The Grice Club

Welcome

The Grice Club

The club for all those whose members have no (other) club.

Is Grice the greatest philosopher that ever lived?

Search This Blog

Thursday, September 3, 2020

IMPLICATVRA -- XXVI -- IX


evola: Italian philosopher – Giulio Cesare Andrea Evola, meglio conosciuto come Julius Evola (n. Roma), è stato un filosofo. Fu personalità poliedrica nel panorama culturale italiano del Novecento, in ragione dei suoi molteplici interessi: arte, filosofia, storia, politica, esoterismo, religione, costume, studi sulla razza.  Le sue posizioni si inquadrano nell'ambito di una cultura di tipo aristocratico-tradizionale e di tendenze ideologiche in gran parte presenti anche nel fascismo e nel nazionalsocialismo, pur esprimendosi talvolta in chiave critica nei confronti dei due regimi. Mussolini ne apprezza alcune impostazioni: in particolare il ritorno alla romanità e una teoria della razza in chiave spirituale. Da parte sua il filosofo nutre una pacata ammirazione nei confronti del Duce.  Evola ha una sua influenza, anche se difficilmente quantificabile, nel variegato mondo della cultura fascista: con lo scopo di indirizzarne l'impostazione culturale ed ideologica verso posizioni più affini al suo pensiero, scrive numerosi saggi, collabora intensamente con riviste e giornali di grande tiratura e partecipa alla vita accademica del suo tempo in veste di conferenziere, sia presso alcune prestigiose università italiane e straniere che nell'ambito dei corsi di mistica fascista.  Ma è lo stesso Evola, nel primo numero della rivista da lui diretta, La Torre, quando espone il suo pensiero sul mondo della tradizione, a sintetizzare la sua posizione verso il fascismo: «Nella misura che il fascismo segua e difenda tali principi, in questa stessa misura noi possiamo considerarci fascisti. E questo è tutto».[1] C'è anche chi ritiene che in sede diplomatica Evola svolgesse missioni ad altissimi livelli per conto dello stesso governo italiano.[2]  Nonostante ciò, le sue idee eterodosse non sempre sono ben accette dalla classe dirigente italiana del tempo e gli valgono la sospensione di alcune pubblicazioni da parte dello stesso PNF e in Germania il sospetto delle gerarchie naziste.[3] Evola contribuisce alla divulgazione in Italia di importanti autori europei del XIX e del XX secolo: Bachofen, Guénon, Jünger, Ortega y Gasset, Spengler, Weininger, traducendo alcune loro opere e pubblicando saggi critici.  La complessità del suo pensiero gli procura, anche dopo la fine della guerra, un grande seguito negli ambienti conservatori italiani ed europei, da quelli più tradizionalisti del neofascismo (Pino Rauti ed Enzo Erra del Centro Studi Ordine Nuovo) fino a quelli rappresentati da esponenti della destra più moderata (Giano Accame, Marcello Veneziani). Le sue opere vengono tradotte e pubblicate in Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Grecia, Svizzera, Gran Bretagna, Russia, Stati Uniti, Messico, Canada, Romania, Argentina, Brasile, Ungheria, Polonia, Turchia.[4] Giulio Cesare Evola nacque a Roma[5]. I genitori di Giulio Cesare Evola furono Vincenzo Evola, nato il 4 maggio 1854[6] e Concetta Mangiapane, nata il 15 agosto 1865[7]. Entrambi i genitori erano siciliani, nati a Cinisi, un comune della Provincia di Palermo. I nonni paterni di Giulio Cesare Evola erano Giuseppe Evola e Maria Cusumano. Giuseppe Evola è riportato come falegname nell'atto di nascita di Vincenzo. I nonni materni di Giulio Cesare Evola erano Cesare Mangiapane e Caterina Munacó. Cesare Mangiapane è riportato come bottegaio nel registro delle nascite di Concetta. Vincenzo Evola e Concetta Mangiapane si sposarono a Cinisi il 25 novembre 1892[8]. Nell'atto di matrimonio Vincenzo Evola è riportato come capo meccanico telegrafico e già residente a Roma, mentre Concetta Mangiapane è riportata come possidente. Giulio Cesare Evola aveva un fratello maggiore, Giuseppe Gaspare Dinamo Evola, nato a Roma il 7 Agosto 1895[9], per cui, essendo il secondo figlio maschio, seguendo la convenzione di denominazione siciliana dell'epoca, seppur con una leggera variazione, Giulio Cesare Evola fu in parte denominato in onore al nonno materno.  Benché non lo fosse, Giulio Cesare Evola è stato spesso riportato come barone[10], in riferimento a un presunto distante rapporto di discendenza con una famiglia aristocratica siciliana di antica origine normanna (gli Evoli, baroni di Castropignano in Molise, nel Tardo Medioevo[11], poi passati in Sicilia) del Regno di Sicilia.  Formazione Giulio Cesare Evola studiò all'Istituto Tecnico "Leonardo da Vinci" di Roma. Le poche notizie sui suoi anni di formazione si possono ricavare dall'autobiografia intitolata Il cammino del cinabro, pubblicata nel 1963 dall'editore Scheiwiller e che, nelle intenzioni dell'autore, sarebbe dovuta uscire postuma:[12]  «Nella prima adolescenza, mentre seguivo studi tecnici e matematici, si sviluppò in me un interesse naturale e vivo per le esperienze del pensiero e dell'arte. Da giovinetto, sùbito dopo il periodo dei romanzi d'avventure, mi ero messo in mente di compilare, insieme ad un amico, una storia della filosofia, a base di sunti. D'altra parte, se mi ero già sentito attratto da scrittori, come Wilde e D'Annunzio, presto il mio interesse si estese, da essi, a tutta la letteratura e l'arte più recenti. Passavo intere giornate in biblioteca, in un regime serrato ma libero di letture. In particolare, per me ebbe importanza l'incontro con pensatori, come Nietzsche, Michelstaedter e Weininger. Esso valse ad alimentare una tendenza di base, anche se, a tutta prima, in forme confuse e in parte distorte, quindi con una mescolanza del positivo col negativo»  (Julius Evola, Il cammino del cinabro, op. cit., p. 5.) La lettura delle opere degli autori su citati (in particolare Nietzsche), ha sul giovane Evola alcune dirette conseguenze: in primo luogo un'opposizione al Cristianesimo, soprattutto in riferimento alla teoria del peccato e della redenzione, del sacrificio divino e della grazia. In secondo luogo una sorta di insofferenza verso il mondo borghese, la sua piccola morale e il suo conformismo.[13]  Decide dunque di svincolarsi dalla routine borghese, soprattutto nei suoi aspetti più concreti e quotidiani: famiglia, lavoro, amicizie. Si iscrive alla facoltà di ingegneria, ma rifiuta di discutere la tesi per disprezzo dei titoli accademici[14], poiché «l'apparire come un "dottore" o un "professore" in veste autorizzata e per scopi pratici, mi sembrò cosa intollerabile, benché in seguito dovessi vedermi continuamente applicati titoli che non ho».[15]  Prosegue nello studio dell'arte e della filosofia:  «A parte gli autori accennati, va menzionata l'influenza che su me adolescente esercitò anche il movimento che alla vigilia della prima guerra mondiale e durante la prima parte di essa ebbe per centro Giovanni Papini con le riviste Leonardo e Lacerba, in seguito in parte anche con La Voce. Fu il periodo dell'unico vero Sturm und Drang che la nostra nazione abbia conosciuto, dell'urgere di forze insofferenti del clima soffocante dell'Italietta borghese del primo novecento […] A lui e al suo gruppo si deve il nostro venire a contatto con le correnti straniere più varie e interessanti del pensiero e dell'arte d'avanguardia, con l'effetto di un rinnovamento e di un ampliamento di orizzonti»  (Julius Evola, Il cammino del cinabro, op. cit., p. 5.) Successivamente si distacca anche da Papini, soprattutto per la sua conversione al cattolicesimo ed a seguito della pubblicazione del libro Storia di Cristo (1921). Inizia giovane l'attività in campo artistico: i primi quadri risalgono al 1915, le prime poesie al 1916.  Attraverso Giovanni Papini entra in contatto con alcuni esponenti del Futurismo quali Giacomo Balla e Filippo Tommaso Marinetti. Nel 1919 partecipa alla "Grande Esposizione Nazionale Futurista" di Palazzo Cova a Milano.[16] Ben presto si stacca da questo movimento per ragioni che lui stesso espone: «Non tardai però a riconoscere che, a parte il lato rivoluzionario, l'orientamento del futurismo si accordava assai poco con le mie inclinazioni. In esso mi infastidiva il sensualismo, la mancanza di interiorità, tutto il lato chiassoso e esibizionistico, una grezza esaltazione della vita e dell'istinto curiosamente mescolata con quella del macchinismo e di una specie di americanismo, mentre, per un altro verso, ci si dava a forme sciovinistiche di nazionalismo. A quest'ultimo riguardo la divergenza mi apparve netta allo scoppio della prima guerra mondiale, a causa della violenta campagna interventista svolta sia dai futuristi che dal gruppo di Lacerba. Per me era inconcepibile che tutti costoro, con alla testa l'iconoclasta Papini, sposassero a cuor leggero i più vieti luoghi comuni patriottardi della propaganda antigermanica, credendo sul serio che si trattasse di una guerra per la difesa della civiltà e della libertà contro il barbaro e l'aggressore»  (Julius Evola, Il cammino del cinabro, op. cit., p. 8.) A questa prima fase, definita dallo stesso Evola idealismo sensoriale,[17] appartengono le opere: Fucina, studio di rumori (1917 circa), Five o'clock tea (1918 circa) e Mazzo di fiori (1917-18).  Gli anni della Prima guerra mondiale  Monte Cimone di Tonezza, 1917 Frequenta a Torino un corso per allievi ufficiali e partecipa alla Prima guerra mondiale come ufficiale di artiglieria sull'altopiano di Asiago dal 1917 al 1918. Rientra a Roma dopo il conflitto ed attraversa una profonda crisi esistenziale che lo porta al bordo del suicidio, come egli stesso riporta ne Il cammino del cinabro: «Questa soluzione [...] fu evitata grazie a qualcosa di simile ad una illuminazione, che io ebbi nel leggere un testo del buddhismo delle origini. Fu per me una luce improvvisa: in quel momento deve essersi prodotto in me un mutamento, e il sorgere di una fermezza capace di resistere a qualsiasi crisi»  (Julius Evola, Il cammino del cinabro, op. cit., p. 10.) Il passo cui si riferisce Evola è il seguente: «Chi prende l'estinzione come estinzione e, presa l'estinzione come estinzione, pensa all'estinzione, pensa sull'estinzione, pensa "Mia è l'estinzione" e si rallegra dell'estinzione, costui, io dico, non conosce l'estinzione».[18] Si tratta di una traduzione e rielaborazione di una frase del Buddha contenuta nel discorso del Mulapariyâya Sutta (Canone pāli, Majjhima Nikaya, I).[19]  Il secondo periodo artistico: l'astrattismo mistico Nel 1920 aderisce al Dadaismo ed entra in contatto epistolare con Tristan Tzara.[20] Come pittore diviene uno dei massimi esponenti del Dadaismo in Italia.[21] Questa seconda fase viene definita, sempre da Evola, astrattismo mistico[22][23][24] ovvero una reinterpretazione dada in chiave di spiritualismo e di idealismo. A questa fase appartengono alcune importanti opere: Paesaggio interiore 10,30 (1918-20) e Astrazione (1918-20). Questo periodo vede Evola impegnato in due mostre personali: quella del gennaio 1920 alla casa d'arte Bragaglia di Roma, e quella del gennaio 1921 alla galleria Der Sturm di Berlino in cui presenta sessanta dipinti.[25]  Pubblica nel 1920, per la Collection Dada, l'opuscolo Arte astratta. Sempre nello stesso anno fonda con Gino Cantarelli la rivista Bleu e pubblica a Zurigo il poema dada La parole obscure du paysage intérieur. Collabora inoltre con Cronache d'attualità di Anton Giulio Bragaglia e con Noi di Enrico Prampolini. Nel 1923 cessa l'attività pittorica e fino al 1925 fa uso di sostanze stupefacenti con il fine di raggiungere stati alterati di coscienza: «In questo contesto, vi è anche da accennare all'effetto di alcune esperienze interiori da me affrontate a tutta prima senza una precisa tecnica e coscienza del fine, con l'aiuto di certe sostanze che non sono gli stupefacenti più in uso [...] Mi portai, per tal via, verso forme di coscienza in parte staccate dai sensi fisici».[26]  Il mancato suicidio è per Evola il momento di passaggio più significativo: fine del periodo artistico e inizio del periodo filosofico. Esce nel 1925 il primo libro di filosofia: Saggi sull'idealismo magico. Coerentemente con le posizioni teoriche della sua seconda fase artistica (astrattismo mistico) Evola si distacca dall'idealismo hegeliano in favore di una libertà interiore assoluta. Il pensiero deve prefiggersi il compito di superare i limiti dell'umano per andare verso l'oltre-uomo teorizzato da Nietzsche. L'attualismo gentiliano diventa dunque il punto di partenza: dall'Io come principio attivo della realtà su un piano logico-astratto, all'Io come criterio di potenza capace di affermare l'individuo assoluto.[30]  Secondo Evola l'individuo assoluto è immediatamente sé nelle infinite affermazioni individuali ed in ciascuna di esse si fruisce come libertà, come incondizionata agilità ed arbitrio assoluto.[31] Termina nel 1924 la Teoria e fenomenologia dell'individuo assoluto che inizia a scrivere già in trincea (nel 1917) e che viene pubblicata in due volumi (nel 1927 e nel 1930) dall'editore Bocca. In questo testo Evola si interessa delle dottrine riguardanti il sovrarazionale, il sacro e la gnosi, con l'obiettivo di tentare il superamento della dualità io/non-io. Il suo interesse verso le tradizioni orientali si manifesta in L'uomo come potenza, pubblicato nel 1926, dove compare una concezione dell'io ispirata ai dettami del tantrismo e del taoismo.  Queste ultime opere segnano un'ulteriore svolta: passaggio da una posizione filosofica di tipo teoretico ad una di tipo pragmatico. Evola cerca infatti di individuare strumenti concreti per mezzo dei quali calare nella vita quotidiana la teoria dell'Individuo assoluto. A partire dal 1924 inizia un'intensa esperienza giornalistica: partecipa alla redazione di Lo Stato democratico, una rivista contemporaneamente antifascista ed antidemocratica, e tra il 1924 e il 1926 collabora a riviste come Ultra, Bilychnis, Ignis, Atanor e Il mondo. In questo periodo Evola frequenta i circoli esoterici romani e partecipa alla vita notturna della capitale intrattenendo un tempestoso rapporto sentimentale con Sibilla Aleramo, come lei stessa riporta nel libro Amo dunque sono del 1927:  «Disumano qual è, gelido architetto di teorie funambolesche, vanitoso, perverso, s'è trovato dinanzi a me come a cosa tutta viva, tutta schietta, mentre aveva fantasticato chissà... quale avventura necrofila. E questa cosa tutta schietta l'ha turbato, l'ha commosso, segretamente […]»  (Sibilla Aleramo, Amo dunque sono, Milano, Mondadori, 1927, p. 104.)  La versione tedesca di Imperialismo pagano Tra il 1927 e il 1929 coordina il Gruppo di Ur, che si occupa di esoterismo e di ricerche sulle tradizioni extra europee: un'antologia dei fascicoli editi viene più tardi pubblicata in tre volumi (tra il 1955 e il 1956) con il titolo Introduzione alla magia quale scienza dell'Io. Conosce Arturo Reghini e legge i suoi scritti. Anche sulla scorta di esperienze condivise con il noto esoterista, nel 1928 pubblica un libro che gli procura grande fama: Imperialismo pagano. In questo pamphlet (poi tradotto in tedesco nel 1933[32]) Evola attacca violentemente il Cristianesimo ed esorta il Fascismo a ritrovare l'antica grandezza della civiltà romana:  «Oserà dunque il fascismo assumere qui, qui donde già le aquile imperiali partirono per il dominio del mondo sotto la potenza augustea, solare, regale […] oserà qui riprendere la fiaccola della tradizione mediterranea?»  (Julius Evola, Imperialismo pagano, Padova, Edizioni di Ar, 1996, p. 24.) Influenzato dalla lettura delle opere di René Guénon abbandona in seguito le tesi estremiste di Imperialismo pagano a favore del concetto di "tradizione" e fonda con Emilio Servadio la rivista La Torre (uscita in soli dieci numeri tra febbraio e giugno del 1930), destinata a difendere principi sovrapolitici, in realtà «una tribuna di intellettuali che si battevano per un fascismo più radicale e più intrepido».[33] Critiche mosse ad alcuni personaggi del Regime dalle pagine de La Torre, provocano l'intervento di Starace che prima diffida Evola dal continuare la pubblicazione, poi proibisce a tutte le tipografie romane di stampare la rivista la cui pubblicazione, alla fine, viene sospesa.  Evola viene sorvegliato dal regime in quanto accusato di affiliazione all'Ordo Templi Orientis ed è costretto ad assumere alcune guardie del corpo (come testimoniato da Massimo Scaligero) .[14] Inizia un periodo dedicato interamente all'alpinismo. Nel 1930, con la guida alpina Eugenio David, affronta la scalata della parete settentrionale del Lyskamm Orientale.[34] Di questa e di altre esperienze viene poi redatto un libro nel 1973: Meditazioni delle vette.[35] Evola intende l'alpinismo come pratica ascetica e meditazione spirituale: superamento dei limiti della condizione umana attraverso l'azione e la contemplazione, che divengono due elementi inseparabili, «un'ascesa che si trasforma in ascesi».[36]  Successivamente pubblica due opere: La tradizione ermetica (1931) e Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo (1932). La prima è una disamina dell'aspetto magico, esoterico e simbolico dell'alchimia. La seconda è un saggio critico su quelle correnti di pensiero che, secondo Evola, «invece di elevare l'uomo dal razionalismo moderno e dal materialismo, lo portano ancora più in basso: spiritismo, teosofia, antroposofia e psicoanalisi».[37] Nel 1934 appare la sua opera fondamentale, Rivolta contro il mondo moderno, nella quale traccia un affresco della storia letta secondo lo schema ciclico tradizionale delle quattro età: oro, argento, bronzo e ferro nella tradizione occidentale e satya, treta, dvapara e Kali Yuga in quella induista.  In Rivolta Evola oppone il mondo tradizionale al mondo moderno. Nella prima parte analizza le categorie qualificanti l'uomo della tradizione e le antiche "razze divine"; nella seconda analizza la genesi del mondo moderno ed i processi a causa dei quali la civiltà tradizionale è crollata (dal dominio dell'autorità spirituale al dominio del "quarto stato"). Partendo da questi presupposti, tre anni dopo, esamina a fondo Il mistero del Graal (1937) e le sue implicazioni dottrinarie nelle visioni dei diversi periodi storici, impostando tutta la sua disamina sul concetto di "tradizione ghibellina dell'impero", cercando di svincolare il Graal e la sua portata simbolica dalla tradizione cristiana. A partire dal 1934 Evola collabora attivamente con la Scuola di mistica fascista, fondata da Niccolò Giani nel 1930, tenendo alcune conferenze e figurando nel comitato di redazione della rivista Dottrina fascista. La maggior parte degli interventi di Evola in conferenze e scritti, riguardano principalmente il tema del razzismo, argomento che trova appoggio sia da parte di Giani che da parte dello stesso Mussolini. Secondo Evola, tuttavia, l'espressione mistica fascista rappresenta un'incongruenza potendo parlare, al più, di etica fascista. Questo perché in realtà il fascismo, secondo Evola, «non affronta il problema dei valori superiori, i valori del sacro, solo in relazione ai quali si può parlare di mistica».[38]  Jean-Paul Lippi – giurista e saggista francese, tra i più importanti studiosi d'oltralpe del pensatore tradizionale – rileva di come Evola ravveda nella mistica «un elemento rilevatore di una spiritualità lunare e del polo femminile dello spirito».[39] E infatti il sottotitolo di Diorama filosofico – la pagina prima mensile e poi quindicinale curata da Evola nel quotidiano Il Regime Fascista di Cremona tra il 1934 e il 1943 – è: Problemi dello spirito nell'etica fascista. Nel 2009 una serie di scritti di Evola relativi alla scuola di mistica fascista, sono stati pubblicati dall'editore Controcorrente di Napoli,[40] e aiutano in parte a chiarire le posizioni assunte dal filosofo all'interno della suddetta corrente.  Le tesi sulla razza «Sia razzialmente, sia in fatto di ideali, esiste una grande opposizione fra l'uomo ariano e tradizionale europeo e il giudeo. Fin dalle origini il giudeo ci è apparso come un essere diviso in se stesso. A differenza dell’ariano egli fu sempre incapace di concepire e di realizzare un'armonia fra spirito e corpo. Il corpo significò per lui la carne, cioè una crassa e peccaminosa materialità, da cui deve redimersi per raggiungere lo spirito che per lui sta in una sfera astratta, fuori della vita. Ma nel giudeo questo impulso alla liberazione fallisce ed allora le prospettive si invertono: colui che era tormentato dal pungolo della redenzione si precipita disperatamente nella materia, si abbandona ad una brama illimitata per la materia, per la potenza materiale e per il piacere. Voi così vedete un uomo che si sente schiavo della carne e per questo vuol vedere intorno a sé solo degli schiavi come lui. Perciò egli gode dovunque egli scopra l’illusorietà dei valori superiori, dovunque torbidi retroscena si palesino dietro la facciata della spiritualità, della sacralità, della giustizia e dell’innocenza.»  (Julius Evola, La civiltà occidentale e l’intelligenza ebraica) A metà degli anni trenta Evola inizia ad orientare i propri studi su aspetti più propriamente politici, legati in particolar modo alla "questione della razza". Riprende l'attività giornalistica scrivendo su quotidiani: Il Regime Fascista, Corriere Padano, Il Giornale della Domenica, Roma, Il Popolo d'Italia, La Stampa e Il Mattino; su stampe e periodici: Logos, Educazione Fascista, La Rivista del Club Alpino Italiano, Politica, Nuova Antologia, '900, Il progresso religioso, La difesa della razza, Augustea, Carattere, Insegnare e Scuola e cultura.[56]  Nel 1937 pubblica Il Mito del Sangue (poi riedito nel 1942) dove ricostruisce le concezioni sulla razza dalle civiltà antiche fino alle teorie del XVIII secolo (de Gobineau, Woltmann, de Lapouge, Chamberlain), contrapponendole alla versione moderna del razzismo biologico di stampo nazionalsocialista. Segue nel 1941 Sintesi di dottrina della razza. In questi testi esprime le sue concezioni antisemite non basate su un razzismo biologico, ma spirituale. Gli ebrei, per Evola, non possono essere considerati una razza: «Già la Bibbia parla di 7 popoli che avrebbero concorso a formare il sangue ebraico [...] Come da questo composto etnico abbia potuto sorgere un sentimento così vivo di solidarietà e di fedeltà al sangue [...] tale da far pensare che il popolo ebraico praticamente sia stato fra i popoli più razzisti della storia - questo è un mistero [...] La formula, in ogni modo, è che gli ebrei non sono una razza ma solo una Nazione».[57]   Edizione russa dei Protocolli del 1912 Egli oppone a livello tradizionale "Giudei" ed "Ariani" (da "Arya") nel nome di una differenza di spirito. Nel 1937 pubblica la Introduzione alla quinta edizione italiana dei Protocolli dei savi di Sion, manifestando adesione al feroce e maniacale antisemitismo di Giovanni Preziosi, traduttore ed editore del pamphlet. In questa Introduzione afferma che non avrebbe importanza la non autenticità storica dell'opuscolo, visto che comunque lo stesso manifesta veridicità secondo lui attendibile nel descrivere i maneggi ebraici per il controllo della società (banche, stampa, mercato, politica). L'ebraismo è per Evola una colpa senza redenzione: «nemmeno il battesimo e la crocefissione cambia la natura ebraica».[58]  Si esprime negativamente sul colonialismo giudicando l'Etiopia conquistata dall'Italia nient'altro che una «contraffazione degenerescente di un organismo tradizionale».[59] Sempre in quegli anni tiene un ciclo di conferenze presso le Università di Firenze e di Milano su richiesta del Ministro dell'Educazione Nazionale Bottai. Benché non ve ne sia traccia nella biografia dell'autore, il saggista Franco Cuomo scrive che Evola, nel 1938, è tra i firmatari del cosiddetto Manifesto della razza.[60] Tutt'oggi la "questione razziale" di Evola rimane un tema molto dibattuto tra gli studiosi[senza fonte]. A partire dagli anni sessanta, Evola, a più riprese, cerca di ribadire – in alcuni casi rivedendo certe posizioni giovanili – la sua concezione sulla razza.  Già ne Il mito del sangue (1937) Evola, in riferimento alla concezione biologica che i tedeschi fanno del razzismo, espone le sue perplessità: «È ben possibile che in questo stato il razzismo avrebbe potuto aver la possibilità di sviluppare più proficuamente gli elementi valevoli che esso può comprendere in sé. Invece, con l'assurgere a ideologia ufficiale di una rivoluzione [quella nazionalsocialista germanica], il razzismo ha finito con il pregiudicare siffatti elementi»[61] facendo riferimenti espliciti alla figura di Hitler: «[...] l'idea razzista da parte dello Hitler [...] quanto a idee nuove rispetto a quel che finora abbiamo conosciuto, non ve ne è quasi nessuna».[62]  Dedica un intero capitolo (Il problema della razza) della sua autobiografia a questo tema in cui ribadisce la necessità di interpretare il concetto di razza da un punto di vista spirituale e non biologico, contestando ad Alfred Rosenberg (il principale esponente del razzismo nazionalsocialista) la strada del razzismo materialistico intrapresa a suo tempo dalla Germania, definendola «materialismo zoologico»[63] e condannando apertamente il «fanatismo antisemita».[18] Fanatismo verso il quale, nel 1963, dichiara: «né io, né i miei amici in Germania sapevamo degli eccessi nazisti contro gli ebrei [...] e se ne avessimo saputo in alcun modo avremmo potuto approvarli».[64]  Evola ha una concezione dell'uomo come essere costituito da corpo, anima e spirito, dove la parte spirituale deve avere il primato su quella corporea. Secondo Evola «l'opportunità di questa formulazione risiede nel fatto che una razza può degenerare, anche restando biologicamente pura, se la parte interiore e spirituale è morta, diminuita o obnubilata, se ha perso la propria forza (come presso certi tipi nordici attuali). Inoltre gli incroci, di cui oggi pochissime stirpi sono esenti, possono avere come conseguenza che ad un corpo di una data razza siano legati, in un individuo, il carattere e l'orientamento spirituale propri di un'altra razza, donde una più complessa concezione del meticciato».[65]  Lo storico Renzo De Felice, pur molto critico e severo rispetto al pensiero e alle tesi di Evola, testimonia di come lo stesso Evola respinge «anche più recisamente [dell'Acerbo] ogni teorizzazione del razzismo in chiave esclusivamente biologica»,[66] ponendo il pensatore tradizionale tra coloro che «imboccata una certa strada, la seppero percorrere, in confronto con tanti che scelsero quella della menzogna, dell'insulto, del completo obnubilamento di ogni valore culturale e morale, con dignità e persino con serietà».[66]  A tale proposito De Felice segnala anche che Evola non è il solo a prendere le distanze dal razzismo biologico di matrice nazionalsocialista. Altre note figure della cultura fascista del tempo, come Giacomo Acerbo, e meno note, come Vincenzo Mazzei, se ne dissociano.[67] L'impostazione critica data da De Felice su questo passaggio del pensiero di Evola è particolarmente apprezzata dagli autori filo-evoliani.[68]  Anche Paolo Orano sviluppa, secondo taluni, una forma di antisemitismo etico-sociale che rinvia a Il mito del sangue di Evola.[69] L'approccio al "problema della razza" di Evola, come quello di Acerbo ed Orano, pur se sviluppato da posizioni e secondo logiche diverse, viene apprezzato da Mussolini che ne intravede gli elementi differenziatori da quello germanico, anche se successivamente il "Duce" non si farà scrupolo di dare patente di legittimità anche all'antisemitismo di un Preziosi, di un Interlandi e di un Gayda.  Altri autori, invece, ritengono che l'opera e il pensiero di Evola continuino ad essere razzisti tout court o addirittura emuli delle tesi di Paolo Orano. È di questo avviso Attilio Milano che, a proposito della campagna antiebraica fascista, scrive: «Primo, in ordine di tempo, e per notorietà personale, come già ricordato, fu Paolo Orano [...] dietro di lui, con una vena più scadente, comparvero anche Ebrei, Cristianesimo, Fascismo, di Alfredo Romanini, Tre aspetti del problema ebraico, di Giulio Evola [...]».[70] Lo storico Francesco Germinario nel suo saggio Razza del Sangue, razza dello Spirito[71] analizza in particolare il progressivo avvicinamento di Evola al nazionalsocialismo, specialmente in relazione all'ammirazione che il filosofo aveva nei confronti delle SS.  La tesi di maggior rilievo del saggio di Germinario consiste nel tentativo di interpretare il razzismo evoliano come una sorta di differenzialismo in nuce, ovvero un razzismo che identifica il suo obiettivo principale nella ricomposizione dei cosiddetti tre ordini di razza: corpo, anima, spirito. Dunque, secondo Germinario, Evola riprende, seppur in maniera meno esplicita, alcune delle teorie del de Gobineu che cercano di identificare una gerarchia ideale nei gruppi delle razze umane.[72] Lo storico torinese Francesco Cassata, che ha dedicato molti suoi scritti al rapporto tra fascismo e razzismo e agli studi sull'eugenetica, nel suo A destra del fascismo,[73] sottolinea di come il razzismo sia un aspetto centrale del pensiero evoliano, e che in realtà lo stesso è volutamente depotenziato e purificato dai suoi estimatori con lo scopo di dare una visione edulcorata delle teorie del filosofo.  Più dura la posizione del giornalista Gianni Scipione Rossi, che con il volume Il razzista totalitario[74] cerca di mettere in luce quegli aspetti contraddittori del pensiero evoliano rispetto al tema della razza. Ma soprattutto Il razzista totalitario tenta di dimostrare che quella di Evola non è una parentesi razzista, ma una costruzione originale ed autonoma di una teoria che accompagna tutta l'opera evoliana. Per il germanista Furio Jesi Evola è «un razzista così sporco che ripugna toccarlo con le dita».[75] Lo storico e saggista torinese infatti dubita fortemente della definizione spiritualistica attribuita al razzismo di Evola[76] e ritiene anzi che le sue teorie farmeticanti e triviali conducano direttamente ad Auschwitz: «Egli [Evola] non si è mai dichiarato paladino dei roghi dei libri, anche se bisogna precisare che implicitamente, da intellettuale, s'intende, ha dato una mano ai forni crematori non per libri ma per uomini».[77]  La maggior parte delle critiche mosse a Evola e ai suoi studi sulla razza (per esempio da Dana Lloyd Thomas, Gianni Scipione Rossi, Francesco Germinario, Francesco Cassata), sostanzialmente, cercano di dimostrare che il cosiddetto razzismo spirituale in realtà è una sofisticata costruzione teorica utilizzata dall'autore e ancor più dai suoi epigoni per celare il convincimento di un vero e proprio razzismo di matrice biologica, e che dunque c'è in realtà un filo diretto tra le teorie nazionalsocialiste e quelle evoliane, queste ultime solo apparentemente diverse.[78] In ogni caso è in concomitanza con la campagna antiebraica scatenata dal regime fascista a partire dal 1937 che Julius Evola, grazie al suo "razzismo spirituale", entra definitivamente a far parte, a pieno titolo, della cultura e dell'intelligencija fascista di quegli anni. Secondo Fabio Venzi, in maniera del tutto infondata, ciò non impedisce ad Evola di avere una "doppia affiliazione" ed essere pure membro della Massoneria[79].  Evola non aderisce al Partito fascista e tale mancata adesione gli impedisce nel 1940 di arruolarsi come volontario contro l'Unione Sovietica nel corso della Seconda guerra mondiale. Nel 1942 viene pubblicato un suo saggio dal titolo Per un allineamento politico-culturale dell'Italia e della Germania[80] nel quale esprime ammirazione per il nazismo tedesco, considerandolo superiore al fascismo in ragione del coraggio nel risvegliare l'antico spirito ariano e germanico. Critica tuttavia l'incompletezza nell'attuazione di questo programma, non abbastanza radicale e aderente ai principi della "Tradizione": per esempio una difesa della razza improntata giuridicamente ad una sorta di "igiene razziale" e il potere del Führer derivato dal popolo e non un potere regale di origine divina come nell'ideale società ario-germanica delle origini.  Evola teorizza dunque il tradizionalismo puro, ideale e radicale, capace di attuare i propri principi e di far trionfare la cultura romana e pagana delle origini. Tra l'Unione Sovietica bolscevica e gli Stati Uniti d'America capitalistici, il nazionalsocialismo tedesco gli sembra proporre una terza via: un impero europeo e pagano sotto la guida egemonica della Germania di Hitler. Nel 1943, riprendendo temi già trattati nei suoi anni giovanili, pubblica La dottrina del risveglio, un saggio sull'ascesi buddhista. Nel 1951 l'opera viene poi tradotta in inglese[81] da Harold Edward Musson (Ñāṇavīra Thera) con l'avallo della Pali Society, anche se l'unica fonte che riporta questa informazione è lo stesso Evola: «L'edizione inglese aveva avuto il crisma della Pali Society, noto istituto accademico di studi sul buddhismo delle origini, che aveva riconosciuto la validità della mia trattazione».[82]  Ancor oggi rimane aperto, tra gli studiosi, il dibattito sull'adesione di Evola alla Repubblica Sociale, alla quale fanno accenno saggi ed opere enciclopediche di larga diffusione.[83] In realtà subito dopo l'8 settembre, il filosofo romano, che si trova in Germania per tenere alcune conferenze, raggiunge a Monaco gli altri esuli fascisti «[...] osservando con distacco reazionario scelte che non lo convincono».[84] Farà ritorno nell'Italia liberata solo al termine della guerra. Essendo Evola rigorosamente contrario all'abrogazione della Monarchia e alla trasformazione dell'Italia in una Repubblica, intraprende tentativi di influenza sulle SS e sui nazisti tedeschi, compreso lo stesso Heinrich Himmler. Si scopre poi, nel dopoguerra, che Evola è – sia in Germania che in Italia – tenuto sotto stretta sorveglianza dall'Ahnenerbe.