'Orientale, Napoli 1998; L'esthétique de
la communication et le temps technologique, in "Art Press", 258,
Parigi 2002, pp. 38-39; Reti e destino della scrittura, in "Actes du
Séminaire 2000-2001"; L'esthétique de la communication et le temps
technologique, in Art Press, 258, Parigi 2002, pp. 38-39; La musique dans
l'espace technologique, in "Actes du Colloque Les Trans-interactifs",
Parigi, Centre Culturel Canadien, 4/5, 1988, Collection Déchiffrages, pp.
97-103; Photographie et phénoménologie de la présence, in "La Recherche
Photographique", 7, Parigi 1989, pp. 17-20. ^ Sulla diffusione e la
rilevanza del suo pensiero, si vedano tra gli altri: Philippe Bootz, The thesis
of Walter Benjamin and Mario Costa, in Philippe Bootz, Sandy Baldwin, Regards
Croisés, West Virginia University Press, 2010, pagg. 11-25; Alberto Abruzzese,
Il compiersi della pubblicità dal manifesto metropolitano ai linguaggi
elettronici del presente: pretesti, testi e questioni, in AA.VV. (a cura di
Riccardo Lattuada), Nuove tendenze ed esperienze nella comunicazione e
nell'estetico, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1992, pagg. 55-83; Leila
Amaral, O Caráter festivo da ciberarte, in "Civitas. Revista de Ciências
Sociais", Pontifícia Universidade Católica do Rio Grande do Sul, Brasil,
9/2, 2009, pagg. 209-223; Priscilla Arantes, Arte e midia: perspectivas da
estética digital, Editora Senac, São Paulo, 2005, pagg. 58-60 e 166-169; Walter
Zanini, A arte de communicaçâo telematica: a interatividade no ciberspaço, in
"Ars. Revista do Departamento de Artes Plasticas", ECA/USP, 1/1, São
Paulo, 2003, pp. 11-34; Umberto Roncoroni, Benjamin y la téoria de lo sublime
tecnologico, in "Contratexto digital", 4/5, pagg.3-9; Derrick de
Kerckhove, L'estetica dei media e la sensibilità spaziale. Riflessioni su un
libro di Mario Costa, in "Mass Media", IX/4, 1990, pagg. 35-53; Frank
Popper, L'art à l'âge électronique, Paris, Hazan, 1993, pagg. 122-139. Bibliografia
Mario Costa, professore di estetica, in MCmicrocomputer, n. 208, Roma,
Pluricom, luglio/agosto 2000, pp. 58-60, ISSN 1123-2714 (WC · ACNP). Altri
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Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloNati nel
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media[altre]
Costa -- Paolo Costa (poeta) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
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Ritratto di Paolo Costa Paolo Costa (Ravenna, 13 giugno 1771 – Bologna,
20 dicembre 1836) è stato un poeta, filosofo e letterato italiano. Indice 1 Biografia
2 Opere
3 La
dottrina 4 Opere
5 Bibliografia
6 Altri
progetti 7 Collegamenti
esterni Biografia Figlio di Domenico e di Lucrezia Ricciarelli, nel 1780 inizia
a studiare dapprima a Ravenna con modesti insegnanti, come scriverà egli
stesso, e poi a Padova, sotto Melchiorre Cesarotti e Simone Stratico.
Interrompe gli studi con l'arrivo dei francesi, svolgendo incarichi pubblici a
Ravenna e a Bologna. Ripresi gli studi
umanistici, frequenta Giordano Bianchi Dottula, Dionigi Strocchi e Pietro
Giordani; durante il Regno d'Italia ottiene la cattedra di filosofia nel liceo
di Treviso prima e in quello di Bologna poi. Soppresso il liceo pubblico dalla
Restaurazione, nel 1822 continua l'insegnamento privato nella sua villa
bolognese fino al 1831, quando è costretto a riparare a Corfù perché sospettato
di essere affiliato alla Carboneria. Può rientrare nel 1832 a Bologna dove
muore pochi anni dopo. Opere I trattati
Della elocuzione e Del modo di comporre le idee e di contrassegnarle con
vocaboli precisi a fine di ben ragionare, il trattato filosofico Della sintesi
e dell'analisi, i quattro sermoni Dell'arte poetica, un Commento alla Divina
Commedia, la Vita di Dante, il Dizionario della lingua italiana, elaborato dal
1818 al 1829, poesie (Laocoonte, 1817), lettere e traduzioni. La dottrina Letterato neoclassico e dunque
antiromantico, fu ammiratore dei corregionali Vincenzo Monti e Pietro Giordani
e sostenitore del purismo in letteratura e del sensismo di Étienne Bonnot de
Condillac in filosofia. Nella lettera a Ferdinando Ranalli di introduzione al
Della sintesi e dell'analisi così riassume le sue concezioni filosofiche: “È necessario, per togliere la infinita
confusione che è nelle scienze ideologiche, di dare ai vocaboli un determinato
valore. Io sostengo che questo non si può ottenere, come pensava il Locke,
colle definizioni (le quali sono scomposizioni delle idee), se prima le idee
non sieno state ben composte; sostengo che queste non si possono compor bene,
se prima non si conoscono quali ne sieno gli elementi semplici; sostengo che
gli elementi semplici sono le reminiscenze relative alle sensazioni, e che le
idee si compongono di sì fatti elementi, e del sentimento dei rapporti delle
une e delle altre, cioè dei giudizii. Da ciò conséguita che l'esperienza (se
l'esperienza vale ciò che si sente mediante l'attenzione) è il fondamento della
scienza umana. I Kantisti ed altri filosofi distinguono le idee in idee soggettive
e in idee oggettive, ed attribuiscono un'origine alle une ed un'origine alle
altre. Questa distinzione può esser buona: ma non è buona l'ammettere che
abbiano origini di natura diversa. Hanno un'origine stessa, e questo si fa
palese per un solo esempio. Da idee soggettive nascono le proposizioni
seguenti: "Le reminiscenze sono in me, le reminiscenze si associano."
Qual è l'origine delle idee dalle quali derivano sì fatte proposizioni? Il
sentimento. Dire che la reminiscenza del color di rosa è in me, è dire che io
sento che è in me; così direte dell'altra proposizione. Dalle idee oggettive
nascono queste altre proposizioni: "I corpi pesano: le rose mandano
odore." Da che nascono elle? Dal sentimento: perciocché dire che i corpi
pesano, è lo stesso che dire "sento il peso, giudico, ovvero ho il
sentimento, che la cagione della mia sensazione tattile è nel corpo." Così
dire "le rose mandano odore" è dire: "sento l'odore, ed ho il
sentimento (giudico) che l'odore ha una delle cagioni in cose fuori, cioè che
non sono in me." Fra le idee soggettive e le oggettive non vi è altra
differenza, se non che nelle prime sentiamo che la cagione è nella nostra
persona; nelle seconde, che una delle cagioni è in noi, l'altra nelle cose
fuori. Ma come sentiamo noi che vi sia una cosa fuori? Questo è il gran
problema dagl'ideologi non ancora soluto; ma l'ignoranza in che siamo non dà
facoltà legittima alle scuole trascendentali di concludere che questo giudizio
non dipende dal sentire. Egli è un sentimento, cioè un rapporto sentito fra
sensazioni e reminiscenze; ché se tale non fosse, nessuno potrebbe dire:
"L'idea che ho (di una rosa p.e.), ha le sue cagioni fuori di me"
perciocché una sì fatta proposizione suppone che l'uomo, che la proferisce,
abbia o le sensazioni o le reminiscenze relative alle sensazioni prodotte dalla
rosa, e l'idea della sua persona che sente. Voi vedete chiaramente, che
nell'uno e nell'altro degli addotti esempii le modificazioni chiamate idee, e i
sentimenti dei loro rapporti sono nell'anima, e che quindi si esprimono
falsamente coloro, che dicono: "Sentiamo i corpi fuori di noi."
Dovrebbero dire: sentiamo che una delle cagioni del nostro sentire non è in
noi. Coi fondamenti da me posti si può stabilire una dottrina (se il buon
desiderio non mi acceca), per la quale vadano a terra le opinioni di coloro che
disprezzano la filosofia lockiana, e che con odiosa espressione la chiamano
dottrina de' sensuali; con che danno a divedere, che essi mattamente opinano
che il materiale organo del senso senta e percepisca, senza accorgersi che se
gli occhi e le orecchie e il naso sentissero ciascuno separatamente, non
potrebbe giammai nascere giudizio alcuno circa le qualità delle sensazioni di
natura diversa: l'uomo non potrebbe mai dire: "questo odore mi diletta più
di questo colore" e così via discorrendo. Il sentimento di un solo centro,
egli è l'anima: e l'anima sente in sé mesima, e non fuori di sé. Potrà parere
che questa dottrina sia la stessa che quella dell'idealista Bercleio (George
Berkeley); ma essa è diversa, poiché ammette che oltre le idee vi sieno fuori
dell'uomo le cagioni di esse idee. Di queste cagioni noi conosciamo
l'esistenza, e nulla più. Che cosa sono i corpi in se stessi? A questa
interrogazione non si può rispondere se non dicendo: Sono ignota cagione delle
nostre sensazioni. Sappiamo che esistono, sappiamo che si modificano, e tutto
ciò sappiamo, perché fanno delle mutazioni nell'animo nostro. Dal che si deduce
ciò che dianzi vi dissi, che le idee tutte hanno per loro primitivi elementi le
sensazioni, le reminiscenze, i sentimenti che sono nell'anima, e non fuori di
lei. Così la pensano i lockiani e i condilacchiani, chiamati per beffa dai
moderni autori col nome di sensualisti e di materialisti. Materialisti a buona
ragione si possono chiamare i nostri avversarii, o almeno materialisti per
metà, giacché ammettono che i sentimenti del corpo percepiscano, e giudichino
relativamente alle qualità delle cose esterne. Leggete le lettere filosofiche
del [[Galluppi]] stampate non è guari in Firenze. In quelle troverete
chiaramente esposte le dottrine condilacchiane, quelle di Hume circa la
causalità, e segnatamente quelle di Kant. Se dalle mie teoriche si possono
ricavare gli argomenti validi a confutare le opinioni dei trascendentali, o di
coloro, che oggi si danno il nome di eclettici, io vi prego di compilare alcune
note, o vogliam dire corollarii, pei quali si vegga manifesta la falsità di
alcuni principii del Bercleio, del Reid e del Kant, la filosofia dei quali è
fonte della massima parte delle moderne follie." (Della Sintesi e
dell'Analisi, ed. Liber Liber / Fara Editore)
Opere Paolo Costa, Vita di Dante - Della Elocuzione, Fara editore, S.
Arcangelo di Romagna Paolo Costa, Della sintesi e dell'analisi, id. Paolo
Costa, Giovanni Battista Borghi e Melchiorre Missirini, La divina commedia, con
le note di Paolo Costa, e gli argomenti dell'Ab.G. Borghi. Adorna de 500
vignette, a cura di Giovanni Battista Niccolini e Giuseppe Bezzuoli, Firenze,
Stabilimento artistico Fabris, 1831, OCLC 908981699. URL consultato l'8
settembre 2019 (archiviato l'8 settembre 2019). Ospitato su archive.is.
Bibliografia Claudio Chiancone, La scuola di Cesarotti e gli esordi del giovane
Foscolo, Pisa, Edizioni ETS, 2013, pp. 239-293 (sulla formazione padovana del
Costa, e sulla sua amicizia giovanile col Foscolo) Filippo Mordani, Vite di
ravegnani illustri, 2ª ed., Ravenna, Stampe de' Roveri, 1837, p. 243. URL
consultato il 14 febbraio 2015. Altri progetti Collabora a Wikisource
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secoloFilosofi italiani del XIX secoloNati nel 1771Morti nel 1836Nati il 13
giugnoMorti il 20 dicembreNati a RavennaMorti a Bologna[altre]
costanzi: Teodorico Moretti
Costanzi (n. Pozzuolo Umbro) è stato un filosofo e accademico italiano.
[1] Dopo il conseguimento della laurea in filosofia presso
l'Università di Bologna, ottiene la libera docenza in filosofia teoretica nel
1940. Diviene assistente alla cattedra romana di Pantaleo Carabellese, di
storia della filosofia, e in seguito docente di estetica presso la medesima
università. Fu professore ordinario presso l'Ateneo bolognese dal 1957 al 1982.
La presentazione nel 2009 di un volume comprendente l'opera omnia del
filosofo,[2] riporta in luce il suo pensiero, secondo alcuni volutamente ignorato
perché alternativo all'ideologia dominante a quel tempo.[3] Opere
Pensiero ed essere, Perrella, Roma, 1939 Il problema dell'uno e dei molti nel
pensiero di B. Varisco, Perrella, Roma, 1940 Noluntas, Perrella, Roma, 1941
Schopenhauer, Edizioni italiane, Roma, 1942 L'asceta moderno, Arte e storia,
Roma, 1945 Spinoza, Universitas, Roma, 1946 'L'estetica di Platone.Sua
attualità', Arte e storia, Roma, 1948 L'ascetica di Heidegger, Arte e storia,
Roma, 1949 L'ascesi di coscienza e l'argomento di S. Anselmo, Arte e storia,
Roma, 1951 L'asceta moderno, 2ª ed. riv., Arte e storia, Roma, 1952;
Meditazioni inattuali sull'essere e il senso della vita, Arte e storia, Roma,
1953 La terrenità edenica del Cristianesimo e la contaminazione
spiritualistica, Patron, Bologna, 1955 La donna angelicata e il senso della
femminilità nel Cristianesimo, Patron, Bologna, 1955 La filosofia pura, Alfa,
Bologna, 1959 Il senso della storia, Alfa, Bologna, 1963 Sul prologo di
Zarathustra (Nietzsche e Schopenhauer) con trad. dello stesso Prologo, in
Ethica, 1964 L'etica nelle sue condizioni necessarie, Ed.ni di Ethica, Bologna,
1965 L'estetica pia, Patron, Bologna, 1966 L'ora della filosofia, R. Patron,
Bologna, 1968 L'uomo come disgrazia e Dio come fortuna, Alfa, Bologna, 1972 La
critica disvelatrice, Ed.ne dell'Istituto di Filosofia dell'Università di
Bologna, Bologna, 1972 Amore, morte, eternità, L. Parma, Bologna, 1974 La
singolarità personale societaria: compimento di un itinerario senza vie,
Cooperativa libraria universitaria editrice, Bologna, 1975 L'equivoco della
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ragioni della miscredenza e quelle cristiane della fede, Clueb, Bologna, 1979
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Giorgi, Assisi, 1981 La rivelazione filosofica, Sala francescana di cultura P.
Antonio Giorgi, Assisi, 1982 Il Cristianesimo-filosofia come tradizione di
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sacra, Sala francescana di cultura, Assisi, 1990 L'identità del Lumen publicum
nelle privatezze di Anselmo e Tommaso, Il Cristianesimo-filosofia, Le Lettere,
Roma, 1994 Opere, a cura di E. Mirri e M. Moschini, Bompiani, Milano, 2009 Note
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sito "Treccani.it L'Enciclopedia italiana". ^ Vittorio Sgarbi torna a
Tuoro per presentare l'opera omnia del filosofo Teodorico Moretti-Costanzi di
Eugenio Pierucci, 26 settembre 2009, sito "UmbriaLeft.it. ^ Il filosofo
imbavagliato dal Sessantotto, di Paolo Bianchi, 17 luglio 2009, sito "il
Giornale.it". Bibliografia Fabio Milana , «MORETTI-COSTANZI, Teodorico» in
Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 76, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2012. Collegamenti esterni Teodorico Moretti
Costanzi, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Modifica su Wikidata Teodorico Moretti Costanzi, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su
Wikidata Teodorico Moretti Costanzi, su siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema
Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Modifica su Wikidata
(EN) Opere di Teodorico Moretti Costanzi, su Open Library, Internet Archive.
Modifica su Wikidata Controllo di autoritàVIAF (EN) 32123702 · ISNI (EN) 0000
0000 7357 484X · LCCN (EN) n88166776 · BNF (FR) cb12756675p (data) · BAV (EN)
495/76876 · WorldCat Identities (EN) lccn-n88166776 Biografie Portale Biografie
Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX
secoloAccademici italiani del XX secoloNati nel 1912Morti nel 1995Nati il 25
aprileMorti il 23 giugno[altre]
cotton onto the implicaturum:
this is not cognate with the plant. It’s Welsh, rather.Strawson’s and Wiggins’s
example of the ‘suggestio falsi’ – or alternative to Grice’s tutee example.
Since Strawson and Wiggins are presenting the thing to the ultra-prestigious
British Academy, they thought a ‘tutee’ example would not be prestigious
enough. So they have two philosophers, Strawson and Grice, talking about a
third party, another philosopher, well known by his mood outbursts. They are
assessing the third party’s philosophical abilities at their London club.
Strawson volunteers: “And Smith?”. Grice responds: “If he had a more angelic
temperament…” Strawson, “like a fool, I rushed in – Strawson Wiggins p. 520. The
angelic temperament. To like someone or something; to view someone or something
favorably. ... After we explained our plan again, the rest of the group
seemed to cotton onto it.
2. To begin to understand something. Has nothing to do with cotton 1560s,
"to prosper, succeed;" of things, "to agree, suit, fit," a
word of uncertain origin. Perhaps from Welsh cytuno "consent,
agree;" but perhaps rather a metaphor from cloth-finishing and thus
from cotton (n.).
Hensleigh Wedgwood compares cot "a fleece of wool matted together."
Meaning "become closely or intimately associated (with)," is from 1805
via the sense of "to get along together" (of persons), attested from
c. 1600. Related: Cottoned; cottoning.
craig: Grice loved his interpolation
theorem, a theorem for firstorder logic: if a sentence y of first-order logic
entails a sentence q there is an “interpolant,” a sentence F in the vocabulary
common to q and y that entails q and is entailed by y. Originally, William
Craig proved his theorem in 7 as a lemma, to give a simpler proof of Beth’s
definability theorem, but the result now stands on its own. In abstract model
theory, logics for which an interpolation theorem holds are said to have the
Craig interpolation property. Craig’s interpolation theorem shows that
first-order logic is closed under implicit definability, so that the concepts
embodied in first-order logic are all given explicitly. In the philosophy of
science literature ‘Craig’s theorem’ usually refers to another result of
Craig’s: that any recursively enumerable set of sentences of first-order logic
can be axiomatized. This has been used to argue that theoretical terms are in
principle eliminable from empirical theories. Assuming that an empirical theory
can be axiomatized in first-order logic, i.e., that there is a recursive set of
first-order sentences from which all theorems of the theory can be proven, it
follows that the set of consequences of the axioms in an “observational”
sublanguage is a recursively enumerable set. Thus, by Craig’s theorem, there is
a set of axioms for this subtheory, the Craig-reduct, that contains only observation
terms. Interestingly, the Craig-reduct theory may be semantically weaker, in
the sense that it may have models that cannot be extended to a model of the
full theory. The existence of such a model would prove that the theoretical
terms cannot all be defined on the basis of the observational vocabulary only,
a result related to Beth’s definability theorem.
crazy-bayesy: cited by H. P.
Grice, “Aspects of reason.” Bayesian rationality, minimally, a property a
system of beliefs or the believer has in virtue of the system’s “conforming to
the probability calculus.” “Bayesians” differ on what “rationality” requires,
but most agree that i beliefs come in degrees of firmness; ii these “degrees of
belief” are theoretically or ideally quantifiable; iii such quantification can
be understood in terms of person-relative, time-indexed “credence functions”
from appropriate sets of objects of belief propositions or sentences each set closed under at least finite
truth-functional combinations into the
set of real numbers; iv at any given time t, a person’s credence function at t
ought to be usually: “on pain of a Dutch book argument” a probability function;
that is, a mapping from the given set into the real numbers in such a way that
the “probability” the value assigned to any given object A in the set is
greater than or equal to zero, and is equal to unity % 1 if A is a necessary
truth, and, for any given objects A and B in the set, if A and B are
incompatible the negation of their conjunction is a necessary truth then the
probability assigned to their disjunction is equal to the sum of the
probabilities assigned to each; so that the usual propositional probability
axioms impose a sort of logic on degrees of belief. If a credence function is a
probability function, then it or the believer at the given time is “coherent.”
On these matters, on conditional degrees of belief, and on the further
constraint on rationality many Bayesians impose that change of belief ought to
accord with “conditionalization”, the reader should consult John Earman, Bayes
or Bust? A Critical Examination of Bayesian Confirmation Theory 2; Colin Howson
and Peter Urbach, Scientific Reasoning: The Bayesian Approach 9; and Richard
Jeffrey, The Logic of Decision 5. Bayes’s
theorem, any of several relationships between prior and posterior probabilities
or odds, especially 13 below. All of these depend upon the basic relationship 0
between contemporaneous conditional and unconditional probabilities.
Non-Bayesians think these useful only in narrow ranges of cases, generally
because of skepticism about accessibility or significance of priors. According
to 1, posterior probability is prior probability times the “relevance quotient”
Carnap’s term. According to 2, posterior odds are Bayesian Bayes’s theorem 74 74 prior odds times the “likelihood ratio”
R. A. Fisher’s term. Relationship 3 comes from 1 by expanding P data via the
law of total probability. Bayes’s rule 4 for updating probabilities has you set
your new unconditional probabilities equal to your old conditional ones when
fresh certainty about data leaves probabilities conditionally upon the data
unchanged. The corresponding rule 5 has you do the same for odds. In decision
theory the term is used differently, for the rule “Choose so as to maximize expectation
of utility.”
Credible – by speaking of
probability and credibility, Grice is going modal! credibility: While Grice uses ‘probability’ as the correlatum of
desirability, he suggests ‘credibility’ is a better choice. It relates to the
‘creditum.’ Now, what is the generic for ‘trust’ when it comes to the creditum
and the desideratum? An indicative utterance expresses a belief. The utterer is
candid if he holds that belief. “Candid” applies to imperative utterances which
express genuine desires and notably the emissor’s intention that his recipient
will form a ‘desideratum.’ Following
Jeffrey and Davidson, respectively, Grice uses ‘desirability’ and
‘probability,’ but sometimes ‘credibibility,’ realizing that ‘credibility’ is
more symmetrical with ‘desirability’ than ‘probability’ is. Urmson had explored
this in “Parenthetical verbs.” Urmson co-relates, ‘certaintly’ with ‘know’ and
‘probably’ with ‘believe.’ But Urmson adds four further adverbs: “knowingly,”
“unknowingly,” “believably,” and “unbelievably.” Urmson also includes three
more: “uncredibly,” in variation with “incredibly,” and ‘credibly.” The keyword
should be ‘credibility.’
creditum: The Romans were good at this. Notably in negative
contexts. They distinguished between an emissor being fallax and being mendax.
It all has to do with ‘creditum.’ “Creditum’ is vero, more or less along
correspondence-theoretical lines. Used by Grice for the doxastic equivalent of
the buletic or desideratum. A creditum is an implicaturum, as Grice defines the
implicaturum of the content that an addresse has to assume the utterer BELIEVES
to deem him rational. The ‘creditum’-condition is essential for Grice in his
‘exhibitive’ account to the communication. By uttering “Smoke!”, U means that
there is some if the utterer intends that his addressee BELIEVE that he, the
utterer, is in a state of soul which has the propositional complex there is
smoke. It is worth noting that BELIEF is not needed for the immediate state of
the utterer’s soul: this can always be either a desire or a belief. But a
belief is REQUIRED as the immediate (if not ultimate) response intended by the
utterer that his addressee adapt. It is curious that given the primacy that
Grice held of the desirability over the credibility that many of his conversational
maxims are formulated as imperatives aimed at matters of belief, conditions and
value of credibility, probability and adequate evidence. In the cases where
Grice emphasizes ‘information,’ which one would associate with ‘belief,’ this
association may be dropped provided the exhibitive account: you can always
influence or be influenced by others in the institution of a common decision
provided you give and receive the optimal information, or rather, provided the
conversationalists assume that they are engaged in a MAXIMAL exchange of
information. That ‘information’ does not necessarily apply to ‘belief’ is
obvious in how complicated an order can get, “Get me a bottle”. “Is that all?”
“No, get me a bottle and make sure that it is of French wine, and add something
to drink the wine with, and drive careful, and give my love to Rosie.” No
belief is explicitly transmitted, yet the order seems informative enough. Grice
sometimes does use ‘informative’ in a strict context involving credibility. He
divides the mode of credibility into informational (when addressed to others)
and indicative (when addressed to self), for in a self-addressed utterance such
as, “I am being silly,” one cannot intend to inform oneself of something one
already knows! The English have ‘credibility’ and belief, which is
cognate with ‘love.’ H. P. Grice, “Disposition and belief,” H. P. Grice,
“Knowledge and belief.” a dispositional psychological state in virtue of which
a person will assent to a proposition under certain conditions. Propositional
knowledge, traditionally understood, entails belief. A behavioral view implies
that beliefs are just dispositions to behave in certain ways. Your believing
that the stove is hot is just your being disposed to act in a manner
appropriate to its being hot. The problem is that our beliefs, including their
propositional content indicated by a “that”-clause, typically explain why we do
what we do. You avoid touching the stove because you believe that it’s
dangerously hot. Explaining action via beliefs refers indispensably to
propositional content, but the behavioral view does not accommodate this. A
state-object view implies that belief consists of a special relation between a
psychological state and an object of belief, what is believed. The objects of
belief, traditionally understood, are abstract propositions existing
independently of anyone’s thinking of them. The state of believing is a
propositional attitude involving some degree of confidence toward a
propositional object of belief. Such a view allows that two persons, even
separated by a long period of time, can believe the same thing. A state-object
view allows that beliefs be dispositional rather than episodic, since they can
exist while no action is occurring. Such a view grants, however, that one can
have a disposition to act owing to believing something. Regarding mental
action, a belief typically generates a disposition to assent, at least under
appropriate circumstances, to the proposition believed. Given the central role
of propositional content, however, a state-object view denies that beliefs are
just dispositions to act. In addition, such a view should distinguish between
dispositional believing and a mere disposition to believe. One can be merely
disposed to believe many things that one does not actually believe, owing to
one’s lacking the appropriate psychological attitude to relevant propositional
content. Beliefs are either occurrent or non-occurrent. Occurrent belief,
unlike non-occurrent belief, requires current assent to the proposition
believed. If the assent is self-conscious, the belief is an explicit occurrent
belief; if the assent is not self-conscious, the belief is an implicit
occurrent behaviorism, supervenient belief 78
78 belief. Non-occurrent beliefs permit that we do not cease to believe
that 2 ! 2 % 4, for instance, merely because we now happen to be thinking of
something else or nothing at all. . --
belief revision, the process by which cognitive states change in light of new
information. This topic looms large in discussions of Bayes’s Theorem and other
approaches in decision theory. The reasons prompting belief revision are
characteristically epistemic; they concern such notions as quality of evidence
and the tendency to yield truths. Many different rules have been proposed for
updating one’s belief set. In general, belief revision typically balances risk
of error against information increase. Belief revision is widely thought to
proceed either by expansion or by conceptual revision. Expansion occurs in
virtue of new observations; a belief is changed, or a new belief established,
when a hypothesis or provisional belief is supported by evidence whose
probability is high enough to meet a favored criterion of epistemic warrant.
The hypothesis then becomes part of the existing belief corpus, or is
sufficient to prompt revision. Conceptual revision occurs when appropriate
changes are made in theoretical assumptions
in accordance with such principles as simplicity and explanatory or
predictive power by which the corpus is
organized. In actual cases, we tend to revise beliefs with an eye toward
advancing the best comprehensive explanation in the relevant cognitive
domain.
Grice’s criterion for the implicaturum, --
cf. G. P. Baker, “Grice and criterial semantics” -- broadly, a sufficient
condition for the presence of a certain property or for the truth of a certain
proposition. Generally, a criterion need be sufficient merely in normal
circumstances rather than absolutely sufficient. Typically, a criterion is
salient in some way, often by virtue of being a necessary condition as well as
a sufficient one. The plural form, ‘criteria’, is commonly used for a set of
singly necessary and jointly sufficient conditions. A set of truth conditions
is said to be criterial for the truth of propositions of a certain form. A
conceptual analysis of a philosophically important concept may take the form of
a proposed set of truth conditions for paradigmatic propositions containing the
concept in question. Philosophers have proposed criteria for such notions as meaningfulness,
intentionality,
creationism, theological criterion knowledge, justification, justice,
rightness, and identity including personal identity and event identity, among
many others. There is a special use of the term in connection with Vitters’s
well-known remark that “an ‘inner process’ stands in need of outward criteria,”
e.g., moans and groans for aches and pains. The suggestion is that a
criteriological connection is needed to forge a conceptual link between items
of a sort that are intelligible and knowable to items of a sort that, but for
the connection, would not be intelligible or knowable. A mere symptom cannot
provide such a connection, for establishing a correlation between a symptom and
that for which it is a symptom presupposes that the latter is intelligible and
knowable. One objection to a criteriological view, whether about aches or
quarks, is that it clashes with realism about entities of the sort in question
and lapses into, as the case may be, behaviorism or instrumentalism. For it
seems that to posit a criteriological connection is to suppose that the nature
and existence of entities of a given sort can depend on the conditions for
their intelligibility or knowability, and that is to put the epistemological
cart before the ontological horse.
critical legal studies: explored by Grice
in his analysis of legal vs. moral right --
a loose assemblage of legal writings and thinkers in the United States
and Great Britain since the mid-0s that aspire to a jurisprudence and a
political ideology. Like the legal
realists of the 0s and 0s, the jurisprudential program is largely negative,
consisting in the discovery of supposed contradictions within both the law as a
whole and areas of law such as contracts and criminal law. The jurisprudential
implication derived from such supposed contradictions within the law is that
any decision in any case can be defended as following logically from some
authoritative propositions of law, making the law completely without guidance
in particular cases. Also like the legal
realists, the political ideology of critical legal studies is vaguely leftist,
embracing the communitarian critique of liberalism. Communitarians fault
liberalism for its alleged overemphasis on individual rights and individual
welfare at the expense of the intrinsic value of certain collective goods.
Given the cognitive relativism of many of its practitioners, critical legal
studies tends not to aspire to have anything that could be called a theory of
either law or of politics.
Grice’s
critique of conversational reason – “What does Kant mean by ‘critique’?
Should he?” – Grice. Critical Realism, a philosophy that at the highest level
of generality purports to integrate the positive insights of both New Realism
and idealism. New Realism was the first wave of realistic reaction to the
dominant idealism of the nineteenth century. It was a version of immediate and
direct realism. In its attempt to avoid any representationalism that would lead
to idealism, this tradition identified the immediate data of consciousness with
objects in the physical world. There is no intermediary between the knower and
the known. This heroic tour de force foundered on the phenomena of error,
illusion, and perceptual variation, and gave rise to a successor realism Critical Realism that acknowledged the mediation of “the
mental” in our cognitive grasp of the physical world. ’Critical Realism’ was
the title of a work in epistemology by Roy Wood Sellars 6, but its more general
use to designate the broader movement derives from the 0 cooperative volume,
Essays in Critical Realism: A Cooperative Study of the Problem of Knowledge,
containing position papers by Durant Drake, A. O. Lovejoy, J. B. Pratt, A. K.
Rogers, C. A. Strong, George Santayana, and Roy Wood Sellars. With New Realism,
Critical Realism maintains that the primary object of knowledge is the
independent physical world, and that what is immediately present to
consciousness is not the physical object as such, but some corresponding mental
state broadly construed. Whereas both New Realism and idealism grew out of the
conviction that any such mediated account of knowledge is untenable, the
Critical Realists felt that only if knowledge of the external world is
explained in terms of a process of mental mediation, can error, illusion, and
perceptual variation be accommodated. One could fashion an account of mental
mediation that did not involve the pitfalls of Lockean representationalism by
carefully distinguishing between the object known and the mental state through
which it is known. The Critical Realists differed among themselves both
epistemologically and metaphysically. The mediating elements in cognition were
variously construed as essences, ideas, or sensedata, and the precise role of
these items in cognicriterion, problem of the Critical Realism tion was again variously construed.
Metaphysically, some were dualists who saw knowledge as unexplainable in terms
of physical processes, whereas others principally Santayana and Sellars were
materialists who saw cognition as simply a function of conscious biological
systems. The position of most lasting influence was probably that of Sellars
because that torch was taken up by his son, Wilfrid, whose very sophisticated
development of it was quite influential.
-- critical theory, any social theory that is at the same time
explanatory, normative, practical, and self-reflexive. The term was first
developed by Horkheimer as a self-description of the Frankfurt School and its
revision of Marxism. It now has a wider significance to include any critical,
theoretical approach, including feminism and liberation philosophy. When they
make claims to be scientific, such approaches attempt to give rigorous
explanations of the causes of oppression, such as ideological beliefs or
economic dependence; these explanations must in turn be verified by empirical
evidence and employ the best available social and economic theories. Such
explanations are also normative and critical, since they imply negative evaluations
of current social practices. The explanations are also practical, in that they
provide a better self-understanding for agents who may want to improve the
social conditions that the theory negatively evaluates. Such change generally
aims at “emancipation,” and theoretical insight empowers agents to remove
limits to human freedom and the causes of human suffering. Finally, these
theories must also be self-reflexive: they must account for their own
conditions of possibility and for their potentially transformative effects.
These requirements contradict the standard account of scientific theories and
explanations, particularly positivism and its separation of fact and value. For
this reason, the methodological writings of critical theorists often attack
positivism and empiricism and attempt to construct alternative epistemologies.
Critical theorists also reject relativism, since the cultural relativity of
norms would undermine the basis of critical evaluation of social practices and
emancipatory change. The difference between critical and non-critical theories
can be illustrated by contrasting the Marxian and Mannheimian theories of
ideology. Whereas Mannheim’s theory merely describes relations between ideas of
social conditions, Marx’s theory tries to show how certain social practices
require false beliefs about them by their participants. Marx’s theory not only
explains why this is so, it also negatively evaluates those practices; it is
practical in that by disillusioning participants, it makes them capable of
transformative action. It is also self-reflexive, since it shows why some
practices require illusions and others do not, and also why social crises and
conflicts will lead agents to change their circumstances. It is scientific, in
that it appeals to historical evidence and can be revised in light of better
theories of social action, language, and rationality. Marx also claimed that
his theory was superior for its special “dialectical method,” but this is now
disputed by most critical theorists, who incorporate many different theories
and methods. This broader definition of critical theory, however, leaves a gap
between theory and practice and places an extra burden on critics to justify
their critical theories without appeal to such notions as inevitable historical
progress. This problem has made critical theories more philosophical and
concerned with questions of justification.
Grice’s
critters:
one is never sure if Grice uses ‘creature’ seriously! creation ex nihilo, the
act of bringing something into existence from nothing. According to traditional
Christian theology, God created the world ex nihilo. To say that the world was
created from nothing does not mean that there was a prior non-existent
substance out of which it was fashioned, but rather that there was not anything
out of which God brought it into being. However, some of the patristics
influenced by Plotinus, such as Gregory of Nyssa, apparently understood
creation ex nihilo to be an emanation from God according to which what is
created comes, not from nothing, but from God himself. Not everything that God
makes need be created ex nihilo; or if, as in Genesis 2: 7, 19, God made a
human being and animals from the ground, a previously existing material, God
did not create them from nothing. Regardless of how bodies are made, orthodox
theology holds that human souls are created ex nihilo; the opposing view,
traducianism, holds that souls are propagated along with bodies. creationism, acceptance of the early chapters
of Genesis taken literally. Genesis claims that the universe and all of its
living creatures including humans were created by God in the space of six days.
The need to find some way of reconciling this story with the claims of science
intensified in the nineteenth century, with the publication of Darwin’s Origin
of Species 1859. In the Southern states of the United States, the indigenous
form of evangelical Protestant Christianity declared total opposition to
evolutionism, refusing any attempt at reconciliation, and affirming total commitment
to a literal “creationist” reading of the Bible. Because of this, certain
states passed laws banning the teaching of evolutionism. More recently,
literalists have argued that the Bible can be given full scientific backing,
and they have therefore argued that “Creation science” may properly be taught
in state-supported schools in the United States without violation of the
constitutional separation of church and state. This claim was challenged in the
state of Arkansas in 1, and ultimately rejected by the U.S. Supreme Court. The
creationism dispute has raised some issues of philosophical interest and
importance. Most obviously, there is the question of what constitutes a genuine
science. Is there an adequate criterion of demarcation between science and
nonscience, and will it put evolutionism on the one side and creationism on the
other? Some philosophers, arguing in the spirit of Karl Popper, think that such
a criterion can be found. Others are not so sure; and yet others think that
some such criterion can be found, but shows creationism to be genuine science,
albeit already proven false. Philosophers of education have also taken an
interest in creationism and what it represents. If one grants that even the
most orthodox science may contain a value component, reflecting and influencing
its practitioners’ culture, then teaching a subject like biology almost
certainly is not a normatively neutral enterprise. In that case, without
necessarily conceding to the creationist anything about the true nature of science
or values, perhaps one must agree that science with its teaching is not
something that can and should be set apart from the rest of society, as an
entirely distinct phenomenon.
Grice’s
crucial experiment:
a means of deciding between rival theories (or arguments) for this or that
impicatum, that, providing parallel explanations of large classes of phenomena,
come to be placed at issue by a single fact. For example, the Newtonian
emission theory predicts that light travels faster in water than in air;
according to the wave theory, light travels slower in water than in air.
Dominique François Arago proposed a crucial experiment comparing the respective
velocities. Léon Foucault then devised an apparatus to measure the speed of
light in various media and found a lower velocity in water than in air. Arago
and Foucault concluded for the wave theory, believing that the experiment
refuted the emission theory. Other examples include Galileo’s discovery of the
phases of Venus Ptolemaic versus Copernican astronomy, Pascal’s Puy-de-Dôme
experiment with the barometer vacuists versus plenists, Fresnel’s prediction of
a spot of light in circular shadows particle versus wave optics, and
Eddington’s measurement of the gravitational bending of light rays during a solar
eclipse Newtonian versus Einsteinian gravitation. At issue in crucial
experiments is usually a novel prediction. The notion seems to derive from
Francis Bacon, whose New Organon 1620 discusses the “Instance of the Fingerpost
Instantia later experimentum crucis,” a term borrowed from the post set up
at crossroads to indicate several directions. Crucial experiments were
emphasized in early nineteenth-century scientific methodology e.g., in John F. Herschel’s A Preliminary
Discourse on the Study of Natural Philosophy 1830. Duhem argued that crucial
experiments resemble false dilemmas: hypotheses in physics do not come in
pairs, so that crucial experiments cannot transform one of the two into a
demonstrated truth. Discussing Foucault’s experiment, Duhem asks whether we
dare assert that no other hypothesis is imaginable and suggests that instead of
light being either a simple particle or wave, light might be something else,
perhaps a disturbance propagated within a dielectric medium, as theorized by
Maxwell. In the twentieth century, crucial experiments and novel predictions
figured prominently in the work of Imre Lakatos 274. Agreeing that crucial
experiments are unable to overthrow theories, Lakatos accepted them as
retroactive indications of the fertility or progress of research programs.
CUM-substantia -- co-substantia:
homoousios.
Athanasius -- early Christian father, bishop, and a leading protagonist in the
disputes concerning Christ’s relationship to God. Through major works like On
the Incarnation, Against the Arians, and Letters on the Holy Spirit, Athanasius
contributed greatly to the classical doctrines of the Incarnation and the
Trinity. Opposing all forms of Arianism, which denies Christ’s divinity and
reduced him to what Grice would call a “creature,” Athanasius teaches, in the
language of the Nicene Creed, that Christ the Son, and likewise the Holy
Spirit, are of the same being as God the Father, cosubstantialis, “homoousios.”
Thus with terminology and concepts drawn from Grecian and Graeco-Roman
philosophy, Athanasius helps to forge the distinctly Christian and
un-Hellenistic doctrine of the eternal tri-une God (“credo quia absurdum est”)
who became enfleshed in time and matter and restored humanity to immortality,
forfeited through sin, by involvement in its condition of corruption and decay.
Homoousios (Greek, ‘of the same substance’), a concept central to the Christian
doctrine of the Trinity, enshrined in the Nicene Creed (Nicaea, “Holy, Holy,
Holy”). It attests that God the Son (and by extension the Spirit) is of one and
the same being or substance (ousia) as the Father. Reflecting the insistence of
Athanasius against Arianism that Christ is God’s eternal, co-equal Son and not
a “creature,” as Grice uses the term, the Nicene “homoousios” is also to be
differentiated from a rival formula, “homoiousios” (Grecian, ‘of SIMILAR
substance’), which affirms merely the Son’s LIKENESS in being to God. Though
notoriously and superficially an argument over one Greek iota, the issue was
philosophically profound and crucial whether or not Jesus of Nazareth
incarnated God’s own being, revealed God’s own truth, and mediated God’s own
salvation. If x=x, x is like x. A horse is like a horse. Grice on implicaturum.
“There is only an implicaturum to the effect that if a horse is a horse a horse
is not like a horse.” “Similarly for Christ and God.” Cicero saw this when he
philosophised on ‘idem’ and ‘similis.’
cumberland -- Law – Grice was
obsessed with laws that would introduce psychological concepts -- Cumberland,
R. English philosopher and bishop. He wrote a Latin Treatise of the Laws of
Nature 1672, tr. twice into English and once into . Admiring Grotius,
Cumberland hoped to refute Hobbes in the interests of defending Christian
morality and religion. He refused to appeal to innate ideas and a priori
arguments because he thought Hobbes must be attacked on his own ground. Hence
he offered a reductive and naturalistic account of natural law. The one basic
moral law of nature is that the pursuit of the good of all rational beings is
the best path to the agent’s own good. This is true because God made nature so
that actions aiding others are followed by beneficial consequences to the
agent, while those harmful to others harm the agent. Since the natural
consequences of actions provide sanctions that, once we know them, will make us
act for the good of others, we can conclude that there is a divine law by which
we are obligated to act for the common good. And all the other laws of nature
follow from the basic law. Cumberland refused to discuss free will, thereby
suggesting a view of human action as fully determined by natural causes. If on
his theory it is a blessing that God made nature including humans to work as it
does, the religious reader must wonder if there is any role left for God
concerning morality. Cumberland is generally viewed as a major forerunner of
utilitarianism.
inductum – Grice knew a lot
about induction theory via Kneale and Keynes -- curve-fitting problem, the
problem of making predictions from past observations by fitting curves to the
data. Curve fitting has two steps: first, select a family of curves; then, find
the bestfitting curve by some statistical criterion such as the method of least
squares e.g., choose the curve that has the least sum of squared deviations
between the curve and data. The method was first proposed by Adrian Marie
Legendre 17521833 and Carl Friedrich Gauss 1777 1855 in the early nineteenth
century as a way of inferring planetary trajectories from noisy data. More generally,
curve fitting may be used to construct low-level empirical generalizations. For
example, suppose that the ideal gas law, P % nkT, is chosen as the form of the
law governing the dependence of the pressure P on the equilibrium temperature T
of a fixed volume of gas, where n is the molecular number per unit volume and k
is Boltzmann’s constant a universal constant equal to 1.3804 $ 10†16 erg°C†1.
When the parameter nk is adjustable, the law specifies a family of curves one for each numerCudworth, Damaris
curve-fitting problem ical value of
the parameter. Curve fitting may be used to determine the best-fitting member
of the family, thereby effecting a measurement of the theoretical parameter,
nk. The philosophically vexing problem is how to justify the initial choice of
the form of the law. On the one hand, one might choose a very large, complex
family of curves, which would ensure excellent fit with any data set. The
problem with this option is that the best-fitting curve may overfit the data.
If too much attention is paid to the random elements of the data, then the
predictively useful trends and regularities will be missed. If it looks too
good to be true, it probably is. On the other hand, simpler families run a
greater risk of making grossly false assumptions about the true form of the
law. Intuitively, the solution is to choose a simplefamily of curves that
maintains a reasonable degree of fit. The simplicity of a family of curves is
measured by the paucity of parameters. The problem is to say how and why such a
trade-off between simplicity and goodness of fit should be made. When a theory
can accommodate recalcitrant data only by the ad hoc i.e., improperly motivated addition of new terms and parameters,
students of science have long felt that the subsequent increase in the degree
of fit should not count in the theory’s favor, and such additions are sometimes
called ad hoc hypotheses. The best-known example of this sort of ad hoc
hypothesizing is the addition of epicycles upon epicycles in the planetary
astronomies of Ptolemy and Copernicus. This is an example in which a gain in
fit need not compensate for the loss of simplicity. Contemporary philosophers
sometimes formulate the curve-fitting problem differently. They often assume
that there is no noise in the data, and speak of the problem of choosing among
different curves that fit the data exactly. Then the problem is to choose the
simplest curve from among all those curves that pass through every data point.
