samuel: Hillel ben Samuel
da Verona (Forlì), filosofo. Noto anche come Lelio di Samuele o Hillel di
Forlì. Prende parte attivamente alla
polemica per l'accettazione o meno dell'opera di Mosè Maimonide, da molti
accusato di eccessivo razionalismo, sostenendo a chiare lettere le posizioni
del grande maestro, anche con l'opera Tagmulé ha-Nefesh (o Tagmulei ha-Nefesh)
(Retribuzioni dell'anima), che scrive a Forlì. In quest'opera, infatti,
"si mantiene sulla stessa linea del maestro [...] Per lui l'intelletto è
la forma attuale dell'anima e ne guida tutte le operazioni". Una
presentazione schematica dell'opera si trova, in lingua inglese, nella Jewish
Virtual Library. Il Tagmulé ha-Nefesh influenza, tra gli altri, anche il
rabbino Shem Tov ben Yosef Falaquera.
Sempre da Forlì, Hillel scrive due famose lettere a Maestro Gaio (Isacco
ben Mordecai), medico papale, chiedendo di non aderire al movimento favorevole
alla condanna di Maimonide. Hillel,
oltre al pensiero ebraico, conosce bene quello arabo e molto bene quello
cristiano: in particolare, è molto attratto da Tommaso d'Aquino, tanto da
essere definito "il primo tomista ebreo della storia" . Ad esempio,
nel Tagmulé ha-Nefesh riporta ampiamente una traduzione del De Unitate
Intellectus di Tommaso, del quale riprende anche gli argomenti per dimostrare
l'immortalità individuale dell'anima. Oltre alla traduzione della prima parte
del De unitate intellectus, Hillel si dimostrò a tal punto estimatore di
Tommaso d'Aquino da salutarlo come "il Maimonide della sua epoca, capace
persino di rispondere a domande che il Maestro aveva lasciato
irrisolte" Hillel probabilmente non
è nato a Verona, anche se la sua famiglia sembra provenirne, visto che suo
nonno è Eliezer di Verona, ma è comunque rappresentante di una cultura ghibellina,
filoimperiale, come quella della città scaligera. Lo dimostra anche il fatto
che decide di trascorrere gli ultimi anni della sua vita in quella roccaforte
del ghibellinismo italiano che è la Forlì degli Ordelaffi e del consigliere
imperiale Guido Bonatti. Hillel studia
il Talmud a Barcellona con Yonah ben Abraham Gerondi e la medicina a
Montpellier. Secondo la maggior parte
degli storici, Hillel, a Capua, esercita una forte influenza sul celebre
mistico Abramo Abulafia, aiutandolo ad apprezzare Mosè Maimonide. È altresì
molto probabile che le sue opere ed il suo pensiero abbiano potuto influenzare
Dante Alighieri, a causa di alcuni parallelismi che sono stati riscontrati tra
la Divina Commedia e gli autori ebrei.
Hillel in effetti opera, dopo Capua, a Napoli, a Roma, a Ferrara, e
soprattutto a Forlì, città dove anche Dante vive per qualche tempo, pochi anni
dopo la sua morte. La circostanza è invocata a favore della possibilità che
Dante ne abbia conosciuto le opere .
Negli anni novanta del Duecento, in pieno periodo forlivese dunque,
disputa con Zeraḥyah Ḥen su quale sia la lingua originaria: per Hillel, si
tratta dell'ebraico. La data della morte
non è sicura. Note La cultura ebraica (a c. di P. Reinach Sabbadini),
Einaudi, Torini Cf. Die Pseudo-aristotelische
Schrift Ueber das reine Gute bekannt unter dem Namen Liber de Causis, BiblioBazaar,
Jean-Pierre Torrell, OP, Saint Thomas Aquinas, Volume I: The Person and His
Work, translated by Robert Royal, CUA Press, A. Wohlmann, Thomas d'Aquin et Maïmonnide,
Cerf, M. Zonta in Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in . Hillel ben Shemu'el, Sefer Tagmulé ha-Nefesh,
Jerusalem (G. Sermoneta, in ebraico). W.
Peeters, Hillel ben Samuel, philosophe du XIIIe siècle, in Revue Philosophique
de Louvain, Comunità ebraica di Forlì Hillel ben Samuel, su Enciclopedia
Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
Mauro Zonta, Hillel ben Samuel, in Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Hillel ben Samuel.
sanzione -- sanction, anything whose function is to
penalize or reward. It is useful to distinguish between social sanctions, legal
sanctions, internal sanctions, and religious sanctions. Social sanctions are
extralegal pressures exerted upon the agent by others. For example, others
might distrust us, ostracize us, or even physically attack us, if we behave in
certain ways. Legal sanctions include corporal punishment, imprisonment, fines,
withdrawal of the legal rights to run a business or to leave the area, and other
penalties. Internal sanctions may include not only guilt feelings but also the
sympathetic pleasures of helping others or the gratified conscience of doing
right. Divine sanctions, if there are any, are rewards or punishments given to
us by a god while we are alive or after we die. There are important
philosophical questions concerning sanctions. Should law be defined as the
rules the breaking of which elicits punishment by the state? Could there be a
moral duty to behave in a given way if there were no social sanctions
concerning such behavior? If not, then a conventionalist account of moral duty
seems unavoidable. And, to what extent does the combined effect of external and
internal sanctions make rational egoism or prudence or self-interest coincide with
morality?
sanctis: essential
philosopher. He considers philosophy as a branch of the belles lettresand his
field of expertise is when stylists stopped using an artificial Roman, and
turned to ‘Italian.’ Grice: “I really do not like de Sanctis; when an author
becomes philosophical, he says that he has been infested of the philosophical
pest!” -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice e de Sanctis," per Il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia..
sanseverino: Gaetano Sanseverino (Napoli), filosofo. Considerato
uno fra i massimi precursori del neotomismo. Si trasferì in giovanissima età a
Nola dalla natia Napoli per frequentare il seminario diocesano dove suo zio era
rettore. Dopo l'ordinazione, continuò lo studio della filosofia con l'intento
di confrontare i vari sistemi filosofici, fra cui godeva particolare credito in
Italia, all'epoca, quello cartesiano. Lo studio comparato dei vari sistemi gli
permise una conoscenza più approfondita della Scolastica, soprattutto delle opere
di Tommaso d'Aquino, e del legame intimo tra la Scolastica e la Patristica. Da
allora, e fino alla fine della sua vita, la sua unica preoccupazione fu la
restaurazione della filosofia scolastica, non solo con scritti, ma anche con
lezioni, conferenze e discussioni. La sua preparazione in materie filosofiche
gli permise di divenire, non ancora trentenne, professore di logica e
metafisica presso il seminario di Napoli. Fu anche canonico della cattedrale
della propria città. Fondò la rivista La Scienza e la Fede che continuò ad
uscire, a cura dei suoi discepoli Nunzio Signoriello e Antonio D'Amelio, a
oltre vent'anni di distanza dalla morte del filosofo. Nel 1851 venne chiamato
da Ferdinando II a insegnare filosofia morale nell'Napoli, e venne incaricato anche
di preparare un manuale "ufficiale" per le scuole del Regno delle Due
Sicilie; Sanseverino scrisse allo scopo il manuale "I principali sistemi
della filosofia del criterio, discussi colla dottrina de' Santi Padri e de'
Dottori del Medio Evo". Con l'unità d'Italia Sanseverino venne
progressivamente emarginato e messo in condizione di abbandonare l'insegnamento
universitario. Continuò tuttavia ad insegnare presso il seminario di Napoli.
Morì nella città partenopea nel corso di un'epidemia di colera all'età di 54
anni. L'opera Profondo conoscitore di
San Tommaso e della filosofia medievale, il Sanseverino diede alle stampe,
negli anni quaranta dell'Ottocento, alcuni interessanti saggi sui filosofi
moderni, fra cui Emanuele Kant e Baruch Spinoza. Nel 1849 iniziò ad occuparsi
più specificamente di San Tommaso e della dottrina tomista con La dottrina di
S. Tommaso sull'origine del potere e sul preteso diritto di resistenza, cui
fece seguito, otto anni più tardi, un Saggio di teologia scolastica in difesa dell'angeologia
di S. Tommaso d'Aquino contro i sofismi di G. Reynaud. Fra il 1850 e il 1853,
esce il ponderoso I principali sistemi della filosofia del criterio, discussi
colla dottrina de' Santi Padri e de' Dottori del Medio Evo, un'ampia e
dottissima disquisizione sulla filosofia illuminista del Settecento e su quella
a lui contemporanea (fra cui quella dello stesso Gioberti) confutata sulla base
della logica dei più alti rappresentanti del cristianesimo medievale. Il suo capolavoro, in cinque volumi, fu però
pubblicato solo fra il 1862 e il 1865. Si tratta del celebre saggio, redatto in
lingua latina, Philosophia christiana cum antiqua et nova comparata, che ha per
oggetto la storia della logica nell'ambito della filosofia cristiana. Un sesto
volume, già progettato, non vide mai la luce a causa dell'improvviso decesso
dell'autore. L'opera fu ripresa in alcune sue parti dallo stesso Sanseverino ad
uso dei suoi studenti nel suo Philosophia christiana cum antiqua et nova
comparata in compendium redacta ad usum scholarum clericalium. Venne pubblicata
a Napoli la versione definitiva degli Elementa. L'opera, letta e molto citata
nella seconda metà dell'Ottocento e durante tutto il Novecento, si articola in
quattro tomi, di cui gli ultimi due, Antropologia e Teologia naturale, uscirono
postumi rispettivamente tre e cinque anni dopo la morte del filosofo grazie
all'iniziativa di un suo allievo, Nunzio Signoriello. Quest'ultimo si assunse
anche l'onere di dirigere, dopo la scomparsa del proprio fondatore, le
pubblicazioni della rivista di Sanseverino La Scienza e la Fede, che, fino al
1887, mantenne vivo l'interesse, a Napoli e in Italia, sulla filosofia
cristiana medievale e sul tomismo. Opere
pubblicate (selezione) Delle teorie kantiane difese da O. Colecchi nella sua
opera che per titolo: sopra alcune questioni le più importanti della filosofia,
Napoli, La Scienza e la fede. Il razionalismo teologico dei più celebri
filosofi tedeschi e francesi da Kant insino ai nostri giorni, in La Scienza e
la Fede, Spinoza e i moderni razionalisti, Napoli, La Scienza e la fede, La dottrina di s. Tommaso sull'origine del
potere e sul preteso diritto di resistenza, Napoli, (I edizione, 1849), nuova
edizione (con introduzione di F. Di Mieri), Napoli, Giannini. Saggio di
teologia scolastica in difesa dell'angeologia di S. Tommaso d'Aquino contro i
sofismi di G. Reynaud, Napoli, Tip. Manfredi, Elementa philosophiae theoreticae
ad usum cleri neapolitani, Napoli, Tipografia Manfredi, Philosophia christiana
cum antiqua et nova comparata, in cinque volumi, Napoli, Tip. Manfredi, Institutiones
seu Elementa philosophiae christianae cum antiqua et nova comparata, in tre
volumi e 4 tomi, Napoli, Tip. Manfredi, Philosophia christiana cum antiqua et nova
comparata in compendium redacta ad usum scholarum clericalium, Napoli, Tip.
Manfredi, Compendio della filosofia cristiana comparata con le dottrine de'
filosofi antichi e moderni, in 2 volumi (versione italiana della precedente
latina), Napoli, Biblioteca cattolica, Ugo Dovere, Gaetano Sanseverino filosofo
tomista, tentativo di ricostruzione, in Doctor communis, Ugo Dovere, Gli
orientamenti del periodico napoletano La scienza e la fede, in Campania sacra, Pasquale
Naddeo, Le origini del neotomismo e la scuola di Gaetano Sanseverino, in Storia
della filosofia, Società editrice italiana, Torino Pasquale Orlando, Il
neotomismo a Napoli e G. Sanseverino, in Asprenas, Pasquale Orlando, Vita e
opere di Gaetano Sanseverino secondo i documenti, in Aquinas, Pasquale Orlando,
L'Accademia tomista a Napoli, storia e filosofia, in Saggi sulla rinascita del
tomismo, Roma, Ed. Pontificia Accademia teologica romana, Carmine Matarazzo,
Per una "rivoluzione del cuore". La visione dell'umano in Giacomo
Leopardi nella lettura critica di Gaetano Sanseverino tra antropologia
cristiana e istanze pastorali, Alessandro Polidoro Editore, Napoli . Tomismo Neotomismo. Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Gaetano Sanseverino, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Gaetano Sanseverino, . Gaetano Sanseverino, in
Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.
Biografia di Gaetano Sanseverino, su dif.unige.it. di Gaetano Sanseverino, su dif.unige.it.
santilli: Angelo Andrea Silvestro
Santilli (Sant'Elia Fiumerapido), filosofo. Figlio del medico santeliano
Silvestro, sindaco del paese, atredici anni si trasferì a Napoli con la madre
Giuseppa Mancini, figlia del medico Evangelista Mancini di Picinisco ma
residente a San Germano (oggi Cassino), e i tre fratelli, per completare gli
studi. A Napoli, il giovane Angelo Santilli seguì il corso liceale presso la
Scuola di Francesco Murro. All'Università fu discepolo del filosofo Pasquale
Galluppi e amico, fra gli altri, di Luigi Settembrini, Giuseppe Fiorelli e
Francesco De Sanctis. A soli venti anni, nel 1842, si laureò in filosofia e
giurisprudenza, aprendo anche una Scuola di Diritto Morale e
Costituzionale. Fervente giobertiano, fu attivo propugnatore, nei circoli
culturali napoletani, di un'Italia federata sotto la guida di papa Pio IX. Ebbe
frequenti rapporti epistolari con Terenzio Mamiani, con il cardinale Gizzi e
con il filosofo eclettico francese Victor Cousin. Quest'ultimo lo introdusse
nel giro culturale del socialismo utopistico europeo e soprattutto francese, ma
Santilli modulò il suo socialismo secondo i propri valori cristiani ed
umanitari, rifiutando la logica della lotta di classe. Ebbe comunque a
scrivere che nel Regno di Napoli occorreva "una savia distribuzione della
ricchezza". Fu presidente della Società Dantesca di Napoli e prolifico
filosofo, giornalista e poeta. Fondò e diresse i giornali
"L'Enciclopedico" e il quotidiano giobertiano "Critica e Verità"
fondato durante i moti rivoluzionari del '48 napoletano in cui vivacemente
sosteneva che occorreva occuparsi della piaga della povertà meridionale,
scrivendo il 20 marzo che: "La nazione vuole pane e lo dimanda
incessantemente, lo chiede nel pianto dell'indigenza, tra le sciagure della
desolazione, lo chiede non a titolo di preghiera, ma diritto necessario, assoluto
... il popolo non capisce la speculativa astrazione di alcune verità, non sa i
titoli di libertà, di costituzione, di uguaglianza ... una riforma che
dimentica affatto la fisica prosperità de' popoli non è che riforma di solo
nome...". Fra le sue opere filosofiche: "Le idee
soggettive", che fu testo di studio nelle scuole del Granducato di
Toscana; "Sul realizzamento del pensiero"; "Sviluppo filosofico
dell'Autorità"; "Cenno psicologico sull'attività e la passività dello
spirito"; "Individuo e Società"; "Princìpi dell'Umanità
razionale"; "Il socialismo in economia" e "Lavoro,
industria e capitale". Le sue poesie le pubblicava sul giornale "La
Gazza". Si batté politicamente per l'ottenimento della Costituzione da
parte di re Ferdinando II di Borbone. Malvisto e considerato individuo
pericoloso dalla polizia borbonica, per i suoi scritti, la sua attività
politica e i suoi discorsi pubblici, il cui numero di ascoltatori si andava
infoltendo sempre di più, Santilli fu ucciso a baionettate insieme al fratello
Vincenzo di 27 anni, all'amico e compaesano Filippo Picano di 18 anni e alla
fantesca Carmela Rossi detta Mega da soldati svizzeri che fecero irruzione
nella sua abitazione di Napoli, in Largo Monteoliveto, il 15 maggio 1848
durante i moti insurrezionali di Napoli. Secondo i ricordi di Luigi Settembrini
venne ucciso a seguito della delazione di una donna, che lo indicò come
"il predicatore" alla soldataglia. I fratelli Giuseppe (21 anni) e
Giovanni (13 anni), si salvarono nascondendosi in casa della famiglia Leanza al
piano superiore. Lo ricordano due epigrafi: una sulla facciata della sua
casa natia a Sant'Elia Fiumerapido e una sulla facciata della palazzina in cui
abitò a Napoli, in Largo Monteoliveto, accanto al Palazzo Gravina. Di lui hanno
scritto: Francesco De Sanctis, Guglielmo Pepe, Luigi Settembrini, Atto
Vannucci, Giuseppe Massari, Vincenzo Grosso, Alberto Guzzardella, Mario
Mandalari che volle raccogliere, in un unico volume, su desiderio del grande
Francesco De Sanctis, tutte le opere di Santilli tramite il libro "Memorie
e scritti di Angelo Santilli" (Roma). Note Franco Della PerutaIl Giornalismo Italiano
del Risorgimento, I. Ghiron, Della Peruta, ()
Storia del quindici maggio in Napoli L. Settembrini "Memorie e
scritti raccolti da Mario Mandalari"
Mario Mandalari, Memorie su Angelo Santilli, Roma, 1893. Alberto
Guzzardella, Angelo Santilli, un grande cattolico socialista e martire del
Risorgimento Italiano, Milano, 1973. Isaia Ghiron, Il valore italiano, Volume
1, Tip. nazionale degli editori Ghione e Lovesio, Franco Della Peruta, Il
Giornalismo Italiano del Risorgimento, FrancoAngeli, . Benedetto Di Mambro, in
Sant'Elia Fiumerapido, il Sannio, Casinum e dintorni Roccasecca, . Luigi
Settembrini, Ricordanze della mia vita, Volume 1, Antonio Morano.
santorio: Santorio Santorio (Capodistria), filosofo. Considerato
il padre della fisiologia sperimentale moderna. Santorio fu il primo a
comprendere l'importanza dell'esperimento e dell'adozione dei parametri
quantitativi in medicina, per valutare i quali inventò alcuni dispositivi
ancora attualmente in uso nella pratica medica, tra cui il termometro e il
tachimetro. Oltre ai suoi meriti in medicina, Santorio fu filosofo e studiò
sperimentalmente la struttura della materia, di cui descrisse la struttura
corpusculare e meccanica sin dal 1603, anticipando le ricerche successive di
Galileo e Descartes. Completati gli
studi di medicina a Padova, nel 1582, esercitò la professione per molti anni in
Croazia, Polonia e Ungheria. Nel 1599 tornò a Venezia dove fece amicizia con
Sarp, Sagredo e Galilei. Il suo adattamento del pendolo alla pratica medica
precede gli esperimenti condotti da Galileo con i pendoli, ed era noto ai
professori dello studio di Padova sin dal 1600. Fu un pioniere nell'impiego
delle misurazioni fisiche in medicina; il suo dispositivo più famoso fu una
grande bilancia usata per studiare l'equilibrio omeostatico e le trasformazioni
metaboliche Tra i soggetti che si prestarono alla sperimentazione vi fu anche
il collega Galileo Galilei. Nel 1611 fu nominato professore di 'Medicina
Teorica' (corrispondente all'attuale fisiologia generale) a Padova. In quella
città pubblicò descrizioni di congegni termometrici e di precisione che
divennero di largo uso nella pratica medica. Nel 1624 rinunciò alla cattedra
per dedicarsi alla pratica privata.
Attività scientifica Fu un pioniere nell'impiego delle misurazioni
fisiche in medicina; il suo dispositivo più famoso fu una grande bilancia
(stadera medica) usata per studiare le trasformazioni metaboliche in soggetti
sperimentali tra i quali vi fu lo stesso Galileo. Fu pioniere nell'uso del
metodo sperimentale di cui comprese l'importanza e la necessità replicando i
suoi esperimenti per circa trent'anni. Considerato a torto il fondatore della
iatromeccanica, ne fu tuttavia ispiratore con i suoi importanti studi sul
metabolismo e sulla termoregolazione umana. Fu il primo a quantificare la
perspiratio insensibilis e ad introdurre in medicina l'uso del termometro
clinico che egli stesso ideò. Santorio
inventò anche altri strumenti (pulsilogio, igrometro, "letto
artificioso", "eolopila medica", "termometro lunare")
intesi a tradurre in numero e determinare con esattezza matematica i parametri
vitali umani. Opere principali Le sue
opere ebbero numerose edizioni, diffusione europea e ampia popolarità fino al
'700. Classico il De statica medica: uno dei libri più importanti della storia
della fisiologia. Santorio Santorio,
Sanctorii Sanctorii ... Methodi vitandorum errorum omnium qui in arte medica
contingunt libri quindecim. Nunc primum accessit eiusdem authoris De inventione
remediorum liberAubert, Santorio Santorio, Ars de statica medicina, Leida, David
Lopes de Haro, Commentaria in artem medicinalem Galeni, Nova pulsuum praxis
morborum omnium diagnosim prognosim et medendi aegrotis rationem statuens, sine
eorum relatione, 1624. Commentaria in primam fen primi libri canonis Auicennae,
1625. Commentaria in primam sectionem Aphorismorum Hippocratis, Opera omnia, Fabrizio
Bigotti e David Taylor, The Pulsilogium of Santorio: New Light on Technology
and Measurement in Early Modern Medicine, in Societate si politica, Questo testo proviene in parte dalla relativa
voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo.
Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze (home page), pubblicata sotto
licenza Creative Commons Castiglioni A.,: Storia della Medicina, II, Mondadori,
Milano, 1948. Pazzini A.,: Storia della Medicina, II, Società Editrice Libraria,
Milano, 1Premuda L.,: Storia della Medicina, Cedam, Padova, Premuda L.,: Storia
della Fisiologia, Del Bianco Editore, Udine, Voce: Santorio Santorio in
Enciclopedia Italiana, XXII, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1936.
Voce Santorio Santorio in Enciclopedia Biografica Universale Treccani, Istituto
della Enciclopedia Italiana, Roma, Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Santorio Santorio, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Santorio Santorio, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Santorio Santorio, . Museo Galileo, su catalogo.museogalileo.it.
Un importante progetto di ricerca internazionale su Santorio Santorio e la
nascita della quantificazione in medicina è attualmente organizzato e promosso
dalla Wellcome Trust presso il Centre for Medical History dell'Exeter (UK) Un
video in inglese sulla vita e le opere di Santorio.
santucci
sanzo: Ubaldo Sanzo (Roma), filosofo. Conseguita la
laurea in filosofia insegna nei Licei Statali della provincia di Brindisi. Ammesso
alla Scuola di Perfezionamento in Filosofia della Scienza dell'Università
Statale di Milano, lavora alle dirette dipendenze di Geymonat. Consegue,
quindi, tutti i gradi accademici a Salento, dove termina la carriera in qualità
di Professore e Coordinatore del Corso di Dottorato in Sociologia. Ha fondato
l'Associazione Culturale di Volontariato “Nel Segno di Apollo Licio”. Ha subito il fascino delle filosofie in auge
negli anni della sua giovinezza, esistenzialismo e neorazionalismo. Ha rivolto
la propria attenzione ai rapporti tra filosofia, scienza e società del periodo
a cavallo fra Otto e Novecento. Si è occupato di autori quali
BecquerelBoutruox, Corbino, Couturate Curie, Enriques, Fermi, Frola, Geymonat,
Husserl, Peano, Poincaré, Russell, Vailati.
Università del SalentoArchivio dell'Ufficio Personale DocenteFascicolo:
Ubaldo SANZO Matricola Poincaré, Sui fondamenti della geometria, ed. it. Brescia,
Editrice La Scuola, Collana "Il Pensiero", L’artificio della lingua, --
Grice: “I like that: it’s my Gricese, a language I invent and which makes me
the master; there’s the arbitrary and there’s the artificial, and Sanzo,
reconstructing Peano’s project, fails to distinguish this” -- Milano, Franco
Angeli, Collana di Epistemologia diretta da Emilio Agazzi,Guido Cimino; Gabriella
Sava , Il nucleo filosofico della scienza, Galatina, Congedo Editore, Collana
di Filosofia diretta da G. Papuli, Jules-Henri Poincaré, Scritti di fisica-matematica,
Torino, UTET, I Classici della Scienza, Collana diretta da Ludovico Geymonat, Poincaré
e i filosofi, Lecce, Edizioni Milella, Orso Mario Corbino, Scienza e società,
Saggi raccolti e commentati, Manduria, Barbieri, Collana di Filosofia
Hermes/hestia diretta da M. Castellana, Jules-Henri Poincaré, Scritti di
fisica-matematica, Ubaldo Sanzo, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, Collana
"I Classici del pensiero", pubblicata su licenza della Unione
TipograficoEditrice Torinese di Torino, 2009. Opere di Ubaldo Sanzo, . SCIENTIARivista internazionale di sintesi
scientifica [collegamento interrotto], su apollolicio.it. Poincaré di Ubaldo
Sanzo [collegamento interrotto], su apollolicio.it. Philosophie et science dans
la pensée de Louis Couturatsu apollolicio.it. Associazione Culturale di
Volontariato “Nel Segno di Apollo Licio”, su apollolicio.it. Museo Galileo di
FirenzeCatalogo della Biblioteca.
SarloDe
sarno. Antonio Sarno (Napoli), filosofo. Sconosciuto durante
la sua vita, interprete originale di Giordano Bruno e Tommaso Campanella, fu
riscoperto da Francesco Flora. Si hanno poche notizie sulla sua vita, riportate
da Croce nel volume Pensiero e Poesia. Collaborò al Giornale critico della
filosofia italiana con saggi su Giordano Bruno, Tommaso Campanella e Giambattista
Vico. Tradusse per la Casa editrice Giuseppe Laterza e figli, l'opera di
Georges Sorel, Considerazioni sulla violenza. Si suicidò con un colpo di rivoltella.
Si interessò a Giordano Bruno e Tommaso Campanella. Avrebbe trascorso la sua
vita in incognito, se non per l'interesse di Croce e Flora. Croce stesso curò
l'edizione di alcuni scritti di Sarno con il titolo Pensiero e poesia, a cui
Flora fece seguire una seconda edizione dal titolo Filosofia poetica, aggiungendovi
testi esclusi da Croce e con un'antologia critica in appendice. La riscoperta di Sarno è dovuta a Perniola: «“Il suo punto di partenzaegli scriveè
l’opposizione tra un sentimento sempre identico a se stesso, essenzialmente
interiore (sensus sui) ed un sentire esteriore, che si tramuta nelle cose di
cui ha esperienza, che si presta e si dona tutt’intero alle cose, affinché esse
vivano in lui”.» (M. Perniola, Enigmi.
Il momento egizio nella società e nell’arte) Una collezione dei testi più
significativi che erano già inclusi nell'edizionde sono stati pubblicati sotto
il titolo Filosofia del sentire. A. Marroni. Opere: Pensiero e poesia, B.
Croce, Laterza, Bari, Filosofia poetica, F. Flora, Laterza, Bari,Filosofia del
sentire, A. Marroni, Pescara, Tracce. Traduzioni Giorgio Sorel, Considerazioni
sulla violenza, tradotte da Sarno, con introduzione di Benedetto Croce, Bari, Giuseppe
Laterza e figli, M. Perniola, Enigmi. Il momento egizio nella società e
nell'arte, Costa & Nolan, Genova, A. Marroni, Sarno filosofo del “farsi
altro” in A. Sarno, Filosofia del sentire, A. Marroni, Tracce, Pescara P.
D'Angelo, L'estetica italiana del Novecento, Laterza, Bari, A. Marroni, Antonio
Sarno e la passione per il presente in Filosofie dell'intensità. Quattro
maestri occulti del pensiero italiano contemporaneo, Mimesis, Milano, A.
Marroni, "Antonio Sarno e i carmina in foliis volitantia" in Agalma, Filosofia
del sentire, su lett.unitn.it. Giornale Critico di Filosofia Italiana, su
lelettere.it.
sarpi: very important Italian philosopher.
Paolo Sarpi (Venezia), filosofo. Definito da Girolamo Fabrici
d'Acquapendente come «Oracolo del secolo». Autore della celebre Istoria del
Concilio tridentino, subito messa all'Indice, fu fermo oppositore del
centralismo monarchico della Chiesa cattolica, difendendo le prerogative della
Repubblica veneziana, colpita dall'interdetto emanato da Paolo V. Rifiutò di
presentarsi di fronte all'Inquisizione romana che intendeva processarlo e subì
un grave attentato che si sospettò essere stato organizzato dalla Curia romana,
"agnosco stilum Curiae romanae", che negò tuttavia ogni responsabilità.
L'infanzia «[ ... ] era una ritiratezza in sé medesimo, un sembiante sempre
penseroso, e più tosto malinconico che serio, un silenzio quasi continuato anco
co' coetanei, una quiete totale, senza alcun di quei giuochi, a' quali pare che
la natura stessa ineschi i fanciulli, acciò che col moto corroborino la
complessione: cosa notabile che mai fosse veduto in alcuno. Poi, così servò in
tutta la sua vita, et all'occasioni diceva non poter capir il gusto e
trattenimento di chi giuoca, se non fosse affetto d'avarizia. Un'alienazione da
ogni gusto, nissuna avidità de' cibi, de' quali si nutriva così poco, che
restava meraviglia come stasse vivo» (F. Micanzio, Vita di padre
Paolo) Istoria del Concilio tridentino, 1935 Nell'anno in cui
proseguivano le sedute del Concilio di Trento, Carlo V era in guerra con i
prìncipi protestanti tedeschi e il Parlamento inglese adottava un Libro di
preghiere d'ispirazione luterana, Pietro, questo il nome secolare del Sarpi,
nacque a Venezia da Francesco di Pietro Sarpi, di famiglia di lontane origini
friulane (precisamente di San Vito al Tagliamento) e mercante a Venezia eppure,
scrive il biografo Micanzio, per la sua indole violenta «più dedito all'armi
ch'alla mercatura»; la madre, veneziana, «d'aspetto umile e mite», si chiamava Isabella
Morelli. Rimasta vedova, fu accolta con Pietro e l'altra figlia Elisabetta
nella casa del fratello Ambrosio Morelli, prete della collegiata di
Sant'Ermagora. Con lo zio, «uomo d'antica severità di costumi, molto
erudito nelle lettere d'umanità [...] addottrinando nella grammatica e retorica
molti fanciulli della nobiltà», fece i primi studi, imparando presto e con
facilità. A dodici anni, nel 1564, anno dell'istituzione, dopo la chiusura del
Concilio, dell'Indice dei libri proibititra i tanti, vi finirono il Talmud e il
Corano, il De Monarchia di Dante e le opere di Rabelais, Folengo, Telesio,
Machiavelli ed Erasmopassò alla scuola del padre Giovanni Maria Capella,
teologo cremonese dell'Ordine dei Servi di Maria, seguace delle dottrine di
Giovanni Duns Scoto, il quale gli insegnò logica, filosofia e teologia, finché
il ragazzo fece così rapidi progressi che «il maestro istesso confessava non
aver più che insegnargli». Con altri maestri veneziani apprese la matematica,
la lingua greca e l'ebraica. «Con la familiarità e co' studii entrò
Pietro anco in desiderio di ricevere l'abito de' servi, o perché gli paresse
vita conforme alla sua inclinazione ritirata e contemplativa, o perché vi fosse
allettato dal suo maestro», malgrado l'opposizione della madre e dello zio
Ambrogio che lo voleva prete nella sua chiesa, il 24 novembre 1566 entrò nel
monastero veneziano dei servi di Maria. A Mantova Qui continuò ancora a
studiare con il Capella, rimanendo alieno dalle distrazioni proprie della sua
età finché nel 1567, in occasione della riunione a Mantova del capitolo
generale dell'Ordine servita, fu mandato in quella città «ad onorar il
congresso e far vedere che gl'ordini non sono oziosi, ma spendono il tempo in
sante e lodevoli operazioni», difendendo «318 delle più difficili proposizioni
della sacra teologia e della filosofia naturale. Il qual carico con che
felicità lo sostenesse e con che giubilo e stupore di quella venerabile corona,
si può dall'evento argomentare». Convento e chiesa di San Barnaba a
Mantova Essersi così distinto a soli quindici anni gli valse la nomina a
teologo da parte del duca di Mantova Guglielmo Gonzaga«prencipe di grandissimo
ingegno, così profondamente erudito nello scienze, che difficilmente si
discerneva qual fosse maggiore, o la prudenza di governare, o l'erudizione di
tutte le scienze et arti, sino nella musica»mentre il vescovo Gregorio Boldrino
gli affidò la cattedra di «teologia positiva di casi di coscienza e delli sacri
canoni». Stabilito nel convento di San Barnaba, perfezionò la conoscenza della
lingua ebraica e iniziò, col puntiglio consueto, ad applicarsi agli studi
storici. Fu certo a motivo di quest'interesse che a Mantova frequentò
Camillo Olivo, già segretario di Ercole Gonzaga, cardinale e legato pontificio
nelle ultime sessioni del concilio di Trento, la cui caduta in disgrazia presso
Pio IV coinvolse anche l'Olivo che fu dagli «inquisitori molto travagliato, col
tenerlo longamente in carcere dopo la morte del cardinale suo signore», ma che
ora, dopo la morte del pontefice, «viveva privatamente in Mantova. Il gusto
principale che riceveva fra Paolo in conversare con lui era perché lo trovava
d'una moderazione singolare, erudito, e che, per esser stato col cardinale a
Trento, aveva avuto gran maneggio in quelle azioni e sapeva tutte le
particolarità de' negozii più secreti, et aveva anco molte memorie,
nell'intendere le quali fra Paolo riceveva molto piacere». Erano gli anni
in cui in Italia continuava con vigore la repressione inquisitoriale di Pio V:
Pietro Carnesecchi venne decapitato nel 1567, nel 1569 gli ebrei furono espulsi
dallo Stato pontificiotranne che da Roma e da Ancona, nei ghetti delle quali
vennero costretti a risiederee nel 1570 fu impiccato l'umanista Aonio Paleario;
il papa scomunicò Elisabetta d'Inghilterra nel 1570, organizzò la Lega contro i
turchi nel 1571, ottenendo la vittoria navale di Lepanto e a Parigi, la notte
del 23 agosto 1572 migliaia di ugonotti furono massacrati: in quest'anno Sarpi
fece la sua professione, entrando ufficialmente nell'Ordine servita. Anche di
lui l'Inquisizione si occupò per la prima volta nel 1573, a seguito della
denuncia di un confratello, un tale Claudio, che lo accusò di sostenere che dal
primo capitolo del Genesi non si può ricavare l'articolo di fede della Trinità:
ma, poiché effettivamente di Trinità divina non vi è traccia nel Vecchio
Testamento, l'Inquisizione gli diede ragione, archiviando il caso. Il
ritorno a Venezia Dopo aver ricevuto nel convento mantovano il titolo di
baccelliere, nel 1574 fu invitato a Milano da Carlo Borromeo il quale, dopo
aver ottenuto dalle autorità spagnole, contro la volontà del Senato, il
riconoscimento del tribunale e della polizia diocesana, aveva avviato un
processo di riforma del clero. L'anno successivo ottenne di essere trasferito
nel convento dell'Ordine servita di Venezia, dove fu incaricato
dell'insegnamento della filosofia e continuò i suoi studi scientifici. Nella
grande epidemia di peste, che imperversò a Venezia dal 1575 al 1577, facendo
50.000 vittimetra le quali Tizianofra' Paolo rimase immune dal contagio, ma
perdette la madre. Nel 1578, dopo essersi addottorato in teologia
nell'Padova, venne nominato reggente del convento di Venezia e, l'anno dopo,
priore della provincia veneta. Quello stesso anno, durante il Capitolo generale
tenutosi a Parma, nel quale venne rieletto priore generale Giacomo Tavanti,
tenne una dissertazione di fronte ai cardinali protettori dell'Ordine,
Alessandro Farnese e Giulio Antonio Santori. Sarpi fu uno dei tre «saggi»,
insieme con Cirillo Franco e Alessandro Giani, incaricati di preparare una
riforma della regola: «il carico suo speziale fu d'accommodare quella parte che
toccava i sacri canoni, le riforme del concilio di Trento, allora nuove, e la
forma de' giudizii [...] quella parte tutta ove si tratta de' giudizii
accommodatamente allo stato claustrale [...] Lasciò in questo carico in Roma
fama di gran sapere e di molta prudenza, non solo nelle corti de' due cardinali
suddetti, co' quali, per ordine contenuto in un breve apostolico di Gregorio
XIII, conveniva conferire tutte le leggi che si facevano, ma anco fu necessario
molte volte trattar col pontefice medesimo. Sbrigato da quale peso ritornò al
suo governo». Nel giugno del 1585 si tenne a Bologna il nuovo Capitolo
dell'Ordine servita e Sarpi viene eletto procuratore generale, «la suprema
dignità di quell'ordine dopo il generale [...] il carico porta seco di difender
in Roma tutte le liti e controversie che vengono promosse in tutta la
religione» Dovette pertanto trasferirsi a Roma dove conobbe e «prese
strettissima familiarità col padre Bellarmino [...] poi cardinale, e durò
l'amicizia sin al fine della vita», grazie al quale forse poté prendere visione
di diversa documentazione relativa alle istruzioni date ai legati pontifici
durante il Concilio di Trento. Conobbe anche il dottor Navarro, teologo
spagnolo difensore dell'arcivescovo di Toledo, Bartolomé Carranza, accusato di
eresia, il gesuita Nicolás Alfonso de Bobadilla e il cardinale Castagna, che fu
poi papa Urbano VII. Ebbe occasione di passare a Napoli per presiedere Capitoli
e «conversare con quel famoso ingegno Giovanni Battista della Porta, il quale,
anco nelle sue opere mandate in luce, fa onorata menzione del padre Paolo come
di non ordinario personaggio». Scaduto il periodo di carica a procuratore
generale dell'Ordine servita, Sarpi ritornò a Venezia nel 1589, frequentandovi
i circoli intellettuali che si riunivano nella bottega di Bernardo Sechini e
nella casa del nobile veneziano Andrea Morosini, dove conobbe anche Giordano Bruno,
mentre a Padova frequentava la casa di Gian Vincenzo Pinelli, «il ricetto delle
muse e l'academia di tutte le virtù in quei tempi», dove poté incontrare
Galileo e forse ancora il Bruno, il quale s'intrattenne a Padova più di tre
mesi, poco prima di essere arrestato a Venezia nel maggio del
1592. Seconda denuncia all'Inquisizione Ottavio Leoni (?): papa
Paolo V Nel 1594 si dovette scegliere il nuovo generale dell'Ordine servita, e
fra i due principali candidati, Lelio Baglioni e Gabriele Dardano, Sarpi si
espresse a favore del primo. Il rancore spinse il Dardano a denunciare Paolo
Sarpi al Sant'Uffizio, accusandolo di negare efficacia allo Spirito Santo, di
avere rapporti sospetti con ebrei veneziani e allegando una lettera che fra'
Paolo gli scrisse anni prima da Roma, nella quale erano contenute «alcune
parole in discredito della corte, come che in quella si venisse alle dignità
con male arti, e di tenerne esso poco conto, anzi abominarla». Sarpi,
senza nemmeno essere chiamato a Roma per discolparsi, fu subito prosciolto da
ogni accusa ma il cardinale di Santa Severina, Giulio Antonio Santori,
protettore dell'Ordine e capo del Sant'Uffizio, «mostrò però implacabile
indignazione al padre» utilizzando tutta la sua autorità per escludere gli
amici del frate «dalli gradi et onori [...] con maniere così strane e fini così
bassi, ch'io non ardisco poner i casi che mi sono stati dati in nota, perché
troppo gran scandalo arrecherebbono al mondo». Sarpi continuò i suoi
studi mentre non cessavano le rivalità nell'Ordine servita, del quale venne
eletto priore, il 1º giugno 1597, Angelo Montorsoli, che morì tre anni dopo,
succedendogli così, nel 1601, Gabriele Dardano, accanito avversario del Sarpi.
Questi, deciso a uscire dall'Ordine per sottrarsi all'inimicizia dalla quale si
sentiva circondato, cercò invano di ottenere un vescovato, prima a Caorle e poi
a Nona, in Dalmazia, che però gli vennero rifiutati a causa delle negative
informazioni che di lui il Dardano e Ludovico Gagliardi, preposito della casa
veneziana dei gesuiti, diedero al papa: essi avrebbero «sentito mormorare alle
volte che egli con alcuni facci una scoletta piena d'errori». Non solo: nel
Capitolo, il Dardano accusò padre Paolo di portare «una berretta in capo contra
una forma che sino sotto Gregorio XIV disse esser proscritta; che portasse le
pianelle incavate alla francese, allegando falsamente esserci decreto
contrario, con privazioni divote; che nel fine della messa non recitasse lo
Salve Regina». Ma Sarpi fu assolto anche da queste accuse. L'interdetto
del papa contro Venezia Rivendicazioni sulla non validità
dell'Interdetto, Venezia, 1606 La Repubblica veneziana, stretta a nord
dall'Impero, in Italia dalla prevalenza spagnola e papale, in Oriente dalla
potenza turca, era ormai avviata a quel lungo declino politico ed economico che
avrà la sua sanzione alla fine del Settecento. Alla prudente politica dei
vecchi patrizi, rasseglla compromissione con l'Impero e il papato, si sostituì
quella degli innovatori, i cosiddetti «Giovani», decisi a sottrarre la
Serenissima all'invadenza ecclesiastica nell'interno e a rilanciarne le fortune
commerciali nell'Adriatico, compromesse dal controllo dei porti esercitato
dallo Stato pontificio e dalle azioni degli Uscocchi, i pirati cristiani croati
appoggiati dall'Impero. Il 10 gennaio 1604 il Senato veneziano proibì la
fondazione di ospedali gestiti da ecclesiastici, di monasteri, chiese e altri
luoghi di culto senza autorizzazione preventiva della Signoria; il 26 marzo
1605 un'altra legge proibiva l'alienazione di beni immobili dai laici agli
ecclesiastici, già proprietari, pur essendo solo un centesimo della
popolazione, di quasi la metà dei beni fondiari della Repubblica, e limitava le
competenze del foro ecclesiastico, prevedendo il deferimento ai tribunali
civili degli ecclesiastici responsabili di reati di particolare gravità.
Avvenne che il canonico vicentino Scipione Saraceno, colpevole di molestie a
una nobile parente, e l'aristocratico abate di Nervesa, Marcantonio Brandolini,
reo di omicidi e di stupri, fossero incarcerati. Il 10 dicembre 1605 il papa
Paolo V emanò due brevi richiedenti l'abrogazione delle due leggi e la consegna
al nunzio pontificio dei due ecclesiastici, affinché secondo il diritto
canonico fossero giudicati da un tribunale ecclesiastico. Il nuovo doge
Leonardo Donà fece esaminare il 14 gennaio 1606 i due brevi da giuristi e
teologi, fra i quali il Sarpi, affinché trovassero modo di controbattere alle
richieste della Santa Sede. Il 28 gennaio venne nominato teologo canonista
proprio il Sarpi e lo stesso giorno il suo scritto: Consiglio in difesa di due
ordinazioni della Serenissima Repubblica, venne inviato al Papa. Il Sarpi
difese le ragioni della Repubblica con numerosi scritti: sono di questi mesi la
Scrittura sopra la forza e validità delle scomuniche, il Consiglio sul giudicar
le colpe di persone ecclesiastiche, la Scrittura intorno all'appellazione al
concilio, la Scrittura sull'alienazione dei beni laici agli ecclesiastici e
altri ancora, poi raccolti nella sua successiva Istoria dell'interdetto. In
quell'opera è contenuta anche la traduzione in italiano, fatta dal Sarpi
stesso, del trattato di Jean Gerson sulla validità della scomunica, che fu
attaccato dal cardinale Bellarmino, al quale fra' Paolo rispose allora con
l'Apologia per le opposizioni del cardinale Bellarmino. Mentre il frate
servita Fulgenzio Micanziosuo futuro biografoiniziava a collaborare con Paolo
Sarpi, il 6 maggio, dopo che il 17 aprile Paolo V aveva scomunicato il
Consiglio veneziano e fulminato con l'interdetto lo Stato veneto, Venezia
pubblicò il Protesto del monitorio del pontefice, scritto ancora da Sarpi, nel
quale il breve papale Superioribus mensibus è definito «nullo e di nessun
valore», mentre impedì la pubblicazione della bolla pontificia. Rubens;
il cardinale Joyeuse incorona Maria de' Medici. Obbedendo alle disposizioni del
papa, il 9 maggio i gesuiti rifiutarono di celebrare le messe a Venezia e la
Repubblica reagì espellendoli insieme con cappuccini e teatini: «partirono la
sera alle doi di notte, ciascuno con un Cristo al collo, per mostrare che
Cristo partiva con loro. Concorse moltitudine di populo [...] e quando il
preposto, che ultimo entrò in barca, dimandò la benedizione al vicario
patriarcale [...] si levò una voce in tutto il populo, che in lingua veneziana
gridò loro dicendo "Andé in malora!" [...]». A Roma si sperava che
l'interdetto provocasse una sollevazione contro i governanti veneziani ma «li
gesuiti scacciati, li cappuccini e teatini licenziati, nissun altro ordine partì,
li divini uffizi erano celebrati secondo il consueto [...] il senato era
unitissimo nelle deliberazioni e le città e populi si conservarono quietissimi
nell'obbedienza» Venezia era alleata, in funzione anti-spagnola, con la
Francia, ed era in buoni rapporti con l'Inghilterra e con la Turchia.
Fingendosi veneziani, il 10 agosto soldati spagnoli, per provocare la rottura
delle relazioni turco-veneziane, sbarcarono a Durazzo, saccheggiandola, ma la
provocazione fu facilmente scoperta e i turchi offrirono a Venezia l'appoggio
della loro flotta contro il papa e la Spagna. Il 30 ottobre l'Inquisizione
intimò a Sarpi di presentarsi a Roma per giustificare le molte cose «temerarie,
calunniose, scandalose, sediziose, scismatiche, erronee ed eretiche» contenute
nei suoi scritti ma il frate naturalmente si rifiutò. Invano il papache il 5
gennaio 1607 aveva scomunicato Sarpi e Micanziosi dichiarava favorevole a
portare guerra a Venezia: la sua unica alleata, la Spagna, minacciata da
Francia, Inghilterra e Turchia, non poteva sostenerla in quest'impresa e si
giunse così alle trattative diplomatiche, favorite dalla mediazione del
cardinale francese François de Joyeuse. Il 21 aprile Venezia rilasciò i due
ecclesiastici incarcerati e ritirò il suo Protesto al papa in cambio della revoca
dell'interdetto, mentre le leggi promulgate dal Senato veneziano restarono in
vigore e i gesuiti non poterono rientrare nella Repubblica. Gli attentati
In quel tempo Sarpi ricevette la visita dell'ex-luterano ed erudito tedesco
Kaspar Schoppe, molto intimo dei segreti affari della Curia romana, il quale
gli confidò che «il papa, come gran prencipe, ha longhe le mani, e che per
tenersi da lui gravemente offeso non poteva succedergli se non male, e che se
sino a quell'ora avesse voluto farlo ammazzare, non gli mancavano mezzi. Ma che
il pensiero del papa era averlo vivo nelle mani e farlo levare sin a Venezia e
condurlo a Roma, offerendosi egli, quando volesse, di trattare la sua
riconciliazione, e con qual onore avesse saputo desiderare; asserendo d'aver in
carico anco molte trattazioni co' prencipi alemanni protestanti e la loro
conversione». Monumento a Sarpi a Venezia, in Campo Santa Fosca,
presso il luogo dell'attentato Lo Schoppe, ambiguo provocatore, intendeva
convincere il frate a mettersi nelle mani dell'Inquisizione come miglior
partito che il Sarpi potesse prendere, tanto «parvero strane le due proposte di
far ammazzare o prender vivo il padre», ma i disegni omicidi erano reali: il 5
ottobre 1607, «circa le 23 ore, ritornando il padre al suo convento di San
Marco a Santa Fosca, nel calare la parte del ponte verso le fondamenta, fu
assaltato da cinque assassini, parte facendo scorta e parte l'essecuzione, e
restò l'innocente padre ferito di tre stilettate, due nel collo et una nella
faccia, ch'entrava all'orecchia destra et usciva per apunto a quella vallicella
ch'è tra il naso e la destra guancia, non avendo potuto l'assassino cavar fuori
lo stillo per aver passato l'osso, il quale restò piantato e molto
storto». I sicari, fuggendo, trovarono rifugio nella casa del nunzio
pontificio e la sera s'imbarcarono per Ravenna, da dove proseguirono per Ancona
e di qui raggiunsero Roma. Si conoscono i loro nomi: l'esecutore materiale
dell'attentato fu Rodolfo Poma, già mercante veneziano, poi trasferitosi a
Napoli e di qui a Roma, dove divenne intimo del cardinale segretario di Stato
Scipione Caffarelli-Borghese e dello stesso Paolo V. Fu coadiuvato da tre
uomini d'arme, tali Alessandro Parrasio, Giovanni da Firenze e Pasquale da
Bitonto, mentre «la spia, o guida, fu un prete, Michiel Viti bergamasco, solito
offiziare in Santa Trinità di Venezia, che non lasciò dubitare quanti mesi
precedessero questo bel effetto prima che fosse mandato alla luce; poi che
questo prete la quadragesima antecedente, sotto specie d'aver gusto delle
predicazioni del padre maestro Fulgenzio, andava ogni mattina in convento de'
servi alla porta del pulpito, che risponde alla parte di dentro, e cortesemente
trattava con lui, ricercandolo anco di qualche dubbio di coscienza. E continuò
di poi sempre a salutarlo et anco andar in convento a visitarlo, parlandogli
sempre di cose spettanti all'anima». Il pugnale non aveva tuttavia leso
organi vitali e il Sarpi riuscì a sopravvivere; il noto chirurgo Girolamo
Fabrici d'Acquapendente, che l'operò, disse di non aver mai medicato una ferita
più strana, rispondendo allora Sarpi con la famosa espressione: «eppure il
mondo vuole che sia data stilo Romanae Curiae». Le conseguenze furono la
rottura della mascella e vistose cicatrici nel volto. Il 27 ottobre 1607 il
Senato, dichiarando il Sarpi «persona di prestante dottrina, di gran valore e
virtù», gli concede una casa in piazza San Marco ove possa risiedere con il
Micanzio e altri frati, e una sovvenzione affinché possa acquistare una barca e
provvedere alla sua sicurezza personale. Sarpi rifiutò la casa ma si servì da
allora di una barca che gli evitasse i pericolosi tragitti a piedi per le calli
veneziane. Poco più di un anno dopo, nel gennaio del 1609, fu sventato un
secondo attentato, ordito, sembra su mandato del cardinale Lanfranco Margotti,
da due frati serviti, Giovanni Francesco da Perugia e Antonio da Viterbo, i
quali, fatta una copia della chiave della camera di Sarpi, «volevano
secretamente introdurre nel monasterio due o più sicarii e la notte trucidare
l'innocente padre».[26] La corrispondenza europea e la morte Sarpi inizia
a corrispondere con personalità soprattutto di fede calvinista o gallicana: fra
questi ultimi, Jacques Leschassier e Jacques Gillot, che pubblicò nel 1607 gli Actes
du concile de Trente en l'an 1562 e 1563, dimostrando le pressioni papali sui
vescovi riuniti a concilio, e fra gli altri l'italiano Francesco Castrino, i
francesi Jean Hotman de Villiers, Isaac Casaubon, Jacques-Auguste de Thou,
Philippe Duplessis-Mornay, i tedeschi Achatius e Christoph von Dohna.
Attraverso il dialogo diretto con gli intellettuali europei, Sarpi acquisì
«quella straordinaria ampiezza di orizzonti e di interessi, quella solida
conoscenza dei problemi dello stato moderno», che gli permise di «arricchire la
sua cultura storica, giuridica e scientifica» e lo condusse «a incidere sulla
sua posizione religiosa, ad approfondirne la crisi, risolvendola poi con
l'accoglimento di nuove prospettive e di nuove idealità; spalancandogli un
mondo nuovo, che gli faceva sentire più soffocante, più viziata, la vita
italiana».[27] Incontrò a Venezia nel 1607 l'inglese William Bedell, che
riferì di lui e del Micanzio come essi fossero «completamente dalla nostra
parte nella sostanza della religione» e, nel 1608, Cristoph von Dohna, inviato
dal principe tedesco Cristiano I di Anhalt-Bernburg, e il pastore ginevrino
Giovanni Diodati, per valutare la possibilità di introdurre a Venezia la
Riforma. La traduzione in lingua italiana, fatta da quest'ultimo, del Nuovo
Testamento, viene diffusa a Venezia proprio in questo periodo. Altre
polemiche suscitano, nel marzo del 1609, le prediche quaresimali di Fulgenzio
Micanzio che vengono interpretate a Roma come un attacco alla fede cattolica.
Sarpi è anche preoccupato per la tregua stipulata tra la Spagna e i Paesi
Bassi, perché vede in essa un indebolimento di questi ultimi «che, o prima o
dopo, resteranno sopraffatti dalle arti spagnole», mentre gli spagnoli ne
potrebbero trarre beneficio anche in vista del loro dominio in Italia.[28]
Sarpi sperava in un'alleanza generale di Francia, Inghilterra, principi
protestanti, Paesi Bassi, Savoia e Venezia che portasse alla guerra contro
l'Impero cattolico ispano-tedesco e cancellasse il dominio papale e spagnolo in
Italia: «Se sarà guerra in Italia, va bene per la religione; e questo Roma
teme; l'Inquisizione cesserà e l'Evangelio avrà corso».[29] E andrà bene anche
per le libertà civili di Venezia: qui, anche se «il giogo ecclesiastico è assai
più mite che nel rimanente d'Italia, in quella parte nondimeno che tocca la
stampa è l'istesso appunto che negli altri luoghi. Nessuna cosa si può stampare
se non veduta e approvata dall'Inquisizione [...] Dove si ragiona di alcun
papa, non permettono che si dica alcuna di disonore, se bene vera e notoria.
Non permettono che alcuno separato dalla Chiesa romana sia lodato di
qualsivoglia virtù, né nominato se non con vituperio».[30] Ai primi
giorni del 1623 si ammalò gravemente, e morì il 15 gennaio. Secondo la versione
ufficiale l'8 gennaio, sebbene sfinito, volle alzarsi per il mattutino, come al
solito, e celebrare la Messa. La mattina del 12 gennaio, fatto chiamare il
priore del convento, lo pregò che lo raccomandasse alle preghiere dei
confratelli e che gli portasse il Viatico. Gli consegnò tutte le cose concesse
a suo uso. Si fece vestire, si confessò e passò il resto del mattino facendosi
leggere da fra Fulgenzio e da Fra Marco i Salmi e la Passione di Cristo narrata
dagli Evangelisti. Gli fu quindi amministrato dal priore, alla presenza della
Comunità, il Viatico. Il 14 mattina fu visitato dal medico che gli disse che
aveva poche ore di vita. Egli, sorridendo, rispose: Sia benedetto Dio! A me
piace ciò che a Lui piace. Col suo aiuto faremo bene anche quest'ultima azione
(quella di morire). Fu udito ripetere più volte, con soddisfazione: Orsù,
andiamo dove Dio ci chiama!. Secondo alcuni le sue ultime parole sarebbero
state: Esto perpetua, riferendosi a Venezia (v. Bianchi-Giovini, 846340-344).
Esistono tuttavia altre versioni della sua morte che lo fanno apparire più
vicino al culto protestante. Sarpi nella storia della letteratura e
della scienza Figura assai complessa di pensatore, Sarpi occupa indubbiamente
un posto di primo piano nella storia della letteratura e della scienza. Fu uno
dei più grandi scrittori del suo secolo. «La sua prosa (è) una delle più
maschie ed efficaci di tutta la letteratura nostra, che non conosce lenocini né
fronzoli, che scolpisce le figure con raro risalto, che ha un magnifico potere
rievocatore allorché descrive dispute e contrasti, ch'è impareggiabile nel
sarcasmo, tutto contenuto in un'unica espressione, tre o quattro parole»
(Arturo Carlo Jemolo.) Giovanni Papini, parlando della Istoria del Concilio di
Trento, l'ha definita: «un modello di lucidità narrativa... e di prosa
semplice, esatta e rapida (Scritti filosofici inediti3)» Nel campo delle
scienze poi ha lasciato orme indelebili in vari campi: nella filosofia, nella
matematica, nell'ottica, nell'astronomia, nella medicina ecc. Galileo Galilei fu
suo grande amico, e non disdegnò di appellarlo: Mio Maestro. Dinanzi al primo
avvertimento a Galilei nel 1616, Sarpi (che non visse abbastanza a lungo per
assistere alla condanna del 1633) scrisse: «Verrà il giorno, e ne sono
quasi certo, che gli uomini, da studi resi migliori, deploreranno la disgrazia
di Galileo e l'ingiustizia resa a sì grande uomo.» Sarpi scoperse, per
primo, la dilatabilità della pupilla sotto l'azione della luce e le valvole
delle vene (Enciclopedia Treccani,
XXX879). I suoi biografi parlano anche di scoperte nel campo
dell'anatomia, dell'ottica, ecc. L'invenzione del telescopiodice
Bianchi-Gioviniil Galilei la dovette per certo ai lumi somministratigli dal
Sarpi, se pure questi non ne fu il primo inventore, come pensano alcuni (v. p.
74). Sopra la sua sapienza matematica si citava l'autorevole giudizio di
Galileo Galilei (Papini4). Robertson non ha stentato ad appellare Sarpi il più
grande dei veneziani. Daniel Georg Morhof ha appellato Sarpi la Fenice del suo
tempo. Galileo Galilei non esitò a dire: Paolo de' Servi... del quale
posso senza iperbole alcuna affermare che niuno l'avanza in Europa in
cognizione di queste scienze (matematiche) (contro alle calunnie ed imposture
di B. Capra, in ediz. naz., Firenze, 1932, II, 549). La teoria di Galileo delle
maree, successivamente dimostratasi erronea, riprende idee di Sarpi, esposte
nei Pensieri naturali, metafisici e matematici (in particolare nei pensieri 569
e 571). Giovanni Battista Della Porta, dopo aver dichiarato di avere
appreso alcune cose da Fra Paolo, lo proclamò splendore ed ornamento non solo
della città di Venezia e dell'Italia, ma di tutto il mondo. (Magia naturalis,
L. VII127). Il cardinale Domenico Passionei definì il Sarpi dottissimo oltre
ogni espressione (cfr. Opuscoli, I331-334). Un busto regalato alla
città di Udine nel 1912 dai Mazziniani italiani emigrati in Argentina. In uno
studio il cui intento era quello di misurare il Q.I. di 300 personaggi famosi
vissuti tra il 1450 e il 1850, Sarpi si posizionò al quinto posto, al pari del
più noto matematico Pascal (cit. "The Early Mental Traits of Three Hundred
Geniuses" di Catharine M. Cox, in "Genetic Studies of Genius" di
Lewis M. Terman. Copyright 1926, Stanford University Press). Sarpi e la
Chiesa Il Sarpi alla grande intelligenza unì anchecome riconosciutagli da
tuttiun'esemplare integrità di vita. Arturo Carlo Jemolo, dopo essersi rivolto
varie domande intorno alla sua ortodossia, ha dato questa risposta: «Gli
elementi ci mancano per una risposta perentoria: noi non possiamo dissipare
l'alone di mistero che circonda Fra Paolo.Questo non c'impedisce di ammirare
l'uomo e l'opera...» (Arturo Carlo Jemolo(10).) Fondamentalmente lo
scontro di Paolo Sarpi con la Curia romana fu legato ad un progetto politico volto
a contenere il potere della Chiesa in ambito esclusivamente spirituale e a
promuovere un'alleanza tra Venezia e la Francia in un'ottica antimperiale e
fortemente antispagnola. Per questo intrattenne contatti con i riformati
(Lettere ai protestanti). Inoltre la sua visione della Chiesa era un vago
ritorno verso la chiesa primitiva: egli quindi era indotto a condannare il
potere temporale, il processo di mondanizzazione del clero, la superiorità del
papa sul Concilio. Nel 1616 il Sarpi strinse amicizia con Marcantonio de
Dominis, arcivescovo di Spalato, che tendeva all'apostasia. Quest'ultimo nel
1619 pubblicò a Londra, senza il consenso dell'autore, la sua Istoria del
Concilio Tridentino, che costituisce il suo capolavoro storico ed offre la
prima imponente ricostruzione del Concilio di Trento. Il 22 novembre 1619
l'opera fu condannata dalla Congregazione dell'Indice e quindi posta all'Indice
dei libri proibiti. Nel 1611 furono intercettate dal nunzio pontificio a
Parigi mons. Roberto Ubaldini «compromettenti carteggi di Sarpi con
l'ambasciatore veneziano Antonio Foscarini e con l'ugonotto Francesco Castrino;
carteggi ben presto inviati a Roma per essere messi a disposizione del
Sant'Uffizio, ma anche da utilizzare per far ammettere una buona volta al
governo veneziano quanto da tempo da Roma si veniva denunciando, che quel
frate, che si proclamava più cattolico del Papa e come tale difeso
ufficialmente dai responsabili politici veneziani, altri non era che un
protestante, al servizio delle forze ereticali europee: dunque infedele e
ipocrita. Una taccia di ipocrisia che non darà tregua alla figura sarpiana
lungo i secoli, come stanno a provare innumerevoli esempi, dal dotto curiale
Girolamo Aleandro, che ricevuta da Nicolas de Peiresc nel 1624 la sarpiana
Istoria dell'Interdetto appena edita rispondeva all'illustre erudito francese
con fare perentorio che quel fra Paolo servita [...] era nero ministro
del Diavolo che si dice esser padre delle menzogna, se ben egli veramente non
credeva né nel Diavolo né in Dio[31], al prelato friulano Giusto
Fontanini con la sua velenosa Storia arcana della vita di Fra Paolo Sarpi
servita, al celebre cardinal Domenico Passionei, che credeva di avere le carte
per dimostrare che l'idea del frate furfante era di introdurre il calvinismo in
Venezia, come ancora ricordava nel secolo scorso il dotto cardinale Angelo
Mercati.»[32] Un parere analogo si trova anche nella recente Storia della
Chiesa di Ludwig Hertling e Angiolino Bulla, dove Sarpi viene definito: «un
ipocrita che fino all'ultimo fece la parte del religioso, sebbene nel suo
intimo si fosse da tempo allontanato dalla Chiesa.»[33] Opere Trattato
dell'interdetto di Paolo V nel quale si dimostra che non è legittimamente
pubblicato, 1606. Apologia per le opposizioni fatte dal cardinale Bellarmino ai
trattati et risolutioni di G. Gersone sopra la validità delle scomuniche, 1606.
Considerationi sopra le censure della santità del papa Paolo V contra la
Serenissima Repubblica di Venezia, 1606. Istoria del Concilio Tridentino, 1619.
Il trattato dell'immunità delle chiese (De iure asylorum), 1622. Discorso
dell'origine, forma, leggi ed uso dell'Uffizio dell'Inquisizione nella città e
dominio di Venezia, 1638. Trattato delle materie beneficiarie, 1676. Opinione
del Padre Paolo Servita, come debba governarsi la Repubblica Veneziana per
havere il perpetuo dominio, Venezia, 1681. La storiografia recente attribuisce
lo scritto al patriziato veneziano medesimo. Edizioni Scritti giurisdizionalistici,
1958 Istoria del Concilio Tridentino, 1619. Istoria del Concilio tridentino, In
Geneua, Pierre Aubert, 1629. Istoria del Concilio Tridentino, 3 voll., Franco
Pagnoni Editore, Milano, 1895. Giovanni Gambarin , Istoria del Concilio
tridentino, Scrittori d'Italia 151, 1,
Bari, Laterza, 1935. Giovanni Gambarin , Istoria del Concilio tridentino,
Scrittori d'Italia 152, 2, Bari,
Laterza, 1935. Giovanni Gambarin , Istoria del Concilio tridentino, Scrittori
d'Italia 153, 3, Bari, Laterza, Istoria
del Concilio Tridentino, 2 voll., testo critico di Giovanni Gambarin,
introduzione di Renzo Pecchioli, Collana Biblioteca, Sansoni, Firenze,
1966, 1086; II ed. 1982. Lettere inedite
di Fra Paolo Sarpi a Simone Contarini ambasciatore veneto in Roma, 1615,
pubblicate dagli autografi, Monumenti storici pubblicati dalla R. Deputazione
veneta di storia patria. Serie 4, Miscellanea 12, Venezia, Fratelli Visentini,
1892. Pagine scelte, Arturo Carlo Jemolo, Vallecchi, Firenze, 1924, 71. Lettere
ai protestanti, Scrittori d'Italia 136,
1, Bari, Laterza, 1931. Lettere ai protestanti, Scrittori d'Italia
137, 2, Bari, Laterza, 1931. Antologia
degli scritti politici e storici. Francesco T. Roffarè, CEDAM, Padova,
1937, 118. Istoria dell'Interdetto e
altri scritti editi e inediti, Bari, Laterza, 1940. Istoria dell'interdetto, Scrittori
d'Italia 179, 1, Bari, Laterza, 1940.
Istoria dell'interdetto, Scrittori d'Italia 180, 2, Bari, Laterza, Istoria dell'interdetto,
Scrittori d'Italia 181, 3, Bari,
Laterza, 1940. Romano Amerio , Scritti filosofici e teologici, Scrittori
d'Italia 202, Bari, Laterza, 1951. Pensieri naturali, metafisici e matematici.
Manoscritto dell'iride e del caloreArte di ben pensarePensieri
medico-moraliPensieri sulla religioneFabulaeMassime e altri scritti. Edizione
integrale commentata Luisa Cozzi e Libero Sosio, Ricciardi, Milano-Napoli, 1Scritti
giurisdizionalistici, Scrittori d'Italia 216, Bari, Laterza, 1958. Lettere ai
Gallicani, Boris Ulianich, Wiesbaden, F. Steiner, 1961. La Repubblica di
Venezia la casa d'Austria e gli Uscocchi, Bari, Laterza, 1965. Scritti scelti:
Istoria dell'Interdetto, Consulti, Lettere, Giovanni Da Pozzo, Collezione di
Classici Italiani n.14, UTET, Torino, Storici, Politici, e Moralisti del
Seicento, Luisa e Gaetano Cozzi, Collana La Letteratura Italiana. Storia e
Testi 35, Milano-Napoli, Ricciardi, Istoria del Concilio Tridentino. Seguita
dalla «Vita del padre Paolo» di Fulgenzio Micanzio. Corrado Vivanti, 2 voll.,
Collana NUE n.156, Einaudi, Torino, 1974,
CLX-XV-1472; Collana Piccola Biblioteca. Nuova Serie, Einaudi, Torino,
, 978-88-06-20875-2. Pensieri. Gaetano e
Luisa Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Torino, CXLVI-74. Considerazioni sopra
le censure di papa Paolo V contro la Repubblica di Venezia e altri scritti
sull'Interdetto, Gaetano e Luisa Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi,
Torino, Lettere a Gallicani e Protestanti, Relazione dello Stato della
Relazione, Trattato delle Materie Beneficiarie. Gaetano e Luisa Cozzi, Collana
Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, Gli ultimi consulti. 1612-1623. Gaetano e
Luisa Cozzi, Collana Classici Ricciardi n.100, Einaudi, Torino, Dai «Consulti»,
il carteggio con l'ambasciatore inglese sir Dudley Carleston. Gaetano e Luisa
Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, 1979, Dal
«Trattato di pace et accomodamento» e altri scritti sulla pace d'Italia.
1617-1620. Gaetano e Luisa Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino,
1979, XII-138. Consulti, 2 voll.,
Corrado Pin, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2001.
Letteratura e vita civile. Paolo Sarpi, Collana I Classici del Pensiero
Italiano n. 23, Edizione speciale per Il Sole 24 Ore, Milano, 2006, XIII-562. Della potestà de' prencipi, Nina
Cannizzaro, Collana I Giorni, Marsilio, Venezia, 2007. Scritti filosofici
inediti. Tratti da un manoscritto della Marciana G. Papini, Collana Cultura
dell'anima, Rocco Carabba, Editore Lanciano, 2008 (ristampa anastatica del
1910), Manoscritti Consulti: incipit
III17, XVII secolo, Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Fondo manoscritti,
AG.X.3/11.1. Consulti: III18 VI99, XVII
secolo, Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Fondo manoscritti, AG.X.3/11.2.
Consulti: VI100explicit, XVII secolo,
Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Fondo manoscritti, AG.X.3/11.3.
Note O. Ceretti, Cinque pugnali non
bastarono a troncare la sua parola, in «Historia», 264, febbraio 1980 Touring club italiano, Touring Editore, F.
Micanzio, Vita del padre Paolo, in «Istoria del Concilio tridentino», Torino F.
Micanzio, cit.1276 F. Micanzio, cit.1278 F. Micanzio, F. Micanzio, cit.1279
Ibidem F. Micanzio, cit.1280 F. Micanzio, cit.1281 F. Micanzio, cit.1290 F. Micanzio, cit.1295 F. Micanzio, cit.1296 F. Micanzio, cit.1308 F. Micanzio, cit.1296. Scriveva tra l'altro
Sarpi nella lettera: «E che volete ch'io speri in Roma, ove li soli ruffiani,
cenedi et altri ministri di piaceri o di guadagni hanno ventura?». I cenedi
sono i giovani che si prostituiscono F.
Micanzio, cit.1298 G, Cozzi, in Paolo Sarpi,
Opere, 196928 F. Micanzio, cit.1328 P. Sarpi, Istoria dell'interdetto e altri
scritti editi e inediti, 194051
Ivi52 F. Micanzio, cit.1346 Ivi1347
Ivi1348 Ivi1350 Ivi1351, dove stilo può significare sia stile
che stiletto Ivi1364 G. Cozzi, cit.227 Lettere a Groslot de l'Isle, in «Lettere ai
protestanti», I, 18 e 78 Ivi120
Lettera a Francesco Castrino, 18 agosto 1609, in «Lettere ai
protestanti», II, 46-47 Citato in C. Rizza, Peiresc e l'Italia,
Torino, Giappichelli, 196574. Corrado
Pin, Paolo Sarpi senza maschera: l'avvio della lotta politica dopo l'Interdetto
del 1606, in Marie Viallon , Paolo Sarpi. Politique et religion en Europe,
Paris, Classiques Garnier, Ludwig Hertling e Angiolino Bulla, Storia della
Chiesa. La penetrazione dello spazio umano ad opera del cristianesimo, Città Nuova,
Borgna Romain, Faggion Lucien (dir.), Le Prince de Fra' Paolo. Pratiques
politiques et forma mentis du patriciat à Venise au XVII° Siécle,
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theologo della serenissima republ. di Venetia, Leida, 1646. Ed. moderna in P.
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Memorie anedote spettanti alla vita ed agli studj del sommo filosofo e
giureconsulto f. Paolo Servita, Losanna, presso M. Mic. Bousquet e Comp., 1760;
F. Griselini, Del genio di f. Paolo Sarpi in ogni facolta scientifica e nelle
dottrine ortodosse tendenti alla difesa dell'originario diritto de' sovrani né
loro rispettivi dominj ad intento che colle leggi dell'ordine vi rifiorisca la pubblica
prosperita, Venezia, Basaglia, 1785 P. Zerletti, Storia arcana della vita di
Fra Paolo Sarpi servita scritta da Monsignor Giusto Fontanini, arcivescovo
d'Ancira in partibus e documenti relativi, Venezia, 1803 P. Cassani, Paolo
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Sarpi, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Opere integrali in più volumi dalla collana
digitalizzata "Scrittori d'Italia" Laterza Per l'epistolario di Paolo
Sarpi, consultare il : correspondance-sarpi.univ-st-etienne.fr (Marie Viallon,
dir.). Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Sarpi," per il
Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
sasso: Gennaro Sasso (Roma), filosofo. Ha studiato a Roma. Ha
conseguito la laurea discutendo una tesi sul pensiero di Niccolò Machiavelli
avendo come relatore Carlo Antoni e correlatore Federico Chabod. Durante gli
anni universitari seguì le lezioni di Pantaleo Carabellese, Guido De Ruggiero,
Luigi Scaravelli, Bruno Nardi, Raffaele Pettazzoni, Natalino Sapegno, Giuseppe
Gabetti, Gennaro Perrotta e Gaetano De Sanctis.
Borsista all'Istituto italiano per gli Studi Storici, ha insegnato Storia
delle dottrine politiche all'Urbino e successivamente Storia delle dottrine
politiche, Storia della filosofia, e
Filosofia teoretica all'Università "La Sapienza" di Roma, di cui è
stato nominato professore emerito nel 2005.
Direttore dal 1986 al
dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli fondato nel 1946
da Benedetto Croce, dal 1987 lo è anche della storica rivista di filosofia,
storia e letteratura "La Cultura" .
I suoi studi hanno riguardato soprattutto l'idealismo italiano (in
particolare l'opera di Benedetto Croce), le opere politiche e storiografiche di
Niccolò Machiavelli e per quanto riguarda la sua riflessione più propriamente
teoretica, le problematiche di ontologia fondamentale. È inoltre autore di
sette libri e innumerevoli saggi danteschi. Si è inoltre occupato di Platone, Polibio,
Lucrezio, Guicciardini, Shakespeare e Thomas Mann. È presidente della "Fondazione Giovanni
Gentile" , presidente dell'"Edizione nazionale delle Opere di
Benedetto Croce" e socio nazionale dell'Accademia dei Lincei. Scritti Machiavelli e Cesare Borgia. Storia
di un giudizio, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1966. Studi su Machiavelli, Napoli,
Morano, 1967. Passato e presente nella storia della filosofia, Bari, Laterza,
1967. Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, Napoli, Morano, Il progresso e la morte. Saggi su Lucrezio,
Bologna, Il Mulino, 1978. L'illusione della dialettica. Profilo di Carlo
Antoni, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1982. Per Francesco Guicciardini. Quattro
studi, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma, 1984. Essere e negazione,
Napoli, Morano, 1987. Machiavelli e gli antichi e altri saggi, 4 voll.,
Milano-Napoli, Ricciardi, 1987-97. Tramonto di un mito. L'idea di
"progresso" fra Otto e Novecento, 2ª ed. ampliata Bologna, Il Mulino,
1988 [1ª ed. 1984]. Per invigilare me stesso. I Taccuini di lavoro di Benedetto
Croce, Bologna, Il Mulino, 1989. L'essere e le differenze. Sul
"Sofista" di Platone, Bologna, Il Mulino, 1991. Variazioni sulla
storia di una rivista italiana: "La Cultura" (1882-1935), Il Mulino,
1992. Niccolò Machiavelli, Bologna, Il Mulino, 1993. Comprende: I, Il pensiero politico, 3ª ed. ampliata [1ª
ed. Napoli, IISS, 1958; 2ª ed. ampliata Bologna, Il Mulino, 1980Premio
Viareggio 1981 di Saggistica]; II, La
storiografia. La fedeltà e l'esperimento, F. Scarpelli, F.S. Trincia e M.
Visentin interrogano Gennaro Sasso, Bologna, Il Mulino,Filosofia e
idealismo, Napoli, Bibliopolis, Comprende:
Benedetto Croce,Giovanni Gentile, De Ruggiero, Calogero, Scaravelli, 1997. 88-7088-338-8. Paralipomeni, Secondi paralipomeni,
Ultimi paralipomeni, . Tempo, evento, divenire, Bologna, Il Mulino, La potenza
e l'atto. Due saggi su Giovanni Gentile, Firenze, La Nuova Italia, Le due Italie di Giovanni Gentile, Bologna, Il
Mulino, La verità, l'opinione, Bologna, Il Mulino, Ernesto De Martino fra
religione e filosofia, Napoli, Bibliopolis, . Il guardiano della storiografia.
Profilo di Federico Chabod e altri saggi, 2ª ed. ampliata Bologna, Il Mulino,
2002 [1ª ed. Napoli, Guida, 1985; 1ª ed. del Profilo di Federico Chabod, Bari,
Laterza, Dante. L'imperatore e Aristotele, Roma, Istituto Storico Italiano per
il Medio Evo, 2002. Fondamento e giudizio. Un duplice tramonto?, Napoli,
Bibliopolis, 2004. Il principio, le cose, Torino, Aragno, Delio Cantimori. Filosofia e storiografia,
Pisa, Edizioni della Scuola Normale Superiore, Dante, Guido e Francesca, Roma,
Viella, Le autobiografie di Dante, Napoli, Bibliopolis, 2008. 9788870885590. Discorsi di Palazzo
Filomarino, raccolti da M. Herling, premessa di N. Irti, Napoli, IISS, Il logo,
la morte, Napoli, Bibliopolis, . Ulisse
e il desiderio. Il canto XXVI dell'Inferno, Roma, Viella, . La voce dei
ricordi, Napoli, Bibliopolis, . Storiografia e decadenza, Roma, Viella, . I
corrotti e gli inetti. Conversazioni su Machiavelli, con A. Gnoli, Milano, Bompiani,
. Allegoria e simbolo, Torino, Aragno, . La lingua, la Bibbia, la storia. Su
"De vulgari eloquentia" I, Roma, Viella, . Su Machiavelli. Ultimi
scritti, Roma, Carocci, . Croce. Storia d'Italia e storia d'Europa, Napoli,
Bibliopolis, [raccolto in questo volume:
La 'Storia d'Italia' di Bendetto Croce. Cinquant'anni dopo, Napoli,
Bibliopolis, 1979]. "Forti cose a pensar mettere in versi". Studi su
Dante, Torino, Aragno, . Purgatorio e Antipurgatorio. Un'indagine dantesca,
Roma, Viella, . Croce e le letterature e altri saggi, Napoli, Bibliopolis, .
Biografia e storia. Saggi e variazioni, Roma, Viella, . Note il MulinoRivisteLa Cultura, su mulino.it. 18
gennaio . Fondazione Gentile |
Dipartimento di Filosofia | SapienzaRoma Archiviato il 10 novembre in .
Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su
premioletterarioviareggiorepaci.it. 9 agosto .
Croce in un recente libro di Gennaro Sasso. Dibattito, Il Cannocchiale,
1-2/1978, 93-132 [interventi di: G.
Arnaldi, G. Calabrò, A. Jannazzo, G, Sasso, V. Stella, F. Valentini, M.
Visentin]. G. Arnaldi, Gennaro Sasso. Uno specialista di più specialità, in
Id., Conoscenza storica e mestiere di storico, il Mulino, IISS-Napoli , A.
Bellocci, Verità e doxa: la questione dello "sguardo" e della
"relazione" ne Il logo, la morte di Gennaro Sasso,
filosofia-italiana.net, ottobre . A.
Bellocci, Laicismo della verità, della doxa e tolleranza in Gennaro Sasso,
Leussein, 3/, 87-91. A. Bellocci,
L'impossibilità della differenza e i paradossi dell'identità nel pensiero di
Gennaro Sasso, Archivio di filosofia, A. Bellocci, Il problema della 'non'
relazione ne Il principio, le cose di Gennaro Sasso, Giornale critico della
filosofia italiana, A. Bellocci, La verità, l'opinione di Gennaro Sasso. Lo
''specchio'' della verità e l'''eterna opinione'' metafisica, Filosofia
italiana, XIII, 1/, 165-180. R. Berutti,
Annotazioni critiche sull'"essere" ovvero sul "non essere
essere" del discorso che lo concerne. Il problema dell'ontologia nella
riflessione di Gennaro Sasso, Pólemos, M. Capati, Gennaro Sasso, Paragone. Letteratura,
M. Cardenas, L'autonoema. Il giudizio tra attualismo e neoeleatismo, Filosofia
italiana, C. Cesa, Gennaro Sasso
interprete di Gentile, Archivio di storia della cultura, A. De Vicentiis,
Storiografia e pensiero politico nelle "Istorie fiorentine" di
Machiavelli: l'interpretazione di Gennaro Sasso, Bullettino dell'Istituto
Storico Italiano per il Medio Evo, F. Fronterotta, L'essere e le differenze. In
margine a un libro di G. Sasso sul Sofista di Platone, Novecento, 5-6,
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di Gennaro Sasso, Giornale di filosofia, marzo 2007 , su
giornaledifilosofia.net. F. Mignini, Essere e negazione. Per un recente volume
di Gennaro Sasso, Giornale critico della filosofia italiana,Marcello Mustè,
"Crisi" e "critica" dello storicismo. Filosofia e
storiografia nel pensiero di Gennaro Sasso, Novecento, Marcello Mustè,
Filosofia e storia della filosofia nella riflessione di Gennaro Sasso, Filosofia
italiana, X N. Parise, Sulla relazione. Gennaro Sasso critico della metafisica,
Luigi Passerino Editore, Gaeta . N. Parise, Figure della scissione. A proposito
di Allegoria e simbolo di Gennaro Sasso, filosofia.it, N. Parise, Gennaro Sasso e l'aporia del
nulla, Filosofia italiana, G. Perazzoli, Il concetto di laicità e la filosofia,
in G. PerazzoliG. Miligi , Laicità e filosofia, Mimesis, Milano-Udine , 9-30. S. Pietroforte, Problema del nulla e
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italiana, F. Scarpelli , Nulla, anamnesi, riflessività. Intervista a Gennaro
Sasso su alcuni temi del libro Essere e negazione (raccolta da F. Scarpelli,
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Vander, Critica della filosofia italiana contemporanea. Dialettica e ontologia:
i termini di una contrapposizione, Marietti, Genova-Milano 2007. M. Visentin,
Tempo e giudizio. Spunti da un recente "Profilo di Carlo Antoni", La
Cultura,M. Visentin, Sull'identità e sull'essenza del laicismo italiano. A
proposito del volume di Gennaro Sasso "Le due Italie di Giovanni
Gentile", Giornale critico della filosofia italiana, M. Visentin, Il
neoparmenidismo italiano. Considerazioni intorno al volume di G. Sasso: 'La
verità, l'opinione', in Id., Il neoparmenidismo italiano. II. Dal neoidealismo
al neoparmenidismo, Bibliopolis, Napoli ,M. Visentin, Aletheia e doxa oltre
Parmenide, in Id., Onto-Logica. Scritti sull'essere e il senso della verità, Bibliopolis,
Napoi,M. Zanetti, Critiche al divenire. Tra Sasso e Severino, Filosofia
italiana, X S. Zurletti, Lo specchio di Perseo, Chaos/KosmosLibri ed eventi, n139.95/ojs/index.php/babelonline/search/authors/view?firstName=Sara&middleName=&lastName=Zurletti&affiliation=&country=. Gennaro Sasso, su Treccani.itEnciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Gennaro Sasso, . Gennaro
Sasso, su Goodreads. Registrazioni di
Gennaro Sasso, su RadioRadicale.it, Radio Radicale. Gennaro Sasso, Progresso, in Enciclopedia del
Novecento, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1975-2004. Gennaro Sasso,
Giovanni Gentile, in Dizionario biografico degli italiani, 53, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 2000. Gennaro Sasso, «Giambattista Vico e il simbolo», «Atti
dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Memorie della Classe di Scienze morali,
storiche e filologiche», sGennaro Sasso, costituzione mista, Benedetto Croce,
Dante, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, eternità del mondo,
Francesco De Sanctis, Lucrezio in Machiavelli, in Enciclopedia machiavelliana,
G. Sasso, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Roma . Gennaro Sasso,
Dalla concordia discors alla polemica: filosofia e psicologia di una vicenda,
Ripensando la Storia d'Europa, Ripensando la Storia d'Italia, in Croce e
Gentile, la cultura italiana e europea, M. Ciliberto, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana Treccani, Roma .
sava: Roberto Sava (Belpasso), filosofo. Lavorò per 15 anni
come medico e gli venne conferita l'onorificenza di Cavaliere dell'Ordine dei
SS.Maurizio e Lazzaro su proposta del Ministero dell'Agricoltura; collaborò
inoltre alla quarta e quinta edizione della Nuova Enciclopedia Popolare
Italiana. Ha scritto circa 95 libri e il
suo libro Sui pregi e Doveri dei medici, pubblicato nel 1845, è stato tradotto
e pubblicato nello stesso anno in lingua inglese col titolo On the Deserts and
Duties of the Physician. Nel 2009 gli è stato dedicato il libro Roberto SavaLa
vita e l'opera di Agostino Prezzavento.
Dopo la morte, il paese natale di Belpasso, ha dedicato al suo ricordo
la biblioteca comunale, istituita nel 1989; è intitolato al suo nome, inoltre,
un premio di laurea. Note British and foreign medical review: or
quarterly journal of .. su Google Libri
Repertorio di libri e pubblicazioni su adamoli Biblioteca comunale Roberto Sava su
lineaamica Biblioteca comunale su
comunebelpasso Alba Dicembre Speciale
Archiviato il 9 ottobre in . su l'Alba..
satis-
satisfactum -- satisfactoriness-condition: a state of affairs or “way things are,” most commonly referred to in
relation to something that implies or is implied by it. Let p, q, and r be
schematic letters for declarative sentences; and let P, Q, and R be
corresponding nominalizations; e.g., if p is ‘snow is white’, then P would be
‘snow’s being white’. P can be a necessary or sufficient condition of Q in any
of several senses. In the weakest sense P is a sufficient condition of Q iff if
and only if: if p then q or if P is actual then Q is actual where the conditional is to be read as
“material,” as amounting merely to not-p & not-q. At the same time Q is a
necessary condition of P iff: if not-q then not-p. It follows that P is a
sufficient condition of Q iff Q is a necessary condition of P. Stronger senses
of sufficiency and of necessity are definable, in terms of this basic sense, as
follows: P is nomologically sufficient necessary for Q iff it follows from the
laws of nature, but not without them, that if p then q that if q then p. P is
alethically or metaphysically sufficient necessary for Q iff it is alethically
or metaphysically necessary that if p then q that if q then p. However, it is
perhaps most common of all to interpret conditions in terms of subjunctive
conditionals, in such a way that P is a sufficient condition of Q iff P would
not occur unless Q occurred, or: if P should occur, Q would; and P is a
necessary condition of Q iff Q would not occur unless P occurred, or: if Q
should occur, P would. -- satisfaction,
an auxiliary semantic notion introduced by Tarski in order to give a recursive
definition of truth for languages containing quantifiers. Intuitively, the
satisfaction relation holds between formulas containing free variables such as
‘Buildingx & Tallx’ and objects or sequences of objects such as the Empire
State Building if and only if the formula “holds of” or “applies to” the
objects. Thus, ‘Buildingx & Tallx’, is satisfied by all and only tall
buildings, and ‘-Tallx1 & Tallerx1, x2’ is satisfied by any pair of objects
in which the first object corresponding to ‘x1’ is not tall, but nonetheless
taller than the second corresponding to ‘x2’. Satisfaction is needed when
defining truth for languages with sentences built from formulas containing free
variables, because the notions of truth and falsity do not apply to these
“open” formulas. Thus, we cannot characterize the truth of the sentences ‘Dx
Buildingx & Tallx’ ‘Some building is tall’ in terms of the truth or falsity
of the open formula ‘Buildingx & Tallx’, since the latter is neither true
nor false. But note that the sentence is true if and only if the formula is
satisfied by some object. Since we can give a recursive definition of the
notion of satisfaction for possibly open formulas, this enables us to use this
auxiliary notion in defining truth. --
satisfiable, having a common model, a structure in which all the sentences in
the set are true; said of a set of sentences. In modern logic, satisfiability
is the semantic analogue of the syntactic, proof-theoretic notion of
consistency, the unprovability of any explicit contradiction. The completeness
theorem for first-order logic, that all valid sentences are provable, can be
formulated in terms of satisfiability: syntactic consistency implies
satisfiability. This theorem does not necessarily hold for extensions of
first-order logic. For any sound proof system for secondorder logic there will
be an unsatisfiable set of sentences without there being a formal derivation of
a contradiction from the set. This follows from Gödel’s incompleteness theorem.
One of the central results of model theory for first-order logic concerns
satisfiability: the compactness theorem, due to Gödel in 6, says that if every
finite subset of a set of sentences is satisfiable the set itself is
satisfiable. It follows immediately from his completeness theorem for
first-order logic, and gives a powerful method to prove the consistency of a
set of sentences.
satisfice: to choose or do the good enough rather than the most
or the best. ‘Satisfice’, an obsolete variant of ‘satisfy’ (“much as
‘implicate’ is an explicated form of ‘imply’”Grice) has been adopted by Simon
and others to designate nonoptimizing choice or action. According to some
economists, limitations of time or information may make it impossible or
inadvisable for an individual, firm, or state body to attempt to maximize
pleasure, profits, market share, revenues, or some other desired result, and
satisficing with respect to such results is then said to be rational, albeit
less than ideally rational. Although many orthodox economists think that choice
can and always should be conceived in maximizing or optimizing terms,
satisficing models have been proposed in economics, evolutionary biology, and
philosophy. Biologists have sometimes conceived evolutionary change as largely
consisting of “good enough” or satisficing adaptations to environmental
pressures rather than as proceeding through optimal adjustments to such
pressures, but in philosophy, the most frequent recent use of the idea of
satisficing has been in ethics and rational choice theory. Economists typically
regard satisficing as acceptable only where there are unwanted constraints on
decision making; but it is also possible to see satisficing as entirely
acceptable in itself, and in the field of ethics, it has recently been argued
that there may be nothing remiss about moral satisficing, e.g., giving a good
amount to charity, but less than one could give. It is possible to formulate
satisficing forms of utilitarianism on which actions are morally right even if
they contribute merely positively and/or in some large way, rather than
maximally, to overall net human happiness. Bentham’s original formulation of
the principle of utility and Popper’s negative utilitarianism are both examples
of satisficing utilitarianism in this sense
and it should be noted that satisficing utilitarianism has the putative
advantage over optimizing forms of allowing for supererogatory degrees of moral
excellence. Moreover, any moral view that treats moral satisficing as
permissible makes room for moral supererogation in cases where one optimally
goes beyond the merely acceptable. But since moral satisficing is less than
optimal moral behavior, but may be more meritorious than certain behavior that
in the same circumstances would be merely permissible, some moral satisficing
may actually count as supererogatory. In recent work on rational individual
choice, some philosophers have argued that satisficing may often be acceptable
in itself, rather than merely second-best. Even Simon allows that an
entrepreneur may simply seek a satisfactory return on investment or share of
the market, rather than a maximum under one of these headings. But a number of
philosophers have made the further claim that we may sometimes, without
irrationality, turn down the readily available better in the light of the
goodness and sufficiency of what we already have or are enjoying. Independently
of the costs of taking a second dessert, a person may be entirely satisfied
with what she has eaten and, though willing to admit she would enjoy that extra
dessert, turn it down, saying “I’m just fine as I am.” Whether such examples
really involve an acceptable rejection of the momentarily better for the good
enough has been disputed. However, some philosophers have gone on to say, even
more strongly, that satisficing can sometimes be rationally required and
optimizing rationally unacceptable. To keep on seeking pleasure from food or
sex without ever being thoroughly satisfied with what one has enjoyed can seem
compulsive and as such less than rational. If one is truly rational about such
goods, one ’t insatiable: at some point one has had enough and doesn’t want
more, even though one could obtain further pleasure. The idea that satisficing
is sometimes a requirement of practical reason is reminiscent of Aristotle’s
view that moderation is inherently reasonable
rather than just a necessary means to later enjoyments and the avoidance
of later pain or illness, which is the way the Epicureans conceived moderation.
But perhaps the greatest advocate of satisficing is Plato, who argues in the
Philebus that there must be measure or limit to our desire for pleasure in
order for pleasure to count as a good thing for us. Insatiably to seek and
obtain pleasure from a given source is to gain nothing good from it. And
according to such a view, satisficing moderation is a necessary precondition of
human good and flourishing, rather than merely being a rational restraint on
the accumulation of independently conceived personal good or well-being.
Satisgrice: to satisfice in a Griceian fashionafter C.
E. L., of the Grice Club.
scala: Giuseppe Scala (Noto), filosofo. Insieme a Molet, fu
uno dei due studiosi che parteciparono alla commissione dei cinque dotti creata
da papa Gregorio XIII per la riforma del calendario . Chiamato da Padova per
insegnare matematica, fu costretto a rifiutare per le sue precarie condizioni
di salute . Morì, infatti, giovanissimo a soli ventinove anni. Pubblicazioni L'Efemeridi del mag.co et
eccel.te sig. Gioseppe Scala Siciliano, per anni dodici, le quali cominciano
dall'anno di Christo nostro Sig. 1589. & finiscono nel fine di dicembre dell'anno
1600. ... Alle quali sono aggiunti i canoni, ò introduttioni dell'efemeridi
dell'eccell. sig. Gioseppe Moleto matematico et dal detto signor Gioseppe Scala
ridotto all'uso delle presenti efemeridi, In Venetia: appresso i Giunti, 1589.
(Ephemerides Iosephi Scalae Siculi Noetini art. et med. doc. ad annos duodecim,
incipientes ab anno Domini 1589). Vnà cum introductionibus ephemeridum excel.
d. Iosephi Moletii mathematici. Ab eodem d. Iosepho Scala, ad vsum suarum,
restitutis. Venetiis: Lucantonio Giunta il giovane, 1589) Note Col suo nome è oggi chiamato il Gruppo
Astrofili di Noto Santi Correnti, Quello
che la Sicilia ha dato all'Italia e al mondo[collegamento interrotto] Vedi Giuseppe Emanuele Ortolani, Biografia
degli uomini illustri di Sicilia ornata de' loro rispettivi ritratti, Tomo II,
Napoli, 1818. Corrado Spataro,
L'astronomo netino Giuseppe Scala jr. e la "nuova scienza" del
Cinquecento, . Calendario gregoriano.
scalfari: Deputato della Repubblica Italiana Durata
mandato 5 giugno 196824 maggio 1972 LegislatureV Gruppo parlamentareSocialista
CollegioTorino Incarichi parlamentari Componente della quinta commissione
(Bilancio e partecipazioni statali) (10 luglio 196824 maggio 1972) Componente
della dodicesima commissione (Industria e commercio) (27 marzo 197024 maggio
1972) Sito istituzionale Dati generali Partito politicoPNF (1942-1943) PLI
(1945-1955) PR (1955-1962) PSI (1962-1972) Indipendente (dal 1972) Titolo di
studioLaurea in giurisprudenza UniversitàUniversità degli Studi di Genova e
Università “La Sapienza” Professionegiornalista. Eugenio Scalfari (Civitavecchia),
filosofo. Considerato, anche dai suoi "avversari", uno dei più grandi
giornalisti italiani Professorecontribuì, con altri, a fondare il settimanale
l'Espresso ed è fondatore del quotidiano la Repubblica. I campi principali
dell'analisi di Scalfari sono l'economia e la politica. La sua ispirazione
politica è socialista liberale, azionista e radicale. Punti forti dei suoi
articoli recenti sono la laicità, la questione morale, la filosofia. Si
iscrive al Liceo Mamiani di Roma, ma è a Sanremo (dove la famiglia, di origini
calabresi, si era trasferita temporaneamente, essendo il padre direttore
artistico del Casinò) che completerà gli studi liceali, al liceo classico G.D.
Cassini, avendo come compagno di banco Italo Calvino. Nel 1950 si sposa
con la figlia del giornalista Giulio De Benedetti, Simonetta, morta nel
2006. Dalla fine degli anni settanta Scalfari è sentimentalmente legato a
Serena Rossetti, già segretaria di redazione de L'Espresso (e poi di
Repubblica), che sposerà dopo la scomparsa della moglie Simonetta.
Eugenio Scalfari è ateo. Esordi giornalistici durante il fascismo Tra le
prime esperienze giornalistiche di Scalfari c'è Roma Fascista, organo ufficiale
del GUF (Gruppo Universitario Fascista), mentre era studente di giurisprudenza.
Negli anni successivi Scalfari continua a collaborare con riviste e periodici
legati al fascismo, come NuovoOccidente, diretto dall'ex squadrista e fascista
cattolico Giuseppe Attilio Fanelli. Nel 1942 Scalfari sarà nominato
caporedattore di Roma Fascista. All'inizio del 1943 scrive una serie di
corsivi non firmati sulla prima pagina di Roma Fascista in cui lancia generiche
accuse verso speculazioni da parte di gerarchi del Partito Nazionale Fascista
sulla costruzione dell'EUR. Questi articoli portarono alla sua espulsione dai
GUF per opera di Carlo Scorza, allora vicesegretario del PNF. Di fronte al
gerarca, intenzionato a perseguire gli speculatori, il giovane Scalfari aveva
ammesso come i suoi corsivi fossero basati su voci generiche. Il gerarca accusò
poi il giovane di essere un imboscato, e lo prese materialmente per il ero
strappandogli le mostrine dalla divisa del partito. Carriera
giornalistica nel dopoguerra Dopo la fine della seconda guerra mondiale entra
in contatto con il neonato Partito Liberale Italiano, conoscendo giornalisti
importanti nell'ambiente. Nel 1950, mentre lavora presso la Banca Nazionale del
Lavoro, diventa collaboratore, prima a Il Mondo e poi a L'Europeo, di due
personalità che spesso richiama nei suoi scritti: Mario Pannunzio e Arrigo
Benedetti. Ricorderà poi, con orgoglio, di essere stato licenziato dalla BNL
per una serie di articoli sulla Federconsorzi non graditi alla direzione.
Nel 1955 partecipa all'atto di fondazione del Partito Radicale. Nello stesso
anno nasce il settimanale L'Espresso: Scalfari è direttore amministrativo e
scrive articoli di economia. Nel 1963 somma la carica di direttore
responsabile de L'Espresso a quella di direttore amministrativo. Il settimanale
arriva in cinque anni a superare il milione di copie vendute. Il successo
giornalistico si fuse con il piglio imprenditoriale, dato che Scalfari continuò
a gestire anche la parte organizzativa e amministrativa. Eugenio
Scalfari nella foto da deputato Sempre nel 1967 Scalfari pubblica insieme a
Lino Jannuzzi l'inchiesta sul SIFAR che fa conoscere il tentativo di colpo di
Stato chiamato piano Solo. Il generale De Lorenzo li querela e i due
giornalisti vengonocondannati rispettivamente a 15 e a 14 mesi di reclusione,
malgrado la richiesta di assoluzione fatta dal Pubblico Ministero Vittorio
Occorsio, che era riuscito a leggere gli incartamenti integrali prima che il
governo ponesse il segreto di Stato. Scalfari e Jannuzzi evitano il carcere
grazie all'immunità parlamentare loro offerta dal Partito Socialista Italiano:
alle elezioni politiche del 1968 Scalfari viene eletto deputato, come
indipendente, nelle liste del PSI, segreteria Mancini, mentre Jannuzzi diviene
senatore. Scalfari, che era stato eletto sia nella circoscrizione di Torino che
in quella di Milano, opta per la seconda e aderisce al gruppo del PSI. Resta
deputato fino al 1972. Nel 1968, dopo la candidatura al Parlamento, aveva
lasciato la direzione de L'Espresso. Nel 1971 sottoscrive la lettera
aperta a L'Espresso contro il commissario Luigi Calabresi. Nel , dopo 45 anni,
ammette che "quella firma era stata un errore". In quegli anni
critica accanitamente le manovre di Eugenio Cefis, prima presidente dell'ENI e
poi di Montedison, appoggiando spesso chi gli si opponeva; tra questi vi fu nel
1971 Sindona nel suo scontro con Mediobanca per il controllo di Bastogi.
Soprattutto contro Cefis è indirizzato il celebre libro-inchiesta pubblicato da
Scalfari e da Giuseppe Turani nel 1974, Razza padrona. Fondazione e
direzione de la Repubblica Nel 1976, dopo aver già tentato (inutilmente) di
varare un quotidiano insieme a Indro Montanelli, che aveva respinto la proposta
definendola piuttosto azzardata, Scalfari fonda il quotidiano la Repubblica,
che debutta nelle edicole il 14 gennaio di quell'anno. L'operazione, attuata
con il Gruppo L'Espresso e la Arnoldo Mondadori Editore, apre una nuova pagina
del giornalismo italiano. Il quotidiano romano, sotto la sua direzione, compie
in pochissimi anni una scalata imponente, diventando per lungo tempo il
principale giornale italiano per tiratura. L'assetto proprietario
registra negli anni ottanta consolidamenti della posizione dello stesso
Scalfari e l'ingresso di Carlo De Benedetti, nonché un vano tentativo di
acquisizione da parte di Berlusconi in occasione della "scalata" del
titolo Arnoldo Mondadori Editore, finito con il "lodo Mondadori",
resosi necessario a causa del fatto che (come accertato dalla magistratura in
seguito) Silvio Berlusconi, a capo della Fininvest, aveva corrotto uno dei tre
giudici per averelusione, malgrado la richiesta di assoluzione fatta dal
Pubblico Ministero Vittorio Occorsio, che era riuscito a leggere gli
incartamenti integrali prima che il governo ponesse il segreto di Stato.
Scalfari e Jannuzzi evitano il carcere grazie all'immunità parlamentare loro
offerta dal Partito Socialista Italiano: alle elezioni politiche del 1968
Scalfari viene eletto deputato, come indipendente, nelle liste del PSI,
segreteria Mancini, mentre Jannuzzi diviene senatore. Scalfari, che era stato
eletto sia nella circoscrizione di Torino che in quella di Milano, opta per la
seconda e aderisce al gruppo del PSI. Resta deputato fino al 1972. Nel 1968,
dopo la candidatura al Parlamento, aveva lasciato la direzione de
L'Espresso. Nel 1971 sottoscrive la lettera aperta a L'Espresso contro il
commissario Luigi Calabresi. Nel , dopo 45 anni, ammette che "quella firma
era stata un errore". In quegli anni critica accanitamente le
manovre di Eugenio Cefis, prima presidente dell'ENI e poi di Montedison,
appoggiando spesso chi gli si opponeva; tra questi vi fu nel 1971 Sindona nel
suo scontro con Mediobanca per il controllo di Bastogi. Soprattutto contro
Cefis è indirizzato il celebre libro-inchiesta pubblicato da Scalfari e da
Giuseppe Turani nel 1974, Razza padrona. Fondazione e direzione de la
Repubblica Nel 1976, dopo aver già tentato (inutilmente) di varare un
quotidiano insieme a Indro Montanelli, che aveva respinto la proposta
definendola piuttosto azzardata, Scalfari fonda il quotidiano la Repubblica,
che debutta nelle edicole il 14 gennaio di quell'anno. L'operazione, attuata
con il Gruppo L'Espresso e la Arnoldo Mondadori Editore, apre una nuova pagina
del giornalismo italiano. Il quotidiano romano, sotto la sua direzione, compie
in pochissimi anni una scalata imponente, diventando per lungo tempo il
principale giornale italiano per tiratura. L'assetto proprietario
registra negli anni ottanta consolidamenti della posizione dello stesso Scalfari
e l'ingresso di Carlo De Benedetti, nonché un vano tentativo di acquisizione da
parte di Berlusconi in occasione della "scalata" del titolo Arnoldo
Mondadori Editore, finito con il "lodo Mondadori", resosi necessario
a causa del fatto che (come accertato dalla magistratura in seguito) Silvio
Berlusconi, a capo della Fininvest, aveva corrotto uno dei tre giudici per
avereun pronunciamento favorevole nella disputa con De Benedetti per il
controllo della Mondadori: tale accordo fu fortemente voluto da Giulio Andreotti,
grazie all'intermediazione di Giuseppe Ciarrapico. Sotto la guida di Scalfari,
"Repubblica" apre il filone investigativo sul caso Enimont, che dopo
due anni verrà in buona parte confermato dall'inchiesta di "Mani
pulite". Scalfari nel
Contro Craxi, a differenza che con Spadolini e con De Mita, Scalfari
s'era speso sin dall'inizio del decennio precedente, considerandolo l'archetipo
della questione morale contro cui si scagliava l'anima della sinistra
rappresentata da Berlinguer. Di questi invece elogiò lo "strappo" con
l'Unione Sovietica in occasione del golpe polacco, pur restando essenzialmente
estraneo alla tradizione comunista e rimanendo su posizioni legate
all'intellettualità laica e alla tecnocrazia. In tal senso vanno lette alcune
sue importanti iniziative, tutte sostenute per il tramite di
"Repubblica": sponsorizza il "governo del Presidente",
candidandovi il governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi, già
negli anni ottanta; indica al presidente Scalfaro il commissario PSI a Milano
Giuliano Amato come viatico per la sua scelta a premier nel 1992; apprezza
Guido Rossi come commissario delle aziende travolte nel turbine di
Tangentopoli. Il 27 gennaio 1994 incomincia, dapprima in solitaria, la sua
ventennale battaglia contro Silvio Berlusconi . Sconfitto Vittorio Sgarbi , il
7 maggio 2008 è il primo a percepire e ad avvertire il pubblico circa la
potenziale pericolosità di Beppe Grillo . Il 13 aprile è il primo a preconizzare una possibile, futura
alleanza fra Matteo Renzi e Matteo Salvini . Ritiro dalla direzione de la
Repubblica Scalfari, padre del quotidiano la Repubblica e della sua ascesa
editoriale e politico-culturale, abbandona il ruolo di direttore nel 1996, dopo
che già da tempo aveva ceduto, insieme a Caracciolo, la proprietà a Carlo De
Benedetti; gli subentra Ezio Mauro. Non scompare dalla testata del giornale,
poiché continua a svolgere il ruolo di editorialista dell'edizione domenicale.
I suoi editoriali sono entrati oramai nella consuetudine del giornale, tanto da
essere soprannominatianche per la loro lunghezza"la messa cantata della
domenica"[25]. Cura altresì una rubrica su L'Espresso (Il vetro soffiato).
Il 6 luglio 2007, sul Venerdì di Repubblica (il magazine settimanale che esce
dal 1987), annuncia di voler abbandonare dopo l'estate la sua storica rubrica
Scalfari risponde, ringraziando i lettori per l'affetto ricevuto e gli stimoli
da loro pervenuti per le sue riflessioni. Gli subentra Michele Serra. Su
RaiSat Extra è andato in onda per qualche tempo, ogni giovedì, un programma dal
titolo La Scalfittura, in cui Scalfari teneva colloqui politici con Giovanni
Floris. Controversie Nel e nel ,
le sue "interviste" con papa Francesco hanno causato per due volte la
smentita da parte della sala stampa vaticana in relazione alle parole
attribuite da Scalfari al Pontefice. Scalfari ha ribattuto di aver scritto
virgolettati "come se fossero usciti dalla bocca del Papa", senza
aver preso appunti o registrato durante i colloqui, sostenendo che quello era
stato il suo metodo di lavoro per quasi cinquant'anni[26][27]. Il 29 marzo il Vaticano ha smentito un’altra intervista
di Eugenio Scalfari a papa Francesco, a seguito della pubblicazione di un suo
articolo su Repubblica, negando he il Papa avesse rilasciato un’intervista a Scalfari
e sostenendo che il contenuto dell’articolo fosse il frutto di una sua
ricostruzione.[28][29] Ciononostante, Papa Francesco continua
periodicamente a concedere interviste esclusive a Scalfari [30]. Premi ed
onorificenze Scalfari ha ricevuto varie onorificenze. A livello giornalistico
ha vinto nel 1988 il Premio Internazionale Trento per "Una vita dedicata
al giornalismo", nel 1996il "Premio Ischia" alla carriera, nel
1998 il Premio Guidarello al giornalismo d'autore e, di recente, il Premio
Saint-Vincent 2003. L'8 maggio 1996 è stato nominato Cavaliere di gran croce
dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro mentre nel 1999 ha
ricevuto una delle più prestigiose onorificenze della Repubblica francese
diventando Cavaliere della Legione d'onore (successivamente è stato promosso
ufficiale). È cittadino onorario di Velletri, città in cui risiede. Il 5 maggio
2007 ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Vinci e il 23 ottobre 2008 gli è
stata conferita la cittadinanza benemerita di Sanremo. Nel vince il prestigioso Premio
Viareggio[31] Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della
Repubblica italiananastrino per uniforme ordinariaCavaliere di gran croce
dell'Ordine al merito della Repubblica italiana — 2 maggio 1996[32] Grande
ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiananastrino per uniforme
ordinariaGrande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana —Ufficiale
della Legion d'onorenastrino per uniforme ordinariaUfficiale della Legion
d'onore Cittadinanza onoraria di Vibo Valentia (1990), Velletri (1993) e Vinci
(2007) Cittadinanza benemerita di Sanremo (2008) Opere: Petrolio in gabbia, con
Ernesto Rossi e Leopoldo Piccardi, Bari, Laterza, I padroni della città, con
Leone Cattani e Angelo Conigliaro, Bari, Laterza, Le baronie elettriche, con
Josiah Eccles, Ernesto Rossi e Leopoldo Piccardi, Bari, Laterza, Rapporto sul
neocapitalismo in Italia, Bari, Laterza, Il potere economico in URSS, Bari,
Laterza, Storia segreta dell'industria elettrica, Bari, Laterza, L'autunno
della Repubblica. La mappa del potere in Italia, Milano, Etas Kompass, Il caso Mattei. Un corsaro al servizio della
repubblica, con Francesco Rosi, Bologna, Cappelli, Razza padrona. Storia della
borghesia di Stato, con Giuseppe Turani, Milano, Feltrinelli, Interviste ai
potenti, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, Come andremo a incominciare?, con
Enzo Biagi, Milano, Rizzoli, L'anno di Craxi (o di Berlinguer?), Milano,
Mondadori, La sera andavamo in Via Veneto. Storia di un gruppo dal «Mondo» alla
«Repubblica», Milano, Arnoldo Mondadori Editore, Collana Super ET, Torino, Einaudi,
Incontro con Io, Milano, Rizzoli, Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi, , Denis
Diderot, Il sogno di d'Alembert seguito da Il sogno di una rosa di Eugenio
Scalfari, Collana La memoria, Palermo, Sellerio, I ed. accresciuta, nuova
Introduzione di E. Scalfari, Palermo, Sellerio, , Alla ricerca della morale perduta,
Milano, Rizzoli, Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi, Il labirinto, Milano,
Rizzoli, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, Attualità dell'Illuminismo, a
cura di, Roma-Bari, Laterza, La ruga sulla fronte, Milano, Rizzoli, Collana ET
Scrittori, Torino, Einaudi, Articoli,
Roma, la Repubblica, Dibattito
sul laicismo, E. Scalfari, Roma, La Biblioteca di Repubblica, L'uomo che non credeva in Dio, Collana
Supercoralli, Torino, Einaudi, Per l'alto mare aperto. La modernità e il
pensiero danzante, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, Scuote l'anima mia
Eros, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, ,Enrico Berlinguer, La questione
morale. La storica intervista di Eugenio Scalfari, Reggio Emilia, Aliberti,
.ed. ampliata, Prefazione di Luca Telese, Aliberti, . Vito Mancuso-E. Scalfari,
Conversazioni con Carlo Maria Martini, Collana Campo dei fiori, Roma, Fazi, La
passione dell'etica. Scritti, Angelo Cannatà, Collezione I Meridiani, Milano, Mondadori,
Papa Francesco-E. Scalfari, Dialogo tra credenti e non credenti, Torino,
Einaudi, , L'amore, la sfida, il
destino. Il tavolo dove si gioca il senso della vita, Collana Supercoralli, Torino,
Einaudi, , Racconto autobigrafico, Collana Passaggi, Torino, Einaudi,
L'allegria, il pianto, la vita, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, L'ora
del blu, Torino, Einaudi, Il Dio unico e la società moderna. Incontri con Papa
Francesco e il Cardinale Carlo Maria Martini, Torino, Einaudi, liberoquotidiano.it,
liberoquotidiano.it/news/commenti-e-opinioni/22261560/vittorio_feltri_eugenio_scalfari_ritratto_fuoriclasse_re_giornalisti_diversi.html.
24 aprile (archiviato il 28 aprile ). ilfoglio.it, ilfoglio.it/uffa//11/05/news/benvenuti-al-grand-hotel-scalfari-splendida-vista-sul-secolo-di-carta-284697/.
5 novembre (archiviato il 5 novembre
). la7.it, la7.it/dimartedi/video/da-montanelli-e-scalfari-ho-imparato-che-bisogna-scrivere-per-farsi-capire-marco-travaglio-18-02--308153. Angelo Cannatà, Eugenio Scalfari e il suo
tempo, Mimesis, , diviso in quattro capitoli: la Politica, l'Arte, la
Religione, la Filosofia. Scheda sul storico della Camera dei deputati, su
storia.camera.it. 20 marzo (archiviato
il 25 aprile ). Sull'amicizia tra
Scalfari e Calvino leggiamo: "Caro Eugenio, le tue lettere sono come
manate sulla schiena e io ne ho bisogno di manate sulla schiena, specie di
questi tempi."(...) Mi viene l'acquolina in bocca pensando alle ghiotte
discussioni che faremo quando ci ritroveremo insieme", cfr. Angelo Cannatà
"Eugenio Scalfari e il suo tempo", Mimesis, Paolo Guzzanti, Guzzanti vs De Benedetti.
Faccia a faccia fra un gran editore e un giornalista scomodo, Aliberti
editore, Cfr. Corriere della Sera, La Repubblica.it : Gli 80 anni di Eugenio
Scalfari, su repubblica.it. 17 aprile
(archiviato il 28 gennaio ).
Mirella Serri, I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte
1938-1948, Milano, Corbaccio, 2005. Ero giovane, fascista e felice, intervista
a Eugenio Scalfari apparsa su Il Foglio, pasqualericcio.it. 28 marzo 2009 13
dicembre ). Nel corso dell'inchiesta
Scalfari riferisce di un colloquio avuto col generale Aurigo: "Mi disse
che gli ordini (le disposizioni relative al 'Piano Solo') contemplavano anche
l'ipotesi di una eventuale resistenza da parte del prefetto (...) gli ordini
dicevano che bisognava mettere il prefetto, qualora avesse resistito a questa
iniziativa dei carabinieri, in condizioni di non nuocere". Fonte: Angelo
Cannatà, "Eugenio Scalfari e il suo tempo", Mimesis, 42. Eugenio Scalfari / Deputati / Camera dei
deputati storico, su storia.camera.it. 20 marzo
(archiviato il 25 aprile ). Il
commissario Calabresi e quella firma del 1971, su repubblica.it. 9 giugno (archiviato l'8 giugno ). Fabio Tamburini, Un siciliano a Milano,
Longanesi, da ultimo citato da Ferruccio de Bortoli su
((http://corriere.it/politica/09_ottobre_14/debortoli-attacchi-corriere_ Franco
Recanatesi, La mattina andavamo in piazza Indipendenza, Milano, Cairo, e Alberto Mazzuca, Penne al vetriolo,
Bologna, Minerva, Nei cui confronti
Carlo Caracciolo e Carlo De Benedetti dicono che Scalfari ebbe un
"innamoramento", in seguito non più condiviso dallo stesso editore
della Repubblica che ormai non lo considerava "un grande politico":
intervista alla Stampa del 10 gennaio 200823.
Scrive Scalfari: Gelli è Belfagor, il messaggero del diavolo; ma il
diavolo, cioè Belzebù, chi è? (...) "Belzebù è, in una certa misura, lo
stesso partito socialista, elemento importante di quel quadro politico e di
quella inamovibilità". Fonte: Eugenio Scalfari e il suo tempo, di Angelo
Cannatà, Mimesis, 61. L'articolo di Scalfari, Caro Craxi tu lo sai chi è
Belzebù, è apparso su Repubblica il 5 giugno 1981. repubblica.it, repubblica.it/2004/a/sezioni/politica/festaforza/coccode/coccode.html.
5 marzo (archiviato il 21 agosto ). la7.it,
la7.it/le-invasioni-barbariche/video/lintervista-a-eugenio-scalfari Voto Renzi
perché l'avversario è Grillo, su youtube.com.
youtube.com, youtube.com/watch?v=5KBNeT6Dr4Y. 5 marzo (archiviato il 12 marzo ). Rep, su rep.repubblica.it. 1º marzo (archiviato il 1º marzo ). Ezio Mauro dal pulpito di Repubblica officia
la democrazia e aspira a diventare papa, Panorama. 3 gennaio 14 luglio ).
Il Post Archiviato il 25 dicembre
in ., 22 novembre "Le
interviste vanno comunque reinterpretate", su youtube.com. ll Vaticano ha smentito un’altra intervista
di Eugenio Scalfari a papa Francesco, su ilpost.it. 31 marzo (archiviato il 1º aprile ). Il Vaticano smentisce Eugenio Scalfari che fa
dire al Papa che l'inferno non esiste, su ilmessaggero.it. 31 marzo (archiviato il 31 marzo ). Rep, su rep.repubblica.it. 1º marzo . Premio Viareggio , su repubblica.it
(archiviato il 25 agosto ). Dettaglio
Sito web del Quirinale: dettaglio decorato., su quirinale.it. Sito web del
Quirinale: dettaglio decorato., su quirinale.it. 29 giugno (archiviato il 24 settembre ). Claudio Mauri, Il cittadino Scalfari,
prefazione di Ruggero Guarini, Milano, SugarCo, 1Giancarlo Perna, Eugenio
Scalfari, una vita per il potere, Milano, Leonardo Editore, Angelo Cannatà,
Eugenio Scalfari e il suo tempo, Milano-Udine, Mimesis, , 978-88-575-0027-0. Francesco Bucci, Eugenio
Scalfari. L'intellettuale dilettante, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, Giampaolo
Pansa, La Repubblica di Barbapapà, Milano, Rcs Libri, Giovanni Valentini, La Repubblica tradita,
Roma, PaperFirst, Franco Recanatesi, La mattina andavamo in piazza
Indipendenza, Milano, Cairo Editore, .
978-88-6052-740-0. Alberto Mazzuca, Penne al vetriolo. I grandi
giornalisti raccontano la Prima Repubblica, Bologna, Minerva, La Repubblica
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Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Eugenio Scalfari, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere di Eugenio Scalfari, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di
Eugenio Scalfari, . Eugenio Scalfari, su
storia.camera.it, Camera dei deputati.
Registrazioni di Eugenio Scalfari, su RadioRadicale.it, Radio Radicale. Dati personali e incarichi nella V
legislatura, Camera dei deputati. 27 luglio 2008. PredecessoreDirettore de
L'EspressoSuccessore Arrigo Benedetti9 giugno 196324 marzo 1968Gianni Corbi
PredecessoreDirettore de la RepubblicaSuccessore nessuno14 gennaio 19766 maggio
1996Ezio Mauro.
scarano: Lucio Scarano (Brindisi), filosofo. Studiò all'Bologna,
andò poi a Padova e a Venezia. Il Senato della Serenissima lo chiamò alla
cattedra di filosofia lasciata da Aldo Manuzio il Giovane. Molto apprezzato dai contemporanei, fu tra i
fondatori dell'Accademia Veneziana, con Giambattista Leoni veneziano, Vincenzo
Giliani romano, Pompeo Limpio da Bari, Giovanni Contarini veneziano, Teodoro
Angelucci da Belforte, Fabio Paolini udinese, Guido Casoni da Serravalle e
Giampaolo Gallucci da Salò. Scrisse il
trattato Scenophylax (Venezia 1601), nel quale tratta della convenienza di
restituire alla tragedia e alla commedia la lingua latina. Pasquale Camassa, Brindisini illustri,
Brindisi, Alberto Del Sordo, Ritratti brindisini, presentazione di Aldo Vallone
Bari.
scaravelli: Luigi Scaravelli (Firenze), filosofo. Iscritto alla
facoltà di medicina dell'Istituto di Studi Superiori Fiorentino, dopo aver
quasi completato gli studi e aver servito come ufficiale medico nella Prima
guerra mondiale, cambiò ateneo e facoltà
al scegliendo il corso di laurea in filosofia a Pisa, dove si laureò con
lode con Carlini. Insegnò in licei italiani e stranieri e negli Istituti
italiani di cultura di Atene, Bruxelles, Zagabria e Lisbona. Ottenuta
quell'anno la docenza in Filosofia teoretica a'Pisa, vi insegnò fino al 1957,
anno della sua morte, con qualche incarico temporaneo alla Scuola normale
superiore e all'Università "La Sapienza" di Roma. Nell'ultimo anno
della sua vita ottenne il trasferimento all'Firenze, dove però non insegnerà
mai, per una grave depressione che l'avrebbe condotto di lì a poco al suicidio.
Era sposato e aveva due figli. Profondo
conoscitore di Kant, approfondì nei suoi studi (pubblicati con molta riluttanza
e quasi solo per esigenze concorsuali) in particolare i temi relativi ai
rapporti tra la filosofia kantiana e la fisica moderna, i problemi relativi
alla Critica del Giudizio ed anche i temi dell'idealismo. Biblioteca personale I suoi libri,
doll'Università La Sapienza dai suoi eredi, sono oggi conservati in uno specifico
fondo alla "Villa Mirafiori", dove ha sede la Biblioteca di
filosofia Opere principali: Critica del
capire, Firenze, Sansoni, Saggio sulla categoria kantiana della realta,
Firenze, Le Monnier, La prima meditazione di Cartesio, Firenze, La Nuova
Italia, Osservazioni sulla Critica del giudizio, Pisa, Scuola Normale
Superiore, Opere, Mario Corsi, 3(Critica
del capire e altri scritti, Scritti kantiani, L'analitica trascendentale:
scritti inediti su Kant), Firenze, La nuova Italia. La Biblioteca di Luigi
Scaravelli, su//bibliotecafilosofia.uniroma1.it. 22 settembre . L' attualità di Scaravelli, Edoardo Mirri,
Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Mauro Visentin, Le categorie e la
realtà: saggi su Luigi Scaravelli, Firenze, Le lettere, Gennaro Sasso,
Filosofia e idealismo, IDe Ruggiero, Calogero, Scaravelli, Napoli, Bibliopolis,
Il pensiero di Luigi Scaravelli: la storia come problema e come metodo, atti
del Convegno svoltosi presso l'Accademia d'Ungheria in Roma col titolo di Il problema del giudizio storico
e Luigi Scaravelli, Mario Corsi, Soveria Mannelli, Rubbettino, Scaravelli
pensatore europeo, M. Biscuso e G. Gembillo, Messina, Siciliano, Gennaro Sasso,
Scaravelli e il giudizio, in Filosofia e idealismo. Secondi paralipomeni, Napoli,
Bibliopolis, S. Palermo, Tra critica e
metafisica. Luigi Scaravelli lettore di Kant, Pisa, Edizioni ETS, Luigi Scaravelli, su Treccani.itEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Luigi Scaravelli, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Massimiliano
Biscuso, Profilo di Luigi Scaravelli, su bibliotecafilosofia.uniroma1.it.
La completa dei suoi scritti, su
giornaledifilosofia.net.
scarpelli: Uberto Scarpelli (Vicenza),
filosofo. Studioso di analisi del linguaggio, è stato uno dei fondatori della
cosiddetta scuola analitica italiana di filosofia del diritto assieme a Bobbio.
È stato, insieme allo stesso Bobbio e a Giovanni Tarello, uno dei massimi
esponenti della filosofia del diritto analitica italiana del Novecento,
insegnando in varie università italiane anche Teoria generale del diritto,
dottrine dello Stato, Filosofia morale e Filosofia della politica ed
occupandosi costantemente, per l'intera vita, di problemi di etica e politica.
Il pensiero filosofico-giuridico scarpelliano può essere raccolto attorno a due
grandi temi: la semiotica del linguaggio prescrittivo e il metodo giuridico.
Scarpelli contribuisce in misura fondamentale alla cosiddetta svolta
prescrittivistica in campo semiotico ed è fautore di una giustificazione
etico-politica del positivismo giuridico. Oltre ad approfondire lo studio del
metodo del ragionamento morale, si è impegnato attivamente in relazione a
questioni di etica e bioetica quali per esempio l'aborto e l'eutanasia. Ha
compiuto inoltre studi sulla democrazia e i concetti di libertà politica e di
partecipazione politica. Nasce a Vicenza il 9 febbraio 1924 da una
famiglia di origine pugliese trasferitasi poi in Lucchesia; il padre è
magistrato. Dopo avere frequentato il liceo, si iscrive alla Facoltà di
Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Torino. La formazione di
Scarpelli è all'insegna del pensiero filosofico idealistico allora dominante in
Italia e fondata, tra gli altri, sui testi di Benedetto Croce e Giovanni
Gentile. Durante gli anni universitari, desta l'interesse di Scarpelli in
particolare il pensiero di Mario Allara, maestro della scuola civilistica
torinese, e la filosofia del diritto. Nell'a.a. 1944-1945 segue le lezioni del
corso di Filosofia del diritto di Norberto Bobbio, che ha l'incarico per quell'anno
di ricoprire la cattedra di Gioele Solari. Sotto la guida del filosofo e
giurista italiano Solari, Scarpelli si laurea nel 1946 discutendo una tesi sul
tema della persona nella filosofia giuridica moderna. Già in questo lavorolo
ricorda Bobbio, molti anni più tardi, nel ritratto dell'allievoScarpelli rivela
un orientamento critico verso le versioni organicistiche della filosofia al
tempo in auge. Due anni dopo, nel 1948, si laurea anchein Scienze
politiche sempre sotto la guida di Solari. Risale a questo anno la
pubblicazione nella Rivista del diritto commerciale di una breve nota
intitolata Scienza giuridica e analisi del linguaggio; in questa nota Scarpelli
precorre il celebre saggio di Norberto Bobbio del 1950 che porta lo stesso
titolo e che è considerato il manifesto della scuola analitica italiana di
filosofia del diritto. Scarpelli, sino da giovanissimo, prende le distanze
dalle correnti filosofiche idealistiche, organicistiche ed attualistiche
accreditate sul continente per accostarsi al positivismo logico e, più in
generale, alla filosofia analitica e agli studi di semiotica. È tra i primi a
proporne una applicazione in campo giuridico e ad evidenziare la rilevanza
della analisi del linguaggio per la teoria e la dogmatica giuridica.
Appena dopo la laurea, diviene assistente volontario di Bobbio; in seguito,
negli a.a. 1948-1949 e 1949-1950, in qualità di assistente incaricato,
collabora con Bobbio alla preparazione di due seminari, uno sulla giustizia nel
materialismo storico e l'altro sulla interpretazione giuridica. La giustizia e
il marxismo sono temi a cui Scarpelli dedica il primo libro intitolato
Esistenzialismo e marxismo, il quale reca come sottotitolo Saggio sulla
giustizia. Nonostante alcuni cambiamenti intervenuti nel corso degli anni, nel
libro si rintracciano alcuni motivi del pensiero scarpelliano che lo stesso
Scarpelli riconosce di non avere mai abbandonato: anzitutto, l'idea che la
filosofia debba proporsi come forma di pensiero mondano, legato esclusivamente
a ciò che gli uomini sono e fanno al mondo, e l'idea della scelta e
dell'impegno come basi della esistenza di ciascun uomo. La magistratura
Risultato vincitore del concorso per l'accesso in magistratura, lascia la
carriera universitaria con qualche rimpianto; ne è testimonianza la
corrispondenza epistolare col maestro Norberto Bobbio. Durante gli anni di
magistratura, i rapporti con l'università non si interrompono però
completamente: nel 1954 consegue la libera docenza in Filosofia del diritto
presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano; nei
due anni successivi svolge corsi liberi nella stessa disciplina e nell'a.a.
1956-1957 svolge su incarico il corso di dottrina dello Stato al fianco di
Renato Treves. Godendo di una borsa Rockefeller, ottenuta soprattutto grazie ad
Alessandro Passerin d'Entrèves, per un anno si dedica ininterrottamente allo
studio ponendo le basi di una delle sue opere principali: il Contributo alla
semantica del linguaggio normativo, pubblicato nel 1959. Scarpelli esercita la
professione di magistrato a Milano fino al 1962, anno in cui lascia
definitivamente la carica per ritornare a tempo pieno all'insegnamento
universitario. La carriera universitaria Negli a.a. 1960-1961 e 1961-1962
tiene per incarico il corso di Filosofia del diritto nella Facoltà di
Giurisprudenza di Perugia. Dal 1º dicembre 1962 è professore straordinario di
Filosofia del diritto presso la medesima Facoltà; al compimentodel triennio,
nel 1965, è Professore sempre a Perugia. Dal 1º febbraio 1968 è Professore di
Filosofia morale nella Facoltà di Lettere e filosofia del diritto
dell'Università degli Studi di Pavia, presso la cui Facoltà di Giurisprudenza
tiene anche le lezioni di Filosofia del diritto alla morte di Bruno Leoni
avvenuta nel 1967. Dal 1º marzo 1971, succedendo a Bobbio, è titolare
della cattedra di Filosofia del diritto della Facoltà di Giurisprudenza di
Torino. Mantiene l'incarico fino al 1982 quando si trasferisce accanto a Treves
all'Università degli Studi di Milano ricoprendo la cattedra di Filosofia del
diritto di cui è già titolare dal 1974. Nel 1981 promuove il dottorato in
Filosofia analitica e teoria generale del diritto; ancora oggi attivo, tale
dottorato è uno dei tre curricula che compongono l'attuale dottorato in
Filosofia del diritto della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli
Studi di Milano. Durante gli anni di docenza, oltre ai corsi di Filosofia del
diritto e Filosofia morale, Scarpelli insegna su incarico Teoria generale del
diritto, Filosofia della politica e Analisi del linguaggio politico.
L'opera incompiuta Negli ultimi anni Uberto Scarpelli lavora appassionatamente
e alacremente a un'opera sistematica rimasta incompiuta: si tratta di un
trattato di teoria generale del diritto di cui resta solo la struttura del
lavoro, dettagliata fino alla scansione dei paragrafi. A tale opera Scarpelli
pensa per lunghi anni, almeno dieci, come dimostra quanto egli scrive nel
saggio del 1983 intitolato La teoria generale del diritto: prospettive per un
trattato; eccettuate le anticipazioni presenti in questo lavoro e in altri
saggi successivi, tra le carte rimaste di Scarpelli, non v'è alcuna parte di
testo scritta di pugno dal filosofo. Come attestano gli allievi, il modo di
lavorare di Scarpelli avrebbe portato ad una stesura unitaria a partire dalle
citazioni e dai riferimenti raccolti e ordi corso degli anni. Ad oggi, questa
mole di documenti resta l'ultima testimonianza del lavoro di Scarpelli, la
traccia degli ultimi sviluppi del suo pensiero di filosofo del diritto e studioso
di analisi del linguaggio. Scarpelli muore a Milano il 16 luglio 1993
all'età di sessantanove anni. Tra gli scritti pubblicati postumi e ancora
incompiuti, si ricorda soprattutto il testo di una conferenza mai tenuta
intitolato La mia meta-etica e la mia esperienza etica in cui Scarpelli
esplicita le due problematiche che hanno dominato la sua ricerca meta-etica:
quella della razionalità interna dell'etica e quella della sua
fondazione. L'attività scientifica Scarpelli ricopre numerose cariche in
istituzioni dedite alla ricerca e partecipa a numerosi convegni, incontri di
studio e simposi di rilievo nazionale ed internazionale. È stato membro del
Centro di studi metodologici di Torino e dello Institut international de
philosophie politique; è stato socio corrispondente dell'Accademia delle
scienze di Torino e socio dell'Istituto Lombardo Accademia delle scienze e
delle lettere. Dal 1973 è stato direttore dell'Istituto per la Scienza per la
amministrazione pubblica. Ha fatto parte dei consigli direttivi della Rivista
internazionale di filosofia del diritto e di Sociologia del diritto. Nel 1961
entra a far parte del comitato di redazione della Rivista di filosofia di cui
cura numeri monografici dedicati al concetto di libertà, alla logica deontica e
alla bioetica. È stato condirettore della collana Diritto e cultura moderna e
direttore della collana Luoghi critici per le edizioni di Comunità. Presidente
della Società italiana di filosofia giuridica e politica dal 1985 al 1989, è
stato vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica negli anni 1990-1991 ed
è stato nominato presidente onorario della Società italiana di filosofia
analitica nel 1992. All'inizio degli anni Cinquanta contribuisce alla
nascita, dovuta all'iniziativa soprattutto di Ludovico Geymonat, del Centro
Studi metodologici di Torino. In qualità di affiliato, riceve il compito di
fare una relazione sulla Enciclopedia delle scienze unificate; lavoro a cui
fanno seguito negli anni Cinquanta alcuni contributi sulla analisi del
linguaggio così come concepita dal movimento del positivismo logico. In questi
anni Scarpelli si avvicina sempre di più alla filosofia anglosassone e in
particolare agli studi oxoniensi sul linguaggio della morale e della politica,
partecipando anche ad incontri di studio ad Oxford. Seguendo inizialmente
le ricerche del filosofo statunitense Charles W. Morris (1901-1979), negli anni
Cinquanta Scarpelli è fra i protagonisti della cosiddetta svolta linguistica
della filosofia italiana. Si deve a lui l'introduzione nel nostro Paese del
pensiero e delle opere del filosofo della morale Richard M. Hare (1919-2002) e
del filosofo della politica Felix E. Oppenheim. Ad ambedue i filosofi,
Scarpelli dedica alcuni lavori; sono da ricordare anzitutto le note, che in
realtà sono ampi saggi di analisi del linguaggio normativo e contributi di
meta-etica, ai due libri di Hare: The Language of Morals (1952) e Freedom and
Reason (1963). Con Oppenheim, Bobbio e Passerin d'Entreves, Scarpelli
intraprende un vivace dibattito sul concetto di libertà politica che porta alla
stesura di vari lavori; tra essi, si può ricordare anzitutto il saggio dal
titolo Libertà come fatto e come valore del 1965 ed il volume, curato da
Passerin d'Entreves, La libertà politica del 1972. Si devono a Scarpelli
i primi studi in Italia sulla analisi del linguaggio giuridico in cui v'è una
sistematica applicazione degli strumenti della semiotica ai suoi tre livelli:
la sintattica (lo studio dei rapporti tra i segni), la semantica (lo studio dei
rapporti tra i segni e i significati), la pragmatica (lo studio dei rapporti
tra i segni e i loro utenti). Tutta la speculazione e la produzione scientifica
di Scarpelli è basata sulla tesi della grande distinzione tra linguaggio
descrittivo e linguaggio prescrittivo; ma negli anni si evolve progressivamente
il livello a cui è individuato il tratto differenziale tra l'uno e l'altro,
individuato dapprima sul piano pragmatico e poi sul piano semantico.
L'esposizione compiuta del pensiero scarpelliano sulla significanza del
linguaggio prescrittivo si ha nell'opera del 1969 Semantica, morale e diritto,
trasfusa nella voce Semantica giuridica dello stesso anno. L'idea che il
linguaggio prescrittivo (le norme, i comandi, gli ordini, le preghiere, ecc.)
abbiano significato trae origine dalla distinzione tra il principio di
significanza e il principio di verificazione. Alcuni spunti in tal senso sono
rintracciabili già nel Contributo alla semantica del linguaggio normativo
(1959) il cui nucleo concettuale ancora vicino al positivismo logico sta
nell'intuizione che gli enunciati normativi, quantunque non possano essere
verificati o falsificati, debbano nondimeno riferirsi alla realtà. Questa idea
è alla base anche del libro Cos'è il positivismo giuridico (1965) in cui
Scarpelli propone una giustificazione etico-politica del positivismo giuridico,
criticando sia la versione bobbiana del positivismo giuridico come approach sia
la versione proposta da Herbert L. A. Hart. Fonti Le indicazioni sulla
produzione scientifica di Uberto Scarpelli più ampie, seppur non complete, si
rintracciano al momento nei seguenti contributi: Riccardo Guastini, Variazioni
su temi di Scarpelli. Con un'appendice bibliografica, in «Materiali per una
storia della cultura giuridica italiana», XII, 1982560 ss.; degli scritti di Uberto Scarpelli. Nota
Bibliografica, in Filosofia analitica 1993, Donatelli e Luciano Floridi, Lithos
editrice, Roma, 199317 ss. (con anche l'indicazione delle note sul “Monitore
dei Tribunali” e degli articoli comparsi su alcuni giornali, quotidiani e
periodici: “L'Opinione”, “Panorama”, “Il Sole 24 Ore”, “Il Mondo economico”);
Mario Jori, Uberto Scarpelli, giurista e filosofo, in «Rivista internazionale
di filosofia del diritto», 1994191 ss.; Norberto Bobbio, La mia Italia, Polito,
Passigli Editori, Firenze, 2000, nelle pagine dedicate al ritratto di Uberto
Scarpelli155 ss.; Uberto Scarpelli. Semantica del linguaggio normativo, in
Amedeo Giovanni Conte, Paolo Di Lucia, Luigi Ferrajoli, Mario Jori, Filosofia
del diritto, (Paolo Di Lucia), Raffaello Cortina Editore, Milano, Félix
Morales, "La filosofía del Derecho de Uberto Scarpelli. Análisis del
lenguaje normativo y positivismo jurídico", Universidad de Alicante. La
presente non è completa e non contempla
i numerosissimi scritti e note apparsi sui giornali, quotidiani e
periodici. Esistenzialismo e marxismo. Saggio sulla giustizia, Taylor, Torino,
Filosofia analitica e giurisprudenza, Istituto editoriale Cisalpino, Milano, Il
problema della definizione e il concetto di diritto, Istituto editoriale Cisalpino,
Milano, Contributo alla semantica del linguaggio normativo, Accademia delle
Scienze, Torino, (nuova edizione con introduzione e Anna Pintore, Giuffrè,
Milano, Filosofia analitica, norme e
valori, Comunità, Milano, Validità, legittimità, effettività del diritto, e
positivismo giuridico, Cluep, Perugia, ciclostilato Cos'è il positivismo
giuridico, Comunità, Milano, (nuova edizione con introduzione di Alfonso
Catania e Mario Jori, ESI, Napoli) Diritto e analisi del linguaggio, Uberto Scarpelli,
Comunità, Milano, Letture filosofiche e politiche. Introduzione agli studi
politici, Uberto Scarpelli, Cisalpino-Goliardica, Milano, Thomas Hobbes.
Linguaggio e leggi naturali. Il tempo e la pena, Giuffrè, Milano, L'etica senza
verità, Il Mulino, Bologna, La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze
attuali. Studi dedicati a Norberto Bobbio, Uberto Scarpelli, Comunità, Milano, Il
linguaggio del diritto, Uberto Scarpelli e Paolo Di Lucia, prefazione di Mario
Jori, Led, Milano, Bioetica Laica, Maurizio Mori, Baldini e Castoldi, Milano, Saggi
Scienza del diritto e analisi del linguaggio, Rivista del diritto commerciale,
Dissertazione (check) per la libera docenza, Giurisprudenza italiana, L'Unità della scienza nella “International
Encyclopedia of Unified Science”, Rivista di filosofia, Il giudice e la legge,
Occidente. Rivista mensile (saggio compreso nel fascicolo speciale dedicato a
Il potere giurisdizionale nello stato moderno e in particolare nella
costituzione italiana, Uberto Scarpelli) Liberalismo e democrazia nella
Costituzione italiana, Occidente. Rivista bimestrale di studi politici, Elementi
di analisi della proposizione giuridica, Jus, (riedito in Atti del congresso di
studi metodologici promosso dal Centro di Studi metodologici, Ramella, Torino, Diritto
naturale vigente, Occidente. Rivista bimestrale di studi politici, Alcuni
problemi della teoria analitica del valore nel libro “Elementi di filosofia
analitica” di Arthur Pap, Rivista di filosofia, Linguaggio valutativo e prescrittivo, Jus, La
Filosofia di Giovanni Gentile e le critiche di Gioele Solari, in Studi in
memoria di Gioele Solari, Ramella, Torino, Responsabilità del magistrato,
Occidente. Rivista bimestrale di studi politici, Behaviourism, positivismo
logico e fascismo, Rivista bimestrale di cultura e di politica, Gli Stati Uniti
e “il grande cambiamento”, Rivista bimestrale di cultura e di politica, Etica e
linguaggio, Rivista di filosofia, Società e natura nel pensiero di Hans Kelsen,
Rivista internazionale di filosofia del diritto, Osservazioni sul concetto di
segno nel pensiero di Charles Morris, Rivista di filosofia, La natura della
analisi del linguaggio, Rivista di filosofia, La natura della metodologia
giuridica, Rivista internazionale di filosofia del diritto (incluso anche in
Filosofia e scienza del diritto. Atti del II Congresso nazionale di filosofia
del diritto, Giuffrè, Milano, La «Filosofia del diritto» di Widar Cesarini
Sforza, Rivista di diritto civile, I compiti della filosofia del diritto, in La
ricerca filosofica nella coscienza delle nuove generazioni, Carlo Arata e
altri, Il Mulino, Bologna, I fondamenti e il metodo della analisi del linguaggio,
in Il pensiero contemporaneo. Filosofia, epistemologia, logica, Ferruccio
Rossi-Landi, Comunità, Milano,Retribuzione (voce), Enciclopedia Filosofica, IV,
Sansoni, Firenze, 1958, col. 82 ss. La définition en droit, Logique et Analyse,ss.
poi tradotto come La definizione nel diritto, Jus, 4, Imperativi e asserzioni
(Grice: “Or is it indicatives and imperatives?”) Rivista di filosofia, La
libertà, la democrazia e il magistrato, Monitore dei Tribunali, Relazione, in Dibattito bolognese sui valori,
Augusto Guzzo e Uberto Scarpelli, Edizioni di Filosofia, Torino, Libertà, ragione e giustizia, Rivista di
filosofia, Marxismo, sociologia neopositivistica e lotta delle classi, Quaderni
di Sociologia, Il permesso, il dovere e la completezza degli ordinamenti
normativi (a proposito di un libro di Amedeo G. Conte), Rivista trimestrale di
diritto e procedura civile, La dimensione normativa della libertà, Rivista di
filosofia, 1Positivismo logico e società contemporanea, Rivista di filosofia, Libertà come fatto e come valore, (coautori
Noberto Bobbio, Alessandro Passerin d'Entreves e Felix Oppenheim), Rivista di
filosofia, Illuminismo e legislazione, La Magistratura, Le “proposizioni
giuridiche” come precetti reiterati, Rivista internazionale di filosofia del
diritto, Risposta di Uberto Scarpelli, in Quaderni della Rivista “Il politico”.
Tavola rotonda sul positivismo giuridico (Pavia), Milano, Giuffrè, L'educazione
del giurista, Rivista di diritto processuale, Semantica giuridica, voce del
Novissimo digesto italiano, XVI, UTET, Torino, . (Semantica, morale e diritto,
Giappichelli, Torino) Problemi e idee circa l'insegnamento del dirittoGruppo di
lavoro per il diritto G. Pugliese, in Le scienze dell'uomo e la riforma universitaria,
Laterza, Bari, I magistrati e le tre
democrazie, Rivista di diritto processuale, Le argomentazioni dei giudici:
prospettive di analisi, Il Foro italiano, suppl. ai Quaderni. Serie II. La
formazione extralegislativa del diritto nell'esperienza italiana. Atti delle
giornate di studio di Ancona, “Moore in Italia,” (cf. Luigi Speranza, “Grice in
Italia”), Rivista di filosofia, La
«grande divisione» e la filosofia della politica, introduzione a Felix
Oppenheim, Etica e filosofia politica, Il Mulino, Bologna, Il metodo giuridico, Rivista di diritto
processuale (riedito come voce della
Enciclopedia Feltrinelli-Fisher. Diritto 2, Giuliano Crifò, Feltrinelli, Milano.)
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dell'amministrazione, 23-25 settembre 1976, Giuffrè, Milano245 ss. Le “entità
strane dette norme” ed i guastini di Guastini, Sociologia del diritto, Santi
Romano, teorico conservatore, teorico progressista, in Le dottrine giuridiche
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popolare nella Costituzione repubblicana: prevenzione sociale e controllo della
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UTETPanorama di Lettere e Scienze, 125, 19783 ss. Thomas Hobbes e
l'obbligazione politica come obbligazione in coscienza, in Studi in onore di
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C. Grassetti, III, Giuffrè, Milano, 1980 p. 1669 ss. La partecipazione
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Congresso nazionale della Società Italiana di Filosofia giuridica e politica.