[85] Le SS gli permettono di avere ruoli culturali di rilievo solo nei casi in cui questo giovi alla causa tedesca. Tuttavia Evola collaborò con la sezione delle SS che si occupava di studiare e combattere le trame occulte e antitradizionali della massoneria e dei poteri forti in genere[86].  Nel 1945 Evola si trova a Vienna e nell'intento «di non schivare anzi di cercare i pericoli, nel senso di un tacito interrogare la sorte»[87] si avventura in una passeggiata durante i bombardamenti sovietici che colpiscono la capitale austriaca. Sbalzato da uno spostamento d'aria, subisce una lesione al midollo spinale che gli provoca una paralisi permanente agli arti inferiori.[88] Solo nel 1948, grazie all'interessamento di Umberto Zanotti Bianco – presidente della Croce Rossa Internazionale – viene trasferito prima al sanatorio di Cuasso al Monte, poi a Bologna e infine, nel 1951, a Roma, come egli stesso riporta in una lettera inviata all'amico poeta Girolamo Comi.[89 A partire dal 1949 inizia la collaborazione con la rivista La Sfida fondata da Enzo Erra, Pino Rauti ed Egidio Sterpa, ispirando poi la nascita della nuova rivista Imperium che vede la luce nel 1950. Nel 1950 pubblica su Imperium l'opuscolo Orientamenti nel quale vengono sintetizzate in undici punti le sue idee (poi sviluppate nei libri successivi e riedite nel 1970).  Nel 1951 Evola viene arrestato con le accuse di apologia di fascismo e di essere l'ispiratore di alcuni gruppi neofascisti: si tratta del processo ai FAR (Fasci di Azione Rivoluzionaria). In questa occasione Evola viene difeso gratuitamente dall'avvocato Francesco Carnelutti[90] e dall'ex ministro dell'RSI Piero Pisenti ed egli stesso tiene dinanzi al Tribunale un'autodifesa poi pubblicata integralmente dalla Fondazione Julius Evola.[91] Scrive Evola:  «Dissi che attribuirmi idee fasciste era un assurdo, non in quanto erano fasciste, ma solo in quanto, rappresentavano, nel fascismo, la riapparizione di principi della grande tradizione Politica europea di Destra in genere. Io potevo aver difeso e potevo continuare a difendere certe concezioni in fatto di dottrina dello Stato. Si era liberi di fare il processo a tali concezioni. Ma in tal caso si dovevano far sedere sullo stesso banco degli accusati: Platone, un Metternich, un Bismarck, il Dante del De Monarchia e via dicendo»  (Julius Evola, Il cammino del cinabro, op. cit., pp. 94-95.) Pino Rauti ricorda che Evola viene portato dall'infermeria di Regina Coeli nella I sezione della Corte d'Assise di Roma su un telo retto da quattro detenuti, per l'occasione trasformati in infermieri, in quanto in tutta la Corte non vi è una sedia a rotelle.[92]   Una rara fotografia degli anni cinquanta Il processo ai FAR si conclude il 20 novembre del 1951 con l'assoluzione di Evola con formula piena.  Successivamente lo scrittore Marcello Veneziani, in relazione all'accusa mossa ad Evola di essere l'ispiratore e ideologo dei FAR, scrive che «[...] gli errori compiuti da chi ha cercato di tradurre Evola sul terreno sismico della politica, appartengono a chi li ha compiuti e non ad Evola».[93] Analoga tesi sostiene Giorgio Galli,[94] sottolineando inoltre di come lo stesso Evola è molto polemico nei confronti delle ristampe cosiddette "non autorizzate" che alcuni fanno dei suoi testi, soprattutto in relazione agli scritti giovanili (Imperialismo pagano in particolare) e a quelli relativi al problema della razza (Il mito del sangue, Indirizzi per una educazione razziale, Sintesi di dottrina della razza).  Scrive Evola in L'Italiano: «Non è certo colpa mia se alcuni giovani hanno fatto un uso arbitrario, confuso e poco serio di alcune idee dei miei libri, scambiando piani molto diversi».[95] Secondo Gianfranco De Turris, non potendo accusare Evola direttamente per i suoi scritti, si tenta di effettuare una "doppia lettura" dei suoi testi: una lettura palese per il volgo ed una "esoterica" per gli "iniziati".[96] Furio Jesi è il primo ad avanzare questa teoria nel suo famoso Cultura di destra del 1979.[77]  Altri autori sostengono invece che Evola sia un vero e proprio cattivo maestro. Felice Pallavicini – partigiano e frequentatore di Evola – così stigmatizza l'influenza del pensatore tradizionale sui giovani neofascisti: «Non ha fabbricato ordigni esplosivi, non è stato il capo di una banda di dinamitardi, ma le idee producono fatti, conseguenze [...] Ebbene l'evolismo ha prodotto fascismo, razzismo e antisemitismo. La rivolta ha senso solo se alla distruzione segue la ricostruzione, ma Evola ha badato solo a distruggere».[97] Nel 1953 pubblica Gli uomini e le rovine – testo che esercita grande influenza negli ambienti della destra italiana – nel quale spiega la decadenza del mondo moderno in seguito alla distruzione del principio di autorità e di ogni possibilità di trascendenza per l'affermarsi del razionalismo, in contrasto con le antiche civiltà e i valori della Tradizione. Nel 1958 esce la Metafisica del sesso sulla forza magica e potentissima dell'atto sessuale, attraverso lo studio dei simboli esteso a numerose tradizioni. Nel 1959 esce un testo sul pensiero di Jünger: L'«Operaio» nel pensiero di Ernst Jünger. Nel 1961 è la volta di Cavalcare la tigre in cui prosegue la sua critica al mondo moderno, offrendo una guida per coloro che pur non sentendo di appartenere interiormente a questo mondo, hanno intenzione di non cedervi psicologicamente ed esistenzialmente.  Scrive anche su alcune riviste ispirate al concetto metafisico ed immanente di Tradizione, come Il Ghibellino. Gli uomini e le rovine e Cavalcare la tigre sono considerati due testi fondamentali grazie ai quali c'è «una fattiva adesione dei giovani di destra al ribellismo antisistema partito dalle università»[98] alla fine degli anni sessanta. Scrive Pino Tosca: «Se si medita bene, ci si accorgerà che la posizione dei tradizionalisti nei fatti del '68, proviene in massima parte dalla lettura miscellanea di questi due testi».[99] Nel 1963 pubblica Il cammino del cinabro, la sua autobiografia, e nel 1968 un volume di saggi: L'arco e la clava.  In questi anni torna all'attenzione del pubblico la sua produzione artistica: nel 1963 Enrico Crispolti organizza una mostra dei suoi quadri alla galleria La Medusa di Roma; nel 1969 viene pubblicata da Scheiwiller Raâga Blanda, una raccolta di tutte le sue poesie, tra cui alcuni lavori inediti. Riprende anche l'attività giornalistica e scrive su Meridiano d'Italia, Monarchia, Barbarossa, Ordine Nuovo, Domani, Il Conciliatore, Totalità, Vie della Tradizione e Il Borghese. In questo periodo Evola assiste alla costituzione del Gruppo dei Dioscuri, sodalizio dedito al ripristino della cultualità romana ed italica, di cui è uno degli ispiratori,[100] attraverso i suoi scritti sulla romanità, il paganesimo e le idee imperiali, oltre che attraverso un particolare rapporto di intimità intellettuale con i fondatori dei Dioscuri.  Gli ultimi anni  Julius Evola in una fotografia del 1973 Vive gli ultimi anni con una pensione di invalido di guerra facendo traduzioni e scrivendo articoli, sostenuto economicamente da alcuni ammiratori guidati da Sergio Bonifazi, direttore del trimestrale Solstitivm. Un primo scompenso cardiaco si manifesta nel 1968, un secondo nel 1970. In quest'ultima occasione viene fatto ricoverare in ospedale da Placido Procesi, suo medico personale. Evola è infastidito dalle suore che lo assistono e minaccia di denunciarle per sequestro di persona. Viene fatto rientrare nella sua abitazione. La sua salute continua costantemente a peggiorare: inizia ad avere difficoltà respiratorie ed epatiche.  Poco prima della morte detta lo statuto originario di quella che sarebbe diventata la Fondazione Julius Evola per la difesa dei valori di una cultura conforme alla Tradizione.[101] Muore nella sua casa romana di corso Vittorio Emanuele l'11 giugno del 1974.  Pierre Pascal così lo ricorda nei suoi ultimi giorni: «Gli dissi il desiderio supremo di Henry de Montherlant: essere ridotto in ceneri dal fuoco, affinché fossero disperse a brezza leggera del Foro, tra i Rostri e il Tempio di Vesta. Allora quest'uomo, che era davanti a me, disteso, con le belle mani incrociate sul petto mi mormorò dolcemente e quasi impercettibilmente: "Io vorrei... ho disposto... che le mie fossero lanciate dall'alto di una montagna"».[102] L'esecuzione testamentaria è affidata all'avvocato Paolo Andriani, condirettore della rivista Civiltà e amico fraterno, il quale riesce, dopo molte peripezie, a far cremare il corpo di Evola – come da sua esplicita richiesta – presso il cimitero di Spoleto. L'amica di Evola Amalia Baccelli ricorda che il feretro rimane per molti giorni bloccato al Cimitero del Verano nella stanza mortuaria.[103] Un'urna contenente le ceneri viene consegnata alla guida emerita del CAI Eugenio David – compagno di scalate di Evola in giovinezza – e calata nel crepaccio del Lyskamm Orientale sul Monte Rosa dal Direttore del Centro Studi Evoliani di Genova Renato Del Ponte[104]. Una seconda urna si trova invece presso la tomba di famiglia al cimitero del Verano. Evola è propugnatore del Tradizionalismo, un modello ideale e sovratemporale di società caratterizzato in senso spirituale, aristocratico e gerarchico. Secondo l'autore tale modello si riscontra, da un punto di vista storico, in civiltà quali quella egiziana, romana e indiana. Tali civiltà non si basano su criteri economici, materiali e biologici, ma sono suddivise e gestite in base a criteri di gerarchia sociale di carattere ereditario e spirituale.  L'essere e il divenire Secondo Evola ogni azione che avviene durante la vita biologica (il divenire) rispecchia direttamente una medesima azione di carattere metafisico (l'essere) e dunque imperitura e sovratemporale.  Il tempo e l'involuzione dell'uomo Il cammino dell'uomo durante la sua involuzione (come la definisce lo stesso Evola in aperto contrasto con le teorie darwiniane) avviene attraverso un percorso di tipo circolare, non lineare. Traccia di questa teoria la si trova, ad esempio, nello schema proposto da Esiodo relativo alla cosiddetta teoria delle cinque età (dell'oro, dell'argento, del bronzo, degli eroi, del ferro), corrispondenti ai quattro yuga dell'induismo. Queste civiltà menzionate – ritenute superiori da Evola – si basano dunque su una più elevata dimensione metafisica e spirituale dell'esistenza, anziché su criteri di ordine materiale. La naturale decadenza di queste società è direttamente proporzionale all'aumento del progresso e della modernità.  Tale processo di decadenza ha inizio con la perdita dell'unico polo che in passato racchiude sia l'autorità spirituale che quella temporale e prosegue con la spinta propulsiva dei valori illuministi espressi con la Rivoluzione francese: si arriva così alla società odierna dove la dimensione spirituale dell'esistenza è andata definitivamente perduta. In particolare Evola rifiuta totalmente il concetto di egualitarismo, in favore di una visione differenziatrice della natura umana. Ne consegue un netto rifiuto per la democrazia (intesa come strumento di massa) e parimenti per ogni forma di totalitarismo, anch'esso ritenuto uno strumento di massa che si basa non su un'autorità spirituale, bensì su un'autorità esclusivamente di tipo temporale.  La via iniziatica Secondo Evola l'uomo ha la possibilità di elevarsi alla sfera divina e metafisica attraverso precise strade (il rito e l'iniziazione), utilizzando determinati strumenti (l'azione e la contemplazione) all'interno di contesti sociali predeterminati (la casta, l'impero). In aperto contrasto con le teorie di Sant'Agostino espresse nel De civitate dei ed in sintonia con i dettami del buddhismo delle origini, Evola sostiene che non esiste differenza quantitativa tra l'uomo e il dio. Per l'autore ogni uomo è un dio mortale e ogni dio un uomo immortale.[106]  Il razzismo "spirituale" Conseguenza di questo pensiero è che le differenze naturali tra gli esseri umani si rispecchierebbero anche nelle razze. Il filosofo rifiuta una visione razzista della vita in senso biologico, sostenendo invece la sua teoria del cosiddetto "razzismo spirituale". La "razza interiore" di cui parla Evola è definita come un patrimonio di tendenze e attitudini che, a seconda delle influenze ambientali, giungerebbero o meno a manifestarsi compiutamente. L'appartenenza a una razza si individuerebbe dunque sulla base delle caratteristiche spirituali, e in seguito di quelle fisiche, diventandone col tempo queste ultime il segno visibile. Partendo da questi presupposti assiomatici, Evola definisce gli ebrei come razza materialista e spiritualmente inferiore rispetto alla razza ariana, in sintonia con alcune idee del nazismo tedesco.  Nonostante il rifiuto della concezione pseudo-scientifica del razzismo biologico, nei confronti degli ebrei il "razzismo spirituale" di Evola non rappresenta una versione attenuata dell'antisemitismo nazista, ma un suo ribaltamento in senso metafisico: secondo Enzo Collotti, «il razzismo spirituale del quale parla Evola vuole partire appunto dal dato biologico, che gli pare ancora troppo rozzo e deterministico, per sublimarlo e portarlo a pieno compimento "sul piano dello spirito", ossia sul piano metafisico. In tal modo Evola intendeva potenziare e nobilitare, e non già attenuare, il razzismo, avvolgendolo in una nebulosa filosofeggiante e scrostandolo di quel tanto di ruvido antropologismo»[107]. Nel 1994 vengono ritrovate presso l'archivio crociano di Napoli sette lettere scritte da Evola a Benedetto Croce (più una, l'ottava, indirizzata all'editore Laterza). Tale ritrovamento, ad opera di Stefano Arcella – funzionario dei Beni Culturali presso la biblioteca di Napoli – permette di ricostruire almeno in parte i rapporti tra Evola e il filosofo del liberalismo. Evola invia inizialmente a Croce, in una lettera del 13 aprile 1925, la richiesta di intercedere presso l'editore Laterza per la pubblicazione dei Saggi sull'idealismo magico e Teoria dell'individuo assoluto. Pochi giorni dopo Evola risponde ad una cartolina postale di Croce ringraziandolo per il giudizio di apprezzamento sul lato formale dei due manoscritti.  Laterza, nonostante l'appoggio favorevole di Benedetto Croce, scrive ad Evola una lettera il 14 settembre 1925 in cui precisa di volersi riservare «la massima libertà di decidere anche nei riguardi di autorevoli amici».[108] L'8 aprile 1930 Evola scrive nuovamente a Croce chiedendo aiuto per la sua nuova opera sull'alchimia: La tradizione ermetica. In una successiva, breve lettera, Evola ringrazia Croce per l'interessamento e l'anno successivo, il manoscritto esce per i tipi dell'editore barese.  Secondo Stefano Arcella[109] in questo periodo si realizza un collegamento tra due opposizioni culturali al fascismo: una in senso tradizionale (Evola) ed una in senso liberale (Croce). Secondo Gianfranco De Turris[110] Evola si rivolge a Croce in quanto preferisce aperture presso uomini e gruppi non dogmatici, più che presso l'ufficialità del regime fascista. Poiché Evola non lascia un archivio epistolare, non è possibile analizzare le risposte date da Croce alle missive dello stesso Evola. Senza le risposte di Croce diventa infatti difficile valutare l'apertura del pensatore liberale verso i contributi filosofici del pensatore tradizionale.  Lettere a Giovanni Gentile  Giovanni Gentile Evola invia, tra il 1927 e il 1929, quattro lettere al Senatore Gentile. Nonostante le marcate divergenze sul piano filosofico – Evola si discosta dall'attualismo gentiliano in favore di una rigida codificazione teoretica (l'idealismo magico) – il pensatore tradizionale cerca un confronto con uno dei massimi esponenti del mondo accademico. Tale confronto, secondo Stefano Arcella[111] – curatore del volume Lettere di Julius Evola a Giovanni Gentile (1927-1929) – non produce risvolti interessanti sotto il profilo speculativo in quanto i due filosofi sono su posizioni eccessivamente distanti, ed anche i presupposti dottrinali e religiosi sono inconciliabili.  Sempre Arcella afferma che «il tentativo evoliano di aprire un colloquio costruttivo rimane un fiore che non sboccia».[112] Evola cerca di costruire, pur senza risultati apprezzabili, un punto di riferimento culturale alternativo all'ambiente gentiliano. Nel Cammino dei cinabro tenta di spiegare così le ragioni di questo mancato incontro:  «Tutti i riferimenti extra-filosofici di cui il mio sistema filosofico era ricco servirono come un comodo pretesto per l'ostracismo. Si poteva liquidare con un'alzata di spalle un sistema che accordava un posto perfino al mondo dell'iniziazione, della "magia" e di altri relitti superstiziosi. Che tutto ciò da me fosse fatto valere nei termini di un rigoroso pensiero speculativo, a poco servì. Però anche da parte mia vi era un equivoco, nei riguardi di coloro ai quali, sul piano pratico, la mia fatica speculativa poteva servire a qualcosa. Si trattava di una introduzione filosofica ad un mondo non filosofico, la quale poteva avere un significato nei soli rarissimi casi in cui la filosofia ultima avesse dato luogo ad una profonda crisi esistenziale. Ma vi era anche da considerare (e di questo in seguito mi resi sempre più conto) che i precedenti filosofici, cioè l'abito del pensiero astratto discorsivo, rappresentavano la qualificazione più sfavorevole affinché tale crisi potesse essere superata nel senso positivo da me indicato, con un passaggio a discipline realizzatrici»  (Julius Evola, Il cammino del cinabro, op. cit., p. 61.) Gentile tuttavia riconosce ad Evola una certa competenza in campo esoterico-alchemico ed infatti chiede al filosofo della tradizione di curare la voce Atanor per l'Enciclopedia Italiana.[113] Anche alcuni allievi di Gentile riconoscono ad Evola una certa stima, in particolare Guido Calogero.[114]  Alessandro Giuli successivamente[115] riporta altre informazioni, relative al carteggio Evola-Gentile, reperite all'interno della "Fondazione Giovanni Gentile per gli studi filosofici", occupandosi in particolare dei vari volumi[116] che Evola invia con dedica al Senatore.  Lettere a Carl Schmitt  Carl Schmitt Si tratta di sette lettere inviate da Evola a Schmitt tra il 1951 e il 1963, conservate nel Nachlass Carl Schmitt dell'Archivio di Stato di Düsseldorf.[117] L'epistolario mette in luce da una parte alcune amicizie e conoscenze in comune tra i due pensatori (Ernst Jünger, Armin Mohler e il principe di Rohan), dall'altra il tentativo di proporre la pubblicazione in italiano del saggio di Schmitt sul tradizionalista cattolico Donoso Cortés.[118] Tale tentativo non va in porto, così come fallisce anche il secondo progetto editoriale, risalente al 1963, di pubblicare un'antologia schmittiana.  Di rilievo, all'interno dello scambio epistolare, le due divergenti visioni rispetto alle teorie di Donoso Cortés sul ruolo dell'uomo politico e la sua autonomia. Evola interpreta il concetto di dictatura coronada come «necessità di un potere che decida assolutamente, ma ad un livello di una dignità superiore, indicata dall'aggettivo coronada».[119] Per il giurista tedesco, invece, esiste prima di tutto un passaggio significativo che porta dal concetto della legittimità del regnare a quello della dittatura. Per Cortés, scrive Schmitt, «la dittatura incoronata, la dictadura coronada, significava solo un pis-aller pratico [...] mai ha concepito questo espediente pragmatico come una forma di salvezza religiosa o teologica».[120]  Anche in questo caso – così come già ampiamente esposto in Rivolta contro il mondo moderno[121] – il costante rimando evoliano ad un fondamento trascendente dell'ordine politico rimane «quell'ineliminabile discrimine che non può essere in alcun modo occultato o minimizzato».[122] Antonio Caracciolo sottolinea anche di come l'epistolario assume rilievo in relazione al tentativo di «fornire di solidi contrafforti ideologici e culturali il mondo conservatore che, nel dopoguerra italiano, si trovava a combattere la sua battaglia politica».[123]  Lettere a Gottfried Benn  Gottfried Benn Evola entra in contatto epistolare con Gottfried Benn – medico e poeta tedesco appartenente alla cosiddetta Rivoluzione conservatrice – fin dal 1930. Il primo incontro risale invece al 1934, durante la tappa berlinese di un viaggio che Evola effettua in Germania. Da quell'incontro scaturisce una famosa recensione-saggio di Benn alla traduzione tedesca di Rivolta contro il mondo moderno[124] che appare nel 1935 sulla rivista Die Literatur di Stoccarda.[125] Nel presentare l'opera, Benn espone le sue teorie convergendo con la visione del mondo di Evola.[126]  Successivamente Francesco Tedeschi rintraccia nello Schiller-Nationalmuseum Deutsches Literaturarchiv di Marbach due lettere manoscritte (la prima del 30 luglio e la seconda del 9 agosto 1934) più una dattiloscritta del 13 settembre 1955 che Evola invia a Benn. Le prime due lettere sono importanti in quanto chiariscono la comunanza di vedute dei due autori rispetto al tema della tradizione e di una visione del mondo conservatrice, oltre al fatto che entrambi non si riconoscono nel nazismo tedesco. Dalla lettera del 9 agosto: «Sono sempre più convinto che a chi voglia difendere e realizzare senza compromessi di sorta una tradizione spirituale e aristocratica non rimanga purtroppo, oggi e nel mondo moderno, alcun margine di spazio; a meno che non si pensi unicamente a un lavoro elitario».[3] La terza lettera è importante in quanto testimonia il tentativo di Evola di riprendere, nel dopoguerra, i rapporti con quegli esponenti conservatori che conosce negli anni trenta e quaranta.[127]  Lettere a Tristan Tzara  Tristan Tzara in un ritratto di Lajos Tihanyi Nel 1975 compaiono, in un articolo di Giovanni Lista,[128] brani di due lettere inviate da Evola a Tristan Tzara, il fondatore del Dadaismo. Dall'articolo non si evince però la loro collocazione. Solo nel 1989, grazie al lavoro di ricerca della studiosa Elisabetta Valento, tutta la corrispondenza viene trovata presso l'archivio della Fondation Jaques Doucet della biblioteca Sainte-Geneviève di Parigi.  Si tratta di una trentina di documenti tra lettere e cartoline: la prima è del 7 ottobre 1919, l'ultima del 1º agosto 1923. Molte tappe del cammino artistico del filosofo romano sono già note prima del rinvenimento della corrispondenza con Tzara: in parte perché lo stesso Evola ne parla nella sua autobiografia,[129] in parte perché dedotte dai critici e dagli studiosi nelle partecipazioni, in qualità di articolista, che Evola ha in alcune riviste d'arte dell'epoca: Noi, Cronache d'Attualità, Dada e Bleu. Secondo la Valento, ciò che invece non è noto prima del rinvenimento della corrispondenza, sono «le modalità dell'avventura evoliana nella sfera artistica, ovvero come essa si attuò, come fu vissuta, a che mirava».[130]  L'archivio della corrispondenza tra i due artisti ha, inoltre, il pregio di colmare il vuoto di un periodo giovanile poco conosciuto di Evola. Questo vuoto si colma sia attraverso la ricostruzione di tappe cronologiche (il recupero di alcune date, partecipazioni a mostre, riviste, incontri) sia attraverso il recupero di tappe più specificamente «psicologiche».[131] In particolare quelle che portano Evola ad annunciare il proprio suicidio (lettera 24 del 2 luglio 1921) e che raccontano di un uomo colto nel pieno male di vivere, di una sperimentazione del travaglio interiore che l'artista vive tra il 1920 e il 1921, dove la «sofferenza acuta si alterna alla disperazione».[130]Opere dell'autore Julius Evola, Arte Astratta, posizione teorica, Roma, Maglione e Strini, 1920. ISBN non esistente (FR) Julius Evola, La parole obscure du paysage intérieur, Roma-Zurigo, Collection Dada, 1921. ISBN non esistente Julius Evola, Saggi sull'idealismo magico, Todi-Roma, Atanòr, 1925. ISBN non esistente Julius Evola, L'individuo e il divenire del mondo, Roma, Libreria di Scienze e Lettere, 1926. ISBN non esistente Julius Evola, L'uomo come potenza, Todi-Roma, Atanòr, 1927a. ISBN non esistente Julius Evola, Teoria dell'individuo assoluto, Torino, Bocca, 1927b. ISBN non esistente Julius Evola, Imperialismo pagano, Todi-Roma, Atanòr, 1928. ISBN non esistente Julius Evola, Fenomenologia dell'individuo assoluto, Torino, Bocca, 1930. ISBN non esistente Julius Evola, La tradizione ermetica, Bari, Laterza, 1931. ISBN non esistente Julius Evola, Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, Torino, Bocca, 1932. ISBN non esistente Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Milano, Hoepli, 1934. ISBN non esistente Julius Evola, Tre aspetti del problema ebraico, Roma, Mediterranee, 1936. ISBN non esistente Julius Evola, Il mistero del Graal, Bari, Laterza, 1937a. ISBN non esistente Julius Evola, Il mito del sangue, Milano, Hoepli, 1937b. ISBN non esistente Julius Evola, Indirizzi per una educazione razziale, Napoli, Conte, 1941a. ISBN non esistente Julius Evola, Sintesi di dottrina della razza, Milano, Hoepli, 1941b. ISBN non esistente Julius Evola, La dottrina del risveglio, Bari, Laterza, 1943. ISBN non esistente Julius Evola, Lo Yoga della potenza, Torino, Bocca, 1949. ISBN non esistente Julius Evola, Orientamenti, Roma, Imperium, 1950. ISBN non esistente Julius Evola, Gli uomini e le rovine, Roma, Edizioni dell'Ascia, 1953. ISBN non esistente Julius Evola, Metafisica del sesso, Todi-Roma, Atanòr, 1958. ISBN non esistente Julius Evola, L'«Operaio» nel pensiero di Ernst Jünger, Roma, Armando, 1959. ISBN non esistente Julius Evola, Cavalcare la tigre, Milano, Vanni Scheiwiller, 1961. ISBN non esistente Julius Evola, Il cammino del cinabro, Milano, Vanni Scheiwiller, 1963a. ISBN non esistente Julius Evola, Il Fascismo. Saggio di una analisi critica dal punto di vista della destra, Roma, Volpe, 1963b. ISBN non esistente Julius Evola, L'arco e la clava, Milano, Vanni Scheiwiller, 1968. ISBN non esistente Julius Evola, Raâga Blanda, Milano, Vanni Scheiwiller, 1969. ISBN non esistente Julius Evola, Il taoismo, Roma, Mediterranee, 1972. ISBN non esistente Julius Evola, Ricognizioni. Uomini e problemi, Roma, Mediterranee, 1974. ISBN non esistente Opere curate dall'autore Lao Tze, Il libro della via e della virtù, a cura di Julius Evola, Lanciano, Carabba, 1923. ISBN non esistente Cesare Della Riviera, Il mondo magico de gli heroi, a cura di Julius Evola, Bari, Laterza, 1932. ISBN non esistente René Guénon, La crisi del mondo moderno, a cura di Julius Evola, Milano, Hoepli, 1937. ISBN non esistente Emanuel Malinski , Léon De Poncins, La guerra occulta, a cura di Julius Evola, Milano, Hoepli, 1939. ISBN non esistente Gustav Meyrink, Il Domenicano bianco, a cura di Julius Evola, Milano, Fratelli Bocca Editori, 1944. ISBN non esistente Gustav Meyrink, La notte di Valpurga, a cura di Julius Evola, Milano, Fratelli Bocca Editori, 1944. ISBN non esistente Johann Jakob Bachofen, Le madri e la virilità olimpica, a cura di Julius Evola, Torino, Bocca, 1949. ISBN non esistente Gustav Meyrink, L'Angelo della finestra d'Occidente, a cura di Julius Evola, Milano, Fratelli Bocca Editori, 1949. ISBN non esistente Mircea Eliade, Lo sciamanesimo e le tecniche dell'estasi, a cura di Julius Evola, Milano, Fratelli Bocca Editori, 1954. ISBN non esistente Gruppo di Ur, Introduzione alla magia come scienza dell'Io, a cura di Julius Evola, Torino, Bocca, 1955. ISBN non esistente Otto Weininger, Sesso e carattere, a cura di Julius Evola, Milano, Bocca, 1956. ISBN non esistente Oswald Spengler, Il tramonto dell'occidente, a cura di Julius Evola, Milano, Longanesi, 1957. ISBN non esistente Eduard Erkes, Credenze religiose della Cina antica, a cura di Julius Evola, Roma, IsMEO, 1958. ISBN non esistente Pitagora I Versi d'Oro, 1959, a cura di Julius Evola, Todi-Roma, Atanòr. ISBN non esistente Lao Tze, Il Libro del Principio e della sua azione, a cura di Julius Evola, Milano, Ceschina, 1959. ISBN non esistente Gabriel Marcel, L'uomo contro l'umano, a cura di Julius Evola, Roma, Volpe, 1963. ISBN non esistente Ernst Jünger, Al muro del tempo, a cura di Julius Evola, Roma, Volpe, 1965. ISBN non esistente Hans-Joachim Schoeps, Questa fu la Prussia, a cura di Julius Evola, Roma, Volpe, 1966. ISBN non esistente Erik Von Kuehnelt-Leddihn, L'errore democratico, a cura di Julius Evola, Roma, Volpe, 1966. ISBN non esistente Theodor Litt, Le scienze e l'uomo, a cura di Julius Evola, Roma, Armando, 1967. ISBN non esistente Pascal Bewerly Randolph, Magia Sexualis, a cura di Julius Evola, Roma, Mediterranee, 1969. ISBN non esistente Karl Loewenstein, La Monarchia nello Stato moderno, a cura di Julius Evola, Roma, Volpe, 1969. ISBN non esistente Robert Reininger, Nietzsche e il senso della vita, a cura di Julius Evola, Roma, Volpe, 1971. ISBN non esistente Arthur Avalon, Il mondo come potenza, a cura di Julius Evola, Roma, Mediterranee, 1973. ISBN non esistente Daisetsu Teitarō Suzuki, Saggi sul Buddhismo Zen Vol.1, a cura di Julius Evola, Roma, Mediterranee, 1975. ISBN non esistente Lu Tzu, Il mistero del fiore d'oro, a cura di Julius Evola, Roma, Mediterranee, 1971. ISBN non esistente Lu K'uan Yû, Lo Yoga del Tao, a cura di Julius Evola, Roma, Mediterranee, 1976. ISBN 978-88-27203-15-6. Opere curate dall'autore con lo pseudonimo Carlo d'Altavilla Theodor Litt, Istruzione tecnica e formazione umana, a cura di Carlo d'Altavilla (Julius Evola), Roma, Armando, 1958. ISBN non esistente Gustav Meyrink, Alla frontiera dell'Aldilà, a cura di Carlo d'Altavilla (Julius Evola), Napoli, Casa Editrice Rocco, 1959. ISBN non esistente Theodor Litt , Eduard Spranger, Enrico Pestalozzi, a cura di Carlo d'Altavilla (Julius Evola), Roma, Armando, 1961. ISBN non esistente Franz Hilker, Pedagogia comparata: storia, teoria e prassi, a cura di Carlo d'Altavilla (Julius Evola), Roma, Armando, 1967. ISBN non esistente Jacques Ulmann, Ginnastica, educazione fisica e sport dall'antichità ad oggi, a cura di Carlo d'Altavilla (Julius Evola), Roma, Armando, 1967. ISBN non esistente Karlfried Graf Dürckheim, Hara: il centro vitale dell'uomo secondo lo Zen, a cura di Carlo d'Altavilla (Julius Evola), Roma, Mediterranee, 1969. ISBN non esistente Bernard George, L'ondata rossa sulla Germania dell'Est 1945-1951, a cura di Carlo d'Altavilla (Julius Evola), Roma, Volpe, 1969. ISBN non esistente Erik von Kuehnelt-Leddihn, L'errore democratico, a cura di Carlo d'Altavilla (Julius Evola), Roma, Volpe, 1969. ISBN non esistente Hans Reiner, Etica, teoria e storia, a cura di Carlo d'Altavilla (Julius Evola), Roma, Armando, 1971. ISBN non esistente Stephan Leibfried, L'università integrata: l'istruzione superiore nella Repubblica federale tedesca e negli Usa, a cura di Carlo d'Altavilla (Julius Evola), Roma, Armando, 1971. ISBN non esistente Ernst Cassirer, Saggio sull'uomo: introduzione ad una filosofia della cultura, a cura di Carlo d'Altavilla (Julius Evola), Roma, Armando, 1972. ISBN non esistente Walter Wefers, Basi e idee dello Stato spagnolo d'oggi, a cura di Carlo d'Altavilla (Julius Evola), Roma, Volpe, 1965. ISBN non esistente François Gaucher, Idee per un movimento, a cura di Carlo d'Altavilla (Julius Evola), Roma, Volpe, 1966. ISBN non esistente Donald Edward Keyhoe, La verità sui dischi volanti, a cura di Carlo d'Altavilla (Julius Evola), Milano, Atlante, 1954. ISBN non esistente Antologie di scritti non compilate dall'autore Julius Evola, I saggi di "Bilychnis", Padova, Edizioni di Ar, 1970a. ISBN non esistente Julius Evola, I saggi della "Nuova Antologia", Padova, Edizioni di Ar, 1970b. ISBN non esistente Julius Evola, L'idea di Stato, Padova, Edizioni di Ar, 1970c. ISBN non esistente Julius Evola, Gerarchia e democrazia, Padova, Edizioni di Ar, 1970d. ISBN non esistente Julius Evola, Meditazioni delle vette, La Spezia, Edizioni del Tridente, 1971. ISBN non esistente Julius Evola, Diario 1943-44, Genova, Centro Studi Evoliani, 1975. ISBN non esistente Julius Evola, Etica aria, Genova, Centro Studi Evoliani, 1976a. ISBN non esistente Julius Evola, L'individuo e il divenire del mondo, Carmagnola, Edizioni Arktos, 1976b. ISBN non esistente Julius Evola, Simboli della Tradizione Occidentale, Carmagnola, Edizioni Arktos, 1977a. ISBN non esistente Julius Evola, La via della realizzazione di sé secondo i misteri di Mitra, Roma, Fondazione Julius Evola, 1977b. ISBN non esistente Julius Evola, Considerazioni sulla guerra occulta, Genova, Centro Studi Evoliani, 1977c. ISBN non esistente Julius Evola, Le razze e il mito delle origini di Roma, Monfalcone, Sentinella, 1977d. ISBN non esistente Julius Evola, Il problema della donna, Roma, Fondazione Julius Evola, 1977e. ISBN non esistente Julius Evola, Ultimi scritti, Napoli, Controcorrente, 1977f. ISBN non esistente Julius Evola, La Tradizione di Roma, Padova, Edizioni di Ar, 1977g. ISBN non esistente Julius Evola, Due imperatori, Padova, Edizioni di Ar, 1977h. ISBN non esistente Julius Evola, Cultura e politica, Roma, Fondazione Julius Evola, 1978a. ISBN non esistente Julius Evola, Citazioni sulla Monarchia, Palermo, Edizioni Thule, 1978b. ISBN non esistente Julius Evola, L'infezione psicanalitica, Roma, Fondazione Julius Evola, 1978c. ISBN non esistente Julius Evola, Il nichilismo attivo di Federico Nietzsche, Roma, Fondazione Julius Evola, 1978d. ISBN non esistente Julius Evola, Lo Stato, Roma, Fondazione Julius Evola, 1978e. ISBN non esistente Julius Evola, Europa una: forma e presupposti, Roma, Fondazione Julius Evola, 1979a. ISBN non esistente Julius Evola, La questione sociale, Roma, Fondazione Julius Evola, 1979b. ISBN non esistente Julius Evola, Saggi di dottrina politica, Sanremo, Mizar, 