The problem is that there is no universally accepted way of defining the
simplicity of single curves. No matter how the problem is formulated, it is
widely agreed that simplicity should play some role in theory choice.
Rationalists have championed the curve-fitting problem as exemplifying the underdetermination
of theory from data and the need to make a priori assumptions about the
simplicity of nature. Those philosophers who think that we have no such a
priori knowledge still need to account for the relevance of simplicity to
science. Whewell described curve fitting as the colligation of facts in the
quantitative sciences, and the agreement in the measured parameters
coefficients obtained by different colligations of facts as the consilience of
inductions. Different colligations of facts say on the same gas at different
volume or for other gases may yield good agreement among independently measured
values of parameters like the molecular density of the gas and Boltzmann’s
constant. By identifying different parameters found to agree, we constrain the
form of the law without appealing to a priori knowledge good news for
empiricism. But the accompanying increase in unification also worsens the
overall degree of fit. Thus, there is also the problem of how and why we should
trade off unification with total degree of fit. Statisticians often refer to a
family of hypotheses as a model. A rapidly growing literature in statistics on
model selection has not yet produced any universally accepted formula for
trading off simplicity with degree of fit. However, there is wide agreement
among statisticians that the paucity of parameters is the appropriate way of
measuring simplicity.
Grice’s
defense of modernist logic -- cut-elimination theorem, a theorem stating that a
certain type of inference rule including a rule that corresponds to modus
ponens is not needed in classical logic. The idea was anticipated by J.
Herbrand; the theorem was proved by G. Gentzen and generalized by S. Kleene.
Gentzen formulated a sequent calculus
i.e., a deductive system with rules for statements about derivability.
It includes a rule that we here express as ‘From C Y D,M and M,C Y D, infer C Y
D’ or ‘Given that C yields D or M, and that C plus M yields D, we may infer
that C yields D’. Cusa cut-elimination theorem This is called the cut rule because it
cuts out the middle formula M. Gentzen showed that his sequent calculus is an
adequate formalization of the predicate logic, and that the cut rule can be
eliminated; anything provable with it can be proved without it. One important
consequence of this is that, if a formula F is provable, then there is a proof
of F that consists solely of subformulas of F. This fact simplifies the study
of provability. Gentzen’s methodology applies directly to classical logic but
can be adapted to many nonclassical logics, including some intuitionistic
logics. It has led to some important theorems about consistency, and has
illuminated the role of auxiliary assumptions in the derivation of consequences
from a theory.
cybernetic
implicaturum
– What Grice disliked about the cybernetic implicaturum is that it is
‘mechanisitically derivable” and thus not really ‘rational’ in the way an implicaturum
is meant to be rational. A machine cannot implicate. Grice “Method in
philosophical psychology” -- cybernetics coined by N. Wiener in 7 from Grecian
kubernetes, ‘helmsman’, the study of the communication and manipulation of
information in service of the control and guidance of biological, physical, or
chemical energy systems. Historically, cybernetics has been intertwined with
mathematical theories of information communication and computation. To describe
the cybernetic properties of systems or processes requires ways to describe and
measure information reduce uncertainty about events within the system and its
environment. Feedback and feedforward, the basic ingredients of cybernetic
processes, involve information as what
is fed forward or backward and are basic
to processes such as homeostasis in biological systems, automation in industry,
and guidance systems. Of course, their most comprehensive application is to the
purposive behavior thought of cognitively goal-directed systems such as
ourselves. Feedback occurs in closed-loop, as opposed to open-loop, systems.
Actually, ‘open-loop’ is a misnomer involving no loop, but it has become
entrenched. The standard example of an openloop system is that of placing a
heater with constant output in a closed room and leaving it switched on. Room
temperature may accidentally reach, but may also dramatically exceed, the temperature
desired by the occupants. Such a heating system has no means of controlling
itself to adapt to required conditions. In contrast, the standard closed-loop
system incorporates a feedback component. At the heart of cybernetics is the
concept of control. A controlled process is one in which an end state that is
reached depends essentially on the behavior of the controlling system and not
merely on its external environment. That is, control involves partial
independence for the system. A control system may be pictured as having both an
inner and outer environment. The inner environment consists of the internal
events that make up the system; the outer environment consists of events that
causally impinge on the system, threatening disruption and loss of system
integrity and stability. For a system to maintain its independence and identity
in the face of fluctuations in its external environment, it must be able to
detect information about those changes in the external environment. Information
must pass through the interface between inner and outer environments, and the
system must be able to compensate for fluctuations of the outer environment by
adjusting its own inner environmental variables. Otherwise, disturbances in the
outer environment will overcome the system
bringing its inner states into equilibrium with the outer states,
thereby losing its identity as a distinct, independent system. This is nowhere
more certain than with the homeostatic systems of the body for temperature or
blood sugar levels. Control in the attainment of goals is accomplished by
minimizing error. Negative feedback, or information about error, is the
difference between activity a system actually performs output and that activity
which is its goal to perform input. The standard example of control
incorporating negative feedback is the thermostatically controlled heating
system. The actual room temperature system output carries information to the
thermostat that can be compared via goal-state comparator to the desired
temperature for the room input as embodied in the set-point on the thermostat;
a correction can then be made to minimize the difference error the furnace turns on or off. Positive
feedback tends to amplify the value of the output of a system or of a system
disturbance by adding the value of the output to the system input quantity.
Thus, the system accentuates disturbances and, if unchecked, will eventually
pass the brink of instability. Suppose that as room temperature rises it causes
the thermostatic set-point to rise in direct proportion to the rise in
temperature. This would cause the furnace to continue to output heat possibly
with disastrous consequences. Many biological maladies have just this
characteristic. For example, severe loss of blood causes inability of the heart
to pump effectively, which causes loss of arterial pressure, which, in turn,
causes reduced flow of blood to the heart, reducing pumping efficiency.
cybernetics cybernetics Cognitively
goal-directed systems are also cybernetic systems. Purposive attainment of a
goal by a goal-directed system must have at least: 1 an internal representation
of the goal state of the system a detector for whether the desired state is
actual; 2 a feedback loop by which information about the present state of the system
can be compared with the goal state as internally represented and by means of
which an error correction can be made to minimize any difference; and 3 a
causal dependency of system output upon the error-correction process of
condition 2 to distinguish goal success from fortuitous goal satisfaction.
cynical
implicaturum,
Cynic -- a classical Grecian philosophical school characterized by asceticism
and emphasis on the sufficiency of virtue for happiness eudaimonia, boldness in
speech, and shamelessness in action. The Cynics were strongly influenced by
Socrates and were themselves an important influence on Stoic ethics. An ancient
tradition links the Cynics to Antisthenes c.445c.360 B.C., an Athenian. He
fought bravely in the battle of Tanagra and claimed that he would not have been
so courageous if he had been born of two Athenians instead of an Athenian and a
Thracian slave. He studied with Gorgias, but later became a close companion of
Socrates and was present at Socrates’ death. Antisthenes was proudest of his
wealth, although he had no money, because he was satisfied with what he had and
he could live in whatever circumstances he found himself. Here he follows
Socrates in three respects. First, Socrates himself lived with a disregard for
pleasure and pain e.g., walking barefoot
in snow. Second, Socrates thinks that in every circumstance a virtuous person
is better off than a nonvirtuous one; Antisthenes anticipates the Stoic
development of this to the view that virtue is sufficient for happiness, because
the virtuous person uses properly whatever is present. Third, both Socrates and
Antisthenes stress that the soul is more important than the body, and neglect
the body for the soul. Unlike the later Cynics, however, both Socrates and
Antisthenes do accept pleasure when it is available. Antisthenes also does not
focus exclusively on ethics; he wrote on other topics, including logic. He
supposedly told Plato that he could see a horse but not horseness, to which
Plato replied that he had not acquired the means to see horseness. Diogenes of
Sinope c.400c.325 B.C. continued the emphasis on self-sufficiency and on the
soul, but took the disregard for pleasure to asceticism. According to one
story, Plato called Diogenes “Socrates gone mad.” He came to Athens after being
exiled from Sinope, perhaps because the coinage was defaced, either by himself
or by others, under his father’s direction. He took ‘deface the coinage!’ as a
motto, meaning that the current standards were corrupt and should be marked as
corrupt by being defaced; his refusal to live by them was his defacing them.
For example, he lived in a wine cask, ate whatever scraps he came across, and
wrote approvingly of cannibalism and incest. One story reports that he carried
a lighted lamp in broad daylight looking for an honest human, probably
intending to suggest that the people he did see were so corrupted that they
were no longer really people. He apparently wanted to replace the debased
standards of custom with the genuine standards of nature but nature in the sense of what was minimally
required for human life, which an individual human could achieve, without
society. Because of this, he was called a Cynic, from the Grecian word kuon
dog, because he was as shameless as a dog. Diogenes’ most famous successor was
Crates fl. c.328325 B.C.. He was a Boeotian, from Thebes, and renounced his
wealth to become a Cynic. He seems to have been more pleasant than Diogenes;
according to some reports, every Athenian house was open to him, and he was
even regarded by them as a household god. Perhaps the most famous incident
involving Crates is his marriage to Hipparchia, who took up the Cynic way of
life despite her family’s opposition and insisted that educating herself was
preferable to working a loom. Like Diogenes, Crates emphasized that happiness
is self-sufficiency, and claimed that asceticism is required for
self-sufficiency; e.g., he advises us not to prefer oysters to lentils. He
argues that no one is happy if happiness is measured by the balance of pleasure
and pain, since in each period of our lives there is more pain than pleasure.
Cynicism continued to be active through the third century B.C., and returned to
prominence in the second century A.D. after an apparent decline.
cyrenaic
implicaturum
-- Cyrenaics, a classical Grecian philosophical school that began shortly after
Socrates and lasted for several centuries, noted especially for hedonism.
Ancient writers trace the Cyrenaics back to Aristippus of Cyrene fifth-fourth
century B.C., an associate of Socrates. Aristippus came to Athens because of
Socrates’ fame and later greatly enjoyed the luxury of court life in Sicily.
Some people ascribe the founding of the school to his grandchild Aristippus,
because of an ancient report that the elder Aristippus said nothing clear about
the human end. The Cyrenaics include Aristippus’s child Arete, her child
Aristippus taught by Arete, Hegesius, Anniceris, and Theodorus. The school
seems to have been superseded by the Epicureans. No Cyrenaic writings survive,
and the reports we do have are sketchy. The Cyrenaics avoid mathematics and
natural philosophy, preferring ethics because of its utility. According to
them, not only will studying nature not make us virtuous, it also won’t make us
stronger or richer. Some reports claim that they also avoid logic and
epistemology. But this is not true of all the Cyrenaics: according to other
reports, they think logic and epistemology are useful, consider arguments and
also causes as topics to be covered in ethics, and have an epistemology. Their
epistemology is skeptical. We can know only how we are affected; we can know,
e.g., that we are whitening, but not that whatever is causing this sensation is
itself white. This differs from Protagoras’s theory; unlike Protagoras the
Cyrenaics draw no inferences about the things that affect us, claiming only
that external things have a nature that we cannot know. But, like Protagoras,
the Cyrenaics base their theory on the problem of conflicting appearances.
Given their epistemology, if humans ought to aim at something that is not a way
of being affected i.e., something that is immediately perceived according to
them, we can never know anything about it. Unsurprisingly, then, they claim
that the end is a way of being affected; in particular, they are hedonists. The
end of good actions is particular pleasures smooth changes, and the end of bad
actions is particular pains rough changes. There is also an intermediate class,
which aims at neither pleasure nor pain. Mere absence of pain is in this intermediate
class, since the absence of pain may be merely a static state. Pleasure for
Aristippus seems to be the sensation of pleasure, not including related psychic
states. We should aim at pleasure although not everyone does, as is clear from
our naturally seeking it as children, before we consciously choose to.
Happiness, which is the sum of the particular pleasures someone experiences, is
choiceworthy only for the particular pleasures that constitute it, while
particular pleasures are choiceworthy for themselves. Cyrenaics, then, are not
concerned with maximizing total pleasure over a lifetime, but only with
particular pleasures, and so they should not choose to give up particular
pleasures on the chance of increasing the total. Later Cyrenaics diverge in
important respects from the original Cyrenaic hedonism, perhaps in response to
the development of Epicurus’s views. Hegesias claims that happiness is
impossible because of the pains associated with the body, and so thinks of
happiness as total pleasure minus total pain. He emphasizes that wise people
act for themselves, and denies that people actually act for someone else.
Anniceris, on the other hand, claims that wise people are happy even if they
have few pleasures, and so seems to think of happiness as the sum of pleasures,
and not as the excess of pleasures over pains. Anniceris also begins
considering psychic pleasures: he insists that friends should be valued not
only for their utility, but also for our feelings toward them. We should even
accept losing pleasure because of a friend, even though pleasure is the end.
Theodorus goes a step beyond Anniceris. He claims that the end of good actions
is joy and that of bad actions is grief. Surprisingly, he denies that
friendship is reasonable, since fools have friends only for utility and wise
people need no friends. He even regards pleasure as intermediate between
practical wisdom and its opposite. This seems to involve regarding happiness as
the end, not particular pleasures, and may involve losing particular pleasures
for long-term happiness.
COTTRONEO Girolamo Cotroneo Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Girolamo Cotroneo
(Campo Calabro, 29 luglio 1934 – Messina, 2 luglio 2018) è stato un filosofo
italiano, professore emerito di Storia della filosofia presso l'Università
degli Studi di Messina[1]. Indice 1 Biografia 2 Note
3 Bibliografia
3.1 Monografie
3.2 Epub
3.3 Curatele
3.4 Letteratura
critica 4 Collegamenti
esterni Biografia Laureatosi in Filosofia all'Università degli Studi di Messina
nel 1957, discutendo, sotto la supervisione di Galvano Della Volpe, una tesi
sul pensiero di Kierkegaard, ottenne nel 1975 l'incarico di professore
ordinario di Storia della filosofia presso il medesimo Ateneo[2]. Cotroneo è stato Presidente della Società
Filosofica Italiana (1986 – 1989) e primo Presidente della Società Italiana di
Storia della Filosofia (2000 – 2004)[1].
È deceduto a Messina il 2 luglio 2018.
Note Il cordoglio dell'Ateneo per
la scomparsa del Professor Cotroneo, su unime.it. URL consultato il 10 novembre
2018. ^ G. Reale, p. 122. Bibliografia Per una completa bibliografia degli
scritti, comprensiva degli articoli apparsi in volumi collettanei, su riviste
scientifiche e su altri periodici, nonché delle voci di dizionario curate
dall'Autore, si rinvia a Scritti di Girolamo Cotroneo, a cura di Francesco
Crapanzano, Fabio Gembillo, Emilia Scarcella, in AA.VV., Lo storicismo di
Girolamo Cotroneo, a cura di Giuseppe Gembillo, Soveria Mannelli, Rubbettino,
2015, pp. 201-259, ISBN 978-88-498-4252-4.
Monografie Girolamo Cotroneo, Jean Bodin teorico della storia, Napoli,
Edizioni Scientifiche Italiane, 1966, ISBN non esistente. Girolamo Cotroneo,
Croce e l'Illuminismo, Napoli, Giannini, 1970, ISBN 88-7431-206-7. Girolamo Cotroneo,
I trattatisti dell'"ars historica", Napoli, Giannini, 1971, ISBN
88-7431-199-0. Girolamo Cotroneo, Storicismo antico e nuovo, Roma, Bulzoni,
1972, ISBN non esistente. Girolamo Cotroneo, Sartre «rareté» e storia, Napoli,
Guida, 2009 [1976], ISBN 978-88-6042-098-5. Girolamo Cotroneo, Popper e la
società aperta, Messina, Armando Siciliano Editore, 2005 [1981], ISBN
978-88-7442-399-6. Girolamo Cotroneo, Le ragioni della libertà, Napoli,
Edizioni Scientifiche Italiane, 1985, ISBN non esistente. Girolamo Cotroneo,
Trittico siciliano (Scinà, Castiglia, Di Menza), Roma, Cadmo, 1985, ISBN
88-7923-062-X. Girolamo Cotroneo, L'ingresso nella modernità. Momenti della
filosofia italiana tra Ottocento e Novecento, Napoli, Morano, 1992, ISBN non
esistente. Girolamo Cotroneo, Questione crociane e post-crociane, Napoli,
Edizioni Scientifiche Italiane, 1994, ISBN 88-7104-890-3. Girolamo Cotroneo,
Tra filosofia e politica. Un dialogo con Norberto Bobbio, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 1998, ISBN 978-88-7284-629-2. Girolamo Cotroneo, Le idee del tempo.
L'etica. La bioetica. I diritti. La pace, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002,
ISBN 978-88-498-0303-7. Edgar Morin, Girolamo Cotroneo e Giuseppe Gembillo, Un
viandante della complessità. Morin filosofo a Messina, a cura di Annamaria
Anselmo, Messina, Armando Siciliano Editore, 2003, ISBN 88-7442-106-0. Girolamo
Cotroneo, Benedetto Croce e altri ancora, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005,
ISBN 978-88-498-1264-0. Girolamo Cotroneo, Etica ed economica. Tre
conversazioni, Messina, Armando Siciliano Editore, 2007, ISBN
978-88-7442-421-4. Girolamo Cotroneo, Le virtù minori, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 2014, ISBN 978-88-498-4134-3. Girolamo Cotroneo, Croce filosofo
italiano, Firenze, Le Lettere, 2015, ISBN 978-88-6087-887-8. Epub Girolamo
Cotroneo, Illuminismo, Napoli, La scuola di Pitagora, 2013, ISBN
978-88-6542-308-0. Girolamo Cotroneo, Libertà, Napoli, La scuola di Pitagora,
2013, ISBN 978-88-6542-297-7. Girolamo Cotroneo, Storia della filosofia,
Napoli, La scuola di Pitagora, 2014, ISBN 978-88-6542-329-5. Girolamo Cotroneo,
Positivismo, Napoli, La scuola di Pitagora, 2015, ISBN 978-88-6542-427-8.
Girolamo Cotroneo, Filosofia della storia, Napoli, La scuola di Pitagora, 2015,
ISBN 978-88-6542-424-7. Girolamo Cotroneo, Rinascimento, Napoli, La scuola di
Pitagora, 2015, ISBN 978-88-6542-372-1. Curatele Aristotele e Chaïm Perelman,
Retorica antica e "nuova retorica", introduzione e scelta di brani a
cura di Giuseppe Martano e Girolamo Cotroneo, Napoli, Il Tripode, 1988, ISBN
non esistente. Itinerari dell'idealismo italiano, a cura di Girolamo Cotroneo,
Napoli, Giannini, 1989, ISBN non esistente. Raffaello Franchini, Teoria della
previsione, a cura di Girolamo Cotroneo e Giuseppe Gembillo, Messina, Armando
Siciliano Editore, 2001 [1964], ISBN 88-7442-015-3. Benedetto Croce, La
religione della libertà. Antologia degli scritti politici, a cura di Girolamo
Cotroneo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002 [1986], ISBN 978-88-498-0443-0.
AA.VV., Il diritto alla filosofia, Atti del Seminario di studi su Raffaello
Franchini [4-5 dicembre 2000], a cura di Girolamo Cotroneo, Renata Viti
Cavaliere, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002, ISBN 978-88-498-0523-9. AA.VV.,
Croce filosofo, Atti del Convegno internazionale di studi in occasione del 50º
anniversario della morte [Napoli-Messina 26-30 novembre 2002], 2 voll., a cura
di Giuseppe Cacciatore, Girolamo Cotroneo, Renata Viti Cavaliere, Soveria
Mannelli, Rubbettino, 2003, ISBN 978-88-498-0691-5. La Fenomenologia dello
spirito dopo duecento anni, a cura di Girolamo Cotroneo, Giusi Furnari Luvarà,
Francesca Rizzo, Napoli, Bibliopolis, 2009, ISBN 978-88-7088-560-6. Cavour,
Discorsi su Stato e Chiesa, con interventi di Pier Carlo Boggio, Marco
Minghetti, Francesco Ruffini, Giovanni Giolitti, Benedetto Croce, Benito
Mussolini, a cura di Girolamo Cotroneo e Pier Francesco Quaglieni, Soveria
Mannelli, Rubbettino, 2011, ISBN 978-88-4982-886-3. Letteratura critica
Giovanni Reale, Girolamo Cotroneo (PDF), in Dario Antiseri e Silvano
Tagliagambe (a cura di), Storia della filosofia, vol. 14, Milano, Bompiani,
2010, pp. 122-131, ISBN 978-88-452-6447-4. URL consultato il 2 settembre 2014
(archiviato dall'url originale il 21 agosto 2014). AA.VV., Lo storicismo di
Girolamo Cotroneo, a cura di Giuseppe Gembillo, Soveria Mannelli, Rubbettino,
2015, ISBN 978-88-498-4252-4. Giuseppe Giordano, Girolamo Cotroneo. Tra Storia
della Filosofia e Liberalismo, in Bollettino della Società Filosofica Italiana,
n. 224, Roma, Carocci, 2018, pp. 107-109, ISBN 978-88-430-9211-6, ISSN 1129-5643
(WC · ACNP). Giuseppe Giordano, Girolamo Cotroneo (PDF), in Rivista di storia
della filosofia, n. 1, Milano, Franco Angeli, 2020, pp. 125-129, ISSN 0393-2516
(WC · ACNP). URL consultato il 13 giugno 2020. Collegamenti esterni Girolamo
Cotroneo, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Controllo di autorità VIAF
(EN) 76328500 · ISNI (EN) 0000 0001 2140 0802 · SBN IT\ICCU\CFIV\009434 · LCCN
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Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi
italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloNati nel 1934Morti nel
2018Nati il 29 luglioMorti il 2 luglioMorti a MessinaStorici della filosofia
italianiProfessori dell'Università degli Studi di Messina[altre]
COTTA -- Sergio Cotta Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Il conte[1]
Sergio Cotta (Firenze, 6 ottobre 1920 – Firenze, 3 maggio 2007) è stato un
giurista e filosofo italiano, studioso del diritto. Indice 1 Biografia
2 Studi
3 Carriera
accademica 4 Onorificenze
5 Opere
6 Note
7 Voci
correlate 8 Altri
progetti 9 Collegamenti
esterni Biografia Sergio Cotta nasce a Firenze da Alberto Cotta, studioso di
scienze forestali, e Mary Nicolis di Robilant. Da parte di madre è discendente
diretto del matematico Leonardo Eulero. Studia a Firenze presso l'istituto dei
barnabiti «La Querce» e poi si iscrive alla Facoltà di Scienze Politiche
dell'Università di Firenze dove si laurea nel 1945. Chiamato alle armi con il
grado di sottotenente, il giorno dell'annuncio dell'armistizio, l'8 settembre
1943, è in Friuli. Scioltosi l'esercito, scende in barca lungo l'Adriatico per
raggiungere l'Italia non ancora occupata dai tedeschi. Ammalatosi di malaria,
dopo svariate traversie decide di raggiungere il Piemonte, dove partecipa alla
guerra di resistenza come comandante di una brigata partigiana nella VII
Divisione Autonoma "Monferrato". È tra i primi ad entrare a Torino
nei giorni della liberazione. Per la sua partecipazione alla guerra partigiana
gli vengono attribuite la Medaglia di bronzo al valor militare (24-10-1951) e
la Croce di guerra (31-3-1952). Nel 1945 sposa a Brozolo Elisabetta Radicati di
Brozolo. Nascono tre figli: Irene, Maurizio e Gabriella. Studi Dopo gli studi sul pensiero politico
dell'Illuminismo i suoi interessi si sono incentrati sulla filosofia
giusnaturalistica, che Cotta è stato in grado di fondere con elementi della
tradizione fenomenologica. A partire dagli anni cinquanta ha pubblicato
numerosi articoli e saggi monografici sulla visione politica di Montesquieu,
Gaetano Filangieri, San Tommaso e Sant'Agostino, dedicandosi in seguito a
riflessioni teoriche sul diritto e sulla politica. È stato direttore della
Rivista internazionale di filosofia del diritto. Le sue opere sono state
tradotte in francese, greco, inglese, portoghese e spagnolo. Carriera accademica Ha iniziato all'Università
di Torino come assistente del filosofo del diritto Norberto Bobbio. Vinto il
concorso a professore ordinario, ha insegnato nelle università di Perugia,
Trieste, Trento, Firenze e infine di Roma[2]. È stato uno dei promotori della
facoltà di giurisprudenza dell'Università "Gabriele d'Annunzio" di
Teramo, presso la quale ha insegnato filosofia del diritto. All'Università La
Sapienza di Roma ha tenuto dal 1966 al 1990 la cattedra di filosofia del
diritto e, per alcuni anni, è stato anche direttore dell'istututo omonimo,
intitolato al filosofo del diritto Giorgio Del Vecchio. Collocato a riposo nel
1995, da allora è professore emerito. È stato socio corrispondente
dell'Accademia delle Scienze di Torino (dal 1965) e dal 1995 socio nazionale
dell'Accademia dei Lincei. Socio corrispondente dell'Institut de France e
dell'Académie des Sciences morales et politiques. Socio dell’Accademia delle
Scienze di Buenos Aires. Due volte Presidente dell’Institut International de
Philosophie Politique. Ha ricoperto la carica di presidente dell'Unione giuristi
cattolici italiani e dell'Unione internazionale giuristi cattolici. Fu tra i
componenti del comitato promotore del referendum abrogativo del 1974 della
legge sul divorzio. Tra i suoi allievi figurano Francesco D'Agostino, Bruno
Montanari, Gaetano Carcaterra, Bruno Romano, Domenico Fisichella e il famoso
cantante Antonello Venditti.
Onorificenze Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte -
nastrino per uniforme ordinaria Medaglia
d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte — Roma, 5 settembre 1995 Medaglia
di bronzo al valor militare (24 ottobre 1951) Croce di guerra (31 marzo 1952)
Grande ufficiale dell'ordine al merito della Repubblica (27 dicembre 2003)
Croce di Prima Classe al Merito della Scienza e della Cultura della Repubblica
Austriaca (14-9-1998) Cavaliere di gran croce dell'Ordine di San Silvestro
papa. Opere Montesquieu e la scienza della società, 1953 Gaetano Filangieri e
il problema della legge, Torino, Giappichelli, 1954 Il concetto di legge nella
Summa Theologiae di San Tommaso d’Aquino, Torino, Giappichelli, 1955 La città
politica di S. Agostino, 1960 Filosofia e politica nell'opera di Rousseau, 1964
La sfida tecnologica, 1968 L'uomo tolemaico, 1975 Quale Resistenza?, 1977 El
hombre tolemaico, Ediciones RIALP, Madrid 1977 Perché la violenza, 1978
Giustificazione e obbligatorietà delle norme, 1981 Il diritto nell'esistenza.
Linee di ontofenomenologia giuridica, 1985 Why violence ? A philosophical
interpretation, University of Florida Press, Gainesville, 1985 Dalla guerra
alla pace, 1989 Diritto, persona, mondo umano, 1989 Il diritto nell'esistenza,
edizione ampliata, 1991 Il pensiero politico di Montesquieu, Bari, Laterza,
1995 Le droit dans l’existance, Editions Bière, Bordeaux, 1996 Soggetto umano,
soggetto giuridico, 1997 I limiti della politica, 2002 Il diritto come sistema
di valori, 2004 Ontologie du phénomène juridique, Paris, Dalloz, 2015 Perché il
diritto (nuova ed.), Brescia, La Scuola, 2017 Note ^ Stante la concessione
chirografata dall'ex re Umberto II il 28 marzo 1959, Sergio Cotta poteva
fregiarsi, sia pure del tutto informalmente stante l'instaurazione dal 13
giugno 1946 dell'ordinamento repubblicano e la XIV disposizione finale e
transitoria della Costituzione, del titolo nobiliare di conte. Vedi Copia
archiviata, su cnicg.net. URL consultato il 23 giugno 2012 (archiviato dall'url
originale il 23 novembre 2013).. ^ Cotta, Sergio nell'Enciclopedia Treccani, su
www.treccani.it. URL consultato il 10 maggio 2020. Voci correlate Filosofia del
diritto Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o
su Sergio Cotta Collegamenti esterni Gaetano Carcaterra, «COTTA, Sergio» in
Enciclopedia Italiana - V Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
1991. «Cotta, Sergio», la voce in Enciclopedie on line, sito "Treccani.it
L'Enciclopedia italiana". Sergio Cotta biografia nel sito dell'ANPI -
Associazione nazionale partigiani d'Italia. Ricordo di Sergio Cotta, di
Francesco D'Agostino, l'Occidentale, Giornale on-line della Fondazione Magna
Carta, 27 maggio 2007. Controllo di autorità VIAF
(EN) 19719799 · ISNI (EN) 0000 0001 0876 3668 · SBN IT\ICCU\CFIV\007418 · LCCN
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(EN) lccn-n80024329 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale
Cattolicesimo Filosofia Portale Filosofia Categorie: Giuristi italiani del XX
secoloFilosofi italiani del XX secoloNati nel 1920Morti nel 2007Nati il 6
ottobreMorti il 3 maggioNati a FirenzeMorti a FirenzeFilosofi della
politicaPartigiani italianiPersonalità del cattolicesimoProfessori
dell'Università degli Studi "Gabriele d'Annunzio"Membri
dell'Accademia delle Scienze di Torino[altre]
CREDARO – Luigi Credaro Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Luigi
Credaro LuigiCredaro.jpg Ministro della Pubblica Istruzione del Regno d'Italia
Durata mandato 31
marzo 1910 – 19 marzo 1914 Monarca Vittorio
Emanuele III di Savoia Capo del governo Luigi
Luzzatti, Giovanni Giolitti Predecessore Edoardo
Daneo Successore Edoardo
Daneo Legislature XXIII.
XXIV Senatore del Regno d'Italia Legislature XXV
Legislatura del Regno d'Italia Sito istituzionale Dati generali Università Università degli Studi
di Pavia Professione pedagogista
professore universitario Luigi Credaro (Sondrio, 15 gennaio 1860 – Roma, 15
febbraio 1939) è stato un politico, storico della filosofia, pedagogista e
accademico italiano. Indice 1 Biografia 2 Onorificenze
3 Opere
4 Note
5 Voci
correlate 6 Altri
progetti 7 Collegamenti
esterni Biografia Casa natale di Luigi
Credaro Laureato in Filosofia all'Università degli Studi di Pavia nel 1885,
dove fu convittore del Collegio Ghislieri, divenne insegnante di liceo. Nel
1889 si recò a Lipsia per perfezionarsi nello studio della filosofia e della
psicologia; ebbe come maestro Wilhelm Wundt. Tornato in Italia, insegnò a
Pavia, ove ebbe la cattedra di Storia della filosofia. Nel 1907 fondò la Rivista pedagogica. Nel 1901
gli fu affidata la cattedra di Pedagogia alla Sapienza - Università di Roma,
ove insegnò sino al 1935. Fu deputato
del Partito Radicale e ministro della Pubblica Istruzione del Regno d'Italia
nei governi Luzzatti e Giolitti IV tra il 1910 e il 1914. In tale veste, nel
1911, istituì il Liceo moderno. Fu
relatore nella presentazione della Legge del 24 dicembre 1904 nº 689, che
istitutiva dei Corsi di perfezionamento, o più comunemente Scuole pedagogiche,
di durata biennale, di preparazione per l'esercizio all'ispettorato o per la
direzione didattica delle scuole. Fu
l'ispiratore della legge Daneo-Credaro del 1911, che stabiliva che lo stipendio
dei maestri delle scuole elementari fosse a carico del bilancio dello Stato, e
non più dei Comuni, contribuendo così in maniera determinante all'eliminazione
dell'analfabetismo in Italia. Prima di questa legge, infatti, i comuni di
campagna e quelli più poveri, specie nel Sud, non erano in grado di istituire e
mantenere scuole elementari e pertanto rendevano di fatto inapplicata la legge
Coppino del 1877 sull'obbligo scolastico.
Si interessò attivamente dei problemi agricoli e forestali della
provincia di Sondrio. Pubblicò numerose opere, in particolare sui filosofi
tedeschi Immanuel Kant e Johann Friedrich Herbart. Il 20 luglio 1919 fu nominato Commissario
Generale Civile della Venezia Tridentina, ossia la suprema autorità del
Trentino-Alto Adige che stava per essere formalmente annesso all'Italia. In
tale veste tentò una politica particolarmente conciliante verso la minoranza di
lingua tedesca e rispettosa dell'ordinamento amministrativo decentrato della
regione. In seguito, anche a causa delle pressioni dei nazionalisti, la sua
politica nei confronti della minoranza di lingua tedesca si fece più
intransigente. Testimonianza ne è la cosiddetta Lex Corbino (elaborata da
Credaro) sull'istituzione di scuole elementari nelle nuove province che è
considerata da una parte della storiografia strumento per potenziare la
presenza italiana soprattutto nel territorio mistilingue della regione a danno
della minoranza tedesca[1]. Ciononostante, il 5 ottobre 1922 subì l'assalto di
una squadra d'azione fascista che lo costrinse alle dimissioni per far luogo
all'insediamento di un prefetto di Trento.
Terminò quindi la sua carriera politica in disparte rispetto al regime
che si andava consolidando, pur mantenendo il suo seggio da senatore. Onorificenze Cavaliere di Gran Croce decorato
di Gran Cordone dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro - nastrino per
uniforme ordinaria Cavaliere
di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro
Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine della Corona
d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere
di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine della Corona d'Italia Opere
Lo scetticismo degli Accademici, 2 voll., Roma, Tip. alle Terme Diocleziane,
1889-1893. Rist. anastatica: Milano, Istituto editoriale cisalpino, 1985. Il
problema della libertà di volere nella filosofia dei Greci, Milano, Tip.
Bernardoni, 1892. La pedagogia di G. F. Herbart, Torino, Paravia, 1902. Alfonso
Testa e i primordi del kantismo in Italia, Catania, Battiato, 1913. Guglielmo
Wundt: ricordi di uno scolaro del 1887-88, Milano, Società Anonima Editrice
Dante Alighieri, 1932. Note ^ Andrea Di Michele, L’italianizzazione imperfetta.
L’amministrazione pubblica dell’Alto Adige tra Italia liberale e fascismo,
Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2003, p. 108. Voci correlate Analfabetismo
Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini
o altri file su Luigi Credaro Collegamenti esterni Luigi Credaro, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su
Wikidata Opere di Luigi Credaro, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica
su Wikidata (EN) Opere di Luigi Credaro, su Open Library, Internet Archive.
Modifica su Wikidata Luigi Credaro, su storia.camera.it, Camera dei deputati.
Modifica su Wikidata Luigi Credaro, su Senatori d'Italia, Senato della
Repubblica. Modifica su Wikidata L'educatore Luigi Credaro un italiano d'altri
tempi articolo di Sergio Romano, Corriere della Sera, 17 aprile 2008. Controllo
di autorità VIAF (EN)
29674151 · ISNI (EN) 0000 0000 6300 1677 · SBN IT\ICCU\CFIV\064240 · LCCN (EN)
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35230114 · BAV (EN) 495/78502 · WorldCat Identities (EN) lccn-n86044867
Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Istruzione Portale
Istruzione Politica Portale Politica Università Portale Università Categorie:
Politici italiani del XIX secoloPolitici italiani del XX secoloStorici della
filosofia italianiPedagogisti italianiNati nel 1860Morti nel 1939Nati il 15
gennaioMorti il 15 febbraioNati a SondrioMorti a RomaAccademici italiani del
XIX secoloAccademici italiani del XX secoloDirettori di periodici
italianiFondatori di riviste italianeGoverno Giolitti IVGoverno
LuzzattiMinistri della pubblica istruzione del Regno d'ItaliaProfessori della
Sapienza - Università di RomaProfessori dell'Università degli Studi di PaviaSenatori
della XXV legislatura del Regno d'ItaliaStudenti dell'Università degli Studi di
PaviaStudenti dell'Università di Lipsia[altre]
CREMONINI
cremonini: essential Italian philosopher. Refs.: Luigi
Speranza, "Grice e Cremonini," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
crespi: Angelo Crespi
(filosofo) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Abbozzo filosofi Questa voce sull'argomento filosofi è solo un abbozzo.
Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Segui i
suggerimenti del progetto di riferimento. Angelo Crespi (Milano, 1877 – Londra,
1949) è stato un filosofo e giornalista italiano. Indice 1 Biografia
2 Opere
principali 3 Note
4 Bibliografia
5 Altri
progetti Biografia Collaboratore della Critica sociale di Filippo Turati, si
avvicinò successivamente alle posizioni sturziane e moderniste[1] . Collaborò a
Il Rinnovamento, L'Unità (rivista fondata da Gaetano Salvemini), La Rivoluzione
liberale, Coenobium. Emigrato a Londra durante il fascismo, ospitò numerosi
esuli antifascisti[2]. Opere principali
Le vie della fede, Roma, Libreria editrice romana, 1908 Giuseppe Mazzini e la
futura sintesi religiosa, Firenze, Tip. Bonducciana di A. Meozzi, 1912 La
funzione storica de l'impero britannico, Milano, Treves, 1918 Contemporary
thought of Italy, London, Williams and Norgate Limited, 1926 Dall'io a Dio, con
una nota di Tommaso Gallarati Scotti, Modena, Guanda, 1950 Note ^ Nunzio
Dell'Erba, Rosselli e Sturzo, "Annali della Fondazione Ugo La Malfa",
19 (2004), p. 274 ^ Luigi Sturzo, Mario Sturzo, Carteggio 1924-1928 , Roma,
Edizioni di storia e letteratura-Istituto Luigi Sturzo, 1985, p. 7 Bibliografia
Giovanni Bonomi, Angelo Crespi, Cremona, Padus, 1961 Maria L. Frosio, Angelo
Crespi, in Dizionario Storico del Movimento Cattolico in Italia, III/1: Le
figure rappresentative, Marietti, Casale Monferrato 1984, pp. 267-8 Altri
progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a
Angelo Crespi Controllo di autorità VIAF
(EN) 306184669 · ISNI (EN) 0000 0003 9805 6012 · SBN IT\ICCU\RAVV\037269 ·
WorldCat Identities (EN) viaf-306184669 Biografie Portale Biografie: accedi
alle voci di Wikipedia che trattano di biografie Categorie: Filosofi italiani
del XX secoloGiornalisti italiani del XX secoloNati nel 1877Morti nel 1949Nati
a MilanoMorti a Londra[altre]
CRESPO
croce:
Grice:
“I would think the fashionable Englishwoman may think Croce is the most
important philosopher that ever lived!” -- vide under “Grice as Croceian” --
Grice as Croceian: expression and intention -- Croce, B., philosopher. He was
born at Pescasseroli, in the Abruzzi, and after 6 lived in Naples. He briefly
attended the of Rome and was led to
study Herbart’s philosophy. In 4 he founded the influential journal La critica.
In 0 he was made life member of the
senate. Early in his career he befriended Giovanni Gentile, but this
friendship was breached by Gentile’s Fascism. During the Fascist period and World
War II Croce lived in isolation as the chief anti-fascist thinker in Italy. He
later became a leader of the Liberal party and at the age of eighty founded the
Institute for Historical Studies. Croce was a literary and historical scholar
who joined his great interest in these fields to philosophy. His best-known
work in the Englishspeaking world is Aesthetic as Science of Expression and
General Linguistic 2. This was the first part of his “Philosophy of Spirit”;
the second was his Logic 5, the third his theory of the Practical 9, and the
fourth his Historiography 7. Croce was influenced by Hegel and the Hegelian
aesthetician Francesco De Sanctis 181783 and by Vico’s conceptions of
knowledge, history, and society. He wrote The Philosophy of Giambattista Vico 1
and a famous commentary on Hegel, What Is Living and What Is critical theory
Croce, Benedetto Dead in the
Philosophy of Hegel 7, in which he advanced his conception of the “dialectic of
distincts” as more fundamental than the Hegelian dialectic of opposites. Croce
held that philosophy always springs from the occasion, a view perhaps rooted in
his concrete studies of history. He accepted the general Hegelian
identification of philosophy with the history of philosophy. His philosophy
originates from his conception of aesthetics. Central to his aesthetics is his
view of intuition, which evolved through various stages during his career. He
regards aesthetic experience as a primitive type of cognition. Intuition
involves an awareness of a particular image, which constitutes a non-conceptual
form of knowledge. Art is the expression of emotion but not simply for its own
sake. The expression of emotion can produce cognitive awareness in the sense
that the particular intuited as an image can have a cosmic aspect, so that in
it the universal human spirit is perceived. Such perception is present
especially in the masterpieces of world literature. Croce’s conception of
aesthetic has connections with Kant’s “intuition” Anschauung and to an extent
with Vico’s conception of a primordial form of thought based in imagination
fantasia. Croce’s philosophical idealism includes fully developed conceptions
of logic, science, law, history, politics, and ethics. His influence to date
has been largely in the field of aesthetics and in historicist conceptions of
knowledge and culture. His revival of Vico has inspired a whole school of Vico
scholarship. Croce’s conception of a “Philosophy of Spirit” showed it was
possible to develop a post-Hegelian philosophy that, with Hegel, takes “the
true to be the whole” but which does not simply imitate Hegel. Croce -- expression theory of art, a theory
that defines art as the expression of feelings or emotion sometimes called
expressionism in art. Such theories first acquired major importance in the
nineteenth century in connection with the rise of Romanticism. Expression
theories are as various as the different views about what counts as expressing
emotion. There are four main variants. 1 Expression as communication. This
requires that the artist actually have the feelings that are expressed, when
they are initially expressed. They are “embodied” in some external form, and
thereby transmitted to the perceiver. Leo Tolstoy 18280 held a view of this
sort. 2 Expression as intuition. An intuition is the apprehension of the unity
and individuality of something. An intuition is “in the mind,” and hence the
artwork is also. Croce held this view, and in his later work argued that the
unity of an intuition is established by feeling. 3 Expression as clarification.
An artist starts out with vague, undefined feelings, and expression is a
process of coming to clarify, articulate, and understand them. This view
retains Croce’s idea that expression is in the artist’s mind, as well as
explanation, covering law expression theory of art 299 299 his view that we are all artists to the
degree that we articulate, clarify, and come to understand our own feelings.
Collingwood held this view. 4 Expression as a property of the object. For an
artwork to be an expression of emotion is for it to have a given structure or
form. Suzanne K. Langer 55 argued that music and the other arts “presented” or
exhibited structures or forms of feeling in general.
curcio: Corrado Curcio Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Niente
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Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo
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Corrado Curcio Corrado Curcio (Noto, 15 maggio 1903 – Noto, 2 luglio
1981) è stato un letterato e filosofo italiano.
