capitini: Aldo Capitini (Perugia) filosofo. Fu uno tra i primi in Italia a cogliere e a teorizzare il pensiero nonviolento gandhiano, al punto da essere chiamato il Gandhi italiano. Nato in una famiglia modesta, Capitini si dedica dapprima agli studi tecnici, per necessità economiche e, in seguito, a quelli letterari, come autodidatta. La madre lavora come sarta e il padre era impiegato comunale, custode del campanile municipale di Perugia. Ritenuto inabile al servizio militare per ragioni di salute, non partecipa alla Prima guerra mondiale. Dopo gli studi della scuola tecnica e dell'istituto per ragionieri, dai diciannove ai ventuno anni si dedica alla lettura dei classici latini e greci, studiando da autodidatta anche dodici ore al giorno, dando così inizio al suo ininterrotto lavoro di approfondimento interiore e filosofico. In questi anni legge autori e libri molto diversi tra loro, su cui forma la propria cultura letteraria e filosofica: D'Annunzio, Marinetti, Boine, Slataper, Jahier, Ibsen, Leopardi, Manzoni, la Bibbia, Gobetti, Michelstaedter, Kant, Kierkegaard (profondamente influenzato dal Vangelo), Francesco d'Assisi, Mazzini, Tolstoj e Gandhi. In questo periodo aderisce quindi al pensiero nonviolento del politico indiano. Nel 1924 vince una borsa di studio presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, nel curriculum universitario di Lettere e Filosofia. La lotta contro il fascismo Nel 1929 Capitini critica aspramente il Concordato con la Chiesa cattolica, da lui giudicato una "merce di scambio" per ottenere da Pio XI e dalle gerarchie ecclesiali un atteggiamento "morbido" nei confronti del fascismo. In uno dei suoi libri arriva ad affermare che «...se c'è una cosa che noi dobbiamo al periodo fascista è di aver chiarito per sempre che la religione è una cosa diversa dall'istituzione». Nel 1930 viene nominato segretario della Normale di Pisa. Durante il periodo trascorso a Pisa, Capitini matura la scelta del vegetarianismo come conseguenza della scelta di non uccidere, e ogni suo pasto alla mensa della Normale diventa un comizio efficace e silenzioso, un'affermazione della nonviolenza in opposizione alla violenza del regime fascista. Insieme a Claudio Baglietto, suo compagno di studi, promuove tra gli studenti della Scuola Normale riunioni serali dove diffonde e discute scritti sulla nonviolenza e la nonmenzogna. Allorché Baglietto, recatosi all'estero con una borsa di studio, rifiuta di tornare in Italia in quanto obiettore di coscienza al servizio militare, scoppia lo scandalo e il direttore della Scuola Normale Giovanni Gentile, per reazione, chiede a Capitini l'iscrizione al partito fascista. Capitini rifiuta e Gentile ne decide il licenziamento. Sergio Romano scriverà: «Gentile e Capitini si separarono poco tempo dopo nella sala delle adunanze del palazzo dei Cavalieri. Il filosofo disse di sperare che "le future esperienze gli facessero vedere la vita e la realtà delle cose sotto un aspetto diverso"; e Capitini rispose che non poteva fare altro che "contraccambiare l'augurio". Fu certamente una rottura. Ma non appena il giovane pacifista uscì dalla sala, il filosofo si voltò verso Francesco Arnaldi, che aveva assistito a questo scambio di battute, e disse "Abbiamo fatto bene a mandarlo via perché, oltre tutto, è un galantuomo".» Benedetto Croce; in riferimento a lui Capitini scriverà: «dal Croce può venire il servizio ai valori. Il Croce è greco-europeo, perché la civiltà europea porta al suo sommo l'affermazione dei valori». A questo punto Capitini torna a Perugia nella casa paterna, vivendo di lezioni private. Nel periodo di tempo tra il 1933 e il 1934 compie frequenti viaggi a Roma, Firenze, Bologna, Torino e Milano per incontrare numerosi amici antifascisti e intessere in questo modo una fitta rete di contatti. Nell'autunno del 1936 a Firenze, a casa di Luigi Russo, ha modo di conoscere Benedetto Croce, a cui consegna un pacco di dattiloscritti che Croce apprezza e fa pubblicare nel gennaio dell'anno seguente presso l'editore Laterza di Bari con il titolo Elementi di un'esperienza religiosa. In poco tempo gli Elementi diventano uno tra i principali riferimenti letterari della gioventù antifascista. Giovanni Gentile negli anni trenta, ai tempi del direttorato alla Normale In seguito alla larga diffusione del suo libro, Capitini promuove assieme a Guido Calogero un movimento culturale che negli anni successivi cercherà di trasformare in un progetto politico atto a realizzare le idee di libertà individuale e di uguaglianza sociale contenute negli "Elementi". Nasce così nel 1937 il Movimento Liberalsocialista, in un anno segnato dall'assassinio dei Fratelli Rosselli, dalla morte di Antonio Gramsci e da una forte ondata di violenza repressiva contro l'opposizione antifascista. Alle attività del movimento collaborano, tra gli altri, Ugo La Malfa, Giorgio Amendola, Norberto Bobbio e Pietro Ingrao. Nel febbraio 1942 la polizia fascista effettua una retata nel corso di una riunione del gruppo dirigente liberalsocialista, in seguito alla quale Capitini e gli altri partecipanti alla riunione vengono rinchiusi nel carcere fiorentino delle Murate. Dopo quattro mesi Capitini viene rilasciato, grazie alla sua fama di "religioso". «Quale tremenda accusa contro la religione, se il potere ha più paura dei rivoluzionari che dei religiosi», commenterà più tardi. Nel giugno 1942 nasce il Partito d'Azione, la cui dirigenza proviene direttamente dalle file del liberalsocialismo. Capitini rifiuta di aderire a qualsiasi partito, poiché a suo giudizio «... il rinnovamento è più che politico, e la crisi odierna è anche crisi dell'assolutizzazione della politica e dell'economia». Per il suo rifiuto di collocarsi all'interno delle logiche dei partiti, Capitini rimane escluso sia dal Comitato di Liberazione Nazionale, sia dalla Costituente, pur avendo lui dato un'impronta indelebile alla nascita della Repubblica con il suo lavoro culturale, politico, filosofico e religioso di opposizione morale al fascismo. Nel maggio 1943 Capitini viene nuovamente arrestato e rinchiuso, questa volta, nel carcere di Perugia; viene definitivamente liberato col 25 luglio. Capitini tra gli anni '30 e '40 Il Centro di Orientamento Sociale (COS) Nel 1944 Capitini cerca di realizzare un primo esperimento di democrazia diretta e di decentralizzazione del potere, fondando a Perugia il primo Centro di Orientamento Sociale (COS), un ambiente progettuale e uno spazio politico aperto alla libera partecipazione dei cittadini, uno «...spazio nonviolento, ragionante, non menzognero», secondo la definizione data dallo stesso Capitini. Durante le riunioni del COS i problemi di gestione delle risorse pubbliche vengono discussi liberamente assieme agli amministratori locali, invitati a partecipare al dibattito per rendere conto del loro operato e per recepire le proposte dell'assemblea, con l'obiettivo di far diventare "tutti amministratori e tutti controllati". A Partire da Perugia, i COS si moltiplicano in diverse città d'Italia: Ferrara, Firenze, Bologna, Lucca, Arezzo, Ancona, Assisi, Gubbio, Foligno, Teramo, Napoli e in moltissimi altri luoghi. Aldo Capitini nel 1929 I Centri di Orientamento Sociale si sono diffusi sul territorio nazionale, scontrandosi tuttavia con l'indifferenza della Sinistra e con l'aperta ostilità della Democrazia Cristiana, che impediscono l'affermazione su scala nazionale dell'autogoverno e della decentralizzazione del potere sperimentati con successo nelle riunioni dei COS. Nel secondo dopoguerra Capitini diventa rettore dell'Università per stranieri di Perugia (come Commissario, dal 1944 al 1946), un incarico che sarà costretto ad abbandonare a causa delle fortissime pressioni della locale Chiesa cattolica. Si trasferisce a Pisa, dove ricopre il ruolo di docente incaricato di Filosofia morale presso l'università degli Studi. Parallelamente all'attività didattica, politica e pedagogica, Capitini prosegue la sua attività di ricerca spirituale e religiosa, promuovendo nel 1947 il Movimento di religione insieme a Ferdinando Tartaglia, singolare figura di sacerdote scomunicato ed audace teologo, che però se ne allontanerà nel 1949. Negli anni che vanno dal 1946 al 1948 il Movimento di religione organizza una serie di convegni con cadenza trimestrale, che culminano con il "Primo congresso per la riforma religiosa" (Roma 13/15 ottobre 1948). Nel 1948 il giovane Pietro Pinna, dopo aver ascoltato Capitini in un convegno promosso a Ferrara dal Movimento di religione, matura la sua scelta di obiezione di coscienza: è il primo obiettore del dopoguerra. Pinna è processato dal tribunale militare di Torino il 30 agosto 1949 e a nulla serve la testimonianza a suo favore di Aldo Capitini. Pinna subisce una serie di processi, condanne e carcerazioni, fino al definitivo congedo per una presunta "nevrosi cardiaca". Agli inizi degli anni 60 si dimetterà dal suo impiego in banca per raggiungere Danilo Dolci in Sicilia e dopo un anno si trasferirà a Perugia per diventare il più stretto collaboratore di Capitini. Dopo l'arresto di Pinna, Capitini promuove una serie di attività per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza, convocando a Roma nel 1950 il primo convegno italiano sul tema. Il Centro di Orientamento Religioso (COR) Un primo piano di Aldo Capitini (ca. 1960) Nel 1952, in occasione del quarto anniversario dell'uccisione di Gandhi, Capitini promuove un convegno internazionale e fonda il primo Centro per la nonviolenza. Sempre nel 1952 Capitini affianca ai Centri di Orientamento Sociale il Centro di Orientamento Religioso (COR), fondato a Perugia con Emma Thomas (una quacchera inglese di ottant'anni). Il COR è uno spazio aperto, in cui trova espressione la religiosità e la fede di tutte le persone, i movimenti e i gruppi che non trovavano posto nel Cattolicesimo preconciliare. Lo scopo dei COR era quello di favorire la conoscenza delle religioni diverse dalla cattolica, e di stimolare i cattolici stessi ad un approccio più critico e impegnato alle questioni religiose. La Chiesa locale vieta la frequentazione del Centro di Orientamento Religioso, e quando nel 1955 Capitini pubblica Religione Aperta il libro viene immediatamente inserito nell'Indice dei libri proibiti. Nonostante l'ostracismo delle alte gerarchie ecclesiali, Capitini stabilisce ugualmente degli efficaci rapporti di collaborazione con alcuni cattolici come Don Lorenzo Milani e Don Primo Mazzolari. Il 12 settembre del 1952 Capitini organizza a Perugia un convegno su La nonviolenza riguardo al mondo animale e vegetale e, insieme a Edmondo Marcucciautore di Che cos'è il vegetarismo e, al pari di Capitini, mai iscritto al partito fascistafonda la prima organizzazione nazionale di coordinamento delle tematiche del vegetarianismo, la "Società vegetariana italiana". La polemica tra Capitini e la Chiesa Cattolica continua anche dopo il Concilio Vaticano II, con la pubblicazione del libro Severità religiosa per il Concilio. A partire dal 1956 Capitini insegna all'Cagliari come docente ordinario di Pedagogia e nel 1965 ottiene un definitivo trasferimento a Perugia. Nel marzo 1959 è tra i fondatori dell'ADESSPI, l'Associazione di Difesa e Sviluppo della Scuola Pubblica in Italia. Capitini arriva a chiedere al proprio vescovo di non essere più annoverato nella Chiesa, lui profondamente religioso, della quale non condivideva più i metodi e le idee. La prima Bandiera della pace Bandiera della pace portata da Capitini nella prima marcia Perugia-Assisi, attualmente custodita presso la Biblioteca San Matteo degli Armeni del comune di Perugia. Domenica 24 settembre 1961 Capitini organizza la Marcia per la Pace e la fratellanza dei popoli, un corteo nonviolento che si snoda per le strade che da Perugia portano verso Assisi, una marcia tuttora proposta in media ogni due/tre anni dalle associazioni e dai movimenti per la pace. In questa occasione viene per la prima volta utilizzata la Bandiera della pace, simbolo dell'opposizione nonviolenta a tutte le guerre. Capitini descrive l'esperienza della marcia nel libro Opposizione e liberazione: «Aver mostrato che il pacifismo, che la nonviolenza, non sono inerte e passiva accettazione dei mali esistenti, ma sono attivi e in lotta, con un proprio metodo che non lascia un momento di sosta nelle solidarietà che suscita e nelle noncollaborazioni, nelle proteste, nelle denunce aperte, è un grande risultato della Marcia». Aderiscono molte personalità, tra cui lo scrittore Italo Calvino. L'impegno di Capitini per la pace infranazionale e internazionale (con particolare attenzione al pericolo atomico) lo coinvolse sempre più in una collaborazione con Norberto Bobbio, il quale raccoglierà tali riflessioni nell'opera Il problema della guerra e le vie della pace. Negli ultimi anni della sua vita Capitini fonda e dirige un periodico intitolato Il potere di tutti, sviluppando i principi di quella che lui definì "omnicrazia", la gestione diffusa e delocalizzata del potere da lui contrapposta al centralismo dei partiti. In questi anni Capitini promuove anche il Movimento nonviolento per la Pace e il mensile "Azione nonviolenta", l'organo di stampa del movimento, che attualmente viene pubblicato a Verona. Dedito completamente al suo lavoro di divulgatore della nonviolenza, Capitini non si sposò mai, per scelta, in modo da poter dedicare tutte le proprie energie alla sua attività. Il 19 ottobre 1968 Aldo Capitini muore circondato da amici e allievi, dopo aver subìto un intervento chirurgico che consuma le sue ultime energie. Il 21 ottobre il leader socialista Pietro Nenni scrive una nota sul suo diario: «È morto il prof. Aldo Capitini. Era una eccezionale figura di studioso. Fautore della nonviolenza, era disponibile per ogni causa di libertà e di giustizia. (...) Mi dice Pietro Longo che a Perugia era isolato e considerato stravagante. C'è sempre una punta di stravaganza ad andare contro corrente, e Aldo Capitini era andato contro corrente all'epoca del fascismo e nuovamente nell'epoca post-fascista. Forse troppo per una sola vita umana, ma bello». È sepolto a Perugia nella tomba di amici del C.O.R., insieme a Emma Thomas. Il pensiero Religione e laicità Il Mahatma Gandhi Aldo Capitini aveva l'abitudine di definirsi un "religioso laico". Egli accomunava la religione alla morale in quanto essa critica la realtà e la spinge al cambiamentoin positivo. Quella di Capitini era un'opposizione religiosa al fascismo. Il sentimento religioso, inoltre, nasce nei momenti di difficoltà e sofferenza, in particolare nel rapporto individuale con la morte. L'idea di laicità nasceva dal distacco di Capitini dalla Chiesa cattolica, complice del regime: egli sosteneva che col Concordato del 1929 la Chiesa avesse legittimato il potere di Mussolini, dimenticando le violenze squadriste e, in tal modo, lo sostenesse garantendo la sua moralità di fronte alla maggior parte della popolazione che riponeva fiducia nell'istituzione religiosa. Capitini è molto distante dalla religione istituzionalizzata. Dio, come Ente, non esiste per Capitini: per evitare ogni equivoco e marcare la distanza della sua concezione religiosa da quella corrente, Capitini preferirà parlare di compresenza piuttosto che di Dio; per la stessa ragione, per indicare la vita religiosa così intesa non parla di fede, ma riprende da Michelstaedter il termine persuasione. Capitini si dichiara post-cristianoevidente anche dal suo "sbattezzo"e non cattolico, ma ama e si ispira alle figure religiose. Ogni figura con una profonda credenza, anche laica, è per lui un "religioso". Egli nega con decisione la divinità di Gesù Cristo: convinzione senza la quale non si può essere cristiani. Contesta, come Tolstoj, tutti gli aspetti leggendari e non dimostrabili dei Vangeli, compresa la Risurrezione. Ciò che apprezza sono le Beatitudini, il modello spirituale di un agire verso gli ultimi. Gesù ha insegnato dove può giungere una coscienza religiosa, è stato più di un uomo: "fu anche lui, come tutti, un essere con certi limiti; ma d'altra parte fu in lui, come in ogni altro essere, la qualità della coscienza che va oltre i limiti, che è in lui come in un mendicante" scrive negli Elementi. L'imitazione di Cristo secondo Capitini non è altro che realizzazione della propria realtà umana. Si potrebbe ugualmente parlare di una imitazione del Buddha, di Francesco d'Assisi, di Gandhi, di Tolstoj e molti altri. Persuasione, apertura, compresenza, omnicrazia Col termine "persuasione", ripreso da Carlo Michelstaedter e da Gandhi, Capitini indicava la fede, sia in senso laico sia religioso, la profonda credenza in determinati valori ed assunti, e tramite essa, la capacità di persuadere gli altri della bontà del proprio ideale. Il professor Aldo Capitini negli anni '60 L'apertura è l'opposto della chiusura conservatrice ed autoritaria del fascismo, e l'elevazione dell'anima verso l'alto e verso Dio. Un concetto chiave nella filosofia capitiniana era la compresenza di tutti gli esseri, dei morti e dei viventi, legati tra loro ad un livello trascendente, uniti e compartecipi nella creazione di valori. Nella vita sociale e politica la compresenza si traduce in omnicrazia, o governo di tutti, un processo in cui la popolazione tutta prende parte attiva alle decisioni e alla gestione della cosa pubblica. La nonviolenza e il liberalsocialismo Non può mancare il concetto di nonviolenza, un ideale nobile, sinonimo di amore, coerenza di mezzi e fini, la forza in grado di sconfiggere il fascismo, che non è solo un regime, ma anche un modo di essere violento e autoritario. Il liberalsocialismo di Capitini e di Guido Calogero si sviluppa in modo autonomo dal socialismo liberale di Carlo Rosselli. Si forma infatti in un periodo posteriore, quando il regime fascista è vicino al collasso, nell'ambiente dei giovani crociani che hanno studiato ed insegnato alla Normale di Pisa, mentre il pensiero di Rosselli, che lo precede temporalmente, essendosi forgiato nel fuoco della lotta antifascista, in Italia e in Europa, già a partire dagli anni Venti, si iscrive in modo diretto nella tradizione socialista. Capitini per liberalismo intende il libero sviluppo personale, la libera ricerca spirituale e la produzione di valori. Il socialismo è invece nei suoi intendimenti la realizzazione nel lavoro, l'assistenza fraterna dell'umanità lavoratrice soggetto corale della storia. Anche se «...il socialismo liberale di Rosselli […] è una delle eresie del socialismo, mentre il liberalsocialismo è un'eresia del liberalismo» (M. Delle Piane), si può affermare tuttavia che entrambi condividessero la critica ai totalitarismi,sia di destra che di sinistra, una visione laica della politica e l'obiettivo di una profonda riforma morale e sociale dell'Italia distrutta dalla guerra. L'educazione e la civiltà L'educazione "profetica" è quella di colui che, con uno sguardo al futuro, è capace di criticare la realtà sulla base di valori morali, anche a costo di sembrare fuori dal suo tempo. Con l'espressione "civiltà pompeiana-americana" intende biasimare la mentalità materialista che vede nel lusso e nel possesso la realizzazione delle persone. Il "tempo aperto" è il tempo libero che ognuno potrebbe destinare alla discussione, alla socializzazione, al raccoglimento, all'elevazione spirituale. Ad Aldo Capitini sono intitolate strade in molte città di Italia: Perugia, Firenze, Roma, Pisa, Milano, ecc Riconoscimenti Ad Aldo Capitini sono oggi intitolati un Istituto di istruzione tecnica economica e tecnologica, un centro congressi a Perugia, un'Aula magna all'interno dell'Cagliari, presso la Facoltà di Studi umanistici. Opere 1937 Elementi di un'esperienza religiosa, Laterza, Bari. 1942 Vita religiosa, Cappelli, Bologna. 1943 Atti della presenza aperta, Sansoni, Firenze. 1947 Saggio sul soggetto della storia, La Nuova Italia, Firenze. 1948 Esistenza e presenza del soggetto in Atti del Congresso internazionale di Filosofia (II ), Castellani, Milano. 1948 La realtà di tutti, Arti Grafiche Tornar, Pisa. 1949 Italia nonviolenta, Libreria Internazionale di Avanguardia, Bologna. 1950 Nuova socialità e riforma religiosa, Einaudi, Torino. 1951 L'atto di educare, La Nuova Italia, Firenze. 1955 Religione aperta, Guanda, Modena. 1956 Colloquio corale, Pacini Mariotti, Pisa. 1957 Discuto la religione di Pio XII, Parenti, Firenze. 1958 Aggiunta religiosa all'opposizione, Parenti, Firenze. 1958 "Danilo Dolci", Piero Lacaita Editore, Manduria. 1961 Battezzati non credenti, Parenti, Firenze. 1966 Antifascismo tra i giovani, Celebes editore, Trapani. 1966 La compresenza dei morti e dei viventi, Saggiatore, Premio Viareggio Speciale. 1967 Le tecniche della nonviolenza, Feltrinelli, Milano (rist. Linea D'Ombra, Milano 1989; rist. Edizioni dell'asino, Roma 2009). 1967-1968 Educazione aperta (2 Voll.), La Nuova Italia, Firenze. 1969 Il potere di tutti, introduzione di N. Bobbio, prefazione di P. Pinna, La Nuova Italia, Firenze. 1992 Scritti sulla nonviolenza, L. Schippa, Protagon, Perugia. 1994 Scritti filosofici e religiosi, M. Martini, Protagon, Perugia. 1999 Il potere di tutti, 2 ed. riveduta e corretta, Guerra Edizioni, Perugia. 2003 Opposizione e liberazione: una vita nella nonviolenza, Piergiorgio Giacché, Napoli, L'ancora del Mediterraneo. 2004-2007- Le ragioni della nonviolenza. Antologia degli scritti, Mario Martini, ETS, Pisa scheda 2007 Lettere 1931-1968, "Epistolario di Aldo Capitini, 1"con Walter Binni, L. Binni e L. Giuliani, Carocci, Roma (intr.di M. Martini). 2008 Lettere 1952-1968, "Epistolario di Aldo Capitini, 2"con Danilo Dolci, G. Barone e S. Mazzi, Carocci, Roma. 2008 La religione dell'educazione: scritti pedagogici, Piergiorgio Giacché, La meridiana, Molfetta. 2009 Lettere 1936-1968, "Epistolario di Aldo Capitini, 3"con Guido Calogero, Th. Casadei e G. Moscati, Carocci, Roma. L'atto di educare, M. Pomi, Armando editore, Roma. Lettere 1941-1963, "Epistolario di Aldo Capitini, 4"con Edmondo Marcucci, A. Martellini, Carocci, Roma. Religione Aperta, M.Martini, Laterza, Roma-Bari. Lettere 1937-1968, "Epistolario di Aldo Capitini, 5"con Norberto BobbioPolito, Carocci, Roma. Lettere familiari, "Epistolario di Aldo Capitini, 6"M. Soccio, Carocci, Roma. Un'alta passione, un'alta visione. Scritti politici 1935-1968L. Binni e M. Rossi, Il Ponte Editore, Firenze. Attraverso due terzi del secolo, Omnicrazia: il potere di tuttiL. Binni e M. Rossi, Il Ponte Editore, Firenze. La mia nascita è quando dico un tu, quaderno per la ricercaLanfranco Binni e Marcello Rossi, Il Ponte Editore, Firenze. Antifascismo tra i giovani, collana «Opere di Aldo Capitini», Il Ponte Editore, coedizione con Fondo Walter Binni e Fondazione Centro studi Aldo Capitini, Firenze. Nuova socialità e riforma religiosa, collana «Opere di Aldo Capitini», Il Ponte Editore, coedizione con Fondo Walter Binni e Fondazione Centro studi Aldo Capitini, Firenze. La compresenza dei morti e dei viventi, collana «Opere di Aldo Capitini», Il Ponte Editore, coedizione con Fondo Walter Binni e Fondazione Centro studi Aldo Capitini, Firenze. Educazione aperta collana «Opere di Aldo Capitini», Il Ponte ditore, Voll. 1-2, coedizione con Fondo Walter Binni e Fondazione Centro studi Aldo Capitini, Firenze. Note Incontro con il "Gandhi" italiano, La Stampa, 22 giugno 1968; Il Gandhi Italiano, Panorama n.372, 1973 Tale soprannome è condiviso con altri, come Danilo Dolci e Franco Corbelli Capitini ricorderà: «Gentile era impaziente che io sistemassi le cose e me ne andassi, perché ero divenuto di colpo vegetariano (per la convinzione che esitando davanti all'uccisione degli animali, gli italianiche Mussolini stava portando alla guerraesitassero ancor di più davanti all'uccisione di esseri umani): e a Gentile infastidiva che io, mangiando a tavola con gli studenti, come continuavo a fare, fossi di scandalo con la mia novità». (citato in Lorenzo Guadagnucci, Restiamo animali, Milano, Terre di mezzo, 250. 978-88-6189-224-8) Sergio Romano, Aldo Capitini e il pacifismo alla Scuola Normale, Corriere della Sera, 4 luglio 2006. l'8 febbraio 18 giugno ). Aldo Capitini, La compresenza dei morti e dei viventi, Il Saggiatore, Milano, 1966131. Da Le lettere di religione Archiviato il 26 novembre in . su aldocapitini.it Edmondo Marcucci, Che cos'è il vegetarismo?, Società vegetariana italiana, 1953. Giulio Angioni, Tutti dicono Sardegna, Cagliari, Edes, 1990, 3049 Dal sito del COS fondato da Capitini[collegamento interrotto] Testimonianza di Luciano Capitini, figlio del cugino di primo grado Piero, il parente più stretto di Capitini Antonio Vigilante, Religione e nonviolenza in Aldo Capitini. Martini Mario, Aldo Capitini e le possibilità religiose della laicità, Nuova antologia : 608, 2262, 2, , Firenze (FI): Le Monnier, . Nel 1938 aveva reso visita a Piero Martinetti, ritiratosi nella sua villa di Spineto a Castellamonte, con le cui concezioni religiose aveva una grande sintonia. Per un approfondimento, vedi i seguenti testi: G. Calogero, Difesa del liberalsocialismo, Marzorati, Milano, 1972; M. Bovero, V. Mura, F. Sbarberi , I dilemmi del liberalsocialismo, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994; A. Capitini, Liberalsocialismo, e/o, Roma, 1996 (che raccoglie una serie di scritti apparsi fra il '37 e il '49). Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su premioletterarioviareggiorepaci.it. 9 agosto . Piero Craveri, CAPITINI, Aldo, in Dizionario biografico degli italiani, 18, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1975. 26 maggio . Norberto Bobbio, La filosofia di Aldo Capitini, Religione e politica in Aldo Capitini, in Id., Maestri e compagni, Firenze, Passigli Editori, 1984. Antonio Areddu, La via italiana al gandhismo in “Il Manifesto”, 13 agosto 188810. Antonio Areddu, Non violenza e utopia. Aldo Capitini ed Ernst Bloch, in “Behemoth”, trimestrale di cultura politica, a. 1988, 4, fasc.1-2. Giacomo Zanga, Aldo Capitini. La sua vita, il suo pensiero, Torino, Bresci Editore, 1988. Marco Capanna, Speranze, Rizzoli, 1994. Mario Martini, L'etica della nonviolenza e l'aggiunta religiosa, in "Il Ponte", n. 10, 1998. Mario Martini, Capitini ispiratore di Bucchi. 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Aldo Capitini (Lanfranco Binni e Marcelo Rossi), Numero speciale di “Il Ponte” n.4, luglio-agosto . Danilo Dolci Pietro Pinna Guido Calogero Mahatma Gandhi Nonviolenza Alberto L'Abate Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Aldo Capitini Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Aldo Capitini Aldo Capitini, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Aldo Capitini, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Aldo Capitini, su sapere.it, De Agostini. Opere di Aldo Capitini, . Associazione "Amici di Aldo Capitini", su citinv.it. Puntata de "La grande storia", su rai.it. 3 ottobre 7 marzo ). Tesi di laurea: Guido Calogero, Aldo Capitini, Norberto BobbioTre idee di democrazia per tre proposte di pace, su peacelink.it. PredecessoreRettore dell'Università per Stranieri di PerugiaSuccessore Astorre Lupattelli19441946 commissarioCarlo Sforza Filosofia Politica Politica Filosofo del XX secoloPolitici italiani del XX secoloAntifascisti italiani 1899 1968 23 dicembre 19 ottobre Perugia PerugiaAccademici italiani del XX secoloAttivisti italianiEducatori italianiNonviolenzaPacifistiPersone legate alla Resistenza italianaPoeti italiani del XX secoloPolitici del Partito d'AzioneSostenitori del vegetarianismoTeorici dei diritti animali
Capizzi: Capizzi
all'Istituto dell'Enciclopedia Italiana. AntonioCapizzi (Genova), filosofo.
Dal 1986 fu professore associato di filosofia teoretica all'Università La
Sapienza di Roma, succedendo a Guido Calogero nella cattedra che ha sede a
Villa Mirafiori. Capizzi si contraddistinse per l'accurato studio storico
e filologico dei presocratici e dei filosofi greci. Contestò radicalmente le
ricostruzioni ottocentesche del pensiero occidentale del VI e V secolo a.C.,
che attribuiscono validità storica alle interpretazioni di Aristotele e alla
dossografia dipendente da Teofrasto. A questo scopo collaborò con il circolo
urbinate di Bruno Gentili nello sforzo di inserire i sapienti greci nelle
tematiche concernenti le città, il pubblico, il committente, l'evoluzione delle
strutture sociali, il trapasso dalla tradizione orale alla società della
scrittura. Antonio Capizzi ha vissuto prevalentemente a Roma, formandosi
alla scuola di Pantaleo Carabellese. Ben presto entrò nei circoli degli
studenti e degli studiosi che gravitavano intorno ai filosofi Ugo Spirito e
Guido Calogero. Giovane professore di storia e filosofia nei licei classici
prima di Frosinone e poi di Roma, negli anni quaranta fu libero docente di
storia della filosofia, di storia della filosofia antica e di filosofia
teoretica presso l'Università La Sapienza di Roma, evidenziandosi, fin dagli
esordi, per l'originalità delle vedute e la radicalità del temperamento.
Coltivò due interessi paralleli. Uno, da storico, per la sapienza greca
arcaica, che lo portò a contestare la narrazione dei presocratici fatta da
Aristotele. Questi, secondo Capizzi, scrisse «per esigenze di insegnamento del
proprio pensiero» nell'ambito del Liceo, e non con lo scopo di ricostruire
quanto realmente accaduto. Dopo di lui, per «un colossale equivoco», Teofrasto,
i grammatici alessandrini, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Eduard Zeller,
Theodor Gomperz e John Burnet protrassero «una sistematica falsificazione».
Capizzi riprese, per contro, la lezione di Hermann Diels, Karl Reinhardt,
Harold Cherniss, John Baptist Mc Diarmid e Geoffrey Kirk, i quali dimostrarono
che Aristotele ha avuto solo interessi speculativi: per Capizzi, Aristotele,
come tutti i filosofi, «ha parlato sempre e soltanto del suo tempo, della
cultura del suo tempo, dei problemi del suo tempo». Approfondendo gli studi di
Guido Calogero sul prelogismo, di Marcel Detienne sul mito antropomorfico, di
Eric Havelock sulla diffusione orale del pensiero e di Giorgio Colli sulla
sapienza prefilosofica, Capizzi fu il primo storico di formazione filosofica a
scoprire l'importanza della dimensione politica negli enigmatici frammenti dei
sapienti presocratici. Egli ritenne che, ogni volta che si studiano autori
pre-periclei, occorra «privilegiare il rapporto tra ogni singolo autore e la
sua singola città». L'altro interesse, preminentemente teoretico, si
svolse sui temi dell'attualismo del pensiero di Giovanni Gentile, che Capizzi
tentò di superare liberandolo dal presupposto interioristico e cogitativistico
e proponendo di passare dal pensiero alla comunicazione, in particolare a
quella comunicazione protesa verso una risposta futura che è il dialogo.
Intransigente oppositore dei pensieri assoluti, nella sua opera di maggior
rilievo filosofico, pubblicata dopo uno studio durato 35 anni, Capizzi distinse
la filosofia in "comica" e "tragica". «Per "filosofia
comica"scrisseintendo quella che presuppone una struttura unitaria a
priori della realtà, che pertanto analizza cose come l'"essere",
l'"uomo", la "conoscenza", la "ragione", che
ignora i modi di essere delle singole società, i tipi di uomo, i modi di
conoscere legati ai modi di vivere, le ragioni dei singoli gruppi esistenti in
vari luoghi e in vari momenti".» L'altra filosofia, ampiamente minoritaria
e controcorrente, è quella che presuppone la pluralità delle culture, dei
costumi, dei pensieri, e che, avendo a che fare, nei vari momenti storici, con
incontri e scontri di alcune culture, alcuni costumi e alcuni pensieri, entra
nell'età adulta del dilemma tragico, della scelta tra due opzioni contrarie le
quali, in assoluto, non rappresentano il bene o il male, ma ciascuna il bene in
un determinato sentire che spesso coincide con il male di un sentire
opposto. Opere principali Protagora. Le testimonianze e i frammenti, 1955
La difesa del libero arbitrio da Erasmo a Kant, 1963 Per un attualismo del
dialogo, 1965 Dall'ateismo all'umanismo. Correnti incredule del dopoguerra e
loro prospettive dialogiche, 1967 Socrate e i personaggi filosofi di Platone.
Uno studio sulle strutture della testimonianza platonica e un'edizione delle
testimonianze contenute nei dialoghi, Roma, 1970 Impegno e disponibilità. La
doppia morale degli intellettuali di oggi, 1971 I Presocratici. Antologia di
testi, Firenze, La Nuova Italia, 1972,
88-221-0263-0 Introduzione a Parmenide, Roma-Bari, Laterza, 1975 La
porta di Parmenide. Due saggi per una nuova lettura del poema, 1975 I Sofisti.
Antologia di testi, Firenze, La Nuova Italia, 1976 Sinfonia patriarcale. Storia
antologica del pensiero maschile sulla donna, Roma, Savelli editore, 1976,
scritto con Viola Angelini Alle radici ideologiche dei fascismi. Il mito della
libertà individuale da Constant a Hitler, Roma, Savelli, 1977 Socrate.
Antologia di testi, Firenze, La Nuova Italia, 1977 Eraclito e la sua leggenda.
Proposta di una diversa lettura dei frammenti, 1979 La repubblica cosmica.
Appunti per una storia non peripatetica della nascita della filosofia in
Grecia, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1982 Platone e il suo tempo, Roma, Edizioni
dell'Ateneo, 1984 Forme del sapere nei presocratici, Roma, Edizioni
dell'Ateneo, 1987, scritto con Giovanni Casertano L'uomo a due anime.
Dall'infanzia mimica, dalla comicità adolescenziale, al tragico come scelta
adulta, Firenze, La Nuova Italia, 1988 Il tragico in filosofia, Roma, Edizioni
dell'Ateneo, 1988 I sofisti ad Atene. L'uscita retorica dal dilemma tragico,
Bari, Levante Editori, 1990 Paradigma, mito, scienza. Studi sul pensiero greco,
Gruppo editoriale internazionale, 1995 Platone nel suo tempo. L'infanzia della
filosofia e i suoi pedagoghi, 1997 Articoli "Anima e corpo nel XIII
secolo", in Giornale critico della filosofia italiana, fasc. 1-2, Firenze,
Sansoni, 1951 "Recenti studi sull'Eleatismo", in Rassegna di
filosofia, 1955 "Il 'mito di Protagora' e la polemica sulla democrazia,
"La cultura", 8, 1970 "A proposito di Parmenide e di Socrate
demistificati", in Rivista critica di storia della filosofia, 32, 1977
"Appunti di un demistificatore", in Rivista critica di Storia della
Filosofia, 32, 1977 "I presocratici furono filosofi? Il circolo di Pericle
e le origini dello specifico filosofico", in Giornale critico della
filosofia italiana 1978 "Tracce di una polemica sulla scrittura in
Eraclito e Parmenide", in Giornale critico della filosofia italiana 1979
"Cerchie e polemiche filosofiche del V secolo", in Storia e civiltà
dei Greci, III, Milano, 1979
"Eliadi Meleagridi Pandionidi. Osservazioni sulla metafora mitica in
Parmenide", in Quaderni Urbinati di Cultura Classica, N. S. 3, 1979
"Eraclito e Parmenide, un tipico luogo comune", in Il Contributo,
luglio-agosto 1979 "A proposito di un recente libro su Parmenide", in
Quaderni Urbinati di Cultura Classica, 33, 1980 "Eschilo e
Parmenide", in Quaderni Urbinati di Cultura Classica, N. S. 10, 1982
"Oysia-physis, eimi-phyo, sum-fui. I due concetti di essere del pensiero
antico", in "Discorsi" 3, 1983 "Mente elevata e mente
profonda" in Il Sublime: contributi
per la storia di un'idea. Studi in onore di Giuseppe Martano, Napoli, 1983
"Opsis akoé. The sources of the problem of sensations in Parmenides",
in Museum Philologicum Londiniense, 6, 1984 "Trasposizione del lessico
omerico in Parmenide ed Empedocle", in Quaderni Urbinati di Cultura
Classica, 54, 1987 "Quattro ipotesi eleatiche", in La Parola del
Passato, 43, 1988 "Di Pitodoro, di Omar, di Don Ferrante e anche degli
aristotelici attuali", in "Il contributo", 12, 2, 1988, pagg. 69
e segg. "Introduzione", in Platone, Protagora, Firenze, La Nuova
Italia, 1991, pagg. VII-XXIV Curiosità Il 31 marzo 1977 partecipa con una
delegazione di professori ad un'assemblea indetta dagli studenti della Facoltà
di Lettere dell'Università La Sapienza. La discussione si fa animata
soprattutto con Rosario Romeo, professore di Storia Moderna, che prima accusa
Capizzi di fiancheggiare gli "squadristi rossi" e poi lo
schiaffeggia. Gli Indiani metropolitani rincorrono Romeo al grido di
"Compagno Capizzi, te lo giuriamo, ogni Romeo preso te lo
schiaffeggiamo".. Note La
repubblica cosmica. Appunti per una storia non peripatetica della nascita della
filosofia in Grecia, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1982, pag. 16 Ivi, pag.
16 Ivi, pag. 13 L'uomo a due anime. Dall'infanzia mimica,
dalla comicità adolescenziale, al tragico come scelta adulta, Firenze, La Nuova
Italia, 1988, pag. IX Settantasette, su
complessoperforma.it. 26-12- 4 aprile ).
Filosofia greca Presocratici Attualismo (filosofia) Altri progetti
Collabora a Wikiquote Citazionio su Antonio Capizzi Collabora a Wikimedia
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Capizzi Profilo biografico Paolo
Quintili, da SWIFSito Web Italiano per la Filosofia
Capocasale: Giuseppe Capocasale
(Montemurro), filosofo. Figura di spicco del panorama culturale in era
borbonica, era noto con l'appellativo di "Socrate cristiano". Nato in una povera famiglia, da Lorenzo e
Maria Lucca, sin da ragazzino aiutò il padre nel suo mestiere di fabbro
ferraio. Nel tempo libero si dedicò agli studi, mostrando grande attitudine
nelle lettere e nel latino in particolare. Con la morte del padre, avvenuta
quando Capocasale aveva 15 anni, visse tra Corleto Perticara, Stigliano e San
Mauro Forte, procurandosi da vivere come insegnante privato, dedicandosi
contemporaneamente allo studio della filosofia e del diritto. Dopo esser stato governatore baronale di
Sarconi, incarico ottenuto appena ventenne, lasciò la Basilicata per
trasferirsi a Napoli, conseguendo la laurea in giurisprudenza. Dopo gli studi
universitari, insegnò filosofia nella scuola dallo stesso fondata a Napoli. Dal
1801 vestì l'abito talare e, dal 1804, fu nominato da Ferdinando IV precettore
di logica e di metafisica all'Napoli.
Perse tale incarico con l'arrivo di Giuseppe Bonaparte: sotto il suo
governo gli fu concessa solamente la docenza privata. Con la restaurazione, Ferdinando
IV lo nominò vescovo di Cassano nel 1816. Capocasale, tuttavia, preferendo
l'insegnamento, rinunciò alla carica, così come fece più tardi con l'incarico
di pari grado conferitogli per la diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo. Sempre
nell'ateneo partenopeo ebbe, dal 1818, la cattedra di diritto di natura e delle
genti: i suoi teoremi, di stampo lockiano, ebbero una certa risonanza, tanto da
essere citati da filosofi come Francesco Fiorentino, Giovanni Gentile e Eugenio
Garin. Alcuni suoi discepoli divennero
importanti personalità culturali del tempo come Francesco Iavarone, Giustino
Quadrari, Giuseppe Scorza, Gaetano Arcieri e Giuseppe Mazzarella. Sempre fedele
alla monarchia borbonica, si schierò contro le insurrezioni carbonare del 1820.
Dal 1822 fu precettore del futuro re delle Due Sicilie: Ferdinando II. Fu
inoltre membro di varie Accademie come la Parmense, la Fiorentina, la
Cosentina, l'Augusta di Perugia, Aletina e Renia di Bologna, degli Intrepidi di
Ferrara, de' Nascenti e degli Assorditi di Urbino, dei Filoponi di Faenza. Opere Divota novena del gloriosissimo
taumaturgo S. Mauro, Roma, 1781. Esercizio di divozione verso il glorioso
confessore S. Rocco, Napoli, 1781. Cursus philosophicus, Napoli, 1789. Saggio
di politica privata per uso dei giovanetti ricavata dagli scritti dei più sensati
pensatori, Napoli, 1791. Catechismo dell'uomo e del cittadino, Napoli, 1792.
Codice eterno ridotto in sistema secondo i veri principi della ragione e del
buon senso, Napoli, 1793. Saggio di fisica per giovanetti, Napoli, 1796.
Istituzioni elementari di matematica, Napoli, 1824. Note F. De Sanctis, La giovinezza; memorie postume
seguite da testimonianze biografiche di amici e discepoli, Einaudi, 1961,
p.41 L. Alonzi, Il Vescovo-prefetto. La
diocesi di Sora nel periodo napoleonico (1796-1818), Centro Studi Sorani
"Vincenzo Patriarca", Sora 1998254, n. 138. F. Fiorentino, Giornale napoletano di
folosofia e lettere, scienze morali e politiche, 1876, 513 G.
Gentile, Storia della filosofia italiana dal Genovesi al Galluppi, II, Sansoni, Firenze 1937, 103 e ss.
E. Garin, Storia della filosofia italiana, III, Einaudi, Torino 1978, 995 e 1101.
E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri nelle scienze, lettere
ed arti del secolo XVIII, e de' contemporanei, Volume 8, Alvisopoli, 1841,
p.103 E. Di Tipaldo , Biografia degli
italiani illustri, VIII, Tip.
Alvisopoli, Venezia 1841, 103-104, ad
vocem, su books.google.it. Giacoma Maria Pagano, CAPOCASALE, Giuseppe, in
Dizionario biografico degli italiani,
18, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1975. Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giuseppe Capocasale Alcuni documenti riguardanti Capocasale sono
visibili sul sito Montemurro Sul Web Giuseppe Capocasale, un filosofo lucano
alla corte dei Borboni[collegamento interrotto] dal sito del Consiglio
regionale della Basilicata Filosofia Categorie: Abati e badesse
italianiFilosofi italiani del XVIII secoloFilosofi italiani Professore1754 1828
1º marzo 21 ottobre Montemurro Napoli
capocci: Grice: “That’s how I
shall call himothers favour “Giacomo da Viterbo.”” Essential Italian
philosopher -- Capocci (Viterbo), filosofo. Beato Giacomo da Viterbo, olio
su tela XVII secolo, Viterbo, chiesa della Santissima Trinità
Religioso, teologo e vescovo Nascitacirca 1255, Viterbo
Morte1307, Napoli Venerato daChiesa cattolica Beatificazione1911 da Papa Pio X
Ricorrenza4 giugno Manuale Giacomo da Viterbo, O.E.S.A. arcivescovo della
Chiesa cattolica GiacomoDaVt.Trin.jpg Template-Metropolitan Archbishop.svg
Incarichi ricopertiArcivescovo di Benevento, Arcivescovo di Napoli
Natocirca 1255 a Viterbo Elevato arcivescovo1302 Deceduto1307 a
Napoli Manuale Giacomo da Viterbo (Viterbo, 1255 circaNapoli, 1307)
filosofo, teologo e arcivescovo cattolico italiano, appartenente all'Ordine di
Sant'Agostino, beatificato da papa Pio X nel 1911. Fu arcivescovo di
Benevento nel 1302, poi di Napoli, dal 1302 fino alla morte (1307).
Nacque a Viterbo tra il 1255 ed il 1256; alcuni storici Professorelo hanno
considerato appartenente alla nobile famiglia viterbese dei Capocci, ma in
proposito sussistono attualmente molti dubbi. Studiò sicuramente presso il
convento viterbese della Santissima Trinità degli Eremitani di Sant'Agostino,
nel cui ordine entrò intorno al 1272, sempre presso lo stesso convento.
Recatosi a Parigi, si perfezionò negli studi teologici con il confratello
filosofo e teologo Egidio Romano; rientrato in Italia, ricoprì più volte, tra
il 1281 ed il 1286, su indicazione di Egidio, le cariche di Definitore e
Visitatore nella Provincia Romana del suo ordine. Tornato a Parigi per
completare gli studi, conseguì prima il baccellierato (1288) e quindi, nel
1293, il dottorato in teologia. In quegli anni mostrò tutte le sue grandi
capacità letterarie e filosofiche, arrivando a succedere allo stesso Egidio
Romanoche era stato nel frattempo eletto Priore Generale dell'Ordinepresso lo
Studium parigino e guadagnandosi l'appellativo di Doctor speculativus. Nel 1300
ricevette l'incarico di Primus Lector, cioè Direttore dell'insegnamento, presso
lo Studium fondato a Napoli dagli agostiniani. Scrisse la sua opera più
conosciuta, il trattato De regimine christiano, negli anni tra il 1296 ed il
1303, epoca in cui si faceva sempre più acuto lo scontro tra papa Bonifacio
VIII ed il re di Francia Filippo IV il Bello. Il lavoro di Giacomo riprendeva
le tesi della bolla pontificia Unam Sanctam, difendendo l'idea ierocratica, o,
meglio, teocratica, ed il diritto del papato ad esercitare il potere
temporale. Bonifacio VIII gli manifestò la sua stima ordinandolo prima
arcivescovo di Benevento, il 3 settembre 1302, e quindi nominandolo, il 12
dicembre dello stesso anno, dopo soli tre mesi, arcivescovo dell'ancor più
prestigiosa sede di Napoli. Qui, grazie all'appoggio del re Carlo II d'Angiò e
di suo figlio Roberto, con i quali ebbe ottimi rapporti, diede notevole impulso
ai lavori per la costruzione di una nuova Cattedrale. Il suo ruolo fu
importante anche in occasione della canonizzazione del santo pontefice
Celestino V in quanto fu affidata proprio a lui la causa, da parte di papa
Clemente V: per istruire tale causa nel 1306 ascoltò non meno di trecento
testimoni, tra Campania ed Abruzzo. La morte lo colse alla fine del 1307, ma se
ne ignora la data precisa, così come non è noto il luogo della sepoltura.
Subito dopo la morte fu venerato come santo. Il suo culto venne
confermato ab immemorabili il 14 giugno 1914 da papa Pio X; la sua memoria
liturgica ricorre il 4 giugno. Il De regimine christiano e le altre opere
L'opera più significativa di Giacomo è sicuramente il De regimine
christianodedicato a papa Bonifacio VIII e terminato presumibilmente nel 1303in
cui il religioso viterbese approfondisce i temi, estremamente rilevanti in
quegli anni, del papato, inteso come teocrazia, e del potere temporale della
Chiesa. In questo lavoro Giacomo, partendo da considerazioni di stampo
prettamente agostiniano, ritiene che il potere temporale abbia un fondamento
naturale, perfezionato dall'opera della Chiesa. Questo scritto ha suscitato nei
secoli l'interesse di molti teologi e studiosi, anche perché è comunemente
considerato il primo trattato sistematico sulla Chiesa; ve ne sono attualmente
diverse traduzioni in varie lingue: in italiano la più recente è quella del
1993, A. Rizzacasa e G. B. Marcoaldi, che ha il significativo titolo de Il
Governo della Chiesa. Tra le altre opere di Giacomo tradotte e pubblicate vanno
ricordati due lavori squisitamente teologici, le Quaestiones disputatae de
praedicamentis in divinis, collocabili tra il 1293 ed il 1295 e pubblicate
dall'Ypma, che sono ritenute di grande interesse da parte degli studiosi, e la
Summa de peccatorum distinctione, scritta tra il 1300 ed il 1306, ed edita
dall'Ambrasi. Esistono tuttora numerosi manoscritti di questo teologo
agostiniano che non sono stati tradotti integralmente. Note L'argomento è approfondito da Ugo Mariani,
Giacomo da Viterbo in Chiesa e Stato nei teologi agostiniani del XIV secolo,
Roma, 1957; lo studioso agostiniano, dopo lunghe ricerche, non ha trovato
alcuna menzione di Giacomo tra i membri della famiglia viterbese dei Capocci.
Lo stesso Mariani indica l'epoca della nascita, desunta da altre ricerche. Molte notizie sulla vita di Giacomo sono
reperibili on line nella monografia di Paolo Vian,GIACOMO DA VITERBO, su Dizionario
Biografico degli Italiani Treccani, che reca anche una notevole . Su questi aspetti della biografia si veda il
volume di Giacomo da Viterbo Il Governo della Chiesa (De regimine christiano),
Nardini, Firenze, 1993, con traduzione e commento di G.B.Marcoaldi e
A.Rizzacasa, che reca una interessante e corposa nota bio-bibliografica , ricca
di notizie sulla vita di questo religioso
Si veda in proposito l'edizione succitata del 1993 del De regimine
christiano, nella cui introduzione vengono ampiamente trattate tali
problematiche. Secondo il Vian (op.cit.)
la sua morte va collocata tra il 6 settembre 1307, ultima data in cui il suo
nome compare in una lettera di Carlo II d'Angiò, ed una data antecedente il 17
marzo 1308, giorno in cui Clemente V ne nominò il successore alla sede
arcivescovile di Napoli, Umberto de Montauro.
Sempre secondo Vian (op.cit.) vi sono immagini del Trecento, nel
viterbese, nel beneventano e nel napoletano, in cui Giacomo viene raffigurato
con l'aureola dei Santi, ad indicare la fama di santità di cui godette sin
dalla morte. Fino al 2005 la memoria era
il 12 dicembre. Lo precisa puntualmente
l'articolo di Bruno Silvestrini,O.S.A., su SantieBeati on-line (v.). Si veda in proposito quello che scrive sulle
Quaestiones il Mariani (op.cit.).
Henri-Xavier Arquillière, Le plus ancien traité de l'Église. Jacques de
Viterbe: de regimine christiano (1301-1302) Étude des sources et édition
critique, Parigi, 1926. David Gutierrez,
De beati Jacopi Viterbiensis vita, operibus et doctrina theologica, Roma, 1939.
Fidel Casado, El pensamiento filosofico del Beato Santiago de Viterbo, in
" La Ciudad de Diós " Ugo Mariani, Chiesa e Stato nei teologi
agostiniani del sec. XIV, Roma, 1957,
75-88 e 151-174. Domenico Maffei, La donazione di Costantino nei
giuristi medievali, Milano, 1964129. R.W. e A.J. Carlyle, Il pensiero politico
medievale, Luigi Firpo, III, Bari 1967, 94 e 433-442. Giacomo da Viterbo, Il
Governo della Chiesa, note e commento di Aurelio Rizzacasa e Giovanni B.
Marcoaldi, Nardini, Firenze, 1993. Giuseppe Signorelli, Viterbo nella Storia
della Chiesa, Cionfi, Viterbo, 1907.
Viterbo Ordine di Sant'Agostino Egidio Romano Bonifacio VIII Altri
progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o
altri file su Giacomo da Viterbo Paolo
Vian, Giacomo da Viterbo, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Giacomo da
Viterbo, su Santi, beati e testimoni, santiebeati.it. Filippo Cancelli, Giacomo da Viterbo, in
Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970.Antoine Côté,
James of Viterbo, in Edward N. Zalta , Stanford Encyclopedia of Philosophy,
Center for the Study of Language and Information (CSLI), Stanford.
PredecessoreArcivescovo di BeneventoSuccessoreArchbishopPallium PioM.svg
Adenolfo1302Monaldo Monaldeschi, O.F.M.PredecessoreArcivescovo di
NapoliSuccessoreArchbishopPallium PioM.svg Filippo Minutolo1302-1307Umberto de
Montauro Filosofia Filosofo del XIV secoloTeologi italianiArcivescovi cattolici
italiani Professore1307 Viterbo NapoliBeati italianiBeati proclamati da Pio
XBeati agostinianiAgostiniani italianiScrittori medievali in lingua latina
Capodilista: «Un
pensiero perfetto in sé non esiste; un pensiero è perfetto solo nella serie
innumerabile dei pensieri che nascono da esso.»
(Quaderni). Andrea Emo Capodilista (Battaglia Terme) filosofo. Appartenente
ad una famiglia veneziana di nobili origini, nacque nella villa di famiglia da
Angelo Emo Capodilista e da Emilia dei baroni Barracco. Sposò Giuseppina
Pignatelli dei principi di Monteroduni, dalla quale ebbe due figlie. Emo, inizialmente allievo di Giovanni Gentile
nel periodo in cui questi insegnava all'Università La Sapienza di Roma, non si
laureò mai, tuttavia elaborò una sua personale dottrina che, mai pubblicata,
rimase sconosciuta agli specialisti della materia sino a quando le sue
centinaia di quaderni di annotazioni autografe non vennero nel 1986 nelle mani
di Massimo Cacciari, il quale riconobbe in essi l'autore di un'importante e
originale filosofia. Di carattere schivo
e appartato, ebbe poche ma importanti amicizie, con Alberto Savinio, Ugo
Spirito e Cristina Campo, la poetessa dalla personalità e dagli interessi
affini ai suoi, con la quale intrattenne un rapporto non solo epistolare ma
fatto anche di incontri a palazzo Emo e di lunghissime telefonate. Pensiero Emo non volle mai organizzare il suo
pensiero in una forma sistematica ma questo non fa certo di lui un filosofo
estemporaneo. Le sue riflessioni sul
nihilismo, ad esempio, possono essere considerate un'anticipazione del pensiero
di Heidegger. Almeno fino agli anni
trenta, Emo si dichiarò sempre debitore dell'attualismo gentiliano ma partendo
da questo giunse a trasformarlo in un pensiero dove l'atto è raffigurazione
dell'autonegazione del Nulla che comunque conserva una sua funzione positiva
così com'è nella religione cristiana dove il Nulla, la morte ha la funzione di
salvezza nella redenzione. Per Emo,
infatti «credere in Dio è credere nel nulla».
Mentre dunque in Nietzsche la vittoria sul Nulla è affidata
all'oltreuomo, Emo sa bene che «tutte le forme superiori dello spirito
intristiscono e cercano invano di uscire da sé per trovare qualcosa che le
salvi». Un'istanza di salvezza che trova
senso in una religione dove « Dio deve espiare la sua universalità, deve
distruggere ogni valore e il proprio, sì che lo sparire, il nascondersi di Dio
nella sua espiazione non è altro che la nuova creazione, la nuova creazione dei
valori; e così il ciclo ricomincia». Dio
«si abolisce col suo stesso realizzarsi».
Un altro punto fondamentale del pensiero religioso di Emo è la figura
centrale dell'individuo, della persona contrapposta alle astrazioni della
collettività, sia quella esaltata dallo Stato etico gentiliano o quella delle
religioni socializzanti. «L'individuo non può essere un dato; esso può essere
solo un soggetto cioè una resurrezione».
L'età moderna è assillata da questo fondamentale problema :«Il problema
è questo: di quali fedi si nutre e sussiste il mondo moderno; quale è la fede
autentica che lo sostiene nella vita che gli dà la forza dell'attività e la
convinzione di partecipare con la sua vita (o la sua azione o il suo essere)
alla immortalità, cioè all'assoluto? Ogni uomo ha bisogno dell'assoluto e
pertanto il suo problema è questa partecipazione all'assoluto» Come raggiungerà l'assoluto l'uomo
contemporaneo? Quale sarà la sua fede laica? non certo quella
collettivistica-sociale che ha fatto uso della violenza e ha fallito ma neppure
quella cristiana che ha compresso la libertà di coscienza. «I cristiani sono nati sotto il segno dello
scandalo» ma oggi la Chiesa si è allontanata dalla sua scandalosa azione
originaria. «Perché in ogni fede vi è
qualcosa di scandaloso e di vergognoso? Perché vi è qualcosa di vergognoso
nella verità e nella vita stessa? Forse l'elemento vergognoso è l'individualità
pura attorno a cui verte la fede e che si crea con la sua negazione;
l'individualità è sempre nuda e la nudità è scandalosa. I vestiti sono
l'uniforme della società. Invano l'uomo (e la donna) credono di distinguersi
con le vesti; e credono che la nudità sia uniformità. In realtà le vesti sono
il riconoscimento della società, del sociale. Ma le vesti sarebbero nulla se
non fossero animate dalla vita di una nudità. La veste è orgogliosa della
nudità che essa socializza» È quindi con
la libertà individuale, con la "nudità" individuale, con il rifiuto
di ogni "veste" di uniformità ed obbedienza all'autorità di una
Chiesa o ad una dottrina collettivizzante, che l'uomo recupera la sua essenza
individuale che si fonda sull'amore alta espressione del
"singolo". Opere Il dio
negativo. Scritti teoretici 1925-1981, Massimo Donà e Romano Gasparotti,
Marsilio, Venezia, 1989. Le voci delle Muse. Scritti sulla religione e
sull'arte. 1918-1981, Massimo Donà e Romano Gasparotti, Marsilio, Venezia,
1992. Supremazia e maledizione. Diario filosofico 1973, Massimo Donà e Romano
Gasparotti, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1998. Lettere a Cristina Campo.
1972-1976, Giovanna Fozzer, In forma di parole, Bologna, 2001. Il monoteismo
democratico. Religione, politica e filosofia nei Quaderni del 1953, Laura Sanò,
Mondadori, Milano, 2003. Quaderni di metafisica. 1927-1981, Massimo Donà e
Romano Gasparotti, pref. di Massimo Cacciari, contributi di Enrico Ghezzi, Giulio
Giorello, Laura Sanò, Carlo Sini, Vincenzo Vitiello, Francesco Tomatis e Andrea
Tagliapietra. Bompiani, Milano, 2006. Aforismi per vivere. Tutte le parole non
dette si ricordano di noi, Raffaella Toffolo, Mimesis, Milano, 2007. La voce
incomparabile del silenzio (dai taccuini), Massimo Donà e Raffaella Toffolo,
con postfazioni di Massimo Cacciari, Giulio Giorello, Massimo Donà e Raffaella
Toffolo. Gallucci, Roma, . Verso la notte e le sue ignote costellazioni.
Scritti sulla politica e la storia, Massimo Donà, Raffaella Toffolo, Gallucci,
Roma, . Note Il pittore realizzò dei
ritratti di Andrea e della moglie La
prima lettera di Emo è del febbraio del 1972 a cui seguirono altre 12 sino al
10 ottobre 1976; della Campo vi è una sola lettera Andrea Emo e i "Quaderni di
metafisica" Intervista a Massimo Donà di Luca Viglialoro Op. cit.Ibidem Op.cit. Ibidem da Andrea Emo, Il monoteismo democratico.
Religione, politica e filosofia nei Quaderni del 1953, Laura Sanò, 2003, Bruno
Mondadori editore, in Quaderni 19531
Quaderni 1953 op.cit47 Quaderni
1953 op.cit.p. 14 Quaderni 1953
op.cit.p. 37 Laura Sanò, Un daimon
solitario. Il pensiero di Andrea Emo, Prefazione di U. Curi, Napoli, La Città
del Sole, 2001, 242. 88-8292-059-3. Daniele Mont D'Arpizio, Andrea
Emo, il profeta dell'angoscia, in La Difesa del popolo, 11 gennaio 200925.
Giovanni Sessa, La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo,
introduzione di Romano Gasparotti, con un inedito di Andrea Emo, Edizioni
Bietti, Milano . Cristina Campo Altri
progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Andrea Emo Collabora a Wikimedia
Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Andrea Emo Maria Virginia Geremia, «EMO CAPODILISTA,
Andrea» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 42, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1993. Aforismi tratti dai Quaderni di Andrea Emo su
Aforismario Filosofia Filosofo Professore1901 1983 14 ottobreMorti l'11
dicembre Battaglia Terme RomaPosizioni e teorie filosofiche
Capograssi: Giuseppe
Capograssi (Sulmona), filosofo. Si è occupato principalmente di filosofia del
diritto. Fu membro della Corte costituzionale. Giuseppe Capograssi nacque
a Sulmona da un'antica famiglia nobile che vi si era trasferita da un comune
della provincia di Salerno nel 1319, a seguito del vescovo Andrea. Nipote di
Nunzio Federigo Faraglia, Capograssi si laureò in Giurisprudenza a Roma nel
novembre del 1911 discutendo la tesi di laurea "Lo Stato e la
Storia", in cui già affiorano le problematiche connesse alle interrelazioni
fra individuo, società e Stato: problematiche che impegneranno tutta la sua
attività di studioso. Dopo aver esercitato l'avvocatura, iniziò la
carriera accademica all'Università degli Studi di Sassari, poi insegnò
all'Università degli Studi di Macerata, dove venne nominato anche rettore e
quindi si trasferì nel 1938 a Padova, poi nel 1940 a Roma, di qui a Napoli,
presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, per un decennio,
trascorso il quale si trasferì ex novo a Roma. Nel luglio del 1943 prese
parte ai lavori che portarono alla redazione del Codice di Camaldoli. Il
3 dicembre 1955 venne nominato giudice della Corte costituzionale dal
Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi e giurò il 15 dicembre insieme
agli altri quattordici giudici. Di fatto non partecipò ai lavori della Corte in
quanto morì il giorno della seduta inaugurale (23 aprile 1956). Fu tra i
fondatori dell'Ugci (Unione giuristi cattolici italiani), di cui fu anche il
primo presidente. Pensiero La sua filosofia viene denominata
"dottrina dell'esperienza giuridica" ed è rivolta alla
centralizzazione della volontà del soggetto agente, che si imprime nell'azione
stessa, vera fonte di espressione giuridica e di vita. La filosofia dovrebbe
quindi occuparsi della vita e dell'azione, avendo a centro della sua
speculazione la "persona". Il suo pensiero si ricollega al
personalismo cattolico, il cui approfondimento si ebbe proprio nel Novecento,
sulle orme di sant'Agostino, Pascal, Rosmini, anche ad opera di pensatori
francesi quali Maritain e Mounier. Perciò, l'aver posto al centro della
sua indagine il problema di comprendere i rapporti essenziali che intercorrono
fra il diritto, inteso come esigenza giuridica, e la vita consente alla sua
filosofia del diritto di superare il campo della tecnica giuridica per
pervenire ad una visione organica e totale del reale, cioè a Dio. Opere
Fede e scienza, 1912 Saggio sullo Stato, 1918 Riflessioni sull'autorità e la
sua crisi, 1921 La nuova democrazia diretta, 1922 Analisi dell'esperienza comune,
1930 Studi sull'esperienza giuridica, 1932 Introduzione alla vita etica, 1953
Il problema della scienza del diritto, 1937 Incertezze sull'individuo, Milano,
Giuffrè, 1969 Pensieri a Giulia, 1918-1924
Note Sito web della Corte
costituzionale: note biografiche giudice. Archiviato il 3 febbraio in . I
Pensieri a Giulia sono alcuni scritti di Capograssi, vergati su foglietti e
conseglla sua futura moglie Giulia Ravaglia dal dicembre del 1918 al 18
febbraio 1924, data del loro matrimonio. Nei Pensieri, poi raccolti e
pubblicati, si colgono i momenti salienti della sua maturazione intellettuale e
spirituale che culminerà nella conversione.
M. Glustich, La teoria dei valori in Giuseppe Capograssi, Alassio, 1972.
Jesús Ballesteros, La filosofía jurídica de Giuseppe Capograsi, Roma-Madrid,
Instituto Jurídico Español de Roma, C.S.I.C., 1973 (in spagnolo) Giuseppe
Papponetti, Capograssi a Sulmona. Sei secoli in un paese, Milano, Giuffrè,
1990. Ulderico Pomarici, L'individuo oltre lo Stato. La filosofia del diritto
di Giuseppe Capograssi, Napoli, Editoriale Scientifica, 1996 M. G. Esposito,
Diritto e vita, La lezione di Capograssi, Milano, Giuffrè, 1997. Giuseppe
Papponetti, Un inventario cinquecentesco di casa Capograssi, L'Aquila,
Deputazione Abruzzese di Storia Patria, 2003. Antonio Delogu, Introduzione alla
Analisi della esperienza comune in: Giuseppe Capograssi, La vita etica,
Francesco Mercadante, Milano, Bompiani, 2007. Raffaele Panico, Giuseppe
Capograssi: le nuove generazioni e l'unità del Mondo. La scoperta
dell'individuo contemporaneo nel segno del personalismo cristiano, Rinascita
'Filosofia', pag. 16 'Cultura', edizione quotidiana del 9/10 febbraio 2008.
Antonio Delogu e Aldo Maria Morace, Esperienza e verità. Giuseppe Capograssi:
un Maestro oltre il suo tempo, Bologna, Il Mulino, 2009. Antonio Delogu Antonio Pigliaru, Saggi capograssiani, Roma,
SPES, . Antonio Merlino, La recezione di Kelsen in Italia. Santi Romano e
Giuseppe Capograssi, in "Challenging Centralism. Decentramento e autonomie
nel pensiero politico europeo", Firenze, Firenze University Press, Vincenzo Lattanzi, Giuseppe Capograssi. I
sentieri dell'uomo comune, con prefazione di Francesco Mercadante, Edizioni
Solfanelli, . Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Giuseppe Capograssi Vittorio Frosini, CAPOGRASSI, Giuseppe, in
Dizionario biografico degli italiani,
18, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1975. 3 ottobre . Filosofia Categorie: Giuristi italiani del XX
secoloFilosofi italiani del XX secoloAccademici italiani Professore1889 1956 21
marzo 23 aprile Sulmona RomaFilosofi del dirittoGiudici della Corte
costituzionale (Italia)Militanti cattolici italianiNobili italiani del XX
secoloNobili italiani del XXI secoloProfessori della SapienzaRomaProfessori
dell'Università degli Studi di MacerataProfessori dell'Università degli Studi
di Napoli Federico IIProfessori dell'Università degli Studi di SassariRettori
dell'Università degli Studi di MacerataStudenti della SapienzaRoma
Caporali: Enrico Caporali
(Como), filosofo. Laureatosi in giurisprudenza all'Padova, studiò anche storia
e geografia presso l'ateneo bolognese, così come approcciò, sia Italia che
all'estero, le scienze naturali e la matematica. Nel corso dei suoi viaggi si avvicinò al
movimento metodista, tanto che nel 1875 a Milano, dove l'anno prima aveva dato
alle stampe la Geografia enciclopedica, ne ricevette l'ordinazione a
evangelista, mentre quella a diacono la ricevette a Terni nel 1879. E, non a
caso, Caporali è stato segnalato fra le menti più eccelse dell'evangelicismo. Dal 1876 a Perugia, e poi come ministro a
Todi dalla fine del 1881, finì per distaccarsi dal movimento metodista. È in
quel contesto che diede vita alla rivista La nuova scienza, uscita in 6 volumi tra
il 1882 e il 1896. La notorietà che ne conseguì gli portò l'offerta di reggere
come titolare, su indicazione di Nicola Fornelli, la cattedra di filosofia
all'Bologna, che tuttavia Caporali rifiutò.