1979c. ISBN non esistente Julius Evola, La satira politica di Trilussa, Roma, Fondazione Julius Evola, 1980a. ISBN non esistente Julius Evola, Scienza ultima, Roma, Fondazione Julius Evola, 1980b. ISBN non esistente Julius Evola, Spengler e il "Tramonto dell'Occidente", Roma, Fondazione Julius Evola, 1981a. ISBN non esistente Julius Evola, Lo zen, Roma, Fondazione Julius Evola, 1981b. ISBN non esistente Julius Evola, I tempi e la storia, Roma, Fondazione Julius Evola, 1982a. ISBN non esistente Julius Evola, Civiltà americana, Roma, Fondazione Julius Evola, 1982b. ISBN non esistente Julius Evola, La forza rivoluzionaria di Roma, Roma, Fondazione Julius Evola, 1984a. ISBN non esistente Julius Evola, Scritti sulla massoneria, Roma, Edizioni Settimo Sigillo, 1984b. ISBN non esistente Julius Evola, Oriente e occidente, Milano, La Queste, 1984c. ISBN non esistente Julius Evola, Una maestro dei tempi moderni: René Guénon, Roma, Fondazione Julius Evola, 1984d. ISBN non esistente Julius Evola, Filosofia, etica e mistica del razzismo, Monfalcone, Sentinella d'Italia, 1985. ISBN non esistente Julius Evola, Monarchia, aristocrazia, tradizione, Sanremo, Casabianca, 1986a. ISBN non esistente Julius Evola, I placebo, Roma, Fondazione Julius Evola, 1986b. ISBN non esistente Julius Evola, Gli articoli de "La Vita Italiana" durante il periodo bellico, Treviso, Centro Studi Tradizionali, 1988. ISBN non esistente Julius Evola, Dal crepuscolo all'oscuramento della tradizione nipponica, Treviso, Centro Studi Tradizionali, 1989. ISBN non esistente Julius Evola, Il ciclo si chiude, americanismo e bolscevismo (1929-1969), Roma, Fondazione Julius Evola, 1991. ISBN non esistente Julius Evola, Il genio d'Israele, Catania, Il Cinabro, 1992a. ISBN non esistente Julius Evola, Il problema di oriente e occidente, Roma, Fondazione Julius Evola, 1992b. ISBN non esistente Julius Evola, Fenomenologia della sovversione in scritti politici del 1933-70, Borzano, SeaR, 1993. ISBN non esistente Julius Evola, Scritti sull'arte d'avanguardia, Roma, Fondazione Julius Evola, 1994a. ISBN non esistente Julius Evola, Esplorazioni e disamine, gli scritti di "Bibliografia fascista" (1934-1939), Parma, Edizioni all'insegna del veltro, 1994b. ISBN non esistente Julius Evola, Esplorazioni e disamine, gli scritti di "Bibliografia fascista" (1940-1943), Parma, Edizioni all'insegna del veltro, 1995a. ISBN non esistente Julius Evola, Lo Stato (1934-1943), Roma, Fondazione Julius Evola, 1995b. ISBN non esistente Julius Evola, La tragedia della Guardia di Ferro, Roma, Fondazione Julius Evola, 1996a. ISBN non esistente Julius Evola, Scritti per "Vie della Tradizione" (1971-1974), Palermo, Edizioni Vie della Tradizione, 1996b. ISBN non esistente Julius Evola, Carattere, Catania, Il Cinabro, 1996c. ISBN non esistente Julius Evola, L'idealismo realistico (1924-1928), Roma, Fondazione Julius Evola, 1997a. ISBN non esistente Julius Evola, Idee per una destra, Roma, Fondazione Julius Evola, 1997b. ISBN non esistente Julius Evola, Fascismo e Terzo Reich, Roma, Mediterranee, 2001. ISBN 978-88-272-1393-3. Julius Evola, Il "mistero iperboreo". Scritti sugli Indoeuropei 1934-1970, Roma, Fondazione Julius Evola, 2003. ISBN non esistente Julius Evola, Critica del costume, Catania, Il Cinabro, 2005. ISBN non esistente Julius Evola, Augustea (1941-1943). La Stampa (1942-1943), Roma, Fondazione Julius Evola, 2006. ISBN non esistente Julius Evola, Anticomunismo positivo. Scritti su bolscevismo e marxismo (1938-1968), Napoli, Controcorrente, 2008. ISBN 978-88-89015-62-9. Julius Evola, Il Mondo alla Rovescia (Saggi critici e recensioni 1923-1959), Edizioni Arya, Genova 2008. ISBN non esistente. Julius Evola, La scuola di mistica fascista. Scritti di mistica, ascesi e libertà (1940-1941), Napoli, Controcorrente, 2009. ISBN 978-88-89015-71-1. Julius Evola, Le sacre radici del potere, Edizioni Arya, Genova 2010. ISBN non esistente. Julius Evola, Civiltà americana. Scritti sugli Stati Uniti (1930-1968), Napoli, Controcorrente, 2010. ISBN 978-88-89015-82-7. Julius Evola, Scritti sulla Massoneria volgare speculativa, Edizioni Arya, Genova 2012. ISBN 978-88-907256-0-9. Julius Evola, Par delà Nietzsche, Torino, Nino Aragno Editore, 2015. ISBN 978-88-84197-57-3. Julius Evola, Fascismo Giappone Zen. Scritti sull'Oriente 1927-1975, Roma, Pagine, 2016. ISBN 978-88-75574-92-5. Julius Evola, Ernst Jünger. Il combattente, l'operaio, l'anarca, Passaggio al Bosco, 2017, a cura di RigenerAzione Evola, ISBN 9788885574014. Julius Evola, Il Fascismo e l'idea politica tradizionale, Documenti per il Fronte della Tradizione - Fascicolo n. 7, Raido, ISBN non esistente Julius Evola, Mussolini e il razzismo, Documenti per il Fronte della Tradizione - Fascicolo n. 8, Raido, ISBN non esistente Julius Evola, Le SS. Guardia e Ordine della rivoluzione nazionalsocialista, Documenti per il Fronte della Tradizione - Fascicolo n. 11, Raido, ISBN non esistente Julius Evola, I "Castelli dell'Ordine" e i nuovi Junker, Documenti per il Fronte della Tradizione - Fascicolo n. 12, Raido, ISBN non esistente Julius Evola, Il significato di Roma per lo spirito "olimpico" germanico, Documenti per il Fronte della Tradizione - Fascicolo n. 13, Raido, ISBN non esistente Julius Evola, La Dottrina aria di Lotta e Vittoria, Documenti per il Fronte della Tradizione - Fascicolo n. 13, Raido, ISBN non esistente Julius Evola, Etica Aria - Orizzonte Tradizionale, Edizioni Arya, Genova 2018. ISBN 9788898324101. Raccolte di lettere e carteggi Julius Evola, Lettere di Julius Evola a Girolamo Comi (1934-1962), a cura di Gianfranco De Turris, Roma, Fondazione Julius Evola, 1987. ISBN non esistente Julius Evola, Lettere di Julius Evola a Tristan Tzara (1919-1923), a cura di Elisabetta Valento, Roma, Fondazione Julius Evola, 1991. ISBN non esistente Julius Evola, Lettere di Julius Evola a Benedetto Croce (1925-1933), a cura di Stefano Arcella, Roma, Fondazione Julius Evola, 1995. ISBN non esistente Julius Evola, La biblioteca esoterica. Evola Croce Laterza. Carteggi editoriali, a cura di Antonio Barbera, Roma, Fondazione Julius Evola, 1997. ISBN non esistente Julius Evola, Lettere di Julius Evola a Carl Schmitt (1951-1963), a cura di Antonio Caracciolo, Roma, Fondazione Julius Evola, 2000. ISBN non esistente Julius Evola, Lettere di Julius Evola a Giovanni Gentile (1927-1929), a cura di Stefano Arcella, Roma, Fondazione Julius Evola, 2000. ISBN non esistente.Note ^ Julius Evola, La Torre. Foglio di Tradizioni varie e di espressione una, a cura di Marco Tarchi, Milano, Il Falco, 1977, p. 43. ^ Claudio Mutti, Julius Evola sul fronte dell'Est, in Quaderni del Veltro, n. 33, 1998, p. 108.  Gianfranco De Turris, La corrispondenza tra Julius Evola e Gottfried Benn, su centrostudilaruna.it, 2008. URL consultato l'8 maggio 2009. ^ Gianfranco De Turris, Profilo di Julius Evola, in Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, 4ª ed., Roma, Mediterranee, 2008. ISBN 978-88-272-1224-0 ^ Registro degli atti di nascita di Roma per l'anno 1898, Archivio di Stato di Roma ^ Registro degli atti di nascita di Cinisi per l'anno 1854, Archivio di Stato di Palermo ^ Registro degli atti di nascita di Cinisi per l'anno 1865, Archivio di Stato di Palermo ^ Registro degli atti di matrimonio di Cinisi per l'anno 1892, Tribunale di Palermo ^ Registro degli atti di nascita di Roma per l'anno 1895, Archivio di Stato di Roma ^ Il Barone Immaginario Il Barone Immaginario, AA.VV., a cura di Gianfranco De Turris, Ugo Mursia Editore, Milano, 2018 ^ Catalogus Baronum, pagina 143, numero 788. ^ Vanni Scheiwiller, Nota dell'editore, in Julius Evola, Il cammino del cinabro, Milano, Scheiwiller, 1963, p. 3. ^ (FR) Gabriel Matzneff, Julius Evola l'éveilleur, in Le Monde des livres, 25 novembre 1977.  [senza fonte]  Julius Evola, Il cammino del cinabro, op. cit., p. 46. ^ Catalogo della mostra con tutte le opere in: AA.VV., Grande Esposizione Nazionale Futurista, Milano, Le Presse, 1919. ^ Claudio Bruni, Evola Dada, in Gianfranco De Turris (a cura di), Testimonianze su Evola, Roma, Mediterranee, 1973, p. 60.  Julius Evola, Il cammino del cinabro, p. 7 ^ Testo Archiviato il 21 ottobre 2016 in Internet Archive., estratto: «Egli prende la terra come terra, pensa alla terra, pensa sulla terra, pensa 'Mia è la terra' e si rallegra di ciò: e perché? Perché egli non la conosce, dico io. (...) L'estinzione vale a lui come estinzione, allora egli deve non pensare all'estinzione, non pensare sull'estinzione, non pensare 'Mia è l'estinzione', non rallegrarsi dell'estinzione: e perché? Perché impari a conoscerla, dico io.»  ^ Per un approfondimento: Gianfranco De Turris (a cura di), Lettere di Julius Evola a Tristan Tzara (1919-1923), Roma, Edizioni Fondazione Julius Evola, 1991. ^ Carlo Fabrizio Carli, Evola pittore tra futurismo e dadaismo, su juliusevola.it. URL consultato il 2 maggio 2009 (archiviato dall'url originale il 3 ottobre 2008). ^ Claudio Bruni, Evola Dada, op. cit., p. 60. ^ Per un approfondimento: Vitaldo Conte, Maschere di Evola come percorso controcorrente, Atti del convegno di studi "Julius Evola e la politica", Alatri 23-24 maggio 2008, a cura di Emiliano Di Terlizzi [1] Archiviato il 24 luglio 2011 in Internet Archive.. ^ Luciano De Maria, Introduzione a: FT. Marinetti, Teoria e invenzione futurista, Milano, Mondadori, 1969, p. 54. ^ Per un approfondimento sulla produzione pittorica di Evola si rimanda a due cataloghi: AA.VV., Julius Evola e l'arte delle avanguardie. Tra Futurismo, Dada e Alchimia, Roma, Fondazione Julius Evola, 1998 e Vitaldo Conte, Julius Evola. Arte come alchimia, mistica, biografia, Reggio Calabria, Iriti, 2005. ISBN 978-88-87935-97-4. ^ Julius Evola, Il cammino del cinabro, op. cit., p. 9. ^ Poi ristampati sotto forma di antologia: Gruppo di Ur, Introduzione alla magia come scienza dell'Io, Torino, Bocca, 1955. ^ Per una trattazione esaustiva dell'argomento si rimanda a Renato Del Ponte, Evola e il magico gruppo di Ur, Borzano, SeaR, 1994. ISBN 978-600-08-7063-8. ^ Julius Evola, Il cammino del cinabro, op. cit., p. 88. ^ Francesco Lamendola, Alcuni aspetti del pensiero filosofico di Julius Evola, su esonet.org, 2007. URL consultato il 4 maggio 2009. ^ Julius Evola, Fenomenologia dell'Individuo assoluto, Roma, Mediterranee, 1985, pp. 286-287. ^ Julius Evola, Heidnischer Imperialismus, Lipsia, Armanen-Verlag, 1933. ^ Alessandra Tarquini, Il Gentile dei fascisti, Bologna, Il Mulino, 2009, p. 273. ^ Giuseppe Gangi, Misteri esoterici. La tradizione ermetico-esoterica in occidente, Roma, Mediterranee, 2006, p. 256. ^ Julius Evola, Renato Dal Ponte (a cura di), Meditazioni delle vette, La Spezia, Edizioni del Tridente, 1973. ^ Francesco Demattè, Julius Evola, Meditazioni delle vette, in Secolo d'Italia, 26 agosto 2003. URL consultato il 15 maggio 2009. ^ Gianfranco De Turris, Biografia, in Gianfranco De Turris (a cura di), Testimonianze su Evola, op. cit., p. 221. ^ Julius Evola, Fascismo e Terzo Reich, op. cit., p. 87. ^ Alain de Benoist, Julius Evola, reazionario radicale e metafisico impegnato, in Julius Evola, Gianfranco De Turris (a cura di), Gli uomini e le Rovine e Orientamenti, Roma, Mediterranee, 2001, p. 46. ^ Julius Evola, La scuola di mistica fascista. Scritti di mistica, ascesi e libertà (1940-1941), Napoli, Controcorrente, 2009. ^ Julius Evola, Il fascismo quale volontà di impero e il cristianesimo, in Critica Fascista, vol. 5, n. 24, dicembre 1927. ^ Silvio Bertoldi, Salò. Vita e morte della Repubblica Sociale Italiana, Milano, Rizzoli, 1976, p. 395. ^ Roberto Vivarelli, Fascismo e fascismi, in Nuova storia contemporanea, vol. 5, n. 1, 2001. ^ Evola stipendiato dal Duce, in Avvenire, 19 giugno 2001. ^ Marco Tarchi, Julius Evola e il fascismo: note per un percorso non ordinario, in AA.VV., Cultura e fascismo. Letteratura, arti e spettacolo di un ventennio, Firenze, Ponte alle Grazie, 1990, pp. 123-142. ^ Giuseppe Parlato, Fascismo, Nazionalsocialismo, Tradizione, in Julius Evola, Fascismo e Terzo Reich, Roma, Mediterranee, 2001, p. 15. ISBN 978-88-272-1393-3. ^ Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, op. cit., p. 246. ^ Julius Evola, Il Fascismo, saggio di un'analisi critica dal punto di vista della Destra, Volpe, Roma, 1964, p. 98. ^ Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, p. 212. ^ Pino Rauti e Rutilio Sermonti, Storia del fascismo, Roma, Centro Editoriale Nazionale, 1976, vol. 1, p. 46. ^ Giuseppe Parlato, Fascismo, Nazionalsocialismo, Tradizione, op. cit., p. 20. ^ Cfr. anche, sulla critica allo stato educatore, Julius Evola, Fascismo e Terzo Reich, op. cit., p. 113. ^ Julius Evola, Fascismo e Terzo Reich, op. cit., p. 58. ^ Julius Evola, Fascismo e Terzo Reich, op. cit., pp. 93-100. ^ Gianfranco De Turris, Nota del curatore, in Julius Evola, Fascismo e Terzo Reich, op. cit., pp. 8-9. ^ Per un elenco completo delle collaborazioni giornalistiche: Gianfranco De Turris, Biografia, in Gianfranco De Turris (a cura di), Testimonianze su Evola, op. cit., pp. 223-224. ^ Julius Evola, Il mito del sangue, Milano, Hoepli, 1937, p. 204. ^ Julius Evola, L'esposizione antiebraica di Monaco, "Il Regime fascista", 28 dicembre 1937. ^ Julius Evola, I testi del Corriere Padano, Padova, Edizioni di AR, 2002, p. 41. ^ Franco Cuomo, I Dieci. Chi erano gli scienziati italiani che firmarono il manifesto della razza, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2005, pp. 202-207. ISBN 978-88-8490-825-4. ^ Julius Evola, Il mito del sangue, op. cit., p. 241. ^ Julius Evola, Il mito del sangue, op. cit., p. 242. ^ Julius Evola, Il cammino del cinabro, op. cit., p. 84. ^ Julius Evola, Il cammino del cinabro, op. cit., p. 174. ^ (FR) Franco Rosati, Un pessimismo giustificato? Intervista a Julius Evola, in La Nation Européenne, 15 dicembre 1966. URL consultato il 6 maggio 2009 (archiviato dall'url originale il 25 dicembre 2007).  Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, 1ª ed., Torino, Einaudi, 1961, p. 447. ^ Renzo de Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1993, pp. 392-393. ^ Gianfranco De Turris (a cura di), Testimonianze su Evola, Roma, Edizioni Mediterranee, p. 224 e Vanni Scheiwiller, Note dell'editore in Julius Evola, Il cammino del cinabro, op. cit., p. 2. ^ Tale è l'opinione di un'importante testata giornalistica italiana del tempo: Il Giornale d'Italia del 20 aprile 1937 (l'articolo è firmato da Adone Nosari). Il rif. si trova in: Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, op. cit., p. 214. ^ Attilio Milano, Storia degli ebrei in Italia, Torino, Einaudi, 1992, p. 692. ^ Francesco Germinario, Razza del Sangue, razza dello Spirito. Julius Evola, l'antisemitismo e il nazionalsocialismo (1930-1943), Torino, Bollati Boringhieri, 2001. ^ Alberto Lombardo, Razza del sangue, razza dello spirito, Centro Studi La Runa. URL consultato il 2 luglio 2011. ^ Francesco Cassata, A destra del fascismo. Profilo politico di Julius Evola, Torino, Bollati Boringhieri, 2003. ^ Gianni Scipione Rossi, Il razzista totalitario. Evola e la leggenda dell'antisemitismo spirituale, Catanzaro, Rubbettino, 2007. ^ Furio Jesi, Cultura di destra, Milano, Garzanti, 1993, p. 91. ^ Guido Caldiron, Un filosofo buono per tutte le destre, in Avvenire, 29 maggio 2001 (archiviato dall'url originale il 12 maggio 2006).  Furio Jesi, op. cit., p. 97. ^ Luca Leonello Rimbotti, Linea, 14 settembre 2007, https://web.archive.org/web/20160304192759/http://www.juliusevola.it/risorse/template.asp?cod=657&cat=ART&page=3 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016). ^ Massoneria e fascismo. Dall'intesa cordiale alla distruzione delle Logge: come nasce una «guerra di religione», Castelvecchi, 2008, ISBN 9788876152290. ^ Julius Evola, Per un allineamento politico-culturale dell'Italia e della Germania, in Lo Stato, vol. 13, n. 5, maggio 1942, pp. 141-153. ^ Julius Evola, The Doctrine of Awakening, Londra, Luzac & Co., 1951. Ora in Julius Evola, The Doctrine of Awakening: The Attainment of Self-Mastery According to the Earliest Buddhist Texts, Rochester, Inner Traditions, 1996. ISBN 978-0-89281-553-1. ^ Julius Evola, Il cammino del cinabro, op. cit., p. 158. ^ Fra queste la Piccola Treccani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1995, vol. 4, p. 461. ^ Giorgio Bocca, La Repubblica di Mussolini, Roma-Bari, Editori Laterza, 1977, p. 14. ^ Bruno Zoratto (a cura di), Julius Evola nei documenti segreti dell'Ahnenerbe, Roma, Fondazione Julius Evola, 1997. ^ G. De Turris, Julius Evola. Un Filosofo in Guerra 1943-45, Milano, Mursia, 2016. ^ Julius Evola, Il cammino del cinabro, op. cit., p. 93. ^ Fondazione Julius Evola, Una biografia di Julius Evola, su fondazionejuliusevola.it. URL consultato il 29 aprile 2013. ^ Gianfranco De Turris (a cura di), Lettere di Julius Evola a Girolamo Comi (1933-1964), Roma, Fondazione Julius Evola, 1987, p. 25. ^ Francesco Carnelutti, In difesa di Giulio Evola, in L'Eloquenza, n. 11-12, 1951. ^ Julius Evola, Autodifesa, Roma, Edizioni Fondazione Julius Evola, 1976. ^ Pino Rauti, Evola: una guida per domani, in Civiltà, vol. 2, n. 8-9, 1974. ^ Gianfranco De Turris (a cura di), Elogio e difesa di Julius Evola, Roma, Mediterranee, 1985, p. 5. ^ Gianfranco De Turris (a cura di), Elogio e difesa di Julius Evola, op. cit., pp. 9-11. ^ Julius Evola, Razzismo e altri orrori (compreso il ghibellinismo), in L'Italiano, n. 5-6, 1959, p. 67. ^ Gianfranco De Turris (a cura di), Elogio e difesa di Julius Evola, op. cit., p. 118. ^ Felice Pallavicini, Evola, traditore dello spirito, in Corriere della Sera, 5 luglio 2000. URL consultato l'8 maggio 2009 (archiviato dall'url originale in data pre 1/1/2016). ^ Gianfranco De Turris (a cura di), Elogio e difesa di Julius Evola, op. cit., p. 91. ^ Pino Tosca, Il cammino della Tradizione, Rimini, Il Cerchio, 1995, pp. 51-52. ^ La via romana, Centro Studi sulle Nuove Religioni. URL consultato il 2 gennaio 2012. ^ Julius Evola, Statuto della Fondazione Julius Evola, su juliusevola.it, 1974. URL consultato il 1º maggio 2009 (archiviato dall'url originale il 25 dicembre 2007). ^ Riccardo Paradisi, Gli Arya seggono ancora al picco dell'avvoltoio, in Giovanni Conti, Evola tascabile, Roma, Settimo Sigillo, 1998, p. 25. ^ Amalia Baccelli, Ricordo dell'uomo, in Civiltà, vol. 2, n. 8-9, 1974. ^ http://www.lastampa.it/2016/01/15/edizioni/aosta/la-nostra-fuga-dagli-sul-monte-rosa-per-seppellire-le-ceneri-di-evola-OCtvBCvd8w4FQuyKGxUjLK/pagina.html ^ Julius Evola, Franco Freda (a cura di) Orientamenti - undici punti, Padova, Edizioni di Ar, 2000, p. 7. ^ Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, op. cit., p. 327. ^ Enzo Collotti, Il fascismo e gli ebrei, Bari-Roma, Laterza, 2006, p. 48. ^ Alessandro Barbera (a cura di), La biblioteca esoterica. Carteggi editoriali Evola-Croce-Laterza 1925-1959, Roma, Fondazione Julius Evola, 1997, p. 40. ^ Cesare Medail, Julius Evola: mi manda Don Benedetto, in Corriere della Sera, 11 gennaio 1996. ^ Cfr. la prefazione del testo Lettere di Julius Evola a Benedetto Croce (1925-1933) pubblicato dalla Fondazione Evola nel 1995. ^ Guglielmo Savelli, Cronache di un incontro mancato. Gli ardui rapporti tra l'attualismo e l'idealismo magico, su italiasociale.org, 2007. URL consultato il 4 maggio 2009 (archiviato dall'url originale il 29 agosto 2008). ^ Stefano Arcella, Gentile amico e nemico, "L'Italia Settimanale", 15 giugno 1994, pp. 44-46. ^ Margarete Durst, Il contributo di Julius Evola all'"Enciclopedia Italiana", in Il Veltro, vol. 17, n. 3-4, 1998, pp. 335-339. ^ Guido Calogero, Come ci si orienta nel pensiero contemporaneo?, Sansoni, Firenze, 1940, pp. 57-59. ^ Alessandro Giuli, Evola-Gentile-Spirito: tracce di un incontro impossibile, in Annali della Fondazione Ugo Spirito, vol. 9, 1997, pp. 411-442. ^ I volumi sono: Saggi sull'idealismo magico, Teoria dell'individuo assoluto, Imperialismo pagano e Fenomenologia dell'individuo assoluto. ^ Alberto Lombardo, Caro conservatore ti scrivo, su centrostudilaruna.it, 2000. URL consultato il 4 maggio 2009. ^ Si tratta del saggio Donoso Cortes in gesamteuropäischer Interpretation del 1950, poi pubblicato in Carl Schmitt, Donoso Cortés - Interpretato in una prospettiva paneuropea, Milano, Adelphi, 1995. ^ Julius Evola, Ricognizioni. Uomini e problemi, Roma, Mediterranee, 1985, p. 171. ^ Carl Schmitt, Donoso Cortés - Interpretato in una prospettiva paneuropea, op. cit., p. 107. ^ Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, op. cit., pp. 47-56. ^ Giovanni Damiano, Evola e l'utonomia del politico, Atti del convegno di studi "Julius Evola e la politica", Alatri 23-24 maggio 2008, a cura di Emiliano Di Terlizzi [2] Archiviato il 24 luglio 2011 in Internet Archive.. ^ Antonio Caracciolo, Due atteggiamenti di fronte alla modernità, in Antonio Caracciolo (a cura di), Lettere di Julius Evola a Carl Schmitt (1951-1963), Roma, Fondazione Julius Evola, 2000, p. 6. ^ Julius Evola, Erhebung wider die moderne Welte, Stoccarda, Verlags-Anstalt, 1935. ^ (DE) Gottfried Benn, Sein und Werden, in Die Literatur, n. 3, 1935. ^ Gottfried Benn, Essere e divenire, in Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, op. cit., pp. 438-444. ^ Evola, infatti, oltre a Benn, scrive a Guénon (1947), Eliade e Schmitt (1951) e Jünger (1953). ^ (FR) Giovanni Lista, Tristan Tzara et le dadaisme italien, in Europe, n. 7-8, 1975. ^ Julius Evola, Il cammino del cinabro, op. cit., pp. 23-28.  Elisabetta Valento (a cura di), Lettere di Julius Evola a Tristan Tzara (1919-1923), Roma, Fondazione Julius Evola, 1991, p. 13. ^ Elisabetta Valento (a cura di), op. cit., p. 14. Bibliografia In italiano Adriano Tilgher, Giulio Evola, in Antologia dei Filosofi Italiani del dopoguerra, Modena, Guanda, 1937. Gianfranco De Turris, Omaggio a Julius Evola per il suo LXXV compleanno, Roma, Volpe, 1973a. ISBN non esistente Gianfranco De Turris, Testimonianze su Evola, Roma, Mediterranee, 1973b. ISBN 978-88-272-0509-9. Maura Del Serra, L'avanguardia distonica del primo Evola, in Studi Novecenteschi, n. 11, 1975, pp. 129-154. Pier Luigi Aurea, Evola e il nichilismo, Palermo, Edizioni Thule, 1976. ISBN non esistente Piero Vassallo, Modernità e tradizione nell'opera evoliana, Palermo, Edizioni Thule, 1978. ISBN non esistente Philippe Baillet, Julius Evola e l'affermazione assoluta, Padova, Edizioni di Ar, 1978. ISBN non esistente Marcello Veneziani, La ricerca dell'assoluto in Julius Evola, Palermo, Edizioni Thule, 1979. ISBN non esistente Gian Franco Lami, Introduzione a Julius Evola, Roma, Volpe, 1980. ISBN non esistente Marcello Veneziani, Julius Evola tra filosofia e tradizione, Roma, Ciarrapico editore, 1984, SBN IT\ICCU\TSA\0055880. Roberto Melchionda, Il volto di Dioniso, Roma, Basaia, 1984. ISBN non esistente Giovanni Ferracuti, Julius Evola, Rimini, Il Cerchio, 1984. ISBN non esistente AA.VV. Anna Maria Jellamo, Julius Evola. Il filosofo della tradizione, in La destra radicale, Milano, Feltrinelli, 1984. ISBN non esistente Piero Di Vona, Evola e Guénon. Tradizione e Civiltà, Napoli, Società Editrice Napoletana, 1985. ISBN non esistente Marguerite Yourcenar, Incontri col Tantrismo, in Il tempo grande scultore, Torino, Einaudi, 1985, pp. 173-181. Gennaro Malgieri, Modernità e Tradizione, Roma, Settimo Sigillo, 1987. ISBN non esistente AA.VV. Tradizione e/o Nichilismo, letture e ri-letture di "Cavalcare la tigre", 1988, Milano, Società Editrice Barbarossa. ISBN non esistente Antimo Negri, Julius Evola e la filosofia, Milano, Spirali, 1988. ISBN 978-88-7770-209-8.a filosofi Luca Lo Bianco, Evola, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 43, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1993, p. 575. ISBN non esistente Marco Fraquelli, Il filosofo proibito, tradizione e reazione nell'opera di Julius Evola, Milano, Terziaria, 1994a. ISBN non esistente Pablo Echaurren, Evola in Dada, Roma, Settimo Sigillo, 1994. ISBN non esistente Gianfranco De Turris, Adolfo Morganti;, Julius Evola, mito, azione, civiltà, Rimini, Il Cerchio, 1994. ISBN 978-88-86583-10-7. Elisabetta Valento, Homo Faber, Julius Evola fra arte e alchimia, Roma, Fondazione Julius Evola, 1994d. ISBN non esistente Renato Del Ponte, Evola e il magico "Gruppo di UR", Borzano, SeaR, 1994. ISBN non esistente Sandro Consolato, Julius Evola e il buddismo, Borzano, SeaR, 1995. ISBN non esistente AA.VV. Delle rovine ed oltre, saggi su Julius Evola, 1995, Roma, A. Pellicani. ISBN non esistente Gianfranco De Turris, Elogio e difesa di Julius Evola, il Barone e i terroristi, Roma, Mediterranee, 1997. ISBN 978-88-272-0456-6. Adriano Romualdi, Su Evola, Roma, Fondazione Julius Evola, 1998. ISBN non esistente Giovanni Damiano, La filosofia della libertà di Julius Evola, Padova, Edizioni di Ar, 1998. ISBN non esistente Gigi Montonato, Comi-Evola. Un rapporto ai margini del fascismo, Lecce, Congedo, 2000. ISBN 978-88-8086-355-7. Beniamino Di Dario, La via romana al Divino. Julius Evola e la religione romana, Padova, Edizioni di Ar, 2001. ISBN non esistente Francesco Germinario, Razza del sangue, razza dello spirito, Torino, Bollati Boringhieri, 2001. ISBN 978-88-339-1301-8. Patricia Chiantera Stutte, Julius Evola. Dal dadaismo alla rivoluzione conservatrice (1919-1940), Roma, Aracne, 2002. ISBN 978-88-7999-317-3. Francesco Cassata, A destra del fascismo. Profilo politico di Julius Evola, Torino, Bollati Boringhieri, 2003. ISBN 978-88-339-1498-5. Giovanni Damiano (a cura di), L'ora che viene. Intorno a Evola e a Spengler, Padova, Edizioni di Ar, 2004. ISBN non esistente Sandro Consolato, Julius Evola trentanni dopo, Roma, I libri del Graal, 2004. ISBN non esistente Vitaldo Conte, Julius Evola. Arte come alchimia, mistica, biografia, Reggio Calabria, Iriti, 2005. ISBN 978-88-87935-97-4. Thomas Dana, Julius Evola e la tentazione razzista, Mesagne, Sulla rotta del sole, 2006. ISBN 978-88-88456-33-1. Alberto Lombardo, Evola, gli evoliani e gli antievoliani, Roma, Nuove Idee, 2006. ISBN 978-88-7557-183-2. Gianfranco De Turris, Esoterismo e fascismo, Roma, Mediterranee, 2006. ISBN 88-272-1831-9. Hans Thomas Hakl, La questione dei rapporti fra Julius Evola e Aleister Crowley, in Arthos, n. 13, 2006, pp. 269-289. Gianni Scipione Rossi, Il razzista totalitario, Catanzaro, Rubbettino, 2007. ISBN 978-88-498-1683-9. Marco Iacona, Il maestro della tradizione. Dialoghi su Julius Evola, Napoli, Controcorrente, 2008. ISBN 88-89015-68-3. Alessandra Tarquini, Il Gentile dei fascisti, Bologna, Il Mulino, 2009. ISBN 978-88-15-12817-1. Marco Iacona, Julius Evola e le vicende processuali legate ai Far (1951-54), in Nuova Storia Contemporanea, vol. 3, n. 13, 2009. Fabio Venzi, Julius Evola e la libera muratoria, Roma, Settimo Sigillo, 2010. ISBN 978-88-61-48081-0. Gianfranco De Turris, Julius Evola. Un filosofo in guerra 1943 1945, Milano, Ugo Mursia Editore, 2016, ISBN 978-88-425-5675-6. Rene Guenon, Lettere a Julius Evola, edizioni Arktos, 2005 AA.VV.,Heliodromos, n. 6 Nuova Serie, 1995 - Speciale Evola, Catania In altre lingue (FR) Christophe Boutin, Politique et tradition: Julius Evola dans le siecle, 1898-1974, Editions Kime, 1992. ISBN 978-2-908212-15-0. (FR) Jean-Paul Lippi, Julius Evola, metaphysicien et penseur politique: Essai d'analyse structurale, Éditions L'Âge d'Homme, 1998. ISBN 978-2-8251-1125-3. (FR) Jean-Paul Lippi, Julius Evola: qui suis-je?, Pardès, 1999. ISBN 978-2-86714-183-6. (FR) Hans Thomas Hakl, Julius Evola et la "révolution conservatrice" allemande, Deux Etendards, 2002. (sotto lo pseudonimo di H.T. Hansen) (ES) Marta Monedero, Evola, Libros en Red, 2004. ISBN 978-987-561-069-9. (EN) Mark Sedgwik, Against the Modern World: Traditionalism and the Secret Intellectual History of the Twentieth Century, Oxford, Oxford University Press, 2004. ISBN 978-0-19-515297-5. (EN) Paul Furlong, Social and Political Thought of Julius Evola (Extremism and Democracy), London, Routledge, 2011. ISBN 978-0-41558-968-0. Documentari Dalla Trincea a Dada (2006) di Maurizio Murelli. DVD pubblicato nel 2006 dalla Società Editrice Barbarossa di Milano, della durata di 101 min., che ripercorre il periodo artistico di Evola. Con musiche di: Ain Soph, Kaiserbund, Roma, Wien, Zetazeroalfa.  Voci correlate Arte e cultura Avanguardia Dadaismo Futurismo Gruppo di Ur Idealismo magico Rivoluzione conservatrice Sturm und Drang Autori e pensatori tradizionali Johann Jakob Bachofen René Guénon Pio Filippani Ronconi Ernst Jünger Friedrich Nietzsche José Ortega y Gasset Arturo Reghini Giulio Parise Carl Schmitt Oswald Spengler Otto Weininger Filosofia Anticattolicesimo Esistenzialismo Idealismo Illuminismo Metafisica Neopaganesimo Neoplatonismo Pitagorismo Tradizionalismo Religione Buddhismo Cattolicesimo Cristianesimo Induismo Paganesimo Tantrismo Taoismo Via romana agli dei Storia Fascismo Nazismo Prima guerra mondiale Rivoluzione francese Seconda guerra mondiale Teoria della razza Antisemitismo Darwinismo Ebrei Protocolli dei savi di Sion Razzismo Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Julius Evola Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Julius Evola Collegamenti esterni Sito ufficiale, su fondazionejuliusevola.it. Modifica su Wikidata Julius Evola, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Julius Evola, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Julius Evola, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Julius Evola, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Bibliografia italiana di Julius Evola, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com. Modifica su Wikidata Siti web italiani Julius Evola sito non ufficiale, su juliusevola.it. URL consultato il 29 dicembre 2012 (archiviato dall'url originale il 14 novembre 2012). Rigenerazionevola, su rigenerazionevola.it Centro Studi La Runa, su centrostudilaruna.it. URL consultato il 29 dicembre 2012. Siti web in altre lingue (DE) Im Geist der Tradition, su juliusevola.de. URL consultato il 29 dicembre 2012. (EN) Traditionalist visionary, su juliusevola.com. URL consultato il 29 dicembre 2012. Approfondimenti biografici Gianfranco De Turris, Julius Evola, su fondazionejuliusevola.it. URL consultato il 29 dicembre 2012. Julius Evola: biografia essenziale, su juliusevola.it. URL consultato il 29 dicembre 2012 (archiviato dall'url originale il 1º luglio 2012). Giuseppe Vatinno, Julius Evola, un filosofo scomodo per tutti, su fondazionejuliusevola.it. URL consultato il 29 dicembre 2012. Approfondimenti sul pensiero Francesco Rosati, Intervista a Julius Evola, su juliusevola.it, 1967. URL consultato il 29 dicembre 2012 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016). Giovanni Monastra, Julius Evola tra le seduzioni del razzismo e la ricerca di una antropologia aristocratica durante il fascismo, su juliusevola.it. URL consultato il 29 dicembre 2012 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016). Curzio Nitoglia, Le teorie evoliane dal punto di vista della tradizione cattolica, su doncurzionitoglia.com, 1994. URL consultato il 29 dicembre 2012. Michele Ognissanti, Luci ed ombre su Evola, su salpan.org, 1999. URL consultato il 29 dicembre 2012. Alberto Lombardo, Da Rivolta contro il mondo moderno a Gli uomini e le rovine. Julius Evola 1934-1951, su centrostudilaruna.it, 2000. URL consultato il 29 dicembre 2012. Giuseppe Vatinno, Julius Evola: un filosofo scomodo per tutti, su juliusevola.it, 2004. URL consultato il 29 dicembre 2012 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016). Mario Polia, Linee per una critica al concetto di Tradizione in Julius Evola, su juliusevola.it, 2005. URL consultato il 29 dicembre 2012 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016). Giano Accame, Evola e la Konservative Revolution, su centrostudilaruna.it, 2006. URL consultato il 29 dicembre 2012. Luca Lionello Rimbotti, Evola così com'era [collegamento interrotto], su juliusevola.it, 2007. URL consultato il 29 dicembre 2012. Vitaldo Conte, Maschere di Evola come percorso controcorrente (PDF), su politicamente.net, 2008. URL consultato il 29 dicembre 2012 (archiviato dall'url originale il 30 ottobre 2012). Aleksandr Dugin, Astrazione e differenziazione in Julius Evola, su ereticamente.net, 2019. URL consultato il 20 agosto 2019. Approfondimenti su Evola artista Alcune opere dadaiste di Julius Evola, su futur-ism.it. URL consultato il 29 dicembre 2012. Julius Evola [collegamento interrotto], su artericerca.it. URL consultato il 29 dicembre 2012. Interviste Intervista a Julius Evola, su youtube.com. URL consultato il 29 dicembre 2012. Intervista a Salvatore Tringali, su youtube.com, 2005. URL consultato il 29 dicembre 2012. Intervista a Gian Franco Lami, su youtube.com, 2008. URL consultato il 29 dicembre 2012. Quando Evola intervistò il conte Kalergi, su rigenrazioneevola.it Controllo di autorità VIAF (EN) 66462101 · ISNI (EN) 0000 0001 1856 2907 · SBN IT\ICCU\CFIV\010823 · Europeana agent/base/62967 · LCCN (EN) n50010889 · GND (DE) 119395835 · BNF (FR) cb118862590 (data) · BNE (ES) XX891255 (data) · ULAN (EN) 500073539 · NLA (EN) 49860148 · BAV (EN) 495/16058 · WorldCat Identities (EN) lccn-n50010889 Arte Portale Arte Biografie Portale Biografie Fascismo Portale Fascismo Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloPittori italiani del XX secoloPoeti italiani del XX secoloNati nel 1898Morti nel 1974Nati il 19 maggioMorti l'11 giugnoNati a RomaMorti a RomaAntisemitismoIdealistiEsoteristi italianiMassoniScrittori italiani del XX secoloPersonalità dell'Italia fascistaPersonalità del neofascismoOrientalisti italianiSepolti nel cimitero del VeranoNeopaganesimo in ItaliaAnticomunisti italiani[altre]. Refs.: Luigi Speranza, "Grice ed Evola," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