Pavia, 28-31 maggio 1981, Giuffrè, Milano, 1981. Responsabilità politica o
virtù repubblicana, in Garanzie processuali o responsabilità del giudice,
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Responsabilità, libertà, visione dell'uomo, Rivista internazionale di filosofia
del diritto, 1, 198127 ss. Interventi (pubblicati senza essere rivisti
dall'autore) nella giornata di studi 15 ottobre 1981 su Le ragioni della
libertà: degenerazione dello stato burocratico e risposte neoliberali per
l'Italia, Einaudinotiziecircolare ai soci della Fondazione Einaudi, Il tempo e
la pena, in Piacere e felicità: fortuna e declino. Atti del 3º Convegno di
studiosi di Filosofia morale (Chiavari-S. Margherita Ligure, 15-17 maggio
1980), Romeo Crippa, Liviana Editrice, Padova, 1982163 ss. Filosofia e diritto,
in La cultura filosofica italiana dal 1945 al 1980 nelle sue relazioni con
altri campi del sapere. Atti del convegno di Anacapri, giugno 1981, Guida
Editori, Napoli, Bruno Leoni e l'analisi
del linguaggio, Il politico. Rivista italiana di Scienze politiche, La democrazia e il segreto, in Il segreto
nella realtà giuridica italiana. Atti del convegno nazionale, Roma, 26-28
ottobre 1981, Cedam, Padova, La teoria generale del diritto: prospettive per un
trattato, in La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi
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scettico -- sceptis: Cicero translated as ‘dubitatio.’ For
some reason, Grice was irritated by Wood’s sobriquet of Russell as a
“passionate sceptic”: ‘an oxymoron.” The most specific essay by Grice on this
is an essay he kept after many years, that he delivered back in the day at
Oxford, entitled, “Scepticism and common sense.” Both were traditional topics
at Oxford at the time. Typically, as in the Oxonian manner, he chose two
authors, New-World’s Malcolm’s treatment of Old-World Moore, and brings in
Austin’s ‘ordinary-language’ into the bargain. He also brings in his own
obsession with what an emissor communicates. In this case, the “p” is the
philosopher’s sceptical proposition, such as “That pillar box is red.” Grice
thinks ‘dogmatic’ is the opposite of ‘sceptic,’ and he is right! Liddell and
Scott have “δόγμα,” from “δοκέω,” and which they render as “that which seems to
one, opinion or belief;” Pl.R.538c; “δ. πόλεως κοινόν;” esp. of philosophical
doctrines, Epicur.Nat.14.7; “notion,” Pl.Tht.158d; “decision, judgement,” Pl. Lg.926d; (pl.); public decree,
ordinance, esp. of Roman
Senatus-consulta, “δ. συγκλήτου” “δ. τῆς
βουλῆς” So note that there is nothing ‘dogmatic’ about ‘dogma,’ as it derives
from ‘dokeo,’ and is rendered as ‘that which seems to one.’ So the keyword
should be later Grecian, and in the adjectival ‘dogmatic.’ Liddell and Scott
have “δογματικός,” which they render as “of or for doctrines, didactic,
[διάλογοι] Quint.Inst.2.15.26, and “of persons, δ. ἰατροί,” “physicians who go
by general principles,” o “ἐμπειρικοί and μεθοδικοί,” Dsc.Ther.Praef.,
Gal.1.65; in Philosophy, S.E.M.7.1, D.L.9.70, etc.; “δ. ὑπολήψεις” Id.9.83; “δ.
φιλοσοφία” S.E. P.1.4. Adv. “-κῶς” D.L.9.74, S.E.P.1.197: Comp. “-κώτερον”
Id.M. 6.4. Why is Grice interested in scepticism. His initial concern, the one
that Austin would authorize, relates to ‘ordinary language.’ What if ‘ordinary
language’ embraces scepticism? What if it doesn’t? Strawso notes that the world
of ordinary language is a world of things, causes, and stuff. None of the good
stuff for the sceptic. what is Grice’s answer to the sceptic’s implicaturum?
The sceptic’s implicaturum is a topic that always fascinated Girce. While Grice
groups two essays as dealing with one single theme, strictly, only this or that
philosopher’s paradox (not all) may count as sceptical. This or that
philosopher’s paradox may well not be sceptical at all but rather dogmatic. In
fact, Grice defines philosophers paradox as anything repugnant to common sense,
shocking, or extravagant ‒ to Malcolms ears, that is! While it is,
strictly, slightly odd to quote this as a given date just because, by a stroke
of the pen, Grice writes that date in the Harvard volume, we will follow
his charming practice. This is vintage Grice. Grice always takes the
sceptics challenge seriously, as any serious philosopher should. Grices
takes both the sceptics explicatum and the scepticss implicaturum as
self-defeating, as a very affront to our idea of rationality, conversational or
other. V: Conversations with a sceptic: Can he be slightly more conversational
helpful? Hume’ sceptical attack is partial, and targeted only towards
practical reason, though. Yet, for Grice, reason is one. You cannot
really attack practical or buletic reason without attacking theoretical or
doxastic reason. There is such thing as a general rational acceptance, to use
Grice’s term, that the sceptic is getting at. Grice likes to play with the idea
that ultimately every syllogism is buletic or practical. If, say, a syllogism
by Eddington looks doxastic, that is because Eddington cares to omit the
practical tail, as Grice puts it. And Eddington is not even a philosopher, they
say. Grice is here concerned with a Cantabrigian topic popularised by
Moore. As Grice recollects, Some like Witters, but
Moore’s my man. Unlike Cambridge analysts such as Moore, Grice sees
himself as a linguistic-turn Oxonian analyst. So it is only natural that Grice
would connect time-honoured scepticism of Pyrrhos vintage, and common sense
with ordinary language, so mis-called, the elephant in Grices room. Lewis
and Short have “σκέψις,” f. σκέπτομαι, which they render as “viewing,
perception by the senses, ἡ διὰ τῶν ὀμμάτων ςκέψις, Pl. Phd. 83a;
observation of auguries; also as examination, speculation, consideration, τὸ
εὕρημα πολλῆς σκέψιος; βραχείας ςκέψις; ϝέμειν ςκέψις take thought of a
thing; ἐνθεὶς τῇ τέχνῃ ςκέψις; ςκέψις ποιεῖσθαι; ςκέψις προβέβληκας;
ςκέψις λόγων; ςκέψις περί τινος inquiry into, speculation on a thing;
περί τι Id. Lg. 636d;ἐπὶ σκέψιν τινὸς ἐλθεῖν; speculation, inquiry,ταῦτα
ἐξωτερικωτέρας ἐστὶ σκέψεως; ἔξω τῆς νῦν ςκέψεως; οὐκ οἰκεῖα τῆς παρούσης
ςκέψις; also hesitation, doubt, esp. of the Sceptic or Pyrthonic philosophers,
AP 7. 576 (Jul.); the Sceptic philosophy, S. E. P. 1.5; οἱ ἀπὸ τῆς
ςκέψεως, the Sceptics, ib. 229. in politics, resolution, decree, συνεδρίον
Hdn. 4.3.9, cf. Poll. 6.178. If scepticism attacks common sense and fails,
Grice seems to be implicating, that ordinary language philosophy is a good
antidote to scepticism. Since what language other than ordinary language does
common sense speak? Well, strictly, common sense doesnt speak. The man in the
street does. Grice addresses this topic in a Mooreian way in a later essay,
also repr. in Studies, Moore and philosophers paradoxes, repr. in Studies.
As with his earlier Common sense and scepticism, Grice tackles Moores and
Malcolms claim that ordinary language, so-called, solves a few of philosophers
paradoxes. Philosopher is Grices witty way to generalise over your
common-or-garden, any, philosopher, especially of the type he found eccentric,
the sceptic included. Grice finds this or that problem in this overarching
Cantabrigian manoeuvre, as over-simplifying a pretty convoluted
terrain. While he cherishes Austins Some like Witters, but Moores MY man!
Grice finds Moore too Cantabrigian to his taste. While an Oxonian thoroughbred,
Grice is a bit like Austin, Some like Witters, but Moores my man, with this or
that caveat. Again, as with his treatment of Descartes or Locke, Grice is
hardly interested in finding out what Moore really means. He is a philosopher,
not a historian of philosophy, and he knows it. While Grice agrees with Austins
implicaturum that Moore goes well above Witters, if that is the expression
(even if some like him), we should find the Oxonian equivalent to Moore. Grice
would not Names Ryle, since he sees him, and his followers, almost every day.
There is something apostolic about Moore that Grice enjoys, which is just as
well, seeing that Moore is one of the twelve. Grice found it amusing that
the members of The Conversazione Society would still be nickNamesd apostles
when their number exceeded the initial 12. Grice spends some time exploring
what Malcolm, a follower of Witters, which does not help, as it were, has to
say about Moore in connection with that particularly Oxonian turn of phrase,
such as ordinary language is. For Malcolms Moore, a paradox by philosopher
[sic], including the sceptic, arises when philosopher [sic], including the
sceptic, fails to abide by the dictates of ordinary language. It might merit
some exploration if Moore’s defence of common sense is against: the sceptic may
be one, but also the idealist. Moore the realist, armed with ordinary language
attacks the idealists claim. The idealist is sceptical of the realists claim.
But empiricist idealism (Bradley) has at Oxford as good pedigree as empiricist
realism (Cook Wilson). Malcolm’s simplifications infuriate Grice, and ordinary
language has little to offer in the defense of common sense realism against
sceptical empiricist idealism. Surely the ordinary man says ridiculous, or
silly, as Russell prefers, things, such as Smith is lucky, Departed spirits
walk along this road on their way to Paradise, I know there are infinite stars,
and I wish I were Napoleon, or I wish that I had
been Napoleon, which does not mean that the utterer wishes that
he were like Napoleon, but that he wishes that he had lived
not in the his century but in the XVIIIth century. Grice is being specific
about this. It is true that an ordinary use of language, as Malcolm
suggests, cannot be self-contradictory unless the ordinary use of language is
defined by stipulation as not self-contradictory, in which case an appeal to
ordinary language becomes useless against this or that paradox by Philosopher.
I wish that I had been Napoleon seems to involve nothing but an ordinary use of
language by any standard but that of freedom from absurdity. I wish
that I had been Napoleon is not, as far as Grice can see, philosophical, but
something which may have been said and meant by numbers of ordinary
people. Yet, I wish that I had been Napoleon is open to the suspicion of
self-contradictoriness, absurdity, or some other kind of
meaninglessness. And in this context suspicion is all Grice needs. By
uttering I wish that I had been Napoleon U hardly means the same as he
would if he uttered I wish I were like Napoleon. I wish that I had been
Napoleon is suspiciously self-contradictory, absurd, or meaningless, if, as
uttered by an utterer in a century other than the XVIIIth century, say, the
utterer is understood as expressing the proposition that the utterer wishes
that he had lived in the XVIIIth century, and not in his century, in which case
he-1 wishes that he had not been him-1? But blame it on the
buletic. That Moore himself is not too happy with Malcolms criticism can
be witnessed by a cursory glimpse at hi reply to Malcolm. Grice is totally
against this view that Malcolm ascribes to Moore as a view that is too broad to
even claim to be true. Grices implicaturum is that Malcolm is appealing to
Oxonian turns of phrase, such as ordinary language, but not taking proper
Oxonian care in clarifying the nuances and stuff in dealing with, admittedly, a
non-Oxonian philosopher such as Moore. When dealing with Moore, Grice is not
necessarily concerned with scepticism. Time is unreal, e.g. is hardly a sceptic
utterance. Yet Grice lists it as one of Philosophers paradoxes. So, there are
various to consider here. Grice would start with common sense. That is what he
does when he reprints this essay in WOW, with his attending note in both the
preface and the Retrospective epilogue on how he organizes the themes and
strands. Common sense is one keyword there, with its attending realism.
Scepticism is another, with its attending empiricist idealism. It is intriguing
that in the first two essays opening Grices explorations in semantics and
metaphysics it seems its Malcolm, rather than the dryer Moore, who interests
Grice most. While he would provide exegeses of this or that dictum by Moore,
and indeed, Moore’s response to Malcolm, Grice seems to be more concerned with
applications of his own views. Notably in Philosophers paradoxes. The fatal
objection Grice finds for the paradox propounder (not necessarily a sceptic,
although a sceptic may be one of the paradox propounders) significantly rests
on Grices reductive analysis of meaning that
as ascribed to this or that utterer U. Grice elaborates on circumstances
that hell later take up in the Retrospective epilogue. I find myself not
understanding what I mean is dubiously acceptable. If meaning, Grice claims, is
about an utterer U intending to get his addressee A to believe that U ψ-s that
p, U must think there is a good chance that A will recognise what he is
supposed to believe, by, perhaps, being aware of the Us practice or by a supplementary
explanation which might come from U. In which case, U should not be meaning
what Malcolm claims U might mean. No utterer should intend his addressee to
believe what is conceptually impossible, or incoherent, or blatantly false
(Charles Is decapitation willed Charles Is death.), unless you are Queen in
Through the Looking Glass. I believe five impossible things before breakfast,
and I hope youll soon get the proper training to follow suit. Cf. Tertulian,
Credo, quia absurdum est. Admittedly, Grice edits the Philosophers paradoxes
essay. It is only Grices final objection which is repr. in WOW, even if he
provides a good detailed summary of the previous sections. Grice appeals to
Moore on later occasions. In Causal theory, Grice lists, as a third philosophical
mistake, the opinion by Malcolm that Moore did not know how to use knowin a
sentence. Grice brings up the same example again in Prolegomena. The use of
factive know of Moore may well be a misuse. While at Madison, Wisconsin, Moore
lectures at a hall eccentrically-built with indirect lighting simulating sun
rays, Moore infamously utters, I know that there is a window behind that
curtain, when there is not. But it is not the factiveness Grice is aiming at,
but the otiosity Malcolm misdescribes in the true, if baffling, I know that I
have two hands. In Retrospective epilogue, Grice uses M to abbreviate Moore’s
fairy godmotheralong with G (Grice), A (Austin), R (Ryle) and Q (Quine)! One
simple way to approach Grices quandary with Malcolm’s quandary with Moore is
then to focus on know. How can Malcolm claim that Moore is guilty of misusing
know? The most extensive exploration by Grice on know is in Grices third James
lecture (but cf. his seminar on Knowledge and belief, and his remarks on some
of our beliefs needing to be true, in Meaning revisited. The examinee
knows that the battle of Waterloo was fought in 1815. Nothing odd about that,
nor about Moores uttering I know that these are my hands. Grice is perhaps the
only one of the Oxonian philosophers of Austins play group who took common
sense realsim so seriously, if only to crticise Malcoms zeal with it. For
Grice, common-sense realism = ordinary language, whereas for the typical
Austinian, ordinary language = the language of the man in the street. Back at
Oxford, Grice uses Malcolm to contest the usual criticism that Oxford
ordinary-language philosophers defend common-sense realist assumptions just
because the way non-common-sense realist philosopher’s talk is not ordinary
language, and even at Oxford. Cf. Flews reference to Joness philosophical
verbal rubbish in using self as a noun. Grice is infuriated by all this unclear
chatter, and chooses Malcolms mistreatment of Moore as an example. Grice is
possibly fearful to consider Austins claims directly! In later essays, such as
‘the learned’ and ‘the lay,’ Grice goes back to the topic criticising now the
scientists jargon as an affront to the ordinary language of the layman that
Grice qua philosopher defends. scepticism, in the most common sense, the
refusal to grant that there is any knowledge or justification. Skepticism can
be either partial or total, either practical or theoretical, and, if
theoretical, either moderate or radical, and either of knowledge or of
justification. Skepticism is partial iff if and only if it is restricted to
particular fields of beliefs or propositions, and total iff not thus
restricted. And if partial, it may be highly restricted, as is the skepticism
for which religion is only opium, or much more general, as when not only is religion
called opium, but also history bunk and metaphysics meaningless. Skepticism is
practical iff it is an attitude of deliberately withholding both belief and
disbelief, accompanied perhaps but not necessarily by commitment to a
recommendation for people generally, that they do likewise. Practical
skepticism can of course be either total or partial, and if partial it can be
more or less general. Skepticism is theoretical iff it is a commitment to the
belief that there is no knowledge justified belief of a certain kind or of
certain kinds. Such theoretical skepticism comes in several varieties. It is
moderate and total iff it holds that there is no certain superknowledge
superjustified belief whatsoever, not even in logic or mathematics, nor through
introspection of one’s present experience. It is radical and total iff it holds
that there ’t even any ordinary knowledge justified belief at all. It is
moderate and partial, on the other hand, iff it holds that there is no certain
superknowledge superjustified belief of a certain specific kind K or of certain
specific kinds K1, . . . , Kn less than the totality of such kinds. It is
radical and partial, finally, iff it holds that there ’t even any ordinary
knowledge justified belief at all of that kind K or of those kinds K1, . . . ,
Kn. Grecian skepticism can be traced back to Socrates’ epistemic modesty.
Suppressed by the prolific theoretical virtuosity of Plato and Aristotle, such
modesty reasserted itself in the skepticism of the Academy led by Arcesilaus and
later by Carneades. In this period began a long controversy pitting Academic
Skeptics against the Stoics Zeno and later Chrysippus, and their followers.
Prolonged controversy, sometimes heated, softened the competing views, but
before agreement congealed Anesidemus broke with the Academy and reclaimed the
arguments and tradition of Pyrrho, who wrote nothing, but whose Skeptic
teachings had been preserved by a student, Timon in the third century B.C..
After enduring more than two centuries, neoPyrrhonism was summarized, c.200
A.D., by Sextus Empiricus Outlines of Pyrrhonism and Adversus mathematicos.
Skepticism thus ended as a school, but as a philosophical tradition it has been
influential long after that, and is so even now. It has influenced strongly not
only Cicero Academica and De natura deorum, St. Augustine Contra academicos,
and Montaigne “Apology for Raimund Sebond”, but also the great historical
philosophers of the Western tradition, from Descartes through Hegel. Both on
the Continent and in the Anglophone sphere a new wave of skepticism has built
for decades, with logical positivism, deconstructionism, historicism,
neopragmatism, and relativism, and the writings of Foucault knowledge as a mask
of power, Derrida deconstruction, Quine indeterminacy and eliminativism, Kuhn
incommensurability, and Rorty solidarity over objectivity, edification over
inquiry. At the same time a rising tide of books and articles continues other
philosophical traditions in metaphysics, epistemology, ethics, etc. It is interesting
to compare the cognitive disengagement recommended by practical skepticism with
the affective disengagement dear to stoicism especially in light of the
epistemological controversies that long divided Academic Skepticism from the
Stoa, giving rise to a rivalry dominant in Hellenistic philosophy. If believing
and favoring are positive, with disbelieving and disfavoring their respective
negative counterparts, then the magnitude of our happiness positive or
unhappiness negative over a given matter is determined by the product of our
belief/disbelief and our favoring/disfavoring with regard to that same matter.
The fear of unhappiness may lead one stoically to disengage from affective
engagement, on either side of any matter that escapes one’s total control. And
this is a kind of practical affective “skepticism.” Similarly, if believing and
truth are positive, with disbelieving and falsity their respective negative
counterparts, then the magnitude of our correctness positive or error negative
over a given matter is determined by the product of our belief/disbelief and
the truth/falsity with regard to that same matter where the positive or
negative magnitude of the truth or falsity at issue may be determined by some
measure of “theoretical importance,” though alternatively one could just assign
all truths a value of !1 and all falsehoods a value of †1. The fear of error
may lead one skeptically to disengage from cognitive engagement, on either side
of any matter that involves risk of error. And this is “practical cognitive
skepticism.” We wish to attain happiness and avoid unhappiness. This leads to
the disengagement of the stoic. We wish to attain the truth and avoid error.
This leads to the disengagement of the skeptic, the practical skeptic. Each
opts for a conservative policy, but one that is surely optional, given just the
reasoning indicated. For in avoiding unhappiness the stoic also forfeits a
corresponding possibility of happiness. And in avoiding error the skeptic also
forfeits a corresponding possibility to grasp a truth. These twin policies
appeal to conservatism in our nature, and will reasonably prevail in the lives
of those committed to avoiding risk as a paramount objective. For this very
desire must then be given its due, if we judge it rational. Skepticism is
instrumental in the birth of modern epistemology, and modern philosophy, at the
hands of Descartes, whose skepticism is methodological but sophisticated and
well informed by that of the ancients. Skepticism is also a main force, perhaps
the main force, in the broad sweep of Western philosophy from Descartes through
Hegel. Though preeminent in the history of our subject, skepticism since then
has suffered decades of neglect, and only in recent years has reclaimed much
attention and even applause. Some recent influential discussions go so far as
to grant that we do not know we are not dreaming. But they also insist one can
still know when there is a fire before one. The key is to analyze knowledge as
a kind of appropriate responsiveness to its object truth: what is required is
that the subject “track” through his belief the truth of what he believes. S
tracks the truth of P iff: S would not believe P if P were false. Such an
analysis of tracking, when conjoined with the view of knowledge as tracking,
enables one to explain how one can know about the fire even if for all one
knows it is just a dream. The crucial fact here is that even if P logically
entails Q, one may still be able to track the truth of P though unable to track
the truth of Q. Nozick, Philosophical Explanations, 1. Many problems arise in
the literature on this approach. One that seems especially troubling is that
though it enables us to understand how contingent knowledge of our surroundings
is possible, the tracking account falls short of enabling an explanation of how
such knowledge on our part is actual. To explain how one knows that there is a
fire before one F, according to the tracking account one presumably would
invoke one’s tracking the truth of F. But this leads deductively almost
immediately to the claim that one is not dreaming: Not D. And this is not
something one can know, according to the tracking account. So how is one to
explain one’s justification for making that claim? Most troubling of all here
is the fact that one is now cornered by the tracking account into making
combinations of claims of the following form: I am quite sure that p, but I
have no knowledge at all as to whether p. And this seems incoherent. A
Cartesian dream argument that has had much play in recent discussions of
skepticism is made explicit by Barry Stroud, The Significance of Philosophical
Scepticism, 4 as follows. One knows that if one knows F then one is not
dreaming, in which case if one really knows F then one must know one is not
dreaming. However, one does not know one is not dreaming. So one does not know
F. Q.E.D. And why does one fail to know one is not dreaming? Because in order
to know it one would need to know that one has passed some test, some empirical
procedure to determine whether one is dreaming. But any such supposed test say, pinching oneself could just be part of a dream, and dreaming
one passes the test would not suffice to show one was not dreaming. However,
might one not actually be witnessing the fire, and passing the test and be doing this in wakeful life, not in a
dream and would that not be compatible
with one’s knowing of the fire and of one’s wakefulness? Not so, according to
the argument, since in order to know of the fire one needs prior knowledge of
one’s wakefulness. But in order to know of one’s wakefulness one needs prior
knowledge of the results of the test procedure. But this in turn requires prior
knowledge that one is awake and not dreaming. And we have a vicious circle. We
might well hold that it is possible to know one is not dreaming even in the
absence of any positive test result, or at most in conjunction with coordinate
not prior knowledge of such a positive indication. How in that case would one
know of one’s wakefulness? Perhaps one would know it by believing it through
the exercise of a reliable faculty. Perhaps one would know it through its
coherence with the rest of one’s comprehensive and coherent body of beliefs.
Perhaps both. But, it may be urged, if these are the ways one might know of
one’s wakefulness, does not this answer commit us to a theory of the form of A
below? A The proposition that p is something one knows believes justifiably if
and only if one satisfies conditions C with respect to it. And if so, are we
not caught in a vicious circle by the question as to how we know what justifies us in believing A itself? This is far from obvious, since the
requirement that we must submit to some test procedure for wakefulness and know
ourselves to test positively, before we can know ourselves to be awake, is
itself a requirement that seems to lead equally to a principle such as A. At
least it is not evident why the proposal of the externalist or of the
coherentist as to how we know we are awake should be any more closely related
to a general principle like A than is the foundationalist? notion that in order
to know we are awake we need epistemically prior knowledge that we test
positive in a way that does not presuppose already acquired knowledge of the
external world. The problem of how to justify the likes of A is a descendant of
the infamous “problem of the criterion,” reclaimed in the sixteenth century and
again in this century by Chisholm, Theory of Knowledge, 6, 7, and 8 but much
used already by the Skeptics of antiquity under the title of the diallelus.
About explanations of our knowledge or justification in general of the form
indicated by A, we are told that they are inadequate in a way revealed by
examples like the following. Suppose we want to know how we know anything at
all about the external world, and part of the answer is that we know the
location of our neighbor by knowing the location of her car in her driveway.
Surely this would be at best the beginning of an answer that might be
satisfactory in the end if recursive, e.g., but as it stands it cannot be
satisfactory without supplementation. The objection here is based on a
comparison between two appeals: the appeal of a theorist of knowledge to a
principle like A in the course of explaining our knowledge or justification in
general, on one side; and the appeal to the car’s location in explaining our
knowledge of facts about the external world, on the other side. This comparison
is said to be fatal to the ambition to explain our knowledge or justification
in general. But are the appeals relevantly analogous? One important difference
is this. In the example of the car, we explain the presence, in some subject S,
of a piece of knowledge of a certain kind of the external world by appeal to
the presence in S of some other piece of knowledge of the very same kind. So
there is an immediate problem if it is our aim to explain how any knowledge of
the sort in question ever comes to be unless the explication is just beginning,
and is to turn recursive in due course. Now of course A is theoretically ambitious,
and in that respect the theorist who gives an answer of the form of A is doing
something similar to what must be done by the protagonist in our car example,
someone who is attempting to provide a general explanation of how any knowledge
of a certain kind comes about. Nevertheless, there is also an important
difference, namely that the theorist whose aim it is to give a general account
of the form of A need not attribute any knowledge whatsoever to a subject S in
explaining how that subject comes to have a piece of knowledge or justified
belief. For there is no need to require that the conditions C appealed to by
principle A must be conditions that include attribution of any knowledge at all
to the subject in question. It is true that in claiming that A itself meets
conditions C, and that it is this which explains how one knows A, we do perhaps
take ourselves to know A or at least to be justified in believing it. But if
so, this is the inevitable lot of anyone who seriously puts forward any explanation
of anything. And it is quite different from a proposal that part of what
explains how something is known or justifiably believed includes a claim to
knowledge or justified belief of the very same sort. In sum, as in the case of
one’s belief that one is awake, the belief in something of the form of A may be
said to be known, and in so saying one does not commit oneself to adducing an
ulterior reason in favor of A, or even to having such a reason in reserve. One
is of course committed to being justified in believing A, perhaps even to
having knowledge that A. But it is not at all clear that the only way to be
justified in believing A is by way of adduced reasons in favor of A, or that
one knows A only if one adduces strong enough reasons in its favor. For we
often know things in the absence of such adduced reasons. Thus consider one’s
knowledge through memory of which door one used to come into a room that has
more than one open door. Returning finally to A, in its case the explanation of
how one knows it may, once again, take the form of an appeal to the justifying
power of intellectual virtues or of coherence
or both. Recent accounts of the nature of thought and representation
undermine a tradition of wholesale doubt about nature, whose momentum is hard to
stop, and threatens to leave the subject alone and restricted to a solipsism of
the present moment. But there may be a way to stop skepticism early by questioning the possibility of its being
sensibly held, given what is required for meaningful language and thought.
Consider our grasp of observable shape and color properties that objects around
us might have. Such grasp seems partly constituted by our discriminatory
abilities. When we discern a shape or a color we do so presumably in terms of a
distinctive impact that such a shape or color has on us. We are put
systematically into a certain distinctive state X when we are appropriately
related, in good light, with our eyes open, etc., to the presence in our
environment of that shape or color. What makes one’s distinctive state one of
thinking of sphericity rather than something else, is said to be that it is a
state tied by systematic causal relations to skepticism skepticism 849 849 the presence of sphericity in one’s
normal environment. A light now flickers at the end of the skeptic’s tunnel. In
doubt now is the coherence of traditional skeptical reflection. Indeed, our
predecessors in earlier centuries may have moved in the wrong direction when
they attempted a reduction of nature to the mind. For there is no way to make
sense of one’s mind without its contents, and there is no way to make sense of
how one’s mind can have such contents except by appeal to how one is causally
related to one’s environment. If the very existence of that environment is put in
doubt, that cuts the ground from under one’s ability reasonably to characterize
one’s own mind, or to feel any confidence about its contents. Perhaps, then,
one could not be a “brain in a vat.” Much contemporary thought about language
and the requirements for meaningful language thus suggests that a lot of
knowledge must already be in place for us to be able to think meaningfully
about a surrounding reality, so as to be able to question its very existence.
If so, then radical skepticism answers itself. For if we can so much as
understand a radical skepticism about the existence of our surrounding reality,
then we must already know a great deal about that reality. Sceptics, those ancient thinkers who
developed sets of arguments to show either that no knowledge is possible
Academic Skepticism or that there is not sufficient or adequate evidence to
tell if any knowledge is possible. If the latter is the case then these
thinkers advocated suspending judgment on all question concerning knowledge
Pyrrhonian Skepticism. Academic Skepticism gets its name from the fact that it
was formulated in Plato’s Academy in the third century B.C., starting from
Socrates’ statement, “All I know is that I know nothing.” It was developed by
Arcesilaus c.268241 and Carneades c.213129, into a series of arguments,
directed principally against the Stoics, purporting to show that nothing can be
known. The Academics posed a series of problems to show that what we think we
know by our senses may be unreliable, and that we cannot be sure about the
reliability of our reasoning. We do not possess a guaranteed standard or
criterion for ascertaining which of our judgments is true or false. Any
purported knowledge claim contains some element that goes beyond immediate
experience. If this claim constituted knowledge we would have to know something
that could not possibly be false. The evidence for the claim would have to be
based on our senses and our reason, both of which are to some degree
unreliable. So the knowledge claim may be false or doubtful, and hence cannot
constitute genuine knowledge. So, the Academics said that nothing is certain.
The best we can attain is probable information. Carneades is supposed to have
developed a form of verification theory and a kind of probabilism, similar in
some ways to that of modern pragmatists and positivists. Academic Skepticism
dominated the philosophizing of Plato’s Academy until the first century B.C.
While Cicero was a student there, the Academy turned from Skepticism to a kind
of eclectic philosophy. Its Skeptical arguments have been preserved in Cicero’s
works, Academia and De natura deorum, in Augustine’s refutation in his Contra
academicos, as well as in the summary presented by Diogenes Laertius in his
lives of the Grecian philosophers. Skeptical thinking found another home in the
school of the Pyrrhonian Skeptics, probably connected with the Methodic school
of medicine in Alexandria. The Pyrrhonian movement traces its origins to Pyrrho
of Elis c.360275 B.C. and his student Timon c.315225 B.C.. The stories about
Pyrrho indicate that he was not a theoretician but a practical doubter who
would not make any judgments that went beyond immediate experience. He is
supposed to have refused to judge if what appeared to be chariots might strike
him, and he was often rescued by his students because he would not make any
commitments. His concerns were apparently ethical. He sought to avoid
unhappiness that might result from accepting any value theory. If the theory
was at all doubtful, accepting it might lead to mental anguish. The theoretical
formulation of Pyrrhonian Skepticism is attributed to Aenesidemus c.100 40
B.C.. Pyrrhonists regarded dogmatic philosophers and Academic Skeptics as
asserting too much, the former saying that something can be known and the
latter that nothing can be known. The Pyrrhonists suspended judgments on all
questions on which there was any conflicting evidence, including whether or not
anything could be known. The Pyrrhonists used some of the same kinds of
arguments developed by Arcesilaus and Carneades. Aenesidemus and those who
followed after him organized the arguments into sets of “tropes” or ways of
leading to suspense of judgment on various questions. Sets of ten, eight, five,
and two tropes appear in the only surviving writing of the Pyrrhonists, the
works of Sextus Empiricus, a third-century A.D. teacher of Pyrrhonism. Each set
of tropes offers suggestions for suspending judgment about any knowledge claims
that go beyond appearances. The tropes seek to show that for any claim,
evidence for and evidence against it can be offered. The disagreements among
human beings, the variety of human experiences, the fluctuation of human
judgments under differing conditions, illness, drunkenness, etc., all point to
the opposition of evidence for and against each knowledge claim. Any criterion
we employ to sift and weigh the evidence can also be opposed by
countercriterion claims. Given this situation, the Pyrrhonian Skeptics sought
to avoid committing themselves concerning any kind of question. They would not
even commit themselves as to whether the arguments they put forth were sound or
not. For them Skepticism was not a statable theory, but rather an ability or
mental attitude for opposing evidence for and against any knowledge claim that went
beyond what was apparent, that dealt with the non-evident. This opposing
produced an equipollence, a balancing of the opposing evidences, that would
lead to suspending judgment on any question. Suspending judgment led to a state
of mind called “ataraxia,” quietude, peace of mind, or unperturbedness. In such
a state the Skeptic was no longer concerned or worried or disturbed about
matters beyond appearances. The Pyrrhonians averred that Skepticism was a cure
for a disease called “dogmatism” or rashness. The dogmatists made assertions
about the non-evident, and then became disturbed about whether these assertions
were true. The disturbance became a mental disease or disorder. The
Pyrrhonians, who apparently were medical doctors, offered relief by showing the
patient how and why he should suspend judgment instead of dogmatizing. Then the
disease would disappear and the patient would be in a state of tranquillity,
the peace of mind sought by Hellenistic dogmatic philosophers. The Pyrrhonists,
unlike the Academic Skeptics, were not negative dogmatists. The Pyrrhonists
said neither that knowledge is possible nor that it is impossible. They
remained seekers, while allowing the Skeptical arguments and the equipollence
of evidences to act as a purge of dogmatic assertions. The purge eliminates all
dogmas as well as itself. After this the Pyrrhonist lives undogmatically,
following natural inclinations, immediate experience, and the laws and customs
of his society, without ever judging or committing himself to any view about
them. In this state the Pyrrhonist would have no worries, and yet be able to
function naturally and according to law and custom. The Pyrrhonian movement
disappeared during the third century A.D., possibly because it was not
considered an alternative to the powerful religious movements of the time. Only
scant traces of it appear before the Renaissance, when the texts of Sextus and
Cicero were rediscovered and used to formulate a modern skeptical view by such
thinkers as Montaigne and Charron. Refs.:
The obvious source is the essay on scepticism in WoW, but there are allusions
in “Prejudices and predilections, and elsewhere, in The H. P. Grice Papers,
BANC
ozio – scuola -- otium -- schole“ The Grecian term for
‘otium.’” “Not to be confused with ‘studium’ as in ‘studium generale.’ Scholasticism,
a set of scholarly and instructional techniques developed in Western European
schools of the late medieval period, including the use of commentary and
disputed question. ‘Scholasticism’ is derived from Latin scholasticus, which in
the twelfth century meant the master of a school. The Scholastic method is
usually presented as beginning in the law schools notably at Bologna and as being then transported into theology
and philosophy by a series of masters including Abelard and Peter Lombard.
Within the new universities of the thirteenth century the standardization of
the curriculum and the enormous prestige of Aristotle’s work despite the
suspicion with which it was initially greeted contributed to the entrenchment
of the method and it was not until the educational reforms of the beginning of
the sixteenth century that it ceased to be dominant. There is, strictly
speaking, no such thing as Scholasticism. As the term was originally used it
presupposed that a single philosophy was taught in the universities of late
medieval Europe, but there was no such philosophy. The philosophical movements
working outside the universities in the late sixteenth and early seventeenth
centuries and the “neo-Scholastics” of the late nineteenth and early twentieth
centuries all found such a presupposition useful, and their influence led
scholars to assume it. At first this generated efforts to find a common core in
the philosophies taught in the late medieval schools. More recently it has led
to efforts to find methods characteristic of their teaching, and to an
extension of the term to the schools of late antiquity and of Byzantium. Both
among the opponents of the schools in the seventeenth century and among the
“neoScholastics,” ‘Scholasticism’ was supposed to designate a doctrine whose
core was the doctrine of substance and accidents. As portrayed by Descartes and
Locke, the Scholastics accepted the view that among the components of a thing
were a substantial form and a number of real accidental forms, many of which
corresponded to perceptible properties of the thing its color, shape, temperature. They were also
supposed to have accepted a sharp distinction between natural and unnatural
motion.
sciacca: Giuseppe Maria Sciacca (Messina), filosofo. Allievo e
assistente a Palermo di Renda, volse il suo interesse verso la filosofia
kantiana, tema a cui dedicò un primo lavoro nel 1945, La funzione della libertà
nella formazione del sistema kantiano a cui fece seguito, nel 1963, il saggio L'idea
della libertà. Fondamento della coscienza etico-politica, che riproduceva, in
appendice, la memoria del 1945.
Professore Emerito di Storia della filosofia presso la Facoltà di
Lettere dell'Palermo, è stato presidente della Società filosofica italiana
Autore di numerosi saggi, il filosofo si è espresso attraverso una ricca . Opere;
Filosofi che si confessano, Guido D'Anna editore, Messina, Il fondamento della sterēsis nella
"Filosofia dell'azione", Accademia di Scienze, Lettere ed Arti,
Palermo, Il concetto di tiranno, dai greci a Coluccio Salutati, U. Manfredi
editore Palermo, 1953; La visione della vita nell'Umanesimo e Coluccio
Salutati, Palermo Politica e vita spirituale, ed. Palumbo, Palermo, Gli Dei in
Protagora, ed. Palumbo, Esistenza e realtà in Husserl, ed. Palumbo, Palermo,
Esistenza e realtà, Palermo, L'Idea della libertà in Kant. Fondamento della
coscienza etico-politica, ed. Palumbo, Palermo, Scetticismo cristiano, ed.
Palumbo, Palermo, Ritorno alla saggezza, ed. Palumbo, Palermo, L'uomo senza
Adamo, ed. Palumbo6; Sapere e alienazione, ed. Palumbo, Palermo, 1 Il Segno,
quel Segno, ed. Cappelli, Bologna. Pubblicato l'anno dopo in "Reale
accademia di lettere scienze e arti", «La filosofia per cambiare il
mondo», La Repubblica. Alessandro De
Bono, Giuseppe Maria Sciacca. La vita e la filosofia, Alessandria della Rocca,
M.K.N.,Caterina Genna, «Antonio Renda e Giuseppe Maria Sciacca: due testimoni
della tradizione neokantiana», in Piero di Giovanni, Le avanguardie della
filosofia italiana nel XX secolo, FrancoAngeli, "Bollettino quadrimestrale
della Società Filosofica Italiana", Piero Di Giovanni, L'opera e il
pensiero di Giuseppe Maria Sciacca M. , Scritti di Giuseppe Maria Sciacca Armando Plebe Piero Di Giovanni
sciacca: Lapide commemorativa in onore di Sciacca posta
all'interno del liceo classico "Michele Amari" di Giarre «La
filosofia non asciuga lacrime né dispensa sorrisi, ma dice la sua parola sulla
"verità" delle lacrime e dei sorrisi.» (da Atto ed essere) Michele Federico Sciacca
(Giarre), filosofo. Dopo gli studi liceali classici si trasferì a Napoli, nella
cui università si laureò in filosofia, nel 1930, con Antonio Aliotta. Cominciò
quindi, dopo aver conseguito la libera docenza in filosofia, la carriera
universitaria a Napoli, come assistente incaricato di storia della filosofia
antica e collaborando come condirettore alla rivista Logos fondata e diretta da
Aliotta. Fondò la rivista Il Giornale di Metafisica. Molto intenso fu il suo
rapporto filosofico e di stima reciproca con Giovanni Gentile, un sodalizio
iniziato nel 1933 e testimoniato dalla fitta corrispondenza tra i due filosofi,
da cui però ben presto Sciacca si allontanò, in particolare dal filone di
pensiero idealistico, per condurre la sua propria ricerca filosofica in modo
più ampio, tanto da condurlo a studiare per un certo periodo, grazie alle sue
conoscenze pure in campo teologico, sia la corrente del misticismo cristiano
che quella dello spiritualismo cristiano.
Conseguì l'ordinariato nel 1938, con cattedra all'Pavia, quindi insegnò,
dal 1947 alla morte prematura, filosofia teoretica presso l'Genova, che in
seguito gli intitolò il proprio Dipartimento di Studi sulla Storia del Pensiero
Europeo. Dal 1959 al 1974, ricoprì anche la carica di presidente dell'Accademia
di studi italo-tedeschi di Merano. A Genova morì nel 1975. Storico della filosofia, studioso e profondo
conoscitore del pensiero del sacerdote e filosofo Antonio Rosmini, promotore
della fondazione del "Centro Internazionale di Studi Rosminiani" di
Stresa nel 1966, Sciacca è una delle principali figure dello spiritualismo
filosofico del Novecento, a cui pervenne dopo i primi interessi per
l'attualismo gentiliano ed i successivi, più impegnativi studi sullo
spiritualismo cristiano, anche interpretandolo in modo originale, delineando un
particolare percorso di continuità che, connettendo la metafisica classica al
pensiero filosofico moderno, perviene a concepire un'apertura del soggetto
personalecome creaturaverso l'attualità assoluta dell'Essere («filosofia dell'integralità»).
La sua memoria è ricordata principalmente attraverso le opere dei suoi due
allievi, Maria Adelaide Raschini e Pier Paolo Ottonello, entrambi docenti
dell'ateneo genovese. È sepolto presso
il Sacro Monte di Domodossola, casa madre dei rosminiani, dove infatti riposano
le spoglie di molti membri appartenuti alla congregazione. Opere principali S. AgostinoMorcelliana,
Brescia. L'Anima Morcelliana, Brescia. La filosofia morale di Antonio Rosmini
Fratelli Bocca, Torino. Atto ed essere Fratelli Bocca, Torino. Interpretazioni
rosminiane Marzorati, Milano. Come si vince a WaterlooMarzorati, Milano. La filosofia e la scienza nel loro sviluppo
storico. Per i licei scientificiCremonese, Roma. PlatoneMarzorati, Milano.Filosofia
e antifilosofia Marzorati, Milano. La Chiesa e la civiltà moderna Marzorati,
Milano. Pagine di critica letteraria Marzorati, Milano. L'oscuramento
dell'intelligenza Marzorati, Milano. Studi sulla filosofia antica. Con
un'appendice sulla filosofia medioevale Marzorati, Milano. Ontologia triadica e
trinitaria. Discorso metafisico-teologico Marzorati, Milano. L'Insegnamento
della filosofia: atti del II Convegno di studi, Messina, maggio Editrice
peloritana, Messina. Reflexiones inactuales sobre el historicismo hegeliano Fundación
Universitaria Española, Madrid. Ontologia triadica e trinitariaL'Epos, Palermo.
Atto ed essereL'Epos, Palermo. Il magnifico
oggiL'Epos, Palermo. In Spirito e VeritàL'Epos, Palermo. La clessidraL'Epos, Palermo. L'ora di Cristo
L'Epos, Palermo. La principale fonte biografica qui seguita è: Pier Paolo
Ottonello, "Sciacca, Michele Federico", Dizionario Biografico degli
Italiani, Volume 91, Anno . Cfr.
CSFG-Centro di Studi Filosofici di Gallarate, Dizionario dei Filosofi, Firenze,
G.C. Sansoni Editore, 1 Pier Paolo Ottonello, "Sciacca, Michele
Federico", Dizionario Biografico degli Italiani, CSFG-Centro di Studi
Filosofici di Gallarate, Dizionario dei Filosofi, Firenze, G.C. Sansoni
Editore, Michele Schiavone, L'idealismo di M.F. Sciacca come sviluppo del
rosminianismo, Stresa (VB), Edizioni Rosminiane Sodalitas, Antimo Negri,
Michele Federico Sciacca: dall'attualismo alla filosofia dell'integralità,
Forlì, Edizioni di Ethica, Emilio
Pignologni, Genesi e sviluppo del rosminianesimo nel pensiero di Michele F. Sciacca,
Milano, Marzorati, La filosofia di M.F. Sciacca, Bologna, Quaderni del Giornale
di Metafisica, Michele Federico Sciacca, Stresa (VB), Estratti della Rivista
Rosminiana, Maria Adelaide Raschini, Incontrare Sciacca, Venezia, Marsilio
Editori, Pier Paolo Ottonello, Sciacca. L'anticonformismo costruttivo, Venezia,
Marsilio Editori, 2000. Alessandra Modugno, Heidegger e Sciacca. Essere,
persona, libertà, tempo, Venezia, Marsilio Editori, H.M. Ortiz, "Muerte e
inmortalidad" de Sciacca, Firenze, Leo S. Olschki Editore, . Michele
Shiavone, L'idealismo di M.F. Sciacca come sviluppo del rosminianesimo ,
Collana di studi filosofici rosminiani (n. 14), Domodossola (NO) ; Milano,
Sodalitas, Ospitato su Bontadini e la metafisica. Altri progetti Collabora a
Wikiquote Citazionio su Michele Federico Sciacca Michele Federico Sciacca, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Michele Federico Sciacca, su BeWeb, Conferenza
Episcopale Italiana. Pubblicazioni di
Michele Federico Sciacca, su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de
la Recherche et de l'Innovation. Sito
dedicato alla vita ed alle opere di M.F. Sciacca, su fondazionesciacca.it.
Profilo biografico, su pensierofilosoficoreligiosoitaliano.org. F
scitum: Grice: “The Italians are witty. They have ‘sciente,’
and ‘consciente.’ The etymology is fascinating: and analogous to Greek
‘criterion.’ To ‘know’ is to be able to separate, to analyse.’” scire -- sapio -- sapientia: wisdom,
an understanding of the highest principles of things that functions as a guide
for living a truly exemplary human life. From the preSocratics through Plato
this was a unified notion. But Aristotle introduced a distinction between
theoretical wisdom sophia and practical wisdom phronesis, the former being the
intellectual virtue that disposed one to grasp the nature of reality in terms
of its ultimate causes metaphysics, the latter being the ultimate practical
virtue that disposed one to make sound judgments bearing on the conduct of
life. The former invoked a contrast between deep understanding versus wide
information, whereas the latter invoked a contrast between sound judgment and
mere technical facility. This distinction between theoretical and practical
wisdom persisted through the Middle Ages and continues to our own day, as is
evident in our use of the term ‘wisdom’ to designate both knowledge of the
highest kind and the capacity for sound judgment in matters of conduct. Grice:
“The etymology of ‘sapientia’ is excellentit’s like taste!” săpĭo , īvi or ĭi (sapui, Aug. Civ. Dei, 1, 10; id. Ep.
102, 10; but sapivi, Nov. ap. Prisc. p. 879 P.; id. ap. Non. 508, 21:
I.“saPisti,” Mart. 9, 6, 7: “sapisset,” Plaut. Rud. 4, 1, 8), 3, v. n. and a.
[kindr. with ὀπός, σαφής, and σοφός], to taste, savor; to taste, smack, or
savor of, to have a taste or flavor of a thing (cf. gusto). I. Lit. (so only in
a few examples). 1. Of things eaten or drunk: “oleum male sapiet,” Cato, R. R.
66, 1: “occisam saepe sapere plus multo suem,” Plaut. Mil. 2, 6, 104: “quin
caseus jucundissime sapiat,” Col. 7, 8, 2: “nil rhombus nil dama sapit,” Juv.
11, 121.—With an acc. of that of or like which a thing tastes: “quis (piscis)
saperet ipsum mare,” Sen. Q. N. 3, 18, 2: “cum in Hispaniā multa mella herbam
eam sapiunt,” Plin. 11, 8, 8, § 18: “ipsum aprum (ursina),” Petr. 66, 6.—Poet.:
anas plebeium sapit, has a vulgar taste, Petr. poët. 93, 2: “quaesivit quidnam
saperet simius,” Phaedr. 3, 4, 3.—* 2. Of that which tastes, to have a taste or
a sense of taste (perh. so used for the sake of the play upon signif. II.):
“nec sequitur, ut, cui cor sapiat, ei non sapiat palatus,” Cic. Fin. 2, 8, 24.—
3. Transf., of smell, to smell of or like a thing (syn.: oleo, redoleo; very
rare): Cicero, Meliora, inquit, unguenta sunt, quae terram quam crocum sapiunt.
Hoc enim maluit dixisse quam redolent. Ita est profecto; “illa erit optima,
quae unguenta sapiat,” Plin. 17, 5, 3, § 38: “invenitur unguenta gratiosiora
esse, quae terram, quam quae crocum sapiunt,” id. 13, 3, 4, § 21.—In a lusus
verbb. with signif. II.: istic servus quid sapit? Ch. Hircum ab alis, Plaut.
Ps. 2, 4, 47.— II. Trop. 1. To taste or smell of, savor of, i. e., a. To
resemble (late Lat.): “patruos,” Pers. 1, 11.— b. To suggest, be inspired by:
“quia non sapis ea quae Dei sunt,” Vulg. Matt. 16, 23; id. Marc. 8, 33.— c.
Altum or alta sapere, to be high-minded or proud: “noli altum sapere,” Vulg.
Rom. 11, 20: “non alta sapientes,” id. ib. 12, 16.— 2. To have good taste, i.e.
to have sense or discernment; to be sensible, discreet, prudent, wise, etc.
(the predominant signif. in prose and poetry; most freq. in the P. a.). (α).
Neutr., Plaut. Ps. 2, 3, 14: “si aequum siet Me plus sapere quam vos, dederim
vobis consilium catum, etc.,” id. Ep. 2, 2, 73 sq.: “jam diu edepol sapientiam
tuam abusa est haec quidem. Nunc hinc sapit, hinc sentit,” id. Poen. 5, 4, 30;
cf.: “populus est moderatior, quoad sentit et sapit tuerique vult per se
constitutam rem publicam,” Cic. Rep. 1, 42, 65; “so (with sentire),” Plaut. Am.
1, 1, 292; id. Bacch. 4, 7, 19; id. Merc. 2, 2, 24; id. Trin. 3, 2, 10 sq.;
cf.: “qui sapere et fari possit quae sentiat,” Hor. Ep. 1, 4, 9; Plaut. Bacch.
1, 2, 14: “magna est admiratio copiose sapienterque dicentis, quem qui audiunt
intellegere etiam et sapere plus quam ceteros arbitrantur,” Cic. Off. 2, 14,
48: “veluti mater Plus quam se sapere Vult (filium),” Hor. Ep. 1, 18, 27: “qui
(puer) cum primum sapere coepit,” Cic. Fam. 14, 1, 1; Poët. ap. Cic. Fam. 7,
16, 1: “malo, si sapis, cavebis,” if you are prudent, wise, Plaut. Cas. 4, 4, 17;
so, “si sapis,” id. Eun. 1, 1, 31; id. Men. 1, 2, 13; id. Am. 1, 1, 155; id.
Aul. 2, 9, 5; id. Curc. 1, 1, 28 et saep.; Ter. Eun. 4, 4, 53; id. Heaut. 2, 3,
138: “si sapias,” Plaut. Merc. 2, 3, 39; 4, 4, 61; id. Poen. 1, 2, 138; Ter.
Heaut. 3, 3, 33; Ov. H. 5, 99; 20, 174: “si sapies,” Plaut. Bacch. 4, 9, 78;
id. Rud. 5, 3, 35; Ter. Heaut. 4, 4, 26; Ov. M. 14, 675: “si sapiam,” Plaut.
Men. 4, 2, 38; id. Rud. 1, 2, 8: “si sapiet,” id. Bacch. 4, 9, 74: “si
saperet,” Cic. Quint. 4, 16: hi sapient, * Caes. B. G. 5, 30: Ph. Ibo. Pl.
Sapis, you show your good sense, Plaut. Mil. 4, 8, 9; id. Merc. 5, 2, 40: “hic
homo sapienter sapit,” id. Poen. 3, 2, 26: “quae (meretrix) sapit in vino ad
rem suam,” id. Truc. 4, 4, 1; cf. id. Pers. 1, 3, 28: “ad omnia alia aetate sapimus
rectius,” Ter. Ad. 5, 3, 46: “haud stulte sapis,” id. Heaut. 2, 3, 82: “te
aliis consilium dare, Foris sapere,” id. ib. 5, 1, 50: “pectus quoi sapit,”
Plaut. Bacch. 4, 4, 12; id. Mil. 3, 1, 191; id. Trin. 1, 2, 53; cf.: “cui cor
sapiat,” Cic. Fin. 2, 8, 24: “id (sc. animus mensque) sibi solum per se sapit,
id sibi gaudet,” Lucr. 3, 145.— (β). Act., to know, understand a thing (in good
prose usually only with general objects): “recte ego rem meam sapio,” Plaut.
Ps. 1, 5, 81: “nullam rem,” id. Most. 5, 1, 45: qui sibi semitam non sapiunt,
alteri monstrant viam, Poët. ap. Cic. Div. 1, 58, 132; Cic. Att. 14, 5, 1;
Plaut. Mil. 2, 3, 65; cf.: “quamquam quis, qui aliquid sapiat, nunc esse beatus
potest?” Cic. Fam. 7, 28, 1: “quantum ego sapio,” Plin. Ep. 3, 6, 1: “jam nihil
sapit nec sentit,” Plaut. Bacch. 4, 7, 22: “nihil,” Cic. Tusc. 2, 19, 45:
“plane nihil,” id. Div. in Caecil. 17, 55: nihil parvum, i. e. to occupy one's
mind with nothing trivial (with sublimia cures), Hor. Ep. 1, 12, 15; cf.: cum
sapimus patruos, i.e. resemble them, imitate them in severity, Pers. 1, 11. —
3. Prov.: sero sapiunt Phryges, are wise behind the time; or, as the Engl.
saying is, are troubled with afterwit: “sero sapiunt Phryges proverbium est
natum a Trojanis, qui decimo denique anno velle coeperant Helenam quaeque cum
eā erant rapta reddere Achivis,” Fest. p. 343 Müll.: “in Equo Trojano (a
tragedy of Livius Andronicus or of Naevius) scis esse in extremo, Sero sapiunt.
Tu tamen, mi vetule, non sero,” Cic. Fam. 7, 16, 1.—Hence, să-pĭens , entis
(abl. sing. sapiente, Ov. M. 10, 622; gen. plur. sapientum, Lucr. 2, 8; Hor. S.
2, 3, 296; “but sapientium,” id. C. 3, 21, 14)a. (acc. to II.), wise, knowing,
sensible, well-advised, discreet, judicious (cf. prudens). A. In gen.: “ut quisque
maxime perspicit, quid in re quāque verissimum sit, quique acutissime et
celerrime potest et videre et explicare rationem, is prudentissimus et
sapientissimus rite haberi solet,” Cic. Off. 1, 5, 16; cf.: “sapientissimum
esse dicunt eum, cui quod opus sit ipsi veniat in mentem: proxume acceder
illum, qui alterius bene inventis obtemperet,” id. Clu. 31, 84: “M. Bucculeius,
homo neque meo judicio stultus et suo valde sapiens,” id. de Or. 1, 39, 179:
“rex aequus ac sapiens,” id. Rep. 1, 26, 42; cf.: “Cyrus justissimus
sapientissimusque rex,” id. ib. 1, 27, 43: “bonus et sapiens et peritus
utilitatis civilis,” id. ib. 2, 29, 52: “o, Neptune lepide, salve, Neque te
aleator ullus est sapientior,” Plaut. Rud. 2, 3, 29: “quae tibi mulier videtur
multo sapientissima?” id. Stich. 1, 2, 66: “(Aurora) ibat ad hunc (Cephalum)
sapiens a sene diva viro,” wise, discreet, Ov. H. 4, 96 Ruhnk.; so, “puella,”
id. M. 10, 622: “mus pusillus quam sit sapiens bestia,” Plaut. Truc. 4, 4, 15;
id. As. 3, 3, 114 et saep.—With gen. (analogous to gnarus, peritus, etc.): “qui
sapiens rerum esse humanarum velit,” Gell. 13, 8, 2.—Subst.: săpĭens , entis,
m., a sensible, shrewd, knowing, discreet, or judicious person: “semper cavere
hoc sapientes aequissimumst,” Plaut. Rud. 4, 7, 20; cf.: “omnes sapientes suom
officium aequom est colere et facere,” id. Stich. 1, 1, 38; id. Trin. 2, 2, 84:
“dictum sapienti sat est,” id. Pers. 4, 7, 19; Ter. Phorm. 3, 3, 8; Plaut. Rud.
2, 4, 15 sq.: “insani sapiens nomen ferat, aequus iniqui,” Hor. Ep. 1, 6, 15:
“sapiens causas reddet,” id. S. 1, 4, 115: “quali victu sapiens utetur,” id.
ib. 2, 2, 63; 1, 3, 132.—In a lusus verbb. with the signif. of sapio, I., a
person of nice taste: “qui utuntur vino vetere sapientes puto Et qui libenter
veteres spectant fabulas,” good judges, connoisseurs, Plaut. Cas. prol. 5:
fecundae leporis sapiens sectabitur armos, Hor. S. 2, 4, 44.—As a surname of
the jurists Atilius, C. Fabricius, M'. Curius, Ti. Coruncanius, Cato al., v.
under B. fin.— b. Of abstract things: “opera,” Plaut. Pers. 4, 5, 2:
“excusatio,” Cic. Att. 8, 12, 2: “modica et sapiens temperatio,” id. Leg. 3, 7,
17: “mores,” Plaut. Rud. 4, 7, 25: “verba,” Ter. Ad. 5, 1, 7: “consilium,” Ov.
M. 13, 433: “Ulixes, vir sapienti facundiā praeditus,” Gell. 1, 15, 3: “morus,
quae novissima urbanarum germinat, nec nisi exacto frigore, ob id dicta
sapientissima arborum,” Plin. 16, 25, 41, § 102.— B. After the predominance of
Grecian civilization and literature, particularly of the Grecian philosophy,
like σοφός, well acquainted with the true value of things, wise; and subst., a
wise man, a sage (in Cic. saepiss.): ergo hic, quisquis est, qui moderatione et
constantiā quietus animo est sibique ipse placatus ut nec tabescat molestiis
nec frangatur timore nec sitienter quid expetens ardeat desiderio nec
alacritate futili gestiens deliquescat; “is est sapiens quem quaerimus, is est
beatus,” Cic. Tusc. 4, 17, 37: “sapientium praecepta,” id. Rep. 3, 4, 7: “si
quod raro fit, id portentum putandum est: sapientem esse portentum est. Saepius
enim mulam peperisse arbitror, quam sapientem fuisse,” id. Div. 2, 28, 61:
“statuere quid sit sapiens, vel maxime videtur esse sapientis,” id. Ac. 2, 3,
9; cf. id. Rep. 1, 29, 45.—So esp. of the seven wise men of Greece: “ut ad
Graecos referam orationem ... septem fuisse dicuntur uno tempore, qui sapientes
et haberentur et vocarentur,” Cic. de Or. 3, 34, 137: “eos vero septem quos
Graeci sapientes nominaverunt,” id. Rep. 1, 7, 12: “sapienti assentiri ... se
sapientem profiteri,” id. Fin. 2,3, 7.—Ironically: “sapientum octavus,” Hor. S.
2, 3, 296.—With the Romans, an appellation of Lœlius: te, Laeli, sapientem et
appellant et existimant. Tribuebatur hoc modo M. Catoni: scimus L. Atilium apud
patres nostros appellatum esse sapientem, sed uterque alio quodam modo:
Atilius, qui prudens esse in jure civili putabatur; “Cato quia multarum rerum
usum habebat ... propterea quasi cognomen jam habebat in senectute sapientis
... Athenis unum accepimus et eum quidem etiam Apollinis oraculo sapientissimum
judicatum,” Cic. Lael. 2, 6; cf.: “numquam ego dicam C. Fabricium, M'. Curium,
Ti. Coruncanium, quos sapientes nostri majores judicabant, ad istorum normam fuisse
sapientes,” id. ib. 5, 18: “ii, qui sapientes sunt habiti, M. Cato et C.
Laelius,” id. Off. 3, 4, 16; Val. Max. 4, 1, ext. 7; Lact. 4, 1.—Hence, adv.:
săpĭen-ter , sensibly, discreetly, prudently, judiciously, wisely: “recte et
sapienter facere,” Plaut. Am. 1, 1, 133; id. Mil. 3, 3, 34: “consulere,” id.
ib. 3, 1, 90: “insipienter factum sapienter ferre,” id. Truc. 4, 3, 33:
“factum,” id. Aul. 3, 5, 3: “dicta,” id. Rud. 4, 7, 24: “quam sapienter jam
reges hoc nostri viderint,” Cic. Rep. 2, 17, 31: “provisa,” id. ib. 4, 3, 3: “a
majoribus prodita fama,” id. ib. 2, 2, 4: “considerate etiam sapienterque
fecerunt,” id. Phil. 4, 2, 6; 13, 6, 13: “vives sapienter,” Hor. Ep. 1, 10, 44:
“agendum,” Ov. M. 13, 377: “temporibus uti,” Nep. Epam. 3, 1; Hor. C. 4, 9, 48.—Comp.:
“facis sapientius Quam pars latronum, etc.,” Plaut. Curc. 4, 3, 15; id. Poen.
prol. 7: “nemo est, qui tibi sapientius suadere possit te ipso,” Cic. Fam. 2,
7, 1: “sapientius fecisse,” id. Brut. 42, 155.—Sup.: “quod majores nostros et
proisse maxime et retinuisse sapientissime judico,” Cic. Rep. 2, 37, 63.
Vide H. P. Grice, “Philosophy: love of wisdom, love of taste,” BANC.
res: reale: Grice: “Possibly the philosophically most
important Roman neuter expression,” -- is res!
"Unfortunately, the etymology is dubious." "Perhaps
"res" comes from a root ra- of reor, ratus."- to reckon,
calculate, believe, think, suppose, imagine, judge, deem, as in English
'ratify,' and 'reason.' "I am
reminded of German "ding;" English "thing," from
"denken," to think; prop., that which is thought of." "I am
also reminded of "λόγος," Lid. and Scott, 9, a thing, object, being;
a matter, affair, event, fact, circumstance, occurrence, deed, condition, case,
etc.; and sometimes merely = something (cf.: causa, ratio, negotium)."
realism, the view that the subject matter of common sense or scientific
research and scientific theories exists independently of our knowledge of it,
and that the goal of science is the description and explanation of both
observable and unobservable aspects of the world. Scientific realism is
contrasted with logical empiricism and social constructivism. Early arguments
for scientific realism simply stated that, in light of the impressive products
and methods of science, realism is the only philosophy that does not make the
success of science a miracle. Formulations of scientific realism focus on the
objects of theoretical knowledge: theories, laws, and entities. One especially
robust argument for scientific realism due to Putnam and Richard Boyd is that
the instrumental reliability of scientific methodology in the mature sciences
such as physics, chemistry, and some areas of biology can be explained
adequately only if we suppose that theories in the mature sciences are at least
approximately true and their central theoretical terms are at least partially
referential Putnam no longer holds this view. More timid versions of scientific
realism do not infer approximate truth of mature theories. For example, Ian
Hacking’s “entity realism” 3 asserts that the instrumental manipulation of
postulated entities to produce further effects gives us legitimate grounds for
ontological commitment to theoretical entities, but not to laws or theories.
Paul Humphreys’s “austere realism” 9 states that only theoretical commitment to
unobserved structures or dispositions could explain the stability of observed
outcomes of scientific inquiry. Distinctive versions of scientific realism can
be found in works by Richard Boyd 3, Philip Kitcher 3, Richard Miller 7,
William Newton-Smith 1, and J. D. Trout 8. Despite their differences, all of
these versions of realism are distinguished
against logical empiricism by
their commitment that knowledge of unobservable phenomena is not only possible
but actual. As well, all of the arguments for scientific realism are abductive;
they argue that either the approximate truth of background theories or the
existence of theoretical entities and laws provides the best explanation for
some significant fact about the scientific theory or practice. Scientific
realists address the difference between real entities and merely useful
constructs, arguing that realism offers a better explanation for the success of
science. In addition, scientific realism recruits evidence from the history and
practice of science, and offers explanations for the success of science that
are designed to honor the dynamic and uneven character of that evidence. Most
arguments for scientific realism cohabit with versions of naturalism.
Anti-realist opponents argue that the realist move from instrumental
reliability to truth is question-begging. However, realists reply that such
formal criticisms are irrelevant; the structure of explanationist arguments is
inductive and their principles are a posteriori.
applicatum, extensum -- extensio: scope, the “part” of
the sentence or proposition to which a given term “applies” under a given
interpretation of the sentence. If the sentence ‘Abe does not believe Ben died’
is interpreted as expressing the proposition that Abe believes that it is not
the case that Ben died, the scope of ‘not’ is ‘Ben died’; interpreted as “It is
not the case that Abe believes that Ben died,” the scope is the rest of the
sentence, i.e., ‘Abe believes Ben died’. In the first case we have narrow
scope, in the second wide scope. If ‘Every number is not even’ is interpreted
with narrow scope, it expresses the false proposition that every number is
non-even, which is logically equivalent to the proposition that no number is
even. Taken with wide scope it expresses the truth that not every number is
even, which is equivalent to the truth that some number is non-even. Under
normal interpretations of the sentences, ‘hardened’ has narrow scope in ‘Carl
is a hardened recidivist’, whereas ‘alleged’ has wide scope in ‘Dan is an alleged
criminal’. Accordingly, ‘Carl is a hardened recidivist’ logically implies ‘Carl
is a recidivist’, whereas ‘Dan is an alleged criminal’, being equivalent to
‘Allegedly, Dan is a criminal’, does not imply ‘Dan is a criminal’. Scope
considerations are useful in analyzing structural ambiguity and in
understanding the difference between the grammatical form of a sentence and the
logical form of a proposition it expresses. In a logically perfect language
grammatical form mirrors logical form, there is no scope ambiguity, and the
scope of a given term is uniquely determined by its context.
scupoli: very important Italian philosopher.
Lorenzo Scupoli (Laurentius Scupulus) (Otranto), filosofo. Ricevette
come nome di battesimo Francesco. Entrò nell'ordine dei teatini quasi
quarantenne, nel 1569, per ricevere gli ordini sacri in soli otto anni. Fu
discepolo di sant'Andrea Avellino, appartenente al suo stesso ordine. Al
1585 risale l'accusa di violazione della regola, per cui fu arrestato per un
anno e sospeso a divinis. Per la sua assoluzione dovette attendere quasi la
morte; intanto, sopportò l'ingiusta accusa e la pena conseguente con umiltà e
umanità. Il combattimento spirituale «"Con l’orazione porrai la spada in mano
a Dio, perché combatta e vinca per te." La preghiera è dunque l’arma di
tutte le vittorie. Essa è la debolezza di Dio e la forza dell’uomo perché il
cuore del Padre non sa negare nulla di buono ai suoi figli.» (Padre Lino
Pedron. Opere: Il combattimento
spirituale, come afferma V. Gambi nell'introduzione all'opera delle ed. Paoline
del 1960, è un trattato di strategia spirituale che come altre opere e vicino
alla spiritualità ignaziana conduce l'anima a una perfezione tutta interiore.
L'opera indica cinque mezzi per raggiungere la perfezione spirituale: 1.
Sfiducia in sé 2. pienissima confidenza in Dio 3. combattimento e uso metodico
delle facoltà per correggere i propri difetti, quindi per trionfare del demonio
e per conquistare le virtù 4. preghiera e meditazione 5. comunione. Spiritualità Imitazione di Cristo A Testo del
Combattimento spirituale, su monasterovirtuale.it. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e Scupoli," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
stabile: Giampiero Stabile (Sapri), filosofo. Laureatosi a Napoli con una tesi sulla
filosofia dei valori, divenne ricercatore a Salerno. Pubblicò saggi su Eugène
Dupréel, sulla scuola di Budapest, su Montaigne e sulla Heller apparsi su
"Prassi e teoria", "Aut Aut", "Studi di filosofia
politica e diritto", "il Centauro", "Ombre rosse",
riviste tra le più prestigiose nel panorama della pubblicistica filosofica
italiana; collaborò inoltre, con Schiera, alla direzione della collana di testi
e studi "Relox" della casa editrice Bibliopolis di Napoli.. Salerno
dedicò un convegno di studi alla sua memoria: "La saggezza moderna. Temi e
problemi dell'opera di Pierre Charron".
Biblioteca personale Il fondo, acquisito nella seconda metà degli anni
Ottanta, rappresenta solo una piccola porzione della biblioteca di Stabile,
infatti la consistenza attuale si aggira intorno ai 650 volumi altri libri sono
in possesso del Dipartimento di Filosofia a Salerno. Le edizioni presenti nel
fondo coprono un arco di tempo che va dal 1925 al 1984. Tuttavia la consistenza
maggiore ricopre gli anni Settanta, periodo intorno a cui si è formata la personalità
scientifica di Stabile. I libri del fondo sottolineano l'interesse verso la
critica marxista e la scuola di Budapest (moltissimi i volumi degli Editori
Riuniti). Degni di attenzione alcuni esemplari caratteristici degli anni
Settanta, come ad esempio quelli della collana "I gabbiani" del
Saggiatore o ancora la collana quasi completa degli "Opuscoli
marxisti" (poi "Opuscoli") della Feltrinelli, i volumi della
collana "Biblioteca di nuova cultura" della Mazzotta, e quelli della
"Scienza nuova" della Dedalo: collane radicalmente trasformate nei
successivi anni o sostituite da altre; talora nate solamente per offrire testi
economici che rispondessero ai bisogni di una maggiore diffusione culturale.
Sono presenti anche dei volumetti allegati a periodici di partito (PCI e PSI) e
le pubblicazioni dell'Istituto di Filosofia dell'Salerno. Pubblicazioni Monografie Valore morale e società nel pensiero di
Eugène Dupréel, Salerno, Università degli studi di Salerno, Facoltà di
magistero, Soggetti e bisogni : saggi su Agnes Heller e la teoria dei bisogni,
Firenze, La Nuova Italia, Monografie in
collaborazione e Vittorio Dini e
Giampiero Stabile, Saggezza e prudenza : studi per la ricostruzione di
un'antropologia in prima età moderna, Napoli, Liguori, Pierre Charron, Piccolo
trattato sulla saggezza, Napoli, Bibliopolis, Articoli di riviste Umanesimo e rivoluzione nel pensiero di Agnés
Heller, in «Prassi e teoria : rivista di filosofia della cultura», Vittorio
Dini e Domenico Taranto , La saggezza moderna: temi e problemi dell'opera di
Pierre Charron : atti del Convegno di studi in memoria di Giampiero Stabile,
Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Vittorio Dini e Domenico Taranto , La
saggezza moderna: temi e problemi dell’opera di Pierre Charron : atti del
Convegno di studi in memoria di Giampiero Stabile, Napoli, Edizioni scientifiche
italiane, Pierre Charron Storia della filosofia Università degli Studi di
Salerno Giampiero Stabile in SHARE
Catalogue Fondo Stabile in ARiEL Discovery tool di Ateneo dell'Salerno. Most
likely a replica from now on: sttabile: Giampiero
Stabile (Sapri), filosofo. Laureatosi a Napoli con una tesi sulla filosofia
europea dei valori, divenne ricercatore di Storia della Filosofia all'Salerno.
Già in giovanissima età pubblicò saggi su Eugène Dupréel, sulla scuola di
Budapest, su Montaigne e sulla Heller apparsi su "Prassi e teoria",
"Aut Aut", "Studi di filosofia politica e diritto",
"il Centauro", "Ombre rosse", riviste tra le più
prestigiose nel panorama della pubblicistica filosofica italiana; collaborò
inoltre, con Pierangelo Schiera, alla direzione della collana di testi e studi
"Relox" della casa editrice Bibliopolis di Napoli.. Nel 1985 l'Salerno
dedicò un convegno di studi alla sua memoria: "La saggezza moderna. Temi e
problemi dell'opera di Pierre Charron".
Biblioteca personale Il fondo, acquisito nella seconda metà degli anni
Ottanta, rappresenta solo una piccola porzione della biblioteca privata di Giampiero
Stabile, infatti la consistenza attuale si aggira intorno ai 650 volumi altri
libri sono in possesso del Dipartimento di Filosofia dell'Salerno. Le edizioni
presenti nel fondo coprono un arco di tempo che va dal 1925 al 1984. Tuttavia
la consistenza maggiore ricopre gli anni Settanta, periodo intorno a cui si è
formata la personalità scientifica di Giampiero Stabile. I libri del fondo
sottolineano l'interesse verso la critica marxista e la scuola di Budapest
(moltissimi i volumi degli Editori Riuniti). Degni di attenzione alcuni
esemplari caratteristici degli anni Settanta, come ad esempio quelli della
collana "I gabbiani" del Saggiatore o ancora la collana quasi
completa degli "Opuscoli marxisti" (poi "Opuscoli") della Feltrinelli,
i volumi della collana "Biblioteca di nuova cultura" della Mazzotta,
e quelli della "Scienza nuova" della Dedalo: collane radicalmente
trasformate nei successivi anni o sostituite da altre; talora nate solamente
per offrire testi economici che rispondessero ai bisogni di una maggiore
diffusione culturale. Sono presenti anche dei volumetti allegati a periodici di
partito (PCI e PSI) e le pubblicazioni dell'Istituto di Filosofia
dell'Salerno. Pubblicazioni Monografie Valore morale e società nel pensiero di
Eugène Dupréel, Salerno, Università degli studi di Salerno, Facoltà di
magistero, 1976, 116 p. Soggetti e bisogni : saggi su Agnes Heller e la teoria
dei bisogni, Firenze, La Nuova Italia, Monografie in collaborazione e Vittorio Dini e Giampiero Stabile, Saggezza e
prudenza : studi per la ricostruzione di un'antropologia in prima età moderna,
Napoli, Liguori, Pierre Charron, Piccolo
trattato sulla saggezza, Napoli, Bibliopolis, 1985, 130 p. Articoli di
riviste Umanesimo e rivoluzione nel
pensiero di Agnés Heller, in «Prassi e teoria : rivista di filosofia della
cultura», Vittorio Dini e Domenico Taranto , La saggezza moderna: temi e
problemi dell'opera di Pierre Charron : atti del Convegno di studi in memoria
di Giampiero Stabile, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Vittorio Dini e
Domenico Taranto , La saggezza moderna: temi e problemi dell’opera di Pierre
Charron : atti del Convegno di studi in memoria di Giampiero Stabile, Napoli,
Edizioni scientifiche italiane, 1987437.
Pierre Charron Storia della filosofia Università degli Studi di
Salerno Giampiero Stabile in SHARE
Catalogue Fondo Stabile in ARiEL Discovery tool di Ateneo dell'Salerno Filosofia
Università Università.
stefanini: Grice: “Italians are obsessed with
personalismo, I am with interpersonalismo!” “L’essere è personale.” “Tutto ciò
che non è personale nell’essere rientra nella produttività della persona, come
mezzo di manifestazione della persona e di *comunicazione* o conversazione
*tra* due persone,” “La mia prospettiva filosofica). Luigi Stefanini (Treviso),
filosofo. Secondogenito di quattro fratelli, in una famiglia cattolica il cui
padre Giovanni gestisce una tintoria, mentre la madre Lucia de Mori, diplomata
maestra elementare, si dedica interamente alla casa e la cura dei suoi figli.
-- è attivo nelle associazioni e nei
movimenti cattolici del trevigiano, iscrivendosi a Gioventù Cattolica dove
assumerà presto l'incarico di presidente diocesano. Qui maturerà la vocazione
di educatore, seguendo, in particolare, gli insegnamenti contenuti nell'enciclica
Rerum Novarum di Leone XIII. Opera pure nel sindacato cattolico dei
lavoratori. Dopo il diploma presso il
Liceo Classico Antonio Canova, dove ha fra gli altri Paolo Rotta come
insegnante di storia e filosofia, nello stesso anno si iscrive alla Facoltà di
Lettere e Filosofia dell'Padova. Nell'ateneo patavino, la corrente del
positivismo è tra le più seguite, ma in controtendenza Stefanini decide di
scrivere la propria tesi su Maurice Blondel, esponendovi le proprie critiche
sull'opera del filosofo francese, avendo Antonio Aliotta come relatore, con cui
si laurea in filosofia nel 1914. Nel periodo di studi padovano, inizia a
frequentare anche il circolo universitario cattolico di Giacomo Zanella e,
subito dopo la laurea, inizia a insegnare nelle scuole pubbliche. Mentre completa gli studi universitari,
inizia già a respirarsi aria di guerra in Italia, ma come molti giovani
cattolici, pur favorevole ad una posizione di neutralità nei confronti della
guerra, viene comunque chiamato alle armi nel 1915. Terminato il conflitto,
uscendone con il grado di capitano e una croce al merito di guerra, nel 1919
consegue pure una seconda laurea in lettere all'Padova, con una tesi sul
pensiero estetico di Gian Vincenzo Gravina, nonché riprende l'insegnamento
nelle scuole. Nel 1920 è eletto
consigliere del Comune di Treviso ma, nel 1921, la violenza dello squadrismo
fascista investe anche il trevigiano. Stefanini si oppone con fermezza a tale
ideologia, evidenziando l'inconciliabilità di cristianesimo e fascismo,
dimettendosi e dedicandosi completamente all'insegnamento, che ora è la sua
occupazione principale e che condurrà sempre secondo una pedagogia ispirata ai
principi cristiani, costantemente attento e sensibile sia ai bisogni che agli
interessi degli studenti. Nello stesso periodo, si dedica con scrupolo alla
stesura di apprezzati testi didattici di storia e filosofia, nonché di
pedagogia secondo un indirizzo cristiano.
Conseguita la libera docenza in pedagogia nel 1925, nello stesso anno
ottiene, per incarico, l'insegnamento di questa disciplina all'Padova, nonché
si sposa con Maria Javicoli, da cui avrà tre figli, Elena, Paolo e Lucia. In
quegli anni, oltre ad iscriversi al Partito Nazionale Fascista, affianca
l'insegnamento nelle scuole pubbliche a quello universitario fino al 1936
quando, vinto l'ordinariato, ha una cattedra di storia della filosofia alla
Facoltà di Magistero dell'Messina che tiene fino al 1938 quando si trasferisce
a Padova, alla cattedra di pedagogia, quindi a quella di storia della filosofia
nel 1940 che terrà fino alla morte prematura, nel 1956. Al contempo, tiene per
incarico l'insegnamento di estetica a Padova e quello di pedagogia all'Venezia,
nonché sarà preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'ateneo patavino
nel triennio 1941-43. Nel dopoguerra,
riabilitato alla propria cattedra e all'insegnamento universitario, si dedica
prevalentemente allo studio e la ricerca, ma partecipando anche alla
riorganizzazione della filosofia cattolica italiana, in particolare promuovendo
incontri, convegni e riunioni all'Istituto Aloisianum dei padri gesuiti di
Gallarate, che diventerà poi il Centro di studi filosofici di Gallarate, per
primo diretto da Carlo Gianon. Socio
corrispondente dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, nonché socio
effettivo dell’Accademia patavina di scienze, lettere ed arti, ricevette il
premio della R. Accademia d'Italia nel 1933 per le discipline filosofiche, e il
premio Marzotto per la filosofia nel 1953, nonché fu membro dei consigli
direttivi della Società filosofica italiana e del Centro Studi filosofici di
Gallarate. Nel 1956 ha poi fondato a Padova la Rivista di estetica, della quale
ha potuto dirigere solo il primo fascicolo dell'annata 1956, e a cui gli
subentrerà Luigi Pareyson. Fra i suoi allievi, ricordiamo Armando Rigobello,
Giovanni Santinello, Ezio Riondato, Giovanni M. Pozzo. Gli saranno intitolate delle scuole medie
statali di Treviso e Padova, nonché l'ex Istituto magistrale di Mestre. Attività e pensiero Stefanini è stato uno dei
più importanti filosofi italiani di ispirazione cristiana, nonché uno dei
maggiori rappresentati dello spiritualismo cristiano. Partendo sempre dalla
filosofia cristiana, ha riesaminato storicamente e criticamente diverse
correnti del pensiero filosofico, fra cui lo storicismo, la filosofia
dell'azione, il neoidealismo, la fenomenologia, l'esistenzialismo, lungo il
corso della storia della filosofia, dagli antichi (fra i quali Platone,
Sant'Agostino, Bonaventura, San Tommaso), fino ai moderni (Vincenzo Gioberti,
Maurice Blondel, Antonio Rosmini ed altri), sulla scia della sua prima
formazione giovanile incentrata su uno stretto connubio fra prospettiva storica
e dimensione teoretica. Interessato pure
all'estetica, su cui ha scritto molti lavori, il contributo più importante
dello Stefanini è frutto della sua costante riflessione su personalismo e
spiritualismo, grazie alla quale il rapporto soggetto-oggetto viene
interpretato in termini di alterità, di altro da sé, prospettivaquestache
permetterà di concepire il singolo individuo come membro di una comunità.
Questo rapporto soggetto-oggetto, da un tale punto di vista, sarà concepito
come il momento fondante di ogni comunità di esseri umani in relazione fra
loro. Le più importanti problematiche connesse a questi principi di base,
saranno poi affrontate dallo Stefanini nelle due opere fondamentali Metafisica
della persona” – cf. Strawson, “The concept of a person” -- e Personalismo
sociale, o interpersonalismo. Strettamente connesse a queste tematiche
filosofiche, poi, sono quelle didattico-pedagogiche aperte e portate avanti
dallo Stefanini pressoché durante l'intero suo periodo di attività, dai primi
anni formativi fino agli ultimi della maturità, in continuo ripensamento e
progressiva rivisitazione. Per quanto
concerne poi la sua vasta produzione scientifica, ricordiamo solo che, nel
periodo compreso fra il 1940 e il 1950, dà alle stampe le seguenti, notevoli
pubblicazioni: “L'esistenzialismo di M. Heidegger,” “Spiritualismo Cristiano,” Gioberti
(1947), Il dramma filosofico della Germania (1948), Metafisica della persona ed
altri saggi (1950), Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico (1952),
Personalismo sociale (1952), Estetica (1953), Trattato di estetica (1955);
viene pubblicata postuma poi la raccolta di scritti intitolata Personalismo
filosofico. Ci riferiamo principalmente a: Gregorio Piaia, "Stefanini,
Luigi", in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 94, Anno . Si veda
pure: Laura Corrieri, Luigi Stefanini, un pensiero attuale, Edizioni
Prometheus, Milano, 2002. Citando sue
testuali parole, «[...] l'opera del Blondel è più arte che filosofia. I
passaggi più ardui superati con immagini ardite, anziché con logiche
dimostrazioni; affermate le più inconciliabili antitesi affinché queste rendano
vivo e tragico il contrasto; i mezzi dialettici atti più a trascinare che a
convincere: tutto ciò ci conferma pienamente nella nostra interpretazione.
L'opera del Blondel è, più che una dottrina filosofica, un romanzo psicologico
che descrive le esitazioni e le incertezze, le vane pretese e le supreme
aspirazioni dell'umana volontà, che alfine si appaga e riposa in Dio. Per ciò
che al di là del filosofo si riesca ad afferrare l'uomo, al di là del sistema
si riesca ad afferrare il programma generoso del credente, la filosofia
dell'azione può essere efficacemente educativa, può esercitare nella coscienza
contemporanea l'influsso salutare che essa si era proposta» (da Luigi
Stefanini, L'Azione. Saggio critico sulla filosofia di M. Blondel, Padova,
1914). Cfr. Laura Corrieri, cit. Il quale, a sua volta, prende le mosse dalle
concezioni personalistiche mounieriane e giobertiane; cfr. Gregorio Piaia, cit.
Opere principal: Il problema della conoscenza in Cartesio e Gioberti, Torino,
Sei, Il problema religioso in Platone e S. Bonaventura. Sommario storico e
critica di testi, Torino, Sei, 1926. Idealismo cristiano, Padova, R. Zannoni
Editore, 1931. Platone, 2 voll., Padova, Cedam, 1932-35 (ristampa: Istituto di
Filosofia, Padova, 1991). Il problema estetico in Platone, Torino, Sei, Imaginismo
come problema filosofico, I, Padova,
Cedam, Problemi attuali d'arte, Padova, Cedam, 1La Chiesa Cattolica, Milano-Messina,
Principato, Vincenzo Gioberti. Vita e pensiero, Milano, F.lli Bocca, Metafisica dell'arte e altri saggi, Padova,
Editoria Liviana, La mia prospettiva filosofica, Treviso, Edizioni Canova (prima
edizione del 1950). Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico.
Esposizione e critica costruttiva, Padova, Cedam, 1Itinéraires métaphysiques,
trad. par J. Chaix-Ruiy, Paris, Aubier, Estetica, Roma, Edizioni Studium, Trattato
di Estetica, I: L'arte nella sua
autonomia e nel suo processo, Brescia, Editrice Morcelliana, 1960 (prima
edizione del 1955). Personalismo educativo, Roma, F.lli Bocca, 1955. Per
l'elenco completo degli scritti di Stefanini si rimanda alla relativa pagina
online curata dalla Fondazione "Luigi Stefanini". Dialettica dell'immagine. Studi
sull'imaginismo di Luigi Stefanini, a cura dell'Associazione filosofica
trevigiana, Genova, 1991. Luciano Caimi, Educazione e persona in Luigi
Stefanini, Editrice La Scuola, Brescia, 1985. Glory Cappello, Luigi Stefanini.
Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, Europrint, Treviso, 2006. Per una
antropologia in Luigi Stefanini: metafisica, personalismo, umanesimo, Glory
Cappello, Edizioni R. Pagotto, Padova, . Michele Lasala, Una ragione vivente.
L'immagine e l'ulteriore, in Frammenti
di filosofia contemporanea, I.v.a.n. Project, Limina Mentis Editore, Villasanta
(MB), , XXI. Matteo De Boni, Le ragioni
dell’esistenza. Esistenzialismo e ragione in Luigi Stefanini, Mimesis Edizioni,
Milano-Udine, , Armando Rigobello , Scritti in onore di Luigi Stefanini, Liviana
editrice, Padova, Sul pensiero di Luigi Stefanini, in Rivista Rosminiana, Luigi
Stefanini, su treccani.it. STEFANINI, Luigi, in Enciclopedia Italiana, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, luigi-stefanini. Fondazione Luigi
Stefanini, su fondazionestefanini.it. Most likely a replica as from now: s“L’essere è personale e tutto ciò che non è personale
nell’essere rientra nella produttività della persona, come mezzo di
manifestazione della persona e di comunicazione tra le persone» (Luigi Stefanini, da La mia prospettiva
filosofica). Luigi Stefanini (Treviso), filosofo. Secondogenito di quattro
fratelli, in una famiglia cattolica il cui padre Giovanni gestisce una
tintoria, mentre la madre Lucia de Mori, diplomata maestra elementare, si
dedica interamente alla casa e la cura dei suoi figli. Fin da giovane, è attivo nelle associazioni e
nei movimenti cattolici del trevigiano, iscrivendosi a Gioventù Cattolica dove
assumerà presto l'incarico di presidente diocesano. Qui maturerà la vocazione
di educatore, seguendo, in particolare, gli insegnamenti contenuti
nell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Opera pure nel sindacato cattolico
dei lavoratori. Dopo il diploma presso
il Liceo Classico Antonio Canova nel 1910, dove ha fra gli altri Paolo Rotta
come insegnante di storia e filosofia, nello stesso anno si iscrive alla
Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Padova. Nell'ateneo patavino, la corrente
del positivismo è tra le più seguite, ma in controtendenza Stefanini decide di
scrivere la propria tesi su Maurice Blondel, esponendovi le proprie critiche
sull'opera del filosofo francese, avendo Antonio Aliotta come relatore, con cui
si laurea in filosofia nel 1914. Nel periodo di studi padovano, inizia a
frequentare anche il circolo universitario cattolico di Giacomo Zanella e,
subito dopo la laurea, inizia a insegnare nelle scuole pubbliche. Mentre completa gli studi universitari,
inizia già a respirarsi aria di guerra in Italia, ma come molti giovani
cattolici, pur favorevole ad una posizione di neutralità nei confronti della
guerra, viene comunque chiamato alle armi nel 1915. Terminato il conflitto,
uscendone con il grado di capitano e una croce al merito di guerra, nel 1919
consegue pure una seconda laurea in lettere all'Padova, con una tesi sul
pensiero estetico di Gian Vincenzo Gravina, nonché riprende l'insegnamento
nelle scuole. Nel 1920 è eletto
consigliere del Comune di Treviso ma, nel 1921, la violenza dello squadrismo
fascista investe anche il trevigiano. Stefanini si oppone con fermezza a tale
ideologia, evidenziando l'inconciliabilità di cristianesimo e fascismo,
dimettendosi nel 1922 e dedicandosi completamente all'insegnamento, che ora è
la sua occupazione principale e che condurrà sempre secondo una pedagogia
ispirata ai principi cristiani, costantemente attento e sensibile sia ai
bisogni che agli interessi degli studenti. Nello stesso periodo, si dedica con scrupolo
alla stesura di apprezzati testi didattici di storia e filosofia, nonché di
pedagogia secondo un indirizzo cristiano.
Conseguita la libera docenza in pedagogia nel 1925, nello stesso anno
ottiene, per incarico, l'insegnamento di questa disciplina all'Padova, nonché
si sposa con Maria Javicoli, da cui avrà tre figli, Elena, Paolo e Lucia. In
quegli anni, oltre ad iscriversi al Partito Nazionale Fascista, affianca
l'insegnamento nelle scuole pubbliche a quello universitario fino al 1936
quando, vinto l'ordinariato, ha una cattedra di storia della filosofia alla
Facoltà di Magistero dell'Messina che tiene fino al 1938 quando si trasferisce
a Padova, alla cattedra di pedagogia, quindi a quella di storia della filosofia
che terrà fino alla morte prematura, nel 1956. Al contempo, tiene per incarico
l'insegnamento di estetica a Padova e quello di pedagogia all'Venezia, nonché
sarà preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'ateneo patavino nel
triennio 1941-43. Nel dopoguerra,
riabilitato alla propria cattedra e all'insegnamento universitario, si dedica
prevalentemente allo studio e la ricerca, ma partecipando anche alla
riorganizzazione della filosofia cattolica italiana, in particolare promuovendo
incontri, convegni e riunioni all'Istituto Aloisianum dei padri gesuiti di
Gallarate, che diventerà poi il Centro di studi filosofici di Gallarate, per
primo diretto da Carlo Gianon. Socio
corrispondente dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, nonché socio
effettivo dell’Accademia patavina di scienze, lettere ed arti, ricevette il
premio della R. Accademia d'Italia nper le discipline filosofiche, e il premio
Marzotto per la filosofia nel 1953, nonché fu membro dei consigli direttivi
della Società filosofica italiana e del Centro Studi filosofici di Gallarate. Ha
poi fondato a Padova la Rivista di estetica, della quale ha potuto dirigere
solo il primo fascicolo dell'annata 1956, e a cui gli subentrerà Luigi
Pareyson. Fra i suoi allievi, ricordiamo Armando Rigobello, Giovanni
Santinello, Ezio Riondato, Giovanni M. Pozzo.
Gli saranno intitolate delle scuole medie statali di Treviso e Padova,
nonché l'ex Istituto magistrale di Mestre. Stefanini è stato uno dei più
importanti filosofi italiani di ispirazione cristiana, nonché uno dei maggiori
rappresentati dello spiritualismo cristiano. Partendo sempre dalla filosofia
cristiana, ha riesaminato storicamente e criticamente diverse correnti del
pensiero filosofico, fra cui lo storicismo, la filosofia dell'azione, il
neoidealismo, la fenomenologia, l'esistenzialismo, lungo il corso della storia
della filosofia, dagli antichi (fra i quali Platone, Sant'Agostino,
Bonaventura, San Tommaso), fino ai moderni (Vincenzo Gioberti, Maurice Blondel,
Antonio Rosmini ed altri), sulla scia della sua prima formazione giovanile
incentrata su uno stretto connubio fra prospettiva storica e dimensione
teoretica. Interessato pure
all'estetica, su cui ha scritto molti lavori, il contributo più importante
dello Stefanini è frutto della sua costante riflessione su personalismo e spiritualismo,
grazie alla quale il rapporto soggetto-oggetto viene interpretato in termini di
alterità, di altro da sé, prospettivaquestache permetterà di concepire il
singolo individuo come membro di una comunità. Questo rapporto
soggetto-oggetto, da un tale punto di vista, sarà concepito come il momento
fondante di ogni comunità di esseri umani in relazione fra loro. Le più
importanti problematiche connesse a questi principi di base, saranno poi
affrontate dallo Stefanini nelle due opere fondamentali Metafisica della
persona e Personalismo sociale. Strettamente
connesse a queste tematiche filosofiche, poi, sono quelle didattico-pedagogiche
aperte e portate avanti dallo Stefanini pressoché durante l'intero suo periodo
di attività, dai primi anni formativi fino agli ultimi della maturità, in
continuo ripensamento e progressiva rivisitazione. Per quanto concerne poi la sua vasta
produzione scientifica, ricordiamo solo che, nel periodo compreso fra il 1940 e
il 1950, dà alle stampe le seguenti, notevoli pubblicazioni: L'esistenzialismo
di M. Heidegger, Spiritualismo Cristiano, Gioberti, Il dramma filosofico della
Germania, Metafisica della persona ed altri saggi (1950), Esistenzialismo ateo
ed esistenzialismo teistico; Personalismo sociale; Estetica; Trattato di
estetica; viene pubblicata postuma poi la raccolta di scritti intitolata
Personalismo filosofico. Ci riferiamo principalmente a: Gregorio Piaia,
"Stefanini, Luigi", in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume
94, Anno . Si veda pure: Laura Corrieri, Luigi Stefanini, un pensiero attuale,
Edizioni Prometheus, Milano, Citando sue testuali parole, «[...] l'opera del
Blondel è più arte che filosofia. I passaggi più ardui superati con immagini
ardite, anziché con logiche dimostrazioni; affermate le più inconciliabili
antitesi affinché queste rendano vivo e tragico il contrasto; i mezzi
dialettici atti più a trascinare che a convincere: tutto ciò ci conferma
pienamente nella nostra interpretazione. L'opera del Blondel è, più che una
dottrina filosofica, un romanzo psicologico che descrive le esitazioni e le
incertezze, le vane pretese e le supreme aspirazioni dell'umana volontà, che
alfine si appaga e riposa in Dio. Per ciò che al di là del filosofo si riesca
ad afferrare l'uomo, al di là del sistema si riesca ad afferrare il programma
generoso del credente, la filosofia dell'azione può essere efficacemente
educativa, può esercitare nella coscienza contemporanea l'influsso salutare che
essa si era proposta» (da Luigi Stefanini, L'Azione. Saggio critico sulla filosofia
di M. Blondel, Padova, Cfr. Laura
Corrieri, cit. Il quale, a sua volta,
prende le mosse dalle concezioni personalistiche mounieriane e giobertiane;
cfr. Gregorio Piaia, cit. Opere principali Il problema della conoscenza in
Cartesio e Gioberti, Torino, Sei, Il problema religioso in Platone e S.
Bonaventura. Sommario storico e critica di testi, Torino, Sei, Idealismo
cristiano, Padova, R. Zannoni Editore, 1Platone, 2 voll., Padova, Cedam, (ristampa: Istituto di Filosofia, Padova, Il problema estetico in Platone, Torino, Sei, Imaginismo come problema filosofico, I, Padova, Cedam, Problemi attuali d'arte,
Padova, Cedam, La Chiesa Cattolica, Milano-Messina, Principato, Vincenzo
Gioberti. Vita e pensiero, Milano, F.lli Bocca, Metafisica dell'arte e altri
saggi, Padova, Editoria Liviana, La mia prospettiva filosofica, Treviso,
Edizioni Canova (prima edizione del 1950). Esistenzialismo ateo ed
esistenzialismo teistico. Esposizione e critica costruttiva, Padova, Cedam, Itinéraires
métaphysiques, trad. par J. Chaix-Ruiy, Paris, Aubier, Estetica, Roma, Edizioni
Studium, Trattato di Estetica, I: L'arte
nella sua autonomia e nel suo processo, Brescia, Editrice Morcelliana,
Personalismo educativo, Roma, F.lli Bocca, Per l'elenco completo degli scritti di Stefanini
si rimanda alla relativa pagina online curata dalla Fondazione "Luigi
Stefanini". Dialettica dell'immagine. Studi sull'imaginismo di Luigi
Stefanini, a cura dell'Associazione filosofica trevigiana, Genova, Luciano
Caimi, Educazione e persona in Luigi Stefanini, Editrice La Scuola, Brescia,
1985. Glory Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio,
Europrint, Treviso, Per una antropologia in Luigi Stefanini: metafisica,
personalismo, umanesimo, Glory Cappello, Edizioni R. Pagotto, Padova, . Michele
Lasala, Una ragione vivente. L'immagine e l'ulteriore, in Frammenti di filosofia contemporanea,
I.v.a.n. Project, Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), , XXI. Matteo De Boni, Le ragioni
dell’esistenza. Esistenzialismo e ragione in Luigi Stefanini, Mimesis Edizioni,
Milano-Udine, , Armando Rigobello , Scritti in onore di Luigi Stefanini, Liviana
editrice, Padova, Sul pensiero di Luigi Stefanini, in Rivista Rosminiana,
Numero 2, Anno 1952. Luigi Stefanini, su
treccani.it. STEFANINI, Luigi, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, luigi-stefanini. Fondazione Luigi Stefanini, su
fondazionestefanini.it.
stella: Grice: “What is it with Italian
philosoophers that they are all into what at Oxford we would call
jurisprudence?” Grice: “It seems like all Italian philosophers are like Italian
versions of H. L. A. Hart!” --. Federico Stella (Sernaglia della Battaglia),
filosofo. Dopo aver frequentato il liceo presso il Collegio di Treviso si
iscrisse a Milano, dove vinse una borsa di studio presso il Collegio Augustinianum
e fu allievo di Crespi. Divenne professore, dapprima a Catania, e,
successivamente, a Milano. I suoi studi si diressero, dapprima, su alcune
tipologie di reati, successivamente sugli elementi strutturali del reato. Il suo contributo scientifico più noto,
presso gli operatori del diritto penale e la comunità accademica, è “Leggi
scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale,” monografia in cui ricostruisce il problema del nesso di causalità
penale prospettando il criterio della sussunzione sotto leggi scientifiche come
strumento per la soluzione di casi dubbi. Solo mediante una legge scientifica
di copertura, atta a spiegare il rapporto fra condotta del presunto autore del
reato ed evento dannoso, sarà possibile formulare un giudizio di responsabilità
penale. Ad es. solo dopo aver
dimostrato, sulla base di una legge scientifica, che l'ingestione di
determinati farmaci determina malformazioni del feto, sarà possibile imputare
alla ditta produttrice il reato di lesioni gravissime (colpose o dolose). In
difetto di una dimostrazione scientifica, non potrà formularsi alcuna
imputazione penale. Propose che la regola di giudizio dell'"oltre ogni
ragionevole dubbio" trovasse applicazione anche nel processo penale
italiano. Dapprima avversato da parte della dottrina processual penalistica, il
principio venne accoltoin tema di nesso causaledalla corte suprema di cassazione,
anche a Sezioni Unite. Oggi è norma codicistica. ADiresse riviste giuridiche di
diritto penale e fu fra i curatori di raccolte normative di largo successo
presso la comunità forense. Nei
successivi decenni gli interessi scientifici si volsero alla teoria generale del diritto ed
alla filosofia del diritto, mediante pubblicazione di scritti maggiormente
agili rispetto alle monografie ed ai saggi penalistici, rivolti ad un pubblico
relativamente più vasto. Esercitò la professione di avvocato, partecipando, in
qualità di difensore di alcuni imputati, al processo del Petrolchimico di Porto
Marghera, dove fece applicazione, a livello pratico, delle teorie relative alla
causalità scientifica. Principali
pubblicazioni: “L'alterazione di stato mediante falsità, Milano, “ La descrizione
dell'evento,”Milano, “Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto
penale,” Milano, “Giustizia e modernità, Milano,” “I saperi del giudice,” Milano, “ll giudice
corpuscolariano,” Milano, “La giustizia e le ingiustizie,” Bologna. Note Addio A Federico Stella, il «galantumo del
diritto» di Paolo Biondani, Corriere della Sera, 1Archivio storico. Il centro di ricerca Federico Stella
biografia e . Università Cattolica del Sacro Cuore. Most likely a replica from
now on: stella: Federico Stella
(Sernaglia della Battaglia), filosofo. È stato inoltre Professore di Diritto
penale e filosofo del diritto. Nato a Sernaglia della Battaglia, piccolo centro
in provincia di Treviso, dopo aver frequentato il liceo presso il Collegio
Vescovile Pio X di Treviso si iscrisse all'Università Cattolica del Sacro Cuore
di Milano, dove vinse una borsa di studio presso il Collegio Augustinianum e fu
allievo di Alberto Crespi. Divenne professore di diritto penale nel 1970,
dapprima nell'Università degli Studi di Catania, e, successivamente, presso
l'Università Cattolica di Milano, dove insegnò fino alla propria scomparsa,
avvenuta nel 2006. Causalità e leggi
scientifiche I suoi studi si diressero, dapprima, su alcune tipologie di reati,
successivamente sugli elementi strutturali del reato. Il suo contributo scientifico più noto,
presso gli operatori del diritto penale e la comunità accademica, è Leggi
scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, monografia in cui Stella ricostruisce il
problema del nesso di causalità penale prospettando il criterio della
sussunzione sotto leggi scientifiche come strumento per la soluzione di casi
dubbi: solo mediante una legge scientifica di copertura, atta a spiegare il
rapporto fra condotta del presunto autore del reato ed evento dannoso, sarà
possibile formulare un giudizio di responsabilità penale. Ad es. solo dopo aver dimostrato, sulla base
di una legge scientifica, che l'ingestione di determinati farmaci determina
malformazioni del feto, sarà possibile imputare alla ditta produttrice il reato
di lesioni gravissime (colpose o dolose). In difetto di una dimostrazione
scientifica, non potrà formularsi alcuna imputazione penale. Propose, attraverso i suoi scritti e le sue
lezioni, che la regola di giudizio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio"
trovasse applicazione anche nel processo penale italiano. Dapprima avversato da
parte della Dottrina processual penalistica, il principio venne accoltoin tema
di nesso causaledalla Corte suprema di cassazione, anche a Sezioni Unite; oggi
è norma codicistica. Attività ulteriori
Diresse riviste giuridiche di diritto penale e fu fra i curatori di raccolte
normative di largo successo presso la comunità forense. Nei successivi decenni gli interessi
scientifici di Stella si volsero alla teoria generale del diritto ed alla
filosofia del diritto, mediante pubblicazione di scritti maggiormente agili
rispetto alle monografie ed ai saggi penalistici, rivolti ad un pubblico
relativamente più vasto. Esercitò la
professione di avvocato, partecipando, in qualità di difensore di alcuni
imputati, al processo del Petrolchimico di Porto Marghera, dove fece
applicazione, a livello pratico, delle teorie relative alla causalità
scientifica. Principali pubblicazioni
L'alterazione di stato mediante falsità, Milano, La descrizione dell'evento,
Milano. Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, Milano,
seconda edizione Giustizia e modernità, Milano, 3ª ed. I saperi del giudice, Milano,
ll giudice corpuscolariano, Milano, La giustizia e le ingiustizie, Bologna, Addio
A Federico Stella, il «galantumo del diritto» di Paolo Biondani, Corriere della
Sera, Archivio storico. Il centro di ricerca
Federico Stella biografia.
stellini: Jacopo Stellini (Cividale), filosofo. La
sua fama è dovuta soprattutto al saggio “De ortu et progressu morum.” La sua concezione morale è di stampo
aristotelico e sotto alcuni aspetti può essere considerato uno dei precursori
della sociologia. A lui è stato dedicato il liceo classico di Udine e che nella
sua biblioteca contiene gli scritti autografi di Stellini. Enciclopedia Treccani,
su treccani.it. Dizionario biografico friulano, su friul.net. Most likely a
replica from now on: stellini: Jacopo
Stellini (Cividale), filosofo. Nato a Cividale (e non, come appare su altre
fonti basatesi sull'errata lettura dell'atto di battesimo di un Jacopo Stulin,
a Tribil di Sopra) nel 1699, si interessò di medicina, matematica e critica
letteraria. Sebbene autore di svariate poesie, la sua fama è dovuta soprattutto
al saggio in latino De ortu et progressu morum stampato nel 1740. La sua concezione morale è di stampo
aristotelico e sotto alcuni aspetti può essere considerato uno dei precursori
della sociologyia. A lui è stato
dedicato l'omonimo liceo classico di Udine, fondato nel 1808 e che nella sua
biblioteca contiene gli scritti autografi di Stellini. Enciclopedia Treccani, su treccani.it.
Dizionario biografico friulano, su friul.net.
sterlich: Romualdo De Sterlich (Chieti), filosofo. Figlio
del marchese Rinaldo De Sterlich (di famiglia originaria dei paesi di lingua
tedesca) e della marchesina aquilana Margherita Alfieri, studiò a Napoli nel
Collegio dei Nobili, gestito dalla Compagnia di Gesù. Fu proprio questa
esperienza che lo portò a concepire la sua profonda ostilità verso i Gesuiti,
che fu uno dei tratti caratteristici del suo pensiero filosofico. All'età di
vent'anni tornò a Chieti e sposò Giuditta Castiglione (di famiglia
aristocratica di Penne) da cui ebbe una numerosa prole (una ventina di figli di
cui solo una decina sopravvissero ai primi anni mentre gli altri si spensero in
tenera età). La cura della famiglia e dei beni ereditati dal padre (di cui era
l'unico figlio maschio) lo portarono a dover compromettere le sue aspirazioni
letterarie. Ma la cultura rimase sempre la sua prima passione e, alla metà del
secolo XVIII, per superare l'isolamento culturale che gli veniva imposto dal
dover vivere a Chieti, cominciò a costituire la sua personale biblioteca.
Questa crebbe in misura esponenziale di anno in anno, tanto che nel 1776
contava 12.000 volumi, divenendo così una delle migliori biblioteche del Regno.
L'intento di de Sterlich era di mettere la stessa a disposizione della città di
Chieti per la sua crescita culturale. Sfortunatamente il suo desiderio fu reso
vano dall'incuria di chi gestì la stessa dopo la sua morte. Cospicue parti di
quella grande biblioteca sono stati individuate in tutta Italia: nella
Biblioteca Provinciale «G. D'Annunzio» di Pescara, nella Biblioteca Provinciale
«A.C. De Meis» di Chieti, nella Biblioteca Nazionale di Napoli, etc. Sarebbe
molto riduttivo considerare de Sterlich come solo un collezionista di libri.
Egli li raccoglieva per elaborarli e per creare le sue riflessioni e i suoi
pensieri. De Sterlich si rivela così aggiornatissimo sui dibattiti culturali
europei del Settecento ed è tra i primi italiani a leggere e commentare le
opere di Montesquieu, Rousseau, Voltaire, e di altri illuministi europei. Di
questa partecipazione alla cultura illuministica europea ne è testimonianza un
copioso scambio di lettere con altri intellettuali (Antonio Genovesi, Giovanni
Antonio Battarra, Giovanni Lami, Giovanni Bianchi, Gaspare de Torres)
dell'epoca. Questo ricco carteggio è un documento prezioso per delineare il
passaggio in Italia alla cultura illuministica e rappresenta l'impronta da lui
lasciata nel panorama culturale del Settecento Italiano. Romualdo de Sterlich
lasciò anche alcune testimonianze scritte del suo pensiero: due Dialoghi di
Fra' Cipolla e la Nanna. In essi trova largo spazio la sua antipatia per i
Gesuiti. Tramite la solida amicizia con Giovanni Lami, de Sterlich entrò a far
parte dell'Accademia della Crusca e dell'Accademia dei Georgofili. Romualdo de
Sterlich si spense a Chieti e fu sepolto nella Chiesa di S. Francesco di Paola.
Cepparrone Luigi, L'illuminismo europeo nell'epistolario di Romualdo De
Sterlich, Sestante Ed., Collana Bergamo University Press. Il sito dell'Istituto Tecnico Statale
Commerciale e per Programmatori “R. de Sterlich”Chieti Scalo, su desterlich.ch.it.
steuco: vescovo della Chiesa cattolica
Template-Bishop -- Incarichi ricopertiVescovo di Kissamos Nato1497 a Gubbio Consacrato vescovo 1538
dal Papa Paolo III Deceduto1548 a Venezia. Agostino Steuco (Gubbio), filosofo. Della
famiglia Steuchi o Stucchi. Acuto esegeta dei testi biblici e profondo
conoscitore delle lingue latina, greca ed ebraica, si oppose tenacemente alla
riforma protestante e prese parte al Concilio di Trento. Nel novembre del 1513 entrò nella
congregazione dell'Ordine dei Canonici Agostiniani di San Salvatore di Bologna,
poi nel monastero di San Secondo, a Gubbio, mutando il suo nome di battesimo
Guido in Agostino. Nel 1524 andò al
Monastero di Bologna, ove frequentò i corsi di ebraico e retorica presso
l'Università bolognese. Fu inviato dalla sua congregazione al Monastero di
Sant'Antonio di Castello a Venezia, dove, per l'ampia conoscenza dei linguaggi
biblici e l'acume filologico, gli fu affidata la biblioteca del monastero,
donata ai canonici dal cardinal Domenico Grimani, della quale una buona parte
del patrimonio librario era appartenuto a Pico della Mirandola. Steuco scrisse una serie di opere polemiche
contro Lutero ed Erasmo, accusandoli di fomentare la rivolta contro la Chiesa.
Questi lavori rivelano il solido sostegno che Steuco dà alle tradizioni e alle
pratiche della Chiesa, difendendo risolutamente l'autorità papale. Parte della
sua produzione risalente a questo periodo include un intenso lavoro filologico
sull'Antico Testamento, culminato con la pubblicazione del Veteris testamenti
ad Hebraicam veritatem recognitio, per la composizione del quale egli si basò
su manoscritti ebraici e greci, tratti della biblioteca Grimani, utili a
correggere il testo della traduzione latina redatta da San Gerolamo. Nel
revisionare e spiegare il testo, egli mai deviò dal significato letterale e
storico. Contemporanea a questo lavoro
di esegesi biblica fu la composizione di un'opera d'impianto enciclopedico che
egli scrisse in questo periodo, al quale diede il nome di Cosmopœia. Le sue
opere polemiche ed esegetiche destarono l'attenzione favoravole di Papa Paolo III,
e nel 1538 questi ordinò Steuco vescovo di Kissamos, nell'isola di Creta, e
bibliotecario della collezione papale di manoscritti e stampe del Vaticano. Si
recò a Lucca con Paolo III e l'imperatore Carlo V. Quantunque mai fosse andato a visitare il suo
vescovado a Creta, Steuco adempì attivamente con scrupolo il suo ruolo di
bibliotecario del Vaticano fino alla sua morte
Nel frattempo a Roma redasse i Commenti al Vecchio Testamento
riguardanti i Salmi di Giacobbe, aiutando ad annotare e correggere i testi di
parte della Vulgata alla luce degli originali ebraici. A questo periodo risale
la composizione della celeberrima opera De perenni philosophia libri X,
dedicata a Paolo III, nella quale egli tenta di mostrare che molte delle idee
esposte dai saggi, poeti e filosofi dell'Antichità (ad es. Orfeo, Talete,
Pitagora, Parmenide, Platone, Aristotele, Plutarco, Numenio, i neoplatonici,
l'ebreo Filone, nonché opere come gli Oracoli caldaici, gli Oracoli sibillini,
i trattati ermetici e i frammenti teosofici) erano essenzialmente in armonia
con la sostanza delle dottrine della fede cattolica. Questo lavoro contiene una
polemica indiretta a margine, poiché Steuco elaborò un numero di questi
argomenti per sostenere molte posizioni teologiche recentemente poste in questione
in Italia da riformatori e critici della fede cattolica traditionale. Come umanista egli ebbe un profondo interesse
per le rovine della Roma antica, e nell'operare un rinnovamento urbano
dell'Urbe. A tal proposito, degne d'essere menzionate, sono una serie di brevi
orazioni in cui raccomandò espressamente a Papa Paolo III di risistemare
l'acquedotto conosciuto come Aqua Virgo, in modo da supplire adeguatamente il
fabbisogno di acqua fresca per la città di Roma. Steuco fu mandato da papa Paolo III a
presenziare il Concilio di Trento, che doveva celebrarsi a Bologna,
affidandogli il compito di sostenere l'autorità e le prerogative papali. Morì mentre
si trovava a Venezia per problemi di salute, e dove cercava di ristabilirsi
durante un periodo di sospensione del Concilio. .e sue ossa furono traslate
nell'Eremo di Sant'Ambrogio a Gubbio. De perenni philosophia libri IX, Basileæ,
per Nicolaum Bryling et Sebastianum Francken, Concilio di Trento Esegesi
biblica Ermetismo (filosofia) Teosofia di Tubinga Altri progetti Collabora a
Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Agostino Steuco Agostino Steuco, su Treccani.itEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Giuseppe Ricciotti, Agostino Steuco, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Vincenzo
Lavenia, Agostino Steuco, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Agostino Steuco, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Agostino Steuco,
. Michael Ott, Agostino Steuco, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton
Company. David M. Cheney, Agostino Steuco, in Catholic Hierarchy. Hugh Chisholm
, Steuco, Agostino, in Enciclopedia Britannica, XI, Cambridge University Press.
Associazione Centro Culturale Leone XIII, su leonexiii.org. Canonici Regolari
Lateranensi di Gubbio, su bibliotecasteuco.it. Most likely a replica from now
on: steuco: vescovo della Chiesa cattolica
Template-Bishop.svg Incarichi ricopertiVescovo
di Kissamos. Consacrato vescovo 1538 dal Papa Paolo III Deceduto1548 a Venezia.
Agostino Steuco (Gubbio), filosofo. Della famiglia Steuchi o Stucchi. Acuto
esegeta dei testi biblici e profondo conoscitore delle lingue latina, greca ed
ebraica, si oppose tenacemente alla riforma protestante e prese parte al Concilio
di Trento. Nel novembre del 1513 entrò nella congregazione dell'Ordine dei
Canonici Agostiniani di San Salvatore di Bologna, poi nel monastero di San
Secondo, a Gubbio, mutando il suo nome di battesimo Guido in Agostino. Nel 1524 andò al Monastero di Bologna, ove
frequentò i corsi di ebraico e retorica presso l'Università bolognese. Nel 1529
fu inviato dalla sua congregazione al Monastero di Sant'Antonio di Castello a
Venezia, dove, per l'ampia conoscenza dei linguaggi biblici e l'acume filologico,
gli fu affidata la biblioteca del monastero, donata ai canonici dal cardinal
Domenico Grimani, della quale una buona parte del patrimonio librario era
appartenuto a Pico della Mirandola. Negli
anni successive Steuco scrisse una serie di opere polemiche contro Lutero ed
Erasmo, accusandoli di fomentare la rivolta contro la Chiesa. Questi lavori
rivelano il solido sostegno che Steuco dà alle tradizioni e alle pratiche della
Chiesa, difendendo risolutamente l'autorità papale. Parte della sua produzione
risalente a questo periodo include un intenso lavoro filologico sull'Antico
Testamento, culminato con la pubblicazione del Veteris testamenti ad Hebraicam
veritatem recognitio, per la composizione del quale egli si basò su manoscritti
ebraici e greci, tratti della biblioteca Grimani, utili a correggere il testo
della traduzione latina redatta da San Gerolamo. Nel revisionare e spiegare il
testo, egli mai deviò dal significato letterale e storico. Contemporanea a questo lavoro di esegesi
biblica fu la composizione di un'opera d'impianto enciclopedico che egli
scrisse in questo periodo, al quale diede il nome di Cosmopœia. Le sue opere
polemiche ed esegetiche destarono l'attenzione favoravole di Papa Paolo III, e
nel 1538 questi ordinò Steuco vescovo di Kissamos, nell'isola di Creta, e
bibliotecario della collezione papale di manoscritti e stampe del Vaticano. Nel
1541 si recò a Lucca con Paolo III e l'imperatore Carlo V. Quantunque mai fosse andato a visitare il suo
vescovado a Creta, Steuco adempì attivamente con scrupolo il suo ruolo di
bibliotecario del Vaticano fino alla sua morte nel 1548. Nel frattempo a Roma redasse i Commenti al
Vecchio Testamento riguardanti i Salmi di Giacobbe, aiutando ad annotare e
correggere i testi di parte della Vulgata alla luce degli originali ebraici. A
questo periodo risale la composizione della celeberrima opera De perenni
philosophia libri X, dedicata a Paolo III, nella quale egli tenta di mostrare
che molte delle idee esposte dai saggi, poeti e filosofi dell'Antichità (ad es.
Orfeo, Talete, Pitagora, Parmenide, Platone, Aristotele, Plutarco, Numenio, i
neoplatonici, l'ebreo Filone, nonché opere come gli Oracoli caldaici, gli
Oracoli sibillini, i trattati ermetici e i frammenti teosofici) erano
essenzialmente in armonia con la sostanza delle dottrine della fede cattolica.
Questo lavoro contiene una polemica indiretta a margine, poiché Steuco elaborò
un numero di questi argomenti per sostenere molte posizioni teologiche
recentemente poste in questione in Italia da riformatori e critici della fede
cattolica traditionale. Come umanista
egli ebbe un profondo interesse per le rovine della Roma antica, e nell'operare
un rinnovamento urbano dell'Urbe. A tal proposito, degne d'essere menzionate, sono
una serie di brevi orazioni in cui raccomandò espressamente a Papa Paolo III di
risistemare l'acquedotto conosciuto come Aqua Virgo, in modo da supplire
adeguatamente il fabbisogno di acqua fresca per la città di Roma. Fu mandato da papa Paolo III a presenziare il
Concilio di Trento, che doveva celebrarsi a Bologna, affidandogli il compito di
sostenere l'autorità e le prerogative papali. Morì nel 1548, all'età di
cinquantatré anni, mentre si trovava a Venezia per problemi di salute, e dove
cercava di ristabilirsi durante un periodo di sospensione del Concilio. Lle sue
ossa furono traslate nell'Eremo di Sant'Ambrogio a Gubbio. Agostino Steuco, De perenni philosophia
libri IX, Basileæ, per Nicolaum Bryling et Sebastianum Francken, 1542. Concilio di Trento Esegesi biblica Ermetismo
(filosofia) Teosofia di Tubinga Altri progetti Collabora a Wikisource
Wikisource contiene una pagina dedicata a Agostino Steuco Agostino Steuco, su Treccani.itEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Giuseppe Ricciotti, Agostino Steuco, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Vincenzo
Lavenia, Agostino Steuco, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Agostino Steuco, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Agostino Steuco,
. Michael Ott, Agostino Steuco, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton
Company. David M. Cheney, Agostino Steuco, in Catholic Hierarchy. Hugh Chisholm
, Steuco, Agostino, in Enciclopedia Britannica, XI, Cambridge University Press,
Associazione Centro Culturale Leone XIII, su leonexiii.org. Canonici Regolari
Lateranensi di Gubbio, su bibliotecasteuco.it.
Primus,
secundus, tertius -- first-order predicate calculus with time-relative identity:second-order logic, the logic of languages that
contain, in addition to variables ranging over objects, variables ranging over
properties, relations, functions, or classes of those objects. A model, or
interpretation, of a formal language usually contains a domain of discourse.
This domain is what the language is about, in the model in question. Variables
that range over this domain are called first-order variables. If the language
contains only first-order variables, it is called a first-order language, and
it is within the purview of first-order logic. Some languages also contain
variables that range over properties, relations, functions, or classes of
members of the domain of discourse. These are second-order variables. A
language that contains first-order and second-order variables, and no others,
is a secondorder language. The sentence ‘There is a property shared by all and
only prime numbers’ is straightforwardly rendered in a second-order language,
because of the bound variable ranging over properties. There are also
properties of properties, relations of properties, and the like. Consider,
e.g., the property of properties expressed by ‘P has an infinite extension’ or
the relation expressed by ‘P has a smaller extension than Q’. A language with
variables ranging over such items is called thirdorder. This construction can
be continued, producing fourth-order languages, etc. A language is called
higher-order if it is at least second-order. Deductive systems for second-order
languages are obtained from those for first-order languages by adding
straightforward extensions of the axioms and rules concerning quantifiers that
bind first-order variables. There may also be an axiom scheme of comprehension:
DPExPx S Fx, one instance for each formula F that does not contain P free. The
scheme “asserts” that every formula determines the extension of a property. If
the language has variables ranging over functions, there may also be a version
of the axiom of choice: ERExDyRxy P DfExRxfx. In standard semantics for
second-order logic, a model of a given language is the same as a model for the
corresponding first-order language. The relation variables range over every
relation over the domain-of-discourse, the function variables range over every
function from the domain to the domain, etc. In non-standard, or Henkin
semantics, each model consists of a domain-ofdiscourse and a specified
collection of relations, functions, etc., on the domain. The latter may not
include every relation or function. The specified collections are the range of
the second-order variables in the model in question. In effect, Henkin
semantics regards second-order languages as multi-sorted, first-order
languages.
secundum quid: in a certain respect, or with a qualification.
Fallacies can arise from confusing what is true only secundum quid with what is
true simpliciter ‘without qualification’, ‘absolutely’, ‘on the whole’, or
conversely. Thus a strawberry is red simpliciter on the whole. But it is black,
not red, with respect to its seeds, secundum quid. By ignoring the distinction,
one might mistakenly infer that the strawberry is both red and not red. Again,
a certain thief is a good cook, secundum quid; but it does not follow that he
is good simpliciter without qualification. Aristotle was the first to recognize
the fallacy secundum quid et simpliciter explicitly, in his Sophistical
Refutations. On the basis of some exceptionally enigmatic remarks in the same
work, the liar paradox was often regarded in the Middle Ages as an instance of
this fallacy.
De-ceptum –
per-ceptum – trans-ceptum – in-ceptum, prae-ceptum – post-ceptum: deceptum sui: Auto-deceptionD. F. Pears -- self-deception, 1
purposeful action to avoid unpleasant truths and painful topics about oneself
or the world; 2 unintentional processes of denial, avoidance, or biased
perception; 3 mental states resulting from such action or processes, such as
ignorance, false belief, wishful thinking, unjustified opinions, or lack of
clear awareness. Thus, parents tend to exaggerate the virtues of their
children; lovers disregard clear signs of unreciprocated affection; overeaters
rationalize away the need to diet; patients dying of cancer pretend to
themselves that their health is improving. In some contexts ‘self-deception’ is
neutral and implies no criticism. Deceiving oneself can even be desirable, generating
a vital lie that promotes happiness or the ability to cope with difficulties.
In other contexts ‘self-deception’ has negative connotations, suggesting bad
faith, false consciousness, or what Joseph Butler called “inner hypocrisy” the refusal to acknowledge our wrongdoing,
character flaws, or onerous responsibilities. Existentialist philosophers, like
Kierkegaard, Heidegger, and most notably Sartre Being and Nothingness, 3,
denounced self-deception as an inauthentic dishonest, cowardly refusal to confront
painful though significant truths, especially about freedom, responsibility,
and death. Herbert Fingarette, however, argued that self-deception is morally
ambiguous neither clearly blameworthy
nor clearly faultless because of how it
erodes capacities for acting rationally Self-Deception, 9. The idea of
intentionally deceiving oneself seems paradoxical. In deceiving other people I
usually know a truth that guides me as I state the opposite falsehood,
intending thereby to mislead them into believing the falsehood. Five
difficulties seem to prevent me from doing anything like that to myself. 1 With
interpersonal deception, one person knows something that another person does
not. Yet self-deceivers know the truth all along, and so it seems they cannot use
it to make themselves ignorant. One solution is that self-deception occurs over
time, with the initial knowledge becoming gradually eroded. Or perhaps
selfdeceivers only suspect rather than know the truth, and then disregard
relevant evidence. 2 If consciousness implies awareness of one’s own conscious
acts, then a conscious intention to deceive myself would be self-defeating, for
I would remain conscious of the truth I wish to flee. Sartre’s solution was to
view self-deception as spontaneous and not explicitly reflected upon. Freud’s
solution was to conceive of self-deception as unconscious repression. 3 It
seems that self-deceivers believe a truth that they simultaneously get
themselves not to believe, but how is that possible? Perhaps they keep one of two
conflicting beliefs unconscious or not fully conscious. 4 Self-deception
suggests willfully creating beliefs, but that seems impossible since beliefs
cannot voluntarily be chosen. Perhaps beliefs can be indirectly manipulated by
selectively ignoring and attending to evidence. 5 It seems that one part of a
person the deceiver manipulates another part the victim, but such extreme
splits suggest multiple personality disorders rather than self-deception.
Perhaps we are composed of “subselves”
relatively unified clusters of elements in the personality. Or perhaps
at this point we should jettison interpersonal deception as a model for
understanding self-deception. .
terminatum –
de-terminatum -- determinatum sui: auto-determination
-- self-determination, the autonomy possessed by a community when it is
politically independent; in a strict sense, territorial sovereignty. Within
international law, the principle of self-determination appears to grant every
people a right to be self-determining, but there is controversy over its
interpretation. Applied to established states, the principle calls for
recognition of state sovereignty and non-intervention in internal affairs. By
providing for the self-determination of subordinate communities, however, it
can generate demands for secession that conflict with existing claims of
sovereignty. Also, what non-self-governing groups qualify as beneficiaries? The
national interpretation of the principle treats cultural or national units as
the proper claimants, whereas the regional interpretation confers the right of
self-determination upon the populations of well-defined regions regardless of
cultural or national affiliations. This difference reflects the roots of the
principle in the doctrines of nationalism and popular sovereignty,
respectively, but complicates its application.
evidens sui: (after ‘causa sui’), self-evidence, the property of
being self-evident. Only true propositions or truths are self-evident, though
false propositions can appear to be self-evident. It is widely held that a true
proposition is self-evident if and only if one would be justified in believing
it if one adequately understood it. Some would also require that self-evident
propositions are known if believed on the basis of such an understanding. Some
self-evident propositions are obvious, such as the proposition that all stags
are male, but others are not, since it may take considerable reflection to
achieve an adequate understanding of them. That slavery is wrong and that there
is no knowledge of falsehoods are perhaps examples of the latter. Not all
obvious propositions are self-evident, e.g., it is obvious that a stone will
fall if dropped, but adequate understanding of that claim does not by itself
justify one in believing it. An obvious proposition is one that immediately
seems true for anyone who adequately understands it, but its obviousness may
rest on wellknown and commonly accepted empirical facts, not on understanding.
All analytic propositions are self-evident but not all self-evident propositions
are analytic. The propositions that if A is older than B, then B is younger
than A, and that no object can be red and green all over at the same time and
in the same respects, are arguably self-evident but not analytic. All
self-evident propositions are necessary, for one could not be justified in
believing a contingent proposition simply in virtue of understanding it.
However, not all necessary propositions are self-evident, e.g., that water is
H2O and that temperature is the measure of the molecular activity in substances
are necessary but not self-evident. A proposition can appear to be selfevident
even though it is not. For instance, the proposition that all unmarried adult
males are bachelors will appear self-evident to many until they consider that
the pope is such a male. A proposition may appear self-evident to some but not
to others, even though it must either have or lack the property of being
self-evident. Self-evident propositions are knowable non-empirically, or a
priori, but some propositions knowable a priori are not self-evident, e.g.,
certain conclusions of long and difficult chains of mathematical
reasoning.
auto-present: self-presenting, in the philosophy of
Meinong, having the ability common to
all mental states to be immediately
present to our thought. “Meinong was too German to be Englishtake ‘wahrnehmen,’
to perceive, to take notice, to ‘verum’-sit.!” Warhnehmungvorstellung is
perceptual representationChisholm, alas, never gives, typically in a
second-tier varsity, to give the correct citation, when he claims, to impress,
that he is ‘borrowing’ from Meinong, never to return! (“also typical of a
second-tier!” -- Grice). In Meinong’s view, no mental state can be presented to
our thought in any other way e.g.,
indirectly, via a Lockean “idea of reflection.” The only way to apprehend a
mental state is to experience or “live through” it. The experience involved in
the apprehension of an external object has thus a double presentational
function: 1 via its “content” it presents the object to our thought; 2 as its
own “quasi-content” it presents itself immediately to our thought. In the
contemporary era, Roderick Chisholm has based his account of empirical
knowledge in part on a related concept of the self-presenting. In Chisholm’s sense the definition of which we omit here all self-presenting states are mental, but
not conversely; for instance, being depressed because of the death of one’s
spouse would not be self-presenting. In Chisholm’s epistemology,
self-presenting states are a source of certainty in the following way: if F is
a self-presenting state, then to be certain that one is in state F it is
sufficient that one is, and believes oneself to be in state F. Cf.
untranslatable, ‘sui,’ ‘ipse,’ ‘idem’. Presentatum de se.
auto- self-reproducing automaton: a formal model of
self-reproduction of a kind introduced by von Neumann. He worked with an
intuitive robot model and then with a well-defined cellular automaton model.
Imagine a class of robotic automata made of robot parts and operating in an
environment of such parts. There are computer parts switches, memory elements,
wires, input-output parts sensing elements, display elements, action parts
grasping and moving elements, joining and cutting elements, and straight bars
to maintain structure and to employ in a storage tape. There are also energy
sources that enable the robots to operate and move around. These five
categories of parts are sufficient for the construction of robots that can make
objects of various kinds, including other robots. These parts also clearly
suffice for making a robot version of any finite automaton. Sensing and acting
parts can then be added to this robot so that it can make an indefinitely
expandable storage tape from straight bars. A “blank tape” consists of bars
joined in sequence, and the robot stores information on this tape by attaching
bars or not at the junctions. If its finite automaton part can execute programs
and is sufficiently powerful, such a robot is a universal computing robot cf. a
universal Turing machine. A universal computing robot can be augmented to form
a universal constructing robot a robot
that can construct any robot, given its description. Let r be any robot with an
indefinitely expandable tape, let Fr be the description of its finite part, and
let Tr be the information on its tape. Now take a universal computing robot and
augment it with sensing and acting devices and with programs so that when Fr
followed by Tr is written on its tape, this augmented universal computer performs
as follows. First, it reads the description Fr, finds the needed parts, and
constructs the finite part of r. Second, it makes a blank tape, attaches it to
the finite part of r, and then copies the information Tr from its own tape onto
the new tape. This augmentation of a universal computing robot is a universal
constructor. For when it starts with the information Fr,Tr written on its tape,
it will construct a copy of r with Tr on its tape. Robot self-reproduction
results from applying the universal constructor to itself. Modify the universal
constructor slightly so that when only a description Fr is written on its tape,
it constructs the finite part of r and then attaches a tape with Fr written on
it. Call this version of the universal constructor Cu. Now place Cu’s
description FCu on its own tape and start it up. Cu first reads this
description and constructs a copy of the finite part of itself in an empty
region of the cellular space. Then it adds a blank tape to the new construction
and copies FCu onto it. Hence Cu with FCu on its tape has produced another copy
of Cu with FCu on its tape. This is automaton self-reproduction. This robot
model of self-reproduction is very general. To develop the logic of
self-reproduction further, von Neumann first extended the concept of a finite
automaton to that of an infinite cellular automaton consisting of an array or
“space” of cells, each cell containing the same finite automaton. He chose an
infinite checkerboard array for modeling self-reproduction, and he specified a
particular twenty-nine-state automaton for each square cell. Each automaton is
connected directly to its four contiguous neighbors, and communication between
neighbors takes one or two time-steps. The twenty-nine states of a cell fall
into three categories. There is a blank state to represent the passivity of an
empty area. There are twelve states for switching, storage, and communication,
from which any finite automaton can be constructed in a sufficiently large
region of cells. And there are sixteen states for simulating the activities of
construction and destruction. Von Neumann chose these twenty-nine states in
such a way that an area of non-blank cells could compute and grow, i.e.,
activate a path of cells out to a blank region and convert the cells of that
region into a cellular automaton. A specific cellular automaton is embedded in
this space by the selection of the initial states of a finite area of cells,
all other cells being left blank. A universal computer consists of a
sufficiently powerful finite automaton with a tape. The tape is an indefinitely
long row of cells in which bits are represented by two different cell states.
The finite automaton accesses these cells by means of a construction arm that
it extends back and forth in rows of cells contiguous to the tape. When
activated, this finite automaton will execute programs stored on its tape. A
universal constructor results from augmenting the universal computer cf. the
robot model. Another construction arm is added, together with a finite automaton
controller to operate it. The controller sends signals into the arm to extend
it out to a blank region of the cellular space, to move around that region, and
to change the states of cells in that region. After the universal constructor
has converted the region into a cellular automaton, it directs the construction
arm to activate the new automaton and then withdraw from it. Cellular automaton
selfreproduction results from applying the universal constructor to itself, as
in the robot model. Cellular automata are now studied extensively by humans
working interactively with computers as abstract models of both physical and
organic systems. See Arthur W. Burks, “Von Neumann’s Self-Reproducing
Automata,” in Papers of John von Neumann on Computers and Computer Theory,
edited by William Aspray and Arthur Burks, 7. The study of artificial life is
an outgrowth of computer simulations of cellular automata and related automata.
Cellular automata organizations are sometimes used in highly parallel
computers.
semantic: semanticGrice
saw ‘semantics’ (he detested the pretentious ‘pragmatics’) as a branch of
philosophy. “Surely we cannot expect someone whose training includes phonetics,
a totally physical science, to have any saying on the nuances of the communicatum,
which is all semantics is about!” -- H. P. Grice, “Logic and
conversation”“Meaning,” in P. F. Strawson, “Philosophical Logic,” Oxford -- the
arena of philosophy devoted to examining the scope and nature of logic.
Aristotle considered logic an organon, or foundation, of knowledge. Certainly,
inference is the source of much human knowledge. Logic judges inferences good
or bad and tries to justify those that are good. One need not agree with
Aristotle, therefore, to see logic as essential to epistemology. Philosophers
such as Vitters, additionally, have held that the structure of language
reflects the structure of the world. Because inferences have elements that are
themselves linguistic or are at least expressible in language, logic reveals
general features of the structure of language. This makes it essential to
linguistics, and, on a Vittersian view, to metaphysics. Moreover, many
philosophical battles have been fought with logical weaponry. For all these
reasons, philosophers have tried to understand what logic is, what justifies
it, and what it tells us about reason, language, and the world. The nature of
logic. Logic might be defined as the science of inference; inference, in turn,
as the drawing of a conclusion from premises. A simple argument is a sequence,
one element of which, the conclusion, the others are thought to support. A
complex argument is a series of simple arguments. Logic, then, is primarily
concerned with arguments. Already, however, several questions arise. 1 Who
thinks that the premises support the conclusion? The speaker? The audience? Any
competent speaker of the language? 2 What are the elements of arguments?
Thoughts? Propositions? Philosophers following Quine have found these answers
unappealing for lack of clear identity criteria. Sentences are more concrete
and more sharply individuated. But should we consider sentence tokens or
sentence types? Context often affects interpretation, so it appears that we
must consider tokens or types-in-context. Moreover, many sentences, even with contextual
information supplied, are ambiguous. Is a sequence with an ambiguous sentence
one argument which may be good on some readings and bad on others or several?
For reasons that will become clear, the elements of arguments should be the
primary bearers of truth and falsehood in one’s general theory of language. 3
Finally, and perhaps most importantly, what does ‘support’ mean? Logic
evaluates inferences by distinguishing good from bad arguments. This raises
issues about the status of logic, for many of its pronouncements are explicitly
normative. The philosophy of logic thus includes problems of the nature and
justification of norms akin to those arising in metaethics. The solutions,
moreover, may vary with the logical system at hand. Some logicians attempt to
characterize reasoning in natural language; others try to systematize reasoning
in mathematics or other sciences. Still others try to devise an ideal system of
reasoning that does not fully correspond to any of these. Logicians concerned
with inference in natural, mathematical, or scientific languages tend to
justify their norms by describing inferential practices in that language as
actually used by those competent in it. These descriptions justify norms partly
because the practices they describe include evaluations of inferences as well
as inferences themselves. The scope of logic. Logical systems meant to account
for natural language inference raise issues of the scope of logic. How does
logic differ from semantics, the science of meaning in general? Logicians have
often treated only inferences turning on certain commonly used words, such as
‘not’, ‘if’, ‘and’, ‘or’, ‘all’, and ‘some’, taking them, or items in a
symbolic language that correspond to them, as logical constants. They have
neglected inferences that do not turn on them, such as My brother is married.
Therefore, I have a sister-in-law. Increasingly, however, semanticists have
used ‘logic’ more broadly, speaking of the logic of belief, perception,
abstraction, or even kinship. Such uses seem
to treat logic and semantics as coextensive. Philosophers who have sought to
maintain a distinction between the semantics and logic of natural language have
tried to develop non-arbitrary criteria of logical constancy. An argument is
valid provided the truth of its premises guarantees the truth of its
conclusion. This definition relies on the notion of truth, which raises
philosophical puzzles of its own. Furthermore, it is natural to ask what kind
of connection must hold between the premises and conclusion. One answer
specifies that an argument is valid provided replacing its simple constituents
with items of similar categories while leaving logical constants intact could
never produce true premises and a false conclusion. On this view, validity is a
matter of form: an argument is valid if it instantiates a valid form. Logic
thus becomes the theory of logical form. On another view, an argument is valid
if its conclusion is true in every possible world or model in which its
premises are true. This conception need not rely on the notion of a logical
constant and so is compatible with the view that logic and semantics are
coextensive. Many issues in the philosophy of logic arise from the plethora of
systems logicians have devised. Some of these are deviant logics, i.e., logics
that differ from classical or standard logic while seeming to treat the same
subject matter. Intuitionistic logic, for example, which interprets the
connectives and quantifiers non-classically, rejecting the law of excluded
middle and the interdefinability of the quantifiers, has been supported with
both semantic and ontological arguments. Brouwer, Heyting, and others have
defended it as the proper logic of the infinite; Dummett has defended it as the
correct logic of natural language. Free logic allows non-denoting referring
expressions but interprets the quantifiers as ranging only over existing
objects. Many-valued logics use at least three truthvalues, rejecting the
classical assumption of bivalence that
every formula is either true or false. Many logical systems attempt to extend
classical logic to incorporate tense, modality, abstraction, higher-order
quantification, propositional quantification, complement constructions, or the
truth predicate. These projects raise important philosophical questions. Modal
and tense logics. Tense is a pervasive feature of natural language, and has
become important to computer scientists interested in concurrent programs.
Modalities of several sorts alethic possibility,
necessity and deontic obligation, permission, for example appear in natural language in various
grammatical guises. Provability, treated as a modality, allows for revealing
formalizations of metamathematics. Logicians have usually treated modalities
and tenses as sentential operators. C. I. Lewis and Langford pioneered such
approaches for alethic modalities; von Wright, for deontic modalities; and
Prior, for tense. In each area, many competing systems developed; by the late
0s, there were over two hundred axiom systems in the literature for
propositional alethic modal logic alone. How might competing systems be
evaluated? Kripke’s semantics for modal logic has proved very helpful. Kripke
semantics in effect treats modal operators as quantifiers over possible worlds.
Necessarily A, e.g., is true at a world if and only if A is true in all worlds
accessible from that world. Kripke showed that certain popular axiom systems
result from imposing simple conditions on the accessibility relation. His work
spawned a field, known as correspondence theory, devoted to studying the
relations between modal axioms and conditions on models. It has helped
philosophers and logicians to understand the issues at stake in choosing a
modal logic and has raised the question of whether there is one true modal logic.
Modal idioms may be ambiguous or indeterminate with respect to some properties
of the accessibility relation. Possible worlds raise additional ontological and
epistemological questions. Modalities and tenses seem to be linked in natural
language, but attempts to bring tense and modal logic together remain young.
The sensitivity of tense to intra- and extralinguistic context has cast doubt
on the project of using operators to represent tenses. Kamp, e.g., has
represented tense and aspect in terms of event structure, building on earlier
work by Reichenbach. Truth. Tarski’s theory of truth shows that it is possible
to define truth recursively for certain languages. Languages that can refer to
their own sentences, however, permit no such definition given Tarski’s
assumptions for they allow the
formulation of the liar and similar paradoxes. Tarski concluded that, in giving
the semantics for such a language, we must ascend to a more powerful
metalanguage. Kripke and others, however, have shown that it is possible for a
language permitting self-reference to contain its own truth 680 predicate by surrendering bivalence or
taking the truth predicate indexically. Higher-order logic. First-order
predicate logic allows quantification only over individuals. Higher-order
logics also permit quantification over predicate positions. Natural language
seems to permit such quantification: ‘Mary has every quality that John
admires’. Mathematics, moreover, may be expressed elegantly in higher-order
logic. Peano arithmetic and Zermelo-Fraenkel set theory, e.g., require infinite
axiom sets in firstorder logic but are finitely axiomatizable and categorical, determining their models up
to isomorphism in second-order logic.
Because they quantify over properties and relations, higher-order logics seem
committed to Platonism. Mathematics reduces to higher-order logic; Quine
concludes that the latter is not logic. Its most natural semantics seems to
presuppose a prior understanding of properties and relations. Also, on this
semantics, it differs greatly from first-order logic. Like set theory, it is
incomplete; it is not compact. This raises questions about the boundaries of
logic. Must logic be axiomatizable? Must it be possible, i.e., to develop a
logical system powerful enough to prove every valid argument valid? Could there
be valid arguments with infinitely many premises, any finite fragment of which
would be invalid? With an operator for forming abstract terms from predicates,
higher-order logics easily allow the formulation of paradoxes. Russell and
Whitehead for this reason adopted type theory, which, like Tarski’s theory of
truth, uses an infinite hierarchy and corresponding syntactic restrictions to
avoid paradox. Type-free theories avoid both the restrictions and the paradoxes,
as with truth, by rejecting bivalence or by understanding abstraction
indexically. Refs.: H. P. Grice, “Why I don’t use ‘logic,’ but I use
‘semantic.’”Grice was careful with what he felt was an abuse of ‘semantic’v.
Evans: “Meaning and truth: essayis in semantics.” “Well, that’s what ‘meaning’
means, right?” The semantics is more reated to the signatum than to the
significatum. The Grecians did not have anything remotely similar to the
significatum, which is all about the making (facere) of a sign (as in Grice’s
example of the handwave). This is the meaning Grice gives to ‘semantics.’ There
is no need for the handwave to be part of a system of communication, or have
syntactic structure, or be ‘arbitrary.’ Still, one thing is communicated from
the emissor to his recipient, and that is all count. “I know the route” is the
message, or “I will leave you soon.” The handwave may be ambiguous. Grice is
aware that formalists like Hilbert and Gentzen think that they can do without
semanticsbut as long as there is something ‘transmitted,’ or ‘messaged,’ it
cannot. In the one-off predicament, Emissor E emits x and communicates that p.