Ordinario di Storia e Filosofia nei Licei Classici, fu Preside del Liceo
Classico di Noto dove è ricordato per le sue innovazioni didattiche (laboratori
di teatro, attività extrascolastiche) che resero l'istituto un luogo di
avanguardia nella vita culturale locale. Fu Lettore presso numerosi istituti di
Cultura Italiana all'estero. Ricoprì la carica di Ispettore Centrale al
Ministero della pubblica istruzione e successivamente anche quella di Direttore
Generale per l'Ordine Ginnasiale. Curcio fu amico fraterno del filosofo e
grecista Carlo Diano Curcio è ricordato
anche per la sua produzione filosofica e per la sua vasta biblioteca, donata in
seguito alla sua scomparsa all'Università di Messina. Bibliografia parziale Dissonanze e armonie,
Noto, 1927 La sfinge. Le piramidi. Il prezzo della salute, Noto, 1927 Commenti,
libri I-XXIV, Roma Il giro dei Templi, Bonacci, Roma, 1954 Mottetto, Bonacci,
Roma Fugato, Bonacci, Roma II grano di follia, Bonacci, Roma Senza più peso,
Bonacci, Roma Assolo, Bonacci, Roma A più voci, Bonacci, Roma L'avita
vocazione, Bonacci, Roma Esistente, Bonacci, Roma Altri occhi, Bonacci, Roma Le
due cene, Bonacci, Roma Sitio, Bonacci, Roma Consummatum, Bonacci, Roma
Derelictus, Bonacci, Roma In horto, Bonacci, Roma Paradossale, Bonacci, Roma
Felix, Bonacci, Roma Deliramentum, Bonacci, Roma Biografie Portale Biografie
Filosofia Portale Filosofia Categorie: Letterati italianiFilosofi italiani del
XX secoloNati nel 1903Morti nel 1981Nati il 15 maggioMorti il 2 luglioNati a
Noto (Italia)Morti a Noto (Italia)[altre]
curi: Umberto
Curi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Niente fonti! Questa voce o sezione sull'argomento filosofi italiani non cita
le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Puoi migliorare
questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida
sull'uso delle fonti. Umberto Curi al Festivaletteratura di Mantova del
2012 Umberto Curi (Verona, 4 settembre 1941) è un filosofo italiano.
Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Altri
progetti 4 Collegamenti
esterni Biografia Curi, dopo aver conseguito la laurea (1964) e successivamente
la specializzazione (1967) in filosofia, nel 1971 consegue la libera docenza in
Storia della filosofia moderna e contemporanea. Dal 1986 è professore ordinario
di Storia della filosofia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell'Università degli Studi di Padova, presso la quale ha presieduto anche il
corso di laurea in Filosofia, dal 1994 al 2008. Ha diretto per oltre vent'anni
la Fondazione culturale “Istituto Gramsci Veneto” ed è stato anche per un
decennio membro del Consiglio Direttivo della Biennale di Venezia. Formatosi
alla scuola di Carlo Diano, Marino Gentile e Paolo Bozzi, in una posizione
comunque di spiccata indipendenza, all'incirca all'inizio degli anni settanta
incontra Massimo Cacciari. A partire da quel topos, si avvia un sodalizio
estremamente solido e fecondo, all'insegna di una comune ricerca del
nuovo, e di un impegno teoretico rigoroso, che va oltre il piano strettamente
scientifico, in direzione di una partecipazione civile e politica mai assorbita
dentro gli schemi dell'ortodossia, ispirata alla massima autonomia del lavoro
intellettuale. Nella sua più matura attività di ricerca, si possono
individuare tre fondamentali linee di indagine: la riflessione sul nesso
politica-guerra e sulla nozione teoretica di polemos, lungo la linea che
congiunge Eraclito a Martin Heidegger; la valorizzazione della narrazione, sia
intesa come mythos, sia concepita come opera cinematografica; la meditazione su
alcuni temi fondamentali dell'interrogazione filosofica, quali l'amore e la
morte, il dolore e il destino. Ha vinto l'edizione 2010 del Praemium
Classicum Clavarense. Fra le sue numerose opere della fase più matura, di
particolare rilievo sono: Endiadi. Figure della duplicità, Feltrinelli,
Milano 1995; Polemos. Filosofia come guerra, Bollati Boringhieri, Torino 2000;
La forza dello sguardo, ivi 2004; Meglio non essere nati. La condizione umana
tra Eschilo e Nietzsche, ivi 2008. L'assiduo lavoro di filosofia del cinema è
testimoniato soprattutto da: Lo schermo del pensiero. Cinema e filosofia,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2000; Un filosofo al cinema, Bompiani, Milano
2006. Rifiutando di riconoscersi in qualunque “ismo”, comunque declinato, lo
stesso Curi ha dichiarato di vedersi sinteticamente “rappresentato” in due
citazioni: «Quelli che non sono veri filosofi, ma hanno soltanto una
verniciatura di casi umani, come la gente abbronzata dal sole, vedendo quante
cose si devono imparare, quante fatiche bisogna sopportare, come si convenga, a
seguire tale studio, la vita regolata di ogni giorno, giudicano che sia una
cosa difficile e impossibile per loro [...] A questa gente bisogna mostrare che
cos'è davvero il mio studio filosofico, e quante difficoltà presenta, e quanta
fatica comporta.» (Platone, Lettera settima) «La libertà non è soltanto
l'essere-liberati dalle catene né soltanto l'esser-divenuti-liberi per la luce,
ma l'autentico essere-liberi è essere-liberatori dal buio. La ridiscesa nella
caverna non è un divertimento aggiuntivo che il presunto "libero"
possa concedersi così per svago, magari per curiosità,…ma è, esser-ci dentro
tutto, essa soltanto, il compimento autentico del divenire liberi.»
(Martin Heidegger, L'essenza della verità, a cura di Franco Volpi, Milano 1988,
p. 116) Ne La brama dell'avere (2016), scritto con Sabino Chialà, si ha un attento
e puntuale riesame sia storico-filosofico che critico-filologico della
fondamentale categoria esistenziale dell'avere, alla luce dell'odierno assetto
socio-comunitario. Opere Il coraggio di pensare, manualistica di
filosofia, Loescher editore, Torino 2018. Il problema dell'unità del sapere nel
comportamentismo, CEDAM, Padova 1967. Analisi operazionale e operazionismo,
CEDAM, Padova 1970. L'analisi operazionale della psicologia, Franco Angeli,
Milano 1973. Dagli Jonici alla crisi della fisica, CEDAM, Padova 1974.
Anticonformismo e libertà intellettuale: per una dialettica tra pensiero e
politica, Padova 1977 Psicologia e critica dell'ideologia, Bertani, Roma 1977.
La ricerca in America 1900-1940, a cura di, Marsilio, Venezia 1978.
Katastrophé. Sulle forme del mutamento scientifico, Arsenale Cooperativa,
Venezia 1982. La linea divisa. Modelli di razionalita' e pratiche scientifiche
nel pensiero occidentale, De Donato, Bari 1983. Pensare la guerra. Per una
cultura della pace, Dedalo, Bari 1985. Dimensioni del tempo, a cura di, Franco
Angeli, Milano 1987. L'opera di Einstein, Gabriele Corbo, Ferrara 1988. La
cosmologia oggi tra scienza e filosofia, Gabriele Corbo, Ferrara 1988. La
politica sommersa. Per un'analisi del sistema politico italiano, Franco Angeli,
Milano 1989. Lo scudo di Achille. Il PCI nella grande crisi, Franco Angeli,
Milano 1990. L'albero e la foresta. Il Partito Democratico della Sinistra nel
sistema politico italiano, con Paolo Flores d'Arcais, Franco Angeli, Milano
1990. The antropic principle, Cambridge 1991 Metamorfosi del tragico tra
classico e moderno, Bari 1991 L'albero e la foresta. Il Partito Democratico
della Sinistra nel sistema politico italiano, con Paolo Flores D'Arcais, Milano
1991 La repubblica che non c'è, Milano 1992 Pensare la guerra. Per una cultura
della pace, Dedalo, Bari 1993. Poròs. Dialogo in una società che rifiuta la
bellezza, con Angelina de Lillo, Milano 1995 L'orto di Zenone. Coltivare per
osmosi, con Federico Friggio, Milano 1996 La cognizione dell'amore. Eros e filosofia,
Feltrinelli, Milano 1997. Il mantello e la scarpa. Filosofia e scienza tra
Platone e Einstein, Il Poligrafo, Padova 1998. Pensare la guerra. L'Europa e il
destino della politica, Dedalo, Bari 1999. Pólemos. Filosofia come guerra,
Bollati Boringhieri, Torino 2000. Endiadi. Figure della duplicità, Feltrinelli,
Milano 2000 - nuova edizione, Raffaello Cortina Editore, Milano 2015. Lo
schermo del pensiero. Cinema e filosofia, Raffaello Cortina Editore, Milano
2000. Ombre delle idee. Filosofia del cinema fra «American beauty» e «Parla con
lei», Pendragon, Bologna 2002. Filosofia del Don Giovanni. Alle origini di un
mito moderno, Bruno Mondadori, Milano 2002. Il farmaco della democrazia. Alle
radici della politica, Marinotti, Milano 2003. La forza dello sguardo, Bollati
Boringhieri, Torino 2004. Skenos. Il Don Giovanni nella società dello
spettacolo, con Laura Cesaroni, Milano 2005 Libidine e denuncia. L'eros nella
società della corruzione, Milano 2005 Un filosofo al cinema, Bompiani, Milano
2006. Meglio non essere nati. La condizione umana tra Eschilo e Nietzsche,
Bollati Boringhieri, Torino 2008. Miti d'amore. Filosofia dell'eros, Bompiani,
Milano 2009. Pensare con la propria testa, con due cd, Mimesis, Milano 2009.
Straniero, Raffaello Cortina Editore, Milano 2010. Passione, Raffaello Cortina
Editore, Milano 2013. La porta stretta. Come diventare maggiorenni, Bollati
Boringhieri, Torino 2015. I figli di Ares. Guerra infinita e terrorismo,
Castelvecchi, Roma 2016. La brama dell'avere (con Sabino Chialà), Il Margine,
Trento, 2016. Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni
di o su Umberto Curi Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene
immagini o altri file su Umberto Curi Collegamenti esterni Umberto Curi: il
mito di Narciso sul portale RAI Filosofia, su filosofia.rai.it. La pagina di
Umberto Curi nel sito del Dipartimento di filosofia dell'Università degli Studi
di Padova, su filosofia.unipd.it. URL consultato l'11 ottobre 2013 (archiviato
dall'url originale il 12 ottobre 2013). Controllo di autorità VIAF (EN) 64041654 · ISNI
(EN) 0000 0000 8143 0811 · SBN IT\ICCU\CFIV\024167 · LCCN (EN) n82102477 · BNF
(FR) cb12137236g (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-n82102477 Biografie
Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del
XX secoloNati nel 1941Nati il 4 settembreNati a VeronaProfessori
dell'Università degli Studi di Padova[altre]
cusani -- Stefano Cusani Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Stefano
Cusani (Solopaca, 24 dicembre 1815 – Napoli, 4 gennaio 1846) è stato un
filosofo e storico della filosofia italiano. Fu un idealista hegeliano vissuto
nel Regno delle Due Sicilie, esponente dell'eclettismo filosofico di Victor
Cousin. Scrisse numerosi saggi e note soprattutto di filosofia ma anche di
critica letteraria, di musica e di economia.
Indice 1 Biografia
2 Opere
2.1 Saggi
3 Riconoscimenti
4 Note
5 Bibliografia
6 Collegamenti
esterni Biografia Nacque il 24 dicembre 1815 a Solopaca, a metà strada tra
Caserta e Benevento, all'epoca capoluogo distrettuale e di comprensorio del
Regno delle Due Sicilie, da Filippo e da Caterina Cardillo. A 28 anni, il 10
ottobre 1842, si sposò con Teresa Marcarelli, e nello stesso anno acquistò la
tessera di socio dell'Accademia Pontaniana. Agli studi di filosofia unì quelli
di grammatica, lessicografia intrapresi nella scuola del marchese Basilio
Puoti, frequentata da Francesco De Sanctis[1] Stanislao Gatti. Trentenne, partecipò al VII° congresso degli
scienziati italiani, nell'ottobre 1845 a Napoli.[2] Punto di partenza dell'insegnamento
filosofico di Stefano Cusani, comune a buona parte dei circoli filosofici
dell'hegelismo di stanza a Napoli, dei quali era un esponente, furono le idee del
francese Victor Cousin, il fondatore della storiografia filosofica. Fu
discepolo, oltre che della scuola napoletana del marchese Basilio Puoti.
Insegnò materie filosofiche dapprima a Montecassino, poi nel collegio Tulliano
di Arpino, dove fu affiancato da Bertrando Spaventa, chiamato poi a sostituirlo;
infine si stabilì definitivamente a Napoli nel proprio studio privato. Morì a Napoli l'anno successivo, poco più che
trentenne, il 4 gennaio 1846.[3] Opere
La maggior parte degli scritti di Cusani furono pubblicati su due riviste: Il
progresso delle scienze, delle lettere e delle arti (dal 1832) e Museo di
letteratura e filosofia. La seconda fu da lui stesso fondata nel 1841, con nome
diverso, insieme con l'amico Stanislao Gatti. Dopo due anni il nome fu cambiato
e la rivista continuò a uscire per un quindicennio dopo la sua morte, dal 1846
al 1860. Molti dei saggi di filosofia più impegnati furono pubblicati, a
partire dall'anno 1837, nella rivista Antologia, fondata a Firenze nel 1821 da
Giovan Pietro Vieusseux e da Gino Capponi. Scrisse inoltre note e recensioni
nel periodico l'Omnibus e nella Rivista napolitana. Molte delle sue opere sono archiviate presso
la Biblioteca "Stefano Cusani" di Solopaca. Saggi Gli articoli più importanti, in cui si
compendia il pensiero filosofico di Cusani:
(1839) saggio Del metodo filosofico d'una storia (1839-1840) Della
scienza fenomenologica o dello studio dei fatti di coscienza, pubblicato sul
Progresso (1839) Del metodo filosofico e d'una sua storia infino agli ultimi
sistemi di filosofia che sonosi veduti uscir fuori in Germania ed in Francia
(1839) Del reale obbietto d'ogni filosofia e del solo procedimento a poterlo
raggiungere (1839) Alcune idee intorno al romanzo storico (1839-40) Della
scienza fenomenologica o dello studio de' fatti di coscienza (1839) Della
poesia drammatica (1840) Un'obbiezione dell'Hamilton intorno alla filosofia
dell'Assoluto (1840) Della logica trascendentale (1841-42) Idea d'una storia
compendiata della filosofia (1841) Della lirica considerata nel suo svolgimento
storico e del suo predominio sugli' altri generi di poesia ne' tempi moderni
(1841) Dell'economia politica considerata nel suo principio e nelle sue
relazioni colle scienze morali (1842) Del modo da trattare la scienza degli
esseri. Disegno di una metafisica (1842) Della percezione considerata
relativamente alle esistenze esterne (1842) Della scienza assoluta
Riconoscimenti Nel comune di Solapaca è stato indetto nel 2015 un anno di
celebrazione in occasione del centenario della nascita nel comune di
Solopaca[4]. Una via (corso Stefano Cusani) gli è stata intitolata a Solopaca
poco dopo la sua morte. Note ^ Dopo la
morte, Francesco De Sanctis, due anni più giovane di lui, lo ricordò citandolo
nella propria autobiografia: "Il Cusani dato agli stessi studi di
filosofia, aveva maggiore ingegno del superbissimo Gatti, ed era mitissima
natura d'uomo" (Francesco De Sanctis, La giovinezza, p.156). ^ Salì al
tavolo degli oratori con tale fervore dialettico che, come scrisse il suo
allievo Giucci, «da tutta la persona grondava onorato sudore» (G. Giucci, Degli
scienziati italiani formanti parte del VII congresso in Napoli nell'autunno del
1845: notizie biografiche, Napoli 1845, p. 160. ^ L'amico coetaneo Cesare
Correnti, patriota milanese legato ai circoli Napoli, insegnante nella Scuola
di lingua italiana da lui fondata nel 1825, gli dedicò un necrologio: «Ecco un
altro amico, un'altra fiorita speranza di questa nostra Napoli sparire a un
tratto a noi d'intorno. Ben dissi a un tratto: poiché la sua non lunga malattia
parve un momento agli amici. Moriva il 5 gennaio, e non aveva 30 anni! Era nato
in Solopaca. Le lettere e la poesia specialmente nol sedussero, in modo che a
più severi studi non volgesse l'acuta e fervidissima mente, e a bella armonìa
si composero nell'anima sua.» (1846); parole riportate sul Necrologio di
Stefano Cusani, «Rivista europea», dicembre 1846, I, p. 251, ripr. in Scritti
scelti, a cura di T. Massarani, Forzani, Roma 1891, vol. I, pp. 496-500: «Ecco
un altro amico, un'altra fiorita speranza di questa nostra Napoli sparire...».
^ Delibera del Consiglio comunale del 10 febbraio 2015 (notizia su Informatore
sannita) Archiviato il 10 febbraio 2015 in Internet Archive. Bibliografia
Necrologio di Cesare Correnti a Stefano Cusani, nella «Rivista europea»,
dicembre 1846, I (p. 251), ripubblicato in Scritti scelti, a cura di T.
Massarani, Forzani, Roma 1891, vol. I, pp. 496–500 A. Zazo, Dizionario
biobibliografico del Sannio, Napoli 1973, pp. 105 s. P. Serafini, Necrologia di
Stefano Cusani, in "Il Progresso", XXXVII (1845), pp. 146 s. E.
Rocco, Necrologia di Stefano Cusani, in "Il Lucifero", VIII
(1845-46), pp. 403 s. E. Poerio, Necrologia di Stefano Cusani, in
"Omnibus", XIII (1846), p. 182 F. Trinchera, Necrologia di Stefano
Cusani, in "Rivista napolitana", IV (1846), 1, pp. 396 s. F. De
Sanctis, La letteratura ital. nel sec. XIX, II, La scuola liberale e la scuola
democratica a cura di N. Cortese, Napoli 1931, pp. 136 s. e passim G. Oldrini,
Gli hegeliani di Napoli. A. Vera e la corrente "ortodossa", Milano
1964, pp. 21, 23, 32 s. F. Zerella, L'eclettismo francese e la cultura
filosofica meridionale nella prima metà del sec. XIX, Roma 1952, pp. 27–30,
32-36 S. Mastellone, Dall'eclettismo all'hegelismo in Italia, in "Il
Pensiero politico", III (1970), pp. 271–277 Collegamenti esterni Stefano
Cusani, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Controllo di autorità VIAF
(EN) 54946853 · ISNI (EN) 0000 0000 2523 7638 · LCCN (EN) n80149233 · GND (DE)
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Identities (EN) lccn-n80149233 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale
Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XIX secoloNati nel 1815Morti nel
1846Nati il 24 dicembreMorti il 4 gennaioNati a SolopacaMorti a NapoliIdealisti[altre]
cutelli -- Mario Cutelli Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Mario
Cutelli (Catania, 1589 – Palermo, 17 settembre 1654) è stato un giurista,
filosofo e latinista italiano. Scrisse opere di diritto civile, ricoprendo alte
cariche giuridiche durante il dominio spagnolo in Sicilia. Conte di Villa Rosata e signore
dell'Alminusa. Sposò Cristina Cicala.
Indice 1 Biografia
2 Note
3 Bibliografia
4 Collegamenti
esterni Biografia Cutelli conseguì il titolo di dottore in diritto civile ed
ecclesiastico nel 1621 presso lo Studio di Catania[1] e nel biennio 1628-1629
fu nominato giudice del tribunale della Gran Corte. Alla fine del 1632 si recò
in Spagna per discutere al cospetto del sovrano Filippo IV delle numerose controversie
giurisdizionali. A Madrid scrisse il Patrocinium pro regia iurisdictione
inquisitoribus siculis concessa. I
viceré, eletti personalmente dal re, sono contornati da un'amministrazione
corrotta che pratica attività illecite, contribuendo alla debolezza del
governo[senza fonte]. Tale situazione spinse Mario Cutelli a intervenire per
escludere dal "privilegium fori" numerosi delitti: resistenza a
pubblico ufficiale, omicidio anche tentato.
Nel 1635-1637 fu nuovamente nominato giudice della Gran Corte,
pubblicando il Codicis legum sicularum libri quattuor, manifesto del partito
olivaresiano in Sicilia. Cutelli manifestava un'idea di politica amministrativa
che mirava a creare un centro unificatore e un ministro superiore, cui fosse
affidato il compito di amministrare e dirigere la monarchia, ottenendo il
rilancio economico, la riduzione delle spese e il riequilibrio del conto
fiscale. Nominato nel 1639 avvocato fiscale del Real Patrimonio, Cutelli si
recò l'anno successivo a Napoli per incarico del viceré Francisco De Melo. Lo
stesso viceré gli ordinò di tornare in Spagna per esporre al sovrano la
situazione siciliana in materia di fiscalità.
Filippo IV nel 1642 gli concesse il titolo di conte. Ritornato nel 1649 in
Sicilia, fu proposto dal viceré Juan de Austria alla presidenza del
Concistorio. Nel settembre 1650, Mario Cutelli acquistò il feudo di
Mezzamandranova. Nel 1651, dopo essere
stato nominato dal Senato di Catania suo procuratore nel Parlamento, pubblicò
in lingua castigliana l'opera Catania restaurata. L'anno seguente, dopo un
ricorso del Senato di Catania che riaffermava la sua concezione dell'impero,
Filippo IV ne propose la sospensione, sino a nuovo ordine, dall'Ufficio. Si
difese scrivendo il Supplex libellus. Il
23 aprile 1652, acquistò il feudo di Alminusa e il borgo già creato da Giuseppe
Bruno, figlio del fondatore Gregorio, per atto del notaro Pietro Cardona di
Palermo. Ad Aliminusa dotò la chiesa di Santa Anna e stabilì un legato di
maritaggio di dieci onze l'anno in favore di una figlia dei suoi vassalli, come
si scorge dal suo testamento redatto il 28 agosto 1654 innanzi al notaio
Giovanni Antonio Chiarella di Palermo. Nel luglio 1654 acquistò il feudo di
Cifiliana. Morì il 17 settembre del 1654
a Palermo. Il suo testamento rivelò la volontà di destinare una parte dei suoi
possedimenti alla fondazione di un collegio d'huomini nobili all'uso di Spagna
in cui si dovesse studiare legge canonica e civile. Nel 1747, dopo più di un secolo dalla sua
morte, fu possibile dare inizio alla costruzione del Collegio Cutelli (poi
Convitto Cutelli), perché solo in quell'anno, con la morte di don Giovanni
Cutelli, aveva posto nel testamento tale condizione per la devoluzione dei
beni. A Catania gli sono dedicati, oltre
al Convitto Cutelli, attualmente sede di un Liceo Europeo, una piazza sita sul
percorso della centrale via Vittorio Emanuele II e, soprattutto, il Liceo
Classico "Mario Cutelli". Note
^ Biografia di Mario Cutelli sul sito ufficiale degli ex allievi del Convitto
Cutelli. Bibliografia Vittorio Sciuti Russi, CUTELLI, Mario, in Dizionario
biografico degli italiani, vol. 31, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
1985. URL consultato il 10 ottobre 2013. Modifica su Wikidata Vittorio Sciuti
Russi, Mario Cutelli. Una utopia di governo, Acireale (CT), Bonanno Editore,
1994, pp. 130, ISBN 978-88-7796-057-3. Caterina Sindoni, La formazione
dell'élite in Sicilia tra Settecento ed Ottocento. Il "Collegio
Cutelliano" di Catania, in "Quaderni di Intercultura", Anno
VIII/2016, pp. 55/73, ISSN 2035-858X, DOI 10.3271/M41 -
http://cab.unime.it/journals/index.php/qdi/article/view/1327 Caterina Sindoni,
Воспитательные модели сицилийских дворян в XVIII-XIX вв.: Колледжио Кутелли, in
Идеал воспитания дворянства в Европе: XVII-XIX века (eds. Vladislav Rjéoutski,
Igor Fedyukin, Wladimir Berelowitch), Novoe Literaturnoe Obozreniie, Moscow,
2018, pp. 296-319. Collegamenti esterni Mario Cutelli contributo del dr. Santo
Catarame, tratto da Corrieredaristofane n° 5417 juovi nuviémmuru, 2005, su
ilportaledelsud.org. Cenni sulla famiglia Cutelli e Testamento di Mario Cutelli
[collegamento interrotto], su apostoliuniversali.it. Controllo di autorità VIAF (EN) 37311464 · ISNI
(EN) 0000 0000 7818 5376 · SBN IT\ICCU\PALV\040575 · LCCN (EN) nr95001195 ·
WorldCat Identities (EN) lccn-nr95001195 Biografie Portale Biografie Diritto
Portale Diritto Filosofia Portale Filosofia Lingua latina Portale Lingua latina
Categorie: Giuristi italiani del XVII secoloFilosofi italiani del XVII
secoloNati nel 1589Morti nel 1654Morti il 17 settembreNati a CataniaMorti a
PalermoStudenti dell'Università di Catania[altre]
Dalmasso
Gianfranco
Dalmasso Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Abbozzo Questa voce sull'argomento filosofi italiani è solo un abbozzo. Contribuisci
a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Gianfranco Dalmasso (Milano,
1943) è un filosofo italiano. Professore ordinario di Filosofia Teoretica
presso l'Università degli Studi di Bergamo e presidente onorario della Società
Italiana di Filosofia Teoretica.
Laureatosi all'Università Cattolica di Milano, ha svolto i suoi studi di
perfezionamento a Parigi, all'École Normale Supérieure e all'École des hautes
études en sciences sociales. Allievo di Jacques Derrida, ha introdotto il
pensiero di questo autore in Italia con le traduzioni di La voix et le
phénomène (Jaca Book 1968; ult. rist. 2010) e di De la grammatologie (Jaca Book
1969, ult. rist. 2012). Dai problemi del
soggetto del discorso e della genesi del significato nel dibattito sul nichilismo
i suoi interessi si sono rivolti alla questione della struttura della
razionalità in rapporto all'etica nel pensiero greco ed agostiniano e, più
recentemente, nel pensiero di Hegel. Ha
insegnato nelle Università della Calabria e Università degli Studi di Roma
"Tor Vergata". È membro del Collegio docenti del Dottorato di ricerca
in Filosofia della Scuola Normale Superiore di Pisa e del Dottorato di ricerca
in Studi Umanistici Interculturali presso l'Università degli Studi di Bergamo. È
autore di vari saggi e membro del Comitato scientifico di Phasis. European
Journal of Philosophy, Oltrecorrente, di Magazzino di Filosofia e della Rivista
Internazionale di teologia e cultura Communio.
Opere Hegel, probabilmente. Il movimento del vero, Milano: Jaca Book,
2015 Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su
Gianfranco Dalmasso Collegamenti esterni Gianfranco Dalmasso su Università
degli Studi di Bergamo, su unibg.it. URL consultato il 13 agosto 2013
(archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016). Gianfranco Dalmasso – Hegel e
l'Aufhebung del segno, su mondodomani.org. Recensione di Chi dice io.
Razionalità e nichilismo, Jaca Book, Milano 2005 [collegamento interrotto], su
prologos.it. Intervista a Gianfranco Dalmasso su Chi dice io. Razionalità e
nichilismo, su inschibboleth.org. Controllo di autorità VIAF (EN) 89637100 · ISNI
(EN) 0000 0000 7821 3429 · LCCN (EN) n82161389 · WorldCat Identities (EN)
lccn-n82161389 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie:
Filosofi italiani del XX secoloNati nel 1943Nati a Milano[altre]
Dandolo
Tullio Dandolo Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
navigationJump to search Tullio Dandolo (Varese, 2 settembre 1801 – Urbino, 16
aprile 1870) è stato uno scrittore, storico, filosofo e patriota italiano
aderente al movimento del neoguelfismo. Indice 1 Biografia
2 Attività
letteraria 3 Opere
4 Note
5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Dandolo nacque a Varese il 2 settembre 1801 da Mariana Grossi
e dallo scienziato e patriota Vincenzo Dandolo (1758-1819). Questi, nel 1797,
era esponente della Municipalità provvisoria di Venezia, ma dopo il trattato di
Campoformio, con il quale si sancì la fine della Repubblica, dovette esulare in
Francia. Venne in seguito nominato da Napoleone senatore del Regno italico e
conte. Dal 1806 al 1809 fu anche governatore civile della Dalmazia. Il piccolo
Tullio passò quindi un'infanzia assai agitata; fu cresciuto da una
"cameriera disattenta"[1] e poi sballottato per vari collegi. A 19
anni si laureò all'Università degli Studi di Pavia in Diritto civile e canonico
(utroque iure). Dopo la morte del padre nel 1819, passò alcuni anni (dal
1821 al '23) girando per l'Europa e conducendo una vita mondana. In questo
periodo venne a contatto con illustri personalità culturali politiche
dell'epoca. Venne sospettato dal governo austriaco di aver partecipato alle
congiure degli anni precedenti, e per questo fatto rientrare in modo coatto in
Italia (senza tuttavia essere perseguitato). In Italia, dopo essersi dedicato
ampiamente a studi letterari e storici, sposò Giulietta, sorella di Gaetano
Bargnani; uno dei futuri cospiratori mazziniani. Dalla moglie ebbe due figli,
Enrico ed Emilio. Nel 1835 rimase vedovo e affidò ad un amico di famiglia i figli,
pur intervenendo continuamente nella loro formazione. Nel 1844 si sposò
in seconde nozze con la contessa Ermellina Maselli, da cui ebbe altri due
figli, Maria (1848-1871) e Enrico II (1850-1904). I primi due, Enrico ed Emilio
presero parte alle Cinque giornate e ad altre operazioni belliche e lo stesso
Tullio fu nel '48 uno dei principali autori della rivoluzione[2] e capo della
rivolta varesina di marzo (scoppiata in concomitanza con quella di Milano), ma
nel '49 a Roma, durante la difesa della repubblica di Mazzini, Enrico morì ed
Emilio rimase gravemente ferito. Questo evento toccò molto Tullio che tuttavia,
pur dovendosi prendere cure molto onerose del superstite, avrebbe continuato
comunque i suoi studi letterari. Sui due figli (di cui il secondo morì poco più
tardi), raccolse un gran numero di documenti, memorie e storie per poi
pubblicarle nel libro Lo spirito della imitazione di Gesù Cristo esposto e
raccomandato da un padre ai suoi figli adolescenti (corrisp. di lettere
famigliari). Ricordi biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio Dandolo,
Milano 1862. Morì ad Urbino il 16 aprile 1870. Attività letteraria
Dandolo venne sempre ignorato dai letterati, all'epoca come oggi, tanto da non
apparire nel Dizionario del Risorgimento[3] di Michele Rosi e neanche nella
dura critica di Benedetto Croce agli "sviati della scuola cattolico
liberale" ossia i neoguelfi di cui faceva parte. Un letterato che fece
delle critiche alla sua attività fu Niccolò Tommaseo, ma risultò essere
piuttosto duro ed aspro, tanto da scrivere: "Tullio ... fin da giovane
scarabocchiò librettucci compilati o piuttosto arruffati: né di quelli che
scrisse dal venticinque al cinquantacinque sapresti quale sia il più decrepito
e il più puerile. Ma fece due opere buone, un figliolo che morì valentemente in
Roma assediata da Galli vendicatori delle oche; e un altro che scrisse la
storia, e direi quasi la vita della Legione Lombarda capitanata da Luciano
Manara, libro di senno virile e d'affetto pio...".[4] I suoi scritti
trattano gli argomenti più vari: dalla pedagogia all'autobiografia, da quelli
di carattere storico a quelli religiosi. Molti di essi sono schizzi letterari e
filosofici o riguardano descrizioni di viaggi, città e munomenti. Inoltre,
scrisse molto intorno alla storia antica, alla nascita del Cristianesimo, al
Medioevo e al Rinascimento, pubblicando anche molti discorsi e documenti
inediti. Più che ad un contributo critico, mirava a dare un'informazione non
faziosa per una migliore conoscenza del passato. Questi suoi scritti storici
sono molto diversi fra di loro: in alcuni predilige uno stile aulico, mentre in
altri un tono popolare e facile; trattando ora gli argomenti con
approssimazione ed ora dando al racconto la coinvolgenza di un romanzo.
Opere Tra le molte opere si segnalano: Lettere su Roma e Napoli, Milano
1826; Lettere su Firenze, ibid. 1827 e Torino 1830; Saggio di lettere sulla
Svizzera. Il Cantone de' Grigioni, Milano 1829; Prospetto della Svizzera, ossia
ragionamenti da servire d'introduzione alle lettere sulla Svizzera, ibid. 1832,
voll. 2; La Svizzera considerata nelle sue vaghezze pittoresche, nella storia,
nelle leggi e ne' costumi. Lettere, ibid. 1829-1834, voll. 10; Lettere su
Venezia, 2 edizioni, ibid. 1834; Studii sul secolo di Pericle, ibid. 1836,
voll. 2; Schizzi di costumi, ibid. 1836; Studii sul secolo d'Augusto, ibid.
1837; Semplicità o rapidi cenni sulla letteratura e sulle arti, in Album
storico poetico morale, compilato per cura di V. de Castro, Padova 1837, I, pp.
1–15; Reminiscenze e fantasie. Schizzi letterari, Peregrinazioni. Schizzi
artistici e filosofici, Torino 1841, voll. 3; Roma e l'Impero sino a Marco
Aurelio. Studi, Milano 1842-1843, voll. 6; Firenze sino alla caduta della
Repubblica, ibid. 1843; Il Medio Evo elvetico (secc. XIV e XV). Racconti e
leggende, ibid. 1844; La Svizzera pittoresca, o corse per le Alpi e pel Jura a
commentario del Medio Evo elvetico, ibid. 1846; I secoli dei due sommi italiani
Dante e Colombo, ibid. 1852; Il Settentrione dell'Europa e dell'America nel secolo
passato sin 1789, ibid. 1853, voll. 2; L'Italia nel secolo passato sin 1789,
ibid. 1853; Il Cristianesimo nascente, ibid. 1854; La Signora di Monza. Le
streghe del Tirolo. Processi famosi del secolo decimosettimo per la prima volta
cavati dalle filze originali, ibid. 1855 (rist. anast., Milano 1967); Il
pensiero pagano ai giorni dell'Impero. Studii, ibid. 1855, voll. 2; Il pensiero
cristiano ai giorni dell'Impero. Studii, ibid. 1855; Il pensiero pagano e
cristiano ai giorni dell'Impero. Studii, ibid. 1855, vol. 3; Monachesimo e
leggende. Saggi storici, ibid. 1856, voll. 2; Roma e i papi. Studi storici,
filosofici, letterari ed artistici, ibid. 1857, voll. 5; Il secolo di Leone
Decimo. Studii, ibid. 1861, voll. 4; Lo spirito della imitazione di Gesù Cristo
esposto e raccomandato da un padre ai suoi figli adolescenti (corrisp. di
lettere famigliari). Ricordi biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio
Dandolo, Milano 1862; La Francia nel secolo passato, ibid. 1862, voll. 2; Corse
estive nel Golfo della Spezia, ibid. 1863; Il secolo decimosettimo, ibid. 1864,
voll. 4; Ragionamenti preliminari ed indici ragionati degli studi del conte
Tullio Dandolo su Roma pagana e Roma cristiana pubblicati ad annunzio e
prospetto dell'opera, Assisi 1865 (estr. da Stella dell'Umbria, s. d.); Ricordi
di Tullio Dandolo, secondo periodo. 1521-23. Lettera a D. Sensi. Indice della
materia, Assisi 1867; Ricordi, primo e secondo periodo. 1801-23, ibid. 1868,
voll. 2; Ricordi inediti di G. Morone gran cancelliere dell'ultimo duca di
Milano..., 1520-30, a cura del D., Milano 1855 (2 ed., ibid. 1859); Alcuni
brani delle storie patrie di Giuseppe Ripamonti per la prima volta tradotti
dall'originale latino dal conte T. Dandolo, ibid. 1856; Il potere politico
cristiano. Discorsi pronunciati dal Ventura di Raulica P. R. P., a cura del
Dandolo, Milano 1858; Vicende memorabili dal 1659 al 1501 narrate da Alessandro
Verri precedute da una vita del medesimo di G. A. Maggi, a cura del D., ibid.
1858; [A. F.] Roselly de Lorgues. Note ^ Ricordi, primo e secondo periodo,
1801/1823 , 2 voll., Assisi 1868 ^ La Fama, 3 apr. 1848 ^ Il Dizionario Rosi
Archiviato il 23 agosto 2013 in Internet Archive., di Roberto Guerri, direttore
delle Civiche raccolte storiche di Milano. ^ Colloqui col Manzoni, a cura di T.
Lodi, Firenze 1929 Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene
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Tullio Dandolo, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Tullio Dandolo, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su
Wikidata (IT, DE, FR) Tullio Dandolo, su hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico
della Svizzera. Modifica su Wikidata Tullio Dandolo, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere
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(EN) Opere di Tullio Dandolo / Tullio Dandolo (altra versione), su Open
Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Controllo di autorità VIAF (EN) 64345901 · ISNI (EN) 0000 0000
8144 1924 · LCCN (EN) n86095722 · GND (DE) 104382006X · BNF (FR) cb12494285q
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Identities (EN) lccn-n86095722 Biografie Portale Biografie Letteratura Portale
Letteratura Storia Portale Storia Categorie: Scrittori italiani del XIX
secoloStorici italiani del XIX secoloFilosofi italiani del XIX secoloNati nel
1801Morti nel 1870Nati il 2 settembreMorti il 16 aprileNati a VareseMorti a
UrbinoStudenti dell'Università degli Studi di Pavia[altre]
Daniele
--
Francesco Daniele Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump
to search Francesco Daniele (San Clemente, 11 aprile 1740[1] – San Clemente, 14
novembre 1812[2]) è stato un filosofo, scrittore e letterato italiano. Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Note
4 Bibliografia
5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Era figlio di Domenico Daniele e Vittoria De Angelis. Studiò
filosofia, oratoria, giurisprudenza a Napoli, dove frequentò gli intellettuali
della città. Entrò in amicizia con vari studiosi tra cui Antonio Genovesi,
Giuseppe Cirillo, Matteo Egizio. Nel 1762 curò un'edizione delle opere di
Antonio Telesio (1482-1534), zio di Bernardino, lavoro che gli procurò
l'interesse di intellettuali di giornali letterari dell'epoca. L'anno successivo
curò la pubblicazione di alcuni lavori di Marco Mondo, che era stato il suo
primo maestro[2]. Per un breve periodo
esercitò la professione d'avvocato, ma dovette presto rientrare a San Clemente
per curare le proprietà della famiglia. A San Clemente si dedicò agli studi
della classicità acquisendo documentazioni e creando una collezione di oggetti
antichi legati al territorio di San Clemente. Nel 1773 pubblicò, sotto il nome
di Crescenzo Espersi, una critica ad alcuni studi sulle storia di Caserta:
Crescenzo Espersi Sacerdote Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni, un
ufficiale di artiglieria napoletano[2][3].
Il marchese Domenico Caracciolo lo fece richiamare a Napoli dove entrò
nella segreteria di Stato. Riordinò la raccolta delle leggi e dei diplomi
dell'imperatore Federico II. In seguito a questo lavoro fu nominato "regio
istoriografo", carica che era stata di Vico e di Assemani. Alla carica era
associato un sussidio economico. Nel periodo pubblicò Le Forche Caudine
illustrate (Napoli 1778), lavoro che gli permise di entrare all'Accademia della
Crusca[2]. Dal 1779 ricoprì nella Reale
Accademia di Scienze e Belle Lettere, creata nel 1778 da Ferdinando IV, la
carica di censore per le memorie delle classi terza e quarta. Nel 1780
ricevette l'incarico di sistemare la biblioteca della Collezione Farnese, in
seguito confluita nella Biblioteca Nazionale di Napoli. Nel 1787 divenne uno
dei 15 soci dell'Accademia Ercolanese, dove doveva di curare la pubblicazione
degli studi su Ercolano e Pompei, ma i fatti del 1799 interruppero la sua
attività. Suo malgrado anzi fu coinvolto, a causa della sua vicinanza con gli
intellettuali vicini alla repubblica, nei fatti che successero dopo la caduta
della Repubblica partenopea. Perse tutti gli incarichi e di conseguenza tornò
agli amati studi. Nel 1802 pubblicò un saggio di numismatica, Monete antiche di
Capua, con la descrizione delle monete capuane di cui sei inedite[2]. Nel 1806, sotto Giuseppe Bonaparte, riottenne
le sue cariche e l'anno dopo divenne segretario perpetuo della nuova Accademia
di storia e di antichità e fu nominato direttore della Stamperia Reale. Fu
anche socio dell'accademia Cosentina, della Plautina di Napoli, e
dell'Accademia Etrusca di Cortona. Fu membro straniero della Royal Society e, dal
19 maggio 1788, membro onorario dell'Accademia delle Scienze di San
Pietroburgo[2]. Opere Antonii Thylesii
Consentini Opera, Neapoli,1762 Crescenzo Esperti Sacerdote Casertano al Signor
Gennaro Ignazio Simeoni, Napoli, 1773[4] Le Forche Caudine illustrate, Caserta,
1778 I Regali Sepolcri del duomo di Palermo riconosciuti et illustrati, Napoli,
1802 Monete antiche di Capua, Napoli, 1802 Cronologia della famiglia Caracciolo
di Francesco de Pietri, Napoli, 1805 (curatela) Note ^ San Clemente è una
frazione di Caserta DBI. ^ Il libro su
Google Books ^ Si tratta di due lettere pubblicate con il falso nome di
Crescenzo Esperti. Bibliografia Francesco Daniele, in Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata
Даниэле, Франческо, in Dizionario Enciclopedico Brockhaus ed Efron: in 86
volumi (82 volumi e 4 supplementi), San Pietroburgo, 1890–1907. G. Tescione,
Francesco Daniele epigrafista e l’epigrafe probabilmente sua per la Reggia di
Caserta, «Archivio Storico di Terra di Lavoro», a. VII (1980-81), pp. 25-88. G.
Guadagno, La collezione epigrafica del Daniele a Caserta, «Epigraphica», n. 46
(1984), pp. 185-194. V. Trombetta, Una pagina di storia dell’Anfiteatro
Campano, «Capys», vol. XIX (1986), pp. 81-96. A. Tirelli, Francesco Daniele: un
itinerario emblematico, in classica a Napoli nell’Ottocento, premessa di M.
Gigante, vol. II, Napoli 1987, pp. 3-51. G. Daniele – P. Di Lorenzo, La
famiglia Daniele e i suoi due palazzi in San Clemente di Caserta: note genealogiche
ed araldiche, descrizione degli edifici superstiti e ipotesi e proposte per la
loro corretta attribuzione, «Rivista di Terra di Lavoro», a. II, n. 3, ottobre
2007. A. Tirelli, Francesco Daniele e lo studio del mondo antico, in L’idea
dell’antico nel Decennio francese, in Atti del III seminario di studi “Decennio
francese (1806-, Napoli, Santa Maria Capua Vetere, 10-11-12 ottobre cura di R.
Cioffi e A. Grimaldi, Napoli 2010, pp. 61-76. L. Russo, Ruolo di Francesco
Daniele nel decennio francese attraverso alcune lettere a personaggi capuani,
«Rivista di Terra di Lavoro», a. IX, n. 1, aprile 2015. L. Russo, Lettere di
Francesco Daniele al principe di Torremuzza, «Rivista di Terra di Lavoro», a.
X, n. 1, aprile 2016. L. Russo, Lettera di Francesco Daniele a Giovanni Paolo
Schultesius (1809), «Rivista Terra di Lavoro», a. XII, n. 1, aprile 2017. L.
Russo, Lettere di Francesco Daniele al dottor Giovanni Bianchi di Rimini,
«Rivista Terra di Lavoro», a. XIII, n. 1, aprile 2018. Francesco Daniele un
erudito versatile ed illuminato Altri progetti Collabora a Wikisource
Wikisource contiene una pagina dedicata a Francesco Daniele Collegamenti
esterni Opere di Francesco Daniele, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
Modifica su Wikidata (EN) Opere di Francesco Daniele, su Open Library, Internet
Archive. Modifica su Wikidata Controllo di autorità VIAF (EN) 44288994 · ISNI (EN) 0000 0001 0780 4114 ·
SBN IT\ICCU\PALV\018460 · LCCN (EN) no2002068885 · GND (DE) 116023104 · BNF
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Identities (EN) lccn-no2002068885 Categorie: Filosofi italiani del XVIII
secoloFilosofi italiani del XIX secoloScrittori italiani del XVIII
secoloScrittori italiani del XIX secoloLetterati italianiNati nel 1740Morti nel
1812Nati l'11 aprileMorti il 14 novembreNati a CasertaMorti a CasertaAccademici
della CruscaMembri della Royal SocietyMembri dell'Accademia EtruscaAccademia
cosentina[altre]
Dati
-- Agostino
Dati Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Abbozzo storici italiani Questa voce sugli argomenti storici italiani e retori
è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di
Wikipedia. Prima pagina delle Elegantiae
minores stampate a Basilea nel 1488 da Johann Amerbach. Biblioteca Nacional de
España Agostino Dati, noto anche come Augustinus Datus o Dathus, (Siena,
1420[1] – 6 aprile 1478) è stato un oratore, storico e filosofo italiano.
Agostino Dati è noto per il suo manuale di grammatica Elegantiolae. Nel 1489
Erasmo lodò Dati come uno dei maestri italiani di eloquenza[2]. Indice 1 Biografia
2 Lee
Elegantiolae 3 Note
4 Bibliografia
5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Nato da una agiata famiglia senese, Agostino Dati passò la
maggior parte della sua vita a Siena. Studiò con l'umanista Francesco Filelfo.