Eubulides’s paradox -- sorites: an argument consisting of categorical propositions that can be represented as or decomposed into a sequence of categorical syllogisms such that the conclusion of each syllogism except the last one in the sequence is a premise of the next syllogism in the sequence. An example is ‘All cats are felines; all felines are mammals; all mammals are warm-blooded animals; therefore, all cats are warm-blooded animals’. This sorites may be viewed as composed of the two syllogisms ‘All cats are felines; all felines are mammals; therefore, all cats are mammals’ and ‘All cats are mammals; all mammals are warm-blooded animals; therefore, all cats are warm-blooded animals’. A sorites is valid if and only if each categorical syllogism into which it decomposes is valid. In the example, the sorites decomposes into two syllogisms in the mood Barbara; since any syllogism in Barbara is valid, the sorites is valid. Then there is the sorites paradox from Grecian soros, ‘heap’, any of a number of paradoxes about heaps and their Sorel, Georges sorites paradox 864   864 elements, and more broadly about gradations. A single grain of sand cannot be arranged so as to form a heap. Moreover, it seems that given a number of grains insufficient to form a heap, adding just one more grain still does not make a heap. If a heap cannot be formed with one grain, it cannot be formed with two; if a heap cannot be formed with two, it cannot be formed with three; and so on. But this seems to lead to the absurdity that however large the number of grains, it is not large enough to form a heap. A similar paradox can be developed in the opposite direction. A million grains of sand can certainly be arranged so as to form a heap, and it is always possible to remove a grain from a heap in such a way that what is left is also a heap. This seems to lead to the absurdity that a heap can be formed even from just a single grain. These paradoxes about heaps were known in antiquity they are associated with Eubulides of Miletus, fourth century B.C., and have since given their name to a number of similar paradoxes. The loss of a single hair does not make a man bald, and a man with a million hairs is certainly not bald. This seems to lead to the absurd conclusion that even a man with no hairs at all is not bald. Or consider a long painted wall hundreds of yards or hundreds of miles long. The left-hand region is clearly painted red, but there is a subtle gradation of shades and the right-hand region is clearly yellow. A small double window exposes a small section of the wall at any one time. It is moved progressively rightward, in such a way that at each move after the initial position the left-hand segment of the window exposes just the area that was in the previous position exposed by the right-hand segment. The window is so small relative to the wall that in no position can you tell any difference in color between the exposed areas. When the window is at the extreme left, both exposed areas are certainly red. But as the window moves to the right, the area in the right segment looks just the same color as the area in the left, which you have already pronounced to be red. So it seems that one must call it red too. But then one is led to the absurdity of calling a clearly yellow area red. As some of these cases suggest, there is a connection with dynamic processes. A tadpole turns gradually into a frog. Yet if you analyze a motion picture of the process, it seems that there are no two adjacent frames of which you can say the earlier shows a tadpole, the later a frog. So it seems that you could argue: if something is a tadpole at a given moment, it must also be a tadpole and not a frog a millionth of a second later, and this seems to lead to the absurd conclusion that a tadpole can never turn into a frog. Most responses to this paradox attempt to deny the “major premise,” the one corresponding to the claim that if you cannot make a heap with n grains of sand then you cannot make a heap with n ! 1. The difficulty is that the negation of this premise is equivalent, in classical logic, to the proposition that there is a sharp cutoff: that, e.g., there is some number n of grains that are not enough to make a heap, where n ! 1 are enough to make a heap. The claim of a sharp cutoff may not be so very implausible for heaps perhaps for things like grains of sand, four is the smallest number which can be formed into a heap but is very implausible for colors and tadpoles. There are two main kinds of response to sorites paradoxes. One is to accept that there is in every such case a sharp cutoff, though typically we do not, and perhaps cannot, know where it is. Another kind of response is to evolve a non-classical logic within which one can refuse to accept the major premise without being committed to a sharp cutoff. At present, no such non-classical logic is entirely free of difficulties. So sorites paradoxes are still taken very seriously by contemporary philosophers. The heap was one of the four known paradoxes by Eubulides. Refs.: Grice, “Eubulides, and solving his paradoxes.”