Since an intention with a content involving a psychological state is involved
and attached, even in a one-off, to ‘x,’ we can legitimately say the scenario
may be said to describe a ‘semantic’ phenomenon. Grice would freely use
‘semantic,’ and the root for ‘semantics,’ that Grice does use, involves the
richest root of all Grecian roots: the ‘semion.’ Liddell and Scott have “τό
σημεῖον,” Ion. σημήϊον , Dor. σα_μήϊον IG12(3).452 (Thera, iv B.C.), σα_μεῖον
IPE12.352.25 (Chersonesus, ii B.C.), IG5(1).1390.16 (Andania, i B.C.), σα_μᾶον
CIG5168 (Cyrene); = σῆμα in all senses, and more common in Prose, but never in
Hom. or Hes.; and which they render as “mark by which a thing is known,”
Hdt.2.38;” they also have “τό σῆμα,” Dor. σᾶμα Berl.Sitzb.1927.161 (Cyrene),
etc.; which they render as “sign, mark, token,” “ Il.10.466, 23.326, Od.19.250,
etc.” Grice lectured not only on Cat. But the next, De Int. As Arsitotle puts
it, an expression is a symbol (symbolon) or sign (semeion) of an affections or
impression (pathematon) of the soul (psyche). An affection of the soul, of
which a word is primarily a sign, are
the same for the whole of mankind, as is also objects (pragmaton) of which the
affections is a representation or likenes, image, or copiy (homoiomaton). [De Int., 1.16a4] while Grice is NOT concerned about the
semantics of utterers meaning (how could he, when he analyses means
in terms of intends , he is about
the semantics of expression-meaning. Grices
second stage (expression meaing) of his programme about meaning begins with
specifications of means as applied to x, a token of X. He is having Tarski and
Davidson in their elaborations of schemata like ‘p’ ‘means’ that p. ‘Snow
is white’ ‘means’ that snow is white, and stuff! Grice was especially concerned
with combinatories, for both unary and dyadic operators, and with multiple
quantifications within a first-order predicate calculus with identity. Since in
Grice’s initial elaboration on meaning he relies on Stevenson, it is worth
exploring how ‘semantics’ and ‘semiotics’ were interpreted by Peirce and the
emotivists. Stevenson’s main source is however in the other place, though,
under Stevenson. SemanticscommunicationH. P. Grice, “Implicaturum and
Explicature: The basis of communication”“Communication and Intention” --
philosophy of language, the philosophical study of natural language and its
workings, particularly of linguistic meaning and the use of language. A natural
language is any one of the thousands of various tongues that have developed
historically among populations of human beings and have been used for everyday
purposes including English, , Swahili,
and Latin as opposed to the formal and
other artificial “languages” invented by mathematicians, logicians, and
computer scientists, such as arithmetic, the predicate calculus, and LISP or
COBOL. There are intermediate cases, e.g., Esperanto, Pig Latin, and the sort
of “philosophese” that mixes English words with logical symbols. Contemporary
philosophy of language centers on the theory of meaning, but also includes the
theory of reference, the theory of truth, philosophical pragmatics, and the philosophy
of linguistics. The main question addressed by the theory of meaning is: In
virtue of what are certain physical marks or noises meaningful linguistic
expressions, and in virtue of what does any particular set of marks or noises
have the distinctive meaning it does? A theory of meaning should also give a
comprehensive account of the “meaning phenomena,” or general semantic
properties of sentences: synonymy, ambiguity, entailment, and the like. Some
theorists have thought to express these questions and issues in terms of
languageneutral items called propositions: ‘In virtue of what does a particular
set of marks or noises express the proposition it does?’; cf. ‘ “La neige est
blanche” expresses the proposition that snow is white’, and ‘Synonymous sentences
express the same proposition’. On this view, to understand a sentence is to
“grasp” the proposition expressed by that sentence. But the explanatory role
and even the existence of such entities are disputed. It has often been
maintained that certain special sentences are true solely in virtue of their
meanings and/or the meanings of their component expressions, without regard to
what the nonlinguistic world is like ‘No bachelor is married’; ‘If a thing is
blue it is colored’. Such vacuously true sentences are called analytic.
However, Quine and others have disputed whether there really is such a thing as
analyticity. Philosophers have offered a number of sharply competing hypotheses
as to the nature of meaning, including: 1 the referential view that words mean
by standing for things, and that a sentence means what it does because its
parts correspond referentially to the elements of an actual or possible state
of affairs in the world; 2 ideational or mentalist theories, according to which
meanings are ideas or other psychological phenomena in people’s minds; 3 “use”
theories, inspired by Vitters and to a lesser extent by J. L. Austin: a
linguistic expression’s “meaning” is its conventionally assigned role as a
game-piece-like token used in one or more existing social practices; 4 H. P.
Grice’s hypothesis that a sentence’s or word’s meaning is a function of what
audience response a typical utterer would intend to elicit in uttering it. 5
inferential role theories, as developed by Wilfrid Sellars out of Carnap’s and
Vitters’s views: a sentence’s meaning is specified by the set of sentences from
which it can correctly be inferred and the set of those which can be inferred
from it Sellars himself provided for “language-entry” and “language-exit” moves
as partly constitutive of meaning, in addition to inferences; 6
verificationism, the view that a sentence’s meaning is the set of possible
experiences that would confirm it or provide evidence for its truth; 7 the
truth-conditional theory: a sentence’s meaning is the distinctive condition
under which it is true, the situation or state of affairs that, if it obtained,
would make the sentence true; 8 the null hypothesis, or eliminativist view,
that “meaning” is a myth and there is no such thing a radical claim that can stem either from
Quine’s doctrine of the indeterminacy of translation or from eliminative
materialism in the philosophy of mind. Following the original work of Carnap,
Alonzo Church, Hintikka, and Richard Montague in the 0s, the theory of meaning
has made increasing use of “possible worlds”based intensional logic as an
analytical apparatus. Propositions sentence meanings considered as entities,
and truth conditions as in 7 above, are now commonly taken to be structured
sets of possible worlds e.g., the set of
worlds in which Aristotle’s maternal grandmother hates broccoli. And the
structure imposed on such a set, corresponding to the intuitive constituent
structure of a proposition as the concepts ‘grandmother’ and ‘hate’ are
constituents of the foregoing proposition, accounts for the meaning-properties
of sentences that express the proposition. Theories of meaning can also be
called semantics, as in “Gricean semantics” or “Verificationist semantics,”
though the term is sometimes restricted to referential and/or truth-conditional
theories, which posit meaning-constitutive relations between words and the
nonlinguistic world. Semantics is often contrasted with syntax, the structure
of grammatically permissible ordering relations between words and other words in
well-formed sentences, and with pragmatics, the rules governing the use of
meaningful expressions in particular speech contexts; but linguists have found
that semantic phenomena cannot be kept purely separate either from syntactic or
from pragmatic phenomena. In a still more specialized usage, linguistic
semantics is the detailed study typically within the truth-conditional format
of particular types of construction in particular natural languages, e.g.,
belief-clauses in English or adverbial phrases in Kwakiutl. Linguistic
semantics in that sense is practiced by some philosophers of language, by some
linguists, and occasionally by both working together. Montague grammar and
situation semantics are common formats for such work, both based on intensional
logic. The theory of referenceis pursued whether or not one accepts either the
referential or the truthconditional theory of meaning. Its main question is: In
virtue of what does a linguistic expression designate one or more things in the
world? Prior to theorizing and defining of technical uses, ‘designate’,
‘denote’, and ‘refer’ are used interchangeably. Denoting expressions are
divided into singular terms, which purport to designate particular individual
things, and general terms, which can apply to more than one thing at once.
Singular terms include proper names ‘Cindy’, ‘Bangladesh’, definite
descriptions ‘my brother’, ‘the first baby born in the New World’, and singular
pronouns of various types ‘this’, ‘you’, ‘she’. General terms include common
nouns ‘horse’, ‘trash can’, mass terms ‘water’, ‘graphite’, and plural pronouns
‘they’, ‘those’. The twentieth century’s dominant theory of reference has been
the description theory, the view that linguistic terms refer by expressing
descriptive features or properties, the referent being the item or items that
in fact possess those properties. For example, a definite description does that
directly: ‘My brother’ denotes whatever person does have the property of being
my brother. According to the description theory of proper names, defended most
articulately by Russell, such names express identifying properties indirectly
by abbreviating definite descriptions. A general term such as ‘horse’ was
thought of as expressing a cluster of properties distinctive of horses; and so
forth. But the description theory came under heavy attack in the late 0s, from
Keith Donnellan, Kripke, and Putnam, and was generally abandoned on each of
several grounds, in favor of the causal-historical theory of reference. The
causal-historical idea is that a particular use of a linguistic expression
denotes by being etiologically grounded in the thing or group that is its
referent; a historical causal chain of a certain shape leads backward in time
from the act of referring to the referents. More recently, problems with the
causal-historical theory as originally formulated have led researchers to
backpedal somewhat and incorporate some features of the description theory.
Other views of reference have been advocated as well, particularly analogues of
some of the theories of meaning listed above
chiefly 26 and 8. Modal and propositional-attitude contexts create
special problems in the theory of reference, for referring expressions seem to
alter their normal semantic behavior when they occur within such contexts. Much
ink has been spilled over the question of why and how the substitution of a
term for another term having exactly the same referent can change the
truth-value of a containing modal or propositional-attitude sentence.
Interestingly, the theory of truth historically predates articulate study of
meaning or of reference, for philosophers have always sought the nature of
truth. It has often been thought that a sentence is true in virtue of
expressing a true belief, truth being primarily a property of beliefs rather
than of linguistic entities; but the main theories of truth have also been
applied to sentences directly. The correspondence theory maintains that a
sentence is true in virtue of its elements’ mirroring a fact or actual state of
affairs. The coherence theory instead identifies truth as a relation of the
true sentence to other sentences, usually an epistemic relation. Pragmatic
theories have it that truth is a matter either of practical utility or of
idealized epistemic warrant. Deflationary views, such as the traditional
redundancy theory and D. Grover, J. Camp, and N. D. Belnap’s prosentential
theory, deny that truth comes to anything more important or substantive than
what is already codified in a recursive Tarskian truth-definition for a
language. Pragmatics studies the use of language in context, and the
context-dependence of various aspects of linguistic interpretation. First, one
and the same sentence can express different meanings or propositions from
context to context, owing to ambiguity or to indexicality or both. An ambiguous
sentence has more than one meaning, either because one of its component words
has more than one meaning as ‘bank’ has or because the sentence admits of more
than one possible syntactic analysis ‘Visiting doctors can be tedious’, ‘The
mouse tore up the street’. An indexical sentence can change in truth-value from
context to context owing to the presence of an element whose reference
fluctuates, such as a demonstrative pronoun ‘She told him off yesterday’, ‘It’s
time for that meeting now’. One branch of pragmatics investigates how context
determines a single propositional meaning for a sentence on a particular
occasion of that sentence’s use. Speech act theory is a second branch of
pragmatics that presumes the propositional or “locutionary” meanings of
utterances and studies what J. L. Austin called the illocutionary forces of
those utterances, the distinctive types of linguistic act that are performed by
the speaker in making them. E.g., in uttering ‘I will be there tonight’, a
speaker might be issuing a warning, uttering a threat, making a promise, or
merely offering a prediction, depending on conventional and other social
features of the situation. A crude test of illocutionary force is the “hereby”
criterion: one’s utterance has the force of, say, a warning, if it could fairly
have been paraphrased by the corresponding “explicitly performative” sentence
beginning ‘I hereby warn you that . . .’..Speech act theory interacts to some
extent with semantics, especially in the case of explicit performatives, and it
has some fairly dramatic syntactic effects as well. A third branch of
pragmatics not altogether separate from the second is the theory of
conversation or theory of implicaturum, founded by H. P. Grice. Grice notes
that sentences, when uttered in particular contexts, often generate
“implications” that are not logical consequences of those sentences ‘Is Jones a
good philosopher?’ ’He has very neat
handwriting’. Such implications can usually be identified as what the speaker
meant in uttering her sentence; thus for that reason and others, what Grice
calls utterer’s meaning can diverge sharply from sentence-meaning or “timeless”
meaning. To explain those non-logical implications, Grice offered a now widely
accepted theory of conversational implicaturum. Conversational implicaturums
arise from the interaction of the sentence uttered with mutually shared
background assumptions and certain principles of efficient and cooperative
conversation. The philosophy of linguistics studies the academic discipline of
linguistics, particularly theoretical linguistics considered as a science or
purported science; it examines methodology and fundamental assumptions, and
also tries to incorporate linguists’ findings into the rest of philosophy of
language. Theoretical linguistics concentrates on syntax, and took its
contemporary form in the 0s under Zellig Harris and Chomsky: it seeks to
describe each natural language in terms of a generative grammar for that
language, i.e., a set of recursive rules for combining words that will generate
all and only the “well-formed strings” or grammatical sentences of that
language. The set must be finite and the rules recursive because, while our
informationprocessing resources for recognizing grammatical strings as such are
necessarily finite being subagencies of our brains, there is no limit in any
natural language either to the length of a single grammatical sentence or to
the number of grammatical sentences; a small device must have infinite generative
and parsing capacity. Many grammars work by generating simple “deep structures”
a kind of tree diagram, and then producing multiple “surface structures” as
variants of those deep structures, by means of rules that rearrange their
parts. The surface structures are syntactic parsings of natural-language
sentences, and the deep structures from which they derive encode both basic
grammatical relations between the sentences’ major constituents and, on some
theories, the sentences’ main semantic properties as well; thus, sentences that
share a deep structure will share some fundamental grammatical properties and
all or most of their semantics. As Paul Ziff and Davidson saw in the 0s, the
foregoing syntactic problem and its solution had semantic analogues. From small
resources, human speakers understand
compute the meanings of
arbitrarily long and novel sentences without limit, and almost
instantaneously. This ability seems to require semantic compositionality, the
thesis that the meaning of a sentence is a function of the meanings of its
semantic primitives or smallest meaningful parts, built up by way of syntactic
compounding. Compositionality also seems to be required by learnability, since
a normal child can learn an infinitely complex dialect in at most two years,
but must learn semantic primitives one at a time. A grammar for a natural
language is commonly taken to be a piece of psychology, part of an explanation
of speakers’ verbal abilities and behavior. As such, however, it is a
considerable idealization: it is a theory of speakers’ linguistic “competence”
rather than of their actual verbal performance. The latter distinction is
required by the fact that speakers’ considered, reflective judgments of
grammatical correctness do not line up very well with the class of expressions
that actually are uttered and understood unreflectively by those same speakers.
Some grammatical sentences are too hard for speakers to parse quickly; some are
too long to finish parsing at all; speakers commonly utter what they know to be
formally ungrammatical strings; and real speech is usually fragmentary,
interspersed with vocalizations, false starts, and the like. Actual departures
from formal grammaticality are ascribed by linguists to “performance
limitations,” i.e., psychological factors such as memory failure, weak
computational capacity, or heedlessness; thus, actual verbal behavior is to be
explained as resulting from the perturbation of competence by performance
limitations. Refs.: The main sources are
his lectures on language and realitypart of them repr. in WOW. The keywords
under ‘communication,’ and ‘signification,’ that Grice occasionally uses ‘the
total signification’ of a remark, above, BANC. -- semantic holism, a
metaphysical thesis about the nature of representation on which the meaning of
a symbol is relative to the entire system of representations containing it.
Thus, a linguistic expression can have meaning only in the context of a
language; a hypothesis can have significance only in the context of a theory; a
concept can have intentionality only in the context of the belief system.
Holism about content has profoundly influenced virtually every aspect of
contemporary theorizing about language and mind, not only in philosophy, but in
linguistics, literary theory, artificial intelligence, psychology, and
cognitive science. Contemporary semantic holists include Davidson, Quine,
Gilbert Harman, Hartry Field, and Searle. Because semantic holism is a
metaphysical and not a semantic thesis, two theorists might agree about the
semantic facts but disagree about semantic holism. So, e.g., nothing in
Tarski’s writings determines whether the semantic facts expressed by the
theorems of an absolute truth semantic atomism semantic holism 829 829 theory are holistic or not. Yet
Davidson, a semantic holist, argued that the correct form for a semantic theory
for a natural language L is an absolute truth theory for L. Semantic theories,
like other theories, need not wear their metaphysical commitments on their
sleeves. Holism has some startling consequences. Consider this. Franklin D.
Roosevelt who died when the United States still had just forty-eight states did
not believe there were fifty states, but I do; semantic holism says that what
‘state’ means in our mouths depends on the totality of our beliefs about
states, including, therefore, our beliefs about how many states there are. It
seems to follow that he and I must mean different things by ‘state’; hence, if
he says “Alaska is not a state” and I say “Alaska is a state” we are not
disagreeing. This line of argument leads to such surprising declarations as
that natural langauges are not, in general, intertranslatable Quine, Saussure;
that there may be no fact of the matter about the meanings of texts Putnam,
Derrida; and that scientific theories that differ in their basic postulates are
“empirically incommensurable” Paul Feyerabend, Kuhn. For those who find these
consequences of semantic holism unpalatable, there are three mutually exclusive
responses: semantic atomism, semantic molecularism, or semantic nihilism.
Semantic atomists hold that the meaning of any representation linguistic,
mental, or otherwise is not determined by the meaning of any other
representation. Historically, Anglo- philosophers in the eighteenth and nineteenth
centuries thought that an idea of an X was about X’s in virtue of this idea’s
physically resembling X’s. Resemblance theories are no longer thought viable,
but a number of contemporary semantic atomists still believe that the basic
semantic relation is between a concept and the things to which it applies, and
not one among concepts themselves. These philosophers include Dretske, Dennis
Stampe, Fodor, and Ruth Millikan. Semantic molecularism, like semantic holism,
holds that the meaning of a representation in a language L is determined by its
relationships to the meanings of other expressions in L, but, unlike holism,
not by its relationships to every other expression in L. Semantic molecularists
are committed to the view, contrary to Quine, that for any expression e in a
language L there is an in-principle way of distinguishing between those
representations in L the meanings of which determine the meaning of e and those
representations in L the meanings of which do not determine the meaning of e.
Traditionally, this inprinciple delimitation is supported by an
analytic/synthetic distinction. Those representations in L that are
meaning-constituting of e are analytically connected to e and those that are
not meaning-constituting are synthetically connected to e. Meaning molecularism
seems to be the most common position among those philosophers who reject
holism. Contemporary meaning molecularists include Michael Devitt, Dummett, Ned
Block, and John Perry. Semantic nihilism is perhaps the most radical response
to the consequences of holism. It is the view that, strictly speaking, there
are no semantic properties. Strictly speaking, there are no mental states;
words lack meanings. At least for scientific purposes and perhaps for other
purposes as well we must abandon the notion that people are moral or rational
agents and that they act out of their beliefs and desires. Semantic nihilists
include among their ranks Patricia and Paul Churchland, Stephen Stich, Dennett,
and, sometimes, Quine. -- semantic
paradoxes, a collection of paradoxes involving the semantic notions of truth,
predication, and definability. The liar paradox is the oldest and most widely
known of these, having been formulated by Eubulides as an objection to
Aristotle’s correspondence theory of truth. In its simplest form, the liar
paradox arises when we try to assess the truth of a sentence or proposition
that asserts its own falsity, e.g.: A Sentence A is not true. It would seem
that sentence A cannot be true, since it can be true only if what it says is
the case, i.e., if it is not true. Thus sentence A is not true. But then, since
this is precisely what it claims, it would seem to be true. Several alternative
forms of the liar paradox have been given their own names. The postcard
paradox, also known as a liar cycle, envisions a postcard with sentence B on
one side and sentence C on the other: B The sentence on the other side of this
card is true. semantic molecularism semantic paradoxes 830 830 C The sentence on the other side of
this card is false. Here, no consistent assignment of truth-values to the pair
of sentences is possible. In the preface paradox, it is imagined that a book
begins with the claim that at least one sentence in the book is false. This
claim is unproblematically true if some later sentence is false, but if the
remainder of the book contains only truths, the initial sentence appears to be
true if and only if false. The preface paradox is one of many examples of
contingent liars, claims that can either have an unproblematic truth-value or
be paradoxical, depending on the truth-values of various other claims in this
case, the remaining sentences in the book. Related to the preface paradox is
Epimenedes’ paradox: Epimenedes, himself from Crete, is said to have claimed
that all Cretans are liars. This claim is paradoxical if interpreted to mean
that Cretans always lie, or if interpreted to mean they sometimes lie and if no
other claim made by Epimenedes was a lie. On the former interpretation, this is
a simple variation of the liar paradox; on the latter, it is a form of
contingent liar. Other semantic paradoxes include Berry’s paradox, Richard’s
paradox, and Grelling’s paradox. The first two involve the notion of
definability of numbers. Berry’s paradox begins by noting that names or
descriptions of integers consist of finite sequences of syllables. Thus the
three-syllable sequence ‘twenty-five’ names 25, and the seven-syllable sequence
‘the sum of three and seven’ names ten. Now consider the collection of all
sequences of English syllables that are less than nineteen syllables long. Of
these, many are nonsensical ‘bababa’ and some make sense but do not name
integers ‘artichoke’, but some do ‘the sum of three and seven’. Since there are
only finitely many English syllables, there are only finitely many of these
sequences, and only finitely many integers named by them. Berry’s paradox
arises when we consider the eighteen-syllable sequence ‘the smallest integer
not nameable in less than nineteen syllables’. This phrase appears to be a
perfectly well-defined description of an integer. But if the phrase names an
integer n, then n is nameable in less than nineteen syllables, and hence is not
described by the phrase. Richard’s paradox constructs a similarly paradoxical
description using what is known as a diagonal construction. Imagine a list of
all finite sequences of letters of the alphabet plus spaces and punctuation,
ordered as in a dictionary. Prune this list so that it contains only English
definitions of real numbers between 0 and 1. Then consider the definition: “Let
r be the real number between 0 and 1 whose kth decimal place is if the kth decimal place of the number named
by the kth member of this list is 1, and 0 otherwise’. This description seems
to define a real number that must be different from any number defined on the
list. For example, r cannot be defined by the 237th member of the list, because
r will differ from that number in at least its 237th decimal place. But if it
indeed defines a real number between 0 and 1, then this description should
itself be on the list. Yet clearly, it cannot define a number different from
the number defined by itself. Apparently, the definition defines a real number
between 0 and 1 if and only if it does not appear on the list of such definitions.
Grelling’s paradox, also known as the paradox of heterologicality, involves two
predicates defined as follows. Say that a predicate is “autological” if it
applies to itself. Thus ‘polysyllabic’ and ‘short’ are autological, since
‘polysyllabic’ is polysyllabic, and ‘short’ is short. In contrast, a predicate
is “heterological” if and only if it is not autological. The question is
whether the predicate ‘heterological’ is heterological. If our answer is yes,
then ‘heterological’ applies to itself
and so is autological, not heterological. But if our answer is no, then
it does not apply to itself and so is
heterological, once again contradicting our answer. The semantic paradoxes have
led to important work in both logic and the philosophy of language, most
notably by Russell and Tarski. Russell developed the ramified theory of types
as a unified treatment of all the semantic paradoxes. Russell’s theory of types
avoids the paradoxes by introducing complex syntactic conditions on formulas
and on the definition of new predicates. In the resulting language, definitions
like those used in formulating Berry’s and Richard’s paradoxes turn out to be
ill-formed, since they quantify over collections of expressions that include
themselves, violating what Russell called the vicious circle principle. The
theory of types also rules out, on syntactic grounds, predicates that apply to
themselves, or to larger expressions containing those very same predicates. In
this way, the liar paradox and Grelling’s paradox cannot be constructed within
a language conforming to the theory of types. Tarski’s attention to the liar
paradox made two fundamental contributions to logic: his development of
semantic techniques for defining the truth predicate for formalized languages
and his proof of Tarski’s theorem. Tarskian semantics avoids the liar paradox
by starting with a formal language, call it L, in which no semantic notions are
expressible, and hence in which the liar paradox cannot be formulated. Then
using another language, known as the metalanguage, Tarski applies recursive
techniques to define the predicate true-in-L, which applies to exactly the true
sentences of the original language L. The liar paradox does not arise in the
metalanguage, because the sentence D Sentence D is not true-in-L. is, if
expressible in the metalanguage, simply true. It is true because D is not a
sentence of L, and so a fortiori not a true sentence of L. A truth predicate
for the metalanguage can then be defined in yet another language, the
metametalanguage, and so forth, resulting in a sequence of consistent truth
predicates. Tarski’s theorem uses the liar paradox to prove a significant
result in logic. The theorem states that the truth predicate for the
first-order language of arithmetic is not definable in arithmetic. That is, if
we devise a systematic way of representing sentences of arithmetic by numbers,
then it is impossible to define an arithmetical predicate that applies to all
and only those numbers that represent true sentences of arithmetic. The theorem
is proven by showing that if such a predicate were definable, we could
construct a sentence of arithmetic that is true if and only if it is not true:
an arithmetical version of sentence A, the liar paradox. Both Russell’s and
Tarski’s solutions to the semantic paradoxes have left many philosophers
dissatisfied, since the solutions are basically prescriptions for constructing
languages in which the paradoxes do not arise. But the fact that paradoxes can
be avoided in artificially constructed languages does not itself give a
satisfying explanation of what is going wrong when the paradoxes are
encountered in natural language, or in an artificial language in which they can
be formulated. Most recent work on the liar paradox, following Kripke’s
“Outline of a Theory of Truth” 5, looks at languages in which the paradox can
be formulated, and tries to provide a consistent account of truth that
preserves as much as possible of the intuitive notion.
semeiotics: semiological: or is it semiotics? Cf. semiological,
semotic. Since Grice uses ‘philosophical psychology’ and ‘philosopical
biology,’ it may do to use ‘semiology,’ indeed ‘philosophical semiology,’ here.
Oxonian semiotics is unique. Holloway
published his “Language and Intelligence” and everyone was excited. It is best
to see this as Grices psychologism. Grice would rarely use ‘intelligent,’ less
so the more pretentious, ‘intelligence,’ as a keyword. If he is doing it, it is
because what he saw as the misuse of it by Ryle and Holloway. Holloway, a PPE,
is a tutorial fellow in philosophy at All Souls. He acknowledges Ryle as his
mentor. (Holloway also quotes from Austin). Grice was amused that J. N.
Findlay, in his review of Holloway’s essay in “Mind,” compares Holloway to C.
W. Morris, and cares to cite the two relevant essay by Morris: The Foundation
in the theory of signs, and Signs, Language, and Behaviour. Enough for Grice to
feel warmly justified in having chosen another New-World author, Peirce, for
his earlier Oxford seminar. Morris studied under G. H. Mead. But is
‘intelligence’ part of The Griceian Lexicon?Well, Lewis and Short have
‘interlegere,’ to chose between. Lewis and Short have ‘interlĕgo , lēgi, lectum,
3, v. a., I’.which they render it as “to cull or pluck off here and there
(poet. and postclass.).in tmesi) uncis Carpendae manibus frondes, interque
legendae, Verg. G. 2, 366: “poma,” Pall. Febr. 25, 16; id. Jun. 5, 1.intellĕgo (less
correctly intellĭgo), exi, ectum (intellexti for intellexisti, Ter. Eun. 4, 6,
30; Cic. Att. 13, 32, 3: I.“intellexes for intellexisses,” Plaut. Cist. 2, 3,
81; subj. perf.: “intellegerint,” Sall. H. Fragm. 1, 41, 23 Dietsch);
“inter-lego,” “to see into, perceive, understand.” I. Lit. A. Lewis and Short
render as “to perceive, understand, comprehend.” Cf. Grice on his handwriting
being legible to few. And The child is an adult as being UNintelligible until
the creature is produced. In “Aspects,” he mentions flat rationality, and
certain other talents that are more difficult for the philosopher to
conceptualise, such as nose (i.e. intuitiveness), acumen, tenacity, and
such. Grices approach is Pological. If Locke had used intelligent to refer
to Prince Maurices parrot, Grice wants to find criteria for intelligent as
applied to his favourite type of P, rather (intelligent, indeed rational.). semiosis
from Grecian semeiosis, ‘observation of signs’, the relation of signification
involving the three relata of sign, object, and mind. Semiotic is the science
or study of semiosis. The semiotic of John of Saint Thomas and of Peirce
includes two distinct components: the relation of signification and the
classification of signs. The relation of signification is genuinely triadic and
cannot be reduced to the sum of its three subordinate dyads: sign-object,
sign-mind, object-mind. A sign represents an object to a mind just as A gives a
gift to B. Semiosis is not, as it is often taken to be, a mere compound of a
sign-object dyad and a sign-mind dyad because these dyads lack the essential
intentionality that unites mind with object; similarly, the gift relation
involves not just A giving and B receiving but, crucially, the intention
uniting A and B. In the Scholastic logic of John of Saint Thomas, the
sign-object dyad is a categorial relation secundum esse, that is, an essential
relation, falling in Aristotle’s category of relation, while the sign-mind dyad
is a transcendental relation secundum dici, that is, a relation only in an
analogical sense, in a manner of speaking; thus the formal rationale of
semiosis is constituted by the sign-object dyad. By contrast, in Peirce’s
logic, the sign-object dyad and the sign-mind dyad are each only potential
semiosis: thus, the hieroglyphs of ancient Egypt were merely potential signs
until the discovery of the Rosetta Stone, just as a road-marking was a merely
potential sign to the driver who overlooked it. Classifications of signs
typically follow from the logic of semiosis. Thus John of Saint Thomas divides
signs according to their relations to their objects into natural signs smoke as
a sign of fire, customary signs napkins on the table as a sign that dinner is
imminent, and stipulated signs as when a neologism is coined; he also divides
signs according to their relations to a mind. An instrumental sign must first
be cognized as an object before it can signify e.g., a written word or a
symptom; a formal sign, by contrast, directs the mind to its object without
having first been cognized e.g., percepts and concepts. Formal signs are not
that which we cognize but that by which we cognize. All instrumental signs
presuppose the action of formal signs in the semiosis of cognition. Peirce
similarly classified signs into three trichotomies according to their relations
with 1 themselves, 2 their objects, and 3 their interpretants usually minds;
and Charles Morris, who followed Peirce closely, called the relationship of
signs to one another the syntactical dimension of semiosis, the relationship of
signs to their objects the semantical dimension of semiosis, and the
relationship of signs to their interpreters the pragmatic dimension of
semiosis. Refs.: The most specific essay
is his lecture on Peirce, listed under ‘communication, above. A reference to
‘criteria of intelligence relates. The H. P. Grice Papers, BANC.
mittente – trasmittente – destinatario – ricevente --. sender: Grice: “Italian has it easy: there’s
the mittente – from the Latin, of course – and there’s the destinatario --; but
even if it is not “linguaggio filosofico,” Italian philosophers like to play:
so there’s also the “trasmittente” and the “ricevente.” My theory exactly.”
Grice: “Surely, if there is a ‘recipient,’ there must be a ‘sender.’” Grice: “I
prefer ‘sender’ as correlative for ‘recipient,’ since there is an embedded
intentionality about it.” Cf. Sting, “Message in a bottlesending out an S. O.
S.”Grice: “Addresser and addressee sound otiose.”Grice: “Then there’s this
jargon of the ‘target’ addressee’while we are in the metaphorical mode!” --
emissor: utterer: cf. emissum,
emissor. Usually Homo sapiens sapiensand usually Oxonian, the Homo sapiens
sapiens Grice interactes with. Sometimes tutees, sometimes tutor. There is
something dualistic about the ‘utterer.’ It is a vernacularism from English
‘out.’ So the French impressionists were into IM-pressing, out to in; the
German expressionists were into EX-pressing, in to out. Or ‘man’. The important
thing is for Grice to avoid ‘speaker.’ He notes that ‘utterance’ has a nice fuzziness
about it. He still notes that he is using ‘utter’ in a ‘perhaps artificial’
way. He was already wedded to ‘utter’ in
his talk for the Oxford Philosopical Society. Grice does not elaborate
much on general gestures or signals. His main example is a sort of handwave by
which the emissor communicates that either he knows the route or that he is
about to leave the addressee. Even this is complex. Let’s try to apply his
final version of communication to the hand-wave. The question of “Homo sapiens
sapiens” is an interesting one. Grice is all for ascribing predicates regarding
the soul to what he calls the ‘lower animals’. He is not ready to ascribe
emissor’s meaning to them. Why? Because of Schiffer! I mean, when it comes to
the conditions of necessity of the reductive analysis, he seems okay. When it
comes to the sufficiency, there are two types of objection. One by Urmson,
easily dismissed. The second, first by Stampe and Strawson, not so easily. But
Grice agrees to add a clause limiting intentions to be ‘in the open.’ Those who
do not have a philosophical background usually wonder about this. So for their
sake, it may be worth considering Grice’s synthetic a posteriori argument to
refuse an emissor other than a Homo sapiens sapiens to be able to ‘mean,’ if
not ‘communicate,’ or ‘signify.’ There is
an objection which is not mentioned by his editors, which seems to Grice to be
one to which Grice must respond. The objection may be stated thus. One of the
leading strands in Grice’s reductive analysis of an emissor communicating that
p is that communication is not to be regarded exclusively, or even primarily,
as a ‘feature’ of emissors who use what philosophers of language call
‘language’ (Sprache, Taal, Langage, Linguaggioto restrict to the philosophical
lexicon, cf. Plato’s Cratylus), and a fortiori of an emissor who emits this or
that “linguistic” ‘utterance.’ There are many instances of NOTABLY
NON-“linguistic” vehicles or devices of communication, within a
communication-system, which fulfil this or that communication-function; these
vehicles or devices are mostly syntactically un-structured or amorphous.
Sometimes, a device may exhibit at least some rudimentary syntactic structure,
in that we may distinguish a totum from a pars and identify a ‘simplex’ within
a ‘complexum.’ Grice’s intention-based reductive analysis of a communicatum,
based on Aristotle, Locke, and Peirce, is designed to allow for the possibility
that a non-“linguistic,” and, further, indeed a non-“conventional” 'utterance'
token, perhaps even manifesting some degree of syntactic structure, and not
just a block of an amorphous signal, may be within the ‘repertoire’ of
‘procedures’ of this or that organism, or creature, or agent, which, even if
not relying on any apparatus for communication of the kind that that we may
label ‘linguistic’ or otherwise ‘conventional,’
‘do’ this or that ‘thing’ thereby ‘communicating’ that p, or q. To
provide for this possibility, it is plainly necessary that the key ingredient
in any representation of ‘communicating,’ viz. intending that p, should be a
‘state’ of the emissor’s soul the capacity for which does not require what we
may label the ‘possession’ of, shall we say, a ‘faculty,’ of what philosophers
call ‘a’ ‘language’ (Sprache, Taal, langue, linguanote that in German we do not
distinguish between ‘die Deutsche Sprache’ and ‘Sprache’ as ‘ein Facultat.’).
Now a philosopher, relying on this or that neo-Prichardian reductive analysis
of ‘intending that p,’ may not be willing to allow the possibility of such, shall
we call it, pre-linguistic intending that p, or non-linguistic intending that
p. Surely if the emissor realizes that his addressee does not share what the
Germans call ‘die Deutsche Sprache,” the emissor may still communicate with his
addresse this or that by doing this or that. E. g. he may simulate that he
wants to smoke a cigarette and wonders if his addressee has one to spare.
Against that objection, Grice surely wins the day. But Grice grants that
winning the day on THAT front may not be enough. And that is because, as far as
Grice’s Oxonian explorations on communication go, in a succession of
increasingly elaborate movesending with a ‘closure’ clause which cut this
succession of increasingly elaborate moves -- designed to thwart this or that
scenario, later deemed illegitimate, involving two rational agents where the
emissor relies on an ‘inference-element’ that it is not the case that he
intends his addressee will recogiseGrice is led to restrict the ‘intending’
which is to constitute a case of an emissor communicating that p to
C-intending. Grice suspects that whatever may be the case in general with
regard to ‘intending,’ C-intending seems for some reason to Grice to be
unsophisticatedly, viz. plainly, too sophisticated a ‘state’ of a soul to be found
in an organism, ‘pirot,’ creature, that we may not want to deem ‘rational,’ or
as the Germans would say, a creature that is destitute of “Die Deutsche
Sprache.” We need the pirot to be “very intelligent, indeed rational.”Grice
regrets that some may think that what he thought were unavoidable rear-guard
actions (ending with a complex reductive analysis of C-intending) seem to have
undermined the raison d'etre of the Griciean campaign.”Unfortunately, Grice
provides what he admittedly labels “a brief reply” which “will have to
suffice.” Why? Because “a full treatment would require delving deep into
crucial problems concerning the boundaries between vicious and virtuous
circularity.” Which is promising. It is not something totally UNATTAINABLE. It
reduces to the philosopher being virtuously circular, only! Why is the
‘virtuous circle’ so crucialvide ‘circulus virtuosus.’ virtŭōsus , a, um, adj. virtus, I.virtuous, good (late
Lat.), Aug. c. Sec. Man. 10. A circle is virtuous if it is not that bad. In
this case, we need the ‘virtuous circle’ because we are dealing with ‘a loop.’
This is exactly Schiffer’s way of putting it in his ‘Introduction’ to Meaning
(second edition). There is a ‘conceptual loop.’ Schiffer is not interested in
‘communicating;’ only ‘meaning.’ But his point can be transferred. He is saying
that ‘U means that p,’ may rely on ‘U intends that p,’ where ‘U intends that p’
relies on ‘U means that p.’ There is a loop. In more generic terms:We have a
creature, call it a pirot P1 that, by doing thing T, communicates that p. Are
we talking of the OBSERVER? I hope so, because Grice’s favourite pirot is the
parrot. So we have Prince Maurice’s Parrot. Locke: Since I think I may be
confident, that, whoever should see a CREATURE of his own shape or make, though
it had no more reason all its life than a cat or a PARROT, would call him still
A MAN; or whoever should hear a cat or a parrot discourse, reason, and
philosophize, would call or think it nothing but a cat or a PARROT; and say,
the one was A DULL IRRATIONAL MAN, and the other A VERY INTELLIGENT RATIONAL
PARROT. A relation we have in an author of great note, is sufficient to
countenance the supposition of A RATIONAL PARROT. The author’s words are: I had
a mind to know, from Prince Maurice's own mouth, the account of a common, but
much credited story, that I had heard so often from many others, of an old
parrot he has, that speaks, and asks, and answers common questions, like A
REASONABLE CREATURE. So that those of his train there generally conclude it to
be witchery or possession; and one of his chaplains, would never from that time
endure A PARROT, but says all PARROTS have a devil in them. I had heard many
particulars of this story, and as severed by people hard to be discredited,
which made me ask Prince Maurice what there is of it. Prince Maurice says, with
his usual plainness and dryness in talk, there is something true, but a great
deal false of what is reported. I desired to know of him what there was of the
first. Prince Maurice tells me short and coldly, that he had HEARD of such A
PARROT; and though he believes nothing of it, and it was a good way off, yet he
had so much curiosity as to send for the parrot: that it was a very great
parrot; and when the parrot comes first into the room where Prince Maurice is,
with a great many men about him, the parrot says presently, What a nice company
is here. One of the men asks the parrot, ‘What thinkest thou that man is?,’
ostending his finger, and pointing to Prince Maurice. The parrot answers, ‘Some
general -- or other.’ When the man brings the parrot close to Prince Maurice,
Prince Maurice asks the parrot., “D'ou venez-vous?” The parrot answers, “De
Marinnan.” Then Prince Maurice goes on, and poses a second question to the
parrot. “A qui estes-vous?” The Parrot answers: “A un Portugais.” Prince
Maurice asks a third question. “Que fais-tu la?” The parrot answers: “Je garde
les poulles.”Prince Maurice smiles, which pleases the Parrot. Prince Maurice,
violating a Griceian maxim, and being just informed that p, asks whether p.
This is his fourth question. “Vous gardez les poulles?” The Parrot answers,
“Oui, moi; et je scai bien faire.” The Parrott appeals to Peirce’s iconic
system and makes the chuck four or five times that a man uses to make to
chickens when a man calls them. I set down the words of this worthy dialogue in
French, just as Prince Maurice said them to me. I ask Prince Maurice in what
‘language’ the parrot speaks. Prince Maurice says that the parrot speaks in
Brazilian. I ask Prince William whether he understands the Brazilian language.
Prince Maurice says: No, but he has taken care to have TWO interpreters by him,
the one a Dutchman that spoke Brazilian, and the other a Brazilian that spoke
Dutch; that Prince Maurice asked them separatelyand privately, and both of them
AGREED in telling Prince Maurice just the same thing that the parrot had said.
I could not but tell this ODD story, because it is so much out of the way, and
from the first hand, and what may pass for a good one; for I dare say Prince
Maurice at least believed himself in all he told me, having ever passed for a
very honest and pious man. I leave it to naturalists to reason, and to other
men to believe, as they please upon it. However, it is not, perhaps, amiss to
relieve or enliven a busy scene sometimes with such digressions, whether to the
purpose or no.Locke takes care that the reader should have the story at large
in the author's own words, because he seems to me not to have thought it
incredible.For it cannot be imagined that so able a man as he, who had
sufficiency enough to warrant all the testimonies he gives of himself, should
take so much pains, in a place where it had nothing to do, to pin so close, not
only on a man whom he mentions as his friend, but on a prince in whom he
acknowledges very great honesty and piety, a story which, if he himself thought
incredible, he could not but also think RIDICULOUS. Prince Maurice, it is
plain, who vouches this story, and our author, who relates it from him, both of
them call this talker A PARROT. And Locke asks any one else who thinks such a
story fit to be told, whether, if this PARROT, and all of its kind, had always
talked, as we have a prince's word for it this one did,- whether, I say, they
would not have passed for a race of RATIONAL ANIMALS; but yet, whether, for all
that, they would have been allowed to be MEN, and not PARROTS? For I presume it
is not the idea of A THINKING OR RATIONAL BEING alone that makes the idea of A
MAN in most people's sense: but of A BODY, so and so shaped, joined to it: and
if that be the idea of a MAN, the same successive body not shifted all at once,
must, as well as THE SAME IMMATERIAL SPIRIT, go to the
making of the same MAN. So back to
Grice’s pirotology.But first a precis of the conversation, or
languaging:PARROT: What a nice company is here.MAN (pointing to Prince
Maurice): What thinkest thou that man is?PARROT: Some general -- or other. (i.
e. the parrot displays what Grice calls ‘up-take.’ The parrot recognizes the
man’s c-intention. So far is ability to display uptake.PRINCE MAURICE: D'ou
venez-vous?PARROT: De Marinnan.PRINCE MAURICE: A qui estes-vous?PARROT: A un
Portugais.PRINCE MAURICE: Que fais-tu la?PARROT: Je garde les poulles.PRINCE
MAURICE SMILES and flouts a Griceian maxim: Vous gardez les poulles?PARROT
(losing patience, and grasping the Prince’s implicaturum that he doubts it):
Oui, moi. Et je scai bien faire.(The Parrott then appeals to Peirce’s iconic
system and makes the chuck five times that a man uses to make to chickens when
a man calls them.)So back to Grice:“According to my most recent speculations
about communication, one should distinguish between what I call the ‘factual’
or ‘de facto’ character of behind the state of affairs that one might describe
as ‘rational agent A communicates that p,’ for those communication-relevant
features which obtain or are present in the circumstances) the ‘titular’ or ‘de
jure’ character, viz. the nested C-intending which is only deemed to be
present. And the reason Grice calls it ‘nested’ is that it involves three
sub-intentions:(C) Emissor E communicates that (psi*) p iff Emissor E c-intends
that A recognises that E psi-s that p iffC1: Emissor E intends A to recognise
that A psi-s that p.C2: Emissor intends that A recognise C1 by A recognising
C2C3: There is no inference-element which is C-constitutive such that Emissor
relies on it and yet does not intend A to recognise.Grice:“The titular or de
jure character of the state of affairs that is described as “Emissor
communicates that p,” involves self-reference in the closure clause regarding
the third intention, C3, may be thought as being ‘regressive,’ or involving
what mathematicians mean when they use “, …;” and the translators of Aristotle,
‘eis apeiron,’ translated as ‘ad infinitum.’There may be ways of UNDEEMING
this, i. e. of stating that self-reference and closure are meant to BLOCK an
infinite regress. Hence the circle, if there is oneone feature of a virtuous
circle is that it doesn’t look like a circle simpliciter -- would be virtuous. The ‘de jure’ character
stands for a situation which, in Grice’s words, is “infinitely complex,” and so
cannot be actually present in totoonly DEEMED to be.”“In which case,” Grice
concludes pointing to the otiosity or rendering inoperative, “to point out that
THE INCONCEIVABLE actual presence of the ‘de jure’ character of ‘Emissor
communicates that p’ WOULD, still, be possible, or would be detectable, only
via the ‘use’ of something like ‘die Deutsche Sprache’ seem to serve little, if
any, purpose.”“At its most meagre, the factual or ‘de facto’ character consists
merely in the pre-rational ‘counterpart’ of the state of affairs describable by
“Emissor E communicates that p,” which might amount to no more than making a
certain sort of utterance in order thereby to get some creature to think or
want some particular thing.This meagre condition does not involve a reference
to any expertise regarding anything like ‘die Deutsche Sprache.’Let’s
reformulate the condition.It’s just a pirot, at a ‘pre-rational’ level. The
pirot does a thing T IN ORDER THEREBY to get some other pirot to think or do
some particular thing. To echo Hare,Die Tur ist geschlossen, ja.Die Tur ist
geschlossen, bitte.Grice continues as a corollary: “Maybe in a less
straightforward instance of “Emissor E communicates that p” there is actually
present the C-intention whose feasibility as an ‘intention’ suggests some ability
to use ‘die Deutsche Sprache.’But vide “non-verbal communication,” pre-verbal
communication, languaging, pre-conventional communication, gestural
communicationas in What Grice has as “a gesture (a signal).” Not necessary
‘conventional,’ and MAYBE ‘established’is one-off sufficient for ‘established’?
I think so. By waving his hand in a particular way (“a particular sort of hand
wave”), the emissor communicates that he knows the route (or is about to leave
the addressee). Grice concludes about
the less straightforward instances, that there can be no advance guarantee when
this will be so, i. e. that there is actually present the C-intention whose
feasibility as an intention points to some capacity to use ‘die Deutsche
Sprache.’Grice adds: “It is in any case arguable that the use of ‘die Deutsche
Sprache’ would here be an indispensable aid to philosophising about
communication, rather than it being an element in the PHILOSOPHISING about
communication! Philosophers of Grice’s generation use ‘man’ on purpose to mean
‘mankind’. What a man means. What a man utters. The utterer is the man. In
semiotics one can use something more Latinate, like gesturer, or emitteror
profferer. The distinction is between what an utterer means and what the
logical and necessary implication. He doesn’t need to say this since ‘imply’ in
the logical usage does not take utterer as subject. It’s what the utterer SAYS
that implies this or that. (Strawson and Wiggins519). The utterer is possibly
the ‘expresser.’ sender and sendee: Emissee: this is crucial. There’s loads of references on this.
Apparently, some philosopher cannot think of communication without the emissee.
But surely Grice loved Virginia Woolf. “And when she was writing ‘The Hours,’
I’m pretty sure she cared a damn whether the rest of the world existed!” Let's explore the issue of the UTTERER'S OCCASION-MEANING
IN THE ABSENCE OF A (so-called) AUDIENCE -- or sender without sendee, as it
were. There
are various scenarios of utterances by which the utterer or sender is correctly
said to have communicated that so-and-so, such that there is no actual person
or set of persons (or sentient beings) whom the utterer or sender is addressing
and in whom the sender intends to induce a response. The range of these
scenarios includes, or might be thought to include, such items as -- the
posting of a notice, like "Keep out" or "This bridge is
dangerous," -- an entry in a diary, -- the writing of a note to
clarify one's thoughts when working on some problem, --
soliloquizing, -- rehearsing a part in a projected conversation,
and -- silent thinking. At least some of these scenarios are
unprovided for in the reductive analysis so far proposed. The examples
which Grice's account should cover fall into three groups: (a) Utterances
for which the utterer or sender thinks there may (now or later) be an audience
or sendee (as when Grice's son sent a letter to Santa). U may think that
some particular person, e. g. himself at a future date in the case of a diary
entry, may (but also may not) encounter U's utterance.Or U may think that there
may or may not be some person or other who is or will be an auditor or sendee
or recipient of his utterance. (b) An utterances which the utterer knows
that it is not to be addressed to any actual sendee, but which the utterer
PRETENDS to address or send to some particular person or type of person, OR
which he thinks of as being addressed (or sent) to some imagined sendee or type
of sendee (as in the rehearsal of a speech or of his part in a projected
conversation, or Demosthenes or Noel Coward talking to the gulls.(c) An
utterances (including what Occam calls an "internal" utterance) with
respect to which the utterer NEITHER thinks it possible that there may be an
actual sendee nor imagines himself as addressing sending so-and-so to a sendee,
but nevertheless intends his utterance to be such that it would induce a
certain sort of response in a certain perhaps fairly indefinite kind of sendee
were it the case that such a sendee *were* present.In the case of silent thinking
the idea of the presence of a sendee will have to be interpreted 'liberally,'
as being the idea of there being a sendee for a public counter-part of the
utterer's internal, private speech, if there is one. Austin refused to
discuss Vitters's private-language argument.In this connection it is perhaps
worth noting that some cases of verbal thinking (especially the type that
Vitters engages in) do fall outside the scope of Grice's account. When a
verbal though merely passes through Vitters's head (or brain) as distinct
from being "framed" by Vitters, it is utterly inappropriate (even in
Viennese) to talk of Vitters as having communicated so-and-so by "the very
thought of you," to echo Noble. Vitters is, perhaps, in such a case, more like a sendee
than a sender -- and wondering who such an intelligent sender might (or then
might not) be. In any case, to calm the neo-Wittgensteinians, Grice
propose a reductive analysis which surely accounts for the examples which need
to be accounted for, and which will allow as SPECIAL (if paradigmatic) cases
(now) the range of examples in which there is, and it is known by the utterer
that there is, an actual sendee. A soul-to-soul transfer. This redefinition
is relatively informal. Surely Grice could present a more formal version which
would gain in precision at the cost of ease of comprehension. Let
"p" (and k') range over properties of persons (possible sendees);
appropriate substituends for "O" (and i') will include such diverse
expressions as "is a passer-by," "is a passer-by who sees
this notice," "understands the Viennese
cant," "is identical with Vitters." As will be seen,
for Grice to communicate that so-and-so it will have to be possible to identify
the value of "/" (which may be fairly indeterminate) which U has in
mind; but we do not have to determine the range from which U makes a
selection. "U means by uttering x that *iP" is true iff (30) (3f
(3c): I. U utters x intending x to be such that anyone who has q
would think that (i) x has f (2) f is correlated in way c with M-ing
that p (3) (3 0'): U intends x to be such that anyone who has b' would
think, via thinking (i) and (2), that U4's that p (4) in view of (3), U O's
that p; and II. (operative only for certain substituends for
"*4") U utters x intending that, should there actually be anyone
who has 0, he would via thinking (4), himself a that p; ' and III. It is
not the case that, for some inference-element E, U intends x to be such that
anyone who has 0 will both (i') rely on E in coming to O+ that p and (2') think
that (3k'): Uintends x to be such that anyone who has O' will come to /+ that p
without relying on E. Notes: (1) "i+" is to be read as
"p" if Clause II is operative, and as "think that UO's" if
Clause II is non-operative. (2) We need to use both "i" and "i',"
since we do not wish to require that U should intend his possible audience to
think of U's possible audience under the same description as U does
himself. Explanatory comments: (i) It is essential that the intention
which is specified in Clause II should be specified as U's intention "that
should there be anyone who has 0, he would (will) . . ." rather than,
analogously with Clauses I and II, as U's intention "that x should be such
that, should anyone be 0, he would ... ." If we adopt the latter specification,
we shall be open to an objection, as can be shown with the aid of an
example.Suppose that, Vitters is married, and further, suppose he married an
Englishwoman. Infuriated by an afternoon with his mother-in-law, when he is
alone after her departure, Vitters relieves his feelings by saying, aloud and
passionately, in German:"Do not ye ever comest near me again!"It will
no doubt be essential to Vitters's momentary well-being that Vitters should
speak with the intention that his remark be such that were his mother-in-law
present, assuming as we say, that he married and does have one who, being an
Englishwoman, will most likely not catch the Viennese cant that Vitters is
purposively using, she should however, in a very Griceian sort of way, form the
intention not to come near Vitters again. It would, however, be pretty
unacceptable if it were represented as following from Vitters's having THIS
intention (that his remark be such that, were his mother-in-law be present, she
should form the intnetion to to come near Vitters again) that what Vitters is
communicating (who knows to who) that the denotatum of 'Sie' is never to come
near Vitters again.For it is false that, in the circumstances, Vitters is
communicating that by his remark. Grice's reductive analysis is formulated
to avoid that difficulty. (2) Suppose that in accordance with the
definiens o U intends x to be such that anyone who is f will think ...
, and suppose that the value of "O" which U has in mind is the
property of being identical with a particular person A. Then it will
follow that U intends A to think . . . ; and given the further condition,
fulfilled in any normal (paradigmatic, standard, typical, default) case, that U
intends the sendee to think that the sendee is the intended sendee, we are
assured of the truth of a statement from which the definiens is inferrible by
the rule of existential generalisation (assuming the legitimacy of this
application of existential generalisation to a statement the expression of
which contains such "intensional" verbs as "intend" and
"think"). It can also be shown that, for any case in which there
is an actual sendee who knows that he is the intended sendee, if the definiens
in the standard version is true then the definiens in the adapted version will
be true. If that is so, given the definition is correct, for any normal
case in which there IS an actual sendee the fulfillment of the definiens will
constitute a necessary and sufficient condition for U's having communicated
that *1p. sendeeless:
‘audienceless’ “One good example of a sendeeless implicaturum is Sting’s
“Message in a bottle.”Grice. Grice: “When Sting says, “I’m sending out an
‘s.o.s’ he is being Peirceian.” Latin sensus
"perception, feeling, undertaking, meaning," from sentire
"perceive, feel, know," probably a figurative use of a literally
meaning "to find one's way," or "to go mentally," from PIE
root *sent- "to go" (source also of Old High German sinnan "to
go, travel, strive after, have in mind, perceive," German Sinn
"sense, mind," Old English sið "way, journey." Refs.: Grice, “The utterer as the sender.” Grice:
“This is jargon, as used by the postal service, and it should be translatable
to any language spoken in a country with postal service!”
senone: cf. senofane,
parmenide -- Velia -- (or as Strawson would prefer, Zeno). "Senone
*loved* his native Velia. Vivid evidence of the
cultural impact of Senone's arguments in Italia is to be found in the interior
of a red-figure drinking cup (Roma, Villa Giulia, inv. 3591) discovered in the
Etrurian city of Falerii. It depicts a heroic figure racing nimbly ahead
of a large tortoise and has every appearance of being the first known
‘response’ to the Achilles (or Mercurio, Ermete) paradox. “Was ‘Senone’ BORN
in Velia?”that is the question!”Grice. Italian
philosopher, as as such, or as Grice prefers, ‘senone’ -- Zenos paradoxes.
“Since Elea is in Italy, we can say Zeno is Italian.”H. P. Grice. “Linguistic
puzzles, in nature.” H. P. Grice. four
paradoxes relating to space and motion attributed to Zeno of Elea fifth century
B.C.: the racetrack, Achilles and the tortoise, the stadium, and the arrow.
Zeno’s work is known to us through secondary sources, in particular Aristotle.
The racetrack paradox. If a runner is to reach the end of the track, he must first
complete an infinite number of different journeys: getting to the midpoint,
then to the point midway between the midpoint and the end, then to the point
midway between this one and the end, and so on. But it is logically impossible
for someone to complete an infinite series of journeys. Therefore the runner
cannot reach the end of the track. Since it is irrelevant to the argument how
far the end of the track is it could be
a foot or an inch or a micron away this
argument, if sound, shows that all motion is impossible. Moving to any point
will involve an infinite number of journeys, and an infinite number of journeys
cannot be completed. The paradox of Achilles and the tortoise. Achilles can run
much faster than the tortoise, so when a race is arranged between them the
tortoise is given a lead. Zeno argued that Achilles can never catch up with the
tortoise no matter how fast he runs and no matter how long the race goes on.
For the first thing Achilles has to do is to get to the place from which the
tortoise started. But the tortoise, though slow, is unflagging: while Achilles
was occupied in making up his handicap, the tortoise has advanced a little
farther. So the next thing Achilles has to do is to get to the new place the
tortoise occupies. While he is doing this, the tortoise will have gone a little
farther still. However small the gap that remains, it will take Achilles some
time to cross it, and in that time the tortoise will have created another gap.
So however fast Achilles runs, all that the tortoise has to do, in order not to
be beaten, is not to stop. The stadium paradox. Imagine three equal cubes, A,
B, and C, with sides all of length l, arranged in a line stretching away from
one. A is moved perpendicularly out of line to the right by a distance equal to
l. At the same time, and at the same rate, C is moved perpendicularly out of
line to the left by a distance equal to l. The time it takes A to travel l/2
relative to B equals the time it takes A to travel to l relative to C. So, in
Aristotle’s words, “it follows, Zeno thinks, that half the time equals its
double” Physics 259b35. The arrow paradox. At any instant of time, the flying
arrow “occupies a space equal to itself.” That is, the arrow at an instant
cannot be moving, for motion takes a period of time, and a temporal instant is
conceived as a point, not itself having duration. It follows that the arrow is
at rest at every instant, and so does not move. What goes for arrows goes for
everything: nothing moves. Scholars disagree about what Zeno himself took his
paradoxes to show. There is no evidence that he offered any “solutions” to
them. One view is that they were part of a program to establish that
multiplicity is an illusion, and that reality is a seamless whole. The argument
could be reconstructed like this: if you allow that reality can be successively
divided into parts, you find yourself with these insupportable paradoxes; so
you must think of reality as a single indivisible One. Refs.: H. P. Grice, “Zeno’s sophisma;” Luigi Speranza, "Senone e Grice," The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Senso – Grice: “Austin would say that ‘sense’ belongs to
‘philosophical’ and not ‘ordinary’ language; but Visconti – and all the Italian
philosoophers behind him, would disagree!” -- “sensus: Grice: “The Italians are directd: there is ‘sensismo’ as a
movement in Italia – due to Condillac, of course!” -- sensationalism, the
belief that all mental states
particularly cognitive states are
derived, by composition or association, from sensation. It is often joined to
the view that sensations provide the only evidence for our beliefs, or more
rarely to the view that statements about the world can be reduced, without
loss, to statements about sensation. Hobbes was the first important sensationalist
in modern times. “There is no conception in man’s mind,” he wrote, “which hath
not at first, totally, or by parts, been begotten upon the organs of sense. The
rest are derived from that original.” But the belief gained prominence in the
eighteenth century, due largely to the influence of Locke. Locke himself was
not a sensationalist, because he took the mind’s reflection on its own
operations to be an independent source of ideas. But his distinction between
simple and complex ideas was used by eighteenthcentury sensationalists such as
Condillac and Hartley to explain how conceptions that seem distant from sense
might nonetheless be derived from it. And to account for the particular ways in
which simple ideas are in fact combined, Condillac and Hartley appealed to a
second device described by Locke: the association of ideas. “Elementary”
sensations the building blocks of our
mental life were held by the
sensationalists to be non-voluntary, independent of judgment, free of
interpretation, discrete or atomic, and infallibly known. Nineteenth-century
sensationalists tried to account for perception in terms of such building
blocks; they struggled particularly with the perception of space and time. Late
nineteenth-century critics such as Ward and James advanced powerful arguments
against the reduction of perception to sensation. Perception, they claimed,
involves more than the passive reception or recombination and association of
discrete pellets of incorrigible information. They urged a change in perspective to a functionalist viewpoint more closely
allied with prevailing trends in biology
from which sensationalism never fully recovered. sensibile: Austin, “Sense and sensibile,” as
used by Russell, those entities that no one is at the moment perceptually aware
of, but that are, in every other respect, just like the objects of perceptual
awareness. If one is a direct realist and believes that the objects one is
aware of in sense perception are ordinary physical objects, then sensibilia
are, of course, just physical objects of which no one is at the moment aware.
Assuming with common sense that ordinary objects continue to exist when no one
is aware of them, it follows that sensibilia exist. If, however, one believes
as Russell did that what one is aware of in ordinary sense perception is some
kind of idea in the mind, a so-called sense-datum, then sensibilia have a
problematic status. A sensibile then turns out to be an unsensed sense-datum.
On some the usual conceptions of sense-data, this is like an unfelt pain, since
a sense-datum’s existence not as a sense-datum, but as anything at all depends
on our someone’s perception of it. To exist for such things is to be perceived
see Berkeley’s “esse est percipii“. If, however, one extends the notion of
sense-datum as Moore was inclined to do to whatever it is of which one is
directly aware in sense perception, then sensibilia may or may not exist. It
depends on what physical objects or
ideas in the mind we are directly aware
of in sense perception and, of course, on the empirical facts about whether
objects continue to exist when they are not being perceived. If direct realists
are right, horses and trees, when unobserved, are sensibilia. So are the front
surfaces of horses and trees things Moore once considered to be sensedata. If
the direct realists are wrong, and what we are perceptually aware of are “ideas
in the mind,” then whether or not sensibilia exist depends on whether or not
such ideas can exist apart from any mind.
sensorium, the seat and cause of sensation in the brain of humans and
other animals. The term is not part of contemporary psychological parlance; it
belongs to prebehavioral, prescientific psychology, especially of the
seventeenth and eighteenth centuries. Only creatures possessed of a sensorium
were thought capable of bodily and perceptual sensations. Some thinkers
believed that the sensorium, when excited, also produced muscular activity and
motion. sensus communis, a cognitive faculty to which the five senses report.
It was first argued for in Aristotle’s On the Soul II.12, though the term
‘common sense’ was first introduced in Scholastic thought. Aristotle refers to
properties such as magnitude that are perceived by more than one sense as
common sensibles. To recognize common sensibles, he claims, we must possess a
single cognitive power to compare such qualities, received from the different
senses, to one another. Augustine says the “inner sense” judges whether the
senses are working properly, and perceives whether the animal perceives De libero
arbitrio II.35. Aquinas In De anima II, 13.370 held that it is also by the
common sense that we perceive we live. He says the common sense uses the
external senses to know sensible forms, preparing the sensible species it
receives for the operation of the cognitive power, which recognizes the real
thing causing the sensible species.
sentential connective, also called sentential operator, propositional
connective, propositional operator, a word or phrase, such as ‘and’, ‘or’, or
‘if . . . then’, that is used to construct compound sentences from atomic i.e., non-compound sentences. A sentential connective can be
defined formally as an expression containing blanks, such that when the blanks
are replaced with sentences the result is a compound sentence. Thus, ‘if ———
then ———’ and ‘——— or ———’ are sentential connectives, since we can replace the
blanks with sentences to get the compound sentences ‘If the sky is clear then
we can go swimming’ and ‘We can go swimming or we can stay home’. Classical
logic makes use of truth-functional connectives only, for which the truth-value
of the compound sentence can be determined uniquely by the truth-value of the
sentences that replace the blanks. The standard truth-functional sensibilia
sentential connective 834 834
connectives are ‘and’, ‘or’, ‘not’, ‘if . . . then’, and ‘if and only if’.
There are many non-truth-functional connectives as well, such as ‘it is
possible that ———’ and ‘——— because ———’.
sentimentalism, the theory, prominent in the eighteenth century, that
epistemological or moral relations are derived from feelings. Although
sentimentalism and sensationalism are both empiricist positions, the latter
view has all knowledge built up from sensations, experiences impinging on the
senses. Sentimentalists may allow that ideas derive from sensations, but hold
that some relations between them are derived internally, that is, from
sentiments arising upon reflection. Moral sentimentalists, such as Shaftesbury,
Hutcheson, and Hume, argued that the virtue or vice of a character trait is
established by approving or disapproving sentiments. Hume, the most
thoroughgoing sentimentalist, also argued that all beliefs about the world
depend on sentiments. On his analysis, when we form a belief, we rely on the
mind’s causally connecting two experiences, e.g., fire and heat. But, he notes,
such causal connections depend on the notion of necessity that the two perceptions will always be so
conjoined and there is nothing in the
perceptions themselves that supplies that notion. The idea of necessary
connection is instead derived from a sentiment: our feeling of expectation of
the one experience upon the other. Likewise, our notions of substance the unity
of experiences in an object and of self the unity of experiences in a subject
are sentimentbased. But whereas moral sentiments do not purport to represent
the external world, these metaphysical notions of necessity, substance, and
self are “fictions,” creations of the imagination purporting to represent
something in the outside world. -- sententia:
For some reason, perhaps of his eccentricity, J. L. Austin was in love with
Chomsky. He would read “Syntactic Structures” aloud to the Play Group. And
Grice was listening. This stuck with Grice, who started to use ‘sentence,’ even
in Polish, when translating Tarski. Hardie had taught him that ‘sententia’ was
a Roman transliteration of ‘dia-noia,’ which helped. Since “Not when the the of
dog” is NOT a sentence, not even an ‘ill-formed sentence,’ Grice concludes that
like ‘reason,’ and ‘cabbage,’ sentence is a value-paradeigmatic concept. His
favourite sentence was “Fido is shaggy,” uttered to communicate that Smith’s
dog is hairy coated. One of Grice’s favourite sentences was Carnap’s “Pirots
karulise elatically,” which Carnap borrowed from (but never returned to) Baron
Russell. (“I later found out a ‘pirot’ is an extinct fish, which destroyed my
whole implicaturumtalk of ichthyological necessity!” (Carnap contrasted,
“Pirots karulise elatically,” with “The not not if not the dog the.”
shaggy-dog story, v. Grice’s shaggy-dog story.
shared experience: WoW: 286. Grice was fascinated by the
etymology of ‘share,’“which is so difficult to translate to
Grecian!”“Co-operation can be regarded as a shared experience. You cooperate
not just when you help, but, as the name indicates, when you operate along with
anotherwhen you SHARE some taskin this case influencing the other in the dyad,
and being influenced by him.”
ensieme – Grice: “Few like Rigamononti have explored the sorry
story of set theory --.” Grice: “Rigamonti uses ‘insieme,’ which is of course
cognate with ‘ensemble,’ – why some at Oxford use ‘set,’ as in the ‘jet set’
escapes me!” -- rclasse -- set: “Is the idea of a one-member
set implicatural?”Grice. “I distinguish between a class and a set, but Strawson
does not.”Grice -- the study of
collections, ranging from familiar examples like a set of encyclopedias or a
deck of cards to mathematical examples like the set of natural numbers or the
set of points on a line or the set of functions from a set A to another set B.
Sets can be specified in two basic ways: by a list e.g., {0, 2, 4, 6, 8} and as
the extension of a property e.g., {x _ x is an even natural number less than
10}, where this is read ‘the set of all x such that x is an even natural number
less than 10’. The most fundamental relation in set theory is membership, as in
‘2 is a member of the set of even natural numbers’ in symbols: 2 1 {x _ x is an
even natural number}. Membership is determinate, i.e., any candidate for membership
in a given set is either in the set or not in the set, with no room for
vagueness or ambiguity. A set’s identity is completely determined by its
members or elements i.e., sets are extensional rather than intensional. Thus {x
_ x is human} is the same set as {x _ x is a featherless biped} because they
have the same members. The smallest set possible is the empty or null set, the
set with no members. There cannot be more than one empty set, by
extensionality. It can be specified, e.g., as {x _ x & x}, but it is most
often symbolized as / or { }. A set A is called a subset of a set B and B a
superset of A if every member of A is also a member of B; in symbols, A 0 B.
So, the set of even natural numbers is a subset of the set of all natural
numbers, and any set is a superset of the empty set. The union of two sets A
and B is the set whose members are the members of A and the members of B in symbols, A 4 B % {x _ x 1 A or x 1 B} so the union of the set of even natural
numbers and the set of odd natural numbers is the set of all natural numbers.
The intersection of two sets A and B is the set whose members are common to
both A and B in symbols, A 3 B % {x _ x
1 A and x 1 B} so the intersection of
the set of even natural numbers and the set of prime natural numbers is the
singleton set {2}, whose only member is the number 2. Two sets whose
intersection is empty are called disjoint, e.g., the set of even natural
numbers and the set of odd natural numbers. Finally, the difference between a
set A and a set B is the set whose members are members of A but not members of
B in symbols, A B % {x _ x 1 A and x 2 B} so the set of odd numbers between 5 and 20
minus the set of prime natural numbers is {9, 15}. By extensionality, the order
in which the members of a set are listed is unimportant, i.e., {1, 2, 3} % {2,
3, 1}. To introduce the concept of ordering, we need the notion of the ordered
pair of a and b in symbols, a, b or .
All that is essential to ordered pairs is that two of them are equal only when
their first entries are equal and their second entries are equal. Various sets
can be used to simulate this behavior, but the version most commonly used is
the Kuratowski ordered pair: a, b is defined to be {{a}, {a, b}}. On this
definition, it can indeed be proved that a, b % c, d if and only if a % c and b
% d. The Cartesian product of two sets A and B is the set of all ordered pairs
whose first entry is in A and whose second entry is B in symbols, A $ B % {x _ x % a, b for some a
1 A and some b 1 B}. This set-theoretic reflection principles set theory
836 836 same technique can be used to
form ordered triples a, b, c % a, b, c;
ordered fourtuples a, b, c, d % a, b, c,
d; and by extension, ordered n-tuples for all finite n. Using only these simple
building blocks, substitutes for all the objects of classical mathematics can
be constructed inside set theory. For example, a relation is defined as a set
of ordered pairs so the successor
relation among natural numbers becomes {0, 1, 1, 2, 2, 3 . . . } and a function is a relation containing no
distinct ordered pairs of the form a, b and a, c so the successor relation is a function. The
natural numbers themselves can be identified with various sequences of sets,
the most common of which are finite von Neumann ordinal numbers: /, {/}, {/,
{/}, {/}, {/}, {/, {/}}}, . . . . On this definition, 0 % /, 1 % {/}, 2 % {/,
{/}}, etc., each number n has n members, the successor of n is n 4 {n}, and n ‹
m if and only if n 1 m. Addition and multiplication can be defined for these
numbers, and the Peano axioms proved from the axioms of set theory; see below.
Negative, rational, real, and complex numbers, geometric spaces, and more
esoteric mathematical objects can all be identified with sets, and the standard
theorems about them proved. In this sense, set theory provides a foundation for
mathematics. Historically, the theory of sets arose in the late nineteenth
century. In his work on the foundations of arithmetic, Frege identified the
natural numbers with the extensions of certain concepts; e.g., the number two
is the set of all concepts C under which two things fall in symbols, 2 % {x _ x is a concept, and
there are distinct things a and b which fall under x, and anything that falls
under x is either a or b}. Cantor was led to consider complex sets of points in
the pursuit of a question in the theory of trigonometric series. To describe
the properties of these sets, Cantor introduced infinite ordinal numbers after
the finite ordinals described above. The first of these, w, is {0, 1, 2, . .
.}, now understood in von Neumann’s terms as the set of all finite ordinals.
After w, the successor function yields w ! 1 % w 4 {w} % {0, 1, 2, . . . n, n +
1, . . . , w}, then w ! 2 % w ! 1 ! 1 % {0, 1, 2, . . . , w , w ! 1}, w ! 3 % w
! 2 ! 1 % {0, 1, 2, . . . , w, w ! 1, w ! 2}, and so on; after all these comes
w ! w % {0, 1, 2, . . . , w, w ! 1, w ! 2, . . . , w ! n, w ! n ! 1, . . .},
and the process begins again. The ordinal numbers are designed to label the
positions in an ordering. Consider, e.g., a reordering of the natural numbers
in which the odd numbers are placed after the evens: 0, 2, 4, 6, . . . 1, 3, 5,
7, . . . . The number 4 is in the third position of this sequence, and the
number 5 is in the w + 2nd. But finite numbers also perform a cardinal
function; they tell us how many so-andso’s there are. Here the infinite
ordinals are less effective. The natural numbers in their usual order have the
same structure as w, but when they are ordered as above, with the evens before
the odds, they take on the structure of a much larger ordinal, w ! w. But the
answer to the question, How many natural numbers are there? should be the same
no matter how they are arranged. Thus, the transfinite ordinals do not provide
a stable measure of the size of an infinite set. When are two infinite sets of
the same size? On the one hand, the infinite set of even natural numbers seems
clearly smaller than the set of all natural numbers; on the other hand, these
two sets can be brought into one-to-one correspondence via the mapping that
matches 0 to 0, 1 to 2, 2 to 4, 3 to 6, and in general, n to 2n. This puzzle
had troubled mathematicians as far back as Galileo, but Cantor took the
existence of a oneto-one correspondence between two sets A and B as the definition
of ‘A is the same size as B’. This coincides with our usual understanding for
finite sets, and it implies that the set of even natural numbers and the set of
all natural numbers and w ! 1 and w! 2 and w ! w and w ! w and many more all
have the same size. Such infinite sets are called countable, and the number of
their elements, the first infinite cardinal number, is F0. Cantor also showed
that the set of all subsets of a set A has a size larger than A itself, so
there are infinite cardinals greater than F0, namely F1, F2, and so on.
Unfortunately, the early set theories were prone to paradoxes. The most famous
of these, Russell’s paradox, arises from consideration of the set R of all sets
that are not members of themselves: is R 1 R? If it is, it ’t, and if it ’t, it
is. The Burali-Forti paradox involves the set W of all ordinals: W itself
qualifies as an ordinal, so W 1 W, i.e., W ‹ W. Similar difficulties surface
with the set of all cardinal numbers and the set of all sets. At fault in all
these cases is a seemingly innocuous principle of unlimited comprehension: for
any property P, there is a set {x _ x has P}. Just after the turn of the
century, Zermelo undertook to systematize set theory by codifying its practice
in a series of axioms from which the known derivations of the paradoxes could
not be carried out. He proposed the axioms of extensionality two sets with the
same members are the same; pairing for any a and b, there is a set {a, b};
separation for any set A and property P, there is a set {x _ x 1 A and x has
P}; power set for any set A, there is a set {x _ x0 A}; union for any set of
sets F, there is a set {x _ x 1 A for some A 1 F} this yields A 4 B, when F % {A, B} and {A, B}
comes from A and B by pairing; infinity w exists; and choice for any set of
non-empty sets, there is a set that contains exactly one member from each. The
axiom of choice has a vast number of equivalents, including the well-ordering
theorem every set can be well-ordered and Zorn’s lemma if every chain in a partially ordered set has
an upper bound, then the set has a maximal element. The axiom of separation
limits that of unlimited comprehension by requiring a previously given set A
from which members are separated by the property P; thus troublesome sets like
Russell’s that attempt to collect absolutely all things with P cannot be
formed. The most controversial of Zermelo’s axioms at the time was that of
choice, because it posits the existence of a choice set a set that “chooses” one from each of
possibly infinitely many non-empty sets
without giving any rule for making the choices. For various
philosophical and practical reasons, it is now accepted without much debate.
Fraenkel and Skolem later formalized the axiom of replacement if A is a set,
and every member a of A is replaced by some b, then there is a set containing
all the b’s, and Skolem made both replacement and separation more precise by
expressing them as schemata of first-order logic. The final axiom of the
contemporary theory is foundation, which guarantees that sets are formed in a
series of stages called the iterative hierarchy begin with some non-sets, then
form all possible sets of these, then form all possible sets of the things
formed so far, then form all possible sets of these, and so on. This iterative
picture of sets built up in stages contrasts with the older notion of the
extension of a concept; these are sometimes called the mathematical and the
logical notions of collection, respectively. The early controversy over the
paradoxes and the axiom of choice can be traced to the lack of a clear
distinction between these at the time. Zermelo’s first five axioms all but
choice plus foundation form a system usually called Z; ZC is Z with choice
added. Z plus replacement is ZF, for Zermelo-Fraenkel, and adding choice makes
ZFC, the theory of sets in most widespread use today. The consistency of ZFC
cannot be proved by standard mathematical means, but decades of experience with
the system and the strong intuitive picture provided by the iterative
conception suggest that it is. Though ZFC is strong enough for all standard
mathematics, it is not enough to answer some natural set-theoretic questions
e.g., the continuum problem. This has led to a search for new axioms, such as
large cardinal assumptions, but no consensus on these additional principles has
yet been reached. Then there are the set-theoretica paradoxes, a collection of
paradoxes that reveal difficulties in certain central notions of set theory.
The best-known of these are Russell’s paradox, Burali-Forti’s paradox, and
Cantor’s paradox. Russell’s paradox, discovered in 1 by Bertrand Russell, is
the simplest and so most problematic of the set-theoretic paradoxes. Using it,
we can derive a contradiction directly from Cantor’s unrestricted comprehension
schema. This schema asserts that for any formula Px containing x as a free
variable, there is a set {x _ Px} whose members are exactly those objects that
satisfy Px. To derive the contradiction, take Px to be the formula x 1 x, and
let z be the set {x _ x 2 x} whose existence is guaranteed by the comprehension
schema. Thus z is the set whose members are exactly those objects that are not
members of themselves. We now ask whether z is, itself, a member of z. If the
answer is yes, then we can conclude that z must satisfy the criterion of
membership in z, i.e., z must not be a member of z. But if the answer is no,
then since z is not a member of itself, it satisfies the criterion for
membership in z, and so z is a member of z. All modern axiomatizations of set theory
avoid Russell’s paradox by restricting the principles that assert the existence
of sets. The simplest restriction replaces unrestricted comprehension with the
separation schema. Separation asserts that, given any set A and formula Px,
there is a set {x 1 A _ Px}, whose members are exactly those members of A that
satisfy Px. If we now take Px to be the formula x 2 x, then separation
guarantees the existence of a set zA % {x 1 A _ x 2 x}. We can then use
Russell’s reasoning to prove the result that zA cannot be a member of the
original set A. If it were a member of A, then we could prove that it is a
member of itself if and only if it is not a member of itself. Hence it is not a
member of A. But this result is not problematic, and so the paradox is avoided.
The Burali-Forte paradox and Cantor’s paradox are sometimes known as paradoxes
of size, since they show that some collections are too large to be considered
sets. The Burali-Forte paradox, discovered by Cesare Burali-Forte, is concerned
with the set of all ordinal numbers. In Cantor’s set theory, an ordinal number
can be assigned to any well-ordered set. A set is wellordered if every subset
of the set has a least element. But Cantor’s set theory also guarantees the
existence of the set of all ordinals, again due to the unrestricted
comprehension schema. This set of ordinals is well-ordered, and so can be
associated with an ordinal number. But it can be shown that the associated
ordinal is greater than any ordinal in the set, hence greater than any ordinal
number. Cantor’s paradox involves the cardinality of the set of all sets.
Cardinality is another notion of size used in set theory: a set A is said to
have greater cardinality than a set B if and only if B can be mapped one-to-one
onto a subset of A but A cannot be so mapped onto B or any of its subsets. One
of Cantor’s fundamental results was that the set of all subsets of a set A
known as the power set of A has greater cardinality than the set A. Applying
this result to the set V of all sets, we can conclude that the power set of V
has greater cardinality than V. But every set in the power set of V is also in
V since V contains all sets, and so the power set of V cannot have greater
cardinality than V. We thus have a contradiction. Like Russell’s paradox, both
of these paradoxes result from the unrestricted comprehension schema, and are
avoided by replacing it with weaker set-existence principles. Various
principles stronger than the separation schema are needed to get a reasonable
set theory, and many alternative axiomatizations have been proposed. But the
lesson of these paradoxes is that no setexistence principle can entail the
existence of the Russell set, the set of all ordinals, or the set of all sets,
on pain of contradiction.
Selvatico-Estense?
semerari: Grice: “Wheereas it would be
considered in bad taste at Oxford, the Italians pun on names – and there is an
essay on the ‘seme’ of ‘semerari’ Witty!” -- Grice: “Perhaps Semerari is right
and the philosopher MUST metaphorise. What better title to an essay on
Calabellse than ‘La sabbia e la roccia”?” -- Grice: “I like Semerari: His
‘principio del dialogo in Socrate” is reprinted in his invaluable collection on
“Dialogo.”” – Grice: “In a way, we may say that Calogero, Semerari, and myself,
belong to the school of the philosophy of conversation – not to mention Apel!”
-- Giuseppe Semerari (Taranto), filosofo. Laureato aa Roma, dove fu allievo di
Carabellese, fu poi professore di filosofia a Bari --(a lui è dedicata la
biblioteca del dipartimento). Con Paci
ha collaborato «aut aut», di cui era in redazione. Collaborò anche a «Critica
storica», «Giornale critico della filosofia italiana», «Clizia», «Historica», «
Rivista internazionale di filosofia del diritto», «Rivista di filosofia», «Il
pensiero», «Archivio di filosofia» e altre riviste specialistiche. Fondò la
rivista «Paradigmi», e ne fu il direttore.
Si è dedicato per lo più a Spinoza, a Schelling, alla fenomenologia di
Husserl e Merleau-Ponty e al materialismo storico di Marx. Opere: “I problemi dello spinozismo,” Vecchi,
Trani, “Storia e storicismo: saggio sul problema della storia nella filosofia
Carabellése,” Vecchi, Trani; “Storicismo e ontologismo critico,” Lacaita,
Manduria, Dialogo, storia, valori: studi di filosofia.” Ciranna, Siracusa; Interpretazione di Schelling, Libreria
scientifica, Napoli; “L'esistenzialismo
italiano,” (Grice: “This reminds me of parochial Warnock and his “English
philosophy,” or Sorley for that matter!”) -- Cressati, Bari; “Questioni di
etica contemporanea,” Adriatica, Bari; Responsabilità e comunità umana.
Ricerche etiche, Lacaita, Manduria; La filosofia come relazione, Quaderni di
cultura, Sapri; Ferruccio De Natale, Guerini e Associati, Milano Scienza nuova
e ragione, Lacaita, Manduria; Furio Semerari, premessa di Carlo Sini, Guerini e
Associati, Milano Da Schelling a Merleau-Ponty. Studi sulla filosofia contemporanea,
Cappelli, Bologna; La lotta per la
scienza, Silva, Milano; Francesco Valerio, premessa di Fulvio Papi, Guerini e
Associati, Milano, Spinoza, Marzorati, Milano; Esperienze del pensiero moderno,
Argalia, Urbino; La filosofia dell'esistenza in Kant, Adriatica, Bar; Introduzione a Schelling, Laterza, Bari Filosofia
e potere, Dedalo, Bari Civiltà dei mezzi, civiltà dei fini. Per un razionalismo
filosofico-politico, Bertani, Verona; La
scienza come problema: dai modelli teorici alla produzione di tecnologie, De
Donato, Bari; Insecuritas. Tecniche e paradigmi della salvezza, Spirali,
Milano; La sabbia e la roccia. L'ontologia critica di Pantaleo Carabellése,
Dedalo, Bar; Dentro la storiografia filosofica. Questioni di teoria e
didattica, Dedalo, Bari (a cura di, con
Vito Carofiglio) Jean-Paul Sartre. Teoria, scrittura, impegno, Edizioni del
Sud, Bari; Novecento filosofico italiano. Situazioni e problemi, Guida, Napoli;
Skepsis. Studi husserliani (con Ferruccio De Natale), Dedalo, Bari; Filosofia.
Lezioni preliminari, Guerini e Associati, Milano Confronti con Heidegger,
Dedalo, Bari prefazione a Edmund Husserl, La filosofia come scienza rigorosa,
Laterza, Bari, Frammenti di diario; l'anno di Istanbul, Schena, Fasano. “La
cosa stessa.” Seminari fenomenologici, Dedalo, Bari; Schelling, Lettere
filosofiche su dommatismo e criticismo e Nuova deduzione del diritto naturale ,
Laterza, Bari. Pensiero e narrazioni. Modelli di storiografia filosofica,
Dedalo, Bari; Frammenti di diario; l'anno del Messico, Schena, Fasano; Fenomenologia
delle relazioni, Palomar, Bari; Ragione e storia. Studi in memoria di Giuseppe
Semerari, Francesco Tateo, Schena, Fasano; Dalla materia alla coscienza. Studi su
Schelling in ricordo di Giuseppe Semerari, Carlo Tatasciore, Guerini, Milano; ‘La
certezza incerta” Scritti su Giuseppe Semerari con due inediti dell'autore,
Furio Semerari, Guerini, Milano; Augusto Ponzio, Il significato della filosofia
per Giuseppe Semerari, in "BariSera", Luciano Niro, Giuseppe
Semerari. Il problema morale, Atheneum, Firenze, Julia Ponzio e Filippo
Silvestri, Il seme umanissimo della filosofia. Sul pensiero di Giuseppe
Semerari, Mimesis, Milano Giuseppe Semerari, in Treccani.itEnciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
semmola: Grice: “I find it difficult to sea if
Semmola endorses formalism or informalism in his monumental “Logica.”” Grice:
“While Ayer never liked it, metaphysics is very popular in Italy, as Semmola’s
monumental “Metafisica” testifies.” Grice: “It’s good to see philosophy as an
institution, in the Italian way of using this word, as per Semmola,
“Istituzione di Filosofia.” Mariano Semmola (Napoli), filosofo. Fu senatore del
Regno d'Italia nella XVI legislature. (check). Figlio di Giovanni Semmola uno
dei più grandi esponenti della scuola napoletana, Mariano fu docente e poi
Segretario del Parlamento del Regno d'Italia; partecipò ai moti di Marigliano. Ha
scritto, tra l'altro, “Istituzioni di Filosofia,” “Logica,” “Metafisica”
(presso la Biblioteca Nazionale di Napoli).
Questo è l'epitaffio sul monumento a lui dedicato e sito nel Recinto o
Quadrilatero degli Uomini Illustri del Cimitero Monumentale di
Napoli-Poggioreale: «Mente divinatrice
ardente spirito investigatore Che nello studio della natura morbosa dell'uomo
Produsse miracoli di arte e di scienza Scolare e presto emulo del suo gran più
ai giovann Conchiuse alla novità delle dottrine una sapienza antica
Procacciandosi fama in patria e fuori Di sommo maestro in medicina Ne rifulse
lo ingegno incomparabile Dalla cattedra nell'università napoletana Nelle
accademie e negli ospedali Nei consessi legislativi e nei congressi scientifici
Nella parola negli scritti Membro della commissione legislativa riunita in
Firenze. Principale autore di un codice sanitario italiano Inviato unico
plenipotenziario Alla conferenza sanitaria internazionale di Vienna il 1874 Fu
deputato e poi senatore nel patrio parlamento Onorato due volte di medaglia
d'oro Dal proprio governo per le cure ai colerosi Da quello del Brasile per la
guarigione del suo imperatore Socio di gran numero di accademie italiane e
straniere Insignito di molti tra i maggiori gradi cavallereschi. Morì nella fede catolica avita Questo marmo per voce del comune Si fa eco
della pubblica solenne onoranza cittadina Le spoglie mortali riposano nella
cappella mortuaria di famiglia Ove le vollero la vedova ed i figliuoli A
rendere vieppiù paghi La loro pietà ed il riconoscente affetto.Grand'Ufficiale
dell'Ordine della Corona d'Italianastrino per uniforme ordinariaGrand'Ufficiale
dell'Ordine della Corona d'Italia Commendatore dell'Ordine dei Santi Maurizio e
Lazzaronastrino per uniforme ordinariaCommendatore dell'Ordine dei Santi
Maurizio e Lazzaro Onorificenze straniere Gran Croce dell'Ordine di Isabella la
Cattolica (Spagna)nastrino per uniforme ordinariaGran Croce dell'Ordine di
Isabella la Cattolica (Spagna) Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine
dell'Immacolata Concezione di Vila Viçosa (Portogallo )nastrino per uniforme ordinariaCavaliere
di Gran Croce dell'Ordine dell'Immacolata Concezione di Vila Viçosa
(Portogallo) Commendatore di Numero dell'Ordine di Carlo III (Spagna)nastrino
per uniforme ordinariaCommendatore di Numero dell'Ordine di Carlo III (Spagna)
Commendatore di I classe dell'Ordine della Stella Polare (Svezia)nastrino per
uniforme ordinariaCommendatore di I classe dell'Ordine della Stella Polare
(Svezia) Grand'Ufficiale dell'Ordine di Nichan Iftikar (Tunisia)nastrino per
uniforme ordinariaGrand'Ufficiale dell'Ordine di Nichan Iftikar (Tunisia)
Commendatore dell'Ordine Imperiale di Leopoldo (Impero austro-ungarico)nastrino
per uniforme ordinariaCommendatore dell'Ordine Imperiale di Leopoldo (Impero
austro-ungarico) Cavaliere dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia)nastrino
per uniforme ordinariaCavaliere dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia) Opere
di Mariano Semmola, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Mariano Semmola, su storia.camera.it, Camera
dei deputati. Mariano Semmola, su
Senatori d'Italia, Senato della Repubblica.
senòfane: Velia. Grice: “There is Athenian
dialectic, but there is a prior Veliaian dialectic, at Velia, in Italy.” Senòfane
(Colofone), filosofo. Le poche notizie sulla sua vita sono fornite da Diogene
Laerzio: "Senofane di Colofone, figlio di Dexio o di Ortomeno... lasciata
la patria, dimorò a Zancle (l'odierna Messina) di Sicilia e poi prese parte
alla colonia diretta a Velia e qui insegnò. Abitò anche a Catania. Secondo
alcuni non fu discepolo di nessuno, secondo altri, dell'ateniese Betone o di
Archelao. Sozione il Peripatetico dice che fu contemporaneo di Anassimandro.
Scrisse versi epici, elegie e giambi, censurando quanto Omero ed Esiodo hanno
detto sugli dei. Cantava egli stesso le sue composizioni. Si dice che abbia
polemizzato contro Talete, Pitagora ed Epimenide. Visse fino a tardissima età. cantò
anche La fondazione di Colofone e La deduzione di colonia a Elea in duemila
versi. Fiorì nella 60ª olimpiade. Demetrio Falereo in Sulla vecchiaia e lo
stoico Panezio in Sulla tranquillità dell'animo dicono che abbia sepolto i
figli con le sue mani, come Anassagora. Pare che sia stato comprato e poi
riscattato dai pitagorici Parmenisco e Orestade. Restano frammenti di elegie e
di silli, versi satirici. Critica l'antropomorfismo religioso, quale si
trova nei poemi di Omero e di Esiodo e quale, del resto, era comune patrimonio
delle credenze religiose del suo tempo: «Omero ed Esiodo hanno attribuito
agli dei tutto quello che per gli uomini è oggetto di vergogna e di biasimo:
rubare, fare adulterio e ingannarsi. I mortali credono che gli dei siano nati e
che abbiano abito, linguaggio e aspetto come loro. Gli Etiopi credono che gli
dei siano camusi e neri, i Traci, che abbiano occhi azzurri e capelli rossi ma
se buoi, cavalli e leoni avessero le mani e sapessero disegnare, i cavalli disegnerebbero gli dei simili a
cavalli e i buoi gli dei simili a buoi.In realtà, uno, dio, tra gli dei e tra
gli uomini il più grande, non simile agli uomini né per aspetto né per
intelligenza. Tutto intero vede, tutto intero pensa, tutto intero sente. Snza
fatica tutto scuote con la forza del pensiero. Sempre nell'identico luogo
permane senza muoversi, né gli si addice recarsi qui o là. Da tutto questo si ricava la concezione di un
dio-universo e nient'altro si può dire della sua concezione della divinità e
dell'essere, diversamente da tarde interpretazioni che vogliono fare di
Senofane un precursore della scuola di Velia e il maestro di Parmenide. Egli è
legato alla scuola ionica di Mileto, quella di Talete, Anassimandro e
Anassimene, a cui egli aggiunge uno spirito, che si potrebbe definire laico, di
critica alle concezioni religiose correnti. Non a caso sostiene che "il
certo, nessuno lo ha mai colto né ci sarà nessuno che possa coglierlo, sia per
quanto riguarda gli dei che per ogni cosa. Infatti, se pure ci si trovasse a
dire qualcosa di vero, non lo si saprebbe per esperienza diretta; noi possiamo
avere solo opinioni", aggiungendo che "non è che da principio gli dei
abbiano rivelato tutto ai mortali, ma col tempo, cercando, gli uomini trovano
il meglio". In queste ultime affermazioni si rileva uno spirito di
concretezza razionalistica sui limiti della conoscenza umana ma anche la
consapevolezza che non da interventi soprannaturali l'uomo può acquisire
conoscenza o costruire la propria cultura. Oltre a schierarsi contro i
valori propri del mito e della epopea omerica, affermò contrariamente ai valori
in voga tra i contemporanei, la netta superiorità dei valori spirituali quali
la virtù, l'intelligenza e la sapienza, sui valori puramente vitali, come la
forza e il vigore fisico degli atleti. Da quelli la città ha ordinamenti
migliori e felicità maggiore che non da questi."Perché vale di più la
nostra saggezza che non la forza fisica degli uomini e dei cavalli. Difatti,
che ci sia tra il popolo un abile pugilatore o un valente nel pentatlo o nella
lotta, non per questo ne è avvantaggiato il buon ordine della città. Sulla
sua concezione della natura restano pochi frammenti. Achilles, nell’Isagoge in
Aratum, riporta che "questo limite della terra lo vediamo ai nostri piedi
che viene a contatto con l'aria, l'estremo inferiore si stende invece
indefinitamente"; da Aezio deriva che "il mare è fonte dell'acqua e
del vento. Infatti il vento né dalle nubi né dall'interno spira, senza il
grande mare, né le correnti dei fiumi, né nell'atmosfera l'acqua piovana. Il
grande mare genera nubi, venti e fiumi"; Ippolito, nella Refutatio contra
omnes haereses, riassume che, per Senofane, nella terra ferma e nei monti si
trovano conchiglie, a Siracusa, nelle latomie, si sono trovate impronte di
pesci e di foche, a Paro l'impronta di una sarda nella pietra viva e a Malta
impronte di ogni sorta di pesci. Questo è avvenuto quando anticamente tutto fu
ridotto a fango e l'impronta del fango si è disseccata. La specie umana
scompare quando la terra, sprofondatasi nel mare, diventa fango e poi di nuovo
la terra ricomincia a formarsi e a tale trasformazione sono soggetti tutti i
mondi". E, citato da Aezio, Teodoreto e Sesto Empirico, tutti siamo nati
dalla terra e dall'acqua. Moderni commentatori hanno tacciato queste ultime
considerazioni di grossolano materialismo che non si collegherebbero con un suo
presunto principio fondamentale dell'unità e dell'immobilità dell'universo,
avendo essi consideratolo attendibile, relativamente a Senofane, lo
PseudoAristotele del De Melisso Xenophane Gorgia, che è un trattato
neoplatonico con nessuna attendibilità storica, e pertanto inserendo
erroneamente Senofane nella scuola eleatica. In realtà, anche da queste poche citazioni,
si conferma filosofo ionico, interessato all'osservazione diretta della natura,
lontano da problematiche ontologiche e dall'ipotizzare un mondo trascendente
l'esperienza e quindi non vicino alla dottrina eleatica erratamente
attribuitagli. Diels-Kranz, Presocratici
I, Gabriele Giannantoni, Bari, Laterza, Testi I presocratici. Prima
traduzione integrale con testi originali a fronte delle testimonianze e dei
frammenti di Hermann Diels e Walther Kranz, Giovanni Reale, Milano: Bompiani, Mario
Untersteiner, Senofane. Testimonianze e Frammenti, Testo greco a fronte,
Milano, Bompiani 2008. Mario Untersteiner, Giovanni Reale, Eleati. Parmenide,
Zenone, Melisso. Testimonianze e Frammenti, Testo greco a fronte, Milano,
Bompiani . Angelo Tonelli, Le parole dei sapienti. Senofane, Parmenide, Zenone,
Melisso, Testo greco a fronte, Milano, Feltrinelli, Studi Maurizio Bugno ,
Senofane ed Elea tra Ionia e Magna Grecia, Napoli, Luciano Editore, Renzo
Vitali, Senofane di Colofone e la scuola eleatica, Cesena, Società Editrice
"Il Ponte Vecchio.” A Senofane è stato intitolato il cratere Senofane,
sulla superficie della Luna. Wikibooks contiene un approfondimento su Il dio di
Senofane e la critica alle credenze tradizionali Senofane, su Treccani.itEnciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Senofane, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Senofane, su sapere.it, De Agostini.
Senofane, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di
Senofane. James Lesher, Xenophanes, su
Stanford Encyclopedia of Philosophy.
serra: Antonio Serra (Dipignano), filosofo.-- è
considerato il primo filosofo dell’economia politica in Italia, e uno dei primi
in Europa. A Serra va «il merito di avere composto per primo un trattato
scientifico, seppure non sistematico, sui principi e sulla politica economica».
Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e
d'argento dove non sono miniere Poco si conosce della sua vita: laureato
probabilmente in utroque, nel 1613 Serra fu imprigionato nelle carceri della
Vicarìa di Napoli forse a causa della sua partecipazione al complotto
architettato da Tommaso Campanella per liberare la Calabria dalla dominazione
spagnola, ma più probabilmente dietro accusa di falso monetario. Mentre
era in carcere compose il Breve trattato delle cause che possono far abbondare
li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere e lo dedicò al viceré Pedro
Fernández de Castro y Andrade, conte de Lemos, che aveva già conosciuto e di
cui sperava l'aiuto. Il 6 settembre 1617 riuscì a farsi ricevere dal nuovo
viceré, Pedro Téllez-Girón, III duca di Osuna, per proporgli un programma di
riforme utili al Regno, ma l'incontro fu infruttuoso e Serra fu rimandato nelle
carceri della Vicarìa, dove probabilmente morì. Essendo molto gravi
all'inizio Professorele condizioni finanziarie del Regno di Napoli (esausto il
tesoro pubblico e l'onere del fisco già così gravoso da indurre molti a
lasciare la città per sottrarvisi), Marc'Antonio De Santis (Discorsi) aveva
proposto di limitare l'esportazione della moneta e di abbassare i tassi di
cambio con le piazze estere. La polemica con De Santis è alla base del Breve
Trattato di Antonio Serra, che dimostra con esempi tratti dalla storia antica e
contemporanea l'inutilità e anzi il danno di questi presunti rimedi, e da ciò
trae occasione per spiegare le vere cause della prosperità delle nazioni.
Serra comincia analizzando le cause della scarsità di moneta nel Regno di Napoli
e i fattori che avrebbero potuto invertire questa tendenza economica. Egli fu
il primo ad analizzare e comprendere appieno il concetto di bilancia
commerciale sia per i beni visibili che per quelli invisibili (i servizi e i
movimenti di capitali). Ha spiegato come la scarsità di moneta nel Regno di
Napoli fosse causata dal deficit della bilancia dei pagamenti. Utilizzando le
sue scoperte fu in grado di respingere l'idea, all'epoca più diffusa, per cui
la scarsità di denaro era dovuta al tasso di cambio. La soluzione prospettata
al problema era indicata nella promozione attiva delle esportazioni. L'opera
segna il distacco dalle concezioni moralistiche scolastiche per passare ad una
visione laica ed è assolutamente innovativa per l'epoca tanto che Benedetto
Croce la definì "lampada di vita". Sua influenza nella storia
del pensiero economico Fu l'abate Ferdinando Galiani a riscoprire l'opera,
tessendone un elogio nella nota XXIX del suo celebre trattato Della Moneta.
"Chiunque leggerà questo trattato" scrive Galiani "resterà
sicuramente sorpreso ed ammirato in vedere quanto in un secolo di totale
ignoranza della scienza economica avesse il suo autore chiare e giuste le idee
della materia di cui scrisse e quanto sanamente giudicasse delle cause de nostri
mali e de soli rimedi efficaci." Galiani paragona Serra al francese
Jean-François Melon e all'inglese John Locke, considerandolo superiore a loro
per avere vissuto molti anni prima in un'epoca di ignoranza della scienza
economica. Serra, che in vita era stato del tutto trascurato e per
secoli, tranne appunto quell'elogio di Galiani, completamente dimenticato, dopo
molto tempo è stato finalmente riscoperto. L'opera di Serra ed il suo breve
trattato figurano con molta evidenza nei lavori dell'economista norvegese Erik
Reinert. Note Friedrich List, National system of political economy, J.B.
Lippincott & Co., Joseph Alois Schumpeter (1959)236. Luca Addante, Cosenza e i cosentini: un volo
lungo tre millenni, Rubbettino Editore, 2001105, 88-498-0127-0. Francesco Martelloni, Regno di Napoli e Terra
d'Otranto al tempo di Masaniello. Aspetti economici e sociali di una
"crisi", in C. Perrotta , La scienza è una curiosità. Scritti in
onore di Umberto Cerroni, Manni Editori, Rodolfo Benini, Benedetto Croce,
Storia del Regno di Napoli, Editori Laterza. «Avendo ottenuto di parlare al
viceré duca di Ossuna per comunicargli cose utili allo stato, fu udito,
presenti i consiglieri, ma, giudicandosi che avesse detto « ciarle e
chiacchiere senz'altro concludere », fu rimandato al suo carcere.». Anna Casella, Marc'Antonio De Santis, in
Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Manuel Serra Moret, Diccionario Económico de Nuestro Tiempo, su
eumed.net, Theodore A. Sumberg. Oreste
Parise, Antonio Serra e il suo tempo. Vita e pensiero del primo economista
moderno, , Ecra,
978-88-6558-082-0. Breve trattato delle cause che possono far
abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere, Volume 1, Antonio
Serra, Destefanis, Illuministi Italiani, Tomo VI Della Moneta, Opere di
Ferdinando Galiani, Milano-Napoli 1975. Rosario Patalano e Sophus A. Reinert ,
Antonio Serra and the Economics of Good Government, Palgrave Macmillan, Erik S.
Reinert, How Rich Countries Got Rich and Why Poor Countries Stay Poor, PublicAffairs,
Erik S. Reinert, Giovanni Botero (1588) and Antonio Serra (1613): Italy and the
birth of development economics, in Handbook of Alternative Theories of Economic
Development, Edward Elgar Publishing, Ferdinando Galiani, Della moneta, Napoli
1780, 409 s.; Francesco Saverio Salfi,
Elogio di Antonio Serra primo scrittore di economia civile, in Luca Addante,
Patriottismo e libertà. L'Elogio di Antonio Serra di Francesco Salfi, Cosenza
2009, 133–233; Pietro Custodi, Notizie
degli autori contenuti nel presente volume: Serra, in Scrittori classici
italiani di economia politica, Parte antica, I, Milano, Giuseppe Pecchio,
Storia della economia pubblica in Italia, Lugano, Narrazioni tratte dai
giornali del governo di Don Pietro Girone duca d'Ossuna viceré di Napoli
scritti da Francesco Zazzera (1616-1620), in Archivio storico italiano, Giacomo
Savarese, Trattato di economia politica, I, Napoli, Francesco Ferrara,
Prefazione, in Trattati italiani del secolo XVIII, Torino, Lodovico Bianchini, Della
scienza del ben vivere sociale e della economia pubblica e degli Stati, Napoli,
Davide Andreotti, Storia dei cosentini, II, Napoli 1869, 284, 363 s.; Luigi Accattatis, Le biografie
degli uomini illustri delle Calabrie, II, Cosenza; Tommaso Fornari, Studii
sopra Antonio Serra e Marc'Antonio De Santis, Pavia 1879; Luigi Amabile, Fra
Tommaso Antonio Serra (economista)
Antonio Serra (Dipignano, metà XVI secoloNapoli, primi anni XVII secolo)
economista e filosofo italiano della scuola mercantilista. Serra è considerato
il primo scrittore di economia politica in Italia, e uno dei primi in Europa. A
Serra va «il merito di avere composto per primo un trattato scientifico,
seppure non sistematico, sui principi e sulla politica economica».
Indice 1Biografia 2Sua influenza nella storia del pensiero economico
3Note 4 5 6Altri progetti 7 Biografia Breve trattato delle cause che
possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere Poco si
conosce della sua vita: laureato probabilmente in utroque, fu imprigionato
nelle carceri della Vicarìa di Napoli forse a causa della sua partecipazione al
complotto architettato da Tommaso Campanella per liberare la Calabria dalla
dominazione spagnola, ma più probabilmente dietro accusa di falso
monetario. Mentre era in carcere compose il Breve trattato delle cause
che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere e lo
dedicò al viceré Pedro Fernández de Castro y Andrade, conte de Lemos, che aveva
già conosciuto e di cui sperava l'aiuto. Riuscì a farsi ricevere dal nuovo
viceré, Pedro Téllez-Girón, III duca di Osuna, per proporgli un programma di
riforme utili al Regno, ma l'incontro fu infruttuoso e Serra fu rimandato nelle
carceri della Vicarìa, dove probabilmente morì. Essendo molto gravi
all'inizio Professorele condizioni finanziarie del Regno di Napoli (esausto il
tesoro pubblico e l'onere del fisco già così gravoso da indurre molti a
lasciare la città per sottrarvisi), Marc'Antonio De Santis (Discorsi) aveva
proposto di limitare l'esportazione della moneta e di abbassare i tassi di
cambio con le piazze estere. La polemica con De Santis è alla base del Breve
Trattato di Antonio Serra, che dimostra con esempi tratti dalla storia antica e
contemporanea l'inutilità e anzi il danno di questi presunti rimedi, e da ciò
trae occasione per spiegare le vere cause della prosperità delle nazioni.
Serra comincia analizzando le cause della scarsità di moneta nel Regno di
Napoli e i fattori che avrebbero potuto invertire questa tendenza economica.
Egli fu il primo ad analizzare e comprendere appieno il concetto di bilancia
commerciale sia per i beni visibili che per quelli invisibili (i servizi e i
movimenti di capitali). Ha spiegato come la scarsità di moneta nel Regno di
Napoli fosse causata dal deficit della bilancia dei pagamenti. Utilizzando le
sue scoperte fu in grado di respingere l'idea, all'epoca più diffusa, per cui
la scarsità di denaro era dovuta al tasso di cambio. La soluzione prospettata
al problema era indicata nella promozione attiva delle esportazioni. L'opera
segna il distacco dalle concezioni moralistiche scolastiche per passare ad una
visione laica ed è assolutamente innovativa per l'epoca tanto che Benedetto
Croce la definì "lampada di vita". Sua influenza nella storia
del pensiero economico Fu l'abate Ferdinando Galiani a riscoprire l'opera,
tessendone un elogio nella nota XXIX del suo celebre trattato Della Moneta.
"Chiunque leggerà questo trattato" scrive Galiani "resterà
sicuramente sorpreso ed ammirato in vedere quanto in un secolo di totale
ignoranza della scienza economica avesse il suo autore chiare e giuste le idee
della materia di cui scrisse e quanto sanamente giudicasse delle cause de
nostri mali e de soli rimedi efficaci." Galiani paragona Serra al francese
Jean-François Melon e all'inglese John Locke, considerandolo superiore a loro
per avere vissuto molti anni prima in un'epoca di ignoranza della scienza
economica. Serra, che in vita era stato del tutto trascurato e per
secoli, tranne appunto quell'elogio di Galiani, completamente dimenticato, dopo
molto tempo è stato finalmente riscoperto. L'opera di Serra ed il suo breve
trattato figurano con molta evidenza nei lavori dell'economista norvegese Erik
Reinert. Note Friedrich List, National system of political economy, J.B.
Lippincott & Co., Joseph Alois Schumpeter, Luca Addante, Cosenza e i
cosentini: un volo lungo tre millenni, Rubbettino Editore, Francesco
Martelloni, Regno di Napoli e Terra d'Otranto al tempo di Masaniello. Aspetti
economici e sociali di una "crisi", in C. Perrotta , La scienza è una
curiosità. Scritti in onore di Umberto Cerroni, Manni Editori, Rodolfo Benini, Benedetto
Croce, Storia del Regno di Napoli, Editori Laterza. «Avendo ottenuto di parlare
al viceré duca di Ossuna per comunicargli cose utili allo stato, fu udito,
presenti i consiglieri, ma, giudicandosi che avesse detto « ciarle e
chiacchiere senz'altro concludere », fu rimandato al suo carcere.». Anna Casella, Marc'Antonio De Santis, in
Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Manuel Serra Moret, Diccionario Económico de Nuestro Tiempo, su
eumed.net, Theodore A. Sumberg (1991).
Oreste Parise, Antonio Serra e il suo tempo. Vita e pensiero del primo
economista moderno, , Ecra, Breve
trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove
non sono miniere, Volume 1, Antonio Serra, Destefanis, Illuministi Italiani, Tomo VI Della Moneta,
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Antonio Serra Antonio Serra, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Anna Maria Ratti, Antonio Serra, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Luca Addante, Antonio Serra, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Alessandro Roncaglia, Antonio Serra, in Il
contributo italiano alla storia del Pensiero: Economia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana
settala: Lodovico Settala (Milano), filosofo.
Nacque dal medico Francesco Settala e da Giulia Ripa, figlia del giureconsulto
pavese Giovanni Francesco Ripa. Studiò nel collegio dei Gesuiti di Brera
e si laureò a Pavia. Due anni dopo ottenne la prima cattedra straordinaria di
Medicina a Pavia; ma vi rinunciò poco tempo dopo per svolgere l'attività medica
a Milano. Ebbe tuttavia le cattedre di politica e di morale nelle Scuole
canobiane di Milano e l'incarico di protofisico generale dello stato di Milano.
Si prodigò in occasione delle epidemie di peste che si svilupparono a Milano e la
famosa peste dei I promessi sposi. Manzoni lo nomina ne I promessi sposi, una prima
volta quando parla del figlio, Senatore
Settala, medico, membro, insieme ad Alessandro Tadino del tribunale della
sanità ai tempi della vicenda di Renzo e Lucia; e una seconda volta nel
capitolo XXXI, allorché è tra i primi ad accorgersi che la "strana
malattia" che si stava diffondendo nella zona lecchese, era la
peste. Opere Lodovico Settala scrisse numerose opere, di medicina,
filosofia e di storia naturale, altre di morale e di politica. Fra le sue opere
si ricordano la traduzione latina, con commento, dei libri ippocratici De
aëribus, aquis et locis (In librum Hippocratis Coi de aeribus, aquis, locis,
commentarii V. Appositus est Graecus Hippocratis contextus ope antiquorum
exemplarium, restitutus, ... Cum indice rerum et verborum locupletissimo,
Coloniae: Ioan. Baptistae Ciotti Senensis aere, 1590) e dei Problemata di
Aristotele (Commentariorum in Aristotelis problemata Tomus I-II, Francoforte
sul Meno: apud haeredes Andreae Wecheli, Claudium Marnium, & Ioannem
Aubrium, 1602). Ludovico Settala,
In Librum Hippocratis Coi de aeribus, aquis, locis Commentarii V. appositus est
graecus Hippocratis contextus ... restitutus et ... emendatus, una cum nova
eiusdem in Latinum versione, Colonia, Giovanni Battista Ciotti, 1590. 3 marzo
. Ludovico Settala, Ludovici Septalii
Patricii Mediolanensis Commentariorum in Aristotelis Problemata, septem primas
sectiones continens, ab eodem Latine factas,
1, Francoforte, Apud Claudium Marnium & heredes Ioannis Aubrii,
1602. 3 marzo . Ludovico Settala,
Ludovici Septalii Patricii Mediolanensis Commentariorum in Aristotelis Problemata,
secundam heptadem continens, ab eodem Latine factam, 2, Francoforte, Apud Claudium Marnium &
heredes Ioannis Aubrii, 1607. 3 marzo . Animaduersionum, & cautionum
medicarum libri septem. Quorum materiam sequens pagina indicabit, Mediolani:
apud Io. Bapt. Bidell., 1614 De peste, & pestiferis affectibus. Libri
quinque., Mediolani: apud Ioannem Baptistam Bidellium, De peste et pestiferis
affectibus, Ludouici Septalij patrici et medici Mediolanensis, De ratione
instituendae, & gubernandae familiae. Libri quinque. Senator F. edidit,
& Iulio Aresio Senatus Mediolanensis principi dicauit, Mediolani: apud Io.
Baptistam Bidellium, 1626 Della ragion di stato libri sette. Di Lodouico
Settala. All'illustrissimo, & eccellentissimo signore Don Emanuelle de
Fonseca e Zugniga, Milano: appresso Gio. Battista Bidelli, Cura locale de'
tumori pestilentiali, che sono il bubone, l'antrace, o carboncolo, & i
furoncoli. Contenente tutto quello, che si ha da fare esteriormente nellquesti
mali. Tolta dal libro della cura della peste. Del signor profisico Lodouico
Settala, Milano: per Giouan Battista Bidelli, 1629 Preseruatione dalla peste
scritta dal sig. protomedico Lodouico Settala, Brescia: per Bartholomeo Fontana,
Commentaria in Aristotelis Problemata, Lugduni, Sumptibus Claudi Landry, Antidotario
romano latino, et volgare tradotto da Hippolito Cesarelli romano. Con
l'aggionta dell'elettione de semplici, e prattica delle compositioni. E di due
trattati, vno della teriaca romana, ... l'altro della teriaca egittia.
Aggiontoui in questa vltima impressione le auertenze, & osseruationi
appartenenti alla compositione de medicamenti del sig. Lodovico Settala,
Milano: per Gio. Battista Bidelli, Auertenze, et osseruationi appartenenti al
curar le ferite, tradotte dall'ottavo libro delle osseruationi del signor
Ludouico Settala, da Alessandro Tadino, Milano: per Gio. Pietro Cardi, Breue
compendio per curare ogni sorte de tumori esterni, & cutanee turpitudini,
raccolto dalle osseruationi fisice, & chirurgice nelli vltimi anni fatte
dal sig. Lodouico Settala medico collegiato ,,, d'Alessandro Tadino medico
collegiato, Milano: per Lodouico Monza: ad instan. di Altobello Pisani, 1646
Ludovici Septalii mediolanensis, Opera de ratione familiae cum
instituendae, tum gubernandae libri V et De ratione status libris VII, Editio
nova, Ulmae: prostat apud Jo. Frid. Gaum, 1755 Note CERL Thesaurus, «Ripa, Giovanni Francesco
(1480-1535)» Giuseppe Ferrario,
Statistica medica di Milano: dal secolo XV fino ai nostri giorni, 2, Milano, Guglielmini e Redaelli, Luigi
Belloni, Carlo Borromeo e la Storia della Medicina, in San Carlo e il suo
tempo: atti del convegno internazionale nel IV centenario della morte (Milano).
Edizioni di Storia e Letteratura, Bartolomeo Corte, Notizie istoriche intorno a
medici scrittori milanesi, Milano 1718,
137-146. Filippo Argelati, Bibliotheca scriptorum mediolanensium seu
acta, et elogia virorum omnigena eruditione illustrium, qui in metropoli
Insubriae, oppidisque circumjacentibus orti sunt, II, Mediolani, Paolo
Sangiorgio, Cenni storici sulle due Pavia e di Milano e notizie intorno ai più
celebri medici, chirurghi e speziali di Milano dal ritorno delle scienze sino
all’anno 1816. Opera postuma, F. Longhena, Milano 1831, 258-272. Salvatore De Renzi, Storia della
medicina italiana, III, Napoli 1845, 509
s., passim. Ercole Ferrario, Intorno alla vita ed alle opere mediche di Ludovico
Settala. Cenni, Milano, Pietro Capparoni, Profili biobibliografici di medici e
naturalisti celebri italiani, Roma, Angelo Francesco La Cava, La peste di S.
Carlo. Note storico mediche sulla peste, Milano, Silvia Rota Ghibaudi, Ricerche
su Ludovico Settala, Firenze 1959 (con elenco delle opere e delle loro edizioni
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Ludovico Settala: un intellettuale barocco fra scienza e arte, su enbach.eu.
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Pietro Capparoni, Ludovico Settala, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giorgio Giacomo Mellerio, Ludovico Settala,
in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
severino: Emanuele Severino (Brescia), filosofo. È considerato da parte della critica come uno
dei più grandi filosofi italiani del '900 e uno dei più grandi filosofi di
tutti i tempi. Il suo pensiero filosofico intende collocarsi oltre tutta la
storia della filosofia occidentale che secondo Severino è permeata dal
Nichilismo. Il padre era un militare di carriera siciliano originario di
Mineo trasferitosi a Brescia, mentre la madre era una bresciana di Bovegno in
alta Val Trompia. Si laureò a Pavia come
alunno dell'Almo Collegio Borromeo, discutendo una tesi su Heidegger e la
metafisica, sotto la supervisione di Bontadini. L'anno successivo ottenne la
libera docenza in filosofia teoretica. Insegnò a Milano. I libri pubblicati in
quegli anni entrarono in forte conflitto con la dottrina ufficiale della Chiesa
cattolica, suscitando vivaci discussioni all'interno dell'Università Cattolica
e nella Congregazione per la dottrina della fede (l'ex Sant'Uffizio). Dopo un
lungo e accurato esame (condotto da Cornelio Fabro) la Chiesa proclamò
ufficialmente nel 1969 l'insanabile opposizione tra il pensiero di Severino e
il cristianesimo. Lasciata l'Università Cattolica, Severino venne
chiamato all'Università Ca' Foscari Venezia, dove fu tra i fondatori della
Facoltà di lettere e filosofia, nella quale hanno insegnato o insegnano alcuni
dei suoi allievi (Umberto Galimberti, Carmelo Vigna, Luigi Ruggiu, Salvatore
Natoli, Italo Valent). Dal 1970 fu Professore di Filosofia teoretica, diresse
l'Istituto di filosofia (diventato poi Dipartimento di Filosofia e Teoria delle
scienze e, oggi, Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali) fino al 1989 e
insegnò anche logica, storia della filosofia moderna e contemporanea e sociologia.
Cominciò una serie di pubblici colloqui col teologo tomista Giuseppe
Barzaghi in cui pareva aprirsi lo spiraglio di una riconsiderazione della
possibilità cristiana. Nel 2005 l'Università Ca' Foscari Venezia lo
proclamò Professore emerito; insegnò Ontologia fondamentale presso la Facoltà
di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano; fu Accademico
dei Lincei e Cavaliere di gran croce, inoltre collaborò per alcuni
decenni[senza fonte] con il Corriere della Sera e dal 1974 per pochi anni[senza
fonte] con Bresciaoggi. Il 23 dicembre
il Consiglio comunale di Bovegno gli conferì la cittadinanza onoraria
con la seguente motivazione: "Discendente per parte di madre da antica
famiglia bovegnese, ha contribuito con la sua opera in maniera rilevante al
pensiero filosofico occidentale contemporaneo, sulle orme degli antichi
filosofi greci. Nella sua autobiografia ha espresso il suo legame con la terra
avìta di Bòvegno che onorata, lo vuole annoverare tra i suoi concittadini più
illustri". È morto a Brescia il 17 gennaio dopo una lunga malattia. Politica e
società Severino ha spesso criticato sia il capitalismo sia il comunismo, fonti
dell'heideggeriana "vita inautentica" in quanto espressioni di
"dominio della tecnica" (come d'altronde il fascismo), ma anche la
sinistra in quanto "non è più socialdemocrazia", rilasciando anche
dichiarazioni sul suo punto di vista sul passato e sull'avvenire dell'Italia:
«Le spiegazioni della crisi del nostro tempo rimangono molto in superficie anche
quando vogliono andare in profondità. Il fenomeno di fondo, che non viene
adeguatamente affrontato, è l'abbandono, nel mondo, dei valori della tradizione
occidentale; e questo mentre le forme della modernità dell'Occidente si
sono affermate dovunque. Un abbandono che si porta via ogni forma di assolutoe
innanzitutto Dio.(...) Muore, dicevo, ogni forma di assolutezza e di
assolutismo, dunque anche quella forma di assoluto che è lo Stato moderno, che
detienedice Weber"il monopolio legittimo della violenza". Questo grande
turbine che si porta via tutte le forme della tradizione è guidato dalla
tecnica modernaed è irresistibile nella misura in cui ascolta la voce che
proviene dal sottosuolo del pensiero filosofico del nostro tempo. Il turbine
travolge anche le strutture statuali. Investe innanzitutto le forme più deboli
di Stato. La trasformazione epocale di cui parlo non è indolore: il vecchio
ordine non intende morire, ma è sempre più incapace di funzionare, soprattutto
in Paesi come l'Italia. E il nuovo ordine non ha ancora preso le redini. È la
fase più pericolosa (non solo per l'Italia).» e criticando
"l'assolutismo cattolico e comunista", oltre che tacciando la
magistratura di "ingenuità", poiché processando una classe politica a
fondo ha rivelato la contiguità anche con la criminalità organizzata, figlia
della guerra fredda e, secondo Severino, impossibile da debellare
integralmente in pochi anni senza debellare lo Stato stesso, causando notevoli
problemi. «L'Italia è uno Stato acerbo. Ha 150 anni su per giù. Ma
soprattutto ha alle proprie spalle una storia di frazionamento
politico-economico-sociale, dove si sono imposte forze che hanno avuto nel
mondo un peso ben maggiore di quello dell'Italia unita.. Sull'evasione fiscale:
Una tara storica, come prima le dicevo. L'evasione fiscale è un furto ai danni
di tutti. Se c'è da costruire una strada io devo metterci anche la parte degli
evasori. Certo, molti artigiani e piccoli imprenditori, se non evadessero,
fallirebbero. Tutti sanno queste cose. Però conosco anche tanti cattolici ai
quali molti uomini di Chiesa facevano capire che se non avessero ritenuto
"giusto" pagare le tasse dello Stato, avrebbero fatto bene a non
pagarle. Questo Papa, da buon pastore, sta cercando di cambiare le cose. Ma non
vorrei che si perdesse di vista che la "corruzione" di fondo è
l'"evasione" del mondo dal passato dell'Occidente.» Critiche
Oltre alle citate critiche cattoliche, Martin Heidegger parlando con Cornelio
Fabro a Roma ebbe a dire a proposito di "Ritornare a
Parmenide rmenide" di Severino: "Severino ha immobilizzato il
mio Dasein!" Già da molto prima prima, alcuni appunti di lavoro
heideggeriani testimoniano come Martin Heidegger seguisse il giovanissimo
Severino (da uno studio di Francesco Alfieri e Friedrich von Herrmann). Severino
è stato criticato dal matematico e logico Piergiorgio Odifreddi, in risposta a
un giudizio critico dello stesso Severino su un'opera di Odifreddi, ovvero
l'introduzione scritta per l'edizione italiana di L'ABC della relatività di
Bertrand Russell, dove venivano citati alcuni filosofi (tra cui Severino
stesso, Heidegger, Croce e Deleuze), secondo Severino in maniera non congrua e
"alla rinfusa"; il matematico ha accusato invece Severino di non
considerare l'importanza della scienza (come già fecero i neoidealisti, come
Croce e Gentile), a differenza di grandi filosofi del passato che avevano
studiato a fondo alcune teorie (facendo l'esempio di Kant, Nietzsche e
Cartesio, matematico lui stesso). Nel dialogo tra Severino e Alessandro Di
Chiara, Oltre l'uomo e oltre Dio (2002) la filosofia della necessità si
contrappone alla filosofia della libertà. Pensiero Nei suoi scritti fa
spesso riferimento a pensatori come Parmenide, Eraclito, Aristotele, Hegel,
Nietzsche, Leopardi, Heidegger e Gentile. Secondo Severino il pensiero di
Giacomo Leopardi, Nietzsche e di Giovanni Gentile è l'apice della follia del
nichilismo. Severino considera questi tre filosofi come i tre più grandi geni
che hanno portato all'estremo la concezione greca del Nulla ovvero l'entrare e
l'uscire degli enti dal Nulla. L'eternità di tutti gli essenti Severino
affronta l'antico problema radicalizzato da Platone e Aristotele e ripreso poi
in epoca moderna da Heidegger: il problema dell'essere. Per Severino, tutte le
filosofie costituitesi precedentemente sono caratterizzate da un errore di
fondo: la fede nel senso greco del divenire. Sin dagli antichi
greci, infatti, un ente (ovvero un qualcosa che è) viene considerato come
proveniente dal nulla, dotato temporaneamente di esistenza e successivamente
ritornante nel nulla. Rifacendosi al pensiero di Parmenide, Severino è
stato definito come fondatore di un neoparmenidismo, di cui sarebbe l'unico
esponente, peraltro criticato in senso anti-metafisico da Gennaro Sasso e da
Mauro Visentin, i quali sostengono, rovesciando la sua tesi, come,
contrariamente all'opinione diffusa, in Parmenide esista invece un deciso
rifiuto della metafisica.. Severino, riflettendo sull'opposizione
assoluta tra essere e non-essere, dato che tra i due termini non vi è nulla in
comune, ritiene evidente che l'essere non può non rimanere costantemente uguale
a se stesso, evitando di rimanere alterato dall'altro da sé. Anzi, essendo
l'essere la totalità di ciò che esiste, non può esserci altro al di fuori di
esso dotato di esistenza (Severino rifiuta, quindi, il concetto di differenza
ontologica così come è stato avanzato da Heidegger). Per Severino, quindi,
tutta la storia della filosofia occidentale è basata sull'errata
convinzione che l'essere possa diventare un nulla, sebbene alcuni filosofi,
come Schopenhauer, abbiano tentato di negare tale assunto. Ma, mentre
Parmenide tentava di risolvere il conflitto tra il divenire e l'immutabilità
dell'essere affermando l'illusorietà del divenire (negando l'esistenza delle
cose del mondo e cadendo quindi in un'aporia), Severino sceglie una via
differente, portando il suo pensiero a delle tesi estreme. Dato che
l'essere è, e non può mai diventare un nulla, «ogni essente è eterno». Ogni
cosa, ogni pensiero, ogni attimo sono eterni. Il divenire temporale non può,
quindi, che rappresentare l'apparire successivo degli eterni stati dell'essere,
così come i fotogrammi di una pellicola si susseguono sino a formare lo
svolgimento completo di un film. Gli enti entrano ed escono da quello che Severino
chiama "cerchio dell'apparire". Ciò significa che, quando un ente
esce dal cerchio dell'apparire, non diviene un nulla, ma si sottrae
semplicemente alla vista: dunque, le cose esistono anche quando scompaiono
ovvero non si vedono ("vedere senza vedere", dice Donato Sperduto in
una tragicommedia sul pensiero severiniano). Riprendendo la metafora di
Plotino, afferma che il divenire degli enti è come lo scorrere degli oggetti
sulla superficie di uno specchio. Le cose, infatti, esistono prima di entrare nel
campo visivo dello specchio e ovviamente continuano ad esistere anche dopo
esserne uscite. Non solo Plotino, ma anche Agostino di Ippona, con un'immagine
simile, definì il tempo come immagine mobile dell'Eterno. Nel pensiero di
Severino, tuttavia, l'eternità non è limitata a un Dio che dà e toglie la vita
agli Enti, facendoli entrare e uscire dallo specchio (senza che nulla esista
prima e dopo), ma si estende anche a tutti gli enti che nel divenire si
manifestano. Dimostrazione dell'eternità di tutti gli essenti Magnifying
glass icon mgx2.svg Divenire § Severino.
La dimostrazione severiniana dell'eternità di tutti gli essenti, si basa
sostanzialmente sul principio di non contraddizione, ma non nella versione che ne
dà Aristotele nel De Interpretatione. In essa anzi "il discorso del
tramonto del senso dell'essere...trova la sua formulazione più rigorosa e più
esplicita". Bisogna invece "ritornare a Parmenide",
correggernecon Platonel'esito aporetico, dimostrando che l'evidenza fenomenica
non è in contrasto col principio di non contraddizione, ma scoprendo anche che
il divenire così come Platone lo pensa, come uscire dal nulla e ritornare nel
nulla, non appare affatto, non è affatto "evidente". Di qui si
potrà proseguire su una via (quella indicata da Parmenide, il "sentiero
del giorno") ben diversa da quella imboccata con Platone dal pensiero
occidentale. Consideriamo la proposizione parmenidea: "...è infatti
l'essere, il nulla non è": tale proposizione esprime l'opposizione
"assoluta" tra i termini "essere" e "non essere";
pertanto ogni essente, in quanto ent-e, è assolutamente opposto al nulla e non
ci può essere né un tempo né uno stato in cui un ente non sia, come pensa
invece il principio di non contraddizione aristotelico: "è necessario che
l'essere sia, quando è, e che il non-essere non sia, quando non è".
Quest'enunciato esprime il pensiero di un tempo, una condizione, in cui l'ente
è nulla, in cui essere=nulla. Questa impossibile ed impensabile contraddizione
costituisce la "follia essenziale" in cui cresce e sta, senza esserne
consapevole, tutto il pensiero occidentale. Infatti il pensiero
occidentale pensa sì, consapevolmente, l'ente come essere, ma insieme come
diveniente (pensa cioè che esca dal nulla e ritorni nel nulla). Ad esso sfugge
invece che ciò equivale a pensare l'ente come nulla; e questo è il nichilismo
più proprio, la follia che si annida nell'inconscio della filosofia, della
scienza e della tecnica. La differenza ontologica Per Heidegger, l'essere
non è un ente tra gli enti. Esso rappresenta piuttosto l'apparire ontologico
degli enti, e per questo motivo viene definito un transcendens rispetto
all'ente. Severino rigetta la concezione heideggeriana, affermando che la
totalità dell'essere è costituita dalla totalità degli enti. La vera differenza
ontologica è quindi per Severino quella che si costituisce tra l'essere
(l'ente) diveniente e quello immutabile. L'essere che appare e scompare
non è lo stesso essere immutabile, ma è anch'esso eterno. Entrambi esistono, ma
in differenti dimensioni. L'essere come fondamento è una struttura eterna e non
soggetta ad alcun mutamento. Tutto è avvolto (fino alla morte) dal
nichilismo Un po' tutti i filosofi che l'hanno avuto sottomano hanno inteso il
nichilismo come allontanamento dalla verità, e l'hanno dunque declinato a
seconda dell'idea di verità a cui stavano pensando. Nella prospettiva
severiniana dell'eternità di tutte le cose, il nichilismo è dunque il credere
che le cose siano mortali, ovvero che l'essere possa non essere,ed uscire e rientrare
nel nulla, ovvero credere nel divenire delle cose. Credere infatti che le cose
escano dal nulla e vi ritornino equivale ad identificare l'essere con il nulla:
quindi si parla di pura "follia". Al di fuori della follia appare
l'eternità di ogni cosa e di ogni evento. Al di fuori del nichilismo il
sopraggiungere dell'ente è il comparire o lo sparire dell'eterno. Il divenire
dell'essere è un'opinione senza verità. L'Occidente non domina il mondo
casualmente o perché ha una possibilità offensiva superiore; ma, al contrario,
ha una possibilità offensiva superiore perché domina il mondo che crede nelle
sue stesse imprescindibili idee guida (scienza, potenza, tecnica, salvezza,
ecc.) e quindi in una cultura che ritiene più avanzatae dove dunque l'avanzamento
non è una virtù morale, ma la capacità di capire e fare più cose per
sopravvivere all'imprevedibilità dell'esistenza. Nichilismo, morte e
destino Severino ritiene che la filosofia abbia sempre cercato riparo contro il
terrore che scaturisce dall'imprevedibilità dell'esistenza perché innanzitutto
si è sempre creduto nell'evidenza del divenire degli enti, del loro uscire dal
nulla e rientrarvi. Anche le grandi forme di epistème come quelle di Aristotele
ed Hegel, che tendono a dare un ordine ed una configurazione prestabiliti
all'esistenza, si muovono sullo stesso terreno. L'intera storia
dell'Occidente è quindi per Severino storia del nichilismo. La radicale
distruzione dell'epistème operata da parte della filosofia contemporanea e la
rapida ascesa della scienza moderna ai vertici del sapere sono conseguenze
inevitabili di questa forma di pensiero (la civiltà della tecnica è, infatti,
la forma estrema di volontà di potenza). Secondo la logica severiniana, tutto
ciò che appare appare in maniera necessaria ed il progressivo manifestarsi
degli eterni non segue, quindi, una sequenza casuale. Ciò significa che la
libertà dell'uomo non esiste, ma appare all'interno di quell'essente (anch'esso
eterno) che è il nichilismo dell'Occidente. Ed è proprio all'interno dell'Occidente
che appare il "mortale" come noi lo conosciamo. Ma, per
Severino, l'Occidente è destinato al tramonto, per fare spazio al Destino della
verità, la verità che testimonia la follia della fede nel divenire. Solo
all'interno del Destino della verità la morte acquista un significato inaudito:
in realtà la morte è la persuasione dell'assentarsi dell'eterno. Dio e il
Superdio Da quanto detto precedentemente appare chiaro come nel pensiero di
Severino non ci sia posto per il Dio comunemente inteso; da qui il contrasto
insanabile con la Chiesa Cattolica. Nel corso della storia della
filosofia, e nel pensiero della Chiesa cattolica in particolare, l'affermazione
dell'esistenza di qualcosa di immutabile (tra cui Dio in tutti i diversi modi
nei quali filosofia e religione lo hanno concepito) è sempre stata fatta
partendo dal presupposto che il divenire non significhi necessariamente la
nascita dal nulla e il tornare nel nulla delle cose che in esso si presentano.
Quest'affermazione è, inoltre, sempre avvenuta con l'intento di risolvere le
varie contraddizioni che quel presupposto implica e di inventare un
"rimedio" per l'"angoscia" che il pensiero
dell'annientamento provoca. Questo genere di immutabilità è, quindi, di segno
diverso da quella che compete agli enti sulla base dell'impossibilità assoluta
che qualcosa si annulli. Per questo motivo è impossibile che esista un Dio come
è stato pensato dalla religione e dalla filosofia. A maggior ragione è
impossibile per Severino che esista il Dio del cristianesimo, che è
tradizionalmente concepito come dotato della capacità di creare gli enti dal
nulla e di mantenerli in esistenza grazie alla sua libera volontà (altrettanto
libero potrebbe essere, per Dio, l'"annichilimento"diverso dal
concetto fisico di annichilazione -, e cioè la volontà di far cessare la durata
della loro esistenza per farli ritornare nel nulla). Essendo ogni ente
eterno, non può esserci né creazione né annientamento, e quindi neanche un Dio
comunemente inteso. Alla luce del "Destino della verità", ogni ente,
anche il più insignificante, acquista un significato inaudito. L'uomo si porta
quindi radicalmente al di là del superuomo e della volontà di potenza: l'uomo è
un "superdio", ben più grande del Dio della tradizione religiosa.
L'inconciliabilità fra la dottrina dell'Essere di Severino e il Tomismo è stata
sostenuta da Cornelio Fabro.[26] Il teologo e frate domenicano tomista
Giuseppe Barzaghi, con cui Severino ha più volte dialogato pubblicamente dal
1995, ha mostrato la possibilità di utilizzare le intuizioni severiniane
sull'eternità dell'essente proprio per affermare l'esistenza di Dio e
ricondurre il pensiero del filosofo all'alveo cristiano da cui si è staccato
(entrambi sono stati alunni, all'Università Cattolica, del filosofo cattolico e
apologeta Gustavo Bontadini). Severino, pur non rivedendo pubblicamente il suo
punto di vista sull'esistenza di Dio, ha apprezzato ed elogiato la proposta di
padre Barzaghi. Necessità dell'oltrepassamento Nessuna nota a piè di
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riferimento. Con il libro La Gloria, Severino giunge, tra le altre cose, alla
dimostrazione necessaria dell'esistenza degli "altri". Quando
Cartesio infatti scopre che la carta vincente della scienza è la conferma delle
ipotesi da parte dell'"esperienza", e cioè da parte della
"presenza certa a me" da parte delle cose, si apre il problema della
fondazione dell'esistenza appunto di altre dimensioni che come la mia accolgono
l'accadere del mondo, ma che a differenza della mia non sono apparenti, non
sono cioè da me "visibili". I fallimenti dei tentativi di soluzione a
tale problema (eminentemente proposti ad opera della fenomenologia, sì che
questo problema fu certamente uno dei più cogenti all'interno del discorso
filosofico di Husserl), a cominciare da quello di Cartesio, si determineranno
essenzialmente per l'assenza del senso autentico dell'essente e del senso
dell'"oltrepassamento"."L'oltrepassamento dell'attualità nella
costellazione infinita di cerchi finiti dell'apparire del Destino" è
necessità dell'esistenza di un altro apparire finito, diverso da quello
attuale. Nella Gloria, Severino perviene alla fondazione del senso
autentico dell'"oltrepassamento", dopo aver stabilito nelle opere
precedenti che il divenire autentico (cioè non nichilistico) non è il crearsi e
l'annullarsi dell'essente, ma il comparire e lo sparire di ciò che è
eterno. Ma è in questa sede innanzitutto fondamentale precisare, a
partire da considerazioni svolte dallo stesso Severino in Destino della
Necessità (1980) che le cose della "terra" (termine con il quale
Severino designa la dimensione degli essenti che via via appaionoe che, per
contro, il nichilismo pensa come fuoriuscenti dal nulla ed al nulla ritornanti)
"incominciano" ad apparire (il loro apparire esce cioè dall'ombra del
non-apparire ed entra nel cerchio dell'apparire). Con "cerchio
dell'apparire" si intende, qui, la totalità degli enti che appaiono: è,
cioè, l'apparire in quanto ha come contenuto tutto ciò che appare (ossia è
l'apparire "trascendentale"); l'apparire delle cose della terra,
quell'apparire incominciante di cui sopra, è, perciò, la relazione tra il
cerchio dell'apparire (l'apparire trascendentale) e una parte del suo
contenuto. È altrettanto fondamentale precisare che l'incominciare della
terra (a sua volta eterna), non aggiunge alcunché al Tutto eternoche è, con
Parmenide, appunto "non incompiuto" [ouk ateleuteton], "non
manchevole" [oulon achineton] (Parmenide, fr. 8, vv 38, 33, 38). Anche
l'incominciante apparire, difatti, è eterno: il suo incominciare è il suo
entrare nel cerchio dell'apparire. Entrandovi, naturalmente, apparema questo
apparire dell'entrare è lo stesso entrare, ossia è quello stesso di cui si dice
che, eterno, entra nel cerchio dell'apparire. E, così come ogni ente, anche
l'appartenenza della terra al cerchio dell'apparire è eterna. L'eterna
appartenenza al cerchio dell'apparire entra nel cerchio eterno dell'apparire.
Entrandovi, appare, e quest'ultimo apparire è lo stesso apparire incominciante
in cui consiste l'incominciante appartenenza della terra al cerchio
dell'apparire. L'apparire incominciante è cioè apparire di sé stesso (e di
tutte le altre cose che incominciano ad apparire), ed è questa autoriflessione
dell'apparire incominciante ciò che entra nel cerchio dell'apparire e
incomincia a far parte del contenuto di questo cerchio. Ma ogni essente
che incomincia ad apparire (ogni oltrepassante) è destinato ad essere
oltrepassato: diventerebbe, altrimenti, condizione indispensabile dell'apparire
degli essenti e quindi originarietà che sarebbe dovuta apparire già da sempre.
Un oltrepassante che sia non oltrepassabile è impossibile, perché altrimenti
esso dovrebbe iniziare ad appartenere allo "Sfondo" (e Severino
intende, con questo termine, quel complesso di significati, o "costanti
persintattiche"costanti sintattiche di ogni significato –, senza i quali
non apparirebbe nulla, motivo per cui non possono non essere sempre presenti.
Tra questi ad esempio vi sono i significati «essere» e «nulla»[27]. Inoltre, la
serie progressiva degli essenti che via via appaiono è necessariamente finita;
infatti, se in direzione del passato fosse estensibile all'infinito, ci
vorrebbe un percorso infinito, e quindi mai concluso, per giungere al momento
attuale. C'è quindi un primo passo compiuto dalla terra. La totalità
attuale di ciò che è destinato ad apparire è, per quanto sopra esposto,
necessariamente oltrepassata. Ma in che senso? Essa non è, difatti,
oltrepassata dall'apparire infinitogiacché l'apparire infinito (l'infinito
oltrepassarsi da parte delle forme proprie dell'apparire finitodove la Gloria
è, per Severino, proprio questo infinito dispiegarsi) non è un oltrepassamento
incominciante, ma è l'oltrepassamento già da sempre ed eternamente compiuto
della totalità del finito. La totalità attuale dell'incominciante è, dunque,
necessariamente oltrepassata da un incomincianteil quale non può apparire
attualmente, ma è tuttavia necessario che appaia (in quanto l'incominciare è
incominciare ad apparire), e che quindi è necessario che appaia sopraggiungendo
in un cerchio diverso, altro, dal cerchio originario dell'apparire. La totalità
simpliciter degli essenti-che-sono-degli-oltrepassanti (la totalità
dell'oltrepassante, cioè, che include come parte la totalità attuale
dell'oltrepassante) non può essere a sua volta oltrepassata, perché ciò che la
oltrepasserebbe sarebbe un oltrepassante non incluso nella totalità
dell'oltrepassante; e se l'oltrepassante (cioè l'incominciante) che oltrepassa
la totalità degli oltrepassanti non fosse a sua volta oltrepassato, esso
sarebbe quel contenuto impossibile che è, appunto (per quanto sopra esposto),
l'incominciante non-oltrepassabile. Poiché la terra oltrepassa anche
l'attualità dell'apparire del cerchio originario, sopraggiungendo in un cerchio
diverso, il contenuto incominciante che appare nel cerchio originario
dell'apparire attuale, è oltrepassato (infinitamente) in due direzioni:
(a) In quanto contenuto incominciante, esso è oltrepassato lungo il
dispiegamento infinito del contenuto attuale del cerchio originario (o, per
utilizzare il lessico severiniano, lungo la Gloria del dispiegamento infinito
della terra che si inoltra nel cerchio originario). Ma non è in quanto tale
contenuto è attuale che esso viene oltrepassato lungo il dispiegamento infinito
del contenuto attuale. (b) In quanto contenuto attuale (in quanto, cioè,
alla sua attualità) il contenuto incominciante è oltrepassato invece in un
altro cerchioe in un'infinità di altri cerchi dell'apparire.
L'oltrepassante-incominciante, qui, entra nell'apparire non attuale. Anche
questa seconda direzione dell'oltrepassamento è un dispiegamento infinito nella
Gloria, ma, appunto, nella gloria che consiste nell'infinito sopraggiungere,
nel cerchio originario, della costellazione infinita degli altri cerchi. La
gloria è l'unità di queste due dimensioni. La dimensione dell'essente,
che incomincia cioè ad apparire nel cerchio originario, è necessariamente
oltrepassata da un'altra dimensione dell'essente (perché l'incominciante non
può incominciare ad appartenere all'essenza dello Sfondo, non incominciante e
non tramontante, del cerchio originario); ma anche l'attualità dell'essente che
incomincia ad apparireossia anche l'apparire (che, in quanto tale, è apparire
attuale) dell'essente che incomincia ad apparireincomincia ad apparire, sì che
(per lo stesso motivo) è necessariamente oltrepassata in un altro cerchio
dell'apparire; e anche la sintesi tra l'attualità del cerchio originario e
l'attualità in sé dell'altro cerchio incomincia ad apparire nel cerchio
originario, quando in esso incomincia ad apparire ciò che ne oltrepassa
l'attualità; e dunque (per lo stesso motivo) tale sintesi è oltrepassata in un
terzo cerchio (e, cioè, l'attualità in sé dell'altro cerchio non è oltrepassata
solo nel cerchio originario, ma necessariamente in un terzo cerchio)e così
all'infinito. In definitiva, l'oltrepassamento dell'attualità di un
cerchio non avviene solo lungo la dimensione "verticale" del singolo
cerchio, ma anche lungoquella "orizzontale" della costellazione di
cerchi del Destino. L'oltrepassamento hegeliano, invece, conserva
"idealmente", cioè astrattamente, ciò che oltrepassa, e non
realmente, determinandone la distruzione. In un contesto siffatto è fondata
l'impossibilità dell'esistenza degli "altri", perché l'altro, che è
il mio oltrepassante, determinerebbe il mio superamento, e mi consegnerebbe ad
una dimensione puramente ideale. Infatti nel sistema hegeliano l'esistenza
degli altri significa l'esistenza di soggetti empirici, sensibili, che è quindi
comunque interna all'esistenza produttiva dell'unico "Io". Il
nichilismo è un essente che incomincia ad apparire, ed è quindi destinato ad
essere oltrepassato. L'essente che oltrepassa il nichilismo è l'essente che
porta al tramonto l'isolamento del senso delle cose dalla verità. Il nichilismo
è, infatti, pensare e vivere le cose come nulla in quanto delle cose non appare
il legame alla struttura originaria della verità, e quindi non appare
l'eternità. L'essente, o la dimensione di essenti, che porta al tramonto
l'isolamento del senso delle cose dalla verità è la "Gloria" (cioè la
manifestazione) della verità stessa. L'ampiezza dell'isolamento non coinvolge solo
il legame tra i singoli essenti e la verità, ma anche il legame tra gli
infiniti cerchi dell'apparire, il loro passato e il futuro del percorso che la
terra è destinata a compiere in essi. Nella Gloria non si è Dio, perché Dio
crea ed annienta le cose anche e soprattutto quando ama; e dunque appartiene al
regno dell'errore perché l'amore è volontà e la volontà è voler alterare il
senso proprio ed eterno, cancellarne l'identità. Dio è, quindi, infinitamente
meno della più umbratile tra le cose vere. Tutto è oltre Dioe oltre ogni forma
di mortalità, compresa la vita umana come credenza nel poter creare e
annientare gli essenti. Opere: “La struttura originaria,” Brescia, La
Scuola; Nuova ediz. riveduta, Introduzione del Milano, Adelphi, Per un
rinnovamento nella interpretazione della filosofia fichtiana, Brescia, La
Scuola, poi in Fondamento della contraddizione, Collezione Scritti di E.