Dopo aver insegnato per qualche tempo a Urbino, tornò in patria nel 1444 e
insegnò retorica e teologia. Nel 1457 fu nominato segretario di Siena. Morì di
peste nel 1478. Molte sue opere sono state pubblicate dal figlio
Niccolò[2]. Lee Elegantiolae
L'Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et orationibus fu stampato per
la prima volta a Ferrara da Andrea Belfortis in 1471[2]. Il testo, le
Elegantiolae, ristampato oltre 100 volte con cari titoli tra il 1470 e il 1501,
era considerato "il manuale par excellence nella seconda metà del
quindicesimo secolo"[3]. Servì da base per i Rudimenta grammatices di
Niccolò Perotti Note ^ Il battesimo è
del 18 febbraio 1420DBI Egmont Lee. ^
Van Der Laan. Bibliografia Paolo Viti, Agostino Dati, in Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1987. Modifica su
Wikidata Agostino Dati, “Plumbinensis Historia”, cura di Marina Riccucci,
Firenze, Sismel - Edizioni del Galluzzo, 2010 (Società internazionale per lo
studio del Medioevo latino) Egmont Lee, Agostino Dati of Siena, in Peter Gerard
Bietenholz; Thomas Brian Deutscher (a cura di), Contemporaries of Erasmus: A
Biographical Register of the Renaissance and Reformation, Volumes 1-3, A-Z, University
of Toronto Press, 2003, p. 378, ISBN 978-0-8020-8577-1. URL consultato il 9
maggio 2013. A. H. Van Der Laan, Antonius Liber Susatensis - Familiarum
Epistolarum Compendium, in Humanistica Lovaniensia, vol. 44, Leuven University
Press, 1995, p. 146, ISBN 978-90-6186-680-0. URL consultato il 10 maggio 2013.
Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a
Agostino Dati Collegamenti esterni Opere di Agostino Dati / Agostino Dati
(altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata
(EN) Opere di Agostino Dati, su Open Library, Internet Archive. Modifica su
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35348006 · BAV (EN) 495/10837 · CERL cnp01233700 · WorldCat Identities (EN)
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Categorie: Retori italianiStorici italiani del XV secoloFilosofi italiani del
XV secoloNati nel 1420Morti nel 1478Morti il 6 aprileNati a Siena[altre]
Experitum
-- Empiricism
– “with a capital E, of course.” – Grice. Czolbe, H., philosopher. He was born
in Danzig and trained in theology and medicine. His main works are Neue
Darstellung des Sensualismus “New Exposition of Sensualism,” 1855, Entstehung
des Selbstbewusstseins “Origin of Self-Consciousness,” 1856, Die Grenzen und
der Ursprung der menschlichen Erkenntnis “The Limits and Origin of Human
Knowledge,” 1865, and a posthumously published study, Grundzüge der
extensionalen Erkenntnistheorie 1875. Czolbe proposed a sensualistic theory of
knowledge: knowledge is a copy of the actual, and spatial extension is ascribed
even to ideas. Space is the support of all attributes. His later work defended
a non-reductive materialism. Czolbe made the rejection of the supersensuous a
central principle and defended a radical “senCzolbe, Heinrich Czolbe, Heinrich
201 201 sationalism.” Despite this, he
did not present a dogmatic materialism, but cast his philosophy in hypothetical
form. In his study of the origin of self-consciousness Czolbe held that
dissatisfaction with the actual world generates supersensuous ideas and branded
this attitude as “immoral.” He excluded supernatural phenomena on the basis not
of physiological or scientific studies but of a “moral feeling of duty towards
the natural world-order and contentment with it.” The same valuation led him to
postulate the eternality of terrestrial life. Nietzsche was familiar with
Czolbe’s works and incorporated some of his themes into his philosophy.
englishry: Grice was first
an Englishman, and then an Oxonian – and then a philosopher – and then a
genius! Englishness – Englishry, -- St. George for England. A critique of
racism, hostility, contempt, condescension, or prejudice, on the basis of
social practices of racial classification, and the wider phenomena of social,
economic, and political mistreatment that often accompany such classification.
The most salient instances of racism include the Nazi ideology of the “Aryan
master race,” chattel slavery, South
African apartheid in the late twentieth century, and the “Jim Crow” laws and
traditions of segregation that subjugated African descendants in the Southern
United States during the century after the
Civil War. Social theorists dispute whether, in its essence, racism is a
belief or an ideology of racial inferiority, a system of social oppression on
the basis of race, a form of discourse, discriminatory conduct, or an attitude
of contempt or heartlessness and its expression in individual or collective
behavior. The case for any of these as the essence of racism has its drawbacks,
and a proponent must show how the others can also come to be racist in virtue
of that essence. Some deny that racism has any nature or essence, insisting it
is nothing more than changing historical realities. However, these thinkers
must explain what makes each reality an instance of racism. Theorists differ
over who and what can be racist and under what circumstances, some restricting
racism to the powerful, others finding it also in some reactions by the
oppressed. Here, the former owe an explanation of why power is necessary for
racism, what sort economic or political? general or contextual?, and in whom or
what racist individuals? their racial groups?. Although virtually everyone
thinks racism objectionable, people disagree over whether its central defect is
cognitive irrationality, prejudice, economic/prudential inefficiency, or moral
unnecessary suffering, unequal treatment. Finally, racism’s connection with the
ambiguous and controversial concept of race itself is complex. Plainly, racism
presupposes the legitimacy of racial classifications, and perhaps the
metaphysical reality of races. Nevertheless, some hold that racism is also
prior to race, with racial classifications invented chiefly to explain and help
justify the oppression of some peoples by others. The term originated to
designate the pseudoscientific theories of racial essence and inferiority that
arose in Europe in the nineteenth century and were endorsed by G.y’s Third
Reich. Since the civil rights movement in the United States after World War II,
the term has come to cover a much broader range of beliefs, attitudes,
institutions, and practices. Today one hears charges of unconscious, covert,
institutional, paternalistic, benign, anti-racist, liberal, and even reverse
racism. Racism is widely regarded as involving ignorance, irrationality,
unreasonableness, injustice, and other intellectual and moral vices, to such an
extent that today virtually no one is willing to accept the classification of
oneself, one’s beliefs, and so on, as racist, except in contexts of
self-reproach. As a result, classifying anything as racist, beyond the most
egregious cases, is a serious charge and is often hotly disputed.
rational
Griceian deconstruction of communication -- a demonstration of the incompleteness
or incoherence of a philosophical position using concepts and principles of
argument whose meaning and use is legitimated only by that philosophical
position. A deconstruction is thus a kind of internal conceptual critique in
which the critic implicitly and provisionally adheres to the position
criticized. The early work of Derrida is the source of the term and provides
paradigm cases of its referent. That deconstruction remains within the position
being discussed follows from a fundamental deconstructive argument about the
nature of language and thought. Derrida’s earliest deconstructions argue against
the possibility of an interior “language” of thought and intention such that
the senses and referents of terms are determined by their very nature. Such
terms are “meanings” or logoi. Derrida calls accounts that presuppose such
magical thought-terms “logocentric.” He claims, following Heidegger, that the
conception of such logoi is basic to the concepts of Western metaphysics, and
that Western metaphysics is fundamental to our cultural practices and
languages. Thus there is no “ordinary language” uncontaminated by philosophy.
Logoi ground all our accounts of intention, meaning, truth, and logical
connection. Versions of logoi in the history of philosophy range from Plato’s
Forms through the self-interpreting ideas of the empiricists to Husserl’s intentional
entities. Thus Derrida’s fullest deconstructions are of texts that give
explicit accounts of logoi, especially his discussion of Husserl in Speech and
Phenomena. There, Derrida argues that meanings that are fully present to
consciousness are in decision tree deconstruction 209 209 principle impossible. The idea of a
meaning is the idea of a repeatable ideality. But “repeatability” is not a
feature that can be present. So meanings, as such, cannot be fully before the
mind. Selfinterpreting logoi are an incoherent supposition. Without logoi,
thought and intention are merely wordlike and have no intrinsic connection to a
sense or a referent. Thus “meaning” rests on connections of all kinds among
pieces of language and among our linguistic interactions with the world.
Without logoi, no special class of connections is specifically “logical.”
Roughly speaking, Derrida agrees with Quine both on the nature of meaning and
on the related view that “our theory” cannot be abandoned all at once. Thus a
philosopher must by and large think about a logocentric philosophical theory
that has shaped our language in the very logocentric terms that that theory has
shaped. Thus deconstruction is not an excision of criticized doctrines, but a
much more complicated, self-referential relationship. Deconstructive arguments
work out the consequences of there being nothing helpfully better than words,
i.e., of thoroughgoing nominalism. According to Derrida, without logoi
fundamental philosophical contrasts lose their principled foundations, since
such contrasts implicitly posit one term as a logos relative to which the other
side is defective. Without logos, many contrasts cannot be made to function as
principles of the sort of theory philosophy has sought. Thus the contrasts between
metaphorical and literal, rhetoric and logic, and other central notions of
philosophy are shown not to have the foundation that their use
presupposes.
deductum – also
demonstratum, argumentum -- deduction, a finite sequence of sentences whose
last sentence is a conclusion of the sequence the one said to be deduced and
which is such that each sentence in the sequence is an axiom or a premise or
follows from preceding sentences in the sequence by a rule of inference. A
synonym is ‘derivation’. Deduction is a system-relative concept. It makes sense
to say something is a deduction only relative to a particular system of axioms
and rules of inference. The very same sequence of sentences might be a
deduction relative to one such system but not relative to another. The concept
of deduction is a generalization of the concept of proof. A proof is a finite
sequence of sentences each of which is an axiom or follows from preceding
sentences in the sequence by a rule of inference. The last sentence in the
sequence is a theorem. Given that the system of axioms and rules of inference
are effectively specifiable, there is an effective procedure for determining,
whenever a finite sequence of sentences is given, whether it is a proof
relative to that system. The notion of theorem is not in general effective
decidable. For there may be no method by which we can always find a proof of a
given sentence or determine that none exists. The concepts of deduction and
consequence are distinct. The first is a syntactical; the second is semantical.
It was a discovery that, relative to the axioms and rules of inference of
classical logic, a sentence S is deducible from a set of sentences K provided
that S is a consequence of K. Compactness is an important consequence of this
discovery. It is trivial that sentence S is deducible from K just in case S is
deducible from Dedekind cut deductíon 211
211 some finite subset of K. It is not trivial that S is a consequence
of K just in case S is a consequence of some finite subset of K. This compactness
property had to be shown. A system of natural deduction is axiomless. Proofs of
theorems within a system are generally easier with natural deduction. Proofs of
theorems about a system, such as the results mentioned in the previous
paragraph, are generally easier if the system has axioms. In a secondary sense,
‘deduction’ refers to an inference in which a speaker claims the conclusion
follows necessarily from the premises. -- deduction theorem, a result about
certain systems of formal logic relating derivability and the conditional. It
states that if a formula B is derivable from A and possibly other assumptions,
then the formula APB is derivable without the assumption of A: in symbols, if G
4 {A} Y B then GYAPB. The thought is that, for example, if Socrates is mortal
is derivable from the assumptions All men are mortal and Socrates is a man,
then If Socrates is a man he is mortal is derivable from All men are mortal.
Likewise, If all men are mortal then Socrates is mortal is derivable from Socrates
is a man. In general, the deduction theorem is a significant result only for
axiomatic or Hilbert-style formulations of logic. In most natural deduction
formulations a rule of conditional proof explicitly licenses derivations of APB
from G4{A}, and so there is nothing to prove.
Delfico -- Melchiorre
Delfico Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
«Il cavaliere Melchiorre Delfico [è] giustamente ritenuto il Nestore della
letteratura napoletana … Questo illustre autore di molte opere di storia e di
una varietà di soggetti interessanti, unisce ad una vasta istruzione una
accuratissima e profondissima conoscenza di ogni aspetto che interessa la sua
terra; e possiede, ad un'età così avanzata, l'ancor più raro merito di saper comunicare
le preziose esperienze acquisite con una amenità di maniere, una facilità e
semplicità di espressione che le rendono più apprezzate a quelli che le
ricevono» (Keppel Richard Craven, Excursions in the Abruzzi and Northern
Provinces of Naples, 2 volumi, Londra, 1837.) Ritratto di Melchiorre
Delfico Melchiorre Delfico (Montorio al Vomano, 1º agosto 1744 – Teramo, 22
giugno 1835) è stato un filosofo, economista, numismatico e politico
italiano. Indice 1 Biografia
1.1 Gli
anni della formazione 1.2 Il
rientro a Teramo 1.3 L'impegno
politico 2 Pensiero
3 Intitolazioni
4 Massoneria
5 Opere
principali 6 Opere
inedite, archivio e carteggi 7 Note
8 Bibliografia
9 Voci
correlate 10 Altri
progetti 11 Collegamenti
esterni Biografia Nacque nel castello feudale di Leognano, in provincia di
Teramo,[1] da Berardo Delfico (1705-1774) e da Margherita Civico. Le origini
della sua famiglia risalivano almeno al secolo XVI quando Pir (o Pyr) Giovanni
di Ser Marco, generalmente riconosciuto come il capostipite della famiglia,
cambiò il proprio cognome in Delfico e adottò il motto eat in posteros Delphica
Laurus; secondo alcuni, e tra questi Luigi Savorini, il cognome originario era
“de Civitella”. All'interno della sua famiglia va individuato come Melchiorre
III, per distinguerlo da Melchiorre I (m. 1689) e Melchiorre II (1694-1738),
che fu vescovo di Muro Lucano, in Basilicata. Gli anni della
formazione Il giurista e filosofo Gaetano Filangeri Rimasto ben presto
orfano di madre,[1] fu dapprima affidato ad ecclesiastici ed in seguito inviato
a Napoli, assieme ai fratelli Gianfilippo e Giamberardino, per il completamento
degli studi. Nella capitale del regno ebbe maestri insigni quali Antonio
Genovesi per le materie filosofiche per l'economia, Gennaro Rossi per le materie
letterarie, Pietro Ferrigno per il diritto e Alessio Simmaco Mazzocchi per
l'archeologia. Nella città partenopea si laureò in utroque iure
sotto la direzione di Gaetano Filangieri e redasse subito diverse memorie per
il governo. Aveva già indossato l'abito ecclesiastico, ma se ne spogliò subito
per motivi di salute. Nella prima parte della vita si dedicò in
particolare allo studio della giurisprudenza e dell'economia politica,
scrivendo numerosi trattati che esercitarono un grande influsso nel miglioramento
e l'abolizione di molti abusi. Il rientro a Teramo Con il ritorno in
patria di Melchiorre Delfico e dei suoi fratelli Gianfilippo e Gianberardino ha
inizio un periodo fondamentale per la storia della città e dell'intero regno di
Napoli. Intorno a loro si riunisce un importante gruppo di intellettuali che
crea le premesse per un profondo rinnovamento sociale, politico ed economico
del territorio in cui agiscono. Tra questi troviamo scienziati, letterati,
agronomi, imprenditori: Michelangelo Cicconi, Vincenzo Comi, Fulgenzio
Lattanzi, Gianfrancesco Nardi sr, Berardo Quartapelle, Alessio Tulli, Antonio
Nolli come pure Orazio Delfico, il figlio di Giamberardino, che fu allievo di
Volta e Spallanzani, e l'altro nipote, Eugenio Michitelli, che fu architetto noto
in tutto l'Abruzzo. Parallelamente agli inizi degli anni '80 del 1700 si
appassionò al collezionismo, in particolare di libri antichi e monete di epoca
romana e preromana.[2] L'impegno politico Giuseppe Bonaparte, re di
Napoli dal 1806 al 1808 Nel 1799 fu nominato presidente del Consiglio Supremo
di Pescara e poco dopo membro del governo provvisorio della Repubblica
Partenopea. Caduta la Repubblica Partenopea andò in esilio per sette anni
nella Repubblica di San Marino che nel 1802 gli riconobbe la cittadinanza.
Melchiorre Delfico scrisse il libro Memorie storiche della Repubblica di San
Marino, prima storia organica dell'antica repubblica. Nel 1935 la Repubblica
del Titano ha emesso una serie di 12 francobolli e nel 2006 ha coniato una
moneta d'argento dal valore nominale di 5 euro per commemorare il filosofo
abruzzese e ricordarne la permanenza sul proprio territorio. Sotto
Giuseppe Bonaparte, nominato re di Napoli, Delfico entrò a far parte del
Consiglio di Stato, nel 1806, ricoprendo varie cariche ministeriali.
Restaurato il governo borbonico nel 1815 Delfico fu nominato presidente della
commissione degli archivi e successivamente Presidente della Reale Accademia
delle Scienze. Nel 1820 venne eletto deputato al Parlamento napoletano e
fu chiamato alla presidenza della Giunta provvisoria di governo. Ebbe in questo
periodo l'incarico di tradurre il testo della Costituzione spagnola del 1812.
Dal 1823 si stabilì definitivamente a Teramo, dove morì nel 1835. La famiglia
di Melchiorre Delfico si estingue con Marina, sua pronipote, sposata al conte
Gregorio De Filippis di Longano, napoletano, imparentato con i Filangeri di
Candida dando origine all'attuale famiglia dei conti De Filippis marchesi
Delfico (vedi la voce De Filippis Delfico). Pensiero John Locke,
filosofo e fisico britannico Il pensiero dello studioso teramano si forgiò nel
fermento culturale del Secolo dei Lumi e del diritto naturale, le cui idee
giusnaturalistiche furono compiutamente esposte da un lato nell'opera di John
Locke, dall'altro in quella di Jean-Jacques Rousseau, nelle quali i principi
del diritto naturale erano rappresentati dalle idee di libertà e di eguaglianza
di tutti gli uomini. I fermenti culturali del periodo assunsero una valenza
rivoluzionaria e contribuirono all'abbattimento di una struttura sociale logora
ed invecchiata, che si reggeva ancora ai capricci bizantini dell'autorità
invadente. Proprio tali tesi giusnaturalistiche furono gli strumenti a
cui si richiamò l'opera del Delfico, permeata dall'anticurialismo, dalla
compressione della feudalità, dall'antifiscalismo e soprattutto
dall'abbattimento del monopolio forense, ritenuto il baluardo principale del
regime. Ciò che caratterizza la visione politica del Dèlfico è una nuova
concezione dello Stato, non più ispirato al predominio politico e svincolato
dalle regole della morale corrente. Come politico e come giurista, il
Dèlfico fu eminentemente pratico, così da poter essere ricordato come uno dei
più illuminati riformatori del suo tempo. Intitolazioni Al nome di Melchiorre
Delfico sono intitolati a Teramo il Convitto nazionale, il Liceo Classico e la
Biblioteca provinciale che dal 3 aprile del 2004 ha la propria sede nel
settecentesco palazzo Delfico. Numerosi i comuni che hanno intitolato
strade all'illuminista abruzzese; oltre a Teramo, sua patria, e alla frazione
di San Nicolò (nello stesso comune teramano), si segnalano Sant'Egidio alla
Vibrata, Penna Sant'Andrea e Roseto degli Abruzzi in provincia di Teramo;
Montesilvano, Pescara e Milano. Massoneria Squadra e compasso,
simboli della Massoneria È noto che esistono Logge massoniche intestate a
Melchiorre Delfico, ma ci si chiedeva se lui stesso fosse stato massone.
Questo interrogativo è stato posto da parecchi storici ma non esisteva una
risposta documentale. Esistono invece molte prove indiziarie relative alla sua
appartenenza alla Massoneria, per le quali rimandiamo all'appendice del volume
di Franco Eugeni, Carlo Forti (1766-1845), allievo di N. Fergola, ingegnere sul
campo, citato in bibliografia. I principali indizi si possono così
riassumere: I maestri ed amici napoletani del Delfico come Antonio
Genovesi, Mario Pagano, Gaetano Filangeri, furono tutti noti massoni; In
un diario del curato Crocetti di Mosciano appaiono notizie di una Loggia
massonica esistente a Teramo dal 1775; Il Delfico, assieme all'abate Berardo
Quartapelle, subisce, alla fine del settecento, due processi per miscredenza;
Delfico promuove un movimento culturale detto '’La Rinascenza'’ di chiaro
stampo illuminista; Nella rinascenza militano tutti i cervelli illuministi del
tempo: i Tulli, i Quartapelle, Vincenzo Comi, Francesco Pradowski ed altri; La
poesia di Pradowski sembra proprio la descrizione di una Loggia; Manda il
nipote Orazio Delfico, futuro Gran Maestro della Carboneria teramana, a
studiare a Pavia da Lazzaro Spallanzani, Alessandro Volta e Lorenzo Mascheroni,
tre noti massoni del tempo. Nel 2006, lo storico Nico Perrone,
pubblicando un libro basato sulla corrispondenza del massone danese Friederich
Münter con noti massoni napoletani lo dà come sicuramente massone, anche
se "il suo nome non s'incontra nelle logge razionaliste"[3].
Opere principali Saggio filosofico sul matrimonio, s.n.tip. ma Teramo, Consorti
e Felcini, (1774), (non firmato), ora in Opere complete, III, pp. 83–146;
Memoria sul Tribunal della Grascia e sulle leggi economiche nelle provincie
confinanti del regno, Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli, (1785), ora in
Opere complete, III, pp. 265–326; Riflessioni su la vendita de' Feudi, Napoli,
presso Giuseppe Maria Porcelli, (1790), ora in Opere complete, III, pp.
401–434; Ricerche sul vero carattere della giurisprudenza Romana e de' suoi
cultori, Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli, (1791), e successive edizioni,
Firenze, 1796, Napoli, 1815, ora in Opere complete, III, pp. 91–238; Pensieri
sulla Istoria e su l'incertezza ed inutilità della medesima, Forlì, dai torchi
dipartimentali Roveri, (1806), e successive edizioni 1808, 1809, 1814, ora in
Opere complete, II, pp. 7–180; Nuove ricerche sul bello, Napoli, presso Agnello
Nobile, 1818, ora in Opere complete, II, pp. 183–296; Della antica numismatica
della città di Atri nel Piceno con un discorso preliminare su le origini
italiche, Teramo, Angeletti, 1824; nuova edizione 1826 e ristampa anastatica
Teramo, Edigrafital, 1996; Opere complete, nuova edizione curata da Giacinto
Pannella e Luigi Savorini, 4 voll., Teramo, Giovanni Fabbri editore, 1901-1904;
leggi il sommario dei quattro volumi;[4] Carlo Forti (1766-1845), allievo di N.
Fergola, ingegnere sul campo a cura di Franco Eugeni. Opere inedite, archivio e
carteggi Le carte del filosofo e quanto resta dell'archivio di famiglia sono
frazionate in numerose collezioni pubbliche e private. Le raccolte più cospicue
sono conservate a Teramo presso il locale Archivio di Stato e presso la
Biblioteca provinciale Melchiorre Dèlfico di Teramo. Numerose carte sono
conservate anche presso la Biblioteca e l'Archivio governativi della Repubblica
di San Marino. Note Melchiorre Delfico, in Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata ^ Il
Palazzo Dèlfico, Edigrafital, p. 111. ^ Nico Perrone, La Loggia della
Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione. Con la
corrispondenza massonica e altri documenti, Palermo, Sellerio, 2006, p.
202-209. ^ Sommario delle Opere complete di Melchiorre Delfico, su
www.defilippis-delfico.it. URL consultato il 23 maggio 2018. Bibliografia
Giacinto Cantalamessa Carboni, Sulla vita e sugli scritti del commendatore Malchiorre
de' Marchesi Delfico, in Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti, vol.
65, 1835, pp. 156-187. Raffaele Liberatore, Melchiorre Delfico. Necrologia, in
Annali civili del Regno delle Due Sicilie, vol. 7, 1835, pp. 121-135.
Ristampato come Delfico (Melchiorre), in: De Tipaldo (ed.), Biografia degli
Italiani illustri, Venezia, 1835, vol .2. Ferdinando Mozzetti, Degli studii,
delle opere e delle virtù di Melchiorre Delfico, Teramo, Angeletti, 1835.
Gregorio De Filippis-Delfico, Della vita e delle opere di Melchiorre Delfico.
Libri due, Teramo, Angeletti, 1836. Raffaele Aurini, Delfico Melchiorre, in:
Dizionario bibliografico della gente d'Abruzzo, vol. III, Teramo, Ars et Labor,
1958; ora in Nuova edizione, Colledara (Teramo), Andromeda editrice, 2002, vol.
2. Vincenzo Clemente, Rinascenza teramana e riformismo napoletano, 1777-1798,
l'attività di Melchiorre Delfico presso il Consiglio delle finanze, Roma,
Edizioni di storia e letteratura, 1981. Vincenzo Clemente, Delfico, Melchiorre,
in: Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
italiana, 1988, vol. 36, pp. 527–540. Donatella Striglioni ne' Tori,
L'inventario del Fondo Delfico. Archivio di Stato di Teramo, Teramo, Centro
abruzzese di ricerche storiche, 1994. Gabriele Carletti, Melchiorre Delfico.
Riforme politiche e riflessione teorica di un moderato meridionale, Pisa,
Edizioni ETS, 1996. Nico Perrone, La Loggia della Philantropia. Un religioso
danese a Napoli prima della rivoluzione, Palermo, Sellerio, 2006 ISBN
88-389-2141-5 Voci correlate Biblioteca provinciale Melchiorre Dèlfico Delfico
Orazio Delfico De Filippis Delfico Gregorio De Filippis Delfico Melchiorre De
Filippis Delfico Troiano De Filippis Delfico Carlo Forti Friederich Münter
Francesco Saverio Petroni Giuseppe de Thomasis Antonio Nolli Altri progetti
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Delfico Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o
altri file su Melchiorre Delfico Collegamenti esterni Notizie e ritratti sono
reperibili anche sul sito internet della famiglia, curato da Massimo De
Filippis Delfico, all'indirizzo www.defilippis-delfico.it. Sul sito è
consultabile anche l'Indice dei quattro volumi delle Opere Complete di
Melchiorre Delfico. Melchiorre Delfico, in Treccani.it – Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata V · D · M Illuministi
italiani Controllo di autorità VIAF
(EN) 32006592 · ISNI (EN) 0000 0001 1023 6701 · SBN IT\ICCU\CFIV\012479 · LCCN
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495/91426 · CERL cnp00905983 · WorldCat Identities (EN) lccn-n82133633
Biografie Portale Biografie Numismatica Portale Numismatica Politica Portale
Politica Categorie: Filosofi italiani del XVIII secoloFilosofi italiani del XIX
secoloEconomisti italianiNumismatici italiani del XVIII secoloNumismatici
italiani del XIX secoloNati nel 1744Morti nel 1835Nati il 1º agostoMorti il 22
giugnoNati a Montorio al VomanoMorti a TeramoSammarinesiMinistri del Regno
delle Due SicilieNumismatici italianiIlluministiMassoniPersonalità della
Repubblica Napoletana (1799)[altre]
Delfino -- Federico Delfino Da Wikipedia,
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secondo le convenzioni di Wikipedia. Federico Delfino, o Dolfin, (in latino:
Federicus Dolphinus o Delphinus) (Padova, 1477 – Padova, 7 febbraio 1547), è
stato un astronomo, filosofo e matematico italiano. Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Note
4 Altri
progetti 5 Collegamenti
esterni Biografia Erudito dalle multiformi attività, Federico Delfino fu attivo
a Padova nel filone dell'aristotelismo padovano rinascimentale: sicuramente
studioso di logica e matematica, ebbe chiara fama di matematico e di astronomo
e, dal 1520, fu titolare della cattedra di matematica presso la prestigiosa
Università di Padova. Fu professore di
discepoli illustrissimi, fra i quali è opportuno nominare Bernardino Telesio,
Luca Girolamo Contarini, Giovan Battista Amico, Felice Accoramboni, Daniele
Barbaro e Alessandro Piccolomini.[1]
Opere De fluxu et refluxu aquae
maris (1559) (LA) Federicus Delphinus, De fluxu et refluxu aquae maris, Padova,
In Accademia Veneta - Paulus Manutius, 1559. URL consultato il 16 febbraio
2014. (LA) Federicus Delphinus, De holometri fabrica et usu in instrumento
geometrico, olim ab Abele Fullonio invento: Acc. Frederici Delphini Disputatio
de aestu maris & motu octava sphaera, Johann Niklaus Stupanus, Abel
Foullon, Padova, In Accademia Veneta - Paulus Manutius, 1577. URL consultato il
16 febbraio 2014. Note ^ DELFINO (Dolfin), Federico, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 17
febbraio 2014. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una
pagina dedicata a Federico Delfino Collegamenti esterni Federico Delfino, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata Opere di Federico Delfino, su openMLOL, Horizons Unlimited
srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Federico Delfino, su Open Library,
Internet Archive. Modifica su Wikidata Controllo di autorità VIAF (EN) 17577378 · ISNI (EN) 0000 0000
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Astronomia Padova Portale Padova Rinascimento Portale Rinascimento Categorie:
Astronomi italianiFilosofi italiani del XVI secoloMatematici italiani del XVI
secoloNati nel 1477Morti nel 1547Morti il 7 febbraioNati a PadovaMorti a
Padova[altre]
Delia
Deliminio
Delogu -- Antonio
Delogu Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Antonio Delogu Antonio Delogu (Nuoro, 19 gennaio 1942) è un
filosofo italiano. Indice 1 Biografia
1.1 Carriera
universitaria 2 Riconoscimenti
3 Pubblicazioni
4 Note
5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Carriera universitaria Ha conseguito la laurea in
Giurisprudenza presso l'Università di Sassari nel 1965 e, come
vincitore di una borsa di studio regionale di perfezionamento in Dottrina
dello Stato, ha collaborato all’attività didattica e di ricerca con Antonio
Pigliaru. È stato redattore del periodico del seminario di Dottrina dello
Stato Il Trasimaco, fondato e diretto, negli anni 1966-69, da Antonio
Pigliaru. Come vincitore di concorso ha insegnato Filosofia e Storia nei
licei dal 1972 al 1982. Nel 1982 ha preso servizio presso la Facoltà di
Magistero dell’Università di Sassari in qualità di ricercatore. Nel 1987,
come vincitore di concorso ordinario, è prof. associato e dal 2000 prof.
ordinario di Filosofia morale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università degli Studi di Sassari. Ha cofondato i Quaderni sardi di
filosofia e scienze umane. Ha fondato e diretto i Quaderni sardi di filosofia
letteratura e scienze umane. Fa parte del comitato scientifico della
rivista Segni e comprensione dell’Università di Lecce. È stato direttore
del Centro studi fenomenologici dell’Università di Sassari, ha fondato e
diretto per diversi anni la sezione sassarese della Società Filosofica
Italiana. È stato direttore dal 2001 sino al 2009 della Scuola di
specializzazione per la formazione degli insegnanti dell’Università di Sassari.
Nel 1999 gli è stato conferito il Premio Sardegna-Cultura e nel 2006 il Premio
Giuseppe Capograssi, dalla giuria presieduta da Giovanni Conso, presidente
dell’Accademia dei Lincei. Ha organizzato numerosi convegni, tenutisi in
Sardegna, generalmente presso l’Università di Sassari. Tra questi: Realtà
impegno progetto in Antonio Pigliaru (1978), Libertà e liberazione nel pensiero
contemporaneo (1980); Etica e politica in Giuseppe Capograssi; G. B. Tuveri
filosofo e politico (1984), Giov. Maria Dettori filosofo e teologo (1987),
Esperienza religiosa e cultura contemporanea (1992), Le nuove frontiere della
medicina tra etica e scienza (1996), Il pensiero filosofico di A. Vasa (1990);
Nella scrittura di Salvatore Satta, in collaborazione con A. M. Morace (2003);
Filosofia e letteratura in Karol Wojtyla in collaborazione con A. M. Morace
(2005); Attualità del pensiero di Augusto Del Noce (2011); Scrittura e memoria
della Grande Guerra (2015) in collaborazione con A. M. Morace. Ha
partecipato in qualità di relatore ai convegni sul pensiero di Merleau-Ponty
(Università di Lecce), E. Mounier (centro E. Mounier Reggio Emilia), J. P.
Sartre (Università di Bari, Università Roma TRE, La Sorbona di Parigi), Antonio
Gramsci (Università di Cagliari), Intellettuali e società in Sardegna
nell’Ottocento (Università di Cagliari), Capograssi (Università La Sapienza,
Roma), Augusto Del Noce (Università La Sapienza, Roma); G.B.Tuveri (Cagliari),
Salvatore Satta, (Trieste); su Corpo e psiche: l’invecchiamento (Chiavari), su
I vissuti: tempo e spazio (Chiavari); è stato relatore al Corso di formazione
su Fenomenologia e psicopatologia promosso dal Dipartimento di salute mentale
di Massa Carrara. Ha tenuto lezioni seminariali sul pensiero
fenomenologico di K. Wojtyla nell’Università Cattolica di Lublino; sul pensiero
di Giuseppe Capograssi nell’Università Complutense di Madrid, sul Diritto
penale internazionale nell’Università di Ginevra, sul pensiero filosofico
politico nella Sardegna dell’Ottocento nell’Università di Zurigo. È stato
responsabile del gruppo di ricerca dell’Ateneo sassarese su L’etica nella
filosofia italiana e francese contemporanea, PRIN 2005-. Ha collaborato
alle riviste Annuario filosofico, Rivista internazionale di Filosofia del
diritto, Nouvelle Revue théologique; al Dizionario storico del movimento
cattolico in Italia (1860-80, 3/2), alla Enciclopedia Filosofica edita da
Bompiani. Ha diretto il Master Mundis per la Dirigenza Scolastica promosso
dall’Università di Sassari in collaborazione con la conferenza nazionale dei
Rettori. Riconoscimenti Premio "Sardegna-Cultura" (1999) Premio
"Giuseppe Capograssi" (2006) Pubblicazioni Filosofia e insegnamento
della filosofia nella scuola secondaria, Tipografia editoriale moderna,
Sassari, 1973. La critica di Merleau-Ponty alla concezione tomista dell’uomo e
della libertà in S. Tommaso nella storia del pensiero, Vol. 2, 1974. Teoria e
prassi in A. Pigliaru, Quaderni sardi di filosofia e scienze umane, 1, 1977. La
Filosofia Cattolica in Italia, Quaderni Sardi di filosofia e scienze Umane,
2-3,1978. Pluralismo culturale ed educazione in Colloquio interideologico,“
Orientamenti Pedagogici", 6, 1978. La Filosofia dell’educazione in A.
Pigliaru; in Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, 4-5, 1980. Se la
corrente calda… Un itinerario filosofico: Péguy, Sorel, Mounier, Sartre,
Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, 7-10, 1981. M. Ponty,
Esistenzialismo, Marxismo, Cristianesimo, (a cura di), Editrice La Scuola,
Brescia, 1982. Né rivolta né rassegnazione - Saggio Su Merleau-Ponty, Ets,
Pisa, 1982. Corpo e cosmo nell’esperienza morale, Quaderni Sardi di filosofia e
scienze umane, 11-12, 1983. Non vi è terza (né altra via) nell’ “Esprit” di E.
Mounier; in Quaderno Filosofico, 8, 1983. Temporalità e prassi in S. Weil, Progetto,
19-20, 1984. Temporalità e prassi in J.P. Sartre in J. P. Sartre, teoria
scrittura impegno, a cura di V. Carofiglio e G. Semerari, Ed. Dedalo, Bari,
1985. Una filosofia disarmata: M. Merleau- Ponty in Esistenza impegno progetto
in Merleau-Ponty, a cura di G. Invitto, Guida, Napoli, 1985. Storia e prassi in
Emmanuel Mounier; in La ragione della democrazia, Ed. Dell'oleandro, Roma 1986.
Giuseppe Capograssi e la cultura filosofico-giuridica in Sardegna, Quaderni
sardi di filosofia e scienze umane, 15-16,1987. Note per una fenomenologia
della esperienza religiosa; in Aa. Vv., Chi è Dio. Università Lateranense,
Herder, Roma, 1988. Storia della cultura filosofico-giuridica, Enciclopedia
della Sardegna, 1988. La Filosofia etico-politica di Giov. M. Dettori e la
cultura sardo-piemontese tra Settecento e Ottocento, Quaderni Sardi di
Filosofia e Scienze Umane, 17-18, 1989. Il «nucleo di vita e di luce del
Rousseau capograssiano in Due convegni su Giuseppe Capograssi, a cura di F.
Mercadante, Giuffè, Milano, 1990. Filosofia e società in Sardegna tra
Settecento e Ottocento in La Sardegna e la rivoluzione francese, a cura di M.
Pinna, Editore, 1990. La Filosofia giuridica e etico-politica negli
intellettuali sardi della prima metà dell’Ottocento: D. A. Azuni, D. Fois, P.
Tola, G. Manno in Intellettuali e società in Sardegna tra Restaurazione e Unità
d’Italia, Editore, 1990. Le Radici fenomenologico-capograssiane di S. Satta
giurista-scrittore; in Salvatore Satta giurista-scrittore, a cura di U. Collu,
Edizioni, Nuoro, 1990. Soggetto debole, etica forte: da S. Weil a E. Levinas;
in Le Rivoluzioni di S. Weil, a cura di G. Invitto, Capone Editore, Lecce,
1990. Pigliaru e Gramsci in Socialismo e democrazia, Archivio sardo del
movimento operaio contadino e autonomistico, 38-40, 1992. Tracce del
postmoderno in Simone Weil, in Moderno e postmoderno nella filosofia italiana
oggi, a cura di U. Collu, Consorzio per la pubblica lettura S. Satta, Nuoro,
1992. Società e filosofia in Sardegna - Giov. Battista Tuveri (1815-1887), FrancoAngeli,
Milano, 1992. Cultura barbaricina e banditismo in A.Pigliaru e M.Pira in
L’Europa delle diversità, FrancoAngeli, Milano, 1993. Prospettive
fenomenologiche nella cultura contemporanea; in Quaderni sardi di filosofia
letteratura e scienze umane, Vol., 1994. Asproni e i filosofi sardi
contemporanei in Giorgio Asproni e il suo ‘Diario Politico’, Cuec, Cagliari,
1994. Domenico Alberto Azuni, Elogio della pace, a cura di, Assessorato
Regionale alla Pubblica Istruzione, Cagliari, 1994. Multidimensionalità della
esistenza, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane,
2-3,1995. D.A. Azuni filosofo della pace, in Francia e Italia negli anni della
rivoluzione, Laterza, Bari, 1995. La Preghiera in J. P. Sartre in Esperienza
religiosa e cultura contemporanea, a cura di, Diabasis, Reggio Emilia, 1995.
Note su etica comunitaria e etica planetaria, in Quaderni sardi di filosofia,
letteratura e scienze umane, 4-5, 1996. Temporalità esistenza sofferenza, in
Esistenza e i vissuti «Tempo» e «Spazio», a cura di A. Dentone, Bastogi,
Foggia, 1996. Le Relazioni Intermediterranee e il pensiero di D.A. Azuni, in Il
regionalismo internazionale mediterraneo nel 50º Anniversario delle Nazioni
Unite, Consiglio Regionale della Sardegna, Cagliari, 1997. La Festa e la via:
una lettura fenomenologica, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e
scienze umane, 6-7, 1998. Corpo e psiche: l’invecchiamento in Minkoswski, in
Corpo e psiche, a cura di A. Dentone, L’invecchiamento, Bastogi, Foggia, 1998.
Cosmopolitismo e federalismo nel pensiero politico sardo dell’Ottocento, in Il
federalismo tra filosofia e politica. Edizioni, 1998 Questioni Morali - La
prospettiva fenomenologica, Istituto Italiano Di Bioetica, Macroedizioni,
Cesena, 1998. L’etica della mediazione, in Il problema della pena minorile,
FrancoAngeli, Milano, 1999. La filosofia in Sardegna (1750-1915), Etica Diritto
Politica, Condaghes, Cagliari, 1999. Antonio Pigliaru, La lezione di
Capograssi, a cura di, Edizioni Spes, Roma, 2000. Note su Del Noce e il nichilismo;
in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, 8, 2001.
Repubblica e civiche virtù, in Lezioni per la repubblica. La festa è tornata in
città, Diabasis, Reggio Emilia, 2001. K. Wojtyla, L’uomo nel campo della
responsabilità, a cura di, Bompiani, Milano, 2002. Federalismo e progettualità
politico-sociale in Carlo Cattaneo e Giovanni Battista Tuveri, in Quaderni
sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, 11, 2003. Cattaneo e G.B.
Tuveri in Carlo Cattaneo temi e interpretazioni, a cura di M. Corrias Corona,
Centro Editoriale Toscano, Firenze, 2003. Al confine ed oltre. La sofferenza
tra normalità e patologia, Edizioni Universitarie, Roma, 2003. J. P. Sartre,
Barionà o il figlio del tuono, a cura di, Marinotti, Milano, 2003. Due Filosofi
militanti: Carlo Cattaneo e Giovanni Battista Tuveri in Cattaneo e Garibaldi.
Federalismo e Mezzogiorno, a cura di A. Trova, G. Zichi, Carocci, Roma, 2004.
Esperienza e pena in Salvatore Satta in Nella scrittura di Salvatore Satta,
Magnum, Sassari, 2004. Note Introduttive alla filosofia di Wojtyla,
Orientamenti Sociali Sardi, X, 2005. Note sul cristianesimo di Antonio
Pigliaru, Orientamenti Sociali Sardi, Nov-Dic., 2006. Etica e santità in Simone
Weil; in Etica contemporanea e santità, Edizioni Rosminiane, Stresa, 2006.
Legge morale e legge civile in Natura umana, evoluzione ed etica. Annuario di
Filosofia, Guerini e Associati, Milano, 2007. V. Jankélévitch, Corso di
filosofia morale, a cura di, Raffaello Cortina, Milano, 2007. Filosofia e
letteratura in Karol Wojtyla, Urbaniana University Press, Roma 2007. La
phénoménologie de l’agir moral selon Karol Wojtyla, in Nouvelle Revue
Theologique, Vol. 130. Prefazione all’analisi dell’esperienza comune in
Giuseppe Capograssi, in La vita etica, a cura di F. Mercadante, Bompiani Milano
2008. La noia in Vladimir Jankélévich, in In Dialogo con Vladimir Jankélévich.,
a cura di Lisciani Petrini, Mimesis, Milano, 2009. La filosofia di Giuseppe
Capograssi in Esperienza e verità- Giusse Capograssi filosofo oltre il nostro tempo,
(a cura di), Il Mulino, Bologna 2009. L’eredità di Giuseppe Capograssi nel
pensiero di Antonio Pigliaru, in Antonio Pigliaru. Saggi Capograssiani, a cura
di, Edizioni Spes, Roma, 2011. La actualidad del uso Capograssiano de la razon,
in Liberar la razon. El conocimiento Universitario y el sentido religioso en
confrontacion, Editorial Fragua, Madrid 2011. Ragione e mistero, in
Orientamenti Sociali Sardi, XV, 2011. Il pensiero di Augusto Del Noce sul
Magistero della Chiesa, in Attualità del pensiero di Augusto Del Noce, (a cura
di), Cantagalli, Siena, 2012. Contro lo scientismo. Una esperienza di vita, in
Gesù Di Nazareth all’Università, a cura di P. Azzaro, Libreria Editrice
Vaticana, Roma, 2012. Libertà di coscienza e religione, in Martha C. Nussbaum,
in Nel mondo della coscienza – verità, libertà, santità, Centro Internazionale
di Studi Rosminiani, Stresa, 2013. Individuo Stato e comunità nel pensiero di
Antonio Pigliaru, in Le radici del pensiero sociologico – giuridico, a cura di
A. Febbrajo, Giuffré, Milano, 2013. La pace e la guerra nel pensiero di Eduardo
Cimbali e Giorgio Del Vecchio docenti nell’Università di Sassari (1904-1912) in
Scrittura e memoria della Grande Guerra, a cura di A. Delogu e A.M. Morace,
Pisa, ETS, 2017 Questioni di senso-Breviario filosofico, Donzelli, Roma, 2017.
La vita e il diritto nell’opera di Salvatore Satta, Nuoro, 2017. Note
Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene
immagini o altri file su Antonio Delogu Collegamenti esterni Lezione di commiato
di Antonio Delogu, La Nuova Sardegna, 02 marzo 2013, su
lanuovasardegna.gelocal.it. Remo Bodei - Antonio Delogu, su youtube.com.
Festival di filosofia. 1º DIALOGO: Remo Bodei, Antonio Delogu (completo), su
youtube.com. Controllo di autorità VIAF
(EN) 2352828 · ISNI (EN) 0000 0000 5435 1966 · LCCN (EN) nr94031851 · BNF (FR)
cb126835456 (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-nr94031851 Categorie:
Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloNati nel
1942Nati il 19 gennaioNati a Nuoro[altre]
Demaria -- Tommaso
Demaria Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Tommaso Demaria (Vezza d'Alba, 21 novembre 1908 – Torino,
12 luglio 1996) è stato un teologo, accademico e filosofo italiano.