EX-DVCTVM -- eductum: eduction, the process of initial clarification, as of a phenomenon, text, or argument, that normally takes place prior to logical analysis. Out of the flux of vague and confused experiences certain characteristics are drawn into some kind of order or intelligibility in order that attention can be focused on them Aristotle, Physics I. These characteristics often are latent, hidden, or implicit. The notion often is used with reference to texts as well as experience. Thus it becomes closely related to exegesis and hermeneutics, tending to be reserved for the sorts of clarification that precede formal or logical analyses. 

EX-FECTVM -- effectum: causa efficiencis -- effective procedure for the generation of a conversational implicaturum --, a step-by-step recipe for computing the values of a function. It determines what is to be done at each step, without requiring any ingenuity of anyone or any machine executing it. The input and output of the procedure consist of items that can be processed mechanically. Idealizing a little, inputs and outputs are often taken to be strings on a finite alphabet. It is customary to extend the notion to procedures for manipulating natural numbers, via a canonical notation. Each number is associated with a string, its numeral. Typical examples of effective procedures are the standard grade school procedures for addition, multiplication, etc. One can execute the procedures without knowing anything about the natural numbers. The term ‘mechanical procedure’ or ‘algorithm’ is sometimes also used. A function f is computable if there is an effective procedure A that computes f. For every m in the domain of f, if A were given m as input, it would produce fm as output. Turing machines are mathematical models of effective procedures. Church’s thesis, or Turing’s thesis, is that a function is computable provided there is a Turing machine that computes it. In other words, for every effective procedure, there is a Turing machine that computes the same function. 

EX-HIBITVM -- inhibitium/exhibitum distinction, the: exhibitum: Grice: “For one, I will introduce a pair of not really antonyms: the exhibitive and not the inhibitive, but the protreptic.” Grice contrasts this with the protrepticum – A piece of a communicatum is an exhitibum if it is a communication-device for the emisor to display his psychological attitude. It is protrepticum if the emisor intends the sendee to entertain a state other than the uptake – i. e. form a volition to close the door, for how else will he comply with the order in the imperative modeprotrepticum: the opposite of the exhibitium.

EX-MISSVM -- emissum: emissor. A construction out of ex- and ‘missum,’ cf. Grice on psi-trans-mis-sion. Grice’s utterer, but turned Griceian, To emit, to translate some Gricism or other. Cf. proffer.  emissum. emissor-emissum distinction. Frequently ignored by Austin. Grice usually formulates it ‘roughly.’ Strawson for some reason denied the reducibility of the emissum to the emissor. Vide his footnote in his Inaugural lecture at Oxford. it is a truth implicitly acknowledged by communication theorists themselves -- this acknowledgement is is certainly implicit in Grice's distinction between what speakers actually say, in a favored sense of 'say', and what they imply (see "Utterer's Meaning, SentenceMeaning and Word-Meaning," in Foundations of Language, 1968) -- that in almost all the things we should count as sentences there is a substantial central core of meaning which is explicable either in terms of truth-conditions or in terms of some related notion quite simply derivable from that of a truth-condition, for example the notion, as we might call it, of a compliance condition in the case of an imperative sentence or a fulfillment-condition in the case of an optative. If we suppose, therefore, that an account can be given of the notion of a truthcondition itself, an account which is indeed independent of reference to communicationintention, then we may reasonably think that the greater part of the task of a general theory of meaning has been accomplished without such reference. So let us see if we can rephrase the distinction for a one-off predicament. By drawing a skull, Blackburn communicates to his fellow Pembrokite that there is danger around. The proposition is ‘There is danger around’. Of the claims, one is literal; the other metabolical. Blackburn means that there is danger around. Blackburn communicates that there is danger around, possibly leading to death. The emissum, Blackburn’s drawing of the skull ‘means’ that there is danger around. Since the fact that Blackburn communicates that p is diaphanous, we have yet another way of posing the distinction: Blackburn communicates that there is danger around. What is communicated by Blackburn – his emissum – is true. Note that in this diaphanous change from ‘Blackburn communicates that there is danger around’ and ‘What Blackburn communicates, viz. that there is danger around, is true’ we have progressed quite a bit. There are ways of involving ‘true’ in the first stage. Blackburn communicates that there is danger around, and he communicates something true. In the classical languages, this is done in the accusative case. emissum. emit. V. emissor. A good verb used by Grice. It gives us ‘emitter, and it is more Graeco-Roman than his ‘utterer,’ which Cicero would think a barbarism.

EX-MOTVM -- emotum: the emotum, the motum. Grice enjoyed a bit of history of philosophy. Cf. conatum. And Urmson’s company helped. Urmson produced a brilliant study of the ‘emotive’ theory of ethics, which is indeed linguistic and based on Ogden. Diog. Laert. of Zeno of Citium. πρὸς τὸν εἰπόντα, "πολλοί σου καταγελῶσιν," "ἀλλ ἐγώ," ἔφη, "οὐ κατα- γελῶμαι; to the question, who is a friend?, Zeno’s answer is, ‘a second self (alter ego). One direct way to approach friend is via emotion, as Aristotle did, and found it aporetic as did Grice. Aristotle discusses philia in Eth. Nich. but it is in Rhet. where he allows for phulia to be an emotion. Grice was very fortunate to have Hardie as his tutor. He overused Hardies lectures on Aristotle, too, and instilled them on his own tutees! Grice is concerned with the rather cryptic view by Aristotle of the friend (philos, amicus) as the alter ego. In Grices cooperative, concerted, view of things, a friend in need is a friend indeed! Grice is interested in Aristotle finding himself in an aporia. In Nicomachean Ethics IX.ix, Aristotle poses the question whether the happy man will need friends or not. Kosman correctly identifies this question as asking not whether friends are necessary in order to achieve eudæmonia, but why we require friends even when we are happy. The question is not why we need friends to become happy, but why we need friends when we are happy, since the eudæmon must be self-sufficient. Philia is required for the flourishing of the life of practical virtue. The solution by Aristotle to the aporia here, however, points to the requirement of friendships even for the philosopher, in his life of theoretical virtue. The olution by Aristotle to the aporia in Nicomachean Ethics IX.ix is opaque, and the corresponding passage in Eudeiman Ethics VII.xii is scarcely better. Aristotle thinks he has found the solution to this aporia. We must take two things into consideration, that life is desirable and also that the good is, and thence that it is desirable that such a nature should belong to oneself as it belongs to them. If then, of such a pair of corresponding s. there is always one s. of the desirable, and the known and the perceived are in general constituted by their participation in the nature of the determined, so that to wish to perceive ones self is to wish oneself to be of a certain definite character,—since, then we are not in ourselves possessed of each such characters, but only in participation in these qualities in perceiving and knowing—for the perceiver becomes perceived in that way in respect in which he first perceives, and according to the way in which and the object which he perceives; and the knower becomes known in the same way— therefore it is for this reason that one always desires to live, because one always desires to know; and this is because he himself wishes to be the object known. emotion, as conceived by philosophers and psychologists, any of several general types of mental states, approximately those that had been called “passions” by earlier philosophers, such as Descartes and Hume. Anger, e.g., is one emotion, fear a second, and joy a third. An emotion may also be a content-specific type, e.g., fear of an earthquake, or a token of an emotion type, e.g., Mary’s present fear that an earthquake is imminent. The various states typically classified as emotions appear to be linked together only by overlapping family resemblances rather than by a set of necessary and sufficient conditions. Thus an adequate philosophical or psychological “theory of emotion” should probably be a family of theories. Even to label these states “emotions” wrongly suggests that they are all marked by emotion, in the older sense of mental agitation a metaphorical extension of the original sense, agitated motion. A person who is, e.g., pleased or sad about something is not typically agitated. To speak of anger, fear, joy, sadness, etc., collectively as “the emotions” fosters the assumption which James said he took for granted that these are just qualitatively distinct feelings of mental agitation. This exaggerates the importance of agitation and neglects the characteristic differences, noted by Aristotle, Spinoza, and others, in the types of situations that evoke the various emotions. One important feature of most emotions is captured by the older category of passions, in the sense of ‘ways of being acted upon’. In many lanemotion emotion 259   259 guages nearly all emotion adjectives are derived from participles: e.g., the English words ‘amused’, ‘annoyed’, ‘ashamed’, ‘astonished’, ‘delighted’, ‘embarrassed’, ‘excited’, ‘frightened’, ‘horrified’, ‘irritated’, ‘pleased’, ‘terrified’, ‘surprised’, ‘upset’, and ‘worried’. When we are, e.g., embarrassed, something acts on us, i.e., embarrasses us: typically, some situation or fact of which we are aware, such as our having on unmatched shoes. To call embarrassment a passion in the sense of a way of being acted upon does not imply that we are “passive” with respect to it, i.e., have no control over whether a given situation embarrasses us and thus no responsibility for our embarrassment. Not only situations and facts but also persons may “do” something to us, as in love and hate, and mere possibilities may have an effect on us, as in fear and hope. The possibility emotions are sometimes characterized as “forward-looking,” and emotions that are responses to actual situations or facts are said to be “backward-looking.” These temporal characterizations are inaccurate and misleading. One may be fearful or hopeful that a certain event occurred in the past, provided one is not certain as to whether it occurred; and one may be, e.g., embarrassed about what is going to occur, provided one is certain it will occur. In various passions the effect on us may include involuntary physiological changes, feelings of agitation due to arousal of the autonomic nervous system, characteristic facial expressions, and inclinations toward intentional action or inaction that arise independently of any rational warrant. Phenomenologically, however, these effects do not appear to us to be alien and non-rational, like muscular spasms. Rather they seem an integral part of our perception of the situation as, e.g., an embarrassing situation, or one that warrants our embarrassment.  emotive conjugation: I went to Oxford; you went to Cambridge; he went to the London School of Economics”: a humorous verbal conjugation, designed to expose and mock first-person bias, in which ostensibly the same action is described in successively more pejorative terms through the first, second, and third persons e.g., “I am firm, You are stubborn, He is a pig-headed fool”. This example was used by Russell in the course of a BBC Radio “Brains’ Trust” discussion. It was popularized later that year when The New Statesman ran a competition for other examples. An “unprecedented response” brought in 2,000 entries, including: “I am well informed, You listen to gossip, He believes what he reads in the paper”; and “I went to Oxford, You went to Cambridge, He went to the London School of Economics” Russell was educated at Cambridge and later taught there.  -- emotivism, a noncognitivist metaethical view opposed to cognitivism, which holds that moral judgments should be construed as assertions about the moral properties of actions, persons, policies, and other objects of moral assessment, that moral predicates purport to refer to properties of such objects, that moral judgments or the propositions that they express can be true or false, and that cognizers can have the cognitive attitude of belief toward the propositions that moral judgments express. Noncognitivism denies these claims; it holds that moral judgments do not make assertions or express propositions. If moral judgments do not express propositions, the former can be neither true nor false, and moral belief and moral knowledge are not possible. The emotivist is a noncognitivist who claims that moral judgments, in their primary sense, express the appraiser’s attitudes  approval or disapproval  toward the object of evaluation, rather than make assertions about the properties of that object. Because emotivism treats moral judgments as the expressions of the appraiser’s pro and con attitudes, it is sometimes referred to as the boohurrah theory of ethics. Emotivists distinguish their thesis that moral judgments express the appraiser’s attitudes from the subjectivist claim that they state or report the appraiser’s attitudes the latter view is a form of cognitivism. Some versions of emotivism distinguish between this primary, emotive meaning of moral judgments and a secondary, descriptive meaning. In its primary, emotive meaning, a moral judgment expresses the appraiser’s attitudes toward the object of evaluation rather than ascribing properties to that object. But secondarily, moral judgments refer to those non-moral properties of the object of evaluation in virtue of which the appraiser has and expresses her attitudes. So if I judge that your act of torture is wrong, my judgment has two components. Its primary, emotive sense is to express my disapproval of your act. Its secondary, descriptive sense is to denote those non-moral properties of your act upon which I base my disapproval. These are presumably the very properties that make it an act of torture  roughly, a causing of intense pain in order to punish, coerce, or afford sadistic pleasure. By making emotive meaning primary, emotivists claim to preserve the univocity of moral language between speakers who employ different criteria of application for their moral terms. Also, by stressing the intimate connection between moral judgment and the agent’s non-cognitive attitudes, emotivists claim to capture the motivational properties of moral judgment. Some emotivists have also attempted to account for ascriptions of truth to moral judgments by accepting the redundancy account of ascriptions of truth as expressions of agreement with the original judgment. The emotivist must think that such ascriptions of truth to moral judgments merely reflect the ascriber’s agreement in noncognitive attitude with the attitude expressed by the original judgment. Critics of emotivism challenge these alleged virtues. They claim that moral agreement need not track agreement in attitude; there can be moral disagreement without disagreement in attitude between moralists with different moral views, and disagreement in attitude without moral disagreement between moralists and immoralists. By distinguishing between the meaning of moral terms and speakers’ beliefs about the extension of those terms, critics claim that we can account for the univocity of moral terms in spite of moral disagreement without introducing a primary emotive sense for moral terms. Critics also allege that the emotivist analysis of moral judgments as the expression of the appraiser’s attitudes precludes recognizing the possibility of moral judgments that do not engage or reflect the attitudes of the appraiser. For instance, it is not clear how emotivism can accommodate the amoralist  one who recognizes moral requirements but is indifferent to them. Critics also charge emotivism with failure to capture the cognitive aspects of moral discourse. Because emotivism is a theory about moral judgment or assertion, it is difficult for the emotivist to give a semantic analysis of moral predicates in unasserted contexts, such as in the antecedents of conditional moral judgments e.g., “If he did wrong, then he ought to be punished”. Finally, one might want to recognize the truth of some moral judgments, perhaps in order to make room for the possibility of moral mistakes. If so, then one may not be satisfied with the emotivist’s appeal to redundancy or disquotational accounts of the ascription of truth. Emotivism was introduced by Ayer in Language, Truth, and Logic 2d ed., 6 and refined by C. L. Stevenson in Facts and Values 3 and Ethics and Language 4.  Refs.: Luigi Speranza, “Croce, Collingwood, and Grice on the expression of emotion” -- There is an essay on “Emotions and akrasia,” but the topic is scattered in various places, such as Grice’s reply to Davidson on intending. Grice has an essay on ‘Kant and friendship,’ too, The H. P. Grice Papers, BANC.