Dal 1905 riprese e approfondì le questioni filosofiche, studiando, in
particolare, la dottrina di Pitagora, che avrebbe ricondotto, da nazionalista
qual era, ad una tradizione italica e latina, in funzione anti-straniera.
Secondo Caporali, la formulazione pitagorica del numero reale consentiva di
riconoscere la relazione dell'espressione della coscienza e della volontà umane
con i problemi della vita. Opere
principali Geografia enciclopedica rispondente al bisogno degl'italiani
ordinata alfabeticamente, Politti, Milano 1873. Epitome di Filosofia italica
della nuova scienza. Vademecum delle persone colte che vogliono diventare
filosoficamente italiane, Tip. dell'Umbria, Spoleto 1911; La natura secondo
Pitagora, Atanor, Todi 1914; L'uomo secondo Pitagora, Atanor, Todi 1915; Il
pitagorismo confrontato con le altre scuole, Atanor, Todi 1916; La Chiara religione
degli anticlericali italiani con la nebbiosa tedesca di Romolo Murri (della
pubblica opinione moderatore), Tip. Tuderte, Todi 1916. Note L'Enciclopedia Italiana, vedi , indica il
1841 come anno di nascita. V. Vinay,
Luigi Desanctis, Claudiana, Torino 1965240.
In tal senso B. Croce, Pescasseroli, Laterza, Bari 192255, che lo cita
con i filosofi protestanti Taglialatela e Mazzarella. G.B. Furiozzi, Enrico Caporali tra politica,
religione e filosofia, in Idem, Dal Risorgimento all'Italia liberale, Edizioni
Scientifiche Italiane, Napoli 1997,
125–136. R. Mariani, Del sommo filosofo pitagorico Enrico Caporali da
Como (1838-1918): da Pitagora ad Alberto Einstein, Domini, Perugia 1955. Altri
progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o
altri file su Enrico Caporali M.C.C.,
«CAPORALI, Enrico», in Enciclopedia Italiana, I Appendice, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1938. Luca Pilone, «Enrico Caporali», in Dizionario
biografico dei protestanti in Italia, Società di studi valdesi, sito studivaldesi.org.
Filosofia Filosofo del XIX secoloFilosofi italiani Professore1838 1918 Como
TodiScrittori italiani del XX secoloPersonalità del protestantesimo
Cappelletti: Vincenzo
Cappelletti (Roma ), filosofo. Dopo gli
studi liceali classici, si laurea prima in medicina poi in filosofia. Nel 1967,
consegue la libera docenza in storia della scienza che, dal 1968 al 1971,
insegna, per incarico, all'Perugia, quindi, dal 1972, all'Roma La Sapienza
dove, nel 1980, consegue l'ordinariato; ha successivamente insegnato la stessa
disciplina all'Università Roma Tre fino al 2002, quando è andato in
quiescenza. Nel 1956, inizia a
collaborare con l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana di Roma, fino a diventarne,
nel 1969, vicedirettore generale, quindi, l'anno successivo, direttore
generale, carica che manterrà fino al 1992. Questo periodo, vedrà una
progressiva affermazione sia in campo nazionale che internazionale
dell'Istituto, con un forte incremento nella produzione delle opere nonché l'apertura
di nuovi ed innovativi progetti editoriali.
Dal 1992 al 2002, è vicepresidente e direttore scientifico
dell'Enciclopedia Italiana, carica rivestita negli anni trenta da Giovanni
Gentile, poi da Gaetano De Sanctis, quindi da Aldo Ferrabino di cui Cappelletti
sarà appunto collaboratore negli anni 50'. Già condirettore della rivista di
storia della scienza Physis (dal 1991) e degli Archives Internationales
d'Histoire des Sciences, dirige, dal 1956, Il Veltro. Rivista della civiltà
italiana (da lui fondata assieme a Aldo Ferrabino), nonché presiede la casa
editrice Studium. È anche socio storico dei "Martedì Letterari". Dal 1970 al , è presidente della Domus
Galilaeana di Pisa e, dal 1989 al 1997, dell'Académie Internationale d'Histoire
des Sciences. Dal 1999, è presidente della Società Italiana di Storia della
Scienza (presidente onorario dal ) e, dal 1997 al , dell'Istituto Accademico di
Roma. Inoltre, dal 2001 al 2005, è commissario straordinario dell'Istituto
Italiano di Studi Germanici, quindi presidente dal 2006 al , promuovendone il
passaggio da istituzione culturale a ente di ricerca. Presiede inoltre, dal
1988, la Società Europea di Cultura, fra gli anni 80' e 90' il Centro Italiano
di Sessuologia (CIS), la Fondazione Nazionale "C. Collodi" dal 1989,
il Consorzio BAICR-Sistema Cultura (Biblioteche e Archivi Istituti Culturali di
Roma) dal 1991, la Fondazione FUCI dal 1996 al . Dottore honoris causa dell'El Salvador e di
Moron-Buenos Aires, è stato socio straniero dell’Accademia delle Scienze di
Bucarest. Nel 1991, riceve il Premio internazionale Montaigne per le scienze
umane. Medaglia d'oro al merito accademico, è insignito, nel 2003, della
medaglia Koiré dell'Académie Internationale d'Histoire des Sciences e, per due
volte, della medaglia d'oro al merito della cultura italiana, sia per gli
sviluppi dell'Enciclopedia Italiana che per la promozione degli studi di storia
della scienza. La sua attività
scientifica ha riguardato inizialmente la storia e l'epistemologia delle
scienze biologiche nella Germania dell'Ottocento, quindi le teorie
psicoanalitiche, in particolare la psicoanalisi freudiana e la psicologia
analitica, nei loro rapporti con le altre discipline socio-umanistiche, fra cui
l'antropologia, la politica e la filosofia. Ha anche curato collectanee su
aspetti del pensiero nonché le opere di alcuni scienziati del Settecento e
dell'Ottocento, fra cui Giovanni Battista Morgagni, Emil Du Bois-Reymond,
Rudolf Virchow, Hermann von Helmholtz. Quindi, dopo aver ulteriormente
approfondito gli aspetti storiografici e metodologici delle scienze esatte e
naturali, i suoi interessi di ricerca si sono rivolti verso la filosofia e la
sociologia delle scienze, analizzando, sia dal punto di vista storiografico che
epistemologico, i rapporti storico-dialettici fra scienza e società, con
particolare riguardo alle scienze umane.
Pubblicazioni principali Emil Du Bois-ReymondI sette enigmi del mondo ,
Firenze, Tip. L'impronta, 1957. Atomi e vita, Bologna, Edizioni Cappelli, 1958.
Entelechìa. Saggi sulle dottrine biologiche del secolo XIX, Firenze, G.C.
Sansoni, 1965. Opere di Hermann von Helmholtz , Torino, UTET, 1967 (2ª ed.,
1995). Rudolf VirchowVecchio e nuovo vitalismo , Roma-bari, Editori Laterza,
1969. L'interpretazione dei fenomeni della vita , Bologna, Società editrice il
Mulino, 1972. Emil Du Bois-ReymondI confini della conoscenza della natura ,
Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 1973. Freud. Struttura della
metapsicologia, Roma-Bari, Editori Laterza, 1973. Epistemologia, metodologia
clinica e storia della scienza medica (), 5 voll. (IV e V curati da V.
Cappelletti e Dario Antiseri, 1982), Roma, Arti grafiche E. Cossidente,
1977-82. La scienza tra storia e società, Roma, Edizioni Studium, 1978. Saggi
di storia del pensiero scientifico dedicati a Valerio Tonini , Roma, Casa
Editrice Jouvence, 1983. Antropologia dei valori e critica del marxismo , Roma,
PWPA-Edizioni dell'Accademia, 1984. Alle origini della "philosophia
anthropologica", Napoli, Guida editori, 1985. De sedibus, et causis.
Morgagni nel centenario (curato assieme a Federico Di Trocchio), Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1986. L'Enciclopedia Italiana per l'Europa: le
nuove opere Treccani, Roma, Quaderni de Il Veltro, 1992. Le scienze umane nella
cultura e nella società odierne , Edizioni Studium, 1993. Etnia e Stato,
localismo e universalismo , Roma, Edizioni Studium, 1995. Introduzione a Freud,
Roma-Bari, Editori Laterza, 1997 (2ª ed., 2000; 3ª ed. ampliata, ). Filosofia
come scienza rigorosa. Edmund Husserl a centocinquant'anni dalla nascita (con
Renato Cristin), Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino Editore, . L'Università e la
sua riforma (curato assieme a Giuseppe Bertagna), Roma, Edizioni Studium, .
Natura e pensiero. Percorsi storico-filosofici, Roma, Aracne Editrice, . Onorificenze
Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'artenastrino per uniforme
ordinariaMedaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte — Roma, 28
novembre 1992 Note Notizie
bio-bibliografiche sull'autore si trovano in V. Cappelletti, Natura e pensiero.
Percorsi storico-filosofici, Aracne Editrice, Roma, , Introduzione di G. Cimino
( 9-48), Appendice ( 247-252). Cfr. V.
Cappelletti, "Attualità della storiografia scientifica", in: La storiografia della scienza: metodi e
prospettive, Quaderni di storia e critica della scienza, N. 5, Domus Galilaeana
(Pisa), CLUEB, Bologna, 1975,
315-329. La maggior parte delle
notizie biografiche qui riportate, sono tratte dalla biografia dell'autore
scritta da G. Cimino per l'Enciclopedia Italiana (cfr. sezioni "" e
""). Istituto Italiano di
Studi germaniciHome page Società europea
di CulturaHome page Guido Cimino,
CAPPELLETTI, Vincenzo, in Enciclopedia Italiana, V Appendice, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1991, vincenzo-cappelletti. Altri progetti
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Cappelletti Vincenzo Cappelletti, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. italiana di Vincenzo Cappelletti, su
Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com. Registrazioni di Vincenzo Cappelletti, su
RadioRadicale.it, Radio Radicale.
Vincenzo Cappelletti: La nascita della Psicoanalisi. Aforismi, storia
del termine inconscio, documento video, Rai Scuola.Filosofia Filosofo del XX
secoloStorici della scienza italiani 1930
2 agosto 21 maggio Roma Roma
Capra: Marcello Capra (Nicosia),
filosofo.. Studiò medicina a Padova
sotto la guida di Giovanni Battista Montano e del celebre Gabriele Falloppio.
Tornato a Nicosia, vi fondò una scuola di medicina e filosofia. In seguito, si
trasferì prima a Palermo e poi a Messina. Divenne medico personale di Don
Giovanni D'Austria e medico della flotta dell'Impero Spagnolo, per cui
partecipò nel 1571 alla battaglia di Lepanto. Tornato in Sicilia, su incarico
del viceré Don Diego Enriquez de Gusman studiò l'epidemia di peste verificatasi
nel 1591 e 1592 e descrisse i risultati dei suoi studi in un volume dal titolo
De morbi pandemici causis, symptomatibus et curatione, che fu pubblicato a
Messina nel 1593. Scrisse anche un volume sulle proprietà mediche della
scorzonera. Marcello Capra si occupò anche di filosofia e nel 1589 pubblicò a
Palermo due opere filosofiche. La prima di tali opere fu dedicata alla sede
dell'anima e considerava i principi di Aristotele e i quesiti di Galeno; la
seconda trattava dell'immortalità dell'anima alla luce del pensiero di
Aristotele, Pitagora, Epicuro e Averroè. Di Marcello Capra non si conoscono
esattamente il luogo e la data precisa della morte. Note
Vedi Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in . G.E. Ortolani, Biografia degli uomini
illustri della Sicilia, Nicola Garrasi Editore, Napoli, 1821. Giuliano Gliozzi, CAPRA, Marcello, in
Dizionario biografico degli italiani,
19, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1979. 2 luglio . Filosofia Medicina Medicina Categorie: Medici italianiFilosofi
italiani Professore1510 Nicosia (Italia)
Capua: Ritratto
di Leonardo di Capua. Leonardo Di Capua (Bagnoli Irpino), filosofo.
Impegnato nella ricerca e nella sperimentazione, in antitesi ai vecchi
capiscuola come Aristotele, Ippocrate, Galeno ed altri, fu a capo di
un'accademia dal nome gli "Investiganti". Nel 1681 pubblicò il
"Parere", sostenendo le idee di chi opponeva la ricerca medica e
scientifica al sapere della tradizione. Ingresso del portone della casa
di nascita di Leonardo di Capua. Via Carpine, Bagnoli Irpino Leonardo di Capua
nacque a Bagnoli Irpino il 10 agosto 1617 da Cesare e Giovanna Bruno, dei quali
fu l'ultimo figlio. Nonostante la famiglia fosse facoltosa, non gli venne
assegnato un precettore che lo seguisse negli studi oltre le basi grammaticali.
Ad ogni modo, egli si dedicò con passione, sin da giovanissimo,
all'approfondimento del latino, del greco e della retorica. Ad undici anni, nel
1628, perse entrambi i genitori e dovette cominciare a provvedere da sé alla
sua educazione. Trasferitosi a Napoli per seguire la sorella, frequentò la
scuola dei padri della Compagnia di Gesù, studiando per sette anni filosofia e
teologia. A diciotto anni si dedicò agli studi giuridici e successivamente alla
medicina. Imparò le Istituzioni di Giustiniano, leggendo al tempo stesso anche
le osservazioni di Giacomo Cuiacio, testi che segnarono profondamente la sua
formazione, come è evidente in vari passaggi del suo "Parere" e nelle
sue "Lezioni intorno alla natura delle mofete". All'età di 22 anni si
laureò in medicina e fece ritorno a Bagnoli, con l’intenzione di approfondire
le sue conoscenze naturali ed anatomiche, effettuando osservazioni dirette su
animali vivi sezionati e con il supporto di testi reperiti a Napoli. Proprio in
quegli anni prese forma il suo pensiero critico circa l'inadeguatezza del
metodo utilizzato sino ad allora in ambito medico. Degli anni di ritiro a
Bagnoli non abbiamo ulteriori notizie biografiche. Niccolò Amenta, autore di
una sua biografia, ci riferisce anche di una certa attività letteraria,
collocabile in questo periodo, di cui, tuttavia, non ci è giunta testimonianza:
i suoi testi furono rubati mentre era in viaggio verso Napoli. Il
trasferimento a Napoli Intorno ai primi mesi degli anni Quaranta si trasferì
definitivamente nella città partenopea. Probabilmente il suo trasferimento fu
favorito dalla presenza a Napoli di Tommaso Cornelio, suo amico, il quale
vantava una lunga preparazione alla scuola galileiana e indirizzò Di Capua alla
ricerca scientifica nella linea segnata da Galileo Galilei e da Cartesio,
protagonisti della rivoluzione che la filosofia sperimentale portava
all'interno di una cultura legata al passato e in cui vigeva la legge
dell'"ipse dixit". Sulla scia di questo fervore intellettuale, Di
Capua fondò intorno al 1650 insieme a Tommaso Cornelio, Francesco D'Andrea e
Giovanni Alfonso Borelli l'Accademia degli Investiganti, accademia filosofica e
scientifica di ispirazione antiaristotelica. Vita privata Di Capua si
sposò quando aveva già quarant'anni con Annamaria Orilia, molto più giovane di
lui. I due convissero a Napoli dove nacque anche la loro prima ed unica figlia
nel 1673, morta appena nata. La sua casa fu spesso luogo, ad ogni modo, di
incontri tra gli intellettuali napoletani che facevano capo all'Accademia degli
Investiganti. Due anni prima della sua morte, Di Capua ottenne il
riconoscimento dal Principe Francesco Carafa, di essere iscritto all'Arcadia di
Roma, con il nome di Alessi Cillenio. Tale riconoscimento scaturisce dalla fama
e dall'operosità scientifica che ottenne non solo a Napoli, ma in tutta Italia.
A causa del suo ruolo di spicco all'interno dell'Accademia e della
pubblicazione della sua opera più celebre, il "Parere", fu coinvolto
nel "processo agli ateisti", che fu da molti visto come un processo
indetto dal tribunale dell'Inquisizione per contrastare il diffondersi delle
nuove idee in ambito scientifico e filosofico. Il processo era ancora aperto
quando Leonardo Di Capua morì a Napoli il 17 giugno 1695, e fu poi sepolto
nella Chiesa di S. Pietro a Majella. Leonardo Di Capua e il contesto
culturale del Seicento L'ambiente culturale a Napoli Di Capua fu un
professionista scrupoloso e un illustre innovatore scientifico nello scenario
culturale napoletano della seconda metà del Seicento. Egli dimostrò notevole
interesse per le dispute galileiane e i processi contro lo scienziato pisano,
che in quegli anni erano al centro delle cronache del mondo politico, religioso
e scientifico. In quel periodo Di Capua era anche interessato al pensiero di
Giordano Bruno, Tommaso Campanella e Giambattista Della Porta, ma soprattutto
era affascinato dalle novità scientifiche a cui lo introdusse il suo amico Tommaso
Cornelio, riguardanti i libri e le pubblicazioni dei principali scienziati e
filosofi italiani ed europei come Francesco Bacone, Cartesio, William Harvey,
Thomas Hobbes, Pierre Gassendi, Daniel Samert, Robert Hooke, Thomas Willis,
Robert Boyle. Tra Tommaso Cornelio e Di Capua sorse una solida amicizia
basata su ideali comuni: entrambi non condividevano né l'autoritarismo
aristotelico né le vecchie teorie di Ippocrate e di Galeno. Dello stesso
pensiero era Giovanni Alfonso Borelli (1608-1679), medico fisico e matematico,
ammiratore, anche lui, del metodo di Galileo. Infatti lo sperimentalismo
galileiano, basilare nell'attività dell'Accademia del Cimento, influenzò e si
congiunse con l'attivismo speculativo degli Investiganti napoletani.
L'ambiente culturale napoletano era dunque vivo e attivo e le librerie di via
San Biagio dei Librai divennero centri di raduno intellettuale, in cui si
discuteva sulle novità di fisica, astronomia, filosofia e medicina. Di Capua,
ancora prima della fondazione dell'Accademia degli Investiganti, aveva già
incominciato a contribuire al risorgere della cultura napoletana, partecipando
attivamente alle riunioni e ai circoli culturali sorti a Napoli nella seconda
metà del Seicento, tra cui quello fondato da Camillo Colonna. In un’ottica del
tutto contrastante alla Controriforma della Chiesa cattolica che da circa
cinquanta anni aveva preso piede, Napoli diventa il centro della vita
letteraria e delle attività scientifico filosofiche, spostando l'attenzione da
Firenze a Napoli: si passa dal “Cimento” e dai “Lincei” agli “Investiganti”,
dalle Accademie fiorentine e romane a quella napoletana. Leonardo Di
Capua si formò quindi in questa “nuova” Napoli, sotto lo stimolo, l'esempio e
l'amicizia di Tommaso Cornelio e Alfonso Borelli, i quali, durante i loro
viaggi, erano stati illuminati dall’ “Accademie des Sciences” di Parigi e la
“Royal Society” di Londra. È in questo contesto culturale che l’opera di Di
Capua “ Il Parere” richiama l’attenzione del famosissimo Francesco Redi e della
Regina di Svezia. Leonardo Di Capua, Francesco Redi e la Regina di
Svezia Leonardo Di Capua e Francesco Redi erano entrambi scienziati,
intellettuali, accaniti osservatori della natura; tutti e due seguivano il
metodo sperimentale secondo lo spirito galileiano. Il 21 dicembre 1683 il Redi
scrisse a Di Capua una lettera dopo aver letto le sue "Lezioni sulla
natura delle mofete", in cui gli manifesta tutta la sua stima e
ammirazione. Francesco Redi fu un famosissimo medico, il primo ad effettuare
ricerche sul cancro e sulla parassitologia. L’ammirazione che provava nei
confronti del Di Capua era la dimostrazione che quest’ultimo era inserito
nell'élite culturale italiana del tempo, anche al di fuori del circuito
napoletano, fino al punto che la Regina Maria Cristina di Svezia si interessò
vivamente a lui e alle sue idee, comunicandogli il desiderio di conoscere con
maggiore chiarezza ed approfondimenti il suo parere sullo stato dell’incertezza
della medicina. Di Capua scrisse allora i “Tre Ragionamenti sull'Incertezza dei
Medicamenti”. Leonardo Di Capua e Giambattista Vico Nelle sue
pubblicazioni Di Capua non fa menzione di Vico, suo devoto alunno,
probabilmente in quanto al momento della sua morte il Vico aveva soltanto 25
anni. Di Capua quindi non aveva avuto modo di intuire le capacità intellettuali
di Vico, il suo genio raziocinante di storico e di filosofo. Certamente il Vico
fu influenzato dalle idee e dalle teorie di Di Capua, che affiorano in alcune
orazioni giovanili vichiane (il concetto della divinità presente in tutta la
natura). Il Vico, di natura solitaria, fu molto sensibile alle novità
scientifiche e filosofiche del tempo, partecipò al movimento culturale
napoletano e frequentò la casa Di Capua, che considerava il suo ideale
maestro. L'Accademia degli Investiganti Magnifying glass icon mgx2.svgAccademia
degli Investiganti. Nel 1650 Leonardo Di Capua, Tommaso Cornelio, Francesco
D'Andrea, Giovanni Alfonso Borelli fondarono a Napoli l'Accademia degli
Investiganti insieme ad altre illustri personalità del mondo scientifico
filosofico napoletano. Questa Accademia sorse in uno scenario di fervore
intellettuale nuovo, dall'esigenza, quindi, di allontanarsi dalla filosofia
aristotelica e dalle teorie di Ippocrate e di Galeno, per abbracciare le nuove
teorie rivoluzionarie.[25] Il motto degli Investiganti era una citazione di
Lucrezio: "vestigia lustrat"[26] seguito dall'immagine di un cane che
segue le tracce e fiuta le impronte, rappresentando a pieno lo sforzo degli
Investiganti nella ricerca delle cause alla base dei fenomeni naturali.
L'Accademia fu chiusa per la peste nel 1656. Venne riaperta dal marchese Andrea
Conclubet, spinta da una nuova energia vitale: superare l'arretratezza
culturale del paese per mettersi al passo con gli altri Stati europei. Gli
investiganti si riunivano ogni 20 giorni e non si limitavano alla discussione
dei vari argomenti, ma anche alla sperimentazione proprio come gli accademici
della Royal Society di Londra e del Cimento.[27] Alla riapertura
dell'Accademia, quindi, le prime lezioni furono tenute dal Di Capua su
argomenti di natura scientifica. Altre lezioni ebbero come argomento l'anima,
la fisiologia e l'embriologia. Si eseguirono anche esperimenti di fisica,
meccanica e idromeccanica in situ, cioè nei luoghi dove certi fenomeni si
verificavano (per esempio nella grotta del cane di Pozzuoli, nota per i
fenomeni mefitici)[28]. Le nuove teorie degli Investiganti determinarono
una reazione nel mondo del conservatorismo gesuitico, che sfociò nella
fondazione di un'Accademia antagonista: l'"Accademia dei
Discordanti", guidata dai famosi medici Carlo Pignatari e Luca Tozzi
(1638-1717). Quest'ultimo fu primo medico del Regno di Napoli, professore alla
Sapienza e in seguito alla morte di Marcello Malpighi, nel 1695, gli venne affidata
la carica di archiatra pontificio.[29] Da allora i contrasti tra le due
Accademie si moltiplicarono a tal punto che il viceré Pedro Antonio de Aragón
dispose di chiudere entrambe le Accademie. In seguito Di Capua riaprì una sua
scuola, dando prova della sua convinzione sulla fondatezza delle sue teorie e
sul desiderio di trasmettere queste verità agli alunni[29]. Questo periodo
rappresenta un momento di massima notorietà del pensiero culturale a capo di Di
Capua, tanto che, il viceré spagnolo Ferdinando Gioacchino Faiardo indisse un
congresso, in cui diversi medici dovettero esprimere il proprio parere per ciò
che concerne lo stato delle teorie medico scientifiche oggetto di disputa. Fu
così che, in occasione del convegno, Di Capua compose il suo "Parere
Divisato in otto ragionamenti..", che ottenne notevoli riconoscimenti
oscurando il conservatorismo cattolico dei suoi detrattori[30].
Opere Busto del Di Capua in Piazza Leonardo Di Capua, Bagnoli Irpino.
Stile ed idee Nonostante il Seicento, secolo del barocco, avesse come
personaggio di spicco a Napoli Giambattista Marino (1569-1625), ritenuto dai
suoi contemporanei un genio poetico di grandezza insuperabile, Di Capua si
dichiarò nettamente antimarinista, in quanto la sua mentalità era di natura critica,
analitica e scientifica.[31] Di Capua si formò nel pieno delle dispute
letterarie tra marinisti e tradizionalisti di stampo petrarchista, come Fulvio
Testi, Vincenzo da Filicaia e Alessandro Guidi. In quell'epoca predominava il
trecentismo linguistico, perorato da Pietro Bembo e codificato nel famoso
Vocabolario della Crusca, che Leonardo Salviati dettò e di cui nel solo
Seicento esistevano ben 3 edizioni.[32] La notorietà, l'autorità, il peso
culturale di questo nuovo dogma della lingua italiana ebbe una notevole
presa su Di Capua grazie anche alla sua predilezione per la poesia di
Petrarca.[33] Poiché i petrarchisti del Seicento erano considerati “antiquari”
dai marinisti, Di Capua stesso venne etichettato come un antiquario, in quanto
purista linguistico e seguace della tradizione dei dettami dell’Accademia della
Crusca.[33] Di fatto, tuttavia, egli sosteneva principi rivoluzionari di
scienza, seppur mediati da un linguaggio ormai "arcaico". A questo
proposito dice Mario Puppo «Tuttavia a Napoli, nella seconda metà del
Seicento, si afferma intorno a Leonardo Di Capua un movimento puristico, a
tendenza arcaicizzante che esercitò il suo influsso anche sul grande
Vico[34]» (Mario Puppo) Questa citazione sottolinea l'aspetto
conservatore del Di Capua, riferito esclusivamente al linguaggio da lui usato,
tipico del purismo letterario petrarchesco. In contrasto con questo
atteggiamento letterario antiquario, Di Capua fu senza dubbio un rivoluzionario
in ambito scientifico nello scenario culturale napoletano.[33] La sua
produzione letteraria è, dunque, caratterizzata nel complesso da una forte
contraddizione tra il "nuovo" del suo pensiero scientifico ed il
"vecchio" della lingua da lui scelta. Produzione poetica
L'opera poetica di Leonardo Di Capua è costituita da duemila sonetti, due
tragedie: "Il martirio di Santa Tecla" e "Il martirio di Santa
Caterina", alcune commedie, una favola a sfondo idilliaco e altri scritti
vari.[35] Di questa produzione non abbiamo testimonianza a causa del furto
subito dal Di Capua in viaggio verso Napoli.[36] I sonetti, tanto nella forma
quanto nel contenuto, sono di imitazione petrarchesca.[37] La stesura di questi
ultimi, inoltre, è collocabile al periodo dell'adolescenza e, pur non potendolo
affermare con certezza, è lecito intuire che la sua cosiddetta produzione
poetica non abbia potuto assurgere ad alte cime, considerata anche la sua
indole disposta più allo studio dei fenomeni e al razionalismo che all'aspetto
psicologico o ai fattori emotivi.[38] Le opere drammatiche sono, al contrario,
ispirate al modello di Gian Battista Della Porta.[38] Il
"Parere" Il Parere del Sig. Lionardo di Capua divisato in otto
ragionamenti è indubbiamente l'opera più importante di Leonardo Di Capua,
pubblicata a Napoli per la prima volta nel 1681, ristampata nel 1689 e ancora
nel 1695 con l'inclusione delle Lezioni intorno alle mofete.[39][40] In questo
testo Di Capua parte dalla pretesa di dimostrare "quanto vana, quanto
priva di ogni salda dottrina fosse la filosofia di Aristotele"[41], rivendicando
un rinnovamento culturale , un bisogno di liberarsi dagli eccessi del potere
politico ed ideologico di alcune posizioni. Proprio a causa di questo
"spirito di rivolta" rintracciabile nel testo fu intentato un
processo contro Di Capua da parte dei Gesuiti, capitanati da De Benedictis, che
si svolse a Napoli tra il 1688 e il 1697.[42] Nel Parere, tuttavia, più che
negare il pensiero di Aristotele nel campo della conoscenza, egli intendeva
contestare l'atteggiamento di coloro che ne avevano adottato in maniera
eccessivamente pedissequa il metodo. La posizione da lui presa è tutta in
favore della rivalutazione delle scienze e di un approccio nei confronti di
queste che non sia statico, bensì critico anche nei confronti della
tradizione.[43] La medicina in particolare è una scienza che non può fondarsi,
a suo parere, su nozioni incontestabili, ma deve piuttosto essere costantemente
messa in discussione, pur mantenendosi nei limiti dell'esperienza e della
"debole ragione".[44]Nell'opera, comprensiva di otto ragionamenti,
viene anche delineata la figura ideale del "buon medico", il quale
deve essere allo stesso tempo anche amante della filosofia e buon conoscitore
della geometria.[45] Su esplicita richiesta della Regina di Svezia, agli
otto ragionamenti iniziali, nel 1689, Leonardo Di Capua aggiunse un'appendice
al "Parere": "Ragionamenti intorno all'incertezza dei
medicamenti."[46] In entrambe le opere Di Capua finisce con il constatare
lo stato dubbioso tanto della medicina quanto della terapia e come proprio il
loro caratteristico elemento di imprevedibilità, anche in quanto soggette agli
elementi umani, rendano impossibile una conoscenza del tutto obiettiva di una
malattia.[47] "Lezioni sulla natura delle mofete" Quest'opera,
pubblicata a Napoli nel 1683, riprende i concetti già esposti nel
"Parere" sull'aria, concepita come anima dell'universo.[48]Anche
nella descrizione e nello studio delle mofete, fenomeni naturali caratterizzati
dall'uscita di anidride carbonica, vapore acqueo e altri gas da terreni di
origine vulcanica, Leonardo Di Capua rivela le sue attitudini alla razionalità,
alla dimostrazione obiettiva di ogni evento fisico, sostenendo come la
conoscenza di un fenomeno debba essere fondata sul metodo
sperimentale.[49] "Vita di Andrea Cantelmo" Nel 1693 viene
pubblicata a Napoli l'ultima opera di Leonardo di Capua, una biografia del
condottiero Andrea Cantelmo, il quale militò nell'esercito di Ferdinando II
D'Austria e a cui veniva attribuita l'invenzione delle mine volanti e di un
tipo di pistola a ripetizione con 25 colpi. La biografia diventa il pretesto
per l'autore per far affiorare la sua concezione sull'individuo, sull'uomo, sui
giochi della fortuna, sulla dialettica tra gli avvenimenti storici riguardanti
l'uomo come personalità unica ed individuale e l'intreccio dello svolgimento
degli eventi.[50] Note Niccolò
Amenta, Vita di Lionardo Di Capua, Venezia 1710, p.3. Niccolò Amenta, Vita di Lionardo Di Capua, Venezia
1710, p.4. Niccolò Amenta, Vita di
Lionardo Di Capua, Venezia 1710, 4-5. Niccolò
Amenta, Vita di Lionardo Di Capua, Venezia 1710, p.5-6. Niccolò Amenta, Vita di Lionardo Di Capua,
Venezia 1710, 6-7. Silvano Scalabrella, Dizionario biografico degli
italiani, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1991, volume 39,
p.712. Generoso De Rogatis, Cenni
biografici degli uomini illustri di Bagnoli Irpina..., 1914, op.cit., p.62 Niccolò Amenta, Vita di Lionardo Di Capua,
Venezia 1710, p.12. Silvano Scalabrella,
Dizionario biografico degli italiani,Istituto della Enciclopedia italiana, Roma
1991, volume 39, p.714. Silvano Scalabrella, Dizionario biografico degli
italiani, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1991, volume 39,
p.714. Reppucci, Breve saggio
monografico..., op. cit., p.57-58. Reppucci, Breve saggio monografico...,
op. cit., p.23. Reppucci, Breve saggio
monografico..., op. cit., p.24.
Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., p.25. Reppucci,
Breve saggio monografico..., op. cit., p.26. Reppucci, Breve saggio
monografico..., op. cit., p.27.
Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., 28-29. Reppucci, Breve saggio monografico..., op.
cit., 33-35. Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., p.40. Reppucci, Breve saggio monografico..., op.
cit., p.41. Reppucci, Breve saggio
monografico..., op. cit., 41-42.
Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., p.37. Reppucci, Breve saggio monografico..., op.
cit., p.38. Reppucci, Breve saggio
monografico..., op. cit., p.39.
Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., p.45. Carmine Jannaco Martino Capucci, Storia
letteraria d'Italia, Volume 8: Il Seicento, F. Vallardi, Milano, Piccin nuova
libraria, Padova 1986, pag. 745.
Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., 46-48. Reppucci, Breve saggio monografico..., op.
cit., p.48. Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., p.49. Reppucci, Breve saggio monografico..., op.
cit., p.50. Reppucci, Breve saggio
monografico..., op. cit., p.19.
Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., p.20. Reppucci,
Breve saggio monografico..., op. cit., p.21.
Mario Puppo, Discussioni linguistiche del Seicento, UTET, Torino
1957. Reppucci, Breve saggio
monografico..., op. cit., p.61 Niccolò
Amenta, Vita di Lionardo Di Capua, Venezia 1710, 32-40. Reppucci, Breve saggio monografico..., op.
cit., p.62 Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., p.63 Niccolò Amenta, Vita di Lionardo Di Capua,
Venezia 1710, p.32. Silvano Scalabrella,
Dizionario biografico degli italiani, Istituto della Enciclopedia italiana,
Roma 1991, volume 39, 712-714. Leonardo
Di Capua, Parere del signor Lionardo di Capoa divisato in otto ragionamenti,
ne' quali partitamente narrandosi l'origine, e'l progresso della medicina,
chiaramente l'incertezza della medesima si fa manifesta, Antonio Bulifon,
Napoli 1681, p.94 Niccolò Amenta, Vita
di Lionardo Di Capua, Venezia 1710, p.46.
Niccolò Amenta, Vita di Lionardo Di Capua, Venezia 1710, 39-48. Reppucci, Breve saggio monografico..., op.
cit., 62-64 Reppucci, Breve saggio
monografico..., op. cit., 118-121
Silvano Scalabrella, Dizionario biografico degli italiani, Istituto
della Enciclopedia italiana, Roma 1991, volume 39, p.713. Reppucci, Breve saggio monografico..., op.
cit., 123-124 Reppucci, Breve saggio
monografico..., op. cit., 87-90
Reppucci, Breve saggio monografico..., op. cit., 93-95 Reppucci, Breve saggio monografico..., op.
cit., 133-135 Niccolò Amenta, Vita di
Lionardo di Capoa detto fra gli Arcadi Alcesto Cilleneo , Venezia 1710 Nicola
Badaloni, Introduzione a Giambattista Vico , Laterza, Roma; Bari 1995, 124-147,
157-164, 246 ss., 301 s., 314 s., 352-359 Raffaele Cotugno, La sorte di
Giambattista Vico e le polemiche scientifiche e letter. dalla fine del XVII
alla metà del XVIII secolo, Tip. del R. Ospizio V. E., Giovinazzo 1910, 37,
52-57, 73 Salvo Mastellone, Pensiero politico e vita culturale a Napoli nella
seconda metà del Seicento, D'Anna editore, Messina-Firenze 1965, 90, 157- 176
Walter Maturi, Fausto Nicolini, La giovinezza di Gian Battista Vico
(1666-1700), saggio biografico, Napoli 1932, 79-90, 154-164 Camillo Minieri
Riccio, Cenno storico delle Accademie fiorite nella città di Napoli, Bologna
1879, volume IV, p.531 Luciano Osbat, L'Inquisizione a Napoli. Il processo agli
ateisti (1688-1697), Edizioni di storia e letteratura, Roma 1974, 13-19, 58 s.,
93 s., 163-166 Amedeo Quondam, "Minima dandreiana: prima ricognizione sul
testo delle "risposte" di F. d'Andrea a Benedetto Aletino" in
Rivista storica italiana, Napoli 1970, 887-916 Gabriele Reppucci, Breve saggio
monografico su Leonardo Di Capua, scienziato-medico-filosofo bagnolese
(1617-1695), nel terzo centenario della sua morte, Circolo Sociale
"Leonardo di Capua", Bagnoli Irpino 1995, 158 Silvano Scalabrella, «Leonardo Di Capua»
in Dizionario Biografico degli italiani, Istituto della enciclopedia italiana,
Roma 1991, volume 39, 712-715 Gian Battista Vico, Autobiografia, Edizioni
paoline, Milano 1960, B. Croce Bari, 21-111Questo testo proviene in parte dalla
relativa voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo
Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze (home page),
pubblicata sotto licenza Creative Commons CC-BY-3.0 Altri progetti Collabora a
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Carabellese: Pantaleo
Carabellese (Molfetta) filosofo. Laureato
in storia a Napoli (1901) e poi a Roma in filosofia (1906), insegna filosofia a
Palermo (1922-1929) e a Roma (1929-1948), sposandosi nel 1936. A partire da una
critica ferrata alla dottrina cartesiana (Le obbiezioni al cartesianesimo, 3
volumi, 1946; Il circolo vizioso in Cartesio, 1938), portò a compimento studi
critici su diversi autori, tra i quali spiccano Immanuel Kant e Antonio Rosmini
(tesi di laurea). Elaborò la dottrina dell'"ontologismo critico", in
cui l'essere non è mero oggetto della coscienza ma è a essa intrinseco come
fondamento irriducibile, cioè "essere-di-coscienza", che in ultima
istanza altri non è che Dio (che, come già asseriva Vico, "è" e non
"esiste"). Difese
l'oggettività essenziale dell'Essere e la filosofia, non come sapere
specialistico trincerato, ma come operatrice "per l'umanità tutta"
così che "la coscienza filosofica esplica quella teoria che nel
diversificarsi concreto della spiritualità risulta necessariamente
implicita." E allora "lo sforzo della filosofia non potrà mai,
quindi, essere compiuto atto"--seppure "la teoria...si...attu[i]
sempre in una pratica, che è l'altro termine del concreto" (Il Problema
della Filosofia da Kant a Fichte7). Insomma Carabellese difese la filosofia
come ascesa teoretico-razionale a realtà teologiche, o come sentiero che volge
al fondamento comune della vita politica e che alla politica rimane
irriducibile. Opere Critica del
concreto, (1921) Il problema della filosofia da Kant a Fichte (1781-1801),
(1929) Il problema teologico come filosofia, (1931) L'idealismo italiano,
(1938) Il circolo vizioso in Cartesio, (1938) Le obbiezioni al cartesianesimo,
(tre volumi: Il metodo, L'idea, La dualità, 1946) L'idea politica d'Italia,
(1946) Da Cartesio a Rosmini. Fondazione storica dell'ontologismo critico,
(1946) L'essere e la manifestazione parte II, [corsi del 1947-1948], (1998)
L'essere e la manifestazione: Dialettica della Forme, [corsi del 1947-1948],
(2005) L'essere, (1948) Pagliarani,
Romeo, Pantaleo Carabellese: filosofo della coscienza concreta, Ravenna,
Edizioni del Girasole, 1979. Semerari, Giuseppe, La sabbia e la roccia:
l'ontologia critica di Pantaleo Carabellese, Bari, Dedalo, 1982. Valori, Furia,
Il problema dell'io in Pantaleo Carabellese, Napoli, ESI, 1996. Morabito,
Bruno, Metafisica e Teologia in Pantaleo Carabellese, Reggio Calabria, Falzea,
2001. Bini, Andrea, Kant e Carabellese, Roma, Luiss University Press, 2006. Ontologia Altri progetti Collabora a
Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Pantaleo
Carabellese Fulvio Papi, «CARABELLESE,
Pantaleo» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 19, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1976. «Carabellese, Pantaleo» in Dizionario di
filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Pantaleo
Carabellese Lorenzo Marras e Giuseppe Tortora, nel sito
"Filosofico.net". Autolimitazione della metafisica critica? Momenti
della recezione italiana di Fichte (1841-1948) con particolare riferimento
all'ontologismo critico di P. Carabellese di Federico Ferraguto, Giornale di
filosofia. Filosofia Filosofo Professore1877 1948 6 luglio 19 settembre
Molfetta Genova
Caracciolo: Alberto Caracciolo
(San Pietro di Morubio) filosofo. Dopo gli studi liceali nella città di Verona,
si trasferì a Pavia, dove fu alunno del Collegio Ghislieri e studiò Filosofia
all'Università degli Studi di Pavia. In collegio fece la conoscenza di Teresio
Olivelli, con il quale collaborò alla stesura dei Quaderni del ribelle.
Olivelli divenne uno dei più noti martiri della Resistenza e a lui Caracciolo
dedicò, su incarico del Rettore del Ghislieri stesso, una monografia. Nel
dopoguerra inizia a insegnare nei licei (a Pavia, Lodi e Brescia), ma nel 1951
ottiene la cattedra di Estetica e viene chiamato all'Università degli Studi di
Genova, dove inizia la sua carriera accademica, con studi che si allargheranno
presto alla filosofia teoretica e alla filosofia della religione. Pensiero La riflessione di Caracciolo si
sviluppa inizialmente all'interno della tradizione crociana, ma poi acquisisce
tratti più originali a contatto con la filosofia tedesca contemporanea:
specialmente Karl Jaspers, Karl Löwith e Martin Heidegger, di cui ha tradotto
in italianoassieme alla moglie Maria Perotti CaraccioloIn cammino verso il
Linguaggio del 1959. Di particolare interesse e importanza sono i suoi studi
sul nichilismoa partire dagli scritti su Giacomo Leopardie sulla dimensione
religiosa dell'esistenza. Nella sua riflessione egli ha pure mostrato una forte
attenzione per il rapporto tra pensiero e poesia, tra pensiero e musica. Tra i
suoi allievi vi sono stati Carlo Angelino, Giovanni Moretto, Domenico
Venturelli e Gerardo Cunico. Opere
Teresio Olivelli. Biografia di un martire, Brescia 1947 (nuova edizione:1975).
L'estetica di Benedetto Croce nel suo svolgimento e nei suoi limiti, Torino
1948 (edizioni successive: L'estetica e la religione di Benedetto Croce, Arona
1958, Genova, 1988). Scritti di estetica, Brescia 1949. Etica e trascendenza,
Brescia 1950. Arte e pensiero nelle loro istanze metafisiche. I problemi della
"Critica del giudizio", Milano 1953 (nuova edizione: Studi kantiani,
Napoli 1995). La persona e il tempo, Arona 1955. Saggi filosofici, Genova 1955.
Studi jaspersiani, Milano 1958. La religione come struttura e come modo
autonomo della coscienza, Milano 1965 (nuova edizione: Genova 2000). Arte e
linguaggio, Milano 1970. Religione ed eticità, Napoli 1971 (nuova edizione:
Genova 1999). Karl Löwith, Napoli 1974 (nuova edizione: Brescia 1997). Pensiero
contemporaneo e nichilismo, Napoli 1976. Nichilismo ed etica, Genova 1983.
Studi heideggeriani, Genova 1989. Nulla religioso e imperativo dell'eterno,
Genova 1990. Opere postume Politica e autobiografia, Brescia 1993. Leopardi e
il nichilismo, Milano 1994. La virtù e il corso del mondo. Lezioni anno
accademico 1975-76, Alessandria 2002. Traduzioni E. Troeltsch, L'assolutezza
del Cristianesimo e la storia delle religioni, Napoli 1968. A. Lang, Introduzione
alla filosofia della religione, in collaborazione con Maria Perotti Caracciolo,
Brescia 1959-1969. M. Heidegger, In cammino verso il Linguaggio, in
collaborazione con Maria Perotti Caracciolo, Milano 1973-1979-1990. W.F. Otto,
Theophania. Lo spirito della religione greca antica, in collaborazione con
Maria Perotti Caracciolo, Genova 1983.
sul pensiero filosofico di Caracciolo Giovanni Moretto, Filosofia umana.
Itinerario di Alberto Caracciolo, Morcelliana, Brescia 1992. Paola Ruminelli,
Esistenza e Trascendenza. Una lettura del pensiero di Alberto Caracciolo,
Abelardo, Roma 1995. Alessandro Di Chiara, Lo spazio della trascendenza. La
prospettiva estetica ed etico-religiosa di Alberto Caracciolo, il melangolo,
Genova 2001. Domenico Venturelli, Alberto Caracciolo. Sentieri del suo
filosofare, il nuovo melangolo, Genova .
Nichilismo Alberto Caracciolo
sito del comune natale di San Pietro di Morubio. Alberto Caracciolo e gli
scrittori italiani del primo Ottocento, di Luciano Parisi, Project Muse, sito
"muse.jhu.edu. Filosofia Letteratura
Letteratura Filosofo del XX secoloTraduttori italianiAccademici italiani
Professore1918 1990 22 gennaio 4 ottobre San Pietro di Morubio GenovaProfessori
dell'Università degli Studi di GenovaStudenti dell'Università degli Studi di
PaviaTraduttori all'italianoTraduttori dal tedesco all'italiano
Caramella: Santino Caramella
(Genova), filosofo. Genovese di nascita, ancora al liceo (1919), cominciò a
collaborare con Piero Gobetti, il quale gli affidò la trattazione della filosofia
su Energie Nove. Dal 1921, dopo un primo contatto con Piero Gobetti e La
Rivoluzione liberale, su segnalazione di questi, entrò in collaborazione con il
pedagogista siciliano Giuseppe Lombardo Radice, da cui apprese le dottrine del
neoidealismo di Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Dopo la laurea in Filosofia
a Genova nel 1923, insegnò negli istituti superiori e conseguì la libera
docenza, ma per le sue idee antifasciste fu arrestato nel 1928 e rinchiuso
prima nelle carceri di Marassi a Genova, e poi fu trasferito a San Vittore a
Milano; fu scarcerato il 6 luglio dello stesso anno, ma nel 1929 venne sospeso
dall'insegnamento e dalla libera docenza. Ottenne, per intercessione di Croce,
l'incarico di filosofia e storia della filosofia e di pedagogia presso
l'Messina e, nel 1933, vinse la cattedra di pedagogia nell'Catania; negli anni
1935-1950 insegnò filosofia teoretica sempre a Catania. Nel 1939 secondo
Ruggero Zangrandi prese parte ai convegni organizzati dalla Scuola di mistica
fascista Dal 1950 fino alla morte (1972)
si trasferì all'Palermo, ereditando la cattedra che era stata di Giovanni
Gentile. Il suo allievo principale, che ne cura il lascito, è Francesco
Armetta, docente alla Pontifica Facoltà Teologica di Sicilia. Pensiero La sua vasta cultura, gli permise di
vedere la continuità del pensiero classico e cristiano e, nell'ambito del
pensiero moderno, l'unità delle opposte dialettiche nella legge vivente dello
spirito e nel dinamismo della natura e della storia. Fu apprezzato storico
della filosofia, della pedagogia e delle scienze. La sua filosofia si può definire un
neoidealismo crociano e gentiliano, ma reinterpretatto alla luce dello
spiritualismo cristiano. Il suo pensiero "supera" lo storicismo e la
dottrina crociana degli opposti e dei distinti, e si esprime
nell'interpretazione della pratica come eticità storica.. La religione e la teosofia rappresentano la
possibilità di un pensiero spirituale più attento da un lato alla concretezza
dell'uomo e dall'altro all'ineffabilità di Dio. La religione, anziché
risolversi nella filosofia, colloca il proprio progresso in intima unità con il
progresso della filosofia stessa: da un lato è esclusa la riduzione della
religione ad atteggiamento pratico; dall'altro, le è conferita una distinta
funzione teoretica. Opere principali
Problemi e sistemi della filosofia, Messina, 1930. Religione, teosofia e
filosofia, (1931). Breve storia della pedagogia, Messina, 1932. La logica
moderna e le scienze fisico-matematiche, Roma, 1936. La filosofia di Plotino e
il neoplatonismo, Catania, 1940. Ideologia, 1942. Metafisica, filosofia
dell'esperienza, 1945. Metalogica, filosofia dell'esperienza, Catania, 1946.
Autocritica, in: Filosofi italiani contemporanei, M.F. Sciacca, Milano, 1946, 225-233. L'Enciclopedia di Hegel, Padova,
1947. La filosofia dello Stato nel Risorgimento, Napoli, 1947. Introduzione a
Kant, Palermo, 1956. La pedagogia tedesca in Italia, Roma, 1964. Conoscenza e
metafisica, Palermo, 1966. La mia prospettiva etica, Palermo, 1966. Santino
Caramella-Benedetto Croce. Carteggio (1919-1947), Francesco Armetta, 40766667 Note
Ruggero Zangrandi387.
l'Enciclopedia, de La Biblioteca di Repubblica, UTET-DeAgostini, 2003,
Torino Ruggero Zangrandi, Il lungo
viaggio attraverso il fascismo, Feltrinelli, Milano, 1962 M.F. Sciacca, Profilo
di Santino Caramella, in «Annali della Facoltà di Magistero della Palermo»,
1971-72, 5-15. A. Guzzo, Santino
Caramella, in «Filosofia», XXIII (1972),
165-167. M. F. Sciacca, Il pensiero di Santino Caramella, in «Atti
dell'Accademia di Scienze Lettere e Arti di Palermo», XXXII (1971 -73), n.
2, 11-24. P. Piovani, La dialettica del
vero e del certo nella "metafisica vichiana" di Santino Caramella, in
Miscellanea di scritti filosofici in memoria di Santino Caramella, Palermo 1974, 251 -262. M. A. Raschini, Commemorazione del
prof. Santino Caramella, in «Giornale di metafisica», XXIX (1974), 465-472. V. Mathieu, Filosofia contemporanea,
Firenze 1978, 8-10. P. Prini, La
ontologia storico-dialettica di Santino Caramella, in «Theorein», VIII
(1979), I-II. L. Pareyson, Inizi e
caratteri del pensiero di Santino Caramella, in «Giornale di metafisica», n.
s., I (1979), 305-330. M. Corselli, La
vita dello spirito nella filosofia di Santino Caramella, in «Labor», XXI
(1980), 157-163. G.M. Sciacca, Santino
Caramella, filosofo, pedagogista, educatore, in «Pegaso. Annali della Facoltà
di Magistero della Palermo», 1983-84,
9-22. F. Armetta, Santino Caramella. La verità in dialogo, SEI, Torino,
1995. F. Armetta, Il carteggio tra Caramella e Lombardo Radice (1919-1935).
Idealismo e riforma della scuola, Sciascia Editore, Palermo, 2001. Altri
progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a
Santino Caramella Silvano Scalabrella,
Santino Caramella, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Filosofia Filosofo
del XX secoloStorici della filosofia italiani 1902 1972 22 giugno 26 gennaio
Genova Palermo
Caramello: Pietro Caramello
(Torino), filosofo. Biografia Già
allievo del prestigioso liceo classico Gioberti di Torino, entra in seminario e
nel 1926 riceve l'ordinazione presbiteriale con una speciale dispensa papale
dovuta alla giovane età a cui aveva completato gli studi. Laureato in Teologia presso la Facoltà
teologica torinese nel 1930, nel 1933 consegue anche il titolo in Filosofia
presso l'Torino. Dal 1931 è docente di
Filosofia sistematica presso il Seminario arcivescovile con sede a Chieri,
mentre tra il 1968 e il 1993 insegna Filosofia teoretica alla Facoltà
teologica. Riceve il titolo onorifico di Monsignore. Studioso di san Tommaso d'Aquino, di cui cura
diverse opere tra cui un'edizione della Summa Theologiae, è stato anche Custode
della Sindone fino alla revisione del Concordato del 1984. G. Tuninetti, In Memoriam. Clero della
diocesi di Torino defunto dal 1951 al 2007: vescovi, preti e diaconi,
Cantalupa, Effatà Editrice, 2008. Testo parzialmente disponibile in Google
Libri. Filosofia Categorie: Presbiteri italianiFilosofi italiani Professore1908
1997 6 settembre 13 maggio Torino Torino
Carando: Ennio Carando
(Pettinengo), filosofo. Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria. Laureatosi
in Filosofia nel 1930 all'Torino, si avvicinò all'antifascismo attraverso
l'influenza di Erminio Juvalta (con cui discusse la tesi di laurea) e di Piero
Martinetti. Collaborò alla Rivista di filosofia di Martinetti, dove pubblicò un
saggio su Africano Spir e insegnò nei licei ed istituti superiori di Cuneo,
Modena e Savona. Divenuto militante comunista, al momento dell'armistizio insegnava
a La Spezia. Sebbene fosse quasi completamente cieco dopo l'armistizio si diede
ad organizzare formazioni partigiane in Liguria e in Piemonte (fu anche
presidente del secondo CLN spezzino). Era ispettore del Raggruppamento
Divisioni Garibaldi nel Cuneese, quando fu catturato in seguito ad una
delazione. Sottoposto a torture atroci,
non tradì i compagni di lotta e fu trucidato con il fratello Ettore, capitano
di artiglieria a cavallo in spe e capo di stato maggiore della I Divisione
Garibaldi. Dopo la Liberazione, alla memoria di Ennio Carando fu concessa la
Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.
Ludovico Geymonat, che gli fu amico, lo ricorda come "un filosofo
in senso socratico", cioè essenzialmente un educatore. Onorificenze Medaglia d'oro al valor
militarenastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'oro al valor militare
«Incaricato di importanti funzioni nelle formazioni partigiane veniva catturato
dal nemico a seguito di vile delazione e sottoposto alle più crudeli sevizie.
Minacciato di morte se non avesse rivelato le notizie che interessavano al
nemico, manteneva imperterrito il silenzio fin tanto che non veniva
barbaramente trucidato. Fulgido esempio di eroismo e di attaccamento agli
ideali di libertà.» — Villa Franca Piemonte (Torino), 5 febbraio 1945.
Note Vigorelli299-300 nota. Vigorelli299 nota. ANPI: Biografia Carando, su anpi.it. Geymonat ; Vigorelli299-300 nota. Dettaglio decorato, quirinale.it. 24 febbraio
. Amedeo Vigorelli, Piero Martinetti. La
metafisica civile di un filosofo dimenticato, Milano, Bruno Mondadori,
1998, 88-424-9455-0. Ludovico Geymonat,
Contro il moderatismo, Milano, Feltrinelli, 197874-80. Altri progetti Collabora
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Biografie Biografie Seconda guerra
mondiale Seconda guerra mondiale
Categorie: Partigiani italianiFilosofi italiani Professore1904 1945 9 ottobre 5
febbraio Pettinengo Villafranca PiemonteMedaglie d'oro al valor militare
Caravita: Nicola Caravita, o
Nicolò Caravita (Napoli), filosofo. Appartenente a una famiglia nobile di
origine spagnola resa illustre in passato da insigni giureconsulti, Nicola
Caravita fu fiscale della reale Giurisdizione e professore di diritto feudale
all'Napoli. Compose il trattato Nullum ius romani pontificis in Regnum
neapolitanum (1707), contro le pretese feudali della Santa Sede sul regno di
Napoli; l'opera, che fu poi tradotta nel 1790 in lingua italiana (Niun diritto
compete al sommo pontefice sul Regno di Napoli) da Eleonora Fonseca Pimentel,
fu messa all'Indice nel 1714. Nicola Caravita ebbe inoltre l'incarico di
raccogliere tutte le leggi del Regno in un Codice Filippino; il Codice
Filippino, era tuttavia rimasto incompiuto per l'occupazione austriaca di
Napoli nel 1707. In filosofia fu seguace
dell'antiaristotelismo di Leonardo Di Capua; la sua abitazione divenne il
centro della diffusione della filosofia di Cartesio a Napoli. Titolo di merito
di Nicola Caravita, come peraltro del figlio Domenico, è l'essere stato amico e
protettore di Giambattista Vico, a favore del quale si adoperò per fargli
ottenere la cattedra di retorica all'Napoli e perché fosse accolto
nell'Accademia Palatina. Opere Nicolò
Caravita, Niun diritto compete al sommo pontefice sul Regno di Napoli :
dissertazione istorica-legale del consigliere Nicolò Caravita ; tradotta dal
latino, ed illustrata con varie note. Aletopoli (Napoli) : 1790 (on-line)
Nicolò Caravita, Ragioni a pro della fedelissima città e Regno di Napoli
contr'al procedimento straordinario nelle cause del Sant'Officio, divisate in
tre capi. Nel I si ragiona del grave pregiudicio della real giuridizione, Nel
II si tratta dell'ordinaria maniera di giudicio, che tener si dee nel regno , e
nel III si dimostra il pregiudicio, che fa alla real giuridizione, ed al regno
un editto in cui si stabilisce il tribunal della 'nquisizione. Napoli , 109
(on-line[collegamento interrotto]) Note
Il "fiscale" o "procuratore fiscale" era il pubblico
ufficiale che rappresentava l'interesse della legge nei giudizi; tale funzione
nell'ordinamento italiano è affidata attualmente al pubblico ministero Il nome deriva da Filippo IV di Spagna al
quale il giurista Carlo Tapia aveva dedicato nel 1643 la compilazione privata
di leggi del regno di Napoli, ordinate secondo il codice di Giustiniano Fausto Nicolini, «CARAVITA, Nicola», in
Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1930.
Salvatore Fodale, «CARAVITA, Nicolò», in Dizionario Biografico degli Italiani,
Volume 19, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1976. Nicola Caravita, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Filosofia Categorie:
Giuristi italiani del XVII secoloGiuristi italiani del XVIII secoloFilosofi
italiani del XVII secoloFilosofi italiani Professore1647 1717 24 maggio 22
novembre Napoli NapoliSalottieri
Carbonara: Cleto
Carbonara (Potenza), filosofo. Conseguito il diploma liceale nel 1922, si
trasferì con la famiglia a Napoli nel 1925, frequentando la facoltà di
filosofia presso l'università partenopea. Ottenuta la laurea, nel 1929 iniziò a
collaborare per la rivista Logos di Antonio Aliotta (di cui fu allievo) ed
esercitò la docenza: insegnante nel Liceo di Campobasso e nel Giambattista Vico
di Nocera Inferiore, professore di filosofia teoretica all'Cagliari e in quella
di Catania, professore di storia della filosofia nell'ateneo di Napoli e
all'Accademia della "Nunziatella". Il pensiero Con la
pubblicazione nel 1938 dell'opera Disegno d'una filosofia critica
dell'esperienza pura Carbonara rifacendosi alla filosofia kantiana e
riprendendo il discorso idealistico ne metteva in rilievo il tentativo fallito
di Giovanni Gentile di dare concretezza al pensiero filosofico. Nell'attualismo
gentiliano il ritorno ai fatti si risolveva infatti nell'atto sempre uguale e
sempre diverso del pensare, unica realtà e verità del pensiero e della storia:
«vera storia non è quella che si dispiega nel tempo, ma quella che si raccoglie
nell'eterno atto del pensare».. Il problema secondo Carbonara andava
esaminato riportandolo alla sua origine, cioè al problema del rapporto tra
esperienza e pensiero, tra realtà e pensiero così come era stato affrontato
dalla filosofia kantiana e che Gentile crede di risolvere stabilendo un rapporto
dialettico tra il pensiero e il suo negativo all'interno del pensiero stesso.
La soluzione invece era in nuce secondo Carbonara nella sintesi a priori
kantiana dove convivono forma e contenuto per cui la coscienza è per un verso
forma, contenitore di un contenuto storico e per un altro coincide col suo
contenuto in quanto il contenuto non avrebbe realtà al di fuori della forma
della coscienza. La successiva questione si poneva considerando oltre il
rapporto del pensiero con la materia quella collegata all'origine del pensiero
stesso. Ancora una volta Kant aveva intravisto la soluzione nella teoria
dell'io penso che però va ora intesa non come la struttura logico-metafisica
della realtà storica, ma come la sua struttura psicologico-trascendentale o "esistenziale",
secondo una concezione della "filosofia dell'esperienza pura" nel
senso che l'esperienza «viene a coincidere col divenire della
vita spirituale e resta indifferente (deve, anzi, restare indifferente) al
problema, ch'è propriamente di natura ontologica, circa la sua dipendenza o
indipendenza da una realtà diversa dallo spirito» Il rapporto tra
pensiero e materia portò Carbonara ad indagare quello tra filosofia e scienza
con l'opera Scienza e filosofia ai principi dell' età moderna (Galilei-Bacone-Cartesio)
1935 in cui sostiene che mentre da un punto di vista filosofico non si può
andare oltre l'ambito dell'autocoscienza, del cogito cartesiano, al contrario
la scienza si basa sulla necessità di fondarsi sul mondo esterno. Forse la
soluzione di questa antinomia, sostiene Carbonara, va ricercata
nell'«insoddisfazione dello stesso idealismo verso se stesso [...] non potendo
rinunciare a se stesso ma neppure al suo opposto...nec tecum nec sine te
Cleto Carbonara si interessò anche del pensiero religioso rinascimentale a
Firenze notando come in quel periodo si fosse realizzata una fusione tra il
cristianesimo e la filosofia platonica e neoplatonica così come ad esempio in
Marsilio Ficino prete cattolico che visse la sua fede come teologia razionale dando
una base filosofica, trascurando la stessa rivelazione, alla sua spiritualità
religiosa: «Nella mente di Ficino, il platonismo si congiunge al
cristianesimo non soltanto sul fondamento di una religiosità profonda da cui il
primo appare permeato, ma anche per una tradizione storica ininterrotta, per
cui l'antichissima saggezza dell'Oriente, ripensata da Platone e dai
neoplatonici, si ritrova trasfigurata ma tuttavia persistente nei Padri della
Chiesa e nei dottori della Scolastica. Come apprendiamo dall'Epistolario
ficiniano, la sapienza fu intesa per la prima volta in Oriente come un dono
divino e come mezzo per cui l'uomo può elevarsi fino a Dio; tale principio fu
poi appreso da Pitagora, Eraclito, Platone, Aristotele, i neoplatonici;
riemerse nella speculazione filosofica ispirata dalla Rivelazione cristiana e
si ritrovò quindi in Agostino, Scoto, negli Arabi Avicebron, Alfarabi,
Avicenna. Lo stesso Cicerone figura nella catena dei platonici latini.
Riallacciandosi a quella tradizione e meditando sui testi platonici, il Ficino
concepí il disegno, portato a termine nel periodo della sua maturità
spirituale, dal 1469 al 1474, di ricostruire su fondamento platonico la
teologia cristiana [...] il platonismo vi è considerato come il nucleo
essenziale di una teologia razionale i cui princípi coincidono con quelli della
rivelazione cristiana: tale coincidenza è il principale argomento con cui si
riesce a dimostrare l'eccellenza del cristianesimo rispetto alle altre
religioni positive. Del resto il Ficino è disposto ad ammettere che qualsiasi
culto, purché esercitato con animo puro, reca onore e gradimento a Dio.»
Opere L'individuo e la storia (1934) Scienza e filosofia ai principi dell' età
moderna (Galilei-Bacone-Cartesio) 1935 Disegno critico di una filosofia
dell'esperienza pura (1938) Il secolo XV (Milano, 1943) Umanesimo e
Rinascimento (Catania, 1944) Del Bello e dell'Arte (1944) Introduzione alla
Filosofia (Napoli, 1946) Materialismo storico e idealismo critico (1947)
Sviluppo e problemi dell'estetica crociana (Napoli, 1947) I presocratici (1950)
La filosofia dell'esperienza e la fondazione dell'umanesimo (Napoli, 1954) La
filosofia di Plotino (1954) Persona e libertà (1959) Ricerche di un'estetica
del contenuto (1960) L'esperienza e la prassi (1964) Discorso empirico delle
arti (1973) Note In Aldo Masullo, Il
«materialismo» critico di Cleto Carbonara, in
La filosofia dell'esperienza di Cleto Carbonara, Giuseppe Martano e Aldo
Masullo, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1965 C. Carbonara, Disegno d'una filosofia critica
dell'esperienza pura, 1938 in Aldo Masullo232
Gustavo Bontadini, Studi di filosofia moderna, Vita e Pensiero,
p.406 C. Carbonara, Il platonismo nel
Rinascimento, in Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, VI, pagg. 534-535 Aniello Montano, Il prisma a specchio della
realtà: percorsi di filosofia italiana tra Ottocento e Novecento, Rubettino, Filosofia
Filosofo Professore1904 1998 27 luglio Potenza NapoliProfessori dell'Università
degli Studi di Napoli Federico II
Carbone: Mauro Carbone
(Mantova), filosofo. Dal 2009 è Professore
di Filosofia presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Jean Moulin Lyon 3
di Lione; dal è membro senior
dell'Institut Universitaire de France. Si occupa principalmente di estetica
contemporanea. Mauro Carbone si laurea nel 1980 in Storia
della Filosofia Contemporanea presso l'Università degli Studi di Bologna con la
tesi dal titolo "Il problema del soggetto nella storia: Merleau-Ponty e il
marxismo". Nel 1985 consegue il Diploma di Perfezionamento in Metodologia
della Ricerca filosofica e Filosofia delle scienze presso l'Università degli
Studi di Padova. Nel 1990 ottiene il dottorato di ricerca presso l'Institut
Supérieur de Philosophie dell'Université Catholique de Louvain, in Belgio, con
la tesi dal titolo "À partir de Cézanne et de Proust. La philosophie de
l'expression de Maurice Merleau-Ponty", premiata dall'Académie Royale de
Belgique. Dal 1994 è stato ricercatore presso l'Università degli Studi di
Milano, dove nel 2001 è diventato professore associato di Estetica, inaugurando
tre anni più tardi la cattedra di Estetica Contemporanea, che ha tenuto sino al
2009. Carbone è l'ideatore della rivista "Chiasmi International.
Pubblicazione trilingue intorno al pensiero di Merleau-Ponty" di cui è
condirettore sin dalla fondazione avvenuta nel 1999. È stato professore
invitato in Francia, in Messico, alla New School for Social Research di New
York (2007), all'Università Beida di Pechino (2009) e a quella cinese di Hong
Kong (). Nella primavera del 2005 è stato fellow dell'Italian Academy for
Advanced Studies presso la Columbia University di New York e nella primavera
del Distinguished Visiting International
Scholar presso l'Università del Rhode Island. Nel 2005 ha scritto, in
collaborazione con Paolo Bignamini, Condannàti alla libertà, adattamento
teatrale del romanzo di Sartre L'età della ragione, che è stato messo in scena
in quello stesso anno. Tra il 2008 e il
è stato tra i fondatori e direttori dell'European Network in
Contemporary French Philosophy (ENCFP) insieme con Miguel de Beistegui,
University of Warwick (UK), A. Davidson, Università degli Studi di Pisae F.