Tommaso Demaria (Vezza d'Alba, 21 novembre 1908 – Torino, 12 luglio 1996) è
stato un teologo, accademico e filosofo italiano, famoso per numerosi studi
sulla tomistica. Indice 1 Biografia
2 Il
pensiero 2.1 Il
realismo tomista 2.2 Il
cambio d’epoca 2.3 Il
realismo dinamico ontologico 2.4 La
Società 2.5 La
Prassi, L’Ideoprassi ed il Nuovo Tipo e Modello di Sviluppo 2.6 Dalla Persona Libera e
Sovrana alla Persona Cellula 2.7 L’Economia
2.8 La
Chiesa e il Corpo Mistico di Cristo 2.9 La
Dottrina Sociale della Chiesa e L’Ideoprassi Dinontorganica 3 Opere
4 Letteratura
su Tommaso Demaria 5 Note
6 Voci
correlate 7 Collegamenti
esterni Biografia Frequentato il seminario di Alba, entrò come aspirante presso
i salesiani di Penango Monferrato (Asti). Dal 1926 continuò gli studi nel liceo
di Valsalice (Torino) Dal 1931 al 1935 compì studi teologici presso
l’Università Gregoriana di Roma. L'ordinazione a sacerdote fu il 28 ottobre
1934. Continuò gli studi presso l’Istituto Missionario Scientifico della
Pontificia Università Urbaniana (1935-1940). Fu insegnante dal 1940 al 1979
presso la Facoltà di Teologia del Pontificio Ateneo Salesiano a Torino e a
Roma. Nel corso della sua carriera fu docente di: Storia delle religioni,
Missionologia, Filosofia dell’educazione, Teologia Fondamentale, Teologia Dogmatica,
Dottrina sociale della Chiesa, Sociologia dell’Educazione[1]. Negli anni
cinquanta avviò una feconda condivisione spirituale, teologica[2] e filosofica
con don Paolo Arnaboldi, fondatore del Fraterno Aiuto Cristiano FAC con
l'attivo incoraggiamento di San Giovanni Calabria[3]. Frequentò assiduamente le
sedi del FAC sia a Vezza D'Alba sia a Roma. Strutturò la sua metafisica
realistico organico dinamica. Negli anni sessanta fondò con Giacomino
Costa il Movimento Ideoprassico Dinontorganico M.I.D., oggi divenuto
l'associazione Nuova Costruttività. Insieme con Paolo Arnaboldi fecero opera di
formazione e divulgazione del realismo organico dinamico presso ambienti
imprenditoriali collegati all'U.C.I.D.[4]. Giacomino Costa nel 1963 strutturò
volutamente la grande e innovativa[5] impresa dell'Interporto di Rivalta
Scrivia ( il così detto "porto secco" di Genova) come applicazione
dell'"organico dinamico" differenziandola dalle imprese tipicamente
liberiste[6]. Negli anni settanta fu il referente culturale delle
"Libere Acli"[7] movimento dei lavoratori cattolici fuoriusciti dalle
Acli a seguito della "ipotesi socialista" che portò nel 1971 alla
"sconfessione di Paolo VI" e alla frattura del movimento. Continuò
nell'ambiente dei lavoratori cattolici con la formazione e la diffusione della
"ideoprassi" (modello di sviluppo) "organico dinamica", una
vera ideologia cristiana alternativa[8] a quella liberal capitalista e a quella
marxista comunista. Tommaso Demaria tiene un seminario sul realismo
Dinamico a Verona presso il Centro Toniolo nel 1980. Negli anni ottanta fu
intensamente attivo nella formazione alla nuova cultura cristiana organico
dinamica a Torino, Verona, Vicenza, Roma con corsi, seminari e numerose
pubblicazioni. Tra tutti i corsi tenuti merita una specifica menzione per la
testimonianza documentale completa tramite registrazione video, quello del 1980
presso il Centro Toniolo di Verona su invito di don Gino Oliosi. Morì a
Torino il 12 luglio 1996. Il pensiero Tommaso Demaria proseguì il lavoro
di san Tommaso d'Aquino e affermava l'incompletezza del tomismo, incapace di
cogliere l'organismo come categoria ontologica a sé stante. L'integrazione
della metafisica realista con l'organismo alla metafisica realistica integrale,
strumento di straordinaria importanza per la vita quotidiana. Lo studio
dell'organismo in quanto tale, in particolare nella sua dimensione di
"struttura organica funzionale", si rivelerà infatti importantissimo
per lo studio e lo sviluppo della società in generale ma in particolare per
quella prassi economica nota col nome di "Sistemi di Qualità" che fa
appunto dell'organicità il proprio fondamento. La possibilità di percepire
l'organismo in quanto tale entità diversa dall'organismo fisico, specifica
Demaria, passa attraverso la percezione dell'ente dinamico. Grande importanza
assume l'organicità nella gestione del sociale perché esso consente di definire
con precisione il bisogno di razionalità dell'umanità che supera le possibilità
dell'essenza della persona. Questa necessaria unità dell'agire della persona
nell'umanità che ne perpetua la presenza, in campo politico/ideoprassico egli
stesso la definisce come comunitarismo all'interno del suo testo "La
società alternativa". L'indagine sui dinamismi profondi della
società industriale e l'osservazione con metodo realistico oggettivo della
realtà storica globale nella sua consistenza ontologica portano Demaria a
sviluppare una metafisica per molti aspetti nuova ed originale[9]. Il
realismo tomista Aderisce al tomismo e conferma la validità del realismo di San
Tommaso per tutto ciò che è in “rerum naturae” quindi per gli enti che esistono
già in natura. Coglie la necessità di innestare sul realismo tomista nuovi
strumenti metafisici per comprendere la realtà degli enti che non esistono in
natura perché costruiti o generati dall'uomo, le trasformazioni dell’essenza
della persona operata dalla liberà delle sue scelte, la natura profonda degli
enti interumani (famiglia, azienda, stato, …), l'interpretazione della realtà
storica e il suo indirizzamento. Il cambio d’epoca Individua un
cambiamento d’epoca con valore ontologico (che cambia l’essere, la forma della
società) nella rivoluzione industriale che con l’apporto della energia
meccanica a integrazione e sostituzione del lavoro umano dinamizza la società
oltre una soglia mai varcata prima nella storia. La società dinamizzata dalla
rivoluzione industriale giunge a una radicale trasformazione da “statico
sacrale” a “dinamico secolare”. Si tratta di una trasformazione qualitativa e
non solo quantitativa dei cambiamenti sociali che coinvolge l’”essere” della
società. La differenza fondamentale sta in questo: la società preindustriale
(statico sacrale) era dominata dalla natura e in questo modo ripeteva sempre sé
stessa nonostante i cambiamenti fenomenici (la vita di un romano non era così
diversa da quella di un medievale), la società industriale invece si è in larga
parte sganciata dal condizionamento della natura ed è obbligata a progettare e
costruire continuamente il proprio futuro…. Ma con quali criteri? È a questo
livello che interviene l’indagine metafisica della realtà storica il cui scopo
è proprio scoprire l’essenza profonda della realtà storica appunto. Il
realismo dinamico ontologico Riconosce nel tomismo e nella metafisica di San
Tommaso la validità nel contesto “statico sacrale” ma limiti nella
interpretazione della nuova realtà storica “dinamico secolare”. Osserva che
l’interpretazione data alla storia da Hegel prima e da Marx dopo, sono entrambe
errate e ne critica il fondamento soggettivista e la natura ateo
materialista. Integra quindi il tomismo tradizionale inaugurando la nuova
metafisica dinamica ontologica organica fondata sulla scoperta dell’ente
dinamico o anche ente di secondo grado. Dalla osservazione di ciò che nasce
dalle relazioni umane scopre che oltre agli “enti di primo grado”, gli enti la
cui essenza già è (tutti quelli che già sono in natura), esistono altri “enti
di secondo grado” gli enti la cui essenza non è, ma si fa attivisticamente
nello spazio e nel tempo. la cui nascita, vita e morte sono costituite dalla
esistenza di relazioni tra le persone (ad esempio la famiglia, l’azienda sono
enti interumani). Sono “enti dinamici” il cui comportamento è simile a quello
di un organismo, non fisico, ma costituito dall’insieme di cose e di persone,
ugualmente animato da un principio vitale, in cui le parti e il tutto sono in
reciproco equilibrio che ne genera e ne conserva la vitalità. Quando viene meno
questo reciproco equilibrio tra l’organismo tutto e le sue parti (le membra,
gli organi, le cellule) l’organismo perde la sua vitalità, si ammala e può
arrivare alla morte (e così avviene per la famiglia, l’azienda, la
comunità). Indaga osservando la realtà con metodo metafisico, realistico,
oggettivo sulle “regole”, sulla “razionalità” che sottende la vita e la
vitalità degli “enti dinamici” individuando cinque (5) “trascendentali
dinamici” che sono le 5 caratteristiche necessarie e sufficienti in un “ente
dinamico” per restare vivo e vitalmente operante. Sul fronte della
interpretazione della “storia” osserva che la sua complessità non può essere
indagata con metodi analitici partendo dalla suddivisione del tutto. Serve il
metodo della “sintesi” e quindi dalla sommatoria, aggregazione, integrazione
dei singoli “enti dinamici” in realtà e altri organismi via via più complessi e
ampi, giunge al tutto che definisce come “Ente Universale Dinamico Concreto”
EDUC senza il quale il singolo ente dinamico non avrebbe né senso né valore
metafisico. Del resto è abbastanza intuitivo comprendere che nessun ente
storico può esistere fuori dal contesto che l’ha generato. Per esempio una
semplice azienda di scarpe non può esistere nel deserto separata da tutte le
vie di comunicazione, dagli operai, dai clienti, dalle fonti di energia
eccetera. Raccoglie e coordina le sue scoperte nella nuova Metafisica
Realistico Dinamica che aggregata alla Metafisica Realistica “Statica” di San
Tommaso costituisce nell’insieme delle due componenti, la statica e la
dinamica, la Metafisica Realistica Integrale.[10] La Società Con il nuovo
strumento metafisico (la Metafisica Realistica Integrale), individua la giusta
forma della società che definisce Organico Dinamica (“Dinontorganica”) come
vera alternativa alle due forme di società “false”, la capitalista e la
marxista[11] di cui stende una dettagliata critica[12]. La Prassi,
L’Ideoprassi ed il Nuovo Tipo e Modello di Sviluppo Demaria comprende che la
nuova società “dinamica secolare” avviatasi per l’effetto della rivoluzione
industriale, è costruita in vero dalla “ideoprassi” ossia dalla ideologia come
prassi razionalizzata. Una definizione corrente che sia avvicina al concetto di
“ideoprassi” di Tommaso Demaria è “modello di sviluppo” intendendo con questo
la necessità di un cambio di paradigma strutturale nella costruzione della
società. Demaria precisa meglio questa terminologia chiarendo che il TIPO DI
SVILUPPO riguarda il cambiamento di essenza profonda di una società mentre
invece il MODELLO riguarda le innumerevoli e forse infinite varianti all’interno
del medesimo tipo che si devono calare nei concreti ambiti temporali e
geografici. Le “ideoprassi”, cioè i tipi di società, riconosciute da
Tommaso Demaria sono tre (3): capitalista, marxista, “dinontorganica” e queste
sono costruite secondo i rispettivi modelli. Perciò all’interno della società
di tipo capitalista avremo molteplici modelli anche molto diversi tra loro dal
punto di vista fenomenico ma identici dal punto di vista dell’assoluto di
riferimento (cioè del tipo), in questo caso il denaro con la relativa
competitività necessaria per conquistarlo. Analogamente avviene per le altre
due ideoprassi: la ideoprassi o società di tipo marxista, con l’assoluto della
dialettica oppresso/oppressore (la vecchia lotta di classe) e la ideoprassi o
società di tipo dinontorganico con il proprio assoluto costruttivo radicato
nella dialettica della sintesi in funzione della vita.[13] Dalla Persona
Libera e Sovrana alla Persona Cellula Secondo il Demaria nella società
“dinamica secolare”, che è laica e profana, la religione non è più accettata
come fondamento. Così anche la persona libera e sovrana che aveva il suo posto
nella società “statico sacrale” non può esistere in quanto nella società
“dinamica secolare” fin dalla nascita la persona umana viene continuamente
“rimanipolata” dalla ideoprassi corrente (capitalista o marxista).La persona
umana trova la sua giusta collocazione nella società se riconosce la sua nuova
natura di persona “cellula”, componente libera in un organismo sociale più
grande. Come persona cellula rimane sempre persona umana libera ma al contempo
svincolata dalle logiche servo/padrone, oppresso/oppressore del marxismo.
L’Economia E’un tema ampiamente trattato dal Demaria che individua tre tipi di
economia: la capitalista, la marxista/comunista, la dinontorganica. Dopo
aver profondamente analizzato e criticato le prime descrive in dettaglio i
fondamenti della economia dinontorganica. Per brevità riportiamo qui la
differenza del concetto di impresa capitalista ed impresa dinontorganica secondo
Demaria. L’impresa capitalista è un'attività economica professionalmente
organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. Si
avvale di un complesso di beni strumentali, il mezzo concreto (l’azienda):
immobili, sedi, attrezzature, impianti, personale, metodi, procedure, risorse.
Si tratta di “cose” e tra queste anche il personale /forza lavoro. Anima
suprema dell’impresa capitalista è il profitto e secondariamente la creatività
imprenditoriale a servizio del profitto. La socialità dell’impresa diviene un
fatto ambientale ed incidentale innegabile ma secondario. Quindi l’impresa
(con la relativa azienda) capitalista secondo Demaria è una “cosa” ridotta a
capitale e lavoro. L’impresa dinontorganica (la vera natura profonda
dell’impresa secondo Demaria) è organismo dinamico economico di base
dell’attuale società industriale (o postindustriale). E’un vero organismo
dinamico, una realtà complessa, non fisica ma prodotta dall'uomo, costituita
dalla sintesi di cose e di persone autonome e cellule dell’organismo impresa,
animata da un proprio principio vitale e perciò capace di vivere ed agire a
titolo proprio. E’quindi impresa umanissima, affrancata dal materialismo
capitalista. Anima dell’impresa è la costruttività nel suo triplice aspetto
economico, sociale e “ideoprassico”, che eleva la creatività al di sopra del
solo profitto e che soddisfa ad un tempo la le esigenze della società globale e
della impresa (quali il profitto, comunque necessario ma non
sufficiente). La Chiesa e il Corpo Mistico di Cristo In ambito
ecclesiologico le scoperte di Demaria , come da sua frequente dichiarazione ,
si collocano nel solco del Magistero della Chiesa Romana Cattolica. Cinque
delle sue pubblicazioni, che contengono nell’insieme il corpo della sua opera,
portano impresso l’imprimatur che attesta l’assenza di errori in ambito di fede
e morale cattolica[14][15][16][17]. La scoperta dell’“ente di secondo
grado” (ente generati dalle relazioni tra le persone) e della persona “cellula”
(individuo libero che riconosce di essere parte di un organismo più grande)
sono in analogia scaturite dalla riflessione sull’ “essere” della Chiesa
(l’insieme dei cristiani) in comunione con il “Corpo Mistico di Cristo”. Il
cristiano con il battesimo cambia il suo essere e diviene “uomo nuovo”. Quindi
la persona umana (in questo caso il cristiano) è contemporaneamente “ente di
primo grado (“in rerum naturae”) che “ente di secondo grado “(ente dinamico)
come membro della Chiesa che costituisce il “Corpo Mistico di Cristo “. La
Chiesa così concepita è il primo ente dinamico sacro della storia. Mentre il
primo ente dinamico laico e profano dell’epoca “dinamico secolare” post
rivoluzione industriale è l’azienda industriale. Pur accogliendo nella
sua “metafisica realistica integrale” (la metafisica realistica “statica” più
la “dinamica”) il tomismo in toto, il suo pensiero generò dispute con i tomisti
“classici” del tempo che non riconoscono alla Chiesa ( e nemmeno alla azienda
industriale ) la natura di “ente di secondo grado” ma unicamente la
caratteristica di “ente di relazione” che per Demaria è insufficiente per
interpretare la complessità della realtà storica industriale e la relativa
mobilitazione[18]. La Dottrina Sociale della Chiesa e L’Ideoprassi
Dinontorganica Alla Dottrina Sociale Della Chiesa Tommaso Demaria riconosce
ogni validità. Ne segnala tuttavia la incompletezza in quanto costituita da
norme etiche e morali rivolte principalmente alla persona libera e sovrana ed
atte ad incidere sul suo comportamento come singolo per migliorare in senso
cristiano la società. Ma il Demaria nella sua opera ha rilevato che la società
non è più solo costruita dalle norme morali di persone libere e sovrane ma
anche e soprattutto dalla “ideoprassi” (ideologia come prassi razionalizzata
sintesi di persone e strutture) corrente, dal suo dinamismo e dalle sue
razionalità interne autocostruttive proprie della società “dinamica secolare”.
Pertanto per incidere sulla società contemporanea che è “dinamica secolare “,
laica e profana, serve una vera e propria nuova e completa “ideoprassi”,
certamente laica e profana ma compatibile con i valori cristiani cardinali.
All'interno di questa nuova “ideoprassi” il Demaria vede inseriti tutti gli
insegnamenti della Dottrina Sociale Cristiana. Da soli e senza una propria
“ideoprassi” tali insegnamenti tendono a generare delle “paraideologie” che
hanno effetti locali e temporanei. Per ottenere effetti di trasformazione
duraturi ed è necessario avviare azioni che contengano la giusta razionalità e
caratteristiche (i 5 trascendentali dinamici) capaci di innescare cicli
autocostruttivi. Opere Catechismo missionario, Torino, SEI, 1943 La
Religione, Colle Don Bosco, Elledici, 1945. Il fiume senza ritorno. Dramma
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(archiviato dall'originale). ^ LIBERE A.C.L.I., Sette domande sulle A.C.L.I. e
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1996, p. 11, ISBN 88-213-0340-3, OCLC 36549738. URL consultato il 5 aprile
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Metafisica della realtà sociale (presentazione di Aldo Ellena), Torino,
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Demaria e Bruno Morini, I consigli pastorali, diocesani e parrocchiali alla
luce di una pastorale organico-dinamica, Velate di Varese, FAC-Villa Sorriso di
Maria, 1970. ^ Luigi Bogliolo e Stefano Fontana, Prospettive del Realismo
Integrale.Pensare il trascentente. La questione metafisica dell'ente dinamico.
Dialogo con Don Bogliolo. - Apertura a tutto l ' essere., in Nuove Prospettive,
vol. 1, n. 3, 1988, pp. 52-59. Voci correlate Realismo dinamico Giacomino Costa
Realismo Tomismo Neotomismo Comunitarismo Collegamenti esterni Vita, opere e
bibliografia ragionata di Tommaso Demaria a cura dell'Associazione Nuova Costruttività.,
su dinontorganico.it. Controllo di autorità VIAF
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marzo 1945) è un pedagogista, filosofo e accademico italiano. Biografia Le sue ricerche promuovono la
scrittura di se stessi, sia per lo sviluppo del pensiero interiore e auto
analitico, sia come pratica filosofica. Già professore ordinario di Filosofia
dell'educazione e di Teorie e pratiche della narrazione all'Università degli
Studi di Milano-Bicocca, è ora direttore scientifico del Centro Nazionale
Ricerche e studi autobiografici della Libera università dell'Autobiografia di
Anghiari (da lui fondata nel 1998 insieme a Saverio Tutino) e di
"Accademia del silenzio".
Opere Educatori di professione. Pedagogia e didattiche del cambiamento
nei servizi extra-scolastici, Scandicci, La Nuova Italia, 1990, ISBN
88-221-0733-0 Tornare a crescere. L'età adulta tra persistenze e cambiamenti,
Milano, Guerini, 1991, ISBN 88-7802-221-7 La ricerca qualitativa in educazione,
Scandicci, La Nuova Italia, 1992, ISBN 88-221-1114-1 Duccio Demetrio, Donata
Montesano Fabbri e Silvia Gherardi, Apprendere nelle organizzazioni. Proposte
per la crescita cognitiva in età adulta, Roma, NIS, 1994, ISBN 88-430-0102-7
Duccio Demetrio e Graziella Favaro, Immigrazione e pedagogia interculturale.
Bambini, adulti, comunità nel percorso di integrazione, Firenze, La Nuova
Italia, 1994, ISBN 88-221-1084-6 L'educazione nella vita adulta. Per una teoria
fenomenologica dei vissuti e delle origini, Roma, NIS, 1996, ISBN 88-430-0294-5
Raccontarsi. L'autobiografia come cura di sé, Milano, Cortina, 1996, ISBN
88-7078-422-3 Duccio Demetrio e Maura Budani, Educazione degli adulti: gli
eventi e i simboli, Milano, C.U.E.M., 1996 Duccio Demetrio e Giacomo Corna
Pellegrini, Viaggio e racconti di viaggio. Nell'esperienza di giovani e adulti,
Milano, C.U.E.M., 1997 Duccio Demetrio e Graziella Favaro, Bambini stranieri a
scuola. Accoglienza e didattica interculturale nella scuola dell'infanzia e
nella scuola elementare, Scandicci, La Nuova Italia, 1997, ISBN 88-221-1817-0
Agenda interculturale. Quotidianità e immigrazione a scuola. Idee per chi
inizia, Roma, Meltemi, 1997, ISBN 88-86479-29-8 Il gioco della vita. Kit
autobiografico. Trenta proposte per il piacere di raccontarsi, Milano, Guerini,
1997, ISBN 88-7802-819-3 Pedagogia della memoria. Per se stessi, con gli altri,
Roma, Meltemi, 1998, ISBN 88-86479-51-4 Elogio dell'immaturità. Poetica
dell'età irraggiungibile, Milano, Cortina, 1998, ISBN 88-7078-530-0 Demetrio
Duccio e Sonia Bella, Una nuova identità docente. Come eravamo, come siamo,
Milano, Mursia, 2000, ISBN 88-425-2801-3 L'educazione interiore. Introduzione
alla pedagogia introspettiva, Scandicci, La Nuova Italia, 2000, ISBN 88-221-3934-8
Di che giardino sei? Conoscersi attraverso un simbolo, Roma, Meltemi, 2000,
ISBN 88-8353-055-1 Demetrio Duccio e Mariangela Giusti, Preparare e scrivere la
tesi in Scienze dell'Educazione, Milano, Sansoni, 2001, ISBN 88-383-1883-2
Demetrio Duccio e Aureliana Alberici, Istituzioni di educazione degli adulti.
Vol. 1: Il metodo autobiografico, Milano, Guerini, 2002, ISBN 88-8107-128-2
Demetrio Duccio e Aureliana Alberici, Istituzioni di educazione degli adulti,
Milano, Guerini, 2002, ISBN 88-8335-312-9 Album di famiglia. Scrivere i ricordi
di casa, Roma, Meltemi, 2002, ISBN 88-8353-180-9 Scritture erranti.
L'autobiografia come viaggio del se nel mondo, Roma, EDUP, 2003, ISBN
88-8421-061-5 Ricordare a scuola. Fare memoria e didattica autobiografica, Roma,
Laterza, 2003, ISBN 88-420-6857-8 Manuale di educazione degli adulti, Roma,
Laterza, 2003, ISBN 88-420-6992-2 Filosofia dell'educazione ed età adulta.
Simbologie, miti e immagini di sé, Torino, UTET Liberia, 2003, ISBN
88-7750-829-9 L'età adulta. Teorie dell'identità e pedagogie dello sviluppo,
Roma, Carocci, 2003, ISBN 88-430-2676-3 Autoanalisi per non pazienti.
Inquietudine e scrittura di sé, Milano, Cortina, 2003, ISBN 88-7078-773-7
Duccio Demetrio e Aureliana Alberici, Istituzioni di educazione degli adulti.
Vol. 2: Saperi, competenze e apprendimento permanente, Milano, Guerini, 2004,
ISBN 88-8107-160-6 Duccio Demetrio e Graziella Favaro, Didattica
interculturale. Nuovi sguardi, competenze, percorsi, Milano, Angeli, 2004, ISBN
88-464-5725-0 In età adulta. Le mutevoli fisionomie, Milano, Guerini, 2005,
ISBN 88-8335-624-1 Filosofia del camminare. Esercizi di meditazione
mediterranea, Milano, Cortina, 2005, ISBN 88-7078-974-8 La vita schiva. Il
sentimento e le virtù della timidezza, Milano, Cortina, 2007, ISBN
978-88-6030-127-7 La scrittura clinica. Consulenza autobiografica e fragilità
esistenziali, Milano, Cortina, 2008, ISBN 978-88-6030-177-2 L'educazione non è
finita. Idee per difenderla, Milano, Cortina, 2009, ISBN 978-88-6030-245-8
Ascetismo metropolitano. L'inquieta religiosità dei non credenti, Milano, Ponte
alle Grazie, 2009, ISBN 978-88-6220-092-9 L'interiorità maschile. Le solitudini
degli uomini, Milano, Cortina, 2010, ISBN 978-88-6030-353-0 La religiosità
degli increduli. Per incontrare i «gentili», Padova, Messaggero, 2011, ISBN
978-88-250-2909-3 Perché amiamo scrivere. Filosofia e miti di una passione,
Milano, Cortina, 2011, ISBN 978-88-6030-437-7 Duccio Demetrio e Francesca
Rigotti, Senza figli. Una condizione umana, Milano, Cortina, 2012, ISBN 978-88-6030-494-0
Duccio Demetrio, M.Castiglioni, E.Mancino e E.Biffi, Educare è narrare. Le
teorie, le pratiche, la cura, Milano, Mimesis, 2012, ISBN 978-88-575-1206-8
Duccio Demetrio e Pierangelo Sequeri, Beati i misericordiosi. Perché troveranno
misericordia, Torino, Lindau, 2012, ISBN 978-88-7180-984-7 I sensi del
silenzio. Quando la scrittura si fa dimora, Milano, Mimesis, 2012, ISBN
978-88-575-0991-4 La religiosità della terra. Una fede civile per la cura del
mondo, Milano, Cortina, 2013, ISBN 978-88-6030-628-9 Silenzio, Padova,
Messaggero, 2014, ISBN 978-88-250-1152-4 Green autobiography. La natura è un
racconto interiore, Anghiari, Booksalad, 2015, ISBN 978-88-98067-30-5
Ingratitudine. La memoria breve della riconoscenza, Milano, Cortina, 2016, ISBN
978-88-6030-841-2 Scrivi, frate Francesco. Una guida per narrare di sè, Padova,
Messaggero, 2017, ISBN 978-88-250-3721-0 La vita si cerca dentro di sé. Lessico
autobiografico, Milano, Mimesis, 2017, ISBN 978-88-575-4156-3 Terra, Milano,
Dialogos, 2018, ISBN 978-88-8123-971-9 Foliage. Vagabondare in autunno, Milano,
Cortina, 2018, ISBN 978-88-328-5040-6 Collegamenti esterni Opere di Duccio
Demetrio / Duccio Demetrio (altra versione) / Duccio Demetrio (altra versione),
su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata Controllo di autorità VIAF (EN) 40816686 · ISNI (EN) 0000 0001
1058 4706 · SBN IT\ICCU\CFIV\031762 · LCCN (EN) n85189680 · GND (DE) 140021507
· BNF (FR) cb146485702 (data) · NLA (EN) 35695220 · WorldCat Identities (EN)
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Categorie: Pedagogisti italianiFilosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani
del XXI secoloAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani del XXI
secoloNati nel 1945Nati il 6 marzoNati a MilanoProfessori dell'Università degli
Studi di MilanoProfessori dell'Università degli Studi di
Milano-BicoccaProfessori dell'Università degli Studi di ParmaProfessori
dell'Università degli Studi di SienaStudenti dell'Università degli Studi di
Milano[altre]
Desideri -- Fabrizio Desideri Da
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migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Fabrizio Desideri (Empoli,
1953) è un filosofo e accademico italiano.
Indice 1 Biografia
2 Opere
principali 3 Altri
progetti 4 Collegamenti
esterni Biografia Docente di Estetica all'Università di Firenze, ha curato
edizioni di Nietzsche, Kant, Benjamin, Kafka, per editori quali Editori
riuniti, Marietti, Newton Compton, Einaudi, Mimesis. Opere principali Walter Benjamin: il tempo e
le forme, Roma, Editori riuniti, 1980 Quartetto per la fine del tempo; una
costellazione kantiana, Genova, Marietti, 1990 La porta della giustizia: saggi
su Walter Benjamin, Bologna, Pendragon, 1995 Il velo di Iside: coscienza,
messianismo e natura nel pensiero romantico, Bologna, Pendragon, 1997 L'ascolto
della coscienza: una ricerca filosofica, Milano, Feltrinelli, 1998 Il fantasma
dell'opera: Benjamin, Adorno e le aporie dell'arte contemporanea, Genova, Il
melangolo, 2002 Il passaggio estetico: saggi kantiani, Genova, Il melangolo,
2003 Forme dell'estetica: dall'esperienza del bello al problema dell'arte,
Roma-Bari, Laterza, 2004 La percezione riflessa: estetica e filosofia della
mente, Milano, Raffaello Cortina, 2011 La misura del sentire: per una
riconfigurazione dell'estetica, Milano-Udine, Mimesis, 2013 Origine
dell'estetico: dalle emozioni al giudizio, Roma, Carocci, 2018 Walter Benjamin
e la percezione dell'arte: estetica, storia, teologia, Brescia, Morcelliana,
2018 Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su
Fabrizio Desideri Collegamenti esterni Curriculum sul sito dell'Università di
Firenze Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI
secoloAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani del XXI secoloNati
nel 1953Nati a Empoli[altre]
Diano -- Carlo
Diano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
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sull'uso delle fonti. Carlo Alberto Diano Carlo Alberto Diano (Vibo
Valentia, 16 febbraio 1902 – Padova, 12 dicembre 1974) è stato un grecista,
filologo classico e filosofo italiano, storico e traduttore sia di classici
greci sia di poeti svedesi e tedeschi. Indice 1 Biografia 2 Opere 2.1 Curatele
3 Voci
correlate 4 Altri
progetti 5 Collegamenti
esterni Biografia Compie gli studi classici al Liceo Filangeri di Vibo
Valentia, allora Monteleone Calabro. Rimane orfano di padre all'età di 8 anni e
questo fu un evento che segnò la sua vita e molte delle sue scelte
giovanili. Nel 1919 si trasferisce a Roma, dove si iscrive alla Facoltà
di Lettere della Sapienza ove segue le lezioni di Nicola Festa e Vittorio
Rossi. Il suo progetto è di laurearsi con una tesi in Letteratura greca, ma la
necessità di iniziare a lavorare lo spinge a scegliere una via più breve e nel
novembre del 1923 si laurea con 110 e lode con una tesi su Giacomo Leopardi, un
poeta che amò subito e che lo accompagnò nel corso di tutta la sua vita.
Immediatamente inizia a insegnare letteratura latina e greca, dapprima come
supplente e poi, dall'ottobre del 1924, di ruolo come vincitore di concorso a
cattedra. La sua prima nomina è a Vibo Valentia, cui segue un periodo di alcuni
anni a Viterbo e una breve parentesi al Liceo Vittorio Emanuele II di Napoli.
Nella città partenopea frequenta la casa di Benedetto Croce, ma in seguito il
giovane Carlo Diano si allontanerà decisamente dal gruppo dei crociani. Dal
novembre del 1931 è trasferito a Roma, dove insegna prima al Liceo Torquato
Tasso e in seguito al Liceo Terenzio Mamiani. Sempre a Roma, nel 1935, consegue
la libera docenza in lingua e letteratura greca. È fatto oggetto di inchieste
ministeriali e pressioni per il suo rifiuto di iscriversi al Partito fascista,
come chiedeva il suo ruolo di dipendente pubblico. Né mai si iscrisse.
Nel settembre del 1933, su incarico del Ministero degli Esteri, è lettore di
lingua italiana presso le università di Lund, Copenaghen e Göteborg, incarichi
che ricoprì fino al 1940. Gli anni in Svezia e Danimarca non furono solo utili
per apprendere alla perfezione lo svedese e il danese, ma segnarono un profondo
cambiamento. Il contatto con l'ambiente scandinavo gli spalancò la visione
della grande cultura liberale nord europea e l'amicizia di poeti, letterati e
studiosi scandinavi, tra cui lo storico delle religioni Martin Persson Nilsson
e lo scrittore ed esploratore Sven Hedin, dei quali traduce anche alcune
opere. Al suo ritorno in Italia ricopre un incarico presso la
Soprintendenza bibliografica di Roma e dal gennaio del 1944 all'aprile del 1945
è a Padova in qualità di Ispettore dell'istruzione classica presso il Ministero
dell'Educazione Nazionale della Repubblica Sociale Italiana. Grazie a questo
ruolo e obbedendo alla propria coscienza, all'insaputa di tutti, aiuta molte
persone a mettersi in salvo dalla persecuzione fascista e nazista. Dal
dicembre del 1946 ricopre gli incarichi di Papirologia, Grammatica greca e
latina, Storia della filosofia antica, Letteratura greca e Storia antica presso
la Facoltà di Lettere dell'Università di Bari. Nel 1950 vince il concorso alla
cattedra di Letteratura greca ed è chiamato a Padova a ricoprire, presso la
Facoltà di Lettere dell'Università, la cattedra che era stata di Manara
Valgimigli. A Padova rimarrà ininterrottamente fino alla sua morte. Più volte
Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, fondò e diresse il Centro per la
tradizione aristotelica nel Veneto. Molte delle sue traduzioni dei
tragici greci sono state messe in scena dalla Fondazione del Dramma Antico a
Siracusa, al Teatro Olimpico di Vicenza, a Padova, portate in giro nei teatri
italiani, interpretate da noti attori quali Elena Zareschi, Arnaldo Ninchi, Ugo
Pagliai. Grandi le sue traduzioni, per la ricerca filologica, la lettura
rivoluzionaria e la bellezza dello stile in versi, fra le altre, dell'Alcesti,
dell'Ippolito, dell'Elena, dei Sette a Tebe, dell'Edipo Re, del Dyskolos di
Menandro. Curò, fra le altre cose, l'edizione di tutto il teatro greco
per Sansoni e la traduzione dei Frammenti di Eraclito, volume della Fondazione
Lorenzo Valla. Insignito di numerose onorificenze (Valentia Aurea, Premio
Nazionale dei Lincei, Medaglia d'oro della Città di Padova ecc.) e membro di
numerosissime accademie in Italia, in Europa e in USA, ebbe profonde e durature
amicizie tra gli altri con Salvatore Quasimodo, Sergio Bettini, Mircea Eliade,
Walter F. Otto, Ugo Spirito, Giulio Carlo Argan, Bernard Berenson, Rocco
Montano, Santo Mazzarino, Carlo Bo, Károly Kerényi, Martin Persson Nilsson,
Renato Caccioppoli e molti altri fra i maggiori protagonisti della vita
culturale e artistica del 900. Tra i suoi allievi più noti troviamo il
filosofo ed ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari. Per i suoi amplissimi
studi e i suoi contributi originali su Epicuro è da tempo riconosciuto a
livello internazionale come uno dei maggiori e più autorevoli studiosi del
filosofo di Samo. Nei suoi scritti teorici, principalmente in Forma ed
Evento e in Linee per una fenomenologia dell'arte, Carlo Diano fonda un vero e
proprio sistema filosofico in cui filologia, studi storici, filosofici,
sociali, storia dell'arte e la storia delle religioni si integrano a creare un
nuovo metodo di indagine. Fondamentale, a tale scopo, è la creazione delle due
categorie fenomenologiche di "forma" ed "evento", che gli
permettono non solo di esplorare l'intera civiltà greca, ma possono divenire
strumento di analisi generale di una cultura. Opere Nella seguente
Bibliografia, che non vuole essere esaustiva, si riportano solo le opere
principali: Commento a Leopardi. Tesi di Laurea. 1923. Commemorazione
virgiliana. Dall'Idillio all'Epos. Boll. Municip. Viterbo, 1930. Il titolo De
Finibus Bonorum et Malorum. GFI, 1933. L'acqua del tempo (poesie). Roma, Dante
Alighieri, 1933. Note epicuree, SIFC, 1935. Questioni epicuree, RAL, 1936. La
psicologia di Epicuro, GFI, 1939. Epicuri Ethica (edidit adnotationibus instr.
C.D. Florentiae, in aedibus Sansonianis, 1946. Lettere di Epicuro e dei suoi
nuovamente o per la prima volta edite da C.D., Firenze, Sansoni 1946.
Aristotele Metafisica, Libro XII. Bari, 1949. La psicologia d'Epicuro e la
teoria delle passioni, Firenze, Sansoni, 1942. Lettere di Epicuro agli amici di
Lampsaco, a Pitocle e a Mitre, SIFC, 1948. Voce Aristotele in Enciclopedia
Cattolica, Voll. I 1949. Edipo figlio della Tyche. Commento ai vv.1075-1085
dell'Edipo Re di Sofocle, Dioniso, 1952. Forma ed evento: principi per
un'interpretazione del mondo greco, Venezia, Neri Pozza, 1952. Il mito
dell'eterno ritorno, L'Approdo, 1953. Il concetto della storia nella filosofia
dei greci, in: Grande antologia filosofica, v. 2, Milano, Marzorati, 1954. La
data della Syngraphé di Anassagora. Scritti in onore di Carlo Anti, Firenze
1954. Linee per una fenomenologia dell'arte, Venezia, Neri Pozza, 1956. La poetica
dei Feaci. Memorie dell'Accademia Patavina, 1957. Pagine dell'Iliade, Delta,
1957. Note in margine al Dyskolos di Menandro. Padova, Antenore, 1959.
Menandro, Dyskolos ovvero Il Selvatico, testo e traduzione, Padova, Antenore,
1960. Martin P.Nilsson, Religiosità greca, (traduzione) Firenze, Sansoni, 1961
(I ed. 1949). Eurìpide auteur de la catharsis tragique, Numen, 1961
(ripubblicato in italiano in Saggezza e poetica degli antichi, 1968). Orazio e
l'epicureismo, Atti Istituto Veneto, 1961. La poetica di Epicuro, Rivista di
Estetica, 7, pp.321-67. 1962. La filosofia del piacere e la società degli
amici, Boll. del Lions Club di Padova, 1962. D'Annunzio e l'Ellade, in L'arte
di Gabriele D'Annunzio, Atti del Convegno Int. di Studio, 1963. L'uomo e
l'evento nella tragedia attica, Siracusa, Dioniso, 1965. Il contributo
siceliota alla storia del pensiero greco, Palermo, Kokalos, 1965. Euripide,
Ippolito (traduzione e cura). Firenze, Sansoni, 1965. Eschilo, I Sette a Tebe,
Firenze, Sansoni, 1966. Menandro, Dyskolos ovvero il Selvatico, Sansoni, 1966
Meleagro, Epigrammi traduzione di C.D. (con una tavola di Tono Zancanaro)
Vicenza, Neri Pozza, 1966. Epikur und die Dichter: ein Dialog zur Poetik
Epikurs, Bonn, Bouvier, 1967. Saggezza e poetiche degli antichi, Venezia, Neri
Pozza, 1968. Gotthold Ephraim Lessing, Emilia Galotti, (traduzione) Milano,
Scheiwiller, 1968. Euripide, Alcesti (traduzione e cura) Milano, Neri Pozza,
1968. Euripide, Elettra, (traduzione e cura), Urbino, Argalia Editore, 1968.
Voci Eoicurus e Epicureanism per Enciclopedia Britannica, 1968. Il teatro
greco. Tutte le tragedie, a cura di C.D. Firenze, Sansoni, 1970 (di C.D. Saggio
introduttivo. Traduzioni: Eschilo, I Sette a Tebe; Euripide, Alcesti, Ippolito,
Eracle, Elettra, Elena, Le Fenicie, Oreste, Le Baccanti). Epicuro, Scritti
morali, Trad. a cura di C. Diano, Padova, CLEUP, 1970. Euripide, Medea,
(traduzione e nota di C.D.) Padova, Liviana, 1972. Aristofane, Lisistrata
(traduzione e cura) Padova, Liviana, 1972. Anassagora padre dell'umanesimo e la
melete thanatou in L'Umanesimo e il problema della morte, Simposio Padova -
Bressanone, 1972. Studi e saggi di filosofia antica, Padova, Antenore,
1973. Scritti epicurei, Firenze, Leo Olschki, 1974. La tragedia greca oggi,
Nuova Antologia, 1974. Limite azzurro, Milano, Scheiwiller, 1975. Eraclito,
Frammenti e testimonianze, (traduzione e cura) Milano, Fondazione Lorenzo
Valla, 1980. Epicuro, Scritti morali, Milano, BUR, 1983. Forme et evenement:
principes pour une interpretation du monde grec, Editions de l'Eclat, 1994.
μορφή και τύχη , Indiktos, Atene, 2006 (Traduzione in neogreco di Forma ed
Evento). Platone, Il Simposio (traduzione e cura), Venezia, Marsilio, 1994.
Forma y evento, Madrid, Visor, 2000. Il pensiero greco da Anassimandro agli
stoici, Torino, Bollati Boringhieri, 2007. Introduzione di Massimo Cacciari.
Form and Event, Fordham University Press, 2020. Traduzione. di Timothy C.
Campbell e Lia Turtas. Introduzione Jacques Lezra. Curatele Platone, Ione,
Roma, Dante Alighieri, 1929. M.T.Cicerone, De finibus bonorum et malorum, GFI,
1933. Omero, Iliade. Libro I, Firenze Bemporad, 1934. Platone, Dialoghi -
Convito, Fedro, Alcibiade I e II, Ipparco, Amanti, Teage, Carmide, Lachete,
Liside, Bari, Laterza, 1934 (II ed. 1945). Carlo Diano (a cura di), Il teatro
greco: tutte le tragedie, Firenze, Sansoni, 1970 1ª ed.. Carlo Diano e Giuseppe
Serra (a cura di), Eraclito, I frammenti e le testimonianze, Milano, Fondazione
Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori Editore, 1980 1ª ed.. Voci correlate Epicuro
Giovanni Gentile Tragedia greca Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Carlo Diano Collegamenti
esterni Carlo Diano, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Carlo Diano, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Opere
di Carlo Diano, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Carlo
Diano Forma y evento, Madrid, Circulos Bellas Artes (estratto traduz. spagnola)
(EN) Brian Duignan, Carlo Diano, Epicureanism, in Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Carlo Diano, nel sito "Il Ramo di
Corallo", di Francesca Diano. Controllo di autorità VIAF (EN) 27106541 · ISNI (EN) 0000 0001 1023
0924 · SBN IT\ICCU\CFIV\043194 · LCCN (EN) n85356687 · GND (DE) 116095881 · BNF
(FR) cb12164820n (data) · BNE (ES) XX1178751 (data) · BAV (EN) 495/70468 ·
WorldCat Identities (EN) lccn-n85356687 Biografie Portale Biografie Filosofia
Portale Filosofia Linguistica Portale Linguistica Categorie: Grecisti
italianiFilologi classici italianiFilosofi italiani del XX secoloNati nel
1902Morti nel 1974Nati il 16 febbraioMorti il 12 dicembreNati a Vibo
ValentiaMorti a PadovaTraduttori dallo svedeseTraduttori dal tedescoTraduttori
dal greco all'italianoAntifascisti italiani[altre]
DIC-TUM
-- IN-DEXICAL -- indexical: Grice: This is a
compound, from IN-, emphatic, and dex-, cognate with ‘dico,’ to say – cf.
deixis. -- Bradley’s thisness, and whatness – “Grice is improving on Scotus:
Aristotle’s tode ti is exactly Bradley’s thisness whatness – and more familiar
to the English ear than Scotus feminine ‘haecceitas.’” “Russell, being
pretentious, call Bradley’s “thisness” and “thatness,” but not “whatness” – as
a class of the ‘egocentric particular’ --
a type of expression whose semantic value is in part determined by
features of the context of utterance, and hence may vary with that context.