EX-PERITVM -- Experitum – ex-peri – In Roman, ex- preferred, in Grecian, im-preferred, ex-pĕrĭor , pertus ( I.act. experiero, Varr. L. L. 8, 9, 24 dub.), 4, v. dep. a. [ex- and root per-; Sanscr. par-, pi-parmi, conduct; Gr. περάω, pass through; πόρος, passage; πεῖρα, experience; Lat. porta, portus, peritus, periculum; Germ. fahren, erfahren; Eng. fare, ferry], to try a thing; viz., either by way of testing or of attempting it. I. To try, prove, put to the test. A. In tempp. praes. constr. with the acc., a rel. clause, or absol. (α). With acc.: “habuisse aiunt domi (venenum), vimque ejus esse expertum in servo quodam ad eam rem ipsam parato,” Cic. Cael. 24, 58: “taciturnitatem nostram,” id. Brut. 65, 231: “amorem alicujus,” id. Att. 16, 16, C, 1: “his persuaserant, uti eandem belli fortunam experirentur,” Caes. B. G. 2, 16, 3: “judicium discipulorum,” Quint. 2, 5, 12: “in quo totas vires suas eloquentia experiretur,” id. 10, 1, 109: “imperium,” Liv. 2, 59, 4: “cervi cornua ad arbores subinde experientes,” Plin. 8, 32, 50, § 117 et saep.— “With a personal object: vin' me experiri?” make trial of me, Plaut. Merc. 4, 4, 29: “hanc experiamur,” Ter. Hec. 5, 2, 12 Ruhnk.: “tum se denique errasse sentiunt, cum eos (amicos) gravis aliquis casus experiri cogit,” Cic. Lael. 22, 84: “in periclitandis experiendisque pueris,” id. Div. 2, 46, 97.—So with se. reflex., to make trial of one's powers in any thing: “se heroo (versu),” Plin. Ep. 7, 4, 3 variis se studiorum generibus, id. ib. 9, 29, 1: “se in foro,” Quint. 12, 11, 16.— (β). With a rel.-clause, ut, etc.: vosne velit an me regnare era quidve ferat Fors, Virtute experiamur, Enn. ap. Cic. Off. 1, 12, 38 (Ann. v. 204, ed. Vahl.): “lubet experiri, quo evasuru'st denique,” Plaut. Trin. 4, 2, 93: “experiri libet, quantum audeatis,” Liv. 25, 38, 11; cf. Nep. Alcib. 1, 1: “in me ipso experior, ut exalbescam, etc.,” Cic. de Or. 1, 26, 121; cf. with si: “expertique simul, si tela artusque sequantur,” Val. Fl. 5, 562.— (γ). Absol.: “experiendo magis quam discendo cognovi,” Cic. Fam. 1, 7, 10: “judicare difficile est sane nisi expertum: experiendum autem est in ipsa amicitia: ita praecurrit amicitia judicium tollitque experiendi potestatem,” id. Lael. 17, 62.— B. In the tempp. perf., to have tried, tested, experienced, i. e. to find or know by experience: “benignitatem tuam me experto praedicas,” Plaut. Merc. 2, 2, 18: “omnia quae dico de Plancio, dico expertus in nobis,” Cic. Planc. 9, 22: “experti scire debemus, etc.,” id. Mil. 26, 69: “illud tibi expertus promitto,” id. Fam. 13, 9, 3: “dicam tibi, Catule, non tam doctus, quam, id quod est majus, expertus,” id. de Or. 2, 17, 72: “puellae jam virum expertae,” Hor. C. 3, 14, 11; 4, 4, 3; cf. Quint. 6, 5, 7: “mala captivitatis,” Sulp. Sev. 2, 22, 5: “id opera expertus sum esse ita,” Plaut. Bacch. 3, 2, 3: “expertus sum prodesse,” Quint. 2, 4, 13: “expertus, juvenem praelongos habuisse sermones,” id. 10, 3, 32: “ut frequenter experti sumus,” id. 1, 12, 11.— “Rarely in other tenses: et exorabile numen Fortasse experiar,” may find, Juv. 13, 103.— C. To make trial of, in a hostile sense, to measure strength with, to contend with: “ut interire quam Romanos non experiri mallet,” Nep. Ham. 4, 3: “maritimis moribus mecum experitur,” Plaut. Cist. 2, 1, 11: “ipsi duces cominus invicem experti,” Flor. 3, 21, 7; 4, 10, 1; cf.: “hos cum Suevi, multis saepe bellis experti, finibus expellere non potuissent,” Caes. B. G. 4, 3, 4: “Turnum in armis,” Verg. A. 7, 434. II. To undertake, to attempt, to make trial of, undergo, experience a thing. A. In gen.: “qui desperatione debilitati experiri id nolent, quod se assequi posse diffidant. Sed par est omnes omnia experiri, qui, etc.,” Cic. Or. 1, 4; cf.: “istuc primum experiar,” Plaut. Truc. 2, 7, 47: “omnia experiri certum est, priusquam pereo,” Ter. And. 2, 1, 11: “omnia prius quam, etc.,” Caes. B. G. 7, 78, 1: “extrema omnia,” Sall. C. 26, 5; cf. “also: sese omnia de pace expertum,” Caes. B. C. 3, 57, 2: “libertatem,” i. e. to make use of, enjoy, Sall. J. 31, 5: “late fusum opus est et multiplex, etc. ... dicere experiar,” Quint. 2, 13, 17: “quod quoniam me saepius rogas, aggrediar, non tam perficiundi spe quam experiundi voluntate,” Cic. Or. 1, 2.—With ut and subj.: “nunc si vel periculose experiundum erit, experiar certe, ut hinc avolem,” Cic. Att. 9, 10, 3: “experiri, ut sine armis propinquum ad officium reduceret,” Nep. Dat. 2, 3.— B. In partic., jurid. t. t., to try or test by law, to go to law: “aut intra parietes aut summo jure experietur,” Cic. Quint. 11, 38; cf.: “in jus vocare est juris experiundi causa vocare,” Dig. 2, 4, 1; 47, 8, 4: “a me diem petivit: ego experiri non potui: latitavit,” Cic. Quint. 23, 75; Liv. 40, 29, 11: “sua propria bona malaque, cum causae dicendae data facultas sit, tum se experturum,” Liv. 3, 56, 10: “postulare ut judicium populi Romani experiri (liceat),” id. ib.—Hence, 1. expĕrĭens , entis, P. a. (acc. to II.), experienced, enterprising, active, industrious (class.): “homo gnavus et industrius, experientissimus ac diligentissimus arator,” Cic. Verr. 2, 3, 21, § 53: “promptus homo et experiens,” id. ib. 2, 4, 17, § “37: vir fortis et experiens,” id. Clu. 8, 23: “vir acer et experiens,” Liv. 6, 34, 4: “comes experientis Ulixei,” Ov. M. 14, 159: “ingenium,” id. Am. 1, 9, 32. —With gen.: “genus experiens laborum,” inured to, patient of, Ov. M. 1, 414: “rei militaris experientissimi duces,” Arn. 2, 38 init.; cf. Vulg. 2 Macc. 8, 9.—Comp. appears not to occur.— 2. expertus , a, um, P. a. (acc. to I.), in pass. signif., tried, proved, known by experience (freq. after the Aug. per.): “vir acer et pro causa plebis expertae virtutis,” Liv. 3, 44, 3: “per omnia expertus,” id. 1, 34, 12: “indignitates homines expertos,” id. 24, 22, 2: “dulcedo libertatis,” id. 1, 17, 3: “industria,” Suet. Vesp. 4: “artes,” Tac. A. 3, 17: saevitia, Prop. 1, 3, 18: “confidens ostento sibi expertissimo,” Suet. Tib. 19.—With gen.: “expertos belli juvenes,” Verg. A. 10, 173; cf. Tac. H. 4, 76.—Comp. and adv. appear not to occur. Empeireia – experiential -- empiricism: One of Grice’s twelve labours -- Condillac, Étienne Bonnot de, philosopher, an empiricist who was considered the great analytical mind of his generation. Close to Rousseau and Diderot, he stayed within the church. He is closely perhaps excessively identified with the image of the statue that, in the Traité des sensations Treatise on Sense Perception, 1754, he endows with the five senses to explain how perceptions are assimilated and produce understanding cf. also his Treatise on the Origins of Human Knowledge, 1746. He maintains a critical distance from precursors: he adopts Locke’s tabula rasa but from his first work to Logique Logic, 1780 insists on the creative role of the mind as it analyzes and compares sense impressions. His Traité des animaux Treatise on Animals, 1755, which includes a proof of the existence of God, considers sensate creatures rather than Descartes’s animaux machines and sees God only as a final cause. He reshapes Leibniz’s monads in the Monadologie Monadology, 1748, rediscovered in 0. In the Langue des calculs Language of Numbers, 1798 he proposes mathematics as a model of clear analysis. The origin of language and creation of symbols eventually became his major concern. His break with metaphysics in the Traité des systèmes Treatise on Systems, 1749 has been overemphasized, but Condillac does replace rational constructs with sense experience and reflection. His empiricism has been mistaken for materialism, his clear analysis for simplicity. The “ideologues,” Destutt de Tracy and Laromiguière, found Locke in his writings. Jefferson admired him. Maine de Biran, while critical, was indebted to him for concepts of perception and the self; Cousin disliked him; Saussure saw him as a forerunner in the study of the origins of language. Empiricism – one of Grice’s twelve labours – This implicates he saw himself as a Rationalist, rather -- Cordemoy, Géraud de, philosopher and member of the Cartesian school. His most important work is his Le discernement du corps et de l’âme en six discours, published in 1666 and reprinted under slightly different titles a number of times thereafter. Also important are the Discours physique de la parole 1668, a Cartesian theory of language and communication; and Une lettre écrite à un sçavant religieux 1668, a defense of Descartes’s orthodoxy on certain questions in natural philosophy. Cordemoy also wrote a history of France, left incomplete at his death. Like Descartes, Cordemoy advocated a mechanistic physics explaining physical phenomena in terms of size, shape, and local motion, and converse Cordemoy, Géraud de 186   186 held that minds are incorporeal thinking substances. Like most Cartesians, Cordemoy also advocated a version of occasionalism. But unlike other Cartesians, he argued for atomism and admitted the void. These innovations were not welcomed by other members of the Cartesian school. But Cordemoy is often cited by later thinkers, such as Leibniz, as an important seventeenth-century advocate of atomism.  Empiricism: one of Grice’s twelve labours -- Cousin, V., philosopher who set out to merge the  psychological tradition with the pragmatism of Locke and Condillac and the inspiration of the Scottish Reid, Stewart and G. idealists Kant, Hegel. His early courses at the Sorbonne 1815 18, on “absolute” values that might overcome materialism and skepticism, aroused immense enthusiasm. The course of 1818, Du Vrai, du Beau et du Bien Of the True, the Beautiful, and the Good, is preserved in the Adolphe Garnier edition of student notes 1836; other early texts appeared in the Fragments philosophiques Philosophical Fragments, 1826. Dismissed from his teaching post as a liberal 1820, arrested in G.y at the request of the  police and detained in Berlin, he was released after Hegel intervened 1824; he was not reinstated until 1828. Under Louis-Philippe, he rose to highest honors, became minister of education, and introduced philosophy into the curriculum. His eclecticism, transformed into a spiritualism and cult of the “juste milieu,” became the official philosophy. Cousin rewrote his work accordingly and even succeeded in having Du Vrai third edition, 1853 removed from the papal index. In 1848 he was forced to retire. He is noted for his educational reforms, as a historian of philosophy, and for his translations Proclus, Plato, editions Descartes, and portraits of ladies of seventeenth-century society. Empiricism – one of Grice’s twelve labours -- empirical decision theory, the scientific study of human judgment and decision making. A growing body of empirical research has described the actual limitations on inductive reasoning. By contrast, traditional decision theory is normative; the theory proposes ideal procedures for solving some class of problems. The descriptive study of decision making was pioneered by figures including Amos Tversky, Daniel Kahneman, Richard Nisbett, and Lee Ross, and their empirical research has documented the limitations and biases of various heuristics, or simple rules of thumb, routinely used in reasoning. The representativeness heuristic is a rule of thumb used to judge probabilities based on the degree to which one class represents or resembles another class. For example, we assume that basketball players have a “hot hand” during a particular game  producing an uninterrupted string of successful shots  because we underestimate the relative frequency with which such successful runs occur in the entire population of that player’s record. The availability heuristic is a rule of thumb that uses the ease with which an instance comes to mind as an index of the probability of an event. Such a rule is unreliable when salience in memory misleads; for example, most people incorrectly rate death by shark attack as more probable than death by falling airplane parts. For an overview, see D. Kahneman, P. Slovic, and A. Tversky, eds., Judgment Under Uncertainty: Heuristics and Biases, 2. These biases, found in laypeople and statistical experts alike, have a natural explanation on accounts such as Herbert Simon’s 7 concept of “bounded rationality.” According to this view, the limitations on our decision making are fixed in part by specific features of our psychological architecture. This architecture places constraints on such factors as processing speed and information capacity, and this in turn produces predictable, systematic errors in performance. Thus, rather than proposing highly idealized rules appropriate to an omniscient Laplacean genius  more characteristic of traditional normative approaches to decision theory  empirical decision theory attempts to formulate a descriptively accurate, and thus psychologically realistic, account of rationality. Even if certain simple rules can, in particular settings, outperform other strategies, it is still important to understand the causes of the systematic errors we make on tasks perfectly representative of routine decision making. Once the context is specified, empirical decision-making research allows us to study both descriptive decision rules that we follow spontaneously and normative rules that we ought to follow upon reflection.  empiricism from empiric, ‘doctor who relies on practical experience’, ultimately from Grecian empeiria, ‘experience’, a type of theory in epistemology, the basic idea behind all examples of the type being that experience has primacy in human knowledge and justified belief. Because empiricism is not a single view but a type of view with many different examples, it is appropriate to speak not just of empiricism but of empiricisms. Perhaps the most fundamental distinction to be drawn among the various empiricisms is that between those consisting of some claim about concepts and those consisting of some empirical empiricism 262   262 claim about beliefs  call these, respectively, concept-empiricisms and belief-empiricisms. Concept-empiricisms all begin by singling out those concepts that apply to some experience or other; the concept of dizziness, e.g., applies to the experience of dizziness. And what is then claimed is that all concepts that human beings do and can possess either apply to some experience that someone has had, or have been derived from such concepts by someone’s performing on those concepts one or another such mental operation as combination, distinction, and abstraction. How exactly my concepts are and must be related to my experience and to my performance of those mental operations are matters on which concept-empiricists differ; most if not all would grant we each acquire many concepts by learning language, and it does not seem plausible to hold that each concept thus acquired either applies to some experience that one has oneself had or has been derived from such by oneself. But though concept-empiricists disagree concerning the conditions for linguistic acquisition or transmission of a concept, what unites them, to repeat, is the claim that all human concepts either apply to some experience that someone has actually had or they have been derived from such by someone’s actually performing on those the mental operations of combination, distinction, and abstraction. Most concept-empiricists will also say something more: that the experience must have evoked the concept in the person having the experience, or that the person having the experience must have recognized that the concept applies to his or her experience, or something of that sort. What unites all belief-empiricists is the claim that for one’s beliefs to possess one or another truth-relevant merit, they must be related in one or another way to someone’s experience. Beliefempiricisms differ from each other, for one thing, with respect to the merit concerning which the claim is made. Some belief-empiricists claim that a belief does not have the status of knowledge unless it has the requisite relation to experience; some claim that a belief lacks warrant unless it has that relation; others claim that a belief is not permissibly held unless it stands in that relation; and yet others claim that it is not a properly scientific belief unless it stands in that relation. And not even this list exhausts the possibilities. Belief-empiricisms also differ with respect to the specific relation to experience that is said to be necessary for the merit in question to be present. Some belief-empiricists hold, for example, that a belief is permissibly held only if its propositional content is either a report of the person’s present or remembered experience, or the belief is held on the basis of such beliefs and is probable with respect to the beliefs on the basis of which it is held. Kant, by contrast, held the rather different view that if a belief is to constitute empirical knowledge, it must in some way be about experience. Third, belief-empiricisms differ from each other with respect to the person to whose experience a belief must stand in the relation specified if it is to possess the merit specified. It need not always be an experience of the person whose belief is being considered. It might be an experience of someone giving testimony about it. It should be obvious that a philosopher might well accept one kind of empiricism while rejecting others. Thus to ask philosophers whether they are empiricists is a question void for vagueness. It is regularly said of Locke that he was an empiricist; and indeed, he was a concept-empiricist of a certain sort. But he embraced no version whatsoever of belief-empiricism. Up to this point, ‘experience’ has been used without explanation. But anyone acquainted with the history of philosophy will be aware that different philosophers pick out different phenomena with the word; and even when they pick out the same phenomenon, they have different views as to the structure of the phenomenon that they call ‘experience.’ The differences on these matters reflect yet more distinctions among empiricisms than have been delineated above. 

EX-PLANATVM -- explanatum: cf. iustificatum – That the distinction is not absolute shows in that explanatum cannot be non-iustificatum or vice versa. To explain is in part to justify – but Grice was in a hurry, and relying on an upublication not meant for publication! Grice on explanatory versus justificatory reasons -- early 15c., explanen, "make (something) clear in the mind, to make intelligible," from Latin explanare "to explain, make clear, make plain," literally "make level, flatten," from ex "out" (see ex-) + planus "flat" (from PIE root *pele- (2) "flat; to spread"). The spelling was altered by influence of plain. Also see plane (v.2). In 17c., occasionally used more literally, of the unfolding of material things: Evelyn has buds that "explain into leaves" ["Sylva, or, A discourse of forest-trees, and the propagation of timber in His Majesties dominions," 1664]. Related: Explainedexplainingexplains. To explain (something) away "to deprive of significance by explanation, nullify or get rid of the apparent import of," generally with an adverse implication, is from 1709. I think we may find, in our talk about reasons, three main kinds of case. (1) The first is that class of cases exemplified by the use of such a sentence as "The reason why the bridge collapsed was that the girders were made of cellophane". Variant forms would be exemplified in "The (one) reason for the collapse of the bridge was that . . ." and "The fact that the girders were made of cellophane was the (one) reason for the collapse of the bridge (why the bridge collapsed)", and so on. This type of case includes cases in which that for which the (a) reason is being given is an action. We can legitimately use such a sentence form as "The reason why he resigned his office (for his resigning his office) was that p"; and, so far as I can see, the same range of variant forms will be available. I shall take as canonical (paradigmatic) for this type of case (type (1)) the form "The (a) reason why A was (is) that B". The significant features of a type (1) case seem to me to include the following. (a) The canonical form is 'factive' both with respect to A and to B. If I use it, I imply both that it is true that A and that it is true that B. (b) If the reason why A was that B, then B is the explanation of its being the case that A; and if one reason why A was (that) B, then B is one explanation of its being the case that A, and if there are other explanations (as it is implicated that there are, or may be) then A is overdetermined; and (finally) if a part of the reason why A was that B, then B is a part of the explanation of A's being so. This feature is not unconnected with the previous one; if B is the explanation of A, then both B and A must be facts; and if one fact is a reason for another fact, then it looks as if the connection between them must be that the first explains the second. (c) In some, but not all, cases in which the reason why A was that B, we can speak of B as causing, or being the cause of, A (A's being the case). If the reason why the bridge collapsed was that the girders were made of cellophane, then we can say that the girders' being made of cellophane caused the bridge to collapse (or, at least, caused it to collapse when the bus drove onto it). But not end p.37 in all cases; it might be true that the reason why X took offence was that all Tibetans are specially sensitive to comments on their appearance, though it is very dubious whether it would be proper to describe the fact, or circumstance, that all Tibetans have this particular sensitivity as the cause of, or as causing, X to take offence. However, it may well be true that if B does cause A, then the (or a) reason why A is that B. (d) The canonical form employs 'reason' as a count-noun; it allows us to speak (for example) of the reason why A, of there being more than one reason why A, and so on. But for type (1) cases we have, at best, restricted licence to use variants in which 'reason' is used as a massnoun. "There was considerable reason why the bridge collapsed (for the bridge collapsing)" and "The weakness of the girders was some reason why the bridge collapsed" are oddities; so is "There was good reason why the bridge collapsed", though "There was a good reason why the bridge collapsed" is better; but "There was (a) bad reason why the bridge collapsed" is terrible. The discomforts engendered by attempts to treat 'reason' as a mass-noun persist even when A specifies an action; "There was considerable reason why he resigned his office" is unhappy, though one would not object to, for example, "There was considerable reason for him to resign his office", which is not a type (1) case. (e) Relativization to a person is, I think, excluded, unless (say) the relativizing 'for X' means "in X's opinion", as in "for me, the reason why the bridge collapsed was . . .". Again, this feature persists even when A specifies an action: "For him, the reason why he resigned was . . ." and "The reason for him why he resigned was . . ." are both unnatural (for different reasons). I shall call type (1) cases "reasons why" or "explanatory reasons" – for etymologically, they make something ‘plain’ – out of nothing, almost – vide Latin explanare – but never IM-planare – and in any case, not to be confused with what Carnap calls an ‘explication’! (2) The cases which I am allocating to type (2) are a slightly less tidy family than those of type (1). Examples are: "The fact that they were a day late was some (a)reason for thinking that the bridge had collapsed." "The fact that they were a day late was a reason for postponing the conference." We should particularly notice the following variants and allied examples (among others): end p.38 That they were a day late was reason to think that the bridge had collapsed. There was no reason why the bridge should have collapsed. The fact that they were so late was a (gave) good reason for us to think that . . . He had reason to think that . . . (to postpone . . .) but he seemed unaware of the fact. The fact that they were so late was a reason for wanting (for us to want) to postpone the meeting. I shall take as the paradigmatic form for type (2) "That B was (a) reason (for X) to A", where "A" may conceal a psychological verb like "think", "want", or "decide", or may specify an action. Salient features seem to me to include the following. (a) Unlike type (1), where there is double factivity, the paradigmatic form is non-factive with respect to A, but factive with respect to B; with regard to B, however, modifications are available which will cancel factivity; for example, "If it were (is) the case that B, that would be a reason to A." (b) In consonance with the preceding feature, it is not claimed that B explains A (since A may not be the case), nor even that if A were the case B would explain it (since someone who actually does the action or thinks the thought specified by A may not do so because of B). It is, however, in my view (though some might question my view) claimed that B is a justification (final or provisional) for doing, wanting, or thinking whatever is specified in A. The fact that B goes at least some way towards making it the case that an appropriate person or persons should (or should have) fulfil (fulfilled) A. (c) The word "cause" is still appropriate, but in a different grammatical construction from that used for type (1). In Example (1), the fact that they were so late is not claimed to cause anyone to think that the bridge had collapsed, but it is claimed to be (or to give) cause to think just that. (d) Within type (2), 'reason' may be treated either as a count-noun or as a mass-noun. Indeed, the kinds of case which form type (2) seem to be the natural habitat of 'reason' as a mass-noun. A short version of an explanation of this fact (to which I was helped end p.39 by George Myro) seems to me to be that (i) there are no degrees of explanation: there may be more than one explanation, and something may be a part (but only a part) of the explanation, but a set of facts either does explain something or it does not. There are, however, degrees of justification (justifiability); one action or belief may be more justifiable, in a given situation, than another (there may be a better case for it). (ii) Justifiability is not just a matter of the number of supporting considerations, but rather of their combined weight (together with their outweighing the considerations which favour a rival action or belief). So a mass-term is needed, together with specifications of degree or magnitude. (e) That B may plainly be a reason for a person or people to A; indeed, when no person is mentioned or implicitly referred to, it is very tempting to suppose that it is being claimed that the fact that B would be a reason for anyone, or any normal person, to A. One might call type (2) cases "justificatory reasons" or "reasons for (to)". (3) Examples: John's reason for thinking Samantha to be a witch was that he had suddenly turned into a frog. John's reason for wanting Samantha to be thrown into the pond was that (he thought that) she was a witch. John's reason for denouncing Samantha was that she kept turning him into a frog. John's reason for denouncing Samantha was to protect himself against recurrent metamorphosis. If X's reason for doing (thinking) A was that B, it follows that X A-ed because B (because X knew (thought) that B). If X's reason for doing (wanting, etc.) A was to B, it follows that X A-ed in order to (so as to) B. The sentence form "X had several reasons for A-ing, such as that (to) B" falls, in my scheme, under type (3), unlike the seemingly similar sentence "X had reason to A, since B", which I locate under type (2). The paradigmatic form I take as being "X's reason(s) for A-ing was that B (to B)". Salient features of type (3) cases should be fairly obvious. end p.40 (a) In type (3) cases reasons may be either of the form that B or of the form to B. If they are of the former sort, then the paradigmatic form is doubly factive, factive with respect both to A and to B. It is always factive with respect to A (A-ing). When it is factive with respect to B, factivity may be cancelled by inserting "X thought that" before B. (b) Type (3) reasons are "in effect explanatory". If X's reason for A-ing was that (to) B, X's thinking that B (or wanting to B) explains his A-ing. The connection between type (3) reasons being, in effect, explanatory, and their factivity is no doubt parallel to the connection which obtains for type (1) reasons. I reserve the question of the applicability of "cause" to a special concluding comment. (c) So far as I can see, "reason" cannot, in type (3) cases, be treated as a mass-noun. This may be accounted for by the explanatory character of reasons of this type. We can, however, here talk of reasons as being bad; X's reasons for A-ing may be weak or appalling. In type (2) cases, we speak of there being little reason, or even no reason, to A. But in type (3) cases, since X's reasons are explanatory of his actions or thoughts, they have to exist. (I doubt if this is the full story, but it will have to do for the moment.) (d) Of their very nature, type (3) reasons are relative to persons. Because of their hybrid nature (they seem, as will in a moment, I hope, emerge, in a way to partake of the character both of type (1) and of type (2)) one might call them "Justificatory-Explanatory" reasons. Strawson said my explanation required an explanation. ex-plāno , āvi, ātum, 1, v. a. * I. Lit., to flatten or spread out: “suberi cortex in denos pedes undique explanatus,” Plin. 16, 8, 13, § 34.— II. Trop., of speech, to make plain or clear, to explain (class.: “syn.: explico, expono, interpretor): qualis differentia sit honesti et decori, facilius intelligi quam explanari potest,” Cic. Off. 1, 27, 94; cf. Quint. 5, 10, 4: “rem latentem explicare definiendo, obscuram explanare interpretando, etc.,” Cic. Brut. 42, 152: “explanare apertiusque dicere aliquid,” id. Fin. 2, 19, 60: “docere et explanare,” id. Off. 1, 28, 101: “aliquid conjecturā,” id. de Or. 2, 69, 280: “rem,” id. Or. 24, 80: “quem amicum tuum ais fuisse istum, explana mihi,” Ter. Ph. 2, 3, 33: “de cujus hominis moribus pauca prius explananda sunt, quam initium narrandi faciam,” Sall. C. 4, 5.—Pass. impers.: “juxta quod flumen, aut ubi fuerit, non satis explanatur,” Plin. 6, 23, 26, § 97.— 2. To utter distinctly: “et ille juravit, expressit, explanavitque verba, quibus, etc.,” Plin. Pan. 64, 3.—Hence, explānātus , a, um, P. a. (acc. to II.), plain, distinct (rare): “claritas in voce, in lingua etiam explanata vocum impressio,” i. e. an articulate pronunciation, Cic. Ac. 1, 5, 19: parum explanatis vocibus sermo praeruptus, Sen. de Ira, 1, 1, 4.—Adv. ex-plānāte , plainly, clearly, distinctly: “scriptum,” Gell. 16, 8, 3.—Comp.: “ut definire rem cum explanatius, tum etiam uberius (opp. presse et anguste),” Cic. Or. 33, 117.