Worms, École Normale Supérieure , il quale, con il sostegno del «Leverhulme
Trust», ha organizzato un Programma internazionale di ricerca sulla filosofia Professorein
Francia concentrandolo su alcune delle sue figure più importanti e sulle
parole-chiave «l'essere, la vita, il concetto». Dal 2002 dirige la collana
filosofica italo-francese «L'occhio e lo spirito. Estetica, fenomenologia,
testi plurilingui / L'œil et l'esprit. Esthétique, phénoménologie, textes
plurilingues» per Mimesis Edizioni. Aree
di Studio Mauro Carbone ha inizialmente concentrato i suoi studi sulla
fenomenologia di Maurice Merleau-Ponty, indagandone il duplice ma unitario
significato estetico di riflessione filosofica sull'esperienza percettiva e
sull'esperienza artistica attraverso l'esame del parallelo interesse
manifestato da Merleau-Ponty per l'opera pittorica di Paul Cézanne e per quella
letteraria di Marcel Proust. Tale indirizzo di studi si è allargato dapprima a
una più vasta considerazione della fenomenologia e poi a quella del pensiero
post-strutturalistico sviluppatosi in Francia, pur mantenendosi imperniato sul
parallelo interesse per la riflessione filosofica sulla pittura e sulla
letteratura moderne. Questo ampliamento ha inoltre condotto gli studi di
Carbone ad affrontare tematiche di carattere gnoseologico e ontologico,
spingendolo anche a problematizzare il tradizionale rapporto tra la filosofia e
la "non filosofia". Più recentemente, tali orientamenti hanno trovato
sbocco in una riflessione sul peculiare statuto delle immagini nella nostra
epoca, sulle possibili implicazioni etico-politiche del rapporto con esse e
sulla dimensione ontologica dell'"essere in comune" che in tali
implicazioni troverebbe espressione. Mauro Carbone ha curato, tra l'altro,
l'edizione italiana di quattro opere di Maurice Merleau-Ponty (Il visibile e
l'invisibile; Linguaggio Storia Natura. Corsi al Collège de France, 1952-1961;
La Natura. Lezioni al Collège de France, 1956-1960; È possibile oggi la
filosofia? Lezioni al Collège de France 1958-1959 e 1960-1961), di una di Jan
Patočka (Saggi eretici sulla filosofia della storia) e di una di Ernst Cassirer
(Eidos ed eidolon. Il problema del bello e dell'arte nei dialoghi di Platone). Pensiero Il pensiero di Mauro Carbone è stato
influenzato prevalentemente da quello di Maurice Merleau-Ponty, di cui ha
sviluppato in maniera teoreticamente personale alcune nozioni che il filosofo
francese aveva potuto soltanto abbozzare prima della sua morte improvvisa. Tra
queste, spicca la nozione di "idea sensibile", intesa quale essenza
che s'inaugura nel nostro incontro col sensibile e da questo rimane
inseparabile, sedimentandosi in una peculiare temporalità retroflessa che
Carbone chiama, con Merleau-Ponty, "tempo mitico". Alla prima di
queste nozioni è dedicato il dittico composto dai volumi Ai confini
dell'esprimibile. Merleau-Ponty a partire da Cézanne e da Proust (1990) e Una
deformazione senza precedenti. Marcel Proust e le idee sensibili (2004). Nel
secondo di questi volumi Carbone porta a sintesi le implicazioni filosofiche
delle nozioni sopra citate nell'originale idea di "deformazione senza
precedenti", con cui egli intende caratterizzare il peculiare statuto che
a suo avviso la deformazione assume nell'arte Professoreal fine di staccarsi
dal principio imitativo della rappresentazione e dunque dalla "concezione
del modello inteso quale forma preliminarmente data". Alle nozioni sopra
menzionate si è andata successivamente collegando quella di "precessione
reciproca" tra immaginario e reale che Carbone ha proposto, sviluppando
una formulazione di Merleau-Ponty, al fine di dar conto del prodursi della
peculiare temporalità retroflessa detta "tempo mitico". Carbone ha
cercato inoltre di sviluppare le implicazioni etico-politiche della concezione
della memoria legata all'idea di "deformazione senza precedenti"
nella sua riflessione sull'evento dell'11 settembre 2001, di cui ha
sottolineato l'irriducibile carattere visivo indagandolo pertanto mediante un
approccio anzitutto estetico. Egli ha altresì cercato le radici ontologiche di
tali implicazioni etico-politiche nel pensiero di Maurice Merleau-Ponty, Jan
Patočka e Gilbert Simondon, proponendo le nozioni di "a-individuale"
e di "dividuo" per sottolineare l'intrinseco carattere relazionale (e
dunque il divenire e la divisibilità) di ogni identità. Borse di Studio, Premi e riconoscimenti
scientifici 1985Borsa di studio della Communauté française de Belgique presso
l'Institut Supérieur de Philosophie dell'Université Catholique de
Louvain-la-Neuve (Belgio). 1987Menzione speciale per la tesi di diploma di
perfezionamento al concorso per il Premio del Ministero dei Beni Culturali e
Ambientali per le scienze filosofiche. 1988Borsa di studio della Communauté française
de Belgique presso l'Institut Supérieur de Philosophie dell'Université
Catholique de Louvain-la-Neuve (Belgio). 1993Premio per la tesi di dottorato,
nella Categoria delle Lettere, al concorso annuale dell'Académie Royale des
sciences, des lettres et des beaux-arts del Belgio. 2005Fellowship all'Italian
Academy for Advanced Studies in America, presso la Columbia University (New
York). 2005Premio "Viaggio a Siracusa" assegnato (ex aequo) al libro
Una deformazione senza precedenti in quanto migliore saggio italiano di
carattere filosofico pubblicato nel 2004. 2009"Premio Internazionale
Maurizio Grande", riservato a saggi d'argomento cinematografico, assegnato
(ex aequo) al libro Sullo schermo dell'estetica. La pittura, il cinema e la
filosofia da fare. 2005/Associate Fellow presso il Dipartimento di Filosofia
dell'Warwick (UK). University of Rhode Island Distinguished Visiting
International Scholar. Membro senior dell'Institut Universitaire de France.
Opere Ai confini dell'esprimibile. Merleau-Ponty a partire da Cézanne e da
Proust, Milano, Guerini e Associati, 1990, 1992, 1993. Il sensibile e
l'eccedente. Mondo estetico, arte, pensiero, Milano, Guerini e Associati, 1996.
Di alcuni motivi in Marcel Proust, Milano, Libreria Cortina, 1998. La
visibilité de l'invisible. Merleau-Ponty entre Cézanne et Proust, Hildesheim,
Georg Olms Verlag, 2001. La carne e la voce. In dialogo tra estetica ed etica,
Milano, Mimesis, 2003 (con David Michael Levin). The Thinking of the Sensible.
Merleau-Ponty's A-Philosophy, Evanston (IL), Northwestern University Press,
2004. Una deformazione senza precedenti. Marcel Proust e le idee sensibili,
Macerata, Quodlibet, 2004; ed. ampliata "Proust et les idées
sensibles", tr. fr. di S. Kristensen rivista da P. Rodrigo e dall'autore,
Paris, Vrin, 2008; tr. ingl. di N. Keane, An unprecedented Deformation: Marcel
Proust and the Sensible Ideas, Albany (NY), SUNY Press, . Essere morti insieme.
L'evento dell'11 settembre 2001, Torino, Bollati Boringhieri, 2007. Sullo
schermo dell'estetica. La pittura, il cinema e la filosofia da fare, Milano,
Mimesis Edizioni, 2008. Merleau-Ponty, la chair des images: entre peinture et
cinéma, Paris, Vrin, . Pensare (con) Patočka oggi, Mauro Carbone e Caterina
Croce, Napoli, Orthotes Editrice, . Note
Chiasmi, sito ufficiale «L'occhio
e lo spirito» Archiviato il 29 novembre
in ., sito della collana. M.
Carbone, Una deformazione senza precedenti. Marcel Proust e le idee sensibili,
Macerata, Quodlibet, 200494. Opere di
Mauro Carbone, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Filosofia Filosofo del XX
secoloFilosofi italiani Professore1956Nati l'8 dicembre MantovaStudenti
dell'Bologna.
Carboni: Massimo Carboni
(Livorno, 1954) è un filosofo italiano.
Biografia Massimo Carboni è docente di Estetica presso l’Accademia di
Belle Arti di Roma. Ha tenuto corsi e seminari presso la Facoltà di
Architettura del Politecnico di Bari, la Facoltà di Beni Culturali
dell’Università La Tuscia di Viterbo e la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università La Sapienza di Roma. Negli anni Ottanta e Novanta è stato a
lungo attivo come critico d’arte curando numerose mostre personali e collettive
presso gallerie private e spazi pubblici. Ha collaborato come curatore e come
autore di saggi in catalogo alle edizioni del 1993, del 1997 e del della Biennale di Venezia. È stato
collaboratore dei quotidiani “Il Tirreno”, “Paese Sera”, “Reporter”, “la
Repubblica”, “il manifesto”. Si occupa
principalmente dei rapporti tra filosofia e arti moderno-contemporanee. Su
questo tema ha scritto vari contributi per la rivista di filosofia “aut-aut” ed
è stato più volte invitato al Festival delle Letterature di Mantova e al
Festival di Filosofia di Modena. Da
tempo collabora alla redazione dell’Enciclopedia Treccani: nel volume dal
titolo XXI secolo. Gli spazi e le arti contiene il suo saggio Le arti e la
tecnica: gli scenari futuri; nel volume di prossima pubblicazione dal titolo
Enciclopedia dell’arte contemporanea conterrà cinque voce da lui redatte. Tra i
suoi saggi si ricordano: L’angelo del fare. Fausto Melotti e la ceramica
(Skira, 2003) e Il colore nell’arte (Jaca Book, 2006). Ha curato la nuova edizione di alcune tra le
opere di Gillo Dorfles, Cesare Brandi, Gilles Deleuze-Félix Guattari, Theodor
Adorno. Tra le recensioni dei suoi libri si segnalano: Giacomo Marramao, Gianni
Vattimo (“L’Espresso”), Gillo Dorfles (“Il Corriere della Sera”), Victor
Stoichita (“il manifesto”). Al Festival delle Letterature di Mantova hanno
presentato i suoi libri Carlo Sini (2005) e Georges Didi-Huberman (2007). Scrive
sulle riviste in rete “Nòema” e “Images Re-vues” e sulla “Rivista di
Estetica”. Opere L’Impossibile Critico.
Paradosso della critica d’arte, Kappa, 1985; Cesare Brandi. Teoria e esperienza
dell’arte, Editori Riuniti, 1992, nuova ed. Jaca Book, 2004; Il Sublime è Ora.
Saggio sulle estetiche contemporanee, Castelvecchi, 1993, quarta ed. 2003; Non
vedi niente lì? Sentieri tra arti e filosofie del Novecento, Castelvecchi,
1999, nuova ed. ampliata 2005; L’ornamentale. Tra arte e decorazione, Jaca
Book, 2000; L’occhio e la pagina. Tra immagine e parola, Jaca Book, 2002; Lo
stato dell’arte. L’esperienza estetica nell’era della tecnica, Laterza, 2005;
La mosca di Dreyer. L’opera della contingenza nelle arti, Jaca Book, 2007; Di
più di tutto. Figure dell’eccesso, Castelvecchi, 2009; Analfabeatles. Filosofia
di una passione elementare, Castelvecchi, ; Il genio è senza opera. Filosofie
antiche e arti contemporanee, Jaca Book, ; Malevič. L'ultima icona. Arte,
filosofia, teologia, Jaca Book, . Opere
di Massimo Carboni, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
carcano: Paolo Filiasi
Carcano (n. Napoli) fu quarto Duca di Montaltino, Nobile dei Marchesi di
Carapelle, e fu anche un eminente filosofo italiano rinomato in particolare per
i suoi studi di fenomenologia, filosofia del linguaggio e più in generale di
filosofia analitica. Dopo gli studi universitari a Napoli, durante i quali si
formò alla scuola del filosofo Antonio Aliotta e si dedicò allo studio delle
scienze, Filiasi Carcano divenne a sua volta professore prima all'Università
degli Studi di Napoli e poi all'Roma "La Sapienza". Sulla scia
teoretica del suo maestro, l'Aliotta, Filiasi Carcano volle approfondire le
problematiche poste dalla filosofia contemporanea, sia europea che americana, e
riesaminare attentamente i linguaggi scientifici in uso. Tesi centrale di
Filiasi Carcano è che le correnti filosofiche del '900, in particolare il
pragmatismo, il neopositivismo, la fenomenologia, l'esistenzialismo e la
psicoanalisi, fossero il portato dell'esigenza teoretica di una maggiore
chiarezza delle varie questioni che emergevano dalla crisi culturale, vitale ed
esistenziale della sua epoca. Al centro
di tale crisi giganteggiava la polemica fra pensiero metafisico e pensiero antimetafisico,
soprattutto a causa del vigore critico neopositivista, contro il quale a sua
volta Filiasi Carcano, che ritiene necessaria una sostanziale alleanza o
quantomeno un aperto dialogo fra la metafisica e le scienze, pone diversi
rilievi critici, principale dei quali è quello di minare alla base l'unità
dell'esperienza, che senza una cornice o una struttura metafisica in cui
inserirsi rimarrebbe indefinitamente frammentata in percezioni fra loro
irrelate. A questo inconveniente si può rimediare, secondo il filosofo
napoletano, temperando il positivismo e il neopositivismo con lo
sperimentalismo, ovvero accompagnando alla piena accettazione del metodo
scientifico una piena apertura alla voce dell'esperienza così come è stata
intesa, ad esempio, nella fenomenologia di Husserl, che Filiasi Carcano ritiene
per questo integralmente scientifica. In
questo senso si può procedere a mantenere una costante tensione sui problemi
posti dalla filosofia, in opposizione a ogni dogmatismo di sistema, e al
contempo non cadere nell'angoscia a cui conduce lo scetticismo radicale che
tutto rifiuta, compresa l'esperienza. Non si tratterebbe dunque per la
filosofia teoretica di definire verità immutabili ma di sincronizzarsi col
ritmo del metodo scientifico, sussumendo i risultati sperimentali delle scienze
e integrandoli nel continuum di una struttura metafisica mediante il ponte
dell'esperienza. Opere Crisi della
civiltà e orientamenti della filosofia contemporanea, Perrella, Roma 1939. La
filosofia d'oggi al congresso di Amsterdam (11-18 agosto 1948), Soc. Ed. del
Foro Italiano, Roma 1950. Problematica della filosofia odierna, Fratelli Bocca,
Roma 1953. Semantica, Fratelli Bocca, Roma 1955. La metodologia del rinnovarsi
nel pensiero contemporaneo, Libreria scientifica editrice, Napoli 1958.
Filosofia della alienazione e analisi esistenziale, CEDAM, Padova 1961.
L'unificazione del sapere, Sansoni, Firenze 1964. Logica e analisi, CEDAM,
Padova 1966 Filosofia e informazione, CEDAM, Padova 1967. Introduzione allo
studio della filosofia linguistica, Bulzoni Editore, Roma 1972. Note Geremia M. V. Borruso, Paolo Filiasi Carcano,
in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Aniello Montano, La problematicità
dell'esperienza e l'analisi del linguaggio nella filosofia di Paolo Filiasi
Carcano, in Piero Di Giovanni , Le avanguardie della filosofia italiana nel XX
secolo, FrancoAngeli, 2002. Istituto di Filosofia e Storia di filosofia della
Facoltà di Magistero dell'Università degli Studi di Roma , Scienza, linguaggio
e metafilosofia. Scritti in memoria di Paolo Filiasi Carcano, Guida, Napoli
1980. Paolo Filiasi Carcano, in
Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Filosofia Categorie: 1911 1977Nati l'11 marzo 24 febbraio Napoli
RomaFilosofi italiani del XX secoloProfessori della SapienzaRoma
campsall: a village in Yorkshire,
Richardof Balliol, semantics. Cf. Ricardus de Campsalle obtained a MA from
Balliol and then became a Fellow of Merton.
CERNUM
-- discernibile“There’s
the discernible and the indiscernible, and Leibniz was a bit of a genius in
focusing on the second!”Grice. indiscernibility: of identicals, the principle
that if A and B are identical, there is no difference between A and B:
everything true of A is true of B, and everything true of B is true of A; A and
B have just the same properties; there is no property such that A has it while
B lacks it, or B has it while A lacks it. A tempting formulation of this
principle, ‘Any two things that are identical have all their properties in common’,
verges on nonsense; for two things are never identical. ‘A is numerically
identical with B’ means that A and B are one and the same. A and B have just
the same properties because A, that is, B, has just the properties that it has.
This principle is sometimes called Leibniz’s law. It should be distinguished
from its converse, Leibniz’s more controversial principle of the identity of
indiscernibles. A contraposed form of the indiscernibility of identicalscall it
the distinctness of discerniblesreveals its point in philosophic dialectic. If
something is true of A that is not true of B, or (to say the same thing
differently) if something is true of B that is not true of A, then A and B are
not identical; they are distinct. One uses this principle to attack identity
claims. Classical arguments for dualism attempt to find something true of the
mind that is not true of anything physical. For example, the mind, unlike
everything physical, is indivisible. Also, the existence of the mind, unlike
the existence of everything physical, cannot be doubted. This last argument
shows that the distinctness of discernibles requires great care of application
in intentional contexts. Refs.: H. P. Grice, “Definite descriptions in Leibniz
and in the vernacular.”
conatum: Aristotle distinguishes three types of living beings:
vegetables, φυτά, which possess only the ability to nourish themselves τὸ
θϱεπτιϰόν; animals, ζαῷ, which possess the faculty of sensing τὸ αἰσθητιϰόν,
which opens onto that of desiring, τὸ ὀϱεϰτιϰόν, to orektikon, (desdideratum);
and man and — he says—any other similar or superior being, who possess in
addition the ability to think, “τὸ διανοητιϰόν τε ϰαὶ νοῦς.” -- De An., 414a
29-b.orme,
the technical Stoic definition of πάθος, viz. as a particular kind of conation, or
impulse (ορμή). ... 4 ' This definition (amorem ipsum conatum amicitiae
faeiendae ex ... emotion and moral self-management in Galen's philosophical psychology', ..cōnātum , i, usu. in plur.: cōnāta , ōrum, n., v. conor.. The term is used by an the Wilde Reader at Oxford,
that Grice once followeduntil he became a neo-Prichardian instead.(philosophy) The power or act which directs or impels to effort of any kind, whether
muscular or psychical. quotations 1899, George
Frederick Stout, A Manual of Psychology, page
234:Any pleasing sense-experience, when it has once taken
place, will, on subsequent occasions, give rise to a conation, when its conditions are only
partially repeated...
CALCVULATVM: Grice: “We speak
of the predicate calculus, but what did the Romans mean?”account," originally "pebble used as a reckoning
counter," diminutive of calx (genitive calcis) "limestone"Grice,
“On the roman meaning of calculus.”Grice speaks variously of calculus.
One of the characteristics of implicature is CALCULABILITY --In the second
William James, he uses CALCULATE variously.
Conventional implata are not calculable. Insofar as tl1e CALCULATION
that a particular conversational implicature is present requires, besides
contextual and background information, only a knowledge of what has been said
(or of the conventional commitment of the utterance), and insofar as the manner
of expression plays no role in the CALCULATION, it will not be possible to find
another way of saying the same thing, which simply lacks the implicature in
question, except where some special feature of the substituted version is
itself relevant to the determination of an implicature (in virtue of one of the
maxims of Manner). If we call this feature NONDETACIIAlliLITY, one may expect a
generalized conversational implicature that is carried by a familiar,
nonspecial locution to have a high degree of nondetachability. 3. To speak
approximately, since the CALCULATION of the presence of a conversational
implicature presupposes an initial knowledge of the conventional force of the
expression the utterance of which carries the implicature, a conversational
implicatum will be a condition that is not included in the original
specification of the expression's conventional force. Though it may not be
impossible for what starts life, so to speak, as a conversational implicature
to become conventionalized, to suppose that this is so in a given case would
require special justification. So, initially at least, conversational implicata
are not part of the meaning of the expressions to the employment of which they
attach. 4. ·Since the. truth of a conversational implicatum is not required by
the truth of what is said (what is said may be true-what is implicated may be
false), the implicature is not carried by what is said, but only by the saying
of what is said, or by 'putting it that way.' 5. Since, to CALCULATE a
conversational implicature is to CALCULATE what has to be supposed in order to
preserve the supposition that the Cooperative Principle is being observed, and
since there may be various possible specific explanations, a list of which may
be open, the conversational implicatum in such cases will be disjunction of
such specific explanations; and if the list of these is open, the implicatum
will have just the kind of indeterminacy that many actual implicata do in fact
seem to possess. cf. calculation -- Hobbes
uses ‘calculationHow latin is that? calcŭlo , āre, v. a. id., I.to calculate, compute, reckon (late Lat.). from
diminutive of ‘calx,’ a stone usef for reckon --- I. Lit., Prud. στεφ. 3, 131.—
II. Trop., to consider as, to esteem, Sid. Ep. 7, 9.Grice uses ‘calculus’
slightly different, in the phrase “first-order predicate calculus with
time-relative identity” -- a central branch of mathematics, originally
conceived in connection with the determination of the tangent or normal to a
curve and of the area between it and some fixed axis; but it also embraced the
calculation of volumes and of areas of curved surfaces, the lengths of curved
lines, and so on. Mathematical analysis is a still broader branch that subsumed
the calculus under its rubric see below, together with the theories of functions
and of infinite series. Still more general and/or abstract versions of analysis
have been developed during the twentieth century, with applications to other
branches of mathematics, such as probability theory. The origins of the
calculus go back to Grecian mathematics, usually in problems of determining the
slope of a tangent to a curve and the area enclosed underneath it by some fixed
axes or by a closed curve; sometimes related questions such as the length of an
arc of a curve, or the area of a curved surface, were considered. The subject
flourished in the seventeenth century when the analytical geometry of Descartes
gave algebraic means to extend the procedures. It developed further when the
problems of slope and area were seen to require the finding of new functions,
and that the pertaining processes were seen to be inverse. Newton and Leibniz
had these insights in the late seventeenth century, independently and in
different forms. In the Leibnizian differential calculus the differential dx
was proposed as an infinitesimal increment on x, and of the same dimension as
x; the slope of the tangent to a curve with y as a function of x was the ratio
dy/dx. The integral, ex, was infinitely large and of the dimension of x; thus
for linear variables x and y the area ey dx was the sum of the areas of
rectangles y high and dx wide. All these quantities were variable, and so could
admit higher-order differentials and integrals ddx, eex, and so on. This theory
was extended during the eighteenth century, especially by Euler, to functions
of several independent variables, and with the creation of the calculus of
variations. The chief motivation was to solve differential equations: they were
motivated largely by problems in mechanics, which was then the single largest
branch of mathematics. Newton’s less successful fluxional calculus used limits
in its basic definitions, thereby changing dimensions for the defined terms.
The fluxion was the rate of change of a variable quantity relative to “time”;
conversely, that variable was the “fluent” of its fluxion. These quantities
were also variable; fluxions and fluents of higher orders could be defined from
them. A third tradition was developed during the late eighteenth century by J.
L. Lagrange. For him the “derived functions” of a function fx were definable by
purely algebraic means from its Taylorian power-series expansion about any
value of x. By these means it was hoped to avoid the use of both infinitesimals
and limits, which exhibited conceptual difficulties, the former due to their
unclear ontology as values greater than zero but smaller than any orthodox
quantity, the latter because of the naive theories of their deployment. In the
early nineteenth century the Newtonian tradition died away, and Lagrange’s did
not gain general conviction; however, the LeibnizEuler line kept some of its
health, for its utility in physical applications. But all these theories
gradually became eclipsed by the mathematical analysis of A. L. Cauchy. As with
Newton’s calculus, the theory of limits was central, but they were handled in a
much more sophisticated way. He replaced the usual practice of defining the
integral as more or less automatically the inverse of the differential or
fluxion or whatever by giving independent definitions of the derivative and the
integral; thus for the first time the fundamental “theorem” of the calculus,
stating their inverse relationship, became a genuine theorem, requiring
sufficient conditions upon the function to ensure its truth. Indeed, Cauchy
pioneered the routine specification of necessary and/or sufficient conditions
for truth of theorems in analysis. His discipline also incorporated the theory
of discontinuous functions and the convergence or divergence of infinite
series. Again, general definitions were proffered and conditions sought for
properties to hold. Cauchy’s discipline was refined and extended in the second
half of the nineteenth century by K. Weierstrass and his followers at Berlin.
The study of existence theorems as for irrational numbers, and also technical
questions largely concerned with trigonometric series, led to the emergence of
set topology. In addition, special attention was given to processes involving
several variables changing in value together, and as a result the importance of
quantifiers was recognized for example,
reversing their order from ‘there is a y such that for all x . . .’ to ‘for all
x, there is a y . . .’. This developed later into general set theory, and then
to mathematical logic: Cantor was the major figure in the first aspect, while
G. Peano pioneered much for the second. Under this regime of “rigor,”
infinitesimals such as dx became unacceptable as mathematical objects. However,
they always kept an unofficial place because of their utility when applying the
calculus, and since World War II theories have been put forward in which the
established level of rigor and generality are preserved and even improved but
in which infinitesimals are reinstated. The best-known of these theories, the
non-standard analysis of A. Robinson, makes use of model theory by defining
infinitesimals as arithmetical inverses of the transfinite integers generated
by a “non-standard model” of Peano’s postulates for the natural numbers. Refs.:
Luigi Speranza, “Hobbes’s calculatio and Grice’s calculability.”
campbell: n. r.H. P. Grice
drew some ideas on scientific laws from Campbell -- British physicist and philosopher of science.
A successful experimental physicist, Campbell with A. Wood discovered the
radioactivity of potassium. His analysis of science depended on a sharp
distinction between experimental laws and theories. Experimental laws are
generalizations established by observations. A theory has the following
structure. First, it requires a largely arbitrary hypothesis, which in itself
is untestable. To render it testable, the theory requires a “dictionary” of
propositions linking the hypothesis to scientific laws, which can be
established experimentally. But theories are not merely logical relations
between hypotheses and experimental laws; they also require concrete analogies
or models. Indeed, the models suggest the nature of the propositions in the
dictionary. The analogies are essential components of the theory, and, for
Campbell, are nearly always mechanical. His theory of science greatly
influenced Nagel’s The Structure of Science 1.
campus -- field theory, a
theory that proceeds by assigning values of physical quantities to the points
of space, or of space-time, and then lays down laws relating these values. For
example, a field theory might suppose a value for matter density, or a
temperature for each space-time point, and then relate these values, usually in
terms of differential equations. In these examples there is at least the tacit
assumption of a physical substance that fills the relevant region of
space-time. But no such assumption need be made. For instance, in Ficino,
Marsilio field theory 309 309 Maxwell’s
theory of the electromagnetic field, each point of space-time carries a value for
an electric and a magnetic field, and these values are then governed by
Maxwell’s equations. In general relativity, the geometry e.g., the curvature of
space-time is itself treated as a field, with lawlike connections with the
distribution of energy and matter. Formulation in terms of a field theory
resolves the problem of action at a distance that so exercised Newton and his
contemporaries. We often take causal connection to require spatial contiguity.
That is, for one entity to act causally on another, the two entities need to be
contiguous. But in Newton’s description gravitational attraction acts across
spatial distances. Similarly, in electrostatics the mutual repulsion of
electric charges is described as acting across spatial distances. In the times
of both Newton and Maxwell numerous efforts to understand such action at a
distance in terms of some space-filling mediating substance produced no viable
theory. Field theories resolve the perplexity. By attributing values of
physical quantities directly to the space-time points one can describe
gravitation, electrical and magnetic forces, and other interactions without
action at a distance or any intervening physical medium. One describes the
values of physical quantities, attributed directly to the space-time points, as
influencing only the values at immediately neighboring points. In this way the
influences propagate through space-time, rather than act instantaneously across
distances or through a medium. Of course there is a metaphysical price: on such
a description the space-time points themselves take on the role of a kind of
dematerialized ether. Indeed, some have argued that the pervasive role of field
theory in contemporary physics and the need for space-time points for a
field-theoretic description constitute a strong argument for the existence of
the space-time points. This conclusion contradicts “relationalism,” which
claims that there are only spatiotemporal relations, but no space-time points
or regions thought of as particulars. Quantum field theory appears to take on a
particularly abstract form of field theory, since it associates a quantum
mechanical operator with each space-time point. However, since operators
correspond to physical magnitudes rather than to values of such magnitudes, it
is better to think of the field-theoretic aspect of quantum field theory in
terms of the quantum mechanical amplitudes that it also associates with the
space-time points.
captainship. Strawson calls
Grice his captain. In the inaugural lecture. . A struggle on what seems to be
such a From Meaning and Truth (Oxford: Oxford University Press, 1970) TRUTH AND
MEANING central issue in philosophy should have something of a Homeric quality;
and a Homeric struggle calls for gods and heroes. I can at least, though
tentatively, name some living captains and benevolent shades: on the one side,
say, Grice, Austin, and the later Wittgenstein; on the other, Chomsky, Frege,
and the earlier Wittgenstein.
cardinal -- H. P. Grice and
The cardinal virtues, prudence prudential (in ratione) practical wisdom,
courage (fortitude in irascibili), temperance (temperantia in concuspicibili),
and justice (iustitia in voluntate). Grice thought them oxymoronic: “Virtue is
entire, surely!” -- Medievals deemed them cardinal from Latin cardo, ‘hinge’
because of their important or pivotal role in human flourishing. In Plato’s
Republic, Socrates explains them through a doctrine of the three parts of the
soul, suggesting that a person is prudent when knowledge of how to live wisdom
informs her reason, courageous when informed reason governs her capacity for
wrath, temperate when it also governs her appetites, and just when each part
performs its proper task with informed reason in control. Development of
thought on the cardinal virtues was closely tied to the doctrine of the unity
of the virtues, i.e., that a person possessing one virtue will have them
all.
carlyleianim:, T.: When Grice
was feeling that his mode operators made for poor prose he would wonder, “what
Carlyle might think of this!” -- Scottish-born essayist, historian, and social
critic, one of the most popular writers and lecturers in nineteenth-century
Britain. His works include literary criticism, history, and cultural criticism.
With respect to philosophy, his views on the theory of history are his most
significant contributions. According to Carlyle, great personages are the most
important causal factor in history. On Heroes, Hero-Worship and the Heroic in
History 1841 asserts, “Universal History, the history of what man has
accomplished in this world, is at bottom the History of the Great Men who have
worked here. They were the leaders of men, these great ones; the modellers,
patterns, and in a wide sense creators, of whatsoever the general mass of men
contrived to do or to attain; all things that we see standing accomplished in
the world are properly the outer material result, the practical realisation and
embodiment, of Thoughts that dwelt in the Great Men sent into the world: the
soul of the whole world’s history, it may justly be considered, were the
history of these.” Carlyle’s doctrine has been challenged from many different
directions. Hegelian and Marxist philosophers maintain that the so-called great
men of history are not really the engine of history, but merely reflections of
deeper forces, such as economic ones, while contemporary historians emphasize
the priority of “history from below” the
social history of everyday people as far
more representative of the historical process.
Grice,
in “Gli atti linguistici: aspetti e problemi di filosofia del lignuaggio.”
Campi del sapere/Feltrinelli.
levi:
filosofo italianoItalian philosopher of Jewish descent. Author of “Storia della
filosofia romana.”
giornale
critico della filosofia italiana.
giovannid.
“Positivismo italiano.”
cassiodoro: noble Italian
philosopher. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Cassiodoro," per Il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia
casalegno,
paolo. Italian philosopherauthor of “H. P. Grice” in “Filosofia del
linguaggio.”
categoria -- categorical
theory:
kategoria
"accusation, prediction, category," verbal noun from kategorein
"to speak against; to accuse, assert, predicate," from kata
"down to" (or perhaps "against;" see cata-) + agoreuein
"to harangue, to declaim (in the assembly)," from agora "public
assembly" (from PIE root *ger- "to gather"). H. P. Grice
lectured at Oxford on Aristotle’s Categories in joint seminars with J. L.
Austin and P. F. Strawson, a theory all
of whose models are isomorphic. Because of its weak expressive power, in first-order
logic with identity only theories with a finite model can be categorical;
without identity no theories are categorical. A more interesting property,
therefore, is being categorical in power: a theory is categorical in power a
when the theory has, up to isomorphism, only one model with a domain of
cardinality a. Categoricity in power shows the capacity to characterize a
structure completely, only limited by cardinality. For example, the first-order
theory of dense order without endpoints is categorical in power w the
cardinality of the natural numbers. The first-order theory of simple discrete
orderings with initial element, the ordering of the natural numbers, is not
categorical in power w. There are countable discrete orders, not isomorphic to
the natural numbers, that are elementary equivalent to it, i.e., have the same
elementary, first-order theory. In first-order logic categorical theories are
complete. This is not necessarily true for extensions of first-order logic for
which no completeness theorem holds. In such a logic a set of axioms may be
categorical without providing an informative characterization of the theory of
its unique model. The term ‘elementary equivalence’ was introduced around 6 by
Tarski for the property of being indistinguishable by elementary means.
According to Oswald Veblen, who first used the term ‘categorical’ in 4, in a
discussion of the foundations of geometry, that term was suggested to him by
the pragmatist John Dewey. categoricity:
Grice distinguishes a meta-category, as categoricity, from category itself. He
gave seminars on Aristotle’s categories at Oxford in joint seminars with J. L.
Austin and P. F. Strawson. the semantic property belonging to a set of
sentences, a “postulate set,” that implicitly defines completely describes, or
characterizes up to isomorphism the structure of its intended interpretation or
standard model. The best-known categorical set of sentences is the postulate
set for number theory attributed to Peano, which completely characterizes the
structure of an arithmetic progression. This structure is exemplified by the
system of natural numbers with zero as distinguished element and successor
addition of one as distinguished function. Other exemplifications of this
structure are obtained by taking as distinguished element an arbitrary integer,
taking as distinguished function the process of adding an arbitrary positive or
negative integer and taking as universe of discourse or domain the result of
repeated application of the distinguished function to the distinguished
element. See, e.g., Russell’s Introduction to the Mathematical Philosophy, 8.
More precisely, a postulate set is defined to be categorical if every two of
its models satisfying interpretations or realizations are isomorphic to each
other, where, of course, two interpretations are isomorphic if between their
respective universes of discourse there exists a one-to-one correspondence by
which the distinguished elements, functions, relations, etc., of the one are
mapped exactly onto those of the other. The importance of the analytic geometry
of Descartes involves the fact that the system of points of a geometrical line
with the “left-of relation” distinguished is isomorphic to the system of real
numbers with the “less-than” relation distinguished. Categoricity, the ideal
limit of success for the axiomatic method considered as a method for
characterizing subject matter rather than for reorganizing a science, is known
to be impossible with respect to certain subject matters using certain formal languages.
The concept of categoricity can be traced back at least as far as Dedekind; the
word is due to Dewey. category:
H. P. Grice and J. L. Austin, “Categories.” H. P. Grice and P. F. Strawson,
“Categories.” an ultimate class. Categories are the highest genera of entities
in the world. They may contain species but are not themselves species of any
higher genera. Aristotle, the first philosopher to discuss categories
systematically, listed ten, including substance, quality, quantity, relation,
place, and time. If a set of categories is complete, then each entity in the
world will belong to a category and no entity will belong to more than one
category. A prominent example of a set of categories is Descartes’s dualistic
classification of mind and matter. This example brings out clearly another
feature of categories: an attribute that can belong to entities in one category
cannot be an attribute of entities in any other category. Thus, entities in the
category of matter have extension and color while no entity in the category of
mind can have extension or color. category
mistake. Grice’s example: You’re the cream in my coffee. Usually a metaphor
is a conversational implicaturum due to a category mistakeBut since obviously
the mistake is intentional it is not really a mistake! Grice prefers to speak
of ‘categorial falsity.’ What Ryle has in mind is different and he does mean
‘mistake.’ the placing of an entity in the wrong category. In one of Ryle’s
examples, to place the activity of exhibiting team spirit in the same class
with the activities of pitching, batting, and catching is to make a category
mistake; exhibiting team spirit is not a special function like pitching or
batting but instead a way those special functions are performed. A second use
of ‘category mistake’ is to refer to the attribution to an entity of a property
which that entity cannot have not merely does not happen to have, as in ‘This
memory is violet’ or, to use an example from Carnap, ‘Caesar is a prime
number’. These two kinds of category mistake may seem different, but both
involve misunderstandings of the natures of the things being talked about. It
is thought that they go beyond simple error or ordinary mistakes, as when one
attributes a property to a thing which that thing could have but does not have,
since category mistakes involve attributions of properties e.g., being a
special function to things e.g., team spirit that those things cannot have.
According to Ryle, the test for category differences depends on whether
replacement of one expression for another in the same sentence results in a
type of unintelligibility that he calls “absurdity.” category
theory, H. P. Grice lectured on Aristotle’s categories in joint seminars at
Oxford with J. L. Austin and P. F. Strawson, a mathematical theory that studies
the universal properties of structures via their relationships with one
another. A category C consists of two collections Obc and Morc , the objects
and the morphisms of C, satisfying the following conditions: i for each pair a,
b of objects there is associated a collection Morc a, b of morphisms such that
each member of Morc belongs to one of these collections; ii for each object a
of Obc , there is a morphism ida , called the identity on a; iii a composition
law associating with each morphism f: a P b and each morphism g: b P c a
morphism gf:a P c, called the composite of f and g; iv for morphisms f: a P b,
g: b P c, and h: c P d, the equation hgf % hgf holds; v for any morphism f: a P
b, we have idbf % f and fida % f. Sets with specific structures together with a
collection of mappings preserving these structures are categories. Examples: 1
sets with functions between them; 2 groups with group homomorphisms; 3
topological spaces with continuous functions; 4 sets with surjections instead
of arbitrary maps constitute a different category. But a category need not be
composed of sets and set-theoretical maps. Examples: 5 a collection of
propositions linked by the relation of logical entailment is a category and so
is any preordered set; 6 a monoid taken as the unique object and its elements
as the morphisms is a category. The properties of an object of a category are
determined by the morphisms that are coming out of and going in this object.
Objects with a universal property occupy a key position. Thus, a terminal
object a is characterized by the following universal property: for any object b
there is a unique morphism from b to a. A singleton set is a terminal object in
the category of sets. The Cartesian product of sets, the product of groups, and
the conjunction of propositions are all terminal objects in appropriate
categories. Thus category theory unifies concepts and sheds a new light on the
notion of universality.
cattaneo: essential Italian philosopher. Refs.: Luigi
Speranza, "Grice e Cattaneo," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
causatum: aetiologicum: from aitia: while Grice would prefer
‘cause,’ he thought that the etymology of Grecian ‘aitia,’ in a legal context,
was interesting. On top, he was dissatisfied that Foucault never realised that
‘les mots et les choses,’ etymologically, means, ‘motus et causae.’ Grecian,
cause. Originally referring to responsibility for a crime, this Grecian term
came to be used by philosophers to signify causality in a somewhat broader
sense than the English ‘cause’ the
traditional rendering of aitia can
convey. An aitia is any answer to a why-question. According to Aristotle, how
such questions ought to be answered is a philosophical issue addressed
differently by different philosophers. He himself distinguishes four types of
answers, and thus four aitiai, by distinguishing different types of questions:
1 Why is the statue heavy? Because it is made of bronze material aitia. 2 Why
did Persians invade Athens? Because the Athenians had raided their territory
moving or efficient aitia. 3 Why are the angles of a triangle equal to two
right angles? Because of the triangle’s nature formal aitia. 4 Why did someone
walk after dinner? Because or for the sake of his health final aitia. Only the
second of these would typically be called a cause in English. Though some
render aitia as ‘explanatory principle’ or ‘reason’, these expressions inaptly
suggest a merely mental existence; instead, an aitia is a thing or aspect of a
thing. The study of the causatum in Grice is key. It appears in “Meaning,”
because he starts discussing Stevenson whom Grice dubs a ‘causalist.’ It
continues with Grice on ‘knowledge,’ and ‘willing’ in “Intention and
Uncertainty.” Also in “Aspects of reasoning.” Is the causatum involved in the
communicatum. Grice relies on this only in Meaning Revisited, where he presents
a transcendental argument for the justification. This is what is referred in
the literature as “H. P. Grice’s Triangle.” Borrowing from Aristotle in De
Interpretatione, Grice speaks of three corners of the triangle and
correspondences obtaining between them. There’s a psychophysical correspondence
between the soul of the emissor, the soul of the emissee, and the shared experience
of the denotata of the communication device the emissor employs. Then there’s
the psychosemiotic correspondence between the communication device and the
state of the soul in the emissor that is transferred, in a soul-to-soul
transfer to the emissee. And finally, there is a semiophyiscal correspondence
between the communication device and the world. When it comes to the causation,
the belief that there is fire is caused by there being fire. The emissor wants
to transfer his belief, and utters. “Smoke!”. The soul-to-soul transfer is
effected. The fire that caused the smoke that caused the belief in the the
emissor now causes a belief in the emissee. If that’s not a causal account of
communication, I don’t know what it is. Grice is no expressionist in that a
solipsistic telementational model is of no use if there is no ‘hookup’ as he
puts it with the world that causes this ‘shared experience’ that is improved by
the existence of a communication device. Grice’s idea of ‘cause’ is his ‘bite’ on
reality. He chooses ‘Phenomenalism’ as an enemy. Causal realism is at the heart
of Grice’s programme. As an Oxonian, he was well aware that to trust a cause is
to be anti-Cambridge, where they follow Hume’s and Kant’s scepticism. Grice
uses ‘cause’ rather casually. His most serious joke is “Charles I’s
decapitation willed his death”but it is not easy to trace a philosopher who
explicitly claim that ‘to cause’ is ‘to will.’ For
in God the means and
the end preexist in the cause as willed together. Causation
figures large in Grice, notably re: the perceptum. The agent perceives that the
pillar box is red. The cause is that the pillar box is red. Out of that, Grice
constructs a whole theory of conversation. Why would someone just report what a
THING SEEMS to him when he has no doubt that it was THE THING that caused the
thing to SEEM red to him? Applying some sort of helpfulness, it works: the
addressee is obviously more interested in what the thing IS, not what it seems.
A sense-datum is not something you can eat. An apple is. So, the assumption is
that a report of what a thing IS is more relevant than a report about what a
thing SEEMS. So, Grice needs to find a
rationale that justifies, ceteris paribus, the utterance of “The thing seems
phi.” Following helpfulness, U utters “The thing seems phi” when the U is not
in a position to say what the thing IS phi. The denial, “The thing is not phi”
is in the air, and also the doubt, “The thing may not be phi.” Most without a
philosophical background who do not take Grice’s joke of echoing Kant’s
categories (Kant had 12, not 4!) play with quantitas, qualitas, relatio and
modus. Grice in “Causal” uses ‘weak’ and ‘strong’ but grants he won’t
‘determine’ in what way ‘the thing seems phi’ is ‘weaker’ than ‘the thing is
phi.’ It might well be argued that it’s STRONGER: the thing SEEEMS TO BE phi.’
In the previous “Introduction to Logical Theory,” Strawson just refers to
Grice’s idea of a ‘pragmatic rule’ to the effect that one utter the LOGICALLY
stronger proposition. Let’s revise dates. Whereas Grice says that his
confidence in the success of “Causal,” he ventured with Strawson’s “Intro,”
Strawson is citing Grice already. Admittedly, Strawson adds, “in a different
context.” But Grice seems pretty sure that “The thing seems phi” is WEAKER than
“The thing is phi.” In 1961 he is VERY CLEAR that while what he may have said
to Strawson that Strawson reported in that footnote was in terms of LOGICAL
STRENGTH (in terms of entailment, for extensional contexts). In “Causal,” Grice
is clear that he does not think LOGICAL STRENGTH applies to intensional
contexts. In later revisions, it is not altogether clear how he deals with the
‘doubt or denial.’ He seems to have been more interested in refuting G. A. Paul
(qua follower of Witters) than anything else. In his latest reformulation of
the principle, now a conversational category, he is not specific about
phenomenalist reports. A causal law is a statement describing a regular and
invariant connection between types of events or states, where the connections
involved are causal in some sense. When one speaks of causal laws as
distinguished from laws that are not 123 category mistake causal law 123 causal, the intended distinction may
vary. Sometimes, a law is said to be causal if it relates events or states
occurring at successive times, also called a law of succession: e.g.,
‘Ingestion of strychnine leads to death.’ A causal law in this sense contrasts
with a law of coexistence, which connects events or states occurring at the
same time e.g., the Wiedemann-Franz law relating thermal and electric
conductivity in metals. One important kind of causal law is the deterministic
law. Causal laws of this kind state exceptionless connections between events,
while probabilistic or statistical laws specify probability relationships
between events. For any system governed by a set of deterministic laws, given
the state of a system at a time, as characterized by a set of state variables,
these laws will yield a unique state of the system for any later time or,
perhaps, at any time, earlier or later. Probabilistic laws will yield, for a
given antecedent state of a system, only a probability value for the occurrence
of a certain state at a later time. The laws of classical mechanics are often
thought to be paradigmatic examples of causal laws in this sense, whereas the
laws of quantum mechanics are claimed to be essentially probabilistic. Causal
laws are sometimes taken to be laws that explicitly specify certain events as
causes of certain other events. Simple laws of this kind will have the form
‘Events of kind F cause events of kind G’; e.g., ‘Heating causes metals to
expand’. A weaker related concept is this: a causal law is one that states a
regularity between events which in fact are related as cause to effect, although
the statement of the law itself does not say so laws of motion expressed by
differential equations are perhaps causal laws in this sense. These senses of
‘causal law’ presuppose a prior concept of causation. Finally, causal laws may
be contrasted with teleological laws, laws that supposedly describe how certain
systems, in particular biological organisms, behave so as to achieve certain
“goals” or “end states.” Such laws are sometimes claimed to embody the idea
that a future state that does not as yet exist can exert an influence on the
present behavior of a system. Just what form such laws take and exactly how
they differ from ordinary laws have not been made wholly clear, however. Grice was not too happy with the causal
theory of proper names, the view that proper names designate what they name by
virtue of a kind of causal connection to it. Perhaps his antipathy was due to
the fact that he was Herbert Grice, and so was his father. This led Grice to
start using once at Clifton and Oxford, “H. P.” and eventually, dropping the
“Herbert” altogether and become “Paul Grice.” This view is a special case, and
in some instances an unwarranted interpretation, of a direct reference view of
names. On this approach, proper names, e.g., ‘Machiavelli’, are, as J. S. Mill
wrote, “purely denotative. . . . they denote the individuals who are called by
them; but they do not indicate or imply any attributes as belonging to those
individuals” A System of Logic, 1879. Proper names may suggest certain
properties to many competent speakers, but any such associated information is
no part of the definition of the name. Names, on this view, have no
definitions. What connects a name to what it names is not the latter’s
satisfying some condition specified in the name’s definition. Names, instead,
are simply attached to things, applied as labels, as it were. A proper name,
once attached, becomes a socially available device for making the relevant name
bearer a subject of discourse. On the other leading view, the descriptivist
view, a proper name is associated with something like a definition.
‘Aristotle’, on this view, applies by definition to whoever satisfies the
relevant properties e.g., is ‘the
teacher of Alexander the Great, who wrote the Nicomachean Ethics’. Russell,
e.g., maintained that ordinary proper names which he contrasted with logically
proper or genuine names have definitions, that they are abbreviated definite
descriptions. Frege held that names have sense, a view whose proper
interpretation remains in dispute, but is often supposed to be closely related
to Russell’s approach. Others, most notably Searle, have defended descendants
of the descriptivist view. An important variant, sometimes attributed to Frege,
denies that names have articulable definitions, but nevertheless associates
them with senses. And the bearer will still be, by definition as it were, the
unique thing to satisfy the relevant mode of presentation. causal
overdetermination causal theory of proper names 124 124 The direct reference approach is
sometimes misleadingly called the causal theory of names. But the key idea need
have nothing to do with causation: a proper name functions as a tag or label
for its bearer, not as a surrogate for a descriptive expression. Whence the
allegedly misleading term ‘causal theory of names’? Contemporary defenders of
Mill’s conception like Keith Donnellan and Kripke felt the need to expand upon
Mill’s brief remarks. What connects a present use of a name with a referent?
Here Donnellan and Kripke introduce the notion of a “historical chains of
communication.” As Kripke tells the story, a baby is baptized with a proper
name. The name is used, first by those present at the baptism, subsequently by
those who pick up the name in conversation, reading, and so on. The name is
thus propagated, spread by usage “from link to link as if by a chain” Naming
and Necessity, 0. There emerges a historical chain of uses of the name that,
according to Donnellan and Kripke, bridges the gap between a present use of the
name and the individual so named. This “historical chain of communication” is
occasionally referred to as a “casual chain of communication.” The idea is that
one’s use of the name can be thought of as a causal factor in one’s listener’s
ability to use the name to refer to the same individual. However, although
Kripke in Naming and Necessity does occasionally refer to the chain of
communication as causal, he more often simply speaks of the chain of
communication, or of the fact that the name has been passed “by tradition from
link to link” p. 106. The causal aspect is not one that Kripke underscores. In
more recent writings on the topic, as well as in lectures, Kripke never
mentions causation in this connection, and Donnellan questions whether the
chain of communication should be thought of as a causal chain. This is not to
suggest that there is no view properly called a “causal theory of names.” There
is such a view, but it is not the view of Kripke and Donnellan. The causal
theory of names is a view propounded by physicalistically minded philosophers
who desire to “reduce” the notion of “reference” to something more
physicalistically acceptable, such as the notion of a causal chain running from
“baptism” to later use. This is a view whose motivation is explicitly rejected
by Kripke, and should be sharply distinguished from the more popular anti-Fregean
approach sketched above. Causation is the relation between cause and effect, or
the act of bringing about an effect, which may be an event, a state, or an
object say, a statue. The concept of causation has long been recognized as one
of fundamental philosophical importance. Hume called it “the cement of the
universe”: causation is the relation that connects events and objects of this
world in significant relationships. The concept of causation seems pervasively
present in human discourse. It is expressed by not only ‘cause’ and its
cognates but by many other terms, such as ‘produce’, ‘bring about’, ‘issue’,
‘generate’, ‘result’, ‘effect’, ‘determine’, and countless others. Moreover,
many common transitive verbs “causatives”, such as ‘kill’, ‘break’, and ‘move’,
tacitly contain causal relations e.g., killing involves causing to die. The
concept of action, or doing, involves the idea that the agent intentionally
causes a change in some object or other; similarly, the concept of perception
involves the idea that the object perceived causes in the perceiver an
appropriate perceptual experience. The physical concept of force, too, appears
to involve causation as an essential ingredient: force is the causal agent of
changes in motion. Further, causation is intimately related to explanation: to
ask for an explanation of an event is, often, to ask for its cause. It is
sometimes thought that our ability to make predictions, and inductive inference
in general, depends on our knowledge of causal connections or the assumption
that such connections are present: the knowledge that water quenches thirst
warrants the predictive inference from ‘X is swallowing water’ to ‘X’s thirst
will be quenched’. More generally, the identification and systematic
description of causal relations that hold in the natural world have been
claimed to be the preeminent aim of science. Finally, causal concepts play a
crucial role in moral and legal reasoning, e.g., in the assessment of
responsibilities and liabilities. Event causation is the causation of one event
by another. A sequence of causally connected events is called a causal chain.
Agent causation refers to the act of an agent person, object in bringing about
a change; thus, my opening the window i.e., my causing the window to open is an
instance of agent causation. There is a controversy as to whether agent
causation is reducible to event causation. My opening the window seems
reducible to event causation since in reality a certain motion of my arms, an
event, causes the window to open. Some philosophers, however, have claimed that
not all cases of agent causation are so reducible. Substantival causation is
the creation of a genuinely new substance, or object, rather than causing
changes in preexisting substances, or merely rearranging them. The possibility
of substantival causation, at least in the natural world, has been disputed by
some philosophers. Event causation, however, has been the primary focus of
philosophical discussion in the modern and contemporary period. The analysis of
event causation has been controversial. The following four approaches have been
prominent: the regularity analysis, the counterfactual analysis, the
manipulation analysis, and the probabilistic analysis. The heart of the
regularity or nomological analysis, associated with Hume and J. S. Mill, is the
idea that causally connected events must instantiate a general regularity
between like kinds of events. More precisely: if c is a cause of e, there must
be types or kinds of events, F and G, such that c is of kind F, e is of kind G,
and events of kind F are regularly followed by events of kind G. Some take the
regularity involved to be merely de facto “constant conjunction” of the two
event types involved; a more popular view is that the regularity must hold as a
matter of “nomological necessity” i.e.,
it must be a “law.” An even stronger view is that the regularity must represent
a causal law. A law that does this job of subsuming causally connected events
is called a “covering” or “subsumptive” law, and versions of the regularity
analysis that call for such laws are often referred to as the “covering-law” or
“nomic-subsumptive” model of causality. The regularity analysis appears to give
a satisfactory account of some aspects of our causal concepts: for example,
causal claims are often tested by re-creating the event or situation claimed to
be a cause and then observing whether a similar effect occurs. In other
respects, however, the regularity account does not seem to fare so well: e.g.,
it has difficulty explaining the apparent fact that we can have knowledge of
causal relations without knowledge of general laws. It seems possible to know,
for instance, that someone’s contraction of the flu was caused by her exposure
to a patient with the disease, although we know of no regularity between such
exposures and contraction of the disease it may well be that only a very small
fraction of persons who have been exposed to flu patients contract the disease.
Do I need to know general regularities about itchings and scratchings to know
that the itchy sensation on my left elbow caused me to scratch it? Further, not
all regularities seem to represent causal connections e.g., Reid’s example of
the succession of day and night; two successive symptoms of a disease.
Distinguishing causal from non-causal regularities is one of the main problems
confronting the regularity theorist. According to the counterfactual analysis,
what makes an event a cause of another is the fact that if the cause event had
not occurred the effect event would not have. This accords with the idea that
cause is a condition that is sine qua non for the occurrence of the effect. The
view that a cause is a necessary condition for the effect is based on a similar
idea. The precise form of the counterfactual account depends on how
counterfactuals are understood e.g., if counterfactuals are explained in terms
of laws, the counterfactual analysis may turn into a form of the regularity
analysis. The counterfactual approach, too, seems to encounter various
difficulties. It is true that on the basis of the fact that if Larry had
watered my plants, as he had promised, my plants would not have died, I could
claim that Larry’s not watering my plants caused them to die. But it is also
true that if George Bush had watered my plants, they would not have died; but
does that license the claim that Bush’s not watering my plants caused them to
die? Also, there appear to be many cases of dependencies expressed by counterfactuals
that, however, are not cases of causal dependence: e.g., if Socrates had not
died, Xanthippe would not have become a widow; if I had not raised my hand, I
would not have signaled. The question, then, is whether these non-causal
counterfactuals can be distinguished from causal counterfactuals without the
use of causal concepts. There are also questions about how we could verify
counterfactuals in particular, whether
our knowledge of causal counterfactuals is ultimately dependent on knowledge of
causal laws and regularities. Some have attempted to explain causation in terms
of action, and this is the manipulation analysis: the cause is an event or
state that we can produce at will, or otherwise manipulate, to produce a
certain other event as an effect. Thus, an event is a cause of another provided
that by bringing about the first event we can bring about the second. This
account exploits the close connection noted earlier between the concepts of
action and cause, and highlights the important role that knowledge of causal
connections plays in our control of natural events. However, as an analysis of
the concept of cause, it may well have things backward: the concept of action
seems to be a richer and more complex concept that presupposes the concept of
cause, and an analysis of cause in terms of action could be accused of
circularity. The reason we think that someone’s exposure to a flu patient was
the cause of her catching the disease, notwithstanding the absence of an
appropriate regularity even one of high probability, may be this: exposure to
flu patients increases the probability of contracting the disease. Thus, an
event, X, may be said to be a probabilistic cause of an event, Y, provided that
the probability of the occurrence of Y, given that X has occurred, is greater
than the antecedent probability of Y. To meet certain obvious difficulties,
this rough definition must be further elaborated e.g., to eliminate the
possibility that X and Y are collateral effects of a common cause. There is
also the question whether probabilistic causation is to be taken as an analysis
of the general concept of causation, or as a special kind of causal relation,
or perhaps only as evidence indicating the presence of a causal relationship.
Probabilistic causation has of late been receiving increasing attention from
philosophers. When an effect is brought about by two independent causes either
of which alone would have sufficed, one speaks of causal overdetermination.
Thus, a house fire might have been caused by both a short circuit and a
simultaneous lightning strike; either event alone would have caused the fire,
and the fire, therefore, was causally overdetermined. Whether there are actual
instances of overdetermination has been questioned; one could argue that the
fire that would have been caused by the short circuit alone would not have been
the same fire, and similarly for the fire that would have been caused by the
lightning alone. The steady buildup of pressure in a boiler would have caused
it to explode but for the fact that a bomb was detonated seconds before,
leading to a similar effect. In such a case, one speaks of preemptive, or
superseding, cause. We are apt to speak of causes in regard to changes;
however, “unchanges,” e.g., this table’s standing here through some period of
time, can also have causes: the table continues to stand here because it is
supported by a rigid floor. The presence of the floor, therefore, can be called
a sustaining cause of the table’s continuing to stand. A cause is usually
thought to precede its effect in time; however, some have argued that we must
allow for the possibility of a cause that is temporally posterior to its
effect backward causation sometimes
called retrocausation. And there is no universal agreement as to whether a
cause can be simultaneous with its effect
concurrent causation. Nor is there a general agreement as to whether
cause and effect must, as a matter of conceptual necessity, be “contiguous” in
time and space, either directly or through a causal chain of contiguous events contiguous causation. The attempt to
“analyze” causation seems to have reached an impasse; the proposals on hand
seem so widely divergent that one wonders whether they are all analyses of one
and the same concept. But each of them seems to address some important aspect
of the variegated notion that we express by the term ‘cause’, and it may be
doubted whether there is a unitary concept of causation that can be captured in
an enlightening philosophical analysis. On the other hand, the centrality of the
concept, both to ordinary practical discourse and to the scientific description
of the world, is difficult to deny. This has encouraged some philosophers to
view causation as a primitive, one that cannot be further analyzed. There are
others who advocate the extreme view causal nihilism that causal concepts play
no role whatever in the advanced sciences, such as fundamental physical
theories of space-time and matter, and that the very notion of cause is an
anthropocentric projection deriving from our confused ideas of action and
power. Causatum -- Dretske, Fred b.2,
philosopher best known for his externalistic representational naturalism
about experience, belief, perception, and knowledge. Educated at Purdue and the
of Minnesota, he has taught at the
of Wisconsin 088 and Stanford
898. In Seeing and Knowing 9 Dretske develops an account of
non-epistemic seeing, denying that seeing is believing that for a subject S to see a dog, say, S
must apply a concept to it dog, animal, furry. The dog must look some way to S
S must visually differentiate the dog, but need not conceptually categorize it.
This contrasts with epistemic seeing, where for S to see that a dog is before
him, S would have to believe that it is a dog. In Knowledge and the Flow of
Information 1, a mind-independent objective sense of ‘information’ is applied
to propositional knowledge and belief content. “Information” replaced Dretske’s
earlier notion of a “conclusive reason” 1. Knowing that p requires having a
true belief caused or causally sustained by an event that carries the
information that p. Also, the semantic content of a belief is identified with
the most specific digitally encoded piece of information to which it becomes
selectively sensitive during a period of learning. In Explaining Behavior 8,
Dretske’s account of representation and misrepresentation takes on a
teleological flavor. The semantic meaning of a structure is now identified with
its indicator function. A structure recruited for a causal role of indicating
F’s, and sustained in that causal role by this ability, comes to mean F thereby providing a causal role for the
content of cognitive states, and avoiding epiphenomenalism about semantic
content. In Naturalizing the Mind 5, Dretske’s theory of meaning is applied to
the problems of consciousness and qualia. He argues that the empirically
significant features of conscious experience are exhausted by their functional
and hence representational roles of indicating external sensible properties. He
rejects the views that consciousness is composed of a higher-order hierarchy of
mental states and that qualia are due to intrinsic, non-representational
features of the underlying physical systems. Dretske is also known for his
contributions on the nature of contrastive statements, laws of nature,
causation, and epistemic non-closure, among other topics. CAUSATUM -- Ducasse, C. J., philosopher of
mind and aesthetician. He arrived in the United States in 0, received his Ph.D.
from Harvard 2, and taught at the of
Washington 226 and Brown 658. His most
important work is Nature, Mind and Death 1. The key to his general theory is a
non-Humean view of causation: the relation of causing is triadic, involving i
an initial event, ii the set of conditions under which it occurs, and iii a
resulting event; the initial event is the cause, the resulting event is the
effect. On the basis of this view he constructed a theory of categories an explication of such concepts as those of
substance, property, mind, matter, and body. Among the theses he defended were
that minds are substances, that they causally interact with bodies, and that
human beings are free despite every event’s having a cause. In A Critical
Examination of the Belief in a Life after Death 1, he concluded that “the
balance of the evidence so far obtained is on the side of . . . survival.” Like
Schopenhauer, whom he admired, Ducasse was receptive to the religious and
philosophical writings of the Far East. He wrote with remarkable objectivity on
the philosophical problems associated with so-called paranormal phenomena.
Ducasse’s epistemological views are developed in Truth, Knowledge and Causation
8. He sets forth a realistic theory of perception he says, about
sense-qualities, “Berkeley is right and the realists are wrong” and, of material
things, “the realists are right and Berkeley is wrong”. He provides the
classical formulation of the “adverbial theory” or sense-qualities, according
to which such qualities are not objects of experience or awareness but ways of
experiencing or of being aware. One does not perceive a red material object by
sensing a red sense-datum; for then perceiving would involve three
entities i the perceiving subject, ii
the red sense-datum, and iii the red material object. But one may perceive a
red material object by sensing redly; then the only entities involved are i the
perceiving subject and ii the material object. Ducasse observes that,
analogously, although it may be natural to say “dancing a waltz,” it would be
more accurate to speak of “dancing waltzily.” causatumcausarum
causare causaturus causatum causansGrice: “The Romans never needed a verb, to
causethe monks did!” But the Romans had ‘causari, and causatum, surely. -- causa sui: an expression used by Grice’s
mother, a High Church, as applied to God to mean in part that God owes his
existence to nothing other than himself. It does not mean that God somehow
brought himself into existence. The idea is that the very nature of God
logically requires that he exists. What accounts for the existence of a being
that is causa sui is its own nature.
celsus: philosopher known only as the author of a work called
“Alethes logos,” which is quoted extensively by Origen of Alexandria in his
response, Against Celsus. “Alethes logos” is mainly important because it is the
first anti-Christian polemic of which we have significant knowledge. Origen
considers Celsus to be an Epicurean, but he is uncertain about this. There are
no traces of Epicureanism in Origen’s quotations from Celsus, which indicate
instead that he is a platonist, whose conception of an unnameable first deity
transcending being and knowable only by “synthesis, analysis, or analogy” is
based on Plato’s description of the Good in Rep. VI. In accordance with the
Timaeus, Celsus believes that God created “immortal things” and turned the
creation of “mortal things” over to them. According to him, the universe has a
providential organization in which humans hold no special place, and its
history is one of eternally repeating sequences of events separated by catastrophes.
centro per la filosofia italianathe title is telling. A centro is like a a ‘centre,’ but Oxford would
not have a ‘centre.’It’s more of a ‘new-world’ thingCenter for Advanced
Studies, say. A centro is like a ‘circle,’ as in the Vienna Circcle. This
‘centro’ is not for philosophical research, but for Italian philosophy
simpliciter.
certum: While Grice plays with ‘certum,’ he is happier with
UNcertum. To be certain is to have dis-cerned. Oddly, Grice ‘evolved’ from an
interest in the certainty and incorrigibility that ‘ordinary’ and the
first-person gives to situations of ‘conversational improbability’ and
indeterminate implicatura under conditions of ceteris paribus risk and
uncertainty in survival. “To be certain that p” is for Grice one of those
‘diaphanous’ verbs. While it is best to improve Descartes’s fuzzy lexiconand
apply ‘certus’ to the emissor, if Grice is asked, “What are you certain of?,”
“I have to answer, ‘p’”. certum:
certitude, from ecclesiastical medieval Roman “certitudo,” designating in
particular Christian conviction, is heir to two meanings of “certum,” one
objective and the other subjective: beyond doubt, fixed, positive, real,
regarding a thing or knowledge, or firm in his resolutions, decided, sure,
authentic, regarding an individual. Although certitudo has no Grecian
equivalent, the Roman verb “cernere,” (cf. discern), from which “certum” is
derived, has the concrete meaning of pass through a sieve, discern, like the
Grecian “ϰρίνειν,” select, sieve, judge, which comes from the same root. Thus
begins the relationship between certitude, judgment, and truth, which since
Descartes has been connected with the problematics of the subject and of
self-certainty. The whole terminological system of truth is thus involved, from
unveiling and adequation to certitude and obviousness. Then there’s Certainty,
Objectivity, Subjectivity, and Linguistic Systems The objective aspect manifests itself first,
“certitudo” translating e. g. the
determined nature of objects or known properties as the commentaries on
Aristotle’s Met. translated into Roman, or the incontestably true nature of
principles. With the revolution of the subject inaugurated by Cartesian Phil. ,
the second aspect comes to the fore: some reasons, ideas, or propositions are
true and certain, or true and evident, but the most certain and the most
evident of all, and thus in a sense the truest, is the certitude of my own
existence, a certainty that the subject attributes to itself: The thematics of
certainty precedes that of consciousness both historically and logically, but
it ends up being incorporated and subordinated by it. Certainty thus becomes a
quality or disposition of the subject that reproduces, in the field of rational
knowledge, the security or assurance that the believer finds in religious
faith, and that shields him from the wavering of the soul. It will be noted
that Fr. retains the possibility of
reversing the perspective by exploiting the Roman etymology, as Descartes does
in the Principles of Phil. when he
transforms the certitudo probabilis of the Scholastics Aquinas into moral
certainty. On the other hand, Eng. tends to objectify “certainty” to the
maximum in opposition to belief v. BELIEF, whereas G. hears in “Gewissheit” the root “wissen,” to
know, to have learned and situates it in a series with Bewusstsein and
Gewissen, clearly marking the constitutive relationship to the subject in
opposition to Glaube on the one hand, and to Wahrheit and Wahrscheinlichkeit
lit., appearance of truth, i.e., probability on the other. Then there’s Knots
of Problems On the relations between
certainty and belief, the modalities of subjective experience. On the relation
between individual certainty and the wise man’s constancy. On the relations
between certainty and truth, the confrontation between subjectivity and objectivity
in the development of knowledge. On the relations between certainty and
probability, the modalities of objective knowledge insofar as it is related to
a subject’s experience. uncertainty.
This is Grice’s principle of uncertainty. One of Grice’s problem is with ‘know’
and ‘certainty.’ He grants that we only know that 2 + 2 = 4. He often
identifies ‘knowledge’ with ‘certainty.’ He does not explore a cancellation
like, “I am certain but I do not know.” The reason being that he defends common
sense against the sceptic, and so his attitude towards certainty has to be very
careful. The second problem is that he wants ‘certainty’ to deal within the
desiderative realm. To do that, he divides an act of intending into two: an act
of accepting and act of willing. The ‘certainty’ is found otiose if the
intender is seen as ‘willing that p’ and accepting that the willing will be the
cause for the desideratum to obtain. n
WoW:141, Grice proposes that ‘A is certain that p’ ENTAILS either ‘A is certain
that he is certain that p, OR AT LEAST that it is not the case that A is
UNCERTAIN that A is certain that p.” ‘Certainly,’ appears to apply to
utterances in the credibility and the desirability realm. Grice sometimes uses
‘to be sure.’ He notoriously wants to distinguish it from ‘know.’ Grice
explores the topic of incorrigibility and ends up with corrigibility which
almost makes a Popperian out of him. In the end, its all about the
converational implciata and conversation as rational co-operation. Why does P2
should judge that P1 is being more or less certain about what he is talking?
Theres a rationale for that. Our conversation does not consist of idle remarks.
Grices example: "The Chairman of the British Academy has a corkscrew in
his pocket. Urmsons example: "The king is visiting Oxford tomorrow. Why?