Among indexicals are the personal pronouns, such as ‘I’, ‘you’, ‘he’, ‘she’,
and ‘it’; demonstratives, such as ‘this’ and ‘that’; temporal expressions, such
as ‘now’, ‘today’, ‘yesterday’; and locative expressions, such as ‘here’,
‘there’, etc. Although classical logic ignored indexicality, many recent
practitioners, following Richard Montague, have provided rigorous theories of
indexicals in the context of formal semantics. Perhaps the most plausible and
thorough treatment of indexicals is by David Kaplan, a prominent philosopher of
language and logic whose long-unpublished “Demonstratives” was especially
influential; it eventually appeared in J. Almog, J. Perry, and H. Wettstein,
eds., Themes from Kaplan. Kaplan argues persuasively that indexical singular
terms are directly referential and a species of rigid designator. He also
forcefully brings out a crucial lesson to be learned from indexicals, namely,
that there are two types of meaning, which Kaplan calls “content” and
“character.” A sentence containing an indexical, such as ‘I am hungry’, can be
used to say different things in different contexts, in part because of the
different semantic contributions made by ‘I’ in these contexts. Kaplan calls a
term’s contribution to what is said in a context the term’s content. Though the
content of an indexical like ‘I’ varies with its context, it will nevertheless
have a single meaning in the language, which Kaplan calls the indexical’s
character. This character may be conceived as a rule of function that assigns
different contents to the indexical in different contexts.-- indicatum. “oριστική,”
“oristike,” – The Roman ‘indicatum’ is a composite of ‘in’ plus ‘dicatum.’ The
Romans were never sure about this. Literally for the Greeks it’s the
‘definitive’ – ‘horistike’ klesis, inclinatio or modus animae affectationem
demonstrans indefinitivus – While indefinitivus is the transliteration, the
Romans also used ‘finitivus’ ‘finitus,’ and ‘indicativus’ and ‘pronuntiativus’.
‘Grice distinguishes between the indicative mode and the informational mode.
One can hardly inform oneself. Yet one can utter an utterance in the indicative
mode without it being in what he calls the informational sub-mode. It’s
interesting that Grice thinks he has to distinguish between the ‘informational’
and the mere ‘indicative.’ Oddly when he sets the goal to which ‘co-operation’
leads, it’s the informing/being informed, influencing/being influenced. Surely
he could have simplified that by, as he later will, psi-transmission, whatever.
So the emissor INDICATES, even in an imperative utterance, what his will is.
All moves are primarily ‘exhibitive,’ (and the function of the mode is to
EXPRESS the corresponding attitude). Only some moves are ‘protreptic.’ Grice
was well aware, if perhaps not TOO aware, since Austin was so secretive, about
Austin on the ‘perlocution.’ Because Austin wanted to deprieve the act from the
cause of the act. Thus, Austin’s communicative act may have a causal intention,
leading to this or that effect – but that would NOT be part of the
philosopher’s interest. Suppose !p; whether the order is successful and Smith
does get a job he is promised, it hardly matters to Kant, Austin, or Grice.
Interestingly, ‘indicatum’ has the same root as ‘dic-‘, to say – but surely you
don’t need to say to indicate, as in Grice’s favourite indicative mood: a hand
wave signaling that the emissor knows the route or is about to leave the
emissee.
Dionigi -- Roberto
Dionigi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
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sull'uso delle fonti. Roberto Dionigi
Roberto Dionigi (Barletta, 1941 – Bologna, marzo 1998) è stato un filosofo e
accademico italiano. Docente di Filosofia Teoretica all'Università di Bologna,
si è occupato principalmente di Nietzsche e Wittgenstein. Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Note
4 Collegamenti
esterni Biografia Dopo la laurea conseguita nel 1964, tra il '67 e il '70
soggiornò a più riprese a Parigi, partecipando al maggio francese. Frutto del
suo incontro con Althusser è il suo primo libro, Gaston Bachelard. La
"filosofia" come ostacolo epistemologico (1973). Tornato in Italia, iniziò ad insegnare
filosofia all'Università di Bologna. Centrale, nella sua riflessione, fu il
pensiero di Nietzsche (Il doppio cervello di Nietzsche, 1982), analizzato sia
in chiave ermeneutica che logico-filosofica.
Degli anni '80 sono anche due articoli su Bataille e un lucido bilancio del
comunismo di Marx ("L'uomo e l'architetto", 1981). Il processo di
ripensamento della sinistra italiana, alla fine degli anni '80, lo vide di
nuovo impegnarsi in prima persona. Si accostò poi alla filosofia analitica e
alla svolta "linguistica", vista come approfondimento della critica
della metafisica. Gli scritti dell'ultimo decennio si concentrano
sull'ermeneutica ("Nichilismo ermeneutico", 1991), sulla semantica
antica (Nomi Forme Cose. Intorno al Cratilo di Platone, 1994) e soprattutto sul
pensiero di Wittgenstein (La fatica di descrivere. Itinerario di Wittgenstein
nel linguaggio della filosofia, 1998), del quale condivideva pienamente
l'esigenza di ripensare il linguaggio come la "cosa stessa" della
filosofia. Nel 2006 la regista Luisa
Grosso ha diretto Cocktail Dionigi, documentario contenente testimonianze di
alcuni dei maggiori pensatori italiani su Dionigi, tra i quali Franco Berardi,
Stefano Bonaga, Eva Picardi, Umberto Eco, Massimo Cacciari, Giacomo
Marramao.[1] Opere Gaston Bachelard. La
"filosofia" come ostacolo epistemologico (1973) Il doppio cervello di
Nietzsche, Bologna, Cappelli Editore, 1982 Nomi Forme Cose. Intorno al Cratilo
di Platone, 1994 La fatica di descrivere. Itinerario di Wittgenstein nel
linguaggio della filosofia, 1998 Note ^ Un filosofo tra Platone e il bar, su
ricerca.repubblica.it, 16 febbraio 2007. URL consultato il 1º giugno 2019.
Collegamenti esterni Cocktail Dionigi Controllo di autorità VIAF (EN) 19893843 · WorldCat
Identities (EN) lccn-n83013037 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale
Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloAccademici italiani del XX
secoloNati nel 1941Morti nel 1998Nati a BarlettaMorti a Bologna[altre]
Disertori -- Beppino
Disertori Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Giuseppe Disertori detto Beppino[1] (Trento, 19 giugno 1907 – Trento, 5 maggio
1992) è stato uno psichiatra, filosofo, politico, partigiano e scrittore
italiano. Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Archivio
4 Note
5 Bibliografia
6 Collegamenti
esterni Biografia Nato a Trento il 19 giugno 1907, si trasferisce subito a
Innsbruck, dove a soli tre anni contrae la poliomielite che lo segnerà per
tutta la vita.[2][1] Dopo la prima
guerra mondiale rientra a Trento, dove frequenta il Ginnasio liceo Prati. Si
iscrive poi alla Facoltà di medicina e chirurgia a Firenze e quindi si
trasferisce a Genova, dove si laurea nel 1931 con una tesi di fisiopatologia
del sistema nervoso centrale. Successivamente si trasferisce a Milano e si
specializza in neurologia e psichiatria con Carlo Besta. Torna poi a Trento,
dove esercita la libera professione: la carriera pubblica e ospedaliera gli era
preclusa in quanto privo della tessera del Partito Nazionale Fascista.[2] Nel 1939 sposa Rosita Banfi, dalla quale ha due
figli, Donatella e Marcello.[2]
Antifascista da sempre, negli anni quaranta partecipa attivamente alla
Resistenza, incontrando fra gli altri Egidio Reale, Randolfo Pacciardi, Gigino
Battisti, Egidio Bacchi, Giannantonio Manci. Nel 1943 è costretto a riparare in
Svizzera. Finita la guerra ritorna in Italia e, a Trento, diventa primario nel
reparto di neurologia dell'ospedale Santa Chiara e docente sia di neurologia e
psichiatria all'Università di Padova, sia di sociopsichiatria e criminologia
presso la Facoltà di sociologia dell'Università di Trento.[2] Pubblica più di 300 contributi in ambito
scientifico, letterario e filosofico.[2]
Per tutto il secondo dopoguerra si occupa attivamente di politica,
ricoprendo la carica di presidente regionale del Partito Repubblicano Italiano.
Diventa inoltre presidente della Croce Rossa Italiana. Muore a Trento il 5
maggio 1992.[2] Opere (elenco
parziale) Il libro della vita, 1947.
Trattato delle nevrosi, 1956. De anima, 1959. Trattato di psichiatria e
socio-psichiatria, 1970. Sfida al secolo, 1975. Archivio Il fondo Giuseppe
Disertori, conservato presso la Fondazione Museo storico del Trentino, a
Trento, contiene documentazione dal 1926 al 1990.[3] Il fondo è pervenuto al
Museo storico in Trento con atto di donazione nel luglio 1988; nel 2007 la
proprietà è passata alla Fondazione Museo storico del Trentino. Al momento del
versamento la documentazione si trovava già chiaramente ordinata e organizzata
dal Disertori stesso. L'archivio è stato dichiarato di notevole interesse
storico locale (NISL).[4] Il materiale pervenuto è costituito dall'archivio, da
numerosi periodici e da una biblioteca di circa 5.000 titoli. Il fondo conserva
un ricco carteggio con scienziati, personalità politiche e del mondo della
cultura, documenti sull'attività scientifica e pubblicazioni; cronache e
materiali raccolti durante i viaggi; recensioni alle sue opere e materiali di
ricerche scientifiche. Note Coppola, Passerini, Zandonati. SIUSA. ^ Fondo Disertori Giuseppe, su SIUSA -
Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. URL
consultato il 16 marzo 2018. ^ In base alla Legge provinciale 14.02.1992, n.
11, art. 18, con deliberazione della Giunta Provinciale di Trento, 22 ottobre
1993, n. 14971. Bibliografia G. Coppola, A. Passerini e G. Zandonati (a cura
di), Un secolo di vita dell'Accademia degli Agiati (1901-2000) (PDF), vol. 2,
Rovereto, Accademia roveretana degli Agiati, 2003, pp. 436-439. URL consultato
il 16 marzo 2018 (archiviato dall'url originale il 18 settembre 2016).
Biblioteca comunale di Trento (a cura della), Sotto il segno dell'uomo: Beppino
Disertori. Atti del convegno di studio, Trento, Palazzo Geremia, 11 febbraio
1995, Comune di Trento, Trento, 1995. S. Demarchi, Pensiero e opera letteraria
di Beppino Disertori, Manfrini, Calliano (TN), 1993. L. Menapace et al. (a cura
di), Note biografiche e bibliografia di Beppino Disertori 1907-1987 nell'80º
compleanno, TEMI, Trento, 1987. R. Bacchi et al. (a cura di), Biografia e
bibliografia di Beppino Disertori nel 70º compleanno, Accademia del
Buonconsiglio, Trento, 1977. Disertori Giuseppe, su SIUSA - Sistema Informativo
Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. URL consultato il 16 marzo 2018.
Collegamenti esterni Beppino Disertori, su siusa.archivi.beniculturali.it,
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italiani del XX secoloNati nel 1907Morti nel 1992Nati il 19 giugnoMorti il 5
maggioNati a TrentoMorti a TrentoScrittori italiani del XX secoloPartigiani
italiani[altre]
Dis-factum – dis-faccere -- defeasibility. Strawson Wiggins ‘somehwere in the kitchen,’ ‘in one of
the dining-room cupboards’ unless some feature of the context defeats the
implication, there is an implicaturum to the effect that the emissor cannot
make a ‘stronger’ move by Grice’s principle of conversational fortitude (“Be ‘a
fortiori’”). Cf. G. P. Baker on H. L. A.
Hart. All very Oxonian. Cf. R. Hall, Oxonian, on ‘Excluders.’ For Strawson and
Wiggins that a principle holds ‘generally, ceteris paribus, is a condition for
the existence of conversation, or of a good conversation. Defeasibility is a
sign of the freedom of the will. The communicators can always opt out. Not a
salivating dog. Note that defeasibility does not apply just to the implicaturum.
Since probabilistic demonstrate are uncertain, there is an element of defeasibility
in the EXplicatum of a probabilistic utterance. Levinson’s quote, “Probability,
Defeasibility, and Mode Operators.” Defeasibility -- Grice:
“So far as generalizations of these kinds are concerned, it seems to me that
one needs to be able to mark five features: (1) conditionality; (2) generality;
(3) type of generality (absolute, ceteris paribus, etc., thereby, ipso facto,
discriminating with respect to defeasibility or indefeasibility).” -- Baker, “Meaning
and defeasibility” – defeater – in Aspects of reason -- defeasibility, a
property that rules, principles, arguments, or bits of reasoning have when they
might be defeated by some competitor. For example, the epistemic principle
‘Objects normally have the properties they appear to have’ or the normative
principle ‘One should not lie’ are defeated, respectively, when perception
occurs under unusual circumstances e.g., under colored lights or when there is
some overriding moral consideration e.g., to prevent murder. Apparently
declarative sentences such as ‘Birds typically fly’ can be taken in part as
expressing defeasible rules: take something’s being a bird as evidence that it
flies. Defeasible arguments and reasoning inherit their defeasibility from the
use of defeasible rules or principles. Recent analyses of defeasibility include
circumscription and default logic, which belong to the broader category of
non-monotonic logic. The rules in several of these formal systems contain
special antecedent conditions and are not truly defeasible since they apply
whenever their conditions are satisfied. Rules and arguments in other
non-monotonic systems justify their conclusions only when they are not defeated
by some other fact, rule, or argument. John Pollock distinguishes between
rebutting and undercutting defeaters. ‘Snow is not normally red’ rebuts in
appropriate circumstances the principle ‘Things that look red normally are
red’, while ‘If the available light is red, do not use the principle that
things that look red normally are red’ only undercuts the embedded rule.
Pollock has influenced most other work on formal systems for defeasible
reasoning.
defensible – H. P. Grice, “Conceptual analysis and the defensible
province of philosophy.” Grice uses the ‘territorial’ province, and the further
implicaturum is that conceptual analysis as the province of philosophy is a
defensible one. Grice thinks it is.
definitum: Grice: There is the definitum and what Kant called the
infinitum --. Grice lists ‘the’ in his list of communicative devices. He was
interested in the iota operator. After Sluga, he knew there were problems here.
He proposed a quantificational approach alla Whitehead and Russell, indeed a
Whitehead and Russellian expansion in three clauses, with identity, involved.
Why wasn’t Russell not involved with the ‘indefinite’. One would think because
that’s rendered already by (Ex), ‘some (at least one)’. Russell’s interest in definitum is not
philosophical. His background was mathematics, rather --. Grice was obsessed
with ‘aspects’ in verbs. There’s the ‘imperfect’ and the ‘perfect.’ These
translate Aristotle’s ‘teleos’ and ‘ateleos.’ But why the change from “factum”
to “fectum”? So it’s better to turn to ‘definitum,’ and ‘indefinitum, as better
paraphrases of Aristotle’s jargon – keeping in mind we are talking of his
‘teleos’ and ‘ateleos. Aristotle
and telos. In the Met. Y.1048b1835, Aristotle discusses the definition of an
action πϱᾶξις. He distinguishes two kinds of activities: kinêseis ϰινήσεις and
energeiai ἐνέϱγειαι: Only that movement in which the end is present is an
action. E.g., at the same time we are v.ing and have v.n ὁϱᾷ ἅμα, are
understanding and have understood φϱονεῖ, are thinking and have thought noei
kai nenoêken νοεῖ ϰαὶ νενόηϰεν when it is not true that at the same time we are
learning and have learnt ou manthanei kai memathêken οὐ μανθάνει ϰαὶ μεμάθηϰεν,
or are being cured and have been cured oud’ hugiazetai kai hugiastai οὐδ᾿ ὑγιάζεται
ϰαὶ ὑγίασται. At the same time we are living well and have lived well εὖ ζῇ ϰαὶ
εὖ ἔζηϰεν ἅμα, and are happy and have been happy εὐδαιμονεῖ ϰαὶ εὐδαιμόνηϰεν.
Of these processes, then, we must call the one set movements ϰινήσεις, and the
other actualities energeiai ἐνέϱγειαι. We v. that the distinctive properties of
these two categories of verbs are provided by relations of inference and semantic
compatibility between the form of the present and the form of the perfect. In
the case of energeiai, there is a relation of inference between the present and
the perfect, in the sense that when someone says I v. we can infer I have v.n.
There is also a relation of semantic compatibility since one can very well say
I have v.n and continue to v.. Thus the two forms—the present and the perfect—
are verifiable at the same time ἅμα, simultaneously. On the other hand, in the
case of kinêseis, the present and the perfect are not verifiable at the same
time. In fact, when someone says I am building a house, we cannot infer I have
built a house, at least in the sense in which the house is finished. In
addition, once the house is finished, one is no longer constructing it, which
means that there is a semantic incompatibility between the present and the
perfect. τέλος, which means both complete action, that is, end, and limit in
competition with πέϱας, plays a crucial role in this opposition. In the
category of energeiai, we have actions proper, that is, activities that are
complete τέλεια because they have an immanent finality ἐνυπάϱχει τὸ τέλος. In
the category of kinêseis, we have imperfect activities ἀτελείς that do not
carry their own end within themselves but are transitive and aim at realizing
something. Thus activities having an external goal that is at the same time a
limit peras do not carry their own goal telos within themselves; they are
directed toward a goal but this goal is not attained during the activity, but
is realized at the end of the activity.
And history repeated itself, in the same terms, regarding Slavic
languages, with on the one hand the words perfective and imperfective, modeled
on the Roman opposition and imported to describe an opposition in which lexicon
and grammar are truly interwoven since it is a question of categories of verbs,
which determine the whole organization of conjugation, and on the other hand
the Russian words that are used to characterize the same categories of verbs, and
that signify the accomplished and the unaccomplished. In the terminological
imbroglio, we can once again v. the effects of a confusion connected with the
inability to acknowledge the autonomy of lexical aspect, or, in the particular
case of Slavic languages, the difficulty of isoRomang the aspectual dimension
in the general system of the language. Nevertheless, the same questions, that
of the telos and that of accomplishment, are at the foundation of the two
aspectual dimensions. They are even so prominent that, alongside the
heterogeneous inventory from which we began, we also find, and almost
simultaneously in the aspectual tradition, a leveling of all differences in
favor of two categories that are supposed to be the categories par excellence
of grammatical aspect: the perfective on the one hand, and the imperfective on
the other. However, there is also the continuing competition of the perfect,
another tr. of the same word, perfectum, designating a category that is not
exactly the same as that of the perfective, and which is, for its part, always
a grammatical category, never a lexical category: one speaks of perfect to
designate compound tenses in G. ic languages, e. g. , of the type I have
received as opposed to I received, which
corresponds to the idea that the telos is not only achieved, but transcended in
the constitution of a fixed state, given as the result of the completion of the
process. Two, or three, grammatical categories that are the same and not the
same as the two, three, or four lexical categories. It is in the name of these
categories, and literally behind their name, that the aspectual descriptions
succeeded in being applicable to all languages, confRomang all the imperfects
of all languages and also the Eng. progressive and the Russian imperfective,
all the aorists in all languages, and aligning perfects, perfectives, the Eng.
perfect, the G. Perfekt, the Roman
perfectum and the Grecian perfect. The facts are different, but the words, and
the recurrence of a problematics that v.ms invariable, are too strong. Although
it is a matter of conjugations, the lexicon and the relation to ontological
questions are too influential. The word imperfectum
was invented, we v. a hesitation that is precisely the one that causes a
problem here, between imperfectum and infectum a nonachieved finality, an
absence of finality. The important point is that the whole history of aspectual
terminology is constituted by such exchanges. The invention of the words
perfectum and imperfectum itself proceeds from an enterprise of tr., in which
it is a question of taking as a model, or rephrasing, the Grecian grammarians’
opposition between suntelikos συντελιϰός and non-suntelikos. However, the
difference between the two terminologies is noticeable. A supine past participle,
-fectum, has replaced telikos, and hence telos, thereby reintroducing, if not
tense was tense really involved in that past participle?, at least the
achievement of an act, and consequently merges with the question of the
accomplished. In this operation, the Stoics’ opposition between suntelikos
which would thus designate the choice of perfects or imperfects and παϱατατιϰός
the extensive, in which the question of the telos is not involved was made
symmetrical, introducing into aspectual terminology a binariness from which we
have never recovered. And this symmetricalization, which sought to describe the
organization of a conjugation, was then modeled on the distinction introduced
by Aristotle between tτέλειος and aἀτελής, which was not grammatical but lexical.
This resulted in a new confusion that is not without foundation because it was
already implicit in the montage constructed by the Grecian philosophers, with
on the one hand the telos used by Aristotle to differentiate types of process,
and on the other the same telos used by the Stoics to structure conjugation.
exist in G. , is said to be primarily a matter of discursive construction with
the imparfait forming the background of a narration, and the past tenses
forming the foreground of what develops and occurs. More recently, this area
has been dominated by theories that situate aspect in a theory of discursive
representations cf. Kamp’s discourse representation theory, and try to reduce
it to a matter of discursive organization: thus the models currently most
discussed make the imparfait an anaphoric mark that repeats an element of the
context instead of constructing an independent referent. Once again the
relations are inextricably confused: the types of discourse clearly have
particular aspectual properties we have already v.n this in connection with
aoristic utterances that structure both aspect and tense differently, and yet
all or almost all aspectual forms can appear anywhere, in all or almost all
types of discursive contexts. Thus we have foregrounded imparfaits, which have
been recorded and are sometimes called narrative imparfaits— e. g. , in an
utterance like Trois jours après, il mourait Three days later, he was dying,
where it is a question of narrating a prominent event, and where the distinction
between imparfait and passé simple becomes more difficult to evaluate. We also
find passé composés in narratives, where they compete with the passé simple:
that is why many analysts of the language consider the passé simple an archaic
form that is being abandoned in favor of the passé composé. The difficulty is
clear: it is hard to attach a given formal procedure to a given enunciative
structuration, not only because enunciative structures are supposed to be
compatible with several aspectual values, but first of all because the formal
procedures themselves are all, more or less broadly, polysemous, their value
depending precisely on the context and thus on the enunciative structure in
which they are situated. Here again, this is commonplace: polysemy is
everywhere in languages. But in this case it affects aspect: it consists
precisely in running through aspectual oppositions, the very ones that are also
supposed to be associated with some aspectual marker. The case of narrative
uses of the imparfait v.ms to indicate that the imparfait can have different
aspectual values, of which some are more or less apparently perfective. The
narrative passé composés for instance, Il s’est levé et il est sorti He got up
and went out describe the process in its advent and thus do not have the same
aspectual properties as those that appear in utterances describing the state
resulting from the process e.g., Désolé, en ce moment il est sorti Sorry, he
left just now. Not to mention the presents, which are highly polysemous in many
languages and which, depending on the language, therefore occupy a more or less
extensive aspectual terrain. We are obliged to note that aspect is at least
partially independent of formal procedures, that it also plays a role
elsewhere, in particular, in the enunciative configuration. teleology: the objectivum. Grice speaks of the objective as
a maxim. This is very Latinate. So if the maxim is an objective, the goal is
the objective, or objectivum. Meaning "goal, aim" (1881)
is from military term objective point (1852), reflecting a sense evolution
in French. This is an expansion on the
desideratum. Cf. ‘desirable,’ and ‘desirability,’ and ‘end.’ Grice feels like
introducing goal-oriented conceptual machinery. In a later stage of his career
he ensured that this machinery be seen as NOT mechanistically derivable. Which
is odd seeing that in the ‘progression’ of the ‘soul,’ he allows for talk of
adaptiveness and survival which suggest a mechanist explanation. If an agent
has a desideratum that means that, to echo Bennett, A displays a goal-oriented
behaviour, where the goal is the ‘telos.’ Smoke cannot ‘mean’ fire, because
smoke doesn’t really behave in a goal-oriented matter. Grice does play with the
idea of finality in nature, because that would allow him to justify the
objectivity of his system. how does soul originate from matter? Does the
vegetal soul have a telos. Purposive-behaviour is obvious in plants
(phototropism). If it is present in the vegetal soul, it is present in the
animal soul. If it is present in the animal soul, it is present in the rational
soul. With each stage, alla Hartmann, there are distinctions in the
specification of the telos. Grice could be more continental than Scheler!
Grices métier. Unity of science was a very New-World expression that Grice did
not quite buy. Grice was brought up in a world, the Old World, indeed, as he
calls it in his Proem to the Locke lectures, of Snows two cultures. At the time
of Grices philosophising, philosophers such as Winch (who indeed quotes fro
Grice) were contesting the idea that science is unitary, when it comes to the
explanation of rational behaviour. Since a philosophical approach to the
explanation of rational behaviour, including conversational behaviour (to
account for the conversational implicatura) is his priority, Grice needs to
distinguish himself from those who propose a unified science, which Grice
regards as eliminationist and reductionist. Grice is ambivalent about science
and also playful (philosophia regina scientiarum). Grice seems to presuppose,
or implicate, that, since there is the devil of scientism, science cannot get
at teleology. The devil is in the physiological details, which are irrelevant.
The language Grice uses to describe his Ps as goal-oriented, aimed at survival
and reproduction, seems teleological and somewhat scientific, though. But he
means that ironically! As the scholastics use it, teleology is a science, the
science of telos, or finality (cf. Aristotle on telos aitia, causa finalis. The
unity of science is threatened by teleology, and vice versa. Unified science
seeks for a mechanistically derivable teleology. But Grices sympathies lie for
detached finality. Grice is obsessed with the Greek idea of a telos, as
slightly overused by Aristotle. Grice thinks that some actions are for their
own sake. What is the telos of Oscar Wilde? Can we speak of Oscar Wilde’s
métier? If a tiger is to tigerise, a human is to humanise, and a person is to
personise. Grice thought that teleology is a key philosophical way to contest
mechanism, so popular in The New World. Strictly, and Grice knew this,
teleology is constituted as a discipline. One term that Cicero was unable to
translate! For the philosopher, teleology is that part of philosophy that
studies the realm of the telos. Informally, teleological is opposed to
mechanistic. Grice is interested in the mechanism/teleology debate, indeed
jumps into it, with a goal in mind! Grice finds some New-World philosophers too
mechanistic-oriented, in contrast with the more two-culture atmosphere he was
familiar with at Oxford! Code is the Aristotelian, and he and Grice are
especially concerned in the idea of causa finalis. For Grice only detached
finality poses a threat to Mechanism, as it should! Axiological objectivity is
possible only given finality or purpose in Nature, the admissibility of a final
cause. Grice’s
“Definition” of Meaning – and Communicatum – Oddly, in “Utterer’s meaning and
intentions,” Grice keeps calling his analyses ‘definition,’ and
‘re-definition.’ He is well aware of the trick introduced by Robinson on this.
definiendum plural: definienda, the expression that is defined in a definition.
The expression that gives the definition is the definiens plural: definientia.
In the definition father, male parent, ‘father’ is the definiendum and ‘male
parent’ is the definiens. In the definition ‘A human being is a rational
animal’, ‘human being’ is the definiendum and ‘rational animal’ is the
definiens. Similar terms are used in the case of conceptual analyses, whether
they are meant to provide synonyms or not; ‘definiendum’ for ‘analysandum’ and
‘definiens’ for ‘analysans’. In ‘x knows that p if and only if it is true that
p, x believes that p, and x’s belief that p is properly justified’, ‘x knows
that p’ is the analysandum and ‘it is true that p, x believes that p, and x’s
belief that p is properly justified’ is the analysans. definist, someone who holds that moral terms,
such as ‘right’, and evaluative terms, such as ‘good’ in short, normative terms are definable in non-moral, non-evaluative
i.e., non-normative terms. William Frankena offers a broader account of a
definist as one who holds that ethical terms are definable in non-ethical
terms. This would allow that they are definable in nonethical but evaluative
terms say, ‘right’ in terms of what is
non-morally intrinsically good. Definists who are also naturalists hold that
moral terms can be defined by terms that denote natural properties, i.e.,
properties whose presence or absence can be determined by observational means.
They might define ‘good’ as ‘what conduces to pleasure’. Definists who are not
naturalists will hold that the terms that do the defining do not denote natural
properties, e.g., that ‘right’ means ‘what is commanded by God’. definition, specification of the meaning or,
alternatively, conceptual content, of an expression. For example, ‘period of
fourteen days’ is a definition of ‘fortnight’. Definitions have traditionally
been judged by rules like the following: 1 A definition should not be too
narrow. ‘Unmarried adult male psychiatrist’ is too narrow a definition for
‘bachelor’, for some bachelors are not psychiatrists. ‘Having vertebrae and a
liver’ is too narrow for ‘vertebrate’, for, even though all actual vertebrate
things have vertebrae and a liver, it is possible for a vertebrate thing to
lack a liver. 2 A definition should not be too broad. ‘Unmarried adult’ is too
broad a definition for ‘bachelor’, for not all unmarried adults are bachelors.
‘Featherless biped’ is too broad for ‘human being’, for even though all actual
featherless bipeds are human beings, it is possible for a featherless biped to
be non-human. 3 The defining expression in a definition should ideally exactly
match the degree of vagueness of the expression being defined except in a precising
definition. ‘Adult female’ for ‘woman’ does not violate this rule, but ‘female
at least eighteen years old’ for ‘woman’ does. 4 A definition should not be
circular. If ‘desirable’ defines ‘good’ and ‘good’ defines ‘desirable’, these
definitions are circular. Definitions fall into at least the following kinds:
analytical definition: definition whose corresponding biconditional is analytic
or gives an analysis of the definiendum: e.g., ‘female fox’ for ‘vixen’, where
the corresponding biconditional ‘For any x, x is a vixen if and only if x is a
female fox’ is analytic; ‘true in all possible worlds’ for ‘necessarily true’,
where the corresponding biconditional ‘For any P, P is necessarily true if and
only if P is true in all possible worlds’ gives an analysis of the definiendum.
contextual definition: definition of an expression as it occurs in a larger
expression: e.g., ‘If it is not the case that Q, then P’ contextually defines
‘unless’ as it occurs in ‘P unless Q’; ‘There is at least one entity that is F
and is identical with any entity that is F’ contextually defines ‘exactly one’
as it occurs in ‘There is exactly one F’. Recursive definitions see below are
an important variety of contextual definition. Another important application of
contextual definition is Russell’s theory of descriptions, which defines ‘the’
as it occurs in contexts of the form ‘The so-and-so is such-and-such’.
coordinative definition: definition of a theoretical term by non-theoretical
terms: e.g., ‘the forty-millionth part of the circumference of the earth’ for
‘meter’. definition by genus and species: When an expression is said to be
applicable to some but not all entities of a certain type and inapplicable to
all entities not of that type, the type in question is the genus, and the
subtype of all and only those entities to which the expression is applicable is
the species: e.g., in the definition ‘rational animal’ for ‘human’, the type
animal is the genus and the subtype human is the species. Each species is
distinguished from any other of the same genus by a property called the
differentia. definition in use: specification of how an expression is used or
what it is used to express: e.g., ‘uttered to express astonishment’ for ‘my
goodness’. Vitters emphasized the importance of definition in use in his use
theory of meaning. definition per genus et differentiam: definition by genus
and difference; same as definition by genus and species. explicit definition:
definition that makes it clear that it is a definition and identifies the
expression being defined as such: e.g., ‘Father’ means ‘male parent’; ‘For any
x, x is a father by definition if and only if x is a male parent’. implicit
definition: definition that is not an explicit definition. lexical definition:
definition of the kind commonly thought appropriate for dictionary definitions
of natural language terms, namely, a specification of their conventional
meaning. nominal definition: definition of a noun usually a common noun, giving
its linguistic meaning. Typically it is in terms of macrosensible
characteristics: e.g., ‘yellow malleable metal’ for ‘gold’. Locke spoke of
nominal essence and contrasted it with real essence. ostensive definition:
definition by an example in which the referent is specified by pointing or
showing in some way: e.g., “ ‘Red’ is that color,” where the word ‘that’ is
accompanied with a gesture pointing to a patch of colored cloth; “ ‘Pain’ means
this,” where ‘this’ is accompanied with an insertion of a pin through the
hearer’s skin; “ ‘Kangaroo’ applies to all and only animals like that,” where
‘that’ is accompanied by pointing to a particular kangaroo. persuasive
definition: definition designed to affect or appeal to the psychological states
of the party to whom the definition is given, so that a claim will appear more
plausible to the party than it is: e.g., ‘self-serving manipulator’ for
‘politician’, where the claim in question is that all politicians are immoral.
precising definition: definition of a vague expression intended to reduce its
vagueness: e.g., ‘snake longer than half a meter and shorter than two meters’
for ‘snake of average length’; ‘having assets ten thousand times the median
figure’ for ‘wealthy’. prescriptive definition: stipulative definition that, in
a recommendatory way, gives a new meaning to an expression with a previously
established meaning: e.g., ‘male whose primary sexual preference is for other
males’ for ‘gay’. real definition: specification of the metaphysically
necessary and sufficient condition for being the kind of thing a noun usually a
common noun designates: e.g., ‘element with atomic number 79’ for ‘gold’. Locke
spoke of real essence and contrasted it with nominal essence. recursive
definition also called inductive definition and definition by recursion:
definition in three clauses in which 1 the expression defined is applied to
certain particular items the base clause; 2 a rule is given for reaching
further items to which the expression applies the recursive, or inductive,
clause; and 3 it is stated that the expression applies to nothing else the
closure clause. E.g., ‘John’s parents are John’s ancestors; any parent of
John’s ancestor is John’s ancestor; nothing else is John’s ancestor’. By the
base clause, John’s mother and father are John’s ancestors. Then by the recursive
clause, John’s mother’s parents and John’s father’s parents are John’s
ancestors; so are their parents, and so on. Finally, by the last closure
clause, these people exhaust John’s ancestors. The following defines
multiplication in terms of definition definition 214 214 addition: ‘0 $ n % 0. m ! 1 $ n % m $ n
! n. Nothing else is the result of multiplying integers’. The base clause tells
us, e.g., that 0 $ 4 % 0. The recursive clause tells us, e.g., that 0 ! 1 $ 4 %
0 $ 4 ! 4. We then know that 1 $ 4 % 0 ! 4 % 4. Likewise, e.g., 2 $ 4 % 1 ! 1 $
4 % 1 $ 4 ! 4 % 4 ! 4 % 8. stipulative definition: definition regardless of the
ordinary or usual conceptual content of the expression defined. It postulates a
content, rather than aiming to capture the content already associated with the
expression. Any explicit definition that introduces a new expression into the
language is a stipulative definition: e.g., “For the purpose of our discussion
‘existent’ means ‘perceivable’ “; “By ‘zoobeedoobah’ we shall mean ‘vain
millionaire who is addicted to alcohol’.” synonymous definition: definition of
a word or other linguistic expression by another word synonymous with it: e.g.,
‘buy’ for ‘purchase’; ‘madness’ for ‘insanity’.
Refs.: There are specific essays on
‘teleology,’ ‘final cause,’ and ‘finality,’ the The Grice Papers. Some of the
material published in “Reply to Richards” (repr. in “Conception”) and “Actions
and events,” The H. P. Grice Papers, BANC.
datum: in epistemology,
the “brute fact” element to be found or postulated as a component of perceptual
experience. Some theorists who endorse the existence of a given element in
experience think that we can find this element by careful introspection of what
we experience Moore, H. H. Price. Such theorists generally distinguish between
those components of ordinary perceptual awareness that constitute what we
believe or know about the objects we perceive and those components that we
strictly perceive. For example, if we analyze introspectively what we are aware
of when we see an apple we find that what we believe of the apple is that it is
a three-dimensional object with a soft, white interior; what we see of it,
strictly speaking, is just a red-shaped expanse of one of its facing sides.
This latter is what is “given” in the intended sense. Other theorists treat the
given as postulated rather than introspectively found. For example, some
theorists treat cognition as an activity imposing form on some material given
in conscious experience. On this view, often attributed to Kant, the given and
the conceptual are interdefined and logically inseparable. Sometimes this
interdependence is seen as rendering a description of the given as impossible;
in this case the given is said to be ineffable C. I. Lewis, Mind and the World
Order. On some theories of knowledge foundationalism the first variant of the
given that which is “found” rather than
“postulated” provides the empirical
foundations of what we might know or justifiably believe. Thus, if I believe on
good evidence that there is a red apple in front of me, the evidence is the
non-cognitive part of my perceptual awareness of the red appleshaped expanse.
Epistemologies postulating the first kind of givenness thus require a single
entity-type to explain the sensorial nature of perception and to provide
immediate epistemic foundations for empirical knowledge. This requirement is
now widely regarded as impossible to satisfy; hence Wilfred Sellars describes
the discredited view as the myth of the given.
Degradatum
-- degree:
Grice on the flat/variable distinction – Grice considers that ‘ought’ is weaker
than ‘must’ – ‘ought’ displays ‘degree-acceptability.’ Grice loved a degree –
he uses “d” in aspects of reason -- degree, also called arity, adicity, in
formal languages, a property of predicate and function expressions that
determines the number of terms with which the expression is correctly combined
to yield a well-formed expression. If an expression combines with a single term
to form a wellformed expression, it is of degree one monadic, singulary.
Expressions that combine with two terms are of degree two dyadic, binary, and
so on. Expressions of degree greater than or equal to two are polyadic. The
formation rules of a formalized language must effectively specify the degrees of
its primitive expressions as part of the effective determination of the class
of wellformed formulas. Degree is commonly indicated by an attached superscript
consisting of an Arabic numeral. Formalized languages have been studied that
contain expressions having variable degree or variable adicity and that can
thus combine with any finite number of terms. An abstract relation that would
be appropriate as extension of a predicate expression is subject to the same
terminology, and likewise for function expressions and their associated
functions. -- degree of unsolvability, a
maximal set of equally complex sets of natural numbers, with comparative
complexity of sets of natural numbers construed as recursion-theoretic reducibility
ordering. Recursion theorists investigate various notions of reducibility
between sets of natural numbers, i.e., various ways of filling in the following
schematic definition. For sets A and B of natural numbers: A is reducible to B
iff if and only if there is an algorithm whereby each membership question about
A e.g., ‘17 1 A?’ could be answered allowing consultation of an definition,
contextual degree of unsolvability 215
215 “oracle” that would correctly answer each membership question about
B. This does not presuppose that there is a “real” oracle for B; the motivating
idea is counterfactual: A is reducible to B iff: if membership questions about
B were decidable then membership questions about A would also be decidable. On
the other hand, the mathematical definitions of notions of reducibility involve
no subjunctive conditionals or other intensional constructions. The notion of
reducibility is determined by constraints on how the algorithm could use the
oracle. Imposing no constraints yields T-reducibility ‘T’ for Turing, the most
important and most studied notion of reducibility. Fixing a notion r of
reducibility: A is r-equivalent to B iff A is r-reducible to B and B is
rreducible to A. If r-reducibility is transitive, r-equivalence is an
equivalence relation on the class of sets of natural numbers, one reflecting a
notion of equal complexity for sets of natural numbers. A degree of
unsolvability relative to r an r-degree is an equivalence class under that
equivalence relation, i.e., a maximal class of sets of natural numbers any two
members of which are r-equivalent, i.e., a maximal class of equally complex in
the sense of r-reducibility sets of natural numbers. The
r-reducibility-ordering of sets of natural numbers transfers to the rdegrees:
for d and dH r-degrees, let d m, dH iff for some A 1 d and B 1 dH A is
r-reducible to B. The study of r-degrees is the study of them under this
ordering. The degrees generated by T-reducibility are the Turing degrees.
Without qualification, ‘degree of unsolvability’ means ‘Turing degree’. The least
Tdegree is the set of all recursive i.e., using Church’s thesis, solvable sets
of natural numbers. So the phrase ‘degree of unsolvability’ is slightly
misleading: the least such degree is “solvability.” By effectively coding
functions from natural numbers to natural numbers as sets of natural numbers,
we may think of such a function as belonging to a degree: that of its coding
set. Recursion theorists have extended the notions of reducibility and degree
of unsolvability to other domains, e.g. transfinite ordinals and higher types
taken over the natural numbers.
demonstratum: Cf. illatum – In act of communication, Grice’s focus is on
the reasoning on the emissor’s part. This is end-means. The conversational
moves is the most effectively designed move. The potential uptake by the
emissee is also taken into the consideration by the emissor. And actual uptake
is not of philosophical importance. hen Grice tried to conceptualise what
‘communicating’ and ‘smoke means fire’ have in common he came with the idea of
‘consequentia,’ as a dyadic relation that, eventually, will become triadic,
with the missor and the missee brought into the bargain. “Look that smoke,
there must be fire somewhere’ – “By that handwave, he meant that he was about
to leave me.” In any case, Grice’s arriving at ‘consequentia’ is exactly
Hobbes’s idea in “Computatio.’ And ‘con-sequentia’ involves a bit of
‘demonstratio.’ One thing follows the other. One thing YIELDS the other. The
link may be causal (smoke means fire) or ‘communicative’). ‘Rationality’ is one
of those words Austin forbids to use. Grice would venture with ‘reason,’ and
better, ‘reasons’ to make it countable, and good for botanising. Only in the
New World, and when he started to get input from non-philosophers, did Grice
explore ‘rationality’ itself. Oxonians philosophers take it for granted, and do
not have to philosophise about it. Especially those who belong to Grice’s play
group of ‘ordinary-language’ philosophers! Oxonian philosophers will quote from
the Locke version! Obviously, while each of the four lectures credits their own
entry below, it may do to reflect on Grices overall aim. Grice structures the
lectures in the form of a philosophical dialogue with his audience. The
first lecture is intended to provide a bit of linguistic botanising for
reasonable, and rational. In later lectures, Grice tackles reason qua
noun. The remaining lectures are meant to explore what he calls the
Aequi-vocality thesis: must has only one Fregeian that crosses what he calls
the buletic-doxastic divide. He is especially concerned ‒ this being
the Kant lectures ‒ with Kants attempt to reduce the
categorical imperative to a counsel of prudence (Ratschlag der Klugheit), where
Kants prudence is Klugheit, versus skill, as in rule of skill, and even if Kant
defines Klugheit as a skill to attain what is good for oneself ‒
itself divided into privatKlugheit and Weltklugheit. Kant re-introduces the
Aristotelian idea of eudaimonia. While a further lecture on happiness as
the pursuit of a system of ends is NOT strictly part of the either the
Kant or the Locke lectures, it relates, since eudaemonia may be
regarded as the goal involved in the relevant
imperative. “Aspects”, Clarendon, Stanford, The Kant memorial
Lectures, “Aspects,” Clarendon, Some aspects of reason, Stanford; reason,
reasoning, reasons. The lectures were also delivered as the Locke
lectures. Grice is concerned with the reduction of the categorical
imperative to the hypothetical or suppositional imperative. His main
thesis he calls the æqui-vocality thesis: must has one unique or singular
sense, that crosses the buletic-boulomaic/doxastic divide. “Aspects,”
Clarendon, Grice, “Aspects, Clarendon, Locke lecture notes: reason. On
“Aspects”. Including extensive language botany on rational, reasonable, and
indeed reason (justificatory, explanatory, and mixed). At this point,
Grice notes that linguistic botany is indispensable towards the construction of
a more systematic explanatory theory. It is an exploration of a range of
uses of reason that leads him to his Aequi-vocality thesis that must has only
one sense; also ‘Aspects of reason and reasoning,’ in Grice, “Aspects,”
Clarendon, the Locke lectures, the Kant lectures, Stanford, reason,
happiness. While Locke hardly mentions reason, his friend Burthogge does,
and profusely! It was slightly ironic that Grice had delivered these
lectures as the Rationalist Kant lectures at Stanford. He was honoured to
be invited to Oxford. Officially, to be a Locke lecture you have to be
*visiting* Oxford. While Grice was a fellow of St. Johns, he was still
most welcome to give his set of lectures on reasoning at the Sub-Faculty of
Philosophy. He quotes very many authors, including Locke! In his proemium,
Grice notes that while he was rejected the Locke scholarship back in the day,
he was extremely happy to be under Lockes ægis now! When preparing for his
second lecture, he had occasion to revise some earlier drafts dated pretty
early, on reasons, Grice, “Aspects,” Clarendon, reason,
reasons. Linguistic analysis on justificatory, explanatory and mixed uses
of reason. While Grice knows that the basic use of reason is qua verb
(reasoner reasons from premise p to conclusion c), he spends some time in
exploring reason as noun. Grice found it a bit of a roundabout way to
approach rationality. However, his distinction between justificatory and
explanatory reason is built upon his linguistic botany on the use of reason qua
noun. Explanatory reason seems more basic for Grice than justificatory
reason. Explanatory reason explains the behaviour of a rational agent. Grice
is aware of Freud and his rationalizations. An agent may invoke some
reason for his acting which is not legitimate. An agent may convince
himself that he wants to move to Bournemouth because of the weather; when in
fact, his reason to move to Bournemouth is to be closer to Cowes and join the
yacht club there. Grice loved an enthymeme. Grices enthymeme. Grice, the
implicit reasoner! As the title of the lecture implies, Grice takes the verb,
to reason, as conceptually prior. A reasoner reasons, briefly, from a premise
to a conclusion. There are types of reason: flat reason and gradual reason. He
famously reports Shropshire, another tutee with Hardie, and his proof on the
immortality of the human soul. Grice makes some remarks on akrasia as key, too.