Severino n.5, Milano, Adelphi, Studi di filosofia della prassi, Milano, Vita e
Pensiero, nuova ediz. ampliata,
Collezione Scritti di E. Severino, Milano, Adelphi, Ritornare a Parmenide, in
«Rivista di filosofia neoscolastica», poi in Essenza del nichilismo, Brescia,
Paideia, 13–66; nuova edizione ampliata,
Milano, Adelphi, Ritornare a Parmenide. Poscritto, in «Rivista di filosofia
neoscolastica», poi in Essenza del nichilismo, Brescia, Paideia, nuova edizione
ampliata, Milano, Adelphi, Essenza del nichilismo. Saggi, Brescia, Paideia, II
ediz. ampliata, Milano, Adelphi, Gli abitatori del tempo. Cristianesimo,
marxismo, tecnica, Roma, Armando, nuova
edizione ampliata, Téchne. Le radici della violenza, Milano, Rusconi, II ediz.,
ivi, nuova edizione ampliata, Milano, Rizzoli, Legge e caso, Piccola Biblioteca
n.89, Milano, Adelphi, Destino della necessità. Κατὰ τὸ χρεών, Biblioteca
Filosofica n.1, Milano, Adelphi, A Cesare e a Dio, Milano, Rizzoli, nuova
edizione, La strada, Milano, Rizzoli, nuova edizione, La filosofia antica, Milano, Rizzoli, nuova edizione ampliata, La filosofia
moderna, Milano, Rizzoli, nuova edizione
ampliata, Il parricidio mancato, Collana Saggi n.31, Milano, Adelphi, La
filosofia contemporanea. Da Schopenhauer a Wittgenstein, Milano, Rizzoli, nuova edizione ampliata, Traduzione e
interpretazione dell'«Orestea» di Eschilo, Milano, Rizzoli, La tendenza fondamentale del nostro tempo,
Milano, Adelphi, 1nuova edizione, Il
giogo. Alle origini della ragione: Eschilo, Biblioteca Filosofica n.6, Milano,
Adelphi, Antologia filosofica dai Greci al nostro tempo, Milano, Rizzoli, 1989;
nuova edizione ampliata, La filosofia futura, Milano, Rizzoli, nuova edizione
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Milano, Rizzoli, nuova edizione, Filosofia. Lo sviluppo storico e le fonti, 3
voll., Firenze, Sansoni, Oltre il linguaggio, Collana Saggi. Nuova serie n.7,
Milano, Adelphi, La guerra, Milano, Rizzoli, La bilancia. Pensieri sul nostro
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capitalismo, Milano, Rizzoli, nuova
edizione, Sortite. Piccoli scritti sui rimedi (e la gioia), Milano, Rizzoli, Heidegger e la metafisica, Collezione Scritti
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scontro con la Chiesa, Milano, Rizzoli, 2001. La Gloria. ἄσσα οὐκ ἔλπονται:
risoluzione di «destino della necessità», Biblioteca Filosofica n.20, Milano,
Adelphi, Oltre l'uomo e oltre Dio,con Alessandro Di Chiara (interventi di Carlo
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Il muro di pietra. Sul tramonto della tradizione filosofica, Milano, Rizzoli, 2Ricordati
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Lezioni veneziane, Giorgio Brianese, Giulio Goggi, Ines Testoni, Milano,
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destino, Davide Grossi, con un saggio di Massimo Donà, Milano-Udine, Mimesis, (con due CD audio). L'etica del capitalismo e
lo spirito della tecnica, con un saggio inedito sulla pena di morte, Milano,
AlboVersorio, La ragione, la fede, Milano, AlboVersorio, L'identità del destino. Lezioni veneziane,
Milano, Rizzoli, Il diverso come icona del male, Torino, Bollati Boringhieri, Democrazia, tecnica, capitalismo, Brescia,
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senso della verità, Pisa, Edizioni ETS, La guerra e il mortale, Luca Taddio,
con un saggio di G. Brianese, Milano-Udine, Mimesis, (con due CD audio). Macigni e spirito di
gravità. Riflessione sullo stato attuale del mondo, Milano, Rizzoli, . L'intima
mano, Biblioteca Filosofica n.28, Milano, Adelphi, . Volontà, destino,
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Pensieri sul nostro tempo, Milano, BUR, Del bello, Milano, Mimesis, , La morte e la terra, Biblioteca Filosofica
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al pensiero, Sara Bignotti, Brescia, Editrice La Scuola, . Pòlemos, Nicoletta
Cusano, Milano, Mimesis, Intorno al senso del nulla, Saggi. Nuova serie n.70,
Milano, Adelphi, . L'etica del capitalismo e lo spirito della tecnica. Con un
saggio inedito sulla pena di morte, Milano, AlboVersorio, . La potenza dell'errare.
Sulla storia dell'Occidente, Milano, Rizzoli, . Il morire tra ragione e fede,
con Angelo Scola, Venezia, Marcianum Press, . Parliamo della stessa realtà? Per
un dialogo tra Oriente ed Occidente, con Raimon Panikkar, Milano, Jaca Book, .
Sul divenire. Dialogo con Biagio De Giovanni, Modena, Mucchi, . Piazza della
Loggia. Una strage politica, I. Bertoletti, Brescia, Morcelliana, . In viaggio
con Leopardi. La partita sul destino dell'uomo, Milano, Rizzoli, . Dike,
Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi, . Cervello, mente, anima, Brescia, Morcelliana,
Storia, Gioia, Biblioteca Filosofica n.36, Milano, Adelphi, .Il tramonto della
politica. Considerazioni sul futuro del mondo, Milano, Rizzoli, L'essere e
l'apparire. Una disputa, con Gustavo Bontadini, Brescia, Morcelliana, Dell'essere
e del possibile, con Vincenzo Vitiello, Milano, Mimesis, . Dispute sulla verità e la morte, Milano,
Rizzoli, Lezioni milanesi. Il nichilismo e la terra (-), Nicoletta Cusano,
Milano, Mimesis, Testimoniando il destino, Biblioteca Filosofica n.39, Milano,
Adelphi, Ontologia e violenza. Lezioni
milanesi (-), Nicoletta Cusano, Milano, Mimesis, Curatele Aristotele, I principi del divenire.
Libro primo della Fisica, trad., introd. e commento di E. Severino, Brescia, La
Scuola, Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e
dell'artenastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro ai benemeriti della
scuola della cultura e dell'arte — Roma, Cavaliere di gran croce dell'Ordine al
merito della Repubblica italiananastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di
gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana «Di iniziativa del
Presidente della Repubblica» — Roma, 1º giugno 2001[29] immagine del nastrino
non ancora presente Cittadinanza onoraria del Comune di Bovegno — Bovegno. Mauro
Bonazzi, Morto il filosofo Emanuele Severino, su Corriere della Sera, Addio
Severino, filosofo dell'eternoMorto a Brescia il 17 gennaio, solo il 21 la
notizia, su ansa.it E. Severino, Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia,
Milano, Rizzoli, È morto Emanuele
Severino, l'ultimo filosofo parmenideo, su la Repubblica, 21 gennaio . 4 agosto
. Adriano Scianca, Addio a Emanuele
Severino: ecco chi era il grande filosofo dell'essere, su Il Primato Nazionale,
Bovegno, il filosofo Severino cittadino
onorario, su giornaledibrescia.it «L'esperimento di Barzaghi è importante e va
seguito con attenzione. [...] Immerso nell'alienazione, il cristianesimo è come
una casa invisibile di cui qualcuno dice, indicando un banco di nebbia:
"Là c'è una casa". Che cosa si riuscirebbe a vedere se la nebbia
(l'alienazione) diradasse? Forse una casa. Ma forse nulla. Nel primo caso,
[...] il cristianesimo avrebbe ancora qualcosa da dire, e di grande» (E.
Severino, Nascere. E altri problemi della coscienza religiosa). «Rigoroso fino alla fine. Solo un po' più
triste», in Bresciaoggi, 22 gennaio . 14 luglio . Emanuele Severino, il tributo si celebrerà a
Palazzo Loggia, in Bresciaoggi, 11 febbraio . 14 luglio . Silvia Truzzi, Emanuele
Severino, l'intervista: "Ecco perché la giovane Italia va in malora",
su il Fatto Quotidiano, Piergiorgio Odifreddi, LA SCIENZA SOTTO TIRO, su la
Repubblica.it, Diego Fusaro e Daniele Didero, Emanuele Severino, su
Filosofico.net. Gianluca Miligi et al., "Sguardo su Emanuele
Severino" , su filosofia.it.). il
cui "pensiero poetante", titolo di un saggio di Antonio Prete, che
riprende la metafora di Heidegger su Friedrich Hölderlin, è stato analizzato da
Severino cf. La Guerra , « [...] occorre riconoscere che le sue
posizioni, qualunque sia il giudizio che si pensa di dover dare su di esse, non
sembrano aver avuto, perlomeno fino ad ora, un vero e proprio seguito tra
coloro che si occupano professionalmente di filosofia.» (Cfr. Mauro Visentin,
Il neoparmenidismo italiano. Le premesse storiche e filosofiche, Napoli,
Bibliopolis) Neoparmenidismo, su filosofia.it. «Se noi potessimo mai non essere, già adesso
non saremmo. La prova più certa della nostra immortalità è il fatto che noi ora
siamo. Perché ciò dimostra che su di noi il tempo non può nulla: in quanto è
già trascorso un tempo infinito. È del tutto impensabile che qualcosa che è
esistito una volta, per un momento, con tutta la forza della realtà, dopo un
tempo infinito possa non esistere: la contraddizione è troppo grossa. Su questo
si fondano la dottrina cristiana del ritorno di tutte le cose, quella induista
della creazione del mondoche si ripete continuamente a opera di Brahma, e dogmi
analoghi di Platone e altri filosofi.» (A. Schopenhauer) D. Sperduto, Vedere senza vedere ovvero
Il crepuscolo della morte, Prefazione di E. Severino, Schena ed., Fasano di
Brindisi 2007. E. Severino,
"Ritornare a Parmenide", in Essenza del Nichilismo, Brescia, DK
B 6, 1-2 Aristotele, Liber de
Interpretatione, 19 a 23
"...essenza del nichilismo" ... follia estrema ed estremamente
nascosta: la persuasione che gli esse nti, in quanto tali, escano dal loro
non essere e vi ritornino: la persuasione che vi sia un tempo in cui l'essente
(prima di essere e dopo il suo essere) sia nulla, che il non niente sia niente:
la persuasione che è il culmine in cui si mantiene l'intera storia
dell'Occidente."La morte e la terra21 E. Severino, Pensieri sul
cristianesimo, su books.google.it. 7 settembre
(archiviato il 17 settembre ). E.
Severino, Destino della necessità, Milano, Adelphi, 198093. L'alienazione dell'Occidente: osservazioni
sul pensiero di Emanuele Severino, ed. Quadrivium, Genova, Cfr. Severino E., La
struttura originaria, Milano, Adelphi, 1981,
444–449. Sito web del Quirinale:
dettaglio decorato. Sito web del
Quirinale: dettaglio decorato. Amadori
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A., Verità, nichilismo, prassi. Saggio sul pensiero di Emanuele Severino, Roma,
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Poligrafo, Crapanzano G.E., L'immutabilità del diveniente. Saggio sul pensiero
di Emanuele Severino, Roma, Gruppo Albatros Il Filo, 2008. Cusano N., Capire
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Milano, Mimesis Edizioni, . Cusano N., Emanuele Severino. Oltre il nichilismo,
Prefazione di Emanuele Severino, Brescia, Morcelliana, . Dal Sasso A., Dal
divenire all'oltrepassare. La differenza ontologica nel pensiero di Emanuele
Severino, Prefazione di Giorgio Brianese, Roma, Aracne, Dal Sasso A., Creatio
ex nihilo. Le origini del pensiero di Emanuele Severino tra attualismo e
metafisica, Prefazione di Emanuele Severino, Milano, Mimesis Edizioni, . De
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Scientifica, . De Paoli M., Furor Logicus. L'eternità nel pensiero di Emanuele
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del Sole, nuova edizione ampliata: Milano, Mimesis Edizioni, Fabro C.,
L'alienazione dell'Occidente. Osservazioni sul pensiero di Emanuele Severino,
Genova, Quadrivium, Goggi G., Al cuore del destino. Scritti sul pensiero di
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ovvero Il crepuscolo della morte, Prefazione di E. Severino, Fasano di Brindisi
(BR), Schena Editore, 2007. Sperduto D., Maestri futili? Gabriele D'Annunzio,
Carlo Levi, Cesare Pavese, Emanuele Severino, Roma, Aracne, Sperduto D., Il
divenire dell'eterno. Su Emanuele Severino (e Dante), Prefazione di L.
Messinese, Roma, Aracne, . Testoni I. , Emanuele Severino, La follia dell'angelo,
Milano, Mimesis, Tarca L.V., Verità, alienazione e metafisica. Rilettura
critica della proposta filosofica di Emanuele Severino, Treviso, Mevio
Washington, Valent I. , Cura e salvezza. Saggi dedicati a Emanuele Severino,
Bergamo, Moretti & Vitali, 2000. Visentin M., Tra struttura e problema.
Note intorno al pensiero di E. Severino, Venezia, Marsilio [ora in Il
neoparmenidismo italiano, II, Dal neoidealismo al neoparmenidismo, Napoli,
Bibliopolis, Metafisica Ontologia Episteme Nichilismo Giacomo Leopardi
Friedrich Nietzsche Parmenide Martin Heidegger Rasoio di Occam Italo Valent
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Ursini.
sforza: Widar Cesarini Sforza (Forlì), filosofo. Direttore
del Resto del Carlino e docente alla SapienzaRoma dal 1939, fu autore di
importanti opere di filosofia del diritto quali Il concetto, il diritto e la giurisprudenza
naturale, Filosofia del diritto e filosofia della storia, Idee e problemi di
filosofia giuridica, ecc. Widar Cesarini Sforza, in Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. PredecessoreDirettore de il Resto del
CarlinoSuccessore Tomaso Monicelli
sgalambro: important Italian philosopherManlio
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Sgalambro Manlio Sgalambro.jpg Nazionalità Italia Italia Genere Musica d'autore
Pop Periodo di attività musicale 1993 Album pubblicati 1 Sito ufficiale
Modifica dati su Wikidata Manuale Manlio Sgalambro (Lentini, 9 dicembre
1924Catania, 6 marzo ) filosofo, scrittore, poeta, aforista, paroliere e
cantautore italiano. La sua opera filosofica è stata definita di
orientamento nichilista, definizione spesso respinta da Sgalambro stesso, ma
talvolta anche accettata, e si può piuttosto definire un'originale sintesi tra
la filosofia della vita di Arthur Schopenhauer e il materialismo e pessimismo
di Giuseppe Rensi, con le influenze dell'esistenzialismo sui generis di Emil
Cioran, di alcuni temi della scolastica e della "teologia empia" e
naturalistica di Vanini e Mauthner. Sgalambro è noto anche per la
collaborazione con il cantautore Franco Battiato, delle cui canzoni fu autore
dei testi tra il 1995 e il . Manlio Sgalambro nacque a Lentini nel 1924,
da una famiglia benestante (il padre era un farmacista). Ha sempre osservato un
riserbo quasi "conventuale" nella sua vita privata, fornendo tuttavia
alcuni elementi biografici nelle sue interviste o presentazioni. Dopo
l'infanzia trascorsa a Lentini, si trasferisce a Catania, dove rimane per tutta
la vita. Nel 1947 si iscrive all'Università degli studi di Catania:
«All'università decisi di non iscrivermi in Filosofia perché la coltivavo già
autonomamente. Mi piaceva il diritto penale e per questo scelsi la facoltà di
Giurisprudenza.» (Manlio Sgalambro) Inoltre non si trovava d'accordo con
la cultura filosofica dominante allora nelle accademie, troppo legata
all'idealismo di Croce e Gentile: «Erano loro che occupavano tutto lo
spazio culturale, ma io non mi ritrovavo affatto in quei sistemi complessi e
completi, dove ogni cosa era già stata incasellata. Per me pensare era una
destructio piuttosto che una costructio: ero uno che notava le rovine,
piuttosto che la bellezza. Questo era un po' scomodo, e non certamente
accademico.» Nel 1963, a 39 anni, si sposa, e dal matrimonio nascono
cinque figli (Elena, Simona, Riccardo, Irene, Elisa). Il reddito che proveniva
da un agrumeto (lasciatogli in eredità dal padre) non basta più, così sceglie
di integrarlo compilando tesi di laurea e facendo supplenze nelle scuole:
«Il matrimonio è un momento, come dice Hegel, in cui «la realtà determinata
entra in un individuo». Dunque il matrimonio non coincide semplicemente con
l'amore per una persona, ma con la durata: ecco dove sta l'essenza, quasi
teologica, del matrimonio.» (Manlio Sgalambro) Muore il 6 marzo a Catania, all'età di 89 anni. Sgalambro era
dichiaratamente ateo anche se credeva nella reincarnazione, come ricordato
anche dall'amico Battiato, e ha avuto un funerale religioso. Da molti anni
viveva da solo nella sua casa catanese. La produzione filosofica «Che non
ci sia niente di peggiore del mondo, non si deve dimostrare.» (La conoscenza
del peggio) Sgalambro ripeteva spesso che non possedeva titoli né lauree «per i
biglietti da visita» e quindi come sia riuscito a diventare uno scrittore di
filosofiai cui libri sono tradotti in francese, tedesco e spagnoloera «un
mistero» che egli stesso stentava a spiegarsi. Il suo primo contatto con
un'opera filosofica avviene nel periodo dell'adolescenza, quando legge La
formazione naturale nel fatto del sistema solare di Roberto Ardigò nella
biblioteca di un parente. Seguono i Principi di psicologia di William James, le
Ricerche logiche di Husserl (un'opera che ritornerà più volte nella sua
riflessione), e, soprattutto, Il mondo come volontà e rappresentazione di
Schopenhauer. L'incontro con il pensatore tedesco spinge Sgalambro ad un
interesse sempre crescente per la cultura nordeuropea, che sfocerà poi nella
scoperta di Kant, Hegel, Friedrich Nietzsche, e Kierkegaard, a cui dedica i
suoi primi saggi. Nel 1945 inizia a collaborare alla rivista catanese
Prisma (diretta da Leonardo Grassi): il primo scritto è Paralipomeni
all'irrazionalismo, dove, influenzato da Rensi, sviluppa un attacco
all'idealismo crociano allora in piena egemonia. Egli si ispira anche
all'ironia di Karl Kraus di cui ama lo stile aforistico ("Se Karl Kraus
avesse scritto Il Capitale lo avrebbe fatto in tre righe"). Dal
1959, assieme a Sebastiano Addamo, scrive per il periodico Incidenze (fondato
da Antonio Corsano): il primo articolo è Crepuscolo e notte (che viene
ristampato nel ), un breve saggio di "esistenzialismo negativo",
ispirato ad Heidegger e Céline. Frattanto inizia a scrivere anche per la
rivista Tempo presente (diretta da Nicola Chiaromonte ed Ignazio Silone).
Alla fine degli anni settanta decide di organizzare il suo pensiero in un'opera
sistematica: a 55 anni Sgalambro manda il suo primo libro, La morte del sole,
con un biglietto di due righe alla casa editrice Adelphi; al proposito
dirà: «E lì è rimasto due anni. Ma siccome io sono fatto in questo modo,
non ho chiesto niente. Poi è arrivata una telefonata a mia moglie. Mi
chiedevano di andare a Milano, per prendere contatto con l'editore. Roberto
Calasso mi disse che quel libro non era maturo, era marcio: ed era esattamente
così”.» (Manlio Sgalambro) Negli anni seguenti, con lo stesso editore,
pubblica anche: Trattato dell'empietà (1987), Anatol (1990), Del pensare breve
(1991), Dialogo teologico (1993), Dell'indifferenza in materia di società
(1994), La consolazione (1995), Trattato dell'età (1999), De mundo pessimo
(2004), La conoscenza del peggio (2007), Del delitto (2009) e Della misantropia
(). Spesso viene avvicinato alla corrente nichilista; talvolta ha
respinto la definizione, mentre altre volte l'ha accettata, nel senso di un
nichilismo attivo e demolitore, non passivo e chiuso: «Indubbiamente questa
visione è nell'intimo di me stesso. Per un nichilista le coseil Papa,
Mussolini, un vaso di terracottasi equivalgono. Questo non significa che non si
ha il senso di ciò che vale: significa piuttosto che si prova a romperlo come
si può, per esempio con il martello del pensare.» Intanto, all'inizio
degli anni novanta, con alcuni amici avvia una piccola attività editoriale a
Catania: nasce così la De Martinis. All'interno di questa casa editrice,
Sgalambro si occupa di saggistica, pubblicando un paio di propri testi (Dialogo
sul comunismo e Contro la musica) e ristampando alcune opere di Giulio Cesare
Vanini e di Julien Benda. Nel 2005 suscita polemiche una sua intervista a
Francesco Battistini sulla mafia, dove critica anche Leonardo Sciascia e il
mito dell'antimafia "militante" (che tra l'altro fu criticata da
Sciascia stesso negli ultimi anni di vita): «L'immagine della Sicilia… C'è,
come no? Ma cercarla in faccende di Cuffaro e di Gabanelli è come cercare un
tesoro fra le spine dei fichi d'India. Cercare che cosa, poi? La griglia
mafiosa è una gabbia. È chiaro che ha ragione la Gabanelli e che Cuffaro vuole
cancellare a suo modo la mafia, con un tratto di parole. Ma contesto che la
mafiosità sia una chiave di conoscenza... Non cambio idea. La mafia è un
concetto astratto. E gli astratti si distruggono con la logica, non con la
polizia... La polizia può arrestare la mafia. Eliminarla, mai. Quello che
importa è la Mafia maiuscola, concetto generale e perciò indistruttibile... La
mafia in sé non mi fa venire in mente nulla. Come la patria, i morti di
Solferino. Cose vetuste. Leonardo Sciascia era lo scrittore sociale, un maestro
di scuola che voleva insegnarci le buone maniere sociali. Ma rivisitarlo oggi è
come rileggere Silvio Pellico. La sua funzione si è esaurita... La mafia è
l'unica economia reale di quest'isola... Ci sono fenomeni della storia,
ricchezze che non si possono fare con le mani pulite. Qui la ricchezza è sempre
stata fondiaria, senza investimenti... La ricchezza è per sua natura sporca...
Basta col gioco della spartizione: è mafioso o no? Domande da periodo di lotte
religiose: è luterano o cattolico? In Sicilia sono arrivati anche i laici, per
fortuna.» Definisce poi Claudio Fava "quel piagnone",
affermando che "i famosi Cavalieri", soprannome dato dal padre di
Fava a quattro imprenditori catanesi considerati collusi con Cosa nostra,
«erano l'unica economia possibile» per la città. Nel è tornato in maniera sarcastica
sull'argomento: «Considero la Sicilia come un fenomeno estetico e non ne
cambierei nulla. In questo senso potrei dire che mi considero un mafioso…». Già
nel 1995 era stato attaccato dal sociologo Franco Ferrarotti che lo definì
"un neo-reazionario" e di "intolleranza aristocratica e silenzio
sulla mafia". Alla sua isola ha dedicato l'opera Teoria della
Sicilia: «Là dove domina l'elemento insulare è impossibile salvarsi. Ogni
isola attende impaziente di inabissarsi. Una teoria dell'isola è segnata da
questa certezza. Un'isola può sempre sparire. Entità talattica, essa si
sorregge sui flutti, sull'instabile. Per ogni isola vale la metafora della
nave: vi incombe il naufragio.» Oltre ai saggi per Adelphi, ha pubblicato
per Bompiani Teoria della canzone (1997), Variazioni e capricci morali () e due
raccolte di poesie, Nietzsche (frammenti di una biografia per versi e voce)
(1998) e Marcisce anche il pensiero (frammenti di un poema) (), dedicato
all'ultima mezz'ora di vita di Immanuel Kant, nonché L'impiegato di Filosofia
(), nel quale ironicamente afferma di aver rinunciato alla filosofia ritrovandosi
più filosofo che mai, curioso libretto stampato in un museo della stampa con
caratteri mobili, edito da La Pietra Infinita. Infine, ha pubblicato con
Il Girasole: Del metodo ipocondriaco (1989), Quaternario (racconto parigino)
(2006), la raccolta di poesie Nell'anno della pecora di ferro (), la pièce
teatrale L'illusion comique () e Dal ciclo della vita (, postumo). Le
collaborazioni con Franco Battiato ed altri «La matematica è il tribunale del
mondo. Il numero è ordine e disciplina. Ciò con cui si indica lo scopo della
scienza, tradisce col termine la cosa. L'ordine, già il termine ha qualcosa di
bieco, che sa di polizia, adombra negli adepti le forze dell'ordine cosmico, i
riti cosmici. L'autentico sentimento scientifico è impotente davanti all'universo.
L'inflazione che caccia nelle mani dell'individuo, in un gesto solo, miliardi
di marchi, lasciandolo più miserabile di prima, dimostra punto per punto che il
denaro è un'allucinazione collettiva» (M. Sgalambro, La morte del sole,
frasi recitate da Franco Battiato in 23 coppie di cromosomi) Nel 1993 avviene
l'incontro con Franco Battiato, del tutto casualmente, perché presentavano
insieme un volume di poesie dell'amico comune Angelo Scandurra. Dopo pochi
giorni da quell'incontro, Battiato gli chiede un appuntamento per proporgli di
scrivere il libretto dell'opera Il cavaliere dell'intelletto: «Un anno fa
non ci conoscevamo neppure. Da allora non abbiamo fatto altro che lavorare
insieme. Lui sarà anche un filosofo, ma per me è un talento che mi stimola e
arricchisce. Mi sembra impossibile, oggi, tornare a scrivere i testi delle mie
cose.» (Franco Battiato) «In mezzo a tutto questo, mi capitò tra i piedi
Franco Battiato. Per un certo verso direi che è stato uno di quegli incontri
che ti portano fuori strada, ma questa è una percezione che ho avuto molto
tardi. A volte trovo che è come se tutto quel tempo io lo abbia perduto: la
questione starebbe nel vedere se sia possibile recuperarlo…»
Sgalambro a Conegliano nel 2007 Sgalambro accetta e risponde ironicamente
all'invito di Battiato chiedendogli di scrivere insieme un disco di musica pop.
Tra Sgalambro e Battiato si sviluppa un sodalizio artistico e umano, anche se
non sempre facile: «Anche perché io non sono un grande seguace dell'amicizia.
Con Battiato abbiamo avuto lunghe liti, che duravano parecchio. Poi uno dei
due, in genere lui, telefonava e il rapporto riprendeva. Tutti i litigi erano
per un rigo da cambiare in una canzone: io non accettavo le esigenze della
musica e per lui questo era costoso. Il suo impegno in politica? Non ho mai
capito come si sia potuto lasciare tentare, tutti i giorni ho cercato di
convincerlo a levarsi, solo ora per fortuna sta tornando in se stesso.» A
partire dal 1994 collabora a quasi tutti i progetti di Franco Battiato, per cui
scrive: i libretti delle opere Il cavaliere dell'intelletto (su Federico
II di Svevia), Socrate impazzito, Gli Schopenhauer e Telesio (su Bernardino
Telesio), e del balletto Campi magnetici; i testi di svariati album musicali
(L'ombrello e la macchina da cucire, L'imboscata, Gommalacca, Ferro battuto,
Dieci stratagemmi, Il vuoto, Apriti sesamo) e vari inediti, presenti ad esempio
nell'album Fleurs; le sceneggiature dei film Perduto amor, Musikanten (sugli
ultimi anni della vita di Beethoven) e Niente è come sembra, del programma
televisivo Bitte, keine Réclame e del documentario Auguri don Gesualdo (su
Gesualdo Bufalino). Benché affermasse che la canzone era per lui "una
distrazione", dal 1998 scrive testi di canzoni anche per Patty Pravo
(Emma), Alice (Come un sigillo, Eri con me), Fiorella Mannoia (Il movimento del
dare), Carmen Consoli (Marie ti amiamo), Milva (Non conosco nessun Patrizio),
Adriano Celentano (Facciamo finta che sia vero) e Ornella Vanoni
(Aurora). Dopo essere intervenuto anche ai concerti di Battiato, nel 2000
si cimenta lui stesso con la musica e pubblica il singolo La mer, contenente la
cover del celebre brano di Charles Trenet. In una rappresentazione de
L'histoire du soldat di Igor' Stravinskij (2000) interpretò la voce narrante,
con Franco Battiato nella parte del soldato e Giovanni Lindo Ferretti in quella
del Diavolo. Nel 2001 pubblica l'album Fun club, prodotto da Franco
Battiato e Saro Cosentino, che contiene «evergreen» del calibro di La vie en
rose (di Édith Piaf) e Moon river (di Henry Mancini), ma anche l'ironica Me
gustas tú (di Manu Chao): «Un alleggerimento che considero doveroso.
Dobbiamo sgravare la gente dal peso del vivere, invece che dare pane e
brioches. Questa volta, mi sono sgravato anch'io. E poi, la musica leggera ha
questo di bello, che in tre minuti si può dire quanto in un libro di 400 pagine
o in un'opera completa a teatro.» (Manlio Sgalambro) Nel 2007 dà la voce
all'aereo DC-9 Itavia nell'opera Ultimo volo di Pippo Pollina sulla strage di
Ustica. Nel 2009 pubblica il singolo La canzone della galassia,
contenente la cover di The galaxy song (tratto da Il senso della vita dei Monty
Python), cantata assieme al gruppo sardo-inglese Mab. Nel 2009 torna dopo
40 anni ad esibirsi in un pub di Catania, assieme al filosofo Salvatore Massimo
Fazio e il curatore del suo sito Alessio Cantarella. Finita l'esibizione alla
presenza di Pippo Russo e Franco Battiato, seguì il concerto delle Lilies on
Mars, band formata da due ex componenti del gruppo MAB (Lisa Masia e Marina
Cristofalo), band che si era esibita con Battiato nella canzone Il vuoto, su
testo di Sgalambro. Partecipazioni dirette alle opere di Battiato Canzoni
In Di passaggio (da L'imboscata) recita in greco antico: (EL) «Ταὐτὸ τενὶ ζῶν
καὶ τεθνηκὸς καὶ ἐγρηγορὸς καὶ καθεῦδον καὶ νέον καὶ γηραιόν' τάδε γὰρ
μεταπεσόντα ἐκεινά ἐστι κἀκεῖνα πάλιν ταῦτα.» «La stessa cosa sono il
vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi
infatti mutando son quelli e quelli mutando son questi.» (Eraclito,
Frammenti, 88) Interviene recitando in Shakleton, dall'album Gommalacca. In
Invito al viaggio (da Fleurs) recita: «Ti invito al viaggio in quel paese che
ti somiglia tanto. I soli languidi dei suoi cieli annebbiati hanno per il mio
spirito l'incanto dei tuoi occhi quando brillano offuscati. Laggiù, tutto è
ordine e bellezza, calma e voluttà; il mondo s'addormenta in una calda luce di
giacinto e d'oro; dormono pigramente i vascelli vagabondi, arrivati da ogni
confine per soddisfare i tuoi desideri.» (Charles Baudelaire, I fiori del
male) In Corpi in movimento (da Campi magnetici) recita: «Se io, come miei punti,
penso quali si vogliano sistemi di cose, per esempio, il sistema: amore, legge,
spazzacamino… e poi non faccio altro che assumere tutti i miei assiomi come
relazioni tra tali cose, allora le mie proposizioni, per esempio, il teorema di
Pitagora, valgono anche per queste cose.» (David Hilbert, Lettera a Frege
del 29 dicembre 1899) Dal 1996 partecipa a quasi tutti i tour di Franco
Battiato: Nel tour del '97 recita versi in latino sul brano di Battiato
Areknames (da Pollution), ribattezzato per l'occasione Canzone chimica:
«Bacterium flourescens liquefaciens, Bacterium histolyticum, Bacterium
mesentericum, Bacterium sporagenes, Bacterium putrificus…» (Manlio
Sgalambro, Canzone chimica) Nel tour del 2002 esegue una nuova versionecon il
testo riadattato in chiave filosoficadi Accetta il consiglio (tratto da The Big
Kahuna), che viene pubblicato l'anno dopo nell'album live Last Summer Dance.
Nel 2004 canta due brevi strofe dei suoi versi nella canzone La porta dello
spavento supremo, dall'album Dieci stratagemmi di Battiato: «Quello che c'è /
ciò che verrà / ciò che siamo stati / e comunque andrà /tutto si dissolverà
(...) Sulle scogliere fissavo il mare / che biancheggiava nell'oscurità / tutto
si dissolverà.» (La porta dello spavento supremo/Il sogno, testo di
Manlio Sgalambro e Carlotta Wieck) Opere Libri Manlio Sgalambro, La morte del
sole, Milano, Adelphi, 1982 Manlio Sgalambro, Trattato dell'empietà, Milano,
Adelphi, Manlio Sgalambro, Vom Tod der Sonne (edizione tedesca de La morte del
sole), traduzione di Dora Winkler, Monaco (Germania), Hanser, 1988 Manlio
Sgalambro, Del metodo ipocondriaco, Valverde (CT), Il Girasole, 1989 Manlio
Sgalambro, Anatol, Milano, Adelphi, Manlio Sgalambro, Anatol (edizione
francese), traduzione di Dominique Bouveret, Saulxures (Francia), Circé, 1991
Manlio Sgalambro, Del pensare breve, Milano, Adelphi, Manlio Sgalambro, Dialogo
teologico, Milano, Adelphi, 1993 Manlio Sgalambro, Contro la musica.
(Sull'ethos dell'ascolto), Catania, De Martinis, 1994 Manlio Sgalambro, Dell'indifferenza
in materia di società, Milano, Adelphi, 1994 Manlio Sgalambro, De la pensée
brève (edizione francese di Del pensare breve), traduzione di Carole Walter,
Saulxures (Francia), Circé, 1995 Manlio Sgalambro, Dialogo sul comunismo,
Catania, De Martinis, Manlio Sgalambro, La consolazione, Milano, Adelphi, 1995
Manlio Sgalambro, La morte del sole (seconda edizione), Milano, Adelphi, 1996
Manlio Sgalambro, Teoria della canzone, Milano, Bompiani, 1997 Manlio
Sgalambro-Jacques Robaud, Deux dialogues philosophiques (contiene l'edizione
francese di Dialogo teologico), traduzione di Carole Walter, Saulxures
(Francia), Circé, Manlio Sgalambro, Nietzsche. (Frammenti di una biografia per
versi e voce), Bompiani, Milano, 1998 Manlio Sgalambro, Poesie (edizione a tiratura
limitata di 72 esemplari numerati), Antonio Contiero, Reggio Emilia, La Pietra
Infinita, 1999 Manlio Sgalambro, Trattato dell'età. Una lezione di metafisica,
Milano, Adelphi, Manlio Sgalambro-Davide Benati, Segrete (edizione a tiratura
limitata di 30 esemplari numerati), Antonio Contiero, Reggio Emilia, La Pietra
Infinita, 2001 Manlio Sgalambro, Traité de l'âge. Une leçon de métaphysique
(edizione francese di Trattato dell'età), traduzione di Dominique Férault,
Parigi (Francia), Payot, 2001 Manlio Sgalambro, Opus postumissimum. (Frammento
di un poema), Silvia BatistiRossella Lisi, Firenze, Giubbe Rosse, 2002 Manlio
Sgalambro, Dolore e poesia (edizione a tiratura limitata di 32 esemplari
numerati), Antonio Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita, 2003 Manlio
Sgalambro, De mundo pessimo (contiene Contro la musica. (Sull'ethos
dell'ascolto) e Dialogo sul comunismo), Milano, Adelphi, 2004 Manlio Sgalambro,
Trattato dell'empietà (seconda edizione), Milano, Adelphi, 2005 Manlio
Sgalambro, Quaternario. Racconto parigino, Valverde (CT), Il Girasole, 2006
Manlio Sgalambro, Nietzsche. Frammenti di una biografia per versi e voce
(seconda edizione), Milano, Bompiani, Manlio Sgalambro, La conoscenza del
peggio, Milano, Adelphi, 2007 Manlio Sgalambro, Del delitto, Milano, Adelphi,
2009 Manlio Sgalambro, La consolación (edizione spagnola de La consolazione),
traduzione di Martín López-Vega, Valencia (Spagna), Pre-Textos, 2009 Manlio
Sgalambro, L'impiegato di filosofia (edizione a tiratura limitata di 100
esemplari numerati), Reggio Emilia, La Pietra Infinita, Manlio Sgalambro, Crepuscolo e notte,
Messina, Mesogea, Manlio Sgalambro,
Nell'anno della pecora di ferro, Valverde (CT), Il Girasole, Manlio Sgalambro, Marcisce anche il pensiero.
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Sgalambro, Della misantropia, Milano, Adelphi,
Manlio Sgalambro, Teoria della canzone (seconda edizione con una nuova
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Manlio Sgalambro, L'illusion comique, Valverde (CT), Il Girasole, Manlio Sgalambro, Variazioni e capricci
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Sgalambro, Dal ciclo della vita, Valverde (CT), Il Girasole, (postumo) Saggi Manlio Sgalambro, Devozione
allo spazio in Giuseppe Raciti, Dello spazio, Catania, CUECM, Manlio Sgalambro,
Sciascia e le aporie del fare in Sciascia. Scrittura e verità, Palermo,
Flaccovio, Manlio Sgalambro, Carpe veritatem in Arthur Schopenhauer, La
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v. 1, Catania, Maimone, 29–31 Manlio
Sgalambro, Gentile o del pensare in Antonio Di Grado, Grandi siciliani. Tre
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spazio in Insulæ. L'arte dell'esilio, Genova, Costa & Nolan, Manlio
Sgalambro, Vanini e l'empietà in Giulio Cesare Vanini, Confutazione delle
religioni, Catania, De Martinis, Manlio Sgalambro, Breve introduzione in
Giuseppe Tornatore, Una pura formalità, Catania, De Martinis, Manlio Sgalambro,
Piccola glossa al “Trattato della concupiscenza” in Jacques Bénigne Bossuet,
Trattato della concupiscenza, Catania, De Martinis, Manlio Sgalambro,
postfazione in Ernst JüngerKlaus Ulrich Leistikov, Mantrana. Un gioco, Catania,
De Martinis, 1995, quarta di copertina Manlio Sgalambro, Gentile e il tedio del
pensare in Giovanni Gentile, L'atto del pensare come atto puro, Catania, De
Martinis, Manlio Sgalambro, Il bene non può fondarsi su un Dio omicida in Carlo
Maria MartiniUmberto Eco, In cosa crede chi non crede?, Roma, Liberal, Manlio
Sgalambro, Sciascia e le aporie del fare in Leonardo Sciascia. La memoria, il
futuro, Matteo Collura, Milano, Bompiani, 1998,
69–72 Manlio Sgalambro, prefazione in Tommaso Ottonieri, Elegia
sanremese, Milano, Bompiani, 1998V Manlio Sgalambro, La morale di un cavallo in
Ottavio Cappellani, La morale del cavallo, Scordia (CT), Nadir, Manlio
Sgalambro, Prefazione in Maurizio Cosentino, I sistemi morali, Catania, Boemi,
19987 Manlio Sgalambro, postfazione in Domenico Trischitta, Daniela Rocca. Il
miraggio in celluloide, Catania, Boemi, Manlio Sgalambro, Piccole note in
margine a Salvo Basso in Salvo Basso, Dui, Catania, Prova d'Autore, 19995 Manlio
Sgalambro, Il fabbricante di chiavi in Mariacatena De LeoLuigi Ingaliso,
Nell'antro del filosofo. Dialogo con Manlio Sgalambro, Catania, Prova d'Autore,
Manlio Sgalambro, postfazione in Alessandro Pumo, Il destino del corpo. L'uomo
e le nuove frontiere della scienza medica, Palermo, Nuova Ipsa, Manlio
Sgalambro, Sodalizio in Franco Battiato. L'alba dentro l'imbrunire (allegato a
Franco Battiato. Parole e canzoni), Vincenzo Mollica, Torino, Einaudi, 2004V
Manlio Sgalambro, Del vecchio in Riccardo MondoLuigi Turinese, Caro Hillman…
Venticinque scambi epistolari con James Hillman, Torino, Bollati Boringhieri, Manlio
Sgalambro, prefazione in Anna Vasta, I malnati, Porretta Terme (BO), I Quaderni
del Battello Ebbro, seconda di copertina Manlio Sgalambro, Lettera a un giovane
poeta in Luca Farruggio, Bugie estatiche, Roma, Il Filo, Manlio Sgalambro,
prefazione in Toni Contiero, Galleria Buenos Aires, Reggio Emilia, Aliberti, Manlio
Sgalambro, Teoria della Sicilia in Guido Guidi Guerrera, Battiato. Another link,
Baiso (RE), Verdechiaro, Manlio Sgalambro, Nota introduttiva in Michele
Falzone, Franco Battiato. La Sicilia che profuma d'oriente, Palermo, Flaccovio,
Manlio Sgalambro, Una nota in Franco
Battiato, In fondo sono contento di aver fatto la mia conoscenza (allegato a
Niente è come sembra), Milano, Bompiani, Manlio Sgalambro, Nadia Boulanger e
l'ethos della musica in Bruno Monsaingeon, Incontro con Nadia Boulanger,
Palermo, rueBallu, Manlio Sgalambro, prefazione in Arnold de Vos, Il giardino
persiano, Fanna (PN), Samuele, Manlio Sgalambro, prefazione in Angelo
Scandurra, Quadreria dei poeti passanti, Milano, Bompiani, 2009, seconda di
copertina Manlio Sgalambro, Sull'idea di nazione in Catania. Non vi sarà
facile, si può fare, lo facciamo. La città, le regole, la cultura, Catania,
ANCE, Manlio Sgalambro, Dicerie in Franco Battiato, Don Gesualdo (allegato a
Auguri don Gesualdo), Milano, Bompiani, Manlio Sgalambro, postfazione in Carlo
Guarrera, Occhi aperti spalancati, Messina, Mesogea, Manlio Sgalambro, Nota
critica in Anna Vasta, Di un fantasma e di mari, Catania, Prova d'Autore,
, Manlio Sgalambro, Nota in Georges
Bataille, W.C., Antonio Contiero, Massa, Transeuropa, Massa, Manlio Sgalambro,
prefazione in Giampaolo Bellucci, Un grappolo di rose appese al sole,
Villafranca Lunigiana (MS), Cicorivolta, Manlio Sgalambro, prefazione in
Selenia Bellavia, Pourparler, Catania, Prova d'Autore, Manlio Sgalambro,
Apologia del teologo in Fabio Presutti, Deleuze e Sgalambro: dell'espressione
avversa, Catania, Prova d'Autore, , ???
Manlio Sgalambro, Breve riflessione in Massimiliano Scuriatti, Mico è tornato
coi baffi, Milano, Bietti, Manlio Sgalambro, Presentazione in Armando
Rotoletti, Circoli di conversazione a Biancavilla, Modugno (BA), Arti Grafiche
Favia, Manlio Sgalambro, Il senso della bellezza in Franco Battiato, Jonia me
genuit. Discografia leggera, discografia classica, filmografia, pittura,
Firenze, Della Bezuga, 168 Manlio Sgalambro, Moralità plutarchee in Domenico
Trischitta, Catania, Il Garufi, 109 Manlio Sgalambro, La città dei morti in
Luigi Spina, Monumentale. Un viaggio fotografico all'interno del gran
camposanto di Messina, Milano, Electa, Manlio Sgalambro, prefazione in Ghesia
Bellavia, Fermo immagine, Catania, Il Garufi, ,
??? Manlio Sgalambro, Sulla mia morte in Franco Battiato, Attraversando
il bardo. Sguardi sull'aldilà, Milano, Bompiani, Album Manlio Sgalambro, Fun
club, Milano, Sony, 2001 Singoli Manlio Sgalambro, La mer, Milano, Sony,Manlio
Sgalambro, Me gustas tú, Milano, Sony, 2001 Manlio Sgalambro feat. Mab, La
canzone della galassia, Milano, Sony, Collaborazioni Album testi (L'ombrello e
la macchina da cucire, Breve invito a rinviare il suicidio, Piccolo pub,
Fornicazione, Gesualdo da Venosa, Moto browniano, Tao, Un vecchio cameriere,
L'esistenza di Dio) in Franco Battiato, L'ombrello e la macchina da cucire,
Milano, EMI, 1995 testi (Di passaggio, Strani giorni, La cura, Ein Tag aus dem
Leben des kleinen Johannes, Amata solitudine, Splendide previsioni, Ecco com'è
che va il mondo, Segunda-feira, Memorie di Giulia, Serial killer) e voce (Di
passaggio) in Franco Battiato, L'imboscata, Milano, Polygram, 1996 voce
(Canzone chimica) in Franco Battiato, L'imboscata live tour (registrazione
video di un concerto), Milano, Polygram, 1997 testo (Emma Bovary) in Patty
Pravo, Notti, guai e libertà, Milano, Sony, testi (Shock in my town, Auto da
fé, Casta diva, Il ballo del potere, La preda, Il mantello e la spiga, È stato
molto bello, Quello che fu, Vite parallele, Shackleton) e voce (Shackleton) in
Franco Battiato, Gommalacca, Milano, Polygram, 1998 testi (Medievale, Invito al
viaggio) e voce (Invito al viaggio) in Franco Battiato, Fleurs. Esempi affini
di scritture e simili, Milano, Universal, 1999 testi (Running against the
grain, Bist du bei mir, La quiete dopo un addio, Personalità empirica, Il
cammino interminabile, Lontananze d'azzurro, Sarcofagia, Scherzo in minore, Il
potere del canto) e voce (Personalità empirica) in Franco Battiato, Ferro
battuto, Milano, Sony, 2001 testo (Invasione di campo) in Invasioni, ???, New Scientist, 2001 testo
(Come un sigillo) in Franco Battiato, Fleurs 3 (album), Milano, Sony, 2002 voce
(Non dimenticar le mie parole) in Franco Battiato, Colonna sonora di Perduto
amor (colonna sonora del film), Milano, Sony, 2003 voce (Shackleton, Accetta il
consiglio) in Franco Battiato, Last summer dance (registrazione audio di un
concerto), Milano, Sony, testi (Tra sesso e castità, Le aquile non volano a
stormi, Ermeneutica, Fortezza Bastiani, Odore di polvere da sparo, I'm that,
Conforto alla vita, 23 coppie di cromosomi, Apparenza e realtà, La porta dello
spavento supremo) e voce (La porta dello spavento supremo) in Franco Battiato,
Dieci stratagemmi. Attraversare il mare per ingannare il cielo, Milano, Sony,
2004 voce (La porta dello spavento supremo) in Franco Battiato, Un soffio al
cuore di natura elettrica (registrazione audio e video di un concerto), Milano,
Sony, testi (Il vuoto, I giorni della monotonia, Aspettando l'estate, Niente è
come sembra, Tiepido aprile, The game is over, Io chi sono?, Stati di gioia) e
dell'adattamento in italiano di Era l'inizio della primavera (da Aleksej
Nikolaevič Tolstoj, It was in the early days of spring) in Franco Battiato, Il
vuoto, Milano, Universal, testo (Maori legend) in Lilies on Mars, Lilies on
Mars, testo (Il movimento del dare) in Fiorella Mannoia, Il movimento del dare,
Milano, Sony, 2008 testi (Tutto l'universo obbedisce all'amore, Tibet) e
dell'adattamento in italiano di Del suo veloce volo (da Antony Hegarthy,
Frankenstein) in Franco Battiato, Fleurs 2, Universal, 2008 testo (Marie ti
amiamo) in Carmen Consoli, Elettra, Milano, Universal, 2009 testi (Inneres
Auge, 'U cuntu) e voce ('U cuntu) in Franco Battiato, Inneres Auge. Il tutto è
più della somma delle sue parti, Milano, Universal, testo (Non conosco nessun
Patrizio!) in Milva, Non conosco nessun Patrizio!, Milano, Universal, testo (Facciamo finta che sia vero) in
Adriano Celentano, Facciamo finta che sia vero, Milano, Universal, testo (Eri con me) in Alice, Samsara, ???,
Arecibo, testi (Un irresistibile
richiamo, Testamento, Quand'ero giovane, Eri con me, Passacaglia, La polvere
del branco, Caliti junku, Aurora, Il serpente, Apriti sesamo) in Franco
Battiato, Apriti sesamo, Milano, Universal,
Singoli testi (Strani giorni, Decline and fall of the Roman empire) in
Franco Battiato, Strani giorni, Milano, Polygram, testo in Patty Pravo, Emma
Bovary, Milano, Sony, 1998 testi (Shock in my town, Stage door) in Franco
Battiato, Shock in my town, Milano, Polygram, 1998 testi (Il ballo del potere,
Stage door, Emma, L'incantesimo) in Franco Battiato, Il ballo del potere,
Milano, Polygram, testi (Running against the grain, Sarcofagia, In trance) in
Franco Battiato, Running against the grain, Milano, Sony, 2001 testo in Franco
Battiato, Il vuoto, Milano, Universal, 2007 testo in Franco Battiato feat.
Carmen Consoli, Tutto l'universo obbedisce all'amore, Milano, Universal, 2008
testo in Franco Battiato, Inneres Auge, Milano, Universal, 2009 testo in Franco
Battiato, Passacaglia, Milano, Universal,
Opere teatrali testi in Franco Battiato, Il cavaliere dell'intelletto,
inedito (prima rappresentazione: Palermo, testi e attore in Martin Kleist,
Socrate impazzito, inedito (prima rappresentazione: Catania) testi e attore in
Franco Battiato, Gli Schopenhauer, inedito (prima rappresentazione: Fano (PU),
8 agosto 1998) attore in Igor' Fëdorovič Stravinskij, L'histoire du soldat,
inedito, 1999 (prima rappresentazione: Roma, libretto e voce (Corpi in movimento, La mer)
in Franco Battiato, Campi magnetici. I numeri non si possono amare, Milano,
Sony, 2000 (prima rappresentazione: Firenze) voce (Volare è un'arte, Negli
abissi, Pratica di mare, A tu per tu con il Mig, Verso Bologna, Simulacro) in
Pippo Pollina, Ultimo volo. Orazione civile per Ustica, Bologna, Storie di
Note, 2007 (prima rappresentazione: Bologna) attore in Manlio SgalambroRosalba
BentivoglioCarlo Guarrera, Frammenti per versi e voce, inedito (prima
rappresentazione: Catania, testi in Franco Battiato, Telesio. Opera in due atti
e un epilogo, Milano, Sony, (prima
rappresentazione: Cosenza, 7 maggio ) Film sceneggiatura e attore (Martino
Alliata) in Franco Battiato, Perduto amor, Giarre (CT), L'Ottava, sceneggiatura
e attore (nobile senese) in Franco Battiato, Musikanten, Giarre (CT), L'Ottava,
2005 sceneggiatura in Franco Battiato, Niente è come sembra, Milano, Bompiani, Documentari
intervento in Daniele Consoli, La verità sul caso del signor Ciprì e Maresco,
Zelig, intervento in Franco Battiato, Auguri don Gesualdo, Milano,
Bompiani, intervento in Massimiliano
Perrotta, Sicilia di sabbia, Movie Factory,
intervento in Franco Battiato, Attraversando il bardo. Sguardi
sull'aldilà, Milano, Bompiani, Videoclip
attore in Franco Battiato, L'ombrello e la macchina da cucire, 1995 attore in
Franco Battiato, Di passaggio, attore in Franco Battiato, Strani giorni, 1996
attore in Franco Battiato, Shock in my town, 1998 attore in Franco Battiato, Running
against the grain, attore in Franco Battiato, Bist du bei mir, attore in Franco
Battiato, Ermeneutica, attore in Franco Battiato, La porta dello spavento
supremo, 2004 attore in Franco Battiato, Il vuoto, attore in Franco Battiato,
Inneres Auge, Programmi televisivi Franco Battiato, Bitte, keine Réclame, Libri Francesco Saverio Niso, Comunità dello
sguardo. Halbwachs, Sgalambro, Cordero, Torino, Giappichelli, 2001 Mariacatena
De LeoLuigi Ingaliso, Nell'antro del filosofo. Dialogo con Manlio Sgalambro,
Catania, Prova d'Autore, Lina Passione, La notte e il tempo. Divagazioni su
Franco Battiato, Manlio Sgalambro e… altro, Catania, CUECM, Alessandro Max
Cantello, Sgalambro speaks. Uno scherzo mimetico che possa introdurre ad una
filosofia, Mas Club, Manlio Sgalambro.
L'ultimo chierico, Rita Fulco, Messina, Mesogea, Caro misantropo. Saggi e testimonianze per Manlio
Sgalambro, Antonio CarulliFrancesco Iannello, Napoli, La Scuola di
Pitagora, Salvatore Massimo Fazio,
Regressione suicida. Dell'abbandono disperato di Emil Cioran e Manlio
Sgalambro, Barrafranca , Bonfirraro,
Manlio Sgalambro. Breve invito all'opera, Davide Miccione, Caltagirone
(CT), Lettere da Qalat, Antonio Carulli,
Introduzione a Sgalambro, Genova, Il Melangolo,
Patrizia TrovatoAntonio CarulliPiercarlo NecchiManuel Pérez Cornejo, La
piccola verità. Quattro saggi su Manlio Sgalambro, Milano, Mimesis, Saggi Sergio Zavoli, Le ombre della sera in
Di questo passo. Cinquecento domande per capire dove andiamo, Torino, Nuova ERI,
Calogero Rizzo, De consolatione theologie in Massimo Iiritano, Sergio Quinzio.
Profezie di un'esistenza, Soveria Mannelli (CZ), Rubettino, Armando Matteo,
Manlio Sgalambro: il dovere dell'empietà in Della fede dei laici. Il
cristianesimo di fronte alla mentalità postmoderna, Soveria Mannelli (CZ), Rubettino,
Stefano Lanuzza, Il filosofo insulare in Erranze in Sicilia, Napoli, Guida, Leonor
Sáez Méndez, Zwischen der kritischen Bedingung der praktischen Erfahrung und
der Doktrin: Dechiffrierung der Perversion (Zwei Beispiele) in Kant ein
illusionist? Das retorsive und kompositive Verfahren der kantischen
Urteilskraft nach dem philosophischen Empirismus, Murcia (Spagna), Universidad
de Murcia, Pino Aprile, La morte del sole in Giù al sud. Perché i terroni
salveranno l'Italia, Segrate (MI), Piemme, Marco Risadelli, Note su
“Dell'indifferenza in materia di società” di Manlio Sgalambro in Alessandra
MallamoAngelo Nizza, Polisofia, Roma, Nuova Cultura, , Giuseppe Raciti, Until the end of the world.
Sgalambro lettore di Spengler in Per la critica della notte. Saggio sul
“Tramonto dell’Occidente” di Oswald Spengler, Milano, Mimesis, Articoli Enrico
Arosio, Ora Sgalambro il mondo in L'Espresso, Stefano Lanuzza, Il pensiero
ipocondriaco in Il Ponte, Gerd Bergfleth, Finis mundi. Manlio Sgalambro und der
Weltuntergang in Der Pfahl. Jahrbuch aus dem Niemandsland zwischen Kunst und Wissenschaft,
Alberto Corda, Profilo di Manlio Sgalambro, filosofo “irregolare” in Arenaria, Giuseppe
Raciti, Sgalambro maestro “cattivo” per elezione in Ideazione, Ferdinando
Raffaele, Intorno alla creatività filosofica. A colloquio con il filosofo
Manlio Sgalambro in Parolalibera, Francesco Saverio Nisio, Sgalambro, l'unico
che canta. Mille sguardi, II in Democrazia e diritto. Guerra e individuo, Marcello
Faletra, Dialogo con Manlio Sgalambro, Cyberzone Fabio Presutti, Manlio
Sgalambro, Giorgio Agamben: on metaphysical suspension of language and the
destiny of its inorganic re-absorption in Italica, Concetta Bonini, Manlio
Sgalambro. Il cavaliere dell'intelletto in Freetime. Sicilia, Marcello Faletra, La pistola di
Sgalambro,
in//peppinoimpastato.com/visualizza.asp?val=2115 Marcello Faletra,
L'azzardo del pensiero o il filosofo della crudeltà: Manlio Sgalambro.
Cyberzone Marcello Faletra, In ricordo di Manlio Sgalambro, Artribune, Manuel
Pérez Cornejo, En la estela de Schopenhauer y Mainländer: la filosofía «peorista»
de Manlio Sgalambro in Schopenhaueriana. Revista española de estudios sobre
Schopenhauer, Tesi di laurea Salvatore Massimo Fazio, Cioran e Sgalambro: un
confronto, Università degli Studi di Catania, Fatima Scaglione,
BattiatoSgalambro. Tra musica e filosofia, Università degli Studi di Palermo, Cecilia
Comparoni, L'impossibilità di essere consolati. L'itinerario tragico di Manlio
Sgalambro, Università degli Studi di Genova, a.a. - Filmografia Guido Cionini,
Manlio Sgalambro. Il consolatore, inedito (2006) Guido Cionini, Another side of
Sgalambro, inedito (2008) Marcello Faletra, Mario Bellone, Manlio Sgalambro.
Del pensare breve, inedito () Note
Franco Battiato su Storia della musica.it Articolo su Repubblica, Manlio Sgalambro:
adesso il filosofo diventa crooner
Intervista a Battiato e SgalambroYouTube
Intervista a Manlio Sgalambro: Il filosofo rock che dà del “lei” a
Battiato livesicilia.it | elena giordano Manlio Sgalambro, l'ultima
intervista "Teoria della
canzone", Bompiani, e la prefazione a "La filosofia delle
università", Adelphi Sgalambro, il
ricordo commosso di Cacciari: “Con lui incontro straordinario”Video Il Fatto
Quotidiano TV, su tv.ilfattoquotidiano.it. 30 maggio 31 maggio ).
“A un tratto ci si accorge di quella cosa che chiamiamo pensare”: Addio
a Sgalambro. La sua ultima intervista.
cfr. "De mundo pessimo", "Frammenti di storia
dell'empietismo", "Trattato dell'empietà" Adelphi GAP
Speciali. Manlio SgalambroUn viaggio oltre il luogo comuneRai Scuola Mariacatena
De Leo & Luigi Ingaliso, Nell'antro del filosofo: dialogo con Manlio
Sgalambro (Prova d'autore È morto Manlio Sgalambro, il filosofo di Franco
Battiato, radiomusik.it, 6 marzo .
Franco Battiato choc a Napoli: «Sento la fine vicina, meglio cogliere il
giorno». Sgalambro, il filosofo che cantò il nichilismo Giovanni Tesio,
"In ginocchio davanti a Nietzsche", TuttoLibri, "La conoscenza del peggio", pag.58,
Adelphi La scrittura aforistica di
Manlio Sgalambro | Intervista a Manlio
Sgalambro:: LaRecherche.it Paralipomeni
all'irrazionalismo Archiviato il 7 marzo
in . Giorgio Calcagno, Sgalambro:
il filosofo è uno spione (da La Stampa Francesco Battistini, Sgalambro:
Sciascia addio, non servi più, Corriere della Sera. Carlo Formenti, Ferrarotti
accusa: «Sgalambro neoreazionario», in “Corriere della Sera”, Liliana Madeo, Battiato: note per un filosofo
(da La Stampa del 19 settembre 1994).
Marinella Venegoni, Così Sgalambro canta la sua filosofia (da La Stampa
del 20 ottobre Sito ufficiale, su sgalambro.altervista.org. Manlio Sgalambro,
su AllMusic, All Media Network. Manlio Sgalambro, su Discogs, Zink Media.
Manlio Sgalambro, su MusicBrainz, MetaBrainz Foundation. Manlio Sgalambro, su
Internet Movie Database, IMDb.com.
Manlio Sgalambro. Il filosofo cantante maestro dell'ironia: "Sono
un uomo felice di stare su quest'Isola", in la Repubblica, 20 febbraio .
Incontro con Sgalambro , in Le conversazioni di Perelandra. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e Sgalamabro," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
shaftesbury, Lord, in full, Third Earl of Shaftesbury, title of Anthony
Ashley Cooper, English philosopher and politician who originated the moral
sense theory. He was born at Wimborne St. Giles, Dorsetshire. As a Country Whig
he served in the House of Commons for three years and later, as earl, monitored
meetings of the House of Lords. Shaftesbury introduced into British moral
philosophy the notion of a moral sense, a mental faculty unique to human
beings, involving reflection and feeling and constituting their ability to
discern right and wrong. He sometimes represents the moral sense as analogous
to a purported aesthetic sense, a special capacity by which we perceive,
through our emotions, the proportions and harmonies of which, on his Platonic
view, beauty is composed. For Shaftesbury, every creature has a “private good
or interest,” an end to which it is naturally disposed by its constitution. But
there are other goods as well notably,
the public good and the good without qualification of a sentient being. An
individual creature’s goodness is defined by the tendency of its “natural
affections” to contribute to the “universal system” of nature of which it is a
part i.e., their tendency to promote the
public good. Because human beings can reflect on actions and affections,
including their own and others’, they experience emotional responses not only
to physical stimuli but to these mental objects as well e.g., to the thought of
one’s compassion or kindness. Thus, they are capable of perceiving and acquiring through their actions a particular species of goodness, namely,
virtue. In the virtuous person, the person of integrity, natural appetites and
affections are in harmony with each other wherein lies her private good and in
harmony with the public interest. Shaftesbury’s attempted reconciliation of
selflove and benevolence is in part a response to the egoism of Hobbes, who
argued that everyone is in fact motivated by self-interest. His defining
morality in terms of psychological and public harmony is also a reaction to the
divine voluntarism of his former tutor, Locke, who held that the laws of nature
and morality issue from the will of God. On Shaftesbury’s view, morality exists
independently of religion, but belief in God serves to produce the highest
degree of virtue by nurturing a love for the universal system. Shaftesbury’s
theory led to a general refinement of eighteenth-century ideas about moral
feelings; a theory of the moral sense emerged, whereby sentiments are under certain conditions perceptions of, or constitutive of, right and
wrong. In addition to several essays collected in three volumes under the title
Characteristics of Men, Manners, Opinions, Times second edition, 1714, Shaftesbury
also wrote stoical moral and religious meditations reminiscent of Epictetus and
Marcus Aurelius. His ideas on moral sentiments exercised considerable influence
on the ethical theories of Hutcheson and Hume, who later worked out in detail
their own accounts of the moral sense. H.
P. Grice, “My favourite Cooper.”
shyreswood: “I prefer the spelling shyreswood, since it SAYS what
‘sherwood’ merely implicates.” -- Sherwood, William, also called William
Shyreswood, English logician who taught logic at Oxford and at Paris between
1235 and 1250. He was the earliest of the three great “summulist” writers, the
other two whom he influenced strongly being Peter of Spain and Lambert of
Auxerre. His main works are “Introductiones in Logicam,” “Syncategoremata,” “De
insolubilibus,” and “Obligationes.” Some serious doubts have recently arisen
about the authorship of the latter work. Since M. Grabmann published Sherwood’s
Introductiones, philosophers have paid considerable attention to this seminal
Griceian. While the first part of Introductiones offer the basic ideas of
Aristotle’s Organon, and the latter part neatly lays out the Sophistical
Refutations, the final tract expounds the doctrine of the four properties of a
term. First, signification. Second, supposition. Third, conjunction, Fourth, appellation
-- hence the label ‘terminist’ for this sort of logic. These logico-semantic
discussions, together with the discussions of syncategorematic words,
constitute the “logica moderna,” (Grice’s ‘mdoernism’) as opposed to the more
strictly Aristotelian contents of the earlier logica vetus (Grice’s
neo-traditionalism) and logica nova (“It took me quite a while to explain to
Strawson the distinction between ‘logica nova’ and ‘logica moderna,’ only to
have him tell me, “worry not, GriceI’ll be into ‘logica vetus’ anyways!””. The
doctrine of properties of terms and the analysis of syncategorematic terms,
especially those of ‘all’ (or every) ‘no’ (or not or it is not the case) and
‘nothing’, ‘only’, ‘not’, ‘begins’ and ‘ceases (to eat iron) ‘necessarily’,
‘if’ (Latin ‘si,’ Grecian ‘ei’), ‘and’ (Latin ‘et’, Grecian ‘kai’) and ‘or’
(Latin ‘vel’) may be said to constitute
Sherwood’s or Shyrewood’s philosophy of logic. Shyrewood not only distinguishes
categorematic descriptive and syncategorematic logical words but also shows how
some terms are used categorematically in some contexts and syncategorematically
in others“he doesn’t explain which, and that’s one big map in his opus.”–
Grice. He recognizes the importance of the order of words (hence Grice, ‘be
orderly’) and of the scope of logical functors; he also anticipates the variety
of composite and divided senses of propositions. Obligationes, if indeed his,
attempts to state conditions under which a formal disputation may take place.
De Insolubilibus deals with paradoxes of self-reference and with ways of
solving them. Understanding Sherwood’s logic is important for understanding the
later medieval developments of logica moderna down to Occam whom Grice laughed
at (“modified Occam’s razor.”). Refs.: Grice, “Shyreswood at Oxford.”
All figures of rhetoric
All fallaciesargumentum ad:
ship of
Theseus: the ship of the Grecian hero
Theseus, which, according to Plutarch “Life of Theseus,” 23, the Athenians
preserved by gradually replacing its timbers. A classic debate ensued concerning
identity over time. Suppose a ship’s timbers are replaced one by one over a
period of time; at what point, if any, does it cease to be the same ship? What
if the ship’s timbers, on removal, are used to build a new ship, identical in
structure with the first: which ship has the best claim to be the original
ship?
shpet: phenomenologist and highly regarded friend of
Husserl. Shpet plays a major role in the development of phenomenology. Graduating
from Kiev in 6, Shpet accompanied his mentor
Chelpanov to Moscow, ommencing graduate studies at Moscow M.A., 0; Ph.D., 6. He attends Husserl’s
seminars at Göttingen during 213, out of which developed a continuing
friendship between the two, recorded in correspondence extending through 8. In
4 Shpet published a meditation, “Iavlenie i smysl,” nspired by Husserl’s
Logical Investigations and, especially, Ideas I, which had appeared in 3.
Between 4 and 7 he published six additional books on such disparate topics as
the concept of history, Herzen, philosophy, aesthetics, ethnic psychology, and
language. He founds and edited the philosophical yearbook Mysl’ i slovo Thought
and Word between 8 and 1, publishing an important article on skepticism in it.
He was arrested and sentenced to internal exile. Under these conditions he made
a running commentary of Hegel’s Phenomenology. He was executed.
sidgwick: English
philosopher. Best known for “The Methods of Ethics,” he also wrote “Outlines of
the History of Ethics.” In the “Methods,” Sidgwick tries to assess the rationality
of the main ways in which ordinary people go about making this or that moral
decision. Sidgwick thinks that our common “methods of ethics” fall into three
main patterns. The first pattern is articulated by the philosophical theory
known as intuitionism. This is the view that we can just see straight off
either what particular act is right or what binding rule or general principle
we ought to follow. A second pattern is spelled out by what self-love or egoism,
the view that we ought in each act to get as much good as we can for ourselves.vide:
H. P. Grice, “The principle of conversational self-love and the principle of
conversational benevolence,” H. P.
Grice, “Conversational benevolence, not conversational self-love.” The
third widely used method is represented by utilitarianism, the view that we
ought in each case to bring about as much good as possible for everyone
affected. Can any or all of the methods prescribed by these views be rationally
defended? And how are they related to one another? By framing his philosophical
questions in these terms, Sidgwick makes it centrally important to examine the
chief philosophical theories of morality in the light of the common-sense
morals of his time. Sidgwick thinks that no theory wildly at odds with common-sense
morality would be acceptable. Intuitionism, a theory originating with Butler
(of ‘self-love and benevolence’ fame), transmitted by Reid, and most
systematically expounded during the Victorian era by Whewell, is widely held to
be the best available defense of Christian morals. Egoism (Self-love) was
thought by many to be the clearest pattern of practical (or means-end)
rationality and is frequently said to be compatible with Christianity. And J.
S. Mill had argues that utilitarianism is both rational and in accord with
common sense. But whatever their relation to ordinary morality, the three
methods or patterns seem to be seriously at odds with one another. Examining
all the chief commonsense precepts and rules of morality, such as that promises
ought to be kept, Sidgwick argues that none is truly self-evident or intuitively
certain. Each fails to guide us at certain points where we expect it to answer
our practical questions. Utilitarianism, he found, could provide a complicated
method for filling these gaps. But what ultimately justifies utilitarianism is
certain very general axioms seen intuitively to be true. Among them are the
principles that what is right in one case must be right in any similar case,
and that we ought to aim at good generally, not just at some particular part of
it. Thus intuitionism and utilitarianism can be reconciled. When taken together
they yield a complete and justifiable method of ethics that is in accord with
common sense. What then of egoism and self-love? Self love and egoirm can
provide as complete a method as utilitarianism, and it also involves a
self-evident axiom. But the results of
egoism and self-love often contradict those of utilitarianism. Hence there is a
serious problem. The method that instructs us to act always for the good
generally and the method that tells one to act solely for one’s own good are
equally rational. Since the two methods give contradictory directions, while
each method rests on self-evident axioms, it seems that practical reason is
fundamentally incoherent. Sidgwick could see no way to solve the problem. Sidgwick’s
bleak conclusion is not generally accepted (especially at Oxford), but his
Methods is widely viewed as one of the best works of moral philosophy ever
written in what Grice calls ‘insular’ philosophy (as opposed to mainland
philosophy). Sidgwick’s account of
classical utilitarianism is unsurpassed. Sidwick’s discussions of the general
status of morality and of particular moral concepts are enduring models of
clarity and acumen. His insights about the relations between egoism (self-love)
and utilitarianism have stimulated much valuable research. And his way of
framing moral problems, by asking about the relations between commonsense
beliefs and the best available theories, has set much of the agenda for
ethics.
sì/no -- “sic” et “ne”modus interrogativus. Grice: “Oddly that the Italians call
themselves as speaking the ‘lingua del si,’ contra the Gallics, who speak the
‘lingua del’oc,” or worse, the ‘lingua d’oil”!! -- Grice: Or yes/no question.
“Cicero has this as ‘sic’ and ‘non.’ For Grice, tertium non datur. Grice’s
example is “Have you stopped beating
your wife, Smith?” “Smith is tricked into having to say ‘yes,’ which
makes him a criminal, or “no,” which doesn’t but *implicates* him in a crime.”
“The explicit cancellation would be, “No, because I never started it.”“But
usually Smith is never so intelligently Griceian like *that*! Vide: modus
interrogatives. Grice finds the
formalisation of a yes-no question more complicated than that of an x-question.
Like Carnap, he concludes that the distinction is otiose, because a yes/no
question also is after a variable to be filled by a definite value, regarding
the truth-value of the proposition as a whole rather than a part thereof. Grice:
“While I’ll casually use ‘yes,’ I’m well aware that the ‘s,’ as every German
schoolboy knows, is otioseit’s ‘yeah’ which is the correct form!” -- Refs.: H.
P. Grice, “Cicero on ‘sic’ and ‘ne’.” BANC, Speranza, “First time in Corpus?”
segno -- signum
-- Grice: “I prefer token, so
Anglo-Saxon! Plus I’m a ‘teacher’“to teach philosophy” --” whose explorations
on the Nicomachean Ethics, in one of their earlier incarnations, as a set of
lecture notes, sees me through terms of teaching Aristotle's moral theory.” “My
own philosophical life in this period involves two especially important
aspects.” ROBBING PETER TO PAY PAUL.. “The first is my prolonged collaboration
with my tutee at St. John’sF. Strawson.”“Strawson’s and my efforts are partly
directed towards the giving of joint seminars.”“Strawson and I stage a number
of joint seminars on topics related to the notions of meaning, categories, and
logical form.” “But my association with P. F. Strawson is much more than an
alliance for the purpose of teaching.” -- theory of signs, the philosophical
and scientific theory of information-carrying entities, communication, and
information transmission. The term ‘semiotic’ was introduced by Locke for the
science of signs and signification. The term became more widely used as a
result of the influential work of Peirce and Charles Morris. With regard to
linguistic signs, three areas of semiotic were distinguished: pragmatics the study of the way people, animals, or
machines such as computers use signs; semantics
the study of the relations between signs and their meanings, abstracting
from their use; and syntax the study of
the relations among signs themselves, abstracting both from use and from
meaning. In Europe, the near-equivalent term ‘semiology’ was introduced by
Ferdinand de Saussure, the Swiss linguist. Broadly, a sign is any
information-carrying entity, including linguistic and animal signaling tokens,
maps, road signs, diagrams, pictures, models, etc. Examples include smoke as a
sign of fire, and a red light at a highway intersection as a sign to stop.
Linguistically, vocal aspects of speech such as prosodic features intonation,
stress and paralinguistic features loudness and tone, gestures, facial
expressions, etc., as well as words and sentences, are signs in the most
general sense. Peirce defined a sign as “something that stands for something in
some respect or capacity.” Among signs, he distinguished symbols, icons, and
indices. A symbol, or conventional sign, is a sign, typical of natural language
forms, that lacks any significant relevant physical correspondence with or
resemblance to the entities to which the form refers manifested by the fact
that quite different forms may refer to the same class of objects, and for
which there is no correlation between the occurrence of the sign and its
referent. An index, or natural sign, is a sign whose occurrence is causally or
statistically correlated with occurrences of its referent, and whose production
is not intentional. Thus, yawning is a natural sign of sleepiness; a bird call
may be a natural sign of alarm. Linguistically, loudness with a rising pitch is
a sign of anger. An icon is a sign whose form corresponds to or resembles its
referent or a characteristic of its referent. For instance, a tailor’s swatch
is an icon by being a sign that resembles a fabric in color, pattern, and
texture. A linguistic example is onomatopoeia
as with ‘buzz’. In general, there are conventional and cultural aspects
to a sign being an icon. signatum: Cf. “to sign” as a verbfrom
French. Grice uses designatum, toobut more specifically within the ‘propositio’
as a compound of a subjectum and a predicatum. The subject-item indicates a
thing; and the predicate-item designates a property. As Grice notes, there is a
distinction between Aristotle’s use, in De Int., of ‘sumbolon,’ for which
Aristotle sometimes means ‘semeion,’ and their Roman counterparts, ‘signum’
sounds otiose enough. But ‘significo’ does not. There is this –fico thing that
sounds obtrusive. The Romans, however, were able to distinguish between ‘make a
sign,’ and just ‘signal.’ The point is important when Grice tries to apply the
Graeco-Roman philosophical terminology to a lexeme which does not belong in
there: “mean.” His example is someone in pain, uttering “Oh.” If he later gains
voluntary control, by uttering “Oh” he means that he is in pain, and even at a
later stage, provided he learns ‘lupe,’ he may utter the expression which is
somewhat correlated in a non-iconic fashion with something which iconically is
a vehicle for U to mean that he is in pain. In this way, in a
communication-system, a communication-device, such as “Oh” does for the state
of affairs something that the state of affairs cannot do for itself, govern the
addresee’s thoughts and behaviour (very much as the Oxfordshire cricket team
does for Oxfordshire what Oxfordshire cannot do for herself, viz. to engage in
a game of cricket. There’s rae-presentatum, for you! Short and Lewis have
‘signare,’ from ‘signum,’ and which they render as ‘to set a mark upon, to mark,
mark out, designate (syn.: noto, designo),’ Lit. A. In gen. (mostly poet. and
in post-Aug. prose): discrimen non facit neque signat linea alba, Lucil. ap.
Non. 405, 17: “signata sanguine pluma est,” Ov. M. 6, 670: “ne signare quidem
aut partiri limite campum Fas erat,” Verg. G. 1, 126: “humum limite mensor,”
Ov. M. 1, 136; id. Am. 3, 8, 42: “moenia aratro,” id. F. 4, 819: “pede certo
humum,” to print, press, Hor. A. P. 159; cf.: “vestigia summo pulvere,” to
mark, imprint, Verg. G. 3, 171: auratā cyclade humum, Prop. 4 (5), 7, 40. “haec
nostro signabitur area curru,” Ov. A. A. 1, 39: “locum, ubi ea (cistella)
excidit,” Plaut. Cist. 4, 2, 28: “caeli regionem in cortice signant,” mark,
cut, Verg. G. 2, 269: “nomina saxo,” Ov. M. 8, 539: “rem stilo,” Vell. 1, 16,
1: “rem carmine,” Verg. A. 3, 287; “for which: carmine saxum,” Ov. M. 2, 326:
“cubitum longis litteris,” Plaut. Rud. 5, 2, 7: “ceram figuris,” to imprint,
Ov. M. 15, 169: “cruor signaverat herbam,” had stained, id. ib. 10, 210; cf.
id. ib. 12, 125: “signatum sanguine pectus,” id. A. A. 2, 384: “dubiā lanugine
malas,” id. M. 13, 754: “signata in stirpe cicatrix,” Verg. G. 2, 379: “manibus
Procne pectus signata cruentis,” id. ib. 4, 15: “vocis infinitios sonos paucis
notis,” Cic. Rep. 3, 2, 3: “visum objectum imprimet et quasi signabit in animo
suam speciem,” id. Fat. 19, 43.— B. In partic. 1. To mark with a seal; to seal,
seal up, affix a seal to a thing (usually obsignare): “accepi a te signatum
libellum,” Cic. Att. 11, 1, 1: “volumina,” Hor. Ep. 1, 13, 2: locellum tibi
signatum remisi, Caes. ap. Charis. p. 60 P.: “epistula,” Nep. Pel. 3, 2:
“arcanas tabellas,” Ov. Am. 2, 15, 15: “signatis quicquam mandare tabellis,”
Tib. 4, 7, 7: “lagenam (anulus),” Mart. 9, 88, 7: “testamentum,” Plin. Ep. 2,
20, 8 sq.; cf. Mart. 5, 39, 2: “nec nisi signata venumdabatur (terra),” Plin.
35, 4, 14, § 33.—Absol., Mart. 10, 70, 7; Quint. 5, 7, 32; Suet. Ner. 17.— 2.
To mark with a stamp; hence, a. Of money, to stamp, to coin: “aes argentum
aurumve publice signanto,” Cic. Leg. 3, 3, 6; cf.: “qui primus ex auro denarium
signavit ... Servius rex primus signavit aes ... Signatum est nota pecudum,
unde et pecunia appellata ... Argentum signatum est anno, etc.,” Plin. 33, 3,
13, § 44: “argentum signatum,” Cic. Verr. 2, 5, 25, § 63; Quint. 5, 10, 62; 5,
14, 26: “pecunia signata Illyriorum signo,” Liv. 44, 27, 9: “denarius signatus
Victoriā,” Plin. 33, 3, 13, § 46: “sed cur navalis in aere Altera signata est,”
Ov. F. 1, 230: “milia talentūm argenti non signati formā, sed rudi pondere,” Curt.
5, 2, 11.— Hence, b. Poet.: “signatum memori pectore nomen habe,” imprinted,
impressed, Ov. H. 13, 66: “(filia) quae patriā signatur imagine vultus,” i. e.
closely resembles her father, Mart. 6, 27, 3.— c. To stamp, i. e. to license,
invest with official authority (late Lat.): “quidam per ampla spatia urbis ...
equos velut publicos signatis, quod dicitur, calceis agitant,” Amm. 14, 6, 16.—
3. Pregn., to distinguish, adorn, decorate (poet.): “pater ipse suo superūm jam
signat honore,” Verg. A. 6, 781 Heyne: caelum corona, Claud. Nupt. Hon. et Mar.
273. to point out, signify, indicate, designate, express (rare; more usually
significo, designo; in Cic. only Or. 19, 64, where dignata is given by Non.
281, 10; “v. Meyer ad loc.): translatio plerumque signandis rebus ac sub oculos
subiciendis reperta est,” Quint. 8, 6, 19: “quotiens suis verbis signare nostra
voluerunt (Graeci),” id. 2, 14, 1; cf.: “appellatione signare,” id. 4, 1, 2:
“utrius differentiam,” id. 6, 2, 20; cf. id. 9, 1, 4; 12, 10, 16: “nomen (Caieta)
ossa signat,” Verg. A. 7, 4: “fama signata loco est,” Ov. M. 14, 433:
“miratrixque sui signavit nomine terras,” designated, Luc. 4, 655; cf.:
“(Earinus) Nomine qui signat tempora verna suo,” Mart. 9, 17, 4: “Turnus ut
videt ... So signari oculis,” singled out, looked to, Verg. A. 12, 3: signare
responsum, to give a definite or distinct answer, Sen. Ben. 7, 16, 1.—With
rel.-clause: “memoria signat in quā regione quali adjutore legatoque fratre meo
usus sit,” Vell. 2, 115.— B. To distinguish, recognize: “primi clipeos
mentitaque tela Adgnoscunt, atque ora sono discordia signant,” Verg. A. 2, 423;
cf.: “sonis homines dignoscere,” Quint. 11, 3, 31: “animo signa quodcumque in
corpore mendum est,” Ov. R. Am. 417.— C. To seal, settle, establish, confirm,
prescribe (mostly poet.): “signanda sunt jura,” Prop. 3 (4), 20, 15. “signata
jura,” Luc. 3, 302: jura Suevis, Claud. ap. Eutr. 1, 380; cf.: “precati deos ut
velint ea (vota) semper solvi semperque signari,” Plin. Ep. 10, 35 (44). To
close, end: “qui prima novo signat quinquennia lustro,” Mart. 4, 45, 3.—Hence,
A. signan-ter , adv. (acc. to II. A.), expressly, clearly, distinctly (late
Lat. for the class. significanter): “signanter et breviter omnia indicare,”
Aus. Grat. Act. 4: “signanter et proprie dixerat,” Hier. adv. Jovin. 1, 13 fin.
signātus, a, uma. 1. (Acc. to I. B. 1. sealed; hence) Shut up, guarded,
preserved (mostly ante- and post-class.): signata sacra, Varr. ap. Non. 397,
32: limina. Prop. 4 (5), 1, 145. Chrysidem negat signatam reddere, i. e. unharmed,
intact, pure, Lucil. ap. Non. 171, 6; cf.: “assume de viduis fide pulchram,
aetate signatam,” Tert. Exhort. 12.— 2. (Acc. to II. A.) Plain, clear, manifest
(post-class. for “significans”a back formation!): “quid expressius atque
signatius in hanc causam?” Tert. Res. Carn.Adv.: signātē , clearly, distinctly
(post-class.): “qui (veteres) proprie atque signate locuti sunt,” Gell. 2, 6,
6; Macr. S. 6, 7 Comp.: “signatius explicare aliquid,” Amm. 23, 6, 1. Refs.: H.
P. Grice, “Sign and sign-makingthe Roman signi-ficare, and beyond.” significatum: or better ‘signatum.’
Grice knew that in old Roman, signatum was intransitive, as originally
‘significatum’ was“He is signifying,” i. e. making signs. In the Middle Ages it
was applied to ‘utens’ of this or that expression, as was an actum, ‘agitur,’
Thus an expression was not said to ‘signify’ in the same way. Grice plays with
the expression-communication distinction. When dealing with a lexeme that does
NOT belong in the Graeco-Roman tradition, that of “mean,” he is never sure. His
doubts were hightlighted in essays on “Grice without an audience.” While Grice
explicitly says that a ‘word’ is not a sign, he would use ‘signify’ at a later
stage, including the implicaturum as part of the significatum. There is indeed
an entry for signĭfĭcātĭo, f. significare. L and S render it, unhelpfully,
as “a pointing out, indicating, denoting, signifying; an
expression, indication, mark, sign, token, = indicium,
signum, ἐπισημασία, etc., freq. and class. As with Stevenson’s ‘communico,’
Grice goes sraight to ‘signĭfĭco,’ also dep. “signĭfĭcor,” f.
‘significare,’ from signum-facere, to make sign, signum-facio, I make sign,
which L and S render as to signify, which is perhaps not too helpful. Grice, if
not the Grecians, knew that. Strictly, L and S render significare as to show by
signs; to show, point out, express, publish, make known, indicate; to intimate,
notify, signify, etc. Note that the cognate signify almost comes last, but not
least, if not first. Enough to want to coin a word to do duty for them all.
Which is what Grice (and the Grecians) can, but the old Romans cannot, with
mean. If that above were not enough, L and S go on, also, to betoken,
prognosticate, foreshow, portend, mean (syn. praedico), as in to betoken a
change of weather (post-Aug.): “ventus Africus tempestatem significat,
etc.,”cf. Grice on those dark clouds mean a storm is coming. Short
and Lewis go on, to say that significare may be rendered as to call, name; to
mean, import, signify. Hence, ‘signĭfĭcans,’ in rhet. lang., of
speech, full of meaning, expressive, significant; graphic, distinct,
clear: adv.: signĭfĭcanter, clearly, distinctly, expressly, significantly,
graphically: “breviter ac significanter ordinem rei protulisse;” “rem indicare
(with proprie),” “dicere (with
ornate),” “apertius, significantius
dignitatem alicujus defendere,” “narrare,”“disponere,” “appellare aliquid (with
consignatius);” “dicere (with probabilius).” -- signifier, a vocal sound or a
written symbol. The concept owes its modern formulation to the Swiss linguist
Saussure. Rather than using the older conception of sign and referent, he
divided the sign itself into two interrelated parts, a signifier and a
signified. The signified is the concept and the signifier is either a vocal sound
or writing. The relation between the two, according to Saussure, is entirely
arbitrary, in that signifiers tend to vary with different languages. We can
utter or write ‘vache’, ‘cow’, or ‘vaca’, depending on our native language, and
still come up with the same signified i.e., concept. H. P. Grice, “Significatum
and English ‘meaning.’”
simulatum: Grice: “If x simulates y, x is not yor is this an
implicatureif x is x, is x LIKE x?” -- simulation theory: Grice: “How does one
simulate an implicature? I challenge AI, so-called, to do it!” -- the view that one represents the mental
activities and processes of others by mentally simulating them, i.e.,
generating similar activities and processes in oneself. By simulating them, one
can anticipate their product or outcome; or, where this is already known, test
hypotheses about their starting point. For example, one anticipates the product
of another’s theoretical or practical inferences from given premises by making
inferences from the same premises oneself; or, knowing what the product is, one
retroduces the premises. In the case of practical reasoning, to reason from the
same premises would typically require indexical adjustments, such as shifts in
spatial, temporal, and personal “point of view,” to place oneself in the
other’s physical and epistemic situation insofar as it differs from one’s own.
One may also compensate for the other’s reasoning capacity and level of
expertise, if possible, or modify one’s character and outlook as an actor
might, to fit the other’s background. Such adjustments, even when insufficient
for making decisions in the role of the other, allow one to discriminate
between action options likely to be attractive or unattractive to the agent.
One would be prepared for the former actions and surprised by the latter. The
simulation theory is usually considered an alternative to an assumption
sometimes called the “theory theory” that underlies much recent philosophy of
mind: that our commonsense understanding of people rests on a speculative theory,
a “folk psychology” that posits mental states, events, and processes as
unobservables that explain behavior. Some hold that the simulation theory
undercuts the debate between philosophers who consider folk psychology a
respectable theory and those the eliminative materialists who reject it. Unlike
earlier writing on empathic understanding and historical reenactment,
discussions of the simulation theory often appeal to empirical findings,
particularly experimental results in developmental psychology. They also
theorize about the mechanism that would accomplish simulation: presumably one
that calls up computational resources ordinarily used for engagement with the
world, but runs them off-line, so that their output is not “endorsed” or acted
upon and their inputs are not limited to those that would regulate one’s own
behavior. Although simulation theorists agree that the ascription of mental
states to others relies chiefly on simulation, they differ on the nature of
selfascription. Some especially Robert Gordon and simple supposition simulation
theory 845 845 Jane Heal, who
independently proposed the theory give a non-introspectionist account, while
others especially Goldman lean toward a more traditional introspectionist
account. The simulation theory has affected developmental psychology as well as
branches of philosophy outside the philosophy of mind, especially aesthetics
and philosophy of the social sciences. Some philosophers believe it sheds light
on traditional topics such as the problem of other minds, referential opacity,
broad and narrow content, and the peculiarities of self-knowledge.
Singolare, singulare: Grice: “I use ‘singular’ in triadic
opposition to plural and singular, and reject Urquart’s bi-dual -- singular
term -- singŭlāris , e, adj. singuli. I. Lit. A. In
gen., one by one, one at a time, alone, single, solitary; alone of its kind,
singular (class.; “syn.: unus, unicus): non singulare nec solivagum genus (sc.
homines),” i. e. solitary, Cic. Rep. 1, 25, 39: “hostes ubi ex litore aliquos
singulares ex navi egredientes conspexerant,” Caes. B. G. 4, 26: “homo,” id.
ib. 7, 8, 3; so, “homo (with privatus, and o isti conquisiti coloni),” Cic.
Agr. 2, 35, 97: “singularis mundus atque unigena,” id. Univ. 4 med.:
“praeconium Dei singularis facere,” Lact. 4, 4, 8; cf. Cic. Ac. 1, 7, 26:
“natus,” Plin. 28, 10, 42, § 153: “herba (o fruticosa),” id. 27, 9, 55, § 78:
singularis ferus, a wild boar (hence, Fr. sanglier), Vulg. Psa. 79, 14:
“hominem dominandi cupidum aut imperii singularis,” sole command, exclusive
dominion, Cic. Rep. 1, 33, 50; so, “singulare imperium et potestas regia,” id.
ib. 2, 9, 15: “sunt quaedam in te singularia ... quaedam tibi cum multis
communia,” Cic. Verr. 2, 3, 88, § 206: “singulare beneficium (o commune
officium civium),” id. Fam. 1, 9, 4: “odium (o communis invidia),” id. Sull. 1,
1: “quam invisa sit singularis potentia et miseranda vita,” Nep. Dion, 9, 5:
“pugna,” Macr. S. 5, 2: “si quando quid secreto agere proposuisset, erat illi
locus in edito singularis,” particular, separate, Suet. Aug. 72.— B. In partic.
1. In gram., of or belonging to unity, singular: “singularis casus,” Varr. L.
L. 7, § 33 Müll.; “10, § 54 ib.: numerus,” Quint. 1, 5, 42; 1, 6, 25; 8, 3, 20;
Gell. 19, 8, 13: “nominativus,” Quint. 1, 6, 14: “genitivus,” id. 1, 6, 26 et
saep. —Also absol., the singular number: “alii dicunt in singulari hac ovi et
avi, alii hac ove et ave,” Varr. L. L. 8, § 66 Müll.; Quint. 8, 6, 28; 4, 5, 25
al.— 2. In milit lang., subst.: singŭlāris , is, m. a. In gen., an orderly man
(ordonance), assigned to officers of all kinds and ranks for executing their
orders (called apparitor, Lampr. Alex. Sev. 52): “SINGVLARIS COS (consulis),”
Inscr. Orell. 2003; cf. ib. 3529 sq.; 3591; 6771 al.— b. Esp., under the
emperors, equites singulares Augusti, or only equites singulares, a select
horse body-guard (selected from barbarous nations, as Bessi, Thraces, Bæti,
etc.), Tac. H. 4, 70; Hyg. m. c. §§ 23 and 30; Inscr. Grut. 1041, 12 al.; cf.
on the Singulares, Henzen, Sugli Equiti Singolari, Roma, 1850; Becker, Antiq.
tom. 3, pass. 2387 sq.— 3. In the time of the later emperors, singulares, a
kind of imperial clerks, sent into the provinces, Cod. Just. 1, 27, 1, § 8; cf.
Lyd. Meg. 3, 7.— II. Trop., singular, unique, matchless, unparalleled, extraordinary,
remarkable (syn.: unicus, eximius, praestans; “very freq. both in a good and in
a bad sense): Aristoteles meo judicio in philosophiā prope singularis,” Cic.
Ac. 2, 43, 132: “Cato, summus et singularis vir,” id. Brut. 85, 293: “vir
ingenii naturā praestans, singularis perfectusque undique,” Quint. 12, 1, 25;
so, “homines ingenio atque animo,” Cic. Div. 2, 47, 97: “adulescens,” Plin. Ep.
7, 24, 2.—Of things: “Antonii incredibilis quaedam et prope singularis et
divina vis ingenii videtur,” Cic. de Or. 1, 38, 172: “singularis eximiaque
virtus,” id. Imp. Pomp. 1, 3; so, “singularis et incredibilis virtus,” id. Att.
14, 15, 3; cf. id. Fam. 1, 9, 4: “integritas atque innocentia singularis,” id.
Div. in Caecil. 9, 27: “Treviri, quorum inter Gallos virtutis opinio est
singularis,” Caes. B. G. 2, 24: “Pompeius gratias tibi agit singulares,” Cic.
Fam. 13, 41, 1; cf.: “mihi gratias egistis singularibus verbis,” id. Cat. 4, 3:
“fides,” Nep. Att. 4: “singulare omnium saeculorum exemplum,” Just. 2, 4, 6.—In
a bad sense: “nequitia ac turpitudo singularis,” Cic. Verr. 2, 3, 44, § 106;
so, “nequitia,” id. ib. 2, 2, 54, § 134; id. Fin. 5, 20, 56: “impudentia,” Cic.
Verr. 2, 2, 7, § 18: audacia (with scelus incredibile), id. Fragm. ap. Quint.
4, 2, 105: “singularis et nefaria crudelitas,” Caes. B. G. 7, 77.— Hence, adv.:
singŭlārĭter (singlā-rĭter , Lucr. 6, 1067). 1. One by one, singly, separately.
a. In gen. (ante- and post-class.): “quae memorare queam inter se singlariter
apta, Lucr. l. l. Munro (Lachm. singillariter): a juventā singulariter sedens,”
apart, separately, Paul. Nol. Carm. 21, 727.— b. In partic. (acc. to I. B. 1.),
in the singular number: “quod pluralia singulariter et singularia pluraliter
efferuntur,” Quint. 1, 5, 16; 1, 7, 18; 9, 3, 20: “dici,” Gell. 19, 8, 12; Dig.
27, 6, 1 al.— 2. (Acc. to II.) Particularly, exceedingly: “aliquem diligere,”
Cic. Verr. 2, 2, 47, § 117: “et miror et diligo,” Plin. Ep. 1, 22, 1: “amo,”
id. ib. 4, 15, 1. Grice: “I would define a ‘singular implicaturum’ as
any vehicle of communicatum such as an expression, like ‘Zeus’, ‘Pegasus,’ ‘the
President’, ‘Strawson’s dog,’ ‘Fido,’ or ‘my favorite chair’, that can be the
grammatical subject of what is semantically a subject-predicate sentence.”
Grice: “By contrast, what one might call a ‘general,’ or ‘non-singular term,
such as ‘horse,’ ‘dog,’‘table’ or ‘swam’ is one that can serve in predicative
position.” It is also often said that a singular term (‘nomen singularis,’
‘expressio singularis’) is a word or phrase that could refer or ostensibly
refer, on a given occasion of use, only to a single (or ‘singular’) objectunless
you show me a ‘general’ object --, whereas a general term is predicable of *more
than one* singular object, if not a ‘general’ object, which does not exist. A
singular term is thus the expression that replace, or are replaced by, an individual
variable (x, y, z, …) in applications of such quantifier rules as universal
instantiation and existential generalization or flank ‘%’ in identity
statements.” H. P. Grice, “System G: the rudiments.”
situazione --
situation ethics: what Grice calls the
‘particularised’prior obviously to the ‘generalised.’ -- a kind of anti-theoretical, case-by-case
applied ethics in vogue largely in some European and religious circles for twenty years or so
following World War II. It is characterized by the insistence that each moral
choice must be determined by one’s particular context or situation i.e., by a consideration of the outcomes that
various possible courses of action might have, given one’s situation. To that
degree, situation ethics has affinities to both act utilitarianism and
traditional casuistry. But in contrast to utilitarianism, situation ethics
rejects the idea that there are universal or even fixed moral principles beyond
various indeterminate commitments or ideals e.g., to Christian love or
humanism. In contrast to traditional casuistry, it rejects the effort to
construct general guidelines from a case or to classify the salient features of
a case so that it can be used as a precedent. The anti-theoretical stance of
situation ethics is so thoroughgoing that writers identified with the position
have not carefully described its connections to consequentialism,
existentialism, intuitionism, personalism, pragmatism, relativism, or any other
developed philosophical view to which it appears to have some affinity.
Giiovanni –
san Giovanni – Grice: “I often
wondered why my college was called “St John’s.”” st. john’s: st. john’s keeps
a record of all of H. P. Grice’s tutees. It is fascinating that Strawson’s
closest collaboration, as Plato with Socrates, and Aristotle with Plato, was
with his tutee Strawsonwhom Grice calls a ‘pupil,’ finding ‘tutee’ too French
to his taste. G. J. Warnock recalls that, of all the venues that the play group
held, their favourite one was the room overlooking the garden at st. john’s.
“It’s one of the best gardens in England, you know. Very peripathetic.” In
alphabetical order, some of his English ‘gentlemanly’ tutees include: London-born
J. L. Ackrill, London-born David Bostock, London-born A. G. N. Flew, Leeds-born
T. C. Potts, London-born P. F. Strawson. They were happy to have Grice as a
tutorial fellow, since he, unlike Mabbot, was English, and did not instill on
the tutees a vernacular furrin to the area.
Grice, “philosophical semanticist.”
smart and
place: Cambridge-born Australian philosopher
whose name is associated with three very non-Oxonian doctrines in particular:
the mind-body identity theory, scientific realism, and utilitarianism. A student
of Ryle’s at Oxford, from the other place, he rejected logical behaviorism in
favor of what came to be known as Australian or ‘colonial’ or “Dominion” materialism.
This is the view that mental processes
and, as, -- “the other colonial,”Grice -- Armstrong brought Smart to
see, mental states cannot be explained
simply in terms of behavioristic dispositions. In order to make good sense of
how the ordinary person talks of them we have to see them as brain processes and states
under other names. Smart developed this identity theory of mind and
brain, under the stimulus of his colleague, Yorkshire-born, Rugby and
Corpus-Christi (via Open Scholarship), tutee of Ryle, U. T. Place, in
“Sensations and Brain Processes” Philosophical Review. It became a mainstay of
twentieth-century philosophy. Smart endorsed the materialist analysis of mind
on the grounds that it gave a simple picture that was consistent with the
findings of science. He took a realist view of the claims of science, rejecting
phenomenalism, instrumentalism, and the like, and he argued that commonsense
beliefs should be maintained only so far as they are plausible in the light of
total science. Philosophy and Scientific Realism 3 gave forceful expression to
this physicalist picture of the world, as did some later works. He attracted
attention in particular for his argument that if we take science seriously then
we have to endorse the four-dimensional picture of the universe and recognize
as an illusion the experience of the passing of time. He published a number of
defenses of utilitarianism, the best known being his contribution to J. J. C.
Smart and Bernard Williams, Utilitarianism, For and Against 3. He gave new life
to act utilitarianism at a time when utilitarians were few and most were attached
to rule utilitarianism or other restricted forms of the doctrine. Refs.: H. P.
Grice, “Ryle and the devil of scientism,” H. P. Grice, “What Smart learned from
Ryle.”
saggio: Grice: “’saggio’ is tricky; one can say that Grice is
an essayist, but Grice is a philosopher. To be a philousopher involves more
than writing a philosophical essay. Indeed, the mastery in philosophy, as in
lecturing, involves keeping away from your written copy of your essay, and,
well, philosophise. Note that a philosophical dialogue, or a tutorial, for that
matter, is not an ‘essay.’”. Grice: “This is the best proof that philosophy is
above ‘letters,’ and why Oxford needed a sub-faculty of PHILOSOPHY, even if it
provided the Lit. Hum. degree. philosophical essay: ‘saggio filosofico.’a
subgenre of the prose genre of ‘essay.’ Grice seems to prefer ‘study’ (“Studies
in the way of words”) but surely each piece is an essay. Austin preferred
“papers” (vide his “Philosophical Papers.”). “The implicature,” Grice says,
“seems to be that an essay is too sketchy!” --. “Storia del saggio filosofico
in Italia” --. Grice: “It is strictly not true that a philosopher needs to
engage in the subgenre of the ‘philosophical essay;’ after all, at Oxford, we
always thought Jowett’s dialogues were the epitome of philosophyand they are!”
società italiana per lo studio del pensiero medievale: Grice:
“It always amazed me that the mediaevals at Bologna and Oxford ‘knew’ that they
were in the middle of it!” -- the title of this Society is telling. For the Italians,
they do not want to distinguish Politics, Economics, Theology, and PhilosophyIt
is all covered under ‘thought,’ ‘pensiero.’ This is in accordance with de
Sanctis’s view of philosophy as one of the belles lettres (“if perhaps less
‘belle’ than the rest). The subgenre of the essay‘philosophical essay.’ Grice:
“While it is easy to take ‘mediaeval’ in a boring chronological fashion, the
mediaevals themselves saw themselves to be in the ‘middle’ of it, of the
‘aevus,’ that is.”
siciliani: Pietro Siciliani (Galatina), filosofo. Figlio
di un commerciante di pelli, dopo gli studi nel seminario di Otranto frequentò
il Collegio gesuitico di Lecce e, il Collegio medico-cerusico di Napoli, dal
quale fuggì dopo essere stato segnalato alla polizia borbonica a causa delle
sue simpatie liberali. A Pisa si laureò
sotto la guida di Studiati, stringendo inoltre un proficuo rapporto di
collaborazione con lo iatrofilosofo Puccinotti (1794-1872), che influì molto
sui suoi studi filosofici. Sempre in Toscana strinse rapporti di profonda
amicizia con personalità importanti e influenti della cultura dell'Ottocento,
quali: Silvestro Centofanti, Filippo Pacini, Gino Capponi, Maurizio Bufalini e
altri. Seguendo la sua vocazione, orientò
i propri studi verso le discipline filosofiche e ottenne, nel 1862, la cattedra
di Filosofia speculativa e morale nel Regio liceo "Dante Alighieri"
di Firenze, dove insegnò fino al 1867. A Firenze sposò, nel 1864, la letterata
e filantropa Cesira Pozzolini, nipote
del senatore Vincenzo Malenchini e appartenente a una famiglia di forte fede
unitaria e liberale (la madre, Gesualda Malenchini, ispettrice nelle scuole
femminili di Firenze e fondatrice di una scuola rurale gratuita per i figli dei
contadini del piccolo centro di Bivigliano, era stata la prima donna ad aver
portato a Firenze il tricolore nei moti del 1848 e il fratello Giorgio
Pozzolini aveva combattuto nelle maggiori battaglie risorgimentali affiancando
Giuseppe Garibaldi e Nino Bixio). Da questa unione nacque il console Vito
Siciliani conte di Morreale. In questo periodo fu iniziato in massoneria nella
loggia fiorentina "La Concordia.” Fu nominato professore straordinario di
filosofia teoretica a Bologna dal ministro Cesare Correnti e incaricato
dell'insegnamento di pedagogia. Nel 1879, poi, divenne docente ordinario della
stessa disciplina sempre nell'Ateneo felsineo. A Bologna tenne anche il secondo
corso italiano di sociologia teoretica. Qui, inoltre, strinse amicizia col
poeta Giosuè Carducci, anch'egli accademico a Bologna ed entrò in contatto con
Francesco Fiorentino e Bertrando Spaventa.
Dal 1868 al 1869 fu co-direttore della "Rivista bolognese di
scienze, lettere, arti e scuole" con Francesco Fiorentino, Cesare Albicini
ed Enrico Panzacchi. Ne abbandonò la direzione per divergenze maturate in seno
alla direzione generate, probabilmente, dall'impostazione (eclettica) che
Siciliani intendeva dare alla Rivista e che contrastava con l'indirizzo
idealistico voluto da Fiorentino. A
Bologna istituì un centro di studi pedagogici, contribuendo all'elevazione
della pedagogia al rango di scienza. Fu un convinto assertore della
valorizzazione della persona e perciò la sua azione educativa, per giungere
alla conquista della libertà e del carattere morale da parte del soggetto da
educare, prevedeva l'intervento della famiglia e della società. Altro suo
pensiero fondamentale fu il principio dell'autodidattica che, pur non
escludendo l'azione dell'educatore, mette in primo piano il protagonismo del
soggetto da educare. Alla sua morte, avvenuta nel 1885, ricevette onoranze e
attestati di stima da parte di molti studiosi europei e americani, mentre in
Italia la sua fama fu oscurata da giudizi negativi, espressi anzitutto da
Giovanni Gentile che vedeva in lui un'espressione (benché autonoma) della
scuola positivistica . Di recente è stata rivalutata l'influenza vichiana sul
suo pensiero. A lui è dedicata la
Biblioteca civica di Galatina, nella quale è conservato il "Fondo
Siciliani" la raccolta, cioè, dei libri appartenuti al pensatore e dolla
biblioteca dalla moglie Cesira Pozzolini. A Pietro Siciliani è dedicato anche
il Liceo Socio-Psicopedagogico di Lecce. È sepolto nel Cimitero delle Porte
Sante di Firenze. Il pensiero filosofico
Di formazione giobertiana, Siciliani si accostò al pensiero di Vico già negli
anni fiorentini, tentando di inaugurare una filosofia mediana (detta della
"terza via") che individuasse una sintesi tra opposte e differenti
discipline. Dal suo punto di vista, infatti, ogni pensiero contiene del buono e
delle esagerazioni. Metodo del pensiero "mediano" sarà, dunque,
quello di salvare ciò che c'è di buono di una scuola di pensiero per rigettarne
le astrattezze e le esagerazioni. Con lo
scritto La Critica nella filosofia zoologica del XIX secolo, approdò nel più
ampio dibattito europeo, ricevendo apprezzamenti e pareri favorevoli dai più
illustri scienziati internazionali. Nel frattempo approfondì e diede il suo
contributo speculativo alle nuove discipline che in quegli anni muovevano alla
ricerca di un'identità epistemologica: la sociologia (Socialismo, darwinismo e
sociologia moderna; Teorie sociali e socialismo) e la psicologia (Prolegomeni
alla moderna psicogenia, tradotta in francese da Alessandro Herzen con il
titolo Prolègoménes a la psychogénie moderne).
I Congressi Pedagogici. Il ministro Francesco De Sanctis conferì a
Siciliani la presidenza di vari congressi pedagogici che si tennero a Firenze,
Venezia, Genova, Milano, e Siciliani
presiedette la prima sezione dell'XI Congresso pedagogico romano. Queste
esperienze lo portarono a un approfondimento sempre maggiore della pedagogia,
alla quale egli contribuì a conferire un indirizzo scientifico, positivista e
ampiamente laico (si vedano le sue opere Rivoluzione e pedagogia moderna, La
scienza nell'educazione). Opere: “Introduzione
alla filosofia delle scienze naturali e storiche (Firenze1); Il metodo numerico
e la statistica in medicina (Firenze); Della legge storica e dell'odierno
momento filosofico e politico del pensiero italiano (Firenze); Della libertà ed
unità organica dell'insegnamento filosofico nei licei e nelle università
(Firenze); Della fisiologia e delle lezioni fisiologiche sperimentali del prof.
Maurizio Schiff (Pisa); Su la storia della medicina di Francesco Puccinotti
(Firenze); Sommario delle conferenze di filosofia secondo i principi metafisici
di G. B. Vico (Firenze); Il triumvirato nella storia del pensiero italiano,
ossia Dante, Galileo e Vico (Firenze); Ai popoli salentini e al gonfalone di
Galatina un saluto e un augurio (Firenze); Del criterio filosofico nell'arte di
scrivere e negli studi critici storici e bibliografici (Bologna); Critica del
positivismo (Bologna); Sulle fonti storiche della filosofia positiva in Italia;
1-Galileo Galilei (Bologna) Gli hegeliani in Italia (Bologna); La condanna del
positivismo (Bologna); Della pedagogia positiva e della scienza dell'educazione
in Italia (Bologna); Su la scienza dell'educazione (Bologna, 1870); Sul
rinnovamento della filosofia positiva in Italia (Firenze); La critica sulla
filosofia zoologica del sec. XIX (Napoli); Prolegomeni alla moderna psicogenia
(Bologna); Socialismo, darwinismo e sociologia moderna (Bologna); La scienza
dell'educazione nelle scuole italiane come antitesi alla pedagogia ortodossa
(Bologna); Teorie sociali e socialismo (Firenze); Dei massimi problemi della
pedagogia moderna (Roma); Su l'insegnamento religioso ai bambini secondo i
dettami della filosofia scientifica (Firenze); Riforma nello insegnamento della
pedagogia (Torino); Della pedagogia scientifica in Italia (Milano); Rivoluzione
e pedagogia moderna (Torino); Storia critica delle teorie pedagogiche e sociali
(Bologna); Fra vescovi e cardinali (Roma); Rivoluzione e pedagogia moderna
(Torino); La scienza nell'educazione secondo i principi della sociologia
moderna (Bologna); Rinnovamento e filosofia internazionale (Bologna); La nuova
biologia (Milano) Le questioni contemporanee e la libertà morale nell'ordine
giuridico (Bologna). G. Calogero, nella Enciclopedia Italiana, V. Gnocchini,
L'Italia dei Liberi Muratori, Mimesis-Erasmo, Milano-Roma,Giovanni Gentile, Le
origini della filosofia contemporanea in Italia Guido Calogero, «SICILIANI,
Pietro» in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Giovanni
Invitto e Nicola Paparella , Rileggere Pietro Siciliani, Lecce, Capone Editore,
1988. Galatinesi illustri, Guida
Biografica, Galatina, TorGraf Galatina, Pietro Siciliani, Carteggio familiar, Francesco
Luceri, Centro Studi Salentini, Lecce, Pietro Siciliani e Cesira Pozzolini. Filosofia
e Letteratura (Atti del Convegno Nazionale. Galatina, Francesco Luceri con
prefazione di Fulvio Tessitore, Centro Studi Salentini, Lecce. Enciclopedie on
line, sito "Treccani.it L'Enciclopedia italiana".
«http://aspi.unimib.it/index.php?id=1591», la voce in Archivio Storico della Psicologia
Italiana.
signa: Boncompagno (Signa), filosofo. Fu
professore di retorica (ars dictaminis) a Bologna e Padova. Visse in varie
città, spostandosi ad Ancona, Venezia, Bologna e Padova, per poi finire la sua
vita a Firenze. Tra le opere più significative
si ricordano una storia dell'assedio di Ancona (unico suo lavoro di tipo
storico), il Boncompagnus, e diviso in sei parti, un trattato di retorica,
Rethorica novissima, composto da tredici libri, un trattato di scacchi e il
Libellus de malo senectutis et senis nel quale, con spirito arguto, prende in
giro le affermazioni di Cicerone che idealizzavano la vecchiaia. Il suo Liber de obsidione Ancone, pubblicato
nel 1937 dall'editore Zanichelli, è stato ristampato in edizione italiana
(L'assedio di Ancona) nel 1999 dall'editore Viella di Roma. Il breve trattato di epistolografia amorosa,
la Rota Veneris, è stato pubblicato nel 1996 dalla Salerno Editrice. Opere: “Liber
de amicitia Ysagoge Boncompagnus Tractatus virtutum Rhetorica novissima
Libellus de malo senectutis et senis Palma Oliva Cedrum Mirra Quinque tabulae
salutationum Rota veneris Liber de obsidione Ancone Bonus Socius e Civis
Bononiae (disputed authorship) Fonti (LA, DE) Boncompagno da Signa, Rota
Veneris. Ein Liebesbriefsteller des 13. Jahrhunderts, Friedrich Baethgen, Roma,
Walter Regenberg, Boncompagno da Signa, Rota Veneris. A facsimile reproduction
of the Strassburg Incunabulum, traduzione di Josef Purkart, Delmar, NY (United
States), Scholars' Facsimiles & Reprints, Boncompagno da Signa, Rota
Veneris, Paolo Garbini, Roma, Salerno Editrice, Carl Sutter, Aus Leben und
Schriften des Magisters Boncompagnus, Friburgo, Akademische Verlagsbuchhandlung
von J. C. B. Mohr Annibale Gabrielli, Le epistole di Cola di Rienzo e
l'epistolografia medievale, in Archivio della Società romana di storia patria, Augusto
Gaudenzi, Sulla cronologia delle opere dei dettatori bolognesi da Buoncompagno
a Bene da Lucca, in Bullettino dell'Istituto storico italiano, Giuseppe
Manacorda, Storia della scuola in Italia, II, Palermo Francesco Tateo,
Boncompagno da Signa, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Boncompagno da Signa, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Di
Capua, Boncompagno da Signa, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Boncompagno
da Signa, su sapere.it, De Agostini. Virgilio Pini, Boncompagno da Signa, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Boncompagno
da Signa, su ALCUIN, Ratisbona. Opere su
openMLOL, Horizons Unlimited srl., su Les Archives de littérature du Moyen
Âge. Steven M. Wight: Boncompagno's charter
doctrine (Bologna), in: Medieval Diplomatic and the 'ars dictandi', Scrineum.
simioni: Corrado Simioni (Venezia), filosofo. Tra
i principali studiosi di Luigi Pirandello, iniziò la sua attività politica
militando nelle file del Movimento giovanile socialista con Bettino Craxi. Tuttavia
venne espulso dal partito per indegnità morale (circostanza questa che sarà da
lui negata successivamente). Secondo alcune fonti collaborò con l'USIS (United
States Information Service). In seguito si trasferì a Monaco di iera per
approfondire gli studi di latino e teologia, per poi ritornare a Milano
all'inizio del Sessantotto. Leader di un collettivo operai-studenti, mentre
lavorava alla Arnoldo Mondadori Editore, l'8 settembre 1969 fondò insieme a
Renato Curcio il "collettivo politico metropolitano" milanese. Il gruppo, che teorizzava lo scontro aperto,
viene considerato il progenitore delle Brigate Rosse. Insieme a circa settanta
persone, tra cui componenti del collettivo (quali Renato Curcio, Margherita
Cagol, Giorgio Semeria, e Vanni Mulinaris) ed elementi cattolici del dissenso,
partecipò al convegno di Chiavari nella sala Marchesani, adiacente la pensione
"Stella Maris", nel quale un gruppo di partecipanti guidati da Curcio
dichiarò la propria adesione ad una visione di lotta armata ed il successivo
passaggio alla clandestinità. La data di questo convegno viene da taluni
considerata come la data di nascita delle Brigate Rosse; altri, come Alberto
Franceschini, affermano che la formazione di lotta armata sia nata con il
convegno di Pecorile (Reggio Emilia) nell'agosto 1970. L'ultima attività, prima di passare alla
completa clandestinità sul territorio italiano, Simioni la compì all'inizio
degli anni settanta come redattore (assieme a Mulinaris e Curcio) di alcuni
numeri della rivista "Sinistra proletaria", l'ultimo dei quali
riporta in copertina uno sfondo rosso con disegnato al centro un cerchio nero
attorniante le sagome di quattordici mitra. Trasferitosi in Francia, fondò a
Parigiassieme a Duccio Berio e Vanni Mulinarisla scuola di lingue Hyperion, la
quale secondo alcuni ebbe la funzione di una vera centrale internazionale del
terrorismo. Si afferma che fu anche il capo del Superclan, organizzazione nata
da una costola delle BR. A Parigi
Simioni si inserì nella vita cittadina, ricominciando a frequentare gli
ambienti cattolici progressisti e divenendo vicepresidente della "Fondazione
Abbé Pierre". E proprio quale accompagnatore dell'Abbé Pierre, venne
ricevuto da papa Giovanni Paolo II in udienza privata. Successivamente si
avvicinò al buddhismo tibetano. Qui inoltre conobbe una donna da cui in seguito
ebbe un figlio che si trasferì in Italia. Simioni si appartò nella campagna di
Truinas, nella Drôme, dove gestì un B&B insieme alla sua compagna fino alla
morte, avvenuta nell'ottobre all'età di
74 anni. Il grande vecchio Nell'aprile
1980 Bettino Craxi, alludendo alla esistenza di un "grande vecchio"
delle Brigate rosse (l'eminenza grigia ipotizzata da alcuni che dall'estero
avrebbe guidato, come un burattinaio, molte delle azioni terroristiche sul
suolo italiano), dichiarò che costui poteva essere cercato «tra quei personaggi
che avevano cominciato a fare politica con noi e poi sono scomparsi, magari
sono a Parigi a lavorare per il partito armato», frase che venne da molti
ritenuto indicasse come "grande vecchio" proprio Simioni.
L'organizzazione di sinistra extraparlamentare Lotta Continua lo accusò di
essere un confidente della polizia e in contatto con i servizi segreti.. All'inizio degli anni novanta, durante la
fase iniziale di Mani pulite, Simioni fu nuovamente accusato da Silvano Larini
di essere il "grande vecchio", accuse respinte da Simioni che le
ritenne parte di un'azione contro Bettino Craxi, vista la comune militanza nel
Movimento giovanile socialista. Valerio Lucarelli L'istituto francese Hyperion
era realmente una scuola di lingue o la stanza di compensazione di diversi
servizi segreti? Antonio Ferrari, In
teleselezione dalla Francia gli ordini ai terroristi italiani? Corriere della
Sera 26 aprile 1979 Entrambi gli edifici
sono proprietà della curia Il convegno
di Pecorile in AnnidiPiombo.wordpress Il
"nucleo storico" delle BR
Sylviane Stein L'abbé Pierre: un sacré destin L'Express E morto Simioni,
il misterioso grande vecchio, in la Tribuna di Treviso, Stefano Fratini, Hyperion: scuola di lingue
chiacchierata, -ANSA, //repubblica.it/cronaca//10/27/news/caso_moro_il_bierre_franceschini_moretti_una_spia_riduttivo_si_sentiva_lenin_-
Corrado Simioni, Dalla lotta armata al buddhismo , in Critica Sociale, Anni di
piombo Superclan Hyperion (Parigi)VeneziaAnni di piombo
simone: Simone Pietro Simoni (Lucca), filosofo. La
formazione Girolamo Cardano Simone Simoni. Nacque da Polissena, donna di
una famiglia originaria di Vimercate, e da Giovanni Simoni, un modesto mercante
lucchese di seta, la cui famiglia era originaria di Vagli, in Garfagnana. Ebbe
anche due fratelli, Cesare e Lodovico, che intrapresero il mestiere delle
armi. A Lucca studiò umanità con Antonio Bendinelli e Aonio Paleario, due
umanisti in «odore di eresia»il Paleario finì sul rogo a Roma iniziò gli studi
universitari. Sostenuto economicamente dal padre, che per farlo studiare
dovette vendere alcune proprietà, e poi anche dal patrizio veneziano Lazzaro
Mocenigo, peregrinò nei maggiori Studi d'Italia: prima a Bologna, poi a Pavia,
a Ferrara, a Padova, a Napoli, ancora a Bologna e finalmente si laureò a Padova
in filosofia. Diversi ma tutti autorevoli i suoi professori: da Vincenzo Maggi
a Girolamo Cardano, da Niccolò Boldoni ad Antonio Musa Brasavola. La sua
formazione era di stampo aristotelico-averroistico, come s'insegnava nello
Studio padovano, con una forte esigenza razionalistica che aveva riflessi nel
campo religioso, tale da mettere in dubbio l'immortalità dell'anima e a creare
sospetti di eresia tra i professori e gli studenti di quella Università. Con
questa preparazione, Simoni fece ritorno a Lucca, dove fu tra i fondatori del
Collegio medico, esercitò la professione medica e sembra aver scritto i suoi
primi saggi di argomento filosofico. Nall'infanzia del Simoni, Lucca
aveva vissuto un periodo concitato di aperti conflitti sociali e poi di tentativi
di riforme politiche e religiose, portate avanti dal gonfaloniere Francesco
Burlamacchi e dal circolo di intellettuali riuniti intorno a Pietro Martire
Vermigli, priore di San Frediano. Quando Simoni era ritornato a Lucca, quella
fervida attività era già stata spenta dalla reazione cattolica guidata dal
vescovo inquisitore Guidiccioni, ma certo quelle idee di Riforma
circolavano ancora sotterraneamente in città, e forse lo stesso Simoni le aveva
già raccolte durante i suoi trascorsi nelle diverse Università da lui frequentate.
Sta di fatto che Simoni fu chiamato dalle autorità lucchesi a dare spiegazioni
sulle proprie opinioni religiose: per tutta risposta il nostro medico, «non
fidandosi troppo delle sue forze», cercò la salvezza con la fuga: «munito solo
di un cavallo e dei propri risparmi, dopo aver preso commiato dalla famiglia,
fuggì, accompagnato da un servitore, alla volta di Ginevra». Negli atti
ufficiali della Repubblica di Lucca, la sua condanna per eresia risulta
formalizzata. A Ginevra, patria del calvinismo, si era formata da decenni una
numerosa colonia di emigrati italiani per motivi religiosi, e tra questi non
pochi erano i lucchesi. La comunità italiana era inserita in una propria chiesa
e Simoni vi ebbe l'incarico di catechista; ottenuta la cittadinza ginevrina,
sposò Angela Cattani, figlia di Francesco, un concittadino da tempo stabilitosi
a Ginevra, e ne ebbe una figlia. Preso a benvolere dall'influente teologo
Teodoro di Beza, ottenne di insegnare filosofia all'Accademia di Ginevra: un incarico
dapprima senza compenso, poi retribuito insieme con la nomina a Professore.
Anche il padre Giovanni si stabilì a Ginevra: in quello stesso periodo gli
venne aumentato lo stipendio, ottenne un alloggio gratuito e, nel successivo
febbraio, nell'Accademia fu istituita appositamente per lui la cattedra di
medicina. A Ginevrà pubblicò i primi libri. Presso l'editore Jean Crespin
apparve il suo In librum Aristotelis de sensuum instrumentis et de his quae sub
sensum cadunt commentarius unus: è il commento al De sensu et sensibilibus di
Aristotele. In esso Simoni distingue dapprima le verità di fede dalle verità
filosoficheuna premessa tipica dell'aristotelismo padovanoma poi cerca di
dimostrare che la ragione, indagando la natura, può giungere a Dio, rivelando
le verità di fede. In tal modo, Simoni sostiene che anche le questioni
teologiche hanno natura razionale e, qualora sorgano contrasti, la ragione è in
grado di comporli, indicando la via da seguire per una corretta
interpretazione: una conseguenza, seppure non esplicita nel commento del
Simoni, della prevalenza della ragione sulla fede, è che il dogmaespressione
della tradizionale subordinazione della ragione alla fedenon ha motivo di
esistere. La sede del Concistoro di Ginevra Il suo aristotelismo che
poco concede alla teologia cristiana si conferma con i successivi commenti
all'Etica Nicomachea e al De anima, mentre dal 1567 Simoni condusse una lunga e
dura polemica contro il medico e filosofo Jacob Schegk. Questi, proprio
all'opposto del Simoni, usava argomenti tratti dalla teologia scolastica per
dimostrare la realtà della teoria, allora caldeggiata in ambienti luterani,
della ubiquità del corpo di Cristo. Simoni rispondeva con argomenti di
carattere fisico dimostrando l'irrealtà di tale assunto: un solo corpo fisico
non può che occupare, nello stesso tempo, un unico spazio determinato e anche
Cristo, in vita, fu soggetto alla legge naturale. Dopo la morte, egli aveva
mantenuto soltanto una natura divina, e non è sostenibile l'idea che Dio possa mutare
le leggi naturali: ente perfetto e primo motore immobilecome l'aveva delineato
AristoteleDio agisce sulla natura unicamente attraverso la sua perfezione che
indirizza al bene gli esseri naturali. Il suo carattere collerico e
l'alta considerazione che egli aveva di sé lo portò a una lite clamorosa con
Niccolò Balbani, un altro lucchese, catechista della comunità italiana. Durante
il matrimonio della figlia di questi, Simoni lo coprì d'insulti, con grave
scandalo delle autorità di Ginevra, che fecero imprigionare Simoni e lo
espulsero dall'Accademia. A nulla valsero le scuse presentate dal
Simoni: è del resto probabile che la severità del Consiglio e del
Concistoro ginevrino fosse motivata anche dalla freddezza e dallo spirito
d'indipendenza dimostrato dal medico lucchese, che pure si dichiarava
calvinista, in materia di religione. Tuttavia Teodoro di Beza gli mantenne
ancora la sua amicizia e lo fornì di una lettera di raccomandazione con la
quale, Simone Simoni lasciò temporaneamente a Ginevra la moglie e la figlia per
dirigersi alla volta di Parigi. A Parigi Parigi: cortile del
Collège Royal, oggi Collège de France Nella capitale francese Simoni ottenne
una buona accoglienza: i calvinistiqui chiamati ugonottierano ancora tollerati
e le lusinghiere referenze gli fecero ottenere una cattedra di filosofia al
Collège Royal, dove le sue lezioni ottennero subito un grande concorso di
pubblico. Come scrisse al Beza il 22 settembre 1567, alle sue lezioni
assistevano sei o settecento «huomini barbati, dottori, professori, et altri di
robba lunga, preti, frati, giesuiti et altra simil razza d'uomini». Si ebbe le
congratulazioni di Pietro Ramo, che volle incontrarlo e lo chiamò «felicissimum
et praestantissimum ingenium italicum», non però quelle del collega Jacques
Charpentier, che temeva che il Simoni fosse stato mandato da Ginevra «per
turbare questa scuola». Sapeva che la sua permanenza a Parigi era
precaria: «il nome di Ginevra mi nuoce più che il nome di ugonotto», né poteva
valere molto la protezione del cardinale Odet de Coligny, passato al
calvinismo. Simoni riferiva di aver rifiutato offerte sostanziose da parte
cattolica per insegnare in loro collegi, a prezzo di una sua conversione, e di
attendersi un prossimo editto che avrebbe affrontato il problema della
convivenza tra cattolici e ugonotti. Un editto effettivamente ci fu,
emanato da Carlo IX alla fine dell'anno, con il quale si proibiva ai
protestanti l'insegnamento pubblico. Così, perduti anche i suoi libri che gli
furono sequestrati, Simoni fu costretto ad abbandonare la Francia. In
Germania Cranach: Augusto di Sassonia Si apriva un nuovo periodo di
difficoltà per il Simoni, cui morirono la moglie Angela e il fratello Lodovico.
Non potendo insegnare a Ginevra, cercò di ottenere un incarico a Zurigo e a
Basilea, sollecitando in tal senso altri emigrati italiani come l'editore
Perna e l'umanista Celio Curione, ma invano. I sospetti di antitrinitarismo che
gravavano sul suo conto, da quando, aveva fatto visita nel carcere di Berna
all'«eretico» Valentino Gentile poco prima che questi venisse giustiziato, e il
recente scandalo provocato a Ginevra non agevolavano il suo inserimento nelle
élite intellettuali delle città svizzere. Ottenne bensì una
raccomandazione dal Bullinger per un posto di insegnante a Heidelberg, ma anche
qui rimase poco tempo: la sua amicizia con l'antitrinitario Thomas Erastus, il
suo aristotelismo senza compromessidal nulla, nulla si crea, sostenne in una
pubblica lezione, cosicché anche Cristo era stato creato da Dio Padree il suo
carattere spigoloso gli alienarono ogni simpatia e Simoni dovette riprendere la
via di Basilea. Finalmente, nel 1569, ottenne una cattedra straordinaria
di filosofia all'Lipsia. Se Simoni poteva fregiarsi della stima dell'elettore
di Sassonia Augusto I, non eguale considerazione ottenne dai suoi colleghi, che
fecero gruppo a sé e lo isolarono. Simoni non si perse d'animo: molto popolare
tra gli studenti per la vivacità delle sue lezioni e lo spirito critico che infondeva
negli allievi, fondò, all'interno dell'Università, un'accademia sul modello
umanistico italiano, battezzandola «Academia Acutorum», Accademia degli
Acuti. Di questa istituzione entrò a far parte un gruppo di suoi
studenti: «Le discussioni dovevano vertere sulla interpretazione di passi aristotelici.
Notevole la mancanza di ogni precetto di osservanza religiosa in senso
specifico. I giovani così raggruppati intorno al Simoni dettero ben presto
dello spirito critico e dell'idea di esser superiori agli altri, che il vivace
professore aveva finito per insinuare nei loro animi. Pasquinate anonime contro
un professore, e il giorno dopo, un litigio clamoroso tra questo e il Simoni,
iniziarono una serie di incidenti che ebbero termine con la soppressione
dell'Accademia». La soppressione dell'Accademia, decisa dal Senato
universitario, testimonia i difficili rapporti intercorrenti tra l'Università e
il Simoni, che per altro in città era reputato «ospite illustre, professionista
affermato e ricercato, uomo di mondo e di cultura dalla posizione prestigiosa,
che godeva della stima e del rispetto dei suoi concittadini, e la cui fama
oltrepassavala frontiera del paese che gli dava ospitalità». Egli, infatti,
oltre a insegnare filosofia e ad avere allievi anche illustri, come i prìncipi
lituani Radziwiłł, esercitava la professione medica, vantando clienti di
riguardo, e si era risposato con una nobile del luogo, Magdalena von
Hülsen. La «De vera nobilitate» Pubblicò il suo scritto filosofico più
originale, la De vera nobilitate, dedicata all'Elettore di Sassonia. La vera
nobiltà è la virtù dell'anima umana, la quale è intesa aristotelicamente come
forma del corpo: la virtù dell'anima è perciò strettamente legata alla
particolare costituzione del corpo, trasmessa nell'individuo di generazione in
generazione dal seme del genitore, che costituisce la causa efficiente del
singolo essere. Non per nulla da «genere» deriva «generoso», e se pure «non
tutti i nobili sono generosi, chi è generoso è considerato nobile». Le
differenze sociali tra gli individui e le conformazioni dei loro corpi sono
egualmente corrispondenti per necessità naturale, secondo Simoni: «la natura
vuole infatti fare diversamente i corpi dei liberi da quelli dei servi, questi
robusti e con deformità necessarie al loro particolare utilizzo, quelli diritti
e belli, perché non desti tali fatiche, ma alla vita civile», anche se non
mancano eccezioni alla regola. Certamente l'educazione ricevuta svolge
una funzione per la formazione dell'uomo, ma resta inferiore a quella naturale:
di due giovani, di diversa estrazione sociale ma educati allo stesso modo, il
nobile risulterà alla fine meglio formato, in quanto la natura lo ha costituito
di una «materia» superiore. L'educazione ha lo stesso effetto della medicina:
fa recuperare la propria condizione di salute, ma non può migliorarla oltre il
limite fissato dalla natura. Viene da sé che le famiglie nobili diano
lustro alla nazione, formando l'élite della società civile sotto l'aspetto
culturale e politico. Questo però non avviene in tutte le nazioni, ma soltanto
in quelle di antica civiltàin sostanza, in gran parte delle società
europeementre presso i barbari non può esistere nobiltà: «essi sono giustamente
detti servi per natura e in quanto servi, non portano in loro nessuna virtù,
essendo nati per servire sotto una tirannia e non in un regio e civile
governo». Le virtù dei nobili non possono consistere nell'accumulare
ricchezze, ma esse sono ugualmente attive e pratiche: sono le virtù civili del
politico, che si occupa del benessere dei cittadini, quelle del medico, che si
occupa della salute degli individui, del fisiologo, che studia la natura e
infine del metafisico, che studia le cose divine. Queste ultime, insieme alla
virtù della contemplazione, è però meglio riservarle nella vita che ci attende dopo
la morte, quando quei problemi saranno facilmente risolti: «queste cose sono
irrise dai politici, tra i quali (non tra gli angeli) si discute di nobiltà».
Nel frattempo, è opportuno «dedicarsi alle cose di questo mondo ed essere utili
alla società degli uomini: si loda Socrate il quale, trascurate le altre parti
della filosofia, coltivò quella sola che era più adatta ai costumi degli uomini
e alle istituzioni civili». Che la vera nobiltà si debba esprimere
nell'attività pratica e civile è ribadito più volte dal Simoni: «la nobiltà
spunta fuori dalla società civile, non dalla solitudine», e le virtù
spirituali, come quelle mostrate dai mistici e dai contemplativi, non sono
virtù nobili proprie dell'essere umano. Queste virtù tipicamente cristiane discendono
direttamente da Dio e perciò non derivano da generazione naturale, non sono
frutto della carne e del sangueil fondamento della vera nobiltàe non essendo
ereditarie non possono essere considerate virtù nobili. Naturalmente, ai non nobili non possono essere
affidati incarichi di responsabilità nel governo della società, ma al più solo
l'esercizio di magistrature minori. Derivando dal sangue la nobiltà, non si può
diventare autenticamente nobili attraverso conferimenti onorifici, anche se
concessi da un sovrano mentre, al contrario, un autentico nobile non può essere
privato della fama e dell'onore, perché in lui opera sempre «quella forza e
quell'efficacia naturale ricevuta dai suoi antenati». Conflitti accademici e
religiosi Lipsia: l'attuale Accademia delle Scienze Dopo questa
applicazione dei principi aristotelici al vivere civile e al governo dello
Stato, che deve essere affidato a chi per natura fa parte degli ottimati,
Simoni si dedicò a trattare temi propriamente medici. Apparve a Lipsia il suo
De partibus animalium, ove descrive la conformazione del feto, la De vera ac
indubitata ratione continuationis, intermittentiae, periodorum febrium
humoralium, l'Artificiosa curandae
pestis methodus, cui seguì l'anno dopo una Synopsis brevissima novae theoriae
de humoralium febrium natura: temi di drammatica attualità, a Lipsia, investita
da un'epidemia di peste. Simoni aveva ottenuto il permesso di esercitare
la professione medica all'interno dell'Università, pur senza ottenere, oltre
quella straordinaria di filosofia, anche una cattedra di medicina. Presentò
all'Elettore una proposta di riforma universitaria. S'indicava la necessità di
una maggiore cura nell'assunzione dei professori, che dovevano dimostrare non
solo di possedere la necessaria scienza, ma anche capacità didattiche. Dovevano
anche essere obbligati a tenere un maggior numero di lezionis'imponevano multe
ai professori inadempientimentre la durata dell'anno accademico veniva
prolungata. Particolare cura dedicava il Simoni all'insegnamento della medicina.
Dovevano tenere lezioni cinque professori, tra i quali un chirurgo che avrebbe
tenuto esercitazioni di anatomia e fatto dimostrazioni pratiche di cura delle
diverse affezioni. La qualità dell'insegnamento teorico andava migliorata:
Simoni riteneva che corressero troppe affermazioni dogmatiche, che sarebbero
dovute essere verificate dalla pratica e dal rigore della dimostrazione
dialettica. A questo proposito egli opinava che avrebbe giovato un'accurata
conoscenza delle opere di Aristotele. Non mancavano poi critiche severe
sull'attuale andamento dell'Lipsia: i rettori erano scelti grazie alle loro
aderenze, si promuovevano studenti immeritevoli, vi era scarsa pulizia, la
farmacia universitaria era mal tenuta. Tali proposte e simili critiche non potevano
che alimentare ancor più l'ostilità dei colleghi. Egli non sembrava
preoccuparsene: la stima dell'Elettore Augusto si manteneva immutata, se nel
1579 lo fece nominare Professore di filosofia e lo promosse a suo primo medico
personale. Avvenne tuttavia che, su sollecitazione della chiesa luterana, la
quale aveva preparato una confessione di fede che in particolare tutti
funzionari e gli impiegati, a vario titolo, dello Stato avrebbero dovuto
firmare, l'Elettore pretese tale sottoscrizione anche dal professor Simoni,
ottenendone un netto rifiuto. Racconta lo stesso Simoni che, avendo
«rifiutato costantemente di sottoscrivere quella che i teologi sassoni
denominarono Formula di Concordia, il Principe Elettore rivolse il suo sdegno
contro di me». Al che il Simoni «decise di andarsene e, nonostante l'Elettore
cercasse d'impedirlo, diede l'ultimo saluto a quelle popolazioni». A Praga: la
conversione al cattolicesimo Praga: portici medievali Si trasferì a
Praga, dove venne assunto quale medico personale dell'imperatore Rodolfo II.
Tale incarico e il carattere cattolico dell'Impero di cui era ora suddito
rendeva necessario un chiarimento sulle sue posizioni religiose, poiché era
nota la rottura avvenuta a Ginevra con i calvinisti e a Lipsia con i luterani. Simoni
si adeguò facilmente alla nuova situazione e nel febbraio del 1582 abiurò
pubblicamente le passate convinzioni, ritrattò quanto nei suoi scritti poteva
esservi di «eretico» e abbracciò formalmente il cattolicesimo. Si trattò di una
scelta di convenienza, seppure comprensibile nel clima torbido delle
persecuzioni e dell'intolleranza. Lo scrisse lui stesso all'amico Nicolas
Selnecker, un teologo luterano: «Confesso di aver abiurato, anche se non avrei
voluto farlo neppure a costo del mio sangue. Di tale mio atto altri comunque
sono i responsabili. In nessun altro modo avrei potuto infatti salvare la mia
vita, quella di mia moglie e dei miei figli che speravo di poter condurre con
me»la moglie morì poco dopo e i tre figli rimasero affidati a Lipsia al nonno
materno«io, un italiano perseguitato a causa della religione luterana,
dichiarato nemico della patria, esposto per decreto del Senato all'agguato di
sicari». E ricordò la sorte di chi non si era piegato a compromessi: «io che
vidi con questi occhi il Paleologo, esule per causa di religione, condotto su
richiesta del legato pontificio dalla Moravia a Vienna, e di qui trascinato in
catene a Roma (si sente dire che ormai è stato crudelmente arso sul rogo), io
che ero circondato da ogni parte da infinite difficoltà e pericoli di ogni
genere, che cosa avrei dovuto fare?». Questa lettera non venne agli occhi dei
gesuiti, che vantarono il successo ottenuto con la presunta conversione del
medico famoso, il quale avrebbe promessoa dir lorodi collaborare nella lotta
agli eretici. La loro soddisfazione non dovette però durare a lungo, o forse
essi stessi credettero poco alla conversione del Simoni, se lo storico gesuita
Francesco Sacchini già nel 1620 poteva qualificarlo di «miserabile uomo che in
disprezzo di ogni religione sprofondò nell'empietà», mentre tra i protestanti
il Beza, alla notizia della sua conversione, commentò di essere sempre stato
convinto che l'unico Dio di Simoni fosse in realtà Aristotele. e Jakob Monau,
dopo aver ricordato i suoi continui trascorsi«da cattolico si è fatto
calvinista, da calvinista antitrinitario, da antitrinitario luterano, e ora di
nuovo papista»lo tratteggiò da «uomo profano ed empio, come indicano sia i suoi
costumi, sia i suoi discorsi, sia tutta la sua vita». Forse Simoni stesso sentì
di essere circondato da un clima di diffidenza se non di disprezzo, perché
solo dopo poco più di un anno, alla fine del 1582, prese la risoluzione di
lasciare le terre dell'Impero per trasferirsi in Polonia. In Polonia
Sembra che sia stato un altro italiano, Nicola Buccella, medico personale del
re István Báthory, a raccomandarlo come medico della corte di Cracovia.
Buccella, di fede anabattista, godeva di notevole considerazione, né la sua
fama di eretico gli aveva pregiudicato l'esercizio della professione in quella
Polonia che era ancora un paese tollerante. Il prestigioso incarico e la fama
stessa di cui da tempo godeva aprì al Simoni le porte della migliore società
polacca, e egli sposava Magdalena Krzyźanowska, giovane figlia di Joachim Krzyźanowski,
nobile borgomastro della capitale. Il castello reale di Grodno
Riprese a pubblicare alcuni libri: la Disputatio de putredine è una
confutazione, sulla scorta di Aristotele, delle teorie del medico svizzero,
nonché teologo, Thomas Erastus, mentre la Historia aegritudinis ac mortis
magnifici et generosi domini a Niemsta è una relazione sulla morte del
borgomastro di Varsavia Jerzy Niemsta, che era stato suo paziente. Sulla
malattia di quest'ultimo tornò nel Simonius supplex, insieme con una delle solite
polemiche che lo videro ora opporsi al medico di Piombino Marcello
Squarcialupi. Una nuova svolta nella vita del Simoni si verificò con la
malattia e la morte del re Stefano. Il 7 dicembre 1586 il Báthory si sentì male
nel suo castello di Grodno, e nel consulto tenuto dal Buccella e dal Simoni
emersero serie divergenze: il primo giudicò molto grave le condizioni del re,
mentre Simoni ritenne che non ci fosse nessun pericolo. Due giorni dopo le
condizioni di Stefano Báthory si aggravarono e i due medici si trovarono
d'accordo nell'imporre un salasso al re ma in contrasto sulla dieta: Simoni era
favorevole a fargli bere del vino, che il Buccella intendeva invece proibire.
Nemmeno nella diagnosi si trovarono d'accordo: per il Buccella, il sovrano soffriva
di asma, per Simoni, di epilessia. L'11 dicembre sopravvenne una nuova
grave crisi e il re perse conoscenza. Pur giudicando molto gravi le sue
condizioni di salute, Simoni rassicurò i circostanti, perché, a suo dire, non
c'era ancora pericolo di morte: aveva appena pronunziato queste parole che il
re spirava. Simoni lasciò il castello e non volle assistere all'autopsia,
sostenendo che fosse inutile, poiché l'epilessia «ab infernis partibus ducit
originem» e non lascia tracce nel cadavere. Coordinata dal Buccella, l'autopsia
fu effettuata il 14 dicembre dal chirurgo tedesco Johann Zigulitz, che accertò
una grave alterazione dei due reni. La ricognizione dello scheletro di Stefano
Báthory, confermò che la morte avvenne per degenerazione renale, uremia e calcolosi.
Cracovia: chiesa di San Francesco Simoni pubblicò a sua difesa lo Stephani
primi sanitas, vita medica, aegritudo, mors, che fu violentemente contestato
dal De morbo et obitu serenissimi magni Stephani, scritto dal segretario reale
Giorgio Chiakor su ispirazione del Buccella. La polemica proseguì a lungo,
coinvolgendo altri amici del Buccella, e degenerando in insulti e attacchi
sulle convinzioni religiose dei due protagonisti: contro Simoni, tra gli altri,
fu indirizzato l'opuscolo Simonis Simoni lucensis, primum romani, tum
calviniani, deinde lutherani, denuo romani, semper autem athei summa religio.