EX-PLICATVM -- implicaturum-explicaturum distinction, the: – “I am aware that with ‘implicaturum,’ as opposed to ‘implicaturum,’ the distinction with ‘implicatio’ is lost – for ‘what is implied,’ in contrast, sounds vulgar.” And then there’s ‘entailment” is not as figurative as it sounds: it inovolves property and limitation -- “Paradoxes of entailment,” “Paradoxes of implication.” Philo and his teacher. Grice is not sure about ‘implicaturum.’ The quote by Moore, 1919 being:"It might be suggested that we should say "p ent q" 'means' "p ) q AND this proposition is an instance of a formal implication, which is not merely true but self-evident, like the laws of formal logic." This proposed definitions would avoid the paradoxes involved in Strachey's definition, since such true formal implications as 'All the persons in this room are more than five years old' are certainly not self-evident; and, so far as I can see, it may state something which is in fact true of p and q, whenever and only whenp ent q. I do not myself think that it gives the meaning of 'p ent q,' since the kind of relation which I see to hold between the premises and a conclusion of a syllogism seems to me one which is purely 'objective' in the sense that no psychological term, such as is involved in the meaning of 'self-evident' is involved in its definition (it it has one). I am not, however, concerned to dispute that some such definition of "p ent q" as this may be true." --- and so on. So, it is apparently all Strachey's fault. This view as to what φA . ent . ψA means has, for instance, if I understand him rightly, been asserted by Mr. O. Strachey in Mind, N.S., 93; since he asserts that, in his opinion, this is what Professor C. I. Lewis means by “φA strictly implies ψA,” and undoubtedly what Professor Lewis means by this is what I mean by φA . ent . ψA. And the same view has been frequently suggested (though I do not know that he has actually asserted it) by Mr. Russell himself (e.g., Principia Mathematica, p. 21). I 1903 B. Russell Princ. Math. ii. 14 How far formal implication is definable in terms of implication simply, or material implication as it may be called, is a difficult  question.  Source : Principles : Chapter III. Implication and Formal Implication. –  Source : Principia, page 7 : "When it is necessary explicitly to discriminate "implication" [i.e. "if p, then q" ] from "formal implication," it is called "material implication." – Source : Principia, page 20 : "When an implication, say ϕx..ψx, is said to hold always, i.e. when (x):ϕx..ψx, we shall say that ϕx formally implies ψx"Many logicians did use ‘implicaturum’ not necessarily to mean ‘conversational implicaturum,’ but as the result of ‘implicatio’. ‘Implicatio’ was often identified with the Megarian or Philonian ‘if.’ Why? thought that we probably did need an entailment. The symposium was held in New York with Dana Scott and R. K. Meyer. The notion had been mis-introduced (according to Strawson) in the philosophical literature by Moore. Grice is especially interested in the entailment + implicaturum pair. A philosophical expression may be said to be co-related to an entailment (which is rendered in terms of a reductive analysis).  However, the use of the expression may co-relate to this or that implicaturum which is rendered reasonable in the light of the assumption by the addressee that the utterer is ultimately abiding by a principle of conversational helfpulness. Grice thinks many philosophers take an implicaturum as an entailment when they surely shouldnt! Grice was more interested than Strawson was in the coinage by Moore of entailment for logical consequence. As an analyst, Grice knew that a true conceptual analysis needs to be reductive (if not reductionist). The prongs the analyst lists are thus entailments of the concept in question. Philosophers, however, may misidentify what is an entailment for an implicaturum, or vice versa. Initially, Grice was interested in the second family of cases. With his coinage of disimplicaturum, Grice expands his interest to cover the first family of cases, too. Grice remains a philosophical methodologist. He is not so much concerned with any area or discipline or philosophical concept per se (unless its rationality), but with the misuses of some tools in the philosophy of language as committed by some of his colleagues at Oxford. While entailment, was, for Strawson mis-introduced in the philosophical literature by Moore, entailment seems to be less involved in paradoxes than if is. Grice connects the two, as indeed his tutee Strawson did! As it happens, Strawsons Necessary propositions and entailment statements is his very first published essay, with Mind, a re-write of an unpublication unwritten elsewhere, and which Grice read. The relation of consequence may be considered a meta-conditional, where paradoxes arise. Grices Bootstrap is a principle designed to impoverish the metalanguage so that the philosopher can succeed in the business of pulling himself up by his own! Grice then takes a look at Strawsons very first publication (an unpublication he had written elsewhere). Grice finds Strawson thought he could provide a simple solution to the so-called paradoxes of entailment. At the time, Grice and Strawson were pretty sure that nobody then accepted, if indeed anyone ever did and did make, the identification of the relation symbolised by the horseshoe with the relation which Moore calls entailment, pq, i. e. ~(pΛ~q) is rejected as an analysis of p entails q because it involves this or that allegedly paradoxical implicaturum, as that any false proposition entails any proposition and any true proposition is entailed by any proposition. It is a commonplace that Lewiss amendment had consequences scarcely less paradoxical in terms of the implicatura. For if p is impossible, i.e. self-contradictory, it is impossible that p and ~q. And if q is necessary, ~q is impossible and it is impossible that p and ~q; i. e., if p entails q means it is impossible that p and ~q any necessary proposition is entailed by any proposition and any self-contradictory proposition entails any proposition. On the other hand, Lewiss definition of entailment (i.e. of the relation which holds from p to q whenever q is deducible from p) obviously commends itself in some respects. Now, it is clear that the emphasis laid on the expression-mentioning character of the intensional contingent statement by writing pΛ~q is impossible instead of It is impossible that p and ~q does not avoid the alleged paradoxes of entailment. But it is equally clear that the addition of some provision does avoid them. One may proposes that one should use “entails” such that no necessary statement and no negation of a necessary statement can significantly be said to entail or be entailed by any statement; i. e. the function p entails q cannot take necessary or self-contradictory statements as arguments. The expression p entails q is to be used to mean pq is necessary, and neither p nor q is either necessary or self-contradictory, or pΛ~q is impossible and neither p nor q, nor either of their contradictories, is necessary. Thus, the paradoxes are avoided. For let us assume that p1 expresses a contingent, and q1 a necessary, proposition. p1 and ~q1 is now impossible because ~q1 is impossible. But q1 is necessary. So, by that provision, p1 does not entail q1. We may avoid the paradoxical assertion that p1 entails q2 as merely falling into the equally paradoxical assertion that p1 entails q1 is necessary. For: If q is necessary, q is necessary is, though true, not necessary, but a contingent intensional (Latinate) statement. This becomes part of the philosophers lexicon: intensĭo, f. intendo, which L and S render as a stretching out, straining, effort. E. g. oculorum, Scrib. Comp. 255. Also an intensifying, increase. Calorem suum (sol) intensionibus ac remissionibus temperando fovet,” Sen. Q. N. 7, 1, 3. The tune: “gravis, media, acuta,” Censor. 12. Hence:~(q is necessary) is, though false, possible. Hence “p1Λ~(q1 is necessary)” is, though false, possible. Hence p1 does NOT entail q1 is necessary. Thus, by adopting the view that an entailment statement, and other intensional statements, are non-necessary, and that no necessary statement or its contradictory can entail or be entailed by any statement, Strawson thinks he can avoid the paradox that a necessary proposition is entailed by any proposition, and indeed all the other associated paradoxes of entailment. Grice objected that Strawsons cure was worse than Moores disease! The denial that a necessary proposition can entail or be entailed by any proposition, and, therefore, that necessary propositions can be related to each other by the entailment-relation, is too high a price to pay for the solution of the paradoxes. And here is where Grices implicaturum is meant to do the trick! Or not! When Levinson proposed + for conversationally implicaturum, he is thinking of contrasting it with .  But things aint that easy. Even the grammar is more complicated: By uttering He is an adult, U explicitly conveys that he is an adult. What U explicitly conveys entails that he is not a child. What U implies is that he should be treated accordingly. Refs.: One good reference is the essay on “Paradoxes of entailment,” in the Grice papers; also his contribution to a symposium for the APA under a separate series, The H. P. Grice Papers, BANC. EX-PLICATVM -- Implicaturum/explicaturum distinction, the: explicatum: Grice is clear here. There is explicat- and explicit-. Both yield different fields. The explicit- has to do with what is shown. The explicat- does not. But both are cognate. And of course, the ambiguity replicates in implicit- and implicat- Short and Lewis have both ‘explicatus’ and ‘explicitus’ as Part. and P. a., from explico. “I wonder why they had to have TWO!” – Grice.He once asked this to his master at Clifton. And he said, “because this is a participium heteroclitum.” Grice never forgot that! An Heteroclite Participle.  R E D U N D A N S abounding.  Art'cipium the Participle faepe o/?em redundat abounds, ut as Perfe&tum the perfe&? ter/? [aid] priùs before ; ut as explico to unfold conduplicat doubles [its Participle] explicitus explicatufque, making both explicitus and explicatus. Et and fic /3 fevi I have plantea folet is wont dare to give fatus planted, & and ferui I have put fertus placed. Cello to bcat vult will mittere produce -celfus ab -ui from [the perfe&* tenfe in] -ui ; fed but -culfus ab -i -cu!fus from [its perfr&7 in] -i. Compofitum à fto the Compound offlo to /fand [ makes] - ftaturus, pariterque amd aff? -ftiturus [in the future Participle.] Etiam alfo duplex two Participles fit are made à fimplice perfeéto from one perfe&i tenfe ; tendo to/lretch habet hath tentus, and tenfus; pando to opem takes fibi to itfejf paffus, and panfus : Item affo mifcui I have mixed miftus, vel or mixtus ; alo to breed up, altus and alitus ; Poto to drink makes potatus & and potus ; lavo to wa/h, lautus and lotus. A tundo from [tundo] to knock down -tufus is made ; retundo to blunt [makes] both -tufus and -tunfus. Pinfo to bake effert makes triplex three Participles piftus, pinfufque, & pinfitus, piftus, and pinfus, and pinfitus. Civi, the perfe&? tenfe à cieo ofcieo to provoke makes the participle citus [with the i. -- Vult tendo tenfus, tentus , vult flectere pando - Panfus  Panfus paffus 5 pinfo vult piftus dare pinfus  Pinfitus ; & fevi fatus, & ferui dare fertus.  Compofitum à fto-ftaturus meliufque-ftiturus.         * Conftaturus Lucan. Mart. Obftaturus Quint.   _ Tundo in compofitis -tufus ; -tunfufque retundo  Congeminat ; plico & explicitus facit, éx-que-plicatus.  Verba in-uo &-vo-ütus tendunt ; ruo fed breve-ütus dat.  A cieo pariter manat citus , à cio citus. -  Cello ab -ui celfus , fed ab-i vult mittere -culfus. At Oxford, nobody was interested in the explication. That’s too explicit. It was, being English, all about the ‘innuendo,’ the ‘understatement,’ the implication. The first Oxonian was C. K. Grant, with his ‘pragmatic implication.’ Then came Nowell-Smith with his ‘contextual implication.’ Urmson was there with his ‘implied’ claims. And Strawson was saying that ‘the king of France is not bald’ implies that thereis a king of France. So, it was enough, Grice thought! We have to analyse what we imply by imply, or at least what _I_ do. He thought publishing was always vulgar. But when he was invited for one of those popularisations, when he was invited to contribute to a symposium on a topic of his choice – he chose “The causal theory of perception” and dedicates an ‘extensum excursus’ on ‘implication.’ The conclusion is simple: “The pillar box seems red” implies. And implies a LOT. So much so that neo-Wittgensteinians were saying that what Grice implies is part of what Grice is committed in terms of ‘satisfactoriness’ of what he is expressing. Not so! What Grice implies is, surely, that the pillar box may not be red. But surely he can cancel that EXPLICITLY “The pillar box seems red and is red.” So, what he implies is not part of what he explicitly commits in terms of value satisfactoriness. In terms of value satisfactoriness, Grice distinguishes between the subperceptual (“The pillar box seems red”) and the perceptual proper (“Grice perceives that the pillar box is red”). The causal theory merely states that “Grice perceives that the pillar box is red” (a perceptum for the subperceptum, “the pillar box seems red”) if and only if, first,  the pillar box is red; second, the subperceptum: the pillar box seems red; and third and last, the fact that the pillar box is red CAUSES the pillar box seeming red. None of that is explicit, but none of it is implicit. It is merely a philosophical reductive analysis which has cleared away an unnecessary implication out of the picture. The philosopher, involved in conceptual analysis, has freed from the ‘pragmatic implication’ and can provide, for his clearly stated ‘analysans,’ three different prongs which together constitute the necessary and sufficient conditions – the analysandum. And his problem is resolved. Grice’s cavalier attitude towards the explicit is obvious in the way he treats “Wilson is a great man,” versus “the prime minister is a great man” “I don’t care if I’m not sure if I want to say that an emissor of (i) and an emissor of (ii) have put forward, in an explicit fashion, the same proposition. His account of ‘disambiguation’ is meant even more jocularly. He knows that in the New World, they spell ‘vice’ as  ‘vyse’ – So Wilson being in the grip of a vyse is possibly the same thing put forward as the prime minister being caught in the grip of either a carpenter’s tool or a sort of something like a sin – if not both. (Etymologically, ‘vice’ and ‘vice’ are cognate, since they are ‘violent’ things – cf. violence. While ‘implicare’ developed into vulgar Engish as ‘employ,’ “it’s funny explicature did not develop into ‘exploy.’”A logical construction is an explication. A reductive analysis is an explication. Cf. Grice on Reductionism as a bete noire, sometimes misquoted as Reductivism. Grice used both ‘explanation’ and ‘explication’, so one has to be careful. When he said that he looked for a theory that would explain conversation or the implicaturum, he did not mean explication. What is the difference, etymologically, between  explicate and explain? Well, explain is from ‘explanare,’ which gives ‘explanatum.’Trop., of speech, to make plain or clear, to explain (class.:“syn.: explico, expono, interpretor): qualis differentia sit honesti et decori, facilius intelligi quam explanari potest,” Cic.Off. 1, 27, 94; cf. Quint. 5, 10, 4: “rem latentem explicare definiendo, obscuram explanare interpretando, etc.,” Cic. Brut. 42, 152: “explanare apertiusque dicere aliquid,” id. Fin. 2, 19, 60: “docere et explanare,” id. Off. 1, 28, 101: “aliquid conjecturā,” id. de Or. 2, 69, 280: “rem,” id. Or. 24, 80: “quem amicum tuum ais fuisse istum, explana mihi,” Ter. Ph. 2, 3, 33: “de cujus hominis moribus pauca prius explananda sunt, quam initium narrandi faciam,” Sall. C. 4, 5.—Pass.impers.: “juxta quod flumen, aut ubi fuerit, non satis explanatur,” Plin. 6, 23, 26, § 97.—2. To utter distinctly: “et ille juravit, expressit, explanavitque verba, quibus, etc.,” Plin. Pan. 64, 3.Hence, explānātus , a, um, P. a. (acc. to II.), plain, distinct (rare): “claritas in voce, in lingua etiam explanata vocum impressio,” i. e. an articulate pronunciation, Cic. Ac. 1, 5, 19: parum explanatis vocibus sermo praeruptus, Sen. de Ira, 1, 1, 4. Adv. ex-plānāte , plainly, clearly, distinctly: “scriptum,” Gell. 16, 8, 3.—Comp.: “ut definire rem cum explanatius, tum etiam uberius (opp. presse et anguste),” Cic. Or. 33, 117.Cr. Occam. M. O. R. the necessity is explanatory necessity. Senses or conventional implicaturata (not reachable by ‘argument’) and Strawson do not explain. G. A. Paul does not explain. Unlike Austin, who was in love with a taxonomy, Grice loved an explanation. “Ἀρχὴν δὲ τῶν πάντων ὕδωρ ὑπεστήσατο, καὶ τὸν κόσμον ἔμψυχον καὶ δαιμόνων πλήρη. “Arkhen de ton panton hudor hupestesato.” Thales’s doctrine is that water is the universal primary substance, and that the world is animate and full of divinities. “Ἀλλὰ Θαλῆς μὲν ὁ τῆς τοιαύτης ἀρχηγὸς φιλοσοφίας ὕδωρ φησὶν εἶναι (διὸ καὶ τὴν γῆν ἐφ᾽ ὕδατος ἀπεφήνατο εἶναι), λαβὼν ἴσως τὴν ὑπόληψιν ταύτην ἐκ τοῦ πάντων ὁρᾶν τὴν τροφὴν ὑγρὰν οὖσαν καὶ αὐτὸ τὸ θερμὸν ἐκ τούτου γιγνόμενον καὶ τούτῳ ζῶν (τὸ δ᾽ ἐξ οὗ γίγνεται, τοῦτ᾽ ἐστὶν ἀρχὴ πάντων) – διά τε δὴ τοῦτο τὴν ὑπόληψιν λαβὼν ταύτην καὶ διὰ τὸ πάντων τὰ σπέρματα τὴν φύσιν ὑγρὰν ἔχειν, τὸ δ᾽ ὕδωρ ἀρχὴν τῆς φύσεως εἶναι τοῖς ὑγροῖς. εἰσὶ δέ τινες οἳ καὶ τοὺς παμπαλαίους καὶ πολὺ πρὸ τῆς νῦν γενέσεως καὶ πρώτους θεολογήσαντας οὕτως οἴονται περὶ τῆς φύσεως ὑπολαβεῖν Ὠκεανόν τε γὰρ καὶ Τηθὺν ἐποίησαν τῆς γενέσεως πατέρας [Hom. Ξ 201], καὶ τὸν ὅρκον τῶν θεῶν ὕδωρ, τὴν καλουμένην ὑπ᾽ αὐτῶν Στύγα τῶν ποιητῶν τιμιώτατον μὲν γὰρ τὸ πρεσβύτατον, ὅρκος δὲ τὸ τιμιώτατόν ἐστιν. εἰ μὲν οὖν [984a] ἀρχαία τις αὕτη καὶ παλαιὰ τετύχηκεν οὖσα περὶ τῆς φύσεως ἡ δόξα, τάχ᾽ ἂν ἄδηλον εἴη, Θαλῆς μέντοι λέγεται οὕτως ἀποφήνασθαι περὶ τῆς πρώτης αἰτίας. (Ἵππωνα γὰρ οὐκ ἄν τις ἀξιώσειε θεῖναι μετὰ τούτων διὰ τὴν εὐτέλειαν αὐτοῦ τῆς διανοίας) Ἀναξιμένης δὲ ἀέρα καὶ Διογένης πρότερον ὕδατος καὶ μάλιστ᾽ ἀρχὴν τιθέασι τῶν ἁπλῶν σωμάτων.” De caelo: “Οἱ δ᾽ ἐφ᾽ ὕδατος κεῖσθαι [sc. τὴν γὴν]. τοῦτον γὰρ ἀρχαιότατον παρειλήφαμεν τὸν λόγον, ὅν φασιν εἰπεῖν Θαλῆν τὸν Μιλήσιον, ὡς διὰ τὸ πλωτὴν εἶναι μένουσαν ὥσπερ ξύλον ἤ τι τοιοῦτον ἕτερον (καὶ γὰρ τούτων ἐπ᾽ ἀέρος μὲν οὐθὲν πέφυκε μένειν, ἀλλ᾽ ἐφ᾽ ὕδατος), ὥσπερ οὐ τὸν αὐτὸν λόγον ὄντα περὶ τῆς γῆς καὶ τοῦ ὕδατος τοῦ ὀχοῦντος τὴν γῆν οὐδὲ γὰρ τὸ ὕδωρ πέφυκε μένειν μετέωρον, ἀλλ᾽ ἐπί τινός [294b] ἐστιν. ἔτι δ᾽ ὥσπερ ἀὴρ ὕδατος κουφότερον, καὶ γῆς ὕδωρ ὥστε πῶς οἷόν τε τὸ κουφότερον κατωτέρω κεῖσθαι τοῦ βαρυτέρου τὴν φύσιν; ἔτι δ᾽ εἴπερ ὅλη πέφυκε μένειν ἐφ᾽ ὕδατος, δῆλον ὅτι καὶ τῶν μορίων ἕκαστον [αὐτῆς] νῦν δ᾽ οὐ φαίνεται τοῦτο γιγνόμενον, ἀλλὰ τὸ τυχὸν μόριον φέρεται εἰς βυθόν, καὶ θᾶττον τὸ μεῖζον. The problem of the nature of matter, and its transformation into the myriad things of which the universe is made, engaged the natural philosophers, commencing with Thales. For his hypothesis to be credible, it was essential that he could explain how all things could come into being from water, and return ultimately to the originating material. It is inherent in Thaless hypotheses that water had the potentiality to change to the myriad things of which the universe is made, the botanical, physiological, meteorological and geological states. In Timaeus, 49B-C, Plato had Timaeus relate a cyclic process. The passage commences with that which we now call “water” and describes a theory which was possibly that of Thales. Thales would have recognized evaporation, and have been familiar with traditional views, such as the nutritive capacity of mist and ancient theories about spontaneous generation, phenomena which he may have observed, just as Aristotle believed he, himself had, and about which Diodorus Siculus, Epicurus (ap. Censorinus, D.N. IV.9), Lucretius (De Rerum Natura) and Ovid (Met. I.416-437) wrote. When Aristotle reported Thales’s pronouncement that the primary principle is water, he made a precise statement: Thales says that it [the nature of things] is water, but he became tentative when he proposed reasons which might have justified Thaless decision. Thales’s supposition may have arisen from observation. It is Aristotle’s opinion that Thales may have observed, that the nurture of all creatures is moist, and that warmth itself is generated from moisture and lives by it; and that from which all things come to be is their first principle. Then, Aristotles tone changed towards greater confidence. He declared: Besides this, another reason for the supposition would be that the semina of all things have a moist nature. In continuing the criticism of Thales, Aristotle wrote: That from which all things come to be is their first principle (Metaph. 983 b25).  Simple metallurgy had been practised long before Thales presented his hypotheses, so Thales knew that heat could return metals to a liquid state. Water exhibits sensible changes more obviously than any of the other so-called elements, and can readily be observed in the three states of liquid, vapour and ice. The understanding that water could generate into earth is basic to Thaless watery thesis. At Miletus it could readily be observed that water had the capacity to thicken into earth. Miletus stood on the Gulf of Lade through which the Maeander river emptied its waters. Within living memory, older Milesians had witnessed the island of Lade increasing in size within the Gulf, and the river banks encroaching into the river to such an extent that at Priene, across the gulf from Miletus the warehouses had to be rebuilt closer to the waters edge. The ruins of the once prosperous city-port of Miletus are now ten kilometres distant from the coast and the Island of Lade now forms part of a rich agricultural plain. There would have been opportunity to observe other areas where earth generated from water, for example, the deltas of the Halys, the Ister, about which Hesiod wrote (Theogony, 341), now called the Danube, the Tigris-Euphrates, and almost certainly the Nile. This coming-into-being of land would have provided substantiation of Thaless doctrine. To Thales water held the potentialities for the nourishment and generation of the entire cosmos. Aëtius attributed to Thales the concept that even the very fire of the sun and the stars, and indeed the cosmos itself is nourished by evaporation of the waters (Aëtius, Placita).  It is not known how Thales explained his watery thesis, but Aristotle believed that the reasons he proposed were probably the persuasive factors in Thaless considerations. Thales gave no role to the Olympian gods. Belief in generation of earth from water was not proven to be wrong until A.D. 1769 following experiments of Antoine Lavoisier, and spontaneous generation was not disproved until the nineteenth century as a result of the work of Louis Pasteur.The first philosophical explanation of the world was speculative not practical. has its intelligibility in being identified with one of its parts (the world is water). First philosophical explanation for Universe human is rational and the world in independent; He said the arché is water; Monist: He believed reality is one  Thales of Miletus, first philosophical explanation of the origin and nature of justice (and  Why after all, did a Thales  is Water.” Without the millions of species that make up the biosphere, and the billions of interactions between them that go on day by day,.Oddly, Grice had spent some time on x-questions in the Kant lectures. And why is an x-question. A philosophical explanation of conversation. A philosophical explanation of implicaturum. Description vs. explanation. Grice quotes from Fisher, Never contradict. Never explain. Taxonomy, is worse than explanation, always. Grice is exploring the taxonomy-description vs. explanation dichotomy. He would often criticise ordinary-language philosopher Austin for spending too much valuable time on linguistic botany, without an aim in his head. Instead, his inclination, a dissenting one, is to look for the big picture of it all, and disregard a piece-meal analysis. Conversation is a good example. While Austin would Subjectsify Language (Linguistic Nature), Grice rather places rationality squarely on the behaviour displayed by utterers as they make conversational moves that their addressees will judge as rational along specific lines. Observation of the principle of conversational helpfulness is rational (reasonable) along the following lines: anyone who cares about the two goals which are central to conversation, viz. giving and receiving information, and influencing and being influenced by others, is expected to have an interest in taking part in a conversation which will only be profitable (if not possible) under the assumption that it is conducted along the lines of the principle of conversational helpfulness. Grice is not interested in conversation per se, but as a basis for a theory that explains the mistakes ordinary-language philosophers are making. The case of What is known to be the case is not believed to be the case. EXPLICATUM -- “to understand” – to explain -- Dilthey, W. philosopher and historian whose main project was to establish the conditions of historical knowledge, much as Kant’s Critique of Pure Reason had for our knowledge of nature. He studied theology, history, and philosophy at Heidelberg and Berlin and in 2 accepted the chair earlier held by Hegel at the  of Berlin. Dilthey’s first attempt at a critique of historical reason is found in the Introduction to the Human Sciences 3, the last in the Formation of the Historical World in the Human Sciences 0. He is also a recognized contributor to hermeneutics, literary criticism, and worldview theory. His Life of Schleiermacher and essays on the Renaissance, Enlightenment, and Hegel are model works of Geistesgeschichte, in which philosophical ideas are analyzed in relation to their social and cultural milieu. Dilthey holds that life is the ultimate nexus of reality behind which we cannot go. Life is viewed, not primarily in biological terms as in Nietzsche and Bergson, but as the historical totality of human experience. The basic categories whereby we reflect on life provide the background for the epistemological categories of the sciences. According to Dilthey, Aristotle’s category of acting and suffering is rooted in prescientific experience, which is then explicated as the category of efficacy or influence Wirkung in the human sciences and as the category of cause Ursache in the natural sciences. Our understanding of influence in the human sciences is less removed from the full reality of life than are the causal explanations arrived at in the natural sciences. To this extent the human sciences can claim a priority over the natural sciences. Whereas we have direct access to the real elements of the historical world psychophysical human beings, the elements of the natural world are merely hypothetical entities such as atoms. The natural sciences deal with outer experiences, while the human sciences are based on inner experience. Inner experience is reflexive and implicitly self-aware, but need not be introspective or explicitly self-conscious. In fact, we often have inner experiences of the same objects that outer experience is about. An outer experience of an object focuses on its physical properties; an inner experience of it on our felt responses to it. A lived experience Erlebnis of it includes both. The distinction between the natural and the human sciences is also related to the methodological difference between explanation and understanding. The natural sciences seek causal explanations of nature  connecting the discrete representations of outer experience through hypothetical generalizations. The human sciences aim at an understanding Verstehen that articulates the typical structures of life given in lived experience. Finding lived experience to be inherently connected and meaningful, Dilthey opposed traditional atomistic and associationist psychologies and developed a descriptive psychology that Husserl recognized as anticipating phenomenological psychology. In Ideas 4 Dilthey argued that descriptive psychology could provide a neutral foundation for the other human sciences, but in his later hermeneutical writings, which influenced Heidegger and Hans-Georg Gadamer, he rejected the possibility of a foundational discipline or method. In the Formation, he asserted that all the human sciences are interpretive and mutually dependent. Hermeneutically conceived, understanding is a process of interpreting the “objectifications of life,” the external expressions of human experience and activity. The understanding of others is mediated by these common objectifications and not immediately available through empathy Einfühlung. Moreover, to fully understand myself I must interpret the expressions of my life just as I interpret the expressions of others. Whereas the natural sciences aim at ever broader generalizations, the human sciences place equal weight on understanding individuality and universality. Dilthey regarded individuals as points of intersection of the social and cultural systems in which they participate. Any psychological contribution to understanding human life must be integrated into this more public framework. Although universal laws of history are rejected, particular human sciences can establish uniformities limited to specific social and cultural systems. In a set of sketches 1 supplementing the Formation, Dilthey further developed the categories of life in relation to the human sciences. After analyzing formal categories such as the partwhole relation shared by all the sciences, he distinguished the real categories of the human sciences from those of the natural sciences. The most important human science categories are value, purpose, and meaning, but they by no means exhaust the concepts needed to reflect on the ultimate sense of our existence. Such reflection receives its fullest expression in a worldview Weltanschauung, such as the worldviews developed in religion, art, and philosophy. A worldview constitutes an overall perspective on life that sums up what we know about the world, how we evaluate it emotionally, and how we respond to it volitionally. Since Dilthey distinguished three exclusive and recurrent types of worldview naturalism e.g., Democritus, Hume, the idealism of freedom e.g., Socrates, Kant, and objective idealism e.g., Parmenides, Hegel  he is often regarded as a relativist. But Dilthey thought that both the natural and the human sciences could in their separate ways attain objective truth through a proper sense of method. Metaphysical formulations of worldviews are relative only because they attempt an impossible synthesis of all truth. Explicatum -- explanation, an act of making something intelligible or understandable, as when we explain an event by showing why or how it occurred. Just about anything can be the object of explanation: a concept, a rule, the meaning of a word, the point of a chess move, the structure of a novel. However, there are two sorts of things whose explanation has been intensively discussed in philosophy: events and human actions. Individual events, say the collapse of a bridge, are usually explained by specifying their cause: the bridge collapsed because of the pressure of the flood water and its weakened structure. This is an example of causal explanation. There usually are indefinitely many causal factors responsible for the occurrence of an event, and the choice of a particular factor as “the cause” appears to depend primarily on contextual considerations. Thus, one explanation of an automobile accident may cite the icy road condition; another the inexperienced driver; and still another the defective brakes. Context may determine which of these and other possible explanations is the appropriate one. These explanations of why an event occurred are sometimes contrasted with explanations of how an event occurred. A “how” explanation of an event consists in an informative description of the process that has led to the occurrence of the event, and such descriptions are likely to involve descriptions of causal processes. The covering law model is an influential attempt to represent the general form of such explanations: an explanation of an event consists in “subsuming,” or “covering,” it under a law. When the covering law is deterministic, the explanation is thought to take the form of a deductive argument: a statement  the explanandum  describing the event to be explained is logically derived from the explanans  the law together with statements of antecedent conditions. Thus, we might explain why a given rod expanded by offering this argument: ‘All metals expand when heated; this rod is metallic and it was heated; therefore, it expanded’. Such an explanation is called a deductive-nomological explanation. On the other hand, probabilistic or statistical laws are thought to yield statistical explanations of individual events. Thus, the explanation of the contraction of a contagious disease on the basis of exposure to a patient with the disease may take the form of a statistical explanation. Details of the statistical model have been a matter of much controversy. It is sometimes claimed that although explanations, whether in ordinary life or in the sciences, seldom conform fully to the covering law model, the model nevertheless represents an ideal that all explanations must strive to attain. The covering law model, though influential, is not universally accepted. Human actions are often explained by being “rationalized’  i.e., by citing the agent’s beliefs and desires and other “intentional” mental states such as emotions, hopes, and expectations that constitute a reason for doing what was done. You opened the window because you wanted some fresh air and believed that by opening the window you could secure this result. It has been a controversial issue whether such rationalizing explanations are causal; i.e., whether they invoke beliefs and desires as a cause of the action. Another issue is whether existential polarity explanation 298   298 these “rationalizing” explanations must conform to the covering law model, and if so, what laws might underwrite such explanations.  Refs.: One good source is the “Prejudices and predilections.” Also the first set of ‘Logic and conversation.” There is also an essay on the ‘that’ versus the ‘why.’ The H. P. Grice Papers, BANC.