The first lecture is then dedicated to an elucidation, and indeed attempt at a
conceptual analysis in terms of intentions and doxastic conditions reasoner R
intends that premise P yields conclusion C and believes his intention will
cause his entertaining of the conclusion from his entertaining the premise. One
example of particular interest for a study of the use of conversational reason
in Grice is that of the connection between implicaturum and reasoning. Grice
entitles the sub-section of the lecture as Too good to be reasoning, which is
of course a joke. Cf. too much love will kill you, and Theres no such thing as
too much of a good thing (Shakespeare, As you like it). Grice notes: I have so
far been considering difficulties which may arise from the attempt to find, for
all cases of actual reasoning, reconstructions of sequences of utterances or
explicit thoughts which the reasoner might plausibly be supposed to think of as
conforming to some set of canonical patterns of inference. Grice then turns to
a different class of examples, with regard to which the problem is not that it
is difficult to know how to connect them with canonical patterns, but rather
that it is only too easy (or shall I say trivial) to make the connection. Like
some children (not many), some cases of reasoning are too well behaved for
their own good. Suppose someone says to Grice, and It is very interesting that
Grice gives conversational examples. Jack has arrived, Grice replies, I
conclude from that that Jack has arrived. Or he says Jack has arrived AND Jill
has *also* arrived, And Grice replies, I conclude that Jill has arrived.(via
Gentzens conjunction-elimination). Or he says, My wife is at home. And Grice
replies, I reason from that that someone (viz. your wife) is at home. Is there
not something very strange about the presence in my three replies of the verb
conclude (in example I and II) and the verb reason (in the third example)?
misleading, but doxastically fine, professor! It is true, of course, that if
instead of my first reply I had said (vii) vii. So Jack has arrived, has he?
the strangeness would have been removed. But here so serves not to indicate
that an inference is being made, but rather as part of a not that otiose way of
expressing surprise. One might just as well have said (viii). viii. Well, fancy
that! Now, having spent a sizeable part of his life exploiting it, Grice is not
unaware of the truly fine distinction between a statements being false (or
axiologically satisfactory), and its being true (or axiologically satisfactory)
but otherwise conversationally or pragmatically misleading or inappropriate or
pointless, and, on that account and by such a fine distinction, a statement, or
an utterance, or conversational move which it would be improper (in terms of
the reasonable/rational principle of conversational helfpulness) in one way or
another, to make. It is worth considering Grices reaction to his own
distinction. Entailment is in sight! But Grice does not find himself lured by
the idea of using that distinction here! Because Moores entailment, rather than
Grices implicaturum is entailed. Or because explicatu, rather than implicaturum
is involved. Suppose, again, that I were to break off the chapter at this
point, and switch suddenly to this argument. ix. I have two hands (here is one
hand and here is another). If had three more hands, I would have five. If I
were to have double that number I would have ten, and if four of them were
removed six would remain. So I would have four more hands than I have now. Is
one happy to describe this performance as reasoning? Depends whos one and whats
happy!? There is, however, little doubt that I have produced a canonically
acceptable chain of statements. So surely that is reasoning, if only
conversationally misleadingly called so. Or suppose that, instead of writing in
my customary free and easy style, I had framed my remarks (or at least the
argumentative portions of my remarks) as a verbal realization, so to speak, of
sequences of steps in strict conformity with the rules of a natural-deduction
system of first-order predicate logic. I give, that is to say, an updated
analogue of a medieval disputation. Implicaturum. Gentzen is Ockham. Would
those brave souls who continued to read be likely to think of my performance as
the production of reasoning, or would they rather think of it as a crazy
formalisation of reasoning conducted at some previous time? Depends on crazy or
formalisation. One is reminded of Grice telling Strawson, If you cannot
formalise, dont say it; Strawson: Oh, no! If I can formalise it, I shant say
it! The points suggested by this stream of rhetorical questions may be
summarized as follows. Whether the samples presented FAIL to achieve the title
of reasoning, and thus be deemed reasoning, or whether the samples achieve the
title, as we may figuratively put it, by the skin of their teeth, perhaps does
not very greatly matter. For whichever way it is, the samples seem to offend
against something (different things in different cases, Im sure) very central
to our conception of reasoning. So central that Moore would call it entailment!
A mechanical application of a ground rule of inference, or a concatenation
thereof, is reluctantly (if at all) called reasoning. Such a mechanical
application may perhaps legitimately enter into (i.e. form individual steps in)
authentic reasonings, but they are not themselves reasonings, nor is a string
of them. There is a demand that a reasoner should be, to a greater or lesser
degree, the author of his reasonings. Parroted sequences are not reasonings
when parroted, though the very same sequences might be reasoning if not
parroted. Ped sequences are another matter. Some of the examples Grice gives
are deficient because they are aimless or pointless. Reasoning is
characteristically addressed to this or that problem: a small problem, a large
problem, a problem within a problem, a clear problem, a hazy problem, a
practical problem, an intellectual problem; but a problem! A mere flow of ideas
minimally qualifies (or can be deemed) as reasoning, even if it happens to be
logically respectable. But if it is directed, or even monitored (with
intervention should it go astray, not only into fallacy or mistake, but also
into such things as conversational irrelevance or otiosity!), that is another
matter! Finicky over-elaboration of intervening steps is frowned upon, and in
extreme cases runs the risk of forfeiting the title of reasoning. In
conversation, such over-elaboration will offend against this or that
conversational maxim, against (presumably) some suitably formulated maxim
conjoining informativeness. As Grice noted with regard to ‘That pillar box
seems red to me.’ That would be baffling if the addressee fails to detect the
communication-point. An utterance is supposed to inform, and what is the above meant
to inform its addressee? In thought, it will be branded as pedantry or neurotic
caution. If a distinction between brooding and conversing is to be made! At
first sight, perhaps, one would have been inclined to say that greater rather
than lesser explicitnessness is a merit. Not that inexplicitness, or implicaturum-status,
as it were ‒ is bad, but that, other things being equal, the more explicitness
the better. But now it looks as if proper explicitness (or explicatum-status)
is an Aristotelian mean, or mesotes, and it would be good some time to enquire
what determines where that mean lies. The burden of the foregoing observations
seems to me to be that the provisional account of reasoning, which has been
before us, leaves out something which is crucially important. What it leaves
out is the conception of reasoning, as I like to see conversation, as a
purposive activity, as something with goals and purposes. The account or
picture leaves out, in short, the connection of reasoning with the will!
Moreover, once we avail ourselves of the great family of additional ideas which
the importation of this conception would give us, we shall be able to deal with
the quandary which I laid before you a few minutes ago. For we could say e.g.
that R reasons (informally) from p to c just in case R thinks that p and
intends that, in thinking c, he should be thinking something which would be the
conclusion of a formally valid argument the premisses of which are a
supplementation of p. This will differ from merely thinking that there exists
some formally valid supplementation of a transition from p to c, which I felt
inclined NOT to count as (or deem) reasoning. I have some hopes that this
appeal to the purposiveness or goal-oriented character of authentic reasoning
or good reasoning might be sufficient to dispose of the quandary on which I
have directed it. But I am by no means entirely confident that this is the
case, and so I offer a second possible method of handling the quandary, one to
which I shall return later when I shall attempt to place it in a larger
context. We have available to us (let us suppose) what I might call a hard way
of making inferential moves. We in fact employ this laborious, step-by-step
procedure at least when we are in difficulties, when the course is not clear,
when we have an awkward (or philosophical) audience, and so forth. An
inferential judgement, however, is a normally desirable undertaking for us only
because of its actual or hoped for destinations, and is therefore not desirable
for its own sake (a respect in which, possibly, it may differ from an inferential
capacity). Following the hard way consumes time and energy. These are in
limited supply and it would, therefore, be desirable if occasions for employing
the hard way were minimized. A substitute for the hard way, the quick way,
which is made possible by habituation and intention, is available to us, and
the capacity for it (which is sometimes called intelligence, and is known to be
variable in degree) is a desirable quality. The possibility of making a good
inferential step (there being one to be made), together with such items as a
particular inferers reputation for inferential ability, may determine whether
on a particular occasion we suppose a particular transition to be inferential
(and so to be a case of reasoning) or not. On this account, it is not essential
that there should be a single supplementation of an informal reasoning which is
supposed to be what is overtly in the inferers mind, though quite often there
may be special reasons for supposing this to be the case. So Botvinnik is
properly credited with a case of reasoning, while Shropshire is not. Drawing
from his recollections of an earlier linguistic botany on reason. Grice
distinguishes between justificatory reason and explanatory reason. There is a
special case of mixed reason, explanatory-cum-justificatory. The lecture can be
seen as the way an exercise that Austin took as taxonomic can lead to
explanatory adequacy, too! Bennett is an excellent correspondent. He holds a
very interesting philosophical correspondence with Hare. This is just one f.
with Grices correspondence with Bennett. Oxford don, Christchurh, NZ-born
Bennett, of Magdalen, B. Phil. Oxon. Bennett has an essay on the interpretation
of a formal system under Austin. It is interesting that Bennett was led to
consider the interpretation of a formal system under Austins Play Group.
Bennett attends Grices seminars. He is my favourite philosopher. Bennett quotes
Grice in his Linguistic behaviour. In return, Grice quotes Bennett in the
Preface toWOW. Bennett has an earlier essay on rationality, which
evidences that the topic is key at Grices Oxford. Bennett has studied better
than anyone the way Locke is Griceian. A word or expression does not just stand
for idea, but for the intention of the utterer to stand for it! Grice also enjoyed
construal by Bennett of Grice as a nominalist. Bennett makes a narrow use of
the epithet. Since Grice does distinguish between an utterance-token (x) and an
utterance-type, and considers that the attribution of meaning from token to
type is metabolic, this makes Grice a nominalist. Bennett is one of the few to
follow Kantotle and make him popular on the pages of the Times Literary
Supplement, of all places. Refs.: The locus classicus is “Aspects,” Clarendon.
But there are allusions on ‘reason’ and ‘rationality, in The H. P. Grice
Papers, BANC.
denotatum -- denotation, the
thing or things that an expression applies to; extension. The term is used in
contrast with ‘meaning’ and ‘connotation’. A pair of expressions may apply to
the same things, i.e., have the same denotation, yet differ in meaning:
‘triangle’, ‘trilateral’; ‘creature with a heart’, ‘creature with a kidney’;
‘bird’, ‘feathered earthling’; ‘present capital of France’, ‘City of Light’. If
a term does not apply to anything, some will call it denotationless, while
others would say that it denotes the empty set. Such terms may differ in
meaning: ‘unicorn’, ‘centaur’, ‘square root of pi’. Expressions may apply to
the same things, yet bring to mind different associations, i.e., have different
connotations: ‘persistent’, ‘stubborn’, ‘pigheaded’; ‘white-collar employee’,
‘office worker’, ‘professional paper-pusher’; ‘Lewis Carroll’, ‘Reverend
Dodgson’. There can be confusion about the denotation-connotation terminology,
because this pair is used to make other contrasts. Sometimes the term
‘connotation’ is used more broadly, so that any difference of either meaning or
association is considered a difference of connotation. Then ‘creature with a
heart’ and ‘creature with a liver’ might be said to denote the same individuals
or sets but to connote different properties. In a second use, denotation is the
semantic value of an expression. Sometimes the denotation of a general term is
said to be a property, rather than the things having the property. This occurs
when the denotation-connotation terminology is used to contrast the property
expressed with the connotation. Thus ‘persistent’ and ‘pig-headed’ might be
said to denote the same property but differ in connotation.
Grice’s
deontic operator
– “The deon is like the Roman ‘necesse,’ Grice was aware of Bentham’s play on
words with deontology -- as a Kantian, Griceian is a deontologist. However, he
refers to the ‘sorry story of deontic logic,’ because of von Wright (from whom
he borrowed but to whom he never returned ‘alethic’) deontic logic, the logic
of obligation and permission. There are three principal types of formal deontic
systems. 1 Standard deontic logic, or SDL, results from adding a pair of
monadic deontic operators O and P, read as “it ought to be that” and “it is
permissible that,” respectively, to the classical propositional calculus. SDL
contains the following axioms: tautologies of propositional logic, OA S - P -
A, OA / - O - A, OA / B / OA / OB, and OT, where T stands for any tautology.
Rules of inference are modus ponens and substitution. See the survey of SDL by
Dagfinn Follesdal and Risto Hilpinin in R. Hilpinin, ed., Deontic Logic, 1. 2
Dyadic deontic logic is obtained by adding a pair of dyadic deontic operators O
/ and P / , to be read as “it ought to
be that . . . , given that . . .” and “it is permissible that . . . , given
that . . . ,” respectively. The SDL monadic operator O is defined as OA S OA/T;
i.e., a statement of absolute obligation OA becomes an obligation conditional
on tautologous conditions. A statement of conditional obligation OA/B is true
provided that some value realized at some B-world where A holds is better than
any value realized at any B-world where A does not hold. This axiological
construal of obligation is typically accompanied by these axioms and rules of
inference: tautologies of propositional logic, modus ponens, and substitution,
PA/C S - O-A/C, OA & B/C S [OA/C & OB/C], OA/C / PA/C, OT/C / OC/C,
OT/C / OT/B 7 C, [OA/B & OA/C] / OA/B 7 C, [PB/B 7 C & OA/B 7 C] /
OA/B, and [P< is the negation of any tautology. See the comparison of
alternative dyadic systems in Lennart Aqvist, Introduction to Deontic Logic and
the Theory of Normative Systems, 7. 3 Two-sorted deontic logic, due to
Castañeda Thinking and Doing, 5, pivotally distinguishes between propositions,
the bearers of truth-values, and practitions, the contents of commands,
imperatives, requests, and such. Deontic operators apply to practitions,
yielding propositions. The deontic operators Oi, Pi, Wi, and li are read as “it
is obligatory i that,” “it is permissible i that,” “it is wrong i that,” and
“it is optional i denotation deontic logic 219
219 that,” respectively, where i stands for any of the various types of
obligation, permission, and so on. Let p stand for indicatives, where these
express propositions; let A and B stand for practitives, understood to express
practitions; and allow p* to stand for both indicatives and practitives. For
deontic definition there are PiA S - Oi - A, WiA S Oi - A, and LiA S - OiA
& - Oi - A. Axioms and rules of inference include p*, if p* has the form of
a truth-table tautology, OiA / - Oi - A, O1A / A, where O1 represents
overriding obligation, modus ponens for both indicatives and practitives, and
the rule that if p & A1 & . . . & An / B is a theorem, so too is p
& OiA1 & . . . & OiAn / OiB.
-- deontic paradoxes, the paradoxes of deontic logic, which typically
arise as follows: a certain set of English sentences about obligation or
permission appears logically consistent, but when these same sentences are
represented in a proposed system of deontic logic the result is a formally
inconsistent set. To illustrate, a formulation is provided below of how two of
these paradoxes beset standard deontic logic. The contrary-to-duty imperative
paradox, made famous by Chisholm Analysis, 3, arises from juxtaposing two
apparent truths: first, some of us sometimes do what we should not do; and
second, when such wrongful doings occur it is obligatory that the best or a
better be made of an unfortunate situation. Consider this scenario. Art and
Bill share an apartment. For no good reason Art develops a strong animosity
toward Bill. One evening Art’s animosity takes over, and he steals Bill’s
valuable lithographs. Art is later found out, apprehended, and brought before
Sue, the duly elected local punishment-and-awards official. An inquiry reveals
that Art is a habitual thief with a history of unremitting parole violation. In
this situation, it seems that 14 are all true and hence mutually consistent: 1
Art steals from Bill. 2 If Art steals from Bill, Sue ought to punish Art for
stealing from Bill. 3 It is obligatory that if Art does not steal from Bill,
Sue does not punish him for stealing from Bill. 4 Art ought not to steal from
Bill. Turning to standard deontic logic, or SDL, let sstand for ‘Art steals
from Bill’ and let p stand for ‘Sue punishes Art for stealing from Bill’. Then
14 are most naturally represented in SDL as follows: 1a s. 2a s / Op. 3a O- s /
- p. 4a O - s. Of these, 1a and 2a entail Op by propositional logic; next,
given the SDL axiom OA / B / OA / OB, 3a implies O - s / O - p; but the latter,
taken in conjunction with 4a, entails O - p by propositional logic. In the
combination of Op, O - p, and the axiom OA / - O - A, of course, we have a
formally inconsistent set. The paradox of the knower, first presented by
Lennart Bqvist Noûs, 7, is generated by these apparent truths: first, some of
us sometimes do what we should not do; and second, there are those who are
obligated to know that such wrongful doings occur. Consider the following
scenario. Jones works as a security guard at a local store. One evening, while
Jones is on duty, Smith, a disgruntled former employee out for revenge, sets
the store on fire just a few yards away from Jones’s work station. Here it
seems that 13 are all true and thus jointly consistent: 1 Smith set the store
on fire while Jones was on duty. 2 If Smith set the store on fire while Jones
was on duty, it is obligatory that Jones knows that Smith set the store on
fire. 3 Smith ought not set the store on fire. Independently, as a consequence
of the concept of knowledge, there is the epistemic theorem that 4 The
statement that Jones knows that Smith set the store on fire entails the
statement that Smith set the store on fire. Next, within SDL 1 and 2 surely
appear to imply: 5 It is obligatory that Jones knows that Smith set the store
on fire. But 4 and 5 together yield 6 Smith ought to set the store on fire,
given the SDL theorem that if A / B is a theorem, so is OA / OB. And therein
resides the paradox: not only does 6 appear false, the conjunction of 6 and 3
is formally inconsistent with the SDL axiom OA / - O - A. The overwhelming
verdict among deontic logicians is that SDL genuinely succumbs to the deontic operator
deontic paradoxes 220 220 deontic
paradoxes. But it is controversial what other approach is best followed to
resolve these puzzles. Two of the most attractive proposals are Castañeda’s
two-sorted system Thinking and Doing, 5, and the agent-and-time relativized
approach of Fred Feldman Philosophical Perspectives, 0.
Grice
on types of priority
-- Grice often uses ‘depend’ – but not clearly in what sense – there’s
ontological dependence, the basic one. dependence, in philosophy, a relation of
one of three main types: epistemic dependence, or dependence in the order of
knowing; conceptual dependence, or dependence in the order of understanding;
and ontological dependence, or dependence in the order of being. When a
relation of dependence runs in one direction only, we have a relation of
priority. For example, if wholes are ontologically dependent on their parts,
but the latter in turn are not ontologically dependent on the former, one may
say that parts are ontologically prior to wholes. The phrase ‘logical priority’
usually refers to priority of one of the three varieties to be discussed here.
Epistemic dependence. To say that the facts in some class B are epistemically
dependent on the facts in some other class A is to say this: one cannot know any
fact in B unless one knows some fact in A that serves as one’s evidence for the
fact in B. For example, it might be held that to know any fact about one’s
physical environment e.g., that there is a fire in the stove, one must know as
evidence some facts about the character of one’s own sensory experience e.g.,
that one is feeling warm and seeing flames. This would be to maintain that
facts about the physical world are epistemically dependent on facts about
sensory experience. If one held in addition that the dependence is not
reciprocal that one can know facts about
one’s sensory experience without knowing as evidence any facts about the
physical world one would be maintaining
that the former facts are epistemically prior to the latter facts. Other plausible
though sometimes disputed examples of epistemic priority are the following:
facts about the behavior of others are epistemically prior to facts about their
mental states; facts about observable objects are epistemically prior to facts
about the invisible particles postulated by physics; and singular facts e.g.,
this crow is black are epistemically prior to general facts e.g., all crows are
black. Is there a class of facts on which all others epistemically depend and
that depend on no further facts in turn
a bottom story in the edifice of knowledge? Some foundationalists say
yes, positing a level of basic or foundational facts that are epistemically
prior to all others. Empiricists are usually foundationalists who maintain that
the basic level consists of facts about immediate sensory experience.
Coherentists deny the need for a privileged stratum of facts to ground the
knowledge of all others; in effect, they deny that any facts are epistemically
prior to any others. Instead, all facts are on a par, and each is known in
virtue of the way in which it fits in with all the rest. Sometimes it appears
that two propositions or classes of them each epistemically depend on the other
in a vicious way to know A, you must first
know B, and to know B, you must first know A. Whenever this is genuinely the
case, we are in a skeptical predicament and cannot know either proposition. For
example, Descartes believed that he could not be assured of the reliability of
his own cognitions until he knew that God exists and is not a deceiver; yet how
could he ever come to know anything about God except by relying on his own
cognitions? This is the famous problem of the Cartesian circle. Another example
is the problem of induction as set forth by Hume: to know that induction is a legitimate
mode of inference, one would first have to know that the future will resemble
the past; but since the latter fact is establishable only by induction, one
could know it only if one already knew that induction is legitimate. Solutions
to these problems must show that contrary to first appearances, there is a way
of knowing one of the problematic propositions independently of the other.
Conceptual dependence. To say that B’s are conceptually dependent on A’s means
that to understand what a B is, you must understand what an A is, or that the
concept of a B can be explained or understood only through the concept of an A.
For example, it could plausibly be claimed that the concept uncle can be
understood only in terms of the concept male. Empiricists typically maintain
that we understand what an external thing like a tree or a table is only by
knowing what experiences it would induce in us, so that the concepts we apply
to physical things depend on the concepts we apply to our experideontological
ethics dependence 221 221 ences. They
typically also maintain that this dependence is not reciprocal, so that
experiential concepts are conceptually prior to physical concepts. Some
empiricists argue from the thesis of conceptual priority just cited to the corresponding
thesis of epistemic priority that facts
about experiences are epistemically prior to facts about external objects.
Turning the tables, some foes of empiricism maintain that the conceptual
priority is the other way about: that we can describe and understand what kind
of experience we are undergoing only by specifying what kind of object
typically causes it “it’s a smell like that of pine mulch”. Sometimes they
offer this as a reason for denying that facts about experiences are
epistemically prior to facts about physical objects. Both sides in this dispute
assume that a relation of conceptual priority in one direction excludes a
relation of epistemic priority in the opposite direction. But why couldn’t it
be the case both that facts about experiences are epistemically prior to facts
about physical objects and that concepts of physical objects are conceptually
prior to concepts of experiences? How the various kinds of priority and
dependence are connected e.g., whether conceptual priority implies epistemic
priority is a matter in need of further study. Ontological dependence. To say
that entities of one sort the B’s are ontologically dependent on entities of
another sort the A’s means this: no B can exist unless some A exists; i.e., it
is logically or metaphysically necessary that if any B exists, some A also
exists. Ontological dependence may be either specific the existence of any B
depending on the existence of a particular A or generic the existence of any B
depending merely on the existence of some A or other. If B’s are ontologically
dependent on A’s, but not conversely, we may say that A’s are ontologically
prior to B’s. The traditional notion of substance is often defined in terms of
ontological priority substances can
exist without other things, as Aristotle said, but the others cannot exist
without them. Leibniz believed that composite entities are ontologically
dependent on simple i.e., partless entities
that any composite object exists only because it has certain simple
elements that are arranged in a certain way. Berkeley, J. S. Mill, and other
phenomenalists have believed that physical objects are ontologically dependent
on sensory experiences that the
existence of a table or a tree consists in the occurrence of sensory
experiences in certain orderly patterns. Spinoza believed that all finite
beings are ontologically dependent on God and that God is ontologically
dependent on nothing further; thus God, being ontologically prior to everything
else, is in Spinoza’s view the only substance. Sometimes there are disputes
about the direction in which a relationship of ontological priority runs. Some
philosophers hold that extensionless points are prior to extended solids,
others that solids are prior to points; some say that things are prior to events,
others that events are prior to things. In the face of such disagreement, still
other philosophers such as Goodman have suggested that nothing is inherently or
absolutely prior to anything else: A’s may be prior to B’s in one conceptual
scheme, B’s to A’s in another, and there may be no saying which scheme is
correct. Whether relationships of priority hold absolutely or only relative to
conceptual schemes is one issue dividing realists and anti-realists.
de re: as opposed to de dicto, of what is said or of the
proposition, as opposed to de re, of the thing. Many philosophers believe the
following ambiguous, depending on whether they are interpreted de dicto or de
re: 1 It is possible that the number of U.S. states is even. 2 Galileo believes
that the earth moves. Assume for illustrative purposes that there are
propositions and properties. If 1 is interpreted as de dicto, it asserts that
the proposition that the number of U.S. states is even is a possible truth something true, since there are in fact fifty
states. If 1 is interpreted as de re, it asserts that the actual number of
states fifty has the property of being possibly even something essentialism takes to be true.
Similarly for 2; it may mean that Galileo’s belief has a certain content that the earth moves or that Galileo believes, of the earth, that
it moves. More recently, largely due to Castañeda and John Perry, many
philosophers have come to believe in de se “of oneself” ascriptions, distinct
from de dicto and de re. Suppose, while drinking with others, I notice that
someone is spilling beer. Later I come to realize that it is I. I believed at
the outset that someone was spilling beer, but didn’t believe that I was. Once
I did, I straightened my glass. The distinction between de se and de dicto
attributions is supposed to be supported by the fact that while de dicto
propositions must be either true or false, there is no true proposition
embeddable within ‘I believe that . . .’ that correctly ascribes to me the
belief that I myself am spilling beer. The sentence ‘I am spilling beer’ will
not do, because it employs an “essential” indexical, ‘I’. Were I, e.g., to
designate myself other than by using ‘I’ in attributing the relevant belief to
myself, there would be no explanation of my straightening my glass. Even if I
believed de re that LePore is spilling beer, this still does not account for
why I lift my glass. For I might not know I am LePore. On the basis of such
data, some philosophers infer that de se attributions are irreducible to de re
or de dicto attributions. Internal-external
distinction – de re -- externalism, the view that there are objective reasons
for action that are not dependent on the agent’s desires, and in that sense
external to the agent. Internalism about reasons is the view that reasons for
action must be internal in the sense that they are grounded in motivational
facts about the agent, e.g. her desires and goals. Classic internalists such as
Hume deny that there are objective reasons for action. For instance, whether the
fact that an action would promote health is a reason to do it depends on
whether one has a desire to be healthy. It may be a reason for some and not for
others. The doctrine is hence a version of relativism; a fact is a reason only
insofar as it is so connected to an agent’s psychological states that it can
motivate the agent. By contrast, externalists hold that not all reasons depend
on the internal states of particular agents. Thus an externalist could hold
that promoting health is objectively good and that the fact that an action
would promote one’s health is a reason to perform it regardless of whether one
desires health. This dispute is closely tied to the debate over motivational
internalism, which may be conceived as the view that moral beliefs for instance
are, by virtue of entailing motivation, internal reasons for action. Those who
reject motivational internalism must either deny that expressive completeness
externalism 300 300 sound moral beliefs
always provide reasons for action or hold that they provide external reasons.
DE-VOLVTVM
-- In-volutum, ex-volutum – de-volutum -- The involutum/evolutum distinction,
the: evolutum:
evolutionary Grice -- Darwinism, the view that biological species evolve
primarily by means of chance variation and natural selection. Although several
important scientists prior to Charles Darwin 180982 had suggested that species
evolve and had provided mechanisms for that evolution, Darwin was the first to
set out his mechanism in sufficient detail and provide adequate empirical
grounding. Even though Darwin preferred to talk about descent with
modification, the term that rapidly came to characterize his theory was
evolution. According to Darwin, organisms vary with respect to their
characteristics. In a litter of puppies, some will be bigger, some will have
longer hair, some will be more resistant to disease, etc. Darwin termed these
variations chance, not because he thought that they were in any sense
“uncaused,” but to reject any general correlation between the variations that
an organism might need and those it gets, as Lamarck had proposed. Instead,
successive generations of organisms become adapted to their environments in a
more roundabout way. Variations occur in all directions. The organisms that
happen to possess the characteristics necessary to survive and reproduce
proliferate. Those that do not either die or leave fewer offspring. Before
Darwin, an adaptation was any trait that fits an organism to its environment.
After Darwin, the term came to be limited to just those useful traits that
arose through natural selection. For example, the sutures in the skulls of
mammals make parturition easier, but they are not adaptations in an
evolutionary sense because Danto, Arthur Coleman Darwinism 204 204 they arose in ancestors that did not
give birth to live young, as is indicated by these same sutures appearing in
the skulls of egg-laying birds. Because organisms are integrated systems,
Darwin thought that adaptations had to arise through the accumulation of
numerous, small variations. As a result, evolution is gradual. Darwin himself
was unsure about how progressive biological evolution is. Organisms certainly
become better adapted to their environments through successive generations, but
as fast as organisms adapt to their environments, their environments are likely
to change. Thus, Darwinian evolution may be goal-directed, but different
species pursue different goals, and these goals keep changing. Because heredity
was so important to his theory of evolution, Darwin supplemented it with a
theory of heredity pangenesis. According
to this theory, the cells throughout the body of an organism produce numerous
tiny gemmules that find their way to the reproductive organs of the organism to
be transmitted in reproduction. An offspring receives variable numbers of
gemmules from each of its parents for each of its characteristics. For
instance, the male parent might contribute 214 gemmules for length of hair to
one offspring, 121 to another, etc., while the female parent might contribute
54 gemmules for length of hair to the first offspring and 89 to the second. As
a result, characters tend to blend. Darwin even thought that gemmules
themselves might merge, but he did not think that the merging of gemmules was
an important factor in the blending of characters. Numerous objections were
raised to Darwin’s theory in his day, and one of the most telling stemmed from
his adopting a blending theory of inheritance. As fast as natural selection
biases evolution in a particular direction, blending inheritance neutralizes
its effects. Darwin’s opponents argued that each species had its own range of
variation. Natural selection might bias the organisms belonging to a species in
a particular direction, but as a species approached its limits of variation,
additional change would become more difficult. Some special mechanism was
needed to leap over the deep, though possibly narrow, chasms that separate
species. Because a belief in biological evolution became widespread within a
decade or so after the publication of Darwin’s Origin of Species in 1859, the
tendency is to think that it was Darwin’s view of evolution that became
popular. Nothing could be further from the truth. Darwin’s contemporaries found
his theory too materialistic and haphazard because no supernatural or
teleological force influenced evolutionary development. Darwin’s contemporaries
were willing to accept evolution, but not the sort advocated by Darwin.
Although Darwin viewed the evolution of species on the model of individual development,
he did not think that it was directed by some internal force or induced in a
Lamarckian fashion by the environment. Most Darwinians adopted just such a
position. They also argued that species arise in the space of a single
generation so that the boundaries between species remained as discrete as the
creationists had maintained. Ideal morphologists even eliminated any genuine
temporal dimension to evolution. Instead they viewed the evolution of species
in the same atemporal way that mathematicians view the transformation of an
ellipse into a circle. The revolution that Darwin instigated was in most
respects non-Darwinian. By the turn of the century, Darwinism had gone into a
decided eclipse. Darwin himself remained fairly open with respect to the mechanisms
of evolution. For example, he was willing to accept a minor role for Lamarckian
forms of inheritance, and he acknowledged that on occasion a new species might
arise quite rapidly on the model of the Ancon sheep. Several of his followers
were less flexible, rejecting all forms of Lamarckian inheritance and insisting
that evolutionary change is always gradual. Eventually Darwinism became
identified with the views of these neo-Darwinians. Thus, when Mendelian
genetics burst on the scene at the turn of the century, opponents of Darwinism
interpreted this new particulate theory of inheritance as being incompatible
with Darwin’s blending theory. The difference between Darwin’s theory of
pangenesis and Mendelian genetics, however, did not concern the existence of
hereditary particles. Gemmules were as particulate as genes. The difference lay
in numbers. According to early Mendelians, each character is controlled by a
single pair of genes. Instead of receiving a variable number of gemmules from
each parent for each character, each offspring gets a single gene from each
parent, and these genes do not in any sense blend with each other. Blue eyes
remain as blue as ever from generation to generation, even when the gene for
blue eyes resides opposite the gene for brown eyes. As the nature of heredity
was gradually worked out, biologists began to realize that a Darwinian view of
evolution could be combined with Mendelian genetics. Initially, the founders of
this later stage in the development of neoDarwinism exhibited considerable
variation in Darwinism Darwinism 205
205 their beliefs about the evolutionary process, but as they strove to
produce a single, synthetic theory, they tended to become more Darwinian than
Darwin had been. Although they acknowledged that other factors, such as the
effects of small numbers, might influence evolution, they emphasized that
natural selection is the sole directive force in evolution. It alone could
explain the complex adaptations exhibited by organisms. New species might arise
through the isolation of a few founder organisms, but from a populational
perspective, evolution was still gradual. New species do not arise in the space
of a single generation by means of “hopeful monsters” or any other
developmental means. Nor was evolution in any sense directional or progressive.
Certain lineages might become more complex for a while, but at this same time,
others would become simpler. Because biological evolution is so opportunistic,
the tree of life is highly irregular. But the united front presented by the
neo-Darwinians was in part an illusion. Differences of opinion persisted, for
instance over how heterogeneous species should be. No sooner did neo-Darwinism
become the dominant view among evolutionary biologists than voices of dissent
were raised. Currently, almost every aspect of the neo-Darwinian paradigm is
being challenged. No one proposes to reject naturalism, but those who view
themselves as opponents of neo-Darwinism urge more important roles for factors
treated as only minor by the neo-Darwinians. For example, neoDarwinians view
selection as being extremely sharp-sighted. Any inferior organism, no matter
how slightly inferior, is sure to be eliminated. Nearly all variations are
deleterious. Currently evolutionists, even those who consider themselves
Darwinians, acknowledge that a high percentage of changes at the molecular
level may be neutral with respect to survival or reproduction. On current
estimates, over 95 percent of an organism’s genes may have no function at all.
Disagreement also exists about the level of organization at which selection can
operate. Some evolutionary biologists insist that selection occurs primarily at
the level of single genes, while others think that it can have effects at
higher levels of organization, certainly at the organismic level, possibly at
the level of entire species. Some biologists emphasize the effects of
developmental constraints on the evolutionary process, while others have
discovered unexpected mechanisms such as molecular drive. How much of this
conceptual variation will become incorporated into Darwinism remains to be
seen. Evolutionary griceianism --
evolutionary epistemology, a theory of knowledge inspired by and derived from
the fact and processes of organic evolution the term was coined by the social
psychologist Donald Campbell. Most evolutionary epistemologists subscribe to
the theory of evolution through natural selection, as presented by Darwin in
the Origin of Species 1859. However, one does find variants, especially one based
on some kind of neoLamarckism, where the inheritance of acquired characters is
central Spencer endorsed this view and another based on some kind of jerky or
“saltationary” evolutionism Thomas Kuhn, at the end of The Structure of
Scientific Revolutions, accepts this idea. There are two approaches to
evolutionary epistemology. First, one can think of the transformation of
organisms and the processes driving such change as an analogy for the growth of
knowledge, particularly scientific knowledge. “Darwin’s bulldog,” T. H. Huxley,
was one of the first to propose this idea. He argued that just as between
organisms we have a struggle for existence, leading to the selection of the
fittest, so between scientific ideas we have a struggle leading to a selection
of the fittest. Notable exponents of this view today include Stephen Toulmin,
who has worked through the analogy in some detail, and David Hull, who brings a
sensitive sociological perspective to bear on the position. Karl Popper
identifies with this form of evolutionary epistemology, arguing that the
selection of ideas is his view of science as bold conjecture and rigorous
attempt at refutation by another name. The problem with this analogical type of
evolutionary epistemology lies in the disanalogy between the raw variants of
biology mutations, which are random, and the raw variants of science new
hypotheses, which are very rarely random. This difference probably accounts for
the fact that whereas Darwinian evolution is not genuinely progressive, science
is or seems to be the paradigm of a progressive enterprise. Because of this
problem, a second set of epistemologists inspired by evolution insist that one
must take the biology literally. This evidence of the senses evolutionary
epistemology 294 294 group, which
includes Darwin, who speculated in this way even in his earliest notebooks,
claims that evolution predisposes us to think in certain fixed adaptive
patterns. The laws of logic, e.g., as well as mathematics and the
methodological dictates of science, have their foundations in the fact that
those of our would-be ancestors who took them seriously survived and
reproduced, and those that did not did not. No one claims that we have innate
knowledge of the kind demolished by Locke. Rather, our thinking is channeled in
certain directions by our biology. In an update of the biogenetic law,
therefore, one might say that whereas a claim like 5 ! 7 % 12 is
phylogenetically a posteriori, it is ontogenetically a priori. A major division
in this school is between the continental evolutionists, most notably the late
Konrad Lorenz, and the Anglo-Saxon supporters, e.g. Michael Ruse. The former
think that their evolutionary epistemology simply updates the critical
philosophy of Kant, and that biology both explains the necessity of the
synthetic a priori and makes reasonable belief in the thing-in-itself. The
latter deny that one can ever get that necessity, certainly not from biology,
or that evolution makes reasonable a belief in an objectively real world,
independent of our knowing. Historically, these epistemologists look to Hume
and in some respects to the pragmatists,
especially William James. Today, they acknowledge a strong family resemblance
to such naturalized epistemologists as Quine, who has endorsed a kind of evolutionary
epistemology. Critics of this position, e.g. Philip Kitcher, usually strike at
what they see as the soft scientific underbelly. They argue that the belief
that the mind is constructed according to various innate adaptive channels is
without warrant. It is but one more manifestation of today’s Darwinians
illicitly seeing adaptation everywhere. It is better and more reasonable to
think knowledge is rooted in culture, if it is person-dependent at all. A mark
of a good philosophy, like a good science, is that it opens up new avenues for
research. Although evolutionary epistemology is not favored by conventional
philosophers, who sneer at the crudities of its frequently nonphilosophically
trained proselytizers, its supporters feel convinced that they are contributing
to a forward-moving philosophical research program. As evolutionists, they are
used to things taking time to succeed. -- evolutionary psychology, the subfield
of psychology that explains human behavior and cultural arrangements by
employing evolutionary biology and cognitive psychology to discover, catalog,
and analyze psychological mechanisms. Human minds allegedly possess many
innate, special-purpose, domain-specific psychological mechanisms modules whose
development requires minimal input and whose operations are context-sensitive,
mostly automatic, and independent of one another and of general intelligence.
Disagreements persist about the functional isolation and innateness of these
modules. Some evolutionary psychologists compare the mind with its specialized modules to a Swiss army knife. Different modules
substantially constrain behavior and cognition associated with language,
sociality, face recognition, and so on. Evolutionary psychologists emphasize
that psychological phenomena reflect the influence of biological evolution.
These modules and associated behavior patterns assumed their forms during the
Pleistocene. An evolutionary perspective identifies adaptive problems and
features of the Pleistocene environment that constrained possible solutions.
Adaptive problems often have cognitive dimensions. For example, an evolutionary
imperative to aid kin presumes the ability to detect kin. Evolutionary
psychologists propose models to meet the requisite cognitive demands. Plausible
models should produce adaptive behaviors and avoid maladaptive ones e.g., generating too many false positives
when identifying kin. Experimental psychological evidence and social scientific
field observations aid assessment of these proposals. These modules have changed
little. Modern humans manage with primitive hunter-gatherers’ cognitive
equipment amid the rapid cultural change that equipment produces. The pace of
that change outstrips the ability of biological evolution to keep up.
Evolutionary psychologists hold, consequently, that: 1 contrary to
sociobiology, which appeals to biological evolution directly, exclusively
evolutionary explanations of human behavior will not suffice; 2 contrary to
theories of cultural evolution, which appeal to biological evolution
analogically, it is at least possible that no cultural arrangement has ever
been adaptive; and 3 contrary to social scientists, who appeal to some general
conception of learning or socialization to explain cultural transmission,
specialized psychological evolutionary ethics evolutionary psychology 295 295 mechanisms contribute substantially to
that process.
descriptum: Grice: “The root
script provides many niceties in Roman: inscriptum, descriptum, prescriptum,
subscriptum, … -- descriptivism, the thesis that the meaning of any evaluative
statement is purely descriptive or factual, i.e., determined, apart from its
syntactical features, entirely by its truth conditions. Nondescriptivism of
which emotivism and prescriptivism are the main varieties is the view that the
meaning of full-blooded evaluative statements is such that they necessarily
express the speaker’s sentiments or commitments. Nonnaturalism, naturalism, and
supernaturalism are descriptivist views about the nature of the properties to
which the meaning rules refer. Descriptivism is related to cognitivism and
moral realism. Discussed at large by
Grice just because his tutee, P. F. Strawson, showed an interst in it. theory
of descriptions, an analysis, initially developed by Peano, and borrowed from
(but never returned to) Peano by Russell, of sentences containing descriptions.
In Peano’s view, it’s about the ‘article,’ definite (‘the’) and ‘indefinite’
(‘some (at least one).’ Descriptions include indefinite descriptions such as
‘an elephant’ and definite descriptions such as ‘the positive square root of
four’. On Russell’s analysis, descriptions are “incomplete symbols” that are
meaningful only in the context of other symbols, i.e., only in the context of
the sentences containing them. Although the words ‘the first president of the
United States’ appear to constitute a singular term that picks out a particular
individual, much as the name ‘George Washington’ does, Russell held that
descriptions are not referring expressions, and that they are “analyzed out” in
a proper specification of the logical form of the sentences in which they
occur. The grammatical form of ‘The first president of the United States is
tall’ is simply misleading as to its logical form. According to Russell’s
analysis of indefinite descriptions, the sentence ‘I saw a man’ asserts that
there is at least one thing that is a man, and I saw that thing symbolically, Ex Mx & Sx. The role of the
apparent singular term ‘a man’ is taken over by the existential quantifier ‘Ex’
and the variables it binds, and the apparent singular term disappears on
analysis. A sentence containing a definite description, such as ‘The present
king of France is bald’, is taken to make three claims: that at least one thing
is a present king of France, that at most one thing is a present king of
France, and that that thing is bald
symbolically, Ex {[Fx & y Fy / y % x] & Bx}. Again, the apparent
referring expression ‘the present king of France’ is analyzed away, with its
role carried out by the quantifiers and variables in the symbolic
representation of the logical form of the sentence in which it occurs. No
element in that representation is a singular referring expression. Russell held
that this analysis solves at least three difficult puzzles posed by descriptions.
The first is how it could be true that George IV wished to know whether Scott
was the author of Waverly, but false that George IV wished to know whether
Scott was Scott. Since Scott is the author of Waverly, we should apparently be
able to substitute ‘Scott’ for ‘the author of Waverly’ and infer the second
sentence from the first, but we cannot. On Russell’s analysis, ‘George IV
wished to know whether Scott was the author of Waverly’ does not, when properly
understood, contain an expression ‘the author of Waverly’ for which the name
‘Scott’ can be substituted. The second puzzle concerns the law of excluded
middle, which rules that either ‘The present king of France is bald’ or ‘The
present king of France is not bald’ must be true; the problem is that neither
the list of bald men nor that of non-bald men contains an entry for the present
king of France. Russell’s solution is that ‘The present king of France is not
bald’ is indeed true if it is understood as ‘It is not the case that there is
exactly one thing that is now King of France and is bald’, i.e., as -Ex {Fx
& y {[Fy / y % x] & Bx}. The final puzzle is how ‘There is no present
king of France’ or ‘The present king of France does not exist’ can be true if ‘the present king of France’ is a referring
expression that picks out something, how can we truly deny that that thing
exists? Since descriptions are not referring expressions on Russell’s theory,
it is easy for him to show that the negation of the claim that there is at
least and at most i.e., exactly one present king of France, -Ex [Fx & y Fy
/ y % x], is true. Strawson offered the first real challenge to Russell’s
theory, arguing that ‘The present king of France is bald’ does not entail but
instead presupposes ‘There is a present king of France’, so that the former is
not falsified by the falsity of the latter, but is instead deprived of a
truth-value. Strawson argued for the natural view that definite descriptions
are indeed referring expressions, used to single something out for predication.