Oh, for no reason at all. As a philosophical psychologist, and an empiricist
with realist tendencies, Grice was obsessed with what he called (in a nod to
the Kiparskys) the factivity of know. Surely, Grices preferred collocation,
unlike surely Ryles, is "Grice knows that p." Grice has no problem in
seeing this as involving three clauses: FirstSecond, Grice believes that p, and
third, p causes Grices belief. No mention of certainty. This is the
neo-Prichardian in Grice, from having been a neo-Stoutian (Stout was obsessed,
as a few Oxonians like Hampshire and Hart were, with certainty). If the
three-prong analysis of know applies to the doxastic, Grices two-prong analysis
of intending in ‘Intention and UNcertainty,’ again purposively avoiding
certainty, covers the buletic realm. This does not mean that Grice, however
proud he was of his ignorance of the history of philosophy (He held it as a
badge of honour, his tuteee Strawson recalls), had read some of the
philosophical classics to realise that certainty had been an obsession of what
Ryle abusively (as he himself puts it) called Descartes and the Establishments
"official doctrine"! While ps true in Grices analysis of know is
harmless enough, there obviously is no correlate for ps truth in the buletic
case. Grices example is Grice intending to scratch his head, via his willing
that Grice scratches his head in t2. In this case, as he notes, the doxastic
eleent involves the uniformity of nature, and ones more or less relying that if
Grice had a head to be scratched in t1, he will have a head to be sratched in
t2, when his intention actually GETS satisfied, or fulfilled. Grice was never
worried about buletic satisfaction. As the intentionalist that Suppes showed us
Grice was, Grice is very much happy to say that if Smith intends to give Joness
a job, the facct as to whether Jones actually gets the job is totally
irrelevant for most philosophical purposes. He gets more serious when he is
happier with privileged access than incorrigibility in “Method.” But he is less
strict than Austin. For Austin, "That is a finch implies that the utterer
KNOWS its a finch. While Grice has a maxim, do not say that for which you lack
adequate evidence (Gettiers analysandum) and a super-maxim, try to make
your contribution one that is true, the very phrasing highlights Grices
cavalier to this! Imagine Kant turning on his grave. "Try!?". Grice
is very clever in having try in the super-maxim, and a prohibition as the
maxim, involving falsehood avoidance, "Do not say what you believe to be
false." Even here he is cavalier. "Cf. "Do not say what you KNOW
to be false." If Gettier were wrong, the combo of maxims yields, "Say
what you KNOW," say what you are certain about! Enough for Sextus
Empiricus having one single maxim: "Either utter a phenomenalist
utterance, a question or an order, or keep your mouth shut!." (cf. Grice,
"My lips are sealed," as cooperative or helfpul in ways -- "At
least he is not lying."). Hampshire, in the course of some recent
remarks,l advances the view that self-prediction is (logically) impossible.
When I say I know that I shall do X (as against, e.g., X will happen to me, or
You will do X), I am not contemplating myself, as I might someone else, and
giving tongue to a conjecture about myself and my future acts, as I might be
doing about someone else or about the behaviour ofan animal -for that would be
tantamount (if I understand him rightly) to looking upon myself from outside,
as it were, and treating my own acts as mere caused events. In saying that I
know that I shall do X, I am, on this view, saying that I have decided to do X:
for to predict that I shall in certain circumstances in fact do X or decide to
do X, with no reference to whether or not I have already decided to do itto say
I can tell you now that I shall in fact act in manner X, although I am, as a
matter of fact, determined to do the very oppositedoes not make sense. Any man
who says I know myself too well to believe that, whatever I now decide, I shall
do anything other than X when the circumstances actually arise is in fact, if I
interpret Hampshires views correctly, saying that he does not really, i.e.
seriously, propose to set himself against doing X, that he does not propose
even to try to act otherwise, that he has in fact decided to let events take
their course. For no man who has truly decided to try to avoid X can, in good
faith, predict his own failure to act as he has decided. He may fail to avoid
X, and he may predict this; but he cannot both decide to try to avoid X and
predict that he will not even try to do this; for he can always try; and he
knows this: he knows that this is what distinguishes him from non-human
creatures in nature. To say that he will fail even to try is tantamount to
saying that he has decided not to try. In this sense I know means I have
decided and (Murdoch, Hampshire, Gardiner and Pears, Freedom and Knowledge, in
Pears, Freedom and the Will) cannot in principle be predictive. That, if I have
understood it, is Hampshires position, and I have a good deal of sympathy with
it, for I can see that self-prediction is often an evasive way of disclaiming
responsibility for difficult decisions, while deciding in fact to let events
take their course, disguising this by attributing responsibility for what
occurs to my own allegedly unalterable nature. But I agree with Hampshires
critics in the debate, whom I take to be maintaining that, although the
situation he describes may often occur, yet circumstances may exist in which it
is possible for me both to say that I am, at this moment, resolved not to do X,
and at the same time to predict that I shall do X, because I am not hopeful
that, when the time comes, I shall in fact even so much as try to resist doing
X. I can, in effect, say I know myself well. When the crisis comes, do not rely
on me to help you. I may well run away; although I am at this moment genuinely
resolved not to be cowardly and to do all I can to stay at your side. My
prediction that my resolution will not in fact hold up is based on knowledge of
my own character, and not on my present state of mind; my prophecy is not a
symptom of bad faith (for I am not, at this moment, vacillating) but, on the
contrary, of good faith, of a wish to face the facts. I assure you in all
sincerity that my present intention is to be brave and resist. Yet you would
run a great risk if you relied too much on my present decision; it would not be
fair to conceal my past failures of nerve from you. I can say this about
others, despite the most sincere resolutions on their part, for I can foretell
how in fact they will behave; they can equally predict this about me. Despite
Hampshires plausible and tempting argument, I believe that such objective
self-knowledge is possible and occur. From Descartes to Stout and back.
Stout indeed uses both intention and certainty, and in the same paragraph.
Stout notes that, at the outset, performance falls far short of intention. Only
a certain s. of contractions of certain muscles, in proper proportions and in a
proper order, is capable of realising the end aimed at, with the maximum of
rapidity and certainty, and the minimum of obstruction and failure, and
corresponding effort. At the outset of the process of acquisition, muscles are
contracted which are superfluous, and which therefore operate as disturbing
conditions. Grices immediate trigger, however, is Ayer on sure that, and
having the right to be sure, as his immediate trigger later will be Hampshire
and Hart. Grice had high regard for Hampshires brilliant Thought and action.
He was also concerned with Stouts rather hasty UNphilosophical, but more
scientifically psychologically-oriented remarks about assurance in practical
concerns. He knew too that he was exploring an item of the philosophers lexicon
(certus) that had been brought to the forum when Anscombe and von Wright
translate Witters German expression Gewißheit in Über
Gewißheit as Certainty. The Grecians were never sure about being sure. But
the modernist turn brought by Descartes meant that Grice now had to deal with
incorrigibility and privileged access to this or that P, notably himself (When
I intend to go, I dont have to observe myself, Im on the stage, not in the
audience, or Only I can say I will to London, expressing my intention to do so.
If you say, you will go you are expressing yours! Grice found Descartes
very funny ‒ in a French way. Grice is interested in contesting Ayer and other
Oxford philosophers, on the topic of a criterion for certainty. In so
doing, Grice choses Descartess time-honoured criterion of clarity and
distinction, as applied to perception. Grice does NOT quote
Descartes in French! In the proceedings, Grice distinguishes between two
kinds of certainty apparently ignored by Descartes: (a) objective
certainty: Ordinary-language variant: It is certain that p, whatever
it refers to, cf. Grice, it is an illusion; what is it? (b) Subjective
certainty: Ordinary-language variant: I am certain that p. I
being, of course, Grice, in my bestest days, of course! There are further
items on Descartes in the Grice Collection, notably in the last s. of topics
arranged alphabetically. Grice never cared to publish his views on
Descartes until he found an opportunity to do so when compiling his WOW. Grice
is not interested in an exegesis of Descartess thought. He doesnt care to give
a reference to any edition of Descartess oeuvre. But he plays with certain. It
is certain that p is objective certainty, apparently. I am certain that p is
Subjectsive certainty, rather. Oddly, Grice will turn to UNcertainty as it connects
with intention in his BA lecture. Grices interest in Descartes connects
with Descartess search for a criterion of certainty in terms of clarity and
distinction of this or that perception. Having explored the philosophy of
perception with Warnock, its only natural he wanted to give Descartess rambles
a second and third look! Descartes on clear and distinct perception, in WOW, II
semantics and metaphysics, essay, Descartes on clear and distinct perception
and Malcom on dreaming, perception, Descartes, clear and distinct perception,
Malcolm, dreaming. Descartes meets Malcolm, and vice versa.
Descartes on clear and distinct perception, in WOW, Descartes on clear and
distinct perception, Descartes on clear and distinct perception, in WOW, part
II, semantics and metaphysics, essay. Grice gives a short overview of Cartesian
metaphysics for the BBC 3rd programme. The best example, Grice
thinks, of a metaphysical snob is provided by Descartes, about whose
idea of certainty Grice had philosophised quite a bit, since it is in total
contrast with Moore’s. Descartes is a very scientifically
minded philosopher, with very clear ideas about the proper direction for science. Descartes,
whose middle Names seems to have been Euclid, thinks that mathematics, and in
particular geometry, provides the model for a scientific procedure, or
method. And this determines all of Descartess thinking in two ways. First,
Descartes thinks that the fundamental method in science is the axiomatic
deductive method of geometry, and this Descartes conceives (as Spinoza morality
more geometrico) of as rigorous reasoning from a self-evident axiom (Cogito,
ergo sum.). Second, Descartes thinks that the Subjects matter of physical
science, from mechanics to medicine, must be fundamentally the same as the
Subjects matter of geometry! The only characteristics that the objects studied
by geometry poses are spatial characteristics. So from the point of view of
science in general, the only important features of things in the physical world
were also their spatial characteristics, what he called extensio, res extensa.
Physical science in general is a kind of dynamic, or kinetic, geometry.
Here we have an exclusive preference for a certain type of scientific
method, and a certain type of scientific explanation: the method is deductive,
the type of explanation mechanical. These beliefs about the right way to do
science are exactly reflected in Descartess ontology, one of the two branches
of metaphysics; the other is philosophical eschatology, or the study of
categories), and it is reflected in his doctrine, that is, about what really
exists. Apart from God, the divine substance, Descartes recognises just
two kinds of substance, two types of real entity. First, there is material
substance, or matter; and the belief that the only scientifically important
characteristics of things in the physical world are their spatial
characteristics goes over, in the language of metaphysics, into the doctrine
that these are their only characteristics. Second, and to Ryle’s horror,
Descartes recognizes the mind or soul, or the mental substance, of which the
essential characteristic is thinking; and thinking itself, in its pure form at
least, is conceived of as simply the intuitive grasping of this or
that self-evident axiom and this or that of its deductive consequence. These
restrictive doctrines about reality and knowledge naturally call for
adjustments elsewhere in our ordinary scheme of things. With the help of the
divine substance, these are duly provided. It is not always obvious that
the metaphysicians scheme involves this kind of ontological preference, or
favoritism, or prejudice, or snobbery this tendency, that is, to promote one or
two categories of entity to the rank of the real, or of the ultimately real, to
the exclusion of others, Descartess entia realissima. One is taught at Oxford
that epistemology begins with the Moderns such as Descartes, which is not true.
Grice was concerned with “certain,” which was applied in Old Roman times to
this or that utterer: the person who is made certain in reference to a thing,
certain, sure. Lewis and Short have a few quotes: “certi sumus periisse omnia;”
“num quid nunc es certior?,” “posteritatis, i. e. of posthumous fame,”
“sententiæ,” “judicii,” “certus de suā geniturā;” “damnationis;” “exitii,”
“spei,” “matrimonii,” “certi sumus;” in the phrase “certiorem facere aliquem;”
“de aliquā re, alicujus rei, with a foll, acc. and inf., with a rel.-clause or
absol.;” “to inform, apprise one of a thing: me certiorem face: “ut nos facias
certiores,” “uti Cæsarem de his rebus certiorem faciant;” “qui certiorem me sui
consilii fecit;” “Cæsarem certiorem faciunt, sese non facile ab oppidis vim
hostium prohibere;” “faciam te certiorem quid egerim;” with subj. only,
“milites certiores facit, paulisper intermitterent proelium,” pass., “quod
crebro certior per me fias de omnibus rebus,” “Cæsar certior factus est, tres
jam copiarum partes Helvetios id flumen transduxisse;” “factus certior, quæ res
gererentur,” “non consulibus certioribus factis,” also in posit., though
rarely; “fac me certum quid tibi est;” “lacrimæ suorum tam subitæ matrem certam
fecere ruinæ,” uncertainty, Grice loved the OED, and its entry for will
was his favourite. But he first had a look to shall. For Grice, "I shall
climb Mt. Everest," is surely a prediction. And then Grice turns to the
auxiliary he prefers, will. Davidson, Intending, R. Grandy and Warner,
PGRICE. “Uncertainty,” “Aspects.” “Conception,” Davidson on intending,
intending and trying, Brandeis.”Method,” in “Conception,” WOW . Hampshire and
Hart. Decision, intention, and certainty, Mind, Harman, Willing and intending
in PGRICE. Practical reasoning. Review of Met.
29. Thought, Princeton, for functionalist approach alla Grice’s
“Method.” Principles of reasoning. Rational action and the extent of intention.
Social theory and practice. Jeffrey, Probability kinematics, in The logic of
decision, cited by Harman in PGRICE. Kahneman and Tversky, Judgement under
uncertainty, Science, cited by Harman in PGRICE. Nisbet and Ross, Human
inference, cited by Harman in PGRICE. Pears, Predicting and deciding. Prichard,
Acting, willing, and desiring, in Moral obligations, Oxford ed. by Urmson Speranza, The Grice Circle Wants You. Stout, Voluntary
action. Mind 5, repr in Studies in philosophy and psychology, Macmillan, cited
by Grice, “Uncertainty.” Urmson, ‘Introduction’ to Prichard’s ‘Moral
obligations.’ I shant but Im not certain I wontGrice. How uncertain can
Grice be? This is the Henriette Herz BA lecture, and as such published in The
Proceedings of the BA. Grice calls himself a neo-Prichardian (after the
Oxford philosopher) and cares to quote from a few other
philosophers ‒ some of whom he was not necessarily associated with:
such as Kenny and Anscombe, and some of whom he was, notably Pears. Grices
motto: Where there is a neo-Prichardian willing, there is a palæo-Griceian way!
Grice quotes Pears, of Christ Church, as the philosopher he found especially
congenial to explore areas in what both called philosophical psychology,
notably the tricky use of intending as displayed by a few philosophers even in
their own circle, such as Hampshire and Hart in Intention, decision, and
certainty. The title of Grices lecture is meant to provoke that pair of
Oxonian philosophers Grice knew so well and who were too ready to bring in
certainty in an area that requires deep philosophical exploration. This is
the Henriette Herz Trust annual lecture. It means its delivered
annually by different philosophers, not always Grice! Grice had been appointed
a FBA earlier, but he took his time to deliver his lecture. With your
lecture, you implicate, Hi! Grice, and indeed Pears, were motivated by
Hampshires and Harts essay on intention and certainty in Mind. Grice knew
Hampshire well, and had actually enjoyed his Thought and Action. He preferred
Hampshires Thought and action to Anscombes Intention. Trust Oxford being what
it is that TWO volumes on intending are published in the same year! Which one
shall I read first? Eventually, neither ‒ immediately. Rather, Grice managed to
unearth some sketchy notes by Prichard (he calls himself a neo-Prichardian)
that Urmson had made available for the Clarendon Press ‒ notably Prichards
essay on willing that. Only a Corpus-Christi genius like Prichard will distinguish
will to, almost unnecessary, from will that, so crucial. For Grice, wills that
, unlike wills to, is properly generic,
in that p, that follows the that-clause, need NOT refer to the Subjects of the
sentence. Surely I can will that Smith wins the match! But Grice also quotes
Anscombe (whom otherwise would not count, although they did share a discussion
panel at the American Philosophical Association) and Kenny, besides
Pears. Of Anscombe, Grice borrows (but never returns) the direction-of-fit
term of art, actually Austinian. From Kenny, Grice borrows (and returns) the
concept of voliting. His most congenial approach was Pearss. Grice had of
course occasion to explore disposition and intention on earlier
occasions. Grice is especially concerned with a dispositional analysis to
intending. He will later reject it in “Uncertainty.” But that was
Grice for you! Grice is especially interested in distinguishing his views from
Ryles over-estimated dispositional account of intention, which Grice sees as reductionist,
and indeed eliminationist, if not boringly behaviourist, even in analytic key.
The logic of dispositions is tricky, as Grice will later explore in connection
with rationality, rational propension or propensity, and metaphysics, the as if
operator). While Grice focuses on uncertainty, he is trying to be funny. He
knew that Oxonians like Hart and Hampshire were obsessed with certainty. I
was so surprised that Hampshire and Hart were claiming decision and intention
are psychological states about which the agent is certain, that I decided
on the spot that that could certainly be a nice topic for my BA lecture! Grice
granted that in some cases, a declaration of an intention can be authorative in
a certain certain way, i. e. as implicating certainty. But Grice wants us to
consider: Marmaduke Bloggs intends to climb Mt. Everest. Surely he cant be
certain hell succeed. Grice used the same example at the APA, of all
places. To amuse Grice, Davidson, who was present, said: Surely thats
just an implicaturum! Just?! Grice was almost furious in his British
guarded sort of way. Surely not just! Pears, who was also present,
tried to reconcile: If I may, Davidson, I think Grice would take it that,
if certainty is implicated, the whole thing becomes too social to be
true. They kept discussing implicaturum versus entailment. Is
certainty entailed then? Cf. Urmson on certainly vs. knowingly, and believably.
Davidson asked. No, disimplicated! is Grices curt reply. The next
day, he explained to Davidson that he had invented the concept of disimplicaturum
just to tease him, and just one night before, while musing in the hotel room!
Talk of uncertainty was thus for Grice intimately associated with his concern
about the misuse of know to mean certain, especially in the exegeses that Malcolm
made popular about, of all people, Moore! V. Scepticism and common sense and
Moore and philosophers paradoxes above, and Causal theory and Prolegomena for a
summary of Malcoms misunderstanding Moore! Grice manages to quote from Stouts
Voluntary action and Brecht. And he notes that not all speakers are as
sensitive as they should be (e.g. distinguishing modes, as realised by shall
vs. will). He emphasizes the fact that Prichard has to be given great credit
for seeing that the accurate specification of willing should be willing that
and not willing to. Grice is especially interested in proving Stoutians (like
Hampshire and Hart) wrong by drawing from Aristotles prohairesis-doxa
distinction, or in his parlance, the buletic-doxastic distinction. Grice quotes
from Aristotle. Prohairesis cannot be opinion/doxa. For opinion is thought to
relate to all kinds of things, no less to eternal things and impossible things
than to things in our own power; and it is distinguished by its falsity or
truth, not by its badness or goodness, while choice is distinguished rather by
these. Now with opinion in general perhaps no one even says it is identical.
But it is not identical even with any kind of opinion; for by choosing or
deciding, or prohairesis, what is good or bad we are men of a certain
character, which we are not by holding this or that opinion or doxa. And we
choose to get or avoid something good or bad, but we have opinions about what a
thing is or whom it is good for or how it is good for him; we can hardly be
said to opine to get or avoid anything. And choice is praised for being related
to the right object rather than for being rightly related to it, opinion for
being truly related to its object. And we choose what we best know to be good,
but we opine what we do not quite know; and it is not the same people that are
thought to make the best choices and to have the best opinions, but some are
thought to have fairly good opinions, but by reason of vice to choose what they
should not. If opinion precedes choice or accompanies it, that makes no
difference; for it is not this that we are considering, but whether it is
identical with some kind of opinion. What, then, or what kind of thing is it,
since it is none of the things we have mentioned? It seems to be voluntary, but
not all that is voluntary to be an object of choice. Is it, then, what has been
decided on by previous deliberation? At any rate choice involves a rational
principle and thought. Even the Names seems to suggest that it is what is
chosen before other things. His final analysis of G intends that p is in terms
of, B1, a buletic condition, to the effect that G wills that p, and D2, an
attending doxastic condition, to the effect that G judges that B1 causes p.
Grice ends this essay with a nod to Pears and an open point about the
justifiability (other than evidential) for the acceptability of the agents
deciding and intending versus the evidential justifiability of the agents
predicting that what he intends will be satisfied. It is important to note that
in his earlier Disposition and intention, Grice dedicates the first part to
counterfactual if general. This is a logical point. Then as an account for a
psychological souly concept ψ. If G does A, sensory input, G does B,
behavioural output. No ψ without the behavioural output that ψ is meant to
explain. His problem is with the first person. The functionalist I does not
need a black box. The here would be both
incorrigibility and privileged access. Pology only explains their evolutionary
import. Certum -- Certainty: cf. H. P. Grice, “Intention and uncertainty.” the
property of being certain, which is either a psychological property of persons
or an epistemic feature of proposition-like objects e.g., beliefs, utterances,
statements. We can say that a person, S, is psychologically certain that p
where ‘p’ stands for a proposition provided S has no doubt whatsoever that p is
true. Thus, a person can be certain regardless of the degree of epistemic
warrant for a proposition. In general, philosophers have not found this an
interesting property to explore. The exception is Peter Unger, who argued for
skepticism, claiming that 1 psychological certainty is required for knowledge
and 2 no person is ever certain of anything or hardly anything. As applied to
propositions, ‘certain’ has no univocal use. For example, some authors e.g.,
Chisholm may hold that a proposition is epistemically certain provided no
proposition is more warranted than it. Given that account, it is possible that
a proposition is certain, yet there are legitimate reasons for doubting it just
as long as there are equally good grounds for doubting every equally warranted
proposition. Other philosophers have adopted a Cartesian account of certainty
in which a proposition is epistemically certain provided it is warranted and
there are no legitimate grounds whatsoever for doubting it. Both Chisholm’s and
the Cartesian characterizations of epistemic certainty can be employed to
provide a basis for skepticism. If knowledge entails certainty, then it can be argued
that very little, if anything, is known. For, the argument continues, only
tautologies or propositions like ‘I exist’ or ‘I have beliefs’ are such that
either nothing is more warranted or there are absolutely no grounds for doubt.
Thus, hardly anything is known. Most philosophers have responded either by
denying that ‘certainty’ is an absolute term, i.e., admitting of no degrees, or
by denying that knowledge requires certainty Dewey, Chisholm, Vitters, and
Lehrer. Others have agreed that knowledge does entail absolute certainty, but
have argued that absolute certainty is possible e.g., Moore. Sometimes
‘certain’ is modified by other expressions, as in ‘morally certain’ or
‘metaphysically certain’ or ‘logically certain’. Once again, there is no
universally accepted account of these terms. Typically, however, they are used
to indicate degrees of warrant for a proposition, and often that degree of
warrant is taken to be a function of the type of proposition under
consideration. For example, the proposition that smoking causes cancer is
morally certain provided its warrant is sufficient to justify acting as though
it were true. The evidence for such a proposition may, of necessity, depend
upon recognizing particular features of the world. On the other hand, in order
for a proposition, say that every event has a cause, to be metaphysically
certain, the evidence for it must not depend upon recognizing particular
features of the world but rather upon recognizing what must be true in order
for our world to be the kind of world it is
i.e., one having causal connections. Finally, a proposition, say that
every effect has a cause, may be logically certain if it is derivable from
“truths of logic” that do not depend in any way upon recognizing anything about
our world. Since other taxonomies for these terms are employed by philosophers,
it is crucial to examine the use of the terms in their contexts. Refs.: The main source is his BA lecture on
‘uncertainty,’ but using the keyword ‘certainty’ is useful too. His essay on
Descartes in WoW is important, and sources elsehere in the Grice Papers, such
as the predecessor to the “Uncertainty” lecture in “Disposition and intention,”
also his discussion of avowal (vide references above), incorrigibility and
privileged access in “Method,” repr. in “Conception,” BANC
character, mid-14c., carecter,
"symbol marked or branded on the body;" mid-15c., "symbol or
drawing used in sorcery;" late 15c., "alphabetic letter, graphic
symbol standing for a sound or syllable;" from Old French caratere
"feature, character" (13c., Modern French caractère), from Latin
character, from Greek kharaktēr "engraved mark," also "symbol or
imprint on the soul," properly "instrument for marking," from
kharassein "to engrave," from kharax "pointed stake," a word
of uncertain etymology which Beekes considers "most probably
Pre-Greek." The Latin ch- spelling was restored from 1500s.
The meaning of Greek kharaktēr was extended in Hellenistic times by metaphor to
"a defining quality, individual feature." In English, the meaning
"sum of qualities that define a person or thing and distinguish it from
another" is from 1640s. That of "moral qualities assigned to a person
by repute" is from 1712. You remember Eponina, who kept her husband
alive in an underground cavern so devotedly and heroically? The force of
character she showed in keeping up his spirits would have been used to hide a
lover from her husband if they had been living quietly in Rome. Strong
characters need strong nourishment. [Stendhal "de l'Amour," 1822]
Sense of "person in a play or novel" is first attested 1660s, in
reference to the "defining qualities" he or she is given by the
author. Meaning "a person" in the abstract is from 1749; especially
"eccentric person" (1773). Colloquial sense of "chap, fellow"
is from 1931. Character-actor, one who specializes in characters with marked
peculiarities, is attested from 1861; character-assassination is from 1888;
character-building (n.) from 1886. -- the comprehensive set of ethical
and intellectual dispositions of a person. Intellectual virtues like carefulness in the evaluation of
evidence promote, for one, the practice
of seeking truth. Moral or ethical virtues
including traits like courage and generosity dispose persons not only to choices and
actions but also to attitudes and emotions. Such dispositions are generally
considered relatively stable and responsive to reasons. Appraisal of character
transcends direct evaluation of particular actions in favor of examination of
some set of virtues or the admirable human life as a whole. On some views this
admirable life grounds the goodness of particular actions. This suggests
seeking guidance from role models, and their practices, rather than relying
exclusively on rules. Role models will, at times, simply perceive the salient
features of a situation and act accordingly. Being guided by role models
requires some recognition of just who should be a role model. One may act out
of character, since dispositions do not automatically produce particular
actions in specific cases. One may also have a conflicted character if the
virtues one’s character comprises contain internal tensions between, say,
tendencies to impartiality and to friendship. The importance of formative
education to the building of character introduces some good fortune into the
acquisition of character. One can have a good character with a disagreeable
personality or have a fine personality with a bad character because personality
is not typically a normative notion, whereas character is.
chiliagon: referred to by Grice in “Some remarks about the
senses.’ In geometry, a chiliagon, or 1000-gon is a polygon with 1,000 sides. Philosophers commonly refer to
chiliagons to illustrate ideas about the nature and workings of thought,
meaning, and mental representation. A chiliagon is a regular chiliagon
Polygon 1000.svg A regular chiliagon Type Regular polygon Edges and vertices
1000 Schläfli symbol {1000}, t{500}, tt{250}, ttt{125} Coxeter diagram CDel
node 1.pngCDel 10.pngCDel 0x.pngCDel 0x.pngCDel node.png CDel node 1.pngCDel
5.pngCDel 0x.pngCDel 0x.pngCDel node 1.png Symmetry group Dihedral (D1000),
order 2×1000 Internal angle (degrees) 179.64° Dual polygon Self Properties
Convex, cyclic, equilateral, isogonal, isotoxal A whole regular chiliagon
is not visually discernible from a circle. The lower section is a portion of a
regular chiliagon, 200 times as large as the smaller one, with the vertices
highlighted. In geometry, a chiliagon (/ˈkɪliəɡɒn/) or 1000-gon is a polygon
with 1,000 sides. Philosophers commonly refer to chiliagons to illustrate ideas
about the nature and workings of thought, meaning, and mental representation.
Contents 1 Regular chiliagon 2 Philosophical application 3 Symmetry 4
Chiliagram 5 See also 6 References Regular chiliagon A regular chiliagon is
represented by Schläfli symbol {1,000} and can be constructed as a truncated
500-gon, t{500}, or a twice-truncated 250-gon, tt{250}, or a thrice-truncated
125-gon, ttt{125}. The measure of each internal angle in a regular
chiliagon is 179.64°. The area of a regular chiliagon with sides of length a is
given by {\displaystyle A=250a{2}\cot {\frac {\pi }{1000}}\simeq
79577.2\,a{2}}A=250a{2}\cot {\frac {\pi }{1000}}\simeq 79577.2\,a{2} This
result differs from the area of its circumscribed circle by less than 4 parts
per million. Because 1,000 = 23 × 53, the number of sides is neither a
product of distinct Fermat primes nor a power of two. Thus the regular
chiliagon is not a constructible polygon. Indeed, it is not even constructible
with the use of neusis or an angle trisector, as the number of sides is neither
a product of distinct Pierpont primes, nor a product of powers of two and
three. Philosophical application René Descartes uses the chiliagon as an
example in his Sixth Meditation to demonstrate the difference between pure
intellection and imagination. He says that, when one thinks of a chiliagon, he
"does not imagine the thousand sides or see them as if they were
present" before himas he does when one imagines a triangle, for example.
The imagination constructs a "confused representation," which is no
different from that which it constructs of a myriagon (a polygon with ten
thousand sides). However, he does clearly understand what a chiliagon is, just
as he understands what a triangle is, and he is able to distinguish it from a
myriagon. Therefore, the intellect is not dependent on imagination, Descartes
claims, as it is able to entertain clear and distinct ideas when imagination is
unable to. Philosopher Pierre Gassendi, a contemporary of Descartes, was
critical of this interpretation, believing that while Descartes could imagine a
chiliagon, he could not understand it: one could "perceive that the word
'chiliagon' signifies a figure with a thousand angles [but] that is just the
meaning of the term, and it does not follow that you understand the thousand
angles of the figure any better than you imagine them." The example of a
chiliagon is also referenced by other philosophers, such as Immanuel Kant. David
Hume points out that it is "impossible for the eye to determine the angles
of a chiliagon to be equal to 1996 right angles, or make any conjecture, that
approaches this proportion." Gottfried Leibniz comments on a use of the
chiliagon by John Locke, noting that one can have an idea of the polygon
without having an image of it, and thus distinguishing ideas from images. Henri
Poincaré uses the chiliagon as evidence that "intuition is not necessarily
founded on the evidence of the senses" because "we can not represent
to ourselves a chiliagon, and yet we reason by intuition on polygons in
general, which include the chiliagon as a particular case." Inspired by Descartes's chiliagon example,
Grice, R. M. Chisholm and other 20th-century philosophers have used similar
examples to make similar points. Chisholm's ‘speckled hen,’ which need not have
a determinate number of speckles to be successfully imagined, is perhaps the
most famous of these. Symmetry The symmetries of a regular chiliagon.
Light blue lines show subgroups of index 2. The 4 boxed subgraphs are
positionally related by index 5 subgroups. The regular chiliagon has Dih1000
dihedral symmetry, order 2000, represented by 1,000 lines of reflection. Dih100
has 15 dihedral subgroups: Dih500, Dih250, Dih125, Dih200, Dih100, Dih50,
Dih25, Dih40, Dih20, Dih10, Dih5, Dih8, Dih4, Dih2, and Dih1. It also has 16
more cyclic symmetries as subgroups: Z1000, Z500, Z250, Z125, Z200, Z100, Z50,
Z25, Z40, Z20, Z10, Z5, Z8, Z4, Z2, and Z1, with Zn representing π/n radian
rotational symmetry. John Conway labels these lower symmetries with a
letter and order of the symmetry follows the letter. He gives d (diagonal) with
mirror lines through vertices, p with mirror lines through edges
(perpendicular), i with mirror lines through both vertices and edges, and g for
rotational symmetry. a1 labels no symmetry. These lower symmetries allow
degrees of freedom in defining irregular chiliagons. Only the g1000 subgroup
has no degrees of freedom but can be seen as directed edges. Chiliagram A
chiliagram is a 1,000-sided star polygon. There are 199 regular forms given by
Schläfli symbols of the form {1000/n}, where n is an integer between 2 and 500
that is coprime to 1,000. There are also 300 regular star figures in the
remaining cases. For example, the regular {1000/499} star polygon is
constructed by 1000 nearly radial edges. Each star vertex has an internal angle
of 0.36 degrees. {1000/499} Star polygon 1000-499.svg Star polygon
1000-499 center.png Central area with moiré patterns See also Myriagon Megagon
Philosophy of Mind Philosophy of Language References Meditation VI by
Descartes (English translation). Sepkoski, David (2005). "Nominalism
and constructivism in seventeenth-century mathematical philosophy".
Historia Mathematica. 32: 33–59. doi:10.1016/j.hm.2003.09.002. Immanuel
Kant, "On a Discovery," trans. Henry Allison, in Theoretical
Philosophy After 1791, ed. Henry Allison and Peter Heath, Cambridge UP, 2002
[Akademie 8:121]. Kant does not actually use a chiliagon as his example,
instead using a 96-sided figure, but he is responding to the same question
raised by Descartes. David Hume, The Philosophical Works of David Hume,
Volume 1, Black and Tait, 1826101. Jonathan Francis Bennett (2001),
Learning from Six Philosophers: Descartes, Spinoza, Leibniz, Locke, Berkeley,
Hume, Volume 2, Oxford University Press,
019825092453. Henri Poincaré (1900) "Intuition and Logic in Mathematics"
in William Bragg Ewald (ed) From Kant to Hilbert: A Source Book in the
Foundations of Mathematics, Volume 2, Oxford University Press, 2007, 01985053611015. Roderick Chisholm,
"The Problem of the Speckled Hen", Mind 51 (1942): 368–373. "These problems are all
descendants of Descartes's 'chiliagon' argument in the sixth of his
Meditations" (Joseph Heath, Following the Rules: Practical Reasoning and
Deontic Constraint, Oxford: OUP, 2008305, note 15). The Symmetries of
Things, Chapter 20 199 = 500 cases − 1 (convex) − 100 (multiples of 5) −
250 (multiples of 2) + 50 (multiples of 2 and 5) 0.36 = 180 (12 /(1000 / 499)
) = 180 ( 1998 / 1000 ) = 180 ( 2 / 1000 ) = 180 / 500 chiliagon vte Polygons
(List) Triangles Acute Equilateral Ideal IsoscelesObtuseRight Quadrilaterals
Antiparallelogram Bicentric CyclicEquidiagonalEx-tangentialHarmonic Isosceles
trapezoidKiteLambertOrthodiagonal Parallelogram Rectangle Right kite Rhombus Saccheri
SquareTangentialTangential trapezoidTrapezoid By number of sides Monogon
(1) Digon (2) Triangle (3) Quadrilateral (4) Pentagon (5) Hexagon (6) Heptagon
(7) Octagon (8) Nonagon (Enneagon, 9) Decagon (10) Hendecagon (11) Dodecagon
(12) Tridecagon (13) Tetradecagon Pentadecagon
(15) Hexadecagon (16) Heptadecagon (17) Octadecagon (18) Enneadecagon
(19)Icosagon (20)Icosihenagon [de] (21)Icosidigon (22) Icositetragon (24) Icosihexagon
(26) Icosioctagon (28) Triacontagon (30) Triacontadigon (32) Triacontatetragon
(34) Tetracontagon (40) Tetracontadigon (42)Tetracontaoctagon (48)Pentacontagon
(50) Pentacontahenagon [de] (51) Hexacontagon (60) Hexacontatetragon (64) Heptacontagon
(70)Octacontagon (80) Enneacontagon (90) Enneacontahexagon (96) Hectogon (100) 120-gon257-gon360-gonChiliagon
(1000) Myriagon (10000) 65537-gonMegagon (1000000) 4294967295-gon [ru;
de]Apeirogon (∞) Star polygons Pentagram Hexagram Heptagram Octagram Enneagram Decagram
Hendecagram Dodecagram Classes Concave Convex Cyclic Equiangular Equilateral Isogonal
Isotoxal Pseudotriangle Regular Simple SkewStar-shaped Tangential Categories:
Polygons1000 (number).
ad- ad-rbiterfrom
ad-biter, where ‘bito,’ ‘betere’ is cognate with ‘vado’ and ‘baino’ -- arbitrium
-- choose -- choice, v. rational
choice. choice sequence, a variety of infinite sequence introduced by L. E. J.
Brouwer to express the non-classical properties of the continuum the set of
real numbers within intuitionism. A choice sequence is determined by a finite
initial segment together with a “rule” for continuing the sequence. The rule,
however, may allow some freedom in choosing each subsequent element. Thus the
sequence might start with the rational numbers 0 and then ½, and the rule might
require the n ! 1st element to be some rational number within ½n of the nth
choice, without any further restriction. The sequence of rationals thus
generated must converge to a real number, r. But r’s definition leaves open its
exact location in the continuum. Speaking intuitionistically, r violates the
classical law of trichotomy: given any pair of real numbers e.g., r and ½, the
first is either less than, equal to, or greater than the second. From the 0s
Brouwer got this non-classical effect without appealing to the apparently
nonmathematical notion of free choice. Instead he used sequences generated by
the activity of an idealized mathematician the creating subject, together with
propositions that he took to be undecided. Given such a proposition, P e.g. Fermat’s last theorem that for n 2 there is no general method of finding
triplets of numbers with the property that the sum of each of the first two
raised to the nth power is equal to the result of raising the third to the nth
power or Goldbach’s conjecture that every even number is the sum of two prime
numbers we can modify the definition of
r: The n ! 1st element is ½ if at the nth stage of research P remains
undecided. That element and all its successors are ½ ! ½n if by that stage P is
proved; they are ½ † ½n if P is refuted. Since he held that there is an endless
supply of such propositions, Brouwer believed that we can always use this
method to refute classical laws. In the early 0s Stephen Kleene and Richard
Vesley reproduced some main parts of Brouwer’s theory of the continuum in a
formal system based on Kleene’s earlier recursion-theoretic interpretation of
intuitionism and of choice sequences. At about the same time but in a different and occasionally
incompatible vein Saul Kripke formally
captured the power of Brouwer’s counterexamples without recourse to recursive
functions and without invoking either the creating subject or the notion of
free choice. Subsequently Georg Kreisel, A. N. Troelstra, Dirk Van Dalen, and
others produced formal systems that analyze Brouwer’s basic assumptions about
open-futured objects like choice sequences.
CARCHIA: Gianni Carchia
(Torino), filosofo. Laureato su Verità e linguaggio nel giovane Benjamin con
Gianni Vattimo a Torino nel 1971, Carchia ha insegnato in diversi licei e poi
Estetica all'Viterbo e, dal 1992, all'università Roma III. Studioso di filosofia antica, traduttore dal
tedesco e insegnante, nella sua breve vita ha lasciato opere apprezzate come
Orfismo e tragedia (1979), Estetica ed erotica (1981), Dall'apparenza al
mistero (1983), La legittimazione dell'arte (1982), Arte e bellezza (1995),
L'estetica antica (1999) ecc. Si è anche
occupato, con Roberto Salizzoni, di arte dei popoli 'primitivi' e di artisti
contemporanei quali Ruggero Savinio, Piero Sbarluzzi o Dario Lanzardo. La casa
editrice Quodlibet, con l'aiuto della moglie Monica Ferrando, sta raccogliendo
le sue opere postume. Giorgio Agamben dice che "il nome di Carchia si
iscrive a pieno diritto nel regesto dei pochi nomi che contano nel pensiero
italiano degli ultimi trent'anni accanto a quelli di Giorgio Colli, di Furio
Jesi, di Enzo Melandri". E Massimo Cacciari dice che "Gianni aveva
una dote 'misteriosa': riusciva ad immaginare la filosoflaintendo dire:
riusciva a porla in immagini come a dipingerla. In questo Gianni stava nel
solco dei più grandi neoplatonici, io credo, ma anche in quello del pensiero italiano
più alto e misconosciuto, dall'Umanesimo a Vico". Opere trad. di Theodor W. Adorno, Minima
immoralia. Aforismi tralasciati nell'edizione italiana (Einaudi, 1954), Milano:
L'erba voglio, 1976 trad. di Karl-Otto Apel, Comunità e comunicazione, introduzione
di Gianni Vattimo, Torino: Rosemberg & Sellier, 1977 prefazione e cura di
Henry Corbin, L'imâm nascosto, Milano: Celuc, 1979; Milano: SE, 2008 978-88-7710-766-4 Orfismo e tragedia. Il mito
trasfigurato, Milano: Celuc, 1979 cura (con Roberto Salizzoni) di Estetica e
antropologia. Arte e comunicazione dei primitivi, Torino : Rosemberg &
Sellier, 1980 Estetica ed erotica. Saggio sull'immaginazione, Milano: Celuc,
1981 La legittimazione dell'arte. Studi sull'intelligibile estetico, Napoli:
Guida, 1982 978-8870421590
Dall'apparenza al mistero. La nascita del romanzo, Milano: Celuc, 1983 Il mito
in pittura. La tradizione come critica, Milano: Celuc, 1987 cura di Arnold
Gehlen, Quadri d'epoca. Sociologia e estetica della pittura moderna, Napoli:
Guida, 1989; 978-88-604-2898-1 Retorica
del sublime, Roma-Bari: Laterza, 1990
88-420-3521-1 Arte e bellezza. Saggio sull'estetica della pittura,
Bologna: Il Mulino, 1995 978-8815052124
cura (con Maurizio Ferraris) di Interpretazione ed emancipazione. Studi in onore
di Gianni Vattimo, Torino: Dipartimento di ermeneutica / Milano: Raffaello
Cortina, 1996 88-7078-376-6 introduzione
a Karl Löwith, Scritti sul Giappone, Soveria Mannelli: Rubbettino, 1995 La
favola dell'essere. Commento al Sofista, con il Sofista di Platone nella
traduzione di Emidio Martini, Macerata: Quodlibet, 1997 978-8886570220 cura (con Paolo D'Angelo) di
Dizionario di estetica, Roma-Bari: Laterza, 1999 88-420-5829-7 L'estetica antica, Roma-Bari:
Laterza, 1999 88-420-5699-5 L'amore del
pensiero, Macerata: Quodlibet, 2000
88-86570-61-9 Nome e immagine. Saggio su Walter Benjamin, Roma: Bulzoni,
2000; Macerata: Quodlibet, 2009
978-88-7462-201-6 Immagine e verità. Studi sulla tradizione classica,
Monica Ferrando, prefazione di Sergio Givone, Roma: Edizioni di storia e
letteratura, 2003 88-8498-112-3 Kant e
la verità dell'apparenza, Gianluca Garelli, Torino: Ananke, 2006 88-7325-151-X introduzione a Walter Friedrich
Otto, Il poeta e gli antichi dèi, Rovereto: Zandonai, 2008 critica Liliana Lanzardo , Aura. Scritti per
Gianni Carchia, Torino: SEB 27, 2002
88-86618-31-X Note Nel testo
in critica. ivi.
Sono raccolte 55 testimonianze, tra cui quelle di Giorgio Agamben,
Massimo Cacciari, Giacomo Marramao, Mario Perniola, Mario Luzi ecc. cfr. qui
Archiviato il 21 ottobre 2007 in ..
Pagina su di lui presso la Casa editrice Quodlibet Recensione di
Maurizio Ferraris Pagina su SWIF Conferenza presso la Fondazione collegio San
Carlo Altra conferenza, su csr.fondazionesancarlo.it. Scheda su Nome e imagine.
Filosofia Categorie: Insegnanti italiani del XX secoloFilosofi italiani Professore1947
2000 2 dicembre 6 marzo Torino Vetralla
CARDANO: Gerolamo
Cardano (Pavia), filosofo. Poliedrica figura del Rinascimento italiano, è noto
anche come Girolamo Cardano e con il nome in latino Hieronymus Cardanus.
Riconosciuto come il fondatore principale della probabilità, coefficiente
binomiale e teorema binomiale, a lui si deve anche la parziale invenzione della
serratura, della sospensione cardanicache permette il moto libero, ad esempio,
delle bussole nautiche ed è alla base del funzionamento del giroscopioe della
riscoperta del giunto cardanico. «Animos scio esse immortales, modum
nescio» «So che l'anima è immortale, ma non ho capito come funzioni la
cosa» Frontespizio dell'autobiografia Nacque a Pavia, figlio
illegittimo del nobile Fazio Cardano, un giurista esperto nella matematica
tanto da essere consultato da Leonardo da Vinci su alcuni problemi di
geometria. Fazio, all'età di 56 anni, conobbe a Milano la trentaseienne
vedova, madre di tre figli, Chiara Micheri (o de Micheriis) di cui s'innamorò
iniziando con questa, che viveva con la famiglia del defunto marito, una
relazione clandestina che portò al concepimento di un quarto figlio. Fazio per
non essere coinvolto nello scandalo pregò un suo amico di Pavia, il patrizio
Isidoro Resta, affinché assumesse Chiara come governante nella sua casa. Prima
che la donna partorisse, i suoi tre figli morirono quasi contemporaneamente di
peste e Chiara tentò allora di abortire, senza riuscirci, del nascituro che
ebbe il nome di Gerolamo e che lasciò scritto nella sua autobiografia:
«Dopo che mia madre aveva tentato senza risultato dei preparati per abortire,
venni alla luce il 24 settembre 1501. [...] Come morto, infatti, sono nato,
anzi sono stato strappato al suo grembo, con i capelli neri e ricciuti.»
Il piccolo Gerolamo contrasse la peste dalla sua balia, che ne morì, e fino a
tre anni fu allevato da altre nutrici a Maniago. Chiara, la sorella e il figlio
sopravvissuto furono trasferiti a Milano da Fazio che andò ad abitare con loro
solo quando Gerolamo ebbe sette anni, età in cui prese ad accompagnare il padre
nei suoi viaggi d'affari ma, essendo fisicamente delicato di salute, si ammalò
gravemente. Solo dopo una lunga convalescenza poté riprendere a viaggiare con
il padre dedicandosi nel frattempo, in modo saltuario, agli studi nei quali
ebbe modo di eccellere per le sue doti quando, a 17 anni, poté iscriversi
all'Università degli Studi di Pavia e successivamente a quella di Mantova per
studiare medicina e matematica, contrariamente ai desideri del padre che
avrebbe preferito avviarlo agli studi giuridici. Nel 1524 Gerolamo,
lasciata Milano in preda alla peste e sconvolta dalla guerra franco-spagnola,
si trasferì all'Università degli Studi di Padova e si laureò a Venezia
nelle "arti liberali" conseguendo nel 1526 il dottorato in
medicina. A Padova Cardano fu oggetto dell'astio che molti docenti
avevano nei confronti di quello studente geniale ma dal carattere scontroso e
talora offensivo: «Sono poco rispettoso e non ho peli sulla lingua,
soprattutto mi lascio trascinare dall'ira, al punto che poi mi dispiace e me ne
vergogno. [...] Riconosco che tra i miei vizi ce n'è uno molto grande e tutto
particolare: quello di non riuscire a trattenermianzi ne gododal dire a chi mi
ascolta ciò che gli risulta sgradevole udire. Persevero in questo difetto
coscientemente e volontariamente, pur sapendo quanti nemici da solo mi abbia
procurato [...]» Nel frattempo a Milano era morto Fazio che aveva
regolarizzato la sua convivenza sposando Chiara. Non potendo tornare a
Milano per l'epidemia e la guerra, Gerolamo prese dimora per quasi sei anni a
Piove di Sacco dove, guarito dall'impotenza sessuale di cui aveva sofferto,
sposò nel 1531 Lucia Bandarini, una giovane del paese, che gli diede tre figli:
nel 1534 Giovanni Battista, nel 1537 Chiara, e nel 1543 Aldo, per poi morire
ancora giovane nel 1546. Dal 1529 Gerolamo, che aveva tentato invano
l'iscrizione nel Collegio dei Nobili Fisici di Milano che gliela rifiutava per
il suo status di figlio illegittimo, dové esercitare la sua professione in
provincia: a Gallarate. Nel 1534, con l'aiuto del senatore milanese
Filippo Archinto, ottenne la cattedra per l'insegnamento della matematica presso
le scuole Piattine di Milano, dove aveva insegnato anche il padre. La sua fama
di esperto dottore si accrebbe per aver risanato alcuni membri della famiglia
Borromeo. Dovette rifiutare alcuni incarichi di prestigio perché non retribuiti
fino a quando finalmente nel 1539 fu ammesso nel Collegio dei medici di
Milano. Nel 1543 accettò di ricoprire la cattedra di medicina all'Pavia
dove insegnò sino al 1551 mentre rifiutò le offerte che gli venivano reiterate
dal papa Paolo III e dal re di Danimarca. Nel 1552 si recò in Scozia per
curare, con esiti positivi, l'arcivescovo di Edimburgo John Hamilton
(1512-1571), malato d'asma. Cardano intuì probabilmente la natura allergica
della malattia proibendo al prelato di usare cuscini e materassi di piume. Per
aumentare la sua fama «volle fare l'oroscopo all'arcivescovo e al re, e lesse
nelle stelle un futuro radioso per entrambi. Il primo fu impiccato quasi subito
dai riformatori, e il secondo mori di tubercolosi l'anno dopo.» Rientrato a
Milano nel 1553 rifiutò le prestigiose e ben retribuite offerte del re di
Francia e della regina di Scozia. Nel 1560 Cardano fu colpito da un
doloroso avvenimento riguardante il figlio Giovanni Battista, medico anche lui,
che, nonostante gli avvertimenti del padre, aveva voluto sposare nel 1557 una
giovane povera e di cattivi costumi: Brandona Seroni. Per necessità economiche
Giovanni Battista aveva dovuto coabitare dai parenti della moglie avviando una
convivenza caratterizzata dalla nascita successiva di tre figli e da continui litigi
dovuti anche alle infedeltà della moglie che egli decise di uccidere, con la
complicità di una serva, facendole mangiare una focaccia avvelenata con
l'arsenico. Arrestato subito per uxoricidio nel febbraio del 1560, Giovanni
Battista confessò il delitto e dopo un veloce processo, nonostante la difesa
con tutti i mezzi messa in atto dal padre, fu condannato alla decapitazione
avvenuta nell'aprile dello stesso anno. Gerolamo, convinto che la durezza
della condanna fosse dovuta all'invidia dei suoi colleghi, per sfuggire alle
malevole voci che lo accusavano di intrattenere rapporti illeciti con i suoi
allievi, nel 1562 si trasferì a Bologna dove, con l'aiuto del cardinale
Borromeo, ottenne la cattedra di medicina. Nel frattempo la vita di Gerolamo
venne ulteriormente amareggiata dalla condotta scapestrata del figlio Aldo che
lo diffamava per tutta la città e che arrivò a derubarlo così che il padre
dovette denunciarlo alle autorità che espulsero il figlio dal territorio
bolognese. A questa disgrazia si aggiunse inaspettata la notizia che si stava
preparando contro di lui un'accusa di eresia tanto che il cardinale Giovanni
Morone gli consigliò di lasciare il pubblico insegnamento. Questa misura
prudenziale non valse però a salvare Gerolamo che la sera del 6 ottobre del
1570 fu arrestato per eresia assieme al suo discepolo Rodolfo Silvestri che non
volle abbandonare il maestro. Non si conoscono le accuse che gli erano
rivolte dall'Inquisizione; tuttavia Cardano si era distinto per una certa
imprudenza nei confronti della Chiesa, governata dal severo Papa Pio V, per
aver compilato un oroscopo di Gesù, la cui vita così sarebbe stata decisa dalle
stelle, scritto l'encomio di Nerone, persecutore dei cristiani, e soprattutto
per i suoi confidenziali rapporti con i circoli protestanti frequentati dal suo
allievo Silvestri, dal genero e dall'editore e tipografo dei suoi libri.
Nonostante le testimonianze a suo favore di quasi tutti i suoi allievi, Cardano
fu messo in carcere e poi agli arresti domiciliari sino al 18 febbraio 1571
quando la Sacra Congregazione tramite l'inquisitore di Bologna, Antonio
Baldinucci, gli impose la professione dell'abiura prima in forma grave (de
vehementi) coram populo e successivamente in forma meno infamante (coram
congregationem). Cardano si sottopose docilmente alla abiura promettendo
in una lettera a papa Pio V di non insegnare più pubblicamente (la cattedra
all'università gli era stata intanto tolta) e di non pubblicare altre
opere. Lasciata Bologna nel settembre del 1571 Cardano si trasferì, sotto
la diretta protezione del papa Pio V, a Roma dove fu ben accolto ma gli fu
negata una pensione che gli fu invece assegnata nel 1573 dal papa Gregorio XIII
che era stato suo collega all'Bologna; in cambio, per mostrare la sua
riconoscenza, Cardano distrusse 120 suoi scritti giudicandoli caotici e
sconnessi. Nel 1575 Cardano fu ammesso al Collegio dei medici romano ma
egli preferì esercitare assai poco la sua professione ritirandosi a vita
privata e dedicandosi alla composizione in lingua latina della sua
autobiografia De vita propria, pubblicata postuma nel 1643. Il 13
settembre 1576 Cardano morì. Non si conosce il luogo della sua sepoltura:
sappiamo che egli avrebbe voluto essere sepolto a Milano, ma non fu possibile
dare esecuzione alla sua volontà a causa della peste che aveva nuovamente
colpito la città. Il pensiero Medaglia commemorativa di Gerolamo
Cardano Il punto focale della filosofia di Cardano è il concetto rinascimentale
dell'"uomo universale" che dà alla sua ricerca della verità un
contenuto enciclopedico. Cardano scrisse più di duecento opere che solo in
parte furono pubblicate nel XVI secolo e che, altrettanto parzialmente,
confluirono nei dieci volumi postumi della monumentale Opera omnia (Lione,
1663) dove si trattano temi di metafisica, medicina, scienze naturali,
matematica, astronomia, scienze occulte, tecnologia. Egli, che si occupa anche
della interpretazione dei sogni, della chiromanzia, della numerologia, del
paranormale rende difficile distinguere nelle sue opere i contenuti moderni del
sapere dalle tradizioni metafisiche e magiche del passato. Cardano vuole
arrivare a una sistemazione unitaria della molteplicità dei saperi così che «la
nostra [incerta] conoscenza...eviterebbe la confusione se potesse discendere
dall'uno ai molti» ma questo obiettivo, di origine neoplatonica, sfugge però
all'uomo il quale allora è preferibile che occupi il suo intelletto in quei
campi dove riesce, quasi come un dio creatore, a «fare le cose». Questo avviene
nella matematica che si incarna nell'esperienza in un rapporto
astratto-concreto la cui definizione Cardano ancora non è in grado di
elaborare Dopo aver analizzato nel De subtilitate (1547) i molteplici
«principi delle cose naturali e artificiali» Cardano si rivolge allo studio «di
tutto l'universo e delle sue parti» (De rerum varietate, (1557)) che egli
concepisce come legate da "simpatie", "antipatie" (nel
senso di attrazioni-repulsioni fra gli astri e l'uomo) e connessioni che
consentono allo studioso, che conosce il linguaggio della natura e gli effetti
degli influssi astrali sulla vita umana, di compiere quei "miracoli
naturali" che sono le magie, di elaborare previsioni astrologiche e di
stendere gli oroscopi delle religioni come quello dedicato a Cristo. Il
contributo in matematica Niccolò Tartaglia, Terza risposta data a messer
Hieronimo Cardano et a messer Lodovico Ferraro, 1547 Magnifying glass icon
mgx2.svgEquazione di terzo grado. Oggi Cardano è noto soprattutto per i suoi
contributi all'algebra. Ha pubblicato le soluzioni dell'equazione cubica e
dell'equazione quartica nella sua maggiore opera matematica, intitolata Ars
magna stampata nel 1545. Parte della soluzione dell'equazione cubica gli
era stata comunicata da Tartaglia; successivamente questi sostenne che Cardano
aveva giurato di non renderla pubblica e di rispettarla come di sua origine; si
avviò così una disputa che durò un decennio. Cardano sostenne di averne
pubblicato il testo solo quando era venuto a sapere che il Tartaglia avrebbe
appreso la soluzione dalla voce dal bolognese Scipione del Ferro. La soluzione
di Tartaglia, pur essendo successiva a quella di Scipione Dal Ferro (comunque
mai pubblicata), risulta essere indipendente da questa. La soluzione è detta
comunque di Cardano-Tartaglia. L'equazione quartica venne invece risolta da
Lodovico Ferrari, uno studente di Cardano. Nella prefazione dell'Ars Magna
vengono accreditati sia Tartaglia che Ferrari. Nei suoi sviluppi delle
soluzioni Cardano occasionalmente si serve dei numeri complessi, ma senza
riconoscerne l'importanza come invece saprà fare Rafael Bombelli. La
carriera di medico Nell'ambito della scienza medica, l'esempio di Andrea
Vesalio, che negli stessi anni aveva contestato l'anatomia galenica, spinse
Cardano a definire Galeno un cattivo interprete di Ippocrate. Le sue critiche a
Galeno erano comunque presentate come parte integrante di un tentativo di
recuperare una tradizione ancora più antica e, si presumeva, più
“autentica”. Cardano fu il primo a descrivere la febbre tifoide. Venne
invitato in Scozia a curare l'Arcivescovo di Sant'Andrea, John Hamilton
(15121571) che soffriva di asma probabilmente d'origine allergica. Seguendo i
precetti di Maimonide riuscì a guarirlo utilizzando delle cure modernissime per
l'epoca: eliminare piume e polvere e mantenere una dieta controllata. .
Al ritorno dalla Scozia si fermò a Londra, dove incontrò il re d'Inghilterra
per il quale redasse un oroscopo secondo il quale prospettava al giovanissimo
Edoardo VI una lunga vita seppure turbata da alcune malattie. La fama di
Cardano si diffuse in Inghilterra tanto da interessare Shakespeare che nella
"Tempesta" rappresenta un personaggio molto simile a Cardano ed
inoltre «Una prova della sua perdurante popolarità può essere vista nel
fatto che un’edizione in inglese del suo ‘De Consolatione’ uscì nel 1576 sotto
al titolo di ‘Cardanus Comforte’ ed è proprio questo il libro che Amleto tiene
in mano quando recita il suo celeberrimo monologo ‘Essere o non
essere?’.» Secondo un'altra versione: «[De subtilitate] È il libro che
Amleto tiene in mano all'inizio del secondo atto, quando Polonio gli domanda
cosa stia leggendo e lui risponde: "parole, parole, parole". O almeno
così riferisce Calvino nel capitolo su Cardano di Perché leggere i
classici.» Invenzioni Funzionamento del giunto cardanico Cardano
progettò inoltre svariati meccanismi tra i quali: la serratura a
combinazione; la sospensione cardanica, consistente in tre anelli concentrici
collegati da snodi, in grado di ospitare una bussola o un giroscopio, garantendo
la libertà di movimento dello strumento; il giunto cardanico, dispositivo che
consente di trasmettere un moto rotatorio da un asse a un altro di diverso
orientamento e viene tuttora usato in milioni di veicoli. Ma pare fosse già
conosciuto, anche se porta il suo nome perché appare nella sua opera De Rerum
Varietate (1557) in una illustrazione navale. L'invenzione di questo tipo di
giunto in realtà risale almeno al III secolo a.C., ad opera di scienziati greci
come Filone di Bisanzio, che nella sua opera Belopoiika lo descrive
chiaramente. Egli dette svariati contributi anche all'idrodinamica, sostenendo
l'impossibilità del moto perpetuo, con l'eccezione dei corpi celesti. Pubblicò
anche due opere enciclopediche di scienze naturali che contengono un'ampia varietà
di invenzioni, fatti ed enunciati afferenti all'occultismo e alla
superstizione: il De Subtilitate e successivamente il De Varietate. Nel 1550
introdusse la griglia cardanica, un procedimento crittografico.[25] A
Cardano è attribuito anche il gioco rompicapo descritto nel 1550 nel De
subtilitate, ma probabilmente risalente a un periodo più antico, chiamato Gli
anelli di Cardano o Anelli cinesi. Opere principali Della sua vita
avventurosa e molto travagliata, rimane testimonianza nella sua autobiografia.
Cardano ebbe spesso problemi di denaro e per cavarsela si dedicò ai giochi
d'azzardo per i quali aveva una vera passione di cui si pentì: «Così ho
dilapidato contemporaneamente la mia reputazione, il mio tempo e il mio
denaro.[26]» Scrisse anche negli anni 1560 un libro sulle probabilità nel
gioco, il Liber de ludo aleae, testo che però venne pubblicato solo nel 1663;
esso contiene la prima trattazione sistematica della probabilità, insieme a una
sezione dedicata a metodi per barare efficacemente.[27] Oltre alla
produzione matematica, di carattere più strettamente filosofico sono invece il
De subtilitate (1550) e il De rerum varietate (1557), ampie raccolte delle sue
osservazioni empiriche e delle sue speculazioni occultistiche. Della sua
produzione letteraria sterminata possono considerarsi come le opere più
importanti: De malo recentiorum medicorum usu libellus, Venezia, 1536
(medicina). Practica arithmetice et mensurandi singularis, Milano, 1539
(aritmetica). Artis magnae sive de regulis algebraicis liber unus (conosciuta
anche come Ars magna), Nuremberg, 1545 (algebra). De immortalitate (alchimia).
Opus novum de proportionibus (meccanica). Contradicentium medicorum (medicina).
De subtilitate rerum, Norimberga, editore Johann Petreius, 1550 (fenomeni naturali).
Encomium Neronis, probabilmente 1562. De libris propriis, Leida, 1557
(commentario). De restitutione temporum et motuum coelestium, (trattato). De
duodecim geniturarum, (commento astrologico a dodici nascite illustri). De
rerum varietate, Basilea, editore Heinrich Petri, 1559 (fenomeni naturali). De
causis, signis, ac locis Morborum. Bologna 1569 Opus novum de proportionibus
numerorum, motuum, ponderum, sonorum, aliarumque rerum mensurandarum. Item de
aliza regula, Basilea, 1570 (matematica). De vita propria, 1576
(autobiografia). Pubblicata postuma nel 1643. Proxeneta, prima edizione del
1627. (politica). Seconda edizione del 1635. Metoscopia libris tredecim, et
octingentis faciei humanae eiconibus complexa, Parigi, 1658. Postuma. Liber de
ludo aleae, postumo (probabilità). Le sue opere vennero raccolte e
pubblicate a Lione nel 1661 dal Naude' in 10 volumi in folio. Fra queste
l'Encomio di Nerone, ripubblicato recentemente in Italia con introduzione di
Giovanni Arpino e nuova traduzione Marco Di Branco. Onorificenze A lui è
dedicato il cratere lunare Cardano e l'asteroide 11421 Cardano. È intitolato a
lui l'Istituto tecnico industriale "G. Cardano" della sua città
natale, nel cui cortile interno è posta una scultura che rappresenta il giunto
cardanico, nonché infine l'omonimo collegio universitario pavese. La
blockchain "Cardano" (ADA) prende il suo nome, in quanto basata su un
approccio scientifico e matematico. Note
Bruno Migliorini et al., Scheda sul lemma "Cardano", in
Dizionario d'ortografia e di pronunzia, Rai Eri, 2007, 978-88-397-1478-7. Enciclopedia Italiana Treccani alla voce
"Cardano, Gerolamo" Gerolamo
Cardano Jerome Cardan: A Biographical
Study, Dodo Press, 2009-01,
978-1-4099-5959-5. Ove non
indicato diversamente, le informazioni contenute nel paragrafo
"Biografia" hanno come fonte: Giuliano Gliozzi, Dizionario Biografico
degli Italiani Volume 19 (1976)
758-763 Introduzione di Serafino
Balduzzi a Gerolamo Cardano, Il libro della mia vita, Cerebro editore, p.9
G.Gliozzi, op.cit. ibidem Da De
vita propria; citato in Focus Storia n. 54, aprile 30. G,Cardano, Della mia vita, Alfonso Ingegno,
Serra e Riva editori, Milano 1982 64-65
Piergiorgio Odifreddi, La Repubblica, 28 gennaio 2002 Enciclopedia Garzanti di filosofia (1971)
alla voce "Cardano Girolamo"
G.Cardano, Somniorum synesiorum omnis generis insomnia explicantes
(Basilea 1562) C. Vasoli, Cardano,
Gerolamo voce di Scienziati e tecnologi. Dalle origini al 1875, I, Mondadori,
Milano 1975, 264-267 (p. 266) Gerolamo Cardano nel suo tempo: atti del
Convegno, 16-17 novembre 2001, Castello Visconti di San Vito, Somma Lombardo,
Varese ed. Cardano, 2003 p.27 Dizionario
di filosofia (2009) Treccani alla voce Cardano Gerolamo Università Bocconi "Cardano e le
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Antonii Huguetan & Marci Antonii Ravaud, 1663. Girolamo Cardano,
Opere, 3, Lugduni, sumptibus Ioannis
Antonii Huguetan & Marci Antonii Ravaud, 1663. Girolamo Cardano,
Opere, 4, Lugduni, sumptibus Ioannis
Antonii Huguetan & Marci Antonii Ravaud, 1663. Girolamo Cardano,
Opere, 5, Lugduni, sumptibus Ioannis
Antonii Huguetan & Marci Antonii Ravaud, 1663. Girolamo Cardano,
Opere, 6, Lugduni, sumptibus Ioannis
Antonii Huguetan & Marci Antonii Ravaud, 1663. Girolamo Cardano,
Opere, 7, Lugduni, sumptibus Ioannis
Antonii Huguetan & Marci Antonii Ravaud, 1663. Girolamo Cardano,
Opere, 8, Lugduni, sumptibus Ioannis
Antonii Huguetan & Marci Antonii Ravaud, 1663. Girolamo Cardano,
Opere, 9, Lugduni, sumptibus Ioannis
Antonii Huguetan & Marci Antonii Ravaud, 1663. Girolamo Cardano,
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Cardano e il Rinascimento, su filosofia.unimi.it. Progetto di edizione
delle opere di Girolamo Cardano Che sfortuna essere un genio, su lgxserver.uniba.it
5 luglio ). Biografia Questo testo proviene in parte dalla relativa voce del
progetto Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto
Museo di Storia della Scienza di Firenze (home page), pubblicata sotto licenza
Creative Commons Filosofia Matematica
Matematica Rinascimento
Rinascimento Categorie: Medici italianiMatematici italiani del XVI
secoloFilosofi italiani Professore1501 1576 24 settembre 21 settembre Pavia
RomaAccademici italiani del XVI secoloAstrologi italianiCrittografi
italianiProfessori dell'Università degli Studi di PaviaProfessori
dell'BolognaStudenti dell'Università degli Studi di PadovaStudenti
dell'Università degli Studi di Pavia
CARDIA: Carlo Cardia (Roma)
è un giurista, avvocato e docente italiano.
Si è laureato in giurisprudenza presso l'Roma "La Sapienza"
nel 1967. Dal settembre 1976 al giugno
1979 è stato consulente giuridico-costituzionale del Presidente della Camera
dei Deputati partecipando anche ai lavori per la revisione del Concordato tra
Italia e Santa Sede del 1984. Insegna
Diritto ecclesiastico, Diritto canonico e Diritto delle istituzioni religiose
presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università degli Studi di Roma Tre.
Precedentemente ha insegnato presso le Cagliari e Pisa. È direttore del CedirCentro Europeo di
Documentazione sulle Istituzioni Religiose.
In qualità di membro delle commissioni in materia di libertà religiosa e
di rapporti con le confessioni religiose presso la Presidenza del Consiglio dei
ministri è coautore[senza fonte] della legislazione ecclesiastica
italiana. Collabora con il quotidiano
Avvenire. Attività professionale Ad
aprile del realizza e presenta al Senato
italiano uno studio sulla questione dell'esposizione del crocefisso nelle aule
scolastiche e negli edifici pubblici in genere. Lo studio costituirà la base
della memoria difensiva presentata dal Governo italiano[senza fonte] in sede di
ricorso contro la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo con cui
l'esposizione del crocifisso era stata dichiarata in violazione del diritto dei
genitori a istruire i figli secondo il loro convincimento e dei bambini a
credere o non credere. Note Carlo Cardia «Identità religiosa e culturale
europea. La questione del crocifisso», Allemandi Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio
su Carlo Cardia.