Alla fine, il nuovo re Sigismondo III, nell'aprile del 1588, riconfermò
Buccella nella carica di medico curante, escludendo Simoni da ogni incarico di
corte. Da allora, le notizie su Simoni si fanno scarse. Pur senza avere
incarichi ufficiali, mantenne una ricca clientela e godette della
considerazione dello stesso imperatore Rodolfo, dei principi Radziwiłł, del
vescovo di Olomouc Jan Pavlowski e dei gesuiti, dai quali si fece rilasciare
nel 1600 un salvacondotto per rientrare in Italia e recarsi a Roma. Precauzione
necessaria, con i suoi trascorsi: una precauzione maggiore fu però quella di
rinunciare al viaggio. La sua vita agitata ebbe così fine a Cracovia nel 1602,
vecchio di settant'anni, come lo ricordava la lapide posta dalla moglie
Magdalena sulla sua tomba nella chiesa cattolica di San Francesco. Quella
lapide, e la sua tomba, non esistono più. La data di nascita si deduce dalla
lapide sepolcrale, poi andata distrutta in un incendio, posta nella chiesa di
San Francesco, a Cracovia, nella quale era scritto che il Simoni «ultimum diem
clausit III non. aprilis A. D. 1602» all'età di 70 anni. Il testo della lapide
è in S. Ciampi, Viaggio in Polonia, Queste notizie biografiche si apprendono
dallo scritto del Simoni, Scopae, quibus verritur confutatio, ..., G1b-G3b. Per
secoli gli storici locali discussero del luogo di nascita del medico
toscano. M. Verdigi, Simone Simoni, filosofo
e medico nel '500, C. Madonia, Simone
Simoni da Lucca, C. Lucchesini, Opere edite e inedite, XVII, Come scrive egli
stesso: S. Simoni, Synopsis brevissima ..., C. Madonia, Simone Simoni da Lucca,
G. Tommasi, Sommario della storia di
Lucca, A. Pascal, Da Lucca a Ginevra. Studi sull'emigrazione religiosa lucchese
nel secolo A. Fabris, Il rapporto tra filosofia e teologia in Simone Simoni, in
M. Verdigi, Simone Simoni, A. Fabris, Il rapporto tra filosofia e teologia in
Simone Simoni, S. Simoni a Teodoro di Beza, in A. Pascal, Da Lucca a Ginevra, e
in M. Verdigi, Simone Simoni, cS. Simoni a Teodoro di Beza, in M. Verdigi,
Simone Simoni, c D. Cantimori, Un italiano contemporaneo di Bruno a Lipsia, D.
Cantimori, Un italiano contemporaneo di Bruno a Lipsia, C. Madonia, Simone Simoni, S. Simoni, De vera
nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De
vera nobilitate, S. Simoni, De vera
nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, cit., ivi. S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De
vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, D.
Cantimori, Un italiano contemporaneo di Bruno a Lipsia, F. Pierro, La vita
errabonda di uno spirito eternamente inquieto. Simone Simoni, S. Simoni, Simonius
supplex ..., in C. Madonia, Simone Simoni da Lucca, M. Firpo, Alcuni documenti
sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese Simone Simoni ,Il
Paleologo fu decapitato in carcere e il
cadavere fu arso pubblicamente a Roma, in Campo de' Fiori. M. Firpo, Alcuni documenti sulla conversione
al cattolicesimo dell'eretico lucchese Simone Simoni, F. Sacchini, Historia Societatis Jesu, citato
in M. Verdigi, Simone Simoni, T. di Beza, lettera a Rudolph Gwalther, in A.
Pascal, Da Lucca a Ginevra, J. Monau, lettera a Johannes Crato, in D. Caccamo,
Eretici italiani in Moravia, Polonia, Transilvania . Pierro, La vita errabonda
di uno spirito eternamente inquieto. Simone Simoni, C. Madonia, Simone Simoni
da Lucca, Cfr. n. 1. Opere In librum Aristotelis de sensuum instrumentis et de
his quae sub sensum cadunt commentarius unus, Genevae, apud Joannem Crispinum, Commentariorum
in Ethica Aristotelis ad Nicomachum, liber primus, Genevae, apud Ioannem
Crispinum, Interpretatio eorum quae continentur in praefatione Simonis Simonij
Lucensis, Doct. Med. & Phil. cuidam libello affixa, cuius inscriptio est:
Declaratio eorum quae in libello D. D. Iacobi Schegkii, & c., Genevae, apud
Ioannem Crispinum, Phisiologorum omnium principiis Aristotelis De anima libri
tres, Lipsiae, Ernst Võgelin, Antischegkianorum liber unus, in quo ad obiecta
Schegkii respondetur, vetera etiam nonnulla, dialectica & phisiologica
praesertim, errata eiusdem, male defensa & excusata inculcantur, novaque
quam plurima peiora prioribus deteguntur, Basileae, apud Petrum Pernam, Responsum
ad elegantissimam illam modestissimamque praephationem Jacobi Schegkii, cui
titulum fecit Prodromus antisimonii, Ad amicum quendam epistola, in qua vere
ostenditur, quid causae fuerit, quod responsum illud, quo maledicus, &
multis erroribus refertus Iacobi Schegkij doctoris & professoris
Tubingensis liber plene refellitur, nondum in lucem prodierit, Parisiis, in
vico Jacobaeo De vera nobilitate, Lipsiae, Ioannes Rhamba excudebat, De
partibus animalium, proprie vocatis Solidis, atque obiter de prima foetus
conformatione, Lipsiae, Iohannes Rhamba excudebat, De vera ac indubitata
ratione continuationis, intermittentiae, periodorum febrium humoralium,
Lipsiae, apud haeredes Jacobi Bervaldi, Artificiosa curandae pestis methodus,
libellis duobus comprehensa, Lipsiae, apud Ioannes Steinmann Synopsis brevissima novae theoriae de
humoralium frebrium natura, periodis, signis, et curatione, cuius paulo post
copiosissima et accuratissima consequentur hypomnemata; annexa eiusdem autoris
brevi de humorum differentiis dissertatione. Accessit eiusdem Simonis examen
sententiae a Brunone Seidelio latae de iis, quae Jubertus ad axplicandam in
paradoxis suis disputavit, Basileae, per Petrum Pernam, Historia aegritudinis
ac mortis magnifici et generosi domini a Niemsta, Cracoviae, in officina
Lazari, Disputatio de putredine, Cracoviae, in officina typographica Lazari Commentariola
medica et phisica ad aliquot scripta cuiusdam Camillomarcelli Squarcialupi nunc
medicum agentis in Transilvania, Vilnae, per Iohannem Kartzanum Velicef, Simonius
supplex ad incomparabilem virum, praeclarisque suis facinoribus de universa
Republica literaria egregie meritum Marcellocamillum quendam Squarcilupum
Thuscum Plumbinensem triumphantem: pars prima. Pars altera: in qua de
peripneumoniae nothae dignitione curationeque in domino a Niemista, de subiecto
febris, de rabie canis, de starnutamento, de infecundis nuptiis agitur, Cracoviae,
Alexiius Rodecius, D. Stephani primi Polonorum regis magnique Lithuaniae ducis
vita medica, aegritudo, mors, Nyssae, Reinheckelii, Responsum ad epistolam
cuiusdam Georgij Chiakor Ungari, de morte Stephani primi, Responsum ad Refutationem scripti de sanitate,
victu medico, aegritudine, obitu, D. Stephani Polonorum regis, Olomutii, Scopae,
quibus verritur confutatio, quam advocati Nicolai Buccellae Itali chirurgi
anabaptistae innumeris mendaciorum, calumniarum, errorumque purgamentis
infartam postremo emiserunt, Olomutii, typis Friderice Milichtaler, Appendix
scoparum in Nicolaum Buccellam, Francesco Sacchini, Historiae Societatis Iesu
Pars Secunda, Antverpiae, Ex officina filiorum Martini Nutii, Sebastiano
Ciampi, Viaggio in Polonia, Firenze, presso Giuseppe Galletti, Cesare Lucchesini,
Opere edite e inedite, Lucca, tipografia Giusti, Girolamo Tommasi, Sommario
della storia di Lucca, Firenze, G. P. Vieusseaux, Frank Ludwig, Dr. Simon
Simonius in Leipzig. Ein Beitrag zur Geschichte der Universität in «Neues
Archiv für Sächsische Geschichte», Arturo Pascal, Da Lucca a Ginevra. Studi
sull'emigrazione religiosa lucchese nel secolo XVI, in «Rivista storica italiana»,
Delio Cantimori, Un italiano contemporaneo di Bruno a Lipsia, in «Studi
Germanici», Francesco Pierro, La vita errabonda di uno spirito eternamente
inquieto. Simone Simoni, in «Minerva Medica», Torino, Domenico Caccamo, Eretici
italiani in Moravia, Polonia, Transilvania, Firenze, Sansoni Massimo Firpo,
Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese
Simone Simoni, in «Annali della Scuola normale superiore di Pisa», Claudio
Madonia, Simone Simoni da Lucca, in «Rinascimento»,Firenze, Sansoni, Claudio
Madonia, Il soggiorno di Simone Simoni in Polonia, in «Studi e ricerche II», Mariano
Verdigi, Simone Simoni, filosofo e medico nel '500, Lucca, Maria Pacini Fazzi
editore, G. Tiraboschi su Simone Simoni, in «Biblioteca modenese», Modena, su
books.google.it. S. Ciampi, Viaggio in Polonia, su books.google.it. C.
Lucchesini, Della storia letteraria del Ducato lucchese, su books.google.it. G.
Tommasi, Sommario della storia di Lucca, su books.google.it. S. Simoni, Antischegkianorum
liber unus, su books.google.it. S. Simoni, De vera nobilitate, su
books.google.it. S. Simoni, Artificiosa curandae pestis methodus, su books.google.it.
sini: Grice: “I like Sini; especially his “I
segni dell’anima,” since this is, in a nutshell, what my philosophy has been
all about: the signs of the soul!” -- Carlo Sini (Bologna), filosofo. Ha
studiato a Milano con Barié e Paci, con il quale si è laureato in Filosofia,
diventandone in seguito assistente. Dopo aver conseguito la libera docenza, ha
insegnato Filosofia ad Aquila. -- è stato chiamato a ricoprire la cattedra di
Filosofia teoretica della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Milano, dove ha
anche svolto per un triennio la funzione di Preside di facoltà. Membro per
molti anni del Collegium Phaenomenologicum di Perugia, del Direttivo Nazionale
della Società Filosofica Italiana e dell'Institut International de Philosophie
di Parigi, è socio corrispondente dell'Accademia Nazionale dei Lincei,
dell'Istituto lombardo di scienze e lettere e dell'Archivio Husserl di Lovanio.
Insignito nel 1985 per una sua opera del Premio della Presidenza del Consiglio
dello Stato italiano, ha ricevuto nel 2002 la Croce d'onore di I Classe per la
Scienza e l'Arte dallo Stato austriaco.
Ha tenuto corsi, seminari e conferenze negli Stati Uniti, in Canada,
Argentina, Spagna, Svizzera e altri paesi europei. Ha collaborato per oltre un
decennio alle pagine culturali del Corriere della Sera e collabora tuttora con
la Rai, con la Radiotelevisione svizzera, con vari settimanali e testate
giornalistiche. Dirige per AlboVersorio la collana "Pragmata" ed è
membro del comitato scientifico del festival La Festa della Filosofia. Il 7
dicembre viene premiato dal Comune di Milano
con l'Ambrogino d'oro. Pensiero
Ermeneutica Sini è stato tra i primi a segnalare all'attenzione del pubblico
italiano l'importanza dell'opera di Charles Sanders Peirce, e ha proposto un
filone di ricerca sulla convergenza teoretica dei percorsi filosofici di Peirce
e Heidegger sul filo dell'ermeneutica benché la sua formazione didattica fosse
di orientamento prevalentemente fenomenologico.
Il tema della scrittura e successivi sviluppi La sua proposta teoretica
si è in seguito concentrata sul tema della scrittura e sulla centralità
dell'alfabeto greco come forma logica del pensiero occidentale. In particolare,
in Figure dell'enciclopedia filosofica, Sini rende conto della radicalità del
gesto istitutivo platonico e della nascita della filosofia in modo da
illuminare la genealogia della nostra civiltà e le figure del suo destino.
Questa pubblicazione si misura con nodi problematici e profondi della nostra
cultura. Viene mostrata la verità del gesto filosofico di Platone nel tratto
tecnologico della parola alfabetica che trasforma la relazione al mondo in
"cosità". La pratica del concetto, infatti, in-forma il paradigma
dell'oggettività e traduce le “sterminate antichità” dell'umano all'interno
dell'ambito cronotopico della visione logica elaborata dalla scansione
alfabetica del mondo (con la conseguente nascita del tempo e del sapere
storico). All'educazione mitologica
dell'uomo si sostituisce l'educazione psichica dell'anima nella rimozione delle
qualità sensibili della vita vissuta. Prima operazione di ingegneria genetica
che comporta sia la nascita del soggetto morale nella paideia del bio-politico
(come Nietzsche aveva intuito) sia il conseguente destino nichilista rivelato
dall'epoca contemporanea intesa come “epoca del disincanto”, secondo la nota definizione
di Max Weber. Ma l'intreccio, che dalla preistoria conduce ai nostri giorni,
rinvia al desiderio e all'iscrizione originaria che danza nelle figure della
sessualità e della morte. La soglia così dischiusa, annunciata dalla verità
analogica dell'evento mimato nella generazione, permette il passaggio del
movente desiderante nel “desiderio di vita eterna”. Platone e la logica
disgiuntiva hegeliana rappresentano i due poli più rilevanti di questa
consapevolezza lancinante. Addirittura, tutta la filosofia platonica è
probabilmente da pensare come la domanda più alta e profonda che sia mai stata
posta alla sapienza dionisiaca. E così,
dagli ominidi alla società dell'informazione (sul filo delle pratiche che ne circoscrivono
le traiettorie) la trama del senso transita dai “signa” ai “segni”, disegnando
le coordinate del nostro tempo e il predominio della visione scientifica e
delle sue figure che dileguano la consistenza oggettuale dell'oggettività,
profilando nel rituale pubblico del potere finanziario, e nella conseguente
imposizione dell'universalità oggettiva, un paradosso costitutivo che nasconde
nuove e positive opportunità ancora tutte da scoprire (e attualmente mascherate
dalla deleteria mercificazione imperante). Delineando nuove occasioni di senso,
le Figure dell'enciclopedia invitano a “sognare più vero”, vale a dire ad
abitare la conoscenza filosofica nell'esercizio dell'evento del significato
nella concretezza delle sue pratiche. Ethos di una nuova scrittura della
soggezione del mortale al desiderio, nell'apertura al transito della vita
eterna. Recentemente Sini ha
approfondito la questione del logos e della tecnica facendo, sulla scia dei
lavori precedenti, del primo (ragione e parola) il fondamento ultimo, della
seconda l'essenza. Una posizione di rilievo e in controtendenza all´interno del
panorama di questa specifica area della filosofia contemporanea. Opere: “I Greci e noi,” con Giovanni Emanuele
Barié (NABANuova Accademia di Belle Arti Editrice, Milano), “Whitehead e la
funzione della filosofia” (Marsilio Editore, Padova) Introduzione alla
fenomenologia come scienza (Lampugnani Nigri, Milano) Storia della filosofa (Morano
editore, Napoli 1 Il pragmatismo (Laterza, Roma-Bari) Semiotica e filosofia:
segno e linguaggio in Peirce, Nietzsche, Heidegger e Foucault (Il Mulino,
Bologna, “Passare il segno” (Il Saggiatore, Milano) Kinesis. Saggio d'interpretazione
(Spirali, Milano) Metodo e filosofia (Unicopli, Milano 1986) Il silenzio e la
parola (Marietti, Genova) I Segni dell'anima (Laterza, Bari) Immagini di
verità. Dal segno al simbolo[collegamento interrotto] (Spirali, Milano Il simbolo
e l'uomo (Egea, Milano) L'espressione e il profondo (Lanfranchi, Milano 1991)
Etica della scrittura (Il Saggiatore, Milano) (Mimesis, Milano) Pensare il progetto
(Tranchida, Milano) Filosofia teoretica (Jaca Book, Milano) Variazioni sul
foglio-mondo. Peirce, Wittgenstein, la scrittura, con Rossella Fabbrichesi Leo
(Hestia, Como) L'incanto del ritmo (Tranchida, Milano Filosofia e scrittura
(Laterza, Roma-Bari) Scrivere il silenzio: Wittgenstein e il problema del
linguaggio (Egea, Milano) Teoria e pratica del foglio-mondo (Laterza, Roma-Bari)
Gli abiti, le pratiche, i saperi (Jaca Book, Milano) Scrivere il fenomeno:
fenomenologia e pratica del sapere (Morano, Napoli 1999) Ragione (Clueb,
Bologna 2000) Idoli della conoscenza (Cortina, Milano La libertà, la finanza,
la comunicazione[collegamento interrotto] (Spirali, Milano) La scrittura e il
debito: conflitto tra culture e antropologia (Jaca Book, Milano) Il comico e la
vita (Jaca book, Milano) Figure dell'enciclopedia filosofica. Transito verità
(Jaca Book, Milano) in 6 volumi: 1: L'analogia della parola: filosofia e
metafisica; 2: La mente e il corpo: filosofia e psicologia; 3: Origine del
significato: filosofia ed etologia; 4: La virtù politica: filosofia e
antropologia; 5: Raccontare il mondo: filosofia e cosmologia; 6: Le arti
dinamiche: filosofia e pedagogia La materia delle cose: filosofia e scienza dei
materiali (Cuem, Milano) Archivio Spinoza. La verità e la vita (Edizioni
Ghibli, Milano) Del viver bene: filosofia ed economia (Cuem, Milano) Distanza
un segno: filosofia e semiotica (Cuem, Milano) Il gioco del silenzio
(Mondadori, Milano, Il segreto di Alice
e altri saggi (AlboVersorio, Milano) Eracle al bivio. Semiotica e filosofia (Bollati
Boringhieri, Torino) Da parte a parte. Apologia del relativo (Edizioni ETS,
Pisa) L'uomo, la macchina, l'automa: lavoro e conoscenza tra futuro prossimo e
passato remoto (Bollati Boringhieri, Torino) L'Eros dionisiaco (AlboVersorio,
Milano, ) Figure d'Occidente. Platone, Nietzsche e Heidegger (con Massimo Donà
e Salvatore Natoli, introduzione di Ersamo Silvio Storace)( AlboVersorio,
Milano ) La nascita di Eros (AlboVersorio, Milano, ) Scrivere il silenzio:
Wittgenstein e il problema del linguaggio (Castelvecchi, Roma ) Spinoza (Book
Time, Milano ) Critica Enrico Redaelli, Il nodo dei nodi. L'esercizio del
pensiero in Vattimo, Vitiello, Sini, Ets, Pisa Il filosofo e le pratiche. In dialogo con
Carlo Sini (E.Redaelli, con scritti di L. BrovelliCrippa, E. Della Valle, E.
Redaelli), Milano, CUEM. Vincenzo Comerci, Filosofia e mondo. Il confronto di
Carlo Sini, Milano, Mimesis, . Luciano Cristiano, La filosofia di Carlo Sini.
Semiotica, ermeneutica e pensiero delle pratiche, Milano, Mimesis, . Note Collana Pragmata, in AlboVersorio, Cfr. Copia
archiviata, su unimi.it). Logos e
techne, tecnologia e filosofia, su youtube.com. CarloSiniNoema (canale
ufficiale), su YouTube. Carlo Sini, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Carlo Sini / Carlo Sini (altra
versione) / Carlo Sini (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
Opere di Carlo Sini, . Registrazioni di
Carlo Sini, su RadioRadicale.it, Radio Radicale. Nòema la rivista online di filosofia diretta
da Rossella Fabbrichesi e Carlo Sini, su riviste.unimi.it. Archivio Carlo Sini
il luogo ove i materiali relativi ai passati corsi universitari del prof. Sini
ed altro ancora, su archiviocarlosini.it. Lectio Magistralis di Carlo Sini su
La Différance di Jacques Derrida, Arcoiris TV, Riflessioni sul Senso della
Vita. Intervista a Carlo Sini, di Ivo Nardi, giugno , sito Riflessioni.it
Collana PragmataAlboVersorio, su alboversorio.wordpress.com.
siracusa: Alcadino (Siracusa), filosofo. Vissuto vicino alla
corte degli Hohenstaufen. Sebbene non vi siano certezze sull'esatto anno
di nascita di Alcadino, a parere di un suo biografo, egli sarebbe nato a
Siracusa attorno all'anno 1160. Suo padre, Garsino Siracusano, lo mandò a
studiare a Salerno, presso la celebre Scuola Medica Salernitana. Dopo gli studi
in lettere, Alcadino si cimentò in quelli di filosofia, raccogliendo attorno a
sé una serie di seguaci. Quindi, in seguito alla conclusione del corso regolare
degli studi, il siracusano fu scelto per fare da insegnante in medicina e
filosofia presso la stessa scuola salernitana. Divenuto uno dei più
stimati medici della scuola, Alcadino fu chiamato alla corte di Enrico VI di
Svevia, che nel frattempo era entrato in possesso del Regno di Sicilia, e fu
assunto come medico ordinario del sovrano. Dopo la morte di Enrico, il medico
siracusano servì il di lui figlio, Federico II, che lo rese degno di confidenza
e apprezzamento. Oltre alle ordinarie attività legate alla sua professione,
Alcadino si occupò anche di poesia. Scrisse forse un trattato in versi sui
bagni minerali di Pozzuoli, il De Balneis Puteolanis (che però alcuni autori
attribuiscono a Pietro da Eboli). In quest'opera vengono descritti con
precisione il luogo, le qualità e le virtù dei suddetti bagni. Alcadino scrisse
inoltre due opere nelle quali celebrava le gesta di Enrico VI e Federico
II. Secondo lo storico Antonio Mongitore, Alcadino di Siracusa morì
all'età di 52 anni, quindi si presume verso il 1212 circa. Opere: De
Balneis Puteolanis, De Triumphis Henrici Imperatoris De His Quae a Friderico II
Imperatore Praeclare ac Fortifer Gesta Sunt Note Pasquale Panvini di S.
Caterina Salvatore De Renzi405. Pasquale
Panvini di S. Caterina, Biografia degli uomini illustri della Sicilia, Giuseppe
Emanuele Ortolani, Tomo I, Napoli, Salvatore De Renzi, Storia documentata della
scuola medica di Salerno, Napoli.
sirenio: Giulio Sirenio (Brescia), filosofo. Professore
di metafisica a Bologna. Opere: De fato, Venetiis, Giordano Ziletti. Anthony
Ossa-Richardson, The Devil's Tabernacle: The Pagan Oracles in Early Modern
Thought, Princeton.
soave: Francesco Soave (Lugano), filosofo. Per
qualche tempo maestro di Manzoni, fu il più efficace divulgatore del sensismo
italiano. Lapide commemorativa di Soave all'Pavia. Nacque da
Giuseppe Soave e Clara Herrik. La sua numerosa famiglia versava in ristrettezze
economiche, ma egli riuscì ad iniziare gli studi presso l'istituto di S.
Antonio e, a soli sedici anni, lasciò Lugano per recarsi a Milano dove, nel
1760, prese i voti nella congregazione dei padri Somaschi. Trasferitosi a
Pavia, presso il collegio di San Majolo, iniziò gli studi filosofici e nel 1761
fu inviato a Roma al collegio Clementino, che era il più importante della
congregazione dei padri Somaschi, per completare gli studi teologici. In questo
periodo si dedicò anche allo studio delle lingue greca, inglese, francese,
tedesca e spagnola. Nel 1765 pubblicò le sue traduzioni delle Bucoliche e
delle Georgiche di Virgilio, cui aggiunse un poemetto sul modo di tradurre e il
volgarizzamento di un sermone di San Basilio Magno. Fu richiamato in seguito
alla Scuola dei Paggi di Parma, dal direttore Francesco Venini, a leggere Belle
lettere ed a insegnare Poesia latina. Qui rimase fino al 1768 quando Guillaume
du Tillot promosse la riforma dell'Università, affidandogli la cattedra di
Poesia. Nel 1770 preparò l'Antologia Latina, per dare agli allievi i
migliori esempi di oratoria e di poetica. Ed è proprio in questo momento che
prese corpo nel Soave l'idea della Gramatica ragionata, in seguito stampata a
Parma nel 1771. L'attività del Soave a Parma finì nel 1772. Tornò così a
Milano, dove il conte Carlo Firmian, governatore austriaco della Lombardia, gli
affidò, la cattedra di Filosofia a Brera. Oubblicò la versione italiana delle
Ricerche intorno all'istituzione naturale di una società e di una lingua e
all'influenza dell'una e dell'altra su le umani cognizioni, dissertazione
presentata per rispondere al quesito, posto dall'Accademia Reale delle Scienze
e delle Lettere di Berlino: "Supponendo degli esseri umani lasciati alle
loro facoltà naturali, sarebbero essi in grado di inventare il linguaggio? E
con quali mezzi potrebbero giungere a questa invenzione?". Seguendo
una delle classiche questioni filosofiche dibattute nel Sei-Settecento,
pubblicò le Riflessioni intorno all'istituzione di una lingua universale, nelle
quali Soave teorizzava la formazione di un linguaggio che consentisse a tutti
gli uomini di comunicare tra loro, anche se alla fine si dichiarava scettico
circa la possibilità di introdurre ex novo una lingua universalmente valida,
preferendo l'adozione del francese, che a suo dire svolgeva il ruolo di lingua
colta universale, un tempo esclusiva del latino. Nel 1775 tradusse in
italiano il compendio dei saggi di John Locke Saggio filosofico sull'umano
intelletto e la Guida dell'intelletto alla ricerca della verità. A quest'ultimo
saggio Soave aggiunse, oltre alle consuete annotazioni, anche un'appendice
didascalica, sul Metodo che dee tenersi per trovare la verità e per insegnarla
ad altrui. Questo commento è ricco di implicazioni, per cogliere il carattere
del suo approccio pedagogico. Infatti Soave era soprattutto interessato a dare
un'immediata traduzione del pensiero di Locke, nei termini di un discorso
didattico ed in particolare a trarre indicazioni per la soluzione del problema
di come comporre "buoni libri elementari". Inoltre, sempre
nell'appendice, Soave riprende, da un punto di vista prevalentemente didattico,
la questione, per lui fondamentale, di come introdurre i giovani ai primi
principi della scienza, suggerendo che il rigore del metodo analitico, il solo
valido sul piano conoscitivo, venga attenuato ne' libri elementari. Avvertendo
la necessità di superare tutti quegli ostacoli, che si frapponevano in Europa
alla libera circolazione delle idee e al continuo e fecondo scambio su un
terreno scientifico, letterario e filosofico, Soave fondò nel 1775, con la
collaborazione di Carlo Amoretti, il periodico Scelta di opuscoli interessanti
tradotti da varie lingue che sarebbe durato fino al 1803, anche se con il nome
di Opuscoli scelti. In essi Soave, oltre all'opera di traduzione, pubblicò
anche alcuni saggi che testimoniavano il suo eclettismo, tipico dell'epoca. Collaborò
con altri studiosi alla realizzazione di una serie di opuscoli (trentasei in
tutto), di vario argomento (soprattutto traduzioni), nei quali inserì alcune
sue opere. Nel 1782 scrisse le Novelle morali, alle quali se ne
aggiunsero altre, tra il 1784 e il 1786. La loro edizione definitiva risulterà
una delle opere più apprezzate ed utilizzata a lungo nelle scuole per l'educazione
dei giovani. Ottenne la cattedra di Logica e Metafisica a Brera, alla quale
venne incorporata in seguito quella di Etica. Gli anni dal 1786 al 1792
segnarono il momento più intenso della partecipazione di Soave al movimento
illuministico e riformatore. Nel 1786, in seguito all'editto di Giuseppe
II sulla riforma delle scuola in Lombardia, Soave venne incaricato di rinnovare
le scuole elementari e di preparare alcuni testi scolastici. Per svolgere
questo gravoso compito venne nominato membro della Delegazione delle scuole
normali, istituita alle dipendenze della giunta delle Pie Fondazioni, e si recò
ad osservare il metodo normale, seguito dalle scuole di Rovereto, Trento e
Bolzano. Soave avrebbe dovuto innanzitutto fornire una nuova traduzione del
Libro del metodo, confrontando quella poco corretta e quindi incapace di
servire da codice che era giunta alla delegazione. In seguito a
queste sue ricognizioni, sia territoriali che letterarie, Soave scrisse il
Compendio del metodo delle scuole normali ad uso delle scuole della Lombardia
austriaca, rivolto in particolare alla formazione dei maestri e contenente i
principi educativi del metodo normale, riveduti da lui stesso. A questo libro
sono legate indissolubilmente anche: Traduzione del Regolamento generale delle
scuole normali, principali e comuni, che era stato emanato da Maria Teresa
d'Austria e redatto da Giovanni Ignazio Felbiger, cui Soave aggiunse in
un'Appendice Quanto è compreso nel libro del metodo relativamente allo stesso
regolamento e inoltre la traduzione di Soave delle Leggi scolastiche da
osservarsi nelle Reali scuole normali della Lombardia austriaca. Fu il
fondatore e la mente della prima Scuola normale italiana, inaugurata a Brera. Tentò
anche di recarsi in Francia, tuttavia le notizie sulla Rivoluzione che nel
frattempo era scoppiata lo convinsero a restare in Italia dove si dedicò a
studi filosofici. Stampò le Istituzioni di logica, etica e metafisica, opera
pensata per lo studio nei licei e nelle università e, dall'edizione, vi
aggiunse gli Opuscoli metafisici. Le truppe di Buonaparte occuparono
Milano e Soave si rifugiò a Lugano, poiché nel 1793 aveva scritto, sotto lo
pseudonimo di Glice Ceresiano, un opuscolo contro gli ideali rivoluzionari,
intitolato Vera idea della rivoluzione di Francia, lettera di Glice Ceresiano
ad un amico. Ebbe qualche incarico di supplenza nel collegio di Sant'Antonio e
tra i suoi allievi ci fu un giovanissimo Alessandro Manzoni.
Frontespizio dell'Abecedario Il principe di Angri lo invitò a Napoli, per
istruire il suo unico figlio, ma, nel 1799, con l'occupazione francese della
città, Soave tentò dapprima la fuga in Sicilia e in seguito visse seminascosto,
fino a che non gli venne restituita, da parte del governo provvisorio
austriaco, la cattedra di Filosofia a Brera. Tuttavia il ritorno dei Francesi gliela tolse definitivamente e Soave si dedicò
agli studi ed alle traduzioni. Con la proclamazione della Repubblica Italiana,
fu nominato direttore del Collegio nazionale di Modena, al fine di ridare
prestigio ad un istituto educativo di antica data, e gli fu affidata la
cattedra di Analisi delle idee. Sempre nello stesso anno fu nominato tra i
primi 30 membri dell'Istituto Nazionale. Fece parte della classe di Scienze
morali e politiche e si occupò in particolare della Metafisica e
dell'Etica. Attirò numerose critiche, per la pubblicazione dell'opera La
filosofia di Kant esposta ed esaminata, nella quale tentava di confutare il
filosofo tedesco. Nello stesso anno, non riuscendo ad ottenere risultati a
Modena, ottenne la cattedra di Analisi delle idee all'Università degli Studi di
Pavia. Fu membro della Società Italiana delle Scienze e collaborò alla realizzazione
della collana dei "Classici Italiani", voluta dal governo.
Negli ultimi anni scrisse La mitologia ossia esposizione delle favole e
descrizioni dei riti religiosi dei gentili..., con l'aggiunta d'un transunto
delle Metamorfosi d'Ovidio e la Storia del popolo ebreo compendiata, ad uso
delle scuole. Nel 1804 pubblicò la Memoria sopra il progetto di Elementi di
ideologia di Antoine-Louis-Claude Destutt de Tracy e l'Esame dei principi
metafisici della Zoonomia di Erasmus Darwin, cercando di contrastarne le
teorie, in un estremo tentativo di difesa delle ideali acquisizioni
dell'Illuminismo da ogni novità che le minacciasse, segno del carattere ormai
"moderato e timido" del suo empirismo, governato dal desiderio di un
compromesso tra quella parte d'Illuminismo volta ad aspirazioni
razionalistiche, alla crescita dell'identità di un suddito-cittadino e allo
sviluppo di forme economiche più moderne, e lo sviluppo della religiosità
all'interno di forme canoniche, come occasione di crescita culturale e di
consapevolezza di comportamentiː un tentativo che si rivelerà alquanto fragile
ed arduo. Ormai la sua consapevolezza critica ed il suo rigore scientifico
stavano venendo meno. Nel 1805 si accinse a riordinare ed a risistemare
le sue opere, al fine di preparare alcuni libri sull'istruzione per l'Istituto
Nazionale, ma la morte lo colse il 17 gennaio 1806 nella casa della sua
congregazione, la Colombina, presso Pavia. Note Francesco Soave, in Dizionario storico della
Svizzera. Cfr. la riedizione moderna,
con ampio saggio introduttivo: F. Soave, Gramatica ragionata della lingua
italiana, S. Fornara, Pescara, Libreria dell'Università Editrice, Giuseppina
Benassati e Lauro Rossi , L'Italia nella Rivoluzione, Casalecchio di reno,
Grafis, Angelo Grossi, L. Gianella, Francesco Soave. Vita e scritti scelti,
Lugano, Giovanni Orelli, La Svizzera italiana, in Alberto Asor Rosa ,
Letteratura italiana. Storia e geografia. L'età contemporanea, Claudio
Marazzini e Simone Fornara , Francesco Soave e la grammatica del Settecento, Atti
del convegno di Vercelli (21 marzo 2002), Alessandria, Edizioni dell'Orso.
Marina Roggero, La voie italienne vers l'alphabet avant 1860, Histoire de
l'éducation, Sensismo. Treccani.itEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Francesco Soave, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Francesco Soave, su hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della
Svizzera. Francesco Soave, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Soave, su BeWeb, Conferenza
Episcopale Italiana. Opere di Francesco
Soave, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Francesco Soave.
solari: Gioele Solari (Albino), filosofo. Targa
commemorativa sulla casa natale di Gioele Solari presso Albino Solari frequentò
in gioventù il prestigioso Collegio San Francesco di Lodi retto dai Padri
Barnabiti per poi proseguire gli studi all'Università degli Studi di Messina,
da dove poi si trasferì presso l'Università degli Studi di Torino: si formò nel
Laboratorio di Economia Politica di Salvatore Cognetti de Martiis, per poi
scegliere la filosofia del diritto sotto la guida di Giuseppe Carle. Fu anche
membro di una tra le istituzioni culturali più prestigiose a livello nazionale:
l'Accademia Nazionale dei Lincei, nel 1946. Fautore di un idealismo
sociale e studioso di Mario Pagano, fu un esponente della scuola di filosofia
del diritto dell'Torino, dove tenne questa cattedra dal 1917, quando succedette
a Carle, al 1948, anno in cui fu sostituito da Norberto Bobbio. Ebbe tra i suoi
allievi lo stesso Bobbio, Renato Treves, Uberto Scarpelli, Piero Gobetti,
Alessandro Passerin d'Entrèves, Luigi Pareyson, Luigi Firpo, Giorgio Colli,
Bruno Leoni, Mario Einaudi e Cesare Goretti. Per tutta la vita si dedicò
esclusivamente all'insegnamento universitario, rifiutando qualsiasi incarico
pubblico (non diventò nemmeno preside della sua facoltà); le cattedre da lui
ricoperte sono state nelle Messina (nel 1915), di Cagliari (1922), e di Torino
(dal 1918 al 1948). Prestò il giuramento di fedeltà al fascismo nel
1931. Opere: La scuola del diritto
naturale nelle dottrine etico-giuridiche dei secoli XVII e XVIII, 1904 La
scuola del diritto naturale nelle dottrine etico-giuridiche dei secoli XVII e
XVIII, Torino, Fratelli Bocca. L'idea
individuale e l'idea sociale nel diritto privato, 1Lezioni di filosofia del diritto:
anno accademico, Giuseppe Carle e Gioele Solari, raccolte dagli studenti
Giuseppe Bruno e Francesca Guasco, Editore La cooperativa dispense dell'A.T.U.,
Torino, 1912. Filosofia del diritto privato, 1930. Lezioni di filosofia del
diritto, Studi storici della filosofia del diritto, Giappichelli, Torino Intitolazioni
L'Torino gli ha intitolato una biblioteca interdipartimentale. Il comune di
Bergamo gli ha intitolato un giardino pubblico e una via. Il comune di Albino
gli ha intitolato una via. Note
Simonetta Fiori, I professori che dissero "NO" al Duce, in La
Repubblica, Lezioni di filosofia del diritto: anno accademico, Giuseppe Carle e
Gioele Solari, raccolte dagli studenti Giuseppe Bruno e Francesca Guasco,
Editore La cooperativa dispense dell'A.T.U., Torino, Studi storici di filosofia
del diritto, Giappichelli, Torino, Gioele Solari nella cultura del suo tempo,
FrancoAngeli, Milano, Alberto Contu, Questione sarda e filosofia del diritto in
Gioele Solari, con un saggio di Norberto Bobbio, Giappichelli, Torino, Davide
Cugini, Commemorazione di Gioele Solari, Torinese, Albino, 1952. Francesco
D'Agostino , Il problema del diritto e dello Stato nella filosofia del diritto
di Giorgio Guglielmo Federico Hegel, G. Giappichelli Editore, Torino, Luigi
Firpo , La filosofia politica, 2 voll., Laterza, Bari. Treccani.itEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Gioele Solari, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Gioele Solari, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Gioele
Solari, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Opere di Gioele Solari, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Opere di Gioele Solari, .
Solari, Gioele, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana.
soleri: Giacomo Soleri (Pagliero di San Damiano
Macra), filosofo. Nato in un piccolo centro della provincia di Cuneo, studiò
all'Università Cattolica di Milano, fu ordinato sacerdote nel 1934 e terminò
gli studi nel 1940. Ebbe come maestro Francesco Olgiati, uno dei fondatori
dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Lavorò a più di 100 scritti fra cui
Il problema metafisico del male (del 1952) e Inevitabilità e decisività del problema
teologico. È intitolato al suo nome l'Istituto di istruzione superiore "G.
Soleri" di Saluzzo, ove il sacerdote insegnò e fu preside. Opere: La
proprietà, S.E.I. Torino (II ed. riveduta); Telesio, La Scuola, Brescia; Lucrezio,
La Scuola, Brescia; Marco Aurelio, La Scuola, Brescia; L'immortalità dell'anima
in Aristotele, S.E.I., Torino; Economia e morale, Borla, Torino, Il problema metafisico del male in “Sapienza”,
Essere, atto, valore in , Il problema del valore, Morcelliana, Brescia, Incisività
e decisività del problema teologico, in “Studia Patavina”, Orizzonte della
metafisica aristotelica. Sito dell'Istituto Soleri. Heinz Happ, Hyle: Studien zum aristotelischen
Materie-Begriff, Walter de Gruyter, Riccardo Pozzo, The impact of Aristotelianism
on modern philosophy, CUA Press, Dao Ettore, La figura e l'opera di Giacomo
Soleri. Saggio di ricerca, Saluzzo, Per iniziativa del Comitato per le onoranze
a Giacomo Soleri dell'Istituto magistrale statale Giacomo Soleri.
somenzi: Vittorio Somenzi (Redondesco), filosofo. Ufficiale
meteorologo dell'Aeronautica, dopo aver partecipato alla Resistenza, lavorò
all'ufficio studi dello Stato maggiore. Si divise tra la carriera militare
e quella accademica, optando infine per la cattedra di filosofia a Roma. Tra i
suoi allievi vi fu Cordeschi. Pensiero Partendo da un interesse per l'operazionismo
di Bridgman, diresse i suoi studi teorici alla cibernetica e fu tra i primi in
Italia a interessarsi di intelligenza artificiale e a studiare i rapporti
mente-cervello e mente-macchina. Opere principali: Scritti italiani di
filosofia della scienza, Milano, Fratelli Bocca, I fondamenti filosofici della
meccanica quantistica, Milano, Fratelli Bocca, L' operazionismo in fisica, Milano,
Edizioni di Comunità, La scienza nel suo sviluppo storico, Torino, ERI, La filosofia degli automi, Vittorio Somenzi
con Roberto Cordeschi, Torino, Boringhieri, (prima edizione, a cura del solo Somenzi,
Boringhieri) Tra fisica e filosofia. Roberto Donolato, Abano Terme, Piovan. La
materia pensante, Milano, CLUP CittàStudi. Fonte: A. Rainone, Enciclopedia
Italiana, riferimenti in. Saggi in onore di Vittorio Somenzi, Roma, Union
Printing, Vittorio Somenzii: antologia e testimonianze, Mantova, Fondazione
Banca agricola mantovana, Cibernetica Intelligenza artificiale Antonio Rainone, «Somenzi, Vittorio» la voce
nella Enciclopedia ItalianaVI Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Vittorio Somenzi, un maestro del domandare, di Claudio Del Bello, da
Giano, n. 45, sito "Metodologia online". Vittorio Somenzi filosofo al
servizio della scienza, necrologio di Sandro Modeo, Corriere della Sera, Archivio
storico.
sordi: Serafino Sordi (Centenaro di Ferriere),
filosofo. Terzo di otto figli (7 maschi e 1 femmina) di Agostino Sordi e
Giovanna Taschieri, si fece religioso nella Compagnia di Gesù e ben quattro dei
suoi fratelli seguirono il suo esempio. Entrò nel seminario di Piacenza,
dove frequentò le classi ginnasiali. Vinse il concorso per l'ammissione al
Collegio Alberoni di Piacenza, dove rimase fino al 1813, quando fu costretto a
lasciare per motivi di salute. Rientrò in seminario e, sotto la guida del
canonico Vincenzo Buzzetti, approfondì il pensiero di San Tommaso la cui
filosofia era andata in disuso (s’insegnava la filosofia del secolo: Sarti,
Soave, Draghetti, Condillac, Wolfe, Storkenau). Nel 1816, a 23 anni,
divenne sacerdote ed entrò nella Compagnia di Gesù appena ricostituita, fece il
noviziato nella Casa di Sant'Ambrogio a Genova, dove incontrò padre Luigi
Taparelli D'Azeglio che attraverso i colloqui con il Sordi conobbe e stimò la
filosofia di San Tommaso, di cui prima aveva sentito parlare con disprezzo e
incominciò a rivedere la sua formazione filosofica. Nel 1819 divenne
insegnante di filosofia nel Collegio di Ferrara e passò a Reggio Emilia come
insegnante di logica, metafisica ed etica e con la carica di prefetto della
biblioteca civica. A Reggio Emilia si distinse e acquistò stima e fama tanto
che il padre Generale della Compagnia Luigi Fortis lo propone al padre Pavani,
provinciale d'Italia, come professore di logica nel Collegio Romano. Il Pavani,
però pregò il padre Generale di desistere dal suo proposito per motivi di
opportunità “si leverebbe un gran rumore tra i professori del Collegio Romano …
tanta è la prevenzione contro il padre Sordi perché tomista.” Dal 1829 al
1834 venne mandato a Modena, al collegio San Bartolomeo, come professore di
logica, metafisica ed etica. Qui, ispirandosi ai rivolgimenti culminati con la
cattura di Ciro Menotti, pubblicò l'opuscolo “Catechismo delle rivoluzioni”. In
questi anni strinse amicizia con il gesuita Giuseppe Pecci. Attraverso
quest'amicizia padre Serafino potrà esercitare il suo influsso anche su suo
fratello, cardinale Gioacchino Pecci che, divenuto poi Papa, con l'Enciclica
Aeterni Patris proporrà a tutte le scuole cattoliche le dottrine di San Tommaso
d'Aquino. Venne inviato a Forlì e poi a Spoleto dove insegnò teologia
morale. Nel 1836 venne nominato Rettore del Collegio di Orvieto. Nel 1840
ritornò a Modena come Rettore; carica che esercitò per tre anni, e poi rimase
ancora a Modena come Ministro e Padre Spirituale degli alunni. Nel 1846
fu nominato Rettore del Collegio San Pietro di Piacenza, dove già dal 1839 era
stato aperto anche l'AloisianumIstituto di formazione filosofica per giovani
gesuiti dell'area Lombardo Veneta. Nel 1848, padre Serafino era ancora a
Piacenza, quando il Collegio venne preso d'assalto dai rivoluzionari:
“Scoppiarono allora alte grida diAbbasso i gesuiti. Morte ai gesuiti. Mortee
qui aggiungevano i nomi or dell'uno or dell'altro Padre del collegio.” Così si
legge nel racconto di padre Lombardini, testimone oculare degli avvenimenti.
Nel 1851 il P. Generale Jan Roothaan lo chiamò a Roma, desideroso di vedere
finito un testo di filosofia che padre Serafino doveva realizzare insieme a
padre Carminati. Fu nominato Preposto della Provincia Romana fino al 1856.
Padre Serafino governò quella Provincia con rara prudenza e grande spirito di
bontà. Nel 1859 passò al Collegio degli scrittori della Civiltà Cattolica
con l'incarico di scrittore e padre spirituale della comunità. Contribuì in
questi tre anni al fiorire della rivista componendo con padre Taparelli una
serie di articoli. Fu chiamato all'Aloisianum di Verona come Prefetto
degli studi dei giovani religiosi che qui studiavano filosofia. A Verona cessò
di vivere per malattia cardiaca il 17 maggio 1865. Pensiero Padre
Serafino Sordi fu uno dei più insigni rappresentanti del neotomismo, il
movimento di rinnovamento della filosofia di San Tommaso, che, partito dal
seminario di Piacenza con il canonico Vincenzo Buzzetti, si diffuse in tutta
l'Italia tramite i fratelli Serafino e Domenico Sordi, alunni dello stesso
Buzzetti. I due fratelli, entrati nella Compagnia di Gesù, vi portarono il
rinnovamento tomista, cioè le grandi idee di San Tommaso studiate e sviluppate
ai fini di rispondere agli interrogativi più profondi dell'uomo moderno.
L'azione di padre Serafino in favore del neotomismo fu particolarmente efficace
per gli incarichi prestigiosi a lui affidati, per il suo insegnamento presso
numerosi Collegi dove i suoi scritti di filosofia, trascritti, venivano usati
come testo; inoltre molte delle persone da lui avviate allo studio di San
Tommaso sono state i protagonisti del rinnovamento tomista e i diretti
collaboratori nella preparazione dell'enciclica "Aeterni Patris" in
cui il papa Leone XIII esorta a rimettere in uso la sacra dottrina di San
Tommaso e a propagarla il più largamente possibile. Il fratello di Serafino,
padre Domenico Sordi, diffuse il tomismo nella provincia napoletana, dove operò
in varie città (Napoli, Lecce, Maglie, Salerno, Sora, Arpino, Andria). Al
Collegio Massimo di Napoli fu collaboratore di P. Luigi
Taparelli D'Azeglio promuovendo la diffusione della filosofia di San
Tommaso fra gli alunni, alcuni dei quali furono protagonisti del rinnovamento
della cultura cattolica dell'800; fra questi va ricordato P. Carlo Maria Curci
cofondatore della rivista “La Civiltà Cattolica”, che descrive il suo
insegnante con dovizia di particolari nelle sue “Memorie” e P. Matteo
Liberatore, cofondatore del periodico “Scienza e Fede”, redattore di “La
Civiltà Cattolica” e uno degli estensori dell'enciclica Rerum Novarum di Leone
XIII. Opere: Appendice al capitolo XII del Catechismo del senso comune” del
RorbacherL'Amico d'Italia XI, 1827,
(manoscritto originale presso la biblioteca universitaria di Genova). Theses ex
universa Philosophia, Parma Catechismo
delle RivoluzioniModena, Soliani. Lettere intorno al Nuovo saggio sull'origine
delle idee dell'Abate Antonio Rosmini SerbatiModena, Vincenzo Rossi 1843, 104 I primi elementi del sistema di V.
Gioberti dialogizzati tra lui e un lettore dell'opera sua –Bergamo, Natali
1849, Allocuzione di N. S Papa Pio IX- del 20 aprile 1849, con in fine
esposizione della materia a modo di catechismo, del prof S. S.Roma, Tip.
Apostolica I misteri di Demofilo per S. S. Professore di filosofiaTorino Castellazzo
e De Gaudenzi, Circolare del R. P. Provinciale Serafino Sordi ai Superiori
della Provincia Romana –Roma, Civ. Cattolica. De studio Theologiae in nostra
societate –Roma, Civ. Cattolica, Recensione all'opuscolo di Giacomo Oddo
“l'Indipendenza, il Cattolicesimo e l'Italia, Milano 1859” Roma, Civ, Cattolica
La libertà al tribunale della ragioneRoma, Civ. Cattolica. Se per essere
indipendenti abbisogna che il Papa abbia il potere temporale. Di un sacerdote
cattolicoRoma Civ. Cattolica. Il movimento nazionale, istruzione popolare in
occasione di un opuscolo pubblicato nell'Umbria da un preteso prete galantuomoRoma
Civ. Cattolica, opuscolo di 48 Il
Sillabo di S. S. Pio Papa IX esposto in forma di catechismo dal P. Serafino
Sordi della Compagnia di GesùVerona, Vigentini e Franchini 1865 124 (pubblicato dopo la sua morte) Opere
attribuite a Serafino Sordi Saggio intorno alla dialettica e alla religione di
Vincenzo GiobertiPiacenza, Tedeschi. Una proposta al Clero Italiano.
Ragionamenti sul Gesuita ModernoTorino, Castellazzo e De Gaudenzi 1849, 7 La scomunica: Nel Messaggero di Modena, Lettera
sull'Austria, Bergamo, Dottrine di S. Alfonso dei Liquori difese contro le
impugnazioni del Sig. Abate RosminiMonza 1850 Opere di P. Serafino Sordi
pubblicate nel 1900 Ontologia, pubblicata da P. Dezza nel 1941 Theologia
naturalis, pubblicata da P. Dezza nel 1945 Manuale di logica classica,
pubblicato da D. Pesce nel 1967 Opere inedite riportate da P. Dezza nel libro
“Alle origini del Neotomismo” Ethica generalis et specialis Psicologia Trattato
sull'origine delle idee Dissertazione sulla materia e sulla forma Dissertazione
sull'evidenza Osservazioni intorno alla filosofia a noi prescritta da S.
Ignazio Esortazioni al clero (presso don BalleriniPC) Note P. Dezza, Alle origini del Neotomismo30
P. Dezza, I neotomisti italiani del XIX secolo,
2-3 E. Silva, Ferriere, cenni
storici21 R. Comandini, Nuovi contributi
alla conoscenza del canonico Vincenzo Buzzetti e dei discepoli cresciuti alla
sua scuola Saggio sulla rinascita del Tomismo, P. Dezza, I neotomisti italiani
del XIX secolo. P. Dezza, Alle origini del Neotomismo, Breve storia della
Provincia veneta della Compagnia di Gesù dalle sue origini fino ai giorni
nostri La chiesa di S. Pietro in
PiacenzaStudi per il IV cent. dalla fond. TEP139 Breve storia della Provincia Veneta della
Compagnia di Gesù dalle sue origini fino ai giorni nostri A. M. D. G C.
Cenacchi, Tomismo e Neotomismo a FerraraLiber. Edit. Vaticana La Civiltà
Cattolica, R. Comandini, Nuovi contributi alla conoscenza del canonico Vincenzo
Buzzetti e dei discepoli cresciuti alla sua scuola Saggio sulla rinascita del
Tomismo nel sec. XIXLibr. Edit. Vaticana 1974 F. Cordani, Una grande cultura
piacentina dimenticata, PC Ed. Berti C. M. Curci, Memorie del Padre Curci, G.
Barbera Editore, FI C. M. Cornoldi, Memorie Autobiografiche (Archivio
Aloisianum) F. Dante, Storia della Civiltà Cattolica Ed. Studium Roma. P.
Dezza, Alle origini del Neotomismo, MI. P. Dezza, I neotomisti italiani del XIX
secolo, Bocca ed. MI. La chiesa di S.
Pietro in PiacenzaStudi per il IV cent. dalla fond. TEP, 1987 F. Giarelli,
Storia di Piacenza dalle origini ai nostri giorni, II Ed. Porta PC 1889 L. Ferrari, I fratelli
Sordi e il Neotomismo in Italia in il filosofo canonico V. Buzzetti nel centenario
della morte, PC G. Martina, La Chiesa nell'età dell'assolutismo, del liberismo,
del totalitarismo, Morcelliana BS. U. Padovani, Importanza della critica
filosofica di S. Sordi a V. Gilbert, in Riv. Di Filosofia Neoscolastica, MI
1933 ed. Vita e Pensiero A. MONTI, "La Compagnia di Gesù nel territorio
della Provincia Torinese, Chieri 1914, 5 volumi Giovanni Paolo II, enciclica
Fides et Ratio 1998 S. Panareo, L'istruzione in terra d'Otranto sotto i
Borboni, B. Perazzoli, Studi sul Rosminianesimo nell'Ottocento, Ed. Rosminiane
Sodalitas, L. Pozzi, S: Sordi filosofo neotomista, Studia Patavina Riv. Di
Filos.e Teologia. V. Rolandetti, Da
Buzzetti all'Aeterni Patris Conv. Intern. Tomistico, Trento 1990 V. Rolandetti,
Vincenzo Buzzetti teologo, Libr. Ed. Vat. 1974. E. Silva, Ferriere, cenni
storici, UTEP, PC 1966 D. Sordi, Pochi e brevi cenni sulla vita menata nel
secolo da P.S.Sordi, man. Inedito G. Sordi, Il contributo dei gesuiti
piacentini Serafino e Domenico Sordi alla diffusione del neotomismo nella
cultura cattolica dell'800, PC , (vedi ) serafinosordi.altervista.org G.
Tononi, Condizioni della Chiesa nei ducati parmensi. M. Volpe, I Gesuiti nel
Napoletano Aeterni Patris Aloisianum
Carlo Maria Curci Collegio Alberoni Compagnia di Gesù Jan Roothaan La Civiltà
Cattolica Luigi Taparelli d'Azeglio Matteo Liberatore Neotomismo Serafino Sordi, su Treccani.itEnciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Serafino Sordi. G. Sordi,
Il contributo dei gesuiti piacentini Serafino e Domenico Sordi alla diffusione
del neotomismo nella cultura cattolica dell’800, PC su serafinosordi. altervista.org.
books.google.it/books?hl=it&id=-G3PUnY3zbEC&q=taparelli+d%27azeglio+e+il+rinnovamento+della+scolastica
La Civiltà Cattolica 1927Il P. Taparelli d'Azeglio e il rinnovamento della
Scolastica al Collegio Romano (pagg. 107-121 e 399-409)] books.google.it/books?hl=it&id=KcRveZ1rpnwC&q=intorno+alle+origini+del+rinnovamento+tomista+in+italia
La Civiltà Cattolica1928Intorno alle origini del rinnovamento tomistico in
ItaliaIl P.Taparelli e il P. Sordi parte prima –pagg. 215-229) (parte
secondapagg. books.google.it/books?id=_y_qxX2vxrEC&pg=PA229&lpg=%20LA+CIVILTA+CATTOLICA+%C2%AC-+1929#v=onepage&q&f=false
La Civiltà Cattolica1929La rinascita del tomismo a Napoli nel 1830 (parte
primaI collaboratori del Taparelli pagg. 229-244)(parte secondaIl peripato in
azione pagg. 422-433)
books.google.it/books?id=7dtNAAAAMAAJ&pg=PA318-IA1&l#v=onepage&q&f=false
La Civiltà Cattolica1980Il contributo della Compagnia di Gesù alla preparazione
dell'enciclica “Aeterni Patris.”
soria: Raccolta di opuscoli Giovanni Gualberto
De Soria (Sant'Andrea a Lama filosofo. Nato forse a Pisa, e non a Livorno come
sostenuto da alcuni autori, da Enrico e da Maria Elisabetta delle Sedie da
Calci, la famiglia paterna risiedeva da tempo a Sant'Ilario in Campo,
nell'isola d'Elba ed era probabilmente di origine spagnola. Giovanni Gualberto
De Soria fu un filosofo appartenente alla corrente del sensismo, insegnò
all'Pisa, combatté il cartesianesimo ed esaltò Galileo Galilei. Nel 1741 scrisse l'opera Rationalis Philosophiae
Institutiones. Dal 1742 al 1746 fu direttore
della Biblioteca universitaria di Pisa.
Nel 1766 pubblicò a Pisa la Raccolta di opuscoli filosofici, e
filologici. Il primo tomo di tale opera
comprende Della Immaterialità delle Nature Intelligenti, Della Potenza che ha
lo Spirito Umano di determinar se medesimo chiamata Libertà, Il virtuoso Regime
del proprio Corpo è un Bene indispensabile per la Felicità della Vita e Della
natural dipendenza della Salute Corporea dall'Ilarità dello Spirito. Il secondo
tomo comprende Della Simpatia e un Dialogo tra un Cav. Francese, e un Italiano,
seguiti dall’Esame del Giudizio di Monsieur Du Fresnoy circa Michelangelo. Nel
terzo si trovano Sulle Metamorfosi degl'Insetti e Degl'Influssi Celesti,
seguiti da una Dissertazione Accademica sull'Innesto e da La Teoria de'
Fosfori, e de' loro divarj. Giovanni
Gualberto De Soria fu allievo di Luigi Guido Grandi, e segnò il passaggio della
scuola galileiana verso l'Illuminismo. De Soria individuò, "nello sviluppo
economico il centro dell'interesse dell'attività politica". È sepolto nella chiesa di Sant'Andrea a Lama,
in provincia di Pisa, paese di origine della madre. Note
Il cognome è attestato anche come Soria. Ugo Baldini, De Soria, Giovanni
Gualberto, in "Dizionario biografico degli italiani", Roma, Istituto
della Enciclopedia italiana, De Soria (o Soria) è attestato anche a Livorno ed
è appartenuto a una nota famiglia ebraica locale di origine sefardita,
proveniente dalla Spagna o Portogallo Cfr. Renzo Toaff, La nazione ebrea a
Livorno e a Pisa L.S. Olschki, Firenze, Gualberto
De Soria, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Giovanni Gualberto De Soria,
in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Giovanni Gualberto De Soria /
Giovanni Gualberto De Soria (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited
srl. Opere di Giovanni Gualberto De Soria.
sorrentino: Sergio Sorrentino (Carbonara di Nola),
filosofo. Docente di filosofia a Salerno.
È tra i massimi esperti italiani del filosofo e teologo tedesco
Friedrich Schleiermacher, ma oltre alle letture di carattere
teologico-religioso, è anche ideatore di una filosofia autonoma ed originale.
Sorrentino è infatti convinto che si debba ricercare una connessione tra le
varie forme di sapere, spesso rinchiuse nell'ambito dei propri specialismi e
pertanto sterili. Dopo un periodo di
studio passato in Italia (Milano, Napoli) e l'estero (Tubinga, Heidelberg) si
laurea in Filosofia presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico
II". Consegue la laurea in teologia presso la facoltà teologica "San
Luigi" di Napoli è ricercatore a Salerno. Rceve una borsa di formazione a
Gottinga, a Kiel e a Monaco. Nel 1980
diviene ricercatore confermato a Salerno e dal 1995/96 è docente, tuttora in
ruolo, di Filosofia della religione preso la medesima università. Pensiero Il pensiero di Sorrentino si
sviluppa soprattutto intorno a tematiche come il dibattito sulla religione,
inteso nel senso di una problematizzazione e di una tematizzazione del
religioso nella società moderna e contemporanea, a partire dal tardo
Illuminismo fin ai giorni nostri. Sorrentino cerca di inquadrare il pensiero
filosofico relativo all'etica e alla religione. Da qui parte il tentativo di
una tematizzazione filosofica della dimensione simbolica. Il motore della
ricerca è il tentativo di giungere ad una forma di connessione dei saperi che
possa superare le difficoltà e le incomprensioni del mondo contemporaneo, non
solo in ambito filosofico. Opere: Monografie
(selezione) La teologia della secolarizzazione in Dietrich Bonhoeffer, Chiesa,
mondo e storia nel pensiero del secolo XIX, Schleiermacher e la filosofia della
religione, Ermeneutica e filosofia trascendentale, Filosofia ed esperienza
religiosa, Realtà del senso e universo religioso. Per un approccio trascendentale
al fenomeno religioso, Traduzioni (selezione) F. Schleiermacher, La dottrina
della fede, F. Schleiermacher, Il valore della vita, F. Schleiermacher,
Dialettica, Volumi (selezione) Schleiermacher's Philosophy and the philosophical
Tradition, Barth in discussione, Obbedire al tempo. L'attesa nel pensiero
filosofico, politico ereligioso di Simone Weil, La dialettica nella cultura
romantica, con Terrence N. Tice Religione e religioni a partire dai “Discorsi”
di Schleiermacher,Il prisma della rivelazione. Una nozione alla prova di
religioni e saperi, L'eredità dell'Illuminismo e la critica della religione, Diversità
e rapporto tra culture, Le ragioni del dialogo. Grammatica del rapporto tra le
religioni, Nichilismo e questione del senso, Teologia naturale e teologia
filosofica, La libertà in discussione, Le ragioni del dialogo. Grammatica del
rapporto fra le religioni, con Francesco Saverio Festa, La persona come
paradigma di senso. Dibattito sull'eredità di Mounier, con Giuseppe Limone, La teologia politica in discussione, con Hagar
Spano, Università degli Studi di Salerno, su unisa.it. Giornale di filosofia
della religione, su aifr.it.
sozzini: -- Socinianism, NELLA PRIMA METÀ DEL SEDICESIMO SECOLO NACQUERO IN QUESTA CASA LELIO E FAUSTO
SOZZINI LETTERATI INSIGNI FILOSOFI SOMMI DELLA LIBERTÀ DI PENSIERO STRENUI
PROPUGNATORI ______ CONTRO IL SOPRANNATURALE VINDICI DELLA UMANA RAGIONE
FONDARONO LA CELEBRE SCUOLA SOCINIANA PRECORRENDO DI TRE SECOLI LE DOTTRINE DEL
MODERNO RAZIONALISMO. I LIBERALI SENESI AMMIRATORI REVERENTI QUESTA MEMORIA
POSERO 1879 a movement originating in the sixteenth century from the
work of reformer Laelius Socinus
“Sozzini” and his nephew Faustus Socinus. Born in Siena of a patrician family, Sozzini
is widely read. Influenced by the evangelical movement, Sozzini makes contact
with noted Protestant reformers, including Calvin and Melanchthon, some of whom
questioned his orthodoxy. In response, Sozzini writes a confession of faith,
one of a small number of his writings to have survived. After his death,
Sozzini’s oeuvre was carried on by his nephew, Faustus, whose writings
including “On the Authority of Scripture,” “On the Savior Jesus Christ,” and “On Predestination,” expressed heterodox
views. Sozzini believed that Christ’s nature is entirely human, that the souls
does not possess immortality by nature though there is selective resurrection
for believers, that invocation of Christ in prayer is permissible but not
required, and he argues, like Grice, Pears, and Thomson, against
predestination. After publication of his writings, Sozzini is invited to Transylvania
and Poland to engage in a dispute within the Reformed churches there. He
decides to make his permanent residence in Poland, which, through his tireless
efforts, became the center of the Socinian movement. The most important
document of this movement was the Racovian Catechism, published shortly after
Faustus’s death. The Minor church of Poland, centered at Racov, became the
focal point of the movement. Its academy attracted hundreds of students and its
publishing house produced books in many languages defending Socinian ideas.
Socinianism, as represented by the Racovian Catechism and other writings
collected by Faustus’s disciples, involves the views of Laelius and especially
Faustus Socinus, aligned with the anti-Trinitarian views of the Polish Minor
church.. It accepts Christ’s message as the definitive revelation of God, but
regards Christ as human, not divine; rejects the natural immortality of the
soul, but argues for the selective resurrection of the faithful; rejects the
doctrine of the Trinity; emphasizes human free will against predestinationism;
defends pacifism and the separation of church and state; and argues that reason not creeds, dogmatic tradition, or church
authority must be the final interpreter
of Scripture. Its view of God is temporalistic: God’s eternity is existence at
all times, not timelessness, and God knows future free actions only when they occur.
In these respects, the Socinian view of God anticipates aspects of modern
process theology. Socinianism was suppressed in Poland in 1658, but it had
already spread to other European countries, including Holland where it appealed
to followers of Arminius and England, where it influenced the Cambridge
Platonists, Locke, and other philosophers, as well as scientists like Newton.
In England, it also influenced and was closely associated with the development
of Unitarianism. H. P. Grice, “Sozzini,
rationalism, and moi.”
solus ipse, solipsism: Grice: “If my theory of conversation has
any value, is the refutation of solipsism!” -- the doctrine that there exists a
firstperson perspective possessing privileged and irreducible characteristics,
in virtue of which we stand in various kinds of isolation from any other
persons or external things that may exist. This doctrine is associated with but
distinct from egocentricism. On one variant of solipsism Thomas Nagel’s we are
isolated from other sentient beings because we can never adequately understand
their experience empathic solipsism. Another variant depends on the thesis that
the meanings or referents of all words are mental entities uniquely accessible
only to the language user semantic solipsism. A restricted variant, due to
Vitters, asserts that first-person ascriptions of psychological states have a
meaning fundamentally different from that of second- or thirdperson ascriptions
psychological solipsism. In extreme forms semantic solipsism can lead to the
view that the only things that can be meaningfully said to exist are ourselves
or our mental states ontological solipsism. Skepticism about the existence of
the world external to our minds is sometimes considered a form of
epistemological solipsism, since it asserts that we stand in epistemological
isolation from that world, partly as a result of the epistemic priority
possessed by firstperson access to mental states. In addition to these
substantive versions of solipsism, several variants go under the rubric
methodological solipsism. The idea is that when we seek to explain why sentient
beings behave in certain ways by looking to what they believe, desire, hope,
and fear, we should identify these psychological states only with events that
occur inside the mind or brain, not with external events, since the former
alone are the proximate and sufficient causal explanations of bodily behavior.
sophisma: Grice’s favourite for a time was “Have you stopped
beating your wife.” In “Presupposition and conversational implicature,” he does
admit that he has grown tired of it, what he calls his having had his eyes
glued to “the inquiry whether you have left off beating your wife” --. an
utterance illustrating a semantic or logical issue associated with the analysis
of a syncategorematic term, or a term lacking independent signification.
Typically a sophisma was used from the thirteenth century into the sixteenth
century to analyze relations holding between logic or semantics and broader
philosophical issues. For example, the syncategorematic term ‘besides’ praeter
in ‘Socrates twice sees every man besides Plato’ is ambiguous, because it could
mean ‘On two occasions Socrates sees every-man-but-Plato’ and also ‘Except for
overlooking Plato once, on two occasions Socrates sees every man’. Roger Bacon
used this sophisma to discuss the ambiguity of distribution, in this case, of
the scope of the reference of ‘twice’ and ‘besides’. Sherwood used the sophisma
to illustrate the applicability of his rule of the distribution of ambiguous
syncategoremata, while Pseudo-Peter of Spain uses it to establish the truth of
the rule, ‘If a proposition is in part false, it can be made true by means of
an exception, but not if it is completely false’. In each case, the philosopher
uses the ambiguous signification of the syncategorematic term to analyze
broader logical problems. The sophisma ‘Every man is of necessity an animal’
has ambiguity through the syncategorematic ‘every’ that leads to broader
philosophical problems. In the 1270s, Boethius of Dacia analyzed this sophisma
in terms of its applicability when no man exists. Is the knowledge derived from
understanding the proposition destroyed when the object known is destroyed?
Does ‘man’ signify anything when there are no men? If we can correctly
predicate a genus of a species, is the nature of the genus in that species
something other than, or distinct from, what finally differentiates the
species? In this case, the sophisma proves a useful approach to addressing
metaphysical and epistemological problems central to Scholastic discourse. sophisma: Grice: “Literally, a
wisecrack.” “’Sophisma’ is a very Griceian and Grecian pun on ‘sophos,’ the
wise men of Gotham -- any of a number of ancient Grecians, roughly
contemporaneous with Socrates, who professed to teach, for a fee, rhetoric, philosophy,
and how to succeed in life. They typically were itinerants, visiting much of
the Grecian world, and gave public exhibitions at Olympia and Delphi. They were
part of the general expansion of Grecian learning and of the changing culture
in which the previous informal educational methods were inadequate. For
example, the growing litigiousness of Athenian society demanded Solovyov,
Vladimir Sophists 862 862 instruction
in the art of speaking well, which the Sophists helped fulfill. The Sophists
have been portrayed as intellectual charlatans hence the pejorative use of
‘sophism’, teaching their sophistical reasoning for money, and at the other
extreme as Victorian moralists and educators. The truth is more complex. They
were not a school, and shared no body of opinions. They were typically
concerned with ethics unlike many earlier philosophers, who emphasized physical
inquiries and about the relationship between laws and customs nomos and nature
phusis. Protagoras of Abdera c.490c.420 B.C. was the most famous and perhaps
the first Sophist. He visited Athens frequently, and became a friend of its
leader, Pericles; he therefore was invited to draw up a legal code for the
colony of Thurii 444. According to some late reports, he died in a shipwreck as
he was leaving Athens, having been tried for and found guilty of impiety. He
claimed that he knew nothing about the gods, because of human limitations and
the difficulty of the question. We have only a few short quotations from his
works. His “Truth” also known as the “Throws,” i.e., how to overthrow an
opponent’s arguments begins with his most famous claim: “Humans are the measure
of all things of things that are, that
they are, of things that are not, that they are not.” That is, there is no
objective truth; the world is for each person as it appears to that person. Of
what use, then, are skills? Skilled people can change others’ perceptions in
useful ways. For example, a doctor can change a sick person’s perceptions so
that she is healthy. Protagoras taught his students to “make the weaker
argument the stronger,” i.e., to alter people’s perceptions about the value of
arguments. Aristophanes satirizes Protagoras as one who would make unjust
arguments defeat just arguments. This is true for ethical judgments, too: laws
and customs are simply products of human agreement. But because laws and
customs result from experiences of what is most useful, they should be followed
rather than nature. No perception or judgment is more true than another, but
some are more useful, and those that are more useful should be followed.
Gorgias c.483376 was a student of Empedocles. His town, Leontini in Sicily,
sent him as an ambassador to Athens in 427; his visit was a great success, and
the Athenians were amazed at his rhetorical ability. Like other Sophists, he
charged for instruction and gave speeches at religious festivals. Gorgias
denied that he taught virtue; instead, he produced clever speakers. He insisted
that different people have different virtues: for example, women’s virtue
differs from men’s. Since there is no truth and if there were we couldn’t know
it, we must rely on opinion, and so speakers who can change people’s opinions
have great power greater than the power
produced by any other skill. In his “Encomium on Helen” he argues that if she
left Menelaus and went with Paris because she was convinced by speech, she
wasn’t responsible for her actions. Two paraphrases of Gorgias’s “About What
Doesn’t Exist” survive; in this he argues that nothing exists, that even if something
did, we couldn’t know it, and that even if we could know anything we couldn’t
explain it to anyone. We can’t know anything, because some things we think of
do not exist, and so we have no way of judging whether the things we think of
exist. And we can’t express any knowledge we may have, because no two people
can think of the same thing, since the same thing can’t be in two places, and
because we use words in speech, not colors or shapes or objects. This may be
merely a parody of Parmenides’ argument that only one thing exists. Antiphon
the Sophist fifth century is probably although not certainly to be
distinguished from Antiphon the orator d. 411, some of whose speeches we
possess. We know nothing about his life if he is distinct from the orator. In addition
to brief quotations in later authors, we have two papyrus fragments of his “On
Truth.” In these he argues that we should follow laws and customs only if there
are witnesses and so our action will affect our reputation; otherwise, we
should follow nature, which is often inconsistent with following custom. Custom
is established by human agreement, and so disobeying it is detrimental only if
others know it is disobeyed, whereas nature’s demands unlike those of custom
can’t be ignored with impunity. Antiphon assumes that rational actions are
selfinterested, and that justice demands actions contrary to self-interest a position Plato attacks in the Republic.
Antiphon was also a materialist: the nature of a bed is wood, since if a buried
bed could grow it would grow wood, not a bed. His view is one of Aristotle’s
main concerns in the Physics, since Aristotle admits in the Categories that
persistence through change is the best test for substance, but won’t admit that
matter is substance. Hippias fifth century was from Elis, in the Peloponnesus,
which used him as an ambasSophists Sophists 863 863 sador. He competed at the festival of
Olympus with both prepared and extemporaneous speeches. He had a phenomenal
memory. Since Plato repeatedly makes fun of him in the two dialogues that bear
his name, he probably was selfimportant and serious. He was a polymath who
claimed he could do anything, including making speeches and clothes; he wrote a
work collecting what he regarded as the best things said by others. According
to one report, he made a mathematical discovery the quadratrix, the first curve
other than the circle known to the Grecians. In the Protagoras, Plato has
Hippias contrast nature and custom, which often does violence to nature.
Prodicus fifth century was from Ceos, in the Cyclades, which frequently
employed him on diplomatic missions. He apparently demanded high fees, but had
two versions of his lecture one cost
fifty drachmas, the other one drachma. Socrates jokes that if he could have
afforded the fifty-drachma lecture, he would have learned the truth about the
correctness of words, and Aristotle says that when Prodicus added something
exciting to keep his audience’s attention he called it “slipping in the
fifty-drachma lecture for them.” We have at least the content of one lecture of
his, the “Choice of Heracles,” which consists of banal moralizing. Prodicus was
praised by Socrates for his emphasis on the right use of words and on
distinguishing between synonyms. He also had a naturalistic view of the origin
of theology: useful things were regarded as gods.
sort: Grice, “One of the few technicisms introduced by an
English philosopher, in this case Locke.”a sortal predicate, roughly, a
predicate whose application to an object says what kind of object it is and
implies conditions for objects of that kind to be identical. Person, green
apple, regular hexagon, and pile of coal would generally be regarded as sortal
predicates, whereas tall, green thing, and coal would generally be regarded as
non-sortal predicates. An explicit and precise definition of the distinction is
hard to come by. Sortal predicates are sometimes said to be distinguished by
the fact that they provide a criterion of counting or that they do not apply to
the parts of the objects to which they apply, but there are difficulties with
each of these characterizations. The notion figures in recent philosophical
discussions on various topics. Robert Ackermann and others have suggested that
any scientific law confirmable by observation might require the use of sortal
predicates. Thus ‘all non-black things are non-ravens’, while logically
equivalent to the putative scientific law ‘all ravens are black’, is not itself
confirmable by observation because ‘non-black’ is not a sortal predicate. David
Wiggins and others have discussed the sortal sortal predicate 865 865 idea that all identity claims are
sortal-relative in the sense that an appropriate response to the claim a % b is
always “the same what as b?” John Wallace has argued that there would be
advantages in relativizing the quantifiers of predicate logic to sortals. ‘All
humans are mortal’ would be rendered Ex[m]Dx, rather than ExMxPDx. Crispin
Wright has suggested that the view that natural number is a sortal concept is
central to Frege’s or any other number-theoretic platonism. The word ‘sortal’
as a technical term in philosophy apparently first occurs in Locke’s Essay
Concerning Human Understanding. Locke argues that the so-called essence of a
genus or sort unlike the real essence of a thing is merely the abstract idea
that the general or sortal name stands for. But ‘sortal’ has only one
occurrence in Locke’s Essay. Its currency in contemporary philosophical idiom
probably should be credited to P. F. Strawson’s Individuals. The general idea may
be traced at least to the notion of second substance in Aristotle’s Categories.
Sotione, teacher of Seneca. In glossary to Roman
philosophers, in “Roman philosophers.”
Animatum -- soul: -- cf. Grice on “soul-to-soul transfer” -- also
called spirit, an entity supposed to be present only in living things,
corresponding to the Grecian psyche and Latin anima. Since there seems to be no
material difference between an organism in the last moments of its life and the
organism’s newly dead body, many philosophers since the time of Plato have
claimed that the soul is an immaterial component of an organism. Because only
material things are observed to be subject to dissolution, Plato took the
soul’s immateriality as grounds for its immortality. Neither Plato nor
Aristotle thought that only persons had souls: Aristotle ascribed souls to
animals and plants since they all exhibited some living functions. Unlike
Plato, Aristotle denied the transmigration of souls from one species to another
or from one body to another after death; he was also more skeptical about the
soul’s capacity for disembodiment
roughly, survival and functioning without a body. Descartes argued that
only persons had souls and that the soul’s immaterial nature made freedom
possible even if the human body is subject to deterministic physical laws. As
the subject of thought, memory, emotion, desire, and action, the soul has been
supposed to be an entity that makes self-consciousness possible, that
differentiates simultaneous experiences into experiences either of the same
person or of different persons, and that accounts for personal identity or a
person’s continued identity through time. Dualists argue that soul and body
must be distinct in order to explain consciousness and the possibility of immortality.
Materialists argue that consciousness is entirely the result of complex
physical processes.
soundness: Grice: “The etymology if fascinating.” The English
Grice. "Most of the terms I use are
Latinate." "I implicate: a few are not." "I say that System
G should be sound." "free from special defect or injury," c.
1200, from Old English gesund "sound, safe, having the organs and
faculties complete and in perfect action," from Proto-Germanic *sunda-,
from Germanic root *swen-to- "healthy, strong" (source also of Old
Saxon gisund, Old Frisian sund, Dutch gezond, Old High German gisunt, German
gesund "healthy," as in the post-sneezing interjection gesundheit;
also Old English swið "strong," Gothic swinþs "strong,"
German geschwind "fast, quick"), with connections in Indo-Iranian and
Balto-Slavic. Meaning "right, correct, free from error" is from
mid-15c. Meaning "financially solid or safe" is attested from c.
1600; of sleep, "undisturbed," from 1540s. Sense of "holding
accepted opinions" is from 1520s Grice: “’sound’ is not polysemous,
but it has different usages: of an argument the property of being valid and
having all true premises; of a system, like Sytem G, the property of being not too strong in a
certain respect. A System G has weak
soundness provided every theorem of G is
valid. And G has strong soundness if for every set S of sentences, every
sentence deducible from S using system G is a logical consequence of S.
spatium: space, an extended manifold of several dimensions,
where the number of dimensions corresponds to the number of variable magnitudes
Soto, Domingo de space 866 866 needed
to specify a location in the manifold; in particular, the three-dimensional
manifold in which physical objects are situated and with respect to which their
mutual positions and distances are defined. Ancient Grecian atomism defined
space as the infinite void in which atoms move; but whether space is finite or
infinite, and whether void spaces exist, have remained in question. Aristotle
described the universe as a finite plenum and reduced space to the aggregate of
all places of physical things. His view was preeminent until Renaissance
Neoplatonism, the Copernican revolution, and the revival of atomism
reintroduced infinite, homogeneous space as a fundamental cosmological
assumption. Further controversy concerned whether the space assumed by early
modern astronomy should be thought of as an independently existing thing or as
an abstraction from the spatial relations of physical bodies. Interest in the
relativity of motion encouraged the latter view, but Newton pointed out that
mechanics presupposes absolute distinctions among motions, and he concluded
that absolute space must be postulated along with the basic laws of motion
Principia, 1687. Leibniz argued for the relational view from the identity of
indiscernibles: the parts of space are indistinguishable from one another and
therefore cannot be independently existing things. Relativistic physics has
defused the original controversy by revealing both space and spatial relations
as merely observer-dependent manifestations of the structure of spacetime.
Meanwhile, Kant shifted the metaphysical controversy to epistemological grounds
by claiming that space, with its Euclidean structure, is neither a
“thing-in-itself” nor a relation of thingsin-themselves, but the a priori form
of outer intuition. His view was challenged by the elaboration of non-Euclidean
geometries in the nineteenth century, by Helmholtz’s arguments that both
intuitive and physical space are known through empirical investigation, and
finally by the use of non-Euclidean geometry in the theory of relativity.
Precisely what geometrical presuppositions are inherent in human spatial
perception, and what must be learned from experience, remain subjects of psychological
investigation. -- space-time: a four-dimensional continuum combining the three
dimensions of space with time in order to represent motion geometrically. Each
point is the location of an event, all of which together represent “the world”
through time; paths in the continuum worldlines represent the dynamical
histories of moving particles, so that straight worldlines correspond to
uniform motions; three-dimensional sections of constant time value “spacelike
hypersurfaces” or “simultaneity slices” represent all of space at a given time.
The idea was foreshadowed when Kant represented “the phenomenal world” as a
plane defined by space and time as perpendicular axes Inaugural Dissertation,
1770, and when Joseph Louis Lagrange 17361814 referred to mechanics as “the
analytic geometry of four dimensions.” But classical mechanics assumes a
universal standard of simultaneity, and so it can treat space and time
separately. The concept of space-time was explicitly developed only when
Einstein criticized absolute simultaneity and made the velocity of light a
universal constant. The mathematician Hermann Minkowski showed in 8 that the
observer-independent structure of special relativity could be represented by a
metric space of four dimensions: observers in relative motion would disagree on
intervals of length and time, but agree on a fourdimensional interval combining
spatial and temporal measurements. Minkowski’s model then made possible the
general theory of relativity, which describes gravity as a curvature of
spacetime in the presence of mass and the paths of falling bodies as the
straightest worldlines in curved space-time.
-- spatio-temporal continuancy: or
continunity, a property of the careers, or space-time paths, of well-behaved
objects. Let a space-time path be a series of possible spatiotemporal
positions, each represented in a selected coordinate system by an ordered pair
consisting of a time its temporal component and a volume of space its spatial
component. Such a path will be spatiotemporally continuous provided it is such
that, relative to any inertial frame selected as coordinate system, space,
absolute spatiotemporal continuity 867
867 1 for every segment of the series, the temporal components of the members
of that segment form a continuous temporal interval; and 2 for any two members
‹ti, Vi and ‹tj, Vj of the series that differ in their temporal components ti
and tj, if Vi and Vj the spatial components differ in either shape, size, or
location, then between these members of the series there will be a member whose
spatial component is more similar to Vi and Vj in these respects than these are
to each other. This notion is of philosophical interest partly because of its
connections with the notions of identity over time and causality. Putting aside
such qualifications as quantum considerations may require, material objects at
least macroscopic objects of familiar kinds apparently cannot undergo
discontinuous change of place, and cannot have temporal gaps in their
histories, and therefore the path through space-time traced by such an object
must apparently be spatiotemporally continuous. More controversial is the claim
that spatiotemporal continuity, together with some continuity with respect to
other properties, is sufficient as well as necessary for the identity of such
objects e.g., that if a spatiotemporally
continuous path is such that the spatial component of each member of the series
is occupied by a table of a certain description at the time that is the
temporal component of that member, then there is a single table of that
description that traces that path. Those who deny this claim sometimes maintain
that it is further required for the identity of material objects that there be
causal and counterfactual dependence of later states on earlier ones ceteris
paribus, if the table had been different yesterday, it would be correspondingly
different now. Since it appears that chains of causality must trace
spatiotemporally continuous paths, it may be that insofar as spatiotemporal
continuity is required for transtemporal identity, this is because it is
required for transtemporal causality. Refs.: H. P. Grice and P. F. Strawson,
“Categories,” in The H. P. Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft
Library, The University of California, Berkeley.
specious
present: the supposed time between
past and future. The phrase was first offered by Clay in “The Alternative: A Study in
Psychology,” and is cited by James in his
Principles of Psychology Clay challenges
the assumption that the “present” as a “datum” is given as “present” to us in
our experience. “The present to which the datum refers is really a part of the *past*,
a recent past delusively given as benign
time that intervenes between the past and the future. Let it be named ‘the
specious present,’ and let the past that is given as being the past be known as
‘the obvious past.’” For James, this position is supportive of his contention
that consciousness (conscientia) is a stream and can be divided into parts only
by conceptual addition, i.e., only by our ascribing past, present, and future
to what is, in our actual experience, a seamless flow. James holds that the
“practically cognized present is no knife-edge but a saddleback,” a sort of
“ducatum” which we experience as a whole, and only upon reflective attention do
we “distinguish its beginning from its end.” Whereas Clay refers to the datum
of the present as “delusive,” one might rather say that it is perpetually *elusive*,
for as we have our experience, now, it is always bathed retrospectively and
prospectively. Contrary to common wisdom, no single experience ever is had by
our consciousness utterly alone, single and without relations, fore and aft.
Refs.: H. P. Grice, “The logical-construction theory of personal identity.”
speculatum: Grice: “Philosophy may broadly be divided into
‘philosophia speculativa” and “philosophia practica.”” -- speculative
philosophy, a form of theorizing that goes beyond verifiable observation;
specifically, a philosophical approach informed by the impulse to construct a
grand narrative of a worldview that encompasses the whole of reality.
Speculative philosophy purports to bind together reflections on the existence
and nature of the cosmos, the psyche, and God. It sets for its goal a unifying
matrix and an overarching system whereswith to comprehend the considered
judgments of cosmology, psychology, and theology. Hegel’s absolute idealism,
particularly as developed in his later thought, paradigmatically illustrates
the requirements for speculative philosophizing. His system of idealism offered
a vision of the unity of the categories of human thought as they come to
realization in and through their opposition to each other. Speculative thought
tends to place a premium on universality, totality, and unity; and it tends to
marginalize the concrete particularities of the natural and social world. In
its aggressive use of the systematic principle, geared to a unification of
human experience, speculative philosophy aspires to a comprehensive
understanding and explanation of the structural interrelations of the culture
spheres of science, morality, art, and religion. Refs.: H. P. Grice, “Practical
and doxastic attitudes: why I need exhibitive clauses.”
SISTENS
-- CUM-SISTENS -- consistens: “There’s
consistens, and there’s inconsistens.”H. P. Grice. The inconsistent triad, most
generally, any three propositions such that it cannot be the case that all
three of them are true. More narrowly, any three categorical propositions such
that it cannot be the case that all three of them are true. A categorical
syllogism is valid provided the three propositions that are its two premises
and the negation (contradiction) of its conclusion are an inconsistent triad;
this fact underlies a test for the validity of categorical syllogisms, which
test are thus called by Grice the “method of” the inconsistent triad.
spencer: English philosopher, social reformer, and editor of
The Economist. In epistemology, Spencer adopted the ninespeculative reason
Spencer, Herbert 869 869 teenth-century
trend toward positivism: the only reliable knowledge of the universe is to be
found in the sciences. His ethics were utilitarian, following Bentham and J. S.
Mill: pleasure and pain are the criteria of value as signs of happiness or
unhappiness in the individual. His Synthetic Philosophy, expounded in books
written over many years, assumed both in biology and psychology the existence
of Lamarckian evolution: given a characteristic environment, every animal
possesses a disposition to make itself into what it will, failing maladaptive
interventions, eventually become. The dispositions gain expression as inherited
acquired habits. Spencer could not accept that species originate by chance
variations and natural selection alone: direct adaptation to environmental constraints
is mainly responsible for biological changes. Evolution also includes the
progression of societies in the direction of a dynamical equilibrium of
individuals: the human condition is perfectible because human faculties are
completely adapted to life in society, implying that evil and immorality will
eventually disappear. His ideas on evolution predated publication of the major
works of Darwin; A. R. Wallace was influenced by his writings. Refs.: H. P.
Grice, “Evolutionary pirotology,” in “Method in philosophical psychology: from
the banal to the bizarre.”
spadaro: Antonio Spadaro, all'anagrafe Antonino
(Messina), filosofo. Laureato in Filosofia a Messina, entra subito dopo nel
noviziato della Compagnia di Gesù. Insegna lettere a Roma per 2 anni dal 1991
al 1993. Il 21 dicembre 1996 riceve l'ordinazione presbiterale e il 24 maggio
2007 pronuncia i voti solenni nella Compagnia di Gesù. Consegue la licenza in
Teologia Fondamentale, il diploma in Comunicazioni Sociali, il dottorato di
ricerca in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma.
Completa la sua formazione negli Stati Uniti, nella Provincia dei gesuiti di
Chicago. Comincia a scrivere per la rivista La Civiltà Cattolica e dal 1998
entra a far parte in maniera stabile della redazione. Si occupa soprattutto di
teoria della letteratura e di critica letteraria, in particolare legata ad
autori contemporanei italiani (tra questi, Cesare Pavese, Alda Merini, Giorgio
Bassani, Mario Luzi, Pier Vittorio Tondelli) e scrittori statunitensi (dai
classici come Emily Dickinson, Walt Withman, Flannery O'Connor e Jack London ai
contemporanei come Jack Kerouac, Raymond Carver). Tra le materie che tratta vi
sono anche la musica (Bruce Springsteen, Tom Waits, Nick Drake, Nick Cave),
l'arte contemporanea (Mark Rothko, Edward Hopper, Andy Warhol, J.-M. Basquiat),
il cinema e le nuove tecnologie della comunicazione e il loro impatto sul modo
di vivere e pensare (in particolare su , Second Life, sulla lettura digitale,
sui vari social networks, sulla filosofia Hacker o sulla Cyberteologia). Ha fondato BombaCarta, un progetto culturale
che coordina iniziative di scrittura creativa, produzione video e lettura anche
su internet. È curatore della collana di poesia L'Oblò delle edizioni Ancora. Insegna
presso il Centro Interdisciplinare di Comunicazione Sociale (CICS) della
Pontificia Università Gregoriana -- è a
capo del comitato scientifico "La sfida e l'esperienza" che raccoglie
docenti e manager interessati ai temi della spiritualità e dell'innovazione. Dal
2004 al 2009 viene incaricato di coordinare le attività culturali della
Compagnia di Gesù in Italia. Sabato 24 febbraio 2007 è il relatore principale
al primo evento organizzato dai Gesuiti sulla musica rock nel quale riabilita
la dignità musicale (non liturgica) del genere nel suo complesso, limitandone
la condanna alla valutazione di rari e singoli casi. Padre Antonio Spadaro davanti alla raccolta
completa di La Civiltà Cattolica. Diviene Rettore della Comunità dei gesuiti de
La Civiltà Cattolica. Il 6 settembre è
annunciata la sua nomina a direttore della rivista.. Nel numero del 1º
ottobre della rivista è apparso il suo
articolo di presentazione nella nuova veste di direttore. La sua attività in Rete è legata, oltre alla
presenza nei social network, anche allun sito personale e di due blog: uno
dedicato alla CyberTeologia e uno dedicato alla scrittrice statunitense
Flannery O'Connor. Il 10 dicembre , papa
Benedetto XVI lo nomina consultore del Pontificio Consiglio della Cultura e il
29 dicembre anche consultore del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni
Sociali. Nel gennaio ha ricevuto a
Caserta il prestigioso premio "Le Buone NotizieCivitas Casertana",
uno dei più importanti premi di giornalismo italiani, unico nel suo genere a
livello internazionale. Ad agosto incontra più volte papa Francesco per conto
de La Civiltà Cattolica e di altre 15 riviste della Compagnia di Gesù. Il
contenuto delle conversazioni è stato pubblicato sotto forma di intervista a
settembre ed ampiamente ripreso dalla stampa
internazionale. L'articolo di La Civiltà
Cattolica. Spadaro ha dedicato un articolo a . L'articolo analizza il
significato di nel contesto culturale
italiano, ne analizza la storia, e ne mette in evidenza pregi e limiti. La sua conclusione è: «Dalla descrizione e dalle valutazioni
compiute comprendiamo bene come
rappresenti un sogno illuminista di descrivere il mondo, che però si
scontra con le difficoltà di accreditarsi come compendio di sapere credibile,
mantenendo nel contempo anonimato, flessibilità e continua apertura a nuovi
collaboratori. Nello stesso tempo questa «utopia» rovescia il sogno
dell'enciclopedia tradizionale, intesa come costruzione autorevole, organica e
integrata del sapere. Infatti è come un
organismo vivente: cresce (al ritmo del 7% ogni mese), si "ammala", è
sottoposta a composizioni e scomposizioni interne, ad accrescimenti e riduzioni
continue. Ma soprattutto nasconde
un'altra utopia, a suo modo, ambigua: la democrazia assoluta del sapere e la
collaborazione delle intelligenze molteplici che dà vita a una sorta di
intelligenza collettiva. Questa utopia potrebbe nascondere una nuova forma di
"torre di Babele", che ha il suo tallone di Achille non solo
nell'inaffidabilità, ma anche nel relativismo.»
Concede un'intervista a Wikinotizie-Wiki@Home, pubblicata con il titolo
Antonio Spadaro: intervista al gesuita 2.0, nella quale commenta l'articolo e
spazia sulle tematiche inerenti e il
mondo della rete internet. Pubblicazioni
Tracce profonde. Il viaggio tra il reale e l'immaginario, Roma, Città Nuova, Radio
on. Tra le colonne sonore degli anni ‘90, Napoli, Giannini, 1996 (in collab.
con E. Crasto). Lo sguardo presente. Una lettura teologica di “Breve film
sull'amore di K. Kieslowski”, Rimini, Guaraldi, Del volume esiste anche una
versione elettronica. Pier Vittorio Tondelli. Attraversare l'attesa, Reggio
Emilia, Diabasis, “Laboratorio Under 25″. Tondelli e la nuova narrativa
italiana, Reggio Emilia, Diabasis, 2000. [Il volume è apparso anche come
pubblicazione digitale a puntate settimanali sul sito di RaiLibro della Radio
Televisione Italiana]. Carver. Un'acuta sensazione d'attesa, Padova, Messaggero
di Sant'Antonio Editrice, A che cosa
«serve» la letteratura?, Leumann (To)-Roma, ElleDiCiLa Civiltà Cattolica, [Premio Capri per la sezione Letteratura e
Premio Crotone sezione Giovane critici italiani] Lontano dentro se stessi.
L'attesa di salvezza in Pier Vittorio Tondelli, Milano, Jaca Book, Connessioni.
Nuove forme della cultura al tempo di internet, Bologna, Pardes [qui intervista sul libro a Radio Vaticana] La
grazia della parola. Karl Rahner e la poesia, Milano, Jaca Book, Nella melodia
della terra. La poesia di Karol Wojtyla, Milano, Jaca Book, Abitare nella possibilità. L'esperienza della
letteratura, I, Milano, Jaca Book,
L'altro fuoco. L'esperienza della letteratura,
II, Milano, Jaca Book, Alla ricerca del lupo. Genio, tensioni, vanità,
Bologna, Pardes, 2009. Nell'ombra accesa. Breviario poetico di Natale, Milano,
Ancora, . Web 2.0 Reti di relazione, Milano, Paoline, . Svolta di respiro.
Spiritualità della vita contemporanea, Milano, Vita & Pensiero, .
Cyberteologia. Pensare il cristianesimo al tempo della rete, Milano, Vita &
Pensiero, . Curatele Chris Cappell, Lasciami correre via, Padova, Messaggero,
2001. François Varillon, Traversate di un credente, Milano, Jaca Book, 2008.
Rowan Williams, La dodicesima notte, Milano, Ancora, Gerard Manley Hopkins, La freschezza più cara.
Poesie scelte, Milano, Rizzoli, Whitman, Canto una vita immensa, Milano,
Ancora, Un Dio sempre più grande. Pregare con i gesuiti, Milano, Ancora, .
Note Antonio Spadaro, Antonio
Spadarobio, su antoniospadaro.net. Antonio Spadaro, Antonio Spadarobio, su laciviltacattolica.it.
Antonio Spadaro, Antonio SpadaroSaggi su "La Civiltà Cattolica", su antoniospadaro.net.
Antonio Spadaro, BombaCarta, su bombacarta.com. accesso=16 agosto . Antonio Spadaro, L'OblòAncora, su
ancoralibri.it. Orazio La Rocca, I gesuiti benedicono il rock: "La musica
di Springsteen & Co parla all'anima", Repubblica. Padre Antonio
Spadaro nuovo direttore di Civiltà Cattolica: cogliere pienamente la sfida
digitale, su oecumene.radiovaticana.org. Antonio Spadaro, Antonio Spadarosocial
networks, su antoniospadaro.net. Antonio Spadaro, Antonio Spadaro, su antoniospadaro.net.
Antonio Spadaro, Cyberteologia, su cyberteologia.it. accesso=16 agosto . Antonio Spadaro, Flannery O'Connor, su
flanneryoconnor.it. accesso=16 agosto .
Nomina di consultori del Pontificio Consiglio della Cultura, su
press.catholica.va. Rinunce e nomine, su Bollettino della Santa Sede,
Bollettino della Santa Sede. Su La
Civiltà Cattolica la mia intervista a Papa Francesco, su cyberteologia.it, Antonio
Spadaro, Intervista a papa Francesco , in La Civiltà Cattolica, Copia archiviata,
su laciviltacattolica.it7)., La Civiltà Cattolica Antonio Spadaro: intervista
al gesuita, Opere di Antonio Spadaro. Registrazioni di Antonio Spadaro, su
RadioRadicale.it, Radio Radicale.
Antonio Spadaro: Cyberteologia, sul
RAI Filosofia, su filosofia.rai.it.
sparti: Davide Sparti (Roma), filosofo. È professore
a Siena, Pisa, e l'Università della Svizzera italiana. In passato ha insegnato
a Milano e l'Bologna. È cofondatore e membro del comitato di direzione della
rivista Studi culturali. Collabora a
numerose riviste scientifiche ("Iride", "Paradigmi",
"Rivista di estetica", "Rassegna italiana di sociologia",
"Intersezioni"). Dagli anni 2000 Sparti ha concentrato la sua
attenzione sull'estetica dell'improvvisazione.
Riconoscimenti "Research Fellow" della fondazione Humboldt
presso la Johann Wolfgang Goethe-Universität. "Fellow" del Collegium
Budapest-Institute For Advanced Study, in Ungheria. Note USIDati personali: Davide Sparti . Opere principali: “Se un leone potesse
parlare. Indagine sul comprendere e lo spiegare,” Firenze, Sansoni Sopprimere la lontananza uccide. Davidson e la
teoria dell'interpretazione, Firenze, Nuova Italia, Epistemologia delle scienze
sociali, Roma, Nuova Italia Scientifica, Soggetti al tempo. Identità personale
fra analisi filosofica e costruzione sociale, Milano, Feltrinelli, Identità e
coscienza, Bologna, Il Mulino Wittgenstein politico, (saggi di J.
Bouveresse, S. Cavell, D. Davidson, B. Williams, ed altri, introdotti e
trascelti da D. Sparti), Milano, Feltrinelli Die Unheimlichkeit des Gewoehnlichen und
andere philosophische Essays von Stanley Cavell, Herausgegeben von Davide Sparti,
Fischer Verlag Epistemologia delle
scienze sociali, nuova edizione riscritta ed allargata, Bologna, Mulino L'importanza di essere umani. Etica del
riconoscimento, Milano, Feltrinelli Suoni inauditi. L'improvvisazione nel jazz
e nella vita quotidiana, Bologna, Il Mulino Musica in nero. Il campo discorsivo del jazz,
Torino, Bollati Il corpo sonoro. Oralità
e scrittura nel jazz, Bologna, Il Mulino
L'identità incompiuta. Paradossi dell'improvvisazione musicale, Bologna,
Il Mulino Sul tango. L'improvvisazione
intima, Bologna, Il Mulin.
spaventa: Deputato del Regno d'Italia LegislatureVIII,
X, XI, XII Sito istituzionale Dati generali Titolo di studiolaurea ProfessioneDocente
universitario. Bertrando Spaventa (Bomba), filosofo. Fratello maggiore del
patriota Silvio Spaventa, Bertrando nacque da un'agiata famiglia borghese. Sua
madre, Maria Anna Croce, fu prozia di Croce. All'anagrafe venne registrato come
Beltrando. Studiò a Chieti ottenuto
l'incarico di docente di matematica, si trasferì col fratello a Montecassino.
La sua formazione continuò a Napoli, dove si dedicò anche allo studio del
tedesco; fu infatti tra i primi a studiare i filosofi tedesci in tedesco –
Grice: “Which is the right thing to do – and which Ryle, or Strawson, for that
matter – are unable to!” Si avvicinò ai
circoli liberali e a pensatori come Colecchi e Antonio Tari. Fondò una scuola o
academia di filosofia; inoltre partecipò alla redazione de Il Nazionale, il
giornale fondato e diretto dal fratello Silvio. Dopo l'abrogazione della
Costituzione da parte di Ferdinando II, fu costretto a lasciare Napoli per
trasferirsi prima a Firenze, quindi a Torino, dove divenne giornalista
scrivendo su giornali e riviste piemontesi: Il Progresso, Il Cimento, Il
Piemonte, Rivista Contemporanea. È nel periodo torinese che Spaventa si
avvicinò al pensiero di Hegel ed elaborò il proprio sistema filosofico e il
pensiero politico: pubblicò, tra l'altro, una serie di saggi in cui polemizzava
con La Civiltà Cattolica, rifiutando l'idea di religione come passo necessario
per lo sviluppo umano. Egli in tal modo condivise con altri esuli
napoletani gli stessi fermenti patriottici e liberali che avevano
nell'idealismo hegeliano il loro motivo ispiratore. «[...] In Napoli, sin
dal 1843 l'idea hegeliana penetrò nelle menti de' cultori della scienza, i
quali mossi come da santo amore si affratellavano, e con la voce e con gli
scritti la predicavano. Né i sospetti già desti della polizia, né le minacce e
le persecuzioni valsero ad infievolire la fede in questi arditi difensori della
indipendenza del pensiero; i numerosi studenti raccolti da tutti i punti del
Regno nella grande capitale disertavano le cattedre, ed accorrevano in folla ad
ascoltare la nuova parola. Era un bisogno irresistibile ed universale, che li
spingeva ad un ignoto e splendido avvenire, all'unità organica dei diversi rami
della cognizione umana; ifilosofi, partecipavano al general movimento, ed
ambivano soprattutto, come gli antichi italiani, di essere veri filosofi. Chi
può ridire la gioia, le speranze, l’entusiasmo di quel tempo? Chi può
ridire l’affetto col quale si amavano i maestri e gli allievi, e insieme
procedevano alla ricerca della verità? Era un culto, una religione ideale,
nella quale si mostravano degni nepoti dell'infelice Nolano.» Studii
sopra la filosofia di Hegel, Torino, «Rivista Italiana». Ottenne la cattedra di
Filosofia a Modena, poi quella di Storia della Filosofia presso l'Bologna e
Napoli. Tenne le lezioni in cui espose le sue teorie sul rapporto di
circolarità tra pensiero italiano ed europeo. Scopo di questa
interpretazione era quello di liberare la cultura filosofica italiana dal suo
provincialismo, attraverso la diffusione nella penisola dell'idealismo tedesco,
in particolare hegeliano. Fu anche deputato del Regno d'Italia per tre
legislature: fu sostenitore di una politica laica e legata ad un forte senso
dello Stato, considerato come sorgente dei princìpi e dei valori ispiratori di
un armonioso sviluppo civile, da cui gli individui e la comunità devono trarre
l'alimento necessario per una crescita «ordinata e corretta». Dottrina
Secondo Gentile, il pensiero di Bertrando Spaventa poggia su tre cardini
fondamentali: la tesi della «circolazione europea del pensiero italiano»
che dimostri il percorso dinamico della filosofia moderna attraverso l'Europa e
il suo ritorno in Italia dove aveva avuto origine; la riforma della dialettica
hegeliana, per salvare l'identità di essere e pensiero escludendo ogni
presupposto «oggettivo» esterno al pensare; il recupero dell'aspetto pratico
nel processo conoscitivo che eviti la caduta in un «astratto idealismo». La
circolazione del pensiero europeo La tesi spaventiana della circolazione del
pensiero europeo si articola in due passaggi: l'affermazione che la
filosofia italiana del Rinascimento, connotata dal naturalismo e
dall'immanentismo, ha precorso la filosofia moderna, giungendo attraverso
Spinoza agli idealisti tedeschi Fichte, Schelling, Hegel. il ritorno in Italia
della filosofia moderna, con la riappropriazione dei filoni spiritualistici
europei da parte di Rosmini e Gioberti. Mentre per la critica tradizionale la
filosofia italiana era caratterizzata dalla sua ininterrotta fedeltà alla linea
platonico-cristiana, lo Spaventa cercò di dimostrare, con gli studi dedicati al
pensiero del Rinascimento, che la filosofia moderna, laica e idealistica,
generalmente associata alla Riforma luterana, in realtà era nata in Italia, pur
essendosi arrestata poi a causa della Controriforma, per conoscere il suo
massimo sviluppo in Germania: egli interpretò con chiave di lettura hegeliana
questo progressivo passaggio dello Spirito filosofico dall'Italia all'Europa, e
il suo successivo ritorno, sottolineando la continuità del razionalismo di
Cartesio col principio innatistico di Tommaso Campanella della cognitio abdita,
dell'empirismo di John Locke con la campanelliana cognitio illata («nozione
acquisita»), dell'immanentismo di Baruch Spinoza col panteismo di Giordano Bruno,
del criticismo di Immanuel Kant con la «metafisica della mente» di Vico, mentre
poi Pasquale Galluppi e Antonio Rosmini si sarebbero riappropriati
inconsciamente di quello stesso spirito permeato dal kantismo, come Vincenzo
Gioberti di quello dell'idealismo tedesco. «Ripigliare il sacro filo
della nostra tradizione filosofica, ravvivare la coscienza del nostro libero
pensiero nello studio dei nostri maggiori filosofi, ricercare nelle filosofie
delle altre nazioni i germi ricevuti dai primi padri della nostra filosofia e
poi ritornati fra noi in forma nuova e più spiegata di sistema, comprendere
questa circolazione del pensiero italiano, della quale in gran parte noi
avevamo smarrito il sentimento, riconoscere questo ritorno del nostro pensiero
a sé stesso nel grande intuito speculativo del nostro ultimo filosofo [Hegel],
sapere insomma che cosa noi fummo, che cosa siamo e che cosa
dobbiamo essere nel movimento della filosofìa moderna, non come membri
isolati e scissi dalla vita universale dei popoli, nè come avvinti al carro
trionfale d'un popolo particolare, ma come nazione libera ed eguale nella
comunità delle nazioni: tale, o signori, è stato sempre il desiderio e
l'occupazione della mia vita.» (Bertrando Spaventa, Prolusione alle
lezioni di Storia della filosofia nell'Bologna, Modena, Regia Tipografia
Governativa, 1860) Uno dei propositi di Spaventa, giustificato dalla stessa
tesi della circolazione del pensiero europeo, era il tentativo di far uscire
gli intellettuali italiani dal provincialismo stagnante in cui versavano,
apportando loro gli elementi più innovativi del pensiero idealistico
d'oltralpe, per dare un fondamento filosofico-culturale al processo
rivoluzionario dell'unificazione nazionale. La rivoluzione storica da attuare,
per Spaventa, non era il programma neoguelfo del Primato morale e civile di
Gioberti che ripudiava in blocco la filosofia moderna, ma andava intesa
hegelianamente come «storia della libertà», nella quale lo spiritualismo non
significava un'involuzione, bensì un riallineamento alle nazioni più
avanzate. «Son molti ancora in Italia i quali tacciano di astratta e
oscura la filosofia alemanna e, reputandola contraria alla natura speculativa
dell'ingegno italiano, si accontentano di una maniera di sapere che non ha
nessuna connessione con la nostra tradizione filosofica; è un perpetuo
oltraggio alla memoria de' nostri sommi ed infelici pensatori, e la principal
cagione del decadimento della scienza tra noi. Costoro dimenticano la storia
del pensiero italiano, della quale furono gli eroi e martiri i nostri filosofi;
non ricordano i roghi di Giordano Bruno e di Giulio Vanini, la lunga prigionia
di Tommaso Campanella, e l'umile pietra che, nel tempio de' Gerolomini in
Napoli, ricopre le ceneri di Giovambattista Vico, ultima luce del nostro mondo
intellettuale. [...] Non i nostri filosofi degli ultimi duecento anni, ma
Spinoza, Kant, Fichte, Schelling ed Hegel, sono stati i veri discepoli di
Bruno, di Vanini, di Campanella, di Vico, ed altri illustri.» (Principii
di Filosofia). Spaventa non si limitò a recepire passivamente l'hegelismo, ma
diede avvio ad una sua profonda revisione, introducendovi temi originali che
cercò di riprendere dalla tradizione autoctona italiana. In particolare,
cercò di rispondere alle critiche di Trendelenburg, il quale non vedeva come
dal primo momento della Logica hegeliana, quello dell'Essere puro e
indeterminato, potesse scaturire il divenire dialettico del pensiero, se non
tramite un'indebita intromissione dal di fuori. Per dimostrare l'identità dell'essere
col pensare, e quindi che l'Idea è intrinseca alla realtà storica, avente come
scopo la libertà, Spaventa sostenne l'esigenza di «mentalizzare» o
«kantianizzare» la logica di Hegel, unificando quest'ultima con la
fenomenologia, cioè col percorso conoscitivo del singolo individuo umano, che
diventa progressivamente autocosciente di avere in se stesso, nella propria
mente, tutta la realtà assoluta logicamente articolata. Egli riformava
così la dialettica hegeliana nell'ottica di Kant e Fichte, ritenendo prevalente
l'atto soggettivo della coscienza trascendentale rispetto ad ogni presupposto
oggettivistico, valorizzando inoltre il momento finale dello Spirito rispetto
alle fasi precedenti della Logica e della Natura, situate fuori
dall'autocoscienza. È la Mente la protagonista di ogni originaria
produzione. In maniera simile a Kuno Fischer, infatti, la deduzione
hegeliana, che dalla contrapposizione di essere e nulla faceva scaturire il
divenire, venne intesa da Spaventa in senso kantiano e fichtiano dando il
primato alla sintesi unificatrice del divenire: è il pensare, nel suo perenne
fluire, che dà luogo all'essere, il quale, originariamente indeterminato e
perciò im-pensabile, si rivela un non-essere, essendo posto all'interno del
pensare stesso. Per questo primato assegnato all'atto del pensare, Spaventa
farà da apripista all'idealismo attuale di Gentile. Prassi e concretezza
nel processo conoscitivo Per contrastare l'avanzata del positivismo che era
penetrato in Italia dopo la raggiunta unità nazionale, di fronte all'esaurirsi
delle spinte ideali che avevano caratterizzato il Risorgimento, Spaventa si
impegnò nella valorizzazione dell'aspetto pratico del processo conoscitivo, per
evitare la caduta in un «astratto idealismo, che non cura né pregia il sapere
sperimentale». In particolare riprese da Vico una concezione pratica e
storica della metafisica dell'Assoluto, intendendo l'autocoscienza
hegeliana (quale Begierde, cioè «appetizione») come Umanità, ovvero impeto
che agisce nel soggetto umano. Analogamente Spaventa poteva sostenere,
nel tracciare la storia spirituale d'Italia, che è il soggetto umano a dare
concretezza e coscienza di sè al processo storico. La Riforma della modernità
che aveva abolito i vecchi principi della filosofia scolastica si basava per
l'appunto sull'immanenza di Dio e sulla capacità della coscienza umana di
autodeterminarsi e di accedere direttamente all'Infinito, come già avevano
enunciato Bruno e Campanella. Il riconoscimento del valore infinito dell'uomo
ebbe ripercussioni anche sulla concezione etico-politica di Spaventa,
stimolando studi e interessi sulla filosofia hegeliana del diritto.
Permase in Spaventa una viva concezione etica dello Stato, che lo indusse a
rinvenire nell'idealismo hegeliano la sintesi tra la corrente
post-illuministica, basata sull'arbitrio individuale e su una concezione
meramente contrattualistica dello Stato, ed il cattolicesimo liberale, fondato
viceversa sull'arbitrio divino e sull'aderenza dogmatico-confessionale al
principio d'autorità. Il liberalismo di Spaventa rigettava l'individualismo che
privilegiava l'interesse del singolo portandolo a servirsi dell'organismo
universale per i propri fini, distruggendo la società. Allo Stato spetta dunque
la funzione "pedagogica" di promuovere gli interessi di tutti,
tutelando la famiglia, in cui si forma l'individuo, e al contempo la società
civile. «La famiglia e la società civile hanno la loro verità nello
stato. Dove lo stato non è altro che famiglia (stato patriarcale), o una
istituzione di pubblica sicurezza (polizia), non solo lo stato non è il vero
stato, ma né la famiglia né la società civile esistono nella loro vera forma.
Lo stato è l'unità del principio della famiglia e del principio della società
civile (della naturalità umana e del libero volere, del diritto e della
moralità). Non è una semplice associazione fondata mediante il libero arbitrio,
il patto etc, né una associazione puramente naturale. È tutto ciò insieme.
[...] È assoluta soggettività etica degli individui. Assoluta, perché è sostanza;
soggettività, perché è saputa e voluta dagli individui liberamente come la loro
stessa essenza (etica) e universalità. Dove manca tale sapere e volere, lo
stato non è libera soggettività, e l'individuo non ha vero valore
(individualismo moderno). In altri termini: è la sostanza nazionale, conscia
veramente e realmente di se medesima; lo spirito di un popolo (come tale, come
spirito etico) nella sua vera e perfetta esistenza.» (Bertrando Spaventa,
Studi sull'etica hegeliana, 1869) Poiché il potere stesso dello Stato può
essere utilizzato da un individuo o da una classe in vista dei suoi interessi
di parte, Spaventa accetta il modello costituzionale, sebbene non privo di
conflitti tra particolarità e universalità, nel quale «la personalità dello
Stato sia elevata sopra le lotte sociali». Ripudiando l'astratto
cosmopolitismo, lo Stato va dunque inteso come l'immanenza di Dio,
dell'universalità dello Spirito calato nella concretezza della «nazionalità»
dei popoli, tutti uguali «fratelli dell'umana famiglia». Fortuna «È con
Spaventa soprattutto che la filosofia in Italia cessa d'essere esercitazione
accademica e vacua speculazione, si avvia a diventare organica visione del
mondo, da cui derivi e consegua una morale, si avvia cioè a diventare religione
laica, dando inizio a quel largo movimento di distacco di intellettuali dalla
Chiesa cattolica.» (Gaetano Arfé, L'hegelismo napoletano e Spaventa, in
«Società», Firenze, Bertrando Spaventa fu uno dei maggiori teorici che si
sforzarono dare un un'impronta ideale e spirituale al percorso risorgimentale
verso l'unità d'Italia, non limitata all'ambito accademico, come riconobbero in
seguito storici e studiosi del Risorgimento. «Con Spaventa e De Sanctis
era giunta al culmine quella motivazione politica nazionale che fu la
caratteristica in forza della quale il movimento sorto a Napoli superò i limiti
di un episodio regionale. [...] Da noi, al contrario che in Inghilterra (e in
Francia), l'hegelismo non è stato solo un movimento accademico, di professori,
ma elemento della vita civile della nazione nel momento culminante del suo
Risorgimento.» (Sergio Landucci, L'hegelismo in Italia nell'età del
Risorgimento, in «Studi storici», Roma, L'opera di Spaventa influenzerà
profondamente, attraverso la mediazione di Donato Jaja, anche l'idealismo
italiano di Giovanni Gentile, il quale portò a termine il lavoro di
«kantianizzazione» o «mentalizzazione» di Hegel avviato da Spaventa,
trasformando la sua dottrina in un compiuto «attualismo», o filosofia
dell'atto, basata cioè sul perenne dinamismo dell'atto del pensiero.
Gentile curò inoltre nel 1908 la pubblicazione della spaventiana Prolusione e
introduzione alle lezioni di filosofia nella Napoli, rinominandola
significativamente La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia
europea, ritenendola un'opera di carattere non solamente storiografico, ma
soprattutto fenomenologico, in cui cioè lo Spirito del Pensiero Italiano
esprimeva la sua ritrovata coscienza di sè e delle sue relazioni con la storia
d'Europa. Gentile si confrontò ampiamente con Spaventa nella propria
Riforma della dialettica hegeliana, oltre a raccogliere e sistemare alcuni suoi
scritti inediti (tra cui un Frammento del 1881 giudicato uno snodo importante
verso la genesi del proprio attualismo) contribuendo alla riscoperta e alla
rinascita degli studi intorno alla dottrina spaventiana. Anche
l'idealista Croce, che dopo la morte dei genitori andò a vivere da Silvio
Spaventa, seguì le lezioni di Bertrando, apprezzandone soprattutto lo spirito
profondamente liberale. Altri scolari, o allievi della scuola hegeliana
del filosofo abruzzese furono Fiorentino, Maturi, Jaja, Masci, Tocco,
Labriola, Alfonso. Nuovi studi sono sorti in occasione del bicentenario della
nascita di Spaventa e De Sanctis, entrambi
1817. Opere principali: La filosofia di Kant e la sua relazione
colla filosofia italiana, Unione Tipografica-editrice, Torino, Principii di
filosofia, Stabilimento Tip. Ghio, Napoli, Studi sull'etica di Hegel, Stamperia
della Regia Università, Napoli 1869. La filosofia di Vincenzo Gioberti, Tip.
del Tasso, Napoli, Saggi critici di filosofia, politica e religione, Tip.
Giordano Bruno, Roma. La dottrina della conoscenza di Giordano Bruno, Stamperia
della Regia Università, Napoli. Principi di etica, Pierro, Napoli. La filosofia
italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, G. Gentile, Laterza,
Bari. Logica e metafisica, G. Gentile, Laterza, Bari. Opere, G. Gentile,
raccolte e aggiornate da Italo Cubeddu e Simona Giannantoni, "Classici
della Filosofia", Sansoni, Firenze. Opere, saggio introduttivo,
prefazioni, note e apparati di Francesco Valagussa, postfazione di Vincenzo
Vitiello, Bompiani, Milano. Quattro articoli sulla filosofia tedesca (Kant,
Fichte, Schelling, Hegel), Giuseppe Landolfi Petrone, Il Prato, Edizione critica delle Opere psicologiche
inedite Domenico D'Orsi: Lezioni di antropologia, Psiche e metafisica Elementi di psicologia speculativa, Sulle
psicopatie in generale. Note Cit. in B.
Spaventa, Antologia degli scritti, G. Vacca, pag. 17, Bari, Laterza. Piero Di
Giovanni, Giovanni Gentile: la filosofia italiana tra idealismo e
anti-idealismo, FrancoAngeli, Gentile e Spaventa, su treccani.it. Bertrando Spaventa, su treccani.it.
Bertrando Spaventa: il contributo italiano alla storia del pensiero, su
treccani.it. «In quel tempo, che gli
Austriaci — "i Tedeschi" dicevano generalmente in Italia — dimoravano
non solo nelle contrade lombarde e venete, ma anche in Toscana, io non avevo il
coraggio di dire: filosofia tedesca» (nota di B. Spaventa). Principii di Filosofia, Napoli, Ghio. Le
tradizioni filosofiche nell'Italia unita, di Giovanni Rota. Ugo e
Annamaria Perone, Giovanni Ferretti, Claudio Ciancio, Storia del pensiero
filosofico, Torino, SEI, Cit. di
Giovanni Gentile in Della vita e degli scritti di Bertrando Spaventa,
prefazione a Bertrando Spaventa, Scritti filosofici, pag. CVII, Napoli, A.
Morano & figlio, Fernanda Gallo, Gli hegeliani di Napoli e il Risorgimento,
in LEA, «Lingue e letterature d'Oriente e d'Occidente», n. 6, Firenze
University Press, . Spaventa fu autore
in proposito anche di saggi psicologici come Sulle psicopatie in generale, o La legge del più forte, in cui si
confrontava tra l'altro col darwinismo.
Studi sull'etica hegeliana, Napoli, Stamperia della R. Università, Il
concetto di «nazionalità» segnava in Spaventa un superamento della filosofia
hegeliana della storia basata sul susseguirsi di popoli-guida (cfr. Giovanni
Pugliese Carratelli, Storia e civiltà della Campania: l'Ottocento, Napoli,
Electa, Bertrando Spaventa, Studii sopra
la filosofia di Hegel, cit. in Unificazione nazionale ed egemonia culturale, G.
Vacca, Bari, Laterza, Eugenio Garin, La fortuna nella filosofia italiana,
in L'opera e l’eredità di Hegel, Bari, Laterza, Italo Cubeddu, Da Spaventa a Gentile:
Kant e il neoidealismo, in "La tradizione kantiana in Italia", Atti
del convegno della Società filosofica italiana, Messina, Edizioni G.B.M., La
raccolta gentiliana delle opere di Spaventa venne riedita in tre volumi curati
da Italo Cubeddu e Simona Giannantoni, ristampati da Francesco Valagussa e
Vincenzo Vitiello in un unico tomo.
Bertrando Spaventa: tra coscienza nazionale e filosofia europea, su
treccani.it. Giovanni Gentile, Bertrando
Spaventa, Firenze, Vallecchi, Giuseppe Vacca, Politica e filosofia in Bertrando
Spaventa, Bari, Laterza, Renato Bartot,
L'hegelismo di Bertrando Spaventa, Firenze, Olschki, Italo Cubeddu, Bertrando
Spaventa. Edizioni e studi, Firenze, Sansoni, Teresa Serra, Bertrando Spaventa:
etica e politica, Roma, Bulzoni, Raffaello Franchini , Bertrando Spaventa.
Dalla scienza della logica alla logica della scienza, Napoli, Pironti, Eugenio
Garin, Filosofia e politica in Bertrando Spaventa, G. Tognon, Napoli,
Bibliopolis, Eugenio Garin, Bertrando Spaventa, Napoli, Bibliopolis, Luigi Gentile, Coscienza Nazionale e pensiero
europeo in Bertrando Spaventa, Chieti, Ed. NOUBS, Gaetano Origo, Da Bruno a
Spaventa. Perpetuazione e difesa della filosofia italica, Roma, Bibliosofica, Alessandro
Savorelli, «Spaventa, Bertrando» in Il contributo italiano alla storia del
PensieroFilosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Attualismo Hegelismo Idealismo italiano
Idealismo tedesco Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Bertrando Spaventa, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Bertrando Spaventa, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, . Alessandro Savorelli,
Bertrando Spaventa, in Dizionario biografico degli italiani, 93, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
. Opere di Bertrando Spaventa, su Liber
Liber. Opere di Bertrando Spaventa, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Bertrando Spaventa, . Opere di
Bertrando Spaventa, su Progetto Gutenberg.
Bertrando Spaventa, su storia.camera.it, Camera dei deputati. Archivi di Teatro Napoli, Foto di Bertrando
Spaventa [collegamento interrotto], su cir.campania.beniculturali.it. 17 luglio
. Diego Fusaro, Bertrando Spaventa (sottotitolo: Il far intendere Hegel all'Italia,
vorrebbe dire rifare l'Italia), su filosofico.net. 23 ottobre 2008. Silvio e
Bertrando Spaventa dal sito del comune di Bomba Gentile e Spaventa, su
treccani.it. Scritti filosofici di Bertrando Spaventa, G. Gentile (TXT), su
archive.org. Gli hegeliani di Napoli e il Risorgimento, su fupress.net. su
Bertrando Spaventa, su treccani.it.
spedalieri: Nicola Spedalieri (Bronte), filosofo. Nato
da Vincenzo e da Antonina Dinaro, studiò nell'Oratorio di S. Filippo Neri di
Bronte e dnel seminario di Monreale dove insegnò filosofia. Alcune sue tesi,
considerate eretiche a Palermo, furono invece approvate e stampate a Roma con
il titolo di Propositionum theologicarum specimen. Trasferitosi a Roma, entrò a
far parte dell'Arcadia con il nome di Melanzio Alcioneo. Pio VI gli diede
il titolo di beneficiato della Basilica Vaticanache comportava una modesta
rendita mensilee l'incaricò di scrivere la storia del prosciugamento dell'Agro
pontino, che non riuscì a terminare e fu stampata soltanto col titolo De'
Bonificamenti delle terre pontine. NContro l'Enciclopedia degli illuministi,
uscì la sua Analisi dell'Esame critico del signor Nicola Fréret sulle prove del
Cristianesimo e il Ragionamento sopra
l'arte di governare e il Ragionamento sulla influenza della Religione Cristiana
nella società civile. Scrisse la Confutazione dell'esame critico del
cristianesimo fatto dal signor Eduardo Gibbon, contro la famosa opera del
Gibbon sulla storia dell'Impero romano, la cui caduta veniva imputata dallo
storico inglese all'influenza negativa della religione cristiana. Opere: Dei
diritti dell'uomo libri VI Busto di Spedalieri nella Biblioteca Nazionale
di Roma Nell'opera più importante Dei diritti dell'uomo, pubblicata a Roma ma,
per volontà del papa, con la falsa indicazione di Assisi, Spedalieri si rifece
alle concezioni rousseauiane relativamente alla dottrina del contratto sociale
come origine della società, ma contestandone la tesi di un originario stato di
natura a cui occorrerebbe tornare, perché soltanto all'interno della società
civile l'uomo può realizzare i suoi bisogni di felicità e di perfezione.
Scrive infatti che «Lo stato, a cui è destinato l'uomo dalla natura, è la
Società Civile: ciò fu dimostrato; e vuol dire, che l'uomo non può rinunziare,
generalmente parlando, alla Società Civile senza opporsi alla sua propria
natura. È parte essenziale della costituzione sociale il Principato [...] il
Popolo non ha diritto di disfare il Principato». Se la forma migliore di
governo è, secondo lo Spedalieri, il principato, e al principe il popolo affida
«le tre facoltà di giudicare, di decretare e di eseguire», il popolo non può
togliergli «il Principato a suo beneplacito, cioè quando gli pare, per motivi
leggieri, senza motivi», perché violerebbe il patto sottoscritto, a meno che il
principe non violi la condizione essenziale del contratto stipulato, il do ut
facias, a meno che egli non faccia ciò che si era impegnato a fare in cambio
della proprietà del principato: ossia, custodire «i diritti naturali di
ciascuno» e dirigere «tutte le operazioni del Principato alla felicità de'
sudditi». Questa è la base del contratto, e se invece il principe
«prendesse a distruggere i diritti naturali di ognuno, a sostituire il
capriccio alle leggi, e ad immergere nella miseria i poveri sudditi, il
contratto resterebbe sciolto da sé». Lo scioglimento del contratto non
significa che il popolo eserciti per proprio conto il governo, ma che debba
«investirne un altro con auspici migliori». Ma chi deciderà che il
contratto stabilito con il principe sia nullo? Intanto, osserva Spedalieri, che
«il contratto siasi sciolto già da sé stesso, si dee legalmente dichiarare.
Prima della quale dichiarazione a niuno è permesso di sottrarsi dall'ubbidienza
del Principe. E il diritto di far tale dichiarazione non appartiene a verun
privato, né alla unione di alcuni, né anco alla moltitudine». Solo un corpo che
rappresenti tutti i sudditi può dichiarare lo scioglimento del patto con il
principe: questo «vero corpo» sarà formato da «tutti i Magistrati, tutti gli
Ordini de' Cittadini, le persone illuminate, probe, e non soggette all'impeto
del momento [...] ogni colta Nazione nella Costituzione fondamentale, che dà a
sé stessa, e che inerisce nel contratto che fa con la persona che vuole
innalzare al Principato, e che questa giura di mantenere, sempre, forma un
corpo o sia un Collegio, per così dire, immortale, che rappresenti
permanentemente tutti gl'individui. Laonde basta che la dichiarazione si faccia
da questo corpo, per esser legale». Pietro Tamburini Qualora il
principe resista e voglia mantenere il potere non più riconosciutogli,
comportandosi così da tiranno, il «Corpo della Nazione»mai però un singolo
cittadinopotrà legittimamente giungere fino all'estrema soluzione di
condannarlo a morte. Spedalieri si mostrò avverso sia al dispotismo illuminato,
che rifiutava tanto il principio della sovranità popolare quanto il primato
della religione nel governo dello Stato, sia i princìpi laici della Rivoluzione
francese. La garanzia di assicurare i diritti fondamentali dell'uomo è data,
secondo lo Spedalieri, dalla religione cristiana che ha come princìpi
essenziali l'amore e la carità verso il prossimo. Spedalieri polemizzò
anche contro i giansenisti che accusò di "giacobinismo" e di
"spirito sovvertitore dei troni". Gli rispose con asprezza il teologo
e giurista Pietro Tamburini nello scritto Lettere teologico politiche sulla
presente situazione delle cose ecclesiastiche. Il riconoscimento che la
sovranità derivi dal popolo e che questi, attraverso i suoi delegati, possa
giungere a rovesciarne il potere, procurarono allo Spedalieri violente critiche
e inimicizie da parte dei circoli reazionari e in parte anche moderati, e al
libro, che ebbe alla sua uscita una notevole diffusione, il divieto di
pubblicazione in tutta Europa; soltanto nella seconda metà dell'Ottocento esso
poté nuovamente circolare, anche se in Italia, mutato il clima politico e
culturale dopo i primi decenni del Novecento, venne nuovamente ignorato.
La morte improvvisa di Nicola Spedalieri fece nascere la diceria che il decesso
fosse avvenuto per avvelenamento. Note
Ludovico Geymonat e Renato Tisato, «Il pensiero filosofico-pedagogico
italiano, Filosofi e pedagogisti estranei all'illuminismo». In : Ludovico
Geymonat , Storia del pensiero filosofico e scientifico, III (Il Settecento), Milano, Garzanti, Gaetano
Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani: o come
che sia aventi relazione all'Italia. Milano : Coi torchi di L. di Giacomo Pirola,
N. Nicolini, op. cit.. C. Giurintano,
Società e Stato in Nicola Spedalieri, Palermo 1998 A. Pisanò, Una teoria
comunitaria dei diritti umani: i diritti dell'uomo di Nicola Spedalieri,
Milano. Opere di Nicola Spedalieri, . Nicola Spedalieri, in Catholic
Encyclopedia, Robert Appleton Company.
Biografia, opere e commenti su bronteinsieme.it Nicola Nicolini, Nicola
Spedalieri, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana,Opere digitalizzate Analisi dell'Esame critico del signor Nicola
Frèret sulle prove del cristianesimo Ragionamento sopra l'arte di governare
Ragionamento sulla influenza della religione cristiana nella società civile
Confutazione dell'esame critico del cristianesimo fatto dal signor Eduardo
GibbonI parte Confutazione dell'esame critico del cristianesimo fatto dal
signor Eduardo GibbonII parte De' diritti dell'uomo. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Spadalieri sul contratto conversazionale.” H. P. Grice, “A critique to
conversational quasi-contrastualism.”
Arcadia: societa di filosofi. Some members
include Spedalieri, etc. Grice: “Stupidly, they were required to change names!”
–
Speranza
Speranza, Ugo
Speranza, Alessandro
Speranza, Ettore
Speranza, Gianni
Speranza, Paola
Speranza, Anna-Maria
Speranza-Ghersi –
Ghersi-Speranza, Anna-Maria
Speranza luigi
speranza: luigi della --. Italian philosopher, attracted, for
some reason, to H. P. Grice. Speranza knows St. John’s very well. He is the
author of “Dorothea Oxoniensis.” He is a member of a number of cultivated Anglo-Italian
societies, like H. P. Grice’s Playgroup. He is the custodian of Villa Grice,
not far from Villa Speranza. He works at the Swimming-Pool Library. Cuisine is
one of his hobbiesgrisottoa alla ligure, his specialty. He can be reached via
H. P. Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Vita ed opinion di Luigi Speranza,” par Luigi
Speranza. A. M. Ghersi Speranzavide Ghersi-Speranza. Ghersi is a collaborator
of Speranza. Grice: “It’s easy enough to list Speranza’s publications.”
Speranza, like Mill, was fortunate to belong to a literary familyand he would
read Descartes’s Meditations, which drew him to philosophy. His studies in
logic drew him to semanticsHis first love was Oxonian analysis as summarised in
Hartnack’s essay on ‘contemporary’ philosophy. One of Speranza’s earliest
essays is on Plato’s Cratylus, relying mainly on Cassierer, but also drawing
from Austin’s Philosophical Papesr. Spearnza’s idea is that “ … mean …” is a
dyadic relation and what’s behind Plato’s theory of forms. This was Speranza’s
contribution to a seminar in ancient philosophy. For his contribution on
medieaval philosophy, Speranza drew on the modistae, and the Patrologia Latina
for the use of ‘intentio’ in various writers, up to AquinoSperanza finds it
fascinating that the earliest modistae do find a conceptual link between the
‘intentio’ and the ‘significatio.’ For a seminar on scepticism, Speranza
contributed with a paper on Gricedrawing on Sextus Empiricus and Bar-Hillel. It
relates to Grice’s problem with the conversational category of fortitude.
Speranza concludes that a phenomenalist account is possible, but there are two
other options: ‘silence’ (“not to participate in the conversational game”) or
the utterance of non-alethic utterances, such as questions and commands. For a
seminar on political philosophy, Speranza contributed with an essay on ‘Contractualism’
from Rousseau onwards --. For a seminar on phenomenology and the social
sciences, Speranza contributed with an essay on ‘The conversational unit,’ the
idea that the emic approach is preferable to the etic approach. For a seminar
on argumentation theory on Habermas, Speranza contributed with a “German
Grice,” the idea of a ‘strategy’ is a momer. Grice is into co-operative
proceduresand those who provide taxonomies of rationality should be made aware
of this. For “The Carrollian,” Speranza contributed with “Humpty Dumpty’s
Impenetrability.” The idea that Davidson is right and Alice does not mean that
there is a knock-down argument, or that she should change the topiche draws on
Grice’s collaborator at Oxford, D. F. Pears, for his insights on “Intention and
belief.” At the request of the editor of a bibliographical bulletin, M. Costa,
Speranza contributed with reviews of oeuvre by R. M. Hare (“Sub-atomic
particles of logic”), J. F. Thomson (“if and If”) and work on the English
philosopher H. P. Grice (J. Baker, etc.). His review on Way of Words spramg
from the same project, and it is an ‘invitation.’ For a congress of philosophy,
Speranza presented “On the way of conversation,” playing on Grice’s “way of
words”“Surely there’s more than words to conversation.” Speranza focuses on
what Grice amusingly calls a ‘minro problem,’ that of expression
meaningSperanza’s example: “How do you find Bologna?” “I haven’t been mugged
yet” was inspired by a remark of an attendant to the conference. For a congress
on conversational reasoning, Speranza contributed with “First time at Bologna?”
providing twenty five possible answers“first time in the region, actually.”
Etc. Speranza, following Grice, refers to this sort of reasoning as a sort of
‘brooding’to ‘brood’ is to ‘reason’ in a calculated fashion. As an invitation
project, Speranza collaborated with “Rational face to rational face: a study in
conversational pragmatics from a Griceian perspective.” In his essay
“Post-modernist Grice,” he deals with the unary and dyadic connectors. For a
congress on “Current Issues,” Speranza presented his “The feast of reason,”
three steps in the critique of conversational reason. The first step is
empirical, the second is quasi-contractualist, and the third is rational,
undersood weakly and strongly. For an essay on relativism, Speranza presented
an essay on ‘The cunning of conversational reason.’ Speranza maintains Grice’s
jocular references to Kantthe Conversational Immanuel. For an essay on
desirability, Speranza explored the issues connected with mise-en-abyme and
self-reflectionsome of these were published. There is published correspondence
with members of what Speranza calls the Grice Club. Refs.: The H. P. Grice
Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The University of California,
Berkeley. Speranza, villaThe Swimming-Pool LibraryH. P. Grice’s Play Group,
Liguria, Italia. Luigi Speranza, “Grice e la storia della filosofia italiana.” Speranza
has done crucial research on Griceianism, unearthing some documents by O. P. Wood,
J. O. Urmson, P. H. Nowell-Smith, and many many others – not just H. P. Grice. Vide:
The Grice Papers, BANC, MSS.
speranza
speranza:
a publishing house in
Rome, on Via Firenze, 38. Speranza specializes in philosophy.
speroni: Tiziano, Ritratto di Sperone Speroni
(1544), Treviso, Museo Civico di Santa Caterina Sperone Speroni (Padova, 12
aprile 1500Padova, 2 giugno 1588) è stato uno scrittore e filosofo italiano. Nacque
nell'antica famiglia padovana Speroni degli Alvarotti nell'antico palazzo di famiglia
in contrà Sant'Anna. Il padre Bernardino fu archiatra di papa Leone X, la madre
Lucia era esponente dei Contarini. Bambino prodigio negli studi, divenne
professore di logica dell'Padova a soli diciotto anni. Dopo pochi anni di
insegnamento però decise di approfondire gli studi a Bologna, dal famoso
filosofo aristotelico Pietro Pomponazzi. Alla morte di costui, nel 1525, tornò
a Padova dove insegnò per altri tre anni, fino al decesso del padre; dopo di
ciò dovette occuparsi attivamente della sua famiglia. A questo periodo
risale la composizione dei dialoghi che verranno pubblicati dall'amico Daniele
Barbaro nel 1542, con il titolo di Dialogi: sono il Dialogo d'amore, quello
Della dignità delle donne, quello Del tempo di partorire delle donne e quello
Della cura famigliare, i due dialoghi lucianei Della usura e Della discordia,
seguiti da quello Delle lingue e da quello Della retorica, e infine quello
Delle laudi del Catajo, villa della S. Beatrice Pia degli Obici e quello
Intitolato Panico e Bichi. Questi dialoghi sono le opere più note di Speroni,
nonostante siano stati pubblicati a sua insaputa e non siano mai stati
riconosciuti, e hanno avuto decine di ristampe nel corso del Cinquecento.
A questo periodo risale anche la composizione del Dialogo della vita attiva e
contemplativa, che non venne però inserito nei Dialogi del '42, per motivi
tuttora sconosciuti. Membro dell'Accademia degli Infiammati e amico di
Torquato Tasso si occupò della revisione della Gerusalemme liberata. Fu autore
della Canace, pubblicata a Venezia nel 1546, tragedia che darà seguito a
un'accesa polemica tra l'autore e Giambattista Giraldi Cinzio. In seguito
intervenne anche nella polemica tra lo stesso Giraldi Cinzio e Giovan Battista
Pigna a proposito dell'Orlando furioso e del romanzo come genere letterario.
Nel 1560 si trasferì a Roma dove divenne amico di Annibal Caro. Tornato a
Padova compose i Discorsi Su Dante, Sull'Eneide, Sull'Orlando furioso e il
Dialogo della istoria. Fu fautore di un classicismo ancor più estremo di
quello del vicentino Giangiorgio Trissino, cui rimproverava di aver tratto
dalla storia e non dalla mitologia il soggetto della sua Sofonisba.
Conformemente all'uso greco e, naturalmente, nel pieno rispetto delle unità
aristoteliche, si ispirò alle Heroides ovidiane per la Canace. Morì
all'età di 88 anni. Fu sepolto nella Cattedrale di Padova negli avelli degli
Alvarotti. Nell'andito della porta settentrionale gli venne in seguito eretto
un monumento ad opera di Girolamo Campagna. Sperone Speroni. Opere
Sezione vuota Questa sezione sull'argomento letteratura è ancora vuota. Aiutaci
a scriverla! Opere di M. Sperone Speroni
degli Alvarotti tratte da' mss. originali, Marco Forcellini, Venezia, Occhi,
1740, 5 voll. Sperone Speroni, in Trattatisti del Cinquecento, Mario Pozzi,
Milano-Napoli, Ricciardi, 1978, 471–850
Francesco Cammarosano, La vita e le opere di Sperone Speroni, Empoli,
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di « Filologia veneta », Padova, Editoriale Programma, 1989. Altri progetti
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Speroni Collabora a Wikiquote Citazionio su Sperone Speroni Sperone Speroni, su Treccani.itEnciclopedie
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Camillo Guerrieri Crocetti, Sperone Speroni, in Enciclopedia Italiana,
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Sperone Speroni, su LibriVox. Michele Messina,
Sperone Speroni, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
spinelli: Francesco Maria Spinelli (Morano Calabro),
filosofo. Fu figlio di Antonio Spinelli, principe di Scalea, marchese di
Misuraca e barone di Morano, dal quale ereditò i titoli, e di Anna Beatrice
Carafa, dei principi di Belvedere. Fu allievo del filosofo cartesiano Gregorio
Caloprese. Divulgò la filosofia
cartesiana, difese alcuni colleghi, anche loro seguaci di Cartesio, accusati di
ateismo, ed ebbe un'accesa polemica con Paolo Mattia Doria sull'origine dello
spinozismo, in merito alla quale scrisse una prima opera critica, stampata solo
in seguito nel 1733. Opere Riflessioni
sulle principali materie della prima filosofia fatte all'occasione di esaminare
la prima parte di un libro intitolato: Discorsi Critici Filosofici intorno alla
Filosofia degli Antichi e de' Moderni &c. di Paolo Matti Doria [...],
Stamperia di Felice Mosca, Napoli, 1733. De origine mali dissertatio, 1750. De
bono dissertatio, 1751. Note Fonte: ,
Dizionario di filosofia, riferimenti in .
Alfonso Mirto, "Nota sul pensiero di Francesco Maria
Spinelli", in Calabria letteraria, 31, 1983, nn. 7-9, 74-76. Fabrizio Lomonaco , Francesco Maria
Spinelli, Vita, e studj scritta da lui medesimo in una Lettera, Il Melangolo,
Genova 2007. Alfonso Mirto, Spinelli Francesco Maria in Dizionario Biografico
degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, , ad vocem. Altri
progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Francesco Maria Spinelli Francesco Maria Spinelli, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Maria Spinelli, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Francesco Maria Spinelli.
spinelli: Troiano Spinelli, talvolta scritto
Trojano Spinelli (Laurino), filosofo. Duca di Aquara e di Laurino nel
Settecento, appartenente alla nobile famiglia napoletana degli Spinelli. Figlio
unico di Giuseppe Spinelli, ottavo duca di Laurino, e di Giovanna Caracciolo,
figlia di Ottavio, terzo Principe di Forino, ereditò i titoli paterni nel 1764.
Nel 1738, sposò in prime nozze Beatrice Caterina Pinto y Mendoza, terza
Principessa di Montacuto, figlia ed erede del principe Gregorio. Nel 1750,
sposò in seconde nozze Donna Ottavia Tuttavilla, figlia di Vincenzo II, sesto
duca di Calabritto. Allievo del filosofo Giambattista Vico, si formò al
Collegio Clementino a Roma e poi all'Accademia di Loreto dove studiò
matematica, fisica e ingegneria. Ritornato a Napoli, divenne amico di vari
illuministi napoletani, quali Gaetano Filangieri e Ferdinando Galiani. Fu
autore di varie opere di stampo illuministico, in particolare nei campi della
storia e dell'economia. La sua opera più importante, le Riflessioni politiche
sopra alcuni punti della scienza della moneta, fu data alle stampe nel 1750:
rappresenta uno dei primi tentativi di metodo geometrico applicato
all'economia. In questo opuscolo, si oppone alle teorie monetarie di Carlo
Antonio Broggia. Spinelli fece attivamente parte della massoneria napoletana,
all'epoca diretta dal principe di Sansevero, Raimondo di Sangro. Fu
nominato cavalerie del Real Ordine di San Gennaro. A Napoli, fece
ristrutturare il palazzo di famiglia tra il 1766 e il 1768, il palazzo Spinelli
di Laurino, trasformandolo in una delle più suggestive realizzazioni del
Settecento napoletano. Morì a Napoli nel 1777 e venne sepolto nella cappella di
famiglia nella chiesa di Santa Caterina a Formiello. Opere principali
Degli Affetti umani, Napoli, Stamperia Muziana, 1741. Riflessioni politiche
sopra alcuni punti della scienza della moneta, Napoli, 1750. Saggio di tavola
cronologica de' principi e più ragguardevoli ufficiali che anno signoreggiato,
e retto le provincie, che ora compongono il regno di Napoli, Napoli, stamperia
di Giuseppe Di Bisogni, 1762. Della nobiltà, dalle stampe del Porsile, 1776.
Lettera nella quale si dimostra non esser nota di falsità, che nel diploma di
fondazione della chiesa di Bagnara si ritrovi l'anno 1085 segnato
coll'indizione sesta correndo l'ottava del computo volgare, s.d. Troiano Spinelli, su Treccani.itEnciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
spirito: Ugo Spirito (Arezzo), filosofo. Allievo
di Gentile. Fu firmatario del Manifesto degli intellettuali fascisti e, nel
periodo fascista, tra i teorici del Corporativismo. Ebbe cattedre di
insegnamento in diverse Università tra cui Pisa, Messina, Genova e Roma. Alla
Sapienza di Roma fu ordinario di Filosofia. Era, allora, tra i principali
filosofi dell'Ateneo Romano, insieme con Antoni, allievo di Croce, Calogero,
filosofo del "dialogo" (Cf. Grice – “dialogo” vs. “conversazione”) --
e Bruno Nardi grande studioso di filosofia dantesca e medievale. Rinomate erano
non tanto le sue lezioni quanto i suoi pomeriggi di discussione del giovedì.