More recently, Keith Donnellan argued that both Russell and Strawson ignored
the fact that definite descriptions have two uses. Used attributively, a
definite description is intended to say something about whatever it is true of,
and when a sentence is so used it conforms to Russell’s analysis. Used
referentially, a definite description is intended to single something out, but
may not correctly describe it. For example, seeing an inebriated man in a
policeman’s uniform, one might say, “The cop on the corner is drunk!” Donnellan
would say that even if the person were a drunken actor dressed as a policeman,
the speaker would have referred to him and truly said of him that he was drunk.
If it is for some reason crucial that the description be correct, as it might
be if one said, “The cop on the corner has the authority to issue speeding
tickets,” the use is attributive; and because ‘the cop on the corner’ does not
describe anyone correctly, no one has been said to have the authority to issue
speeding tickets. Donnellan criticized Russell for overlooking referential uses
of theory of descriptions theory of descriptions 914 914 descriptions, and Strawson for both
failing to acknowledge attributive uses and maintaining that with referential
uses one can refer to something with a definite description only if the
description is true of it. Discussion of Strawson’s and Donnellan’s criticisms
is ongoing, and has provoked very useful work in both semantics and speech act
theory, and on the distinctions between semantics and pragmatics and between
semantic reference and speaker’s reference, among others. .
de sensu implicaturum: vide casus obliquus. The casus rectus/casus obliquus
distinction. Peter Abelard, Kneale, Grice, Aristotle. Aquinas. de sensu implicaturum.
Ariskantian quessertions on de sensu implicate. “My sometimes mischievous friend Richard Grandy once
said, in connection with some other occasion on which I was talking, that to
represent my remarks, it would be necessary to introduce a new form of
speech act, or a new operator, which was to be called the operator of
quessertion. It is to be read as “It is perhaps possible that someone might
assert that . . .” and is to be symbolized “?├”; possibly it
might even be iterable […]. Everything I shall
suggest here is highly quessertable.” Grice 1989:297. If Grice had one thing, he had linguistic creativity.
Witness his ‘implicaturum,’ and his ‘implicaturum,’ not to mention his
‘pirotologia.’Sometime, somewhere, in the history of philosophy, a need was
felt by some Griceian philosopher, surely, for numbering intentions. The verb,
denoting the activity, out of which this ‘intention’ sprang was Latin
‘intendere,’ and somewhere, sometime, the need was felt to keep the Latinate
/t/ sound, and sometimes to make it sibilate, /s/. The source of it all seems to be Aristotle in
Soph.
Elen., 166a24–166a30, which was rendered twice om Grecian to Latin. In the
second Latinisation, ‘de sensu’ comes into view. Abelard proposes to use ‘de
rebus,’ or ‘de re,’ for what the previous translation had as ‘per divisionem.’
To make the distinction, he also proposes to use ‘de sensu’ for what the
previous translation has as ‘per compositionem,’ and ‘per conjunctionem.’ But
what did either mean? It was a subtle question, indeed. And trust Nicolai
Hartmann, in his mediaevalist revival, to add numbers and a further
distinction, now the ‘recte/’oblique’ distinction, and ‘intentio’ being
‘prima,’ ‘seconda,’ ‘tertia,’ and so on, ad infinitum. The proposal is clear.
We need a way to conceptualise first-order propositions. But we also need to
conceptualise ‘that’-clauses. The ‘that’-clause subordination is indeed
open-ended. ‘mean.’ Grice’s motivation in the presentation at the Oxford
Philosophical Society is to offer, as he calls it, a ‘proposal.’ In his words,
notice the emphasis on the Latinate ‘intend,’ – where it occurs, as applied to
an emissor, and as having as content, following that ‘that’-clause, an
‘intensional’ verb like ‘believe,’ which again, involves an ‘intentio tertia,’
now referring to a state back in the emissor expressed by yet another
intensional verb – all long for, ‘you communicate that p if you want your
addressee to realise that you hold this or that propositional attitude with
content p.’ "A meantNN something by x" is
(roughly) equivalent to "A intended the utterance of x to produce some
effect in an audience by means of the recognition of this intention"; and
we may add that to ask what A meant is to ask for a specification of the
intended effect (though, of course, it may not always be possible to get a
straight answer involving a "that" clause, for example, "a
belief that . . ."). (Grice 1989: 220). Grice’s motivation is to ‘reduce’ “mean”
to what has come to be known in the Griceian [sic] literature as a ‘Griceian’
[sic] ‘reflexive’ intention – he prefers M-intention -- which we will read as
involving an intentio seconda, and indeed intentio tertia, and beyond, which
makes its appearance explicitly in the second clause -- or ‘prong,’ as he’d
prefer -- of his ‘reductive’ analysis. Prong 1 then corresponds to the
intention prima or intention recta: Utterer U intends1 that
Addressee A believes that Utterer U holds psychological state or attitude ψ
with content “p.” Prong 2 corresponds to the intentio seconda or
intentio obliqua: Utterer
U intends2 that Addressee A believes (i) on the ‘rational,’ and not
just ‘causal,’ basis of (ii), i.e. of the addressee A’s recognition of the
utterer U’s intentio seconda or intentio obliqua i2, that Addressee
A comes to believe that Utterer U holds psychological state or attitude ψ with
content “p.” In Grice’s wording, “i2” acts as a ‘reason,’ and not
merely a ‘cause’ for Addressee A’s coming to believe that U holds psychological
state or attitude ψ with content “p”. Kemmerling has used “↝” to represent this
‘reason’ (i1 ↝ i2,
Kemmerling in Grandy/Warner, 1986, cf. Petrus in Petrus 2010). Prong 3 is a
closure prong, now involving a self-reflective third-order intention, there is
no ‘covert’ higher-order intention involved in (i)-(iii). Meaning-constitutive
intentions in utterer u’s meaning that p should be out there ‘in the open,’ or
‘above board,’ to count as having been ‘communicated.Grice quotes only one
author in ‘Meaning’: C. L. Stevenson, who started his career with a degree in
English from Yale. Willing to allow a ‘metabolical’ use of ‘mean’ he
recognises, he scare quotes it: “There is a
sense, to be sure, in which a groan “means“ something, just a reduced
temperature may at times ”mean” convalescence.” Stevenson 1944:38). This
remark will have Grice later attempting an ‘evolutionary’ model of how an ‘x’
causing ‘y’ may proceed from ‘natural’ to less natural ones. Consider ‘is in
pain.’ A creature is physically hurt, and the expression of pain comes up
naturally as an effect. But if the creature attains rational control over his
expressive behaviour, and the creature is in pain (or expects his addressee A
to think that he is in pain), U can now imitate or replicate, in a something
like a Peirceian iconic mode, the natural behaviour manifested by a spontaneous
response to a hurtful stimulus. The ‘simulated’ pain will be an ‘icon’ of the
natural pain. Grice is getting Peirceian by the day, and he is not telling us!
There are, Grice says, as if to simplify Peirce the most he can, two modes of
representation. The primary one is now the explicitly Peirceian iconic one. The
‘risus naturaliter significat interiorem laetitiam’ of Occam. And then, there’s
the derivative *non*-iconic representation, in that order. The first is, shall
we say, ‘natural,’ and beyond the utterer U’s voluntary control (cf. Darwin on
the expression of emotions in man and animals); the second is not. Grice is
allowing for smoke representing fire, or if one must, alla Stevenson,
‘representing’ it. In Grice’s motivation to along the right lines, his
psychologist austere views of his 1948 ‘Meaning,’ when he rather artificially
disjoins a ‘natural’ “mean” and an ‘artificial’ “mean,” when merely different
‘uses’ stand for what he then thought were senses, he wants now to re-introduce
into philosophical discourse the iconic natural representation or meaning that
he had left aside.If this is part of what he calls a ‘myth,’ even if an
evolutionary one, to account for the emergence of ‘systems of communication,’
it does starts with an utterer U expressing (very much alla Croce or Marty) a
psychological state or attitude ψ by displaying some behavioural pattern in an
unintentional way. Grice is being Wittgensteinian here, and quotes almost
verbatim from Anscombe’s rendition, “No psychological concept except when
backed in behaviour that manifests it.”
If Ockham notes that “Risus naturaliter significat interiorem
laetitiam,” Grice shows this will allow to avoid, also alla Ockham, a polysemy
to ‘mean.’In Grice’s three clauses in his 1948 conceptual analysis of ‘meaning’
– the first clause of exhibitiveness, the second clause of intentio seconda or
reflexivity, and the third clause of communicative overtness, voluntary control
on the part of the utterer U is already in order. Since the utterer’s addressee
A is intended to recognise this, no longer is it required any prior ‘iconic’
association between a simulated behaviour and the behaviour naturally displayed
as a response to a stimulus. This amounts, for Grice to deeming the system of
expression as having become a full system now of intention-based
‘communication.’‘know’’ Intentio seconda or intentio obliqua comes up nicely
when Grice delivers the third William James Lecture, later reprinted as
“Further notes on logic and conversation.” There, Grice targets one type of
anti-Gettier scenario for the use of a factive psychological state or attitude
expressed by a verb like “know,” again followed by a “that”-clause. Grice is
criticisign Austin’s hasty attempt to analyse ‘know’ in terms of the
‘performatory’ ‘guarantee.’ As Grice puts it in “Prolegomena,” “to say ‘I know’
is to give a guarantee.” (Grice 1989:9) which can be traced back to Austin,
although since, as Grice witnessed it, Austin ‘all too frequently ignored’ the
real of emissor’s communicatum, one is never sure. In any case, Grice wants to overcome this
‘performatory’ fallacy, and he expands on the ‘suspect’ example of the
Prolegomena in the Third lecture. Grice’s troubles with ‘know’ were long-dated.
In Causal Theory he lists as the third philosophical mistake, “What is known by
me to be the case is not also believed by me to be the case.” (1989: 237).
Uncredited, but he may be having in mind Ryle’s odd characterisations with
terms such as ‘occurrence,’ ‘episode,’ and so on. In the section on ‘stress,’ Grice asks us to
assume that Grice knows that p. The question is whether this claim commits the
philosopher to the further clause, ‘Grice knows that Grice knows that p, and so
on, … to use the scholastic term we started this with, ad infinitum. It is not
that Grice is adverse to a regressive analysis per se. This is, in effect, with
what the third clause or prong in his analysis of ‘meaning’ does – ‘let all
meaning-constitutive intentions be overt, including this one. Indeed, when it comes to meaning or knowing,
we are talking optimal, we are talking ‘virtue.’ Both ‘meaning,’
‘communicating, ‘and ‘knowing,’ represent an ‘ideal,’ value-paradeigmatic
concept – where value, a favourite with Hartmann, appears under the guise of a
noumenon in the topos ouranos that only realises imperfectly in the sub-lunary
world. In the third William James lecture Grice cursorily dismisses these
demanding or restrictive anti-Gettier scenarios as too stipulatory for the
colloquial, ordinary, use – and thus ‘sense’ -- of ‘know.’ The approach Gettier
is cricising ends up being too convoluted, seeing that conversationalists tend
to make a rather loose use of the verb. Grice’s example illustrates linguistic
botanising. So we have Grice bringing the examinee who does know that the
battle of Waterloo was fought in 1815, with hardly conclusive evidence, or any
‘de sensu’ knowledge that the evidence (which he does not have) is conclusive.
Grice grants that, in a specially emphatic utterance of ‘know,’ there might be
a cancellable implicaturum to the effect that the knower does have conclusive
evidence for what he alleges to know. Grice’s explicit reference to this
‘regressive nature’ (p. 59) touches on the topic of intention de sensu. Grice
is contesting the strong view, as represented, according to Gettier, by
philosophers ranging from Plato’s Thaetetus to Ayer’s Problem of Empirical
Knowledge (indeed the only two loci Gettier cares to cite in his short essay)
that a claim, “Grice knows that p” entails a claim to the effect that there is
conclusive evidence for p, and which gives Grice a feeling of subjective
certainty, and that Grice knows that there is such conclusive evidence, and so
on, ad infinitum. Grice casts doubts on the intentio de sensu as applied to the
colloquial or ‘ordinary’ uses of ‘know’. If I know that p, must I know that I
know that p? Having just introduced his
“Modified Occam’s Razor” – ‘Senses are not to be multiplied beyond necessity’
--, Grice doesn’t think so. At this point, however, he adds a characteristic
bracket: “(cf. causal theory).” With that bracket, Grice is allowing that the
denotatum of “p,” qua content of U’s psychological state or attitude of
‘knowing,’ the state-of-affairs itself, as we may put it, should play something
like a causal role in U’s knowing that p. Grice is open-minded as to what type
of link or connection that is. It need not be strictly causal. He is merely
suggesting the open-endness of ‘know in terms of these “further conditions” as
to how Grice ‘comes’ to know that p, and refers to the ‘causal theory,’ as
later developed by philosophers like E. F. Dretske and others. As a linguistic
botanist, Grice is well aware that ‘know,’ like ‘see,’ is what the Kiparskys
(whom Grice refers to) call a ‘factive.’An ascription of “Grice knows that p,”
or, indeed, “Grice sees that p,” (unless Grice hallucinates) entails “p.” The
defeating ‘hallucination’ scenario is key. It involves what Grice calls a dis-implicaturum.
The utterer is using ‘know’ or‘see’ in a loose way (and meaning less, rather
than more than he explicitly conveys. Note incidentally, as Grice later noted
in later seminars, how his analysis proves the philosopher’s adage wrong.
Surely what is known by me to be the case is believed by me to be the case. Any
divergence to the contrary is a matter of ‘implicatural’ stress – by which he
means supra-segmentation.‘want’Soon after his delivering the William James
lectures, Grice got involved in a project concerning an evaluation of Quine’s
programme, where again he touches on issues of intentio seconda or intentio
obliqua, and brings us back to Russell and ‘the author of Waverley.’ Grice’s
presentation comes out in Words and Objections, edited by Davidson and
Hintikka, a pun on Quine’s Word and Object. Grice’s contribution, ‘Vacuous
Names,’ (later reprinted in part in Ostertag’s volume on Definite descriptions)
concludes with an exploration of “the” phrases, and further on, with some
intriguing remarks on the subtle issues surrounding the scope of an ascription
of a predicate standing for a psychological state or attitude. Grice’s choice
of an ascription now notably involves an ‘opaque’ (rather than ‘factive,’ like
‘know’) psychological state or attitude: ‘wanting,’ which he symbolizes as “W.”
Grice considers a quartet of utterances: Jack wants someone to marry him; Jack
wants someone or other to marry him; Jack wants a particular person to marry
him, and There is someone whom Jack wants to marry him. Grice notes that “there
are clearly at least *two* possible readings” of an utterance like our (i): a
first reading “in which,” as Grice puts it, (i) might be paraphrased by (ii).”
A second reading is one “in which it might be paraphrased by (iii) or by (iv).”
Grice goes on to symbolize the phenomenon in his own version of a first-order
predicate calculus. ‘Ja wants that p’ becomes ‘Wjap,’ where ‘ja’
stands for the individual constant “Jack” as a super-script attached to the
predicate standing for Jack’s psychological state or attitude. Grice writes:
“Using the apparatus of classical predicate logic, we might hope to represent,”
respectively, the external reading and the internal reading (involving an
intentio secunda or intentio obliqua) as ‘(Ǝx)WjaFxja’
and ‘Wja(Ǝx)Fxja.’ Grice then
goes on to discuss a slightly more complex, or oblique, scenario involving this
second internal reading, which is the one that interests us, as it involves an
‘intentio seconda.’ Grice notes: “But suppose that Jack wants a specific
individual, Jill, to marry him, and this because Jack has been “*deceived* into
thinking that his friend Joe has a highly delectable sister called Jill, though
in fact Joe is an only child.” (The Jill Jack eventually goes up the hill with
is, coincidentally, another Jill, possibly existent). Let us recall that
Grice’s main focus of the whole essay is, as the title goes, ‘emptiness’! In
these circumstances, one is inclined to say that (i) is true only on reading
(vii),” where the existential quantifier occurs within the scope of the
psychological-state or -attitude verb, “but we cannot now represent (ii) or
(iii), with ‘Jill’ being vacuous, by (vi), where the existential quantifier (Ǝx) occurs outside the scope of the
psychological-attitude verb, want, “since [well,] Jill does not really exist,”
except as a figment of Jack’s imagination. In a manoeuver that I interpret as
‘purely intentionalist,’ and thus favouring by far Suppes’s over Chomsky’s
characterisation of Grice as a mere ‘behaviourist,’ Grice hopes that “we should
be provided with distinct representations for two familiar readings” of, now:
Jack wants Jill to marry him; Jack wants ‘Jill’ to marry him. It is at this
point that Grice applies a syntactic scope notation involving sub-scripted
numerals, (ix) and (x), where the numeric values merely indicate the order of
introduction of the symbol to which it is attached in a deductive schema for
the predicate calculus in question. Only the first notation yields the internal
de sensu reading (where ‘ji’ stands for ‘Jill’): ‘W2ja4F1ji3ja4’
and ‘W3ja4F2ji1ja4.’
Note that in the alternative external notation, the individual constant for
“Jill,” ‘ji,’ is introduced prior to ‘want,’ – ‘ji’’s sub-script is 1, while
‘W’’s sub-script is the higher numerical value 3. If Russell could have avowed
of this he would have had that the Prince Regents, by issuing the invitation,
wants to confirm that ‘the author of Waverley’ isN Scott, already having
confirmed that the author of Waverley =M the author of Waverley. Grice warns
Quine. Given that Jill does not exist, only the internal reading “can be true,”
or alethically satisfactory. Similarly, we might imagine an alternative
scenario where the butler informs the Prince: ‘We are sorry to inform Your
Majesty that your invitation was returned: apparently the author of Waverley
does not SEEM to exist.’ Grice sums up his reflections on the representation of
the opaqueness of a verb standing for a psychological state or attitude like
that expressed by ‘wanting’ with one observation that further marks him as an
intentionalist, almost of a Meinongian type. If he justified a loose use of
‘know,’ he is now is ready to allow for ‘existential’ phrases in cases of ‘vacuous’
designata, which however baffling, should not lead a philosopher to the wrong
characterisation of the linguistic phenomena (as it led Austin with ‘know’).
Provided such a descriptors occur within an opaque, intensional, de sensu,
psychological-state or attitude verbs, Grice captures the nuances of ‘ordinary’
discourse, while keeping Quine happy. As Grice puts it, we should also have
available to us also three neutral, yet distinct, (Ǝx)-quantificational forms (together with their isomorphs),” as a
philosopher who thinks that Wittgenstein denies a distinction, craves for a
generality! “Jill” now becomes “x”: ‘W4ja5Ǝx3F1x2ja5,’
‘Ǝx5W2ja5F1x4ja3’,
and ‘Ǝx5W3ja4F1x2ja4
.’ Since in (xii) the individual variable ‘x’ (ranging over ‘Jill’) “does not
dominate the segment following the ‘(Ǝx)’
quantifier, the formulation does not display any ‘existential’ or de re,
‘force,’ and is suitable therefore for representing the internal readings (ii)
or (iii), “if we have to allow, as we do have, if we want to faithfully
represent ‘ordinary’ discourse, for the possibility of expressing the fact that
a particular person, Jill, does not actually exist.” At least Grice does not
write, “really,” for he knew that Austin detested a ‘trouser word.’ Grice
concludes that (xi) and (xiii) are derivable from each of (ix) and (x), while
(xii) will be “derivable only” from (ix).‘intend’By this time, Grice had been
made a Fellow of the British Academy and it was about time for the delivery of
the philosophical lecture that goes with it. It only took him six five years.
Grice choses “Intention and uncertainty” as its topic. He was provoked by two
members of his ‘playgroup’ at Oxford, Hart and Hampshire, who in an essay
published in Mind, what Grice finds, again, as he did with the anti-Gettier
cases of ‘know,’ as rather a too strong analysis of ‘intending.’ In his
British-Academy lecture, Grice plays now with the psychological state or
attitude, realised by the verbal form, ‘intend,’ when specifically followed by
a ‘that’-clause, “intends that…,” as an echo of his dealing with “meaning to”
as merely ‘natural.’ He calls himself a neo-Prichardian, reviving this ‘willing
that’ which Urmson had popularised at Oxford, bringing to publication
Prichard’s exploration of William James and his “I will that the distant chair
slides over the floor towards me. It does not.”Grice’s ‘intending that…’ is
notably a practical, boulemaic, or buletic, or desiderative, rather than
alethic or doxastic, psychological state or attitude. It involves not just an itentum,
but an intentum that involves both a desideratum AND a factum – for the ‘future
indicative’ is conceptually involved. Grice claims that, if the conceptual
analysis of “intending that…” is to represent ‘ordinary’ discourse, shows that
it contains, as one of its prongs, in the final ‘neo-Prichardian’ version that
Grice gives, also a ‘doxastic’ (rather than ‘factive’ and ‘epistemic’)
psychological state or attitude, notably a belief on the part of the ‘intender’
that his willing that p has a probability greater than 0.5 to the effect that p
be realised. Contra Hart and Hampshire, Grice acknowledges the investigations
by the playgroup member Pears on this topic. Interestingly, a polemic arose
elsewhere with Davidson, who trying to be more Griceian thatn Grice, sees this
doxastic constraint as a mere cancellable implicaturum. Grice grants it may be
a dis-implicaturum at most, as in loose cases of ‘know,’ or ‘see.’ Grice is
adamant in regarding the doxastic component as a conceptual ‘entailment’ in the
‘ordinary’ use of ‘intend,’ unless the verb is used in a merely
‘disimplicatural,’ loose fashion. Grice’s example, ‘Jill intends to climb
Everest next week,’ when the prohibitive conditions are all to evident to
anyone concerned with such an utterance of (xv), perhaps Jill included, and
‘intends’ has to be read only ‘internally’ and hyperbolically. At this point,
if in “Vacuous Names, he fights with Meinong while enjoying engaging in
emptiness, it should be stressed that Grice gives as an illustration of a ‘disimplicaturum,’
along with a use of ‘see’ in a Shakespeareian context. ‘See,’ like ‘know,’ or ‘mean,’ exhibit what
Grice calls diaphaneity. So it’s only natural Grice turns his attention to
‘see.’ Grice’s examples are ‘Macbeth saw Banquo’ and ‘Hamlet saw his father on
the ramparts of Elsinore,’ and both involve hallucination! It is worth
comparing the fortune of ‘disimplicaturum’ with that of ‘implicaturum.’ Grice
coins ‘to dis-implicate’ as an active verb, for a case where the utterer does
NOT, as in the case of implicaturum, mean MORE than he says, but LESS. Grice’s
point is a subtle one. It involves his concession on something like an
explicatum, but alsoo on something like Moore’s entailment. If the ‘doxastic
condition’ is entailed by “intending that…,’ an utterer U may STILL use, in an
‘ordinary’ fashion, a strong ‘intending that…’ in a scenario where it is common
ground between the utterer U and his addressee A that the probability of ‘p’
being realised is lower than 0.5. The expression of the psychological state or
attitude is loose, since the utterer is, as it were, dropping an ‘entailment’
that applies in a use of ‘intending that’ where that ‘common-ground’ assumption
is absent. One reason may be echoic. Jill may think that she can succeed in
climbing Mt. Everest; she herself has used ‘intend.’ When that information is
transmitted, the strong psychological verb is kept when the doxastic constraint
is no longer shared by the utterer U and his addressee A (Like an implicaturum,
a disimplicaturum has to be recognised as such to count as one. No such thing as an ‘unwanted’ disimplicaturum.‘motivate’Sometimes,
it would seem that, for Grice, the English philosopher of English
‘ordinary-language’ philosophy, English is not enough! Grice would amuse at
Berkeley seminars, with things like, ‘A pirot potches o as fang, or potches o
and o’ as F-id,’ just to attract his addressee’s attention. The full passage,
in what Grice calls, after Carnap, pirotese, reads: “A pirot can be said to
potch of some obble x as fang or feng; also to cotch of x, or some obble o, as
fang or feng; or to cotch of one obble o and another obble o’ as being fid to
one another.” Grice’s deciphering, with ‘pirot,” a tribute to Carnap – and
Locke -- as any agent, and an ‘obble’ as an object. Grice borrows, but does not
return, the ‘pirot’ from Carnap (for whom pirots karulise elatically – Carnap’s
example of a syntactically well-formed formula in Introduction to Semantics).
Grice uses ‘pirotese’ ‘to potch’ as a correlate for ‘perceive,’ such as the
factive ‘see’ and ‘to cotch’ as a correlate for the similarly factive
‘know.’While ‘perceive’ strictly allows for a ‘that’-clause (as in Grice
analysis of “I perceive that the pillar box is red” in “The causal theory of
perception”), for simplificatory purposes, Grice is using ‘to potch’ as
applying directly to an object, which Grice rephrases as an ‘obble.’ Since some
perceptual feature or other is required in a predication of ‘perceiving’ and
‘potching,’ ‘feng’ is introduced as a perceptual predicate. And since pirots
should also be allowed to perceive an ‘obble’ o in some relation with another
‘obble’ o2, Grice introduces the dyadic ‘relational’ feature ‘fid.’ Grice’s exegesis reads: “‘To potch’ is
something like ‘to perceive,’ whereas ‘to cotch’ is something like ‘to think.’
‘Feng’ and ‘fang’ are possible descriptions, much like our adjectives; ‘fid’ is
a possible relation between ‘obbles.’”).
At this point, Grice has been made, trans-territorially, the President
of the American Philosophical Association, and is ready to give his
Presidential Address (now reprinted in his Conception of Value, for Clarendon.
He chooses ‘philosophical psychology’ It’s when Grice goes on to play now with
the neo-Wittgensteinian issues of incorrigibility and privileged access, that
issues of intentio seconda become prominent.
For any psychological attitude ψ1, if U holds it, U holds, as
a matter of what Grice calls ‘genitorial construction,’ a meta-psychological
attitude, ψ2, a seconda intentio if ever there was one, -- Grice
even uses the numeral ‘2’ -- that has, as its content followed the second
‘that’-clause, the very first psychological attitude ψ1. The general
schema being given below, with an instance of specification: ‘ψup ⊃ ψuψup,’
and ‘if U wills that p, U wills that U wills that p.’ The interesting bit, from
the perspective of our exploration of ‘intentio seconda,’ is that, if, alla
Peano, we apply this to itself, as in the anti-Gettier cases Grice discussed
earlier, we end with an ad-infinitum clause. It was Judith Baker, who earned
her doctorate under Grice at Berkeley who sees this clearlier than everyone
(She was a regular contributor to the Kant Society in Germany). Baker’s
publications are, like those of her tutor, scarce. But in a delightful
contribution to the Grice festschrift, “Do one’s motives have to be pure?” (in
Grandy/Warner 1986), Baker explores the crucial importance of that ad-infinitum
chain of intentiones secondæ as it applies to questions of not alethic but
practical value or satisfactoriness. Consider ‘ought’. Grice would say that
‘must’ is aequi-vocal, i.e. it is not that ‘must’ has an alethic ‘sense’ and a
practical ‘sense.’ Only “one” must, if one must! (As Grice jokes, “Who needs
ichthyological necessity?”). Baker notes
that the ad-infinitum chain may explain how ‘duty’ ‘cashes out’ in ‘interest.’
Both Grice and Baker are avowed Kantotelians. By allowing ‘duty’ to cash out in
interest they are merging Aristotle’s utilitarian teleology with Kant’s
deontology, and succeeding! It is possible to symbolize Grice’s and Baker’s
proposal. If there is a “p” SUCH AS, at some point in the iteration of willing
and intentiones secondæ, the agent is not willing to accept it, this blocks the
potential Kantian universalizability of the content of a teleological attitude
“p,” stripping “p” of any absolute value status that it may otherwise attain.In
Grice’s reductive analysis of ‘mean,’ ‘know,’ ‘want,’ ‘intend,’ and ‘motivate,’
we witness the subtlety of his approach that is only made possible from the
recognition of Aristotle’s insight back in “De Sophisticis Elenchis” to Kant’s
explorations on the purity of motives. It should not surprise us. It’s Grice’s
nod, no doubt, to an unjustly neglected philosopher, who should be neglected no
more.ReferencesBlackburn, S. W. 1984. Spreading the words: groundings in the
philosophy of language. Oxford: Oxford University Press. Darwin, Charles. 1872.
The expression of emotions in man and animals. London: Murray. Grandy, R. E.
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it in his discussion of Grice in the intention-based chapter of his “Spreading
the word: groundings in the philosophy of language.” Intentio seconda or
obliqua bears heavily on Grice’s presentation for the Oxford Philosophical
Society. The motivation behind Grice’s analysis pertains to philosophical
methodology. Grice is legitimizing an ascription of ‘mean’ to a rational agent,
such as … a philosopher. This very ascription Grice finds to be ‘seemingly
denied by Wittgenstein’ (Grice 1986). As an exponent of what he would later and
in jest dub “The Post-War Oxonian School of ‘Ordinary-Language’ Philosophy,”
Grice engages in a bit of language botany, and dealing with the intricacies of
‘communicative’ uses of “mean.” Interestingly, and publicly – although a
provision is in order here – Grice acknowledges emotivist Stevenson, who
apparently taught Grice about ‘metabolic’ uses of “mean.” Stevenson, who read
English as a minor at Yale, would not venture to apply ‘mean’ to moans!
Realising it as a colloquial extension, he is allowed to use ‘mean,’ but in
scare quotes only! (“Smith’s reduced temperature ‘means’ that he is is
convalescent.” “There is a sense, to be sure, in
which a groan “means“ something, just a reduced temperature may at times ”mean”
convalescence.” Stevenson 1944:38). Close enough but no cigar. Stevenson
has ‘groan,’ which at least rhymes with ‘moan.’ (As for the proviso, Grice
never ‘meant’ to ‘publish’ his talk on ‘Meaning,’ but one of his tutees
submitted for publication, and on acceptance, Grice allowed the publication).
In “Meaning” Grice does not provide a conceptual analysis for, ‘by moaning, U
means [simpliciter] that p.’ He will in his “Meaning Revisited” – the
metabolical scare quotes are justified on two counts: ‘By moaning U means that
p’ is legitimized on the basis of the generic ‘x ‘means’ y iff x is a
consequence of y.’ But it is also justified on the basis that there is a
continuum between U’s involuntarily moaning thereby meaning that he is in pain,
and U’s voluntarily moaning, thereby ‘communicating’ that he is in pain.
However, and more importantly for our exploration of the ‘intentum,’ Grice
hastens to add that he does not agree with Stevenson’s purely ‘causal’ account.
The main reason is not ‘anti-naturalistic.’ It is just that Grice sees
Stevenson’s proposal as as involving a vicious circle. Typically, Grice
extrapolates the relevant quote from Stevenson, slightly out of context. Grice
refers to Stevenson’s appeal to "an elaborate process of conditioning
attending … communication."Grice: “If we have to take seriously the second
part of the qualifying phrase ("attending … communication"),
Stevenson’s account of meaning is obviously circular. We might just as well
say, "U means” if “U communicates,” which, though true, is not helpful. It
MIGHT be helpful for Cicero translating from Grecian to Roman: ‘com-municatio’
indeed translates a Grecian turn of phrase involving ‘what is common.’ f.
“con-” and root “mu-,” to bind; cf.: immunis, munus, moenia.’And the suggestion
would be helpful if we say that to ‘communicate,’ or ‘mean,’ is just to bring
some intentum to be allotted ‘common ground,’ because of the psi-transmission
it is shared between the emissor and his intended addressee. This one hopes is
both true AND ‘helpful.’ In any case, Grice’s tutee Strawson later
found Grice’s elucidation of utterer’s meaning to be ‘objection-proof’
(Starwson and Wiggins, 2001) in terms of a set of necessary and sufficient
conditions, of an utterer or emissor E meaning that p, by uttering ‘x,’ and appealing
to primary and secondary intentionality. But is Grice’s intentionalism a sort
of behaviourism? Grice denies that in “Method” calling ‘behaviourism’ ‘silly.
Grice further explores intentio obliqua as it pertains to his remarks towards a
general theory of “re-presentation.” The place where this excursus takes place
is crucial. It is his Valediction to his compilation of essays, Studies in the
Way of Words, posthumously published. At this stage, he must have felt that,
what he once regarded krypto-technic in Peirce, is no more! Grice has already
identified in that ‘Valediction’ many strands of his philosophical thought, and
concludes his re-assessment of his ‘philosophy of language’ and semiotics with
an attempt to provide some general remarks about ‘to represent’ in general,
perhaps to counter the allegations of vicious circularity which his approach
had received, seeing that “p” features, as a ‘gap-sign,’ as the content of both
an ‘expression’ and a ‘psychological’ attitude. In trying to reconcile his austere
views on “Meaning,” back in that evening at the Oxford Philosophical Society,
where he distinguished two senses of ‘mean’ (“Smoke ‘means’ fire,” and ““Smoke”
means ‘smoke’”). By focusing on the most general of verbs for a psychological
state or attitude, ‘to represent,’ that even allows for a non-psychological
reading, Grice wants to be seen as answering the challenge of an alleged
vicious circle with which his intention-based approach is usually associated.
The secondary-intentional non-iconic mode of representation rests on a prior
iconic mode and can be understood as ‘pre-conventional,’ without any explicit
recourse to the features we associate with a developed system of communication.
Grice needs no ‘language of thought’ or sermo mentalis alla Ockham there. Grice
allows that one can communicate fully without the need to use what more
conventional philosophers call ‘a language.’ Artists do it all the time! The passage from intentio prima to full
intentio seconda is, for Grice, gradual and complex. Grice means to adhere with
‘ordinary’ discourse, in its implicatura and dis-implicaata. The passage also
adhering to a functionalist approach qua ‘method in philosophical psychology,’
as he’d prefer, that needs not to postulate a full-blown ‘linguistic entity’ as
the object of intentional thought. In this respect, it is worth mentioning the
work of C. A. B. Peacocke, who knew Grice from his Oxford days and later joined
his seminars at Berkeley, and who has developed this line of thought in a
better fashion than less careful philosophers. Grice’s programme has
occasionally, and justly, been compared with phenomenological approaches to
expression and communication, such as Marty’s. It is hoped that the previous
notes have shed some light on those aspects where this interface can further be
elaborated. Even as we leave an intentio seconda to resume the discussion for a
longer day. In his explorations on the embedding of intensional concepts, Grice
should be inspirational to philosophers in more than one way, but especially in
the one that he favoured most: the problematicity of it all. As he put it in
another context, when defending absolute value. “Such
a defence of absolute value is of course, bristling with unsolved or
incompletely solved problems. I do not find this thought daunting. If
philosophy generated no new problems it would be dead, because it would be
finished; and if it recurrently regenerated the same old problems it would not
be alive because it could never begin. So those who still look to philosophy
for their bread-and-butter should pray that the supply of new problems never
dries up.” (Grice 1991). In the Graeco-Roman tradition, philosophers started to
use ‘intentio prima,’ ‘intentio secunda,’ ‘intentio tertia,’ and “… ad
infinitum,” as they would put it. In post-war Oxford, English philosopher H. P.
Grice felt the need. The formalist he was, he found subscribing numbers to
embedded intentions has a strong appeal for him. Grice’s main motivation is in
the philosophy of language, but as ancillary towards solving this or that
problem concerning the ‘linguistic’ methodology of his day. To appreciate
Grice’s contribution one need to abstract a little from his own historical
circumstances, or rather, place them in the proper context, and connect it with
the general history of philosophy. As a matter of history, ‘intentio prima,’
or ‘recta,’ as opposed to ‘obliqua,’ is part of Nicolai Hartmann’s ‘mediaeval
revival,’ as a reaction to mediaevalism having made scorn by the likes of
Rabelais that amused D. P. Henry. For the mediaeval philosopher, to use Grice’s
symbolism, was concerned with whether a chimaera could eat ‘I2,’ a
second intention. The mediaeval philosopher’s implicaturum seems to be that a
chimaera can easily eat ‘I1.’ Such a ‘quaestio subtilissima,’
Rabelais jokes. If ‘I1,’ or, better, for simplificatory purposes, ‘IR’
is a specific state, stance, or attitude of the ‘soul,’ ‘ψ1’ or ‘ψR’
directed towards its ‘de re’ ‘intentum,’ or ‘prae-sentatum,’ of the noumenon,
‘IO,’ ‘intentio obliqua,’ is a state, stance, or attitude of the
‘soul,’ of the same genus, ‘ψ2,’ or ‘ψS’ directed towards
‘ψR,’ its ‘de sensu’ ‘intentum’ now ‘re-prae-sentatum’ of the
phainomenon or ob-jectum (Abelard translates Aristotle’s ‘per divisionem’ as
‘de re’ and ‘per compositionem’ and ‘per conjunctionem’ by ‘de sensu,’ and ‘per
Soph. Elen., Kneale and Kneale, 1966). Grice’s intentionalism has been widely
discussed, but the defense he himself makes of intensionalism (versus
extensionalism) has proved inspiring, as when he assumes as an attending
commentary to his reductive analysis of the state of affairs by which the
emissor communicates that p, that he is putting forward “the legitimacy of
[the] application of [existential generalization] to a statement the expression
of which contains such [an] "intensional" verb[…] as
"intend" (Grice 1989: 116 ). The expression ‘de sensu’ is due to
Abelard, but Russell likes it. While serving as Prince Regent of England in
1815, George IV casually remarks his wish to meet ‘the author of Waverley’ in
the flesh. The Prince was being funny, you see. The prince would not know this,
but when his press becomes embroiled in pecuniary difficulties, Scotts set out
to write a cash-cow. The result is Waverley, a novel which did not name its
author. It is a tale of the last Jacobite rebellion in England, the
“Forty-Five.” The novel meets with considerable success. The next year, Scott.
There follows a sequel, the same general vein.
Mindful of his reputation, Scotts maintains the anonymous habit he
displays with Waverley, and publishes the sequel under “the Author of
Waverley.” The identity “Author of Waverley” = “Scott” is widely rumoured, and
Scott is given the honour of dining with
George, Prince Regent, who had wished to meet “Author of Waverley” in the flesh
for a ‘snug little dinner’ at Carleton, on hearing ‘the author of Waverley’ was
in town. The use of a descriptor may lead to the implicaturum that His Majesty
is p’rhaps not sure that ‘the author of Waverley’ has a name, and isR
Scott. Lack of certainty is one thing, yet, to quote from Russell, “an interest
in the law of identity can hardly be attributed to the first gentleman of
Europe.” Grice admired Russell profusely and one of his essays is wittily
entitled, “Definite descriptions in Russell and in the Vernacular,” so his
explorations of ‘intentio’ ‘de sensu’ have an intrinsic interest. Keywords: H. Paul Grice, intentio seconda, implicaturum,
intentionalism, intentum, intentum de sensu,
‘that’-clause, the recte-oblique distinction. Grice explored issues of intentum
de sensu in various areas. First, ‘meaning.’ Second, ‘knowing.’ Third,
‘wanting.’ Fourth, ‘intending,’ Fifth, pirots, with incorrigibility and
privileged access. Sixth, morality and the regressus. Seventh, the continuum
and the unity. With
Grice, it all starts, roughly, when Grice comes up with a topic for a talk at
The Oxford Philosophical Society.The Society is holding one of those meetings,
and Grice thinks of presenting a few conclusions he had reached at his seminars
on C. S. Peirce.What’s the good of an Oxford don of keeping tidy lecture notes
if you will not be able to lecture to a philosophical addressee? Peirce is the
philosopher on whom Grice choses to lecture. In part, for “not being
particularly popular on these shores,” and in part because Grice noted the
‘heretic’ in Peirce with which he could identify.Granted, at this stage, Grice
disliked the un-Englishness of some of Peirce’s over-Latinate jargon, what
Grice finds the ‘krypto-technic.’ ‘Sign,’ ‘symbol,’ ‘icon,’ and the rest of
them!Instead, Grice thinks, initially for the sake of his tutees and students –
he was university lecturer -- sticking with the simpler, ‘ordinary’, short
English lexeme ‘mean.’A. M. Kemmerling, of all people, who wrote the obituary
for Grice for Synthese, has precisely cast doubts on the ‘universal’ validity
of Grice’s proposed conceptual reductive analysis, notably in his Ph.D
dissertation on ‘Meinen.’ Note the irony
in Kemmerling’s title: Was Grice mit "Meinen"
meint - Eine Rekonstruktion der Griceschen Analyse rationaler Kommunikation.” Nothing jocular in the
subtitle, for this indeed is a reconstruction of ‘rational’ communication. The
funny bit is in “Was mit “Meinen” Grice meint”! In that very phrase, which is
rhetorical, and allows for an answer, because ‘meinen’ is both mentioned and
used, Kemmerling allows that he is ‘buying’ Grice’s idea that his reductive
analysis of ‘mean’ applies to German ‘meinen.’ Kemmerling is also pointing to
the ‘primacy’ (to use Suppes’s phrase) of ‘utterer’s’ or ‘emissor’s
“communicatum” or ‘Meinung.” Kemmerling advertises his interest in exploring on
what _Grice_ means – by uttering ‘meinen,’ almost! As Kemmerling notes,
German ‘meinen,’ cognate via common Germanic with English ‘mean,’ (cf. Frisian
‘mein,’ – and Hazzlitt, “Bread, butter, and green cheese, very good English,
very good cheese”) is none other than ‘mean’ that Grice means. And ‘Grice
means’ is the only literal, i. e. non-metabolic use of the verb Grice allows –
as applied to a rational agent, which features in the subtitle to Kemmerling’s
dissertation. Thus one reads in Kluge, “Etymologische Wörterbuch
der deutschen Sprache, 1881, of “meinen,”
rendered by J. F. Davis as ‘to think, opine, mean,’ from a MHG used to indicate, in Davis’s rendition,
‘to direct one's thoughts to, have in view, aim at, be affected towards a
person, love,’ OHG meinen, meinan, ‘to mean, think, say, declare.’
= OS mênian, Du. meenen, OE mœ̂nan, E mean (to this Anglo-Saxon mœ̂nan, cf. prob. moan – I know your meaning from your moaning),
all from WGmc. meinen, mainjan, ‘mênjan,’ and cognate with ‘man,’ ‘to think’ (cf. ‘mahnen,’ ‘Mann,’
and ‘Minne’).
Kemmerling is very apropos, because Grice engaged in philosophical
discussion with him, as testified by his perceptive contribution to P. G. R. I.
C. E. (Kemmerling, 1986). On top, in his presentation for the Oxford
Philosophical Society, Grice wants to restrict the philosophical interest to
‘de sensu,’ the ‘that’-clause (cf. the recte-oblique distinction), viz. not
just ‘what Grice means,’ if this is going to be expaned as ‘something
wonderful.’ Not enough for Grice. It has to be expanded, for the thing to have
philosophical interest into a ‘propositional clause,’, an ‘intensional’
context, i. e., ‘Grice means that…’ Grice cavalierly dismisses other use of
‘mean,’ – notably the ubiquitous, ‘mean to…’ – He will later explain his reason
for this. It was after William James provoked Prichard. For William James
uttered: “I will that the distant table slides on the floor toward me. It
doesn’t’. Prichard turns this into the conceptual priority of ‘will that…’ for
which Grice gives him the credit he deserved at a later lecture now on his
being appointed a Fellow of The British Academy (Grice, 1971). Strictly, what Grice does in the Oxford
Philosophical Socieety presentation is to distinguish between various ‘mean’
and end up focusing on ‘mean’ as followed by a ‘that’-clause. In the typical
Oxonian fashion, that Grice borrows (but never returns) from J. C. Wilson,
Grice has the IO as ‘meaning that so-and-so’ (Grice, 1989: 217).
Grice explicitly displays the primacy of a reductive analysis of the conceptual
circumstances involving an emissor (Anglo-Saxon ‘utterer’) who ‘means’ that p.
It will be a longer ‘shaggy-dog’ story Grice tells when he crosses the divide
from ‘propositional’ (p) to ‘predicative’ ascriptions (“By uttering ‘Fido is
shaggy,’ Grice means that the dog is hairy-coated (Grice 1989). Grice notes
that ‘metabolically,’ “mean,” at least in English, can be applied to various
other things, sometimes even involving a ‘that’-clause. “By delivering his
budget, the major means that we will have a hard year.’ Grice finds that ‘but
we won’t’ turns him into a self-contradicter. In Grice’s usage, ‘x ‘means’ y’
iff ‘y is a consequence [consequentia] of x’ --. Quite a departure from Old
Frisian. If Hume’s objection to the use of the verb ‘cause,’ is that it covers
animistic beliefs (“Charles I’s decapitation willed his death”), English allows
for disimplicated or loose ‘metabolic’ uses of ‘will’ (“It ‘will’ rain”) and
‘mean’ (Grice’s moaning means that he is in pain).
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