CARDONE: Domenico
Antonio Cardone (Palmi), filosofo. Compì i suoi primi studi a Palmi e
conseguì la laurea in giurisprudenza 19 luglio 1923 presso l'Roma. Dopo la
laurea si iscrisse al Partito Socialista Unitario, la militanza antifascista
gli costo l'arresto per due volte. Esercitò l'avvocatura in Palmi, dove
risiedette tutta la vita. Nel 1920, insieme a Felice Battaglia, Nino
Fondacaro, Luigi Lacquaniti, fondò in Palmi la rivista letteraria quindicinale
"Ebe", che ebbe qualche anno di vita, cui collaborò anche Guido
Calogero. Verso la fine del 1923 dette vita a un altro periodico di cultura dal
titolo "Rivista". Nel 1931 fondò con il medico Antonio Lovecchio, suo
amico e cultore di filosofia, la rivista “Ricerche filosofiche”, che diresse
fino al 1967, che fu subito molto apprezzata in Italia (da Benedetto Croce ad
Eugenio Garin...) e all'estero (da Louis Rougier e Andrè Lalande a Ladeny
Kotarbinski). Ad essa collaborarono illustri studiosi italiani e stranieri.
Nel 1948 fondò la Società Filosofica Calabrese (di cui fu sempre Presidente),
che partecipò alla fondazione della Fédération Internationale des Sociétés de
Philosophie. Con questa Società fra l'altro svolse, specie dal 1956 in poi,
un'intensa e durevole attività deontologica in campo internazionale per la
realizzazione di un'etica sociale della Cultura, che gli valse i seguenti
riconoscimenti: candidatura al Premio Nobel per la pace. e proposta di Guido
Calogero per il Nerhu Award for International Understanding nel 1972. Nel 1975
il Centro biografico internazionale di Cambridge gli conferì il Certificate of
merit for distinguished Service to the Community dell'International
Biographical Centre di Cambridge; sempre nel 1975 ebbe la Medaglia d'oro “Pro
mundi beneficio” dell'Academia brasileira de Ciências humanas di São Paulo ,
"per la nobiltà morale in difesa e promozione della civiltà, onde onorarlo
per le sue incessanti iniziative anche in favore della pace, della giustizia,
della fratellanza umana" . Nel 1981 ebbe anche il premio
“Astragalo”. Fu membro d'onore e benemerito di varie Accademie italiane e
straniere, membro del Royal Institute of philosophy di Londra e
dell'Internationale Vereingung fur Rechtscund Socialphilosophie, di Wiesbaden e
dell'Associazione “Arts et lettres de France” di Bordeaux. Fece parte del
Comitato organizzatore del XII Congresso Internazionale di Filosofia e di
quello promotore del XIII Congresso nazionale di filosofia. Promosse ed
organizzò il Primo Congresso delle Società filosofiche del Mezzogiorno
d'Italia. Partecipò a due inchieste dell'UNESCO. Opere principali Saggi
di storia, filosofia e diritto Il relativismo gnoseologico nella filosofia
moderna, 2 voll., Palmi, A.Genovesi & figli ed., 1927-1928 Le reazioni
collettive e la genesi del diritto penale, Torino, Paravia & C, 1927 I
filosofi calabresi nella storia della filosofia, con appendice sui sociologi e
gli psicologi, Palmi, A.Genovesi & Figli ed., 1929 Lineamenti storici della
filosofia dello Stato, Città di Castello, Casa Editrice Il Solco, 1932 Il
diritto e lo Stato secondo la nuova filosofia della vita, Città di Castello,
Casa Editrice Il Solco, 1934 Umanismo, Messina 1936 Cristianesimo, liberalismo
e comunismo, Palmi, G. Palermo ed.,1945 Il Divenire e l'Uomo, 3 voll., Palmi,
Ricerche filosofiche, 1940-1946 Criteri metodologici per una storia della
civiltà, Palmi, G. Palermo ed., 1946 Vita di Gesù secondo il Vangelo
incompiuto, Modena-Roma, Guanda Editore, 1946 La filosofia di Gesù, Milano,
Bocca ed., 1948 L'uomo nel cosmo. Storia e prospettive, Palmi, Ricerche
filosofiche ed., 1957 Bio critica, a cura della sezione bibliografica della
Società Filosofica Calabrese, Bologna, Mareggiani ed., 1962 Seguito alla Bio
critica, a cura della sezione bibliografica della Società Filosofica Calabrese,
Cosenza, MIT ed., 1980 La vita come esperienza inutile, Cosenza, Pellegrini
ed., 1964; L'ozio la contemplazione il gioco la tecnica l'anarchismo, Roma,
Ricerche filosofiche, 1968. I trentacinque anni di Ricerche filosofiche, Torino,
Edizioni di Filosofia, 1970 Cardone dalla prima alla seconda filosofia del
divenire,ricerche di gruppo coordinare da A.Distello, Padova, Rebellato
Editore, 1975 Si vis pacem para pacem, Montepulciano, Editori Del Grifo, 1984
Opere poetiche, letterarie e teatrali Ludi teatrali, Bologna, Soc. Tip.
Mareggiani ed., 1961 Giobbe dramma in tre tempi, Cosenza, L.Pellegrini ed.,
1965 I confini dell'anima, Palmi, Ed. Del Fondaco di Cultura, 1925 La banca
della carità: commedia in tre atti, Milano, M. Gastaldi ed., 1962 Terapia dei
tramonti: commedia in tre atti e due quadri, Milano, M. Gastaldi ed., 1962 La
madre del diavolo; Il figlio del dittatore; Gli anni rubati: tre teledrammi per
i puri di cuore, Milano, M. Gastaldi ed., 1971 Canti e racconti del Sant'Elia,
Poggibonsi, Lalli ed., 1976 Poesie scelte, Roma, Gabrieli ed., 1978 L'assenza e
la mancanza: meditazioni quasi poetiche, Cosenza, MIT ed., 1979 Note "La vita", Università degli Studi
di Urbino, riferimenti in : «Nell'immediato secondo dopoguerra, questa rivista
contribuì alla sprovincializzazione della cultura italiana, diffondendo testi e
saggi su Bergson, Heidegger, Sartre»
Vedi Leonida Repaci, Calabria, grande e amara, Rubbettino Editore,
200215. Google Libri critica Domenico
Scoleri, Uomo e cosmo nella filosofia di Domenico Antonio Cardone, Roma,
Edizioni pagine nuove, 1949.* Arrigo Distello, Domenico Antonio Cardone:
filosofo e poeta, Roma, NEU, 1970. Franco Trifuoggi, La poesia di Domenico
Antonio Cardone, Napoli, Edizioni Laurenziana, 1972. Santo Coppolino, Breve
profilo di Domenico Antonio Cardone, Santo Spirito, Edizioni del Centro
Librario, 1972. Juliane Obermann, Dialoghi sulla solitudine tra Juliane
Obermann e Domenico Antonio Cardone, Cosenza, MIT ed., 1976. Santino
Salerno,Domenico Antonio Cardone. Un filosofo tra i poveri in “Calabria”, a.
XIII, n. 1, novembre 1985 Santino Salerno, Domenico Antonio Cardone. Filosofo
interprete del suo tempo, “La Gazzetta del Sud”, 19 settembre 1986 Giuseppe
Chiofalo Giuseppe Chiofalo, Domenico Antonio Cardone: Una filosofia per la
vita: Saggio sulla filosofia del divenir vitale, Soveria Mannelli, Rubbettino
editore, 1987. Franco Trifuoggi, Cultura e poesia della pace in Domenico
Antonio Cardone, Soveria Mannelli, Rubbettino ed., 1987. Antonio Piromalli, La
letteratura calabrese, Cosenza, Pellegrini, 1996, II. Pasquino Crupi, Storia della letteratura
calabrese. Autori e testi, Reggio Calabria, 1998. Naccari Giuseppe, Domenico
Antonio Cardone filosofo-poeta. Un inattuale nella sua attualità, in
"Rogerius" periodico della Biblioteca Calabrese di Soriano Calabro,
febbraio 2002, 145–149. Filosofia
Letteratura Letteratura Storia Storia Filosofo del XX secoloPoeti italiani
del XX secoloAvvocati italiani Professore1902 1986 21 gennaio 18 settembre
Palmi Palmi
CARIFI: Roberto
Carifi (Pistoia), filosofo. Allievo di Piero Bigongiari, tra i maggiori
esponenti dell'ermetismo fiorentino, conosciuto nel 1982, profondamente
influenzato dalle voci liriche di Rainer Maria Rilke e Georg Trakl, su cui si è
esercitato anche come traduttore, oltre a essere poeta, svolge l'attività di
critico letterario. Attratto sin dagli anni degli studi universitari dalla
filosofia francese e tedesca, nell'età matura ha incrociato il pensiero
buddhista, attorno al quale si focalizzano le sue raccolte più recenti, come
Tibet e Il segreto. Al fianco degli studi filosofici, vi sono quelli di
psicoanalisi, compiuti dapprima presso L'École Freudienne di Parigi, come
auditore alle lezioni tenute da Jacques Lacan, e proseguiti a Milano. Mentre
nelle liriche giovanili si risente la dizione rilkiana e emerge il debito verso
la filosofia di Martin Heidegger, nei componimenti successivi questi motivi
vengono amalgamati a nuove istanze della sensibilità di Carifi. In particolare
dopo la dura prova della malattia, "l'incidente" come lui chiama
l'ictus da cui è stato colpito nel 2004, i suoi versi abbracciano una nuova
forma di rarefazione dissolvente in cui l'essere, attraversato dal dolore,
cerca una via estrema di comunicazione per ricongiungersi al mondo.
Luoghi e figure dell'anima Due sono i temi che incardinano la poetica di
Roberto Carifi, la madre e il legame con la città natale, Pistoia, che di quel
rapporto affettivo è l'emanazione, entrambi raccolti filosoficamente nel
rimando all'infanzia, epoca originaria dei sensi, periodo d'elezione per
l'anima ma anche ingrato, di cui si fatica a cogliere l'essenza se non a patto
di una discesa spossante: «Ora è l'attimo che attende,/ è l'istante che prepara
i tempi/ a un altro istante dove si deve attendere l'infanzia,/ quella bastarda
che era là, tragico volto dei bambini». La madre, dolorosa musa, abbandonata
dal marito quando il bambino aveva appena tre anni, ha lungamente accompagnato
e sorretto la voce del figlio. La sua scomparsa è una perdita incolmabile nella
vita e nell'immaginario di Carifi. La città rappresenta un caldo grembo, dove
tutto rimanda a quel legame dissolto ma anche alle tante amicizie giovanili, e
perfino a quegli spiriti gentili di artisti e letterati che continuano ad
aggirarsi, figure di sogno, nelle strette strade del centro: «Piero Bigongiari
era di Pistoia. Era figlio del capostazione e abitava in Via del Vento, accanto
a Gianna Manzini. [...] Nei miei viaggi onirici li vedo tutti e due, Bigongiari
e la Manzini, camminare tra Via del Vento e Via Verdi, in silenzio perché
parlano una lingua muta, una lingua del deserto che solo i poeti e i mistici
capiscono». Nei suoi versi rivive di continuo la devozione spirituale per il
luogo, la cui essenza poetica sta nell'intreccio di memorie che lo abitano, un
passato con cui Carifi si misura in uno stato di incerta beatitudine tra sogno
e veglia. Citazioni <<...nasco filosofo con una grande tensione
verso la poesia. Una tensione, la mia, che si è poi sviluppata fino a rendermi
filosofo, ma soprattutto poeta. La filosofia arriva fino ad un certo punto, da
quel punto in poi c’è la poesia. La poesia parla del cielo, delle foreste degli
uomini, fa un salto verso la verità. Abbandona il linguaggio su cui,
bene o male, la filosofia regge e sceglie un linguaggio ''presentativo'',
il linguaggio della presenza. La ricerca di Carifi è la risposta alle
varie vicende dell’uomo. L’uomo colma e coglie sé stesso attraverso il percorso
del lume, l’apertura alla conoscenza. L’uomo mite che miete la luce, capace di
cuore della verità, che non rinuncia al pensiero della responsabilità e della
parola, è l’uomo Carifi. Non bisogna accostarsi a lui con il timore di leggere
un incomprensibile tomo di filosofia, sia pur condividendo con Carifi che non
esistono concetti semplici, né concetti già pronti, perché la filosofia è in
divenire, è in movimento. Un sottile ma preciso filo conduttore che
caratterizza la raccolta delle sue lunghe e silenziose riflessioni è la pratica
dell’intensità, destini che si rivelano fino in fondo. Egli esercita la
bellezza della profondità portandola, a tutti, sul piano conoscitivo della
scrittura. Le sue opere sono cammini culturali e spirituali dove l’uomo ed il
valore sono all’unisono un giro concentrico di piaceri. La scrittura è un
abisso che, in un’intima solidarietà, unisce il moto interiore all’estetica
dell’espressione, e la parola diviene il veicolo principale dove il silenzio
meditativo e contemplativo si colora di una dimensione oggettiva.
-Fiorella Antonella Scorrano, La conoscenza dell'altro.L'uomo del pensiero:
Roberto Edizione Polistampa, Firenze 2006>> «Poesia e filosofia convivono
e si alternano nella vasta produzione letteraria di Roberto Carifi, tra i
maggiori autori contemporanei. Nato nel 1948 a Pistoia, dove risiede ancora
oggi, Carifi è conosciuto per i testi filosofici e per l’intensa attività
poetica, influenzata, a partire dagli anni Ottanta, dall’amicizia con Piero
Bigongiari; ma anche per le traduzioni in italiano di Hermann Hesse,
Jean-Jacques Rousseau, Jean Racine, Georges Bataille, Georg Trakl e Simone
Weil. Giulia Gonfiantini, Roberto Carifi: la poesia è una stretta di mano su
«Naturart», rivista di cultura, Giorgio Tesi Editrice» «Roberto scopre il
dolore con la perdita della madre [...] che diventa la sua «ossessione
poetica», descritta come un pozzo in cui scendere. Le sue due antologie
poetiche (Infanzia; Nel ferro dei balocchi), pur seguendo percorsi diversi, si
ergono entrambe su due abissi: l'infanzia personale, ma al contempo quella di
intere generazioni europee, segnate da un legame indissolubile. Archivio
Festival Letteratura, Palazzo Ducale, Mantova, 2009» «È una poesia in cui
la forte componente autobiografica trasfigura il vissuto, in quanto ciò che si
racconta assume valore paradigmatico: situazioni ed episodi emblematici in cui
l’uomo incontra l’assoluto. Sabina Candela, Incontro col poeta Roberto Carifi
su «VIinforma», rivista culturale della Banca di credito cooperativo di S.
Pietro in Vincio, ottobre-dicembre , 12-14» «La raccolta Madre, proprio perché
torna su un tema già fortemente praticato, consente di guardare al complessivo
percorso poetico di Carifi potendo distinguere in esso un momento di passaggio
e di mutamento, determinato prima dall’avvicinamento al buddismo, poi dalla
malattia. Giuseppe Grattacaso, Supplica alla madre su «Succedeoggi» Cultura
nell’informazione quotidiana» Opere Raccolte poetiche Simulacri
(Forum/Quinta Generazione, Forlì 1979); Infanzia (Società di Poesia, Milano
1984rist. Raffaelli, Rimini ); L'obbedienza (Crocetti, Milano 1986); Occidente
(Crocetti, Milano 1990); Amore e destino (Crocetti, Milano 1993); Poesie (I
Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme 1993); Casa nell'ombra (Almanacco
Mondadori, Milano 1993); Il Figlio (Jaca Book, Milano 1985); Amore d'autunno (Guanda,
Parma-Milano 1998); Europa (Jaca Book, Milano 1999); Il gelo e la luce (Le
Lettere, Firenze 2003); La pietà e la memoria (Edizioni ETS, Pisa 2003) 88-467-0782-6; D'improvviso e altre poesie
scelte (Via del Vento edizioni 2006); Nel ferro dei balocchi (Crocetti, Milano
2008); Tibet (Le Lettere, Firenze ); Madre (Le Lettere, Firenze ); Il Segreto
(Le Lettere, Firenze ); Racconti Victor e la bestia (Via del Vento edizioni,
Pistoia 1996); Lettera sugli angeli e altri racconti (Via del Vento edizioni, Pistoia
2001); Destini (Libreria dell'Orso editrice, Pistoia 2002); Saggi Il gesto di
Callicle (Società di Poesia, Milano 1982); Il segreto e il dono (EGEA, Milano
1994); Le parole del pensiero (Le Lettere, Firenze 1995); Il male e la luce (I
Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme 1997); L'essere e l'abbandono (Il
Ramo d'Oro, Firenze 1997); Nomi del Novecento (Le Lettere, Firenze 2000); Nome
di donna (Raffaelli, Rimini ). Note
Rainer Maria Rilke, L'angelo e altre poesie, Via del Vento edizioni,
2008; Georg Trakl, La notte e altre poesie, traduzione di Massimo Baldi e
Roberto Carifi, Postfazione di Roberto Carifi, Via del Vento edizioni,
2008. Tiene la rubrica mensile "Per
competenza" sulla rivista «Poesia» diretta da Nicola Crocetti. Per ulteriori notizie si veda la sezione
dedicata ai cenni biografici del poeta nel volume Roberto Carifi, D'improvviso
e altre poesie scelte, Via del Vento edizioni, 2006. Da Roberto Carifi, Tibet, Le Lettere, . Da Pistoia in parole. Passeggiate con gli
scrittori in città e dintorni, Alba Andreini, introduzione di Roberto Carifi,
Edizioni ETS, . M. Baudino, Nel mitico
mondo di Carifi, «Gazzetta del Popolo», 19 settembre 1979; C. Viviani, Il mito
e il nuovo inquilino, «Il Giorno», 7 ottobre 1979; F. Ermini, Il mito per relazionarsi
al reale, «Il quotidiano dei lavoratori», 13 marzo 1982; G. Giudici, Il gesto
di Callicle, «L'Espresso», n. 40-41, ottobre 1982; A. Porta, Il gesto di
Callicle, «Alfabeta», n. 41, ottobre 1982; M. Spinella, La microfisica del
significante poetico, «Rinascita», n. 32, 1982; G. Raboni, Qui sento odor di
buoni versi, «Il Messaggero», 20 giugno 1984; T. Kemeny, Infanzia, «Il piccolo
Hans», n. 46, 1985; M. Baudino, Al fuoco di un altro amore, Jaca Book, 1986; F.
Masini, L'anima e la forma nei versi di Carifi, «Avvenire», 1º novembre 1986;
P.F.Iacuzzi, Il paradosso della poesia italiana degli anni Ottanta,
«Paradigma», n. 7, 1986; B. Frabotta, Utopisti e menestrelli, «L'indice», n. 7,
luglio 1987; R. Mussapi, Nostalgia del tragico, «Corriere del Ticino», 14
novembre 1987; I Quaderni del Battello Ebbro, n. 5, aprile 1990 (con saggi di
V. Giuliani, P.F. Iacuzzi, F. Sessi, L. Tassoni, I. Vincentini); T. Di
Francesco, Basso continuo del rumore bellico per litanie epiche sull'occidente,
«Il Manifesto», 9 novembre 1990; M. Cucchi, Il filo del tramonto e del
rimpianto, «Il Giornale», 9 dicembre 1990; P. Bigongiari, La poesia, il luogo
del ritorno a casa, «La Nazione», 29 marzo 1991; A. Mazzarella, La lingua
continua a battere dove la carità duole, «Il Mattino», 1º maggio 1991; F. Loi,
Il buio mondo che ci avvolge, «Il Sole 24 ore», 10 marzo 1991; F. Rella, Il
lato oscuro delle cose, «La Repubblica», 16 marzo 1991; E. Gatta, Sul vuoto
appesi alla parola, «La Nazione», 11 febbraio 1992; S. Crespi, Amore senza tempo,
«Il Sole 24 ore», 3 ottobre 1993; R. Copioli, E per musa ispiratrice la
nostalgia, «Avvenire», 16 dicembre 1993; L. Carra, Classici pensosi versi,
«Gazzetta di Parma», 31 dicembre 1993; A. Donati, Amore per una donna e per il
nulla, «Il Giorno», 24 ottobre 1993; E. Gatta, Gli amori di Carifi, «La
Nazione», 10 novembre 1993; B. Manetti, Carifi il poeta errante, «La
Repubblica», 8 novembre 1993; D. Attanasio, Amore e morte trascendenti segreti,
«Il Manifesto», 9 giugno 1994; R. Copioli, Carifi: il desiderio è mitico,
«Avvenire», 14 maggio 1994; E. Grasso, L'amore quando il lume si spegne,
«L'Unità», 24 gennaio 1994; A. Donati, Intervista a Roberto Carifi, «Il
Giorno», 24 aprile 1994; S. Crespi, Doni al confine del tempo, «Il Sole 24
ore», maggio 1994; A. Donati, L'angelo poetico della solitudine, «Il Giorno»,
26 gennaio 1994; R. Copioli, Figli innamorati del proprio destino, «Avvenire»,
28 ottobre 1995; M. Liberatore, Il male, una provocazione estetica nei racconti
di Roberto Carifi, «La Clessidra», n. 1, 1995; S. Crespi, Chiaroscuro con
lampada e scialle, «Il Sole 24 ore», 15 ottobre 1995; G. Conte, Chi son? Sono
un poeta, «Il Giornale», 16 ottobre 1995; A. Ugolotti, Il dolore nelle sillabe,
«La Gazzetta di Parma», 10 gennaio 1996; A. Donati, Roberto Carifi: un angelo
in esilio, «Avvenimenti», 28 agosto 1996; U. Piersanti, Il figlio, «Tutto
Libri», 25 novembre 1996; P. Bigongiari, Carifi: parole e voce di Figlio, «La
Nazione», 5 gennaio 1996; A. Torno, Quel contratto da verificare, «Il Sole 24
ore», 6 aprile 1997; R. Copioli, Carifi: angeli sospesi tra essere e abbandono,
«Avvenire», 12 dicembre 1997; G. Tesio, Un neoromantico invoca il cuore, i
sogni, l'addio, «Tutto Libri», 19 novembre 1998; M. Fortunato, Amore d'autunno,
«L'Espresso», n. 43, 29 ottobre 1998; P.F. Iacuzzi, Morte di madre. Quando la
poesia "riversa la vita", «Il Giornale», 5 ottobre 1998; R. Copioli,
Carifi e l'elegia di uno stile semplice, «Avvenire», 24 ottobre 1998; U.
Cecchi, Quei legami vitali tra figlio e madre, «La Nazione», 6 ottobre 1998; S.
Crespi, Carifi: tra infelicità e silenzio, «Il Sole 24 ore», 27 settembre 1998;
S. Ramat, Un dolcissimo amore d'autunno, «Il Giornale», 18 settembre 1998; D.
Fiesoli, Carifi e l'estetica dell'amore, «Il Tirreno», 18 ottobre 1998; E.
Zucchi, Dalla parte del cuore, «Gazzetta di Parma», 19 novembre 1998; E. Coco,
Roberto Carifi, Rivista de Literatura del centro cultural, n. 3, Malaga, junio
1998; F. Desideri, Un dialogo a distanza sull'alterità del figlio, introduzione
a R. Carifi e U. Buscioni, Figure dell'abbandono, maschiettoemusolino, Siena
1998; M. Merlin, Il pathos del sublime: la poesia di Carifi, «Atelier», n. 15,
settembre 1999; D. Fiesoli, Europa, «Il Tirreno», 15 dicembre 1999; B.
Garavelli, Addio alla madre, «Avvenire», 8 gennaio 2000; G. Colotti, Europa,
«Il Manifesto», 8 gennaio 2000; R. Bartoli, La religiosa tragicità di Carifi,
«Poesia», n. 137, marzo 2000; F. A. Scorrano, La conoscenza dell'altro.L'uomo
del pensiero: Roberto Carifi, Edizione Polistampa, Firenze 2006 S. Ramat,
Roberto Carifi nel nome della madre, «Il Giornale», 01 settembre 2007; Per la
sezione bibliografica questa voce trae informazioni dalla inglese. Piero Bigongiari Gianna Manzini Pistoia Via
del Vento edizioni //poesia.blog.rainews.it//09/roberto-carifi/ blog Poesia Rai
News web.archive.org/web/1001121818/http://neteditor.it/node/116296 L'UOMO DEL
PENSIERO, CARIFI//italian-poetry.org/Carifi.htm Saggio sulla poesia di Carifi
Tre poesie su «Sagarana», su sagarana.net. Una recensione di Infanzia, su
margininversi.blogspot.it. Roberto Carifi. Il sisma silenzioso del cuore
articolo di Andrea Galgano su «Clandestino».
CARLE Giuseppe Carle Giuseppe Carle Giuseppe Carle.gif Senatore del
Regno d'Italia Durata mandato17 novembre 189817 novembre 1917 LegislatureXX
Sito istituzionale Dati generali UniversitàUniversità degli Studi di Torino
Giuseppe Carle (Chiusa di Pesio, 21 giugno 1845Torino, 17 novembre 1917)
filosofo e accademico italiano di orientamento positivista, e senatore del
Regno d'Italia. Insegnò filosofia del
diritto all'Torino dal 1872 alla morte, nel 1917, quando gli succedette Gioele
Solari. Tra i suoi allievi vi furono lo stesso Solari e l'intellettuale
socialista Zino Zini. Fu presidente
dell'Accademia delle Scienze di Torino dal 1894 al 1901, socio dell'Accademia
dei Lincei dal 1884 e senatore dal 1898.
Come il fratello Antonio, primario dell'ospedale Mauriziano, fu un
esponente del positivismo italiano. Note Fonte: N. Bobbio, Dizionario Biografico degli
Italiani, riferimenti in . «Carle,
Antonio» in Enciclopedie on line, sito "Treccani.it L'Enciclopedia
Italiana". Onorificenze Commendatore dell'Ordine dei Santi Maurizio e
Lazzaronastrino per uniforme ordinariaCommendatore dell'Ordine dei Santi
Maurizio e Lazzaro Cavaliere dell'Ordine Civile di Savoianastrino per uniforme
ordinaria Cavaliere
dell'Ordine Civile di Savoia Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italianastrino
per uniforme ordinariaCommendatore dell'Ordine della Corona d'Italia Opere La
dottrina giuridica del fallimento nel diritto privato internazionale, Napoli,
Stamperia della Regia Università, 1872. Prospetto d'un insegnamento di
filosofia del diritto. Parte generale, Torino, F.lli Bocca, 1874. La vita del
diritto nei suoi rapporti colla vita sociale. Studio comparativo di filosofia
giuridica, Torino, F.lli Bocca, 1880. Le origini del diritto romano :
ricostruzione storica dei concetti che stanno a base del diritto pubblico e
privato di Roma, Torino, F.lli Bocca, 1888 La filosofia del diritto nello stato
moderno, Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1903. Lezioni di filosofia del
diritto: anno accademico 1911-12, Giuseppe Carle e Gioele Solari, raccolte
dagli studenti Giuseppe Bruno e Francesca Guasco, Editore La cooperativa
dispense dell'A.T.U., Torino, 1912.
Gioele Solari, La vita e il pensiero civile di Giuseppe Carle, in
Memorie della R. Accademia delle scienze di Torino, s. II. LXVI, 1928,
1–191 Franca Menichetti, Giuseppe Carle. La funzione civile della filosofia
del diritto tra vichismo e positivismo, Edizioni ETS, Pisa 1990 Alberto Lupano,
«Giuseppe Carle», in Maestri dell'Ateneo torinese dal Settecento al
Novecento267-268, Renata Allio, Stamperia Artistica nazionale, Torino, 2004
Renato Treves, Giuseppe Carle sociologo e sociologo del diritto in alcuni
scritti minori e nel commento di Gioele Solari, in Gioele Solari nella cultura
del suo tempo, di Arduino Agnelli et al., Franco Angeli, Milano 1985 Enrica
Ruini, Alle origini della filosofia del diritto di Giuseppe Carle (tesi di
laurea), relatore C. Faralli, Bologna, 1990
Giuseppe Carle, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Giuseppe
Carle, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giuseppe Carle, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giuseppe Carle, su
siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo Unificato per le
Soprintendenze Archivistiche. Opere di
Giuseppe Carle, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Giuseppe Carle, . Giuseppe Carle, su Senatori d'Italia, Senato
della Repubblica. Filosofia Filosofo del
XIX secoloFilosofi italiani del XX secoloAccademici italiani del XIX
secoloAccademici italiani Professore1845 1917 21 giugno 17 novembre Chiusa di
Pesio TorinoSenatori della XX legislatura del Regno d'ItaliaMembri dell'Accademia
delle Scienze di TorinoFilosofi del dirittoStudenti dell'Università degli Studi
di TorinoProfessori dell'Università degli Studi di Torino
CARLINI: Armando
Carlini.jpg Deputato del regno d'Italia Durata mandato19341939 Datigenerali
Titolo di studiolaurea Armando Carlini (Napoli, 9 agosto 1878Pisa, 30 settembre
1959) filosofo e accademico italiano. Negli anni Trenta rivestì anche la carica
di deputato del Regno d'Italia. Nato a Napoli, si laureò a Bologna prima
in Lettere, poi in Filosofia con Francesco Acri. Dopo aver insegnato prima
Italiano poi Storia della filosofia nei licei di molte città d'Italia (Iesi,
Foggia, Cesena, Trani, Parma e Pisa), fu chiamato nel 1917 presso l'Pisa per
sostituire Giovanni Gentile, da poco trasferitosi a Roma, prima come
incaricato, poi come titolare della cattedra di Filosofia teoretica (1922).
Alcuni anni più tardi divenne rettore dell'Ateneo pisano (19271935). Eletto
deputato (19341939), fu ammesso, alla vigilia della seconda guerra mondiale
(1939), all'Accademia d'Italia, massimo riconoscimento concesso all'epoca dal
regime fascista di cui egli fu fervente sostenitore. Nel secondo dopoguerra,
ritiratosi dalla vita pubblica e dall'insegnamento, si dedicò interamente agli
studi filosofici e religiosi e alla pubblicazione delle ultime creazioni. Morì
ottantunenne a Pisa, sua città d'adozione. Pensiero I primi passi Carlini
iniziò a farsi conoscere, attorno al 1910, assumendo la direzione, prima con
Renato Serra, poi da solo, di una collana edita da Laterza che inizialmente
venne lanciata sotto il nome di Testi di filosofia ad uso dei licei e
ribattezzata successivamente Piccola biblioteca filosofica. Ad introdurlo nella
Laterza fu Giovanni Gentile, conosciuto qualche anno prima dal Carlini, e
Benedetto Croce, all'epoca ancora in rapporti col filosofo di Castelvetrano. La
collana aveva scopi divulgativi, ma divenne presto celebre per l'alto livello
degli autori che collaborarono in vario modo al suo interno, fra cui, oltre al
Carlini, anche Armando Saitta e lo stesso Giovanni Gentile. Oltre al lavoro di
direzione e coordinamento in qualità di direttore responsabile, il filosofo
napoletano pubblicò nel 1912, due saggi su Aristotele (in realtà raccolte
aristoteliche da lui curate, commentate e tradotte) cui fece seguito uno studio
su Giovanni Bovio (1914) che destò l'interesse di non pochi studiosi e
l'approvazione di Giovanni Gentile, considerato dal Carlini suo maestro
indiscusso. La maturità intellettuale Già da alcuni anni professore
incaricato a Pisa, Carlini pubblicò nel 1921 due corposi volumi che gli
assicurarono un posto di assoluto rilievo nel mondo accademico del tempo: La
filosofia di Giovanni Locke, esaustivo studio sul pensiero del grande filosofo
britannico, e soprattutto La vita dello spirito. In quest'ultimo saggio si
iniziò infatti chiaramente a delineare il proprio pensiero: adesione alla
dottrina idealista, vista come sintesi fra il pensiero immanentista gentiliano
(Gentile fu, fino alla propria scomparsa, suo amico, oltre che maestro) e
quello crociano, soffusa però di luce cristiana che finirà, con il passare
degli anni, per divenire preponderante ed imporsi sempre più nettamente nelle
speculazioni del Carlini. Già nel 1934, con l'uscita de La religiosità
dell'arte e della filosofia Carlini si fece fautore di uno spiritualismo
cristiano che lo allontanava da Gentile e da Croce (che pur non si professarono
mai atei), avvicinandolo in qualche modo al Rosmini. Al centro della propria
visione filosofica c'è il pensiero cattolico di matrice soprattutto agostiniana
che si pone come fondamento etico universale e chiave di interpretazione
dell'esistenza umana. Secondo il filosofo napoletano il raggiungimento della
verità cristiana, incentrata su un'entità superiore che ci trascende, è però
raggiungibile solo soggettivamente, attraverso un ripensmento costante irto di
dubbi ed angosce. È dal dialogo che riusciamo ad instaurare con noi stessi che
possiamo scoprire Dio. Il messaggio cristiano non ci viene pertanto dato
attraverso una forma di metafisica dogmatica, ma costituisce il punto di arrivo
di un percorso critico interiore, una conquista realizzabile solo attraverso
gli strumenti di una metafisica critica. La centralità del cristianesimo nella
teoria della conoscenza sarà ripresa e ulteriormente sviluppata nel saggio
Lineamenti di una concezione realistica dello spirito umano, dato alle stampe
nel 1942 e, soprattutto, in Alla ricerca di me stesso, del 1951.
Comprensibile appare pertanto l'interesse che il Carlini nutrì per
l'esistenzialismo tedesco, che però si espresse con una singolare preferenza
verso Martin Heidegger, nelle cui speculazioni trovarono ben poco posto le
istanze religiose, piuttosto che nei confronti del cristiano Karl Jaspers che
su quelle stesse istanze aveva strutturato il proprio pensiero. Nel 1952
Armando Carlini tradurrà dal tedesco, commenterà e curerà l'edizione italiana
de Il pensiero logico di Martin Heidegger, e l'anno successivo, sempre dello
stesso autore, Che cos'è la metafisica?. Nel 1957, un paio di anni prima
della propria scomparsa, Carlini volle rendere un ultimo e commosso omaggio a
Giovanni Gentile con i suoi Studi gentiliani, raccolta di scritti in massima
parte già pubblicati precedentemente, tesi a ricordarne la figura e le affinità
intellettuali che un tempo lo avevano legato al grande filosofo
siciliano. Opere La mente di Giovanni Bovio, Bari, Laterza, 1914 La
filosofia di Giovanni Locke, Firenze, Vallecchi, 1921 La vita dello spirito,
Firenze, Vallecchi, 1921 La religione nella scuola, Firenze, Vallecchi, 1927 Aristotele,
La Metafisica, traduzione e note di Armando Carlini, Bari, Laterza, 1928 (1949,
1959, 1965; Filosofi Antichi e Medievali) La religiosità dell'arte e della
filosofia, Firenze, Sansoni, 1934 Filosofia e religione nel pensiero di
Mussolini, Roma, Quaderni dell'Ist. Naz. di Cultura fascista (ser. 4; 5), 1934
Il mito del realismo, Firenze, Sansoni, 1936 Lineamenti di una concezione
realistica dello spirito umano, Roma, Perrella, 1942 Saggio sul pensiero
filosofico e religioso del Fascismo, Roma, Ist. Naz. di Cultura Fascista
(Biblioteca I.N.C.F.; 2), 1942; seconda edizione, Lulu.com, . Il problema di
Cartesio, Bari, Laterza, 1948 Perché credo, Brescia, Morcelliana, 1950
Cattolicesimo e pensiero moderno, Brescia, Morcelliana, 1953 Breve storia della
filosofia, Firenze, Sansoni, 1957 Giovanni Gentile, la vita e il pensiero a
cura della Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi filosofici, VIII (Studi gentiliani), Firenze, Sansoni,
1957 Le ragioni della fede, Brescia, Morcelliana, 1959 Armando Carlini, Fra
Michelino e la sua eresia, prefazione di Renato Serra, Bologna, Nicola
Zanichelli, 1912, 9788865415160.
Note Fonte: C. Del Bello, Dizionario Biografico degli Italiani,
riferimenti in . Cfr. a tale proposito
il bel saggio di Gabriele Turi, Giovanni Gentile, una biografia, Firenze,
Giunti Ed., 1994, pag. 182-185 Per
approfondimenti cfr. Pietro Prini, La filosofia cattolica italiana del 900,
Parte IV (Cap. Carlini e l'interiorità del trascendente) RomaBari, Editori
Laterza, 1997 978-88-420-4899-2 Augusto Guzzo, Armando Carlini, Torino,
Edizioni di Filosofia, 1960 Nicola Abbagnano e , Storia della filosofia IV, (Cap. XXXIV di Franco Restaino), Torino,
U.T.E.T., 1994, pag. 604 e seg. Ludovico Geymonat e , Storia del pensiero
filosofico e scientifico, VII (Il Novecento),
Cap. IX (La filosofia italiana contemporanea), di Ludovico Geymonat e Franco
Quaranta, Milano, Aldo Garzanti Editore, 1976. Claudio Del Bello, CARLINI,
Armando, in Dizionario biografico degli italiani, 20, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
1977. Leonardo Messinese, Stanze della metafisica. Heidegger, Löwith, Carlini,
Bontadini, Severino, Morcelliana, Brescia . Leonardo Messinese, Armando
Carlini, Lateran University Press, Roma . Michele Lasala, Armando Carlini e la
metafisica dell'interiorità, in , Frammenti di filosofia contemporanea, VII, (prefazione di G. Cacciatore), I.
Pozzoni, Limina Mentis Editore, Villasanta (MB) . Michele Lasala, Armando
Carlini. Da «La vita dello spirito» all'incontro con Heidegger, in , Frammenti
di filosofia contemporanea, XI, I.
Pozzoni, Limina Mentis Editore, Villasanta (MB) . Michele Lasala, Was ist
Metaphysik? Armando Carlini interprete di Martin Heidegger, in , Frammenti di
filosofia contemporanea, XIV, I.
Pozzoni, Limina Mentis Editore, Villasanta (MB) . Aristotele Agostino Augusto Guzzo Benedetto
Croce Benito Mussolini Casa editrice Giuseppe Laterza & figli Cristianesimo
Francesco Acri Francesco Olgiati Fascismo Giosuè Carducci Giovanni Gentile
Gustavo Bontadini Idealismo Michele Federico Sciacca Martin Heidegger
Metafisica Neotomismo Spiritualismo Tommaso d'Aquino Armando Carlini, su Treccani.itEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Armando Carlini / Armando Carlini (altra versione), in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Armando Carlini, su Enciclopedia
Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
Opere di Armando Carlini, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di
Armando Carlini, . Armando Carlini, su
storia.camera.it, Camera dei deputati.
Articolo di Daniele Lo Giudice sullo spiritualismo italiano dal sito:
digilader. libero. it, su digilander.libero.it. Elenco molto ben dettagliato ed
esaustivo delle opere di Armando Carlini (dal sito della Biblioteca Nazionale
Centrale di Firenze), su opac.bncf.firenze..it. PredecessoreRettore dell'PisaSuccessoreUnipi
logo.jpg Vittorio Aducco19271935Giovanni D'AchiardiV D M Giovanni Gentile Filosofia
Filosofo del XX secoloAccademici italiani Professore1878 1959 9 agosto 30
settembre Napoli PisaDeputati della XXIX legislatura del Regno
d'ItaliaPersonalità dell'Italia fascistaRettori dell'Pisa
CARO: Mario De Caro,
filosofo. Professore di filosofia morale presso l'Università Roma Tre. Dal
2000, insegna anche presso la Tufts University, dove è regolarmente Visiting
Professor. Si occupa di filosofia morale, di libero arbitrio, teoria
dell'azione, storia della scienza e delle filosofie di Donald Davidson e Hilary
Putnam. Con David Macarthur ha difeso la teoria detta "Liberal
naturalism", già oggetto di discussione nelle letteratura specialistica
sull’argomento. È esecutore letterario per tutto il mondo delle opere di Hilary
Putnam. Ha trascorso due anni presso il
Massachusetts Institute of Technology come Visiting graduate student e uno come
Fulbright fellow presso la Harvard University.
È membro dei comitati scientifici delle riviste The European Journal of
Analytic Philosophy, Rivista di Estetica
e Filosofia e questioni pubbliche, dell'Advisory Panels Linguistic and
Philosophical Investigations, Review of Contemporary Philosophy e Analysis and
Metaphysics. Lavora come consulente presso il Ministério da Ciência, Tecnologia
e Ensino Superior (Portogallo). Collabora con Il Sole 24 Ore, e ha scritto per
The Times, La Repubblica, La Stampa e il manifesto. È stato Presidente della Società Italiana di
Filosofia Analitica (SIFA) dal al . È
vicepresidente della Consulta Nazionale di Filosofia. Con Maurizio Ferraris e
Achille Varzi. ha condotto ZettelFilosofia in movimento, programma televisivo
RAI dedicato alla filosofia. L'asteroide
5329 Decaro è chiamato così in suo onore.
Monografie Dal punto di vista dell'interprete. La filosofia di Donald
Davidson, Roma, Carocci, 1998. Il libero arbitrio, Roma-Bari, Laterza, 2004.
Azione, Bologna, Il Mulino, 2008. Curatele Interpretations and Causes: New
Perspectives on Donald Davidson's Philosophy, Dordrecht, Kluwer, 1999. La
logica della libertà, Roma, Meltemi, 2002. Normatività, Fatti, Valori, con
Massimo Dell'Utri e Rosaria Egidi, Macerata, Quodlibet, 2003. Cartographies of
the Mind. Philosophy and Psychology in Intersection, con Massimo Marraffa e
Francesco Ferretti, Dordrecht, Springer, 2007. Scetticismo. Storia di una
vicenda filosofica, con Emidio Spinelli, Roma, Carocci, 2007. Naturalism in
Question, con David Macarthur, Cambridge (Mass.)-London, Harvard University
Press, 2004; paperback edition 2008. Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il
mistero del libero arbitrio, con Andrea Lavazza e Giuseppe Sartori, Torino,
Codice, . Naturalism and Normativity, con David Macarthur, New York, Columbia
University Press, . La filosofia analitica e le altre tradizioni, con Stefano
Poggi, Roma, Carocci, . Philosophy in an Age of Science: Physics, Mathematics
and Skepticism, con David Macarthur e Hilary Putnam, Cambridge (Mass.)-London,
Harvard University Press, . Bentornata Realtà. Il nuovo realismo in discussione
con Maurizio Ferraris, Torino, Einaudi, . Quanto siamo responsabili? Filosofia,
neuroscienze e società, con Andrea Lavazza e Giuseppe Sartori, Torino, Codice,
. Biografie convergenti: venti ircocervi filosofici, disegni di Guido
Scarabottolo, Milano-Udine, Mimesis, . Note
Da ndpr.nd.edu Google books Da ase.tufts.edu The European Journal of Analytic
Philosophy Da alfa.fct.mctes.pt, su
alfa.fct.mctes.pt. 5 febbraio 26 maggio
). Da Archivio del Sole 24 Ore Da Archivio di La Repubblica . Da
ssd.jpl.nasa.gpv Curriculum nel sito dell'Università
degli Studi Roma Tre, su host.uniroma3.it. "De Caro: filosofia e
divulgazione" in Rai Educational, su filosofia.rai.it. Filosofia Filosofo del
XX secoloFilosofi italiani Professore1963
CARRAVETTA: Peter Carravetta
(Lappano), filosofo.. Note Peter
Carravetta, Del postmoderno., by Alessandro Carrera iawa-West welcomes Peter Carravetta and
Marisa Frasca on Saturday, February 14,
at Sidewalk Cafe NYC IAWA’s Open
Reading Series Featuring Peter Carravetta & Marisa FrascaFebruary 14, Filosofia Letteratura Letteratura Filosofo del XX secoloFilosofi
italiani del XXI secoloPoeti italiani del XX secoloPoeti italiani del XXI
secoloTraduttori italiani 1951 10 maggio
CARULLI: Antonio Carulli
(Bari), filosofo. Dopo gli studi, culminati in un dottorato in filosofia () a
Bari (una città tradizionalmente soggetta allo storiografismo, all'impegno
cattolico e al marxismo), produce da subito una filosofia aliena ai grandi
inganni del nostro tempo e refrattaria alla celebrazione dei suoi miti (la
democrazia, i diritti, la socialità, il debolismo), scritta con un'inconsueta
attenzione alla forma, seguendo la scuola della cosiddetta “critica della
cultura” (da Nietzsche in poi, unendo gli epigoni di quello ai moralisti
francesi). Partito da posizioni di
antistoricismo puro, culminato in un Benjamin schiacciato sulla impoliticità di
ritorno del suo pensieroOggettività dell'Impolitico. Riflessioni negative a
partire da Walter Benjamin () -, così come da un'analisi eterodossa dell'ultimo
SchellingDe contemptu (Dello Schelling tardo) () -, è giunto ad esiti originali
con la produzione del volume Metafisica delle mestruazioni (), dove si sottrae
il fenomeno femminile alle analisi socio-antropologiche per riconsegnarlo alla
sua radice “metafisica”. Il discorso sul
Cristianesimo ritorna nel volume Sfiducia e sragione. Trattato
teologico-politico (), dove si riprende inoltre la critica della democrazia
iniziata nel : il Cristianesimo è definitivamente visto come forma culturale
stanca e abitudinaria, ma in grado di reggere con la sua apatia allo scontro
con l'Islam. Sempre in questo volume si affaccia la verità ontologica di enti
in diminuzione che non giungono mai all'annullamento definitivo; una verità che
lo distanzia dall'eternità degli essenti come pure dai cultori
dell'annientamento. La produzione di
Carulli, sino ad oggi compatta e centrata ossessivamente sugli stessi temi, può
essere idealmente divisa secondo un'altra direttrice, volta alla ricostruzione
critica pionieristica della produzione di Manlio Sgalambro, di cui fu amico
nell'ultima fase della sua vita (2009-). In quest'ambito ha pubblicato: Caro
misantropo. Saggi e testimonianze per Manlio Sgalambro () con Francesco
Iannello et al., Introduzione a Sgalambro () e La piccola verità. Quattro saggi
su Manlio Sgalambro () con Piercarlo Necchi, Manuel Pérez Cornejo e Patrizia
Trovato. Opere Libri Antonio Carulli,
Oggettività dell'Impolitico. Riflessioni negative a partire da Walter Benjamin,
Genova, Il Melangolo, Antonio Carulli,
De contemptu (Dello Schelling tardo), Genova, Il Melangolo, Caro misantropo. Saggi e testimonianze per Manlio
Sgalambro, Antonio Carulli-Francesco Iannello, Napoli, La Scuola di Pitagora, Antonio Carulli, Metafisica delle
mestruazioni, Genova, Il Melangolo,
Antonio Carulli, Introduzione a Sgalambro, Genova, Il Melangolo, Antonio Carulli, Sfiducia e sragione.
Trattato teologico-politico, prefazione di Marco Fortunato, Napoli, La Scuola
di Pitagora, Antonio Carulli-Piercarlo
Necchi-Manuel Pérez Cornejo-Patrizia Trovato, La piccola verità. Quattro saggi
su Manlio Sgalambro, Milano, Mimesis,
Saggi Antonio Carulli, Lettera in La felicità? Prove didattiche di
studenti “tieffini” in formazione, Chiara Gemma, Barletta, Cafagna, , 42-47 Note
Alessio Cantarella, Oggettività dell'impolitico, su
alessiocantarella.it, 1º novembre .
Gianluca Veneziani, Storia, verità e politica. Perché Benjamin non è un
marxista, in Libero, 6 maggio . Alessio
Cantarella, De contemptu, su alessiocantarella.it, 1º ottobre . Alessio Cantarella, Metafisica delle
mestruazioni, su alessiocantarella.it, 21 settembre . Davide D'Alessandro, Dante, Harry Potter e le
mestruazioni: l'idea bellicosa di editoria di Regazzoni, su ilfoglio.it, 2
maggio . Alessio Cantarella, Sfiducia e
sragione, su alessiocantarella.it, 14 novembre . Davide D'Alessandro, Ratzinger, Bergoglio e
l'Abitudine al Cristianesimo, su ilfoglio.it, 4 dicembre . Pier Francesco Corvino, Religio MediciSfiducia
e sragione di Antonio Carulli, su argonline.it, 5 marzo . Andrea Comincini, Per una interpretazione di
Dio e del Contemporaneo, su scenaillustrata.com, 29 dicembre . Alessio Cantarella, Caro misantropo, su
alessiocantarella.it, 1º giugno . Roberto
Fai, Manlio Sgalambro «un metafisico distruttore», in La Sicilia, 12 ottobre
24. «Saggi e testimonianze per Manlio
Sgalambro», in Corriere del Mezzogiorno, 14 ottobre 20. Sgalambro, “impiegato di filosofia” contro i
luoghi comuni, in Il Mattino, 14 ottobre .
Gianluca Veneziani, Sgalambro, filosofo pessimista che sapeva come
godersi la vita, in Libero, 6 marzo .
Alessio Cantarella, Introduzione a Sgalambro, su alessiocantarella.it,
12 ottobre . Luca Farruggio, Una
preziosa “Introduzione a Sgalambro” scritta dal filosofo Antonio Carulli, su
insiemeragusa.it, 21 ottobre . Davide
D'Alessandro, Cara “Italian Theory”, ricordati di Sgalambro, su ilfoglio.it, 27
febbraio . Introduzione a Sgalambro di
Antonio Carulli, su raiplayradio.it, 8 agosto .
Alessio Cantarella, La piccola verità, su alessiocantarella.it, 25
luglio . Davide D'Alessandro, Uno
Sgalambro non isolato, tra Cacciari e Severino, su ilfoglio.it, 28 luglio
. Gabriele Ottaviani, “La piccola
verità”, su convenzionali.wordpress.com, 13 agosto . Luigi Iannone, Sgalambro e le piccole verità,
su blog.ilgiornale.it, 27 agosto .
Andrea Comincini, Sgalambro, l’esistenza e il peso di dio, su
scenaillustrata.com, 21 novembre . Leo
Lestingi, Sgalambro, il filosofo che amava la canzone, in La Gazzetta del
Mezzogiorno, 28 dicembre 15. Filosofo del XXI secoloSaggisti italiani Professore1983
6 novembre Bari
CASALE-MONFERRATO
(under M) Giovanni
da Casale Giovanni da Casale (Casale Monferrato),
filosofo. Autore di opere di teologia e scienza e legato pontificio. Biografia Nacque a Casale Monferrato intorno
al 1320. Successivamente entrò nell'ordine francescano nella provincia
genovese. Fu docente presso lo studio francescano di Assisi dal 1335 al 1340. Circa nel 1346 scrisse il trattato Quaestio
de velocitate motus alterationis, ispirato alle dottrine di Richard Swineshead
e di Nicola d'Oresme, e successivamente pubblicato a Venezia nel 1505. In esso
presentò un'analisi grafica del movimento dei corpi uniformemente accelerati.
La sua attività di insegnamento in fisica matematica influenzò gli studiosi che
operarono all'Padova e, si crede, possa aver infine influenzato il pensiero
scientifico di Galileo Galilei che ripropose idee simili più di due secoli
dopo. Note ‘Giovanni da Casale’, Enciclopedie on line,
Treccani. Filosofia Filosofo del XIV secoloTeologi italiani Casale
MonferratoStoria della scienza
CASALEGNO Paolo
Casalegno -- Paolo Stefano Casalegno
(Torino), filosofo italiano. Allievo di Vittorio Sainati, si laureò a i Pisa con
una tesi sugli aspetti della logica modernista. Rimase a Pisa con la qualifica
di ricercatore fino al 1988, quando si trasferì definitivamente a Milano,
chiamato in Statale da Andrea Bonomi, ordinario di Filosofia del linguaggio.
Qui iniziò ad approfondire diversi temi all'interno della filosofia analitica,
quali il concetto di verità, la teoria degli insiemi, l'epistemologia della
testimonianza, la teoria della ricorsività. Divenne professore associato e vinse
la cattedra di Filosofia del linguaggio.
Opere: “Alle origini della semantica formale,” Cuem; “Filosofia del
linguaggio: un'introduzione,” Carocci, “Teoria degli insiemi, un'introduzione,
Carocci, (con Mauro Mariani) Brevissima introduzione alla filosofia del
linguaggio, Carocci, Verità e
significato. Scritti di filosofia del linguaggio, Carocci, (P. Frascolla, D. Marconi ed E. Paganini); On
the T-degrees of partial functions, in The Journal of Symbolic Logic; The
consistency of some 4-stratified subsystems of NF including NF3, in The Journal
of Symbolic Logic, con Maurice Boffa: Il puzzle di Kripke, in Teoria, Sulla
logica dei plurali, in Teoria; Only: Association With Focus in Event Semantics,
in Natural Language Semantics, con Andrea Bonomi; Tre osservazioni su verità e
riferimento, in Iride; Come interpretare l'argomento antirealista di Dummett?,
in Lingua e stile; Le proprietà modali della verità: problemi e punti di vista,
in A. Fabris, G. Fioravanti e E. Moriconi, Logica e teologia. Studi in onore di
Vittorio Sainati, Pisa, ETS, Quinean Inscrutability vs. Total Inscrutability,
in Lingua e stile; The referential and the logical component in Fodor's
semantics, in dialectica, Un problema concernente le condizioni di
asseribilità, in G. Usberti, Modi dell'oggettività, Milano, Bompiani, Normatività
e riferimento, in Iride, Truth and justification in ethics, in Politeia, The
Problem of Non-conclusiveness, in Topoi, Logical concepts and logical
inferences, in dialectica; Truth and Truthfulness Attributions, in Proceedings
of the Aristotelian Society; Chomsky sul riferimento, in E. Ballo and M.
Franchella, Logic and philosophy in Italy, Monza, Polimetrica; Reasons to
believe and assertion, in dialectica; Paolo Casalegno, il maestro della
filosofia del linguaggio, di Franco Manzoni, Corriere della Sera, Archivio
storico.
CASANOVA: Giacomo Casanova ritratto dal fratello
Francesco Giacomo Girolamo Casanova (Venezia) avventuriero, scrittore, poeta,
alchimista, esoterista, diplomatico, finanziere, scienziato, filosofo e agente
segreto della Serenissima italiano, cittadino della Repubblica di
Venezia. Benché di lui resti una produzione letterariatra trattati e
testi saggistici d'argomento vario (s'occupò, nell'ampia gamma dei suoi
interessi, perfino di matematica) e opere letterarie in prosa come in
versivastissima, viene a tutt'oggi ricordato principalmente come un
avventuriero e, per via della sua vita amorosa a dir poco movimentata, come
colui che fece del proprio nome l'antonomasia del soave e raffinato seduttore e
libertino. A tutt'oggi un playboy viene spesso chiamato "casanova".
A questa sua fama di grande conquistatore di donne contribuì verosimilmente la
sua opera più importante e celebre: Histoire de ma vie (Storia della mia vita),
in cui l'autore descrive, con la massima franchezza (pur non per questo privandosi
d'anedotti romanzeschi e alcuni abbellimenti), le sue avventure, i suoi viaggi
e, soprattutto, i suoi innumerevolissimi incontri galanti. L'Histoire è
scritta in francese: tale scelta linguistica fu dettata principalmente da
motivi di diffusione dell'opera, in quanto all'epoca il francese era la lingua
più conosciuta e parlata dalle élite d'Europa. Fra corti e salotti vari,
Casanova si ritrovò a vivere, quasi senza rendersene conto, un momento di
svolta epocale della storia, non comprendendo affatto lo spirito di fortissimo
rinnovamento che avrebbe fatto virare la storia in direzioni mai percorse
prima; rimase infatti ancorato fino alla fine dei propri giorni ai valori,
precetti e credenze dell'ancien régime e della sua rispettiva classe dominante,
l'aristocrazia, alla quale era stato escluso per nascita e della quale cercò
disperatamente di far parte, anche quando essa era ormai irrimediabilmente
avviata al crepuscolo, per tutta la propria vita[E 1]. Tra le personalità
eccelse dell'epoca che ebbe modo di conoscere personalmente, e di cui ci ha
lasciato testimonianza diretta, si possono citare Jean-Jacques Rousseau,
Voltaire, Madame de Pompadour, Wolfgang Amadeus Mozart, Benjamin Franklin,
Caterina II di Russia e Federico II di Prussia. Dalla nascita alla fuga dai
Piombi (17251756) Venezia, Calle della Commedia (ora Malipiero) Giacomo
Girolamo Casanova[E 2] nacque a Venezia, in Calle della Commedia (ora Calle
Malipiero), nei pressi della chiesa di San Samuele, dove fu anche battezzato,
il 2 aprile del 1725. Molte opere enciclopediche o letterarie recano
erroneamente i nomi di battesimo Giovanni Giacomo, la cui origine è sicuramente
da ricercarsi nella pubblicazione dell'opera del 1835 Biografia degli italiani
illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo XVIII e de' contemporanei,
Emilio De Tipaldo, in cui l'autore della voce relativa al Casanova, Bartolomeo
Gamba, intestò erroneamente la voce a un certo Giovanni Giacomo Casanova.
Successivamente, l'errore fu ripetuto nel 1931 nella voce su Casanova dell'Enciclopedia
Treccani e da allora è spesso riapparso. Si può leggere il nome corretto
nel documento relativo al battesimo del Casanova. «Addì 5 aprile
1725 Giacomo Girolamo fig.o di D. Gaietano Giuseppe Casanova del
q.(uondam) Giac.o Parmegiano comico, et di Giovanna Maria, giogali, nato il 2
corr. battezzato da P. Gio. Batta Tosello sacerd. di chiesa de licentiaComp. il
signor Angelo Filosi q.(uondam) Bartolomeo stà a S. Salvador. Lev. Regina
Salvi.» (Storia della mia vita, Mondadori, 1965, VII, p.24) Il padre, Gaetano Casanova, era un
attore e ballerino parmigiano di remote origini spagnole (almeno stando alla
dubbia genealogia tracciata dal Casanova all'inizio dell'Histoire, gli avi
paterni sarebbero stati originari di Saragozza, nell'Aragona[E 3]), mentre la
madre, Zanetta Farussi, era un'attrice veneziana che, nella sua professione,
ebbe di gran lunga maggior successo del marito, dato che la troviamo menzionata
persino da Carlo Goldoni nelle sue Memorie, ove la definì: "...una vedova
bellissima e assai valente". La voce popolare lo considerava frutto di una
relazione adulterina della madre con il patrizio veneziano Michele Grimani[E 4]
e Casanova stesso affermò, seppur in maniera criptica nel suo libello Né amori
né donne, di essere figlio naturale del patrizio. Ma ulteriori indizi a
suffragio della tesi potrebbero derivare dal fatto che, dopo la morte del
padre, i Grimani si presero cura di lui con un'assiduità che appare andasse
oltre i normali rapporti di protezione e liberalità che le famiglie patrizie
veneziane praticavano nei confronti delle persone che, a qualche titolo,
avevano servito la casata. Il che troverebbe conferma anche nel fatto che la
giustizia della Repubblica, solitamente piuttosto severa, non infierì mai
particolarmente nei suoi confronti. Dopo la sua nascita, la coppia ebbe altri
cinque figli: Francesco, Giovanni Battista, Faustina Maddalena (28 dicembre
173120 agosto 1736), Maria Maddalena Antonia Stella (nata il 25 dicembre
1732) e Gaetano Alvise (nato il 16 febbraio 1734). Chiesa di San
Samuele, Venezia Rimasto orfano di padre a soli otto anni d'età ed essendo la
madre costantemente in viaggio a causa della sua professione, Giacomo fu
allevato dalla nonna materna Marzia Baldissera in Farussi. Da piccolo era di
salute cagionevole e per questo motivo la nonna lo condusse da una fattucchiera
che, eseguendo un complicato rituale, riuscì a guarirlo dai disturbi da cui era
affetto. Dopo quell'esperienza infantile, l'interesse per le pratiche magiche
lo accompagnerà per tutta la vita, ma lui stesso era il primo a ridere della
credulità che tanti manifestavano nei confronti dell'esoterismo. All'età
di nove anni fu mandato a Padova, dove rimase fino al termine degli studi; nel
1737 s'iscrisse all'università dove, come ricorda nelle Memorie, si sarebbe
laureato in diritto; la questione dell'effettivo conseguimento del titolo
accademico è molto controversa: infatti Casanova descrive nelle Memorie gli
anni passati all'Padova, sostenendo di essersi laureato. Analoga affermazione
risulta anche dalla dedica dell'opera del 1797 a Leonard Snetlage, il cui
frontespizio reca scritto A Leonard Snetlage, Docteur en droit de l'Université
de Gottingue, Jacques Casanova, docteur en droit de l'Universitè de Padoue.
Inoltre da documenti risulta che il Casanova abbia lavorato nello studio
dell'avvocato Marco Da Lezze, dal che si era presunto che, compiuti gli studi e
conseguita la laurea, fosse andato a compiere il praticantato presso il Da
Lezze. Nonostante queste fonti, il primo a dubitare del titolo conseguito dal
Casanova fu Pompeo Molmenti, ma ben presto gli studi del Brunelli, il quale
aveva reperito documenti che dimostravano in modo certo l'avvenuta
immatricolazione al primo anno e le successive iscrizioni,[E 5] convinsero
tutti gli autori dell'effettivo conseguimento del titolo accademico; in tal
senso, tra i tanti, anche James Rives Childs (Casanova, cit. in bibl. pag. 32).
Successivamente, nel 1970, Enzo Grossato pose nuovamente in dubbio il
conseguimento del titolo rifacendosi ai registri di laurea, i quali non
menzionano il nome del veneziano. Dello stesso avviso Piero Del Negro, il quale
rilevò che, oltre ai registri consultati dal Grossato, anche un ulteriore
codice, il Registro dottorati 1737 usque ad 1747, non riportava il nome del
Casanova; inoltre egli constatò che il Casanova non aveva mai parlato del
titolo se non in epoca tarda, quando ormai ricostruire la circostanza sarebbe
stato difficile per chiunque. Terminati gli studi, Giacomo Casanova
viaggiò a Corfù e a Costantinopoli, per poi rientrare a Venezia nel 1742. Nella
sua città natale ottenne un impiego presso lo studio dell'avvocato Marco da
Lezze.[E 6] Il 18 marzo 1743 la nonna Marzia Baldissera morì. Con la morte
della nonna, alla quale era legatissimo, si chiuse un capitolo importante della
sua vita: la madre decise di lasciare la bella e costosa casa in Calle della
Commedia[E 7] e di sistemare i figli in modo economicamente più sostenibile.
Questo evento segnò profondamente Giacomo, togliendogli un importante punto di
riferimento. Nello stesso anno fu rinchiuso, a causa della sua condotta
piuttosto turbolenta, nel Forte di Sant'Andrea dalla fine di marzo alla fine di
luglio. Più che l'applicazione di una pena, fu un avvertimento tendente a
cercare di correggerne il carattere. Messo in libertà, partì, grazie ai
buoni uffici materni, per la Calabria, al seguito del vescovo di Martirano che
si recava ad assumere la diocesi. Una volta giunto a destinazione, spaventato
per le condizioni di povertà del luogo, chiese e ottenne congedo. Viaggiò a
Napoli e a Roma, dove nel 1744 prese servizio presso il cardinal Acquaviva,
ambasciatore della Spagna presso la Santa Sede. L'esperienza si concluse
presto, a causa della sua condotta imprudente: infatti aveva nascosto nel
Palazzo di Spagna, residenza ufficiale del cardinale, una ragazza fuggita di
casa. Targa commemorativa su Palazzo Malipiero Nel febbraio del
1744 arrivò ad Ancona, dove era già stato sette mesi prima. Durante il primo
soggiorno nella città era stato costretto a passare la quarantena nel
lazzaretto[E 8], dove aveva intessuto una relazione con una schiava greca,
alloggiata nella camera superiore alla sua.[E 9] Fu però durante il suo
secondo soggiorno ad Ancona che Casanova ebbe una delle sue più strane
avventure: si innamorò di un seducente cantante castrato, Bellino, convinto che
si trattasse in realtà di una donna. Fu solo dopo una corte serrata che
Casanova riuscì a scoprire ciò che sperava: il castrato era in realtà una
ragazza, Teresa (con cui avrà il figlio illegittimo Cesarino Lanti), che, per
sopravvivere dopo essere rimasta orfana, si faceva passare per un castrato in
modo da poter cantare nei teatri dello Stato della Chiesa, dove era vietata la
presenza di donne sul palcoscenico. Il nome di Teresa ricorre spesso nel testo
dell'Histoire, a testimonianza dei molti incontri avvenuti, negli anni, nelle
capitali europee dove Teresa mieteva successi con le sue interpretazioni.[E
10] Ritornò quindi a Venezia e, per un certo periodo, si guadagnò da
vivere suonando il violino nel teatro di San Samuele, di proprietà dei nobili
Grimani che, alla morte del padre, avvenuta prematuramente (1733), avevano
assunto ufficialmente la tutela del ragazzo, avvalorando la voce popolare
secondo la quale uno dei Grimani, Michele, fosse il vero padre di Giacomo.
Nel 1746 avvenne l'incontro con il patrizio veneziano Matteo Bragadin, che
avrebbe migliorato sostanzialmente le sue condizioni. Colpito da un malore, il
nobiluomo fu soccorso da Casanova e si convinse che, grazie a quel tempestivo
intervento, aveva potuto salvarsi la vita. Di conseguenza prese a considerarlo
quasi come un figlio, contribuendo, finché visse, al suo mantenimento. Nelle
ore concitate in cui assisteva Bragadin, Casanova venne in contatto con i due
più fraterni amici del senatore, Marco Barbaro[E 11] e Marco Dandolo[E 12];
anch'essi gli si affezionarono profondamente e, finché vissero, lo tennero
sotto la loro protezione. La frequentazione con i nobili attirò l'interesse
degli Inquisitori di Stato e Casanova, su consiglio di Bragadin, lasciò Venezia
in attesa di tempi migliori. Nel 1749 incontrò Henriette, che sarebbe
stata forse il più grande amore della sua vita. Lo pseudonimo nascondeva
probabilmente l'identità di una nobildonna di Aix-en-Provence, forse Adelaide
de Gueidan.[E 13] Su questa e su altre identificazioni, i
"casanovisti" si sono accapigliati per decenni. In linea di massima,
come è stato sostenuto da molti studiosi, i personaggi citati nelle Memorie
sono reali. Al più, l'autore potrebbe essersi cautelato con qualche piccola
accortezza: spesso, trattandosi di donne sposate, alcune sono citate con le
iniziali o con nomi di fantasia, talvolta l'età viene un po' modificata per
galanteria o per vanità dell'autore che non amava riferire di avventure con
donne considerate, con i criteri di allora, in età matura, ma in generale le
persone sono identificabili e anche i fatti riferiti sono risultati corretti e
riscontrabili. Innumerevoli identificazioni e notizie documentali hanno
confermato il racconto. Se qualche errore c'è stato, lo si deve anche al
fatto che, all'epoca in cui furono scritte le Memorie (dal 1789 in poi), erano
passati molti anni dai fatti e, per quanto l'autore si possa essere aiutato con
diari o appunti, non era facile incasellare cronologicamente gli eventi. Ogni
tanto l'autore si faceva però trascinare dalla sua visione teatrale delle cose
e non rinunciava a qualche "colpo di teatro", il che peraltro
contribuisce a rendere la lettura più piacevole. Il problema dell'attendibilità
del racconto casanoviano è tuttavia molto complesso: ciò che è difficile o, in
molti casi, impossibile da valutare è se i rapporti che Casanova riferisce di
aver intrattenuto con i personaggi siano rispondenti alla realtà dei fatti.