Tre ore, non di lezione, ma di discussione serrata su un problema filosofico;
uno soltanto per un intero anno accademico. Il 1951, ad esempio, fu dedicato al
concetto di sogno. Ai giovedì di Ugo Spiritonell'aula grande dell'Istituto di
Filosofiaintervenivano tante e diverse persone: gli studenti, i numerosi
assistenti e inoltre partecipanti di varie età convinzioni e provenienze. Spirito
ascoltava tutti, rilanciava la discussione e guidava la discussione verso nuove
prospettive interpretative. Ugo Spirito
in quegli anni pubblicava opere particolarmente connesse a quei giovedì. Tra le
altre: il Problematicismo, La Vita come Ricerca, La Vita come Amore,
Cattolicesimo e Comunismo, fino all'ultima, autobiografica Vita di un
Incosciente. Volendo indicare un tratto distintivo del pensiero di Spirito, si
può affermare che esso consisteva nella curiosità e nel rispetto per qualsiasi
posizione. Non esisteva per lui una parola definitiva, ma la ricerca della
verità doveva essere portata sempre ulteriormente avanti. In questo senso vanno interpretate le sue
riflessioni che spaziano dai campi della speculazione filosofica, al giuridico,
al sociale fino all'economico. Dopo la morte del filosofo è stata costituita la
Fondazione Ugo Spirito. È sepolto al Cimitero del Verano, a fianco del
cosiddetto "Crocione".
Individuo, Stato e Corporativismo Tra i vari livelli di ricerca, spicca
nel pensiero di Ugo Spirito la riflessione sulle strutture dello Stato.
Allontanandosi nettamente dal pensiero di matrice liberale, il filosofo aretino
non vede alcuna contrapposizione tra la figura dell'individuo e quella dello
Stato. Con un passo oltre questa interpretazione, che giudica disorganica e
arbitraria, Spirito vede al contrario lo Stato come figura entro cui
l'individuo viene progressivamente a realizzarsi. Il binomio Stato/individuo
diventa così un'equazione, in cui il secondo termine viene a risolversi e
quindi realizzarsi pienamente nel primo, che si caratterizza "non [come]
una semplice sovrastruttura disciplinatrice, ma come un organismo che esprime
un'unica volontà e compone tutti i dissidi individualistici". In questo senso, l'unica via percorribile
nella realizzazione di tale modello è la via corporativa in cui lo Stato, che
da Stato di individui diventa Stato di produttori, rappresenta il luogo in cui
interesse pubblico ed interesse privato vengono a coincidere, poiché, per dirla
con Gentile, in esso non viene (e non deve venire) "annulla[ta] quella
sorgente di vita economica e morale che è l'individuo". La concezione elaborata da Spirito è stata
definita immanenza dell'individuo nello Stato, volta alla mobilitazione degli
individui nelle e per le strutture create dallo Stato stesso. Economia Se nell'accezione di Spirito
l'economia è politica e se ne deve garantire la subordinazione alle scelte
sociali, in questo senso va inquadrato il ruolo che assegna allo Stato in
termini di intervento pubblico. Ben lungi dal prospettare una situazione
paragonabile al collettivismo, il filosofo è lontano anche dagli eccessi
disorganici che imputava ai sistemi liberali. Il funzionario di Stato, che in
prospettiva doveva andare a sostituire il capitalista privato, era giudicato da
Spirito: «non come un agente del collettivismo o del capitalismo statale (che
sappiamo cosa produsse col sovietismo), ma un semplice delegato tecnico, che si
fa garante di una diversa realtà: assicurare socialmente, oggi il controllo
della produzione, domani la stessa proprietà dei mezzi produttivi.» (Luca Leonello Rimbotti, dalla prefazione a
Pareto. Di Ugo Spirito, Settimo Sigillo, Roma, 2000, pag. 8) Opere scelte: Storia
del diritto penale italiano, Il nuovo diritto penale, Critica dell'economia liberale, “L'idealismo
italiano e i suoi critici” – Grice: “A delightfull read, especially for us
Oxonians, since he manages to quote extensively from the Proceedings of the
Aristotelian Society, seeing that Ryle hated idealism!” -- I fondamenti dell'economia
corporativa, Capitalismo e corporativismo, Scienza e filosofia, La vita come
ricerca, Rubbettino, Dall'economia liberale al corporativismo, La vita come
arte, Il problematicismo, La vita come amore, Critica della democrazia, Rubbettino, Il comunismo, Dall'attualismo al
problematicismo, Memorie di un incosciente, Rusconi, Milano, Vilfredo Pareto,
Cadmo Editore, Roma, Critica della democrazia, Luni Ed., Milano-Trento, Il corporativismo: dall'economia liberale al
corporativismo; i fondamenti dell'economia corporativa; capitalismo e
corporativismo, raccolta di saggi, Rubbettino,Maria Laura Rodotà , Passeggiando
in bicicletta; Bighellonando dentro il Verano, Corriere della Sera, Lino di
Stefano, Ugo Spirito. Filosofo, Giurista, Economista, Giovanni Volpe editore,
Roma 1Giovanni Gentile, Individuo e Stato, "Books Received.", Economist
[Londra, Inghilterra], Antimo Negri, Dal corporativismo comunista all'umanesimo
scientifico. Itinerario teoretico di Ugo Spirito, Manduria, Lacaita, Franco
Tamassia , L'opera di Ugo Spirito, Roma, Atti del Convegno Internazionale Il
pensiero di Ugo Spirito, Roma, Antonio Russo, Positivismo e idealismo in Ugo
Spirito, Roma, Fondazione Ugo Spirito, Giovanni Dessì, Spirito. Filosofia e rivoluzione,
Milano, Luni, 1Antonio Russo, Ugo Spirito. Dal positivismo all'antiscienza, Milano,
Guerini e Associati, Hervé A. Cavallera, Spirito: la ricerca dell'incontrovertibile,
Formello, SEAM, Danilo Breschi, Spirito del Novecento. Il secolo di Ugo Spirito
dal fascismo alla contestazione, Rubbettino,
Antonio Cammarana, Proposizioni sulla filosofia di Giovanni Gentile,
prefazione del senatore Armando Plebe, Roma, Gruppo parlamentare MSI-DN, Senato
della Repubblica, Pagine, Biblioteca
Nazionale Centrale di Firenze, Antonio Cammarana, Teorica della reazione
dialettica: filosofia del postcomunismo, Roma, Gruppo parlamentare MSI-DN,
Senato della Repubblica,, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Vincenzo
Pirro, Ricordo di Ugo Spirito, in "Nuovi Studi Politici" Ed. Bulzoni,
Roma, Alessandra Tarquini, Ugo Spirito, in Il contributo italiano alla storia
del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Marcello Mustè,
Ugo Spirito, in Enciclopedia machiavelliana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, . Paolo Bettineschi, L'esperienza storica e l'intrascendibilità del
conoscere. Sul sapere di non sapere, in Rivista di filosofia neo-scolastica, , Problematicismo
Corporativismo Fascismo Corporazione proprietaria. Treccani.itEnciclopedie on
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in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ugo Spirito, in Dizionario di storia,
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italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Ugo Spirito, su siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo
Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Ugo Spirito, su Find a
Grave. Opere di Ugo Spirito, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Ugo Spirito, . Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, su
fondazionespirito.it. Spirito, Ugo, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia
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Calogero: Filosofo del dialogo.
spisani: Franco Spisani (Ferrara), filosofo. Studioso
di solito indicato tra i filosofi della scienza, si laurea all'Padova con una
tesi di sull'attualismo italiano. In seguito collabora con la cattedra di
Filosofia Teoretica dell'Urbino. A Bologna fonda, nel 1970, la rivista Rassegna
internazionale di logica (che verrà pubblicata fino al 1987) e il Centro superiore di logica e scienze
comparate, che aveva nel comitato direttivo Karl Popper e Paul Ricœur. In una
lettera del 1969 Rudolf Carnap critica una sua decisione di non pubblicare
un'opera. Morì suicida insieme alla moglie.
Gli scritti Ha scritto varie opere, tra le quali: Neutralizzazione dello
spazio per sintesi produttiva, Endometria e universo del discorso e Teoria
generale dei numeri relativi, legati alla logica e alla matematica
trascendentale; nella prefazione della Teoria generale dei numeri relativi, si
dice che: "C'è una relazione divisoria che ipotizza il valore M (numero logico
trans-infinito) all'origine della neutralizzazione dello spazio transfinito.
Aleph ({\displaystyle \aleph }\aleph ) va verso successivi aumenti; ma è la
relatività dei numeri (allora espressa nel calcolo per valori di posizione) che
ne individua la direzione inversa."
Spisani ha anche pubblicato un altro libro, di taglio più divulgativo,
Introduzione alla teoria dei numeri relativi; qui l'autore spiega le sue
scoperte in forma di dialogo; tra gli interlocutori (check) la misteriosa
figura della piovra Clipso. Il suo
lavoro è stato citato dal filosofo australiano Joseph Wayne Smith,
dell'Adelaide, nel suo libro sui limiti della metafisica. Il pensiero di
Spisani è ripreso da Bruno Gallo, fondatore della logofenica. Opere principali: Natura e spirito nell'idealismo
attuale, Milano, Fabbri, Neutralizzazione dello spazio per sintesi produttiva,
presentazione Gustavo Bontadini e Nicola Dessy, Bologna, Cappelli (poi Milano,
Marzorati) Il numero nell'istanza ontologica del rapporto d'identità, Imola,
Galeati, Logica ed esperienza, Milano,
Marzorati, Logica della contestazione,
Bologna, Cappelli, (check thi: )The meaning and structure of time, Bologna,
Azzoguidi, Philosophical foundations of autogenetic logic, Bologna, CSLSC, Implicazione, endometria, universo del
discorso (Implication, endometry, universe of discourse, testo bilingue,
Bologna, International logic review, eoria generale dei numeri relativi con
ingresso dei numeri moltiplicatori e divisori, Bologna, International logic
review, Introduzione alla teoria generale dei numeri relativi, Bologna, Centro
superiore di logica e scienze comparate, Sezione di analisi matematica. Dal
catalogo ACNP Franco Spisani, Teoria
Generale dei numeri relativi/General theory of directed numbers, Testo
bilingue, 1, Bologna, pubblicato a cura
del Centro superiore di logica e scienze comparate; la lista dei direttori di
ricerca è sulla quarta di copertina.
«Dear professor Spisani, I am astonished that you insist on your
decision not to publish your book. It is essential that you make your number
theory known; and I have already emphasized the importance of the presentation
of multipliers and divisors.Don't have any doubts. You have my total support.
With best wishes, Rudolf Carnap». (Franco Spisani, Teoria Generale dei numeri relativi/General
theory of directed numbers, la lettera è in una pagina non numerata tra pag. 14
e pag. 15.) L'ha vegliato prima di
suicidarsi, la Repubblica La teoria
generale dei numeri relativi, Franco Spisani.
Sulla storia della pubblicazione della Teoria generale, importanti
ricerche erano già pronte nel 1963; allora, dice l'autore, "ne discussi
con Rudolf Carnap. Gli avevo sottoposto i risultati dell'indagine. Gli spiegai
anche le ragioni che, al momento, mi inducevano a non diffonderne le conclusioni.
Carnap rispose che quella scelta gli sembrava affatto ingiustificata:
l'operascrissenon poteva rimanere nel silenzio. Tuttavia non cambiai parere.
Non avrei pubblicato, e glielo confermai."
Joseph Wayne Smith, Essay on ultimate questions: critical discussion of
the limits of contemporary philosophical inquiry, Avebury, Dai numeri naturali
ai numeri relativi, moltiplicatori e divisori di Bruno Gallo Un uomo geniale, necrologio pubblicato da la Nuova
Ferrara, L'ha vegliato prima di suicidarsi, di Carlo Gulotta, la Repubblica, sezione
Bologna, Archivio.
sraffa: an Italian noble -- vitters, and Grice -- L.cited by H. P. Grice, “Some like Vitters,
but Moore’s MY man.” Vienna-born philosopher trained as an enginner at
Manchester. Typically referred to Wittgenstein in the style of English
schoolboy slang of the time as, “Witters,” pronounced “Vitters.”“I heard Austin
said once: ‘Some like Witters, but Moore’s MY man.’ Austin would open the
“Philosophical Investigations,” and say, “Let’s see what Witters has to say
about this.” Everybody ended up loving Witters at the playgroup.” Witters’s
oeuvre was translated first into English by C. K. Ogden. There are interesting
twists. Refs.: H. P. Grice, “Vitters.” Grice was sadly discomforted when one of
his best friends at Oxford, D. F. Pears, dedicated so much effort to the
unveiling of the mysteries of ‘Vitters.’ ‘Vitters’ was all in the air in
Grice’s inner circle. Strawson had written a review of Philosophical
Investigations. Austin was always mocking ‘Vitters,’ and there are other
connections. For Grice, the most important is that remark in “Philosohpical
Investigations,” which he never cared to check ‘in the Hun,’ about a horse not
being seen ‘as a horse.’ But in “Prolegomena” he mentions Vitters in other contexts,
too, and in “Causal Theory,” almost anonymouslybut usually with regard to the
‘seeing as’ puzzle. Grice would also rely on Witters’s now knowing how to use
‘know’ or vice versa. In “Method” Grice quotes verbatim: ‘No psyche without the
manifestation the ascription of psyche is meant to explain,” and also to the
effect that most ‘-etic’ talk of behaviour is already ‘-emic,’ via internal
perspective, or just pervaded with intentionalism. One of the most original and
challenging philosophical writers of the twentieth century. Born in Vienna into
an assimilated family of Jewish extraction, he went to England as a student and
eventually became a protégé of Russell’s at Cambridge. He returned to Austria
at the beginning of The Great War I, but went back to Cambridge in 8 and taught
there as a fellow and professor. Despite spending much of his professional life
in England, Vitters never lost contact with his Austrian background, and his
writings combine in a unique way ideas derived from both the insular and the
continental European tradition. His thought is strongly marked by a deep
skepticism about philosophy, but he retained the conviction that there was
something important to be rescued from the traditional enterprise. In his Blue
Book 8 he referred to his own work as “one of the heirs of the subject that
used to be called philosophy.” What strikes readers first when they look at
Vitters’s writings is the peculiar form of their composition. They are
generally made up of short individual notes that are most often numbered in
sequence and, in the more finished writings, evidently selected and arranged
with the greatest care. Those notes range from fairly technical discussions on
matters of logic, the mind, meaning, understanding, acting, seeing,
mathematics, and knowledge, to aphoristic observations about ethics, culture,
art, and the meaning of life. Because of their wide-ranging character, their
unusual perspective on things, and their often intriguing style, Vitters’s
writings have proved to appeal to both professional philosophers and those
interested in philosophy in a more general way. The writings as well as his
unusual life and personality have already produced a large body of interpretive
literature. But given his uncompromising stand, it is questionable whether his
thought will ever be fully integrated into academic philosophy. It is more
likely that, like Pascal and Nietzsche, he will remain an uneasy presence in
philosophy. From an early date onward Vitters was greatly influenced by the
idea that philosophical problems can be resolved by paying attention to the
working of language a thought he may
have gained from Fritz Mauthner’s Beiträge zu einer Kritik der Sprache 102.
Vitters’s affinity to Mauthner is, indeed, evident in all phases of his
philosophical development, though it is particularly noticeable in his later
thinking.Until recently it has been common to divide Vitters’s work into two
sharply distinct phases, separated by a prolonged period of dormancy. According
to this schema the early “Tractarian” period is that of the Tractatus
Logico-Philosophicus 1, which Vitters wrote in the trenches of World War I, and
the later period that of the Philosophical Investigations 3, which he composed
between 6 and 8. But the division of his work into these two periods has proved
misleading. First, in spite of obvious changes in his thinking, Vitters
remained throughout skeptical toward traditional philosophy and persisted in
channeling philosophical questioning in a new direction. Second, the common
view fails to account for the fact that even between 0 and 8, when Vitters
abstained from actual work in philosophy, he read widely in philosophical and
semiphilosophical authors, and between 8 and 6 he renewed his interest in
philosophical work and wrote copiously on philosophical matters. The posthumous
publication of texts such as The Blue and Brown Books, Philosophical Grammar,
Philosophical Remarks, and Conversations with the Vienna Circle has led to
acknowledgment of a middle period in Vitters’s development, in which he
explored a large number of philosophical issues and viewpoints a period that served as a transition between
the early and the late work. Early period. As the son of a greatly successful
industrialist and engineer, Vitters first studied engineering in Berlin and
Manchester, and traces of that early training are evident throughout his
writing. But his interest shifted soon to pure mathematics and the foundations
of mathematics, and in pursuing questions about them he became acquainted with
Russell and Frege and their work. The two men had a profound and lasting effect
on Vitters even when he later came to criticize and reject their ideas. That
influence is particularly noticeable in the Tractatus, which can be read as an
attempt to reconcile Russell’s atomism with Frege’s apriorism. But the book is
at the same time moved by quite different and non-technical concerns. For even
before turning to systematic philosophy Vitters had been profoundly moved by
Schopenhauer’s thought as it is spelled out in The World as Will and
Representation, and while he was serving as a soldier in World War I, he
renewed his interest in Schopenhauer’s metaphysical, ethical, aesthetic, and
mystical outlook. The resulting confluence of ideas is evident in the Tractatus
Logico-Philosophicus and gives the book its peculiar character. Composed in a
dauntingly severe and compressed style, the book attempts to show that
traditional philosophy rests entirely on a misunderstanding of “the logic of
our language.” Following in Frege’s and Russell’s footsteps, Vitters argued
that every meaningful sentence must have a precise logical structure. That
structure may, however, be hidden beneath the clothing of the grammatical
appearance of the sentence and may therefore require the most detailed analysis
in order to be made evident. Such analysis, Vitters was convinced, would
establish that every meaningful sentence is either a truth-functional composite
of another simpler sentence or an atomic sentence consisting of a concatenation
of simple names. He argued further that every atomic sentence is a logical
picture of a possible state of affairs, which must, as a result, have exactly
the same formal structure as the atomic sentence that depicts it. He employed
this “picture theory of meaning” as it
is usually called to derive conclusions
about the nature of the world from his observations about the structure of the
atomic sentences. He postulated, in particular, that the world must itself have
a precise logical structure, even though we may not be able to determine it
completely. He also held that the world consists primarily of facts,
corresponding to the true atomic sentences, rather than of things, and that
those facts, in turn, are concatenations of simple objects, corresponding to
the simple names of which the atomic sentences are composed. Because he derived
these metaphysical conclusions from his view of the nature of language, Vitters
did not consider it essential to describe what those simple objects, their
concatenations, and the facts consisting of them are actually like. As a
result, there has been a great deal of uncertainty and disagreement among
interpreters about their character. The propositions of the Tractatus are for
the most part concerned with spelling out Vitters’s account of the logical
structure of language and the world and these parts of the book have
understandably been of most interest to philosophers who are primarily
concerned with questions of symbolic logic and its applications. But for
Vitters himself the most important part of the book consisted of the negative
conclusions about philosophy that he reaches at the end of his text: in
particular, that all sentences that are not atomic pictures of concatenations
of objects or truth-functional composites of such are strictly speaking
meaningless. Among these he included all the propositions of ethics and
aesthetics, all propositions dealing with the meaning of life, all propositions
of logic, indeed all philosophical propositions, and finally all the
propositions of the Tractatus itself. These are all strictly meaningless; they
aim at saying something important, but what they try to express in words can
only show itself. As a result Vitters concluded that anyone who understood what
the Tractatus was saying would finally discard its propositions as senseless,
that she would throw away the ladder after climbing up on it. Someone who
reached such a state would have no more temptation to pronounce philosophical
propositions. She would see the world rightly and would then also recognize
that the only strictly meaningful propositions are those of natural science;
but those could never touch what was really important in human life, the
mystical. That would have to be contemplated in silence. For “whereof one
cannot speak, thereof one must be silent,” as the last proposition of the
Tractatus declared. Middle period. It was only natural that Vitters should not
embark on an academic career after he had completed that work. Instead he
trained to be a school teacher and taught primary school for a number of years
in the mountains of lower Austria. In the mid-0s he also built a house for his
sister; this can be seen as an attempt to give visual expression to the
logical, aesthetic, and ethical ideas of the Tractatus. In those years he developed
a number of interests seminal for his later development. His school experience
drew his attention to the way in which children learn language and to the whole
process of enculturation. He also developed an interest in psychology and read
Freud and others. Though he remained hostile to Freud’s theoretical
explanations of his psychoanalytic work, he was fascinated with the analytic
practice itself and later came to speak of his own work as therapeutic in
character. In this period of dormancy Vitters also became acquainted with the
members of the Vienna Circle, who had adopted his Tractatus as one of their key
texts. For a while he even accepted the positivist principle of meaning
advocated by the members of that Circle, according to which the meaning of a
sentence is the method of its verification. This he would later modify into the
more generous claim that the meaning of a sentence is its use. Vitters’s most
decisive step in his middle period was to abandon the belief of the Tractatus
that meaningful sentences must have a precise hidden logical structure and the
accompanying belief that this structure corresponds to the logical structure of
the facts depicted by those sentences. The Tractatus had, indeed, proceeded on
the assumption that all the different symbolic devices that can describe the
world must be constructed according to the same underlying logic. In a sense,
there was then only one meaningful language in the Tractatus, and from it one
was supposed to be able to read off the logical structure of the world. In the
middle period Vitters concluded that this doctrine constituted a piece of
unwarranted metaphysics and that the Tractatus was itself flawed by what it had
tried to combat, i.e., the misunderstanding of the logic of language. Where he
had previously held it possible to ground metaphysics on logic, he now argued
that metaphysics leads the philosopher into complete darkness. Turning his
attention back to language he concluded that almost everything he had said
about it in the Tractatus had been in error. There were, in fact, many
different languages with many different structures that could meet quite
different specific needs. Language was not strictly held together by logical
structure, but consisted, in fact, of a multiplicity of simpler substructures
or language games. Sentences could not be taken to be logical pictures of facts
and the simple components of sentences did not all function as names of simple
objects. These new reflections on language served Vitters, in the first place,
as an aid to thinking about the nature of the human mind, and specifically
about the relation between private experience and the physical world. Against
the existence of a Cartesian mental substance, he argued that the word ‘I’ did
not serve as a name of anything, but occurred in expressions meant to draw
attention to a particular body. For a while, at least, he also thought he could
explain the difference between private experience and the physical world in
terms of the existence of two languages, a primary language of experience and a
secondary language of physics. This duallanguage view, which is evident in both
the Philosophical Remarks and The Blue Book, Vitters was to give up later in
favor of the assumption that our grasp of inner phenomena is dependent on the
existence of outer criteria. From the mid-0s onward he also renewed his
interest in the philosophy of mathematics. In contrast to Frege and Russell, he
argued strenuously that no part of mathematics is reducible purely to logic.
Instead he set out to describe mathematics as part of our natural history and
as consisting of a number of diverse language games. He also insisted that the
meaning of those games depended on the uses to which the mathematical formulas
were put. Applying the principle of verification to mathematics, he held that
the meaning of a mathematical formula lies in its proof. These remarks on the
philosophy of mathematics have remained among Vitters’s most controversial and
least explored writings. Later period. Vitters’s middle period was
characterized by intensive philosophical work on a broad but quickly changing
front. By 6, however, his thinking was finally ready to settle down once again
into a steadier pattern, and he now began to elaborate the views for which he
became most famous. Where he had constructed his earlier work around the logic
devised by Frege and Russell, he now concerned himself mainly with the actual
working of ordinary language. This brought him close to the tradition of
British common sense philosophy that Moore had revived and made him one of the
godfathers of the ordinary language philosophy that was to flourish in Oxford
in the 0s. In the Philosophical Investigations Vitters emphasized that there
are countless different uses of what we call “symbols,” “words,” and
“sentences.” The task of philosophy is to gain a perspicuous view of those
multiple uses and thereby to dissolve philosophical and metaphysical puzzles.
These puzzles were the result of insufficient attention to the working of
language and could be resolved only by carefully retracing the linguistic steps
by which they had been reached. Vitters thus came to think of philosophy as a
descriptive, analytic, and ultimately therapeutic practice. In the
Investigations he set out to show how common philosophical views about meaning
including the logical atomism of the Tractatus, about the nature of concepts,
about logical necessity, about rule-following, and about the mindbody problem
were all the product of an insufficient grasp of how language works. In one of
the most influential passages of the book he argued that concept words do not
denote sharply circumscribed concepts, but are meant to mark family
resemblances between the things labeled with the concept. He also held that
logical necessity results from linguistic convention and that rules cannot
determine their own applications, that rule-following presupposes the existence
of regular practices. Furthermore, the words of our language have meaning only
insofar as there exist public criteria for their correct application. As a
consequence, he argued, there cannot be a completely private language, i.e., a
language that in principle can be used only to speak about one’s own inner
experience. This private language argument has caused much discussion.
Interpreters have disagreed not only over the structure of the argument and
where it occurs in Vitters’s text, but also over the question whether he meant
to say that language is necessarily social. Because he said that to speak of
inner experiences there must be external and publicly available criteria, he
has often been taken to be advocating a logical behaviorism, but nowhere does
he, in fact, deny the existence of inner states. What he says is merely that
our understanding of someone’s pain is connected to the existence of natural
and linguistic expressions of pain. In the Philosophical Investigations Vitters
repeatedly draws attention to the fact that language must be learned. This
learning, he says, is fundamentally a process of inculcation and drill. In
learning a language the child is initiated in a form of life. In Vitters’s
later work the notion of form of life serves to identify the whole complex of
natural and cultural circumstances presupposed by our language and by a
particular understanding of the world. He elaborated those ideas in notes on
which he worked between 8 and his death in 1 and which are now published under
the title On Certainty. He insisted in them that every belief is always part of
a system of beliefs that together constitute a worldview. All confirmation and
disconfirmation of a belief presuppose such a system and are internal to the
system. For all this he was not advocating a relativism, but a naturalism that
assumes that the world ultimately determines which language games can be played.
Vitters’s final notes vividly illustrate the continuity of his basic concerns
throughout all the changes his thinking went through. For they reveal once more
how he remained skeptical about all philosophical theories and how he
understood his own undertaking as the attempt to undermine the need for any
such theorizing. The considerations of On Certainty are evidently directed
against both philosophical skeptics and those philosophers who want to refute
skepticism. Against the philosophical skeptics Vitters insisted that there is
real knowledge, but this knowledge is always dispersed and not necessarily
reliable; it consists of things we have heard and read, of what has been
drilled into us, and of our modifications of this inheritance. We have no
general reason to doubt this inherited body of knowledge, we do not generally
doubt it, and we are, in fact, not in a position to do so. But On Certainty
also argues that it is impossible to refute skepticism by pointing to
propositions that are absolutely certain, as Descartes did when he declared ‘I
think, therefore I am’ indubitable, or as Moore did when he said, “I know for
certain that this is a hand here.” The fact that such propositions are
considered certain, Vitters argued, indicates only that they play an indispensable,
normative role in our language game; they are the riverbed through which the
thought of our language game flows. Such propositions cannot be taken to
express metaphysical truths. Here, too, the conclusion is that all
philosophical argumentation must come to an end, but that the end of such
argumentation is not an absolute, self-evident truth, but a certain kind of
natural human practice. Refs.: H. P. Grice, “Il gesto della mano di Sraffa.”
Speranza, “Sraffa’s handwave, and his impicaturum.” Refs.: Luigi Speranza,
“L’implicatura di Sraffa,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
standard: Grice:
“People, philosophers included, misuse ‘standard’in Italian, it just means
‘flag’!” -- model, a term that, like ‘non-standard model’, is used with regard
to theories that systematize part of our knowledge of some mathematical
structure, for instance the structure of natural numbers with addition,
multiplication, and the successor function, or the structure of real numbers
with ordering, addition, and multiplication. Models isomorphic to this intended
mathematical structure are the “standard models” of the theory, while any
other, non-isomorphic, model of the theory is a ‘non-standard’ model. Since
Peano arithmetic is incomplete, it has consistent extensions that have no
standard model. But there are also non-standard, countable models of complete
number theory, the set of all true first-order sentences about natural numbers,
as was first shown by Skolem in 4. Categorical theories do not have a
non-standard model. It is less clear whether there is a standard model of set
theory, although a countable model would certainly count as non-standard. The
Skolem paradox is that any first-order formulation of set theory, like ZF, due
to Zermelo and Fraenkel, has a countable model, while it seems to assert the
existence of non-countable sets. Many other important mathematical structures
cannot be characterized by a categorical set of first-order axioms, and thus
allow non-standard models. The
philosopher Putnam has argued that this fact has important implications
for the debate about realism in the philosophy of language. If axioms cannot
capture the spontaneity, liberty of standard model 875 875 “intuitive” notion of a set, what could?
Some of his detractors have pointed out that within second-order logic
categorical characterizations are often possible. But Putnam has objected that
the intended interpretation of second-order logic itself is not fixed by the
use of the formalism of second-order logic, where “use” is determined by the
rules of inference for second-order logic we know about. Moreover, categorical
theories are sometimes uninformative.
stabilitatum
-- stabilire
-- EstablishmentGrice speaks of the Establishment twice. Once re: Gellner:
non-Establishment criticizing the English Establishment. Second: to refute
Lewis. Something can be ‘established’ and not be conventional. “Surely Lewis
should know the Graeco-Roman root of establish to figure that out!” stăbĭlĭo ,
īvi, ītum (sync. I.imperf. stabilibat, Enn. Ann. 44), 4, v. a. stabilis, to
make firm, steadfast, or stable; to fix, stay, establish (class.; esp. in the
trop. sense). I. Lit.: semita nulla pedem stabilibat, Enn. ap. Cic. Div. 1, 20,
40 (Ann. v. 44 Vahl.): “eo stabilita magis sunt,” Lucr. 3, 202; cf.:
confirmandi et stabiliendi causā singuli ab infimo solo pedes terrā
exculcabantur, * Caes. B. G. 7, 73: “vineas,” Col. 4, 33, 1: “loligini pedes
duo, quibus se velut ancoris stabiliunt,” Plin. 9, 28, 44, § 83.— II. Trop.:
regni stabilita scamna solumque, Enn. ap. Cic. Div. 1, 48 fin. (Ann. v. 99
Vahl.): “alicui regnum suom,” Plaut. Am. 1, 1, 39; cf.: libertatem civibus,
Att. ap. Cic. Sest. 58, 123: “rem publicam (o evertere),” Cic. Fin. 4, 24, 65;
so, “rem publicam,” id. Sest. 68, 143: “leges,” id. Leg. 1, 23, 62: “nisi haec
urbs stabilita tuis consiliis erit,” id. Marcell. 9, 29: “matrimonia firmiter,”
id. Rep. 6, 2, 2: pacem, concordiam, Pseud.-Sall. Rep. Ordin. 1 fin. (p. 267
Gerl.): “res Capuae stabilitas Romana disciplina,” Liv. 9, 20: “nomen equestre
in consulatu (Cicero),” Plin. 33, 2, 8, § 34: “(aegrum) ad retinendam
patientiam,” to strengthen, fortify him, Gell. 12, 5, 3. While Grice’s play
with ‘estaablished’ is in the second metabolical stage of his programmewhere
‘means’ applies to things other than the emissor, surely metaphoricallyhe is
allowing that ‘estabalish’ may be used in the one-off predicament. By drawing a
skull, U is establishing a procedure. Grice notably wants to make ‘established’
a weaker variant of ‘conventional.’ So that x, whatever, may be ‘established’
but not ‘conventional.’ In fact, it can be argued that to establish you have to
do it at least once. Cfr. ‘settled. ‘Greenwich, Conn., settled in 1639.’
‘Established’ Surely it would be obtuse to say that Greenwich, Conn. Was
“conventionalized”.
status -- state, Grice: “I will use the phrase ‘state of the soul’This
may sound pedantic, and it is!”“I will use ‘psychological state,’ where the
more correct phrase would be ‘state’ of the ‘soul,’ since theoryas in
‘-logical,’ has nothing to do with it. Now you’ll wonder if the soul has
states. A state of the soulor a ‘frame of mind,’ as Strawson wrongly puts itis
a physical state on which a ‘state’ of the soul supervenes, alla Funcionalism”“Note
that a ’state’ of the soul may be quite specific and involving other states,
like the belief that Strawson’s dog is shaggy.”“A state is anything that
follows a ‘that’-clause; the way an object or system basically is; the fundamental,
intrinsic properties of an object or system, and the basis of its other
properties. An instantaneous state is a state at a given time. State variables
are constituents of a state whose values may vary with time. In classical or
Newtonian mechanics the instantaneous state of an n-particle system consists of
the positions and momenta masses multiplied by velocities of the n particles at
a given time. Other mechanical properties are functions of those in states.
Fundamental and derived properties are often, though possibly misleadingly,
called observables. The set of a system’s possible states can be represented as
an abstract phase space or state space, with dimensions or coordinates for the
components of each state variable. In quantum theory, states do not fix the
particular values of observables, only the probabilities of observables
assuming particular values in particular measurement situations. For positivism
or instrumentalism, specifying a quantum state does nothing more than provide a
means for calculating such probabilities. For realism, it does more e.g., it refers to the basis of a quantum
system’s probabilistic dispositions or propensities. Vectors in Hilbert spaces
represent possible states, and Hermitian operators on vectors represent observables. -- state
of affairs: Grice: “My poor friend D. F. Pears got himself into a lot of
trouble by offering to correct C. K. Ogden’s passe translation of Vitters’s
Tractatus!” a possibility, actuality, or impossibility of the kind expressed by
a nominalization of a declarative sentence. The declarative sentence ‘This die
comes up six’ can be nominalized either through the construction ‘that this die
comes up six’ or through the likes of ‘this die’s coming up six’. The resulting
nominalizations might be interpreted as naming corresponding propositions or
states of affairs. States of affairs come in several varieties. Some are
possible states of affairs, or possibilities. Consider the possibility of a
certain die coming up six when rolled next. This possibility is a state of
affairs, as is its “complement” the
die’s not coming up six when rolled next. There is in addition the state of
affairs which conjoins that die’s coming up six with its not coming up six. And
this contradictory state of affairs is of course not a possibility, not a
possible state of affairs. Moreover, for every actual state of affairs there is
a non-actual one, its complement. For every proposition there is hence a state
of affairs: possible or impossible, actual or not. Indeed some consider
propositions to be states of affairs. Some take facts to be actual states of
affairs, while others prefer to define them as true propositions. If
propositions are states of affairs, then facts are of course both actual states
of affairs and true propositions. In a very broad sense, events are just
possible states of affairs; in a narrower sense they are contingent states of
affairs; and in a still narrower sense they are contingent and particular
states of affairs, involving just the exemplification of an nadic property by a
sequence of individuals of length n. In a yet narrower sense events are only
those particular and contingent states of affairs that entail change. A
baseball’s remaining round throughout a certain period does not count as an
event in this narrower sense but only as a state of that baseball, unlike the
event of its being hit by a certain bat.
statistics: Grice: “I shall use the singular, ‘statistic’” -- statistical explanation. Grice: “Jill
says, “Jack is an Englishman; he is, therefore, brave.” Is the validty of her
reasoning based on statistics?” -- an explanation expressed in an explanatory
argument containing premises and conclusions making claims about statistical
probabilities. These arguments include deductions of less general from more
general laws and differ from other such explanations only insofar as the
contents of the laws imply claims about statistical probability. Most
philosophical discussion in the latter half of the twentieth century has
focused on statistical explanation of events rather than laws. This type of
argument was discussed by Ernest Nagel The Structure of Science, 1 under the
rubric “probabilistic explanation,” and by Hempel Aspects of Scientific
Explanation, 5 as “inductive statistical” explanation. The explanans contains a
statement asserting that a given system responds in one of several ways
specified by a sample space of possible outcomes on a trial or experiment of
some type, and that the statistical probability of an event represented by a
set of points in the sample space on the given kind of trial is also given for
each such event. Thus, the statement might assert that the statistical
probability is near 1 of the relative frequency r/n of heads in n tosses being
close to the statistical probability p of heads on a single toss, where the
sample space consists of the 2n possible sequences of heads and tails in n
tosses. Nagel and Hempel understood such statistical probability statements to
be covering laws, so that inductive-statistical explanation and
deductivenomological explanation of events are two species of covering law
explanation. The explanans also contains a claim that an experiment of the kind
mentioned in the statistical assumption has taken place e.g., the coin has been
tossed n times. The explanandum asserts that an event of some kind has occurred
e.g., the coin has landed heads approximately r times in the n tosses. In many
cases, the kind of experiment can be described equivalently as an n-fold
repetition of some other kind of experiment as a thousandfold repetition of the
tossing of a given coin or as the implementation of the kind of trial
thousand-fold tossing of the coin one time. Hence, statistical explanation of
events can always be construed as deriving conclusions about “single cases”
from assumptions about statistical probabilities even when the concern is to
explain mass phenomena. Yet, many authors controversially contrast statistical
explanation in quantum mechanics, which is alleged to require a singlecase
propensity interpretation of statistical probability, with statistical
explanation in statistical mechanics, genetics, and the social sciences, which
allegedly calls for a frequency interpretation. The structure of the
explanatory argument of such statistical explanation has the form of a direct
inference from assumptions about statistical probabilities and the kind of
experiment trial which has taken place to the outcome. One controversial aspect
of direct inference is the problem of the reference class. Since the early nineteenth
century, statistical probability has been understood to be relative to the way
the experiment or trial is described. Authors like J. Venn, Peirce, R. A.
Fisher, and Reichenbach, among many others, have been concerned with how to
decide on which kind of trial to base a direct inference when the trial under
investigation is correctly describable in several ways and the statistical
probabilities of possible outcomes may differ relative to the different sorts
of descriptions. The most comprehensive discussion of this problem of the
reference class is found in the work of H. E. Kyburg e.g., Probability and the
Logic of Rational Belief, 1. Hempel acknowledged its importance as an
“epistemic ambiguity” in inductive statistical explanation. Controversy also arises
concerning inductive acceptance. May the conclusion of an explanatory direct
inference be a judgment as to the subjective probability that the outcome event
occurred? May a judgment that the outcome event occurred is inductively
“accepted” be made? Is some other mode of assessing the claim about the outcome
appropriate? Hempel’s discussion of the “nonconjunctiveness of
inductivestatistical” explanation derives from Kyburg’s earlier account of
direct inference where high probability is assumed to be sufficient for
acceptance. Non-conjunctiveness has been avoided by abandoning the sufficiency
of high probability I. Levi, Gambling with Truth, 7 or by denying that direct
inference in inductive-statistical explanation involves inductive acceptance at
all R. C. Jeffrey, “Statistical Explanation vs. Statistical Inference,” in Essays
in Honor of C. G. Hempel. Refs.: H. P. Grice, “Jack and Jill.”
stillingfleet: English divine and controversialist who first made
his name with “Irenicum,” using natural-law doctrines to oppose religious
sectarianism. His “Origines Sacrae” ostensibly on the superiority of the
Scriptural record over other forms of ancient history, was for its day a
learned study in the moral certainty of historical evidence, the authority of
testimony, and the credibility of miracles. In drawing eclectically on
philosophy from antiquity to the Cambridge Platonists, he was much influenced
by the Cartesian theory of ideas, but later repudiated Cartesianism for its
mechanist tendency. For three decades he pamphleteered on behalf of the moral
certainty of orthodox Protestant belief against what he considered the beliefs
“contrary to reason” of Roman Catholicism. This led to controversy with
Unitarian and deist writers who argued that mysteries like the Trinity were
equally contrary to “clear and distinct” ideas. He was alarmed at the use made
of Locke’s “new,” i.e. nonCartesian, way of ideas by John Toland in Christianity
not Mysterious, and devoted his last years to challenging Locke to prove his
orthodoxy. The debate was largely over the concepts of substance, essence, and
person, and of faith and certainty. Locke gave no quarter in the public
controversy, but in the fourth edition of his Essay he silently amended some
passages that had provoked Stillingfleet.
stochasis: stochastic process –“"pertaining
to conjecture," from Greek stokhastikos "able to guess,
conjecturing," from stokhazesthai "to guess, aim at,
conjecture," from stokhos "a guess, aim, fixed target, erected pillar
for archers to shoot at," perhaps from PIE *stogh-, variant of root
*stegh- "to stick, prick, sting." The sense of "randomly
determined" is from 1934, from German stochastik (1917). a process
that evolves, as time goes by, according to a probabilistic principle rather
than a deterministic principle. Such processes are also called random
processes, but ‘stochastic’ does not imply complete disorderliness. The
principle of evolution governing a stochastic or random process is precise,
though probabilistic, in form. For example, suppose some process unfolds in
discrete successive stages. And suppose that given any initial sequence of
stages, S1, S2, . . . , Sn, there is a precise probability that the next stage
Sn+1 will be state S, a precise probability that it will be SH, and so on for
all possible continuations of the sequence of states. These probabilities are
called transition probabilities. An evolving sequence of this kind is called a
discrete-time stochastic process, or discrete-time random process. A
theoretically important special case occurs when transition probabilities
depend only on the latest stage in the sequence of stages. When an evolving
process has this property it is called a discrete-time Markov process. A simple
example of a discrete-time Markov process is the behavior of a person who keeps
taking either a step forward or a step back according to whether a coin falls
heads or tails; the probabilistic principle of movement is always applied to the
person’s most recent position. The successive stages of a stochastic process
need not be discrete. If they are continuous, they constitute a
“continuous-time” stochastic or random process. The mathematical theory of
stochastic processes has many applications in science and technology. The
evolution of epidemics, the process of soil erosion, and the spread of cracks
in metals have all been given plausible models as stochastic processes, to
mention just a few areas of research. H.
P. Grice, “Stochastic implicatum.”
Stoa -- Stoicus: stoicism -- Neo-stoicism -- du Vair, Guillaume,
philosopher, bishop, and political figure. Du Vair and Justus Lipsius were the
two most influential propagators of neo-Stoicism in early modern Europe. Du
Vair’s Sainte Philosophie “Holy Philosophy,” 1584 and his shorter Philosophie
morale des Stoïques “Moral Philosophy of the Stoics,” 1585, were tr. and
frequently reprinted. The latter presents Epictetus in a form usable by
ordinary people in troubled times. We are to follow nature and live according
to reason; we are not to be upset by what we cannot control; virtue is the
good. Du Vair inserts, moreover, a distinctly religious note. We must be pious,
accept our lot as God’s will, and consider morality obedience to his command.
Du Vair thus Christianized Stoicism, making it widely acceptable. By teaching
that reason alone enables us to know how we ought to live, he became a founder
of modern rationalism in ethics. Stōĭcus , a, um,
adj., = Στωϊκός, I.of or belonging to the Stoic philosophy or to the Stoics,
Stoic: “schola,” Cic. Fam. 9, 22 fin.: “secta,” Sen. Ep. 123, 14: “sententia,”
id. ib. 22, 7: “libelli,” Hor. Epod. 8, 15: “turba,” Mart. 7, 69, 4: “dogmata,”
Juv. 13, 121: “disciplina,” Gell. 19, 1, 1: “Stoicum est,” it is a saying of
the Stoics, Cic. Ac. 2, 26, 85: “non loquor tecum Stoicā linguā, sed hac
submissiore,” Sen. Ep. 13, 4: “est aliquid in illo Stoici dei: nec cor nec
caput habet,” Sen. Apoc. 8.— Subst.: Stōĭcus , i, m., a Stoic philosopher, a
Stoic, Cic. Par. praef. § 2; Hor. S. 2, 3, 160; 2, 3, 300; plur., Cic. Mur. 29,
61; and in philosophical writings saepissime.— 2. Stōĭca , ōrum, n. plur., the
Stoic philosophy, Cic. N. D. 1, 6, 15.—Adv.: Stōĭcē , like a Stoic, Stoically:
“agere austere et Stoice,” Cic. Mur. 35, 74: dicere, id. Par. praef. § 3.H.
P. Grice, “The Stoa: from Athenian to Oxonian dialectic,” H. P. Grice, “The
Stoa and Athenian dialectic.” H. P.
Grice: “The Stoa and Athenian dialectic.” -- stoicism, one of the three leading
movements constituting Hellenistic philosophy. Its founder was Zeno of Citium,
who was succeeded as school head by Cleanthes. But the third head, Chrysippus,
was its greatest exponent and most voluminous writer. These three are the
leading representatives of Early Stoicism. No work by any early Stoic survives
intact, except Cleanthes’ short “Hymn to Zeus.” Otherwise we are dependent on
doxography, on isolated quotations, and on secondary sources, most of them
hostile. Nevertheless, a remarkably coherent account of the system can be
assembled. The Stoic world is an ideally good organism, all of whose parts interact
for the benefit of the whole. It is imbued with divine reason logos, its entire
development providentially ordained by fate and repeated identically from one
world phase to the next in a never-ending cycle, each phase ending with a
conflagration ekpyrosis. Only bodies strictly “exist” and can interact. Body is
infinitely divisible, and contains no void. At the lowest level, the world is
analyzed into an active principle, god, and a passive principle, matter, both
probably corporeal. Out of these are generated, at a higher level, the four
elements air, fire, earth, and water, whose own interaction is analogous to
that of god and matter: air and fire, severally or conjointly, are an active
rational force called breath Grecian pneuma, Latin spiritus, while earth and
water constitute the passive substrate on which these act, totally
interpenetrating each other thanks to the non-particulate structure of body and
its capacity to be mixed “through and through.” Most physical analysis is
conducted at this higher level, and pneuma becomes a key concept in physics and
biology. A thing’s qualities are constituted by its pneuma, which has the
additional role of giving it cohestochastic process Stoicism 879 879 sion and thus an essential identity. In
inanimate objects this unifying pneuma is called a hexis state; in plants it is
called physis nature; and in animals “soul.” Even qualities of soul, e.g.
justice, are portions of pneuma, and they too are therefore bodies: only thus
could they have their evident causal efficacy. Four incorporeals are admitted:
place, void which surrounds the world, time, and lekta see below; these do not
strictly “exist” they lack the corporeal
power of interaction but as items with
some objective standing in the world they are, at least, “somethings.”
Universals, identified with Plato’s Forms, are treated as concepts ennoemata,
convenient fictions that do not even earn the status of “somethings.” Stoic
ethics is founded on the principle that only virtue is good, only vice bad.
Other things conventionally assigned a value are “indifferent” adiaphora,
although some, e.g., health, wealth, and honor, are naturally “preferred”
proegmena, while their opposites are “dispreferred” apoproegmena. Even though
their possession is irrelevant to happiness, from birth these indifferents
serve as the appropriate subject matter of our choices, each correct choice
being a “proper function” kathekon not
yet a morally good act, but a step toward our eventual end telos of “living in
accordance with nature.” As we develop our rationality, the appropriate choices
become more complex, less intuitive. For example, it may sometimes be more in
accordance with nature’s plan to sacrifice your wealth or health, in which case
it becomes your “proper function” to do so. You have a specific role to play in
the world plan, and moral progress prokope consists in learning it. This
progress involves widening your natural “affinity” oikeiosis: an initial
concern for yourself and your parts is later extended to those close to you,
and eventually to all mankind. That is the Stoic route toward justice. However,
justice and the other virtues are actually found only in the sage, an idealized
perfectly rational person totally in tune with the divine cosmic plan. The
Stoics doubted whether any sages existed, although there was a tendency to
treat at least Socrates as having been one. The sage is totally good, everyone
else totally bad, on the paradoxical Stoic principle that all sins are equal.
The sage’s actions, however similar externally to mere “proper functions,” have
an entirely distinct character: they are renamed ‘right actions’ katorthomata.
Acting purely from “right reason,” he is distinguished by his “freedom from
passion” apatheia: morally wrong impulses, or passions, are at root
intellectual errors of mistaking what is indifferent for good or bad, whereas
the sage’s evaluations are always correct. The sage alone is happy and truly
free, living in perfect harmony with the divine plan. All human lives are
predetermined by the providentially designed, all-embracing causal nexus of
fate; yet being the principal causes of their actions, the good and the bad
alike are responsible for them: determinism and morality are fully compatible.
Stoic epistemology defends the existence of cognitive certainty against the
attacks of the New Academy. Belief is described as assent synkatathesis to an
impression phantasia, i.e. taking as true the propositional content of some
perceptual or reflective impression. Certainty comes through the “cognitive
impression” phantasia kataleptike, a self-certifying perceptual representation
of external fact, claimed to be commonplace. Out of sets of such impressions we
acquire generic conceptions prolepseis and become rational. The highest
intellectual state, knowledge episteme, in which all cognitions become mutually
supporting and hence “unshakable by reason,” is the prerogative of the wise.
Everyone else is in a state of mere opinion doxa or of ignorance. Nevertheless,
the cognitive impression serves as a “criterion of truth” for all. A further
important criterion is prolepseis, also called common conceptions and common
notions koinai ennoiai, often appealed to in philosophical argument. Although
officially dependent on experience, they often sound more like innate
intuitions, purportedly indubitable. Stoic logic is propositional, by contrast
with Aristotle’s logic of terms. The basic unit is the simple proposition
axioma, the primary bearer of truth and falsehood. Syllogistic also employs
complex propositions conditional,
conjunctive, and disjunctive and rests
on five “indemonstrable” inference schemata to which others can be reduced with
the aid of four rules called themata. All these items belong to the class of
lekta “sayables” or “expressibles.”
Words are bodies vibrating portions of air, as are external objects, but
predicates like that expressed by ‘ . . . walks’, and the meanings of whole
sentences, e.g., ‘Socrates walks’, are incorporeal lekta. The structure and
content of both thoughts and sentences are analyzed by mapping them onto lekta,
but the lekta are themselves causally inert. Conventionally, a second phase of
the school is distinguished as Middle Stoicism. It developed largely at Rhodes
under Panaetius and Posidonius, both of whom influenced the presentation of
Stoicism in Cicero’s influential philosophical treatises mid-first century
B.C.. Panaetius Stoicism Stoicism 880
880 c.185c.110 softened some classical Stoic positions, his ethics being
more pragmatic and less concerned with the idealized sage. Posidonius c.135c.50
made Stoicism more open to Platonic and Aristotelian ideas, reviving Plato’s
inclusion of irrational components in the soul. A third phase, Roman Stoicism,
is the only Stoic era whose writings have survived in quantity. It is represented
especially by the younger Seneca A.D. c.165, Epictetus A.D. c.55c.135, and
Marcus Aurelius A.D. 12180. It continued the trend set by Panaetius, with a
strong primary focus on practical and personal ethics. Many prominent Roman
political figures were Stoics. After the second century A.D. Stoicism as a
system fell from prominence, but its terminology and concepts had by then
become an ineradicable part of ancient thought. Through the writings of Cicero
and Seneca, its impact on the moral and political thought of the Renaissance
was immense.
stoutianism: philosophical psychologist, astudent of Ward, he was
influenced by Herbart and especially Brentano. He influenced Grice to the point
that Grice called himself “a true Stoutian.” He was editor of Mind 20. He followed Ward in
rejecting associationism and sensationism, and proposing analysis of mind as
activity rather than passivity, consisting of acts of cognition, feeling, and
conation. Stout stressed attention as the essential function of mind, and
argued for the goal-directedness of all mental activity and behavior, greatly
influencing McDougall’s hormic psychology. He reinterpreted traditional
associationist ideas to emphasize primacy of mental activity; e.g., association
by contiguity a passive mechanical
process imposed on mind became
association by continuity of attentional interest. With Brentano, he argued
that mental representation involves “thought reference” to a real object known
through the representation that is itself the object of thought, like Locke’s
“idea.” In philosophy he was influenced by Moore and Russell. His major works
are Analytic Psychology 6 and Manual of Psychology 9.
strato: Grecian philosopher and polymath nicknamed “the
Physicist” for his innovative ideas in natural science. He succeeded
Theophrastus as head of the Lyceum. Earlier he served as royal tutor in
Alexandria, where his students included Aristarchus, who devised the first
heliocentric model. Of Strato’s many writings only fragments and summaries
survive. These show him criticizing the abstract conceptual analysis of earlier
theorists and paying closer attention to empirical evidence. Among his targets
were atomist arguments that motion is impossible unless there is void, and also
Aristotle’s thesis that matter is fully continuous. Strato argued that no large
void occurs in nature, but that matter is naturally porous, laced with tiny
pockets of void. His investigations of compression and suction were influential
in ancient physiology. In dynamics, he proposed that bodies have no property of
lightness but only more or less weight.
strawson: Grice’s tutee. b.9, London-born, Oxford-educated philosopher
who has made major contributions to logic, metaphysics, and the study of Kant.
His career has been mainly at Oxford (he spent a term in Wales and visited the
New World a lot), where he was the leading philosopher of his generation, due
to that famous tutor he had for his ‘logic paper’: H. P. Grice, at St. John’s. His
first important work, “On Referring” argues that Baron Russell’s theory of
descriptions fails to deal properly with the role of descriptions as “referring
expressions” because Russell assumed the “bogus trichotomy” that sentences are
true, false, or meaningless: for Strawson, sentences with empty descriptions
are meaningful but “neither true nor false” because the general presuppositions
governing the use of referring expressions are not fulfilled. One aspect of
this argument was Russell’s alleged insensitivity to the ordinary use of
definite descriptions. The contrast between the abstract schemata of formal
logic and the manifold richness of the inferences inherent in ordinary language
is the central theme of Strawson’s “ Introduction to Logical Theory,” where he
credits H. P. Grice for making him aware of ‘pragmatic rules’ of
conversationGrice was amused that Baron Russell cared to respond to Strawson in
“Mind”where Russell’s original “On denoting” had been published. Together,
after a joint seminar with Quine, Strawson submitted “In defense of a dogma,”
co-written with GriceA year later Strawson submitted on Grice’s behalf
“Meaning” to the same journalThey participated with Pears in a Third programme
lecture, published by Pears in “The nature of metaphysics” (London,
Macmillan”). In Individuals, provocatively entitled “an essay in DESCRIPTIVE
(never revisionary) metaphysics,” Strawson, drawing “without crediting” on
joint seminars with Grice on Categories and De Interpretatione, Strawson reintroduced metaphysics as a respectable
philosophical discipline after decades of positivist rhetoric. But his project
is only “descriptive” metaphysics
elucidation of the basic features of our own conceptual scheme and his arguments are based on the philosophy
of language: “basic” particulars are those like “Grice” or his “cricket bat”,
which are basic objects of reference, and it is the spatiotemporal and sortal
conditions for their identification and reidentification by speakers that
constitute the basic categories. Three arguments are especially famous. First, even
in a purely auditory world objective reference on the basis of experience
requires at least an analogue of space. Second, because self-reference
presupposes reference to others, persons, conceived as bearers of both physical
and psychological properties, are a type of basic particularcfr. Grice on
“Personal identity.” Third, “feature-placing” discourse, such as ‘it is snowing
here now’, is “the ultimate propositional level” through which reference to
particulars enters discourse. Strawson’s next book, The Bounds of Sense 6,
provides a critical reading of Kant’s theoretical philosophy. His aim is to
extricate what he sees as the profound truths concerning the presuppositions of
objective experience and judgment that Kant’s transcendental arguments establish
from the mysterious metaphysics of Kant’s transcendental idealism. Strawson’s
critics have argued, however, that the resulting position is unstable:
transcendental arguments can tell us only what we must suppose to be the case.
So if Kant’s idealism, which restricts such suppositions to things as they
appear to us, is abandoned, we can draw conclusions concerning the way the
world itself must be only if we add the verificationist thesis that ability to
make sense of such suppositions requires ability to verify them. In his next
book, Skepticism and Naturalism: Some Varieties 5, Strawson conceded this:
transcendental arguments belong within descriptive metaphysics and should not
be regarded as attempts to provide an external justification of our conceptual
scheme. In truth no such external justification is either possible or needed:
instead and here Strawson invokes Hume
rather than Kant our reasonings come to
an end in natural propensities for belief that are beyond question because they
alone make it possible to raise questions. In a famous earlier paper Strawson
had urged much the same point concerning the free will debate: defenders of our
ordinary attitudes of reproach and gratitude should not seek to ground them in
the “panicky metaphysics” of a supra-causal free will; instead they can and
need do no more than point to our unshakable commitment to these “reactive”
attitudes through which we manifest our attachment to that fundamental category
of our conceptual scheme persons. strawsonise:
verb invented by A. M. Kemmerling. To adopt Strawson’s manoever in the analysis
of ‘meaning.’ “A form of ‘disgricing,’”Kemmerling adds. strawsonismGrice’s favourite Strawsonisms
were too many to count. His first was Strawson on ‘true’ for ‘Analysis.’ Grice
was amazed by the rate of publishing in Strawson’s case. Strawson kept
publishing and Grice kept criticizing. In “Analysis,’ Strawson gives Grice his
first ‘strawsonism’ “To say ‘true’ is ditto.’ The second strawsonism is that
there is such a thing as ‘ordinary language’ which is not Russellian. As Grice
shows, ordinary language IS Russellian. Strawson said that composing “In
defence of a dogma” was torture and that it is up to Strawson to finish the
thing off. So there are a few
strawonisms there, too. Strawson had the courtesy never to reprint ‘In defence’
in any of his compilations, and of course to have Grice as fist author. There
are ‘strawsonisms’ in Grice’s second collaboration with Strawsonthat Grice
intentionally ignores in “Life and opinions.” This is a transcript of the talk
of the dynamic trio: Grice, Pears, and Strawson, published three years later by
Pears in “The nature of metaphysics.” Strawson collaborated with “If and the
horseshoe” to PGRICE, but did not really write it for the occasion. It was an
essay he had drafted ages ago, and now saw fit to publish. He expands on this
in his note on Grice for the British Academy, and in his review of Grice’s
compilation. Grice makes an explicit mention of Strawson in a footnote in
“Presupposition and conversational implicaturum,” the euphemism he uses is
‘tribute’: the refutation of Strawson’s truth-value gap as a metaphysical
excrescence and unnecessary is called a ‘tribute,’ coming from the tutor“in
this and other fields,” implicating, “there may be mistakes all over the
place.” Kemmerling somewhat ignores Urmson when he says, “Don’t disgrice if you
can grice.” To strawsonise, for Kemmerling is to avoid Grice’s direct approach
and ask for a higher-level intention. To strawsonise is the first level of
disgrice. But Grice first quotes Urmson and refers to Stampe’s briddge example
before he does to Strawson’s rat-infested house example. strawson’s rat-infested house. Few in Grice’s playgroup had Grice’s
analytic skills. Only a few cared to join him in his analysis of ‘mean.’ The
first was Urmson with the ‘bribe.’ The second was Strawson, with his
rat-infested house. Grice re-writes Strawson’s alleged counterexample. To deal
with his own rat-infested house example, Strawson proposes that the analysans
of "U means that p" might be restricted by the addition of a further
condition, namely that the utterer U should utter x not only, as already
provided, with the intention that his addressee should think that U intends to
obtain a certain response from his addressee, but also with the intention that
his addressee should think (recognize) that U has the intention just
mentioned. In Strawson's example, in The Philosohical Review (that Grice
cites on WOW:x) repr. in his "Logico-Linguistic Papers," the potential
home buyer is intended to think that the realtor wants him to think that the
house is rat-infested. However, the potential house-buyer is not intended by
the realtor to think that he is intended to think that the realtor wants him to
think that the house is rat infested. The addressee is intended to think
that it is only as a result of being too clever for the realtor that
he has learned that the potential home buyer wants him to think that the
house is rat-infested; the potential home-buyer is to think that he is
supposed to take the artificially displayed dead rat as a
evidence that the house is rat infested. U wants to get A to believe that the
house A is thinking of buying is rat-infested. S decides tobring about this
belief in A by taking into the house and letting loose a big fat sewer
rat. For S has the following scheme. He knows that A is watching him
and knows that A believes that S is unaware that he, A, is watching
him. It isS's intention that A should (wrongly) infer from the fact that S
let the rat loose that S did so with the intention that A should arrive at the
house, see the rat, and, taking the rat as "natural evidence", infer
therefrom that the house is rat-infested. S further intends A to realize that
given the nature of the rat's arrival, the existence of the rat cannot be taken
as genuine or natural evidence that the house is rat-infested; but S kilows
that A will believe that S would not so contrive to get A to believe the house
is rat-infested unless Shad very good reasons for thinking that it was, and so
S expects and intends A to infer that the house is rat-infested from the fact
that Sis letting the rat loose with the intention of getting A to believe that
the house is rat-infested. Thus S satisfies the conditions purported to be
necessary and sufficient for his meaning something by letting the rat loose: S
lets the rat loose intending (4) A to think that the house is rat-infested,
intending (1)-(3) A to infer from the fact that S let the rat loose that S did
so intending A to think that the house is rat-infested, and intending (5) A's
recognition of S's . intention (4) to function as his reason for thinking that
the house is rat-infested. But even though S's action meets these
conditions, Strawson feels that his scenario fits Grice's conditions in
Grice's reductive analysis and not yet Strawson's intuition about his own use
of 'communicate.' To minimise Strawson's discomfort, Grice brings an
anti-sneaky clause. ("Although I never shared Strawson's intuition about
his use of 'communicate;' in fact, I very rarely use 'communicate that...' To
exterminate the rats in Strawson's rat-infested house, Grice uses, as he
should, a general "anti-deception" clause. It may be that
the use of this exterminating procedure is possible. It may be that any
'backward-looking' clauses can be exterminated, and replaced by a general
prohibitive, or closure clause, forbidding an intention by the utterer to be
sneaky. It is a conceptual point that if you intend your addressee NOT TO
REALISE that p, you are not COMMUNICATING that p. (3A) (if) (3r)
(ic): (a) U utters x intending (I) A to think x possesses
f (2) A to thinkf correlated in way c with the type to which r
belongs (3) A to think, on the basis of the fulfillment of (I) and (3)
that U intends A to produce r (4) A, on the basis of the fulfillment of (3) to
produce r, and (b) There is no inference-element E such that U
intends both (I') A in his determination of r to rely on E (2') A to think Uto
intend (I') to be false. In the final version Grice reaches after considering
alleged counterexamples to the NECESSITY of some of the conditions in the
analysans, Grice reformulates. It is not the case that, for some inference
element E, U intends x to be such that anyone who
has φ both rely on E in coming to ψ, or think that U ψ-s, that p and think that (Ǝφ) U intends x to be
such that anyone who has φ come to ψ (or think that U ψ-s) that
p without relying on E. Embedded in the general definition. By uttering x,
U means that-ψb-dp ≡ (Ǝφ)(Ǝf)(Ǝc) U
utters x intending x to be such that anyone who
has φ think that x has f, f is correlated in way c
with ψ-ing that p, and (Ǝφ') U intends x to be such
that anyone who has φ' think, via thinking that x has
f and that f is correlated in way c with ψ-ing that p, that U ψ-s that
p, and in view of (Ǝφ') U intending x to be such
that anyone who has φ' think, via thinking that x has
f, and f is correlated in way c with ψ-ing that p, that U ψ-s that
p, U ψ-s that p, and, for some substituends
of ψb-d, U utters x intending that, should there
actually be anyone who has φ, he will, via thinking in
view of (Ǝφ') U intending x to be such that anyone who
has φ' think, via thinking that x has
f, and f is correlated in way c with ψ-ing that p, that U ψ-s that
p, U ψ-s that p himself ψ that p, and it is not the case
that, for some inference element E, U intends x to be such
that anyone who has φ both rely on E in coming to ψ, or think that U ψ-s, that p and think that (Ǝφ) U intends x to be
such that anyone who has φ come to ψ (or think that U ψ-s) that
p without relying on E,
stimulus-response -- poverty of the
stimulus, a psychological phenomenon exhibited when behavior is
stimulusunbound, and hence the immediate stimulus characterized in straightforward
physical terms does not completely control behavior. Human beings sort stimuli
in various ways and hosts of influences seem to affect when, why, and how we
respond our background beliefs, facility
with language, hypotheses about stimuli, etc. Suppose a person visiting a
museum notices a painting she has never before seen. Pondering the unfamiliar
painting, she says, “an ambitious visual synthesis of the music of Mahler and
the poetry of Keats.” If stimulus painting controls response, then her utterance
is a product of earlier responses to similar stimuli. Given poverty of the
stimulus, no such control is exerted by the stimulus the painting. Of course,
some influence of response must be conceded to the painting, for without it
there would be no utterance. However, the utterance may well outstrip the
visitor’s conditioning and learning history. Perhaps she had never before
talked of painting in terms of music and poetry. The linguist Noam Chomsky made
poverty of the stimulus central to his criticism of B. F. Skinner’s Verbal
Behavior 7. Chomsky argued that there is no predicting, and certainly no
critical stimulus control of, much human behavior.
strozzi: Important Italian
philosopher, especially influential at what Grice called Italy’s Oxford, i. e.
Firenze“Palla Strozzi was more a mentor than a philosopher, but I would
consider him both a Grecian and Griceian in spirit.” -- Palla Strozzi
Palla e Lorenzo Strozzi, dettaglio dell'Adorazione dei Magi di Gentile
da Fabriano (1423) Palla di Onofrio Strozzi (o Palla di Noferi) (Firenze,
1372Padova, 18 maggio 1462) banchiere, politico, letterato, filosofo e filologo
italiano. Stemma degli Strozzi Grazie alla ricchezza accumulata nelle ultime
generazioni dalla sua famiglia degli Strozzi, il padre poté far istruire il
figlio da letterati ed umanisti, e grazie all'interesse e all'intelligenza,
Palla divenne di fatto uno dei più fini uomini di cultura fiorentini del suo
tempo. Ricco e colto, commissionò
numerose opere d'arte, tra le quali la Cappella Strozzi (oggi Sagrestia) nella
Basilica di Santa Trinita, opera di Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti
(1419-1423). La cappella, progetto irrealizzato del padre Noferi, venne fatta
erigere in sua memoria da Palla dopo la morte, e ne ospitò la sepoltura
monumentale. Per questo ambiente commissionò l'Adorazione dei Magi a Gentile da
Fabriano e la Deposizione dalla Croce a Lorenzo Monaco, terminata poi da Beato
Angelico che ne fece uno dei suoi capolavori.
L'opposizione ai Medici Collezionista di libri rari e conoscitore del
greco e del latino, si trovò già sessantenne invischiato nell'opposizione
strenua contro Cosimo de' Medici. Cosimo
il Vecchio infatti era l'uomo che per la prima volta si era di fatto preso tutto
il potere cittadino, grazie a un sistema di clientelismo con uomini chiave alla
guida degli uffici della Repubblica fiorentina. Davanti a Cosimo solo due
strade erano possibili: l'alleanza accettando un ruolo subordinato o lo scontro
frontale; e Palla, forte della sua ricchezza e fiero della propria cultura, fu
a capo della fazione antimedicea assieme ad un altro oligarca indomabile,
Rinaldo degli Albizi. In un primo
momento la fortuna arrise alla sua fazione, riuscendo ad ottenere prima
l'incarcerazione di Cosimo, poi la dichiarazione del medesimo come magnate,
cioè tiranno, ed il suo conseguente esilio dalla città (1433). L'obiettivo
dello Strozzi comunque non era tanto l'eliminazione di un avversario, ma la
restaurazione della libertas fiorentina e in questo fu diverso dall'alleato
Rinaldo degli Albizi. Intanto Cosimo
mandava già segni di prepararsi a un rientro, che avvenne puntuale al cambio di
governo con il veloce avvicendamento dei gonfalonieri, meno di un anno dopo la
sua partenza da Firenze. L'esilio Tra i
primi provvedimenti vi è proprio la vendetta sugli avversari, con l'esilio
delle famiglie degli Albizi e degli Strozzi, e in questo Cosimo fu favorito
anche dall'appoggio popolare che lui e la sua casata si erano saputi
conquistare. Nel 1434 quindi lo Strozzi
parte per Padova, dove si preparava per un rientro che non avvenne mai. La sua
casa di Padova, nella quale egli visse una seconda giovinezza, fu un ritrovo di
artisti e letterati, nel periodo d'oro quando la città veneta era uno dei
centri culturali più notevoli della penisola italiana, per certi risultati
artistici più importante della stessa Firenze (si pensi ai capolavori lasciati
proprio da due fiorentini come Giotto o Donatello). Lasciò la sua raccolta di libri rari,
arricchita ulteriormente durante il suo soggiorno padovano, al monastero di
Santa Giustina. Morì a Padova l'8 maggio 1462, nel suo palazzo verso il Prato
della Valle. Fu sepolto nella vicina chiesa di Santa Maria di Betlemme. Matrimoni e discendenza Dalla moglie Maria Strozzi,
sua lontana parente, ebbe undici figli:
Lorenzo (1404-1452) Onofrio (1411-1452) Nicola detto Tita (1412-?)
Gianfrancesco (1418-1468 circa) Carlo Bartolomeo Margherita Lena (morta nel
1449, moglie di Felice Brancacci) Ginevra Jacopa (moglie di Giovanni di Paolo
Rucellai) Tancia. In tarda età si sposò con una figlia di Felice Brancacci, che
lo seguì a Padova. I suoi discendenti si
stabilirono in seguito a Ferrara e diedero origine al ramo ferrarese degli
Strozzi (quello di Tito Vespasiano ed Ercole Strozzi). Onorificenze Cavaliere dello Speron
d'oronastrino per uniforme ordinaria Cavaliere dello Speron d'oro Marcello Vannucci, Le grandi famiglie di
Firenze, Roma, Newton Compton Editori, G. Reichenbach, «STROZZI, Palla», in
Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1936. Roberto
Palmarocchi, «La famiglia STROZZI», in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Refs.:Luigi
Speranza, "Grice e Strozzi -- Grecian, Griceian," per il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
structuratum: mid-15c.,
"action or process of building or construction;" 1610s, "that
which is constructed, a building or edifice;" from Latin structura "a
fitting together, adjustment; a building, mode of building;" figuratively,
"arrangement, order," from structus, past participle of struere
"to pile, place together, heap up; build, assemble, arrange, make by
joining together," related to strues "heap," from PIE *streu-,
extended form of root *stere- "to spread.” structuralism, a
distinctive yet extremely wide range of productive research conducted in the
social and human sciences from the 0s through the 0s, principally in France. It
is difficult to describe structuralism as a movement, because of the
methodological constraints exercised by the various disciplines that came to be
influenced by structuralism e.g.,
anthropology, philosophy, literary theory, psychoanalysis, political theory,
even mathematics. Nonetheless, structuralism is generally held to derive its
organizing principles from the early twentieth-century work of Saussure, the
founder of structural linguistics. Arguing against the prevailing historicist
and philological approaches to linguistics, he proposed a “scientific” model of
language, one understood as a closed system of elements and rules that account
for the production and the social communication of meaning. Inspired by
Durkheim’s notion of a “social fact”
that domain of objectivity wherein the psychological and the social
orders converge Saussure viewed language
as the repository of discursive signs shared by a given linguistic community.
The particular sign is composed of two elements, a phonemic signifier, or
distinctive sound element, and a corresponding meaning, or signified element.
The defining relation between the sign’s sound and meaning components is held
to be arbitrary, i.e., based on conventional association, and not due to any
function of the speaking subject’s personal inclination, or to any external
consideration of reference. What lends specificity or identity to each
particular signifier is its differential relation to the other signifiers in
the greater set; hence, each basic unit of language is itself the product of
differences between other elements within the system. This principle of
differential and structural relation was extended by Troubetzkoy to the
order of phonemes, whereby a defining set of vocalic differences underlies the
constitution of all linguistic phonemes. Finally, for Saussure, the closed set
of signs is governed by a system of grammatical, phonemic, and syntactic rules.
Language thus derives its significance from its own autonomous organization,
and this serves to guarantee its communicative function. Since language is the
foremost instance of social sign systems in general, the structural account
might serve as an exemplary model for understanding the very intelligibility of
social systems as such hence, its
obvious relevance to the broader concerns of the social and human sciences.
This implication was raised by Saussure himself, in his Course on General
Linguistics6, but it was advanced dramatically by the anthropologist Claude Lévi-Strauss who is generally acknowledged to be the
founder of modern structuralism in his
extensive analyses in the area of social anthropology, beginning with his
Elementary Structures of Kinship 9. Lévi-Strauss argued that society is itself
organized according to one form or another of significant communication and
exchange whether this be of information,
knowledge, or myths, or even of its members themselves. The organization of
social phenomena could thus be clarified through a detailed elaboration of
their subtending structures, which, collectively, testify to a deeper and
all-inclusive, social rationality. As with the analysis of language, these social
structures would be disclosed, not by direct observation, but by inference and
deduction from the observed empirical data. Furthermore, since these structures
are models of specific relations, which in turn express the differential
properties of the component elements under investigation, the structural
analysis is both readily formalizable and susceptible to a broad variety of
applications. In Britain, e.g., Edmund Leach pursued these analyses in the
domain of social anthropology; in the United States, Chomsky applied insights
of structuralism to linguistic theory and philosophy of mind; in Italy, Eco
conducted extensive structuralist analyses in the fields of social and literary
semiotics. With its acknowledgment that language is a rule-governed social
system of signs, and that effective communication depends on the resources
available to the speaker from within the codes of language itself, the
structuralist approach tends to be less preoccupied with the more traditional
considerations of “subjectivity” and “history” in its treatment of meaningful
discourse. In the post-structuralism that grew out of this approach, the philosopher Foucault, e.g., focused on the
generation of the “subject” by the various epistemic discourses of imitation
and representation, as well as on the institutional roles of knowledge and
power in producing and conserving particular “disciplines” in the natural and
social sciences. These disciplines, Foucault suggested, in turn govern our
theoretical and practical notions of madness, criminality, punishment,
sexuality, etc., notions that collectively serve to “normalize” the individual
subject to their determinations. Likewise, in the domain of psychoanalysis,
Lacan drew on the work of Saussure and Lévi-Strauss to emphasize Freud’s concern
with language and to argue that, as a set of determining codes, language serves
to structure the subject’s very unconscious. Problematically, however, it is
the very dynamism of language, including metaphor, metonymy, condensation,
displacement, etc., that introduces the social symbolic into the constitution
of the subject. Althusser applied the principles of structuralist methodology
to his analysis of Marxism, especially the role played by contradiction in
understanding infrastructural and superstructural formation, i.e., for the
constitution of the historical dialectic. His account followed Marx’s rejection
of Feuerbach, at once denying the role of traditional subjectivity and
humanism, and presenting a “scientific” analysis of “historical materialism,”
one that would be anti-historicist in principle but attentive to the actual
political state of affairs. For Althusser, such a philosophical analysis helped
provide an “objective” discernment to the historical transformation of social
reality. The restraint the structuralists extended toward the traditional views
of subjectivity and history dramatically colored their treatment both of the
individuals who are agents of meaningful discourse and of the linguistically
articulable object field in general. This redirection of research interests
particularly in France, due to the influential work of Barthes and Michel
Serres in the fields of poetics, cultural semiotics, and communication theory
has resulted in a series of original analyses and also provoked lively debates
between the adherents of structuralist methodology and the more conventionally
oriented schools of thought e.g., phenomenology, existentialism, Marxism, and
empiricist and positivist philosophies of science. These debates served as an
agency to open up subsequent discussions on deconstruction and postmodernist
theory for the philosophical generation of the 0s and later. These
post-structuralist thinkers were perhaps less concerned with the organization
of social phenomena than with their initial constitution and subsequent
dynamics. Hence, the problematics of the subject and history or, in broader terms, temporality itself were again engaged. The new discussions were
abetted by a more critical appraisal of language and tended to be antiHegelian
in their rejection of the totalizing tendency of systematic metaphysics.
Heidegger’s critique of traditional metaphysics was one of the major influences
in the discussions following structuralism, as was the reexamination of
Nietzsche’s earlier accounts of “genealogy,” his antiessentialism, and his
teaching of a dynamic “will to power.” Additionally, many poststructuralist
philosophers stressed the Freudian notions of the libido and the unconscious as
determining factors in understanding not only the subject, but the deep
rhetorical and affective components of language use. An astonishing variety of
philosophers and critics engaged in the debates initially framed by the
structuralist thinkers of the period, and their extended responses and critical
reappraisals formed the vibrant, poststructuralist period of intellectual life. Such figures as Ricoeur,
Emmanuel Levinas, Kristeva, Maurice Blanchot, Derrida, Gilles Deleuze, Félix
Guattari, Lyotard, Jean Baudrillard, Philippe LacoueLabarthe, Jean-Luc Nancy, and
Irigaray inaugurated a series of contemporary reflections that have become
international in scope. Refs.: H. P. Grice, “The structure of structure.” .
sub-iectum: sub-iectumsub-iectificatio -- subjectification: Grice
is right in distinguishing this from nominalization, because not all
nominalization takes the subject position. Grice plays with this. It is a
derivation of the ‘subjectum,’ which Grice knows it is Aristotelian. Liddell
and Scott have the verb first, and the neuter singular later. “τὸ ὑποκείμενον,”
Liddell and Scott note “has three main applications.” The first is “to the
matter (hyle) which underlies the form (eidos), as o To both “εἶδος” and
“ἐντελέχεια” Met. 983a30; second, to the substantia (hyle + morphe) which
underlies the accidents, and as opposed to “πάθη,” and “συμβεβηκότα,” as in
Cat. 1a20,27 and Met.1037b16, 983b16; third, and this is the use that
‘linguistic’ turn Grice and Strawson are interested in, “to the logical subject
to which attributes are ascribed,” and here o “τὸ κατηγορούμενον,” (which would
be the ‘praedicatum’), as per Cat.1b10,21, Ph.189a31. If Grice uses Kiparsky’s
factive, he is also using ‘nominalisation’ as grammarians use it. Refs.: Grice,
“Reply to Richards,” in PGRICE, also BANC. subjectivism: When Grice speaks of
the subjective condition on intention, he is using ‘subject,’ in a way a
philosophical psychologist would. He does not mean Kant’s transcendental
subject or ego. Grice means the simpler empiricist subject, personal identity,
or self. The choice is unfelicitious in that ‘subject’ contrasts with ‘object.’
So when he speaks of a ‘subjective’ person he means an ‘ego-centric’ condition,
or a self-oriented condition, or an agent-oriented condition, or an
‘utterer-oriented’ or ‘utterer-relative’ condition. But this is tricky. His
example: “Nixon should get that chair of theology.” The utterer may have to put
into Nixon’s shoes. He has to perceive Nixon as a PERSON, a rational agent,
with views of his own. So, the philosophical psychologist that Grice is has to
think of a conception of the self by the self, and the conception of the other
by the self. Wisdom used to talk of ‘other minds;’ Grice might speak of other
souls. Grice was concerned with intending folloed by a that-clause. Jeffrey
defines desirability as doxastically modified. It is entirely possible for
someone to desire the love that he already has. It is what he thinks that
matters. Cf. his dispositional account to intending. A Subjectsive
condition takes into account the intenders, rather than the ascribers, point of
view: Marmaduke Bloggs intends to climb Mt. Everest on hands and knees.
Bloggs might reason: Given my present state, I should do what is
fun. Given my present state, the best thing for me to do would be to do
what is fun. For me in my present state it would make for my well-being,
to have fun. Having fun is good, or, a good. Climbing a mountain would be
fun. Climbing the Everest would be/make for climbing fun. So, I shall
climb the Everest. Even if a critic insisted that a practical syllogism is
the way to represent Bloggs finding something to be appealing, and that it
should be regarded as a respectable evaluation, the assembled propositions dont
do the work of a standard argument. The premises do not support or yield the
conclusion as in a standard argument. The premises may be said to yield the
conclusion, or directive, for the particular agent whose reasoning process it
is, only on the basis of a Subjectsive condition: that the agent is in a
certain Subjectsive state, e.g. feels like going out for dinner-fun. Rational
beings (the agent at some other time, or other individuals) who do not have
that feeling, will not accept the conclusion. They may well accept as true. It
is fun to climb Everest, but will not accept it as a directive unless they feel
like it now. Someone wondering what to do for the summer might think that if he
were to climb Everest he would find it fun or pleasant, but right now she does
not feel like it. That is in general the end of the matter. The alleged
argument lacks normativity. It is not authoritative or directive unless there
is a supportive argument that he needs/ought to do something diverting/pleasant
in the summer. A practical argument is different. Even if an agent did not feel
like going to the doctor, an agent would think I ought to have a medical check
up yearly, now is the time, so I should see my doctor to be a directive with
some force. It articulates a practical argument. Perhaps the strongest
attempt to reconstruct an (acceptable or rational) thought
transition as a standard arguments is to treat the Subjectsive
condition, I feel like having climbing fun in the summer, as a premise, for
then the premises would support the conclusion. But the individual, whose
thought transition we are examining, does not regard a description of his
psychological state as a consideration that supports the conclusion. It
will be useful to look more closely at a variant of the example to note when it
is appropriate to reconstruct thinking in the form of argument. Bloggs,
now hiking with a friend in the Everest, comes to a difficult spot and
says: I dont like the look of that, I am frightened. I am going back. That
is usually enough for Bloggs to return, and for the friend to turn back with
him. Bloggss action of turning back, admittedly motivated by fear, is, while
not acting on reasons, nonetheless rational unless we judge his fear to be
irrational. Bloggss Subjectsive condition can serve as a
premise, but only in a very different situation. Bloggs resorts to reasons.
Suppose that, while his friend does not think Bloggss fear irrational, the
friend still attempts to dissuade Bloggs from going back. After listening and
reflecting, Bloggs may say I am so frightened it is not worth it. I am not enjoying
this climbing anymore. Or I am too frightened to be able to safely go on. Or I
often climb the Everest and dont usually get frightened. The fact that I am now
is a good indication that this is a dangerous trail and I should turn back.
These are reasons, considerations implicitly backed by principles, and they
could be the initial motivations of someone. But in Bloggss case they emerged
when he was challenged by his friend. They do not express his initial practical
reasoning. Bloggs was frightened by the trail ahead, wanted to go back, and
didnt have any reason not to. Note that there is no general rational
requirement to always act on reasons, and no general truth that a rational
individual would be better off the more often he acted on reasons. Faced
with his friends objections, however, Bloggs needed justification for acting on
his fear. He reflected and found reason(s) to act on his fear. Grice plays with
Subjectsivity already in Prolegomena. Consider the use of carefully. Surely we
must include the agents own idea of this. Or consider the use of phi and
phisurely we dont want the addressee to regard himself under the same guise
with which the utterer regards him. Or consider “Aspects”: Nixon must be
appointed professor of theology at Oxford. Does he feel the need? Grice raises
the topic of Subjectsivity again in the Kant lectures just after his discussion
of mode, in a sub-section entitled, Modalities: relative and absolute. He finds
the topic central for his æqui-vocality thesis: Subjectsive conditions seem
necessary to both practical and alethic considerations. Refs.: The source is
his essay on intentions and the subjective condition, The H. P. Grice Papers,
BANC. The subject: hypokeimenon -- When Frege turned from ‘term logic’ to
‘predicate logic’ “he didn’t know what he was doing.” Cf. Oxonian
nominalization. Grice plays a lot on that. His presentation at the Oxford
Philosophical Society he entitled, in a very English way, as “Meaning” (echoing
Ogden and Richards). With his “Meaning, Revisited,” it seems more clearly that
he is nominalizing. Unless he means, “The essay “Meaning,” revisited,”alla
Putnam making a bad joke on Ogden: “The meaning of ‘meaning’”“ ‘Meaning,’
revisited” -- Grice is very familiar
with this since it’s the literal transliteration of Aristotle’s hypokeimenon, o
in a specific context, to the ‘prae-dicatum,’ or categoroumenon. And with the
same sort of ‘ambiguity,’ qua opposite a category of expression, thought, or
reality. In philosophical circles, one has to be especially aware of the
subject-object distinction (which belong in philosophical psychology) and the
thing which belongs in ontology. Of course there’s the substance (hypousia,
substantia), the essence, and the sumbebekon, accidens. So one has to be
careful. Grice expands on Strawson’s explorations here. Philosophy, to
underlie, as the foundation in which something else inheres, to be implied or
presupposed by something else, “ἑκάστῳ τῶν ὀνομάτων . . ὑ. τις ἴδιος οὐσία”
Pl.Prt.349b, cf. Cra.422d, R.581c, Ti.Locr.97e: τὸ ὑποκείμενον has three main
applications: (1) to the matter which underlies the form, o εἶδος, ἐντελέχεια,
Arist.Metaph.983a30; (2) to the substance (matter + form) which underlies the
accidents, o πάθη, συμβεβηκότα, Id.Cat.1a20,27, Metaph.1037b16, 983b16; (3) to
the logical subject to which attributes are ascribed, o τὸ κατηγορούμενον,
Id.Cat.1b10,21, Ph.189a31: applications (1) and (2) are distinguished in
Id.Metaph.1038b5, 1029a1-5, 1042a26-31: τὸ ὑ. is occasionally used of what
underlies or is presupposed in some other way, e. g. of the positive termini
presupposed by change, Id.Ph.225a3-7. b. exist, τὸ ἐκτὸς ὑποκείμενον the
external reality, Stoic.2.48, cf. Epicur.Ep.112,24 U.; “φῶς εἶναι τὸ χρῶμα τοῖς
ὑ. ἐπιπῖπτον” Aristarch. Sam. ap. Placit.1.15.5; “τὸ κρῖνον τί τε φαίνεται
μόνον καὶ τί σὺν τῷ φαίνεσθαι ἔτι καὶ κατ᾽ ἀλήθειαν ὑπόκειται” S.E.M.7.143, cf.
83,90,91, 10.240; = ὑπάρχω, τὰ ὑποκείμενα πράγματα the existing state of
affairs, Plb.11.28.2, cf. 11.29.1, 15.8.11,13, 3.31.6, Eun.VSp.474 B.; “Τίτος
ἐξ ὑποκειμένων ἐνίκα, χρώμενος ὁπλις μοῖς καὶ τάξεσιν αἷς παρέλαβε”
Plu.Comp.Phil.Flam.2; “τῆς αὐτῆς δυνάμεως ὑποκειμένης” Id.2.336b; “ἐχομένου τοῦ
προσιόντος λόγου ὡς πρὸς τὸν ὑποκείμενον” A.D.Synt.122.17. c. ὁ ὑ. ἐνιαυτός the
year in question, D.S.11.75; οἱ ὑ. καιροί the time in question, Id.16.40,
Plb.2.63.6, cf. Plu.Comp.Sol.Publ.4; τοῦ ὑ. μηνός the current month, PTeb.14.14
(ii B. C.), al.; ἐκ τοῦ ὑ. φόρου in return for a reduction from the said rent,
PCair.Zen.649.18 (iii B. C.); πρὸς τὸ ὑ. νόει according to the context,
Gp.6.11.7. Note that both Grice and Strawson oppose Quine’s Humeian dogma that,
since the subjectum is beyond comprehension, we can do with a ‘predicate’
calculus, only. Vide Strawson, “Subject and predicate in logic and grammar.”
Refs: H. P. Grice, Work on the categories with P. F. Strawson, The H. P. Grice
Papers, BANC MSS 90/135c. subjectumGrecian hypokeimenonGrice’s ‘implying,’ qua
nominalization, is a category shift, a subjectification, or objectificiation.We
have ‘employ,’ ‘imply,’ and then ‘implication,’ ‘implicature, and ‘implying’
Using the participles, we have the active voice present implicans, the active
voice future, implicaturum, and the passive perfect ‘impicatum.’ subjectivism,
any philosophical view that attempts to understand in a subjective manner what
at first glance would seem to be a class of judgments that are objectively
either true or false i.e., true or false
independently of what we believe, want, or hope. There are two ways of being a
subjectivist. In the first way, one can say that the judgments in question,
despite first appearances, are really judgments about our own attitudes,
beliefs, emotions, etc. In the second way, one can deny that the judgments are
true or false at all, arguing instead that they are disguised commands or
expressions of attitudes. In ethics, for example, a subjective view of the
second sort is that moral judgments are simply expressions of our positive and
negative attitudes. This is emotivism. Prescriptivism is also a subjective view
of the second sort; it is the view that moral judgments are really
commands to say “X is good” is to say,
details aside, “Do X.” Views that make morality ultimately a matter of
conventions or what we or most people agree to can also be construed as subjective
theories, albeit of the first type. Subjectivism is not limited to ethics,
however. According to a subjective view of epistemic rationality, the standards
of rational belief are the standards that the individual or perhaps most
members in the individual’s community would approve of insofar as they are
interested in believing those propositions that are true and not believing
those propositions that are false. Similarly, phenomenalists can be regarded as
proposing a subjective account of material object statements, since according
to them, such statements are best understood as complex statements about the
course of our experiences. -- -obiectum-abiectumm-exiectum quartet, the:
Grice: subject-object dichotomy, the distinction between thinkers and what they
think about. The distinction is not exclusive, since subjects can also be
objects, as in reflexive self-conscious thought, which takes the subject as its
intended object. The dichotomy also need not be an exhaustive distinction in
the strong sense that everything is either a subject or an object, since in a
logically possible world in which there are no thinkers, there may yet be
mind-independent things that are neither subjects nor objects. Whether there
are non-thinking things that are not objects of thought in the actual world
depends on whether or not it is sufficient in logic to intend every individual
thing by such thoughts and expressions as ‘We can think of everything that
exists’. The dichotomy is an interimplicative distinction between thinkers and
what they think about, in which each presupposes the other. If there are no
subjects, then neither are there objects in the true sense, and conversely. A
subjectobject dichotomy is acknowledged in most Western philosophical
traditions, but emphasized especially in Continental philosophy, beginning with
Kant, and carrying through idealist thought in Fichte, Schelling, Hegel, and
Schopenhauer. It is also prominent in intentionalist philosophy, in the
empirical psychology of Brentano, the object theory of Meinong, Ernst Mally,
and Twardowski, and the transcendental phenomenology of Husserl. Subjectobject
dichotomy is denied by certain mysticisms, renounced as the philosophical
fiction of duality, of which Cartesian mindbody dualism is a particular
instance, and criticized by mystics as a confusion that prevents mind from
recognizing its essential oneness with the world, thereby contributing to
unnecessary intellectual and moral dilemmas.
sub-ordination. Grice must be the only Oxonian philosopher in postwar
Oxford that realised the relevance of subordination. Following J. C. Wilson,
Grice notes that ‘if’ is a subordinating connective, and the only one of the
connectives which is not commutative. This gives Grice the idea to consult Cook
Wilson and develop his view of ‘interrogative subordination.’ Who killed Cock
Robin. If it was not the Hawk, it was the Sparrow. It was not the Hawk. It was
the Sparrow. What Grecian idiom is Romanesque sub-ordinatio translating. The
opposite is co-ordination. “And” and “or” are coordinative particles.
Interrogative coordination is provided by ‘or,’ but it relates to yes/no
questions. Interrogative subordination involves x-question. WHO killed Cock
Robin. The Grecians were syntactic and hypotactic. Varro uses jungendi. is the
same and wherefrom it is different, in relation to what &c." It may
well be doubted whether he has thus improved upon his predecessors. Surely the
discernment of sameness and difference is a function necessarily belonging to
soul and necessarily included in the catalogue of her functions : yet Stallbaum's
rendering excludes it from that catalogue. The fact that we have ory hv $, not
orcp ecri, does not really favour his view—" with whatsoever a thing may
be the same, she declares it the same.' I coincide then with the other
interpreters in regarding the whole sentence from orw t' hv as indirect
INTERROGATION SUBORDINATE interrogation subordinateto \iyeiThis mistake in
logic carries with it serious mistakes in trans lation. The clause otw t av ti
tovtov rj kcu otov hv erepov is made an indirect INTERROGATIVE COORDINATE with
itpbs o tC re pu£Aio-ra xai ottt? [ 39 ] k.t.\., which is impossible. Stallbaum
rightly makes the clause a substantive clause and subject of elvai or
£vp.f}aivei elvai. (3) eKao-ra is of course predicate with elvai to this sthe question,
‘How many sugars would Tom like in his tea?’ is not ‘satisfied’ by the answer
‘Tom loves sugar’. It may well be true that Tom loves sugar, but the question
is not satisfied by that form of answer. Conversely the answer ‘one spoonful’
satisfies the question, even though it might be the wrong answer and leave the
tea insufficiently sugary for the satisfaction of Tom’s sweet tooth. sub-per-ceptum: This relates to Stich
and his sub-doxastic. For Aristotle, “De An.,” the anima leads to the
desideratum. Unlike in ‘phuta,’ or vegetables, which are still ‘alive,’ (‘zoa’he
had a problem with ‘sponges’ which were IN-animate, to him, most likely) In
WoW:139, Grice refers to “the pillar box seems red” as “SUB-PERCEPTUAL,” the
first of a trio. The second is the perceptual, “A perceives that the pillar box
is red,” and the third, “The pillar box is red.” He wishes to explore the
truth-conditons of the subperceptum, and although first in the list, is last in
the analsysis. Grice proposes: ‘The pillar box seems red” iff (1) the pillar
box is red; (2) A perceives that the pillar box is red; and (3) (1) causes (2).
In this there is a parallelism with his quasi-causal account of ‘know’ (and his
caveat that ‘literally,’ we may just know that 2 + 2 = 4 (and such) (“Meaning
Revisited). In what he calls ‘accented sub-perceptum,’ the idea is that the U
is choosing the superceptum (“seems”) as opposed to his other obvious choices
(“The pillar box IS red,”) and the passive-voice version of the ‘perceptum’:
“The pillar box IS PERCEIVED red.” The ‘accent’ generates the D-or-D implicaturum:
By uttering “The pillar box seems red,” U IMPLICATES that it is denied that or
doubted that the pillar box is perceived red by U or that the pillar box is
red. In this, the accented version contrasts with the unaccented version where
the implicaturum is NOT generated, and the U remains uncommitted re: this doubt
or denial implicaturum. It is this uncommitment that will allow to disimplicate
or cancel the implicaturum should occasion arise. The reference Grice makes
between the sub-perceptum and the perceptum is grammatical, not psychological.
Or else he may be meaning that in uttering, “I perceive that the pillar box is
red,” one needs to appeal to Kant’s apperception of the ego. Refs.: Pecocke, Sense
and content, Grice, BANC. sub-perceptual -- subdoxastic, pertaining to states
of mind postulated to account for the production and character of certain
apparently non-inferential beliefs. These were first discussed by Stephen P.
Stich in “Beliefs and Subdoxastic States” 8. I may form the belief that you are
depressed, e.g., on the basis of subtle cues that I am unable to articulate.
The psychological mechanism responsible for this belief might be thought to
harbor information concerning these cues subdoxastically. Although subdoxastic
states resemble beliefs in certain respects
they incorporate intentional content, they guide behavior, they can
bestow justification on beliefs they
differ from fullyfledged doxastic states or beliefs in at least two respects.
First, as noted above, subdoxastic states may be largely inaccessible to
introspection; I may be unable to describe, even on reflection, the basis of my
belief that you are depressed. Second, subdoxastic states seem cut off
inferentially from an agent’s corpus of beliefs; my subdoxastic appreciation
that your forehead is creased may contribute to my believing that you are
depressed, but, unlike the belief that your forehead is creased, it need not,
in the presence of other beliefs, lead to further beliefs about your
visage. Sub-scriptum: Quine thought that Grice’s subscript device was
otiose, and that he would rather use brackets, or nothing, any day. Grice plays with various roots of ‘scriptum.’
He was bound to. Moore had showed that ‘good’ was not ‘descriptive.’ Grice
thinks it’s pseudo-descriptive. So here we have the first, ‘descriptum,’ where
what is meant is Griceian: By uttering the “The cat is on the mat” U means, by
his act of describing, that the cat is on the mat. Then there’s the ‘prae-scriptum.’
Oddly, Grice, when criticizing the ‘descriptive’ fallacy, seldom mentions the
co-relative ‘prescriptum.’ “Good” would be understood in terms of a
‘prae-scriptum’ that appeals to his utterer’s intentions. Then there’s the
subscriptum. This may have various use, both in Grice. “I subscribe,” and in
the case of “Pegasus flies.” Where the utterer subscribes to his ontological
commitment. subscript device. Why does Grice think we NEED a subscript device?
Obviously, his wife would not use it. I mean, you cannot pronounce a subscript
device or a square-bracket device. So his point is ironic. “Ordinary” language
does not need it. But if Strawson and Quine are going to be picky about
stuffontological commitment, ‘existential presupposition,’ let’s subscribe and
bracket! Note that Quine’s response to Grice is perfunctory: “Brackets would
have done!” Grice considers a quartet of utterances: Jack wants someone to
marry him; Jack wants someone or other to marry him; Jack
wants a particular person to marry him, and There is
someone whom Jack wants to marry him.Grice notes that there
are clearly at least two possible readings of an utterance like
our (i): a first reading in which, as Grice puts it, (i) might be paraphrased
by (ii). A second reading is one in which it might be paraphrased by
(iii) or by (iv). Grice goes on to symbolize the phenomenon in his
own version of a first-order predicate calculus. Ja wants that p becomes Wjap
where ja stands for the individual constant Jack as a super-script attached to
the predicate standing for Jacks psychological state or attitude. Grice writes:
Using the apparatus of classical predicate logic, we might hope to represent,
respectively, the external reading and the internal reading (involving
an intentio secunda or intentio obliqua) as (Ǝx)WjaFxja
and Wja(Ǝx)Fxja. Grice then goes on to discuss a slightly more
complex, or oblique, scenario involving this second internal reading, which is
the one that interests us, as it involves an intentio seconda.Grice notes: But
suppose that Jack wants a specific individual, Jill, to marry him, and
this because Jack has been deceived into thinking that his friend Joe has a
highly delectable sister called Jill, though in fact Joe is an only child. The
Jill Jack eventually goes up the hill with is, coincidentally, another Jill,
possibly existent. Let us recall that Grices main focus of the whole essay is,
as the title goes, emptiness! In these circumstances, one is inclined to say
that (i) is true only on reading (vii), where the existential
quantifier occurs within the scope of the psychological-state or
-attitude verb, but we cannot now represent (ii) or (iii), with Jill
being vacuous, by (vi), where the existential quantifier (Ǝx)
occurs outside the scope of the psychological-attitude
verb, want, since [well,] Jill does not really exist, except as a figment
of Jacks imagination. In a manoeuver that I interpret as purely intentionalist,
and thus favouring by far Suppess over Chomskys characterisation of Grice as a
mere behaviourist, Grice hopes that we should be provided
with distinct representations for two familiar readings of,
now: Jack wants Jill to marry him and Jack wants Jill to marry him. It is at
this point that Grice applies a syntactic scope notation involving sub-scripted
numerals, (ix) and (x), where the numeric values merely indicate the order of
introduction of the symbol to which it is attached in a deductive schema for
the predicate calculus in question. Only the first formulation represents the
internal reading (where ji stands for Jill): W2ja4F1ji3ja4 and
W3ja4F2ji1ja4. Note
that in the second formulation, the individual constant for Jill, ji, is
introduced prior to want,jis sub-script is 1, while Ws sub-script is the higher
numerical value 3. Grice notes: Given that Jill does not exist, only the
internal reading can be true, or alethically satisfactory. Grice sums up
his reflections on the representation of the opaqueness of a verb standing for
a psychological state or attitude like that expressed by wanting with one
observation that further marks him as an intentionalist, almost of a Meinongian
type. He is willing to allow for existential phrases in cases of vacuous
designata, provided they occur within opaque psychological-state or attitude
verbs, and he thinks that by doing this, he is being faithful to the richness
and exuberance of ordinary discourse, while keeping Quine happy. As Grice
puts it, we should also have available to us also three neutral, yet distinct,
(Ǝx)-quantificational forms (together with their isomorphs), as a philosopher
who thinks that Wittgenstein denies a distinction, craves for a generality!
Jill now becomes x. W4ja5Ǝx3F1x2ja5, Ǝx5W2ja5F1x4ja3, Ǝx5W3ja4F1x2ja4. As Grice
notes, since in (xii) the individual variable x (ranging over Jill) does not
dominate the segment following the (Ǝx) quantifier, the formulation does not
display any existential or de re, force, and is suitable therefore for
representing the internal readings (ii) or (iii), if we have to allow, as we do
have, if we want to faithfully represent ordinary discourse, for the
possibility of expressing the fact that a particular person, Jill, does not
actually exist.
stupid. Grice loved Plato. They are considering
‘horseness.’ “I cannot see horeseness; I can see horses.” “You are the epitome
of stupidity.” “I cannot see stupidity. I see stupid.”
società
filosofia italiana
sub-gestum -- suggestio falsi suggest. To suggest is
like to ‘insinuate,’ only different. The root involves a favourite with Grice,
‘a gesture.’ That gesture is very suggesture. Grice explores hint versus
suggest in Retrospective epilogue. Also cited by Strawson and Wiggins. The
emissor’s implication is exactly this suggestio, for which suggestum. To suggest, advise, prompt, offer, bring to mind: “quoties aequitas restitutionem suggerit,” Dig. 4, 6, 26 fin.;
cf.: “quae (res) suggerit, ut Italicarum rerum esse credantur eae res,” reminds, admonishes, ib. 28, 5, 35 fin.: “quaedam de republicā,” Aur. Vict. Vir. Ill. 66, 2. — Absol.: “suggerente conjuge,” at the instigation of, Aur. Vict. Epit. 41, 11; cf.: “suggerente irā,” id. ib. 12, 10 suggestio falsi. Pl. suggestiones
falsi. [mod.L., = suggestion of what is false.] A misrepresentation
of the truth whereby something incorrect is implied to be true; an indirect
lie. Often in contexts with suppressio veri. QUOTES: 1815 H.
Maddock Princ. & Pract. Chancery I. 208 Whenever Suppressio veri or
Suggestio falsi occur..they afford a sufficient ground for setting aside any
Release or Conveyance. 1855 Newspaper & Gen. Reader's Pocket
Compan. i.4 He was bound to say that the suppressio veri on that occasion
approached very nearly to a positive suggestio falsi. 1898 Kipling
Stalky & Co. (1899) 36 It seems..that they had held back material
facts; that they were guilty both of suppressio veri and suggestio falsi.
1907 W. de Morgan Alice-for-Short xxxvi. 389 That's suppressio veri
and suggestio falsi! Besides, it's fibs! 1962 J. Wilson Public
Schools & Private Practice i. 19 It is rare to find a positively
verifiable untruth in a school brochure: but it is equally rare not to find a
great many suggestiones falsi, particularly as regards the material comfort and
facilities available. 1980 D. Newsome On Edge of Paradise 7
There are undoubted cases of suppressio veri; on the other hand, he appears to
eschew suggestio falsi. --- Fibs indeed. Suppress, suggest.
Write: "Griceland, Inc." "Yes, I agree to
become a Doctor in Gricean Studies" EXAM QUESTION: 1.
Discuss suggestio falsi in terms of detachability. 2. Compare suppresio
veri and suggestion falsi in connection with "The king of France is
bald" uttered during Napoleon's time. 3. Invent things for
'suppressio falsi' and 'suggestio veri'. 4. No. You cannot go to the
bathroom. -- sub-gestum -- suggestum:
not necesarilyy ‘falsi.’ The verb is ‘to suggest that…’ which is diaphanous.
Note that the ‘su-‘ stands for ‘sub-‘ which conveys the implicitness or
covertness of the impicatum. Indirectness. It’s ‘under,’ not ‘above’ board.’ To
suggest, advise, prompt, offer, bring to mind: “quoties aequitas restitutionem
suggerit,” Dig. 4, 6, 26 fin.; cf.: “quae (res) suggerit, ut Italicarum rerum
esse credantur eae res,” reminds, admonishes, ib. 28, 5, 35 fin.: “quaedam de republicā,”
Aur. Vict. Vir. Ill. 66, 2. — Absol.: “suggerente conjuge,” at the instigation
of, Aur. Vict. Epit. 41, 11; cf.: “suggerente irā,” id. ib. 12, 10.— The implicaturum
is a suggestumALWAYS cancellable. Or not? Sometimes not, if ‘reasonable,’ but not
‘rational.’ Jill suggests that Jack is brave when she says, “He is an
Englishman, he is; therefore, brave.” The tommy suggests that her povery
contrasts with her honesty (“’Tis the same the whole world over.”) So the
‘suggestum’ is like the implicaturum. A particular suggesta are ‘conversational
suggestum.’ For Grice this is philosophically important, because many
philosophical adages cover ‘suggesta’ which are not part of the philosopher’s
import! Vide Holdcroft, “Some forms of indirect communication.” Substantia: hypostasis, the process of
regarding a concept or abstraction as an independent or real entity. The verb
forms ‘hypostatize’ and ‘reify’ designate the acts of positing objects of a
certain sort for the purposes of one’s theory. It is sometimes implied that a
fallacy is involved in so describing these processes or acts, as in ‘Plato was
guilty of the reification of universals’. The issue turns largely on criteria
of ontological commitment. The exact
Greek transliteration is “hypostasis” Arianism, diverse but related teachings
in early Christianity that subordinated the Son to God the Father. In reaction
the church developed its doctrine of the Trinity, whereby the Son and Holy
Spirit, though distinct persons hypostases, share with the Father, as his
ontological equals, the one being or substance ousia of God. Arius taught in
Alexandria, where, on the hierarchical model of Middle Platonism, he sharply
distinguished Scripture’s transcendent God from the Logos or Son incarnate in
Jesus. The latter, subject to suffering and humanly obedient to God, is
inferior to the immutable Creator, the object of that obedience. God alone is
eternal and ungenerated; the Son, divine not by nature but by God’s choosing,
is generated, with a beginning: the unique creature, through whom all else is
made. The Council of Nicea, in 325, condemned Arius and favored his enemy
Athanasius, affirming the Son’s creatorhood and full deity, having the same
being or substance homoousios as the Father. Arianism still flourished, evolving
into the extreme view that the Son’s being was neither the same as the Father’s
nor like it homoiousios, but unlike it anomoios. This too was anathematized, by
the Council of 381 at Constantinople, which, ratifying what is commonly called
the Nicene Creed, sealed orthodox Trinitarianism and the equality of the three
persons against Arian subordinationism. Sub-positum -- suppositumCicero for
‘hypothesis’, as in ‘hypothetico-deductive’a hypothetico-deductive method, a
method of testing hypotheses. Thought to be preferable to the method of
enumerative induction, whose limitations had been decisively demonstrated by
Hume, the hypothetico-deductive (H-D) method has been viewed by many as the
ideal scientific method. It is applied by introducing an explanatory hypothesis
resulting from earlier inductions, a guess, or an act of creative imagination.
The hypothesis is logically conjoined with a statement of initial conditions.
The purely deductive consequences of this conjunction are derived as
predictions, and the statements asserting them are subjected to experimental or
observational test. More formally, given (H • A) P O, H is the hypothesis, A a
statement of initial conditions, and O one of the testable consequences of (H •
A). If the hypothesis is ‘all lead is malleable’, and ‘this piece of lead is
now being hammered’ states the initial conditions, it follows deductively that
‘this piece of lead will change shape’. In deductive logic the schema is
formally invalid, committing the logical fallacy of affirming the consequent.
But repeated occurrences of O can be said to confirm the conjunction of H and
A, or to render it more probable. On the other hand, the schema is deductively
valid (the argument form modus tollens). For this reason, Karl Popper and his followers
think that the H-D method is best employed in seeking falsifications of
theoretical hypotheses. Criticisms of the method point out that infinitely many
hypotheses can explain, in the H-D mode, a given body of data, so that
successful predictions are not probative, and that (following Duhem) it is
impossible to test isolated singular hypotheses because they are always
contained in complex theories any one of whose parts is eliminable in the face
of negative evidence. sub-pressum -- suppresum
veri: This is a bit like an act of omissionabout which Urmson once asked,
“Is that ‘to do,’ Grice?”Strictly, it is implicatural. “Smith has a beautiful
handwriting.” Grice’s abductum: “He must be suppressing some ‘veri,’ but surely
the ‘suggestio falsi’ is cancellable. On the other hand, my abent-minded uncle,
who ‘suppresses,’ is not ‘implicating.’ The ‘suppressio’ has to be
‘intentional,’ as an ‘omission’ is. Since for the Romans, the ‘verum’ applied
to a unity (alethic/practical) this was good. No multiplication, but unitycf.
untranslatable (think)modality ‘the ‘must’, neutraldesideratum-doxathinkYes,
when Untranslatable discuss ‘vero’ they do say it applies to ‘factual’ and
sincerity, I think. At Collections, the expectation is that Grice gives a
report on the philosopher’s abilitynot on
his handwriting. It is different when Grice applied to St. John’s. “He
doesn’t return library books.” G. Richardson. Why did he use this on two
occasions? In “Prolegomena,” he uses it for his desideratum of conversational
fortitude (“make a strong conversational move”). To suppress. suggestio falsi.
Pl. suggestiones falsi. [mod.L., = suggestion of what is false.] A
misrepresentation of the truth whereby something incorrect is implied to be
true; an indirect lie. Often in contexts with suppressio veri.
QUOTES: 1815 H. Maddock Princ. & Pract. Chancery I. 208
Whenever Suppressio veri or Suggestio falsi occur..they afford a sufficient
ground for setting aside any Release or Conveyance. 1855 Newspaper
& Gen. Reader's Pocket Compan. i.4 He was bound to say that the
suppressio veri on that occasion approached very nearly to a positive suggestio
falsi. 1898 Kipling Stalky & Co. (1899) 36 It seems..that
they had held back material facts; that they were guilty both of suppressio veri
and suggestio falsi. 1907 W. de Morgan Alice-for-Short xxxvi. 389
That's suppressio veri and suggestio falsi! Besides, it's fibs!
1962 J. Wilson Public Schools & Private Practice i. 19 It is
rare to find a positively verifiable untruth in a school brochure: but it is
equally rare not to find a great many suggestiones falsi, particularly as
regards the material comfort and facilities available. 1980 D.
Newsome On Edge of Paradise 7 There are undoubted cases of suppressio
veri; on the other hand, he appears to eschew suggestio falsi. --- Fibs
indeed. Suppress, suggest. Write: "Griceland, Inc."
"Yes, I agree to become a Doctor in Gricean Studies"
EXAM QUESTION: 1. Discuss suggestio falsi in terms of
detachability. 2. Compare suppresio veri and suggestion falsi in
connection with "The king of France is bald" uttered during
Napoleon's time. 3. Invent things for 'suppressio falsi' and 'suggestio
veri'. 4. No. You cannot go to the bathroom.
super-knowing. In WoW. A notion Grice detested. Grice,
“I detest superknowing.” “For that reason, I propose a closure clausefor a
communicatum to count as one, there should not be any sneaky intention.” The
use of ‘super’ is Plotinian. If God is super-good, he is not good. If someobody
superknows, he doesn’t know. This is an implicaturum. Surely it is cancellable:
“God is supergood; therefore, He is good.” “Smith superknows that p; therefore,
Smith, as per a semantic entailment, knows that p.” Grice: “The implicature
arise out of the postulate of conversational fortitude: why stop at knowing if
you can claim that Smith superknows? Why say that God is love, when He is
super-love?”
Si: Grice:
“If Quine likes ‘vel’ to represent ‘or,’ I shall use ‘si’ to represent ‘if.’ --
“if”(Italian:
“si”, Roman, “si”). Unlike Austin, Grice never was stuck with an English
expression. Part of his rationalism is that for an expression E, if E is to be
implicaturum, i.e. the vehicle of an ‘implicatum,’ there must be an expression
E2 that does the trick. Implicatura are non-detachable. You cannot detach it
from one expression and using another. Grice: “Whitehead lists ‘and,’ ‘or,’ and
‘if,’ but had he known some classical languages, he would have noted, as J. C.
Wilson does, that ‘if’ is totally subordinating, and thus totally non-commutative!”
-- German “ob,” Latin, “si,” Grecian, “ei” -- conditional, a compound sentence,
such as ‘if Abe calls, then Ben answers,’ in which one sentence, the
antecedent, is connected to a second, the consequent, by the connective ‘if . .
. then’. Propositions statements, etc. expressed by conditionals are called
conditional propositions statements, etc. and, by ellipsis, simply
conditionals. The ambiguity of the expression ‘if . . . then’ gives rise to a
semantic classification of conditionals into material conditionals, causal
conditionals, counterfactual conditionals, and so on. In traditional logic,
conditionals are called hypotheticals, and in some areas of mathematical logic
conditionals are called implications. Faithful analysis of the meanings of
conditionals continues to be investigated and intensely disputed. conditional proof. 1 The argument form ‘B
follows from A; therefore, if A then B’ and arguments of this form. 2 The rule
of inference that permits one to infer a conditional given a derivation of its
consequent from its antecedent. This is also known as the rule of conditional
proof or /- introduction. conditioning, a form of associative learning that
occurs when changes in thought or behavior are produced by temporal relations
among events. It is common to distinguish between two types of conditioning;
one, classical or Pavlovian, in which behavior change results from events that
occur before behavior; the other, operant or instrumental, in which behavior
change occurs because of events after behavior. Roughly, classically and
operantly conditioned behavior correspond to the everyday, folk-psychological
distinction between involuntary and voluntary or goaldirected behavior. In
classical conditioning, stimuli or events elicit a response e.g., salivation;
neutral stimuli e.g., a dinner bell gain control over behavior when paired with
stimuli that already elicit behavior e.g., the appearance of dinner. The
behavior is involuntary. In operant conditioning, stimuli or events reinforce
behavior after behavior occurs; neutral stimuli gain power to reinforce by
being paired with actual reinforcers. Here, occasions in which behavior is
reinforced serve as discriminative stimuli-evoking behavior. Operant behavior
is goal-directed, if not consciously or deliberately, then through the bond
between behavior and reinforcement. Thus, the arrangement of condiments at
dinner may serve as the discriminative stimulus evoking the request “Please
pass the salt,” whereas saying “Thank you” may reinforce the behavior of
passing the salt. It is not easy to integrate conditioning phenomena into a
unified theory of conditioning. Some theorists contend that operant
conditioning is really classical conditioning veiled by subtle temporal
relations among events. Other theorists contend that operant conditioning
requires mental representations of reinforcers and discriminative stimuli. B.
F. Skinner 4 90 argued in Walden Two 8 that astute, benevolent behavioral
engineers can and should use conditioning to create a social utopia. conditio sine qua non Latin, ‘a condition
without which not’, a necessary condition; something without which something
else could not be or could not occur. For example, being a plane figure is a
conditio sine qua non for being a triangle. Sometimes the phrase is used
emphatically as a synonym for an unconditioned presupposition, be it for an
action to start or an argument to get going. I.Bo. Condorcet, Marquis de, title
of Marie-JeanAntoine-Nicolas de Caritat 174394,
philosopher and political theorist who contributed to the Encyclopedia
and pioneered the mathematical analysis of social institutions. Although
prominent in the Revolutionary government, he was denounced for his political
views and died in prison. Condorcet discovered the voting paradox, which shows
that majoritarian voting can produce cyclical group preferences. Suppose, for
instance, that voters A, B, and C rank proposals x, y, and z as follows: A:
xyz, B: yzx, and C: zxy. Then in majoritarian voting x beats y and y beats z,
but z in turn beats x. So the resulting group preferences are cyclical. The
discovery of this problem helped initiate social choice theory, which evaluates
voting systems. Condorcet argued that any satisfactory voting system must
guarantee selection of a proposal that beats all rivals in majoritarian
competition. Such a proposal is called a Condorcet winner. His jury theorem
says that if voters register their opinions about some matter, such as whether
a defendant is guilty, and the probabilities that individual voters are right
are greater than ½, equal, and independent, then the majority vote is more
likely to be correct than any individual’s or minority’s vote. Condorcet’s main
works are Essai sur l’application de l’analyse à la probabilité des décisions
rendues à la pluralité des voix Essay on the Application of Analysis to the
Probability of Decisions Reached by a Majority of Votes, 1785; and a posthumous
treatise on social issues, Esquisse d’un tableau historique des progrès de
l’esprit humain Sketch for a Historical Picture of the Progress of the Human
Mind, 1795. “if” corresponding
conditional of a given argument, any conditional whose antecedent is a logical
conjunction of all of the premises of the argument and whose consequent is the
conclusion. The two conditionals, ‘if Abe is Ben and Ben is wise, then Abe is
wise’ and ‘if Ben is wise and Abe is Ben, then Abe is wise’, are the two
corresponding conditionals of the argument whose premises are ‘Abe is Ben’ and
‘Ben is wise’ and whose conclusion is ‘Abe is wise’. For a one-premise
argument, the corresponding conditional is the conditional whose antecedent is
the premise and whose consequent is the conclusion. The limiting cases of the
empty and infinite premise sets are treated in different ways by different logicians;
one simple treatment considers such arguments as lacking corresponding
conditionals. The principle of corresponding conditionals is that in order for
an argument to be valid it is necessary and sufficient for all its
corresponding conditionals to be tautological. The commonly used expression
‘the corresponding conditional of an argument’ is also used when two further
stipulations are in force: first, that an argument is construed as having an
ordered sequence of premises rather than an unordered set of premises; second,
that conjunction is construed as a polyadic operation that produces in a unique
way a single premise from a sequence of premises rather than as a dyadic
operation that combines premises two by two. Under these stipulations the
principle of the corresponding conditional is that in order for an argument to
be valid it is necessary and sufficient for its corresponding conditional to be
valid. These principles are closely related to modus ponens, to conditional
proof, and to the so-called deduction theorem.
“if” counterfactuals, also called contrary-to-fact conditionals,
subjunctive conditionals that presupcorner quotes counterfactuals pose the
falsity of their antecedents, such as ‘If Hitler had invaded England, G.y would
have won’ and ‘If I were you, I’d run’. Conditionals or hypothetical statements
are compound statements of the form ‘If p, then q’, or equivalently ‘q if p’.
Component p is described as the antecedent protasis and q as the consequent
apodosis. A conditional like ‘If Oswald did not kill Kennedy, then someone else
did’ is called indicative, because both the antecedent and consequent are in
the indicative mood. One like ‘If Oswald had not killed Kennedy, then someone
else would have’ is subjunctive. Many subjunctive and all indicative
conditionals are open, presupposing nothing about the antecedent. Unlike ‘If
Bob had won, he’d be rich’, neither ‘If Bob should have won, he would be rich’
nor ‘If Bob won, he is rich’ implies that Bob did not win. Counterfactuals
presuppose, rather than assert, the falsity of their antecedents. ‘If Reagan
had been president, he would have been famous’ seems inappropriate and out of
place, but not false, given that Reagan was president. The difference between
counterfactual and open subjunctives is less important logically than that
between subjunctives and indicatives. Whereas the indicative conditional about
Kennedy is true, the subjunctive is probably false. Replace ‘someone’ with ‘no
one’ and the truth-values reverse. The most interesting logical feature of
counterfactuals is that they are not truth-functional. A truth-functional
compound is one whose truth-value is completely determined in every possible
case by the truth-values of its components. For example, the falsity of ‘The
President is a grandmother’ and ‘The President is childless’ logically entails
the falsity of ‘The President is a grandmother and childless’: all conjunctions
with false conjuncts are false. But whereas ‘If the President were a
grandmother, the President would be childless’ is false, other counterfactuals
with equally false components are true, such as ‘If the President were a
grandmother, the President would be a mother’. The truth-value of a
counterfactual is determined in part by the specific content of its components.
This property is shared by indicative and subjunctive conditionals generally,
as can be seen by varying the wording of the example. In marked contrast, the
material conditional, p / q, of modern logic, defined as meaning that either p
is false or q is true, is completely truth-functional. ‘The President is a
grandmother / The President is childless’ is just as true as ‘The President is
a grandmother / The President is a mother’. While stronger than the material
conditional, the counterfactual is weaker than the strict conditional, p U q,
of modern modal logic, which says that p / q is necessarily true. ‘If the
switch had been flipped, the light would be on’ may in fact be true even though
it is possible for the switch to have been flipped without the light’s being on
because the bulb could have burned out. The fact that counterfactuals are
neither strict nor material conditionals generated the problem of
counterfactual conditionals raised by Chisholm and Goodman: What are the truth
conditions of a counterfactual, and how are they determined by its components?
According to the “metalinguistic” approach, which resembles the
deductive-nomological model of explanation, a counterfactual is true when its
antecedent conjoined with laws of nature and statements of background
conditions logically entails its consequent. On this account, ‘If the switch
had been flipped the light would be on’ is true because the statement that the
switch was flipped, plus the laws of electricity and statements describing the
condition and arrangement of the circuitry, entail that the light is on. The
main problem is to specify which facts are “fixed” for any given counterfactual
and context. The background conditions cannot include the denials of the
antecedent or the consequent, even though they are true, nor anything else that
would not be true if the antecedent were. Counteridenticals, whose antecedents
assert identities, highlight the difficulty: the background for ‘If I were you,
I’d run’ must include facts about my character and your situation, but not vice
versa. Counterlegals like ‘Newton’s laws would fail if planets had rectangular
orbits’, whose antecedents deny laws of nature, show that even the set of laws
cannot be all-inclusive. Another leading approach pioneered by Robert C. Stalnaker
and David K. Lewis extends the possible worlds semantics developed for modal
logic, saying that a counterfactual is true when its consequent is true in the
nearest possible world in which the antecedent is true. The counterfactual
about the switch is true on this account provided a world in which the switch
was flipped and the light is on is closer to the actual world than one in which
the switch was flipped but the light is not on. The main problem is to specify
which world is nearest for any given counterfactual and context. The difference
between indicative and subjunctive conditionals can be accounted for in terms
of either a different set of background conditions or a different measure of
nearness. counterfactuals counterfactuals
Counterfactuals turn up in a variety of philosophical contexts. To
distinguish laws like ‘All copper conducts’ from equally true generalizations
like ‘Everything in my pocket conducts’, some have observed that while anything
would conduct if it were copper, not everything would conduct if it were in my
pocket. And to have a disposition like solubility, it does not suffice to be
either dissolving or not in water: it must in addition be true that the object
would dissolve if it were in water. It has similarly been suggested that one
event is the cause of another only if the latter would not have occurred if the
former had not; that an action is free only if the agent could or would have
done otherwise if he had wanted to; that a person is in a particular mental
state only if he would behave in certain ways given certain stimuli; and that
an action is right only if a completely rational and fully informed agent would
choose it. “If the cat is on the mat, she is purring.” INDICATIVE PLUS
INDICATIVE“Subjective ‘if’ is a different animal as Julius Caesar well knew!”
-- Refs: “If and Macaulay.”
iff: Grice: “a silly
abbreviation for ‘if and only if’” -- that is used as if it were a single
propositional operator (connective). Another synonym for ‘iff’ is ‘just in
case’. The justification for treating ‘iff’ as if it were a single
propositional connective is that ‘P if and only if Q’ is elliptical for ‘P if
Q, and P only if Q’, and this assertion is logically equivalent to ‘P
biconditional Q’.
sublime: sub-lime, neuter. sublīmie (collat.
form sublīmus , a, um: ex sublimo vertice, Cic. poët. Tusc. 2, 7, 19; Enn. ap.
Non. 169; Att. and Sall. ib. 489, 8 sq.; Lucr. 1, 340), adj. etym. dub.; perh.
sub-limen, up to the lintel; cf. sublimen (sublimem est in altitudinem elatum,
Fest. p. 306 Müll.), I.uplifted, high, lofty, exalted, elevated (mostly poet.
and in postAug. prose; not in Cic. or Cæs.; syn.: editus, arduus, celsus,
altus). I. Lit. A. In gen., high, lofty: “hic vertex nobis semper sublimis,”
Verg. G. 1, 242; cf. Hor. C. 1, 1, 36: “montis cacumen,” Ov. M. 1, 666:
“tectum,” id. ib. 14, 752: “columna,” id. ib. 2, 1: “atrium,” Hor. C. 3, 1, 46:
“arcus (Iridis),” Plin. 2, 59, 60, § 151: “portae,” Verg. A. 12, 133: “nemus,”
Luc. 3, 86 et saep.: os, directed upwards (o to pronus), Ov. M. 1, 85; cf. id.
ib. 15, 673; Hor. A. P. 457: “flagellum,” uplifted, id. C. 3, 26, 11:
“armenta,” Col. 3, 8: “currus,” Liv. 28, 9.—Comp.: “quanto sublimior Atlas
Omnibus in Libyā sit montibus,” Juv. 11, 24.—Sup.: “triumphans in illo
sublimissimo curru,” Tert. Apol. 33.— B. Esp., borne aloft, uplifted, elevated,
raised: “rapite sublimem foras,” Plaut. Mil. 5, 1: “sublimem aliquem rapere
(arripere, auferre, ferre),” id. As. 5, 2, 18; id. Men. 5, 7, 3; 5, 7, 6; 5, 7,
13; 5, 8, 3; Ter. And. 5, 2, 20; id. Ad. 3, 2, 18; Verg. A. 5, 255; 11, 722 (in
all these passages others read sublimen, q. v.); Ov. M 4, 363 al.: “campi armis
sublimibus ardent,” borne aloft, lofty, Verg. A. 11, 602: sublimes in equis
redeunt, id. ib. 7, 285: “apparet liquido sublimis in aëre Nisus,” id. G. 1,
404; cf.: “ipsa (Venus) Paphum sublimis abit,” on high through the air, id. A.
1, 415: “sublimis abit,” Liv. 1, 16; 1, 34: “vehitur,” Ov. M. 5, 648 al.— C. On
high, lofty, in a high position: “tenuem texens sublimis aranea telum,” Cat.
68, 49: “juvenem sublimem stramine ponunt,” Verg. A. 11, 67: “sedens solio
sublimis avito,” Ov. M. 6, 650: “Tyrio jaceat sublimis in ostro,” id. H. 12,
179.— D. Subst.: sublīme , is, n., height; sometimes to be rendered the air:
“piro per lusum in sublime jactato,” Suet. Claud. 27; so, in sublime, Auct. B.
Afr. 84, 1; Plin. 10, 38, 54, § 112; 31, 6, 31, § 57: “per sublime volantes
grues,” id. 18, 35, 87, § 362: “in sublimi posita facies Dianae,” id. 36, 5, 4,
§ 13: “ex sublimi devoluti,” id. 27, 12, 105, § 129.—Plur.: “antiquique memor
metuit sublimia casus,” Ov. M. 8, 259: “per maria ac terras sublimaque caeli,”
Lucr. 1, 340.— II. Trop., lofty, exalted, eminent, distinguished. A. In gen.:
“antiqui reges ac sublimes viri,” Varr. R. R. 2, 4, 9; cf. Luc. 10, 378: “mens,”
Ov. P. 3, 3, 103: “pectora,” id. F. 1, 301: “nomen,” id. Tr. 4, 10, 121:
“sublimis, cupidusque et amata relinquere pernix,” aspiring, Hor. A. P. 165;
cf.: “nil parvum sapias et adhuc sublimia cures,” id. Ep. 1, 12, 15.—Comp.:
“quā claritate nihil in rebus humanis sublimius duco,” Plin. 22, 5, 5, § 10;
Juv. 8, 232.—Sup.: “sancimus supponi duos sublimissimos judices,” Cod. Just. 7,
62, 39.— B. In partic., of language, lofty, elevated, sublime (freq. in
Quint.): “sublimia carmina,” Juv. 7, 28: “verbum,” Quint. 8, 3, 18: “clara et
sublimia verba,” id. ib.: “oratio,” id. 8, 3, 74: “genus dicendi,” id. 11, 1,
3: “actio (o causae summissae),” id. 11, 3, 153: “si quis sublimia humilibus
misceat,” id. 8, 3, 60 et saep.—Transf., of orators, poets, etc.: “natura
sublimis et acer,” Hor. Ep. 2, 1, 165: “sublimis et gravis et grandiloquus
(Aeschylus),” Quint. 10, 1, 66: “Trachalus plerumque sublimis,” id. 10, 1,
119.—Comp.: “sublimior gravitas Sophoclis,” Quint. 10, 1, 68: “sublimius
aliquid,” id. 8, 3, 14: “jam sublimius illud pro Archiā, Saxa atque solitudines
voci respondent,” id. 8, 3, 75.—Hence, advv. 1. Lit., aloft, loftily, on high.
(α). Form sub-līmĭter (rare ): “stare,” upright, Cato, R. R. 70, 2; so id. ib.
71: “volitare,” Col. 8, 11, 1: “munitur locus,” id. 8, 15, 1.— (β). Form
sub-līme (class. ): “Theodori nihil interest, humine an sublime putescat,” Cic.
Tusc. 1, 43, 102; cf.: “scuta, quae fuerant sublime fixa, sunt humi inventa,”
id. Div. 2, 31, 67: “volare,” Lucr. 2, 206; 6, 97: “ferri,” Cic. Tusc. 1, 17,
40; id. N. D. 2, 39, 101; 2, 56, 141 Orell. N. cr.: “elati,” Liv. 21, 30:
“expulsa,” Verg. G. 1, 320 et saep.— b. Comp.: “sublimius altum Attollit
caput,” Ov. Hal. 69.— 2. Trop., of speech, in a lofty manner, loftily (very
rare): “alia sublimius, alia gravius esse dicenda,” Quint. 9, 4, 130. Grice’s
favoured translation of Grecian ‘hypsos’ -- a feeling brought about by objects
that are infinitely large or vast such as the heavens or the ocean or
overwhelmingly powerful such as a raging torrent, huge mountains, or
precipices. The former in Kant’s terminology is the mathematically sublime and
the latter the dynamically sublime. Though the experience of the sublime is to
an important extent unpleasant, it is also accompanied by a certain pleasure:
we enjoy the feeling of being overwhelmed. On Kant’s view, this pleasure
results from an awareness that we have powers of reason that are not dependent
on sensation, but that legislate over sense. The sublime thus displays both the
limitations of sense experience and hence our feeling of displeasure and the
power of our own mind and hence the feeling of pleasure. The sublime was an
especially important concept in the aesthetic theory of the eighteenth and
nineteenth centuries. Reflection on it was stimulated by the appearance of a
translation of Longinus’s Peri hypsous On the Sublime in 1674. The “postmodern
sublime” has in addition emerged in late twentieth century thought as a basis
for raising questions about art. Whereas beauty is associated with that whose
form can be apprehended, the sublime is associated with the formless, that
which is “unpresentable” in sensation. Thus, it is connected with critiques of
“the aesthetic” understood as that which
is sensuously present as a way of
understanding what is important about art. It has also been given a political
reading, where the sublime connects with resistance to rule, and beauty
connects with conservative acceptance of existing forms or structures of
society. subsidiarium: sub-sidiarium -- subsidiarity, a basic principle of
social order and the common good governing the relations between the higher and
lower associations in a political community. Positively, the principle of
subsidiarity holds that the common good, i.e., the ensemble of social resources
and institutions that facilitate human self-realization, depends on fostering
the free, creative initiatives of individuals and of their voluntary
associations; thus, the state, in addition to its direct role in maintaining
public good which comprises justice, public peace, and public morality also has
an indirect role in promoting other aspects of the common good by rendering
assistance subsidium to those individuals and associations whose activities
facilitate cooperative human self-realization in work, play, the arts,
sciences, and religion. Negatively, the principle of subsidiarity holds that
higher-level i.e., more comprehensive associations while they must monitor, regulate, and
coordinate ought not to absorb, replace,
or undermine the free initiatives and activities of lower-level associations
and individuals insofar as these are not contrary to the common good. This
presumption favoring free individual and social initiative has been defended on
various grounds, such as the inefficiency of burdening the state with myriad
local concerns, as well as the corresponding efficiency of unleashing the free,
creative potential of subordinate groups and individuals who build up the
shared economic, scientific, and artistic resources of society. But the deeper
ground for this presumption is the view subjunctive conditional subsidiarity
886 886 that human flourishing depends
crucially on freedom for individual self-direction and for the self-government
of voluntary associations and that human beings flourish best through their own
personal and cooperative initiatives rather than as the passive consumers or
beneficiaries of the initiatives of others.
subsistum: sub-sistum -- subsistence
translation of G. Bestand, in current philosophy, especially Meinong’s system,
the kind of being that belongs to “ideal” objects such as mathematical objects,
states of affairs, and abstractions like similarity and difference. By
contrast, the kind of being that belongs to “real” wirklich objects, things of
the sorts investigated by the sciences other than psychology and pure
mathematics, is called existence Existenz. Existence and subsistence together
exhaust the realm of being Sein. So, e.g., the subsistent ideal figures whose
properties are investigated by geometers do not exist they are nowhere to be found in the real
world but it is no less true of them
that they have being than it is of an existent physical object: there are such
figures. Being does not, however, exhaust the realm of objects or things. The
psychological phenomenon of intentionality shows that there are in some sense
of ‘there are’ objects that neither exist nor subsist. Every intentional state
is directed toward an object. Although one may covet the Hope Diamond or desire
the unification of Europe, one may also covet a non-existent material object or
desire a non-subsistent state of affairs. If one covets a non-existent diamond,
there is in some sense of ‘there is’ something that one covets one’s state of mind has an object and it has certain properties: it is, e.g., a
diamond. It may therefore be said to inhabit the realm of Sosein ‘being thus’
or ‘predication’ or ‘having properties’, which is the category comprising the
totality of objects. Objects that do not have any sort of being, either
existence or subsistence, belong to non-being Nichtsein. In general, the
properties of an object do not determine whether it has being or non-being. But
there are special cases: the round square, by its very nature, cannot subsist.
Meinong thus maintains that objecthood is ausserseiend, i.e., independent of
both existence and subsistence. substratum: sub-statum: hypoeinai,
hypostasis, hypokemeinon -- substantiaGrice: “The Romans never felt the need
for the word ‘substantia’ but trust Cicero to force them to use it!” -- Grice
lectured on this with J. L. Austin and P. F. Strawson. hypousia -- as defined
by Aristotle in the Categories, that which is neither predicable “sayable” of
anything nor present in anything as an aspect or property of it. The examples
he gives are an individual man and an individual horse. We can predicate being
a horse of something but not a horse; nor is a horse in something else. He also
held that only substances can remain self-identical through change. All other
things are accidents of substances and exist only as aspects, properties, or
relations of substances, or kinds of substances, which Aristotle called
secondary substances. An example of an accident would be the color of an
individual man, and an example of a secondary substance would be his being a
man. For Locke, a substance is that part of an individual thing in which its
properties inhere. Since we can observe, indeed know, only a thing’s
properties, its substance is unknowable. Locke’s sense is obviously rooted in
Aristotle’s but the latter carries no skeptical implications. In fact, Locke’s
sense is closer in meaning to what Aristotle calls matter, and would be better
regarded as a synonym of ‘substratum’, as indeed it is by Locke. Substance may
also be conceived as that which is capable of existing independently of
anything else. This sense is also rooted in Aristotle’s, but, understood quite
strictly, leads to Spinoza’s view that there can be only one substance, namely,
the totality of reality or God. A fourth sense of ‘substance’ is the common, ordinary
sense, ‘what a thing is made of’. This sense is related to Locke’s, but lacks
the latter’s skeptical implications. It also corresponds to what Aristotle
meant by matter, at least proximate matter, e.g., the bronze of a bronze statue
Aristotle analyzes individual things as composites of matter and form. This
notion of matter, or stuff, has great philosophical importance, because it
expresses an idea crucial to both our ordinary and our scientific
understandings of the world. Philosophers such as Hume who deny the existence
of substances hold that individual things are mere bundles of properties,
namely, the properties ordinarily attributed to them, and usually hold that
they are incapable of change; they are series of momentary events, rather than
things enduring through time.
substantialism, the view that the primary, most fundamental entities are
substances, everything else being dependent for its existence on them, either
as a property of them or a relation between them. Different versions of the
view would correspond to the different senses of the word ‘substance’.
salva-veritate/salva-congruitate distinction, the The phrase occurs in two fragments from Gottfried Leibniz's
General Science. Characteristics: In Chapter 19, Definition 1, Leibniz
writes: "Two terms are the same (eadem) if one can be substituted for the
other without altering the truth of any statement (salva veritate)." In
Chapter 20, Definition 1, Leibniz writes: "Terms which can be substituted
for one another wherever we please without altering the truth of any statement
(salva veritate), are the same (eadem) or coincident (coincidentia). For
example, 'triangle' and 'trilateral', for in every proposition demonstrated by
Euclid concerning 'triangle', 'trilateral' can be substituted without loss of
truth (salva veritate)." ubstitutivity salva veritate: Grice: “The
phrase ‘salva veritate’ has been used at Oxford for years, Kneale tells me!” --
a condition met by two expressions when one is substitutable for the other at a
certain occurrence in a sentence and the truth-value truth or falsity of the
sentence is necessarily unchanged when the substitution is made. In such a case
the two expressions are said to exhibit substitutivity or substitutability
salva veritate literally, ‘with truth saved’ with respect to one another in
that context. The expressions are also said to be interchangeable or
intersubstitutable salva veritate in that context. Where it is obvious from a
given discussion that it is the truth-value that is to be preserved, it may be
said that the one expression is substitutable for the other or exhibits
substitutability with respect to the other at that place. Leibniz proposed to
use the universal interchangeability salva veritate of two terms in every
“proposition” in which they occur as a necessary and sufficient condition for
identity presumably for the identity of
the things denoted by the terms. There are apparent exceptions to this
criterion, as Leibniz himself noted. If a sentence occurs in a context governed
by a psychological verb such as ‘believe’ or ‘desire’, by an expression
conveying modality e.g., ‘necessarily’, ‘possibly’, or by certain temporal
expressions such as ‘it will soon be the case that’, then two terms may denote
the same thing but not be interchangeable within such a sentence. Occurrences
of expressions within quotation marks or where the expressions are both
mentioned and used cf. Quine’s example, “Giorgione was so-called because of his
size” also exhibit failure of substitutivity. Frege urged that such failures
are to be explained by the fact that within such contexts an expression does
not have its ordinary denotation but denotes instead either its usual sense or
the expression itself. Salva congruitate From , the free encyclopedia Jump to
navigationJump to search Salva congruitate is a Latin scholastic term in logic,
which means "without becoming ill-formed", salva meaning rescue,
salvation, welfare and congruitate meaning combine, coincide, agree. Salva
Congruitate is used in logic to mean that two terms may be substituted for each
other while preserving grammaticality in all contexts. Contents 1 Remarks on salva congruitate 1.1
Timothy C. Potts 1.2 Bob Hale 2See also 3References Remarks on salva
congruitate Timothy C. Potts Timothy C. Potts describes salva congruitate as a
form of replacement in the context of meaning. It is a replacement which
preserves semantic coherence and should be distinguished from a replacement
which preserves syntactic coherence but may yield an expression to which no
meaning has been given. This means that supposing an original expression is
meaningful, the new expression obtained by the replacement will also be
meaningful, though it will not necessarily have the same meaning as the
original one, nor, if the expression in question happens to be a proposition,
will the replacement necessarily preserve the truth value of the original. Bob Hale Bob Hale explains salva congruitate,
as applied to singular terms, as substantival expressions in natural language,
which are able to replace singular terms without destructive effect on the
grammar of a sentence. Thus the singular term 'Bob' may be replaced by the
definite description 'the first man to swim the English Channel' salva
congruitate. Such replacement may shift both meaning and reference, and so, if
made in the context of a sentence, may cause a change in truth-value. Thus
terms which may be interchanged salva congruitate may not be interchangeable
salva veritate (preserving truth). More generally, expressions of any type are
interchangeable salva congruitate if and only if they can replace one another
preserving grammaticality or well-formedness.
See also Salva veritate Reference principle Referential opacity Crispin
Wright Peter Geach References W.V.O.
Quine, Philosophy of logic Dr. Benjamin
Schnieder, Canonical Property Designators, P9
W.V.O. Quine, Quiddities, P204
W.V.O. Quine, Philosophy of Logic, P18
Timothy C. Potts, Structures and categories for the representation of
meaning, p57 Bob Hale, Singular Terms,
P34 Categories: Concepts in logicPhilosophical logicPhilosophy of languageLatin
logical phrases. Refs.: H. P. Grice, “Implicaturum salva veritate,” H. P.
Grice, “What I learned from T. C. Potts.”T. C. Potts, “My tutorials with Grice
at St. John’s.”
summum bonum: Grice: “that in relation to which all other things
have at most instrumental value value only insofar as they are productive of
what is the highest good. Philosophical conceptions of the summum bonum have
for the most part been teleological in character. That is, they have identified
the highest good in terms of some goal or goals that human beings, it is
supposed, pursue by their very nature. These natural goals or ends have
differed considerably. For the theist, this end is God; for the rationalist, it
is the rational comprehension of what is real; for hedonism, it is pleasure;
etc. The highest good, however, need not be teleologically construed. It may
simply be posited, or supposed, that it is known, through some intuitive
process, that a certain type of thing is “intrinsically good.” On such a view,
the relevant contrast is not so much between what is good as an end and what is
good as a means to this end, as between what is good purely in itself and what
is good only in combination with certain other elements the “extrinsically
good”. Perhaps the best example of such a view of the highest good would be the
position of Moore. Must the summum bonum be just one thing, or one kind of
thing? Yes, to this extent: although one could certainly combine pluralism the
view that there are many, irreducibly different goods with an assertion that
the summum bonum is “complex,” the notion of the highest good has typically
been the province of monists believers in a single good, not pluralists. -- summum genus. What adjective is the
‘sumum’ translating, Grice wondered. And he soon found out. We know that the
Romans were unoriginally enough with their ‘genus’ (cf. ‘gens’) translating
Grecian ‘genos.’ The highest category in the ‘arbor griceiana’ -- The
categories. There is infimum genus, or sub-summum. Talk of categories becomes
informal in Grice when he ‘echoes’ Kant in the mention of four ‘functions’ that
generate for Kant twelve categories. Grice however uses the functions
themselves, echoing Ariskant, rather, as ‘caegory’. We have then a category of
conversational quantity (involved in a principle of maximization of
conversational informativeness). We have a category of conversational quality
(or a desideratum of conversational candour). We have a category of conversational
relation (cf. Strawson’s principle of relevance along with Strawson’s
principles of the presumption of knowledge and the presumption of ignorance).
Lastly, we have a category of conversational mode. For some reason, Grice uses
‘manner’ sometimes in lieu of Meiklejohn’s apt translation of Kant’s modality
into the shorter ‘mode.’ The four have Aristotelian pedigree, indeed Grecian
and Graeco-Roman: The quantity is Kant’s quantitat which is Aristotle’s posotes
(sic abstract) rendered in Roman as ‘quantitas.’ Of course, Aristotle derives
‘posotes,’ from ‘poson,’ the quantum. No quantity without quantum. The quality
is Kant’s qualitat, which again has Grecian and Graeco-Roman pediegree. It is
Aristotel’s poiotes (sic in abstract), rendered in Roman as qualitas. Again,
derived from the more basic ‘poion,’ or ‘quale.’ Aristotle was unable to find a
‘-tes’ ending form for what Kant has as ‘relation.’ ‘pros it’ is used, and
first translated into Roman as ‘relatio.’ We see here that we are talking of a
‘summum genus.’ For who other but a philosopher is going to lecture on the
‘pros it’? What Aristotle means is that Socrates is to the right of Plato.
Finally, for Grice’s mode, there is Kant’s wrong ‘modalitat,’ since this refers
to Aristotle ‘te’ and translated in Roman as ‘modus,’ which Meiklejohn, being a
better classicist than Kant, renders as ‘mode,’ and not the pretentious
sounding ‘modality.’ Now for Kant, 12 categories are involved here. Why?
Because he subdivides each summum genus into three sub-summum or ‘inferiore’
genus. This is complex. Kant would DISAGREE with Grice’s idea that a subject
can JUDGE in generic terms, say, about the quantum. The subject has THREE
scenarios. It’s best to reverse the order, for surely unity comes before
totality. One scenario, he utters a SINGULAR or individual utterance (Grice on
‘the’). The CATEGORY is the first category, THE UNUM or UNITAS. The one. The
unity. Second scenario, he utters a PARTICULAR utterance (Grice’s “some (at
least one). Here we encounter the SECOND category, that of PLURALITAS, the
plurum, plurality. It’s a good thing Kant forgot that the Greeks had a dual
number, and that Urquhart has fourth number, a re-dual. A third scenario: the
nirvana. He utters a UNIVERSAL (totum) utterance (Grice on “all”). The category
is that of TOTUM, TOTALITAS, totality. Kant does not deign to specify if he
means substitutional or non-substitutional. For the quale, there are again
three scenarios for Kant, and he would deny that the subject is confronted with
the FUNCTION quale and be able to formulate a judgement. The first scenario
involves the subject uttering a PROPOSITIO DEDICATIVA (Grice elaborates on this
before introducing ‘not’ in “Indicative conditionals”“Let’s start with some
unstructured amorophous proposition.” Here the category is NOT AFFIRMATION, but
the nirvana “REALITAS,” Reality, reale.Second scenario, subject utters a
PROPOSITIO ABDICATIVA (Grice on ‘not’). While Kant does not consider affirmatio
a category (why should he?), he does consider NEGATIO a category. Negation. See
abdicatum. Third scenario, subject utters an PROPOSITIO INFINITA. Here the
category is that of LIMITATION, which is quite like NEGATIO (cf. privatio,
stelesis, versus habitus or hexis), but not quite. Possibly LIMITATUM.