Taluni studiosi hanno ritenuto che nel corpus delle Memorie siano stati
inseriti dei passaggi totalmente romanzati e di pura invenzione, basati
comunque su personaggi storicamente esistiti ed effettivamente presenti nel
luogo e nel tempo della descrizione. Il caso più clamoroso è quello che
riguarda la relazione di Casanova con suor M.M.[E 14] e i conseguenti rapporti
con l'ambasciatore di Francia De Bernis. Si tratta di una delle parti più
valide dell'opera dal punto di vista letterario e stilistico. Il ritmo del
racconto è serratissimo e la tensione emotiva dei personaggi di straordinario
realismo. Secondo alcuni studiosi il racconto è assolutamente veritiero e si è
ripetutamente tentata l'identificazione della donna, secondo altri il racconto
è di pura fantasia e basato sulle confidenze del cuoco dell'ambasciatore (tale
Rosier), che effettivamente Casanova conosceva molto bene. La diatriba tra le
varie tesi continuerà ma, comunque stiano le cose, il valore dell'opera non
cambia, perché ciò che perde il Casanova memorialista lo guadagna il Casanova
romanziere.[E 15] Rientrato a Venezia nella primavera del 1750, nel
giugno successivo decise di partire per Parigi. A Milano si incontrò con
l'amico Antonio Stefano Balletti[E 16], figlio della celebre attrice Silvia, e
con lui proseguì alla volta della capitale francese. Durante il viaggio, a
Lione, Casanova aderì alla Massoneria.[E 17] Non sembra che la decisione fosse
ascrivibile a inclinazioni ideologiche, ma piuttosto alla pratica esigenza di
procurarsi utili appoggi. «Ogni giovane che viaggia, che vuol conoscere
il mondo, che non vuol essere inferiore agli altri e escluso dalla compagnia
dei suoi coetanei, deve farsi iniziare alla Massoneria, non fosse altro per
sapere superficialmente cos'è. Deve tuttavia fare attenzione a scegliere bene
la loggia nella quale entrare, perché, anche se nella loggia i cattivi soggetti
non possono far nulla, possono tuttavia sempre esserci e l'aspirante deve
guardarsi dalle amicizie pericolose.» (Giacomo Casanova, Memorie) Ottenne
qualche risultato: infatti molti personaggi incontrati nel corso della sua
vita, come Mozart[E 18] e Franklin erano massoni e alcune facilitazioni
ricevute in varie occasioni sembrerebbero dovute ai benefici derivanti dal far
parte di un'organizzazione ben radicata in quasi tutti i paesi europei. Giunti a
Parigi, Balletti presentò Casanova alla madre, che lo accolse con familiarità;
la generosa ospitalità della famiglia Balletti si protrasse per i due anni in
cui visse nella capitale francese.[E 19] Durante la permanenza si applicò allo
studio del francese, che sarebbe divenuto la sua lingua letteraria oltre che,
in molti casi, epistolare.[E 20] Ritornato a Venezia dopo il lungo
soggiorno parigino e altri viaggi a Dresda, Praga e Vienna, il 26 luglio 1755,
all'alba, fu arrestato e ristretto nei Piombi. Come d'uso all'epoca,
al condannato non venne notificato il capo d'accusa, né la durata della
detenzione cui era stato condannato.[E 21] Ciò, come in seguito scrisse, si
rivelò dannoso, poiché se avesse saputo che la pena era di durata tutto sommato
sopportabile, si sarebbe ben guardato dall'affrontare il rischio mortale
dell'evasione e soprattutto il pericolo della possibile successiva eliminazione
da parte degli inquisitori, i quali, spesso, arrivavano a operare anche molto
lontano dai confini della Repubblica. Questi magistrati erano l'espressione più
evidente dell'arbitrarietà del potere oligarchico che governava Venezia. Erano
insieme tribunale speciale e centrale di spionaggio. Sui motivi reali
dell'arresto si è discusso parecchio. Certo è che il comportamento di Casanova
era tenuto d'occhio dagli inquisitori e rimangono molte riferte[E 22] (rapporti
delle spie al soldo degli Inquisitori) che ne descrivevano minutamente i
comportamenti, soprattutto quelli considerati socialmente sconvenienti. In
definitiva l'accusa era quella di "libertinaggio" compiuto con donne
sposate, di spregio della religione, di circonvenzione di alcuni patrizi e in
generale di un comportamento pericoloso per il buon nome e la stabilità del
regime aristocratico. Di fatto, Casanova conduceva una vita alquanto
disordinata, ma né più né meno di tanti rampolli delle casate illustri: come
questi giocava, barava e aveva anche delle idee abbastanza personali in materia
di religione e, quel che è peggio, non ne faceva mistero. L'arresto
di Casanova (illustrazione per Storia della mia fuga) Anche la sua adesione
alla Massoneria, che era nota agli Inquisitori, non gli giovava, così come la
scandalosa relazione intrattenuta con "suor M.M.", certamente
appartenente al patriziato, monaca nel convento di S. Maria degli Angeli in
Murano e amante dell'ambasciatore di Francia, abate De Bernis.[E 23] Insomma,
l'oligarchia al potere non poteva tollerare oltre che un individuo ritenuto
socialmente pericoloso restasse in circolazione. Tuttavia gli appoggi, di
cui certamente poteva disporre nell'ambito del patriziato, lo aiutarono
notevolmente, sia nell'ottenere una condanna "leggera" sia durante la
reclusione, e forse addirittura ne agevolarono l'evasione. La contraddizione è
solo apparente, perché Casanova fu sempre un personaggio ambivalente: per
estrazione e mezzi faceva parte di una classe subalterna, anche se contigua
alla nobiltà, ma per frequentazioni e protezioni poteva sembrare far parte, a
qualche titolo, della classe al potere. A questo riguardo va anche considerato
che il suo presunto padre naturale, Michele Grimani, apparteneva a una delle
famiglie più illustri dell'aristocrazia veneziana, annoverando ben tre dogi e
altrettanti cardinali. Questa paternità fu rivendicata da Casanova stesso nel
libello Né amori né donne e sembra che anche la somiglianza di aspetto e di
corporatura dei due avvalorasse parecchio la tesi. Dalla fuga dai Piombi
al ritorno a Venezia (17561774) Presunto ritratto di Giacomo Casanova,
attribuito a Francesco Narici, e in passato ad Anton Raphael Mengs o al suo
allievo Giovanni Battista Casanova (fratello di Giacomo) Appena riavutosi dallo
shock dell'arresto, Casanova cominciò a organizzare la fuga. Un primo tentativo
fu vanificato da uno spostamento di cella. Nella notte fra il 31 ottobre e il
1º novembre 1756 mise in atto il suo piano: passando dalla cella alle soffitte,
attraverso un foro nel soffitto praticato da un compagno di reclusione, il
frate Marino Balbi, uscì sul tetto e successivamente si calò di nuovo all'interno
del palazzo da un abbaino. Passò quindi, in compagnia del complice, attraverso
varie stanze e fu infine notato da un passante, che pensò fosse un visitatore
rimasto chiuso all'interno e chiamò uno degli addetti al palazzo il quale aprì
il portone, consentendo ai due di uscire e di allontanarsi fulmineamente con
una gondola. Si diressero velocemente verso nord. Il problema era
seminare gli inseguitori: infatti la fuga gettava un'ombra sull'amministrazione
della giustizia di Venezia ed era chiaro che gli Inquisitori avrebbero tentato
di tutto per riacciuffare gli evasi. Dopo brevi soggiorni a Bolzano (dove i
banchieri Menz lo ospitarono e aiutarono economicamente), Monaco di iera (dove
Casanova finalmente si liberò della scomoda presenza del frate), Augusta e
Strasburgo, il 5 gennaio 1757 arrivò a Parigi, dove nel frattempo il suo amico
De Bernis era divenuto ministro e quindi gli appoggi non gli mancavano.
Illustrazione da Storia della mia fuga Rinfrancato e trovata una
sistemazione, iniziò a dedicarsi alla sua specialità: brillare in società,
frequentando quanto di meglio la capitale potesse offrire. Conobbe tra gli
altri la marchesa d'Urfé nobildonna ricchissima e stravagante, con la quale
intrattenne una lunga relazione, dilapidando cospicue somme di denaro che lei
gli metteva a disposizione, soggiogata dal suo fascino e dal consueto corredo
di rituali magici. Il 28 marzo 1757 assistette, come accompagnatore di
alcune dame «incuriosite da quell'orrendo spettacolo» (mentre lui distolse lo
sguardo) e di un conte trevigiano, alla cruenta esecuzione (tramite
squartamento) di Robert François Damiens, che aveva attentato alla vita di
Luigi XV. Molto fantasioso, come al solito, si fece promotore di una
lotteria nazionale, allo scopo di rinsaldare le finanze dello stato. Osservava
che questo era l'unico modo di far contribuire di buon grado i cittadini alla
finanza pubblica. L'intuizione era talmente valida che ancora adesso il sistema
è molto praticato. L'iniziativa venne autorizzata ufficialmente e Casanova
venne nominato "Ricevitore" il 27 gennaio 1758.[25] Nel
settembre dello stesso anno, De Bernis fu nominato cardinale; un mese dopo
Casanova fu incaricato dal governo francese di una missione segreta nei Paesi
Bassi.[26] Al suo ritorno fu coinvolto in un'intricata faccenda
riguardante una gravidanza indesiderata di un'amica, la scrittrice veneziana
Giustiniana Wynne. Di madre italiana e padre inglese, Giustiniana era stata al
centro dell'attenzione per la sua rovente relazione con il patrizio veneziano Andrea
Memmo. Questi aveva cercato in tutti i modi di sposarla, ma la ragion di stato
(lui era membro di una delle dodici famigliecosiddette apostolichepiù nobili di
Venezia) glielo aveva impedito, a causa di alcuni oscuri trascorsi della madre
di lei, e, in seguito allo scandalo che ne era sortito, i Wynne avevano
lasciato Venezia.[27] Giunta a Parigi, trovandosi in stato interessante e di
conseguenza in grosse difficoltà, la ragazza si rivolse per aiuto a Casanova,
che aveva conosciuto a Venezia e che era anche ottimo amico del suo amante. La
lettera con cui implorava aiuto è stata ritrovata[28] ed è singolare la
schiettezza con cui la ragazza si rivolge a Casanova, dimostrando una fiducia
totale in quest'ultimo,[29] tenuto conto dell'enorme rischio a cui si esponeva
(e lo esponeva) nel caso in cui il messaggio fosse caduto nelle mani
sbagliate. Casanova si prodigò per darle aiuto, ma incorse in una
denuncia per concorso in pratiche abortive, presentata dall'ostetrica Reine
Demay in combutta con un losco personaggio, Louis Castel-Bajac, per estorcere
denaro in cambio di una ritrattazione. Benché l'accusa fosse molto grave,
Casanova riuscì a cavarsela con la consueta presenza di spirito e fu
prosciolto, mentre la sua accusatrice finì in carcere. L'amica abbandonò l'idea
di interrompere la gravidanza e in seguito partorì nel convento in cui si era
rifugiata. Ceduti i suoi interessi nella lotteria, Casanova si imbarcò in una
fallimentare operazione imprenditoriale, una manifattura di tessuti, che
naufragò anche a causa di una forte restrizione delle esportazioni derivante
dalla guerra in corso. I debiti che ne derivarono lo condussero per un po' in
carcere (agosto 1759). Come al solito, il provvidenziale intervento della ricca
e potente marchesa d'Urfé lo tolse dall'incomoda situazione.[30] Gli anni
successivi furono un intenso continuo peregrinare per l'Europa. Si recò nei
Paesi Bassi, poi in Svizzera, dove incontrò Voltaire nel castello di Ferney.
L'incontro con Voltaire, il maggior intellettuale vivente all'epoca, occupa
parecchie pagine dell'Histoire ed è riferito nei minimi particolari; Casanova
esordì dicendo che era il giorno più felice della sua vita e che per vent'anni
aveva aspettato di incontrarsi con il suo "maestro"; Voltaire gli
rispose che sarebbe stato ancora più onorato se, dopo quell'incontro, lo avesse
aspettato per altri vent'anni.[31] Un riscontro obiettivo si trova in una
lettera di Voltaire a Nicolas-Claude Thieriot, datata 7 luglio 1760, in cui la
figura del visitatore viene tratteggiata con ironia.[32] Lo stesso Casanova non
era d'accordo con molte idee di Voltaire («Voltaire [...] doveva capire che il
popolo per la pace generale della nazione ha bisogno di vivere nell'ignoranza»,
dirà in seguito), e quindi rimase insoddisfatto, anche se scrisse poi delle
parole di stima per il patriarca dell'illuminismo: «Partii assai contento di
aver messo quel grande atleta alle corde l'ultimo giorno. Ma di lui mi rimase
un brutto ricordo che mi spinse per dieci anni di seguito a criticare tutto ciò
che quel grand'uomo dava al pubblico di vecchio o di nuovo. Oggi me ne pento,
anche se, quando leggo ciò che pubblicai contro di lui, mi sembra di aver
ragionato giustamente nelle mie critiche. Comunque avrei dovuto tacere,
rispettarlo e dubitare dei miei giudizi. Dovevo riflettere che senza i sarcasmi
che mi dispiacquero il terzo giorno, avrei trovato tutti i suoi scritti
sublimi. Questa sola riflessione avrebbe dovuto impormi il silenzio, ma un uomo
in collera crede sempre di aver ragione.[31]» In seguito andò in Italia,
a Genova, Firenze e Roma.[33] Qui viveva il fratello Giovanni, pittore, allievo
di Mengs. Durante il soggiorno presso il fratello fu ricevuto dal papa Clemente
XIII. Nel 1762 ritornò a Parigi, dove riprese a esercitare pratiche
esoteriche insieme alla marchesa d'Urfé, fino a che quest'ultima, resasi conto
di essere stata per anni presa in giro con l'illusione di rinascere giovane e
bella per mezzo di pratiche magiche, troncò ogni rapporto con l'improvvisato
stregone che, dopo poco tempo, lasciò Parigi, dove il clima che si era creato
non gli era più favorevole, per Londra, dove fu presentato a corte.[34]
Nella capitale inglese conobbe la funesta Charpillon,[35] con la quale cercò di
intessere una relazione. In questa circostanza anche il grande seduttore mostrò
il suo lato debole e questa scaltra ragazza lo portò fin sull'orlo del
suicidio. Non che fosse un grande amore, ma evidentemente Casanova non poteva
accettare di essere trattato con indifferenza da una ragazza qualsiasi. E più
lui vi s'intestardiva, più lei lo menava per il naso. Alla fine riuscì a
liberarsi di questa assurda situazione e si diresse verso Berlino.[36] Qui
incontrò il re Federico il Grande, che gli offrì un modesto posto d'insegnante
nella scuola dei cadetti. Rifiutata sdegnosamente la proposta, Casanova si
diresse verso la Russia e giunse a San Pietroburgo nel dicembre del
1764.[37] L'anno successivo si recò a Mosca e in seguito incontrò
l'imperatrice Caterina II,[38] anche lei annessa alla straordinaria collezione di
personaggi storici incontrati nel corso delle sue infinite peregrinazioni.
Merita una riflessione la straordinaria facilità con cui Casanova aveva accesso
a personaggi di primissimo piano, che certo non erano usi a incontrarsi con
chiunque. Evidentemente la fama lo precedeva regolarmente e, almeno per effetto
della curiosità suscitata, gli consentiva di penetrare nei circoli più
esclusivi delle capitali. Un po' la questione si autoalimentava, nel
senso che in qualsiasi luogo si trovasse, Casanova si dava sempre un gran da
fare per ottenere lettere di presentazione per la destinazione successiva.
Evidentemente ci aggiungeva del suo: aveva conversazione brillante, una cultura
enciclopedica fuori del comune e, quanto a esperienze di viaggio, ne aveva
accumulate infinite, in un'epoca in cui la gente non viaggiava un granché.
Insomma Casanova il suo fascino lo aveva, e non lo spendeva solo con le
donne. Nel 1766 in Polonia avvenne un episodio che segnò profondamente
Casanova: il duello con il conte Branicki.[39] Questi, durante un litigio a
causa della ballerina veneziana Anna Binetti,[40] lo aveva apostrofato
chiamandolo poltrone veneziano. Il conte era un personaggio di rilievo alla
corte del re Stanislao II Augusto Poniatowski e per uno straniero privo di
qualsiasi copertura politica non era molto consigliabile contrastarlo. Quindi,
anche se offeso pesantemente dal conte, qualsiasi uomo di normale prudenza si
sarebbe ritirato in buon ordine; Casanova, invece, che evidentemente non era
solo un amabile conversatore e un abile seduttore, ma anche un uomo di
coraggio, lo sfidò in un duello alla pistola. Faccenda assai pericolosa, sia in
caso di soccombenza sia in caso di vittoria, in quanto era facile attendersi
che gli amici del conte ne avrebbero rapidamente vendicato la morte.[41]
Targa commemorativa del soggiorno di Casanova a Madrid Il conte ne uscì
ferito in modo gravissimo, ma non abbastanza da impedirgli di pregare
onorevolmente i suoi di lasciare andare indenne l'avversario, che si era
comportato secondo le regole. Seppur ferito abbastanza seriamente a un braccio,
Casanova riuscì a lasciare l'inospitale paese.[42] La buona stella
sembrava avergli voltato le spalle. Si diresse a Vienna, da dove fu
espulso.[43] Tornò a Parigi, dove, alla fine di ottobre, lo raggiunse la
notizia della morte di Bragadin, il quale, più che un protettore, era stato per
Casanova un padre adottivo. Pochi giorni dopo (6 novembre 1767) fu colpito da
una lettre de cachet del re Luigi XV, con la quale gli veniva intimato di
lasciare il paese.[44] Il provvedimento era stato richiesto dai parenti della
marchesa d'Urfé, i quali intendevano mettere al riparo da ulteriori rischi le
pur cospicue sostanze di famiglia. Si recò quindi in Spagna, ormai alla
disperata ricerca di una qualche occupazione, ma anche qui non andò meglio: fu
gettato in prigione con motivi pretestuosi e la faccenda durò più di un
mese. Lasciò la Spagna e approdò in Provenza, dove però si ammalò gravemente
(gennaio 1769).[45] Fu assistito grazie all'intervento della sua amata
Henriette che, nel frattempo sposatasi e rimasta vedova, aveva conservato di
lui un ottimo ricordo. Riprese presto il suo peregrinare, recandosi a Roma,[46]
Napoli, Bologna, Trieste. In questo periodo si infittirono i contatti con gli
Inquisitori veneziani per ottenere l'agognata grazia, che finalmente giunse il
3 settembre 1774. Dal ritorno a Venezia alla morte (17741798) La
narrazione delle Memorie casanoviane cessa alla metà di febbraio del 1774.[47]
Ritornato[48] a Venezia dopo diciott'anni, Casanova riannodò le vecchie
amicizie, peraltro mai sopite grazie a un'intensissima attività epistolare. Per
vivere, si propose agli Inquisitori come spia, proprio in favore di coloro che
erano stati tanto decisi prima a condannarlo alla reclusione e poi a costringerlo
a un lungo esilio. Le riferte di Casanova non furono mai particolarmente
interessanti e la collaborazione si trascinò stancamente fino a interrompersi
per "scarso rendimento". Probabilmente qualcosa in lui si opponeva a
esser causa di persecuzioni che, avendole provate in prima persona, conosceva
bene. L'ultima abitazione veneziana di Casanova Rimasto senza fonti
di sostentamento, si dedicò all'attività di scrittore, utilizzando la sua vasta
rete di relazioni per procurare sottoscrittori alle sue opere.[49] All'epoca si
usava far sottoscrivere un ordinativo di libri prima ancora di aver dato alle
stampe o addirittura terminato l'opera, in modo da esser certi di poter
sostenere gli elevati costi di stampa. Infatti la composizione avveniva
manualmente e le tirature erano bassissime. Nel 1775 pubblicò il primo tomo
della traduzione dell'Iliade. La lista di sottoscrittori, cioè di coloro che
avevano finanziato l'opera, era davvero notevole e comprendeva oltre
duecentotrenta nomi fra quelli più in vista a Venezia, comprese le alte
autorità dello stato, sei Procuratori di San Marco in carica[50] due figli del
doge Mocenigo, professori dell'Padova e così via.[51] Va rilevato che, per
essere un ex carcerato evaso e poi graziato, aveva delle frequentazioni di altissimo
livello. Il fatto di far parte della lista non era tenuto segreto, ma in una
città piccola, in cui le persone che contavano si conoscevano tutte, era di
pubblico dominio; dunque le adesioni dimostravano che, malgrado le sue
vicissitudini, Casanova non era affatto un emarginato. Anche qui è opportuna
una riflessione sull'ambivalenza del personaggio e sul suo eterno oscillare tra
la classe reietta e quella privilegiata. In questo stesso periodo iniziò
una relazione con Francesca Buschini, una ragazza molto semplice e incolta che
per anni avrebbe scritto a Casanova, dopo il suo secondo esilio da Venezia,
delle lettere (ritrovate a Dux) di un'ingenuità e tenerezza commoventi,[52]
utilizzando un lessico molto influenzato dal dialetto veneziano, con evidenti
tentativi di italianizzare il più possibile il testo. Questa fu l'ultima
relazione importante di Casanova, che rimase molto attaccato alla donna: anche
quando ne fu irrimediabilmente lontano, rattristato profondamente dal
crepuscolo della sua vita, teneva una fitta corrispondenza con Francesca, oltre
a continuare a pagare, per anni, l'affitto della casa in Barbaria delle Tole in
cui avevano convissuto, inviandole, quando ne aveva la possibilità, lettere di
cambio con discrete somme di denaro. Il nome della calle deriva dalla
presenza, in tempi antichi, di falegnamerie che riducevano in tavole (tole, in
dialetto veneziano) i tronchi d'albero. La calle si trova nelle immediate
vicinanze del Campo SS. Giovanni e Paolo. L'ultima abitazione veneziana di Giacomo
Casanova è sita in Barbarìa delle Tole, al civico 6673 del sestiere di
Castello. L'identificazione certa è stata ricavata da una lettera a Casanova di
Francesca Buschini, ritrovata a Dux (odierna Duchcov, Repubblica Ceca), datata
13 dicembre 1783.L'appartamento occupato da Casanova e dalla Buschini (di
proprietà della nobile famiglia Pesaro di S. Stae), affittato a 96 lire venete
a trimestre, corrisponde alle tre finestre del terzo piano situate sotto la
soffitta che si vede in alto a sinistra (vedi foto). La lettera in questione,
spedita dalla Buschini a Casanova ormai in esilio, faceva riferimento alla casa
antistante "È morto la molgie del maestro di spada che mi stà in fasa di
me quela casa in mezzo al brusà, giovine e anche bela la era..." (testo originale
tratto dall'edizione critica delle lettere di F. Buschini Marco Leeflang,
Utrecht, Marie-Françose Luna, Grenoble, Antonio Trampus, Trieste, Lettres de
Francesca Buschini à G. Casanova, 1996, cit. in bibl.) Poiché tutti i
caseggiati antistanti erano andati distrutti a causa di due successivi incendi,
avvenuti nel 1683 e nel 1686, l'area era rimasta praticamente priva di
fabbricati e destinata a giardino. L'unico fabbricato ancora esistente era
quello dinanzi al 6673[53]. In seguito la situazione non ha subito modifiche di
rilievo; l'edificio in questione, antistante al 6673, si trova tra il ramo
primo e il ramo secondo "Del brusà" e quindi l'identificazione appare
fondata e verificabile[54]. Negli anni successivi pubblicò altre opere e
cercò di arrabattarsi come meglio poté. Ma il suo carattere impetuoso gli giocò
un brutto scherzo: offeso platealmente in casa Grimani da un certo Carletti,
col quale aveva questionato per motivi di denaro, si risentì perché il padrone
di casa aveva preso le parti del Carletti. Decise a questo punto di vendicarsi
componendo un libello, Né amori né donne, ovvero la stalla ripulita in cui, pur
sotto un labile travestimento mitologico, facilmente svelabile, sostenne
chiaramente di essere lui stesso il vero figlio di Michele Grimani, mentre Zuan
Carlo Grimani sarebbe stato "notoriamente" frutto del tradimento
della madre (Pisana Giustinian Lolin) con un altro nobile veneziano, Sebastiano
Giustinian.[55] Probabilmente era tutto vero, anche perché in una città
in cui le distanze tra le case si misuravano a spanne, si circolava in gondola
e c'erano stuoli di servitori che ovviamente spettegolavano a più non posso,
era impensabile poter tenere segreto alcunché. Comunque, anche in questo caso
l'aristocrazia fece quadrato e Casanova fu costretto all'ultimo, definitivo,
esilio. Tuttavia la questione non passò inosservata, se si ritenne opportuno
far circolare un libello anonimo, con cui si replicava allo scritto
casanoviano, intitolato "Contrapposto o sia il riffiutto mentito, e vendicato
al libercolo intitolato Ne amori ne donne ovvero La stalla ripulita, di Giacomo
Casanova".[56] Ritratto del 1788 Annotazione della morte
di Casanova nei registri di Dux Lasciò Venezia nel gennaio 1783 e si diresse
verso Vienna. Per un po' fece da segretario all'ambasciatore veneziano
Sebastiano Foscarini; poi, alla morte di questi,[57] accettò un posto di
bibliotecario nel castello del conte di Waldstein a Dux, in Boemia. Lì
trascorse gli ultimi tristissimi anni della sua vita, sbeffeggiato dalla servitù,[58]
ormai incompreso, e considerato il relitto di un'epoca tramontata per
sempre. Da Dux, Casanova dovette assistere alla Rivoluzione francese,
alla caduta della Repubblica di Venezia, al crollare del suo mondo, o perlomeno
di quel mondo a cui aveva sognato di appartenere stabilmente. L'ultimo
conforto, oltre alle lettere numerosissime degli amici veneziani che lo
tenevano al corrente di quanto accadeva nella sua città, fu la composizione
della Histoire de ma vie, l'opera autobiografica che assorbì tutte le sue
residue energie, compiuta con furore instancabile quasi per non farsi precedere
da una morte che ormai sentiva vicina. Scrivendola, Casanova riviveva una vita
assolutamente irripetibile, tanto da entrare nel mito, nell'immaginario
collettivo, una vita «opera d'arte».[59] Morì il 4 giugno del 1798, si suppone
che la salma fosse stata sepolta nella chiesetta di Santa Barbara, nei pressi
del castello. Ma riguardo al problema dell'identificazione corretta del luogo
di sepoltura di Giacomo Casanova, le notizie sono comunque piuttosto vaghe, e
non ci sono, allo stato, che ipotesi non correttamente documentate.
Tradizionalmente si riteneva che fosse stato sepolto nel cimitero della
chiesetta attigua al castello Waldstein, ma era una pura ipotesi.[60]
Opere 1752 -Zoroastro, tragedia tradotta dal Francese, da rappresentarsi nel
Regio Elettoral Teatro di Dresda, dalla compagnia de' comici italiani in
attuale servizio di Sua Maestà nel carnevale dell'anno MDCCLII. Dresda. 1753La
Moluccheide, o sia i gemelli rivali. Dresda 1769Confutazione della Storia del
Governo Veneto d'Amelot de la Houssaie, Amsterdam (Lugano). 1772Lana caprina.
Epistola di un licantropo. Bologna. 1774Istoria delle turbolenze della Polonia.
Gorizia. 1775Dell'Iliade di Omero tradotta in ottava rima. Venezia.
1779Scrutinio del libro "Eloges de M. de Voltaire par différents
auteurs". Venezia. Il duello, ed. 1914 1780Opuscoli miscellaneiIl
duelloLettere della nobil donna Silvia Belegno alla nobildonzella Laura
Gussoni. Venezia. 1781Le messager de Thalie. Venezia. 1782Di aneddoti viniziani
militari ed amorosi del secolo decimoquarto sotto i dogadi di Giovanni
Gradenigo e di Giovanni Dolfin. Venezia. 1782Né amori né donne ovvero la stalla
ripulita. Venezia. 1784Lettre historico-critique sur un fait connu, dependant
d'une cause peu connu... Amburgo (Dessau). 1784Expositionne raisonée du
différent, qui subsiste entre le deux Républiques de Venise, et d'Hollande.
Vienna. 1785Supplément à l'Exposition raisonnée. Vienna. 1785Esposizione
ragionata della contestazione, che susiste trà le due Repubbliche di Venezia, e
di Olanda. Venezia. 1785Supplemento alla Esposizione ragionata.... Venezia.
1785Lettre a monsieur Jean et Etienne Luzac.... Vienna. 1785Lettera ai signori
Giovanni e Stefano Luzac.... Venezia. 1786Soliloque d'un penseur, Prague chez
Jean Ferdinande noble de Shonfeld imprimeur et libraire. 1787 -Histoire de ma
fuite des prisons de la République de Venise qu'on appelle les Plombs. Ecrite à
Dux en Bohème l'année 1787, Leipzig chez le noble de Shonfeld 1788. Historia
della mia fuga dalle prigioni della republica di Venezia dette "li
Piombi", prima edizione italiana Salvatore di Giacomo (prefazione e
traduzione). Alfieri&Lacroix editori, Milano 1911. 1788Icosameron ou
histoire d'Edouard, et d'Elisabeth qui passèrent quatre vingts ans chez les
Mégramicres habitante aborigènes du Protocosme dans l'interieur de notre globe,
traduite de l'anglois par Jacques Casanova de Seingalt Vénitien Docteur èn lois
Bibliothécaire de Monsieur le Comte de Waldstein seigneur de Dux Chambellan de
S.M.I.R.A., Prague à l'imprimerie de l'école normale. Praga. (romanzo di
fantascienza) 1790Solution du probleme deliaque démontrée par Jacques Casanova
de Seingalt, Bibliothécaire de Monsieur le Comte de Waldstein, segneur de Dux
en Boheme e c., Dresde, De l'imprimerie de C.C. Meinhold. 1790Corollaire a la
duplication de l'Hexaedre donée a Dux en Boheme, par Jacques Casanova de
Seingalt, Dresda. 1790Demonstration geometrique de la duplicaton du cube.
Corollaire second, Dresda. 1792 Lettres écrites au sieur Faulkircher par son
meilleur ami, Jacques Casanova de Seingalt, le 10 Janvier 1792. 1797A Leonard
Snetlage, Docteur en droit de l'Université de Gottingue, Jacques Casanova,
docteur en droit de l'Universitè de Padoue. Dresda. Edizioni postume 1886Le
Polemoscope, Gustave Kahn, Paris, La Vogue. 1960-1962Histoire de ma vie, F.A.
Brockhaus, Wiesbaden e Plon, Parigi. Edizioni italiane basate sul manoscritto
originale: Piero Chiara , traduzione Giancarlo BuzziGiacomo Casanova, Storia
della mia vita, ed. Mondadori 1965. 7 voll. di cui uno di note, documenti e
apparato critico. Piero Chiara e Federico Roncoroni Giacomo Casanova, Storia
della mia vita, Milano, Mondadori "I meridiani" 1983. 3 voll. Ultima
edizione: Milano, Mondadori "I meridiani", 2001. 1968Saggi libelli e
satire di Giacomo Casanova, Piero Chiara, Milano. Longanesi & C.
1969Epistolario (17591798) di Giacomo Casanova, Piero Chiara, Milano. Longanesi
& C. 1978Rapporti di Giacomo Casanova con i paesi del Nord. A proposito dell'inedito
"Prosopopea Ecaterina II (1773-74)", Enrico Straub. Venezia. Centro
tedesco di studi veneziani. 1985Examen des "Etudes de la Nature" et
de "Paul et Virginie" de Bernardin de Saint Pierre, Marco Leeflang e
Tom Vitelli. Utrecht, 1985. Edizione italiana: Analisi degli Studi della natura
e di Paolo e Virginia di Bernardin de Saint-Pierre, Gianluca Simeoni, Bologna,
Pendragon, 2003, 88-8342-202-3
1990Pensieri libertini, Federico di Trocchio (sulle opere filosofiche inedite
rinvenute a Dux), Milano, Rusconi. 1993Philocalies sur les sottises des
mortels, Tom Vitelli. Salt Lake City. 1993Jacques Casanova de SeingaltHistoire
de ma vie. Texte intégral du manuscrit original, suivi de textes inédits.
Édition présentée et établie par Francis Lacassin. 2-221-06520-4. Éditions Robert Laffont.
1997Iliade di Omero in veneziano Tradotta in ottava rima. Canto primo.
Riproduzione integrale del manoscritto a fronte, Venezia, Editoria
Universitaria. 1998Iliade di Omero in veneziano Tradotta in ottava rima. Canto
secondo. Riproduzione integrale del manoscritto a fronte. Venezia, Editoria
Universitaria. 1999Storia della mia vita, traduzione Pietro Bartalini Bigi e
Maurizio Grasso. Roma, Newton Compton, coll. « I Mammut », 1999, 2 978-88-82-89028-5. 2005Dell'Iliade d'Omero
tradotta in veneziano da Giacomo Casanova. Canti otto. Mariano del Friuli,
Edizioni della Laguna. 2005Iliade di Omero in veneziano. Tradotta in ottava
rima. Riproduzione integrale del manoscritto a fronte. Venezia, Editoria
Universitaria, 978-88-88618-47-0
2005Dialoghi sul suicidio. Roma, Aracne,
88-548-0312-X 2006Iliade di Omero in idioma toscano'. Riproduzione
integrale dell'edizione Modesto Fenzo (1775-1778). Venezia, Editoria
Universitaria. Histoire de ma vie, tome I. Édition publiée sous la direction de
Gérard Lahouati et Marie-Françoise Luna avec la collaboration de Furio
Luccichenti et Helmut Watzlawick. Collection Bibliothèque de la Pléiade (nº
132), Gallimard. Parigi.
978-2-07-011712-3 Histoire de ma vie, tome I. Édition établie par
Jean-Christophe Igalens et Érik Leborgne, Laffont, Bouquins. Parigi. 2-221-13135-5 Histoire de ma vie, tome II.
Édition établie par Jean-Christophe Igalens et Érik Leborgne, Laffont,
Bouquins. Parigi. 978-2-22-113136-7
Histoire de ma vie, tome II. Édition publiée sous la direction de Gérard
Lahouati et Marie-Françoise Luna avec la collaboration de Furio Luccichenti et
Helmut Watzlawick. Collection Bibliothèque de la Pléiade (nº 137), Gallimard.
Parigi. 978-2-07-013054-2 Histoire de ma
vie, tome III. Édition publiée sous la direction de Gérard Lahouati et
Marie-Françoise Luna avec la collaboration de Furio Luccichenti et Helmut
Watzlawick. Collection Bibliothèque de la Pléiade (nº 147).[61] Gallimard.
Parigi. 978-2-07-013055-9 Histoire de ma
vie, tome III. Édition établie par Jean-Christophe Igalens et Érik Leborgne,
Laffont, Bouquins. Parigi.
978-2-22-113137-4 Icosameron, traduzione di Serafino Balduzzi, Milano,
Luni Editrice, , 978-88-7984-611-0
Istoria delle turbolenze della Polonia, Milano, Luni Editrice, , 978-88-7984-617-2 Valore letterario e fortuna
dell'opera casanoviana Presunto ritratto di Giacomo Casanova, attribuito
ad Alessandro Longhi o, da alcuni[62][63], a Pietro Longhi[64][65][66] Sul
valore letterario e la validità storica dell'opera di Giacomo Casanova si è
discusso parecchio.[67] Intanto bisogna distinguere tra l'opera autobiografica
e il resto della produzione. Malgrado gli sforzi fatti per accreditarsi come
letterato, storico, filosofo e addirittura matematico, Casanova non ebbe in
vita, e tantomeno da morto, nessuna notorietà e nessun successo.[68] Successo
che arrise invece all'opera autobiografica, anche se si manifestò in tempi
molto posteriori alla morte dell'autore. Disegno di un busto di
Giacomo Casanova, ubicato in origine a Dux, oggi al Museo delle Arti
Decorative di Vienna La sua produzione fu spesso d'occasione, cioè di frequente
i suoi scritti furono creati per ottenere qualche beneficio. Principale esempio
è la Confutazione della Storia del Governo Veneto d'Amelot de la Houssaye,
scritta in gran parte durante la detenzione a Barcellona nel 1768, che avrebbe
dovuto servire, e infatti così fu, a ingraziarsi il governo veneziano e a
ottenere la tanto sospirata grazia.[69] Lo stesso si può dire per opere
scritte nella speranza di ottenere qualche incarico da Caterina II di Russia o
da Federico II di Prussia. Altre opere, come l'Icosameron, avrebbero dovuto
sancire il successo letterario dell'autore ma così non fu. Il primo vero
successo editoriale fu ottenuto dall'Historia della mia fuga dai Piombi che
ebbe una diffusione immediata e varie edizioni, sia in italiano sia in francese
ma il caso è praticamente unico e di proporzioni limitate a causa delle
dimensioni dell'opera costituita dal racconto dell'evasione. Sembra quasi che
Casanova tollerasse le sue creature autobiografiche e il loro successo,
continuando a inseguire, con opere non autobiografiche, un successo letterario
che non arrivò mai. Questo aspetto fu acutamente osservato da un memorialista
suo contemporaneo, il principe Charles Joseph de Ligne, il quale scrisse[70]
che il fascino di Casanova stava tutto nei suoi racconti autobiografici, sia
verbali sia trascritti, cioè sia la narrazione salottiera sia la versione
stampata delle sue avventure. Tanto era brillante e trascinante quando parlava
della sua vita[71]- osserva de Lignequanto terribilmente noioso, prolisso,
banale quando parlava o scriveva su altre materie. Ma sembra che questo,
Casanova, non abbia mai voluto accettarlo. E soffriva tremendamente di non
avere quel riconoscimento letterario o meglio scientifico a cui ambiva.
Da ciò si può comprendere l'astio nei confronti di Voltaire, che nascondeva una
profonda invidia e una sconfinata ammirazione. Quindi anche contro la volontà
dell'autore, quasi invidioso dei suoi figli più fortunati ma meno prediletti,
le opere autobiografiche avrebbero potuto essere un grande successo editoriale
quando egli era ancora in vita. Ma ciò avvenne in misura molto ridotta per vari
motivi: principalmente perché questo filone fu iniziato tardi. Si pensi ad
esempio che la narrazione della fuga dai Piombi, che costituì per decenni il
cavallo di battaglia del Casanova salottiero, fu pubblicata soltanto nel
1787. Inoltre l'opera "vera", cioè quella in cui aveva trasfuso
tutto sé stesso, l'Histoire, fu scritta proprio negli ultimi anni di vita e il
motivo è semplice: infatti lui stesso affermò, in una lettera del 1791[72]
indirizzata a quel Zuan Carlo Grimani, da lui offeso molti anni prima e che era
stato la causa del secondo esilio: "... ora che la mia età mi fa credere
di aver finito di farla, ho scritto la Storia della mia vita...". Cioè
sembra che per mettere su carta tutto in forma definitiva, l'autore dovesse
prima ammettere con sé stesso che la storia era terminata e di futuro davanti
da vivere non ce n'era più. Ammissione questa sempre dolorosa per chiunque, in
particolare per un uomo che aveva creato una vita-capolavoro
irripetibile. Ma un altro aspetto, questo strutturale, ha ritardato la
fortuna dell'opera autobiografica: l'Histoire era all'epoca assolutamente
impubblicabile. Non è un caso che la prima edizione francese del manoscritto,
acquistato[73] dall'editore Friedrich Arnold Brockhaus di Lipsia nel 1821, fu
pubblicata, dal 1826 al 1838, però in una versione notevolmente rimaneggiata da
Jean Laforgue, il quale non si limitò a "purgare" l'opera,
sopprimendo passi ritenuti troppo audaci, ma intervenne a tappeto modificando
anche l'ideologia dell'autore, facendone una sorta di giacobino avverso alle
oligarchie dominanti. Ciò non corrispondeva affatto alla verità storica, perché
di Casanova si può dire che era ribelle e trasgressivo, ma politicamente era un
fautore dell'ancien régime, come dimostrano chiaramente il suo epistolario,
opere specifiche e la stessa Histoire.[74] In un passo delle Memorie, Casanova
esprime chiaramente il suo punto di vista sull'argomento della Rivoluzione: «Ma
si vedrà che razza di dispotismo è quello di un popolo sfrenato, feroce,
indomabile, che si raduna, impicca, taglia teste e assassina coloro che non appartenendo
al popolo osano mostrare come la pensano.[75]» Per l'edizione definitiva
delle memorie si dovette attendere fino a quando la casa Brockhaus decise di
pubblicare, insieme all'editore Plon di Parigi, dal 1960 al 1962, il testo
originale in sei volumi curato da Angelika Hübscher. Ciò fu dovuto all'impianto
generale dell'opera che era, a detta dell'autore e di smaliziati contemporanei
come de Ligne[76], di un cinismo assolutamente impresentabile.[77] Quello che
essi chiamarono cinismo sarà considerato, due secoli dopo, modernità e
realismo. Casanova è già uno scrittore di costume "moderno".
Non teme di rivelare situazioni, inclinazioni, attività, trame e soprattutto
confessioni che erano all'epoca, e tali rimasero ancora più di un secolo,
assolutamente irriferibili. Naturalmente il primo problema, ma questo limitato
a pochi anni dopo la morte dell'autore, fu quello di aver citato personaggi di
primissimo piano, con circostanze molto precise del loro agire. Le memorie sono
affollate all'inverosimile dagli attori principali della storia europea del
Settecento, sia politica sia culturale. Probabilmente si farebbe prima a dire
di chi Casanova non ha scritto, e chi non ha incontrato, tanto vasto è stato il
panorama delle sue frequentazioni.[78] Ma questo, come si è detto, è
marginale. L'altro problema, questo insuperabile, fu la sostanziale
"immoralità" dell'opera casanoviana. Ma ciò deve intendersi come
contrarietà alle abitudini, ai tic, alle ipocrisie della fine del Settecento e,
ancor di più, del successivo secolo, ancora più fobico e per certi versi molto
meno aperto di quello che l'aveva preceduto. Casanova ha precorso i tempi: era
troppo avanti per diventare un autore di successo. E forse se ne rendeva
perfettamente conto. Nella lettera a Zuan Carlo Grimani, ricordata in
precedenza, Casanova, parlando dell'Histoire, scrive testualmente: ... questa
Storia, che verrà diffusa fino a sei volumi in ottavo e che sarà forse tradotta
in tutte le lingue... E poi, richiede una risposta ... perché io possa porla nei
codicilli che formeranno il settimo volume postumo della Storia della mia vita.
Tutto questo è avvenuto puntualmente.[79] Riguardo all'uso della lingua
francese, Casanova vi fece riferimento nella prefazione: «J'ai écrit en français, et non pas en italien
parce que la langue française est plus répandue que la mienne.[80]» «Ho
scritto in francese e non in italiano perché la lingua francese è più diffusa
della mia.» Certo dell'immortalità della sua opera, se non al fine di
garantirsela, Casanova preferì utilizzare la lingua che gli avrebbe consentito
di raggiungere il maggior numero possibile di potenziali lettori. Molte opere
minori, del resto, le scrisse in italiano, forse perché sapeva bene che esse
non sarebbero divenute mai un monumento, come avvenne invece per la sua
autobiografia. Carlo Goldoni, altro celebre veneziano, coevo al Casanova,
scelse allo stesso modo di scrivere la propria autobiografia in francese.
L'autobiografia del Casanova, a parte il valore letterario, è un importante
documento per la storia del costume, forse una delle opere letterarie più
importanti per conoscere la vita quotidiana in Europa nel Settecento. Si tratta
di una rappresentazione che, per le frequentazioni dell'autore e per la
limitazione dei possibili lettori, riferisce principalmente delle classi
dominanti dell'epoca, nobiltà e borghesia, ma questo non ne limita l'interesse
in quanto anche i personaggi di contorno, di qualsiasi estrazione, sono
rappresentati in modo vivissimo. Leggere quest'opera è uno strumento importante
per conoscere il quotidiano degli uomini e delle donne di allora, per
comprendere dal di dentro la vita di ogni giorno. La fortuna dell'opera
casanoviana, presso i protagonisti di vertice della scena letteraria mondiale,
è stata ristretta solo all'opera autobiografica ed è stata vastissima.
Iniziando da Stendhal,[81] al quale fu attribuita la paternità dell'Histoire, a
Foscolo il quale mise addirittura in dubbio l'esistenza storica del
Casanova,[82] Balzac,[83] Hofmannstahl,[84] Schnitzler,[85] Hesse,[86]
Márai.[87] Molti furono solo lettori e quindi influenzati in modo inconscio,
altri scrissero opere ambientate nell'epoca di Casanova e di cui egli era
protagonista. Innumerevoli sono i riferimenti, nella letteratura moderna,
a questa figura che ha finito per diventare un'antonomasia. In Italia
l'interesse si è manifestato tra la fine dell'Ottocento e i primi del
Novecento. La prima edizione italiana della Historia della mia fuga dai Piombi
fu curata nel 1911 da Salvatore di Giacomo, il quale studiò anche i ripetuti
soggiorni napoletani dell'avventuriero e su questo argomento scrisse un
saggio.[88] Seguirono Benedetto Croce[89] e via via molti altri fino a Piero
Chiara.[90] Un capitolo a parte andrebbe dedicato ai
"casanovisti" cioè a tutti quelli che si sono occupati e si occupano,
più o meno professionalmente, della vita e dell'opera del Casanova. Proprio a
questa legione di sconosciuti si debbono infinite identificazioni di
personaggi, revisioni e importantissimi ritrovamenti di documenti. Molto dell'opera
casanoviana è ancora inedito, Nell'Archivio di Stato di Praga rimangono circa
10 000 documenti che attendono di essere studiati e pubblicati, oltre un numero
imprecisato di lettere che probabilmente giacciono in chissà quanti archivi di
famiglia sparsi per l'Europa. La grafomania dell'avventuriero fu veramente
impressionante: la sua vita a un certo momento divenne totalmente e
ossessivamente dedicata alla scrittura[91] Riguardo al mito del
seduttore, Casanova, insieme a Don Giovanni, ne è stato l'incarnazione. Il
paragone è d'obbligo ed è stato tema di numerose opere critiche.[92] Le due
figure finirono addirittura per fondersi, benché ritenute antitetiche dai
maggiori commentatori:[93] a parte il fatto che il veneziano era un personaggio
reale e l'altro romanzesco, i due caratteri sono agli antipodi. Il primo amava
le sue conquiste, si prodigava con generosità per renderle felici e cercava
sempre di uscire di scena con un certo stile, lasciando dietro di sé una scia
di nostalgia; l'altro invece rappresenta il collezionista puro, più mortifero
che vitale, assolutamente indifferente all'immagine di sé e soprattutto agli
effetti del suo agire, concentrato unicamente sul numero delle vittime della
sua seduzione. L'interpretazione del suo mito sarebbe fornita proprio dal
libretto del Don Giovanni di Mozart, scritto da Lorenzo Da Ponte, in cui
Leporello, il servo di Don Giovanni, in un'aria notissima recita: Madamina il
catalogo è questo, delle belle che amò il padron mio... e prosegue snocciolando
le innumerevoli conquiste, diligentemente registrate. Il fatto che alla
redazione del libretto sembra abbia partecipato anche Casanovacome è stato
sostenuto basandosi su documenti trovati a Dux, sul fatto che Da Ponte e
Casanova si frequentassero e che l'avventuriero fosse sicuramente presente la
sera in cui a Praga andò in scena la prima dell'opera mozartiana (29 ottobre
1787)è tutto sommato marginale.[senza fonte] La partecipazione, comunque molto
limitata, di Casanova alla composizione del libretto di Da Ponte per l'opera
mozartiana Don Giovanni, è ritenuta molto probabile da vari commentatori.
L'elemento fondamentale è un autografo, rinvenuto a Dux, che contiene una
variante del testo che si è ipotizzato facesse parte di una serie di interventi
operati in accordo con Da Ponte e forse anche con lo stesso Mozart.[94] Quel
che è certo è che Casanova si misurò col mito di don Giovanni e ne costruì uno
ancora più grande, certamente più positivo e soprattutto reale. Mostre
1998 Praga, Palazzo Lobkowicz, "Casanova v Čechách" (Casanova in
Boemia). Catalogo: Casanova v Čechách, Praga, Gema Art 1998. 1998 Venezia, Ca'
Rezzonico "Il mondo di Giacomo Casanova". Catalogo: Il mondo di
Giacomo Casanova, un veneziano in Europa 1725-1798, Venezia, Marsilio, 1998. 88-317-7028-4
Francia "Casanova for ever, 33 expositions
Languedoc-Roussillon". Catalogo: Casanova For Ever, Emmanuel Latreille
(dir.), Parigi, Editions Dilecta, .
978-2-916275-72-7. Parigi,
Bibliothèque nationale de France “Casanova, la passion de la liberté” (dal 15
novembre al 19 febbraio ). Catalogo:
Casanova, la passion de la liberté, Parigi, Coédition Bibliothèque nationale de
France / Seuil, . 978-2-7177-2496-7
(BnF) 978-2-02-104412-6 (Seuil) Stati Uniti d'America "Casanova: The
seduction of Europe", varie sedi: Museum of Fine Arts, Boston; Kimbell Art
Museum, Forth Worth; Fine Arts Museums, San Francisco. Catalogo: Casanova The
seduction of Europe MFA Pubblications Museum of fine arts, Boston. 978-0-87846-842-3. Filmografia su Casanova
Casanova (1918). Regia di Alfréd Deésy Il cuore del Casanova (Germania, 1918)
Regia di Erik Lund. Soggetto di Enrik Rennspies. Sceneggiatura di Bruno
Kastner. Con Bruno Kasner, Ria Jende, Rose Lichtenstein, Karl Platen. Casanovas
erste und letzte Liebe (Austria, 1920). Regia di Julius Szoreghi. Casanova
(1927). Regia di Alexandre Volkoff Les amours de Casanova (Francia, 1934).
Regia di René Barberis L'avventura di Giacomo Casanova (Italia, 1938). Regia di
Carlo Bassoli. Le avventure di Casanova (Les Aventures de Casanova) (Francia,
1947). Regia di Jean Boyer. Il cavaliere misterioso (Italia, 1948). Regia di
Riccardo Freda. Con Vittorio Gassman, Gianna Maria Canale, María Mercader,
Antonio Centa. Le avventure di Giacomo Casanova (Italia, 1954-1955). Regia di
Steno. Con Gabriele Ferzetti, Corinne Calvet, Marina Vlady, Nadia Gray, Carlo
Campanini. Last Rose from Casanova, titolo originale Poslední růže od Kasanovy,
(Cecoslovacchia, 1966). Regia di Vaclav Krska. Infanzia, vocazione e prime
esperienze di Giacomo Casanova, veneziano (Italia, 1969). Regia di Luigi
Comencini. Con Leonard Withing, Maria Grazia Buccella, Tina Aumont, Ennio
Balbo, Senta Berger, W. Branbell, Clara Colosimo, C. ComenciniDe Clara, Silvia
Dionisio, Evi Maltagliati, Raoul Grassilli, Mario Scaccia, Lionel Stander.
Cagliostro (Italia, 1975). Regia di Daniele Pettinari. Con Bekim Fehmiu, Curd
Jürgens, Rosanna Schiaffino, Robert Alda, Massimo Girotti. (Casanova è uno dei
personaggi). Il Casanova di Federico Fellini (Italia, 1976). Regia di Federico
Fellini Con Donald Sutherland, Tina Aumont, Olimpia Carlisi, M. Clementi,
Carmen Scarpitta, C. Browne, D. M. Berenstein. Il mondo nuovo (Italia, 1982).
Regia di Ettore Scola. Con Jean Louis Barrault, Marcello Mastroianni, Hanna
Schygulla, Harvey Keitel, Jean-Claude Brialy, Andréa Ferréol, M. Vitold, A.
Belle, E. Bergier, Laura Betti. David di Donatello 1983 per la migliore
sceneggiatura, scenografia e costumi. Il ritorno di Casanova, titolo originale
Le retour de Casanova (Francia, 1992). Regia di Édouard Niermans Con Alain
Delon, Fabrice Luchini, E Lunghini. Goodbye Casanova (Stati Uniti, 2000). Regia
di Mauro Borrelli. Con G. Scandiuzzi, Y. BleethGidley, C. FilpiGanus, E.
Bradley. Il giovane Casanova (Francia, Italia, Germania, 2002). Regia di
Giacomo Battiato. Con Stefano Accorsi, Thierry Lhermitte, Cristiana Capotondi,
Silvana De Santis, Catherine Flemming, Katja Flint. Casanova (Stati Uniti,
2005). Regia di Lasse Hallström. Con Heath Ledger, Jeremy Irons, Lena Olin,
Sienna Miller, Adelmo Togliani. Historia de la meva mort (Spagna/Francia ).
Regia di Albert Serra. Con Vicenç Altaió, Lluís Serrat, Eliseu Huertas.
Casanova variations (Austria/Germania/Francia/Portogallo ). Regia di Michael
Sturminger, con John Malkovich, Fanny Ardant, Veronica Ferres. Zoroastro, Io
Casanova (Italia ) Regia di Gianni di Capua, con Galatea Ranzi Dernier Amour
(Francia ). Regia di Benoît Jacquot, con Vincent Lindon (Giacomo Casanova),
Stacy Martin (Marianne de Charpillon), Valeria Golino, (La Cornelys). Film solo
lontanamente ispirati alla figura di Casanova Casanova farebbe così! (Italia
1942). Regia di Carlo Ludovico Bragaglia. Le tre donne di Casanova (Stati Uniti
1944). Regia di Sam Wood. Casanova '70 (Italia 1965). Regia di Mario Monicelli.
Film comici La grande notte di Casanova (Stati Uniti 1954) Norman Z. McLeod.
Casanova & Company (Austria/Italia/Francia/Rft 1976). Regia di Franz Antel.
Tony Curtis, Marisa Berenson, Sylva Koscina, Britt Ekland, Umberto Orsini,
Marisa Mell, Hugh Griffith. Telefilm su Casanova Casanova (Regno Unito, 2005). Regia
di Sheree Folkson. Con David Tennant, Rose Byrne, Peter O'Toole, Laura Fraser,
Nina Sosanya, Shaun Parkes. Onorificenze Cavaliere dello Speron d'oronastrino
per uniforme ordinariaCavaliere dello Speron d'oro — Roma, 1760 Riguardo
l’onorificenza, Casanova nelle Memorie descrive l'incontro con il pontefice e
il successivo conferimento dell'Ordine (cfr. G. Casanova, Storia della mia
vita, Milano, Mondadori 2001, II pag.
925 cit. in bibl.). Si è dubitato anche in questo caso, come in altri, che il
racconto autobiografico risponda a verità. Per chiarire i dubbi sono state
compiute approfondite ricerche nell'Archivio segreto vaticano al fine di
ritrovare il breve papale di conferimento, sia nel periodo di cui parla
Casanova (dicembre 1760-gennaio 1761) sia in periodi precedenti e successivi,
senza alcun esito. Il che non significa che l’onorificenza non sia stata
effettivamente conferita, in quanto potrebbe essersi verificato un errore
burocratico, di trascrizione o altro. Sta di fatto però che intorno allo stesso
periodo furono conferite onorificenze ad altri personaggi come Piranesi,
Mozart, Cavaceppi e il breve relativo è stato ritrovato. Quindi manca, allo
stato, un riscontro oggettivo. Si aggiunga che il cavalierato dello Speron
d’Oro era all’epoca già piuttosto inflazionato, al punto da sconsigliare
l’esibizione in pubblico della decorazione. Lo stesso Casanova in un passo
dell’opera autobiografica Il duello scrive, riferendosi all’onorificenza,
"il troppo strapazzato ordine della cavalleria romana" (cfr. Il
duello cit. in bibl.).[95] Note Esplicative Casanova visse a lungo in Francia e conobbe
personalmente molti protagonisti del movimento illuminista tra cui Voltaire e
Rousseau. Inoltre, in patria, frequentò membri dell'oligarchia aristocratica
dominante appartenenti all'ala progressista, come Andrea Memmo. In più aveva
anche aderito alla Massoneria, il che lo pose a contatto con tutta una serie di
personaggi portatori di idee progressiste. Malgrado tutto questo egli fu, e si
definì sempre, un conservatore, legato a doppio filo con la classe nobiliare
cui, pur non appartenendovi formalmente, riteneva d'esservi membro in pectore,
reputandosi a torto od a ragione il figlio naturale di Michele Grimani. Allo
scoppio della Rivoluzione francese e nel periodo alquanto turbolento che ne
seguì, scrisse numerosissime lettere (cfr. Epistolario P.Chiara cit. in ) in
cui deprecava in modo reciso l'accaduto e soprattutto non riconobbe mai, negli
eventi, la paternità culturale del movimento illuminista. Ad esso aveva assistito
come semplice spettatore, non avendone percepito mai la dirompente potenzialità
e non condividendone nessuna delle istanze che, ad esempio, Montesquieu
espresse nei confronti dell'iniquo sistema già dal 1721 (cfr. Montesquieu,
Lettres Persanes) e riteneva che, pur con qualche modifica, il governo della
classe nobiliare fosse il migliore possibile. Un esame attento ed approfondito
della posizione politica del Casanova è stato compiuto da Feliciano Benvenuti
(Casanova politico, atti del convegno: Giacomo Casanova tra Venezia e l'Europa,
16.11.1998, Gilberto Pizzamiglio, fondazione Giorgio Cini, Venezia, ed. Leo S.
Olschki, 2001, pag. 1 e seg.) Il cognome
Casanova è attestato appartenere a nobile famiglia vissuta a Cesena, Milano,
Parma, Torino-Dronero
Casanova afferma che dalla città spagnola il suo antenato, padre
Jacob Casanova, a seguito del rapimento di una monaca, Donna Anna Palafox,
sarebbe fuggito, nel 1429, a Roma in cerca di un rifugio dove, dopo aver
scontato un anno di carcere, avrebbe ricevuto il perdono e la dispensa dei voti
sacerdotali da parte del pontefice in persona, potendo così unirsi in
matrimonio con la rapita. A questo riguardo è interessante la tesi di
Jean-Cristophe Igalens (G. Casanova, Histoire de ma vie, tome I. Édition établie
par Jean-Christophe Igalens et Érik Leborgne, Laffont , pag. XL , op. cit. in
Opere postume) il quale sostiene che la genealogia inserita dal Casanova
all'inizio delle Memorie sia del tutto fantasiosa. Si tratterebbe di una sorta
di parodia di ciò che facevano regolarmente i memorialisti aristocratici
dell'epoca i quali, all'inizio dell'opera, enunciavano il loro antico
lignaggio, quasi a ricercare una legittimazione per il fatto di esporre, in
un'opera letteraria, le vicende di cui erano stati protagonisti, almeno quelle
pubbliche, poiché le private rientravano nell'ambito dell'autobiografia. La
tesi appare fondata se si considera che la ricostruzione genealogica proposta
dal C. risale addirittura al 1428, cioè a tre secoli dalla sua nascita ed è relativa
a un cognome, praticamente un toponimo, estremamente comune. A conferma del fatto che la nascita
illegittima di Casanova fosse oggetto di chiacchiere, va citato un passaggio de
La commediante in fortuna di Pietro Chiari (Venezia 1755) in cui si tratteggia
un ritratto precisissimo di Casanova che chiunque era in grado di riconoscere
sotto le spoglie di un nome di fantasia, il Signor Vanesio "C'era tra gli
altri un certo Signor Vanesio dì sconosciuta e, per quanto dicevasi, non
legittima estrazione, ben fatto della persona, di colore olivastro, di
affettate maniere e di franchezza indicibile". Evidentemente il
riferimento a tratti somatici tipici e riconoscibili fa pensare che le dicerie
fossero suffragate da una notevole somiglianza fisica con Michele Grimani.
L'identificazione del Signor Vanesio con Casanova è pacifica, tra i tanti
autori, concordi sul punto, si veda: E.Vittoria Casanova e gli Inquisitori di
Stato cit. in bibl. pag. 25.
(Immatricolazione 29 novembre 1737 col numero 122, iscrizione al secondo
anno 26 novembre 1738, fede di terzeria del 20 gennaio, 22 marzo e I maggio
1739. Fonte: Bruno Brunelli, Casanova studente, in “Il Marzocco” 15 aprile
1923, pag 1-2) Il 2 aprile 1742 firmò un
testamento in qualità di testimone.
Sull'ubicazione esatta della casa natale di Casanova e di quella in cui
trascorse l'infanzia dal 1728 al 1743, anno della morte della nonna materna
Marzia, si è discusso moltissimo. Certo è che al momento del matrimonio Gaetano
e Zanetta Casanova non disponevano di un reddito tale da sostenere un spesa
come quella affrontata, dal 1728 in poi, di 80 ducati annui. Quindi molto
probabilmente, dopo il matrimonio avvenuto il 27 febbraio 1724, i coniugi
andarono a vivere a casa della madre di Zanetta, Marzia Baldissera, cheera vedova
essendo mortole il marito Girolamo Farussi poche settimane avanti il matrimonio
della figlia. E questa con ogni probabilità fu la casa in cui Casanova nacque
il 2 aprile 1725 con l'assistenza della levatrice Regina Salvi.
L'identificazione esatta della casa natale è assai ardua, ma comunque è stata
tentata. Il casanovista Helmuth Watzlawick ha identificato la casa di Marzia
Baldissera con l'attuale civico 2993 di Calle delle muneghe. Questa sarebbe
dunque la casa natale di Casanova (Fonte: Helmuth Watzlawick, House of
childhood, house of birth; a topographical distraction, in Intermédiaire des
Casanovistes, Genève Année XVI 1999, pag. 17 e seg.). I coniugi Casanova si
trasferirono nella casa di Calle della Commedia al ritorno dalla fortunata
tournée londinese quando rientrarono a Venezia col secondogenito Francesco,
nato a Londra il primo di giugno 1727. Tale abitazione risulta essere stata di
gran rappresentanza, su tre livelli, con un salone al secondo piano che fu
usato in occasione di feste. L'affitto di 80 ducati annui era circa il doppio
della media che veniva corrisposta nel vicinato per appartamenti evidentemente
meno lussuosi. A questo punto sembrerebbe tutto chiaro, si tratta solo di
trovare in Calle della commedia un'abitazione che corrisponda alla descrizione:
grandezza, salone al secondo piano e camera al terzo, nonché corrispondenza con
la proprietà che si sa essere stata con certezza della famiglia Savorgnan.
L'unica che potrebbe corrispondere alla descrizione è quella sita nell'attuale
Calle Malipiero (già Calle della Commedia) al civico 3082. Ma su questo non
tutti gli studiosi concordano, tanto che la lapide apposta in calle Malipiero
dice "In una casa di questa calle, già Calle della Commedia, nacque il 2
aprile 1725 Giacomo Casanova" senza alcun altro più specifico elemento.
Alcuni sostengono che a causa di rimaneggiamenti interni non è più possibile
identificare la struttura originaria. Uno studioso dell'argomento, Federico
Montecuccoli degli Erri, ha pubblicato (L'intermédiaire des Casanovistes,
Genève Année XX, 2003, pag.3 e seg.) un'analisi molto approfondita basata sulle
cosiddette "Condizioni" cioè sulle dichiarazioni dei redditi
immobiliari che venivano presentate dai proprietari. All'epoca, per verificare
l'esattezza dei dati dichiarati, si procedeva ad un'ispezione diretta casa per
casa effettuata, in ogni parrocchia, dal parroco. Egli procedeva con un certo
ordine chiedendo a ognuno il titolo di possesso. I proprietari dichiaravano il
titolo di proprietà e gli affittuari dovevano o esibire il contratto oppure
giurare le condizioni contrattuali. Poiché è stato ritrovato il documento in
cui la madre di Zanetta, Marzia, giurava per la figlia, nel frattempo
trasferitasi per lavoro a Dresda, che il contratto prevedeva un affitto di 80 ducati
annui e che l'immobile era di proprietà Savorgnan, conosciamo con certezza i
dati contrattuali e la residenza indicata sull'atto, cioè Calle della Commedia.
Purtroppo le modifiche urbanistiche e catastali intervenute non consentono con
certezza l'identificazione, anche perché all'epoca non esistevano dati
catastali precisi. Secondo lo studioso citato, l'abitazione è da identificarsi
con la casa al civico 3089 della Calle degli orbi che all'epoca potrebbe essere
stata designata come Calle della Commedia. Corrisponderebbero sia l'aspetto
fisico che la proprietà. Comunque tutte queste ipotesi si muovono entro un
fazzoletto di spazio di poche centinaia di metri; infatti è certo che i
Casanova abitavano, per motivi di lavoro, nei pressi del Teatro San Samuele, di
proprietà dei Grimani. Documento: Calle della Commedia 324|casa|Giovanna
Casanova comica al presente s'attrova in Dresda, giurò Marzia sua Madre|N.H
Zuanne e F.llo Co. Savornian|d.ti 80 (annui) Registro dell'anno 1740 Atti della
Parrocchia di S.Samuele. Non nel noto
lazzaretto del Vanvitelli, ma in quello in uso precedentemente. Si è mantenuta la cronologia quale risulta
dal testo delle Memorie. L'autore ha qui, come in altri casi, confuso le date o
fuso insieme più viaggi. In realtà la permanenza nel Lazzaretto era durata dal
26 (o 27) ottobre 1743 al 23 (o 24) novembre 1743. Quindi l'intervallo tra i
due viaggi è stato di tre mesi, non di sette. Come affermato dall'autore, il
soggiorno si svolse nel Lazzaretto "Vecchio", in quanto quello
"Nuovo", pur terminato nel febbraio del 1743, iniziò a funzionare
solo nel 1748 allorché la Reverenda Camera Apostolica se ne prese carico.
Sull'argomento si veda: Furio Luccichenti, Quattro settimane nel Lazzaretto in
L'Intermédiaire des Casanovistes Genève, Année XXVIII, anno pag. 711. In tale studio viene ricostruita la
situazione dei lazzaretti di Ancona e confrontato il racconto casanoviano con
le risultanze di archivio relative ai progetti e all'iconografia degli edifici adibiti
alle quarantene.La cronologia della permanenza è stata stimata dall'autore nel
periodo 26.10/23.11.1743. Un'altra cronologia differisce di un
giorno soltanto: 27.10/24.11.1743 (J. Casanova, Histoire de ma vie. Texte
intégral du manuscrit original, suivi de textes inédits. Editore Robert Laffont, I, Cronologia, pag. XXX, cit. in bibl.) Il
progetto di ristrutturazione del Lazzaretto "Vecchio", datato 1817,
si conserva nell'Archivio di Stato di Roma (Collezione Mappe e Piante, Parte I,
Cart. 2, n° 87/I, II, III.). Esso consente di verificare lo stato del
fabbricato all'epoca della permanenza del Casanova. Il personaggio di Teresa/Bellino ripropone
una tematica ricorrente cioè la questione dell'aderenza alla realtà dei fatti
riportati nell'Histoire e il considerare il personaggio descritto come
realmente esistito. L'identificazione di Teresa con Angela Calori, nota
virtuosa, cioè cantante, di gran successo, si basa su ricerche effettuate già
dai casanovisti del passato, come Gustavo Gugitz, il quale però ritenne che il
personaggio fosse in realtà una costruzione letteraria. Teresa viene spesso
citata nell'Histoire sotto il nome fittizio di Teresa Lanti, maritata con
Cirillo Palesi, nome anch'esso fittizio. Ma molte delle notizie, date e fatti
riferiti nel racconto casanoviano non quadrano con quelli attribuibili alla
Calori. Quest'ultima è anche ricordata direttamente nell'Histoire allorché
Casanova riferisce di averla incontrata a Londra e di aver provato, vedendola,
le stesse sensazioni avute in occasione di un incontro, a Praga, con Teresa/Bellino,
il che ha indotto taluni a considerare questo fatto una prova che la Teresa
delle memorie fosse effettivamente la Calori. Molti studiosi (tra gli altri
Furio Luccichenti) propendono per l'assemblaggio d'invenzione, cioè pensano che
Casanova abbia costruito il personaggio di cui parla con elementi derivanti da
più persone diverse, il che non esclude che l'autore possa essersi ispirato, in
larga misura, anche alla Calori. Comunque gli studiosi non demordono: Sandro
Pasqual (L'intreccio, Casanova a Bologna, 2007, pag. 33 e seguenti, cit. in
bibl.) ha ipotizzato trattarsi non della Calori, ma di un'altra famosa cantante
bolognese, Vittoria Tesi, nota per il suo fascino androgino e per aver
interpretato spesso en travestie parti maschili. La tendenza a romanzare del
Casanova sarebbe in questo caso particolarmente stimolata dall'ambiente e dai
ruoli dei personaggi descritti. Egli ebbe sempre, infatti, fortissimi legami
col mondo teatrale, essendo figlio di attori e avendo frequentato tutta la vita
teatri e teatranti. Curiosamente, ogni volta che rappresenta un personaggio
femminile che ha a che fare col teatro, sia cantante o ballerina, lo descrive,
salvo rarissimi casi, in modo particolarmente negativo; come se, pur attratto
da quel mondo, ne disprezzasse profondamente gli interpreti, attribuendo,
soprattutto a quelli femminili, le peggiori inclinazioni alla falsità,
all'avidità e al calcolo. Teresa/Bellino è una delle eccezioni, il che farebbe
propendere per l'idealizzazione, cioè per la non rispondenza alla realtà del
personaggio, peraltro nascosto, come si è detto, sotto un nome fittizio. Sul
rapporto tra l'Histoire e il mondo del teatro si veda, di Cynthia Craig,
Representing anxiety. The figure of the actress in Casanova's Histoire de ma
vie. L'intermédiaire des casanovistes, Genève, Année 2003 XX. Marco Barbaro (19 luglio 1688-25 novembre
1771), patrizio veneziano del ramo Barbaro di San Aponal, figlio di Anzolo
Maria, morto senza figli, lasciò a Casanova un legato di sei zecchini al mese.