Regarding the ‘pros ti.’ The first scenario involves a categorema, PROPOSITIO
CATEGORICA. Here Kant seems to think that there is ONE category called
“INHERENCE AND SUBSTISTENCE or substance and accident. There seem rather two.
He will go to this ‘pair’ formulation in one more case in the relation, and for
the three under modus. If we count the ‘categorical pairs’ as being two
categories. The total would not be 12 categories but 17, which is a rather ugly
number for a list of categories, unles it is not. Kant is being VERY serious
here, because if he has SUBSTISTENCE or SUBSTANCE as a category, this is
SECUNDA SUBSTANTIA or ‘deutero-ousia.’ It is a no-no to count the prote ousia
or PRIMA SUBSTANTIA as a category. It is defined as THE THING which cannot be
predicated of anything! “SUMBEBEKOS” is a trick of Kant, for surely EVERYTHING
BUT THE SUBSTANCE can be seen as an ‘accidens’ (In fact, those who deny
categories, reduce them to ‘attribute’, or ‘property.’ The second scenario
involves an ‘if’ Grice on ‘if’PROPOSITIO CONDITIONALIShypothetike protasis --
this involves for the first time a MOLECULAR proposition. As in the previous
case, we have a ‘category pair’, which is formulated either as CAUSALITY
(CAUSALITAS) and DEPENDENCE (Dependentia), or “cause’ (CAUSA) and ‘effect’
(Effectum). Kant is having in mind Strawson’s account of ‘if’ (The influence of
P. F. Strawson on Kant). For since this is the hypothetical, Kant is
suggeseting that in ‘if p, q’ q depends on p, or q is an effect of its causeAs
in “If it rains, the boots are in the closet.” (J). The third scenario also involves a molectural
proposition, A DISJUNCTUM. PROPOSITIO DISJUNCTIVA. Note that in Kant, ‘if’
before ‘or’! His implicaturum: subordination before coordination, which makes
sense. Grice on ‘or.’ FOR SOME REASON, the category here for Kant is that of
COMMUNITAS (community) or RECIPROCITAS, reciprocity. He seems to be suggesting
that if you turn to the right or to the left, you are reciprocally forbidden to
keep on going straight. For the modus, similar. Here Kant is into modality.
Again, it is best to re-order the scenarios in terms of priority. Here it’s the
middle which is basic. The first scenario, subject utters an ASSERTORIC. The
category is a pair: EXISTENCE (how is this different from REALITY) and
NON-EXISTENCE (how is this different from negation?). He has in mind: ‘the cat
is in the room,’ ‘the room is empty.’ Second scenario, the subject doubts.
subject utters a problematical. (“The pillar box may be red”). Here we have a
category pair: POSSIBILITIAS (possibility) and, yes,
IMPOSSIBILITASIMPOSSIBILITY. This is odd, because ‘impossibility’ goes rather
with the negation of necessity. The third and last scenario, subject utters an
APODEICTIC. Here again there is a category pairyielding 17 as the final number
--: NECESSITAS, necessity, and guess what, CONTINGENTIA, or contingency.
Surely, possibilitas and contingentia are almost the same thing. It may be what
Grice has in mind when he blames a philosopher to state that ‘what is actual is
not also possible.’ Or not. Refs.: H. P. Grice, “Gilbert Ryle’s criticism of
Ariskant’s categories,” Ryle, “Categories.” “The named categories.” Ryle notes
that when it comes to ‘relatio,’ Kant just murders Aristotle’s idea of a
‘relation’ as in higher than, or smaller than.“His idea of the molecular
propositions has nothing to do with Aristotle’s ‘relation’ or ‘pros ti.’”
sub-positum, suppositum(literally, ‘sub-positum,’) -- cf.
presuppositum -- in the Middle Ages, reference. The theory of supposition, the
central notion in the theory of proprietates terminorum, was developed in the
twelfth century, and was refined and discussed into early modern times. It has
two parts their names are a modern convenience. 1 The theory of supposition
proper. This typically divided suppositio into “personal” reference to
individuals not necessarily to persons, despite the name, “simple” reference to
species or genera, and “material” reference to spoken or written expressions.
Thus ‘man’ in ‘Every man is an animal’ has personal supposition, in ‘Man is a
species’ simple supposition, and in ‘Man is a monosyllable’ material
supposition. The theory also included an account of how the range of a term’s
reference is affected by tense and by modal factors. 2 The theory of “modes” of
personal supposition. This part of supposition theory divided personal
supposition typically into “discrete” ‘Socrates’ in ‘Socrates is a man’,
“determinate” ‘man’ in ‘Some man is a Grecian’, “confused and distributive”
‘man’ in ‘Every man is an animal’, and “merely confused” ‘animal’ in ‘Every man
is an animal’. The purpose of this second part of the theory is a matter of
some dispute. By the late fourteenth century, it had in some authors become a
theory of quantification. The term ‘suppositio’ was also used in the Middle
Ages in the ordinary sense, to mean ‘assumption’, ‘hypothesis’. H. P. Grice,
“Implicaturum, implicatum, positum, subpositum;” H. P. Grice: “A
communicational analogy: explicatum/expositum:implicatum/impositum,” H. P.
Grice, “The positum: between the sub-positum and the supra-positum,” H. P.
Grice, “The implicaturum, the sous-entendu, and the sub-positum.”
survival: discussed by Grice in what he calls the ‘genoritorial
programme, where the philosopher posits himself as a creature-constructor. It’s
an expository device that allows to ask questions in the third person, “seeing
that we can thus avoid the so-called ‘first-person bias’” -- continued
existence after one’s biological death. So understood, survival can pertain
only to beings that are organisms at some time or other, not to beings that are
disembodied at all times as angels are said to be or to beings that are
embodied but never as organisms as might be said of computers. Theories that
maintain that one’s individual consciousness is absorbed into a universal
consciousness after death or that one continues to exist only through one’s
descendants, insofar as they deny one’s own continued existence as an
individual, are not theories of survival. Although survival does not entail
immortality or anything about reward or punishment in an afterlife, many
theories of survival incorporate these features. Theories about survival have
expressed differing attitudes about the importance of the body. supervenient
behaviorism survival 892 892 Some
philosophers have maintained that persons cannot survive without their own
bodies, typically espousing a doctrine of resurrection; such a view was held by
Aquinas. Others, including the Pythagoreans, have believed that one can survive
in other bodies, allowing for reincarnation into a body of the same species or
even for transmigration into a body of another species. Some, including Plato
and perhaps the Pythagoreans, have claimed that no body is necessary, and that
survival is fully achieved by one’s escaping embodiment. There is a similar
spectrum of opinion about the importance of one’s mental life. Some, such as
Locke, have supposed that survival of the same person would require memory of
one’s having experienced specific past events. Plato’s doctrine of
recollection, in contrast, supposes that one can survive without any
experiential memory; all that one typically is capable of recollecting are
impersonal necessary truths. Philosophers have tested the relative importance
of bodily versus mental factors by means of various thought experiments, of
which the following is typical. Suppose that a person’s whole mental life memories, skills, and character traits were somehow duplicated into a data bank and erased
from the person, leaving a living radical amnesiac. Suppose further that the
person’s mental life were transcribed into another radically amnesiac body. Has
the person survived, and if so, as whom?
swinburne: Grice: “Those Savoyards among us should never confuse
Swinburne, parodied in “Patience,” and the Oxonian theologianhardly an
aesthete!” -- English philosopher of religion and of science. In philosophy of
science, he has contributed to confirmation theory and to the philosophy of
space and time. His work in philosophy of religion is the most ambitious
project in philosophical theology undertaken by a British philosopher in the
twentieth century. Its first part is a trilogy on the coherence and
justification of theistic belief and the rationality of living by that belief:
TheCoherence of Theism 7, The Existence of God 9, and Faith and Reason 1. Since
5, when Swinburne became Nolloth Professor of the Philosophy of the Christian
Religion at the of Oxford, he has
written a tetralogy about some of the most central of the distinctively Christian
religious doctrines: Responsibility and Atonement 9, Revelation 2, The
Christian God 4, and Providence and the Problem of Evil 8. The most interesting
feature of the trilogy is its contribution to natural theology. Using Bayesian
reasoning, Swinburne builds a cumulative case for theism by arguing that its
probability is raised sustaining cause Swinburne, Richard 893 893 by such things as the existence of the
universe, its order, the existence of consciousness, human opportunities to do
good, the pattern of history, evidence of miracles, and religious experience.
The existence of evil does not count against the existence of God. On our total
evidence theism is more probable than not. In the tetralogy he explicates and
defends such Christian doctrines as original sin, the Atonement, Heaven, Hell,
the Trinity, the Incarnation, and Providence. He also analyzes the grounds for
supposing that some Christian doctrines are revealed truths, and argues for a
Christian theodicy in response to the problem of evil. Refs.: H. P. Grice,
“Swinburne et moi.”
CVM-SENSATIO
-- synæsthesia: cum-perceptum: co-sensibilecum-sensibileco-sensatio,
co-sensation -- a conscious experience in which qualities normally associated
with one sensory modality are or seem to be sensed in another. Examples include
auditory and tactile visions such as “loud sunlight” and “soft moonlight” as
well as visual bodily sensations such as “dark thoughts” and “bright smiles.”
Two features of synaesthesia are of philosophic interest. First, the experience
may be used to judge the appropriateness of sensory metaphors and similes, such
as Baudelaire’s “sweet as oboes.” The metaphor is appropriate just when oboes
sound sweet. Second, synaesthesia challenges the manner in which common sense
distinguishes among the external senses. It is commonly acknowledged that
taste, e.g., is not only unlike hearing, smell, or any other sense, but differs
from them because taste involves gustatory rather than auditory experiences. In
synaesthesia, however, one might taste sounds sweet-sounding oboes. G.A.G.
syncategoremata, 1 in grammar, words that cannot serve by themselves as
subjects or predicates of categorical propositions. The opposite is
categoremata, words that can do this. For example, ‘and’, ‘if’, ‘every’,
‘because’, ‘insofar’, and ‘under’ are syncategorematic terms, whereas ‘dog’,
‘smooth’, and ‘sings’ are categorematic ones. This usage comes from the
fifth-century Latin grammarian Priscian. It seems to have been the original way
of drawing the distinction, and to have persisted through later periods along
syllogism, demonstrative syncategoremata 896
896 with other usages described below. 2 In medieval logic from the
twelfth century on, the distinction was drawn semantically. Categoremata are
words that have a definite independent signification. Syncategoremata do not
have any independent signification or, according to some authors, not a
definite one anyway, but acquire a signification only when used in a
proposition together with categoremata. The examples used above work here as
well. 3 Medieval logic distinguished not only categorematic and
syncategorematic words, but also categorematic and syncategorematic uses of a
single word. The most important is the word ‘is’, which can be used both
categorematically to make an existence claim ‘Socrates is’ in the sense
‘Socrates exists’ or syncategorematically as a copula ‘Socrates is a
philosopher’. But other words were treated this way too. Thus ‘whole’ was said
to be used syncategorematically as a kind of quantifier in ‘The whole surface
is white’ from which it follows that each part of the surface is white, but
categorematically in ‘The whole surface is two square feet in area’ from which
it does not follow that each part of the surface is two square feet in area. 4
In medieval logic, again, syncategoremata were sometimes taken to include words
that can serve by themselves as subjects or predicates of categorical
propositions, but may interfere with standard logical inference patterns when
they do. The most notorious example is the word ‘nothing’. If nothing is better
than eternal bliss and tepid tea is better than nothing, still it does not
follow by the transitivity of ‘better than’ that tepid tea is better than
eternal bliss. Again, consider the verb ‘begins’. Everything red is colored,
but not everything that begins to be red begins to be colored it might have
been some other color earlier. Such words were classified as syncategorematic
because an analysis called an expositio of propositions containing them reveals
implicit syncategoremata in sense 1 or perhaps 2. Thus an analysis of ‘The
apple begins to be red’ would include the claim that it was not red earlier,
and ‘not’ is syncategorematic in both senses 1 and 2. 5 In modern logic, sense
2 is extended to apply to all logical symbols, not just to words in natural
languages. In this usage, categoremata are also called “proper symbols” or
“complete symbols,” while syncategoremata are called “improper symbols” or
“incomplete symbols.” In the terminology of modern formal semantics, the
meaning of categoremata is fixed by the models for the language, whereas the
meaning of syncategoremata is fixed by specifying truth conditions for the
various formulas of the language in terms of the models. H. P. Grice,
“Implicatures of synaesthesia,” “Some remarks about the senses.”
syneidesis,
conscientia -- synderesis: Grice
disliked the word as a ‘barbarism.’ Grice: “synderesis was by most of us at the Playgroup
reckoned to be a corruption of the Greician
“συνείδησις” shared knowledge, literally
‘co-ideatio,’ formed from ‘syn’ and ‘eidesis,’ ‘co-vision,’ or
conscience, the corruption appearing in the medieval manuscripts of what
Austin called ‘that ignorant saint,’ Jerome in his Commentary.” Douglas Kries in Traditio
57: Origen, Plato, and Conscience (Synderesis) in Jerome's Ezekiel
Commentary67. συνείδησις , εως, ἡ, A.
Liddell and Scott render as “knowledge shared with another,” -- τῶν ἀλγημάτων
(in a midwife) Sor.1.4. 2. communication, information, εὑρήσεις ς. PPar. p.422
(ii A.D.); “ς. εἰσήνεγκαν τοῖς κολλήγαις αὐτῶν” POxy. 123.13 (iii/iv A.D.). 3.
knowledge, λῦε ταῦτα πάντα μὴ διαλείψας ἀγαθῇ ς. (v.l. ἀγαθῇ τύχῃ) Hp.Ep.1. 4.
consciousness, awareness, [τῆς αὑτοῦ συστάσεως] ChrysiStoic.3.43, cf.
Phld.Rh.2.140 S., 2 Ep.Cor.4.2, 5.11, 1 Ep.Pet.2.19; “τῆς κακοπραγμοσύνης”
Democr.297, cf. D.S.4.65, Ep.Hebr.10.2; “κατὰ συνείδησιν ἀτάραχοι διαμενοῦσι”
Hero Bel.73; inner consciousness, “ἐν ς. σου βασιλέα μὴ καταράσῃ” LXX Ec.
10.20; in 1 Ep.Cor.8.7 συνειδήσει is f.l. for συνηθείᾳ. 5. consciousness of
right or wrong doing, conscience, Periander and Bias ap. Stob.3.24.11,12,
Luc.Am.49; ἐὰν ἐγκλήματός τινος ἔχῃ ς. Anon. Oxy.218 (a) ii 19; “βροτοῖς ἅπασιν ἡ ς. θεός” Men.Mon.654, cf. LXX
Wi.17.11, D.H.Th.8 (but perh. interpol.); “ς. ἀγαθή” Act.Ap.23.1; ἀπρόσκοπος
πρὸς τὸν θεόν ib.24.16; “καθαρά” 1 Ep.Ti.3.9, POsl.17.10 (ii A.D.);
“κολαζομένους κατὰ συνείδησιν” Vett.Val.210.1; “θλειβομένη τῇ ς. περὶ ὧν
ἐνοσφίσατο” PRyl.116.9 (ii A.D.); τὸν . . θεὸν κεχολωμένον ἔχοιτο καὶ τὴν ἰδίαν
ς. Ath.Mitt.24.237 (Thyatira); conscientiousness, Arch.Pap.3.418.13 (vi
A.D.).--Senses 4 and 5 sts. run one into the other, v. 1 Ep.Cor.8.7, 10.27 sq.
6. complicity, guilt, crime, “περὶ τοῦ πεφημίσθαι αὐτὴν ἐν ς. τοιαύτῃ”
SuEpigr.4.648.13 (Lydia, ii A.D.). Grice: “The rough Romans could not do with
the ‘cum-‘ of the ‘syn-‘ but few of us at Oxford think of Laurel and Hardy or
Grice and Strawson when they say ‘conscientia’!” con-scĭo , īre, v. a. * I. To
be conscious of wrong: nil sibi, * Hor. Ep. 1, 1, 61.— II. To know well (late
Lat.): “consciens Christus, quid esset,” Tert. Carn. Chr. 3. moral theology, conscience. Jerome used ‘synderesis.’
‘Synderesis’ becomes a fixture because of Peter Lombard’s inclusion of it in
his Sentences. Despite this origin, Grecian ‘synderesis’ is distinguished from Roman
‘conscience’ (from cum-scire) -- by Aquinas.
For Aquinas, Grecian ‘synderesis’ is the quasi-habitual grasp of the most
common principles of the moral order i.e., natural law, whereas ‘conscienntia’
is the *application* of such knowledge to fleeting and unrepeatable
circumstances. ’Conscientia,’ Aquinas misleadingly claims, is allegedly ambiguous
in the way in which ‘knowledge’ is. Knowledge (Scientia) can be the mental
state of the knower or what the knower knows (scitum, cognitum)Grice: “In fact,
Roman has four participles, active present, sciens, passive perfect, sctium,
future active, sciendus, future passive, sciturus -- But ‘conscientia’ like ‘synderesis’, is typically used for the
state of the soul. Sometimes, however, conscientia is taken to include general
moral knowledge as well as its application here and now; but the content of
synderesis is the most general precepts, whereas the content of conscience, if
general knowledge, will be less general precepts. Since conscience can be
erroneous, the question arises as to whether synderesis and its object, natural
law precepts, can be obscured and forgotten because of bad behavior or
upbringing. Aquinas holds that while great attrition can take place, such
common moral knowledge cannot be wholly expunged from the soul. This is a
version of the Aristotelian doctrine that there are starting points of
knowledge so easily grasped that the grasping of them is a defining mark of the
human being. However perversely the human agent behaves there will remain not
only the comprehensive realization that good (bonum) is to be done and evil (malum)
avoided, but also the recognition of some substantive human goods. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice ad Aquino,” Villa Grice --. H. P. Grice, “Kenny on Aquinas,”
“Kenny uses barbaric Griceian and Grecian.”
synergism: in soteriology, the cooperation within human
consciousness of free will and divine grace in the processes of conversion and
regeneration. Synergism became an issue in sixteenth-century Lutheranism during
a controversy prompted by Philip Melanchthon 1497 syncategorematic synergism
897 897 1569. Under the influence of
Erasmus, Melanchthon mentioned, in the 1533 edition of his Common Places, three
causes of good actions: “the Word, the Holy Spirit, and the will.” Advocated by
Pfeffinger, a Philipist, synergism was attacked by the orthodox,
predestinarian, and monergist party, Amsdorf and Flacius, who retorted with
Gnesio-Lutheranism. The ensuing Formula of Concord 1577 officialized monergism.
Synergism occupies a middle position between uncritical trust in human noetic
and salvific capacity Pelagianism and deism and exclusive trust in divine
agency Calvinist and Lutheran fideism. Catholicism, Arminianism, Anglicanism,
Methodism, and nineteenth- and twentieth-century liberal Protestantism have
professed versions of synergism.
systems
theory: the transdisciplinary study of
the abstract organization of phenomena, independent of their substance, type,
or spatial or temporal scale of existence. It investigates both the principles
common to all complex entities and the usually mathematical models that can be
used to describe them. Systems theory was proposed in the 0s by the biologist
Ludwig von Bertalanffy and furthered by Ross Ashby Introduction to Cybernetics,
6. Von Bertalanffy was both reacting against reductionism and attempting to
revive the unity of science. He emphasized that real systems are open to, and
interact with, their environments, and that they can acquire qualitatively new
properties through emergence, resulting in continual evolution. Rather than
reduce an entity e.g. the human body to the properties of its parts or elements
e.g. organs or cells, systems theory focuses on the arrangement of and
relations among the parts that connect them into a whole cf. holism. This
particular organization determines a system, which is independent of the
concrete substance of the elements e.g. particles, cells, transistors, people.
Thus, the same concepts and principles of organization underlie the different
disciplines physics, biology, technology, sociology, etc., providing a basis
for their unification. Systems concepts include: system environment boundary,
input, output, process, state, hierarchy, goal-directedness, and information.
The developments of systems theory are diverse Klir, Facets of Systems Science,
1, including conceptual foundations and philosophy e.g. the philosophies of
Bunge, Bahm, and Laszlo; mathematical modeling and information theory e.g. the
work of Mesarovic and Klir; and practical applications. Mathematical systems
theory arose from the development of isomorphies between the models of
electrical circuits and other systems. Applications include engineering,
computing, ecology, management, and family psychotherapy. Systems analysis,
developed independently of systems theory, applies systems principles to aid a
decision maker with problems of identifying, reconstructing, optimizing, and
controlling a system usually a socio-technical organization, while taking into
account multiple objectives, constraints, and resources. It aims to specify possible
courses of action, together with their risks, costs, and benefits. Systems
theory is closely connected to cybernetics, and also to system dynamics, which
models changes in a network of synergy systems theory 898 898 coupled variables e.g. the “world
dynamics” models of Jay Forrester and the Club of Rome. Related ideas are used
in the emerging “sciences of complexity,” studying self-organization and
heterogeneous networks of interacting actors, and associated domains such as
far-from-equilibrium thermodynamics, chaotic dynamics, artificial life,
artificial intelligence, neural networks, and computer modeling and simulation.
taddio: Luca Taddio (Udine),
filosofo. Si occupa in particolare di fenomenologia della percezione, ontologia
e teoria della conoscenza a cavallo tra estetica e metafisica. È direttore
editoriale, con Pierre dalla Vigna, della casa editrice Mimesis Edizioni. Luca
Taddio nasce a Udine nel 1974. Dopo i primi studi artistici si laurea in
Filosofia a Trieste, successivamente, trascorre un periodo di studio presso il
dipartimento di Filosofia dell'Edimburgo: completa la sua formazione
all'Trieste conseguendo il titolo di dottore di ricerca. È stato allievo dello
psicologo sperimentale Paolo Bozzi e del filosofo Giorgio Derossi. Il
primo libro, Spazi immaginali (Prefazione di Maurizio Ferraris), è un testo di
narrativa filosofica che si inserisce all'interno della tradizione del realismo
magico: l'esistenza viene espressa da una sequenza di istantanee emergenti
dallo spazio immaginale. Tutti gli scritti dell'autore sono di matrice
realista: Fenomenologia eretica è un libro incentrato sull'analisi di un unico
esempio considerato dall'autore paradigmatico per l'intera tradizione
fenomenologica, la percezione di un cubo. L'analisi critica dell'esperienza è
sviluppata, da un lato, in rapporto alla fenomenologia sperimentale di Paolo
Bozzi e, dall'altro, in risposta alle critiche che Emanuele Severino rivolge
alla fenomenologia. A partire dall'opera pittorica di René Magritte, ne I
due misteri viene applicata la teoria della percezione diretta, elaborata
in Fenomenologia eretica, al problema della raffigurazione pittorica. Il
pensiero di Magritte viene discusso alla fine del volume in un dialogo con
Massimo Donà. L'insegnamento di estetica alla facoltà di Architettura lo
porta a realizzare, con Damiano Cantone, il testo: L'affermazione
dell'architettura. La relazione filosofia-architettura sta al centro di altri
due libri da lui curati: Costruire abitare pensare e Città metropoli
territorio; il concetto di affermazione sarà nuovamente preso in esame in un
numero di aut aut dedicato a Derrida e l'architettura. In Verso un nuovo
realismo si delinea un'ontologia della metastabilità, il libro si conclude con
un dialogo con Maurizio Ferraris sul Nuovo realismo. Sul tema del Nuovo
realismo avvia un articolato confronto con Maurizio Ferraris ed Emanuele
Severino. Le riflessioni sul Nuovo realismo si sono sviluppate in
diversi direzioni: politica, architettura, cinema, ontologia ed epistemologia
(Si veda: Alfabeta2; “aut aut”; “Cinema&Cie”; “Teoria & Modelli”; “La
Filosofia Futura”; “Philosophical Readings”;). Fonda, con Pierre dalla
Vigna, Mimesis Edizioni: la società è detentrice dei marchi editoriali di
Mimesis in Italia e all'estero. Nel 2006 costituisce, con Marco Brollo, lo
studio grafico Mimesis Communication. Nel
progetta e realizza la rivista di approfondimento culturale Scenari
diretta da Damiano Cantone e nello stesso anno crea e dirige il Festival
MimesisTerritori delle idee. A partire da una prima formazione politica
di stampo liberal-socialista lavora in direzione di un rilancio della cultura
cosmopolita in rapporto alle nuove forme di partecipazione
democratica (interventi: Festival Vicino Lontano, Pop Sophia, Radio
Radicale). Nel viene nominato dal
Ministro Dario Franceschini nel Cda di Palazzo Reale a Genova. Dall'anno
accademico -19 è professore associato di estetica presso l'Università degli
studi di Udine. Monografie Spazi immaginali, Campanotto Editore,
Fenomenologia eretica. Saggio sull'esperienza immediata della cosa,
Mimesis, L'affermazione
dell'architettura. Una riflessione introduttiva (con Damiano Cantone),
Mimesis, Global Revolution, Mimesis, I due misteri. Da Magritte alla natura delle
rappresentazioni pittoriche, Mimesis,
Verso un nuovo realismo. Osservazioni sulla stabilità tra estetica e
metafisica, Jouvence, Curatele Paolo
Bozzi, Un mondo sotto osservazione, Mimesis, La guerra e il mortale. A lezione
da Emanuele Severino, Mimesis, 2009 Costruire Abitare Pensare, Mimesis, 2009
Quale filosofia per il partito democratico e la sinistra, Mimesis, La Terra e il Sacro. A lezione da Massimo
Donà, Mimesis, Città Metropoli
Territorio, Mimesis, David Cronenberg.
Un metodo pericoloso, Mimesis, Manifesto
per una sinistra cosmopolita, Mimesis,
Radicalmente liberi. A partire da Marco Pannella, con L. Caffo,
Mimesis In dialogo con Maurizio
Ferraris, Mimesis Note Curriculum Luca Taddio , su lucataddio.com 1º
giugno ). Massimo DonàL'apparire della
CosaLa Fenomenologia Eretica Di Luca Taddio, su youtube.com. Uno scandalo per il pensiero, su
ilsole24ore.com. “aut aut” n. 368/, su
autaut.ilsaggiatore.com. Ma il realismo
non è tutto nuovo, su corriere.it. È il
crepuscolo delle tradizioni, su corriere.it.
Sinistra e Nuovo Realismo, su alfabeta2.it. Vuoti di sapere, su
autaut.ilsaggiatore.com. The Geopolitics
of Cinema and the Study of Film, su cinemaetcie.net 24 settembre ). Teorie & Modelli, su pitagoragroup.it 7
maggio ). La Filosofia Futura, su
lafilosofiafutura.it. PHILOSOPHICAL
READINGSSpecial Issue on: REALISM AND ANTI-REALISM: NEW PERSPECTIVES , su
philosophicalreadings.files.wordpress.com.
Passione politica e democrazia. Con U. Curi, M. Pacini, M. Panarari e
L.Taddio, su youtube.com.
"Marionette al potere" Curi, Marramao, Taddio, su
youtube.com. Oratore: Luca Taddio, su
radioradicale.it. CDA Palazzo Reale
Genova , su beniculturali.it. Sito ufficiale,
su lucataddio.it. Registrazioni di Luca
Taddio, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.
Intervista a E. Severino Artribune: intervista di Davide Dal.
Tagliabue: Guido Morpurgo-Tagliabue (Milano), filosofo.
Nato da padre ignoto e da giovane Giovanna Tagliabue, poi moglie del maturo
avvocato, assessore e filantropo Gerolamo Morpurgo, si formò a Milano,
laureandosi in Filosofia. Dopo diverse collaborazioni a riviste come critico
letterario e teatrale, si occupò lui stesso di filosofia a partire da due saggi
del dopoguerra, Le strutture del trascendentale e Il concetto dello stile
(entrambi pubblicati nel 1951), che gli fecero avere il posto di professore di
Estetica all'Università degli Studi di Milano (fino al 1961), poi quello di
Filosofia teoretica all'Università degli Studi di Trieste (dal 1964 al
1982). In precedenza aveva collaborato
dal 1931 al 1938 alla rivista Il Convegno, ma scrisse anche su La Lettura e La
Rassegna d'Italia, e più di recente su Rivista critica di storia della
filosofia, Rivista di filosofia, Belfagor, Giornale critico della filosofia
italiana, Rivista di estetica, Il pensiero, Aretusa , Lingua e stile, Studi di
estetica, Studi tedeschi, aut aut ecc.
Si occupò di germanistica, gnoseologia, semantica, estetica e poetica,
attraverso numerosi saggi di taglio fenomenologico. Come per Adelchi Baratono e Antonio Banfi, la
sua analisi dell'estetica e delle scelte poetiche e stilistiche degli artisti
si distacca dall'impostazione di Benedetto Croce e poi di Guido Calogero per
orientarsi verso l'aspetto pratico (influenzato anche dall'esistenzialismo
positivo di Nicola Abbagnano) del fare arte, che non può ridursi alla sola
conoscenza, ed è fortemente legato alla tecnica, intesa anche come gesto
manuale e meccanico, e allo stile, inteso come rapporto tra gli elementi
formali e quelli contenutistici dell'opera (sede, inoltre, dell'unità nel
rapporto tra percezione e immaginazione).
Nel 1960 i suoi studi sono ripresi e sistemati in L'esthétique
contemporaine, pubblicato in francese e tradotto in diverse lingue. Qui
organizza le teorie d'artista e le dottrine estetiche non tanto in senso
cronologico, ma per tipi: estetiche vitalistiche, psicologistiche,
formalistiche, fenomenologiche ecc. In
Linguistica e stilistica di Aristotele (1967) e Demetrio, dello stile (1980) si
occupa di retorica e stilistica antiche. Aristotelismo e Barocco (1954) e Il
Barocco e noi (1986) (poi riuniti in Anatomia del Barocco, 1987) indagano sul
Barocco (artistico e letterario). Si è anche occupato di estetica del XVIII
secolo, degli scritti pre-critici di Kant, della polemica Nietzsche-Wagner, di
Goethe, Musil, Roth, Kafka ecc. Fu
critico con la contestazione studentesca del 1968, eppure non evitò il
confronto con il movimento. Una grave malattia gli levò l'uso della voce, ma
continuò a tenere lezione con l'aiuto di un sintetizzatore vocale. Morì senza figli e senza essersi mai sposato
a 90 anni, nel 1997. A suo ricordo la
sorella Ernesta ha aperto una fondazione e un premio per gli studi di filosofia
a Trieste. Opere principali I processi
di Galileo e l'epistemologia, Milano: F.lli Bocca, 1947; Milano: Ed. di
Comunità, 1963; Roma: Armando, 1981 Il concetto dello stile. Saggio di una
fenomenologia dell'arte, Milano: F.lli Bocca, 1951 Le strutture del
trascendentale. Piccola inchiesta sul pensiero critico, dialettico, esistenziale,
Milano: F.lli Bocca, Dai romantici a noi, Milano: Marzorati, 1953 Aristotelismo
e barocco, Milano: F.lli Bocca, L'esthétique contemporaine. Une enquête,
Milano: Marzorati, 1960 Il concetto del "gusto" nell'Italia del
Settecento, Firenze: La Nuova Italia, 1962 Linguistica e stilistica di
Aristotele, Roma: Ed. dell'Ateneo, 1967 Fenomenologia dei giudizi di valore,
Trieste: Istituto di Filosofia, 1973 La semantica e i suoi problemi, Trieste:
Istituto di Filosofia, 1974 Demetrio, dello stile, Roma: Ed. dell'Ateneo, 1980
La nevrosi austriaca. Saggi sul romanzo, Casale Monferrato: Marietti, 1983
Nietzsche contro Wagner, Pordenone: Studio Tesi, 1984 Geologia letteraria,
Milano: Garzanti, 1986 Anatomia del barocco, Palermo: Aesthetica, 1987 Goethe e
il romanzo, Torino: Einaudi, 1991 Il gusto nell'estetica del Settecento, Luigi
Russo e Giuseppe Sertoli, Palermo: Centro internazionale studi di estetica,
2002 Introduzioni e prefazioni Herbert Read, Arte e alienazione. Il ruolo
dell'artista nella societa, Milano: Marzorati, 1975 Immanuel Kant, I sogni di
un visionario spiegati coi sogni della metafisica, Milano: Rizzoli, 1982
Immanuel Kant, Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, Milano:
Rizzoli, 1989 Charles-Louis Montesquieu, Sul gusto, Genova: Marietti, 1990
Note Crf. la pagina sul sito
dell'Trieste. Numero speciale di
"Esercizi filosofici", n. 4, 1998. Luigi Russo , Guido
Morpurgo-Tagliabue e l'estetica del Settecento, in "Aesthetica
Pre-Print", 67, aprile 2003. Paolo D'Angelo, «MORPURGO-TAGLIABUE, Guido»,
in Dizionario Biografico degli Italiani,
77, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Morpurgo
Guido Morpurgo-Tagliabue, in Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Morpurgo Tagliabue, ritratto di un genio
politicamente scorretto necrologio di Claudio Magris, Corriere della Sera.
Tagliagambe: Silvano Tagliagambe
(Legnano), filosofo. Si è trasferito poi
a Milano dove ha studiato Filosofia alla Statale come allievo Geymonat con cui
si è laureato con la lode attraverso una tesi sull'interpretazione della
meccanica quantistica di Hans Reichenbach. Ha proseguito i suoi studi
specializzandosi in Fisica quantistica all'Università degli Studi Lomonosov di
Mosca sotto la direzione di Ja.P. Terleckij e poi presso l'Accademia delle
Scienze dell'URSS, Istituti di Filosofia e di Fisica dal 1971 al 1974 dove si è
perfezionato in Filosofia della fisica con la supervisione di V.A. Fock e M.E.
Terleckij. La sua attività scientifica e didattica si è sviluppata
attraverso un variegato percorso universitario che l'ha portato ad insegnare
presso diversi atenei dal 1974 al 2008 e a collaborare con differenti centri di
ricerca ed enti istituzionali come consulente scientifico. Pensiero Il
lavoro di ricerca di Tagliagambe si è concentrato inizialmente sul rapporto tra
filosofia e fisica (soprattutto quantistica) nella cultura russa tra '800 e
'900, in particolare sul concetto di realtà fisica (Bohr, Heisenberg, Born) e
sui rapporti tra materialismo dialettico e sviluppi della fisica del
'900. Dagli anni '90 ha rivolto l'attenzione sui temi del rapporto tra
realtà osservata e sistema osservante, le interazioni reciproche e il ruolo del
linguaggio, della comunicazione intersoggettiva, della mediazione linguistica e
della semiotica nel pensiero scientifico. Ha elaborato il ruolo e il significato
di interfaccia, il rapporto tra intelligenza naturale e intelligenza
artificiale, in particolare il ruolo progressivamente avuto dalle tecnologie di
informazione e comunicazione. Ha elaborato i contributi sul profondo
significato del concetto di "margine", sia esso su un essere vivente,
un'interfaccia o il rapporto tra corpo e mente, nei sistemi sociali e nella
comunicazione. Ha studiato le forti interconnessioni tra artificiale e
naturale, il profondo senso dell'interdisciplinarità, e il libro Il Sogno di
Dostoevskij, attraverso una visitazione storica dal dibattito tra lo scrittore
e lo scienziato Secënov, fino alle recenti scoperte della neurofisiologia,
mettendo a fuoco il senso del rapporto tra le mente e il corpo e il significato
e la funzione dell'inconscio. Ha ricostruito e interpretato l'intenso
scambio dialogico tra il premio Nobel della fisica Wolfgang Pauli e il
fondatore della psicologia analitica Carl Gustav Jung, nel quale emerge il
profondo rapporto tra filosofia, fisica e psicanalisi. L'analisi tra
visibile e invisibile, il ruolo dell'arte e il senso epistemologico dello
spazio intermedio e del confine sono stati da lui sviluppati anche attraverso
un'esegesi del pensiero di Florenskij. Le ricadute del suo pensiero sulle
scienze sociali ed economiche trovano approfondimenti nelle opere dedicate
all'analisi dei sistemi organizzativi socio-economici. L'attività presso la
facoltà di Architettura l'ha portato a riflettere sulla'"epistemologia del
progetto", sulla relazione tra possibilità e realtà, sul rapporto tra
l'Io, lo spazio, il tempo, l'ambiente, tra urbs e civitas, sul concetto di
paesaggio, sul ruolo delle città globali e sul nesso tra globale e locale. Gli
sviluppi delle tecnologie digitali e poi della rete come fenomeno prima tecnologico
poi culturale e sociale vengono elaborati e incorporati nel suo pensiero. La
sua riflessione teorica è indirizzata anche ai temi dell'apprendimento e
dell'organizzazione della conoscenza soprattutto alla luce delle reali
esperienze della scuola, dei processi di modernizzazione e innovazione che la
coinvolgono e delle nuove esigenze che essa deve affrontare Nel ha diretto il rifacimento del manuale di
filosofia di Ludovico Geymonat e pubblicato da Garzanti Scuola con il titolo La
realtà e il pensiero. La ricerca filosofica e scientifica in collaborazione con
Edoardo Boncinelli.[25] Collabora dal
con il CNI per il premio Scintille dedicato all'innovazione (AD).
Note (Pisa, Cagliari, Roma La Sapienza,
Sassari: Facoltà di Architettura di Alghero)
(Vicepresidente CRS4(1994-2000) , Ministero dell'Istruzione,
dell'Università e della Ricerca per la Riforma, CIES, FIESEC, Direttore
scientifico del progetto “Scuola digitale” della Regione Sardegna). Vedi L'interpretazione materialistica della
meccanica quantistica. Fisica e filosofia in URSS. Vedi Scienza,
filosofia, politica in Unione Sovietica.Vedi Materialismo e dialettica nella
filosofia sovietica. Vedi Scienza e marxismo in Urss. Vedi La mediazione linguistica. Il rapporto
pensiero-linguaggio da Leibniz a Hegel
Vedi Epistemologia del confine
Vedi Il Sogno di Dostoevskij
(vedi Pauli e Jung. Un confronto su materia e psiche Vedi recensione di Edoardo Boncinelli in
Corriere della Sera lunedì 24 ottobre
che cita “con quest'opera Tagliagambe va avanti sul progetto di
esplorare una originalissima «epistemologia del confine»”. Vedi Come leggere Florenskij Vedi La tecnica e il corpo. Riflessioni su
uno scritto di Pavel Florenskij vedi
Organizzazioni. Soggetti umani e sviluppo socio-economico Vedi Individui e imprese: centralità delle
relazioni Vedi La politica che non c'è.
Idee guida per un progetto tra razionalità e valori Vedi L'albero flessibile. La cultura della
progettualità Vedi Le due vie della
percezione e l'epistemologia del progetto
Vedi La città possibile Vedi
People and Space. New Forms of interaction in City Project Vedi: Epistemologia del cyberspazio Vedi La comunicazione nell'era di
Internet Vedi Lo spazio intermedio, poi
tradotto anche in spagnolo, che riprende, rielabora ed estende il concetto di
confine. Vedi La didattica e la
rete Vedi Più colta e meno Gentile Vedi Saper fare la scuola: il triangolo che
non c'è Vedi Nuovi percorsi per
l'obbligo formativo Vedi La realtà e il
pensiero 1. La ricerca filosofica e scientifica, Garzanti Scuola, La realtà e il pensiero 2. La ricerca
filosofica e scientifica, Garzanti Scuola, La realtà e il pensiero 3. La
ricerca filosofica e scientifica, Garzanti scuola. Opere: È autore di oltre 200
opere tra cui: L'interpretazione materialistica della meccanica
quantistica. Fisica e filosofia in URSS, Feltrinelli, Milano, Scienza,
filosofia, politica in Unione Sovietica. Feltrinelli, Milano, Materialismo e
dialettica nella filosofia sovietica, Loescher, Torino, 1979; Scienza e
marxismo in Urss, Loescher, Torino, 1979; La mediazione linguistica. Il
rapporto pensiero-linguaggio da Leibniz a Hegel, Feltrinelli, Milano, D.I.
Mendeleev, Scritti sullo spiritismo. . Traduzione e studio storico-critico
introduttivo di S. Tagliagambe, Bollati-Boringhieri, Torino; L'impresa tra
ipotesi, miti e realtà (in collaborazione con G.Usai), ISEDI, Torino, 1994;
Epistemologia del confine, Il Saggiatore, Milano, La politica che non c'è. Idee
guida per un progetto tra razionalità e valori, Demos, Cagliari, Il sequestro
dell'identità, CUEC, Cagliari, La città possibile, (in collaborazione con G.
Maciocco), Dedalo, Bari, Epistemologia del cyberspazio, Demos, Cagliari, L'albero flessibile. La cultura della
progettualità, Masson, Milano, Il profilo del tempo, ‘Nuova civiltà delle
Macchine', Organizzazioni. Soggetti umani e sviluppo socio-economico, (in
collaborazione con G.Usai), Giuffré, Milano, La didattica e la rete, Pitagora
Editrice, Bologna, La comunicazione nell'era di Internet, (in collaborazione
con C. Crespellani Porcella e G. Usai, Collana Fondazione IBMEtas Libri,
Milano, Il destino del marxismo in Russia: dall'idolatria al rifiuto, (in
collaborazione con V. Mironov), Luiss Edizioni, Collana di studi metodologici,
Roma, La vittoria di Babele. Dalla filosofia naturale alla separazione dei
linguaggi, ‘ Civiltà delle macchine', Il sogno di Dostoevskij. Come la mente
emerge dal cervello, Raffaello Cortina Editore, Milano, Filosofia della scienza
(in collaborazione con G. Boniolo, M.L. Dalla Chiara, G. Giorello, C. Sinigaglia),
Cortina, Milano, Nuovi percorsi per
l'obbligo formativo, Edizioni PLUS. Pisa, Pisa; Il pensiero unitario di
Ludovico Geymonat, in collaborazione cn
Edizioni Nuova Cultura, Teramo, 2004; Le due vie della percezione e
l'epistemologia del progetto, Franco Angeli, Milano; Più colta e meno gentile.
Una scuola di massa e di qualità, Armando, Roma, 2006; Come leggere Florenskij,
Bompiani, Milano, La tecnica e il corpo. Riflessioni su uno scritto di Pavel
Florenskij, (in collaborazione con B. Antomarini) Franco Angeli, Milano, Individui e imprese: centralità delle
relazioni, (in collaborazione con G. Usai) Giuffrè, Milano, Saper fare la
scuola: il triangolo che non c'è, (in collaborazione con V.Campione) Einaudi,
Torino, Lo spazio intermedio, Università Bocconi Editore, Milano, Storia della
filosofia, XIII, Filosofi italiani del
Novecento, (in collaborazione con D.Antiseri) Bompiani, Milano, Storia della
filosofia, Filosofi italiani del
Novecento, (in collaborazione con D.Antiseri) Bompiani, Milano, 2008; “People
and Space. New Forms of interaction in City Project”, (in collaborazione con
G.Maciocco) Springer-Verlag Berlin, Heidelberg, New York, El espacio
intermedio. Red, individuo y comunidad, Fragua Editorial, Madrid, Pauli e Jung.
Un confronto su materia e psiche,(in collaborazione con A. Malinconico)
Raffaello Cortina, Milano, ; La libertà, le lettere, il potere, (in
collaborazione con D.Antiseri e P.Maninchedda) Rubbettino, Soveria Mannelli, ;
La realtà e il pensiero 1. La ricerca filosofica e scientifica Garzanti
Scuola La realtà e il pensiero 2. La
ricerca filosofica e scientifica Garzanti Scuola La
realtà e il pensiero 3. La ricerca filosofica e scientifica Garzanti scuola. Opere
di Silvano Tagliagambe, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
Taglialatela: Pietro Taglialatela (Mondragone),
filosofo. Studiò al Seminario vescovile di Sessa. Ordinato sacerdote, insegnò
teologia al Seminario vescovile di Cava dei Tirreni dal 1852 al 1856. Dal 1860, lasciato il sacerdozio, tentò di
arruolarsi nelle truppe di Garibaldi, per poi decidere di predicare nell'Italia
meridionale i nuovi ideali del movimento unitario. Nel 1861, fu nominato professore di teologia
all'Napoli. A seguito della soppressione di tale cattedra aprì, sempre a
Napoli, una scuola privata. Incominciò
da questo periodo a riscoprire lo studio e la saggistica, in particolare
riprendendo e sposando le tesi di Vincenzo Gioberti, che lo avevano affascinato
in gioventù. Su questo indirizzo filosofico è stato imperniato il manuale
Istituzioni di filosofia del 1864 che, seppur non prescelto come testo
d'insegnamento liceale, in quanto particolarmente complesso, ricevette le lodi
di Bertrando Spaventa. Non mancò, in
seguito, avendo aderito al protestantesimo, di compiere opere missionarie, in
particolare in Puglia e in Abruzzo. A tal riguardo è documentato il viaggio di
Pescasseroli nel 1886, sul quale scrisse Benedetto Croce, che segnalò anche
come Taglialatela fosse considerato, assieme a Bonaventura Mazzarella e Enrico
Caporali, fra le «menti più forti del movimento protestante in Italia». Scritti: “Istituzioni di filosofia, Tip.
all'Insegna del Diogene, Napoli 1864; Apologia delle dottrine filosofiche di V.
Gioberti, Tip. all'Insegna del Diogene, Napoli, “La scienza, la vita e
Francesco de Sanctis. Discorso, Tip. all'insegna del Diogene, Napoli 1872;
Giuseppe Garibaldi. Conferenza, La Speranza, Roma s.d.; Il Papa-re nelle
profezie e nella storia, La Speranza, Roma 1902; In Dio. Saggi, discorsi,
frammenti di filosofia cristiana, ed. postuma, La Speranza, Roma 1927; Fede,
speranza e carità. Meditazioni, ed. postuma, La Speranza, Roma 1927; Teoria
evangelica della vita, ed. postuma, La Speranza, Roma 1929; D. Ciampoli, L'opera letteraria di Pietro
Taglialatela, Tip. Unione editrice, Roma 1913; B. Croce, Pescasseroli, Laterza,
Bari 1922 (poi in Storia del Regno di Napoli); R. Fiore, Pietro Taglialatela,
in «Civiltà Aurunca», XVIII (2002), n. 47,
7-16; G. Iurato, Pietro Taglialatela. Dalla filosofia del Gioberti
all'evangelismo antipapale, Claudiana, Torino, Vincenzo Gioberti
Protestantesimo in Italia Pietro
Taglialatela. Biografia, pubblicazioni e
in "Dizionario biografico dei protestanti in Italia". Sito
della Società di studi valdesi. il 1º gennaio . Pietro Tagliatela, Apologia
della dottrina filosofica di V. Gioberti (il testo in Google Libri).
Tagliapietra: Andrea Tagliapietra
(Venezia), filosofo. Dopo la maturità classica al Foscarini di Venezia, ha
compiuto studi di medicina e di filosofia, laureandosi in filosofia teoretica
all'Università Ca' Foscari con una tesi discussa con Emanuele Severino e Romano
Madera. In quegli stessi anni perfeziona gli studi di ermeneutica biblica sotto
la guida di Carlo Enzo. Ha insegnato Storia della filosofia moderna e
contemporanea presso l'Università degli studi di Sassari (1997-2004).
Attualmente è Professore di Storia della filosofia presso la Facoltà di
Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano dove insegna
Storia delle idee, Filosofia della cultura e Storia della filosofia.
Fonde nelle sue ricerche un'indagine storico filosofica sul pensiero greco,
sulla tradizione apocalittica ebraica e cristiana e sul canone del pensiero
moderno, con un'attenzione a temi contemporanei legati al mondo delle immagini
e della comunicazione, allo studio del linguaggio e delle metafore, nonché
all'intreccio storico e teorico fra teatro e filosofia. In quest'ultima
prospettiva si orientano i suoi studi sull'idea di sincerità e sul significato
della bugia nel quadro di una costruzione drammaturgica dell'individuo, sul
ridere e sulla natura del personaggio comico. Ha curato, per Feltrinelli,
Bollati Boringhieri e Bruno Mondadori edizioni importanti: L'Apocalisse di
Giovanni, raccolte di scritti sull'Illuminismo e sul tema della
"catastrofe"; opere di Platone, Gioacchino da Fiore, Kant, Benjamin
Constant, Voltaire, Jean-Jacques Rousseau, Alessandro Manzoni,
Constantin-François de Chassebœuf de Volney, Ludwig Andreas Feuerbach,
Louis-Sébastien Mercier. Dal 2007 sta curando l'edizione delle opere
complete di Italo Valent. Collabora saltuariamente a Il Gazzettino, il
quotidiano della sua città, e ha collaborato a varie testate giornalistiche
(Capital; Panorama; Il Sole 24 Ore; l'inserto culturale "Saturno" de
Il fatto quotidiano, ecc.), con interventi di carattere culturale o legati
all'attualità sociale e politica. Con La virtù crudele. Filosofia e storia
della sincerità ha vinto nel 2004 il
Premio Viareggio per la saggistica. Nel
gli è stato conferito il premio di filosofia "Viaggio a
Siracusa" per il saggio Gioacchino da Fiore e la filosofia. È
direttore, insieme a Sebastiano Ghisu, della rivista internazionale di
filosofia Giornale critico di storia delle idee. È fondatore e direttore del
Centro di Ricerca Interdisciplinare di Storia delle Idee (CRISI), che ha sede
presso la Facoltà di Filosofia del San Raffaele, e di ICONE, Centro Europeo di
Ricerca di storia e teoria dell'immagine di Palazzo Arese Borromeo .
Opere principali: La metafora dello specchio. Lineamenti per una storia simbolica,
Feltrinelli, Milano (2ª ed. riveduta e accresciuta, Bollati Boringhieri, Torino)
Il velo di Alcesti. La filosofia e il teatro della morte, Feltrinelli, Milano Filosofia
della bugia. Figure della menzogna nella storia del pensiero occidentale, Bruno
Mondadori, Milano (2ª ed. riveduta,
Bruno Mondadori, Milano ) La virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità,
Einaudi, Torino La forza del pudore: per una filosofia dell'inconfessabile,
Rizzoli, Milano (tr. francese, a c. di Robert Kremer, La force de la pudeur.
Pour une philosophie de l'inavouable, Salvator, Paris ) Il dono del filosofo:
sul gesto originario della filosofia, Einaudi, Torino, Icone della fine.
Immagini apocalittiche, filmografie, miti, il Mulino, Bologna Sincerità, Raffaello Cortina, Milano (tr. francese, a c. di Robert Kremer, La
sincérité, Salvator, Paris ) Gioacchino da Fiore e la filosofia, il Prato,
Padova Non ci resta che ridere, il
Mulino, Bologna Alfabeto delle proprietà.
Filosofia in metafore e storie, Moretti & Vitali Editori, Bergamo Esperienza. Filosofia e storia di un'idea,
Raffaello Cortina, Milano Filosofia dei
cartoni animati. Una mitologia contemporanea, Bollati Boringhieri, Torino Opere costituite da raccolte di lezioni
Cartografia intellettuale dell'Europa. La migrazione dello spirito, a c. di
Erminio Maglione, introduzione di Renato Rizzi, Mimesis Edizioni,
Milano-Udine Tempo a termine e tempo
senza fine. Breve storia figurale della temporalità, a c. di Caterina Piccione,
con DVD-ROM delle lezioni, Mimesis Edizioni, Milano-Udine Opere in collaborazione con altri autori con
Gianfranco Ravasi, Non desiderare la donna e la roba d'altri, il Mulino,
Bologna (tr. francese, a c. di Robert
Kremer, Tu ne convoiteras pas la femme d'autrui ni son bien, Salvator, Paris )
con Renato Corrado, Il senso del dolore. Testimonianza e argomenti, Editrice
San Raffaele, Milano con Claudio
Bartocci e Piero Martin, Zerologia. Sullo zero, il vuoto e il nulla, il Mulino,
Bologna Edizioni scientifiche, curatele
e traduzioni Apocalisse di Giovanni, testo latino a fronte, prefazione di
Andrea Tagliapietra, traduzione e postfazione di Massimo Bontempelli,
Feltrinelli, Milano, Platone, Fedone o sull'anima, testo greco a fronte,
traduzione, introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, saggio critico di Elisa
Tetamo, Feltrinelli, Milano (7ª ed., ) Gioacchino da Fiore, Sull'Apocalisse,
testo latino a fronte, introduzione, traduzione e cura di Andrea Tagliapietra,
Feltrinelli, Milano, Immanuel Kant-Benjamin Constant, La verità e la menzogna.
Dialogo sulla fondazione morale della politica, introduzione e cura di Andrea
Tagliapietra, traduzioni di Silvia Manzoni e di Elisa Tetamo, Bruno Mondadori,
Milano, Che cos'è l'Illuminismo? I testi e la genealogia del concetto,
introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, traduzioni di Silvia Manzoni e di
Elisa Tetamo, Bruno Mondadori, Milano, Rudolf Otto, Il sacro, introduzione,
note e apparati di Andrea Tagliapietra, traduzione di Ernesto Buonaiuti,
Gallone Editore, Milano 1998 Voltaire-Rousseau-Kant, Sulla catastrofe.
L'illuminismo e la filosofia del disastro, introduzione e cura di Andrea
Tagliapietra, traduzioni di Silvia Manzoni e di Elisa Tetamo, con un saggio di
Paola Giacomoni, Bruno Mondadori, Milano Immanuel Kant, La fine di tutte le cose, a
cura e con un saggio di Andrea Tagliapietra, traduzione di Elisa Tetamo, Bollati
Boringhieri, Torino, Alessandro Manzoni, La storia e l'invenzione. Scritti
filosofici, introduzione, note e apparati di Andrea Tagliapietra, il Prato,
Padova Constantin-François de Chassebœuf
de Volney, Le rovine, ossia meditazione sulle rivoluzioni degli imperi, Andrea
Tagliapietra e Marco Bruni, introduzione di Andrea Tagliapietra, postfazione e
traduzione di Marco Bruni, Mimesis Edizioni, Milano-Udine Ludwig Feuerbach, L'uomo è ciò che mangia, a
cura e con un saggio di Andrea Tagliapietra, traduzione e nota biobibliografica
di Elisa Tetamo, Bollati Boringhieri, Torino
Louis-Sébastien Mercier, Montesquieu a Marsiglia, Andrea Tagliapietra e
Caterina Piccione, traduzione di Andrea Tagliapietra e Caterina Piccione,
Inschibboleth, Roma Immanuel Kant,
Bisogna sempre dire la verità?, Andrea Tagliapietra, traduzione di Elisa
Tetamo, Raffaello Cortina Editore, Milano
Alcuni saggi e articoli Kant e l'idea della fine, di Andrea
Tagliapietra, in Agalma, Il rischio e il limite, di Andrea Tagliapietra, in
Magazine, n. 1 (dossier Energia), Pearson, marzo . L'ultimo gesto di Socrate.
Il pudore e l'enigma, di Andrea Tagliapietra, in Spazio Filosofico, n. 5,
maggio . Tipologia del riso, di Andrea Tagliapietra, in Fillide, n. 5,
settembre . Kant and the Idea of the End di Andrea Tagliapietra, in European
Journal of Psychoanalysis, n. 1, /1, The End. Corpo di pazienza di Andrea
Tagliapietra, in European Journal of Psychoanalysis, ISAP, Saggi ed Articoli
(). Testi in rete Esser contro di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di
confine, Il dono del filosofo. Il dono della filosofia di Andrea Tagliapietra,
in XÁOS. Giornale di confine, Il giallo della filosofia, di Andrea
Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Il volto del potere di Andrea
Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno II, n. 1 marzo-giugno 2003. La
Lotteria di Babele. Appunti filosofici su caso e fortuna nella società della
comunicazione di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno II, n.
2 luglio-ottobre 2003. L'apocalisse delle immagini. Esegesi del cinema di Wim
Wenders a partire da "Fino alla fine del mondo", di Andrea
Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno II, n. 3 novembre-febbraio
2003/2004. La gola del filosofo. Il mangiare come metafora del pensare di
Andrea Tagliapietra in XÁOS. Giornale di confine Anno IV, n. 1 marzo -giugno
2005/2006. Dire la verità. L'insistenza della critica di Andrea Tagliapietra,
in Giornale critico di storia delle idee, Anno IV, n. 8, . Interviste e video
L'uomo è un animale che esita. Intervista con Andrea Tagliapietra di Marco
Dotti, in Vita, n. 6, . Presentazione. Il dono del filosofo. Sul gesto
originario della filosofia in Inschibboleth WEB TV. Presentazione. Icone della
fine. Immagini apocalittiche, filmografie, miti Del senso della fine. Dialogo
con Andrea Tagliapietra di Marco Dotti, in Communitas, n. 4, . RAI Cultura:
Andrea Tagliapietra: futuro, progresso e possibilità Lezione magistrale al
Festival di Filosofia (Modena ), Inganni. Finzioni di verità e storia naturale
dell'intelligenza. Eigentlichkeit und Dichtung? La filosofia della sincerità di
Andrea Tagliapietra, di Vincenzo Pinto
Il riso è il proprio dell'uomo. Commento in margine a Non ci resta che
ridere di Andrea Tagliapietra, di Claudio Tugnoli Se essere sinceri è una virtù crudele. Uno
studio fra storia e filosofia, di Umberto Galimberti, in "La Repubblica", Recensione
ad Andrea Tagliapietra, La virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità,
di Claudio Tugnoli, in "Dialeghestai. Rivista telematica di
filosofia", anno VI, 2004 Premio
letterario Viareggio-Rèpaci, su premioletterarioviareggiorepaci.it. 9 agosto
. Home page del Giornale Critico di
Storia delle Idee Home page del Centro
di Ricerca in Storia delle IdeeCRISI Home
page di ICONE, Centro Europeo di Ricerca di storia e teoria dell'immagine, su
centroeuropeopalazzoborromeo.it. 17 giugno
17 giugno ). Ciclo di dieci
lezioni teoriche, dette "Decadi", tenuto nell'Aula Tafuri di Palazzo
Badoer, a Venezia, dall'11 novembre al
29 gennaio , nel quadro del Laboratorio di Progettazione Architettonica dello
IUAV diretto da Renato Rizzi e costituente il
I, Libro dello Studio, del progetto "Lampedusa. La cattedrale di
Solomon". Opere di Andrea Tagliapietra, .
Registrazioni di Andrea Tagliapietra, su RadioRadicale.it, Radio
Radicale. Pagina docente con
informazioni biografiche e bibliografiche sito dell'Università Vita-Salute San
Raffaele.
Tamburino: Tommaso Tamburini o Tamburino
(Caltanissetta), filosofo.Figlio del giudice Fabrizio e di Agata Adelicia
Tramontana. Entrò nella compagnia di Gesù a quindici anni, restò a
Caltanissetta dopo aver ricevuto gli ordini, successivamente fu incaricato
dell'insegnamento di retorica, di filosofia e di teologia sistematica nel
locale collegio gesuitico. A trent'anni fu trasferito nel collegio di Messina
per insegnare teologia morale e a quarantacinque anni passò in quello di
Palermo. Resse i collegi gesuitici di Caltanissetta, Monreale e Palermo. Fu
esaminatore delle curie arcivescovili di Palermo e Monreale, consigliere e
qualificatore nel Sant'Uffizio della Inquisizione spagnola, ossia di
esaminatore dei reati prima della loro attribuzione alla competenza
dell'Inquisizione. Tommaso Tamburini durante un soggiorno romano, quale
rappresentante della provincia gesuitica siciliana alla undicesima
congregazione generale della compagnia di Gesù, conobbe lo scultore Johann
Friedrich Greuter, che in quel periodo lavorava per la casa generalizia dei
gesuiti. Il teologo siciliano, apprezzandone le doti, gli affidò l'incarico di
incidere le immagini della Madonna. Realizzava finalmente il progetto, da
qualche anno vagheggiato, di dare alle stampe le notizie preparate dal
confratello Ottavio Gajetano, riguardanti appunto i luoghi del culto mariano nell'isola,
facendo illustrare l'opera con tavole riproducenti le relative icone della
Madonna. Così accanto all'imponente produzione filosofica del Tamburini,
restano anche due edizioni, una in latino ed una in volgare, di un volume con
36 incisioni del ‘600, di raro pregio per la raffinatezza dei disegni di
Greuter; l'opera non fu firmata dal gesuita. Di queste due edizioni si trovano
rari esemplari che, per le limitazioni derivanti dall'esaurimento delle
"matrici", sono, per buona parte, prive delle pagine in cui sono
stampate le incisioni. Pensiero Il gesuita siciliano nella conoscenza del
peccato attribuisce importanza primaria alla cognitio singulorum cioè alla
capacità di valutazione dei singoli. Diverso è, infatti, il peso delle colpe a
seconda se a commettere l'infrazione è l'individuo colto oppure l'ignorante.
Nel primo prevale la vis ratiocinandi (forza della ragione) e nel secondo la
vis sentiendi (forza del sentimento). Ancora differenza c'è tra l'actio humana
e l'actio hominis essendo la prima compiuta in perfetta consapevolezza, mentre
nella seconda la coscienza è spesso condizionata dal patire passionale, che può
essere violentum, coactum, necessarium (violento, costretto, necessario),
venendo così a mitigare la colpa. Nel trasporto passionale c'è
dell'involontario, spesso frutto di ignoranza che rende la coscienza erronea.
Il tutto si traduce in una interpretazione benignista della epieìcheia
(prudenza), riprendendo in un certo modo la tradizione tomista. A sostenere
questa intensa produzione sul probabilismo, col rientro da Palermo a Genova di
Diana, rimase il Tamburino, le cui opere ebbero ampia diffusione in tutta
Europa, dalla metà del Seicento fino al riconoscimento della validità delle
tesi probabiliste ad opera di S. Alfonso de' Liguori che con la sua Theologia
Moralis mise sostanzialmente fine al rigorismo giansenista. Il
probabilismo del Tamburini incontrò ostilità negli ambienti religiosi più
vicini al rigorismo dei giansenisti. A contrastare le tesi del probabilismo i
più influenti furono i domenicani francesi, che spinsero il cardinale Retz, a
farsi portavoce presso la Santa Sede per l'emanazione di un provvedimento di
condanna. Nel 1665, papa Alessandro VII, sollecitato più volte, condannò il
probabilismo, furono censurate solo le tesi più estreme, senza peraltro
indicare i nomi degli autori. Nel 1679, un'altra condanna del
probabilismo veniva promulgata da papa Innocenzo XI, quattro anni dopo la morte
del Tamburini. Però questa volta il gesuita siciliano non subiva sanzioni ad
personam, così Tommaso Tamburini passò alla storia della teologia morale, come
padre della probabilità tenue. Con esso si chiuse il periodo d'oro della
esportazione della cultura teologica siciliana. Nel 1753 fu sancita la completa
riabilitazione del gesuita siciliano con la pubblicazione di Verità Vindicata
che Carlo Niceti diede alle stampe a Roma. Opere (Confronta anche la
"voce Tommaso Tamburini" in lingua inglese.) Gli scritti di
teologia morale del Tamburini sono stati riuniti nella Opera Omnia, edita più volte
in Italia e all'estero dal 1689. Methodus Expeditae Confessionis (1647)
Opuscola Tria de Confessione, Comunione et Sacrificio Missae (1649) Expedita
Decaloghi Explicatio. Libris decem digesta (1654) De Sacrificio Missae Expedite
Celebrando. Libri tres. (1656) Della Consolazione della Filosofia di Anicio
Manlio Boezio. Libri cinque. Traduzione di Tommaso Tamburino.(1657) Juris
Divini. Naturalis et Ecclesiastici Expedita Moralis Explicatio, Complectens
Tractationes tres, de Sacramentis, quae sunt de Jure Divino, de Contrattibus,
quos dirigit Jus Naturale, de Censuris et Irregularitate, quae sunt de Jure
Ecclesiastico. (1661) Tractatus de Bulla cruciata. (1663) Sanctissimae Deiparae
Cultus in Sicilia. (Nomen sublatum) (et 1663) Ragguagli delli Ritratti della
SS. Vergine Nostra Signora più celebri, che si riveriscono in varie Chiese
nell'isola di Sicilia. Opera postuma del R. P. Ottavio Cajetano della Compagnia
di Gesù. Trasportato nella lingua volgare. (1664) Germana Doctrina R. P. Thomae
Tamburini S. J. perspicue refellens impugnationes R. P. Vincentii Baronii
adversus illam allatas. (1666) Tractatus in Quinque Ecclesiae Praecepta. (1694)
[opera postuma] Tractatus de Jubileo Manoscritto.(senza data) Additamentum
continens aliquot epistolas, et levem vindicationem contra Joannem Sinichium
hybernum authorem libri Saul et Rex. Manoscritto. Bibl.Naz.Roma. Fondo
Gesuitico, ms.1236, cc278r-301v.(senza data) Traduzioni De consolatione
philosophiae (della Consolazione della Filosofia di Anicio Manlio Boezio. Libri
cinque. (1657) L'Anno dei Giorni Memorabili, scritto dal P. Gio. Nadasi della
Compagnia di Gesù. (senza data) V.
Baron, Theologia moralis adversus laxiores probabilistas, Parigi, Piget, 1665.
R. Brouillard, Dictionnaire de Théologie Catholique, Parigi, Letouzej, 1930. S.
Burgio, Il probabilismo in Sicilia, Catania, Soc. Storia Patria, 1998. V.
Contenson, Theologiae mentis of cordis, Tolosa, 1671. T. Deman, Probabilisme,
Colonia, 1658. C. Hebermann, Enciclopedia cattolica, R. Appelton Company, 1913
M. Petrocchi, Il problema del lassismo nel secolo XVII, Roma, Storia e
letteratura, 1953. J. Sinnichins, Saul et Pax, Lovanio, Nempaei, 1662. Tommaso Tamburino, su Treccani.itEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Pietro Tacchi Venturi, Tommaso Tamburino, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere di Tommaso Tamburino, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere
di Tommaso Tamburino, . Tommaso Tamburino, in Catholic Encyclopedia, Robert
Appleton Company.
Tafuri Matteo: Matteo Tafuri (Soleto),
filosofo. Fu un versatile e bizzarro ingegno, che dopo studi universitari a
Napoli, Parigi, Salamanca si ritirò nella sua natia Soleto (nel Salento) dove
aveva un cenacolo di allievi filosofi del platonismo esoterico. Il
"Socrate di Soleto", illustre rappresentante del Rinascimento, fu una
personalità eclettica ed un affascinante intellettuale dei suoi tempi, amante
della conoscenza e studioso e di molteplici campi del sapere: alchimia,
filosofia, astronomia, astrologia, medicina, fisiognomica, magia naturale. Al
centro dei suoi interessi vi era l'interesse e lo studio dei fenomeni della
Natura, l'Anima del Mondo, il miracolo e le meraviglie del Creato e l'unicità
irripetibile di ogni Essere Umano. Considerato alla stregua di un
"Nostradamus salentino" fu onorato e temuto per le sue capacità
divinatorie e fisiognomiche tanto da attribuirgli poteri occulti e
demonologici. Un suo ritratto col rosso copricapo della Sorbona si trova
nel dipinto del 1580 (ad opera del galatinese Lavinio Zappa) della Madonna del
Rosario nella navata sinistra della Chiesa Matrice di Soleto. Fu sepolto
dapprima nella chiesetta di "S.Lorenzo (delli Tafuri)" adiacente alla
sua abitazione e poi, dopo la demolizione della cappella nel 1672, nel
Monastero di San Nicola in una cassa di legno con lo stemma della
famiglia. Sull'architrave della sua casa natale è inciso il motto:
«HUMILE SO ET HUMILTA' ME BASTA. DRAGON DIVENTARO' SE ALCUN ME TASTA»
Lo stemma della famiglia Tafuri nella casa natale di Soleto Con
quest'iscrizione Matteo Tafuri esprimeva e manifestava ai cittadini e a
chiunque passasse dalla sua dimora la sua mite natura caratteriale, mortificata
dalle ingiurie e maldicenze in conseguenza delle quali poteva trasformarsi,
ironicamente, attraverso alchimia e magia, in un dragone. Nella Soleto del
Cinquecento era diffusa la consuetudine di incidere sulle architravi delle
finestre, sui cornicioni dei balconi o all'interno di uno stemma, delle
epigrafi con la finalità di motto. Un proverbio, una citazione, un passo
letterario, filosofico, o religioso, e un pensiero personale descrivevano la
personalità e le attitudini del padrone di casa o invitavano il passante a
riflettere su un tema o un monito saggio e profondo. Lo stemma della famiglia,
presente sulla porta della casa natia, è costituito da un albero di quercia con
due fulmini che si scagliano contro ma non lo colpiscono. Un'aquila bicipite
scolpita sopra fa pensare ad un'origine albanese della famiglia già presente a
Soleto nel XIV sec. Infatti molte famiglie albanesi e greche di confessione
cristiano-ortodossa e cattolica dal XIII al XVI secolo furono costrette a
fuggire ed alcune emigrarono nel Salento a causa dell'avanzata dei Turchi
mussulmani che occupavano i loro territori. "Del salentin suol
gloria ed onore" lo definisce il De Tommasi. E davvero egli fu, tra i
molti filosofi, scienziati ed eruditi che fiorirono in Puglia tra la metà Professoree
l'inizio del XVII, il più universalmente noto. Partito da Soleto per
Napoli poco più che ventenne, per approfondirsi nella matematica e nella
medicina dopo la preparazione umanistica ricevuta a Zollino da Sergio Stiso, vi
tornò avanti negli anni, famoso in tutto il mondo e pieno di gloria.
Desideroso solo di pace fisica e mentale, aprì una pubblica scuola di greco,
latino, matematica, fisica e medicina. Tra i suoi allievi: Giovan
Tommaso CavazzaalchimistaGalatina (1540-1611) Giovan Paolo
VernaleonematematicoGalatina (1527-1602) Francesco ScarpafilosofoSoleto (XVI
sec) Quinto Mario Corradofilosofo umanistaOria (1508-1575) "Assiduo verso
gli infermi", esercitò con zelo e successo la professione di medico ma
mentre era "di modello coi suoi scritti, di ammirazione e rispetto coi
suoi consulti" fu dalla ignoranza popolana ritenuto un "Mago"
perché cultore di scienze inusitate quali l'Astronomia e l'Astrologia.
Tornando da Padova, Parigi e Salamanca, cioè dai più grandi centri culturali
del tempo, sollevò certo le gelosie interessate di coloro che non sapevano
rassegnarsi al suo prestigio professionale. A ciò si aggiunse il vigile
sospetto della Curia Arcivescovile messa sull'avviso dal Concilio di
Trento. Egli che portò per tutto il mondo l'amore per il suolo natio col
nome di Matteo da Soleto, proprio in patria ebbe a difendersi da accuse di
stregoneria come spesso avviene a chi, uomo di scienza, si rende filantropo. Fu
più volte interrogato per le sue capacità di previsione del futuro
(divinatorie) ma fu sempre rilasciato innocente. Il Codice Vaticano 2264,
è testimonianzapressoché l'unica superstitedell'impegno speculativo di Matteo
Tafuri. Da questo capostipite molti furono i Tafuri medici o
giureconsulti che da Soleto trasferirono poi la loro residenza a GallipoliNardò
e LecceGalatone.Così troviamo nel "Liber baptesimorum" dell'Archivio
Parrocchiale di Soleto un Clericus Phisicus Honofrius Taphurus filius
eccellentissimi Doctori Francisci che nel 1670 è padrino al battesimo di Diego
Carrozzini. Il pronipote di Onofrio, Vincenzo Maria fu sindaco di Gallipoli nel
1789 mentre il fratello di Onofrio, dottore in giurisprudenza, visse presso la
corte di Napoli dove morì nel 1699. Svariati giureconsulti, medici e sindaci a
Lecce e Galatone. Ricordiamo, non per ultimo, fra Diego da Lequile (al secolo
Diego Tafuri 1604-1673). Note
Manni, La guglia di...30 Luigi Galante, Matteo Tafuri. Nuove rivelazioni
da un manoscritto secentesco, pag.12, in 'Il filo di aracne' Galatina,
Manni, La guglia, l'astrologo..., p.41
Bernari42 Istoria scrittori Regno
di Napoli G.B.Tafuri. Bernari. Bernari, A., Il mago di Soleto: Matteo Tafuri,
Milano, 2009. De Tommasi, G.B., Matteo Tafuri in "Biografia degli uomini
illustri del Regno di Napoli" tomo VIII, Napoli, 1822. del Balzo di
Presenzano, A., I del Balzo ed il loro tempo, Napoli, 2003. Manni, L., Guida di
Soleto, Galatina, 1992. Manni, L., La guglia di Soleto, Galatina, 1994. Manni,
L., La guglia, l'astrologo, la macàra, Galatina, Montinari, M., Soleto, Fasano,
Tafuri, G.B., Istoria degli Scrittori del Regno di Napoli, Napoli, 1D. Bacca
"Personaggi del sole culturale", Lecce 2008 Alchimia Galatina Giovanni Battista Della
Porta Orsini Orsini Del Balzo Guglia di Raimondello Soleto.
Filippo Tarantino (Gravina), filosofo.. In
ambito filosofico è noto per i suoi studi sul filosofo Giuseppe Tarantino, col
quale è imparentato, e per aver fondato insieme a Gerardo Marotta la sezione
dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli (intitolata a
Giuseppe Tarantino) di cui è stato anche presidente[senza fonte]. Come
scrittore, ha anche scritto alcuni saggi su temi quali la pedagogia, la
psicologia e l'Umanesimo. Indice 1Biografia 2Cariche ricoperte
3Opere 4Note 5 6 Biografia Filippo Tarantino nasce nel 1943. Dopo la laurea in
storia e filosofia, diviene insegnante delle stesse materie per i licei
italiani; in particolare, insegnerà al liceo scientifico Federico II di Svevia
di Altamura dove uno dei suoi studenti sarà l'attore Sergio Rubini. Nel
1991 viene nominato dirigente scolastico del Liceo classico Luca de Samuele
Cagnazzi di Altamura, portando la scuola al più alto numero di studenti mai
raggiunto. Manterrà la carica fino al raggiungimento della pensione, avvenuta
agli inizi degli anni . Nel , in qualità di dirigente scolastico, si recò
a Tokyo, in Giappone insieme a sua moglie per una "visita preparatoria di
incontro tra scuole". Durante la sua permanenza si verificò un violento
terremoto, che gli causò paura e notevoli disagi con un volo di ritorno pagato
4000 euro e un'assistenza a quanto pare insufficiente da parte delle autorità
consolari del posto. Cariche ricoperte Dirigente scolastico del Liceo
classico Luca de Samuele Cagnazzi (1991- inizi anni ) Presidente di
circoscrizione del Lions Club Puglia Consigliere di Club del Lions Club
Altamura Host Presidente dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (IISF)
di Napoli[senza fonte] Opere Speranze e proposte formative nel primo Novecento.
La lezione di Giuseppe Tarantino, Bari, 1995. Dietro la ruota. Infanzia
pregiata, Levante, Lezioni di volo, Bari, L'inconscio e la coscienza nel pensiero di
Giuseppe Tarantino, Bari, . L'Umanesimo mediterraneo. Orizzonte
storico-culturale per la costruzione di una cittadinanza cosmopolita, , Storia
antica e moderna dell'Ordine del Tempio, Nisroch, L'Umanesimo scientifico di
Giuseppe Tarantino, Aracne Editrice, Note //aracneeditrice.it/index.php/autori.html?auth-id=407986
//teatro.liceocagnazzi.edu.it/storia-della-rassegna/
altamuralife.it/notizie/la-testimonianza-di-un-gravinese-in-giappone-durante-il-terremoto/
lions108ab.it/wp-content/uploads//06/Rivista-Lions-numero-4.compressed.pdf lions.it/data/club.php?id=21110 Giuseppe Tarantino Liceo classico Luca de
Samuele Cagnazzi Sito web ufficiale e
blog di Filippo Tarantino
Tarantino: Giuseppe Tarantino (Gravina),
filosofo. Docente a Pisa. Nacque da Filippo Tarantino, nobile locale, e
Arcangela Maria Letizia Spagnuolo.
Studiò nel ginnasio della sua città, sotto la guida dello zio materno
Nicola. Compì gli studi superiori a Pisa, dapprima come studente all'università
della stessa città e successivamente come allievo della Scuola normale
superiore di Pisa. Iniziò gli studi sotto la guida di Francesco Fiorentino. A
ventidue anni conseguì la laurea in Lettere e Filosofia e seguì a Napoli il
maestro Fiorentino fino alla sua morte, nel 1884. In sua memoria dedicò al suo maestro il suo
primo libro, intitolato I Saggi Filosofici e pubblicato nel gennaio; nello
stesso anno ottenne la docenza in filosofia teoretica. Inizia ad acquisire
notorietà grazie ai saggi critici che pubblica sul Giornale Napoletano. Nel
1887 ottiene la cattedra di filosofia nel Liceo Antonio Genovesi di Napoli. Per
ben dieci anni, lavorò all'opera Saggio sulla Volontà, pubblicato nel 1897.
Ebbe anche una breve relazione con la fiorentina Bice, anche se era
sentimentalmente legato ad un'altra donna di Gravina, conosciuta a Napoli, alla
quale dedicò particolare cura. Dopo aver vinto il relativo concorso, gli fu
assegnata la cattedra di filosofia teoretica all'Palermo, ma per motivi
sentimentali vi rinunciò. Insegnò dal
1886 al 1888 al Liceo Marciano, anno in cui ottiene la cattedra di filosofia
nel Liceo Genovesi. Per un periodo abbandonò la sua relazione sentimentale per
ritornare a lavorare sulle sue opere. Agli inizi del Novecento, vinse il
concorso per la cattedra di filosofia morale dell'Pisa e questa volta accettò.
A Pisa insegnò anche alla Scuola di Pedagogia, dove tra i suoi insegnanti
figurò anche il futuro ministro Giovanni Gentile. La sua notorietà crebbe
sempre più grazie ad alcuni suoi saggi critici pubblicati sulla Rivista di
Filosofia Scientifica di Morselli, il più noto dei quali è su Locke. Tra i suoi ex-studenti di Pisa più noti
figurano Enrico De Nicola e il marchese Francesco Dentice di Accadia, prefetto
di Pisa. Nell'ultima parte della sua vita tornò nella sua città natale Gravina
in Puglia, dove visse nella casa di un nipote suo omonimo che aveva studiato
sotto la sua egida a Pisa. Nel 1947 donò alla biblioteca "Ettore Pomarici
Santomasi" di Gravina in Puglia una parte cospicua dei suoi libri. A lui è stato intitolato il liceo scientifico
della sua città natale Gravina in Puglia.
Opere: Appunti di Filosofia ad uso dei giovani del Liceo, Filippo Toso,
Aversa. Saggi filosofici, Napoli, Vincenzo Morano. Studio storico su Giovanni
Locke, in Rivista di Filosofia, II, Milano-Torino, F.lli Dumolard, 1886. Saggio
sul criticismo e sull'associazionismo di Davide Hume, Napoli, Vincenzo Morano, In morte di Michelangelo Calderoni, Vecchi,
Trani, Saggio sulla volontà, Napoli, Tip. editrice F. di Gennaro e A. Morano. In morte di Antonietta Cagiati, nella necrologia
per Gaetano e Antonietta Cagiati, Napoli. Saggio sulle idee morali e politiche
di Tommaso Hobbes, Napoli, Tip. F. Giannini & Figli, Il problema della morale di fronte al
positivismo e alla metafisica, Pisa, Tip. A. Valenti, 1901. Il principio
dell'etica e la crisi morale contemporanea, Napoli, A. Tessitore & figlio, Il concetto dello stato ed il principio di
nazionalità, Napoli. Discorso preposto alle traduzioni dal latino, dall’inglese
e dal francese di G. Sottile. Napoli. Leonardo da Vinci e la scienza della
natura. Nel centenario di L. da Vinci, La politica e la morale. Discorso ,
Pisa, Tipografia editrice cav. F. Mariotti, Sulla riforma universitaria, in «Rivista di
filosofia». Cfr. Gabriele Turi, Giovanni
Gentile: una biografia, Firenze, Giunti, (Parzialmente consultabile in Google
Libri.) tarantino-inconscio-, tarantino-inconscio-, tarantino-inconscio-, Filippo
Tarantino, Liborio Dibattista, Rosalba Pappalardi e Angelo Recchia-Luciani,
L’inconscio e la coscienza nel pensiero di Giuseppe Tarantino , Filippo
Tarantino, Mario Adda Editore, Filippo Tarantino, Speranze e proposte formative
nel primo Novecento. La lezione di Giuseppe Tarantino, Bari, Levante, Beniamino
D'Amato, Orazione funebre in onore di Giuseppe Tarantino . Filippo Tarantino Scheda biografica nel sito del Liceo statale
Giuseppe Tarantino di Gravina in Puglia.
Tari Antonio: Antonio Tari (Villa Santa
Maria Maggiore), filosofo. Epigrafe situata alla destra del portone d'ingresso
del palazzo dove nacque Antonio Tari Di famiglia originaria di Terelle, nel
Frusinate, nacque in un palazzo seicentesco della non distante Villa Santa
Maria Maggiore, l'odierna Santa Maria Capua Vetere, anch'essa rientrante in
Terra di Lavoro, da un impiegato che si trovava lì di passaggio . Il palazzo natìo,
conosciuto come palazzo Mazzocchi, ove aveva schiuso gli occhi anche
l'archeologo Alessio Simmaco Mazzocchi , era situato nell'allora strada della
Croce, l'odierna via Mazzocchi, ed è oggi gravemente degradato. Studiò a
Montecassino, dove conobbe Silvio Spaventa. Nel 1830 si trasferì a Napoli dove
si laureò in giurisprudenza e iniziò la professione di avvocato . Ben
presto però all'avvocatura preferì la filosofia, la letteratura e la musica,
unendosi all'amico Spaventa, a Cusano, a Francesco de Sanctis e ad altri
pensatori liberali dell'epoca e collaborando a vari giornali letterari
partenopei. Nel 1861 fu eletto deputato per il collegio di S. Germano, ma
rifiutò il mandato per dedicarsi all'insegnamento. Infatti lo stesso anno era
entrato per concorso nella Regia Napoli, divenendo il primo cattedratico di
estetica in Italia, nello stesso periodo in cui vi insegnavano anche Francesco
de Sanctis, Luigi Settembrini, Silvio Spaventa e Giovanni Bovio . Vi insegnò
per oltre un ventennio, fino alla sua morte. Si dedicò a vari rami della
filosofia e delle scienze del linguaggio, traducendo anche, per la casa
editrice Detken, opere di autori stranieri all'epoca non molto noti come Leon
Brothier , Sigismond Zaborowski-Moindron
e Eugene Noel , traduzioni pubblicate tra il 1881 e il 1885. Il
suo sistema estetico, variamente criticato, in particolare per la scarsa
originalità, si caratterizzava per una vivacità espressiva, con ricche e
talvolta variopinte esemplificazioni, che peraltro ne resero celebri e molto frequentate
le lezioni universitarie. Parte significativa dei suoi studi filosofici fu
pubblicata postuma. Il filosofo “giullare di Dio” Benedetto Croce, nei
saggi critici della Letteratura della Nuova Italia, definì Tari «giullare di
Dio», vale a dire, per riprendere le parole dello stesso Croce, il «lieto
giullare della filosofia». Il pensatore abruzzese spiegava, al riguardo, che
Tari non ebbe mai nemici, riuscendo a farsi ben volere sia dagli amici sia
dagli avversari, che «prendeva a braccetto, e li menava a spasso con sé,
divertendosi a contradirli e a sentirsi contradetto». Quasi ad avallare
la definizione sopra riportata, il pensatore abruzzese ebbe anche a rilevare
che la bizzarra genialità di Tari «gli faceva trovare piacere nei ravvicinamenti
e collegamenti più disparati e più comici: della frase sublime con la
scherzosa, del ricordo solenne con l'aneddoto salace, del linguaggio latino o
del tedesco col vernacolo napoletano. Parla in gergo, ma in gergo che è
quintessenza di cultura e stravagante miscuglio di elementi geniali» . A
proposito dell'opera "Manuale di estetica" del Tari (inedita), Croce
disse: «Filosofo di professione ed uomo di dottrina enciclopedica,
nonostante tutta la sua perizia filosofica, la sua sterminata dottrina e il suo
molto acume, il Tari fu soprattutto un bizzarro artista. La sua concezione
metafisica non gli concedeva una trattazione veramente logica dei problemi. Ma
la sua personalità, vibrante di commozione innanzi alle opere dell'arte,
riboccante di entusiasmo, dotata di bontà e di nobiltà di sentire, gli ispirava
pagine che sono di una specie assai rara nella nostra letteratura.»
Musica ed Estetica L'essenza giocosa si mischiava, confondendosi, con
un'acuta critica, che si rivolgeva a tutti i campi in cui l'estetica si
sostanziava e, in particolare, ad una delle “arti” al quale Tari era più
attratto: la musica. Tra il serio e il faceto, infatti, il filosofo, dopo
aver pubblicato nel 1879 un interessante studio critico su Serietà e ludo,
compose un saggio musicale, con tanto di note, dal titolo in tal senso
emblematico di Lezioni di estetica generale . Questo indirizzo lo portò
ad occuparsi, scrivendone nel 1883, anche sulla celebre pastorale di Beethoven
. Opere principali: “Estetica ideale, Tip. del Fibreno, Napoli. Ente
spirito e reale. Confessioni filosofiche, Stamperia della Regia Università,
Napoli 1872; Opera, melodramma, dramma: nota critica, Tip. della Regia
Università, Napoli 1878; Serietà e ludo: saggio critico, Tip. della Regia
Università, Napoli; Saggi di critica, con prefazione di R. Cotugno, Tip.
Vecchi, Trani 1886; Saggi di estetica e metafisica, B. Croce, Laterza, Bari;
Estetica esistenziale, M. Leotta, Morano, Napoli L'estetica reale, F. Solitario, Prometheus,
Milano. A. Lauri, Dizionario dei cittadini notevoli di Terra di Lavoro antichi
e moderni, Arnaldo Forni Editore, Bologna (ed. or. Sora 1915). A. Perconte Licatese, Alessio Simmaco
Mazzocchi, Ed. Spartaco, Santa Maria Capua Vetere, A. Perconte Licatese, Santa Maria di Capua.
Storia e monumenti della città di Santa Maria Capua Vetere, II, Tip. Stampa Sud, Curti. A. Lauri L.
Brothier, Storia popolare della filosofia, trad. di A. Tari, Detken, Napoli. S. Zaborowski-Moindron, Origine del
linguaggio, trad. di A. Tari, Detken, Napoli. E. Noel, Voltaire e Rousseau,
trad. di A. Tari, Detken, Napoli. B. Croce, La letteratura della Nuova Italia.
Saggi critici, I, Laterza, Bari A. Tari,
Lezioni di estetica generale, C. Scamaccia-Luvara, Tocco, Napoli A. Tari,
Beethoven e la sua sinfonia pastorale. Saggio critico, Tip. della Regia
Università, Napoli Benedetto Croce, La letteratura della nuova Italia. Saggi critici, I, Laterza, Bari. Massimo Leotta, La
filosofia di Antonio Tari, Istituto Italiano per gli Studi Storici, Napoli. Francesco
Solitario, Antonio Tari nella "Critica" di Benedetto Croce.
Contributo per un recupero, Prometheus, Milano 1998. Francesco Solitario ,
L'Estetica di Antonio Tari e la cultura filosofica meridionale del suo tempo,
Prometheus, Milano. Antonio Tari, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Antonio
Tari, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Antonio Tari, Antonio Tari, su storia.camera.it, Camera dei deputati. , «Tari, Antonio» in Dizionario di filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Archivi di Teatro Napoli, Foto di
Antonio Tari su cir.campania.beniculturali.it.
Tartarotti: Girolamo Tartarotti (Rovereto),
filosofo. Chiamato anche Gerolamo Tartarotti, divenne famoso per aver
contrastato i processi contro le streghe e per aver osteggiato la devozione per
il vescovo del XII secolo Adelpreto, mettendone in discussione santità e
martirio. Girolamo Tartarotti nacque a Rovereto dal giureconsulto
Francesco Antonio e da Olimpia Camilla Volani, discendente dell'antica famiglia
dei Serbati. Impersonò la figura dell'intellettuale che non si lascia
limitare dal luogo nel quale nasce, cioè nel Trentino, lontano dai grandi
centri culturali del tempo. Egli seppe anzi sfruttare le opportunità e le
peculiarità della città di Rovereto, al confine tra mondo tedesco e italiano,
in un periodo storico nel quale rifiorirono i commerci e i rapporti economici,
grazie al suo trovarsi su una delle principali vie di comunicazione in Europa.
Suo merito fu la capacità di saper tessere legami con intellettuali italiani e
stranieri che risiedevano a Venezia, Roma, Salisburgo, Torino, Brescia, Vienna,
Innsbruck. Utrecht e Parigi. Studiò inizialmente nell'Imperial Regio
Ginnasio di Rovereto e poi continuò come autodidatta. Si interessò di
filosofia, che seguì presso l'Padova sino a quando difficoltà economiche
familiari non lo obbligarono a tornare nelle città natale. Al suo ritorno
si interessò personalmente per far insediare nella Città della Quercia la
stamperia del tipografo veronese Pierantonio Berno e, nel 1730, fondò la prima
accademia cittadina, l'Accademia dei Dodonei. Compì viaggi a Verona, dove
conobbe Scipione Maffei e altri studiosi, poi ad Innsbruck, dove rimase alcuni
mesi come precettore, e in seguito si trasferì a Roma, come segretario del
Cardinale Domenico Silvio Passionei. Casa dove abitò Girolamo
Tartarotti, in Via Garibaldi 61, a Rovereto, prima di trasferirsi in Via della
Terra Dal 1730 al 1751, durante le sue permanenze roveretane, visse nella stessa
casa dove abitavano Giuseppe Valeriano Vannetti e Bianca Laura Saibante, e dove
questi iniziarono a tenere un vivace salotto letterario che portò,
probabilmente su ispirazione dello stesso Tartarotti, alla nascita
dell'Accademia degli Agiati.[nota 1] Il soggiorno romano fu relativamente
breve, per contrasti col Cardinale, quindi fece ritorno a Rovereto. Nel 1739,
morì il fratello Jacopo, e nel 1741 si trasferì a Venezia, come collaboratore
del futuro Doge Marco Foscarini. Nel 1743 ebbe discussioni anche con Foscarini
e tornò ancora una volta a Rovereto, da dove non si allontanò più. I
viaggi di Girolamo Tartarotti furono in definitiva relativamente pochi e di
breve durata, e trascorse la maggior parte della sua vita matura a Rovereto. Si
dimostrò poco propenso ad accettare l'aiuto di ricchi mecenati che lo avrebbero
limitato nella sua libertà e approfittò delle occasioni che gli venivano
offerte lontano dalla sua città per comprare libri o incontrare altri
studiosi. Lo studioso Sin dagli anni giovanili Tartarotti si dedicò agli
studi letterari interessandosi della poesia toscana e scrivendo egli stesso
varie composizioni poetiche. Approfondì tematiche della filosofia scolastica e
scrisse trattati critici nei confronti di questa. Collaborò con Angelo Calogerà
per la sua Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, e venne in polemica
con Trento dimostrando, in una sua pubblicazione, che la città tridentina
divenne sede episcopale solo nel IV secolo e non al tempo dei primi
apostoli. Nel 1749 pubblicò Congresso notturno delle Lammie, la sua opera
più nota, nella quale dichiarò inesistente la stregoneria come la si voleva
descrivere al suo tempo, e questo sulla base della logica, della scienza e
della stessa ortodossia dei cattolici. Collaborò con Ludovico Antonio
Muratori pubblicando nel suo venticinquesimo tomo dei Rerum Italicarum
scriptores le sue conclusioni relative alla cronaca di Andrea Dandolo e
correggendone le fonti nelle sue basi documentarie. Durante i suoi ultimi
anni continuò nelle indagini storiche alla quali aveva dedicato gran parte
della sua vita e arrivò a dimostrare, ad esempio, che era sbagliata la
venerazione dei trentini per Adelpreto, Vescovo di Trento. La sua tesi era
spiegata nella Lettera intorno alla santità e martirio di Alberto vescovo di Trento,
del 1754. Uno dei suoi ultimi lavori, sempre legato a questo tema: Notizie
istorico-critiche intorno al B.M. Adalpreto vescovo di Trento venne messa al
rogo su disposizione del principe vescovo Francesco Felice Alberti di Enno nel
1761. Intanto la salute di Girolamo Tartarotti peggiorava, e lo studioso morì
il 16 maggio dello stesso anno, senza sapere del suo libro bruciato a Trento.
Fu sepolto nella chiesa arcipretale di San Marco dove una targa a lato della
porta d'ingresso lo ricorda. La biblioteca Sempre amante dei libri,
quando non gli fu possibile viaggiare per acquistarli personalmente si affidò a
contatti che col tempo divennero per lui preziosi per procurarseli. A Verona
poté contare su Ottolino Ottolini, a Brescia su Gianmaria Mazzucchelli, a
Modena su Ludovico Antonio Muratori e a Venezia su Gian Rinaldo Carli. A
Rovereto fu molto vicino a Giuseppe Valeriano Vannetti, dal 1750 segretario
dell'Accademia Roveretana degli Agiati, e anche da lui ebbe aiuti per procurasi
i testi dei quali aveva bisogno per i suoi studi. Al Vannetti fu legato anche
per altri motivi, essendo stato per vari anni precettore di Bianca Laura
Saibante, futura moglie di Giuseppe Valeriano, e del fratello di lei,
Francesco. Il Tartarotti si procurò libri anche grazie a donazioni,
eredità e prestiti. Al momento della sua morte, per esplicita volontà
testamentaria, la sua ricca biblioteca venne donata all'Ospedale dei Poveri
Infermi di Loreto, retta dalla Confraternita dei Santi Rocco e Sebastiano. La
Confraternita tuttavia, poco dopo, decise di metterla in vendita, offrendola
per primo al Comune di Rovereto. In quell'occasione Giuseppe Valeriano
Vannetti e Francesco Saibante si spesero affinché tale importante
acquisizione culturale per Rovereto avesse successo, e l'atto di compravendita
venne registrato il 22 gennaio 1764. La prima biblioteca pubblica a
Rovereto Nel 1764, tre anni dopo la morte di Tartarotti, venne così creata la
prima biblioteca aperta al pubblico a Rovereto. Le intenzioni dello studioso
non furono queste, tuttavia fu proprio il nucleo dei suoi testi ad essere
destinato a questa importante iniziativa culturale, perché sino a quel momento
esistevano in città solo biblioteche appartenenti a privati, come ad esempio
quella dei Rosmini, dei Vannetti, dei Saibante, oppure conservate in conventi;
si stava formando anche quella dell'Accademia Roveretana degli Agiati,
sicuramente molto importante, ma nessuna di queste destinata alla consultazione
di chiunque. Il totale delle opere appartenenti a Tartarotti che confluì
nella biblioteca ammontava originariamente a 2.027 volumi e a 13 manoscritti.
Per quanto riguarda i luoghi di pubblicazione dei volumi, quasi il 30% di essi
proveniva da Venezia. I volumi raccolti durante tutta la vita da Girolamo
Tartarotti costituirono così il primo nucleo della Biblioteca Civica di
Rovereto, che in seguito fu a lui dedicata. Tartarotti e gli agiati Lo
studioso, come sopra ricordato, fu molto attivo a Rovereto e si spese per
portare una maggior apertura culturale in città facilitando l'arrivo di un
tipografo, fondando l'Accademia dei Dodonei, svolgendo il ruolo di precettore
per due dei fondatori dell'Accademia Roveretana degli Agiati, ma non divenne
mai un socio di quella istituzione. Le ragioni del suo rifiuto di far parte
di quell'Accademia, che pure rispondeva a molte delle esigenze che sentiva
anche sue, furono diverse. La principale fu la forte inimicizia con Scipione
Maffei, e il fatto che l'uomo di lettere veronese fosse entrato tra i primi
come socio aggregato dell'associazione. Questo fece sì che non partecipasse
alle riunioni del nascente sodalizio culturale roveretano. Opere
Casa di Girolamo Tartarotti, in via della Terra 15, a Rovereto Si riporta qui
una piccola selezione di alcuni lavori di Girolamo Tartarotti, da non
intendersi come fonti di questa pagina ma come approfondimento e
confronto. Ragionamento intorno alla poesia lirica Toscana, Delle disfide
letterarie, o sia pubbliche difese di conclusion, De auctoribus ab Andrea Dandulo laudatis in
Chronico Veneto, Apologia del Congresso notturno delle Lammie, Memorie antiche
di Rovereto e dei luoghi circonvicini (1754) Apologia delle Memorie antiche di
Rovereto (1758) Lettera seconda di un giornalista d'Italia ad un giornalista
oltramontano sopra il libro intitolato: Notizie istorico-critiche intorno al
b.m. Adalpreto Vescovo di Trento, Alcune opere pubblicate nella Raccolta
d'opuscoli scientifici e filologici curata da Angelo Calogerà: Relazione
d'un manoscritto dell'Istoria manoscritta di Giovanni Diacono veronese, Dissertazione
intorno all'arte critica (1740) Lettera al sig. N.N. intorno alla sua tragedia
intitolata il Costantino (1741) Lettera intorno alla differenza delle voci
nella lingua italiana (1745) Alcune opere pubblicate postume:
Osservazioni sopra la Sofonisba del Trissino con prefazione del cav. Clementino
Vannetti, La conclusione dei frati francescani riformati (postumo, Annotazioni
al Dialogo delle false esercitazioni delle scuole d'Aonio Paleario. Annotazioni Ipotesi avanzata da Gianmario Baldi, Direttore
della Biblioteca civica G. Tartarotti e membro dell'Accademia Roveretana degli
Agiati G.Baldi, p.50. Fonti M.Farina, 9-14. Mostra Tartarotti, p.4. Mostra Tartarotti, p.11. Lodovico Antonio Muratori, Rerum Italicarum
scriptores. Mediolani, ex typographia Societatis Palatinae in Regia Curia, Tartarotti,
(check). R.Trinco, Mostra Tartarotti, Mostra Tartarotti, Mostra Tartarotti, Mostra Tartarotti, Sito Biblioteca Civica G.
Tartarotti, su bibliotecacivica.rovereto.tn.it, Comune di Rovereto. 23 giugno
. Gianmario Baldi, La Biblioteca civica
Girolamo Tartarotti di Rovereto: contributo per una storia, Calliano,Trento,
Manfrini, Marino Berengo, La letteratura italianaStoria e testi" XLIVtomo
I, Milano-Napoli, Ricciardi, 1978. Leonardo Franchini, Adversum malleum
maleficarum, biografia del filosofo pre-illuminista roveretano Girolamo Tartarotti,
Rovereto, Stella, Nicola Cusumano, Ebrei e accusa di omicidio rituale nel
Settecento. Il carteggio tra Girolamo Tartarotti e Benedetto Bonelli
(1740-1748), Milano, Unicopli, . Marcello Farina, Antonio Rosmini e l'Accademia
degli Agiati, Brescia, Morcelliana Edizioni, testi di Serena Gagliardi, Elena
Leveghi e Rinaldo Filosi, La Biblioteca di Girolamo Tartarotti: intellettuale
roveretano del Settecento : Rovereto, Palazzo Alberti, Rovereto, Provincia
autonoma, Servizio beni librari e archivistici,Comune di Rovereto, Biblioteca
civica G. Tartarotti, 1995,
88-86602-03-0. Renato Trinco, San Marco in Rovereto : la chiesa
arcipretale tra storia, arte e devozione, Mori, La grafica, Accademia
Roveretana degli Agiati Bianca Laura Saibante Biblioteca civica G. Tartarotti
Clementino Vannetti. Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Girolamo
Tartarotti, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Girolamo Tartarotti, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Girolamo Tartarotti, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Girolamo Tartarotti.
Tataranni: Onofrio Tataranni (Matera),
filosofo. Lucano di origine, fu esponente dell'Illuminismo napoletano. Nacque
in Basilicata, a Matera, da Angelo Bruno e Nunzia Pistoia. Non sappiamo a quale
ceto appartenesse la sua famiglia, ma sicuramente essa era fornita dei mezzi
economici e delle relazioni sociali necessarie per avviare il figlio verso la
carriera ecclesiastica: non a caso, quando fu battezzato (il 19 ottobre 1727)
nella Chiesa cattedrale di Matera, i suoi genitori scelsero come padrini i
nobili Giovan Battista Ferraù e Giovanna Cordova. Sin da ragazzo maturò
quella che doveva essere la sua vocazione, tanto che divenne prima allievo e
poi docente del seminario diocesano materano. Sebbene avesse una posizione di
un certo rilievo sia in ambito ecclesiastico, sia in ambito educativo, il
Tataranni non mostrò alcun tentennamento nell'accettare l'invito di Michele
Imperiali, principe di Francavilla, che lo volle a Napoli per affidargli la
direzione della sua Paggeria. Grazie all'incarico conferitogli dal
principe di Francavilla, Tataranni accrebbe ancor di più la stima di cui già
godeva, stringendo rapporti amichevoli con le personalità più illustri ed
autorevoli del tempo, incardinate nella Reale Accademia delle Scienze e Belle
Lettere. Il Tataranni ebbe la possibilità di frequentare proprio tali
stimolanti dibattiti, che del resto avrebbero formato l'humus delle sue future
riflessioni, in qualità prima di Direttore della Paggeria, poi della Scuola
militare del Real Collegio militare, ufficialmente Reale Accademia Militare,
fondata il 18 novembre 1787 e fortemente voluta da re Ferdinando IV, che mostrò
di aderire al generale clima di rinnovamento e consolidamento delle istituzioni
militari del Regno. Proprio in questi anni Onofrio Tataranni ebbe l'onore di
esserne il direttore, partecipando vivamente, dunque, al graduale svilupparsi e
moltiplicarsi dell'alveo della cultura politica riformatrice, che, negli anni
Ottanta, ancora auspicava un reale cambiamento all'interno dello stesso
apparato monarchico. Così, nell'arco di un settennio, pubblicò delle opere
molto significative, in cui era evidente il suo tracciato ideale di
società. Tuttavia, in seguito agli avvenimenti del 1791 e del 1794,
quindi dopo il Concordato e dopo la fallita congiura di Carlo Lauberg, le sue
posizioni rispetto alla politica e allo Stato cambiarono considerevolmente. Con
questa disillusione coincide il silenzio dell'intellettuale materano, che in
quegli anni si limitò, a quanto noto, a proseguire i suoi studi come Direttore.
La delusione, si può ipotizzare, lo spinse a tacere fino alla proclamazione
della Repubblica Napoletana, quandodichiaravasicuro dell'importanza
dell'istruzione del popolo e del “nuovo cittadino”, elaborò il Catechismo
Nazionale pe'l Cittadino, nel quale incoraggiava il popolo a difendere i principi
della Rivoluzione a vantaggio dell'umanità intera. Il catechismo vinse il primo
premio indetto dal governo provvisorio e venne adottato come catechismo
ufficiale della Repubblica Napoletana, pubblicato il 12 febbraio 1799 ebbe il
compito di educare i sudditi a divenire cittadini. Alla caduta della
Repubblica, nel giugno, Tataranni riuscì a porsi in salvo, rifugiandosi a
Matera, nei cui tribunali, in tale periodo, venivano esaminate le posizioni di
ben 1370 «rei di Stato» lucani, 228 dei quali furono condanll'«esportazione» e
sette a morte. Comunque, a Matera il Tataranni poté contare su solide relazioni
interne al locale Capitolo cattedrale, morendovi il 27 marzo 1803.
Pensiero Più volte Tataranni tiene a sottolineare l'importanza della triade
Dio-Ragione-Sentimento, in una sorta di compromesso tra Illuminismo, sensismo e
religione. Inoltre, caratteristica del suo pensiero è una forte
connotazione politica, mirando alla figura del sovrano quale principale esempio
per i sudditi, capace di governare un Regno che si sarebbe dovuto fondare su
solidi valori, legati all'importanza della famiglia, della civiltà contadina e
della piccola proprietà terriera, quest'ultima ottenuta con un giusto ed onesto
lavoro. È da evidenziare come il Tataranni avesse maturato idee di una
peculiare modernità, al punto da convincersi che il passaggio verso una nuova
stagione dell'umanità sarebbe potuto avvenire attraverso la Costituzione di una
«Dieta Universale»: egli sosteneva, infatti, che, ad ogni rappresentante di
questo nuovo organismo, essa avrebbe espresso «i giusti diritti del suo
Monarca», al fine di raggiungere la «felicità comune» e la «pubblica
sicurezza», ponendosi, negli ordini e nelle attività sociali, sull'unica
distinzione del «Merito». Notevole importanza era, poi, assegnata al
ruolo dell'educazione e dell'istruzione, poiché Tataranni affermava
l'importanza dello studio delle humanae litterae, unico mezzo, per i giovani,
per riscoprire i principali temi della letteratura e della filosofia morale
antica ed attualizzarli. Inoltre, egli si faceva anche sostenitore
dell'istruzione scientifica, dando priorità alla geometria e, ancora una volta,
seguendo il modello greco, suggeriva di avviare gli alunni sin «dall'età più
tenera» al processo educativo, seguendo le direttive di grandi pensatori. Il
sacerdote-riformatore auspicava tutto questo in un contesto socio-economico che
riservasse particolare attenzione all'attività agraria e ad una pratica
religiosa «semplice pura e brieve». Dunque, il Tataranni predicava il ritorno
alla religione delle origini, costruita sull'aiuto reciproco tra gli individui,
in modo che «gli Uomini si rassomiglino in qualche modo all'Ente Supremo
d'infinità Bontà». Pertanto, affermava che i sacerdoti dovessero essere «esenti
dalle Pubbliche Cariche» e che come gli altri uomini dovessero essere soggetti
«alla Giurisdizione dei Giudici Laici nelle loro Cause Civili». Opere La
prima, monumentale, opera del Tataranni fu il Saggio d'un filosofo
politicoamico dell'uomo, pubblicata a Napoli, in cinque tomi, dal 1784 al 1788:
il primo tomo nel 1784, il secondo e il terzo nel 1785, il quarto nel 1786 e il
quinto nel 1788. on la composizione di quest'opera, Tataranni si proponeva di
delineare il suo tracciato ideale di società, confidando nella figura del sovrano.
Infatti, già il titolo dell'opera risulta molto significativo, in quanto
l'autore si presentava come un filosofo con atteggiamento filantropico nei
confronti di Ferdinando IV, al fine di mostrargli la retta direzione per
guidare un giusto governo ed attuare delle riforme interne allo stesso apparato
monarchico, favorevoli alle idee democratiche. La fiducia che Tataranni
riponeva nei riguardi del monarca veniva ancora espressa nel Ragionamento sul
carattere religioso di Carlo III umiliato a Ferdinando IV re delle Due Sicilie,
pubblicato a Napoli nel 1789. Sostanzialmente, si trattava di un panegirico
riferito al padre del sovrano, Carlo di Borbone, che, spentosi l'anno
precedente, veniva proposto come esempio da seguire al suo erede. In tal senso,
egli si rivolgeva ancora pieno di ammirazione nei confronti di Ferdinando IV
nel Ragionamento sulle sovrane leggi della nascente popolazione di S. Leucio
umiliata alla maestà di Ferdinando IV re delle Due Sicilie, pubblicata a Napoli
il 25 luglio 1789. Nella Brieve memoria sull'educazione nazionale della
nobile gioventù guerriera l'autore affrontava il tema, a lui caro come
Direttore di istituti di formazione, dell'educazione dei giovani (1790).
Negli anni Novanta, benché il canonico avesse raggiunto un'età avanzata, non
solo decise di aderire alla Repubblica Napoletana, ma, convinto dell'importanza
che rivestiva la formazione del popolo e del nuovo cittadino, decise di
scrivere, come detto, un Catechismo Nazionale pe'l Cittadino, che fu dato alle
stampe il 12 febbraio 1799. Note
Archivio Diocesano di Matera, Cattedrale, Battesimi Antonio Lerra,
Onofrio Tataranni. Catechismo nazionale pe' l cittadino. Progetto di cultura
politica e ruolo dell'anticoXV. Antonio
LerraXVII. Elvira Chiosi, Lo spirito del
secolo. Politica e religione a Napoli nell'età dell'illuminismo, Napoli,
Giannini, Patrizia Di Maggio, Nunziatella, Castellammare di Stabia, Longobardi
Editore. Antonio LerraXXXVI. Salvatore
Bruno, Onofrio Tataranni e il suo "Catechismo nazionale pe' il cittadino".
Contributo alla storia della Repubblica Partenopea del 1799, in "Studi Meridionali",
Cronache di una rivoluzione: Napoli 1799, FrancoAngeli, Milano, Antonio Lerra,
L'albero e la croce. Istituzioni e ceti dirigenti nella Basilicata del 1799,
Napoli, ESI, Salvatore Bruno, Onofrio Tataranni e il suo "catechismo
nazionale pe' il cittadino" (noterelle di storia napoletana), in Scritti
in onore di Romualdo Trifone, Storia Meridionale, II, Sapri, Ed. del Centro Librario, Salvatore
Bruno, Onofrio Tataranni e il suo "Catechismo nazionale pe' il
cittadino". Contributo alla storia della Repubblica Partenopea del 1799,
in Studi Meridionali, Luciano Guerci, Istruire alle verità repubblicane. La
letteratura politica per il popolo nell'Italia in rivoluzione (1796-1799),
Bologna, il Mulino, 1999. Giovanni Caserta, Onofrio Tataranni. Teologo della
rivoluzione napoletana del 1799, Napoli, Vivarium, Rosaria Capobianco, La
pedagogia dei catechismi laici nella Repubblica napoletana, Napoli, Liguori
Editore, 2007. Antonio Lerra, Onofrio Tataranni. Catechismo nazionale pe' l
cittadino. Progetto di cultura politica e ruolo dell'antico,
Manduria-Roma-Bari, Lacaita, 2006. Antonio D'Andria, Onofrio Tataranni. Un
riformatore napoletano in limine , in Sguardi sul Mezzogiorno in età moderna e
contemporanea, Quaderni eretici | Cahiers hérétiques. Studi sul dissenso
politico, religioso e letterario, fascicolo Illuminismo in Italia Repubblica Napoletana. Storia
della Basilicata Un'analisi dei concetti politici nel Catechismo, su
nuovomonitorenapoletano.it. L'indice ragionato del Filosofo Politico amico
dell'Uomo La Brieve memoria in edizione integrale.
Tasso: Ritratto anonimo del Tasso, intorno
al 1590 Torquato Tasso (Sorrento, 11 marzo 1544Roma, 25 aprile 1595) poeta,
scrittore, drammaturgo e filosofo italiano. Stemma dei Tasso di
Cornello. La sua opera più importante, conosciuta e tradotta in molte lingue, è
la Gerusalemme liberata (1581), in cui vengono cantati gli scontri tra
cristiani e musulmani durante la prima crociata, culminanti nella presa cristiana
di Gerusalemme. Il padre Bernardo
Tasso. Torquato nacque a Sorrento l'11 marzo 1544, ultimo dei tre figli di
Bernardo Tasso, letterato e cortigiano nato a Venezia, ma di antica nobiltà
bergamasca, poi al servizio del principe di Salerno Ferrante Sanseverino del
regno di Napoli, compreso nella monarchia spagnola, e di Porzia de' Rossi,
nobildonna napoletana di origini toscane, pistoiesi da parte paterna e pisane
da parte materna. La primogenita Cornelia era venuta alla luce nel 1537.
Di Sorrento e della «dolce terra natìa» il poeta conserverà sempre un magnifico
ricordo, rimpiangendo «... le piagge di Campagna amene, pompa maggior de
la natura, e i colli che vagheggia il Tirren fertili e molli.»
(Gerusalemme liberata, I, 390-92) Quando Torquato era ancora bambino, il
principe di Salerno fu bandito dal regno e Bernardo seguì il suo protettore.
All'età di 6 anni si recò in Sicilia e dalla fine del 1550 fu con la famiglia a
Napoli, dove lo seguì il precettore privato Giovanni d'Angeluzzo. Frequentò per
due anni la scuola dei Gesuiti appena istituita e conobbe Ettore Thesorieri con
il quale poi restò in corrispondenza epistolare. Ebbe un'educazione
cattolica e da giovane frequentò spesso il monastero benedettino di Cava de' Tirreni
(dove si trovava la tomba di Urbano II, il papa che aveva indetto la prima
crociata), e ricevette il sacramento dell'Eucaristia quando «non avea anco
forse i nov'anni», come scrisse egli stesso. Due anni dopo la sorella Cornelia,
che nel frattempo si era sposata con il nobile sorrentino Marzio Sersale,
rischiò di essere rapita durante un'incursione ottomana a Sorrento, e questo
rimase impresso nella sua memoria. Guidobaldo II Della Rovere.
Rimase a Napoli fino ai dieci anni, poi seguì il padre a Roma, abbandonando con
grande dolore la madre che fu costretta a rimanere nella città partenopea
perché i suoi fratelli «rifiutavano di sborsarle la dote». Nella città
pontificia fu Bernardo a educare privatamente il figlio, ed entrambi subirono
un grave trauma quando nel febbraio 1556 vennero a sapere della morte di
Porzia, probabilmente avvelenata dai fratelli per motivi d'interesse. La
situazione politica a Roma subì però uno sviluppo che preoccupò Bernardo: era
scoppiato un dissidio tra Filippo II e Paolo IV e gli spagnoli sembravano sul
punto di attaccare l'Urbe. Mandò allora Torquato a Bergamo presso Palazzo Tasso
e la Villa dei Tasso da alcuni parenti e si rifugiò presso la corte urbinate di
Guidobaldo II Della Rovere, dove fu raggiunto dal figlio pochi mesi dopo.
A Urbino Torquato studiò assieme a Francesco Maria II Della Rovere, figlio di
Guidobaldo, e a Guidobaldo Del Monte, poi illustre matematico. In questo
periodo ebbe maestri di assoluto livello quali il poligrafo Girolamo Muzio, il
poeta locale Antonio Galli e il matematico Federico Commandino. Torquato
passava a Urbino solo l'estate, dal momento che la corte trascorreva l'inverno
a Pesaro, dove Tasso entrò in contatto con il poeta Bernardo Cappello e con
Dionigi Atanagi, e scrisse il primo componimento a noi noto: un sonetto in lode
della corte. Bernardo si spostò intanto a Venezia, indiscussa
capitale dell'editoria, per occuparsi della pubblicazione del suo Amadigi. Poco
tempo dopo, quindi, anche il figlio cambiò una volta di più città, stabilendosi
in laguna nella primavera del 1559. Sembra che proprio a Venezia, non ancora
sedicenne, abbia cominciato a mettere mano al poema sulla prima crociata e al
Rinaldo. Il Libro I del Gierusalemme (conservato dal Codice vaticano-urbinate
413) fu scritto dietro consiglio di Giovanni Maria Verdizzotti e Danese
Cataneo, due poeti mediocri che allora frequentava e che già avevano scorto nel
Tasso un talento straordinario. Periodo universitario Sperone
Speroni Nel novembre 1560 Torquato si iscrisse per volere paterno alla facoltà
di legge dello Studio patavino, raccomandato a Sperone Speroni, la cui casa
frequentò più delle aule universitarie, affascinato dalla vastissima cultura
dell'autore della Canace. Tasso non amava la giurisprudenza, tanto che
attendeva più alla produzione poetica che allo studio del diritto. Così, dopo
il primo anno ottenne dal padre il consenso per frequentare i corsi di
filosofia ed eloquenza con illustri professori tra cui spicca il nome di Carlo
Sigonio. Quest'ultimo rimarrà un modello costante per le dissertazioni teoriche
tassesche futureprime fra tutte quelle dei Discorsi dell'arte poetica, in cui
si nota anche l'influsso dello Speronie lo avvicinò allo studio della Poetica
aristotelica. È in quest'epoca che si colloca il primo innamoramento del
ragazzo, già molto sensibile e sognatore. Il padre era stato introdotto nella
corte del cardinale Luigi d'Este, e nel settembre 1561 si era recato col figlio
a fare la conoscenza dei familiari del suo protettore. Torquato conobbe
nell'occasione Lucrezia Bendidio, dama di Eleonora d'Este, sorella di
Luigi. Lucrezia, quindicenne, era molto bella ed eccelleva nel canto,
anche se era piuttosto frivola. Avendo notato un interessamento della
fanciulla, Tasso cominciò a dedicarle rime petrarcheggianti, ma dovette presto
essere ricondotto alla realtà, poiché nel febbraio 1562 scoprì che la ragazza
era promessa sposa al conte Baldassarre Macchiavelli. Non si arrese,
continuando a cantarla in poesia, ma dopo le nozze si lasciò andare al
risentimento e alla delusione. Intanto, l'entourage cominciava ad
avvedersi del talento del Tassino (come veniva chiamato per essere distinto dal
padre), e nel 1561 e 1562 gli furono commissionate delle rime per alcuni
funerali. Confluendo in due raccolte, furono le prime poesie pubblicate da
Torquato. Ancora più notevoli erano gli sforzi prodigati per il Rinaldo,
composto in soli dieci mesi e dedicato a Luigi d'Este. Il poema epico
cavalleresco, incentrato sulle avventure del cugino di Orlando, fu stampato a
Venezia nel 1562 e contribuì a diffondere il nome di Tasso, che aveva ancora
soltanto diciotto anni. Il padre intanto lo aveva messo nel 1561 al
servizio del nobile Annibale Di Capua, e il duca d'Urbino gli aveva procurato
una borsa di studio di cinquanta scudi annui per permettergli di continuare i
corsi universitari. Dopo due anni a Padova, Tasso proseguì gli studi
all'Bologna, ma durante il secondo anno di permanenza nella città felsinea, nel
gennaio 1564, fu accusato di essere l'autore di un testo che attaccava pesantemente,
con una satira sferzante, alcuni studenti e professori dello Studio. Espulso e
privato della borsa di studio, fu costretto a ritornare a Padova, dove poté
beneficiare dell'ospitalità di Scipione Gonzaga, che gli fornì il necessario
per continuare il percorso di formazione. Ritrovò tra i maestri Francesco
Piccolomini e seguì le lezioni di Federico Pendasio. In casa del principe
Gonzaga era appena stata istituita l'Accademia degli Eterei, ritrovo di seguaci
dello Speroni che miravano alla perfezione della forma, non senza scadere
nell'artificiosità. Tasso vi entrò assumendo il nome di Pentito e leggendovi
molti componimenti, tra cui quelli scritti per Lucrezia Bendidio e per una
donna che la critica ha per lungo tempo identificato in Laura Peperara.
Secondo questa versione Torquato conobbe Laura nell'estate del 1563, quando
aveva raggiunto a Mantova Bernardo, nel frattempo messosi al servizio del duca
Guglielmo Gonzaga. La delicatezza nei modi della giovane fece dimenticare
presto al Nostro le ancor fresche pene amorose per Lucrezia Bendidio. Lo
spirito del Petrarca rivisse allora nelle liriche del ragazzo nuovamente
innamorato. L'anno dopo, rivedendola, fu però deluso, e pur continuando a
cantarla dovette ben presto rassegnarsi al secondo scacco. Ricerche
recenti hanno tuttavia collocato la nascita della Peperara nel 1563, rendendo
quindi impossibile che fosse lei la seconda musa del Tasso. I due
canzonieri amorosi andarono in parte a finire tra le Rime degli Accademici
Eterei, stampate a Padova nel 1567, assieme ad alcune che scriverà nel primo
anno ferrarese. Si legò anche all'Accademia degli Infiammati. A
Ferrara Torquato Tasso all'eta di 22 anni ritratto da Jacopo Bassano
Nell'ottobre 1565 giunse a Ferrara in occasione del secondo matrimonio (quello
con Barbara d'Austria) del duca Alfonso II d'Este, al servizio del cardinale
Luigi d'Este, fratello del duca, spesato di vitto e alloggio, mentre dal 1572
sarà al servizio del duca stesso. I primi dieci anni ferraresi furono il
periodo più felice della vita di Tasso, in cui il poeta visse apprezzato dalle
dame e dai gentiluomini per le sue doti poetiche e per l'eleganza
mondana. Il cardinale lasciò al Nostro la possibilità di attendere
solamente all'attività poetica, e Tasso poté così continuare il poema maggiore.
Rapporti particolarmente intensi intercorsero con le due sorelle del duca,
Lucrezia e Leonora. La prima era uno spirito libero e incarnava ideali di
vivacità e vitalità, mentre la seconda, malata e fragile, fuggiva la vita
mondana e conduceva un'esistenza ritirata. Per quanto Tasso fosse attratto da
entrambe e per quanto si sia avallata l'ipotesi di una relazione amorosa con
Leonora, la critica tassesca ha concluso che non si andò al di là di forti
simpatie. La ricchezza culturale della corte estense costituì per lui un
importante stimolo; ebbe infatti modo di conoscere Battista Guarini, Giovan
Battista Pigna e altri intellettuali dell'epoca. In questo periodo riprese il
poema sulla prima crociata, dandogli il nome di Gottifredo. Nel 1566 i canti
erano già sei, e aumenteranno negli anni appresso. Nel 1568 diede alle
stampe le Considerazioni sopra tre canzoni di M. G. B. Pigna, dove emerge la
concezione platonica e stilnovistica che il Tasso aveva dell'amore, con alcune
note però affatto peculiari, che lo portavano a ravvisare il divino in tutto
ciò che è bello, e a definire di matrice soprannaturale anche l'amore puramente
fisico. I concetti vennero ribaditi nelle cinquanta Conclusioni amorose
pubblicate due anni più tardi. Compose anche i quattro Discorsi dell'arte
poetica e in particolare sopra il poema eroico, anche se videro la luce
solo nel 1587 a Venezia, per i tipi di Licino. Nell'ottobre 1570 partì
per la Francia al seguito del cardinale e, temendo gli potesse accadere qualche
disgrazia nel lungo e pericoloso viaggio, volle dettare le proprie volontà
all'amico Ercole Rondinelli, richiedendo la pubblicazione dei sonetti amorosi e
dei madrigali, mentre precisava che «gli altri, o amorosi o in altra materia,
c'ho fatti per servizio di alcun amico, desidero che restino sepolti con esso
meco», ad eccezione di Or che l'aura mia dolce altrove spira. Per il
Gottifredo afferma di voler far conoscere «i sei ultimi canti, e de' due primi
quelle stanze che saranno giudicate men ree», il che prova che il numero dei
canti era salito almeno a otto. Intanto, sempre nel 1570, Lucrezia d'Este
sposò Francesco Maria II Della Rovere, compagno di studi di Torquato nel
periodo urbinate. Il soggiorno transalpino fu di sei mesi, ma, siccome
Luigi aveva messo a disposizione del poeta poco denaro, questi trascorse il
periodo francese sostanzialmente nell'ombra, con il solo onore di essere
ricevuto da Caterina de' Medici, la moglie di Enrico II. Di ritorno a Ferrara,
il 12 aprile 1571 decise di lasciare il seguito del cardinale. Credeva
incorrere in miglior fortuna presso Ippolito II, e scese pertanto a Roma. Anche
il cardinale di villa d'Este però lo deluse, e Tasso decise di risalire la
penisola, facendosi ospitare qualche tempo da Lucrezia e Francesco a Urbino,
prima di entrare, nel maggio 1572, al servizio di Alfonso II. In questo
periodo continuò ad attendere al capolavoro, ma si diede anche al teatro, e
scrisse l'Aminta, celebre favola pastorale che rientrava nei gusti delle corti
cinquecentesche. Rappresentata con ogni probabilità il 31 luglio 1573 all'isola
di Belvedere, dov'era una delle «delizie» estensi, ebbe un grande successo e fu
richiesta anche da Lucrezia d'Este a Urbino l'anno successivo. Nell'euforia del
successo, nello stesso 1573 Tasso cominciò a scrivere una tragedia, Galealto re
di Norvegia, ma la abbandonò all'inizio del secondo atto, salvo rimettervi mano
molto più tardi trasformandola nel Re Torrismondo. Il capolavoro e la
revisione L'impegno principale rimaneva comunque il poema epico, per il quale
l'autore non aveva ancora stabilito un titolo. Nel novembre '74 l'opera era
quasi completa, visto che «io aveva comincio quest'agosto l'ultimo canto», ma
si deve aspettare fino al 6 aprile 1575 per avere l'annuncio del completamento
del testo, quando in una lettera al cardinale Giovan Girolamo Albano leggiamo:
«Sappia dunque Vostra Signoria illustrissima, che dopo una fastidiosa
quartana sono ora per la Dio grazia assai sano, e dopo lunghe vigilie ho
condotto finalmente al fine il poema di Goffredo». Completato quindi nel
1575 il poema maggiore, si aprì per Tasso il periodo della nevrosi e del
terrore di aver portato a termine un lavoro non gradito all'Inquisizione,
allora in una fase di rigidità estrema (il concilio di Trento si era concluso da
soli dodici anni). Da una lettera emerge l'inquietudine del poeta: «Qui va pur
intorno questo benedetto romore de la proibizione d'infiniti poeti: vorrei
sapere se ve n'è cosa alcuna di vero».[25] Scipione Gonzaga Tasso
sottopose il testo al giudizio di cinque autorevoli personaggi romanigaranzia
di validi consigli concernenti l'estetica e la moralenevroticamente
insoddisfatto delle proprie scelte estetiche ma principalmente preoccupato,
come s'è visto, dalle questioni religiose. I cinque erano il maestro ed
erudito Sperone Speroni, il principe e cardinale Scipione Gonzaga, il cardinale
Silvio Antoniano, il poeta Pier Angelio Bargeo e il grecista Flaminio de'
Nobili. Torquato condivise in parte i consigli degli illustri letterati,
che gli avevano rivolto critiche di stampo moralistico, ma talvolta li respinse
bruscamente. Ne nacquero missive quasi quotidiane che mettono in luce un autore
intimamente travagliato e continuamente bisognoso di dimostrare (forse
soprattutto a sé stesso) di non trasgredire principi di poetica né tanto meno
di fede. Ossessivo nell'apportare modifiche al testo, era continuamente
combattuto e incerto sul da farsi, al punto che nell'ottobre arrivò a scrivere
al Gonzaga: «Forse a questao condotto finalmente al fine il poema di Goffredo».
Completato quindi nel 1575 il poema maggiore, si aprì per Tasso il periodo
della nevrosi e del terrore di aver portato a termine un lavoro non gradito
all'Inquisizione, allora in una fase di rigidità estrema (il concilio di Trento
si era concluso da soli dodici anni). Da una lettera emerge l'inquietudine del
poeta: «Qui va pur intorno questo benedetto romore de la proibizione d'infiniti
poeti: vorrei sapere se ve n'è cosa alcuna di vero».[25] Scipione
Gonzaga Tasso sottopose il testo al giudizio di cinque autorevoli personaggi
romanigaranzia di validi consigli concernenti l'estetica e la
moralenevroticamente insoddisfatto delle proprie scelte estetiche ma
principalmente preoccupato, come s'è visto, dalle questioni religiose. I
cinque erano il maestro ed erudito Sperone Speroni, il principe e cardinale
Scipione Gonzaga, il cardinale Silvio Antoniano, il poeta Pier Angelio Bargeo e
il grecista Flaminio de' Nobili. Torquato condivise in parte i consigli
degli illustri letterati, che gli avevano rivolto critiche di stampo
moralistico, ma talvolta li respinse bruscamente. Ne nacquero missive quasi
quotidiane che mettono in luce un autore intimamente travagliato e
continuamente bisognoso di dimostrare (forse soprattutto a sé stesso) di non
trasgredire principi di poetica né tanto meno di fede. Ossessivo
nell'apportare modifiche al testo, era continuamente combattuto e incerto sul
da farsi, al punto che nell'ottobre arrivò a scrivere al Gonzaga: «Forse a
questa particolare istoria di Goffredo si conveniva altra trattazione; e
forse anco io non ho avuto tutto quel riguardo che si doveva al rigor de' tempi
presenti [...] E le giuro che se le condizioni del mio stato non
m'astringessero a questo, ch'io non farei stampare il mio poema né così tosto,
né per alcun anno, né forse in vita mia; tanto dubito de la sua riuscita».[26]
Nemmeno l'entusiastica ammirazione di Lucrezia d'Este cui leggeva il poema ogni
giorno «molte ore in secretis»[27], né l'essere venuto a conoscenza del grande
piacere con cui da più parti l'opera veniva letta, poterono placare le sue
angosce.[28] Nel 1576 scrisse Allegoria, con cui rivisitava tutto il
poema in chiave allegorica cercando di emanciparsi dalle possibili accuse di
immoralità. Ma non bastava: gli scrupoli di carattere religioso assunsero la
forma di vere e proprie manie di persecuzione. Per mettere alla prova la
propria ortodossia nella fede cristiana si sottopose spontaneamente al giudizio
dell'Inquisizione di Ferrara, ricevendo nel 1575 e nel 1577 due sentenze di
assoluzione.[29] Barbara Sanseverino Disagi presso la corte estense
e fughe Due belle signore, giunte alla corte nel 1575 e protrattesi presso il
duca fino all'anno dopo, costituirono un intermezzo piacevoleforse l'ultimoin
mezzo a tante preoccupazioni. Per loro, la contessa di Sala Barbara Sanseverino
e la contessa di Scandiano Leonora Sanvitale, cantò gioiosamente in alcune rime
amorose, che, com'era accaduto per Lucrezia e Leonora d'Este, obbediscono alle
conventions de genre e non rivelano altro che una sincera amicizia.[30]
Ma il Tasso si era stancato anche di Alfonso, e sognava diandare a Firenze,
presso la corte medicea. Non è chiaro perché volesse abbandonare Ferrara, ma i
motivi adducibili sono vari e variamente intriganti, e tutti hanno in loro almeno
una parte di verità. «Ch'io desideri sommamente di mutar paese, e ch'io abbia
intenzione di farlo, assai per se stesso può essere manifesto, a chi considera
le condizioni del mio stato»[31], scriveva a Scipione Gonzaga. Le
«condizioni del mio stato» possono avere una valenza materiale: Tasso riceveva
dal duca solo cinquantotto lire marchesane mensili, che sommate alle
centocinquanta percepite in qualità di lettore all'Università (carica che
ricopriva per i soli giorni festivi) danno una cifra sicuramente bassa che a un
poeta ormai affermato doveva parere stretta, anche solo per una questione di
dignità, senza voler pensare a motivazioni di pretta bramosia.[32]
L'espressione tassesca può assumere però anche una connotazione morale e
psicologica: si erano in effetti verificati alcuni episodi spiacevoli presso la
corte estense. Nel 1576 Torquato aveva avuto una lite con il cortigiano Ercole
Fucci. Provocato, aveva rifilato uno schiaffo al Fucci, che in risposta lo
colpì più volte con un bastone. Un servo aveva inoltre rivelato al Tasso
che, durante una sua assenza, un altro cortigiano, Ascanio Giraldini, aveva
fatto forzare la porta della sua camera, nel tentativo di appropriarsi di
alcuni manoscritti. Tasso sarebbe anche riuscito a rintracciare il magnano
ottenendone una confessione, come risulta da un'altra lettera al Gonzaga, in
cui si ipotizzano altre trame ordite alle sue spalle, anche se «io non me ne
posso accertare».[33] A far precipitare il rapporto con il duca e la
corte furono però gli scrupoli religiosi del poeta. Nell'aprile 1577 Tasso si
autoaccusò presso l'Inquisizione ferrarese (dopo l'autoaccusa presso il
tribunale bolognese avvenuta due anni prima[34]), attaccando inoltre influenti
personaggi di corte. Si cercò allora di far desistere il poeta dall'intenzione
di confermare le sue affermazioni negli interrogatori successivi, senza
risparmiargli punizioni corporali che non riuscirono afar cambiare idea al
Tasso, che si presentò altre due volte davanti all'inquisitore.[35] Le
accuseerano rivolte in particolare contro Montecatini, il segretario ducale.
Siccome Torquato voleva recarsi a deporre presso il Tribunale capitolino,
l'inquisitore ferrarese, conscio del fatto che una simile azione poteva mettere
a repentaglio i rapporti con la Santa Sede,vitali per casa d'Esteinformò
immediatamente il duca con una missiva del 7 giugno.[36] Alfonso mise il poeta
sotto sorveglianza, e il 17 giugno Tasso, ritenendosi spiato da un servo, gli
scagliò contro un coltello. Il Castello Estense Tasso rimase nella
prigione del Castello fino all'11 luglio, quando Alfonso lo fece liberare e lo
accolse presso la villeggiatura di Belriguardo, dove però rimase pochi giorni,
venendo rimandato a Ferrara per essere consegnato ai frati del convento di S.
Francesco.[37] Il poeta supplicò allora i cardinali dell'Inquisizione
romana affinché lo sollevassero da una situazione ormai insopportabile
trovandogli una sistemazione nell'Urbe, e nel contempo si lamentava con
Scipione Gonzaga per il trattamento ricevuto, ma pochi giorni dopo si ritrovò
nuovamente nella prigione del Castello. Tentò quindi un'altra via e chiese
invano perdono al suo signore.[38] Tasso era indubbiamente provato dalle
fatiche della Gerusalemme, e le lettere del periodo rivelano un animo inquieto
e agitato, spesso preoccupato di smentire chi voleva vedere in lui i germi
della pazzia. Le manie di persecuzione e l'instabilità si erano impadronite di
lui, ma fino a qual punto? Fino a qual punto invece certe manifestazioni del
poeta, che mantiene nelle missive una lucidità pressoché completa, funsero da
pretesto per emarginare un personaggio divenuto pericoloso? Su questo punto i
critici non sono mai riusciti a trovare un accordo. Intanto la prigionia
el Castello si prolungava, e non restava che la fuga: nella notte tra il 26 e
il 27 luglio si travestì da contadino e fuggì nei campi. Raggiunta Bologna,
proseguì fino a Sorrento, dove, ancora sotto mentite spoglie e fisicamente
distrutto, si recò dalla sorella, annunciandole la propria morte, così da
vedere la sua reazione, e svelandole la sua vera identità solo dopo aver
osservato la reazione realmente addolorata della donna.[39] A Sorrento
rimase parecchi mesi ma, volendo riprendere parte alla vita di corte, fece
inviare da Cornelia una supplica al duca, in data 4 dicembre 1577, chiedendo di
essere riammesso alle sue dipendenze, in un testo che fu certamente dettato,
almeno in parte, dal poeta stesso: «La maggior colpa che io credo sia in lui, è
la poca sicurezza, che ha mostrata d'avere nella parola di V.A., e il molto diffidarsi
della sua benignità».[40] Così, nell'aprile 1578 ritornò a Ferrara, ma,
tempo tre mesi, era di nuovo in fuga; Mantova, Padova, Venezia. Presa la via di
Pesaro, da Cattolica mandò ad Alfonso una missiva in cui cerca di spiegare i
motivi dell'abbandono, che restano, anche nella testimonianza diretta del
Tasso, criptici: «ora me ne dono partito. per non consentire a quello, a che
non dee consentire uomo, che faccia alcuna professione d'onore, o ch'abbia
nell'animo alcuno spirito di nobiltà».[41] Paura, instabilità? Quello che
è certo è che nello stesso mese le parole di Maffio Venierche lo aveva
incontrato a Veneziasembrano far perdere credibilità alle ipotesi di follia:
«sebbene si può dire che egli non sia di sano intelletto, scuopre tuttavia più tosto
segni di afflizione che pazzia».[42] Anche gli scambi epistolari
intrattenuti con Francesco Maria Della Rovere paiono rivelare una personalità
afflitta e agitata più che folle. Il Leitmotiv, adesso più che mai, è il
dolore.[43] Il dolore si fa allora poiesis, creazione. È proprio questo il
periodo in cui vengono composti i versi dell'incompiuta canzone Al Metauro, tra
i più citati e famosi dell'opera tassesca. Qui, in una rievocazione della
propria vita sub specie doloris[44], affiorano i ricordi delle proprie
sofferenze e della morte dei genitori. Il poeta è un esiliato, concretamente e
metaforicamente, sin da quando bambino dovette lasciare il luogo natìo:
«In aspro esiglio e 'n dura povertà crebbi in quei sì mesti errori;
intempestivo senso ebbi a gli affanni: ch'anzi stagion, matura l'acerbità de'
casi e de' dolori in me rendé l'acerbità degli anni» Intanto continuava a
vagare. Percorse a piedi il tratto che separa Urbino da Torino, ma non sarebbe
riuscito a entrare nella cittàera stato respinto dai doganieri perché in
stato pietosose Angelo Ingegneri, amico di Torquato da alcuni anni, non lo
avesse riconosciuto e aiutato a entrare. A Torino ricevette l'ospitalità del
marchese Filippo d'Este, genero del duca di Savoia[45], e godette di una certa
tranquillità che gli permise di comporre poesie e iniziare tre dialoghi, la
Nobiltà, la Dignità e la Precedenza.[43] Prigionia a Sant'Anna In seguito
a nuovi pentimenti e nuove nostalgie della corte ferrarese, il poeta si adoperò
ancora una volta per il rientro nella città ducale, facendo leva sulle
intercessioni del cardinale Albano e di Maurizio Cataneo, e infine riguadagnò
la capitale estense tra il 21 e il 22 febbraio, proprio mentre fervevano i
preparativi per le terze nozze di Alfonso, quelle con Margherita Gonzaga,
figlia del duca di Mantova Guglielmo. Fu ospitato da Luigi d'Este, ma
nessuno badava a lui: «Ora le fo sapere, che io qui ho trovato quelle
difficoltà che m'imaginava, non superate né dal favore di monsignor
illustrissimo, né da alcuna sorte d'umanità ch'io abbia saputo usare», scrisse
a Maurizio Cataneo il 24 febbraio.[46] In una missiva al cardinale Albano,
recante la data del 12 marzo, Tasso chiede almeno gli si faccia riottenere lo
stipendio precedente.[47] A questo punto i fatti precipitano: «Iersera
l'altra si mandò il povero Tasso a Sant'Anna, per le insolenti pazzie ch'avea
fatte intorno alle donne del Signor Cornelio, e che era poi venuto a fare con
le Dame di Sua Altezza, quali, per quanto m'è stato rifferto, furono così
brutte e disoneste, che indussero il Signor Duca a quella risoluzione».[48] Non
è chiaro quando accadesse esattamente il fatto, si oscilla tra l'11 e il 12
marzo, ma è certo che in quest'ultima data il poeta fosse già stato recluso
nella prigione di Sant'Anna.[49] Pare sicuro anche che le parole
offensive pronunciate in preda all'ira si siano indirizzate poi in modo
esplicito allo stesso duca, ed è probabile che si trattasse di gravi accuse
(forse legate ancora una volta alla vicenda dell'Inquisizione) che, fatte in
pubblico, chiedevano una risoluzione drastica. Il duca Alfonso II
rinchiuse quindi Tasso nell'Ospedale Sant'Anna, nella celebre cella detta poi
"del Tasso", dove rimase per sette anni. Qui, alle manie di
persecuzione, si aggiunsero tendenze autopunitive.
Delacroix: Tasso all'ospedale di Sant'Anna Nell'Ospedale veniva
trattato alla stregua dei «forsennati», ricevendo poche razioni di cibo
scadente, privato di ogni comodità materiale e di ogni conforto spirituale,
visto che il cappellano, «se ben io ne l'ho pregato, non ha voluto mai o
confessarmi o comunicarmi».[50] È vero che dopo nove mesi ci fu un
miglioramento del vitto, ma dovette trattarsi di ben poca cosa, e i primi tre
anni coincisero con una sorta di isolamento. Scrisse comunque ininterrottamente
a principi, prelati, signori e intellettuali pregandoli di liberarlo e
difendere la propria persona. Le suppliche erano rivolte al solito Gonzaga,
alla mai dimenticata Lucrezia d'Este, a Francesco Panigarola (che sarebbe
divenuto vescovo di Asti), a Ercole Tasso e molti altri.[51] I primi anni di
reclusione non impedirono a Torquato di scrivere; anzi, le tre canzoni del
periodo rivelano una poesia essenziale, magistrale nella gestione delle
armonie, simbolo di un'ormai indiscussa maturità e dimostrazione, una volta di
più, di come le facoltà mentali del poeta fossero ancora intatte. Ecco quindi A
Lucrezia e Leonora, con la celebre invocazione alle «figlie di Renata», in una
nostalgico ricordo dei tempi sereni trascorsi a corte, messo in contrasto con
la durezza del tempo presente, ecco Ad Alfonso, nuova supplica al duca che,
rimasta inascoltata, diventò un inno Alla Pietà nell'omonima canzone. Le
condizioni mutarono con gli anni: a partire dal 1580 gli fu permesso di uscire
qualche volta e di ricevere visite, nel novembre 1582 il vitto migliorò
ulteriormente, mentre dal 1583 poté lasciare Sant'Anna più volte alla
settimana, «accompagnato da gentiluomini e qualche volta fu condotto anche a
corte».[52] Tuttavia il trattamento rimaneva molto duro e, a distanza di
secoli, pare spropositato se il motivo dovesse ridursi alla pazzia o a delle
offese personali. Certo, il Tasso soffriva di turbe psichiche. A questo
proposito è illuminante la lettera di aiuto che indirizzò il 28 giugno
1583 al celebre medico forlivese Girolamo Mercuriale. Qui troviamo un
elenco e una descrizione dei mali che affliggono il poeta: «rodimento
d'intestino, con un poco di flusso di sangue; tintinni ne gli orecchi e ne la
testa, [...] imaginazione continua di varie cose, e tutte spiacevoli: la qual
mi perturba in modo ch'io non posso applicar la mente a gli studi per un
sestodecimo d'ora», fino alla sensazione che gli oggetti inanimati si mettano a
parlare. È da notare tuttavia come tutte queste sofferenze non l'abbiano reso
«inetto al comporre».[53] Si può poi ammettere che «il Tasso non fu
semplicemente un melanconico, ma di tratto in tratto veniva sorpreso da eccessi
di mania, da riescire pericoloso a sé ed agli altri»[54], ma, anche se questi
squilibri dovessero essersi manifestati realmente, essi non giustificano né la
tesi della pazzia né la necessità di allontanare il Tasso dalla corte per un
periodo così lungo. Con buone probabilità, quindi, la ragione principale deve
essere riallacciata ancora una volta ai tentativi tasseschi di ricorrere
all'Inquisizione romana, e l'imprigionamento era il solo modo per non
compromettere il rapporto con lo Stato Pontificio. Dopo l'edizione
veneziana "pirata" e mutila di Celio Malespini (estate 1580), nel
1581, sempre durante la prigionia, vennero pubblicatenel tentativo di porre
rimedio alla sciagurata operazionea Parma e Casalmaggiore, ancora senza il suo
consenso, due edizioni del poema iniziato all'età di quindici anni. Il titolo
di Gerusalemme liberata fu scelto dal curatore di queste ultime versioni,
Angelo Ingegneri, senza l'avallo dell'autore. L'opera ebbe un grande
successo. Siccome anche le stampe dell'Ingegneri presentavano delle
imperfezioni e la Gerusalemme era ormai di dominio pubblico, bisognava
approntare la versione migliore possibile, ma per far questo era necessaria
l'autorizzazione e la collaborazione del Tasso. Così, seppur riluttante, il
poeta diede il proprio consenso a Febo Bonnà, che diede alla luce la
Gerusalemme liberata il 24 giugno 1581 a Ferrara, restituendola in modo ancora
più preciso pochi mesi dopo.[55] Queste traversie editoriali addolorarono
il Tasso, che avrebbe voluto mettere mano al poema in modo da renderlo conforme
alla propria volontà. All'amarezza per le pubblicazioni seguì ben presto quella
che gli fu causata dallapolemica con la neonata Accademia della Crusca. La
diatriba non fu scatenata, per la verità, né dal poeta né dall'Accademia.