(Fonte: Jacques Casanova de SeingaltHistoire de ma vie. Texte intégral du
manuscrit original, suivi de textes inédits. Editore Robert Laffont cit. in
bibl. I pag. 997, che rinvia a Salvatore
di Giacomo, Historia della mia fuga dai Piombi, Milano 1911, pag. 174.) Marco Dandolo (1704-1779) patrizio veneziano
del ramo Dandolo di San Giovanni e Paolo. Documento: Testamento di Marco
Dandolo 28 marzo 1779 in Archivio di Stato di Venezia. Legato testamentario
"...Raccomando alla loro bontà la persona di Giacomo Casanova, che mi fu
in tutta la sua vita attaccato col cuore, e amoroso alla mia persona, e che ha
mostrato in ogni tempo la più comendabile gratitudine a' miei pochi benefizj.
Dichiaro che a lui appartengono tutti i mobili, che sono nella stanza in cui
dorme.......... Al suddetto Giacomo Casanova lascio il mio orologio d'oro e le
mie quattro possate d'argento......." (Fonte: L'Histoire de ma
vie di Giacomo Casanova, Michele Mari, cit. in , pag.29 nota 104). L'identificazione di "Henriette"
insieme a quella di "Suor M.M." è stato uno degli argomentipiù
dibattuti dai casanovisti. Il motivo di tante accanite ricerche è connesso con
la centralità sentimentale di questi due personaggi nella vita di Casanova. Il
nome di Henriette ricorre di con tinuo nelle Memorie e la sua identità è
stata mascherata accuratamente dall'autore. Tra le identificazioni che si sono
susseguite quelle più autorevoli sono da ascrivere a: John Rives
Childs (1960), che sostenne trattarsi di Jeanne-Marie d'Albert de
Saint Hyppolite, nata il 22 marzo 1718, sposata a Jean-Baptiste Laurent Boyer
de Fonscolombe, nipote di Joseph de Margalet, proprietario del castello di
Luynes, che si trova nella zona descritta da Casanova come quella di residenza
di Henriette. Helmut Watzlawick (1989), che sostiene trattarsi di Marie
d'Albertas, nata a Marsiglia il 10 marzo 1722. Louis Jean André (1996), che
avrebbe identificato Henriette in Adelaide de Gueidan (1725-1786). Quest'ultima
ricostruzione è sostenuta da un apparato critico impressionante che, attraverso
una raccolta minuziosa di elementi (lettere, atti, iconografia, topografia
della zona), conduce a una notevole verosimiglianza dell'identificazione.
Immagini del castello di Valabre, residenza della famiglia De Gueidan, che
secondo André corrisponderebbe perfettamente alla descrizione datane da
Casanova senza nominarlo, sono visibili qui. Manca ancora però la prova
inoppugnabile, una lettera o un qualsiasi manoscritto del Casanova stesso che
consenta l'identificazione certa. Molti
studiosi hanno tentato l'identificazione di suor M.M. Lo studio più completo
sull'argomento si deve a Riccardo Selvatico, che la identifica con Marina
Morosini (R. Selvatico, Note casanovianeSuor M.M. Atti dell'Istituto Veneto di
Scienze, Lettere ed Arti T. CXLII (1983-84) pag. 235-266. Sul rapporto tra romanzo e autobiografia
nelle Memorie si veda tra gli altri L'Histoire de ma vie di Giacomo Casanova
Michele Mari, pag. 237 e seguenti, cit. in .
Balletti era il nipote della Fragoletta, l'attempata attrice amata dal
padre di Giacomo, Gaetano, al seguito della quale era arrivato in giovane età a
Venezia. (Fonte: Charles Samaran, Jacques Casanova, Vénitien, une vie
d'aventurier au XVIII siècle, Pag. 26, note 1,2,3. Cit. in bibl. con rinvio a
un passaggio delle Memorie di Goldoni)
Casanova fu iniziato nella loggia Amitié amis choisis, probabilmente su
presentazione di Balletti (Fonte: Jean-Didier Vincent, Casanova il contagio del
piacere, cit. in bibl. pag. 145, nota 35).
L'affiliazione di Mozart alla Fratellanza Massonica avvenne il 14 dicembre
del 1784, nella loggia “Zur Wohltätigkeit” (Alla Beneficenza) di Vienna (Fonte:
Lidia Bramani, Mozart massone e rivoluzionario, pag. 56. Bruno Mondadori,
2005). Nel novembre del 1750, Casanova
ricevette i gradi di Compagno e Maestro nella loggia di S. Giovanni di
Gerusalemme (cfr. Helmut Watzlawick, Chronologie, pag. LXIII e LXIV in
Casanova, Histoire de ma vie, tome I. Édition publiée sous la direction de
Gérard Lahouati, , cit. in bibl.)
Malgrado la diuturna applicazione, il fatto di aver avuto eccellenti
maestri come Crebillon e di aver potuto fare ampia pratica durante la
permanenza in Francia, il francese di Casanova non fu mai ritenuto
sufficientemente perfetto nella forma scritta, soprattutto a causa degli
“italianismi” che si riscontrano numerosissimi nelle Memorie. Casanova
riferisce con dovizia di particolari il suo incontro con Crebillon e la
successiva intensa frequentazione allo scopo di imparare la lingua. Ammette
anche i suoi limiti: infatti scrive: Per un anno intero andai da Crebillon tre
volte alla settimana…… ma non riuscii mai a liberarmi dei miei italianismi
(Fonte: G. Casanova, Storia della mia vita, Mondadori, edizione 2001 cit. in
bibl. 1, pag. 745). L'imputazione e la sentenza: 21 agosto 1755
Venute a cognizione del Tribunale le molte riflessibili colpe di Giacomo
Casanova principalmente in disprezzo publico della Santa Religione, SS. EE. lo
fecero arrestare e passar sotto li piombi. Andrea Diedo Inquisitor. Antonio
Condulmer Inquisitor. Antonio Da Mula Inquisitor. L'oltrascritto Casanova
condannato anni cinque sotto li piombi. Andrea Diedo Inquisitor. Antonio
Condulmer Inquisitor. Antonio Da Mula Inquisitor. (VeneziaArchivio di
StatoInquisitori di StatoAnnotazioniB. 534245)
Riferte di Giovanni Battista Manuzzi, confidente degli Inquisitori di
Stato Incaricata la mia obbedienza dal Venerato Comando di riferire chi sia
Giacomo Casanova, generalmente rilevo ch'è figlio di un comico e di una
commediante; viene descritto il detto Casanova di un carattere cabalon, che si
fa profittare della credulità delle persone come fece col N.H. Ser Zanne
Bragadin, per vivere alle spalle di questo o di quello... Giovanni Battista
Manuzzi, 22 marzo 1755. ...Mi sovvenne allora che lo stesso Casanova parlato mi
avea ne' giorni passati della Setta de' Muratori, raccontandomi i onori e
vantaggi che si hanno ad essere nel numero de' confratelli, che vi aveva
dell'inclinazione il N.H. Ser Marco Donado per essere arrolato a detta Setta...
Giovanni Battista Manuzzi, 12 luglio 1755.
Secondo il casanovista Pierre Gruet, il motivo fondamentale dell'arresto
di Casanova è da ricercare proprio nella relazione con suor M.M. che, se
l'identificazione con Marina Morosini è corretta (sul punto si veda R.
Selvatico, Note casanovianeSuor M.M. Atti dell'Istituto Veneto di Scienze,
Lettere ed Arti T. CXLII (1983-84) pag. 235-266), apparteneva ad una delle più
potenti famiglie del patriziato veneziano. I Morosini avrebbero quindi fatto
pressioni sugli inquisitori per far cessare la scandalosa situazione. Cfr.
Jacques Casanova de SeingaltHistoire de ma vie. Texte intégral du manuscrit
original,....Ed. Laffont, cit. in bibl. Vol I, pag 1065.
Bibliografiche Giacomo Casanova,
Histoire de ma vie, Wiesbaden-Paris, F. A. Brockhaus-Librairie Plon,
1960-62. Giacomo Casanova, Examen des
"Etudes de la Nature" et de "Paul et Virginie" de Bernardin
de Saint Pierre, 1788-1789127. Carlo
Goldoni, Memorie, Torino, Einaudi, 1967158.
Fonte: Helmut Watzlawick, Chronologie, pag. LVI in Casanova, Histoire de
ma vie, tome I. Édition publiée sous la direction de Gérard Lahouati, , cit. in
bibl. G.Casanova,Storia della mia vita,
Mondadori 2001, I, pag. 502 cit. in
bibl. (Fonte: P.Molmenti, Carteggi
casanoviani, I pag. XVII, nota 1) (Fonte E.Grossato, Un bizzarro allievo dello
Studio Padovano. Giacomo Casanova, in Padova e la sua provincia, 16, 1970, n°2.
pag 3-6) (Fonte: P.Del Negro, Giacomo Casanova e l'Padova, estratto da
Quaderni per la storia dell'Padova n°25, 1992)
Aprile, maggio 1741 secondo la cronologia delle Memorie. Cfr. Helmut
Watzlawick, Chronologie, pag. LVIII in Casanova, Histoire de ma vie, tome I.
Édition publiée sous la direction de Gérard Lahouati, , cit. in bibl. (Fonte: Helmut Watzlawick, Chronologie, pag.
LXIII in Casanova, Histoire de ma vie, tome I. Édition publiée sous la
direction de Gérard Lahouati, , cit. in bibl.)
Helmut Watzlawick, Chronologie, pag. LXIII e LXIV in Casanova, Histoire
de ma vie, tome I. Édition publiée sous la direction de Gérard Lahouati, , cit.
in bibl. Fonte: Silvio Calzolari, Vita,
Amori, Mistero di un libertino veneziano, cit. in bibl. pag.32: Ma perché fu
fermato? Non aveva da scontare alcuna pena. L'arresto fu probabilmente
organizzato dal Grimani che voleva dargli una lezione per aver venduto di
nascosto i mobili della casa paterna e per aver maltrattato un suo incaricato,
Antonio Razzetta, che doveva occuparsi della questione. Si veda di Furio Luccichenti, La prassi
memorialistica di Giacomo Casanova, L'Intermédiaire des casanovistes, XII (1995),
pag. 27 e seguenti. Si veda di Pierre-Yves
Beaurepaire, Grand Tour', ‘République des Lettres' e reti massoniche : una
cultura della mobilità nell'Europa dei Lumi », in Storia d'Italia, Annali 21,
La Massoneria, Gian Mario Cazzaniga, Torino, Giulio Einaudi, 200632-49 cfr. Helmut Watzlawick, Chronologie, pag.
LXIII e LXIV in Casanova, Histoire de ma vie, tome I. Édition publiée sous la
direction de Gérard Lahouati, , cit. in bibl.
cfr. Helmut Watzlawick, Chronologie, pag. LXIII e LXIV in Casanova, Histoire
de ma vie, tome I. Édition publiée sous la direction de Gérard Lahouati, , cit.
in bibl, Fonte: Elio Bartolini, Vita di
Giacomo Casanova, pag. 140 e seguenti, cit. in bibl. Fonte: Bruno Rosada, Il Settecento veneziano.
La letteratura, Venezia, Corbo e Fiore, 2007, pag. 231, cit. in bibl. Riguardo alla paternità del quadro in
questione, la precedente attribuzione a Mengs (risalente a Johann Joachim
Winckelmann) è stata praticamente abbandonata dalla critica e, allo stato delle
ricerche, il quadro è probabilmente attribuibile a Francesco Narici
(1719-1783), pittore di origine genovese attivo a Napoli. La tela fu scoperta
nel 1952 a Milano da un restauratore di Bologna: Armando Preziosi, il quale
sosteneva di aver trovato tra la cornice, sicuramente coeva, e il quadro, un
biglietto manoscritto che recava le parole Jean-Jacques Casanova 1767. Il fatto
che il soggetto rappresentato possa effettivamente essere Giacomo Casanova, si
basa su una serie di dati che sono: l'osservazione delle
fattezze, soprattutto il naso; il fatto che essendo il quadro a grandezza
naturale consenta di ipotizzare trattarsi di un uomo della stessa statura di
Casanova che è nota; il fatto che i tratti assomiglino in maniera sorprendente
all'altro quadro, di mano del fratello Francesco, di sicura attribuzione, sia
per l'autore che per il soggetto. Inoltre l'insieme del ritratto: l'amorino, i
libri, fanno pensare a una simbologia molto affine al personaggio di Casanova
che, pur nello stile di vita brillante e mondano, teneva sempre a porsi come un
letterato. Il quadro passò, nel 1993, da Preziosi alla collezione privata del
casanovista Giuseppe Bignami di Genova. Per documentarsi sull'argomento si
veda: Giuseppe Bignami, Aggiornamenti e proposte sull'iconografia casanoviana,
in L'intermédiaire des casanovistes XI,
1994, pagg. 17-23. Il mondo di Giacomo Casanova.... (catalogo della mostra a
Ca' Rezzonico, 1998, cit. in bibl.). Giuseppe Bignami, Casanova tra Genova e
Venezia, La Casana, n° 3 luglio-settembre 2008, pag. 25-37. Una summa
dell'iconografia casanoviana, che si compone di nove opere di cui soltanto due
di sicura attribuzione, è consultabile in Casanova, la passion de la liberté,
catalogo della mostra organizzata dalla BNF, , Parigi, Coédition Bibliothèque
nationale de France / Seuil, pag.68-71
Marino Balbi (1719-1783), monaco somasco. Era un patrizio veneziano
appartenente a una casata barnabota, cioè a una di quelle famiglie patrizie che
avevano perso ogni ricchezza e i cui membri erano ridotti a vivere di
espedienti. Erano detti barnabotti in quanto gravitavano intorno a Campo San
Barnaba (Fonte: L'histoire de ma vie di Giacomo Casanova, Michele Mari, pag.
22, citato in ). Si trattava di un certo
Andreoli, custode del palazzo, che il Casanova vide approssimarsi, da una
fessura del portone, "in parrucca nera e con un mazzo di chiavi in
mano". Sul punto, per maggiore approfondimento, si veda il commento di
Riccardo Selvatico Cento note per Casanova a Venezia, Furio Luccichenti, ed.
Neri Pozza 1997, pag. 316. Sentenza di
condanna a carico di Lorenzo Basadonna, carceriere del Casanova Lorenzo
Basadonna era custode delle Prigioni de Piombi, che esisteva nei camerotti per
difetti del suo ministero, da quali ne provenne la fuga al primo novembre
decorso da Piombi stessi del P. Balbi somasco, e di Giacomo Casanova, che vi erano
condannati, per tenui motivi di contrasto con Giuseppe Ottaviani pur condannato
ne' camerotti, ne commise la interfezione. Presi dal Tribunale gl'essami per
rilevare l'origine, e i modi del non ordinario avvenimento, risultò infatti per
la confessione stessa del reo il caso per proditorio in ogni sua circostanza.
Tutto che però meritasse il supplizio maggiore, la clemenza del Tribunale con
pieni riflessi di carità e di clemenza è devenuta alla sentenza qui contro
estesa''. Alvise Barbarigo Inq.r Lorenzo Grimani Inq.r Bortolo Diedo Inq.r
175710 giugno. Lorenzo Basadonna sia condannato ne' Pozzi per anni dieci.
Alvise Barbarigo Inq.r Lorenzo Grimani Inq.r Bortolo Diedo Inq.r Venezia,
Archivio di Stato, Inquisitori di Stato, Annotazioni, R. 535 c.83. Jeanne Camus de Pontcarré marchesa d'Urfé
1705-1775, sposò nel 1724 Louis-Christophe de Lascaris d'Urfé de
Larochefoucauld marchese di Langeac, dal quale ebbe tre figli. Rimase vedova
nel 1734 (Fonte: G. Casanova Storia della mia vita, ed. Mondadori 2001, II pag.1634 nota) G. Casanova, Historie de ma vie, Libro 2,
Volume 5, Capitolo 3 Molti commentatori
hanno avanzato dubbi sul racconto casanoviano relativo all'istituzione della lotteria,
che sarebbe servita a finanziare la costruzione della École militaireprogetto
che era sostenuto in modo pressante dalla Pompadoure su particolari, relativi
all'architettura dell'operazione ideata dai fratelli Ranieri e Giovanni
Calzabigi, così come esposti nell'Histoire. Comunque, vista la rilevanza della
documentazione, è indubitabile che Casanova abbia svolto un ruolo chiave,
probabilmente mettendo a disposizioni le sue forti entrature politiche. Il che
dimostrerebbe anche che il rapporto con de Bernis e il suo entourage era molto
solido. Sul punto si veda G. Casanova, Storia della mia vita, Mondadori 2001
cit. in bibl. II, Pag. 164 nota 1, in
cui si puntualizza che la lista dei 28 ricevitori, pubblicata nel febbraio
1758, non riporta il nome di Casanova in relazione alla ricevitoria di Rue
Saint Denis, citata nel racconto autobiografico. Secondo Samaran, (Jacques
Casanova ecc.. Cit. In bibl.) Casanova avrebbe diretto una ricevitoria dal
settembre 1758 a tutto il 1759, ma a Rue Saint Martin. Si veda anche Jacques
Casanova de SeingaltHistoire de ma vie…. Éd. Robert Laffont 1993 cit. in
bibl. II, pag 21 nota 4 (con rinvio
a C. Meucci, Casanova Finanziere, cit. in bibl. pag. 66 e seg.), pag. 23 nota
2, (con rinvio a A. Zottoli, Giacomo Casanova, cit. in bibl. I, pag. 57 e 58 nota 1) e Jean Leonnet, Les
loteries d'état en France aux XVIII e XIX siécles. Imprimerie nationale, 1963,
pag 15 e seg. Il decreto di fondazione della lotteria è un arrêt delConsiglio
di Stato del re Luigi XV, datato 15 ottobre 1757 (BnF, Departement des
Manuscrit Française 26469, fol. 198).
Del viaggio nei Paesi Bassi, come incaricato di una missione diplomatica
descritto da Casanova, vi è un riscontro obiettivo: il passaporto, ritrovato a
Dux, rilasciatogli il 13 ottobre 1758 da Matthys Lestevenon van Berkenroode
(1715-1797), ambasciatore della Repubblica delle Sette Province a Parigi dal
1750 al 1762 (Fonte: G. Casanova Storia della mia vita, ed. Mondadori
2001, II pag.1639 nota). Il documento
originale è riprodotto in Jacques Casanova de SeingaltHistoire de ma vie. Texte
intégral du manuscrit original,.... Ed. Laffont, cit. in bibl. Vol II,
Appendice Documents pag. 1193 e seg.
Dopo il naufragio dei progetti matrimoniali di Giustiniana, la madre
Anna Gazini (che aveva sposato, dopo la nascita della primogenita, sir Richard
Wynne) decise di lasciare Venezia per evitare che i pettegolezzi danneggiassero
le altre due figlie, Mary Elizabeth, nata nel 1741, e Teresa Susanna, nata nel
1742. La partenza avvenne il 2 ottobre 1758 (Fonte: Andrea di Robilant, Un
amore veneziano, Milano, Mondadori, 2003, pag. 23 e seg. e pag. 120 e
seg.). La lettera autografa di
Giustiniana Wynne è andata all'asta all'Hôtel Drouot (Parigi) il 12 ottobre
1999. Il collezionista che l'ha acquistata, e che ha voluto mantenere
l'anonimato, ne ha però consentito la pubblicazione integrale (cfr. Helmut
Watzlawick, L'Intermédiaire des Casanovistes anno 2003 pag. 25) «...siete filosofo, siete onesto, avete la
mia vita nelle mani, Salvattemi se c'è ancora rimedio, e se potete...» G. Casanova, Storia della mia vita,
Mondadori, Edizione 2001, II, pag. 394,
cit. in bibl. Histoire, volume 15, capitolo XIX Nous avons ici une espèce de plaisant qui
serait très capable de faire une façon de Secchia Rapita, et de peindre les
ennemis de la raison dans tout l'excès de leur impertinence... (Fonte: Œuvres
complètes de Voltaire avec des notes... Parigi 1837, II pag. 91)
Fonte: Frédéric Manfrin in Casanova, la passion de la liberté, Parigi,
Coédition Bibliothèque nationale de France / Seuil, , Chronologie, pag.
221. G. Casanova, Storia della mia vita,
Mondadori 2001, II, pag. 1508 cit. in
bibl. Marie Anne Geneviéve Augspurger,
detta La Charpillon, (circa 1746-1778), nota cortigiana londinese (Fonte: G.
Casanova, Storia della mia vita, ed. Mondadori 2001, III pag.117 nota). Un riscontro del soggiorno di Casanova a
Berlino deriva da una annotazione nel diario di James Boswell, datata 1º
settembre 1764, in cui lo scrittore scozzese accenna all'incontro avvenuto da
Rufin, cioè alla locanda Zu den drei Lilien (Ai tre gigli) in Poststraße, dove
anche Casanova alloggiava. In particolare scrive: Ho mangiato da Rufin dove
Nehaus, un italiano, voleva brillare come grande filosofo e quindi sosteneva di
dubitare di tutto, a cominciare dalla sua stessa esistenza. Lo ritenni un
perfetto cretino. (A.Pottle, The Yale edition of the Private Papers of James
Boswell, London 1953, IV, pag. 67). Il
nome Nehaus è la traduzione di Casanova in tedesco (con un errore di grafia =
Neuhaus) e risulta che Casanova abbia usato il suo cognome tradotto, con
diverse forme. Ad esempio, in una lettera a lui indirizzata a Wesel, si legge
come destinatario comte de Nayhaus de Farussi, Farussi era il cognome della
madre del Casanova. (Fonte: Helmut Watzlawick, Casanova and Boswell, nota in
L'Intermédiaire des Casanovistes, XXIII 2006, pag 41). Fonte: Elio Bartolini, Vita di Giacomo
Casanova, cit. in bibl. Cap. XVII pag. 271. Casanova passò la frontiera russa a
Riga sotto il nome di Farussi, cognome della madre (cfr. Helmut Watzlawick,
Chronologie, pag. LXXIV in Histoire de ma vie, tome I. Édition publiée sous la
direction de Gérard Lahouati, , cit. in bibl.)
Fonte: Elio Bartolini, Vita di Giacomo Casanova, cit. in bibl. Cap. XIX
pag. 273, 274. Secondo quanto affermato nelle Memorie, Casanova incontrò varie
volte la sovrana, sottoponendole vari progetti, ma senza alcun risultato. Franciszek Ksawery Branicki, conte di
Korczak, (1730–1819). Sul contesto storico in cui si muoveva Branicki, che era
un rappresentante della nobiltà filorussa, la cui collusione con la potente
nazione vicina rappresentò un vero e proprio tradimento, si può consultare la
voce dedicata a Tadeusz Kościuszko, in particolare il paragrafo "Ritorno
in Polonia". Anna Binetti (cognome
di nascita Ramon) celebre ballerina, nota in tutta Europa. Sposò nel 1751 il
ballerino Georges Binet. Dopo il ritiro dalle scene (circa 1780) si dedicò
all'insegnamento della danza a Venezia (Fonte: G. Casanova, Storia della mia
vita, ed. Mondadori 2001, III pag.1183
nota) G. Casanova, Storia della mia
vita, Mondadori 2001, III, pag. 285 e
seguenti, cit. in bibl. La vicenda
sollevò un clamore notevole e fu riportata nelle cronache. Una descrizione dei
fatti, che ricalca sostanzialmente il racconto casanoviano e ne attesta la
veridicità, si trova in una lettera datata 19 marzo 1766, scritta da Giuseppe
Antonio Taruffi (1722-1786), segretario del nunzio apostolico Antonio Eugenio
Visconti, e spedita da Varsavia a Francesco Albergati Capacelli (Ernesto Masi,
Ed. Zanichelli Bologna, 1878. La vita i tempi gli amici di Francesco Albergati
pagg. 196 e seg. e nota 1 pag. 203.)
Fonte: Elio Bartolini, Vita di Giacomo Casanova, cit. in bibl. Cap. XIX
pag. 288. Fonte: Elio Bartolini, Vita di
Giacomo Casanova, cit. in bibl. Cap. XIX pag. 293. Cfr. anche, per la data di
morte di Bragadin e la data in cui la notizia fu appresa da Casanova (26
ottobre), Helmut Watzlawick, Chronologie, pag. LXXVII in Histoire de ma vie,
tome I. Édition publiée sous la direction de Gérard Lahouati, , cit. in
bibl.) Fonte: Elio Bartolini, Vita di
Giacomo Casanova, cit. in bibl. Cap. XIX pag. 301. I soggiorni romani di Casanova furono tre: il
primo dal 1º settembre 1743 al 23 febbraio 1744; il secondo dal dicembre 1760
al 5 febbraio 1761; il terzo dal 14 maggio 1770 a fine maggio 1771. I
personaggi descritti, numerosissimi, sono noti alle cronache del tempo e quindi
è possibile ritenere veridico il racconto che consente riscontri obiettivi. Uno
dei riscontri è costituito da un documento che certifica la presenza a Roma del
Casanova durante la Quaresima del 1771. Documento: Stato delle anime 1771, in
Registri parrocchiali di S.Andrea delle Fratte Piazza di SpagnaCasa del
Conservatorio di S.Eufemia Francesco Poletti............anni 51 M. Angela
moglie.............anni 40 Margarita figlia zitella.....anni 16 Tommaso
figlio...............anni 20 Vincenzo figlio..............anni 14 Anna Proli
serva.............anni 40 Piggionanti Giovanni Nicolao
Fedriani....anni 22 Giuseppe fratello............anni 18 D. Giacinto
Cerreti..........anni 37 Il signor Giacomo Casanova...anni 46 L'immobile
in questione è quello, antistante l'Ambasciata di Spagna, sito nella piazza
all'attuale numero civico 32. L'abitazione del Casanova era al secondo piano.
(Fonte: A.Valeri Casanova a Roma cit. in bibl.) Si è a lungo discusso circa l'esistenza di ulteriori
capitoli che dovrebbe essere comprovata dal titolo originale dell'opera:
Histoire de ma vie jusqu'à l'an 1797, come risulta dalla prima pagina della
prefazione. Tuttavia ciò rimane solo un'ipotesi, perché non è stato mai trovato
un manoscritto riguardante il periodo successivo al 1774. Va quindi considerato
che, fino alla data in questione, la fonte primaria delle vicende di Casanova
sono le sue Memorie; dopo il termine temporale delle medesime ci si è basati su
epistolari o notizie di altro tipo: scritti di contemporanei, registrazioni
amministrative, notizie apparse su gazzette. Alcuni autori hanno tentato una
ricostruzione cronologica dei fatti utilizzando i documenti disponibili, tra
cui il Brunelli (Bruno Brunelli, Vita di Giacomo Casanova dopo le sue memorie,
cit. in bibl.) e il Bartolini (Elio Bartolini, Casanova dalla felicità alla
morte 17741798, cit. in bibl.). Evidentemente le notizie riguardanti il periodo
compreso temporalmente nelle Memorie sono enormemente più numerose di quelle
relative al periodo successivo. Circa l'attendibilità e la precisione delle
notizie riportate nelle Memorie, il dibattito è stato amplissimo, ma
numerosissimi riscontri ne hanno comprovato la sostanziale veridicità. Il viaggio da Trieste a Venezia iniziò il 10
settembre 1774; la data è verificabile da una notizia apparsa sulla Gazzetta
Goriziana “Sabato 10 corrente è passato per qua il signor Giacomo Casanova di
Saint Gall celebre per li diversi famosi incontri da lui avuti, girando
l'Europa; come non meno per le opere da lui stampate, fra le quali abbiamo già
annunziato in un nostro foglio la Storia delle vicende di Polonia; ha egli
inaspettatamente ottenuto il suo perdono e dopo venti anni si è restituito a
Venezia sua patria”. (fonte: Rudj Gorian Editoria e informazione a Gorizia nel
Settecento: la “Gazzetta goriziana” , Trieste, Deputazione di Storia Patria per
la Venezia Giulia , pag. 221-223). È da
osservare che la notorietà del personaggio era grande e che anche della sua
attività di scrittore, oltre che di avventuriero, si parlava molto, negli
ambienti intellettuali, ancor prima del suo rientro a Venezia. In una lettera
datata Venezia 9 novembre 1771, Elisabetta Caminer, rivolgendosi a Giuseppe
Bencivenni Pelli, scrive "...È dunque costì quel famoso Casanova che ha
fatto tante pazzie e alcune cose buone? Io lo conosco assai di nome, e mio
padre lo conosce anche di persona. Ditemi, in che le sue maniere sono diverse
dalle vostre? Qual tuono è il suo? Voi già sapete la sua prodigiosa fuga da'
piombi di Venezia. Stampa egli codesta sua Storia della Polonia? Avete voi
letta la sua confutazione dell'opera di Amelot della Houssaye?..." (Fonte:
Rita Unfer Lukoschik, Lettere di
Elisabetta Caminer (1751-1796), organizzatrice culturale, Edizioni Think Adv,
Conselve, Padova, 2006). Si tratta di
Lorenzo Morosini, Alvise Emo, Pietro Pisani, Nicolò Erizzo, Andrea Tron,
Sebastiano Venier. L'elenco completo dei
sottoscrittori è consultabile in: G. Casanova, Storia della mia vita, ed.
Mondadori 1965, Piero Chiara, vol VII. (pag.293 e seg.) Delle lettere di Casanova alla Buschini non
resta nulla ma, poiché spessissimo la Buschini, nel testo, ripete le notizie
inviatele e le richieste di notizie rivoltele, è facile ricavare, almeno in parte,
il testo delle lettere ricevute. A Dux sono state reperite da Aldo Ravà 38
lettere di Francesca Buschini che coprono il periodo dal luglio del 1779
all'ottobre del 1787. Di queste, 33 sono state riportate nel volume Lettere di
donne a Giacomo Casanova Aldo Ravà, Milano, Treves 1912 cit. in bibl.
L'edizione critica più recente delle lettere di Francesca Lettres de Francesca
Buschini à G. Casanova, 1996, è stata edita Marco Leeflang, Utrecht,
Marie-Françose Luna , Grenoble, Antonio Trampus, Trieste, cit. in bibl. La
corrispondenza consente di ricostruire gli anni successivi al secondo esilio di
Giacomo Casanova. Attraverso esse si vive il dramma umano della Buschini la
quale, col passare degli anni, era sempre più avvolta da una cupa povertà, da
dolori familiari causati dal fratello, che praticamente viveva alle sue spalle
e dalla madre, che col tempo diveniva sempre più intollerante. Quando Casanova
dovette sospendere i suoi aiuti in denaro, essendo ormai nell'impossibilità
materiale di inviarne, la Buschini si ritrovò letteralmente in mezzo alla
strada, dovendo lasciare l'appartamento di Barbaria delle Tole, non avendo più
la possibilità di pagare l'affitto. Nessuna notizia ulteriore ci è giunta, ma
la sua testimonianza di lenta emarginazione è oltremodo toccante. A.Ravà, Lettere di donne a Giacomo Casanova,
cit. in bibl. p.176 e nota. Fonte dell'ammontare del canone: A.Ravà op. cit.
lettera del 31.12.1783178 J. Marsan, Sui
passi di Casanova a Venezia, cit. in bibl. pag 121. Fonte: Elio Bartolini, Vita di Giacomo
Casanova, cit. in bibl. pag. 347 Fonte:
G. Casanova, Analisi degli studi sulla natura... G. Simeoni. Ed. Pendragon
2003, pag. 9. Il testo del libello è stata oggetto di una pubblicazione a
tiratura limitata Furio Luccichenti, ed. Il collezionista 1981. Si è ipotizzato
che il Grimani abbia incaricato della redazione della replica Girolamo Molin,
tuttavia il libello non fu mai dato alle stampe all'epoca, ma fu fatto
circolare in forma manoscritta (Fonte: Bruno Brunelli, Vita di Giacomo Casanova
dopo le sue memorie, cit. in bibl. pag.68 nota 9). Foscarini morì il 23 aprile del 1785. Il conflitto con la servitù del castello
divenne con gli anni sempre più acuto, tanto da far giudicare insostenibile la
permanenza al castello del maggiordomo Georg Feldkirchner, che fu infatti
rimosso dall'incarico. La diatriba fu poi oggetto dell'opera Lettres écrites au
sieur Faulkircher... (vedi in ) nella quale Casanova trasfuse tutto l'astio
accumulato per le persecuzionia suo diresubite.
Il concetto è ripreso da un passo di Piero Chiara (cfr. G. Casanova,
Storia della mia vita, ed. Mondadori 1965, Piero Chiara, vol VII. pag.13, 14)
...Ma il Casanova è quello che è, e non vuole essere altro; vero eroe del suo
tempo per l'audacia, la sincerità con la quale lo visse, allo sbaraglio, senza
temere i colpi di spada o di pistola, il carcere o l'esilio, pur di consumare
fino all'ultimo l'avventura della sua esistenza in un'epoca in cui la vita era
un'opera d'arte e si poteva farne, con vera gioia, un capolavoro dei
sensi..... Il casanovista Helmut
Watzlawick ha pubblicato (cfr. L'intermédiaire des casanovistes, anno XXIII,
2006 pag. 38) una breve nota intitolata Lieu de sepolture de Casanova, in cui
riferisce la notizia, comunicatagli da uno studioso tedesco, Hermann Braun, di
una testimonianza sull'argomento individuata nell'opera di un memorialista e
storico coevo al Casanova: Johann Georg Meusel (1743-1820), professore di
storia a Erlangen. Meusel, nella sua opera Archiv für Künstler und
Kunst-Freunde (Dresda, 1805 I parte
seconda, pag. 172) fa il seguente commento: «L'aîne, Jacques Casanova, Docteur
en Droit de Padoue et bibliothécaire de Comtes de Waldstein-Warthemberg, à Dux
en Bohème, où il mourût aussi, immortalisé par un monument plein de goût que le
Comte lui a fait ériger dans son jardin, où il le faisait aussi enterrer selon
son propre désir.» Pare quindi evidente che la sepoltura fosse ubicata
all'interno del parco del castello e il conte vi avesse fatto erigere un
monumento “pieno di gusto” in memoria del suo bibliotecario. Il conte Waldstein
aveva certamente dell'affetto per Casanova, oltre al legame derivante dalla
comune appartenenza alla Massoneria, se è vero che gli conferì un incarico
formale di bibliotecario ma in pratica, visto lo scarso impegno che comportava,
una pensione, che lo mantenne per lunghi anni provvedendo a tutti i suoi
bisogni e che spesso dovette far fronte ai suoi debiti, talvolta cospicui, con
gli editori. È quindi più che logico che abbia deciso di onorarne la memoria
con una sepoltura degna e con un monumento funebre. Inoltre il Meusel è
conosciuto come un biografo scrupoloso e non avrebbe avuto motivo per inventare
un dettaglio facilmente verificabile da parte dei suoi lettori, tra i quali
Francesco Casanova, fratello minore di Giacomo e famoso pittore, al quale
Meusel dedicò, nella medesima opera, un contributo biografico e che era ancora
in vita al tempo della redazione dell'opera. Come sostiene Watzlawick, per
avere la prova certa, bisognerebbe revisionare la contabilità del castello al
momento della morte del Casanova, cercando la traccia dei pagamenti effettuati
per la sepoltura e l'erezione del monumento.
Edizione in tre tomi basata sul manoscritto conservato presso la BNF,
con le varianti di testo relative a passi rimaneggiati dall'autore. Attualmente
() è l'edizione critica di riferimento.
Archivio Alinari, su alinariarchives.it.
Archivio GrangerNew York Opere di
LonghiCasanovaUbication: Firenze Miti e
personaggi della modernità: Dizionario di storia, letteratura, arte,
musica e cinema, edizioni Bruno Mondadori, : «Nell'arte. Di Casanova esistono
alcuni ritratti, tra cui un dipinto giovanile a opera del fratello, uno di Lon ghi
che lo raffigura all'epoca della maturità (Collezione Gritti, Venezia), e un
terzo attribuibile a Mengs» (NDR: oggi quest'ultimo è attribuito a Francesco
Narici) Il quadro, conservato un tempo
nella collezione Gritti di Venezia, poi a Firenze, e qua riprodotto in bianco e
nero in una fotografia o una stampa eseguita forse negli anni '30, sarebbe
stato eseguito presumibilmente nel 1774 allorché Casanova rientrò a Venezia
dall'esilio. Sembra si trattasse di un lavoro a olio su tavola di dimensioni
sconosciute donato dall'artista a un membro della famiglia Gritti.
Successivamente passò a Francesco Antonio Gritti di Treviso, zio materno
dell'avvocato Ugo Monis di Roma che lo ereditò dalla sorella di Francesco
Antonio, Maria Gritti Rizzi. Nel 1934 il quadro faceva ancora parte della
collezione di Monis. Molto dubbia l'identificazione del Casanova nel soggetto
ritratto che apparentemente non sembra superare la quarantina mentre, all'epoca
in cui dovrebbe essere stato eseguito il ritratto, Casanova era vicino ai
cinquant'anni. Una summa dell'iconografia casanoviana, che si compone di nove
opere di cui soltanto due di sicura attribuzione, è consultabile in Casanova,
la passion de la liberté, catalogo della mostra organizzata dalla BNF, ,
Parigi, Coédition Bibliothèque nationale de France/Seuil, pag.68-71. Su
Alessandro Longhi si veda l'amplissimo studio di Paolo Delorenzi (consultabile
su Ca' Foscari online). In particolare a pag. 237 vengono riassunte le vicende
del ritratto con richiami bibliografici a Ver Heyden De Lancey C., Les
portraits de Jacques et de François Casanova, «Gazette des Beaux-Arts»VI, 11
(1934), 99-107, Bernier G., Beau garçon,
Casanova?, «L‟OEil», 258-259 (1977),
10-14. La questione è stata
oggetto di un cospicuo dibattito sul quale spesso ha pesato il giudizio
moralmente negativo circa la personalità dell'autore. Soprattutto al primo
apparire di opere critiche sulla questione, cioè alla fine dell'Ottocento,
primi del Novecento, si tendeva a separare la indiscussa validità storica delle
Memorie, nel loro complesso, dal giudizio di riprovazione morale nei confronti
dell'autore e dei passi delle memorie ritenuti sconvenienti. Posizione questa
ad esempio assunta da Benedetto Croce il quale si occupò ripetutamente di
personaggi e vicende casanoviane (si veda: Personaggi casanoviani in Aneddoti e
profili settecenteschi, ed. Sandron 1914) pur definendo le Memorie "un
libro osceno" (B.Croce, Salvatore di Giacomo e il canto del grillo in
"la Critica" XXXXVI 1938, pag.
392). Col tempo il valore storico e letterario cominciò ad avere sempre più
numerosi sostenitori, come Ettore Bonora il quale scrisse ...fissati i loro
limiti. i Mémoires restano un libro eccezionale, rappresentativo quant'altri
mai del mondo settecentesco, un libro che, per la sua stessa ricchezza di
materiali quanto pochi altri, può rivelare a un lettore paziente lo spirito
della vecchia società che la Rivoluzione doveva distruggere (E.Bonora
Letterati, memorialisti e viaggiatori del Settecento, pag 717, citato in ).
Fonte: T. Iermano, Le scritture della modernità, citato in . Emblematico a questo riguardo è il caso del
romanzo utopistico Icosameron (Praga, 1788) che costituì un tale insuccesso
editoriale da minare definitivamente la già non florida situazione finanziaria
del Casanova. Malgrado gli sforzi dei volenterosi sottoscrittori, si accumulò
una perdita di duemila fiorini, secondo una nota autobiografica rinvenuta a Dux,
di ottocento zecchini secondo una lettera a Pietro Antonio Zaguri. Cifre
comunque di grande rilievo che costrinsero l'incauto scrittore e improvvisato
editore a ricorrere a prestiti usurari, dando in pegno i pochissimi beni
residui e perfino capi di vestiario (Fonte: Elio Bartolini Vita di Giacomo
Casanova, ed. Mondadori 1998, pag. 389 e seg.).
Fonte: Elio Bartolini, Vita di Giacomo Casanova, cit. in bibl. Cap. XX
pagg. 303, 304, 305. La redazione della Confutazione fu soltanto uno dei tanti
elementi della lunga strategia che condusse all'ottenimento del perdono da
parte delle autorità della Repubblica e il consenso al ritorno in patria
dell'esule, il che avvenne peraltro anni dopo. La pubblicazione dell'opera fu
sicuramente appoggiata da Girolamo Zulian il quale, pur privo di parentele
influenti, stava compiendo un percorso politico lusinghiero e attraverso il
sostegno a Casanova si aspettava di ottenere dai patrizi che lo appoggiavano,
alcuni dei quali molto influenti come i Memmo e il procuratore Lorenzo
Morosini, di essere aiutato a sua volta nel prosieguo della carriera. Zulian
era anche vicino ad ambienti massonici il che spiegava ulteriormente il suo
agire. Sul gruppo di patrizi che sosteneva le ragioni di Casanova ed era
fautore del perdono si veda Piero Del Negro, Il patriziato veneziano
nell'Histoire de ma vie, in L'Histoire de ma vie di Giacomo Casanova, Michele
Mari, cit. in , pag.25, 26 nota 90. Si veda inoltre la lettera di Casanova a
Zulian scritta da Lugano nel luglio del 1769, Epistolario (1759-1798) di
Giacomo Casanova, Piero Chiara, cit. in bibl. pag. 105,106. Il brano, un ritratto in prosa, fu intitolato
dall'autore Aventuros. De Ligne riuscì a cogliere con straordinaria esattezza e
rendere con estrema obiettività gli elementi del carattere del Casanova. Il
passo può essere consultato qui (Mémoires et mélanges historiques et
littéraires, tomo IV pag.291, ed. Ambroise Dupont et C. Parigi 1828). Su come Casanova esercitasse il suo fascino
sull'uditorio, con il racconto delle sue avventure, vi è una testimonianza
assai qualificata, per lo spessore del personaggio, che è stata lasciata da
Alessandro Verri il quale, in una lettera al fratello Pietro, inviata da Roma
nel 1771, scrive: ...V'è un certo uomo straordinario per le sue avventure, per nome
il signor Casanova, Veneziano: egli è attualmente in Roma. Egli ha molto
spirito e vivacità; ha viaggiato tutta l'Europa...Fu posto nei camerotti a
Venezia...gli riuscì di fuggire...Egli racconta questa dolorosa anecdota della
sua vita, successagli quindici anni or sono, con tanto interesse e forza, come
se gli fosse accaduta ieri... Alla risposta del fratello, che avanzava dei
dubbi sulla veridicità del racconto, Alessandro replicava: ...Ultimamente
gliel'ho sentita raccontare da lui stesso. Egli ha tutta l'apparenza di dire la
verità: scioglie le obiezioni, ed ha un'eloquenza naturale ed ha una forza di
passione che v'interessa infinitamente.. Fonte: Riccardo Selvatico Cento note
per Casanova a Venezia, Furio Luccichenti ed. Neri Pozza 1997. La lettera, datata Dux 8 aprile 1791 è
consultabile in: G. Casanova, Storia della mia vita ed. Mondadori 1965, Piero
Chiara, vol VII. pag. 340 Alla morte di
Casanova, il manoscritto originale dell'Histoire, unitamente a quattro saggi,
passò a Carlo Angiolini che nel 1787 aveva sposato Marianna, figlia della
sorella di Giacomo, Maria Maddalena. Quest'ultima aveva lasciato Venezia
raggiungendo la madre Zanetta a Dresda, dove aveva sposato l'organista di corte
Peter August. Il manoscritto e i quattro saggi furono venduti, nel 1821,
all'editore Brockhaus. Il 18 febbraio , il ministro francese della cultura,
Frédéric Mitterrand, ha annunciato l'acquisto del manoscritto dell'Histoire e
degli altri carteggi di proprietà di Hubertus Brockaus, da parte della
Bibliothèque nationale de France. Molti
studiosi hanno analizzato, parola per parola, l'adattamento operato da Laforgue
giungendo alla conclusione che si è trattato di una vera e propria riscrittura.
Un'interessante analisi della questione è quella operata da Philippe Sollers
(Il mirabile Casanova, cit. in , pag. 12 e seguenti). L'autore procede per
exempla, indicando il passo com'era stato scritto da Casanova e la versione di
Laforgue, mettendo in luce la raffinatezza e la meticolosità con cui era stata
operata la trasformazione (o meglio manomissione) dell'intera biografia, al
duplice fine di ammorbidire i passaggi ritenuti troppo licenziosi e modificare
l'ideologia dell'autore, attenuando o eliminando le affermazioni che
mostravano, ad esempio, l'animosità nei confronti del popolo francese e dei
crimini (tali Casanova li giudicava) di cui si era reso responsabile durante la
rivoluzione, cosa diffusa tra molti intellettuali dell'epoca, anche non
espressamente conservatori comunque legati al vecchio mondo, (come Vittorio Alfieri,
nella Vita scritta da esso e nel Misogallo).
G. Casanova, Storia della mia vita, Mondadori 2001, I pag. 733, cit. in bibl. A questo proposito de Ligne scrive ...le sue
memorie, il cui cinismo,tra l'altro, pur essendo il loro più grande pregio, difficilmente
le renderà pubblicabili. (C.J. de Ligne, Aneddoti e ritratti, pag. 189, cit. in
bibl.), Illuminante, a questo riguardo,
il passo di una lettera datata 20 febbraio 1792, inviata da Casanova a Giovanni
Ferdinando Opiz (1741-1812) in cui lo scrivente dichiara: Per ciò che riguarda
le Mie Memorie, più l'opera va avanti più mi convinco che è fatta per essere
bruciata. Da questo potete capire che fin quando saranno in mie mani non
verranno certo pubblicate. Sono di una tale natura di non far passare la notte
al lettore; ma il cinismo che vi ho messo è tanto spinto che passa i limiti
posti dalla convenienza all'indiscrezione (Fonte: Epistolari 1759-1798 di
Giacomo Casanova, Piero Chiara, ed. Longanesi & C. 1969, pag.334) Si veda in Giacomo Casanova tra Venezia e
l'Europa, Gilberto Pizzamiglio, Editore Leo O. Olschki 2001, pag. 171, cit. in
bibl. G. Casanova, Storia della mia
vita, Mondadori 1965, Piero Chiara, VII,
pag. 340 L'affermazione si legge nella
prefazione dell'Histoire (Jacques Casanova de SeingaltHistoire de ma vie. Texte
intégral du manuscrit original,....Ed. Laffont, cit. in bibl. Vol I, pag 10).
Quindi la scelta sarebbe stata orientata soltanto dalla possibilità di maggiore
diffusione dell'opera. Ma il pensiero dell'autore viene chiarito, ampliato e
approfondito nella cosiddetta “Prefazione rifiutata” (Pensieri libertini, F. Di
Trocchio, cit. in bibl. Pag. 55), Casanova dice Ho scritto in francese, perché
nel paese dove mi trovo, questa lingua è più conosciuta di quella italiana;
perché, non essendo la mia un'opera scientifica, preferisco i lettori francesi
a quelli italiani; e perché lo spirito francese è più tollerante di quello
italiano, più illuminato nella conoscenza del cuore umano e più rotto alle
vicissitudini della vita. Come si vede, la scelta andava ben al di là di un
problema di diffusione. Stendhal fa,
nella sua opera, numerosi riferimenti a Casanova e all'Histoire cfr. Promenades
dans Rome, Paris, Levy, 2 voll., I pag. 100, pag. 180-185 ; II, pag. 53. Sul
punto si veda anche Furio Luccichenti Il casanovismo fra Ottocento e Novecento
in L'histoire de ma vie di Giacomo Casanova, Michele Mari cit. in bibl. pag.
383. Foscolo, durante il soggiorno
londinese, recensiva opere di autori italiani. A proposito dell'Histoire
casanoviana scrisse, in due diverse occasioni (sulla Westminster review
dell'aprile 1827 e sulla Edinburgh review del giugno dello stesso anno), che il
protagonista era di pura fantasia e le vicende narrate completamente
inventate. Balzac si ispirò largamente
alle Memorie casanoviane utilizzando personaggi, nomi ed episodi per
l'ambientazione veneziana delle sue opere, come nel caso di Facino Cane o per
desumere spunti narrativi, come nel caso di Sarrasine. Sul punto si veda
Raffaele de Cesare Balzac e Manzoni e altri studi su Balzac e l'Italia,
Mondadori 1993 88-343-0449-7
pagg.5,17,31,86,87,307. Molte parti del libro, comprese le pagine indicate con
relativa note, sono consultabili on line. Sempre sui collegamenti tra l'opera
casanoviana e Sarrasine si veda L'histoire de ma vie di Giacomo Casanova,
Michele Mari, cit. in bibl. pag. 95 nota 5 con rimando a J.R. Childs,
Casanova. Biographie nouvelle, pag. 64. Ed. Jean-Jacques Pauvert, Paris
1962 Hofmannstahl nel 1898 è a Venezia e
scrive al padre: ..mi sono comprato le Memorie di Casanova dove spero di
trovare un soggetto. Il soggetto fu il Casanova stesso, rappresentato nella
commedia L'avventuriero e la cantante (1899) (Fonte: L'avventuriero e la
cantante con postfazione di Enrico Groppali, ed. SE 1987). Schnitzler scrisse varie opere ispirate alla
vita dell'avventuriero, tra cui Le sorelle ovvero Casanova a Spa (ed. Einaudi
1988) e Il ritorno di Casanova (ed. Adelphi 1975). Hesse scrisse il racconto La conversione di
Casanova (ed. Guanda 1989) che fu pubblicato nel 1906. Márai scrisse il romanzo La recita di Bolzano
(ed. Adelphi 2000), pubblicato a Budapest nel 1940, che ha come protagonista
l'avventuriero veneziano. Salvatore di
Giacomo "Casanova a Napoli" in Nuova antologia 1922. Benedetto Croce "Aneddoti di varia
letteratura", Napoli 1942. "Di un cantastorie del Settecento e di un
luogo delle Memorie di Giacomo Casanova" opera il cui autografo di sei
pagine è andato all'asta a Milano il 21.5.92.
Piero Chiara curò per Mondadori (1965) la prima edizione italiana basata
sul manoscritto originale delle Memorie, scrisse un saggio Il vero Casanova,
Mursia (1977) e molti articoli sull'argomento.
Scrive Casanova in una lettera all'Opiz Scrivo dall'alba alla sera e
posso assicurarvi che scrivo anche dormendo, perché sogno sempre di scrivere.
(Fonte: Piero Chiara Il vero Casanova, Mursia 1977, pag.209). Tra le altre si veda Margherita Sarfatti,
Casanova contro Don Giovanni, ed. Mondadori (1950), citata in . La tesi è esposta in modo articolato da
Francis Lacassin (Jacques Casanova de SeingaltHistoire de ma vie. Ed. Robert
Laffont, 1993, I, Préface, pag. X). Di questo avviso Piermario Vescovo (Il mondo
di Giacomo Casanova, pag. 187, , ed. Marsilio 1998, citato in bibl.).
Un'analisi particolarmente approfondita si deve ad Andrea Fabiano il quale
esamina, in dieci tesi, tutti i motivi che rendono probabile la partecipazione
(Giacomo Casanova tra Venezia e l'Europa, G. Pizzamiglio, ed. Leo S. Olschki
2001, pag. 273 e seg.). In sostanza è stato osservato che Da Ponte e Casanova
si conoscevano e frequentavano, che Casanova era certamente presente a Praga
nei giorni che precedettero la prima, che sia lui che Mozart erano massoni, che
una serie d'incidenti aveva procrastinato la rappresentazione, costringendo a
varie modifiche del testo per manifesta insoddisfazione di alcuni cantanti, che
Casanova era stato sempre molto vicino per gusti e frequentazioni al mondo
teatrale e autore egli stesso di opere di teatro quindi perfettamente in grado
di apportare le modifiche necessarie. Inoltre sembra assai improbabile che,
rientrato a Dux, si mettesse a ipotizzare varianti al testo del libretto per
puro passatempo. Sull’argomento si veda
lo studio di Furio Luccichenti, in L'intermédiaire des casanovistes, Genève
Année XVII 2000, pag. 21 e seg. In cui vengono minuziosamente riferite le
ricerche effettuate, senza esito, nell'Archivio vaticano. Lettere a G.C.
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Mitterrand, ha annunciato l'acquisto del manoscritto dell'Histoire e degli
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studi casanoviani (), Antonio Trampus, Dipartimento di Studi Linguistici e
Culturali Comparati, Università Ca' Foscari Venezia, Ca' Bembo. Libertino (personaggio) Storia della mia fuga
dai Piombi Manon Balletti Silvia Balletti Matteo Bragadin Francesco Casanova
Gaetano Casanova Giovanni Battista Casanova François-Joachim de Pierre de
Bernis Zanetta Farussi Michele Grimani Charles Joseph de Ligne Andrea Memmo
Louise O'Murphy Giustiniana Wynne Pietro Antonio Zaguri Altri progetti
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Giacomo Casanova, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
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su www-syscom.univ-mlv.fr.Testo dell'Histoire de ma vie edizione integrale in
inglese, su hot.ee. 14 marzo 10 ottobre
). Filosofi italiani
CASATI: Casati al
Festivaletteratura del --- Roberto
Casati (Milano), filosofo. Direttore di Ricerca al Centre National de la
Recherche Scientifique (CNRS) all'Institut Nicod, École normale supérieure di
Parigi, è autore di saggi specialistici e di divulgazione, e ha insegnato in
diverse università europee e statunitensi.
Si è laureato in Filosofia del linguaggio all'Università degli Studi di
Milano nel 1985 con Andrea Bonomi, sotto la cui direzione ha conseguito il
Dottorato di Ricerca in Filosofia nel 1991. Nello stesso anno ha anche ottenuto
un Dottorato di Ricerca dall'Ginevra, sotto la direzione di Kevin Mulligan.
Nello stesso periodo ha pubblicato La scoperta dell'ombra (Mondadori 2001), un
libro che gli ha valso il Premio Fiesole Narrativa Under 40, il Premio
Castiglioncello e il Premio della Science Se Livre. Nel 2006 ha pubblicato la
raccolta di racconti filosofici Il caso Wassermann e altri incidenti metafisici
(Laterza). Si è occupato poi con Achille
Varzi della Columbia University di fenomenologia dello spazio e degli oggetti:
il lavoro, condotto presso il Centre National de la Recherche Scientifique a
partire dal 1993, ha analizzato la rappresentazione di questi due elementi
secondo il senso comune. Da questi lavori sono nate tre pubblicazioni firmate
con Varzi: Buchi e altre superficialità, MIT Press 1994, poi Garzanti 1996),
Parts and Places (MIT Press, 1999) e Semplicità insormontabili (Laterza
2004). Buchi e altre superficialità è un
tentativo di analizzare i diversi tipi di buco, superando il paradosso di
classificare un elemento che evoca l'assenza, il vuoto e il nulla. Gli autori
utilizzano strumenti di filosofia della percezione, geometria, logica e
topologia, ma anche linguistica e letteratura. Un esperimento epistemologico
che dimostra come l'esperienza e il linguaggio quotidiani si trasformino quando
diventano oggetto di un'indagine filosofica e di una formalizzazione
scientifica. Un concetto che sembrava semplice, di uso quotidiano, diventa
sfuggente e ambiguo. Tra i suoi
principali contributi si annoverano la teoria della filosofia come arte del
negoziato concettuale; la teoria 'conversazionale' degli artefatti artistici.
Tra i contributi alla metafisica analitica: la teoria dei suoni come eventi
localizzati (con J. Dokic), la teoria delle regioni spaziali immateriali (con
A. Varzi), lo studio delle strutture parte/intero nel dominio degli oggetti
materiali (con A. Varzi), la teoria del futuro "strizzato" (shrinking
future) nella metafisica del tempo (con G. Torrengo). Casati ha studiato il
fenomeno percettivo delle ombre e il loro contributo alla ricostruzione delle
scene tridimensionali grazie alla scoperta di doppie dissociazioni nella
rappresentazione delle ombre (ombre corrette che appaiono sbagliate, ombre
sbagliate che appaiono corrette), scoprendo o prevedendo svariate illusioni
percettive (l'illusione "copycat", l'illusione di Lippi, l'illusione
della doppia ombra, la cattura delle ombre, le ombre delle ombre, il
mascheramento delle ombre, le ombre di oggetti non materiali). Una parte della
sua ricerca ha riguardato il modo in cui l'ombra è stata rappresentata nella
pittura ed è stata usata per il ragionamento geometrico, in particolare in
astronomia (La scoperta dell'ombra, tradotto in otto lingue). Un'altra linea di
ricerca riguarda gli artefatti cognitivi. I risultati principali in questo
settore sono la prima e finora unica semantica formale per le mappe, una
sintassi e una semantica per la notazione musicale standard, la teoria dei
"micro crediti" nelle pubblicazioni scientifiche, e una teoria
generale dei vantaggi cognitivi degli artefatti rappresentativi. Con Gino
Roncaglia, è autore di un progettodenominato Wikilexper l'uso di strumenti wiki
nella scrittura normativa, in un contesto di democrazia partecipata. La sua Prima Lezione di filosofia difende una
concezione della filosofia come arte del negoziato concettuale. Da questa tesi
discende che la filosofia è molto diffusa nella società e nella scienza anche
al di fuori dell'ambito accademico che le è proprio, che non esistono problemi
filosofici fuori dal tempo e dalla storia, che non c'è un canone filosofico né
un modo canonico di insegnare la filosofia.
Opere principali L'immagine. Introduzione ai problemi filosofici della
rappresentazione, La Nuova Italia, 1991.
88-221-0993-7. Holes and other superficialities (con Achille Varzi), MIT
Press, 1994, 0262032112; trad. it. Buchi
e altre superficialità, Garzanti 1996.
88-11-59279-8. La philosophie du son (con Jérôme Dokic), Chambon, 1994. 2877111091. Parts and Places (con Achille
Varzi), MIT Press, 1999. 026203266X. La
scoperta dell'ombra, Arnoldo Mondadori Editore, 2000; seconda edizione,
Laterza, 2008. 978-88-420-8150-0.
Semplicità insormontabili39 storie filosofiche (con Achille Varzi), Laterza,
2004. 88-420-7304-0. Il caso Wassermann
e altri incidenti metafisici, Laterza, 2006.
88-420-8096-9. Il pianeta dove scomparivano le cose. Esercizi di
immaginazione filosofica (con Achille Varzi), Einaudi, 2006. 88-06-18071-1. Prima lezione di filosofia,
Laterza, ; seconda edizione, .
978-88-420-9549-1. Contro il colonialismo digitale: istruzioni per
continuare a leggere, Laterza, .
978-88-5810-731-7. Dov'è il sole di notte? Lezioni atipiche di
astronomia, Raffaello Cortina, .
978-88-6030-616-6. L'incertezza elettorale (con Achille Varzi), Aracne
Editrice, . 978-88-548-7928-7.
Semplicemente diaboliche. 100 nuove storie filosofiche (con Achille Varzi),
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freddo, Einaudi, . 978-88-062-3610-6.
Premio Procida-Isola di Arturo-Elsa Morante Note Albo vincitori "Isola di Arturo",
su premioprocidamorante.it. 9 maggio . Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio
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Sito web personale, su shadowes.org. Sito del progetto Wikilex, su
merzspace.net. The journey of a man: Roberto Casati reflects on Dante’s
metaphysics for The Divine Comedy, su moleskinefoundation.org. Presentazione
Mobile A2K, su interdisciplines.org. 2 gennaio
6 giugno ). Roberto Casati, in Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. V D M Vincitori Premio Fiesole Filosofia Filosofo
del XX secoloFilosofi italiani Professore1961 9 novembre Milano
CASINI: Paolo Casini (Roma), filosofo. Socio corrispondente dell'Accademia
Nazionale dei Lincei. Biografia Ha
compiuto i suoi studi di filosofia all'Università La Sapienza di Roma avendo
come docenti, tra gli altri, Bruno Nardi, Carlo Antoni, Ugo Spirito, Federico
Chabod. La sua tesi di laurea, discussa con Ugo Spirito e Tullio Gregory,
riguardava L'idea di natura in Denis Diderot, sviluppata in seguito nella
monografia Diderot philosophe. I suoi
interessi di ricerca in storia della filosofia si sono successivamente estesi
all'intreccio tra filosofia e scienze sperimentali nel Settecento, soprattutto
attorno alla figura di Isaac Newton e alla diffusione della sintesi newtoniana
nella cultura filosofica europea, a proposito di filosofi-scienziati come
D'Alembert, Buffon, Maupertuis, Clairaut, Eulero, non senza tener conto
dell'opera divulgativa di Voltaire, fino a collocare in tale contesto i primi
scritti di Kant. Ha insegnato storia del
pensiero scientifico e storia della filosofia moderna nelle Trieste, Bologna,
Roma. Le sue ricerche riguardano Diderot
e la filosofia dell'illuminismo, i nessi tra rivoluzione scientifica e
riflessione filosofica nei secoli XVII-XIX, l'origine e diffusione della fisica
di Newton, le vicende del mito pitagorico tra "prisca philosophia" e
"antica sapienza italica", le dispute sorte attorno al
darwinismo. Pubblicazioni Diderot
"philosophe", Laterza, 1962. L'universo-macchina: origini della
filosofia newtoniana, Laterza, 1969. Introduzione a Rousseau, Laterza, 1974
Introduzione all'illuminismo, Laterza, 1980 Newton e la coscienza europea, Il
Mulino, 1983 Scienza, utopia e progresso, Laterza, 1994 L'antica sapienza
italica. Cronistoria di un mito, Il Mulino, 1998 Hypotheses non fingo: tra
Newton e Kant, Edizioni di Storia e Letteratura, 2006 Alle origini del
Novecento: "Leonardo", 1903-1907, Il Mulino, 2003 Darwin e la disputa
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january 1963, 321-322. Amedeo Quondam,
La Rassegna della letteratura Italiana, n. 77 sett.-dic. 1973681-683. Charles
Porset, La Pensée, n. 189, octobre 1976124, Treccani.it. Filosofia Filosofo del
XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloStorici italiani del XX secoloStorici
italiani del XXI secoloAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani Professore1932
14 aprile Roma
CASOTTI: Mario Casotti
(Roma), filosofo. Nacque a Roma da Enrico Casotti e Virginia Sciello. A Pisa fu
allievo dei filosofi Giovanni Amendola e Giovanni Gentile. Con quest'ultimo si
laureò nel 1918 con una tesi intitolata La concezione idealistica della storia,
in cui esprimeva la propria entusiasta adesione alla dottrina gentiliana
dell'attualismo. Dopo aver aderito
all'appello Per un Fascio di Educazione Nazionale, sottoscritto tra gli altri
da Ernesto Codignola, Giuseppe Lombardo Radice e Augusto Monti, in vista di un
rinnovamento della scuola italiana, Casotti indirizzò il proprio percorso
professionale in direzione della pedagogia, orientata alle teorie idealiste di
Gentile, da lui riprese e rielaborate anche nelle prime esperienze di
insegnamento alla Scuola Normale di Pisa e all'Istituto Superiore di Magistero
dell'Torino. Del Codignola fu anche collaboratore nella redazione delle riviste
Levana e La nuova scuola Italiana. Nel
1924 tuttavia, motivazioni personali, unite all'esigenza di approccio più
realista all'educazione, portarono il Casotti ad allontanarsi in maniera
piuttosto repentina dalle posizioni idealistiche precedenti e ad aderire al
neotomismo cattolico. In quello stesso anno padre Agostino Gemelli lo chiamò
all'Università del Sacro Cuore di Milano alla cattedra di pedagogia. Qui
Casotti insegnerà fino al 1964, sviluppando una forma di pedagogia cattolica
ispirata a Raffaello Lambruschini, Antonio Rosmini, e san Giovanni Bosco,
basata sulla perennis philosophia dell'aristotelismo tomista tramandata dalla
Chiesa. Egli avversò da un lato
l'attivismo e il naturalismo pedagogico, recuperando l'importanza della
«lezione» e della «disciplina», in una prospettiva di insegnamento rivolta
all'«imitazione di Cristo». Dall'altro reinterpretò il rapporto maestro-allievo
nell'ottica di Tommaso d'Aquino, contestando la pretesa dell'attualismo
gentiliano di risolverne il dualismo in unità, concependolo piuttosto come
condivisione di uno stesso cammino di crescita, incentrato sulla Rivelazione,
nel quale l'educazione è vista come un'arte, che consente il passaggio dalla
potenza all'atto. Nel 1933 Casotti fondò
la rivista Supplemento pedagogico a Scuola italiana moderna, rinominata nel
1952 in Pedagogia e vita. Nel 1948 pubblicò in due volumi una sintesi del suo
pensiero educativo, che vede la pedagogia contraddistinta, «come scienza e come
arte», sia da un aspetto etico-religioso, finalizzato a un ideale, sia da uno
scientifico basato sulla «sperimentazione» del metodo più oppurtuno da seguire
e adattare alle difficoltà del contesto didattico. Opere Saggio di una concezione idealistica
della storia, Firenze, Vallecchi, 1920 Introduzione alla pedagogia, Firenze,
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Istruzione Filosofo del XX secoloPedagogisti italiani 1896 1975 10
giugno 12 luglio Roma Marina di PietrasantaFilosofi cattolici
CASTELLI
CASSIODORO Cassiodoro Flavio Cassiodoro Gesta
TheodoriciFlaviusMagnus Aurelius Cassiodorus (c 485c 580).jpg Cassiodoro, da un
manoscritto su vellum del XII secolo. Magister officiorum del Regno Ostrogoto
Durata mandato523533 MonarcaTeodorico il Grande (fino al 30 agosto 526) Atalarico
(fino al 533) PredecessoreSeverino Boezio Prefetto del pretorio d'Italia Durata
mandato533533 MonarcaAtalarico SuccessoreVenanzio Opilione Durata mandato535537
MonarcaTeodato (fino all'autunno 536) Vitige (fino al maggio 540)
PredecessoreVenanzio Opilione SuccessoreFidelio Dati generali Professionefilosofo
Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore (latino: Flavius Magnus Aurelius
Cassiodorus Senator; Scolacium, 485 circaScolacium, 580 circa) politico,
letterato e storico romano, che visse sotto il regno romano-barbarico degli
Ostrogoti e successivamente sotto l'Impero Romano d'Oriente. Percorse
un'importante carriera politica sotto il governo di Teodorico il Grande
(493-526), ricoprendo ruoli tanto vicini al sovrano, da far pensare in passato
ad un effettivo contributo diretto al progetto del re ostrogoto. Successore di
Severino Boezio, oltre che consigliere, fu cancelliere del re e il compilatore
delle sue lettere ufficiali e dei provvedimenti di legge. Il letterato
collaborò anche con i successori di Teodorico fino al 540. Al termine
della guerra gotica si stabilì in via definitiva presso la nativa Squillace,
dove fondò il monastero di Vivario con la sua biblioteca. La fonte
principale che ci permette di conoscere la famiglia di Cassiodoro è data dalla
sua più vasta e importante opera, le Variae. Nacque in una delle più stimate
famiglie dei Bruzi, originaria dall'Oriente (probabilmentedalla Siria) e
facente parte del patriziato. L'origine del nome Cassiodoro è da ricercarsi in
un luogo di culto dedicato a Zeus, situato nei pressi di Antiochia. Da una
lettera scritta da Cassiodoro per Teodorico abbiamo notizie sui suoi genitori,
così come su un parente di nome Heliodorus, prefetto a Costantinopoli per
diciotto anni nella seconda metà del V secolo. Dall'antica origine della
famiglia si può comprendere la scelta dei Bruzi come nuova patria, essendo
questa una zona della Magna Grecia culturalmente più vicina all'Oriente greco.