La sua origine va ricercata nel dialogo Il Carrafa, o vero della epica poesia,
che il poeta capuano Camillo Pellegrino stampò presso l'editore fiorentino
Sermartelli all'inizio di novembre del 1584. Nel dialogo Torquato viene
esaltato assieme alla sua opera, in quanto fautore di una poesia etica e fedele
ai dettami aristotelici, mentre l'Ariosto viene duramente condannato a causa
della leggerezza, delle fantasiose invenzioni e dell'eccessiva dispersione che
si possono riscontrare nell'Orlando Furioso.[56] Leonardo Salviati
Il testo provocò la reazione dell'Accademia, che rispose nel febbraio dell'anno
seguente con la Difesa dell'Orlando Furioso degli Accademici della Crusca,
stroncando il Tasso ed esaltando invece «il palagio perfettissimo di modello,
magnificentissimo, ricchissimo, e ornatissimo»[57], che era il Furioso. La
Difesa fu fondamentalmente opera di Leonardo Salviati e di Bastiano de' Rossi.
Tasso decise di scendere in campo con l'Apologia in difesa della Gerusalemme
Liberata, edita a Ferrara dal Licino il 20 luglio. Rivendicando la necessità di
un'invenzione che si fondi sulla storia, il poeta si opponeva alle opinioni dei
paladini del volgare fiorentino, e respingeva le accuse di un lessico intriso
di barbarismi e poco chiaro.[58] La polemica continuò, visto che il
Salviati replicò in settembre con la Risposta all'Apologia di Torquato Tasso
(testo noto anche come Infarinato primo[59]), cui seguirono un nuovo opuscolo
di Pellegrino e un Discorso del Nostro, dopo di chese si esclude un ulteriore
scritto del Salviati, l'Infarinato secondo (1588)per qualche tempo le acque si
calmarono, ma la querelle tra ariosteschi e tasseschi proseguì fino al secolo
successivo, e fu una delle più infiammate della storia della letteratura
italiana. Durante la reclusione Tasso scrisse principalmente discorsi e
dialoghi[60]: fra i primi quello Della gelosia (redatto già nel 1577 ma pubblicato
nel 1585), Dell'amor vicendevole tra 'l padre e 'l figliuolo (1581), Della
virtù eroica e della carità (1583), Della virtù femminile e donnesca (1583),
Dell'arte del dialogo (1586), Il Secretario (1587), cui si deve aggiungere il
Discorso intorno alla sedizione nata nel regno di Francia l'anno 1585 (composto
nel 1585, edito solo nel 1817) e il Trattato della Dignità, già iniziato a
Torino, come si è visto.[61] Queste opere sviluppano tematiche morali,
psicologiche o strettamente religiose. La virtù cristiana è proclamata come
superiore alla pur nobile virtù eroica, si afferma la comune origine di amore e
gelosia, si valutano i talenti specifici della donna, il tutto arricchito dal
racconto di esperienze personali che giustificano l'opinione dell'autore.
Vengono affrontate anche questioni politiche, in special modo nel Secretario,
diviso in due parti, la prima dedicata a Cesare d'Este, la seconda ad Antonio
Costantini. Qui, nella descrizione del principe ideale, si enucleano alcune
caratteristiche come la clemenza (chiaro il riferimento alla propria
condizione), l'esser filosofo, e soprattutto «un gentiluomo a la cui fede ed al
cui sapere si possono confidare gli Stati e la vita e l'onor del
principe».[62] Più copiosa ancora fu la composizione di dialoghi, scritti
sotto il nume ideale di Platone, ma paragonabili più obiettivamente a quelli
del sedicesimo secolo. Quasi ogni tematica morale viene sviscerata in una serie
davvero lunga di opere più o meno prolisse e più o meno felici. Tasso
scrisse, nell'ordine[63], Il Forno, o vero de la Nobiltà (1579, 1581,
modificato nel 1586 e ripubblicato l'anno seguente); il Gonzaga, o vero del
Piacer onesto (1580, 1583), in seguito rivisto e stampato con il titolo Il
Nifo, o vero del piacere; Il Messaggero (1580, 1582. Qui immaginò di interagire
amichevolmente con il folletto da cui si credeva perseguitato nella realtà.
Questo dialogo ispirò la celebre operetta morale leopardiana Dialogo di
Torquato Tasso e del suo Genio familiare), con una seconda lezione del 1586; Il
padre di famiglia (1580, 1583, ispirato a un gentiluomo che lo ospitò a Borgo
Sesia prima dell'arrivo a Torino); Il cavalier amante e la gentildonna amata
(1580, 1583, con dedica a Giulio Mosti, giovane ammiratore del poeta); Romeo o
vero del giuoco (1580, 1581), rivisto e dato alle stampe con titolo Il Gonzaga
secondo, o vero del giuoco (1581, 1582); La Molza, o vero de l'Amore
(1583, 1587, prende spunto dalla conoscenza che il Tasso fece della celebre
poetessa Tarquinia Molza a Modena, nel dicembre 1576, ed è dedicato a Marfisa
d'Este); Il Malpiglio, o vero della corte (1583, 1586, con riferimento al
gentiluomo ferrarese Lorenzo Malpiglio); Il Malpiglio secondo o vero del fuggir
la moltitudine (1583, 1666); Il Beltramo, overo de la Cortesia (1584, 1586); Il
Rangone, o vero de la Pace (1584, 1586, in risposta a uno scritto di Fabio
Albergati); Il Ghirlinzone, o vero l'Epitafio (1585, 1586); Il Forestiero
napolitano, o vero de la Gelosia (1585, 1586); Il Cataneo, o vero de gli Idoli
(1585, 1586) e, infine, La Cavalletta, o vero de la poesia toscana (1584,
1587). In tutto questo non aveva dimenticato l'opera principe,
dimostrando di avere al riguardo idee piuttosto lontane da quella che sarà la
realizzazione finale. A Lorenzo Malpiglio espose intenzioni sostanzialmente
opposte agli interventi che avrebbe apportato negli anni successivi: parla di
portare la Liberata da venti a ventiquattro canti (secondo l'idea originaria) e
di accrescere il numero delle stanze, tagliando anche dei passaggi ma con il
risultato che «la diminuzione sarà molto minor de l'accrescimento».[64]
Nel 1586 qualche segnale, magari anche dettato da semplice interesse, lasciava
intravedere un astio meno severo nei confronti del Nostro. Prima della
reclusione, nel marzo del 1577, a Comacchio era stata rappresentata una
commedia tassesca alla presenza della corte.[65] Ora Virginia de' Medici voleva
che il testo fosse perfezionato e completato per essere interpretato durante i
festeggiamenti del suo matrimonio con Cesare d'Este. Tasso si mise al lavoro ed
esaudì la richiesta. L'opera fu poi pubblicata nel 1603 e ricevette il
titoloGli intrichi d'amoredal Perini, uno degli attori dell'Accademia di
Caprarola, che aveva messo in scena la commedia nel 1598.[66] L'opera,
ricolma di intrecci amorosi e di agnizioni secondo il costume dell'epoca, è
sofisticata e inverosimile, ma non mancano pagine vivaci ed episodi ispirati
all'Aminta. Vi si possono inoltre vedere alcuni elementi che confluiranno nella
commedia dell'arte: il personaggio del Napoletano, parlando in dialetto e
«profondendosi in spiritosaggini sbardellate», richiama alla mente la futura
maschera di Pulcinella.[67] La critica è stata piuttosto concorde nel ritenerla
infelice, tutta una goffaggine pedantesca e superficiale, nel giudizio di Francesco
D'Ovidio.[68] F. Pourbus: Vincenzo Gonzaga Dopo la prigionia: le
delusioni, le sofferenze, le peregrinazioni Il 13 luglio 1586 finì la
prigionia: Tasso venne affidato a Vincenzo Gonzaga[69], che lo volle alla sua
corte di Mantova. Nelle intenzioni di Alfonso, Tasso doveva restare presso il
figlio di Guglielmo Gonzaga solo per un breve periodo[70], ma di fatto il poeta
non tornò più a Ferrara, e restò presso Vincenzo, in un ambiente in cui conobbe
Ascanio de' Mori da Ceno, diventandone amico. A Mantova Tasso ritrovò
qualche barlume di tranquillità; riprese in mano il Galealto re di Norvegia, la
tragedia che aveva lasciato interrotta alla seconda scena del secondo attoe che
aveva frattanto avuto un'edizione nel 1582 -, e la trasformò nel Re Torrismondo,
conglobando nei primi due atti quanto aveva precedentemente scritto ma
cambiando i nomi, e procedendo alla stesura dei tre atti successivi in modo da
arrivare ai cinque canonici. Quando nell'agosto si recò a Bergamo, ritrovando
amici e parenti, si mise subito in azione per dare alle stampe la tragedia, e
l'opera uscì, a cura del Licino e per i tipi del Comin Ventura, con dedica a
Vincenzo Gonzaga, nuovo duca di Mantova.[71] Si trattava comunque di una
"libertà vigilata", e i fatti dell'autunno 1587 lo dimostrano
chiaramente. Dopo essere tornato a Mantova, deluso e preoccupato di una
possibile venuta di Alfonso, Tasso andò a Bologna e a Roma senza chiedere al
Gonzaga l'autorizzazione e questi, sotto la pressione del duca di Ferrara,
tentò in ogni modo di farlo tornare indietro. Antonio Costantini, sedicente
amico del poeta che metteva al primo posto l'ambizione e l'obiettivo di essere
tenuto in onore presso la corte mantovana, e Scipione Gonzaga si mobilitarono,
ma Torquato capì la situazione e rifiutò di ritornare, rendendo impossibile
qualsiasi mossa, dal momento che un intervento che lo riportasse nel ducato
mantovano con la forza non sarebbe mai stato tollerato dal Pontefice.[72] Il
fatto che nessuno impedisse il viaggio a Bergamo mentre ci fosse una mobilitazione
generale per allontanare il poeta dall'Urbe rimane comunque un segnale che pare
ulteriormente ridimensionare il peso della presunta follia di Torquato nelle
preoccupazioni dei duchi del settentrione. Il santuario di Loreto
in un'incisione di Francisco de Hollanda (prima meta del sec. XVI) Nel corso
del tragitto Tasso passò da Loreto, raccogliendosi in preghiera nel santuario e
concependo quella canzone «a la gloriosa Vergine» che può forse richiamare il
Petrarca della Canzone alla Vergine in qualche scelta lessicale, ma, in mezzo
alla lode e alla supplica, è tanto più intessuta di travaglio e
sofferenza: «Vedi, che fra' peccati egro rimango, qual destrier, che si
volve nell'alta polve, e nel tenace fango.» Torquato fu a Roma nell'autunno
1587 e fino alla primavera successiva. L'irrequietudine era di nuovo alle
stelle: le lettere registrano le sue richieste di denaro e le lamentele per la
propria condizione di salute. Il poeta è ormai disilluso, e fa meno affidamento
sulla possibilità che gli altri lo aiutino. Come scrisse alla sorella in una
lettera del 14 novembre, gli uomini «non hanno voluto sanarmi, ma
ammaliarmi».[73] Tuttavia, il Nostro è in preda al bisogno materiale e continua
ad autoumiliarsi, scrivendo versi encomiastici per Scipione Gonzaga, divenuto
cardinale, senza ottenere alcunché. Anche la speranza di essere ricevuto dal
papa Sisto V viene delusa, nonostante le lodi che Tasso rivolge al pontefice in
varie poesie, confluite assieme ad altre del periodo in un volumetto del 1589, stampato
a Venezia.[74] Vista l'inutilità del soggiorno romano, il peregrinante
poeta pensò trovare maggior fortuna nell'amata Napoli. Così, ai primi di aprile
del 1588 Tasso ritornò nella città vesuviana fortemente intenzionato a
risolvere a proprio favore le cause contro i parenti per il recupero della dote
paterna e di quella materna. Benché potesse contare su amici e congiunti, e
sulle conoscenze altolocate partenopee, tra cui i Carafa (o Carrafa) di Nocera,
i Gesualdo, i Caracciolo di Avellino, i Manso, preferì accettare l'ospitalità
di un convento di frati olivetani. Qui conobbe l'amico più caro degli ultimi
anni: Giovan Battista Manso, signore di Bisaccia e primo entusiasta biografo
dell'autore dopo la sua morte. Il clima amichevole in cui fu accolto, la
stima di amici e letterati, e il conforto di una «bellissima città, la quale è
quasi una medicina al mio dolore»[75], riuscirono a risollevare per un breve
periodol'infelice animo tassiano. Per ringraziare i monaci scrisse il poemetto,
rimasto incompiuto, Monte Oliveto, in riferimento al convento in cui sorgeva il
complesso monastico che attualmente ospita la caserma dei carabinieri (resta
visitabile la chiesa Sant'Anna dei Lombardi). L'operaun resoconto encomiastico
delle principali tappe esistenziali e delle principali virtù di Bernardo
Tolomei, il fondatore della Congregazioneè fortemente intessuta di spirito
cristiano, in un severo richiamo ad una vita sobria, lontana dalle vanità del
mondo. Dedicata al cardinale Antonio Carafa, si interrompe alla centoduesima
ottava.[76] Al pari del Re Torrismondo e di molta parte dell'ultima
produzione tassesca, il Monte Oliveto non ha goduto dei favori della critica.
Guido Mazzoni vi vide più una predica che un poema[77], mentre Eugenio Donadoni
utilizzò quasi le medesime parole che gli erano servite per stroncare il
Torrismondo (v. Re Torrismondo): questa è «l'opera non più di un poeta, ma di
un letterato, che cerca di dare forma e tono epico a una convenzionale vita di
santo».[78] Come per la tragedia nordica, la rivalutazione è arrivata con
l'analisi di Luigi Tonelli e di alcuni studiosi più recenti. In ogni
caso, anche questo periodo napoletano si rivelò problematico per Tasso, a causa
delle precarie condizioni di salute e delle ristrettezze economiche, a cui si
aggiunsero anche nuove polemiche letterarie e religiose sulla Gerusalemme
liberata. Spostatosi a Bisaccia, Tasso poté vivere un periodo di maggiore
tranquillità. Manso ricorda un episodio curioso: mentre sedeva con l'amico
davanti al fuoco, questi disse di vedere uno «Spirito, col quale entrò in
ragionamenti così grandi e meravigliosi per l'altissime cose in essi contenute,
e per un certo modo non usato di favellare, ch'io rimaso da nuovo stupore sopra
me inalzato, non ardiva interrompergli». Alla fine della visione, Manso
confessò di non aver visto nulla, ma il poeta gli si rivolse sorridendo: «Assai
più veduto hai tu, di quello che forse... E qui si tacque».[79] Viste le rare
manifestazioni allucinatorie di cui abbiamo notizia, (si ricordino quelle che erano
state descritte, nel 1580, nel dialogo Il messaggero, in cui è descritto uno
spirito amoroso che appare a Tasso sotto la figura di un giovanetto dagli occhi
azzurri, simili a quelli che Omero alla dea d'Atene attribuisce), la risposta
del Nostro assume una valenza indubbiamente ambigua, e non può escludersi che
avesse voluto mettere alla prova il Manso per vedere se anche lui lo avrebbe
considerato un "folle". Ferdinando I de' Medici A
dicembre era di nuovo a Roma, dove giunse nella speranza di poter essere
ospitato dal Papa in Vaticano, confidando negli illusori pareri di alcuni
amici.[80] Ad ospitare Tasso fu invece Scipione Gonzaga, e il poeta si sentì di
nuovo «più infelice che mai».[81] Ricominciava la routine: richieste d'aiuto a
destra e a sinistra, con l'obiettivo di ricevere i cento scudi che gli erano
stati promessi per la stampa delle sue opere: «vorrei in tutti i modi trovar
questi cento ducati, per dar principio a la stampa, avendo ferma opinione che
di sì gran volume se ne ritrarrebbero molto più», scrisse ad Antonio
Costantini.[82] I destinatari erano ancora una volta i più disparati: il
principe di Molfetta, il Costantini, il duca di Mantova Vincenzo
Gonzaga, gli editori. Il Nostro si umiliò per l'ennesima volta anche con
Alfonso, cui chiese nuovamente perdono, mentre al Granduca di Toscana
Ferdinando I domandò l'intercessione del cardinal Del Monte, lo stesso che
prenderà sotto la propria protezione Caravaggio. Tutte le speranze, però,
furono disattese. Al tempo stesso anche le missive ai medici si rifecero
intense. Tuttavia, in mezzo a tante delusioni e a tanto affanno non venne meno
la verve creativa: oltre ad aver raccolto le Rime in tre volumi, e avervi
scritto il commento, Tasso compose anche un poema pastorale che riprende, anche
se solo nel nome, alcuni personaggi dell'Aminta. È Il rogo di Corinna, dedicato
a Fabio Orsino. La prima pubblicazione dell'opera fu postuma (1608).[83]
Per quanto Grazioso Graziosi, agente del duca di Urbino, dicesse al suo signore
del modo eccellente in cui il Tasso era trattato presso il cardinale Gonzaga,
egli rilevava al contempo le infermità fisiche e mentali di Torquato, che
privavano la sua età «del maggior ingegno che abbian prodotto molte delle
passate».[84] Tuttavia, è bene diffidare della prima quanto della seconda
affermazione. Se «il povero Signor Tasso è veramente degno di molta pietà per
le infelicità della sua fortuna»[85], come si legge in una missiva del Graziosi
di due settimane dopo, perché cacciare il poeta in malo modo, mentre Scipione
Gonzaga non era presente, e costringerlo a una nuova situazione di bisogno? In
aiuto del Tasso vennero ancora i monaci della Congregazione del Tolomei, che lo
ospitarono a Santa Maria Nuova degli Olivetani.[86] Gli ultimi anni del
Tasso, però, non conobbero pace duratura: le sofferenze psichiche si acuirono
nuovamente, certo per le nuove delusioni derivanti da richieste di denaro non
esaudite, dall'obbligo di piegarsi alla composizione di poesie a pagamento, e
il poeta fu costretto a farsi ricoverare nell'Ospedale dei Pazzarelli,
adiacente alla chiesa dei Santi Bartolomeo e Alessandro dei Bergamaschi,
la cui costruzione era appena stata ultimata. Il dolore emerge in modo chiaro
in una lettera inviata il primo dicembre 1589 ad Antonio Costantini, divenuto ormai
suo confidente.[87] A febbraio ritornò presso Scipione Gonzaga, sempre
lamentandosi per la scarsa considerazione in cui era tenuto e sempre scrivendo
della propria infelicità.[88] Tasso premeva, come già più volte in passato, per
essere accolto a Firenze dal Granduca di Toscana, e accettò quindi con gioia
l'invito di Ferdinando de' Medici. A Firenze giunse in aprile, ospite prima dei
fidati Olivetani, poi di ricchi e illustri cittadini quali Pannucci e Gherardi.
Alla tranquillità necessaria per rivedere la Gerusalemme si aggiunsero anche
relative soddisfazioni economiche (sempre comunque in cambio di versi
encomiastici): dal Granduca ricevette centocinquanta scudi[89], da Giovanni III
di Ventimiglia, marchese di Geraci, sembrerebbe, duecento scudi.[90] Il
motivo di gioia principale era tuttavia un altro, era l'avvicinarsi dell'evento
più ambito da chi si sentiva, sopra ogni cosa, poeta: «Penso a la mia
coronazione, la qual dovrebbe esser più felice per me, che quella de' principi,
perché non chiedo altra corona per acquetarmi».[91] Non ci fu nessuna
incoronazione. C'è chi ha asserito che questa lettera contenesse solo una
bislacca speranza del Tasso, senza alcun legame con la realtà.[92] Tuttavia, la
sicurezza con cui l'evento viene ormai dato per certo lascia pensare che le
illusioni del Nostro avessero un fondamento, e non fossero una pura
chimera. Un nuovo evento lo indusse all'ennesimo spostamento: papa Urbano
VII era succeduto a Sisto V, incoraggiando il Tasso a fare nuovamente
affidamento sugli aiuti pontifici. Tasso scese così a Roma, accolto dagli
Olivetani di Santa Maria del Popolo. Giovanni Battista Castagna morì tredici
giorni dopo l'elezione, lasciando il posto a Gregorio XIV. Anche questa volta
le lettere del poeta registrano un amaro scacco: «Ho perduto tutti gli appoggi;
m'hanno abbandonato tutti gli amici, e tutte le promesse ingannato», confidò,
sempre più afflitto, a Niccolò degli Oddi.[93] Il Palazzo Ducale di
Mantova, residenza dei Gonzaga L'autore della Gerusalemme è ogni giorno che
passa più confuso, sballottato qua e là dagli eventi come una barca in mezzo al
mare. Tutto questo riflette la condizione interiore di una persona disincantata
ma al tempo stesso ancora ingenuamente pronta a fidarsi delle fallaci promesse
che giungono dal mondo intorno, riflette un'instabilità ormai cronica. È vero
che la fede andò radicandosi sempre più in Tasso, ma il fatto che al duca di
Mantova scrivesse di volersi ritirare in un monastero e pochi giorni dopo
accettasse il suo invito a tornare a corte è l'evidente manifestazione di
un'anima senza pace.[94] Ritornato quindi sul Mincio (marzo 1591),
accolto con tutti gli onori, poté dedicarsi totalmente al lavoro letterario, e
in particolare alla revisione del capolavoro. La missiva a Maurizio Cataneo del
4 luglio ci informa del fatto che il poeta era già a buon punto, e illustra le
linee direttrici della propria opera correttrice: «sono al fine del penultimo
libro; e ne l'ultimo mi serviranno molte di quelle stanze che si leggono nello
stampeato. Desidero che la riputazione di questo mio accresciuto ed illustrato
e quasi riformato poema toglia il credito a l'altro, datogli dalla pazzia de
gli uomini più tosto che dal mio giudicio».[95] Sono parole che possono parere
sciagurate, ma riflettono gli scrupoli religiosi sempre più pressanti.
Non si era comunque concentrato solo sul poema: aveva raccolto le Rime in
quattro volumi, e con l'editore veneziano Giolito parlava della
possibilità di stampare tutte le opere (esclusa la Gerusalemme) in sei libri. A
tutto questo va aggiunto un nuovo lavoro che aveva intrapreso, lasciandolo poi
incompiuto. La genealogia di Casa Gonzaga, con dedica a Vincenzo, si interruppe
dopo centodiciannove ottave, per essere pubblicato solo nel 1666, tra le Opere
non più stampate dell'edizione romana Dragondelli.[96] Il poemetto è
sicuramente trascurabile, fatto di una versificazione fredda, appesantita da
nozioni e nomi. Tra le fonti il ruolo principale è stato svolto da un regesto
di Cesare Campana, Arbori delle famiglie... e principalmente della Gonzaga,
uscito a Mantova l'anno prima, e dall'Historia sui temporis di Paolo Giovio,
accanto a cui va ricordata la tradizione orale legata alla battaglia del
Taro.[97] La calma, tuttavia, era ormai un ricordo di gioventù, e ogni
soggiorno diventava insopportabile dopo un certo numero di mesi. Così,
ridiscese la penisola, con l'intenzione di raggiungere nuovamente Roma. Il
viaggio fu travagliato e appesantito dal fatto che Tasso si ammalò più volte
durante il tragitto, costretto a sostare in varie località, fra cui Firenze.
Giunto nell'Urbe il 5 dicembre 1591, ricevette l'ospitalità di Maurizio
Cataneo. Poche settimane dopo era ancora in viaggio, diretto a
Napoli.[98] Ultimi anni Cinzio Aldobrandini A questo punto,
inaspettatamente, ci fu spazio per qualche luce e qualche reale soddisfazione.
Il soggiorno napoletano, durato dal febbraio alla fine di aprile del 1592, non
tradì, né per quanto riguarda l'accoglienza ricevuta (fu ospitato dal principe
di Conca Matteo di Capua e poi da Manso con grandi onori e affetto), né sulle
questioni letterarie, né su quelle relative alla salute dell'artista. In
effetti, in virtù della «purità dell'aria»[99], Tasso cominciò a sentirsi
meglio, e di conseguenza poté dedicarsi in modo più proficuo alle proprie attività.
In questi mesi completò la Conquistata, e, sempre durante il soggiorno
partenopeo, mise mano all'ultima opera significativa, Le sette giornate del
Mondo creato.[100] Gli ultimi tre anni di vita lo videro prevalentemente
a Roma: nell'aprile 1592 l'elezione al soglio pontificio di Clemente VIII lo
fece venire nell'Urbe, e anche qui ebbe un trattamento decisamente migliore
rispetto alle recenti esperienze. Poté infatti alloggiare nel palazzo dei
nipoti del Papa, Pietro e CinzioAldobrandini, in procinto di diventare
cardinali. Cinzio sarà di fatto il vero mecenate dell'ultimo periodo. La
produzione letteraria ebbe nuovi sussulti, consacrandosi ormai quasi
esclusivamente agli argomenti sacri: compose i Discorsi del poema eroico e
altri Dialoghi, carmi latini e rime religiose. Addolorato per la morte di
Scipione Gonzaga, gli dedicò, nel marzo 1593, Le lagrime di Maria Vergine e Le
lagrime di Gesù Cristo.Tasso aveva intanto finito di rivedere il poema, e
sempre nel 1593 vide la luce a Roma, per i tipi di Guglielmo Facciotti, la
Gerusalemme conquistata. Esistono inoltre chiare testimonianze del fatto
che ci fosse l'intenzione di incoronare Tasso in Campidoglio, nonostante alcuni
studiosi si siano osti negarlo e a considerarla un'invenzione del poeta.[102]
«È veramente degno il Signor Torquato Tasso di esser celebrato in questi
medesimi tempi come raro per la sua poesia, ed è parimente degno della
grandezza dell'animo del Signor Cinzio Aldobrandini di erigergli una statua
laureata, con mill'altre cerimonie e specie, come dicono che tosto si vedrà, e
dargli luogo in Campidoglio fra le più degne ed antiche cerimonie [...]»,
rivela Matteo Parisetti in una lettera ad Alfonso II, risalente all'agosto del
1593.[103] Lo stesso Tasso è esplicito al riguardo: «Qui in Roma mi
voglion coronar di lauro», scrive al Granduca di Toscana il 20 dicembre 1594,
«o d'altra foglia».[104] Sennonché, pur essendo ancora bisognoso di soldi e
continuando a fare richiesta per ottenerli, il poeta sentiva sempre più lontane
le preoccupazioni del mondo, e sempre meno si curava della vanità e dei
successi terreni. La salute, dopo la parentesi napoletana, andava aggravandosi
nuovamente, e Torquato cominciava a capire che la fine non era lontana. Per
questo ritornò alle falde del Vesuvio, per concludere rapidamente in proprio
favore la questione legata all'eredità materna: il risultato fu soddisfacente,
acconsentendo il principe di Avellino a versargli duecento ducati all'anno, ai
quali vanno aggiunti cento ducati annui che il Papa si risolverà a dargli a
partire dal febbraio 1595. A Napoli rimase dal giugno al novembre del
1594, alloggiato al monastero benedettino di san Severino, sempre più votato
alla vita monastica e attratto ancora dalla letteratura agiografica. Fu
probabilmente nei mesi trascorsi presso i benedettini che Tasso abbozzò
l'incompiuta Vita di San Benedetto. Alla fine dell'anno ritornò a Roma.
Cambiò città per l'ultima volta: la fine era dietro l'angolo. Riconosciuta la
definitiva infermità che gli rendeva ormai impossibile scrivere e correggere,
non sentì più che un ultimo bisogno, tralasciando tutto il resto, il bisogno
della «fuga dal mondo». Il 1º aprile entrò al monastero di S. Onofrio, sul
Gianicolo, senza più nemmeno curarsi del fatto che il Mondo creato non era
stato ancora rivisto. Tutto svaniva, di fronte all'importanza di prepararsi al
trapasso: «Che dirà il mio signor Antonio, quando udirà la morte del suo Tasso?
E per mio avviso non tarderà molto la novella, perch'io mi sento al fine de la
mia vita [...] Non è più tempo ch'io parli de la mia ostinata fortuna, per non
dire de l'ingratitudine del mondo». Tutto perdeva importanza, a fronte della
dolcezza della «conversazione di questi divoti padri», che cominciava «la mia
conversazione in cielo».[106] Monumento in Sant'Onofrio Il 25
aprile, all'«undecima ora»[107], Torquato Tasso moriva all'età di 51 anni. Era
una morte serena, ricevuta con tutti i conforti dei sacramenti: «La
morte del Tasso è stata accompagnata da una particolar grazia di Dio
benedetto, perché in questi ultimi giorni le duplicate confessioni, le lagrime
e insegnamenti spirituali pieni di pietà e di giudizio, mostrarono che fosse
affatto guarito dall'umor malinconico, e che quasi uno spirito gli avesse
accostato al naso l'ampolle del suo cervello».[108] Venne sepolto nella Chiesa
di Sant'Onofrio al Gianicolo. Presso il monastero, accanto alla strada è
ancora visibile la rampa della quercia, dove si trova il tronco nero di una
quercia secolare sostenuto da un sopporto metallico. Secondo la tradizione locale
si tratta della cosiddetta quercia del Tasso, l'albero alla cui ombra il poeta
spesso sedeva per riposarsi. Albero genealogico Reinerius de Tassis[109]
(1117) SconosciutaOmedeo Tasso (1290)[110] SconosciutaRuggero Tasso[111]
SconosciutaBenedetto Tasso[112] SconosciutaPalazzo de Tassis Tonola de Magnasco
(†1504)Pasimo (o Paxio) de Tassis. (†1496) SconosciutaPietro Tasso. SconosciutaGiovanni
Tasso[116] Catalina de Tassi[117]Gabriel Tasso Porzia de RossiBernardo Tasso
Torquato Tasso Opere Un ritratto a Sorrento. Gerusalemme Scritto quando
egli aveva solo 15 anni il Gierusalemme rappresenta il primissimo tentativo di
Tasso di maneggiare il genere epico nonché il suo primo impegno letterario di
rilievo. Se ne possiedono soltanto centosedici stanze del canto I. Oltre a
condividere con la Liberata l'argomento (la prima Crociata), si notano pure
alcune somiglianze tra il proemio di questo esordio poetico giovanile e quello
del capolavoro della maturità. Rinaldo All'età di diciotto anni Tasso
riprese la materia del romanzo cavalleresco e nel 1562 pubblicò il Rinaldo,
poema in ottave che narra in dodici canti (circa 8000 versi) la giovinezza del
paladino della tradizione carolingia e le sue imprese di armi e di amori. Nella
prefazione al poema Tasso dichiara di voler imitare in parte gli
"antichi" (Omero e Virgilio), in parte i "moderni"
(Ariosto). Si concentra però su un unico protagonista, secondo le esigenze di
unità proposte dall'aristotelismo. Si tratta di un'opera tipicamente giovanile,
ancora priva di originalità, ma compaiono già alcuni temi e toni fondamentali
che caratterizzeranno il Tasso maturo e formato culturalmente. Rime
Torquato Tasso compose un gran numero di poesie liriche, lungo l'arco di tutta
la sua vita. Le prime furono pubblicate nel 1567 col titolo di Rime degli
Accademici Eterei. Nel 1581 uscirono Rime e prose. Tasso lavorò fino al 1593 ad
un riordino complessivo dei testi, distinguendo rime amorose e rime
encomiastiche. Previde poi una terza sezione, dedicata alle rime religiose e
una quarta di rime per musica, ma non realizzò il progetto. Nelle Rime
amorose è ben riconoscibile l'influenza della poesia petrarchesca e della vasta
produzione petrarchistica del Quattrocento e Cinquecento; contemporaneamente,
però, il gusto per le preziosità linguistiche e l'intensa sensualità rivelano
l'evoluzione verso un linguaggio nuovo che maturerà nel Seicento. L'uso
frequente di forme metriche poco usate dai poeti precedenti, come il madrigale,
e la raffinata musicalità dei versi fecero sì che molti di essi fossero
musicati da grandi autori come Claudio Monteverdi e Gesualdo da
Venosa. Più solenni e classicheggianti le Rime encomiastiche,
dedicate alle figure e alle famiglie signorili che ebbero rilievo nella vita
del poeta. Per la loro creazione si ispira a Pindaro, Orazio e al celebre
Monsignor della Casa. Fra tutte, la più famosa è la Canzone al Metauro,
intessuta di elementi autobiografici. Le Rime religiose sono
caratterizzate dal tono cupo e plumbeo, forse dovuto al fatto che le scrisse
negli ultimi anni di vita. Qui il poeta manifesta il desiderio di sconfiggere
l'ansia esistenziale e il tormentoso senso del peccato attraverso la fede e
l'espiazione. Discorsi dell'arte poetica Attorno alla metà degli Anni
Sessanta scrisse i quattro libri dei Discorsi dell'arte poetica ed in
particolare sopra il poema eroico, letti all'Accademia Ferrarese e pubblicati
molto più tardi, nel 1587, dal Licino. Il testo fornisce una chiara visione
della concezione tassesca del poema eroico, piuttosto distante da quella ariostesca,
che dava la prevalenza all'invenzione e all'intrattenimento del pubblico.
Perché possa essere giudicato di buon livello, deve basarsi su un evento
storico, da rielaborare in modo inedito. Infatti, «la novità del poema non
consiste principalmente in questo, cioè che la materia sia finta, e non più
udita; ma consiste nella novità del nodo e dello scioglimento della
favola».[118] Al verosimile deve essere unito il meraviglioso, e Tasso
trova l'unione perfetta di queste due componenti nella religione
cristiana.[119] Intiera, l'opera deve essere una, ossia prevedere l'unità
d'azione, ma senza schemi rigidi: ci può essere largo spazio per la varietà, e
per la creazione di numerosi racconti nel racconto, e in questo senso la
Gerusalemme liberata costituisce una piena realizzazione delle idee
dell'autore. Lo stile, infine, deve adeguarsi alla materia, e variare tra il
sublime e il mediocre a seconda dei casi. Aminta Magnifying glass icon
mgx2.svg Aminta (Tasso). Le sofferenze di Aminta, dipinto di Bartolomeo
Cavarozzi «L'Aminta non è un dramma pastorale e neppure un dramma. Sotto nomi
pastorali e sotto forma drammatica è un poemetto lirico, narrazione
drammatizzata, anzi che vera rappresentazione, com'erano le tragedie e le
commedie e i così detti drammi pastorali in Italia … Essa è in fondo una
novella allargata a commedia, di quel carattere romanzesco che dominava
nell'immaginazione italiana, aggiuntavi la parte del buffone, che è il Ruffo,
la cui volgarità fa contrasto con la natura cavalleresca de' due protagonisti,
Virginia e il principe di Salerno. Gli avvenimenti più strani si accavallano
con magica rapidità, appena abbozzati, e quasi semplice occasione a monologhi e
capitoli, dove paion fuori i sentimenti dei personaggi misti alla narrazione …
L'Aminta è un'azione fuori del teatro, narrata da testimoni o da partecipi con
le impressioni e le passioni in loro suscitate. L'interesse è tutto nella
narrazione sviluppata liricamente e intramessa di cori, il cui concetto è
l'apoteosi della vita pastorale e dell'amore: "s'ei piace, ei lice".
Il motivo è lirico, sviluppo di sentimenti idillici, anzi che di caratteri e di
avvenimenti. Abbondano descrizioni vivaci, soliloqui, comparazioni, sentenze,
movimenti appassionati. Vi penetra una mollezza musicale, piena di grazia e
delicatezza, che rende voluttuosa anche la lacrima. Semplicità molta è
nell'ordito, e anche nello stile, che senza perder di eleganza guadagna di
naturalezza, con una sprezzatura che pare negligenza ed è artificio finissimo.
Ed è perciò semplicità meccanica e manifatturata, che dà un'apparenza pastorale
a un mondo tutto vezzi e tutto concetti. È un mondo raffinato, e la stessa
semplicità è un raffinamento. A' contemporanei parve un miracolo di perfezione,
e certo non ci è opera d'arte così finamente lavorata.» (Francesco
De Sanctis) L'Aminta è una favola pastorale composta nel 1573 e pubblicata nel
1580 ca. Presenta un prologo, 5 atti, un coro. Ogni canto si conclude a lieto
fine. Ha ispirato la composizione della favola pastorale Flori di Maddalena
Campiglia lodata dallo stesso Torquato Tasso. Re Torrismondo Intorno al
1573-1574, sulle ali dell'entusiasmo per il successo dell'Aminta Tasso
incominciò una tragedia, Galealto re di Norvegia, che però interruppe alla
seconda scena del secondo atto. Il poeta la riprese e la completò a Mantova,
subito dopo la liberazione dall'Ospedale di Sant'Anna cambiando però il titolo,
diventato Re Torrismondo, e il nome del protagonista. L'ambientazione è
nordica: in essa sono frequenti le immagini di distese boschive. In questo, il
Tasso mostra la sua forte curiosità per le leggende nordiche, come ad esempio
mostra la lettura dell'Historia de gentibus septentrionalibus di Olao
Magno. L'editio princeps è quella bergamasca del 1587; seguirono a ruota
le edizioni di Mantova, Ferrara, Venezia e Torino, ma poi ci fu un lungo
silenzio. L'opera fu rappresentata per la prima volta soltanto nel 1618 al
Teatro Olimpico di Vicenza. Trama Torrismondo è intimamente segnato dal
conflitto tra amore e amicizia: il sovrano (d'una ignota regione nordica, non
di Norvegia) ama Alvida, che a causa di un debito passato (Germondo aveva
salvato la vita a Torrismondo) deve sposarsi con l'amico Germondo, re di
Svezia, regno nemico a quello di Alvida poiché Germondo stesso era stato accusato
di omicidio del fratello di Alvida. Germondo dunque non può sposarsi con la
donna amata poiché il padre di quest'ultima lo odia. Germondo decide allora che
Torrismondo per sdebitarsi avrebbe dovuto chiedere la mano di Alvida e al
momento delle nozze avrebbe dovuto scambiare la sposa. Ottenuta da Torrismondo
la mano di Alvida i due consumano l'amore. La storia prenderà un'altra china
quando Torrismondo scoprirà che la donna amata non è altri che la sorella, la
situazione culminerà nel suicidio dei due. Il Re Torrismondo è molto importante
perché anticipa le tragedie barocche, nelle quali si riprendono alcune
caratteristiche fondamentali delle tragedie senecane: la meditatio mortis (il
Memento mori) e il gusto dell'orrido. Nel Tasso, però, ciò che compare
fortemente e caratterizza le sue tragedie è il conflitto intimo che dilania
l'animo dei personaggi: l'uomo si sente intrappolato dal fato, poiché
impossibilitato all'agire, a modificare il corso degli eventi ormai già
predisposti. Tuttavia, la critica non si è espressa positivamente in
merito all'opera: Angelo Solerti e Francesco D'Ovidio si sono mostrati ostili
verso il Torrismondo come lo erano stati nei confronti degli Intrichi
d'amore[120], e severo si è dimostrato anche Umberto Renda, che alla tragedia
ha dedicato una monografia.[121] Ancora più duro il giudizio di Eugenio
Donadoni, che arrivò a parlare di «opera di un ex-poeta, non più di un
poeta»[122], e nemmeno Giosuè Carducci, pur apprezzando lo sforzo di unire
elementi pagani e religiosi, classici ed esotici, ha ritenuto il dramma degno
dell'ingegno tassesco.[123] Solo Luigi Tonelli, nel 1935, ha fatto presente che
superava pur sempre «la maggior parte delle tragedie cinquecentesche e
rivaleggiava con le migliori del tempo».[124] Gerusalemme liberata
Magnifying glass icon mgx2.svg Gerusalemme liberata. Torquato Tasso con
la sua Gerusalemme liberata La Gerusalemme liberata è considerata il capolavoro
di Tasso. Il poema tratta di un avvenimento realmente accaduto, ossia la prima
crociata. Tasso iniziò a scrivere l'opera con il titolodi Gierusalemme nel 1559
durante il soggiorno a Venezia e la concluse nel 1575. L'opera fu pubblicata
integralmente nel 1581 con il titolo di Gerusalemme liberata. In seguito alla
pubblicazione del poema il poeta rimise mano all'opera e la riscrisse
eliminando tutte le scene amorose e accentuando il tono religioso ed epico
della trama. Cambiò anche il titolo in Gerusalemme conquistata. In realtà la
Conquistata fu immediatamente dimenticata e la redazione che continuò ad avere
grande successo e ad essere ristampata, in Italia e nei paesi stranieri, fu la
Liberata. Trama Goffredo di Buglione nel sesto anno di guerra raduna i
crociati, viene eletto comandante supremo e stringe d'assedio Gerusalemme. Uno
dei guerrieri musulmani decide di sfidare a duello il crociato Tancredi. Chi
vince il duello vince la guerra. Il duello però viene sospeso per il
sopraggiungere della notte e rinviato. I diavoli decidono di aiutare i
musulmani a vincere la guerra. Uno strumento di Satana è la maga Armida che con
uno stratagemma riesce a rinchiudere tutti i migliori eroi cristiani, tra cui
Tancredi, in un castello incantato. L'eroe Rinaldo per aver ucciso un altro
crociato che lo aveva offeso viene cacciato via dal campo. Il giorno del duello
arriva e poiché Tancredi è scomparso viene sostituito da un altro crociato
aiutato da un angelo. I diavoli aiutano il musulmano e trasformano il duello in
battaglia generale. I crociati sembrano perdere la guerra quando arrivano gli
eroi imprigionati liberati da Rinaldo che rovesciano la situazione e fanno
vincere la battaglia ai cristiani. Goffredo ordina ai suoi di costruire una
torre per dare l'assalto a Gerusalemme ma Argante e Clorinda (di cui Tancredi è
innamorato) la incendiano di notte. Clorinda non riesce a entrare nelle mura e
viene uccisa in duello proprio da colui che l'ama, Tancredi, che non l'aveva
riconosciuta. Tancredi è addolorato per aver ucciso la donna che amava e solo
l'apparizione in sogno di Clorinda gli impedisce di suicidarsi. Il mago Ismeno
lancia un incantesimo sul bosco in modo che i crociati non possano ricostruire
la torre. L'unico in grado di spezzare l'incantesimo è Rinaldo, prigioniero
della maga Armida. Due guerrieri vengono inviati da Goffredo per cercarlo e
alla fine lo trovano e lo liberano. Rinaldo vince gli incantesimi della selva e
permette ai crociati di assalire e conquistare Gerusalemme. I Dialoghi La
stesura di prose dialogiche impegnò Tasso fin dal 1578, anno della composizione
del Forno overo de la Nobiltà. La dialogistica tassiana è stata da sempre
relegata al margine dalla critica: De Sanctis accenna soltanto al Minturo overo
della Bellezza, limitandosi ad asserire che Tasso da giovane fu “infetto dalla
peste filosofica”. Un giudizio a dir poco sminuente se si considera che il
poeta compose venticinque dialoghi (e questa è solo la cifra canonica; non si
fa riferimento, infatti, agli abbozzi e ai rimaneggiamenti) e vi pose il suo
impegno fino alla morte. Una valutazione più precisa è fornita da
Donadoni: lo studioso dedica un intero capitolo della sua monografia ai
Dialoghi indagandone trame, fonti e suggestioni. La prima edizione moderna
del corpus dialogico tassiano è quella di Guasti (1858-1859), il quale, però,
non riuscendo a reperire tutti i manoscritti dei Dialoghi si basa sui testimoni
a stampa, dando vita ad un’edizione, che presenta corruttele da far
rabbrividire i moderni filologi. Un grande passo in avanti nella fortuna
dei Dialoghi è rappresentato dall’edizione critica di Ezio Raimondi pubblicata
nel 1958, di capitale importanza per gli studiosi tassiani i quali, ancora
oggi, continuano a considerarla punto di riferimento. Raimondi considerò i
Dialoghi tassiani come opere postume, scegliendo la versione più attendibile
fra manoscritti e stampe in base alla loro storia individuale. Questo
criterio non è stato accettato da Stefano Prandi e Carlo Ossola, i quali hanno
proposto un’edizione storica dei Dialoghi che tenesse conto dei testi
effettivamente circolanti all’epoca dello scrittore. L’edizione in realtà non
ha mai visto la luce e si è fermata al 1996 ad uno specimen che avrebbe dovuto
anticipare una successiva edizione completa. Negli ultimi anni gli
studiosi della prosa tassiana sono aumentati: si è posta attenzione al Tasso
politico, con due edizioni commentate della Risposta di Roma a
Plutarco[125][126] e al Tasso egittologo di cui si è occupato Bruno Basile. Non
mancano letture dei singoli dialoghi: Basile e Arnaldo Di Benedetto si sono
occupati del Padre di Famiglia (rispettivamente, Fonti culturali e invenzione
letteraria nel «Padre di famiglia» di Torquato Tasso; e Torquato Tasso, «Il
padre di famiglia»); Emilio Russo del Manso (Amore e elezione nel
"Manso" di Torquato Tasso), Massimo Rossi del Malpiglio Secondo e del
Rangone (Io come filosofo era stato dubbio. La retorica dei
"Dialoghi" di Tasso); Maiko Favaro, dopo la monografia di
Prandi/Ossola, ha offerto una puntuale lettura del Forno, premiata con il
premio Tasso (Le virtù del tiranno e le
passioni dell’eroe. Il “Forno overo de la Nobiltà” e la trattatistica sulla
virtù eroica); Angelo Chiarelli si è, invece, occupato del Malpiglio overo de
la corte (Una «congregazione di uomini raccolti per onore». Tentativi di
aggiornamento della teoria cortigiana nella dialogistica e nella prosa tassiana[127]),
preceduto dal contributo di Massimo Lucarelli sullo stesso argomento (Il nuovo
«Libro del Cortegiano»: una lettura del «Malpiglio» di Tasso) e del Costante
(«Questa concordia è sempre nelle cose vere». Note per una contestualizzazione
de «Il Costante overo de la clemenza» di Tasso[128]). L'edizione critica
di Raimondi fornisce il testo dei venticinque dialoghi tassiani, con
un'appendice che ci permette di conoscere i manoscritti superstiti e le stampe.
Questo il titolo dei vari dialoghi: Il Forno overo de la Nobiltà; Il
Beltramo overo de la cortesia; Il Forestiero Napoletano overo de la gelosia; Il
N. overo de la pietà; Il Nifo overo del piacere; Il messaggiero; Il padre di
famiglia; De la dignità; Il Gonzaga secondo overo del giuoco; Dialogo; Il Rangone
overo de la pace; Il Malpiglio overo de la corte; Il Malpiglio secondo overo
del fuggir la moltitudine; La Cavalletta overo de la poesia toscana; Il
Gianluca overo de le maschere; Il Cataneo overo de gli idoli; Il Ghirlinzone
overo l'epitaffio; La Molza overo de l'amore; Il Costante overo de la clemenza;
Il Cataneo overo de le conclusioni amorose; Il Manso overo de l'amicizia; Il
Ficino overo de l'arte; Il Minturno overo de la bellezza; Il Porzio overo de le
virtù; Il Conte overo de le imprese. Le sette giornate del mondo creato È un
poema in endecasillabi sciolti, composto tra il 1592 e il 1594, accanto ad
altre opere di contenuto religioso di impronta chiaramente controriformistica.
Il poema venne pubblicato postumo nel 1607. Si fonda sul racconto biblico della
creazione ed è suddiviso in sette parti, corrispondenti come dice il titolo ai
sette giorni nei quali Dio creò il mondo, e presenta una continua esaltazione
della grandezza divina della quale la realtà terrena è un pallido
riflesso. Le lacrime di Maria Vergine e Le lacrime di Gesù Cristo Si
tratta, come nel caso de Le sette giornate del mondo creato, di due scritti
facenti parte delle cosiddette "opere devote" del Tasso. Nello
specifico, sono due poemetti in ottave che riprendono la tradizione della
"poesia delle lacrime", in voga nella seconda metà del Cinquecento,
scritti e pubblicati nel 1593, appena qualche anno prima della morte.
Influenze culturali Statua di Tasso a Sorrento La figura del Tasso, anche
per la sua pazzia, divenne subito popolare. La lucidità delle opere scritte
durante il periodo di prigionia nell'Ospedale di Sant'Anna fece diffondere la
leggenda secondo cui il poeta non era veramente pazzo ma fu fatto passare per
tale dal duca Alfonso che voleva punirlo per aver avuto una relazione con sua
sorella, imprigionandolo (anche se, come si è visto, è assai più probabile che
la vera ragione della reclusione consistesse nell'autoaccusa del poeta di
fronte al tribunale dell'Inquisizione). Questa leggenda si diffuse rapidamente
e rese particolarmente popolare la figura del Tasso, fino a ispirare a Goethe
il dramma Torquato Tasso (1790)[129]. In età romantica il poeta divenne
il simbolo del conflitto individuo-società, del genio incompreso e perseguitato
da tutti coloro che non sono in grado di comprendere il suo talento
straordinario. In particolare Giacomo Leopardi, che quando si recò a Roma il
giorno venerdì 15 febbraio del 1823 pianse sul sepolcro del Poeta in S. Onofrio
(commentando in una lettera che quella esperienza era stata per lui "il
primo e l'unico piacere che ho provato in Roma"), considerava Torquato
Tasso come un fratello spirituale, ricordandolo in numerosi passi dei propri
scritti (tra cui quello citato) e nel Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio
familiare (una delle Operette morali). Molta parte della poesia
recanatese è impregnata di stile tassesco: i notturni di alcuni canti, come La
sera del dì di festa o Canto notturno di un pastore errante dell'Asia,
richiamano quelli della Gerusalemme, mentre nella canzone Ad Angelo Mai
Leopardi crea una forte empatia con il «misero Torquato»[130], spirito fraterno
«concepito come un alter ego».[131] I due nomi femminili più celebri presenti
nei Canti, Silvia e Nerina, furono ripresi dall'Aminta. In generale,
l'attenzione si spostò dai personaggi della Liberata al dramma esistenziale
vissuto dal suo autore. Pochi anni dopo, nel 1833, Jacopo Ferretti scrisse le
parole del Torquato Tasso, melodramma in tre atti musicato da Gaetano Donizetti
e rappresentato per la prima volta al Teatro Valle.[132] Il "mito"
conquistò anche Franz Liszt: era il 1849 quando l'apostolo del Romanticismo
metteva in musica l'opera byroniana Il lamento del Tasso, dando vita al poema
sinfonico Tasso. Lamento e Trionfo. Il poeta vicentino ottocentesco Jacopo
Cabianca ha dedicato al Tasso un poema in dodici canti intitolato appunto Il
Torquato Tasso. Nei primi anni del ventesimo secolo il compositore
catanese Pietro Moro si concentrò sugli ultimi momenti di vita del poeta con
Ultime ore di Torquato Tasso, carme in un atto sulle parole di Giovanni Prati
(riviste per l'occasione da Rojobe Fogo). Torquato Tasso nel cinema
Torquato Tasso, regia di Luigi Maggi (1909) Torquato Tasso, regia di Roberto
Danesi (1914) Adattamenti cinematografici de La Gerusalemme liberata Il primo
regista a girare un film sull'opera fu Enrico Guazzoni. Lo stesso nel 1913 e
nel 1918 ne farà due remake; Gerusalemme liberata, di Enrico Guazzoni
(1910); La Gerusalemme liberata, di E. Guazzoni (1918); La Gerusalemme
liberata, di Carlo Ludovico Bragaglia (1957); I due crociati, parodia di
Giuseppe Orlandini con Franco e Ciccio (1968). Nel 2009 Alitalia gli ha dedicato uno dei suoi
Airbus A320-216 (EI-DTH). Laurea poetica (postuma) nastrino per uniforme
ordinariaLaurea poetica (postuma) — Roma, 1595
Biografie Giovan Pietro D'Alessandro, Vita di Torquato Tasso (1604), ed.
da C. Gigante, in «Giornale storico della Letteratura Italiana», Giovan
Battista Manso, Vita di Torquato Tasso (1621), B. Basile, Roma, Salerno
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Segretario è come un angelo». Trattati, raccolte epistolari, vite
paradigmatiche, ovvero come essere un buon segretario nel Rinascimento, Atti
del XIV Convegno Internazionale di Studio organizzato dal Gruppo di Studio sul
Cinquecento francese, Verona 25-27 maggio 2006, Rosanna Gorris Camos, Fasano,
Schena, 2008, 109–142. Umberto
Lorenzetti, Cristina Belli Montanari, L'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di
Gerusalemme. Tradizione e rinnovamento all'alba del Terzo Millennio, Fano (PU),
settembre . Sulle Rime Arnaldo Di Benedetto, Fra petrarchismo e Barocco: le
«Rime» di Torquato Tasso, «A me versato il mio dolor sia tutto», Lo sguardo di
Armida (Un'icona della «Gerusalemme liberata»), Per un anonimo in meno:
l'autore del dialogo «Il Tasso», in Tra Rinascimento e Barocco. Dal
petrarchismo a Torquato Tasso, Firenze, Società Editrice Fiorentina, Massimo
Colella, «Parmi ne’ sogni di veder Diana». Emersioni seleniche nelle Rime di
Torquato Tasso, in «Griseldaonline», 14, .[133] Sull'«Aminta» Mario Fubini,
L'«Aminta»: intermezzo alla tragedia della «Liberata», in Studi sulla
letteratura del Rinascimento, cit.,
200-15. Maria Grazia Accorsi, «Aminta»: ritorno a Saturno, Soveria
Mannelli, Rubbettino, 1998. Arnaldo Di Benedetto, Il sorriso dell'«Aminta», in
«Giornale storico della letteratura italiana», Arnaldo Di Benedetto, Tasso,
Haller, Ungaretti, in «Studi tassiani», LIX-LXI (-), 89-95. Sui Dialoghi Arnaldo Di Benedetto,
Torquato Tasso, «Il padre di famiglia», in L'«incipit» e la tradizione
letteraria italiana. Dal Trecento al tardo Cinquecento, Pasquale Guaragnella e
Stefania De Toma, Lecce-Brescia, Pensa MultiMedia, , 365–376. Angelo Chiarelli, «Questa concordia
è sempre nelle cose vere». Note per una contestualizzazione de «Il Costante
overo de la clemenza» di Tasso, in «Filologia e Critica», Angelo Chiarelli, Una
«congregazione di uomini raccolti per onore». Tentativi di aggiornamento della
teoria cortigiana nella dialogistica e nella prosa tassiana, in «La Rassegna
della letteratura italiana», , 121,
nº1, 34-43. Raimondi Ezio, Il Problema
Filologico e Letterario dei Dialoghi di T. Tasso, in Rinascimento Inquieto,
Einaudi, Torino 1994, 189-217. Bozzola
Sergio, «Questo quasi arringo del ragionare». La Tecnica dei «Dialoghi»
Tassiani, in «Italianistica, Rivista di Letteratura Italiana», LIX 1998, 71-79. Baldassarri Guido, L’arte del dialogo
in Torquato Tasso, in «Studi Tassiani», XX 1970, 5-46. Note Guido Armellini e Adriano
Colombo, Torquato TassoL'uomo, in Letteratura italianaGuida storica: Dal
Duecento al Cinquecento, Zanichelli Editore, Luperini, Cataldi, Marchiani, La
scrittura e l'interpretazione, Palumbo, 1997,
3, pag. 91; L. Tonelli, Tasso, Torino 193540 Lettere di Torquato Tasso, Firenze, Le
Monnier, 1901, II90 L. Tonelli, cit.42 G. Natali, Torquato Tasso, Roma, 1943, 13-14.
G. Natali, cit., 14-16 A. Solerti, Vita di Torquato Tasso, Torino
1895, I,
51-52. Altri pensano invece che queste sperimentazioni risalgano al
periodo patavino o addirittura a quello bolognese. G. Natali, cit., Luperini, Cataldi, Marchiani, La scrittura e
l'interpretazione, Palumbo, 1997, 3,
pag. 96 G. Natali, cit., 21-22
G. Natali, cit.20 L. Tonelli,
cit.68 G. Natali, cit.22; L. Tonelli,
cit.60 E. Durante, A. Martellotti,
«Giovinetta Peregrina». La vera storia di Laura Peperara e Torquato Tasso,
Firenze, Olschki, W. Moretti, Torquato
Tasso, Roma-Bari 198110 Baldi, Giusso,
Razetti, Zaccaria, Dal testo alla storia. Dalla storia al testo, Milano: Paravia,
1994, 2/1653 L. Tonelli, cit., 72-73; il rapporto amoroso è stato ipotizzato
in particolare da Angelo de Gubernatis in T. Tasso, Roma, Tipografia popolare,
1908 L. Tonelli, cit.82 Lettere, cit., I22 L. Tonelli, cit.89 L. Tonelli, cit., 99-100 Lettere, cit., I49 Secondo Maria Luisa Doglio la data non è
casuale e si inserirebbe nella tradizione petrarchesca. Petrarca avrebbe
infatti visto per l'unica volta Laura il 6 aprile 1327; cfr. M. L. Doglio,
Origini e icone del mito di Torquato Tasso, Roma 200221 Lettere, cit., I61 Lettere, cit., I67 Lettere, cit., I114 Si tratta di un'epistola al Gonzaga del
luglio 1575; Lettere, cit., I103 L.
Tonelli117 S. Guglielmino, H. Grosser,
Il sistema letterario, Milano, Principato, 1996, 2/A367
L. Tonelli, cit., 94-95 Lettere, cit, I141 Si trattava comunque di uno stipendio
oggettivamente basso, che a una persona comune avrebbe garantito a stento la
sopravvivenza; L. Tonelli, cit.172
Lettere, L. Chiappini, Gli Estensi, Milano, Dall'Oglio, 1967303 A. Solerti, cit., II, 118-119
A. Solerti, cit., II,
120-121 A. Solerti, cit., II124 L. Tonelli, cit.176 G. B. Manso, Vita del Tasso, in Opere del
Tasso, Firenze, 1724, IXXVIII M. Vattasso, Di un gruppo sconosciuto di
preziosi codici tasseschi, Torino, 192519
M. Vattasso, cit.8 A. Solerti,
cit., II139 L. Tonelli, cit.181 M.
L. Doglio, cit.23 I. De Bernardi, F.
Lanza, G. Barbero, Letteratura Italiana,
2, SEI, Torino, 1987 Lettere,
cit., I298 Lettere, cit., I299 A. Solerti, cit., II143; così scrive al
cardinale Luigi un suo informatore il 14 marzo
L. Tonelli, cit.182 Lettere,
cit., II89 L. Tonelli, cit.187 A. Solerti, cit., I, 313-314
T. Tasso, Lettere, Cesare Guasti, Napoli, Rondinella, 1857, I, 166-168
A. Corradi, Delle infermità di Torquato Tasso, Regio Instituto
Lombardo548 L. Tonelli, cit., 118-119
M. L. Doglio, cit., 41 e ss. Opere di Torquato Tasso, Firenze, Tartini e
Franchi, 1724, V412 L. Tonelli, cit., 207-211
Infarinato era il nome accademico assunto dal Salviati Tra parentesi sono indicate le date di
pubblicazione L. Tonelli, cit.216 Opere, cit., II276 Tra parentesi si indicano due date, quella di
composizione e quella di pubblicazione
Lettere, cit., II56 La prima
versione di quelli che saranno Gli intrichi d'amore non ci è pervenuta L. Tonelli, cit.238 L. Tonelli, F. D'Ovidio, Saggi critici, Napoli,
Morano, Non fu più tenero il Solerti; cfr. op. cit., I475 L. Chiappini, cit303 L. Tonelli, cit.188 L.Tonelli,
247-248 A. Solerti, cit.,
II, 277 e ss. Lettere, cit., IV, 8-9 L.
Tonelli, cit., 266-267 Lettere, cit., IV55 L. Tonelli, cit., 270-273
G. Mazzoni, Del Monte Oliveto e del Mondo creato di Torquato Tasso, in
Opere minori in versi di Torquato Tasso, Bologna, Zanichelli, IIXI E. Donadoni, Torquato Tasso, Firenze,
Battistelli, 1921, II225 G. B. Manso, Vita di T. Tasso, in Opere di
Torquato Tasso, Firenze 1724, cit.,
XLVI-XLVII Lettere, cit., IV,
p.152 Così al Costantini; Lettere, cit.,
IV149 Lettere, IV180 L. Tonelli, cit.275 Passo riportato in A. Solerti, cit.,
II323 A. Solerti, cit., II326 L. Tonelli, cit.276 Lettere, cit., IV265 Lettere, cit., IV, 296-297
Lettere, cit., IV334 Lettere,
cit., IV333: "A niuno sono più obligato che a Vostra Eccellenza, ed a
niuno vorrei essere maggiormente; perché è cosa da animo grato l'esser capace
de le grazie e de gli oblighi. Laonde non ho voluto più lungamente ricusare il
secondo suo dono di cento scudi, bench'io non abbia mostrato ancora alcuna
gratitudine del primo; ma la conservo ne l'animo, e ne le scritture: e ne l'uno
sarà forse eterna, e ne l'altre durerà tanto, quanto la memoria de le mie
fatiche. Niuno de' presenti o de' posteri saprà chi mi sia, che non sappia
insieme quant'io sia debitore a la cortesia di Vostra Eccellenza, ed a la sua
liberalità; con la quale supera tutti coloro che possono superar la
fortuna." Così scrive il Tasso al marchese Giovanni Ventimiglia da Firenze
nella primavera del 1590. Soltanto nello stesso 1590, il Tasso dedicherà al
marchese due composizioni encomiastiche, non portando però a compimento il
promessogli poema Tancredi normando.
Lettera a Scipione Gonzaga, Lettere. E. Rossi, Il Tasso in Campidoglio,
in Cultura, aprile-giugno 1933,
310-311 Lettere, cit., V6 L. Tonelli, cit.278 Lettere, cit., V62 L. Tonelli, cit., 278-279
C. Cipolla, Le fonti storiche della «Genealogia di Casa Gonzaga», in
Opere minori in versi di Torquato Tasso, cit.,
I L. Tonelli, cit.281 G. B. Manso, cit.LXVI L.Tonelli, cit., 282-283
L. Tonelli, cit.284 E. Rossi, c
A. Solerti, cit., II Lettere, cit., V194 Lettere, cit., V200 Lettera ad Antonio Costantini, in Lettere,
cit., V203 Lettera di Maurizio Cataneo a
Ercole Tasso, 29 aprile 1595; A. Solerti, cit., II363 Lettera di monsignor Quarenghi a Giovan
Battista Strozzi, 28 aprile 1595; A. Solerti, cit., II361 Almanach du gotha, de J.-H. de Randeck, Les
plus anciennes familles du monde: répertoire encyclopédique des 1.400 plus
anciennes familles du monde, encore existantes, originaires d'Europe, de
Karl Hopf, Historisch-genealogischer Atlas: Seit Christi Geburt bis auf unsere
Zeit433. de A. M. H. J. Stokvis, Manuel
d'histoire: Les états de Europe et leurs colonies, 1893. de Pierantonio Serassi, La vita de Torquato
Tasso8. de Niccolò Morelli di Gregorio,
Della vita di Torquato Tasso7. de
Pierantonio Serassi, La vita di Torquato Tasso10. (DE) de Karl Hopf, Historisch-genealogischer
Atlas: Seit Christi Geburt bis auf unsere Zeit434. de Heinrich Léo Dochez, Histoire d'Italie
pendant le Moyen-âge125. T. Tasso,
Discorsi dell'arte poetica, I, 12 in Le prose diverse di Torquato Tasso (C.
Guasti), Firenze, Le Monnier, 1875
Discorsi dell'arte poetica, cit., I, 15
A. Solerti, cit, I556; F. D'Ovidio, Saggi critici, Napoli, Morano, U.
Renda, Il Torrismondo di Torquato Tasso e la tecnica tragica nel Cinquecento,
Teramo, E. Donadoni, cit., II, 91-92
G. Carducci, Il Torrismondo, testo premesso all'ed. Solerti delle Opere
minori in versi di Torquato Tasso, cit.,
LXXXIV L. Tonelli, cit.253 Torquato Tasso, Risposta di Roma a Plutarco,
Res, 2007, 978-88-85323-53-7. 12 agosto
. Risposta di Roma a Plutarco e
marginalia | Edizioni di Storia e Letteratura, su storiaeletteratura.it. 12
agosto 12 agosto ). Angelo Chiarelli,
Una «congregazione di uomini raccolti per onore». Tentativi di aggiornamento
della teoria cortigiana nella dialogistica e nella prosa tassiana, in «La
Rassegna della letteratura italiana», ,
121, n°1, 34-43.. 12 agosto .
«Questa concordia è sempre nelle cose vere». Note per una contestualizzazione
de «Il Costante overo de la clemenza» di Tasso, in «Filologia e Critica», a.
XLI, 2 , 257-70.pdf . 12 agosto . Sul muro esterno della Chiesa di S. Onofrio,
a Roma, una tavola con iscrizione tedesca ricorda il soggiorno di Goethe e
l'ispirazione che lo portò a scrivere il dramma, dopo aver veduto la tomba del
poeta custodita all'interno dell'edificio sacro
Ad Angelo Mai, v. 124 G. Baldi,
S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al
testo, Milano, Paravia, 2001,
3/A570 S. E. Failla, Ante Musicam
Musica. Torquato Tasso nell'Ottocento musicale italiano, Acireale-Roma,
Bonanno, Emersioni seleniche nelle Rime di Torquato Tasso | Massimo Colella |
Griselda Online, su griseldaonline.it. 29 marzo . Torquato Tasso, commedia goldoniana Torquato
Tasso, dramma di Goethe (1790) Torquato Tasso, opera di Gaetano Donizetti
Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare, dalle Operette morali di
Giacomo Leopardi Thurn und Taxis, ramo austriaco della famiglia Tasso di
Bergamo, fondatori delle prime poste europee Museo tassiano, museo dedicato a
Torquato Tasso Accademia dei Catenati Cella del Tasso, attuale ubicazione a
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Torquato Tasso, su International Music Score Library Project, Project Petrucci
LLC. Torquato Tasso, su Internet Movie Database, IMDb.com. Torquato Tasso Testi completi e cronologia
delle opere. Opere integrali in più volumi dalla collana digitalizzata "Scrittori
d'Italia" Laterza Opere di Torquato Tasso, testi con concordanze, lista
delle parole e lista di frequenza Due segregazioni: il Cantico spirituale di
Giovanni della Croce e Il Re Torrismondo di Torquato Tasso, su midesa.it. 2
luglio 2009 19 maggio ). Opere di Torquato Tasso colle controversie sulla
Gerusalemme poste in migliore ordine, ricorrette sull'edizione fiorentina, ed.
illustrate dal professore Gio. Rosini, 33 voll., Pisa, presso Niccolò Capurro, Le
lettere di Torquato Tasso disposte per ordine di tempo e illustrate da Cesare
Giusti, 5 voll., Firenze, Felice Le Monnier, I dialoghi, Cesare Guasti, Firenze,
Felice Le Monnier, Le rime di Torquato Tasso. Edizione critica su i manoscritti
e le antiche stampe Angelo Solerti, 4 voll., Bologna, presso
Romagnoli-Dall'Acqua, Opere di Torquato Tasso
tautologum: The difference between a truth and a tautological
truth is part of the dogma Grice defends. “A three-year old cannot understand
Russell’s theory of types” is possibly true. “It is not the case that a
three-year old is an adult” is TAUTOLOGICALLY true. As Strawson and Wiggins
note, by coining implicaturum Grice is mainly interested in having the MAN
implying this or that, as opposed to what the man implies implying this or
that. So, in Strawson and Wiggins’s rephrasing, the implicaturum is to be
distinguished with the logical and necessary implication, i. e., the
‘tautological’ implication. Grice uses ‘tautological’ variously. It is
tautological that we smell smells, for example. This is an extension of
‘paradigm-case,’ re: analyticity. Without ‘analytic’ there is no
‘tautologicum.’ tautŏlŏgĭa , ae, f., = ταυτολογία,I.a repetition of the same meaning in different words, tautology, Mart. Cap. 5, § 535; Charis242
P. ταὐτολογ-έω ,A.repeat what has been
said, “περί τινος” Plb.1.1.3; “ὑπέρ τινος” Id.1.79.7; “τ. τὸν λόγον” Str.12.3.27:—abs., Plb.36.12.2, Phld. Po.Herc.994.30, Hermog.Inv.3.15.
Oddly why Witters restricts tautology to truth-table propositional logic,
Grice’s two examples are predicate calculus: Women are women and war is war.
4.46 GER [→OGD | →P/M] Unter den möglichen Gruppen von Wahrheitsbedingungen
gibt es zwei extreme Fälle. In dem einen Fall ist der Satz für sämtliche
Wahrheitsmöglichkeiten der Elementarsätze wahr. Wir sagen, die
Wahrheitsbedingungen sind t a u t o l o g i s c h. Im zweiten Fall ist der Satz
für sämtliche Wahrheitsmöglichkeiten falsch: Die Wahrheitsbedingungen sind k o
n t r a d i k t o r i s c h. Im ersten Fall nennen wir den Satz eine
Tautologie, im zweiten Fall eine Kontradiktion. 4.461 GER [→OGD | →P/M] Der
Satz zeigt was er sagt, die Tautologie und die Kontradiktion, dass sie nichts
sagen. Die Tautologie hat keine Wahrheitsbedingungen, denn sie ist
bedingungslos wahr; und die Kontradiktion ist unter keiner Bedingung wahr.
Tautologie und Kontradiktion sind sinnlos. (Wie der Punkt, von dem zwei Pfeile
in entgegengesetzter Richtung auseinandergehen.) (Ich weiß z. B. nichts über
das Wetter, wenn ich weiß, dass es regnet oder nicht regnet.) 4.4611 GER [→OGD
| →P/M] Tautologie und Kontradiktion sind aber nicht unsinnig; sie gehören zum
Symbolismus, und zwar ähnlich wie die „0“ zum Symbolismus der Arithmetik. 4.462
GER [→OGD | →P/M] Tautologie und Kontradiktion sind nicht Bilder der
Wirklichkeit. Sie stellen keine mögliche Sachlage dar. Denn jene lässt j e d e
mögliche Sachlage zu, diese k e i n e. In der Tautologie heben die Bedingungen
der Übereinstimmung mit der Welt—die darstellenden Beziehungen—einander auf, so
dass sie in keiner darstellenden Beziehung zur Wirklichkeit steht. 4.463 GER
[→OGD | →P/M] Die Wahrheitsbedingungen bestimmen den Spielraum, der den
Tatsachen durch den Satz gelassen wird. (Der Satz, das Bild, das Modell, sind
im negativen Sinne wie ein fester Körper, der die Bewegungsfreiheit der anderen
beschränkt; im positiven Sinne, wie der von fester Substanz begrenzte Raum,
worin ein Körper Platz hat.) Die Tautologie lässt der Wirklichkeit den ganzen—unendlichen—logischen
Raum; die Kontradiktion erfüllt den ganzen logischen Raum und lässt der
Wirklichkeit keinen Punkt. Keine von beiden kann daher die Wirklichkeit
irgendwie bestimmen. 4.464 GER [→OGD | →P/M] Die Wahrheit der Tautologie ist
gewiss, des Satzes möglich, der Kontradiktion unmöglich. (Gewiss, möglich,
unmöglich: Hier haben wir das Anzeichen jener Gradation, die wir in der
Wahrscheinlichkeitslehre brauchen.) 4.465 GER [→OGD | →P/M] Das logische
Produkt einer Tautologie und eines Satzes sagt dasselbe, wie der Satz. Also ist
jenes Produkt identisch mit dem Satz. Denn man kann das Wesentliche des Symbols
nicht ändern, ohne seinen Sinn zu ändern. 4.466 GER [→OGD | →P/M] Einer
bestimmten logischen Verbindung von Zeichen entspricht eine bestimmte logische
Verbindung ihrer Bedeutungen; j e d e b e l i eb i g e Verbindung entspricht
nur den unverbundenen Zeichen. Das heißt, Sätze, die für jede Sachlage wahr
sind, können überhaupt keine Zeichenverbindungen sein, denn sonst könnten ihnen
nur bestimmte Verbindungen von Gegenständen entsprechen. (Und keiner logischen
Verbindung entspricht k e i n e Verbindung der Gegenstände.) Tautologie und
Kontradiktion sind die Grenzfälle der Zeichenverbindung, nämlich ihre
Auflösung. 4.4661 GER [→OGD | →P/M] Freilich sind auch in der Tautologie und
Kontradiktion die Zeichen noch mit einander verbunden, d. h. sie stehen in
Beziehungen zu einander, aber diese Beziehungen sind bedeu- tungslos, dem S y m
b o l unwesentlich. 4.46 OGD [→GER | →P/M] Among the possible groups of
truthconditions there are two extreme cases. In the one case the proposition is
true for all the truth-possibilities of the elementary propositions. We say
that the truth-conditions are tautological. In the second case the proposition
is false for all the truth-possibilities. The truth-conditions are
self-contradictory. In the first case we call the proposition a tautology, in
the second case a contradiction. 4.461 OGD [→GER | →P/M] The proposition shows
what it says, the tautology and the contradiction that they say nothing. The
tautology has no truth-conditions, for it is unconditionally true; and the
contradiction is on no condition true. Tautology and contradiction are without
sense. (Like the point from which two arrows go out in opposite directions.) (I
know, e.g. nothing about the weather, when I know that it rains or does not
rain.) 4.4611 OGD [→GER | →P/M] Tautology and contradiction are, however, not
nonsensical; they are part of the symbol- ism, in the same way that “0” is part
of the symbolism of Arithmetic. 4.462 OGD [→GER | →P/M] Tautology and
contradiction are not pictures of the reality. They present no possible state
of affairs. For the one allows every possible state of affairs, the other none.
In the tautology the conditions of agreement with the world—the presenting
relations— cancel one another, so that it stands in no presenting relation to
reality. 4.463 OGD [→GER | →P/M] The truth-conditions determine the range,
which is left to the facts by the proposition. (The proposition, the picture,
the model, are in a negative sense like a solid body, which restricts the free
movement of another: in a positive sense, like the space limited by solid
substance, in which a body may be placed.) Tautology leaves to reality the
whole infinite logical space; contradiction fills the whole logi- cal space and
leaves no point to reality. Neither of them, therefore, can in any way
determine reality. 4.464 OGD [→GER | →P/M] The truth of tautology is certain,
of propositions possible, of contradiction impossible. (Certain, possible,
impossible: here we have an indication of that gradation which we need in the
theory of probability.) 4.465 OGD [→GER | →P/M] The logical product of a
tautology and a proposition says the same as the proposition. Therefore that product
is identical with the proposition. For the essence of the symbol cannot be
altered without altering its sense. 4.466 OGD [→GER | →P/M] To a definite
logical combination of signs corresponds a definite logical combination of
their meanings; every arbitrary combination only corresponds to the unconnected
signs. That is, propositions which are true for ev- ery state of affairs cannot
be combinations of signs at all, for otherwise there could only correspond to
them definite combinations of objects. (And to no logical combination
corresponds no combination of the objects.) Tautology and contradiction are the
limiting cases of the combination of symbols, namely their dissolution. 4.4661
OGD [→GER | →P/M] Of course the signs are also combined with one another in the
tautology and contradiction, i.e. they stand in relations to one another, but
these relations are meaningless, unessential to the symbol. 4.46 P/M [→GER |
→OGD] Among the possible groups of truthconditions there are two extreme cases.
In one of these cases the proposition is true for all the truth-possibilities
of the elementary propositions. We say that the truth-conditions are
tautological. In the second case the proposition is false for all the
truth-possibilities: the truth-conditions are contradictory. In the first case
we call the proposition a tautology; in the second, a contradiction. 4.461 P/M
[→GER | →OGD] Propositions show what they say: tautolo- gies and contradictions
show that they say nothing. A tautology has no truth-conditions, since it is
unconditionally true: and a contradiction is true on no condition. Tautologies
and contradictions lack sense. (Like a point from which two arrows go out in
opposite directions to one another.) (For example, I know nothing about the
weather when I know that it is either raining or not raining.) 4.4611 P/M [→GER
| →OGD] Tautologies and contradictions are not, however, nonsensical. They are
part of the symbolism, much as ‘0’ is part of the symbolism of arithmetic.
4.462 P/M [→GER | →OGD] Tautologies and contradictions are not pictures of
reality. They do not represent any possible situations. For the former admit
all possible situations, and latter none. In a tautology the conditions of
agreement with the world—the representational relations—cancel one another, so
that it does not stand in any representational relation to reality. 4.463 P/M
[→GER | →OGD] The truth-conditions of a proposition determine the range that it
leaves open to the facts. (A proposition, a picture, or a model is, in the
negative sense, like a solid body that restricts the freedom of movement of
others, and, in the positive sense, like a space bounded by solid substance in
which there is room for a body.) A tautology leaves open to reality the
whole—the infinite whole—of logical space: a contradiction fills the whole of
logical space leaving no point of it for reality. Thus neither of them can
determine reality in any way. 4.464 P/M [→GER | →OGD] A tautology’s truth is
certain, a proposition’s possible, a contradiction’s impossible. (Certain,
possible, impossible: here we have the first indication of the scale that we
need in the theory of probability.) 4.465 P/M [→GER | →OGD] The logical product
of a tautology and a proposition says the same thing as the proposition. This
product, therefore, is identical with the proposition. For it is impossible to
alter what is essential to a symbol without altering its sense. 4.466 P/M [→GER
| →OGD] What corresponds to a determinate logical combination of signs is a
determinate logical combination of their meanings. It is only to the uncombined
signs that absolutely any combination corresponds. In other words, propositions
that are true for every situation cannot be combinations of signs at all,
since, if they were, only determinate combinations of objects could correspond
to them. (And what is not a logical combination has no combination of objects
corresponding to it.) Tautology and contradiction are the limiting cases—indeed
the disintegration—of the combination of signs. 4.4661 P/M [→GER | →OGD] Admittedly
the signs are still combined with one another even in tautologies and
contradictions—i.e. they stand in certain relations to one another: but these
relations have no meaning, they are not essential to the symbol. Grice would
often use ‘tautological,’ and ‘self-contradiction’ presupposes ‘analyticity,’
or rather the analytic-synthetic distinction. Is it contradictory, or a
self-contradiction, to say that one’s neighbour’s three-year-old child is an
adult? Is there an implicaturum for ‘War is not war’? Grice refers to Bayes in
WOW re Grices paradox, and to crazy Bayesy, as Peter Achinstein does (Newton
was crazy, but not Bayesy). We can now, in principle, characterize
the desirability of the action a 1 , relative to each end (E1 and E2), and to
each combination of ends (here just E1 and E2), as a function of the
desirability of the end and the probability that the action a 1 will realize
that end, or combination of ends. If we envisage a range of possible actions,
which includes a 1 together with other actions, we can imagine that each such
action has a certain degree of desirability relative to each end (E1 and (or)
E2) and to their combination. If we suppose that, for each possible action,
these desirabilities can be compounded (perhaps added), then we can suppose
that one particular possible action scored higher (in actiondesirability
relative to these ends) than any alternative possible action; and that this is
the action which wins out; that is, is the action which is, or at least should,
end p.105 be performed. (The computation would in fact be more complex than I
have described, once account is taken of the fact that the ends involved are
often not definite (determinate) states of affairs (like becoming
President), but are variable in respect of the degree to which they might be
realized (if ones end is to make a profit from a deal, that profit might be of
a varying magnitude); so one would have to consider not merely the likelihood
of a particular actions realizing the end of making a profit, but also the
likelihood of its realizing that end to this or that degree; and this would
considerably complicate the computational problem.) No doubt most readers are
far too sensible ever to have entertained any picture even remotely resembling
the "Crazy-Bayesy" one I have just described. Grice was
fascinated by the fact that paradox translates the Grecian neuter paradoxon.
Some of the paradoxes of entailment, entailment and paradoxes. This is not the
first time Grice uses paradox. As a classicist, he was aware of the nuances
between paradox (or paradoxon, as he preferred, via Latin paradoxum, and
aporia, for example. He was interested in Strawsons treatment of this or that
paradox of entailment. He even called his own paradox involving if and probablility
Grices paradox. tautologicum: Grice
gives two examples: War is war, and Women are women“Note that “Men are men”
sounds contingent.” tautology, a proposition whose negation is inconsistent, or
self- contradictory, e.g. ‘Socrates is Socrates’, ‘Every human is either male
or nonmale’, ‘No human is both male and non-male’, ‘Every human is identical to
itself’, ‘If Socrates is human then Socrates is human’. A proposition that is
or is logically equivalent to the negation of a tautology is called a
self-contradiction. According to classical logic, the property of being Tao Te
Ching tautology 902 902 implied by its
own negation is a necessary and sufficient condition for being a tautology and
the property of implying its own negation is a necessary and sufficient condition
for being a contradiction. Tautologies are logically necessary and
contradictions are logically impossible. Epistemically, every proposition that
can be known to be true by purely logical reasoning is a tautology and every
proposition that can be known to be false by purely logical reasoning is a
contradiction. The converses of these two statements are both controversial
among classical logicians. Every proposition in the same logical form as a
tautology is a tautology and every proposition in the same logical form as a
contradiction is a contradiction. For this reason sometimes a tautology is said
to be true in virtue of form and a contradiction is said to be false in virtue
of form; being a tautology and being a contradiction tautologousness and contradictoriness
are formal properties. Since the logical form of a proposition is determined by
its logical terms ‘every’, ‘some’, ‘is’, etc., a tautology is sometimes said to
be true in virtue of its logical terms and likewise mutatis mutandis for a contradiction.
Since tautologies do not exclude any logical possibilities they are sometimes
said to be “empty” or “uninformative”; and there is a tendency even to deny
that they are genuine propositions and that knowledge of them is genuine
knowledge. Since each contradiction “includes” implies all logical
possibilities which of course are jointly inconsistent, contradictions are
sometimes said to be “overinformative.” Tautologies and contradictions are
sometimes said to be “useless,” but for opposite reasons. More precisely,
according to classical logic, being implied by each and every proposition is
necessary and sufficient for being a tautology and, coordinately, implying each
and every proposition is necessary and sufficient for being a contradiction.
Certain developments in mathematical logic, especially model theory and modal
logic, seem to support use of Leibniz’s expression ‘true in all possible
worlds’ in connection with tautologies. There is a special subclass of
tautologies called truth-functional tautologies that are true in virtue of a
special subclass of logical terms called truthfunctional connectives ‘and’,
‘or’, ‘not’, ‘if’, etc.. Some logical writings use ‘tautology’ exclusively for
truth-functional tautologies and thus replace “tautology” in its broad sense by
another expression, e.g. ‘logical truth’. Tarski, Gödel, Russell, and many
other logicians have used the word in its broad sense, but use of it in its
narrow sense is widespread and entirely acceptable. Propositions known to be
tautologies are often given as examples of a priori knowledge. In philosophy of
mathematics, the logistic hypothesis of logicism is the proposition that every
true proposition of pure mathematics is a tautology. Some writers make a sharp
distinction between the formal property of being a tautology and the non-formal
metalogical property of being a law of logic. For example, ‘One is one’ is not
metalogical but it is a tautology, whereas ‘No tautology is a contradiction’ is
metalogical but is not a tautology.
telementationalism: see psi-transmission. The coinage is interesting.
Since Grice has an essay on ‘modest mentalism,’ and would often use ‘mental’
for ‘psychological,’ it does make sense. ‘Ideationalism’ is analogous. this is
a special note, or rather, a very moving proem, on Grices occasion of
delivering his lectures on ‘Aspects of reason and reasoning’ at Oxford as the
Locke Lectures at Merton. Particularly apt in mentioning, with humility, his
having failed, *thrice* [sic] to obtain the Locke lectureship, Strawson did, at
once, but feeling safe under the ægis of that great English philosopher (viz.
Locke! always implicated, never explicited) now. Grice starts the proem in a
very moving, shall we say, emotional, way: I find it difficult to convey to you
just how happy I am, and how honoured I feel, in being invited to give these
lectures. Difficult, but not impossible. I think of this university and this
city, it has a cathedral, which were my home for thirty-six years, as my
spiritual and intellectual parents. The almost majestic plural is Grices
implicaturum to the town and gown! Whatever I am was originally fashioned here;
I never left Oxford, Oxford made me, and I find it a moving experience to be,
within these splendid and none too ancient walls, once more engaged in my old
occupation of rendering what is clear obscure, by flouting the desideratum of
conversational clarity and the conversational maxim, avoid obscurity of
expression, under be perspicuous [sic]!. Grices implicaturum on none too
ancient seems to be addressed to the truly ancient walls that saw Athenian
dialectic! On the other hand, Grices funny variant on the obscurum per
obscurius ‒ what Baker found as Grices skill in rendering an orthodoxy into a
heterodoxy! Almost! By clear Grice implicates Lewis and his clarity is not
enough! I am, at the same time, proud of my mid-Atlantic [two-world] status,
and am, therefore, delighted that the Old World should have called me in, or
rather recalled me, to redress, for once, the balance of my having left her for
the New. His implicaturum seems to be: Strictly, I never left? Grice concludes
his proem: I am, finally, greatly heartened by my consciousness of the fact
that that great English philosopher, under whose ægis I am now speaking, has in
the late afternoon of my days extended to me his Lectureship as a gracious
consolation for a record threefold denied to me, in my early morning, of his
Prize. I pray that my present offerings may find greater favour in his sight
than did those of long ago. They did! Even if Locke surely might have found
favour to Grices former offerings, too, Im sure. Refs.: The allusions to Locke
are in “Aspects.” Good references under ‘ideationalism,’ above, especially in
connection with Myro’s ‘modest mentalism,’ The H. P. Grice Papers, BANC.
telesio: philosopher whose empiricism influences Francis Bacon
and Galileo. Telesio studies in Padova, where he completed his doctorate, and practiced philosophy in Naples and Cosenza
without holding any academic position. His major oeuvre, “De rerum natura iuxta
propria principia,” contains an attempt to interpret nature on the basis of its
own principles, which Telesio identifies with the two incorporeal active forces
of heat and cold, and the corporeal and passive physical substratum. As the two
active forces permeate all of nature and are endowed with sensation, Telesio
argues that all of nature possesses some degree of sensation. Human beings
share with animals a material substance produced by heat and coming into
existence with the body, called spirit. They are also given a mind by God.
Telesio knew various interpretations of Aristotle. However, Telesio broke with foreign exegeses, criticizing
Aristotle’s Physics and claiming that nature is investigated better by the
senses than by the intellect. Bernardino Telesio (n.
Cosenza) filosofo. Mentre le sue teorie naturali sono state successivamente
smentite, la sua enfasi sull'osservazione fece il "primo dei moderni"
che alla fine hanno sviluppato il metodo scientifico. Telesio è nato
da genitori nobili in Cosenza , una città in Calabria, Italia meridionale. È
stato istruito a Milano dallo zio, Antonio, lui stesso uno studioso e poeta di
eminenza, e poi a Roma e Padova . I suoi studi hanno incluso tutta la vasta
gamma di argomenti, classici , scienza e filosofia, che costituivano il
curriculum degli rinascimentali sapienti. Così equipaggiata, ha iniziato il suo
attacco sul aristotelismo medievale che poi fiorì a Padova e Bologna . Nel 1553
si sposò e si stabilì a Cosenza, diventando il fondatore dell'Accademia
Cosentina . Per un certo periodo ha vissuto nella casa di Alfonso III Carafa ,
duca di Nocera. Nel 1563, o forse due anni più tardi, apparve la sua grande
opera De Rerum Natura Iuxta Propria Principia ( Sulla natura delle cose secondo
i loro propri principi ), seguito da un gran numero di opere scientifiche e
filosofiche di importanza sussidiaria. Le opinioni eterodosse, che ha mantenuto
suscitato l'ira della Chiesa per conto del suo amato aristotelismo , e poco
tempo dopo la sua morte i suoi libri sono stati immessi sul Index.
Steepto Teoria della materia, calore e freddo Invece di postulare materia
e forma, si basa l'esistenza sulla materia e la forza. Questa forza ha due
elementi opposti: calore, che si espande, e fredde, che i contratti. Questi due
processi rappresentano tutte le diverse forme e tipi di esistenza, mentre la
massa su cui opera la forza rimane la stessa. L'armonia del tutto consiste nel
fatto che ogni cosa separata sviluppa in sé e per sé conformemente alla sua
natura e allo stesso tempo il suo moto avvantaggia il resto. I difetti evidenti
di questa teoria, (1) che solo i sensi possono non comprendere materia stessa,
(2) che non è chiaro come la molteplicità dei fenomeni potrebbe derivare da
queste due forze, pensato non è meno convincente di Aristotles caldo / freddo ,
secca spiegazione / umido, e (3) che ha addotto alcuna prova per dimostrare
l'esistenza di queste due forze, sono stati sottolineato a suo tempo dal suo
allievo, Patrizzi . Inoltre, la sua teoria della terra fredda a riposo e
il sole caldo in moto era destinato a confutazione per mano di Copernico . Allo
stesso tempo, la teoria era sufficientemente coerente per fare una grande
impressione sul pensiero italiano. Va ricordato, però, che la sua obliterazione
di una distinzione tra superlunar e fisica sublunare era certamente abbastanza
preveggente anche se non riconosciuto dai suoi successori come particolarmente
degno di nota. Quando Telesio ha continuato a spiegare la relazione tra mente e
materia, era ancora più eterodossa. Forze materiali sono, per ipotesi, in grado
di sentire; questione deve anche essere stato fin dal primo dotato di
coscienza. Per la coscienza esiste, e non avrebbe potuto essere sviluppato dal
nulla. Questo lo porta a una forma di ilozoismo . Anche in questo caso, l'anima
è influenzato dalle condizioni materiali; di conseguenza, l'anima deve avere un
esistenza materiale. Ha inoltre dichiarato che tutta la conoscenza è sensazione
( "non-ratione sensu sed") e che l'intelligenza è, quindi, un
agglomerato di dati isolati, in sensi. Non lo fa, però, riesce a spiegare come
solo i sensi possono percepire la differenza e identità. Alla fine del
suo schema, probabilmente in ossequio alla teologiche pregiudizi, ha aggiunto
un elemento che era completamente estraneo, vale a dire, un impulso più alto,
un'anima sovrapposta da Dio, in virtù della quale ci sforziamo di là del mondo
sensibile. Questa anima divina non è affatto un concetto completamente nuovo,
se visto nel contesto di Averroestic o tommasiana teoria percettiva.
L'intero sistema di Telesio mostra lacune nella sua tesi, e l'ignoranza dei
fatti, ma allo stesso tempo è un precursore di tutte le successive
dell'empirismo , scientifico e filosofico, e segna chiaramente il periodo di
transizione da autorità e la ragione di sperimentare e individuale
responsabilità. Il ricorso a dati sensoriali Statua di Bernardino
Telesio in Piazza XV Marzo, Cosenza Telesio era il capo del grande movimento
italiano del sud, che ha protestato contro l'autorità accettata della ragione
astratta e semina i semi da cui spuntavano i metodi scientifici di Tommaso
Campanella e Giordano Bruno , di Francis Bacon e René Descartes , con i loro
risultati ampiamente divergenti. Egli, quindi, ha abbandonato la sfera
puramente intellettuale e ha proposto un'indagine sui dati forniti dai sensi,
dai quali ha ricoperto che tutta la vera conoscenza viene veramente (la sua
teoria della percezione sensoriale era essenzialmente una rielaborazione della
teoria di Aristotele dal De anima ). Telesio scrive all'inizio del
Proemio del primo libro della terza edizione del De Rerum Natura Iuxta propria
principia Libri Ix ... "che la costruzione del mondo e la grandezza dei
corpi in esso contenuti, e la natura del mondo, è da ricercare non dalla ragione,
come è stato fatto dagli antichi, ma è da intendersi per mezzo di
osservazione." ( Mundi constructionem, corporumque in eo contentorum
magnitudinem, naturamque non ratione, quod antiquioribus factum est,
inquirendam, sed sensu percipiendam. ) Questa affermazione, che si trova sulla
prima pagina, riassume ciò che molti studiosi moderni hanno generalmente
considerato filosofia telesiana, e spesso sembra che molti non leggere oltre
per nella pagina successiva si imposta il suo caldo teoria / freddo della materia
informata, una teoria che non è chiaramente informato dalla nostra idea moderna
di osservazione. Per Telesio, l'osservazione ( sensu percipiendam ) è un
processo mentale molto più grande di una semplice registrazione dei dati,
l'osservazione comprende anche il pensiero analogico. Anche se Francis
Bacon è generalmente accreditato al giorno d'oggi, con la codificazione di un
induttiva metodo che sottoscrive pienamente l'osservazione come procedura
primaria per l'acquisizione di conoscenze, non era certamente il primo a
suggerire che la percezione sensoriale dovrebbe essere la fonte primaria per la
conoscenza. Tra i filosofi naturali del Rinascimento, questo onore è
generalmente conferito a Telesio. Bacone si riconosce Telesio come "il
primo dei moderni" ( De Telesio autem bene sentimus, atque eum ut amantem
veritatis, e Scientiis utilem, e nonnullorum Placitorum emendatorem &
novorum hominum primum agnoscimus. , Da Bacon De principiis atque originibus )
per mettere l'osservazione di sopra di tutti gli altri metodi di acquisizione
delle conoscenze sul mondo naturale. Questa frase spesso citata da Bacon, però,
è fuorviante, perché semplifica eccessivamente e travisa l'opinione di Bacone
di Telesio. La maggior parte del saggio di Bacon è un attacco a Telesio e
questa frase, invariabilmente fuori contesto, ha facilitato un malinteso
generale della filosofia naturale telesiana dando ad essa un timbro baconiana
di approvazione, che era lontano dalle intenzioni originali di Bacon. Bacone
vede in Telesio un alleato nella lotta contro l'antica autorità, ma ha poco
positivo da dire su specifiche teorie di Telesio. Ciò che forse colpisce
di più De Rerum Natura è il tentativo di Telesio di meccanizzare il più
possibile. Telesio si sforza di spiegare tutto chiaramente in termini di
materia informati dalla calda e fredda e per mantenere i suoi argomenti il più
semplice possibile. Quando i suoi colloqui si rivolgono agli esseri umani che
introduce un istinto di auto-conservazione per spiegare le loro motivazioni. E
quando discute la mente umana e la sua capacità di ragionare in astratto su
argomenti immateriali e divine, aggiunge un'anima. Per senza anima, tutto il
pensiero, dal suo ragionamento, sarebbe limitato alle cose materiali. Ciò
renderebbe Dio impensabile e chiaramente questo non era il caso, per
l'osservazione dimostra che la gente pensa di Dio. Telesii, Bernardini
(1586). De Rerum Natura Iuxta Propia Principii, Libri IX . Horatium Saluianum,
Napoli. Oltre a De Rerum Natura , ha scritto: de Somno De la quae in aere
fiunt de Mari De cometis et Circulo Lactea respirationis De USU. Gli appunti
Riferimenti Neil C. Van Deusen, Telesio: primo dei moderni (New York, 1932)
link esterno Wikimedia Commons ha mezzi relativi a Bernardino Telesio .
Stanford Encyclopedia of Philosophy entry De La sua, Quae in aere Sunt,
& de Terraemotibuspiena facsimile digitale a Linda Hall Library. Refs.:
Luigi Speranza, “Telesio e Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
tempus: cited by Grice and Myro in the Grice-Myro theory of
identity. tense logic, an extension of classical logic introduced by Arthur
Prior Past, Present, and Future, 7, involving operators P and F for the past
and future tenses, or ‘it was the case that . . .’ and ‘it will be the case
that . . .’. Classical or mathematical logic was developed as a logic of
unchanging mathematical truth, and can be applied to tensed discourse only by
artificial regimentation inspired by mathematical physics, introducing
quantification over “times” or “instants.” Thus ‘It will have been the case
that p,’ which Prior represents simply as FPp, classical logic represents as
‘There [exists] an instant t and there [exists] an instant tH such that t [is]
later than the present and tH [is] earlier than t, and at tH it [is] the case
that pH, or DtDtH t o‹t8tH ‹t8ptH, where the brackets indicate that the verbs
are to be understood as tenseless. Prior’s motives were in part linguistic to
produce a formalization less removed from natural language than the classical
and in part metaphysical to avoid ontological commitment to such entities as
instants. Much effort was devoted to finding tense-logical principles
equivalent to various classical assertions about the structure of the
earlierlater order among instants; e.g., ‘Between any two instants there is
another instant’ corresponds to the validity of the axioms Pp P PPp and Fp P
FFp. Less is expressible using P and F than is expressible with explicit
quantification over instants, and further operators for ‘since’ and ‘until’ or
‘now’ and ‘then’ have been introduced by Hans Kamp and others. These are
especially important in combination with quantification, as in ‘When he was in
power, all who now condemn him then praised him.’ As tense is closely related
to mood, so tense logic is closely related to modal logic. As Kripke models for
modal logic consist each of a set X of “worlds” and a relation R of ‘x is an
alternative to y’, so for tense logic they consist each of a set X of
“instants” and a relation R of ‘x is earlier than y’: Thus instants, banished
from the syntax or proof theory, reappear in the semantics or model theory.
Modality and tense are both involved in the issue of future contingents, and
one of Prior’s motives was a desire to produce a formalism in which the views
on this topic of ancient, medieval, and early modern logicians from Aristotle
with his “sea fight tomorrow” and Diodorus Cronos with his “Master Argument”
through Ockham to Peirce could be represented. The most important precursor to
Prior’s work on tense logic was that on many-valued logics by Lukasiewicz,
which was motivated largely by the problem of future contingents. Also related
to tense and mood is aspect, and modifications to represent this grammatical
category evaluating formulas at periods rather than instants of time have also
been introduced. Like modal logic, tense logic has been the object of intensive
study in theoretical computer science, especially in connection with attempts
to develop languages in which properties of programs can be expressed and
proved; variants of tense logic under such labels as “dynamic logic” or
“process logic” have thus been extensively developed for technological rather
than philosophical motives. Refs.: H. P. Grice, “D. H. Mellor on real and
irreal time.” applied by H. P. Grice and G. Myro in the so-called “Grice-Myro
theory of identity,” a time-relative identity, drawing from A. N. Prior, of
Oxford, D. Wiggins, Wykeham professor of logic at Oxford, and Geach (married to
an Oxonian donna), time, “a moving image
of eternity” Plato; “the number of movements in respect of the before and
after” Aristotle; “the Life of the Soul in movement as it passes from one stage
of act or experience to another” Plotinus; “a present of things past, memory, a
present of things present, sight, and a present of things future, expectation”
Augustine. These definitions, like all attempts to encapsulate the essence of
time in some neat formula, are unhelpfully circular because they employ
temporal notions. Although time might be too basic to admit of definition,
there still are many questions about time that philosophers have made some
progress in answering by analysis both of how we ordinarily experience and talk
about time, and of the deliverances of science, thereby clarifying and
deepening our understanding of what time is. What follows gives a sample of
some of the more important of these issues. Temporal becoming and the A- and
B-theories of time. According to the B-theory, time consists in nothing but a
fixed “B-series” of events running from earlier to later. The A-theory requires
that these events also form an “A-series” going from the future through the
present into the past and, moreover, shift in respect to these determinations.
The latter sort of change, commonly referred to as “temporal becoming,” gives
rise to well-known perplexities concerning both what does the shifting and the
sort of shift involved. Often it is said that it is the present or now that
shifts to ever-later times. This quickly leads to absurdity. ‘The present’ and
‘now’, like ‘this time’, are used to refer to a moment of time. Thus, to say
that the present shifts to later times entails that this very moment of
time the present will become some other moment of time and
thus cease to be identical with itself! Sometimes the entity that shifts is the
property of nowness or presentness. The problem is that every event has this
property at some time, namely when it occurs. Thus, what must qualify some
event as being now simpliciter is its having the property of nowness now; and
this is the start of an infinite regress that is vicious because at each stage
we are left with an unexpurgated use of ‘now’, the very term that was supposed
to be analyzed in terms of the property of nowness. If events are to change
from being future to present and from present to past, as is required by
temporal becoming, they must do so in relation to some mysterious transcendent
entity, since temporal relations between events and/or times cannot change. The
nature of the shift is equally perplexing, for it must occur at a particular
rate; but a rate of change involves a comparison between one kind of change and
a change of time. Herein, it is change of time that is compared to change of
time, resulting in the seeming tautology that time passes or shifts at the rate
of one second per second, surely an absurdity since this is not a rate of
change at all. Broad attempted to skirt these perplexities by saying that
becoming is sui generis and thereby defies analysis, which puts him on the side
of the mystically inclined Bergson who thought that it could be known only
through an act of ineffable intuition. To escape the clutches of both
perplexity and mysticism, as well as to satisfy the demand of science to view
the world non-perspectivally, the B-theory attempted to reduce the A-series to
the B-series via a linguistic reduction in which a temporal indexical
proposition reporting an event as past, present, or future is shown to be
identical with a non-indexical proposition reporting a relation of precedence
or simultaneity between it and another event or time. It is generally conceded
that such a reduction fails, since, in general, no indexical proposition is
identical with any non-indexical one, this being due to the fact that one can
have a propositional attitude toward one of them that is not had to the other;
e.g., I can believe that it is now raining without believing that it rains
tenselessly at t 7. The friends of becoming have drawn the wrong moral from
this failure that there is a mysterious
Mr. X out there doing “The Shift.” They have overlooked the fact that two
sentences can express different propositions and yet report one and the same
event or state of affairs; e.g., ‘This is water’ and ‘this is a collection of H2O
molecules’, though differing in sense, report the same state of affairs this being water is nothing but this being a
collection of H2O molecules. It could be claimed that the same holds for the
appropriate use of indexical and non-indexical sentences; the tokening at t 7
of ‘Georgie flies at this time at present’ is coreporting with the
non-synonymous ‘Georgie flies tenselessly at t 7’, since Georgie’s flying at
this time is the same event as Georgie’s flying at t 7, given that this time is
t 7. This effects the same ontological reduction of the becoming of events to
their bearing temporal relations to each other as does the linguistic
reduction. The “coreporting reduction” also shows the absurdity of the
“psychological reduction” according to which an event’s being present, etc.,
requires a relation to a perceiver, whereas an event’s having a temporal
relation to another event or time does not require a relation to a perceiver.
Given that Georgie’s flying at this time is identical with Georgie’s flying at
t 7, it follows that one and the same event both does and does not have the
property of requiring relation to a perceiver, thereby violating Leibniz’s law
that identicals are indiscernible. Continuous versus discrete time. Assume that
the instants of time are linearly ordered by the relation R of ‘earlier than’.
To say that this order is continuous is, first, to imply the property of
density or infinite divisibility: for any instants i 1 and i 2 such that Ri1i
2, there is a third instant i 3, such that Ri1i 3 and Ri3i 2. But continuity
implies something more since density allows for “gaps” between the instants, as
with the rational numbers. Think of R as the ‘less than’ relation and the i n
as rationals. To rule out gaps and thereby assure genuine continuity it is
necessary to require in addition to density that every convergent sequence of
instants has a limit. To make this precise one needs a distance measure d
, on pairs of instants, where di m, i n
is interpreted as the lapse of time between i m and i n. The requirement of
continuity proper is then that for any sequence i l , i 2, i 3, . . . , of
instants, if di m i n P 0 as m, n P C, there is a limit instant i ø such that
di n, iø P 0 as n P C. The analogous
property obviously fails for the rationals. But taking the completion of the
rationals by adding in the limit points of convergent sequences yields the real
number line, a genuine continuum. Numerous objections have been raised to the
idea of time as a continuum and to the very notion of the continuum itself.
Thus, it was objected that time cannot be composed of durationless instants
since a stack of such instants cannot produce a non-zero duration. Modern
measure theory resolves this objection. Leibniz held that a continuum cannot be
composed of points since the points in any finite closed interval can be put in
one-to-one correspondence with a smaller subinterval, contradicting the axiom
that the whole is greater than any proper part. What Leibniz took to be a
contradictory feature is now taken to be a defining feature of infinite
collections or totalities. Modern-day Zenoians, while granting the viability of
the mathematical doctrine of the continuum and even the usefulness of its
employment in physical theory, will deny the possibility of its applying to
real-life changes. Whitehead gave an analogue of Zeno’s paradox of the
dichotomy to show that a thing cannot endure in a continuous manner. For if i
1, i 2 is the interval over which the thing is supposed to endure, then the
thing would first have to endure until the instant i 3, halfway between i 1 and
i 2; but before it can endure until i 3, it must first endure until the instant
i 4 halfway between i 1 and i 3, etc. The seductiveness of this paradox rests
upon an implicit anthropomorphic demand that the operations of nature must be
understood in terms of concepts of human agency. Herein it is the demand that
the physicist’s description of a continuous change, such as a runner traversing
a unit spatial distance by performing an infinity of runs of ever-decreasing
distance, could be used as an action-guiding recipe for performing this feat,
which, of course, is impossible since it does not specify any initial or final
doing, as recipes that guide human actions must. But to make this
anthropomorphic demand explicit renders this deployment of the dichotomy, as
well as the arguments against the possibility of performing a “supertask,”
dubious. Anti-realists might deny that we are committed to real-life change
being continuous by our acceptance of a physical theory that employs principles
of mathematical continuity, but this is quite different from the Zenoian claim
that it is impossible for such change to be continuous. To maintain that time
is discrete would require not only abandoning the continuum but also the
density property as well. Giving up either conflicts with the intuition that
time is one-dimensional. For an explanation of how the topological analysis of
dimensionality entails that the dimension of a discrete space is 0, see W.
Hurewicz, Dimension Theory, 1. The philosophical and physics literatures
contain speculations about a discrete time built of “chronons” or temporal
atoms, but thus far such hypothetical entities have not been incorporated into
a satisfactory theory. Absolute versus relative and relational time. In a
scholium to the Principia, Newton declared that “Absolute, true and
mathematical time, of itself and from its own nature, flows equably without
relation to anything external.” There are at least five interrelated senses in
which time was absolute for Newton. First, he thought that there was a
frame-independent relation of simultaneity for events. Second, he thought that
there was a frame-independent measure of duration for non-simultaneous events.
He used ‘flows equably’ not to refer to the above sort of mysterious “temporal
becoming,” but instead to connote the second sense of absoluteness and partly
to indicate two further kinds of absoluteness. To appreciate the latter, note
that ‘flows equably’ is modified by ‘without relation to anything external’.
Here Newton was asserting third sense of ‘absolute’ that the lapse of time
between two events would be what it is even if the distribution and motions of
material bodies were different. He was also presupposing a related form of absoluteness
fourth sense according to which the metric of time is intrinsic to the temporal
interval. Leibniz’s philosophy of time placed him in agreement with Newton as
regards the first two senses of ‘absolute’, which assert the non-relative or
frame-independent nature of time. However, Leibniz was very much opposed to
Newton on the fourth sense of ‘absolute’. According to Leibniz’s relational
conception of time, any talk about the length of a temporal interval must be
unpacked in terms of talk about the relation of the interval to an extrinsic
metric standard. Furthermore, Leibniz used his principles of sufficient reason
and identity of indiscernibles to argue against a fifth sense of ‘absolute’,
implicit in Newton’s philosophy of time, according to which time is a
substratum in which physical events are situated. On the contrary, the
relational view holds that time is nothing over and above the structure of
relations of events. Einstein’s special and general theories of relativity have
direct bearing on parts of these controversies. The special theory necessitates
the abandonment of frame-independent notions of simultaneity and duration. For
any pair of spacelike related events in Minkowski space-time there is an
inertial frame in which the events are simultaneous, another frame in which the
first event is temporally prior, and still a third in which the second event is
temporally prior. And the temporal interval between two timelike related events
depends on the worldline connecting them. In fact, for any e 0, no matter how small, there is a worldline
connecting the events whose proper length is less than e. This is the essence
of the so-called twin paradox. The general theory of relativity abandons the
third sense of absoluteness since it entails that the metrical structure of
space-time covaries with the distribution of mass-energy in a manner specified
by Einstein’s field equations. But the heart of the absoluterelational
controversy as focused by the fourth and
fifth senses of ‘absolute’ is not
settled by relativistic considerations. Indeed, opponents from both sides of
the debate claim to find support for their positions in the special and general
theories. H. P. Grice, “D. H. Mellor on real and irreal time.” Tempus is ne of
Arsitotle’s categories, along with spacecfr. Kantand Grice on Strawson’s
“Individuals” -- time slice: used by Grice in two different contexts: personal
identity, and identity in general. In identity in general, Grice draws from
Geach and Wiggins, and with the formal aid of Myro, construct a system of a
first-order predicate calculus with time-relative identity -- a temporal part
or stage of any concrete particular that exists for some interval of time; a
three-dimensional cross section of a fourdimensional object. To think of an object
as consisting of time slices or temporal stages is to think of it as related to
time in much the way that it is related to space: as extending through time as
well as space, rather than as enduring through it. Just as an object made up of
spatial parts is thought of as a whole made up of parts that exist at different
locations, so an object made up of time slices is thought of as a whole made up
of parts or stages that exist at successive times; hence, just as a spatial
whole is only partly present in any space that does not include all its spatial
parts, so a whole made up of time slices is only partly present in any stretch
of time that does not include all its temporal parts. A continuant, by
contrast, is most commonly understood to be a particular that endures through
time, i.e., that is wholly present at each moment at which it exists. To
conceive of an object as a continuant is to conceive of it as related to time
in a very different way from that in which it is related to space. A continuant
does not extend through time as well as space; it does not exist at different
times by virtue of the existence of successive parts of it at those times; it
is the continuant itself that is wholly present at each such time. To conceive
an object as a continuant, therefore, is to conceive it as not made up of
temporal stages, or time slices, at all. There is another, less common, use of
‘continuant’ in which a continuant is understood to be any particular that
exists for some stretch of time, regardless of whether it is the whole of the
particular or only some part of it that is present at each moment of the
particular’s existence. According to this usage, an entity that is made up of
time slices would be a kind of continuant rather than some other kind of
particular. Philosophers have disputed whether ordinary objects such as
cabbages and kings endure through time are continuants or only extend through
time are sequences of time slices. Some argue that to understand the
possibility of change one must think of such objects as sequences of time
slices; others argue that for the same reason one must think of such objects as
continuants. If an object changes, it comes to be different from itself. Some
argue that this would be possible only if an object consisted of distinct,
successive stages; so that change would simply consist in the differences among
the successive temporal parts of an object. Others argue that this view would
make change impossible; that differences among the successive temporal parts of
a thing would no more imply the thing had changed than differences among its
spatial parts would. H. P. Grice, “D. H.
Mellor on real and irreal time.”
TERMINATVM –
TERMINANS – TERMINATURUM -- Terminus horos
-- Cicero’s transliteration of the Greianism --. terminist logic, a school of
semantics until its demise in the humanistic reforms. The chief goal of
‘terminisim’or terministic semantics -- is the elucidation (or conceptual
analysis) of the form, the “exposition,”
of a proposition advanced in the context of Scholastic disputation. The cntral
theory of terminisitc semantics concerns this or that property of this or that
term, especially the suppositum. Terminisic semantics does the work of modern
quantification theory. Important semanticists in the school include Peter of
Spain, Sherwood, Burleigh (Burlaeus), Heytesbury, and Paolo Veneto. terminus a quo-terminus a quem distinction,
the: used by Grice for the starting point of some process, as opposed to the
terminus ad quem, the ending point. E. g., change is a process that begins from
some state, the terminus a quo, and proceeds to some state at which it ends,
the terminus ad quem. In particular, in the ripening of an apple, the green
apple is the terminus a quo and the red apple is the terminus ad quem.
tertulliano: RomanGrice says that ‘you’re the cream in my coffee’
is absurd“Can you believe it?” -- Adored by Grice because he believed what he
thought was absurd. theologian, an early
father of the Christian church. A layman from Carthage, he laid the conceptual
and linguistic basis for the doctrine of the Trinity. Though appearing hostile
to philosophy “What has Athens to do with Jerusalem?” and to rationality “It is
certain because it is impossible”, Tertullian was steeped in Stoicism. He
denounced all eclecticism not governed by the normative tradition of Christian
doctrine, yet commonly used philosophical argument and Stoic concepts e.g., the
corporeality of God and the soul. Despite insisting on the sole authority of
the New Testament apostles, he joined with Montanism, which taught that the
Holy Spirit was still inspiring prophecy concerning moral discipline.
Reflecting this interest in the Spirit, Tertullian pondered the distinctions to
which he gave the neologism trinitas within God. God is one “substance” but three
“persons”: a plurality without division. The Father, Son, and Spirit are
distinct, but share equally in the one Godhead. This threeness is manifest only
in the “economy” of God’s temporal action toward the world; later orthodoxy
e.g. Athanasius, Basil the Great, Augustine, would postulate a Triunity that is
eternal and “immanent,” i.e., internal to God’s being. Tertulliano Nota disambigua.svg DisambiguazioneSe stai
cercando il nome proprio di persona, vedi Tertulliano (nome). Tertulliano
Quinto Settimio Fiorente Tertulliano (in latino: Quintus Septimius Florens
Tertullianus; Cartagine, 155 circa230 circa) , conosciuto semplicemente come
Tertulliano, è stato uno scrittore romano, filosofo e apologeta cristiano, fra
i più celebri del suo tempo. Negli ultimi anni della sua vita entrò in contatto
con alcune sette ritenute eretiche, come quella riconducibile al prete Montano;
per questo motivo fu l'unico apologeta cristiano antico, insieme ad Origene
Adamantio, a non ottenere il titolo di Padre della Chiesa.Tertulliano nacque a
Cartagine verso la metà del II secolo (intorno al 155) da genitori pagani
(patre centurione proconsulari, figlio di un centurione proconsolare) e, dopo
essere stato verosimilmente iniziato ai misteri di Mitra, compì gli studi di
retorica e diritto nelle scuole tradizionali imparando il greco. Visse durante
l'impero di Settimio Severo e Caracalla. Dopo una giovinezza dissipata
esercitò la professione di avvocato dapprima in Africa e in seguito a Roma;
ritornò quindi nella città natale e probabilmente verso il 195 si convertì al
cristianesimo, attratto forse dall'esempio dei martiri (Cfr. Apol. 50,15; Ad
Scap. 5,4) Nel 197 scrisse la sua prima opera, Ad nationes ("Ai
pagani"). Presi gli ordini sacerdotali, adottò posizioni religiose
molto intransigenti e nel 213 aderì alla setta religiosa dei montanisti, nota
proprio per la sua intransigenza e il suo fanatismo. Anche nel periodo
montanista, per Tertulliano la Chiesa è sempre "Madre". Negli
ultimi anni della sua vita abbandonò il gruppo per fondarne uno nuovo, quello
dei tertullianisti. Quest'ultima setta era ancora esistente all'epoca di
sant'Agostino, che riferisce di averla fatta rientrare nell'alveo
dell'ortodossia. Le ultime notizie che si possiedono su Tertulliano risalgono
al 222, quando attaccò polemicamente il pontefice romano Callisto. La sua morte
si data dopo il 230. Pensiero Tertulliano è un grande teorico e un acuto
pensatore che assume un posto di rilievo nel panorama letterario del suo
tempo. Dottrina trinitaria È considerato un grande teologo cristiano
soprattutto perché pensa ed esprime la teologia trinitaria attraverso una
terminologia latina rigorosa. A lui si deve l'introduzione del termine
"persona", nella teologia Trinitaria. Tertulliano fu storicamente
il primo scrittore ecclesiastico ad utilizzare la parola latina trinitas
("Trinità") con riferimento al Dio biblico e a definire Dio come unam
substantiam in tribus cohaerentibus (Adversus Praxean, 12:7), chiamati anche
personae, mutuando i termini di persona e di sostanza dalla metafisica stoica.
In questo modo, distingueva l'unicità della sostanza divina rispetto alla
pluralità delle tre persone, tra loro coeterne e consustanziali in un piano
paritetico (per quanto concerne la sostanza). Tertulliano sottolineò
il fatto che la processione presume la superiorità del Padre Dio rispetto al
Figlio Dio e allo Spirito Santo Dio, da Lui inviati, pur non negando la loro
consustanzialità e coeternità "paritetica" dal punto di vista della
sostanza. Da queste considerazioni derivò il fatto che la relazione fra il
Padre Dio e il Figlio Dio non è coeterna, bensì l'effetto della libera volontà
di Dio di creare l'universo. Tertulliano elaborò un concetto di economia della
salvezza, che vede la generazione del Figlio già in qualità di Salvatore e di
Redentore e che assorbe il Logos all'interno del mistero trinitario. La
dottrina di Tertulliano anticipava di circa un secolo il concilio di Nicea. La
sua importanza storica fu notevolmente rivalutata dalla teologia moderna. Il teologo
Roger Olson lo definì come il padre della dottrina trinitaria, mentre il
gesuita francese Joseph Moingt, nella sua opera Théologie trinitaire de
Tertullien affermò che il Contra Praxeam fu il primo trattato trinitario nella
storia della Chiesa. La sua dottrina non fu considerata perfettamente conforme
alla formula nicena. Alcuni Padri della Chiesa lo accusarono di coltivare una
forma di subordinazionismo affine all'arianesimo. La dottrina dell'anima
naturaliter cristiana Nell'Apologeticum, Tertulliano afferma che l'anima
"sebbene rinchiusa nel carcere del corpo [...] come dopo l'ubriachezza
[...] nomina Dio con un solo nome". Tali espressioni linguistiche sono per
il pensatore cartaginese, testimonianze dell'anima chenonostante l'assenza di
sovrastrutturespontaneamente menziona Dio. Tale "scoperta", per
Tertulliano, ha come obiettivo quello di dimostrare la naturalezza del
sentimento religioso senza dover ricorrere alle astrusità dei filosofi.
Tertulliano dedica uno scritto apposito a tale questione: il De testimonio
animae (La testimonianza dell'anima). In questo piccolo libro, l'apologeta
cristiano dichiara espressamente di non voler essere aiutato da chi in
precedenza abbia, in modo artificiale, utilizzato le fonti pagane per
"documentare che noi cristiani non abbiamo abbracciato alcuna dottrina
nuova o mostruosa" ma suo obiettivo è andare a ricercare le fonti
dell'anima nella loro purezza più originaria. Quest'operazione, nella sua
formulazione, ha un impianto di derivazione stoica e più precisamente si rivedono
echi della dottrina dell'anticipazione. Come dice I. Vecchiotti "ciò che
interessa di più in questa sede è l'accento messo sull'ambiente tertullianeo e
il modo come questo accento è messo. È messo cioè in modo da supporre che
effettivamente il sentimento religioso costituisca un primum rispetto ad ogni
altra determinazione: quando questa intervienevuol dire che essa rappresenta
una maculazioneeconomica o psicologicasulla nobiltà del sentimento
originario". Dunque, Tertulliano riconosce che il "concetto di
Dio" (per lo più quando lo si esprime, quando lo si dice) viene fuori nel
momento in cui il soggetto umano si allontana da tutti i tipi di costruzioni
artificiali: e tale spontaneità è sintomo dell'intrinseca presenza della
religione cristiana all'interno di ogni soggettività ed è l'indicazione
fondamentale della superiorità della religione cristiana rispetto alle
molteplici religioni pagane. Il Credo quia absurdum È attribuita a
Tertulliano la famosa locuzione latina Credo quia absurdum. In realtà
l'apologeta cristiano non parla mai di "assurdità" del concetto di
Dio ma ritiene che dalla "incomprensibilità" di quest'ultimo possa
essere compresa la sua realtà.
«Hoc est, quod deum aestimari facit, dum aestimari non
capit.» «Questo è ciò che ci fa comprendere Dio, il fatto che non lo si
può comprendere.» (Apologeticum, 17, 3,) Un'altra affermazione che si
immette nel solco sin qui delineato è quella che si trova in De Carne Christi
V, 4: "Natus est Dei Filius; non pudet, quia pudendum est: et mortuus est
Dei Filius; prorsus credibile est, quia ineptum est" che si traduce in:
"Nacque il Figlio di Dio; non è vergognoso, perché v'è da vergognarsi: e
il Figlio di Dio è morto: che è del tutto credibile, poiché è del tutto
incredibile". La tecnica della praescriptione Importantissima
risulta storicamente e dogmaticamente la sua opera De praescriptione
haereticorum, in cui egli giunge alla conclusione fondamentale che è inutile
disputare con gli eretici sulla base della Scrittura, poiché essi continueranno
a loro volta a fare lo stesso. La regula fidei contiene l'interpretazione
autorevole della Scrittura ed essa è trasmessa integralmente e fedelmente solo
dove sussiste la successione apostolica, cioè dai vescovi legittimi,
appartenenti all'unica Chiesa cattolica e ortodossa. Ruolo primaziale nella
conservazione dell'autentico deposito della fede lo ha la sede vescovile di
Roma. Altri aspetti del pensiero Alcune opere di Tertulliano (De
spectaculis, De virginibus velandis, De cultu feminarum) sono improntate ad un
estremo rigorismo morale che condanna ogni mondanità e diletto terreno come
un'insidia diabolica; la donna stessa, discendente di Eva, è vista come una
creatura del demonio. Tale rigorismo indusse Tertulliano ad aderire al
montanismo che predicava l'imminenza della resurrezione della carne e l'avvento
del regno di Cristo, rifiutava la gerarchia della Chiesa e prescriveva una
vita ascetica distaccata dal mondo. Degna di nota è la sua affermazione:
“Caro salutis est cardo”, “la carne è il cardine della salvezza”. Come
molti pensatori del tempo anche Tertulliano era contrario alla pratica della
contraccezione, celebre è infatti il principio da lui esposto secondo il quale:
"Impedire la nascita di un bambino significa commettere un omicidio anticipato".
Linguaggio Alla fine del II secolo e all'inizio del III, Tertulliano è fra i
primi scrittori cristiani in lingua latina e sicuramente uno dei primissimi
teologi che scrivono in questa lingua. Usa nei suoi scritti un linguaggio
specificamente tecnico preso dal gergo avvocatizio e costruisce i periodi in
modo volutamente irregolare, con interrogazioni, esclamazioni, battute ad
effetto, giochi di parole, anastrofe, metafore, così da rendere più incisivo il
discorso. Lo stile è veemente, polemico e aspro. L'espressione libero
arbitrio è entrata nel vocabolario filosofico con Tertulliano, che per primo
usò il termine «liberum arbitrium» per tradurre il greco αὐτεξούσιος
(autexousios) di Epitteto. Opere Septimi Florensis Tertulliani
Opera, 1598 Sono pervenute trenta opere teologiche e polemiche contro i pagani,
contro gli avversari religiosi e contro alcuni cristiani che non condividevano
le sue tesi. Periodo cristiano (197-206) Ad nationes (197): in
difesa del Cristianesimo contro i pagani; Apologeticum (197): una impetuosa
difesa in nome della libertà di coscienza, sia contro i delitti manifesti
imputati ai cristiani, sia contro i cosiddetti crimina occulta, come incesti,
infanticidi e altre depravazioni morali pagane; De testimonio animae (198/200);
Adversus Iudaeos (prima del 207); opera di polemica dottrinale contro gli
Ebrei; Ad martyras: esortazione ad un gruppo di cristiani incarcerati e condan
morte; De spectaculis: opera in cui vengono considerati immorali gli spettacoli
teatrali e circensi; De oratione; De patientia; De cultu feminarum; Ad uxorem;
De praescriptione haereticorum: contro i cristiani che contaminano la fede con
filosofie pagane e con interpretazioni troppo libere della Bibbia; Adversus
Hermogenem; De baptismo; De paenitentia. Periodo influenzato dal montanismo
(207-212) Ad Scapulam (212): l'opera è indirizzata al governatore
dell'Africa proconsolare che stava conducendo una campagna contro i cristiani;
De idolatria: contro quelle attività economiche legate in qualche modo al paganesimo;
De corona: contro il servizio militare che non poteva essere compatibile con
chi si professava cristiano; De exhortatione castitatis; De virginibus
velandis: opera in cui vengono fatte considerazioni sulla donna, considerata
alla stregua di un essere inferiore; per esempio, secondo Tertulliano, deve
apparire rigorosamente velata; Adversus Marcionem, Adversus Praxean e altre:
opere (trattati) di carattere violentemente polemico contro avversari
religiosi; Adversus Valentinianos; De Scorpiace; De anima: (212) è l'opera più
importante, nella quale Tertulliano rielabora anche fonti pagane; De carne
Christi; De resurrectione mortuorum. Periodo apertamente montanista
(213-220) De fuga in persecutione; De pallio; Adversus Praxean; (prima
definizione della formula del rapporto tra una sola sostanza e tre Persone). De
ieiunio adversus Psychicos; De Monogamia; De pudicitia: contro i rapporti
sessuali al di fuori del matrimonio. Note
I requisiti per essere definito Padre della Chiesa sono elencati in
Johannes Quasten, Patrologia, Torino, Marietti, 1980, 112.
San Girolamo, De viris illustribus, 53.
Battista Mondin, Storia della teologia.
1: Epoca patristica, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, Tertulliano,
Difesa del cristianesimo = Apologeticum, Marta Sordi, Attilio Carpin, Moreno
Morani, San Clemente, Adversus Praxean, 27, 11: "Videmus duplicem statum,
non confusum sed coniunctum in una persona Deum et hominem Iesum", (Noi
osserviamo una duplice condizione, non confusa ma congiunta in una sola
persona, Dio e l'uomo Gesù", trad. di G. Scarpat, Torino, SEI,
1985143) Bryan M. Liftin, Tertullian on the Trinity (XML), in
Perichoresis: The Theological Journal of Emanuel University, Roger Olson, The
Story of Christian Theology: Twenty Centuries of Tradition and Reform. Downers
Grove, IL: InterVarsity, Parigi, Aubier,
1966, 4 volumi; la citazione è nel volume I53.
Tertulliano, Apologeticum, 17, 5-6.
Tertulliano, De testimonio animae, 1, 2.
Icilio Vecchiotti, La filosofia di Tertulliano, Pubblicazioni dell'Urbino,
Argalia editore. Luciano Perelli, Storia della letteratura latina, ed. Paravia,
Torino, De carnis resurrectione, 8,3.
Tertulliano, Apologeticum, 9,2.8.
De anima, 21, 6. "Che cos'è,
dunque, che fa l'uomo incoercibile e padrone di se stesso? (αὐτεξούσιον)"
Epitteto, Diatribe, IV, 1, 62. René
Braun, Deus christianorum. Recherches sur le vocabulaire doctrinal de
Tertullien, Parigi, Études augustiniennes, 1977 (seconda edizione ampliata, prima
edizione 1962). A. Capone, “Il problema del male in Tertulliano: l'eresia” in
Pagani e Cristiani alla ricerca della salvezza (secoli I-III), Atti del XXXIV
Incontro di studiosi dell'antichità cristiana. Roma, 5-7 maggio 2005, Roma, A. Capone,
“Plinio il Vecchio e Tertulliano: scrittura e riscrittura”, Auctores Nostri, A.
Capone, “Osservazioni sull'ironia di Tertulliano nell'Adversus Valentinianos”,
Auctores Nostri Gosta Claesson, Index Tertullianeus, Parigi, Études augustiniennes,
Pietro Podolak, Introduzione a Tertulliano, Brescia, Morcellaiana, Tertulliano,
[Opere], Parisiis, apud Laurentium Sonnium, via Iacobaea, Icilio Vecchiotti, La
filosofia di Tertulliano, Pubblicazioni dell'Urbino, Argalia editore, 1970.
Dario Annunziata, Temi e problemi della giurisprudenza severiana. Annotazioni
su Tertulliano e Menandro, Editoriale Scientifica, Napoli.
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Tertulliano, in Enciclopedia Italiana,
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Italiana, . Tertulliano, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica,
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Episcopale Italiana. (DE) Tertulliano, su
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Tertulliano, su Musisque Deoque. Opere
di Tertulliano, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Tertulliano, .
Tertulliano, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Opera Omnia dal Migne Patrologia Latina, su
documentacatholicamnia.eu. con indici analitici a traduzioni in francese, inglese,
russo e tedesco. Chronica Tertullianea et Cyprianea, su
etudes-augustiniennes.paris-sorbonne.fr.
esaustiva della letteratura cristiana fino alla morte di Cipriano (258)
Catechesi, su w2.vatican.va. di papa Benedetto XVI su Tertulliano tenuta durante
l'Udienza generale.
tessitore: Grice: “If there’s Oxonian
dialectic and Athenian dialectic, there is, to follow Fulvio Tessitore, the
‘scuola napoletana.’” Deputato della Repubblica Italiana LegislatureXV Legislatura
Gruppo parlamentarePD-Ulivo CoalizioneL'Unione CircoscrizionecircoscrizioneXIXCollegioCampania1Incarichiparlamentari
Membro della 7ª Commissione (Cultura, scienza e istruzione) dal 6 giugno 2006
Sito istituzionale Senatore della Repubblica Italiana LegislatureXIV Legislatura
Gruppo parlamentareDemocratici di Sinistral'Ulivo CircoscrizioneCollegio: 2
(Napoli Bagnoli) Incarichi parlamentari Membro della Commissione per la
biblioteca dal 30 luglio 2001 al 27 aprile 2006 Membro della 7ª Commissione
permanente (Istruzione pubblica, beni culturali) dal 22 giugno 2001 al 27
aprile 2006 Membro della 14ª Commissione permanente (Politiche dell'Unione
europea) dal 7 ottobre 2003 al 27 aprile 2006 Sito istituzionale Dati generali
Partito politicoDemocratici di Sinistra Titolo di studioLaurea in giurisprudenza
UniversitàUniversità degli Studi di Napoli Federico II ProfessioneDocente
universitario. Fulvio Tessitore (Napoli), filosofo. Si è laureato in
giurisprudenza (la sua tesi ricevette dignità di stampa) presso l'Università
degli Studi di Napoli, allievo di Pietro Piovani. -- è libero docente "per
meriti eccezionali" in Filosofia del diritto; l'anno successivo diventa Professore.
Ha dapprima insegnato, dal 1965 al 1975, Storia delle dottrine politiche;
quindi, dal 1975 in poi, Storia della filosofia. È stato preside della Facoltà
di Magistero dell'Università degli Studi di Salerno dal 1968 al 1973. Dal 1978
al 1993 è stato preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università
Federico II di Napoli, della quale è stato anche rettore dal 1993 al 2001. Dal dicembre del 1983 è socio dell'Accademia
dell'Arcadia col nome di Echione Cineriano. È inoltre socio nazionale
dell'Accademia dei Lincei e di numerose altre accademie nazionali italiane e
straniere. È professore emerito della Facultad de Humanidades dell'Università
Centrale del Venezuela, con sede a Caracas, e professore onorario della
Università dell'Avana (Cuba). Ha tenuto lezioni nelle Düsseldorf,
Erlangen-Nürnberg (Norimberga), Braunschweig, Valencia, Halle-Wittenberg,
Salamanca, Siviglia e molte altre. Ha diretto il Centro di studi vichiani del
CNR dal 1970 al 1995 ed oggi fa parte del Consiglio scientifico dello stesso
Centro. È presidente della Fondazione
Pietro Piovani per gli studi vichiani e del Consorzio interuniversitario
"Civiltà del Mediterraneo". È presidente del Comitato Tecnico
Scientifico della Fondazione Internazionale D'Amato onlus. È socio onorario
dell'Istituto per l'Oriente “Carlo Alfonso Nallino” di Roma. È vicepresidente
della Fondazione "Guido e Roberto Cortese". Siede inoltre nel
Consiglio Direttivo dell'Istituto italiano per gli studi storici fondato da
Benedetto Croce. È stato componente del Consiglio Scientifico dell'Istituto
dell'Enciclopedia Italiana Treccani. È stato componente, dal 1989 al 1997, del
Consiglio Universitario Nazionale, in cui è stato presidente del Comitato di
Lettere, Lingue e Magistero (fino al 1993). È stato vice presidente della
Fondazione Teatro di San Carlo (1997–2007), componente del Consiglio Generale
della Fondazione Banco di Napoli dal 2000 al 2006, del Consiglio direttivo dal
1997 al 1998 e vice presidente dal 1999 al 2000 della CRUI, la Conferenza
permanente dei Rettori delle Università italiane. È Cavaliere di gran croce dell'Ordine al
merito della Repubblica. È stato senatore della Repubblica italiana nella XIV
legislatura (dal 30 maggio 2001 al 27 aprile 2006) nelle file dei Democratici
di SinistraL'Ulivo e deputato nella XV Legislatura (dall'aprile 2006 all'aprile
2008) nelle file del L'Ulivo. È medaglia d'oro della Scuola dell'arte e della cultura
(1983) e della Scienza e della cultura (1996). È autore di una vastissima di oltre 1500 titoli, tra i quali 26 volumi,
ai quali sono stati assegnati numerosi premi.
Opere principali Aspetti del pensiero neoguelfo napoletano dopo il 1860,
Morano, Napoli, 1962 Crisi e trasformazioni dello Stato. Ricerche sul pensiero
giuspubblicistico italiano tra 800 e 900, I ed. Morano, Napoli, 1963; III ed.
Giuffrè, Milano, 1988 I fondamenti della filosofia politica di Wilhelm von
Humboldt, Morano, Napoli, 1965. Stampato in una nuova edizione nel per Liguori editore, con un saggio di Claudio
Cesa e con la aggiornata dei lavori di
Fulvio Tessitore su W. von Humboldt Friedrich Meinecke storico delle idee, Le
Monnier, Firenze, 1969 Profilo dello storicismo politico, UTET, Torino
(traduzione spagnola 1993) Introduzione allo storicismo, Laterza, Roma-Bari,
1991, (V ed. ) Introduzione a Meinecke, Laterza, Roma-Bari, 1998 Filosofia,
storia e politica in Vincenzo Cuoco, Marco, Lungro (CS), 2002 Contributi alla
storia e alla teoria dello storicismo (voll. 5), Edizioni di Storia e
Letteratura, Roma, Nuovi contributi alla storia e alla Teoria dello storicismo,
Edizioni di Storia e letteratura, Roma (II rist. 2004) Altri contributi alla storia e
alla teoria dello storicismo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2007,
Kritischer Historismus, Böhlau, KölnWeimarWien, 2005. Interpretazione dello
storicismo, Scuola Normale Superiore, Pisa, 2008 (trad. spagnola, Barcellona,
2007). Contributi alla storiografia arabo-islamica tra Otto e Novecento,
Edizioni di Storia e Letteratura, Roma (III rist. 2008) Ultimi contributi alla
storia e alla teoria dello storicismo, voll. 3, Edizioni di Storia e
Letteratura, Roma . La mia Napoli. Frammenti di ricordi e di pensieri,
Grimaldi, Napoli, 1998. Letture quotidiane (voll. 7), Editoriale scientifica,
Napoli, 1988-, che raccolgono articoli di giornali quotidiani. Trittico
Anti-hegeliano da Diltehy a Weber. Contributo alla teoria dello storicismo, con
una nora introduttiva di E. Massimilla, Edizioni di Storia e Letteratura,
Roma, Da Cuoco a Weber. Contributi alla
storia dello storicismo, 2 voll., con una nota introduttiva di D. Conte,
Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, . Ha fondato e dirige i seguenti periodici
scientifici: Bollettino del Centro di
Studi Vichiani (dal 1971), diretto con G. Giarrizzo e G. Cacciatore, e (dal )
con G. Cacciatore, E. Nuzzo e M. Sanna. Archivio di Storia della Cultura (dal
1988), diretto dal con D. Conte e E.
Massimilla. Civiltà del Mediterraneo: I serie, diretta con G. Galasso e S.
Moscati; II serie 2002 …, diretta con F. Lomonaco. Una biografia , su pontaniana.unina.it. 18 settembre .
Curriculum del Prof. Fulvio Tessitore , su filosofia.unina.it. Tessitóre,
Fulvio, in Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Testa: Alfonso Testa (Borgonovo Val
Tidone), filosofo. Nasce nella nobile famiglia Testa dal giudice Giuseppe e
dalla madre N.D. Vittoria Brigidini. Viene battezzato nella Chiesa della
Collegiata il 23 febbraio 1784 alla presenza dei genitori e del conte Andrea
Arcelli, padrino e parente di Alfonso. Fu Sacerdote cattolico dal 1807, rifiutò
la cattedra filosofica dell'Pisa nel 1849 e preferì lavorare all'Parma,
divenendone nel 1859 presidente dell'area filosofica. Dal 1848 fu deputato
al Parlamento Sabaudo. Alfonso Testa. Storia di un povero pretazzuolo di
Fausto Chiesa, pubblicato dalla Lir (Libreria internazionale Romagnosi) di
Piacenza Alfonso Testa, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Alfonso Testa, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Alfonso Testa, su storia.camera.it, Camera dei deputati.
testing: Grice: “A token proving testability.” Grice: “We need
a meta-test: a test for a test for implicatura.” late
14c., "small vessel used in assaying precious metals," from Old
French test, from Latin testum "earthen pot," related to testa
"piece of burned clay, earthen pot, shell" (see tete). Sense of
"trial or examination to determine the correctness of something" is
recorded from 1590s. The connecting notion is "ascertaining the quality of
a metal by melting it in a pot." Test Act was the name given to various
laws in English history meant to exclude Catholics and Nonconformists from
office, especially that of 1673, repealed 1828. Test drive (v.) is first
recorded 1954. In the sciences, capacity of a theory to undergo
experimental testing. Theories in the natural sciences are regularly subjected
to experimental tests involving detailed and rigorous control of variable
factors. Not naive observation of the workings of nature, but disciplined,
designed intervention in such workings, is the hallmark of testability.
Logically regarded, testing takes the form of seeking confirmation of theories
by obtaining positive test results. We can represent a theory as a conjunction
of a hypothesis and a statement of initial conditions, H • A. This conjunction
deductively entails testable or observational consequences O. Hence, H • A P O.
If O obtains, H • A is said to be confirmed, or rendered probable. But such
confirmation is not decisive; O may be entailed by, and hence explained by,
many other theories. For this reason, Popper insisted that the testability of
theories should seek disconfirmations or falsifications. The logical schema H •
A P O not-O not-H • A is deductively valid, hence apparently decisive. On this
view, science progresses, not by finding the truth, but by discarding the
false. Testability becomes falsifiability. This deductive schema modus tollens
is also employed in the analysis of crucial tests. Consider two hypotheses H1
and H2, both introduced to explain some phenomenon. H1 predicts that for some
test condition C, we have the test result ‘if C then e1’, and H2, the result
‘if C then e2’, where e1 and e2 are logically incompatible. If experiment
falsifies ‘if C then e1’ e1 does not actually occur as a test result, the
hypothesis H1 is false, which implies that H2 is true. It was originally
supposed that the experiments of J. B. L. Foucault constituted a decisive falsifcation
of the corpuscular theory of the nature of light, and thus provided a decisive
establishment of the truth of its rival, the wave theory of light. This account
of crucial experiments neglects certain points in logic and also the role of
auxiliary hypotheses in science. As Duhem pointed term, minor testability
908 908 out, rarely, if ever, does a
hypothesis face the facts in isolation from other supporting assumptions.
Furthermore, it is a fact of logic that the falsification of a conjunction of a
hypothesis and its auxiliary assumptions and initial conditions not-H • A is
logically equivalent to not-H or not-A, and the test result itself provides no
warrant for choosing which alternative to reject. Duhem further suggested that
rejection of any component part of a complex theory is based on
extra-evidential considerations factors like simplicity and fruitfulness and
cannot be forced by negative test results. Acceptance of Duhem’s view led Quine
to suggest that a theory must face the tribunal of experience en bloc; no
single hypothesis can be tested in isolation. Original conceptions of
testability and falsifiability construed scientific method as
hypothetico-deductive. Difficulties with these reconstructions of the logic of
experiment have led philosophers of science to favor an explication of
empirical support based on the logic of probability. Grice: “Linguists never
take ‘testability’ too conceptually, as one can witness in Saddock’s hasty
proofs!”Refs: H. P. Grice, “On testing for testing for conversational
implicatura.”
testis:
n., pl. testes; Latin
testis "testicle," usually regarded as a special application of
testis "witness" (see testament), presumably because it "bears
witness to male virility" [Barnhart]. Stories that trace the use of the
Latin word to some supposed swearing-in ceremony are modern and
groundless. Compare Greek parastatai "testicles," from
parastates "one that stands by;" and French slang témoins, literally
"witnesses." But Buck thinks Greek parastatai "testicles"
has been wrongly associated with the legal sense of parastates "supporter,
defender" and suggests instead parastatai in the sense of twin
"supporting pillars, props of a mast," etc. Or it might be a
euphemistic use of the word in the sense "comrades." OED, meanwhile,
points to Walde's suggestion of a connection between testis and testa
"pot, shell, etc." (see tete). testis "witness," from PIE *tri-st-i- "third
person standing by," from root *tris- "three" (see three) on the
notion of "third person, disinterested witness." -- as Grice
notes, “it is etymologically -- or
etymythologically -- related to ‘testicles,’” -- Grice proposes an analysis of ‘testify’ in
terms of necessary and sufficient conditions, “t is a testimony iff t is an act
of telling, including any assertion apparently intended to impart information,
regardless of social setting.” In an extended use, personal letters and
messages, books, and other published material purporting to contain factual
information also constitute testimony. As Grice notes, “testimony may be
sincere or insincere” -- and may express knowledge or baseless prejudice. When
it expresses knowledge, and it is rightly believed, this knowledge is
disseminated to its recipient, near or remote. Second-hand knowledge can be
passed on further, producing long chains of testimony; but these chains always
begin with the report of an eye-witness or expert. In any social group with a
common language there is potential for the sharing, through testimony, of the
fruits of individuals’ idiosyncratic acquisition of knowledge through
perception and inference. In advanced societies specialization in the gathering
and production of knowledge and its wider dissemination through spoken and
written testimony is a fundamental socio-epistemic fact, and a very large part
of each person’s body of knowledge and belief stems from testimony. Thus, the
question when a person may properly believe what another tells her, and what
grounds her epistemic entitlement to do so, is a crucial one in epistemology.
Reductionists about testimony insist that this entitlement must derive from our
entitlement to believe what we perceive to be so, and to draw inferences from
this according to familiar general principles. See e.g., Hume’s classic
discussion, in his “Enquiry into Human Understanding,” section X. On this view,
I can perceive that someone has told me that p, but can thereby come to know
that p only by means of an inference one
that goes via additional, empirically grounded knowledge of the trustworthiness
of that person. Anti-reductionists insist, by contrast, that there is a general
entitlement to believe what one is told just as such defeated by knowledge of
one’s informant’s lack of trustworthiness her mendacity or incompetence, but
not needing to be bolstered positively by empirically based knowledge of her
trustworthiness. Anti-reductionists thus see testimony as an autonomous source
of knowledge on a par with perception, inference, and memory. One argument
adduced for anti-reductionism is transcendental: We have many beliefs acquired
from testimony, and these beliefs are knowledge; their status as knowledge
cannot be accounted for in the way required by the reductionist, i. e., the
reliability of testimony cannot be independently confirmed; therefore, the
reductionist’s insistence on this is mistaken. However, while it is perhaps
true that the reliability of all the beliefs one has that depend on past
testimony cannot be simultaneously confirmed, one can certainly sometimes
ascertain, without circularity, that a specific assertion by a particular
person is likely to be correct if,
e.g.,one’s own experience has established that that person has a good track
record of reliability about that kind of thing. Grice: “Sometimes I use testimonium.”
Refs.: H. P. Grice, “Trust and rationality.”
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