Si hanno notizie inoltre del bonno di Cassiodoro, definito «"vir
illustris"» e del nonno Senatore; quest'ultimo fu tribuno sotto
Valentiniano III, e in qualità di ambasciatore conobbe il re degli Unni
Attila. Odoacre e Teodorico ritratti nelle Cronache di Norimberga.
Al padre di Cassiodoro furono indirizzate alcune lettere delle Variae, il che
ci offre più dati su di lui; ricoprì il ruolo di comes rerum privatarum e
successivamente di comes sacrarum largitionum nel governo di Odoacre, mantenne
la propria posizione di funzionario d'amministrazione anche sotto Teodorico,
tanto da diventare governatore provinciale. Attorno al 490 lo si ritrova
governatore della Sicilia, e dopo essere entrato nelle grazie di Teodorico,
governatore della Calabria fino al 507, quando si ritirerà a vita
privata. Così come per i suoi familiari, ricaviamo notizie sulla vita di
Cassiodoro solo dalle sue opere. Le date di nascita e morte sono quelle
indicate dal Tritemio (Johannes von Trittenheim, 1462-1516) nel suo De
scriptoribus ecclesiasticis (Basilea 1494): Cassiodoro morì nel 575 "a più
di 95 anni d'età", ed il menologio benedettino lo ricorda il 25 settembre.
Da ciò si deduce che l'anno di nascita è il 480; conclusione cui era giunto,
indipendentemente dal Tritemio, anche Carlo Tanzi nel suo studio sulle Variae.
Per quelli che, come Theodor Mommsen, non ritengono attendibili i dati del
Tritemio, le date di nascita e morte di Cassiodoro rimangono ipotizzate,
principalmente grazie a quelle note dei suoi incarichi amministrativi;
nonostante ciò molte cronache tendono a confondere alcuni dati della vita di
Cassiodoro con eventi vissuti dal padre, attribuendo una grande longevità al
letterato di Squillace. Proprio per quanto riguarda Squillace, non è certo che
Cassiodoro vi nacque; molto più probabilmente vi passò l'infanzia, ricevendo
dalla propria famiglia una prima educazione e seguendo degli studi. Ancora
giovane fu avviato dal padre alla carriera pubblica, per la quale ricoprì
anzitutto il ruolo di consiliarius, per poi diventare quaestor sacri palatii
nel 507, forse perché Teodorico apprezzò particolarmente un panegirico che egli
aveva composto. Poco tempo dopo ricevette il governatorato di Lucania e
Bruttii, notizia che si può apprendere da una lettera inviata al cancellarius
Vitaliano; seguendo differenti interpretazioni storiche, questa congettura è
stata però di recente messa in dubbio.[25] Al 514 risale la designazione a
console, per la quale la data è certa; nonostante si trattasse ormai di una carica
onorifica manteneva una certa importanza, permettendo a Cassiodoro di ricoprire
il ruolo di eponimo.[26] Dei dieci anni successivi non si conosce nulla, salvo
la pubblicazione della Chronica del 519.[27] Successivamente, nel 523,[28] fu
nominato magister officiorum del re, succedendo nella carica a Boezio;[29] il
ruolo era di grande prestigio, e Cassiodoro rappresentò con esso il capo
dell'amministrazione pubblica, degli officia[30] e delle scholae
palatinae.[31] Alla morte del sovrano, avvenuta nel 526, si aprì una
complessa fase di successione;[28] divenne ministro di Amalasunta, la figlia di
Teodorico il Grande (493-526), succedutagli sul trono come reggente per il
figlio Atalarico.[27] Presumibilmente Cassiodoro perdette parte della sua
influenza nei primi anni di tali mutamenti politici, ma seppe poi riproporsi e,
con un lettera di Atalarico del 533, guadagnò il titolo di Prefetto del
pretorio per l'Italia.[28][32] Non ricoprì questo ruolo politico per molto
tempo; Atalarico morì nel 534 e ai consueti problemi di successione si aggiunse
la malvolenza di Giustiniano verso gli Ostrogoti, insofferenza che culminò poi
con la guerra gotica.[33] Cassiodoro resse nuovamente la prefettura tra il 535
e il 537, sotto i re Teodato e Vitige, per poi abbandonare definitivamente la
carriera pubblica nel 538;[33] nelle Variae si possono trovare le ultime
lettere scritte per conto di Vitige, anche se non viene detto nulla sul
concludersi della sua funzione politica né si sa alcunché dei suoi
successori.[34][35] Immagine di Cassiodoro tratta dalle Cronache di
Norimberga. Di fronte all'avanzata bizantina Cassiodoro rimase dapprima in
ritiro a Ravenna, luogo che offriva ancora una certa sicurezza; nel 540 la
città fu conquistata dalle truppe imperiali, e da quel momento per dieci anni
si perdono le sue tracce.[33] Le alternative vagliate sono una permanenza a
Squillace, dove però avrebbe avuto scarse possibilità di movimento, o una
permanenza più lunga a Ravenna. Nel 550 lo si ritrova nel seguito di papa
Vigilio a Costantinopoli, città nella quale potrebbe anche aver soggiornato,
secondo una terza ipotesi, in un periodo precedente alla data
conosciuta.[36] Rientrò nei Bruttii solo dopo la fine della guerra,
attorno al 554; ritiratosi definitivamente dalla scena politica, fondò il
monastero di Vivario presso Squillace, in un periodo non meglio precisato.[37]
Si hanno anche per questa parte della sua vita pochissime informazioni, non si
conoscono quindi le motivazioni che lo portarono alla creazione di questa
comunità monastica né particolari sulla contemporanea situazione politica della
penisola italica; per quanto riguarda la sua situazione personale, si può
ipotizzare che non ebbe moglie né eredi diretti.[37] Al Vivarium trascorse il
resto dei suoi anni, dedicandosi allo studio e alla scrittura di opere
didattiche per i monaci. Qui istituì uno scriptorium per la raccolta e la
copiatura di manoscritti, che fu il modello a cui successivamente si ispirarono
i monasteri medievali, come quelli Benedettini.[38] Attorno ai novant'anni
Cassiodoro scriverà la sua ultima opera, il De ortographia; la sua data di
morte non è conosciuta, anche se viene generalmente datata attorno al
580.[39] Il pensiero politico L'obiettivo principale del progetto
politico-culturale di Cassiodoro fu quello di accreditare il regno teodericiano
come una restaurazione del Principato,[40] ossia quella forma di governo che
aveva garantito la collaborazione, formalmente quasi paritaria, tra
l'imperatore e la classe senatoria. Questa autorappresentazione del governo
goto serviva in primo luogo come legittimazione del regno nei confronti
dell'Impero costantinopolitano.[41] Sostanzialmente, essendosi conformato il
regime ostrogoto al modello imperiale, il primato dell'imperatore orientale era
fondato esclusivamente su un piano carismatico (pulcherrimum decus).[42] Al
tempo stesso, tale «imitazione» da parte di Teoderico poneva l'Amalo in una
posizione di superiorità nei confronti degli altri regni barbarici
attraverso: «...un principio politico-carismatico, basato su una
gerarchia di due livelli (l'impero e il regno di Teoderico, gli altri regni),
con un vertice binario e leggermente asimmetrico. Tra tutti gli altri
dominantes, Teoderico era il solo che, per volontà divina, aveva saputo dare al
suo regno gli stessi fondamenti etici e legali dell’imperium: il suo regno era
una replica perfetta del modello imitato e a sua volta un modello.»
(Andrea Giardina[43]) La prospettiva di Cassiodoro, infatti, non è più l'impero
universale, bensì quella "nazionale" dell'Italia
romano-ostrogota,[44] autonoma nei confronti di Costantinopoli ed egemone
rispetto agli altri regni occidentali, sebbene siano state avanzate riserve
circa la reale ambizione di Teoderico di assumere l'eredità del decaduto Impero
romano d'Occidente.[45] In particolare, il fondamento dell'ideologia
cassiodoriana ruota intorno al concetto di civilitas, che indica tanto il
«rispetto delle leggi e dei princìpi della Romanità»[46] quanto la «convivenza
sociale, giuridica ed economica di Romani e stranieri fondata sulle leggi».[47]
Secondo Cassiodoro, il regno goto si sarebbe fatto custode della civilitas,[48]
garantendo così la giustizia e la pace sociale (l’otiosa tranquillitas, cioè
l'obiettivo di ogni buon governo[49]), in accordo con la legge divina e la
migliore tradizione imperiale romana.[50][51] Il richiamo all'ideologia
del Principato da parte di Teoderico e Atalarico si basava, nella fattispecie,
sull'emulazione della figura di Traiano[52][53], così come tratteggiata nel
Panegirico di Plinio il Giovane[54]. Con il regno di Amalasunta e Teodato,
invece, il principale modello di riferimento fu quello
dell'imperatore-filosofo, un ideale etico-politico ampiamente imbevuto di
caratteri neoplatonici[55][56]. In seguito, nell'impellenza della guerra greco-gotica,
Vitige si distinse per il recupero di un'ideologia più specificamente
germanica, in cui erano messi in risalto le virtù belliche e l'ardore
guerriero[57][58]. Monastero di Vivario Magnifying glass icon mgx2.svgVivarium.
San Benedetto da Norcia. Il periodo di fondazione di Vivarium non è certo,
benché si tenda a considerare il 544 come una probabile datazione, coincidente
con il ritorno di Cassiodoro da Costantinopoli.[59] Inoltre esiste la
possibilità che un primo abbozzo di ciò che sarebbe diventato il monastero
esistesse già da tempo, presente nei territori di Squillace da una data
sconosciuta e utilizzato come residenza da Cassiodoro solo al ritorno in patria
dopo la guerra gotica.[59] Ad ogni modo non aiuta nelle varie ipotesi il
silenzio delle fonti, poiché le Variae erano state già pubblicate e nessuna
delle opere dell'ormai ex politico trattò di questa fondazione; nulla si
conosce sul parto di questo progetto, né quando quest'idea fosse stata
concepita.[59] Nonostante si intuisca dalle ultime opere di Cassiodoro un
avvicinamento potente alla fede cristiana (si pensi al De anima e all'Expositio
Psalmorum[60]), il monastero di Vivario nacque con uno scopo differente dal
celebre Ora et labora: l'obiettivo principale del nucleo monastico fu infatti
la copiatura, la conservazione, scrittura e studio dei volumi contenenti testi
dei classici e della patristica occidentale.[61] La caratteristica di
Vivarium era quindi la sua forma di scriptorium, con le annesse problematiche
di rifornimento materiali, studio delle tecniche di scrittura e fatiche
economiche; i codici e manoscritti prodotti nel monastero raggiunsero una certa
popolarità e furono molto richiesti.[61] Le forme entro cui si espresse invece
l'organizzazione monastica dal punto di vista religioso sono ben poco chiare,
né aiuta l'assenza di riferimenti alla vicina esperienza di Benedetto da
Norcia; forse Cassiodoro non ne conobbe neppure l'esistenza, o potrebbe averne
parlato in opere non giunteci.[62] Alcuni storici avanzano l'ipotesi che la Regula
magistri, su cui si basa la Regola benedettina, sia addirittura opera dello
stesso Cassiodoro;[63] questo presunto rapporto tra i due è però generalmente
rigettato dagli studiosi, anche alla luce di alcune citazioni provenienti dalle
Institutiones che chiariscono le norme monastiche adottate da
Vivarium:[64] «Voi tutti che vivete rinchiusi entro le mura del monastero
osservate, pertanto, sia le regole dei Padri sia gli ordini del vostro
superiore e portate a compimento volentieri i comandi che vi vengono dati per
la vostra salvezza... Prima di tutto accogliete i pellegrini, fate l'elemosina,
vestite gli ignudi, spezzate il pane agli affamati, poiché si può dire
veramente consolato colui che consola i miseri.» (Cassiodoro,
Institutiones.[65]) Ritratto del profeta Esdra nel quale per molto tempo
si riconobbe la figura di Cassiodoro, contenuto nel Codex Amiatinus.[66] Questa
citazione mostra come Vivarium seguisse quindi le più comuni regole monastiche
contemporanee, mentre altri passaggi delle Institutiones ci suggeriscono un
ruolo laico per Cassiodoro, forse esterno alla vita monastica e puramente
patronale.[67] Il vero centro vitale di Vivarium era, particolare che segna la
differenza con ogni altro centro monastico, la biblioteca;[68] Cassiodoro distingue
inoltre i libri del monastero[69][70] da quelli personali,[71][72] differenza
poi scomparsa in un periodo successivo.[73] «Era la biblioteca, infatti,
come centro di cultura di tutto il monastero, la novità del suo programma, una
biblioteca nata ed accresciuta secondo le intenzioni del fondatore che dei suoi
libri conosceva non solo la sistemazione, perché l'aveva curata personalmente,
ma anche i testi, perché li aveva studiati, annotati, arricchiti di segni
critici, riuniti insieme secondo la materia in essi trattata e persino
abbelliti esteriormente.» (Mauro Donnini nella prefazione alle
Institutiones.[74]) Il monastero prendeva nome da una serie di vivai di pesci
fatti preparare dallo stesso Cassiodoro; la loro presenza rappresentava un forte
valore simbolico, legato al concetto di Cristo come Ichthys.[75] Non lontano
dal centro si trovava una zona per anacoreti, riservata a monaci con pregresse
esperienze di vita cenobitica. Vivarium sorgeva, secondo gli studi ad oggi
compiuti, nella contrada San Martino di Copanello, nei pressi del fiume Alessi;
in quella zona fu ritrovato un sarcofago datato VI secolo, associato a graffiti
devozionali e subito considerato la sepoltura originale di Cassiodoro, ipotesi
che non convince fino in fondo gli studiosi.[76] Per ciò che riguarda la
ripartizione del lavoro, i monaci inadatti a seguire la biblioteca con annessi
oneri intellettuali erano destilla coltivazioni di orti e campi, mentre i
letterati si occupavano dello studio delle Sacre Scritture e delle sette arti
liberali;[77] questi ultimi erano divisi in notarii,[78] rilegatori e
traduttori.[79][80] Le opere di carità erano espressamente raccomandate dal
fondatore,[65] e legati a queste fiorivano gli studi di medicina.[81]
Importanti furono gli studi sulle opere sacre: Cassiodoro fece preparare tre
edizioni differenti della Bibbia e si occupò di copiature e riscritture di
molti altri testi della cristianità, considerando tutto ciò una vera e propria
opera di predicazione.[82] Non mancano però nella biblioteca di Vivarium i
testi profani: tra gli altri furono salvati grazie all'opera di Cassiodoro le
Antiquitates di Flavio Giuseppe e l'Historia tripartita.[82] Opere Le
opere di Cassiodoro del periodo di Teodorico, quelle da noi conosciute, sono
tre: le Laudes, la Chronica e l'Historia Gothorum. Della prima si sono
conservati solo due frammenti, mentre della Gothorum Historia rimane solo
un'epitome a opera dello storico Giordane.[83] La Chronica racconta la
"saga" dei poteri temporali di tutta la storia, dai sovrani assiri
sino ai consoli del tardo Impero, passando ovviamente per tutta la storia
romana.[83] Possediamo un frammento di un'ulteriore opera, l'Ordo generis
Cassiodororum, la cui datazione varia tra il 522 e il 538 e che ci offre
notizie sulla famiglia dell'autore.[84] Tra la produzione di Cassiodoro
occupano un posto speciale le Variae, raccolta di documenti ufficiali scritti
tra il 537 ed il 540, i quali ci offrono quindi informazioni su differenti
periodi della vita dell'autore e sulla storia dei Goti;[85] a queste si può
aggiungere il De Anima, opera per la prima volta lontana da interessi politici
e invece basata su temi della spiritualità.[86] Il terreno religioso è
battuto anche dalla successiva Expositio Psalmorum, commento ai salmi di particolare
importanza poiché unico esempio pervenutoci dal mondo tardo antico.[87] Al
periodo di Vivarium appartengono tra le opere a noi giunte, le Institutiones,
le Complexiones in epistolas Beati Pauli e le Complexiones in epistolas
catholicas, le Complexiones actuum apostolorum et in Apocalypsi e il De
ortographia. La prima, senza dubbio l'opera più importante di
Cassiodoro,[88][89] è datata 560-562, un periodo in cui il centro monastico era
sicuramente avviato; rappresenta sostanzialmente una "guida" per gli
studi nel monastero, è ricca di informazioni sulla vita dei monaci e sulle
opere intellettuali da loro compiute.[90] Il De ortographia sarà la sua ultima
opera, scritta attorno ai novant'anni. Chronica Uno scritto di chiari
intenti politici è la Chronica, una sorta di storia universale scritta nel 519
su richiesta per celebrare il consolato di Eutarico Cillica (diviso con
l'Imperatore Giustino), genero di Teodorico e designato al trono.[91] Il
sovrano d'Italia non aveva eredi maschi mentre Eutarico, sposandone la figlia
Amalasunta, era riuscito a donargli un nipote, Atalarico.[91] Alla luce di
questa nuova dinastia, la scelta di offrire il ruolo di console a Eutarico
rappresentava quindi un importante evento politico: si trattava della celebrata
unione tra i Romani ed i Goti, progetto che poi fallirà
tragicamente.[91][92] L'opera, che come comprensibile dal titolo ha
chiari fini storici,[93] propone una successione dei grandi poteri politici
succedutisi nella storia, passando da Adamo sino ad approdare al 519 con
Eutarico.[83] È basata su numerose fonti che Cassiodoro spesso cita quali
Eusebio, Gerolamo, Livio, Aufidio Basso, Vittorio Aquitano e Prospero
d'Aquitania;[83] per la trattazione successiva al 496 invece l'autore è
autonomo.[94] L'elemento dell'opera che maggiormente colpisce è il suo
carattere spiccatamente filo-gotico: Cassiodoro arriva a manipolare alcuni
eventi storici o a farne addirittura scomparire altri, al fine di non far
apparire i Goti sotto un'oscura luce.[83][95] Historia Gothorum Re
Davide vincitore in una miniatura dall'Expositio Psalmorum, presente
nell'edizione del Cassiodoro di Durham. Una delle sue opere più importanti fu
il De origine actibusque Getarum (più noto come Historia Gothorum) in 12 libri,
nel quale la sua ideologia filogotica era tracciata e sviluppata in maniera più
organica.[83] Si considera l'opera contemporanea o poco successiva alla
Chronica, anche se più studiosi tendono a ritenerla più recente, forse composta
tra il 526 e il 533. Certamente la stesura fu caldeggiata da Teoderico, per
essere infine pubblicata sotto Atalarico;[96] nonostante ciò essa ci è
pervenuta solo nella versione ridotta dello storico Giordane, i
Getica.[83][97] Prima storia nazionale di un popolo barbarico,[98] la
Historia Gothorum era tesa a glorificare la dinastia degli Amali, la stirpe
regnante, attraverso una ricostruzione della storia dei Goti dalle origini ai
tempi presenti. Il tentativo più ardito dell'opera fucome emerge dal titolo
stessol'identificazione dei Goti con i Geti, popolazione già nota a Erodoto e
maggiormente conosciuta dal mondo romano.[99] Il racconto narra eventi storici
sino all'anno 551 e come scopo ha inoltre quello di celebrare l'unione tra Goti
e Romani, qui comprovata dal matrimonio tra il romano Germano Giustino e l'amala
Matasunta.[100][101] Il fine ultimo dell'opera lo svelaper bocca di
AtalaricoCassiodoro stesso: «Questi [Cassiodoro] ha sottratto i re dei
Goti al lungo oblio in cui li aveva nascosti l'antichità. Questi ha ridato agli
Amali la gloria della loro stirpe, dimostrando chiaramente che noi siamo stirpe
regale da diciassette generazioni. L'origine dei Goti egli ha reso storia
romana,[102] quasi raccogliendo in una corona fiori prima sparsi qua e là nel
campo dei libri.» (Cassiodoro, Variae.[103]) Ordo generis Cassiodororum
Di quest'opera rimane un solo frammento in più copie, scoperto nel 1860 da
Alfred von Hölder a Reichenau.[104][105] Il testo, dalla difficile
interpretazione, fu composto negli anni della carriera pubblica di
Cassiodoro e le datazioni oscillano tra il 522 e il 538; è dedicato a Rufio
Petronio Nicomaco Cetego, politico contemporaneo dell'autore.[104] L'opera
offre rare notizie sulla famiglia di Cassiodoro, in particolare sul padre;
nelle poche righe centrali vengono nominche Boezio e Simmaco, il che farebbe
pensare ad un qualche grado di parentela tra l'autore e queste due figure,
impossibile attualmente da stabilire.[106] Variae La sua attività di
funzionario al servizio del regno goto è testimoniata dalle Variae (la cui
pubblicazione è datata tra il 537 e il 540),[85] una raccolta di lettere e
documenti (468 in totale per 12 volumi)[107] redatti in nome dei sovrani o
trasmessi a firma dell'autore stesso in un arco di tempo che va dal 507
(assunzione della questura) al 537 (termine della carica di prefetto al
pretorio).[85] Il titolocome l'autore spiega nella prefazione all'operaè dovuto
alla varietà degli stili letterari impiegati nei documenti del corpus, il quale
divenne successivamente un riferimento per lo stile cancelleresco e curiale.[85]
Cassiodoro espone nella praefatio dell'opera il fine di questa raccolta di
testi, ovvero la necessità di fornire nozioni utili a chiunque si dovesse in
futuro accostare alla carriera pubblica;[85] ulteriore obiettivo dichiarato è
quello di far conoscere i propri trascorsi come membro del ceto dirigente.[85]
Le Variae sono assai utili per conoscere le istituzioni, le condizioni
politiche, morali e sociali sia dei Goti sia dei Romani dell'Italia del
tempo.[85] De anima Cominciato poco prima della conclusione delle
Variae,[86] il De anima è considerato da Cassiodoro come una sorta di
tredicesimo volume per quest'opera, quasi ne rappresentasse l'appendice.[108]
Per la prima volta Cassiodoro affronta temi esterni al mondo della politica,
avvicinandosi agli stessi interessi spirituali che poi toccherà con la
Expositio Psalmorum;[109] l'opera si dipana su dodici questioni, tra le quali
l'incorporeità e il destino dell'anima, legata alla tradizione di Tertulliano,
Agostino e Claudiano Mamerto.[86] Folio 81v dal Cassiodoro di
Durham. Expositio Psalmorum Anche per quest'opera non è possibile dare una
datazione certa, anche perché la sua composizione sembra essere stata portata
avanti per un periodo abbastanza prolungato.[87] Si tratta di un commento
completo ai salmi, unico esemplare rimastoci da tutta la tarda antichità;[87]
per mole è certamente l'opera maggiore di Cassiodoro, anche se non viene
considerata la più matura tra le sue produzioni.[110] Istituzioni
(Institutiones divinarum et saecularium litterarum) Magnifying glass icon
mgx2.svg Istituzioni (Cassiodoro). Una più ampia influenza nel Medioevo ebbero
le sue Istituzioni (Institutiones divinarum et saecularium litterarum),[111]
erudita introduzione allo studio delle Sacre Scritture e delle arti liberali,
datate attorno al 560.[112] Progettata dopo che la richiesta di Cassiodoro per
la fondazione di un'studi cristiani ricevette una risposta negativa da papa
Agapito I,[113] l'opera visse un lungo periodo di incubazione: basti pensare
che al suo interno cita il De orthographia, ultima opera attestata di
Cassiodoro.[113] Il lavoro su questa enciclopedia si suddivide in varie
sezioni: la prima presenta i vari libri della Bibbia, la storia della Chiesa e
degli studi teologici; la seconda si occupa di quelle arti incluse
successivamente nel trivio e quadrivio, con un occhio rivolto alla cultura
pagana e alle norme atte per trascrivere correttamente gli antichi.[114]
Altre opere Le opere sono citate direttamente da Cassiodoro nel De
orthographia.[115] Complexiones in Epistolas et Acta apostolorum et
Apocalypsin; si tratta di un commento ad alcuni passi degli Atti degli Apostoli
e dell'Apocalisse di Giovanni Expositio epistolae ad Romanos (Commento alla
lettera dei Romani). Liber memorialis; breve riassunto del contenuto della
Sacra Scrittura. Historia ecclesiastica tripartita, di cui fu autore della sola
prefazione. De orthographia; trattato destinato a fissare norme e regole per la
trascrizione di scritti antichi e moderni. Note
Senator è parte integrante del nome e non già designazione della carica
pubblica (Momigliano, 1978, 494-504;
Momigliano, 1980487). Le ipotesi che
vogliono Cassiodoro organizzatore e stratega nascosto dietro Teodorico sono ad
oggi considerate generalmente infondate, superate dalla tradizione che vede Cassiodoro
estraneo alla politica del regno; Cardini, 2009109. Cardini, 200911; Abbate, 1997, 192. Cardini, 200971. Momigliano, 1980487. In Siria si trovano attestati i nomi
Κασιόδωρος e Κασσιόδωρος. Cassiodoro, Variae, I, 3. Noto come Mons Cassius, da questo deriva
Kassiodoros, ovvero "Dono del Monte Cassio". Cardini,
200972. Cassiodoro, Variae, I, 4. Cassiodoro, Variae18. Onore guadagnato forse per la difesa della
Calabria dai Vandali di Genserico nel 404.
Michel Rouche, IV- Il grande scontro (375-435), in Attila, I
protagonisti della storia, traduzione di Marianna Matullo, 14, Pioltello (MI), Salerno Editrice, , 87,
2531-5609 (WC ACNP). Cardini, 200974. Tuttavia non si conosce né la data in cui
ricoprì la carica né il nome della provincia. Cardini, 200975. Il nome stesso di Cassiodoro viene riportato
solo nelle lettere dei papi Gelasio, Giovanni II e Vigilio. In Cardini, 2009, 75-76 ci si sofferma su dizionari e prontuari
la cui affidabilità è considerata generalmente affidabile; in particolare si
cita l'opera Lessico classico di Federico Lübker. Cardini, 2009, 75-76; a novant'anni scriverà ad esempio nel
Vivarium un trattato di ortografia. Franceschini, 200830. Cardini,
200976. Cassiodoro, Ordo generis, 27-32; si tratta di una carica pubblica con
funzioni di consigliere. Cassiodoro,
Variae, IX, 24. Cassiodoro, Variae, IX, 39. Cardini, 200977. La congettura si basa su un passo delle
Variae, in cui però Cassiodoro non afferma esplicitamente di essere stato
governatore dei Bruzi. Questa ipotesi è stata rimessa in discussione da Andrea
Giardina e Franco Cardini (Giardina, 2006,
23-24;Cardini, 2009, 76-77). Aveva cioè la possibilità di dare il proprio
nome all'anno, unitamente a quello del collega. Cardini, 200978.
Cassiodoro, Variae, IX, 24-25.
Ghisalberti, 200238. Ovvero le
segreterie imperiali (officia memoriae, epistularum, libellorum e
admissionum). Si tratta del corpo
militare speciale incaricato di sorvegliare la corte imperiale. Non si è certi se fosse stato nominato prefetto
del pretorio per la prima o seconda volta. Cardini, 2009, 79.
Cassiodoro, Variae, X, 33-34.
Cassiodoro, Variae, XII, 16-24.
Momigliano, 1978495; Cardini, 2009,
79-80. Cardini, 2009,
81. Cardini, 2009, 139-141.
Cardini, 2009, 84. Reydellet, 1981, 183-253.
Giardina, 2006, 116-141. Cassiodoro, Variae, I 1,2-3, su
bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de 1º luglio )..
Giardina, 2006122. Teillet,
, 281-303. Dietrich Claude, Universale und partikulare
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Romanis Traianus vel Valentinianus, quorum tempora sectatus est,
appellaretur.. Cassiodoro, Variae, VIII
3,5: Ecce Traiani vestri clarum saeculis reparamus exemplum., su
bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de 7 luglio )..
Cassiodoro, Variae, VIII 13,3-5: Non sunt imparia tempora nostra
transactis: habemus sequaces aemulosque priscorum. (...) Redde nunc Plinium et
sume Traianum. (...) Bonus princeps ille est, cui licet pro iustitia loqui, et
contra tyrannicae feritatis indicium audire nolle constituta veterum
sanctionum. Renovamus certe dictum illud celeberrimum Traiani: sume
dictationem, si bonus fuero, pro re publica et me, si malus, pro re publica in
me.., su bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de (archiviato dall'url originale l'8 luglio
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200523. Cardini, 2009, 141-142. Cassiodoro, Istituzioni, I,
XXXII, 1. Cardini, 20092. Cassiodoro, Istituzioni, I, XXIX. Cardini, 2009142. Cassiodoro, Istituzioni, I, IV, 4. Cassiodoro, Istituzioni, I, VIII, 14. Cassiodoro, Istituzioni, I, XXXII, 2. Cassiodoro, Istituzioni, II, II, 10. Questo porta gli studiosi a ipotizzare una
maggior partecipazione di Cassiodoro al progetto. Cassiodoro, Istituzioni34. Cardini, 2009143. Cardini, 2009144. Cardini, 2009145. Coloro che preparavano i testi per la
trascrizione. Cassiodoro, Istituzioni,
I, XXX, 3. Cassiodoro, Istituzioni, I,
VIII, 3. Cardini, 2009146.
Cardini, 2009148. Cardini, 200986.
Cardini, 2009, 89-90.
Cardini, 200990. Cardini, 200992. Cardini, 200993. Altaner, 1944341. Ceserani, 197976. Cardini, 2009, 95-96. Cardini, 200985. Eutarico morirà infatti nel 522. La cronaca è un genere letterario
caratterizzato dall'esposizione di fatti storici in ordine cronologico. Simonetti, 2006101. Moorhead, 1999, 241-259.
Cassiodoro, Variae, IX, 25. De
origine actibusque Getarum, in sessanta capitoli. «La Historia Gothorum occupa un posto di
rilievo nella storia della cultura occidentale perché fu la prima storia
nazionale di un popolo barbarico: in tal senso essa introduce veramente il
medioevo». Simonetti, 2006102. Simonetti,
2006, 101-102. Germano Giustino faceva parte della Gens
Anicia, mentre Matasunta era nipote di Teodorico. Cardini, 200987. ...originem Gothicam historiam fecit esse
Romanam... Cassiodoro, Variae, IX, 25,
5. Cardini, 200988. Il frammento è
noto anche come Anecdoton Holderi; edizione critica e traduzione francese in
Alain Galonnier, "Anecdoton Holderi ou Ordo generis Cassiodororum:
introduction, édition, traduction et commentaire", Antiquité tardive, 4,
1996, 299-312. Cardini, 200989. Cassiodoro, Variae27. Cassiodoro, Variae, XI, 7. Cardini, 200991. Momigliano, 1980, 494-495.
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III137. Cassiodoro,
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Cassiodori Senatoris Variae, recensvit Theodorvs Mommsen, accedvnt I. Epistvlae
theodericianae variae edidit Th. Mommsen. II. Acta synhodorvm habitarvm Romae
A. CCCCXCVIIII. DI. DII. edidit Th. Mommsen. III. Cassiodori orationvm
reliqviae edidit Lvd. Travbe. Sito ufficiale del Premio Cassiodoro, su
premiocassiodoro.eu. Aggiornamenti sul sito di Vivarium (fondazioni monastiche
di Cassiodoro), su centreleonardboyle.com.
l'11 maggio 18 maggio ). La
fontana di Cassiodoro, su centreleonardboyle.com. 17 aprile 17 aprile ). Beatus Cassiodorus e La fama
sanctitatis di Cassiodoro Sulla fama di santità di Cassiodoro nel Medioevo.
Vivarium in Context Archiviato il 4 giugno
in .. Scheda libro con recensioni dei saggi di S.J. Barnish e L. Cracco
Ruggini citati nella . Le dignità de' Consoli e de gl'Imperadori, e i fatti de'
Romani, e dell'accrescimento dell'Imperio, ridotti a compendio da Sesto Ruffo,
e similmente da Cassiodoro, e da M. L. Dolce tradotti & ampliati, appresso
Gabriel Giolito de' Ferrari, Venezia 1561, su books.google.it. PredecessoreConsole
romanoSuccessore Flavio Agapito514Flavio Florenzio PredecessorePrefetto del
pretorio in ItaliaSuccessore?533Venanzio OpilioneI Venanzio Opilione535-537 FidelioII 95230707 I0000 0001 1323
199X IT\ICCU\RAVV\009093 79082349 118519514
cb121582004 XX878991 NLA36545498 495/44274 CERL cnp01302134 Identitieslccn-n79082349 V D M Storici romani
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secoloLetterati romaniStorici romaniComites rerum privatarumComites sacrarum
largitionumConsoli medievali romaniCorrectores Lucaniae et BruttiorumMagistri
officiorumPrefetti del pretorio d'ItaliaScrittori.
CASTRUCCI: Emanuele
Castrucci (Monterosso al Mare), filosofo. Ha frequentato negli anni
sessanta il liceo classico statale Lorenzo Costa di La Spezia, iscrivendosi
quindi all'Firenze, dove si è formato negli studi filosofico-giuridici e
storico-giuridici alla scuola di Luigi Lombardi Vallauri e di Paolo Grossi,
laureandosi in giurisprudenza nel 1975. Lungo gli anni ottanta ha ricoperto in
quell'ateneo il ruolo di ricercatore universitario di filosofia del diritto. A
Firenze è entrato in contatto per un breve periodo, pur senza aderirvi, con
l'area di Autonomia Operaia espressa all'epoca da Toni Negri, con la cui
consulenza ha scritto la sua tesi di laurea (Tra Stato di diritto e
pianificazione, Firenze 1975). Dal 1990 al 1997 ha insegnato come Professore di
filosofia del diritto presso l'Università degli Studi di Genova. Dal 1998
al è stato Professore di filosofia del
diritto e filosofia politica all'Siena. I suoi studi riguardano
principalmente la filosofia politica e la storia delle idee giuridiche, avendo
come oggetto alcuni aspetti costitutivi della dimensione contemporanea, tra i
quali si possono ricordare: i presupposti antropologici del politico; i
fondamenti dello jus publicum Europaeum, la critica dell’ideologia dei diritti
dell'uomo. La sua ricerca riguarda inoltre le origini e le forme del pensiero
giuridico europeo moderno, la ricostruzione delle linee fondamentali della teoria
dello Stato tedesca del primo XX secolo, le radici giuridiche e teologiche
della tradizione culturale dell'Occidente. Allievo a Tubinga dal 1977 al
1982 di Roman Schnur, di cui ha curato l'edizione italiana del libro
Individualismus und Absolutismus. Zur politischen Theorie vor Thomas Hobbes
(1600-1640) (Berlin, Duncker & Humblot, 1962) , Castrucci ne ha sviluppato
autonomamente la concezione del manierismo politico nei propri scritti sulla
filosofia politica convenzionalista del XVII secolo. Nel corso della sua
ricerca Castrucci ha approfondito in particolar modo filoni di pensiero
riconducibili alla rivoluzione conservatrice europea, contribuendo inoltre alla
diffusione in Italia del pensiero del giurista tedesco Carl Schmitt con la
traduzione de Il nomos della terra (1991, con cura editoriale dello storico
della filosofia Franco Volpi) e di Legge e giudizio. Uno studio sul problema
della prassi giudiziale (). Pensiero “Convenzione”, “forma”, “potenza”
sono i concetti chiave della riflessione filosofico-politica europea di cui,
nell'analisi di Castrucci, si ritrova tracciato lo sviluppo storico-genealogico
e vengono indagate le implicazioni teoriche. Convenzione, o per meglio
dire “ordine giuridico convenzionale”, è il termine-concetto che corrisponde al
modo in cui, a partire dalla prima modernità, la razionalità giuridica europea
affronta il problema di un ordine giuridico tecnico e artificiale, svincolato
da quelle premesse di valore di tipo teologico o metafisico che
avevano caratterizzato il diritto premoderno. Castrucci delinea in questo
senso la storia e la teoria dell'“ordine convenzionale” nel quadro della
modernità matura, che dal Seicento barocco procede fino alla crisi della
cultura mitteleuropea del primo Novecento. Accade in questo quadro che il
primato classico dell'idea filosofica di forma venga sostituito da quello,
tipicamente moderno, dell'idea di “decisione”. L'“epoca della decisione” si
contrappone così all'“epoca della forma” nei vari ambiti del pensiero europeo.
Confrontandosi con i campi diversi della filosofia politica, dell'etica e della
letteratura, l'analisi incontra figure significative di filosofi e scrittori
come Walter Benjamin, Robert Musil, Paul Valéry. Il complesso apparentemente
discorde delle loro voci, che Castrucci analizza, porta all'idea di una forma
elaborata su basi rinnovate rispetto all'impostazione “formalista” e
“normativista” di ascendenza kantiana, a lungo prevalente nel campo
dell'estetica e della teoria del diritto. Nello sviluppo storico e genealogico
dell'idea metafisica di potenza si possono infine riconoscere, secondo
Castrucci, le linee di un'antropologia politica fondata su basi
individualistiche (potenza come acquisizione di spazio, ossia affermazione
individuale nella spazialità: Selbstbehauptung), che però non trascura il serio
problemaposto nel corso del Novecento dalla migliore dottrina costituzionale
tedescadel radicamento materiale e simbolico del singolo individuo nella
comunità politica di appartenenza (potenza come stabilizzazione, ossia
radicamento individuale e comunitario nella spazialità). Risulta evidente in
tutto ciò il riferimento all'idea schmittiana di Ortung, ossia “localizzazione”
o “radicamento”, elaborata da Schmitt, ma anchesecondo quanto sostiene
Castrucciall'idea di potenza già rinvenibile nell'antropologia filosofica di
Spinoza e di Nietzsche. L'analisi di Castrucci muove più in generale dal
proposito di riconsiderare, seguendo il modello della lotta delle idee proprio
della critica della cultura (Kulturkritik) tedesca del primo Novecento, una
serie di concreti problemi teorici su cui la cultura europea aveva concentrato
l'attenzione in un passato non troppo lontano, per poi distoglierla
"nell'inseguimento di una discutibile attualità". Tra questi problemi
particolare rilievo tematico acquistano, nel discorso filosofico di Castrucci,
la ricerca di un'etica fondata su basi epistemologiche convenzionaliste,
l'approfondimento delle implicazioni politiche presenti nel pensiero di autori
classici della filosofia tedesca come Schopenhauer, Nietzsche, Heidegger e
Cassirer, la critica radicale delle tesi di autori più recenti come Habermas,
nonché infine la questione cruciale delle linee virtuali di costruzione di un
mito politico nell'età del nichilismo compiuto. Controversie Hanno
suscitato polemiche alcuni suoi tweet, a partire da uno pubblicato il 30
novembre col quale si riferiva a figure
storiche naziste come Adolf Hitlerritratto col il cane Blondi e il commento di
Castrucci "Vi hanno detto che sono stato un mostro per non farvi sapere
che ho combattuto contro i veri mostri che oggi vi governano dominando il
mondo"e Corneliu Zelea Codreanu, fondatore della Guardia di Ferro; dopo la
diffusione di questo tweet, ne sono stati portati in evidenza altri, ritenuti
di matrice filonazista, razzista e antisemita,[25][26][27] nonché presunti
insulti nei riguardi del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e
dell'ex Presidente della Camera Laura Boldrini.[28] Il professore ha replicato
affermando di aver semplicemente espresso "un giudizio storico
personale" avvalendosi, al di fuori della sua attività didattica, del
principio di libertà di pensiero e successivamente, in una memoria difensiva
dei suoi avvocati, di non aver mai aderito ad alcuna ideologia nazista, ma di
essere un "libero pensatore"[29], sottolineando inoltre come la
propria critica, volutamente provocatoria e paradossale, andasse piuttosto
intesa come indirizzata contro la grande speculazione finanziaria, con
esplicito riferimento alla lotta contro la finanza speculativa, l'usura e il
signoraggio bancario di Ezra Pound[30][31]. Il suo account è stato chiuso. Il 2
dicembre il rettore dell'Università degli Studi di Siena Francesco Frati ha
preso le distanze da Castrucci, annunciando di aver "dato mandato agli
uffici di attivare i provvedimenti conseguenti alla gravità del caso" e,
successivamente, di aver presentato un esposto in procura dopo aver ravvisato
"un profilo di illegalità" nelle parole del docente, ipotizzando il
reato di odio razziale con l'aggravante di negazionismo.[32] Dopo la
sospensione, Castrucci non si è presentato alla Commissione disciplinare
dell'ateneo dichiarandola non legittimata a giudicare sul suo caso[33], mentre
l'iter procedurale che avrebbe potuto condurre al licenziamento è stato bloccato
in seguito alla richiesta di pensionamento presentata dal professore
stesso.[34][35] L'inchiesta penale è stata affidata per motivi di competenza
alla procura di La Spezia.[36] Opere Monografie Emanuele Castrucci,
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La teoria indoeuropea delle tre funzioni, cit.
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un giudizio storico personale», Corriere della Sera, 2 dicembre . 2 dicembre
. Siena, il professore nazista che elogia Hitler su Twitter. Il rettore
dell'università: "Sanzioni ed esposto in Procura", la Repubblica, 2
dicembre . 2 dicembre . Tweet
antisemiti, la comunità ebraica ricorre alla magistratura, in La Nazione, 2 dicembre
. Docente esalta Hitler in un tweet: il
Rettore lo denuncia e ne chiede il licenziamento, su Rai News, 2 dicembre
. Castrucci, il professore dell'Siena
che inneggia Hitler: il caso a Piazzapulita, Corriere di Siena, 6 dicembre
. Non solo il tweet che inneggia a
Hitler. I social del prof di Siena sono un inno all'antisemitismo, su
L'HuffPost, 3 dicembre . 6 dicembre .
Lanfranco Palazzolo, Il caso del professore universitario filonazista a
Siena che elogia Hitler su Twitter. Intervista a Laura Boldrini, Radio
Radicale, 3 dicembre . Marco Gasperetti,
Emanuele Castrucci, chi è il professore dell'Siena che elogia Hitler su
Twitter, Corriere della Sera, 2 dicembre . 2 dicembre . Emanuele Castrucci, Premonizioni letterarie:
il debito a Siena. Sulla quinta decade dei Cantos di Ezra Pound (Cantos
XLII-LI), in "Studi Senesi", 2, .
Prof pro Hitler, "mai adesione a nazismo, si processa libero
pensiero" Valeria Strambi, Prof
nazista all'Siena, il rettore: "Chiederò sospensione o
licenziamento", la Repubblica, 2 dicembre . 2 dicembre . Castrucci: "L'Ateneo non mi può
giudicare", in La Nazione cronaca di Siena, 9 gennaio . Prof pro Hitler evita licenziamento e va in
pensione, Adnkronos, 19 dicembre . data8
gennaio , Siena, Castrucci contrattacca dopo il tweet su Hitler: "Accuse
infondate, Università e rettore superficiali". Tweet nazista del docente. L'inchiesta sarà a
Spezia, La Nazione, 2 gennaio . Opere di Emanuele Castrucci, . Emanuele CastrucciCV and Selected Works
independent.academia.edu/EmanueleCastrucci/CurriculumVitae Emanuele
CastrucciWebsite emanuelecastrucci.academia.edu Filosofia Nazismo Nazismo Categorie: Accademici italiani del XX
secoloAccademici italiani del XXI secoloFilosofi italiani del XX secoloFilosofi
italiani del XXI secoloSaggisti italiani del XX secoloSaggisti italiani Professore1952
3 giugno Monterosso al MareFilosofi del dirittoProfessori dell'Università degli
Studi di SienaProfessori dell'Università degli Studi di
GenovaAntisemitismoTraduttori dal tedesco all'italianoStudenti dell'Università
degli Studi di Firenze
CATALFAMO: Catalfamo con il
padre Giuseppe Catalfamo (Catania) filosofo. Della corrente del
"personalismo storico o critico".
Si laurea in Pedagogia nel 1942 e, nel 1943, in Scienze Politiche. Prima
assistente volontario di Galvano Della Volpe (che definisce unico filosofo a
livello di Croce), poi discepolo di Vincenzo La Via (che si era formato alla
scuola di Giovanni Gentile, del quale era stato assistente), e suo
collaboratore dal 1946, diviene libero docente nel 1951, incaricato di
Pedagogia nel 1959 e infine ordinario di Pedagogia nel 1962. Fonda e diviene
direttore dell'Istituto di Pedagogia all'Messina. Il suo pensiero si snoda in quattro fasi:
dell'epistemologo, del personalista storico ed antidogmatico, dello scettico,
dell'uomo di fede. La formazione filosofica (fu Assistente di ruolo di
Filosofia e scrisse sulla rivista "Teoresi", fondata dai suo maestro
La Via) traspare nel suo pensiero pedagogico, concepito, e nel tempo
modificato, all'insegna dell'apertura e dell'innovazione anche didattica. Nel
suo personalismo, che ha come principi critici la storicità, la trascendenza e
la problematicità "egli rintraccia nuovi aspetti... e incomincia a fare i
conti con la storia e le sue fenomenologie", " il personalismo...
lentamente ma inesorabilmente si qualificherà come «storico»; la persona assume
una significanza fenomenologica di unità... in costruzione",
"Catalfamo collega l'esserci e il farsi della persona al flusso della
realtà oggettiva, nel doppio senso: nell'influenza e stimolazione di questa
verso quella e della trasformazione della realtà oggettiva ad opera della
persona". "L'uomo come soggetto agente impedisce che l'esperienza sia
un limite, cerca di oltrepassarla vedendo in essa quello che non è e quello che
potenzialmente è. La persona, dunque, è una realtà trascendente".
L'aspetto problematico del suo pensiero, infine, fa riferimento alla
"posizione stessa della persona, la quale, costituita nell'esperienza, è
radicata nella problematicità di essa, perché "il mondo per la persona è
sempre un problema, così come un problema è il suo essere nel mondo". Catalfamo è stato fondatore e direttore della
rivista "Presenza" assieme al prof. Gianvito Resta; fondatore e
direttore di "Prospettive pedagogiche", dal 1964 fino al 1988. È stato anche Prorettore dell'Messina. Riconoscimenti Il 2 giugno del 1986, gli è
stata conferita dal Presidente della Repubblica, la Medaglia d'oro al merito della
Scuola, della Cultura, dell'Arte. Il 12/02/, la Giunta del Comune di Messina
gli ha intitolato un tratto di strada nei pressi dell'Università,
all'Annunziata alta. Più recentemente, il 16/04/, a Messina, si è tenuta una
solenne cerimonia, nel corso della quale è stata scoperta una targa
commemorativa, che riporta una sua rilevante riflessione, e gli è stato
intitolato un Istituto Comprensivo.
Opere E. Kant, Lezioni di pedagogia, (1947), Ed. Messina Empirismo
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Providente, Messina Storia della pedagogia come scienza filosofica, (in tre
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senza dogmi, (1971), Armando, Roma Giuseppe Lombardo Radice, (1973), Ed. La
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L. Smeriglio), A. Signorelli Editore, Roma Ideologia e pedagogia, (1978), EDAS,
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filosofica" (1946-1982) 79-81) Carlo Violi, Galvano della Volpe e il
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secoloPedagogisti italiani 1921 1989 5 luglio 22 febbraio Catania Messina
CATENA Pietro Catena Astrolabii quo primi mobilis motus
deprehenduntur canones, 1549 Oratio pro
idea methodi, 1563. Pietro Catena (Venezia), filosofo. Fu un precursore della
rivoluzione scientifica rinascimentale e indagò i rapporti tra matematica,
logica e filosofia, occupando la stessa cattedra in seguito occupata da
Galileo. Sacerdote cattolico, oltre ad essere noto come teologo, filosofo e
matematico, era considerato un eccellente conoscitore di greco e latino. Fu
lettore pubblico di metafisica e docente di matematica al prestigioso Studio di
Padova tra il 1548 e il 1576. Gli succedettero Giuseppe Moleti, poi Galileo
Galilei. Pubblicò a Venezia nel 1556
Universa loca in logica Aristotelis in mathematicas disciplinas, la raccolta
dei brani delle opere aristoteliche che riconoscevano il prevalente carattere
speculativo del sapere matematico, tema a cui dedicò anche un'altra opera. Opere Pietro Catena, Astrolabii quo primi
mobilis motus deprehenduntur canones, Impressi Paduae, Giacomo Fabriano, 1549.
Pietro Catena, Oratio pro idea methodi, Patauij, Grazioso Percacino, 1563.
Note Agostino Superbi, Trionfo glorioso
d'heroi illustri, et eminenti dell'inclita, & marauigliosa città di
Venetia, per Euangelista Deuchino, 162931.
Catena, Petrus, su thesaurus.cerl.org. 6 luglio . Giulio Cesare Giacobbe, Alle radici della
rivoluzione scientifica rinascimentale: le opere di Pietro Catena, sui rapporti
tra matematica e logica. Con riproduzione dei testi originali, Domus Galilæana,
1981, 978-88-8381-406-8. Stillman Drake,
Essays on Galileo and the History and Philosophy of Science, University of
Toronto Press, 1999152,
978-0-8020-8165-0. Biografia
universale antica e moderna ossia Storia per alfabeto della vita pubblica e
privata di tutte le persone che si distinsero per opere, azioni, talenti, virtù
e delitti, 1, 1823311. Giacomo Alberici, Catalogo breue de
gl'illustri et famosi scrittori venetiani, presso gli heredi di Giouanni Rossi,
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rivoluzione scientifica rinascimentale: le opere di Pietro Catena, sui rapporti
tra matematica e logica. Con riproduzione dei testi originali, Domus Galilæana,
1981, 978-88-8381-406-8. Giulio Cesare
Giacobbe, CATENA, Pietro, in Dizionario biografico degli italiani, 22, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1979. 27 gennaio . Altri
progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a
Pietro Catena Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini
o altri file su Pietro Catena Opere di Pietro Catena, .Filosofi italiani del
XVI secoloMatematici italiani Professore1501 1576 Venezia PadovaReligiosi
italianiNobili e cittadini della Repubblica di Venezia
CATTANEO-C Carlo Cattaneo Nota disambigua.svg DisambiguazioneSe stai
cercando altri significati, vedi Carlo Cattaneo (disambigua). Voce da
controllare Questa voce o sezione sull'argomento storia è ritenuta da
controllare. Motivo: Va ribadito che l'idea che Carlo Cattaneo sia stato
propugnatore di un'Italia federale non trova nessun riscontro nei testi del
medesimo. In essi si parla di federazioni di Stati europei, e si auspica che
l'Italia faccia parte di essi, giammai si allude ad una federazione di
territori italiani, idea diffusa dalla propaganda politica da parte della Lega
Nord. Se l'autore di questo articolo è davvero sicuro della tesi federalista
intra-italiana citi per esteso un qualsiasi pensiero del Cattaneo al riguardo.
La segnalazione qui ribadita è stata inspiegabilmente cancellata da qualche
revisore della pagina con la seguente motivazione: "in realtà voleva un
Austria Federale e poi fu fautore delle autonomie in Italia". A parte il
fatto che un esiliato non può essereper forza di logica e senza bisogno di
scomodare la Storia"fautore delle autonomie", si continua a dare per
scontato ciò che non è riportato in nessuno scritto del Cattaneo: l'idea di
un'Italia federale. Chi dà questo per scontato citi un qualsiasi stralcio di
testo a sostegno. In caso contrario è opportuno che intervenga un altro
moderatore a regolare la diatriba, secondo i criteri di pubblicazione di Partecipa alla discussione e/o correggi la
voce. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Carlo Cattaneo Matania
EdoardoRitratto giovanile di Carlo Cattaneoxilografia1887.jpg Carlo Cattaneo in
una xilografia del 1887 di Edoardo Matania Presidente del Consiglio di guerra
di Milano (durante e dopo le cinque giornate) Durata mandato20 marzo 18485
agosto 1848 Predecessorecarica istituita Successorecarica abolita Coalizionerepubblicani
Dati generali Partito politicoPartito d'Azione (1853-1867) Titolo di studioLaurea
in diritto UniversitàUniversità degli Studi di Pavia ProfessioneScrittore,
docente, politico Carlo Cattaneo (Milano, 15 giugno 1801Lugano, 6 febbraio
1869) patriota, filosofo, politico, politologo, linguista e scrittore italiano,
esponente del pensiero repubblicano federalista. Di formazione
illuministae positivista, ebbe un ruolo determinante nelle cinque giornate di
Milano del 1848. Origini e formazione intellettuale Nato a Milano, figlio
di Melchiorre, un orefice originario della Val Brembana, e di Maria Antonia
Sangiorgio, il piccolo Carlo trascorse gran parte della sua infanzia
dividendosi tra la vita cittadina milanese e lunghi e frequenti soggiorni a
Casorate, dove era spesso ospite di parenti paterni. Fu proprio durante questi
soggiorni che, approfittando della biblioteca del prozio Giacomo Antonio, un
sacerdote di campagna, Cattaneo si appassionò alla lettura, soprattutto dei
classici. Il suo amore per le lettere classiche lo indusse a
intraprendere gli studi nei seminari di Lecco prima e Monza poi, che avrebbero
dovuto portarlo alla carriera ecclesiastica, ma già all'età di diciassette
anni, abbandonò il seminario per continuare la sua formazione presso il
Sant'Alessandro di Milano e in seguito al liceo di Porta Nuova dove si diplomò
nel 1820. La sua formazione culturale e intellettuale fu plasmata, durante gli
studi superiori, da maestri quali Giambattista De Cristoforis e Giovanni
Gherardini, i quali gli aprirono le porte del mondo intellettuale milanese.
Grazie a queste nuove opportunità, oltre alla passione per gli studi classici,
Cattaneo iniziò a nutrire interessi di carattere scientifico e storico.
Il monumento di Cattaneo a Milano (via santa Margherita). Sempre in
questo periodo furono fondamentali per la sua formazione intellettuale le
letture presso la Biblioteca di Brera e il contatto con il cugino paterno
Gaetano Cattaneo, il quale, oltre ad essere direttore del Gabinetto
numismatico, era anche un importante esponente del mondo intellettuale milanese
di inizio secolo. Altro punto chiave per il percorso formativo degli interessi
di Cattaneo furono la frequentazione assidua della Biblioteca Ambrosiana,
grazie alla sua parentela materna con il prefetto Pietro Cighera, e della
biblioteca personale dello zio paterno Antonio Cattaneo, farmacista e studioso
di chimica. Studi e insegnamento Nel dicembre del 1820, la Congregazione
Municipale di Milano lo assunse come insegnante di grammatica latina e poi di
scienze umane nel ginnasio comunale di Santa Marta dove restò per ben quindici
anni. In questo stesso periodo iniziò ad approfondire le sue frequentazioni con
gli intellettuali milanesi, entrando a far parte della cerchia di Vincenzo
Monti e di sua figlia Costanza, di questi stessi anni sono le sue amicizie con
Stefano Franscini e Giuseppe Montani. Dopo aver iniziato a frequentare le
lezioni di diritto tenute da Gian Domenico Romagnosi nella sua scuola privata,
ne divenne presto amico e allievo. Nel 1824 si laureò in Giurisprudenza presso
l'Pavia con il massimo dei voti. Risale al 1822 la sua prima
pubblicazione data alla stampa e apparsa sulla Antologia, si tratta di una
recensione all'Assunto primo della scienza del diritto naturale di Romagnosi.
Tra il 1823 e il 1824 si assenta numerose volte dal suo posto di insegnante per
motivi di malattia, probabilmente per dei forti reumatismi. Tra il 1824 e il
1826 diede alla pubblicazione le sue traduzioni dal tedesco di opere
divulgative di carattere storico e geografico, frutto di una commissione
governativa. In questo periodo collaborò con il suo amico Stefano Franscini per
la traduzione della Storia della Svizzera pel popolo svizzero di Heinrich
Zschokke, ma che venne pubblicata solo nel 1829. Vita familiare Nel 1825
muore il padre e suo fratello maggiore Filippo, il primogenito, gli succede nel
negozio di oreficeria. In questo stesso anno Cattaneo conosce Anna Woodcock,
una giovane anglosassone con la quale inizierà ad allacciare una relazione
sempre più profonda. Attività politica Convinto sostenitore di richieste
di maggiore autonomia del Regno Lombardo-Veneto dalla corte di Vienna, Cattaneo
pensava di puntare su una politica non violenta per avanzare tali richieste. Il
motivo del suo rifiuto nei confronti della violenza si può comprendere da
questa affermazione poco conosciuta del filosofo milanese (che al tempo stesso
lascia trasparire cosa egli ne pensasse di un'annessione al Regno di Sardegna):
"Siamo i più ricchi dell'Impero, non vedo perché dovremmo uscirne".
Nel 1848 a Milano Cattaneo ottenne alcune concessioni dal vicegovernatore
austriaco, subito annullate dal generale austriaco Josef Radetzky.
Purtroppo l'evoluzione tragica delle Cinque giornate di Milano, degenerate in
violenza, fecero capire a Cattaneo che un dialogo tra borghesia/piccola nobiltà
lombarda e la corte di Vienna sarebbe stato effettivamente difficile, stessa
impressione che curiosamente ebbe anche Josef Radetzky che nel periodo del suo
governo nel Lombardo-Veneto puntò a cercare il favore nelle masse
popolari. Cattaneo e i suoi amici parteciparono quindi e contribuirono
alle cinque giornate di Milano, senza agire con azioni di violenza gratuita. Ma
dopo di esse, Cattaneo rifiutò l'intervento piemontese, perché considerava il
Piemonte meno sviluppato della Lombardia e lontano dall'essere democratico.
Cattaneo fu presidente del Consiglio di guerra di Milano, che governò insieme
al Governo provvisorio fino alla caduta della città al ritorno degli austriaci.
Dopo una serie di moti popolari, nel frattempo, il 9 febbraio 1849 viene
proclamata la Repubblica Romana, guidata da un triumvirato costituito da
Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini. In seguito alla
conclusione dei moti del 1848-1849 il Cattaneo riparò con la moglie in Svizzera
e si stabilì definitivamente a Castagnola, nei pressi di Lugano, nel villino di
caccia dell'avvocato liberale radicale Pietro Peri. Qui ebbe modo di stringere
maggiormente la sua amicizia con Stefano Franscini, potente politico ticinese,
e di partecipare alla vita politica del Cantone e della città. Fu uno dei
fondatori e il primo Rettore del Liceo di Lugano, che volle fortemente per
creare un'istruzione pubblica laica libera dal giogo della Chiesa, al fine di
formare quella classe borghese liberale e laica che era alla base dello
sviluppo economico del resto della Svizzera. Fu amico di Luciano Manara. Nel
1860 andò a Napoli per incontrare Garibaldi, ma poi tornò in Svizzera, perché
deluso dall'impossibilità di formare una confederazione di repubbliche.
Morì senza alcun tipo di conforto religioso nella notte fra il 5 e il 6 febbraio
1869; gli onori funebri non furono «profanati col venale intervento di alcun
sacerdote». Pur essendo più volte eletto in Italia come deputato del Parlamento
dell'Italia unificata, rifiutò sempre di recarsi all'assemblea legislativa per
non giurare fedeltà ai Savoia. Il suo corpo, dopo essere stato tumulato
per pochi mesi nel cimitero svizzero di Castagnola (oggi parte di Lugano),
venne trasferito al Cimitero Monumentale di Milano. Il 23 marzo 1884 venne
traslato nell'ancora incompleto Famedio, e posto in un sarcofago marmoreo
sormontato dallo stemma crociato della città, posto accanto a quello identico
contenente le spoglie imbalsamate di Alessandro Manzoni. Il pensiero
politico federalista Memorie di economia pubblica dal 1833 al 1860, 1860 Cattaneo
viene ricordato per le sue idee federaliste impostate su un forte pensiero
liberale e laico: dopo il 1860 acquisterà prospettive ideali vicine al nascente
movimento operaio-socialista. Cattaneo era fautore di un sistema politico
basato su una confederazione di stati italiani sullo stile della Svizzera;
avendo stretto amicizia di vecchia data con politici ticinesi come Stefano
Franscini, aveva ammirato nei suoi viaggi l'organizzazione e lo sviluppo
economico della Svizzera interna che imputava proprio a questa forma di
governo. Cattaneo è più pragmatico del romantico Giuseppe Mazzini, è un
figlio dell'illuminismo, più legato a Pietro Verri che a Rousseau, e in lui è
forte la fede nella ragione che si mette al servizio di una vasta opera di
rinnovamento della società. Pur essendogli state dedicate numerose logge
massoniche e un monumento realizzato a Milano dal massone Ettore Ferrari, una
sua lettera a Gian Luigi Bozzoni del 7 agosto 1867, consente di escludere la
sua appartenenza alla massoneria, per sua esplicita dichiarazione, sovente in
quel periodo tenuta segreta e negata. Per Cattaneo scienza e giustizia
devono guidare il progresso della società, tramite esse l'uomo ha compreso
l'assoluto valore della libertà di pensiero; il progresso umano non deve
essere individuale ma collettivo, attraverso un continuo confronto con gli
altri. La tomba del Cattaneo al Famedio del Cimitero Monumentale di
Milano La partecipazione alla vita della società è un fattore fondamentale
nella formazione dell'individuo: il progresso può avvenire solo attraverso il
confronto collettivo. Il progresso non deve avvenire per forza, e, se avviene,
avverrà compatibilmente con i tempi: sono gli uomini che scandiscono le tappe
del progresso. Cattaneo nega l'idea di contratto sociale, gli uomini si
sono associati per istinto: "la società è un fatto naturale, primitivo,
necessario, permanente, universale..."; è sempre esistito un
"federalismo delle intelligenze umane": è sorto perché è un elemento
necessario delle menti individuali. Pur riconoscendo il valore della
singola intelligenza, afferma però, che più scambio e confronto ci sono, più la
singola intelligenza diventa tollerante; in questo modo anche la società sarà
più tollerante: i sistemi cognitivi dell'individuo devono essere sempre aperti,
bisogna essere sempre pronti ad analizzare nuove verità. Così come le
menti si devono federare, lo stesso devono fare gli stati europei che hanno
interessi di fondo comuni; attraverso il federalismo i popoli possono gestire
meglio la loro partecipazione alla cosa pubblica: "il popolo deve tenere
le mani sulla propria libertà", il popolo non deve delegare la propria
libertà ad un popolo lontano dalle proprie esigenze. La libertà economica
è fondamentale per Cattaneo, è la prosecuzione della libertà di fare: "la
libertà è una pianta dalle molte radici" e nessuna di queste radici va
tagliata sennò la pianta muore. La libertà economica necessita di uguaglianza
di condizioni, le disparità ci saranno ma solo dopo che tutti avranno avuto la
possibilità di confrontarsi. Cattaneo fu un deciso repubblicano e una
volta eletto addirittura rinunciò ad entrare in parlamento rifiutandosi di
giurare dinanzi all'autorità del Re. Oggi Cattaneo viene richiamato quale
iniziatore della corrente di pensiero federalista in Italia. Nel 1839 fondò il
periodico Il Politecnico, rivista che divenne un punto di riferimento degli
intellettuali lombardi, avente come intento principale l'aggiornamento tecnico
e scientifico della cultura nazionale. . Guardando all'esempio degli Stati
Uniti d'America (presidenzialista) e della Svizzera cantonale (improntata alla
democrazia diretta), definì il federalismo come "teorica della
libertà" in grado di coniugare indipendenza e pace, libertà e unità.
Cattaneo scrisse al riguardo: "Avremo pace vera, quando avremo gli Stati
Uniti d'Europa". Cattaneo e Mazzini videro negli Stati Uniti d'America e
nella Svizzera i due unici esempi di vera attuazione dell'ideale repubblicano.
Federalista repubblicano laico di orientamento radicale-anticlericale, fra i
padri del Risorgimento, era alieno dall'impegno politico diretto, e puntava
piuttosto alla trasformazione culturale della società. La rivista Il
Politecnico fu per lui il vero Parlamento alternativo a quello dei
Savoia. In accordo con il Tuveri redattore del Corriere di Sardegna,
Cattaneo intervenne in merito alla questione sarda in chiave autonomistica
locale. In tal senso, denunciò l'incapacità ed incuranza del governo centrale
nel trovare una nuova destinazione d'uso al mezzo milione di ettari (più di un
quinto della superficie dell'isola) che avevano costituito i soppressi demani
feudali, sui quali le popolazioni locali esercitavano il diritto di ademprivio,
per usi civici. A Carlo Cattaneo dal 1965 è dedicato l'omonimo istituto
di ricerca. Opere Scritti filosofici Interdizioni israelitiche,
saggio del 1836 Psicologia delle menti associate: quest'opera non è stata
completata e rimane allo stato di frammenti. Il tema dell'opera sarebbe dovuto
consistere nel cercare un'interpretazione sociale nello sviluppo
dell'individuo. La città considerata come principio ideale delle istorie
italiane Dell'India antica e moderna Notizie naturali e civili su la Lombardia
Vita di Dante di Cesare Balbo Il Politecnico, "Repertorio mensile di studi
applicati alla prosperità e coltura sociale", fondato nel 1839
Dell'Insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra Disponibili
in linea: Carlo Cattaneo, Secondo rapporto del Dott. Carlo Cattaneo sulla
bonificazione del piano di Magaldino a nome della società promotrice, In
Lugano, Tipografia Chiusi, 1853. Televisione Le cinque giornate di Milano di
Carlo Lizzani (2004), interpretato da Giancarlo Giannini Note Carlo Moos, Carlo Cattaneo, in Dizionario
storico della Svizzera, 9 settembre 2003.
Carlo Cattaneo e le cinque giornate di Milano Secondo una tesi, non comprovata e non
accolta dai dizionari biografici, Cattaneo sarebbe nato a Villastanza, frazione
del comune di Parabiago in provincia di Milano: «Certamente più antica è la
Villa prospiciente la Chiesa, sulla piazza ed attualmente in proprietà del
signor Luigi Gagliardi, cui è giunta per eredità dagli avi. Un'insistente
tradizione vuole che in questa casa, abbia avuto i natali nientemeno che Carlo
Cattaneo nel 1801. Ma il Cattaneo deve aver passato qui soltanto alcuni anni
della sua infanzia, ospite nei mesi estivi della famiglia amica ai propri
genitori.» Si veda, a tal riguardo, Don Marco Ceriani, Storia di Parabiago,
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