EX-PORTATVM -- Importatum/exportatum distinction, the: exportatum – exportation: in classical logic, the principle that A 8 B / C is logically equivalent to A / B / C. 2 The principle A 8 B P C P A P B P C, which relevance logicians hold to be fallacious when ‘P’ is read as ‘entails’. 3 In discussions of propositional attitude verbs, the principle that from ‘a Vs that b is an f’ one may infer ‘a Vs f-hood of b’, where V has its relational transparent sense. For example, exportation in sense 3 takes one from ‘Ralph believes that Ortcutt is a spy’ to ‘Ralph believes spyhood of Ortcutt’, wherein ‘Ortcutt’ can now be replaced by a bound variable to yield ‘Dx Ralph believes spyhood of x’. 

EX-POSITVM -- impositum/expositum distinction, the: expositum: Grice: “My preferred term for what Strawson calls the exponible.’ In dialectica, an exponible proposition is that which needs to be expounded, i.e., elaborated or explicated in order to make clear their true ‘form,’ as opposed to its mere ‘matter.’ ‘Giorgione is so called because of his size.’ ‘Giorgione is so called because of his size’ has a misleading ‘matter’ (implicating at least two forms). It may suggestin a simple predication. In fact, it means, ‘Giorgione is called ‘Giorgione’ because of his size’. Grice’s examples: “An English pillar box is called ‘red’ because it is red,” “Grice is called ‘Grice’ because he is Grice.” “Grice is called ‘Grice’ because his Anglo-Norman ancestors had ‘grey’ in their coat of arms.” “Grice is called ‘Grice’ because his ancestor kept grice, i. e. pigs.” Another example by Grice: ‘Every man except Strawson is running’, expounded as ‘Strawson is not running and every man other than Strawson is running (for Prime Minister)’; and ‘Only Strawson says something true’, uttered by Grice. Grice claims ‘Only Strawson says something true’ should be expounded (or explicated, or explciited, or exposed, or provided ‘what is expositum, or the expositum provided: not only as ‘Strawson says something true and no one other than Strawson says something true’, but needs an implicated third clause, ‘Grice says something false’ for surely Grice is being self-referentially ironic. If only Strawson says something true – that proposition can only be uttered by Strawson. Grice borrowed it from Descartes: “Only Descarets says something ture.” This last example brings out an important aspect of exponible propositions, viz., their use in a sophisma. Sophismatic treatises are a common genre at Oxford in which this or that semantic issue is approached dialectically (what Grice calls “the Oxonian dialectic”) by its application in solving a puzzle case. Another important ingredient of an exponible proposition is its containing a particular term, sometimes called the exponible term (terminus exponibilis in Occam). Attention on such a term is focused in the study of the implicaturum of a syncategorematic expression, Note that such an exponible term could only be expounded in context, not by an explicit definition. A syncategorematic term that generates an exponible proposition is one such as: ‘twice’, ‘except’, ‘begins’ and ‘ceases [to eat iron, or ‘beat your wife,’ to use Grice’s example in “Causal Theory of Perception”]’, and ‘insofar as’ e.g. ‘Strawson insofar as he is rational is risible’.  H. P. Grice, “Implicaturum and explicaturum”

EX-PRESSVM -- impressum-expressum distinction, the: expressum:  At one time, Oxford was all about the Croceans! It all changed! The oppositum is the impressum, or sense-datum. In a functionalist model, you have perceptual INPUT and behavioural OUTPUT, the expressum. In between, the black box of the soul. Darwin, Eckman. Drawing  a skull meaning there is danger. cf. impressum. Inside out. Expression of Impressions. As an empiricist, Grice was into ‘impress.’ But it’s always good to have a correlatum. Grice liked an abbreviation, especially because he loved subscripts. So, he starts to analyse the ‘ordinary-language’ philosohper’s mistake by using a few symbols: there’s the phrase, or utterance, and there’s the expression, for which Grice uses ‘e’ for a ‘token,’ and ‘E’ for a type. So, suppose we are considering Hart’s use of ‘carefully.’ ‘Carefully’ would be the ‘expression,’ occurring within an utterance. Surely, since Grice uses ‘expression’ in that way, he also uses to say what Hart is doing, Hart is expressing. Grice notes that ‘expressing’ may be too strong. Hart is expressing the belief THAT if you utter an utterance containing the ‘expression’ ‘carefully,’ there is an implicaturum to the effect that the agent referred to is taking RATIONAL steps towards something. IRRATIONAL behaviour does not count as ‘careful’ behaviour. Grice uses the same abbreviations in discussing philosophy as the ‘conceptual analysis’ of this or that expression. It is all different with Ogden, Collingwood, and Croce, that Collingwood loved!  "Ideas, we may say generally, are symbols, as serving to express some actual moment or phase of experience and guiding towards fuller actualization of what is, or seems to be, involved in its existence or MEANING . That no idea is ever wholly adequate MEANS that the suggestiveness of experience is inexhaustible" Forsyth, English Philosophy, 1910, . Thus the significance of sound, the meaning of an utterance is here identical with the active response to surroundings and with the natural expression of emotions According to Husserl, the function of expression is only directly and immediately adapted to what is usually described as the meaning (Bedeutung) or the sense (Sinn) of the speech or parts of speech. Only because the meaning associated with a wordsowid expresses something, is that word-sound called 'expres- sion' (Ideen, p. 256 f). "Between the ,nearnng and the what is meant, or what it expresses, there exists an essential relation, because the meaning is the expression of the meant through its own content (Gehalt) What is meant (dieses Bedeutete) lies in the 'object' of the thought or speech. We must therefore distinguish these three-Word, Meaning, Object "1 Geyser, Gp cit p z8 PDF compression, OCR, web optimization using a watermarked evaluation copy of CVISION PDFCompresso These complexities are mentioned here to show how vague are most of the terms which are commonly thought satisfactory in this topic. Such a word as 'understand' is, unless specially treated, far too vague to serve except provisionally or at levels of discourse where a real understanding of the matter (in the reference sense) is not possible. The multiple functions of speech will be classified and discussed in the following chapter. There it will be seen that the expression of the speaker's intention is one of the five regular language functions. Grice hated Austin’s joke, the utteratum, “I use ‘utterance’ only as equivalent to 'utteratum;' for 'utteratio' I use ‘the issue of an utterance,’” so he needed something for ‘what is said’ in general, not just linguistic, ‘what is expressed,’ what is explicitly conveyed,’ ex-prĭmo , pressi, pressum, 3, v. a. premo. express (mostly poet. and in postAug. prose; “freq. in the elder Pliny): (faber) et ungues exprimet et molles imitabitur aere capillos,” Hor. A. P. 33; cf.: “alicujus furorem ... verecundiae ruborem,” Plin. 34, 14, 40, § 140: “expressa in cera ex anulo imago,” Plaut. Ps. 1, 1, 54: “imaginem hominis gypso e facie ipsa,” Plin. 35, 12, 44, § 153; cf.: “effigiem de signis,” id. ib.: “optime Herculem Delphis et Alexandrum, etc.,” id. 34, 8, 19, § 66 et saep.: “vestis stricta et singulos artus exprimens,” exhibiting, showing, Tac. G. 17: “pulcher aspectu sit athleta, cujus lacertos exercitatio expressit,” has well developed, made muscular, Quint. 8, 3, 10.

EX-SISTERE -- The insistens/existens distinction, the: exsistentia: Grice: “A rather complex Ciceronian construction!” – Grice: “The correct spelling, at Clifton, was ‘ex-sistentia.’” -- ex-sisto or existo , stĭti, stĭtum, 3, v. n. ( I.act. August. Civ. D. 14, 13), to step out or forth, to come forth, emerge, appear (very freq. and class.). I. Prop. A. In gen.: “e latebris,” Liv. 25, 21, 3: “ab inferis,” Cic. Verr. 2, 1, 37, § 94; Liv. 39, 37, 3: “anguem ab ara exstitisse,” Cic. Div. 2, 80 fin.; cf.: vocem ab aede Junonis ex arce exstitisse (shortly before: voces ex occulto missae; and: “exaudita vox est a luco Vestae),” id. ib. 1, 45, 101: “est bos cervi figura, cujus a media fronte inter aures unum cornu exsistit excelsius,” Caes. B. G. 6, 26, 1: “submersus equus voraginibus non exstitit,” Cic. Div. 1, 33, 73; cf. Cic. Verr. 2, 4, 48, § 107: “nympha gurgite medio,” Ov. M. 5, 413: “hoc vero occultum, intestinum ac domesticum malum, non modo non exsistit, verum, etc.,” does not come to light, Cic. Verr. 2, 1, 15, § 39.— B. In partic., with the accessory notion of originating, to spring, proceed, arise, become: “vermes de stercore,” Lucr. 2, 871: “quae a bruma sata sunt, quadragesimo die vix exsistunt,” Varr. R. R. 1, 34, 1: “ut si qui dentes et pubertatem natura dicat exsistere, ipsum autem hominem, cui ea exsistant, non constare natura, non intelligat, etc.,” Cic. N. D. 2, 33 fin.: “ex hac nimia licentia ait ille, ut ex stirpe quadam, exsistere et quasi nasci tyrannum,” id. Rep. 1, 44; id. Off. 2, 23, 80; cf.: “ex luxuria exsistat avaritia necesse est,” id. Rosc. Am. 27, 75; “ut exsistat ex rege dominus, ex optimatibus factio, ex populo turba et confusio,” id. Rep. 1, 45: “ut plerumque in calamitate ex amicis inimici exsistunt,” Caes. B. C. 3, 104, 1; “for which: videtisne igitur, ut de rege dominus exstiterit? etc.,” Cic. Rep. 2, 26: “ex quo exsistit id civitatis genus,” id. ib. 3, 14: “hujus ex uberrimis sermonibus exstiterunt doctissimi viri,” id. Brut. 8, 31; cf. id. Or. 3, 12: “ex qua (disserendi ratione) summa utilitas exsistit,” id. Tusc. 5, 25, 72: “sermo admirantium, unde hoc philosophandi nobis subito studium exstitisset,” id. N. D. 1, 3, 6: “exsistit hoc loco quaestio subdifficilis,” id. Lael. 19, 67: “magna inter eos exsistit controversia,” Caes. B. G. 5, 28, 2: “poëtam bonum neminem sine inflammatione animorum exsistere posse,” Cic. de Or. 2, 46 fin.: exsistit illud, ut, etc., it ensues, follows, that, etc., id. Fin. 5, 23, 67; cf.: “ex quo exsistet, ut de nihilo quippiam fiat,” id. Fat. 9, 18. II. Transf., to be visible or manifest in any manner, to exist, to be: “ut in corporibus magnae dissimilitudines sunt, sic in animis exsistunt majores etiam varietates,” Cic. Off. 1, 30, 107: “idque in maximis ingeniis exstitit maxime et apparet facillime,” id. Tusc. 1, 15, 33: “si exstitisset in rege fides,” id. Rab. Post. 1, 1: “cujus magnae exstiterunt res bellicae,” id. Rep. 2, 17: “illa pars animi, in qua irarum exsistit ardor,” id. Div. 1, 29, 61: “si quando aliquod officium exstitit amici in periculis adeundis,” id. Lael. 7, 24 et saep.: “neque ullum ingenium tantum exstitisse dicebat, ut, etc.,” Cic. Rep. 2, 1; cf.: “talem vero exsistere eloquentiam, qualis fuit in Crasso, etc.,” id. de Or. 2, 2, 6; “nisi Ilias illa exstitisset,” id. Arch. 10, 24: “cujus ego dignitatis ab adolescentia fautor, in praetura autem et in consulatu adjutor etiam exstitissem,” id. Fam. 1, 9, 11; cf.: “his de causis ego huic causae patronus exstiti,” id. Rosc. Am. 2, 5: “timeo, ne in eum exsistam crudelior,” id. Att. 10, 11, 3: “sic insulsi exstiterunt, ut, etc.,” id. de Or. 2, 54, 217.Grice learned to use \/x for the existential quantifier, since “it shows the analogy with ‘or’ and avoids you fall into any ontological trap, of existential generalization, a rule of inference admissible in classical quantification theory. It allows one to infer an existentially quantified statement DxA from any instance A a/x of it. Intuitively, it allows one to infer ‘There exists a liar’ from ‘Epimenides is a liar’. It is equivalent to universal instantiation  the rule that allows one to infer any instance A a/x of a universally quantified statement ExA from ExA. Intuitively, it allows one to infer ‘My car is valuable’ from ‘Everything is valuable’. Both rules can also have equivalent formulations as axioms; then they are called specification ExA / A a/x and particularization Aa/x / DxA. All of these equivalent principles are denied by free logic, which only admits weakened versions of them. In the case of existential generalization, the weakened version is: infer DxA from Aa/x & E!a. Intuitively: infer ‘There exists a liar’ from ‘Epimenides is a liar and Epimenides exists’.  existential import, a commitment to the existence of something implied by a sentence, statement, or proposition. For example, in Aristotelian logic though not in modern quantification theory, any sentence of the form ‘All F’s are G’s’ implies ‘There is an F that is a G’ and is thus said to have as existential import a commitment to the existence of an F that is a G. According to Russell’s theory of descriptions, sentences containing definite descriptions can likewise have existential import since ‘The F is a G’ implies ‘There is an F’. The presence of singular terms is also often claimed to give rise to existential commitment. Underlying this notion of existential import is the idea  long stressed by W. V. Quine  that ontological commitment is measured by existential sentences statements, propositions of the form Dv f.  existential instantiation, a rule of inference admissible in classical quantification theory. It allows one to infer a statement A from an existentially quantified statement DxB if A can be inferred from an instance Ba/x of DxB, provided that a does not occur in either A or B or any other premise of the argument if there are any. Intuitively, it allows one to infer a contradiction C from ‘There exists a highest prime’ if C can be inferred from ‘a is a highest prime’ and a does not occur in C. Free logic allows for a stronger form of this rule: with the same provisions as above, A can be inferred from DxB if it can be inferred from Ba/x & E!a. Intuitively, it is enough to infer ‘There is a highest natural number’ from ‘a is a highest prime and a exists’.  existentialism, a philosophical and literary movement that came to prominence in Europe, particularly in France, immediately after World War II, and that focused on the uniqueness of each human individual as distinguished from abstract universal human qualities. Historians differ as to antecedents. Some see an existentialist precursor in Pascal, whose aphoristically expressed Catholic fideism questioned the power of rationalist thought and preferred the God of Scripture to the abstract “God of the philosophers.” Many agree that Kierkegaard, whose fundamentally similar but Protestant fideism was based on a profound unwillingness to situate either God or any individual’s relationship with God within a systematic philosophy, as Hegel had done, should be exact similarity existentialism 296   296 considered the first modern existentialist, though he too lived long before the term emerged. Others find a proto-existentialist in Nietzsche, because of the aphoristic and anti-systematic nature of his writings, and on the literary side, in Dostoevsky. A number of twentiethcentury novelists, such as Franz Kafka, have been labeled existentialists. A strong existentialist strain is to be found in certain other theist philosophers who have written since Kierkegaard, such as Lequier, Berdyaev, Marcel, Jaspers, and Buber, but Marcel later decided to reject the label ‘existentialist’, which he had previously employed. This reflects its increasing identification with the atheistic existentialism of Sartre, whose successes, as in the novel Nausea, and the philosophical work Being and Nothingness, did most to popularize the word. A mass-audience lecture, “Existentialism Is a Humanism,” which Sartre to his later regret allowed to be published, provided the occasion for Heidegger, whose early thought had greatly influenced Sartre’s evolution, to take his distance from Sartre’s existentialism, in particular for its self-conscious concentration on human reality over Being. Heidegger’s Letter on Humanism, written in reply to a  admirer, signals an important turn in his thinking. Nevertheless, many historians continue to classify Heidegger as an existentialist  quite reasonably, given his early emphasis on existential categories and ideas such as anxiety in the presence of death, our sense of being “thrown” into existence, and our temptation to choose anonymity over authenticity in our conduct. This illustrates the difficulty of fixing the term ‘existentialism’. Other  thinkers of the time, all acquaintances of Sartre’s, who are often classified as existentialists, are Camus, Simone de Beauvoir, and, though with less reason, Merleau-Ponty. Camus’s novels, such as The Stranger and The Plague, are cited along with Nausea as epitomizing the uniqueness of the existentialist antihero who acts out of authenticity, i.e., in freedom from any conventional expectations about what so-called human nature a concept rejected by Sartre supposedly requires in a given situation, and with a sense of personal responsibility and absolute lucidity that precludes the “bad faith” or lying to oneself that characterizes most conventional human behavior. Good scholarship prescribes caution, however, about superimposing too many Sartrean categories on Camus. In fact the latter, in his brief philosophical essays, notably The Myth of Sisyphus, distinguishes existentialist writers and philosophers, such as Kierkegaard, from absurdist thinkers and heroes, whom he regards more highly, and of whom the mythical Sisyphus condemned eternally by the gods to roll a huge boulder up a hill before being forced, just before reaching the summit, to start anew is the epitome. Camus focuses on the concept of the absurd, which Kierkegaard had used to characterize the object of his religious faith an incarnate God. But for Camus existential absurdity lies in the fact, as he sees it, that there is always at best an imperfect fit between human reasoning and its intended objects, hence an impossibility of achieving certitude. Kierkegaard’s leap of faith is, for Camus, one more pseudo-solution to this hard, absurdist reality. Almost alone among those named besides Sartre who himself concentrated more on social and political thought and became indebted to Marxism in his later years, Simone de Beauvoir 886 unqualifiedly accepted the existentialist label. In The Ethics of Ambiguity, she attempted, using categories familiar in Sartre, to produce an existentialist ethics based on the recognition of radical human freedom as “projected” toward an open future, the rejection of inauthenticity, and a condemnation of the “spirit of seriousness” akin to the “spirit of gravity” criticized by Nietzsche whereby individuals identify themselves wholly with certain fixed qualities, values, tenets, or prejudices. Her feminist masterpiece, The Second Sex, relies heavily on the distinction, part existentialist and part Hegelian in inspiration, between a life of immanence, or passive acceptance of the role into which one has been socialized, and one of transcendence, actively and freely testing one’s possibilities with a view to redefining one’s future. Historically, women have been consigned to the sphere of immanence, says de Beauvoir, but in fact a woman in the traditional sense is not something that one is made, without appeal, but rather something that one becomes. The Sartrean ontology of Being and Nothingness, according to which there are two fundamental asymmetrical “regions of being,” being-in-itself and being-for-itself, the latter having no definable essence and hence, as “nothing” in itself, serving as the ground for freedom, creativity, and action, serves well as a theoretical framework for an existentialist approach to human existence. Being and Nothingness also names a third ontological region, being-for-others, but that may be disregarded here. However, it would be a mistake to treat even Sartre’s existentialist insights, much less those of others, as dependent on this ontology, to which he himself made little direct existentialism existentialism 297   297 reference in his later works. Rather, it is the implications of the common central claim that we human beings exist without justification hence “absurdly” in a world into which we are “thrown,” condemned to assume full responsibility for our free actions and for the very values according to which we act, that make existentialism a continuing philosophical challenge, particularly to ethicists who believe right choices to be dictated by our alleged human essence or nature. 

EX-TENSVM -- extensum -- extensionalism: one of the twelve labours of H. P. Grice -- a family of ontologies and semantic theories restricted to existent entities. Extensionalist ontology denies that the domain of any true theory needs to include non-existents, such as fictional, imaginary, and impossible objects like Pegasus the winged horse or round squares. Extensionalist semantics reduces meaning and truth to set-theoretical relations between terms in a language and the existent objects, standardly spatiotemporal and abstract entities, that belong to the term’s extension. The extension of a name is the particular existent denoted by the name; the extension of a predicate is the set of existent objects that have the property represented by the predicate. The sentence ‘All whales are mammals’ is true in extensionalist semantics provided there are no whales that are not mammals, no existent objects in the extension of the predicate ‘whale’ that are not also in the extension of ‘mammal’. Linguistic contexts are extensional if: i they make reference only to existent objects; ii they support substitution of codesignative terms referring to the same thing, or of logically equivalent propositions, salva veritate without loss of truthvalue; and iii it is logically valid to existentially quantify conclude that There exists an object such that . . . etc. objects referred to within the context. Contexts that do not meet these requirements are intensional, non-extensional, or referentially opaque. The implications of extensionalism, associated with the work of Frege, Russell, Quine, and mainstream analytic philosophy, are to limit its explanations of mind and meaning to existent objects and material-mechanical properties and relations describable in an exclusively extensional idiom. Extensionalist semantics must try to analyze away apparent references to nonexistent objects, or, as in Russell’s extensionalist theory of definite descriptions, to classify all such predications as false. Extensionalist ontology in the philosophy of mind must eliminate or reduce propositional attitudes or de dicto mental states, expressed in an intensional idiom, such as ‘believes that ————’, ‘fears that ————’, and the like, usually in favor of extensional characterizations of neurophysiological states. Whether extensionalist philosophy can satisfy these explanatory obligations, as the thesis of extensionality maintains, is controversial. 

Fabri -- Filippo Fabri (1564-1630) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Abbozzo Questa voce sull'argomento religiosi italiani è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Filippo Fabri (1564-1630).jpg  Disputationes theologicae de restitutione et extrema unctione, 1624 Filippo Fabri o Fabbri (Spinata di Brisighella, 1564 – Padova, 1630) è stato un teologo, filosofo e religioso italiano dei francescani conventuali.   Indice 1       Biografia 2                                            Opere 3                                             Bibliografia 4                                           Altri progetti 5                                           Collegamenti esterni Biografia Insegnò, presso la universitas artistarum dello Studio di Padova in via Scoti, metafisica nel 1603-1606 e teologia nel 1606-1630.  Criticò Francesco Patrizi, Gianfrancesco Pico, Francisco Suárez e Galileo Galilei, in difesa di Aristotele, dell'unità della metafisica e della separazione di matematica e fisica.  Opere (LA) Filippo Fabbri, Disputationes theologicae de restitutione et extrema unctione, Venetiis, ex officina Marci Ginammi, 1624. URL consultato il 21 aprile 2015. Bibliografia Forlivesi, Marco (2011) Filippo Fabri vs Patrizi, Suárez e Galilei: il valore della "Metafisica" di Aristotele e la distinzione delle scienze speculative. In: Innovazione filosofica e università tra Cinquecento e primo Novecento - Philosophical Innovation and the University from the 16th Century to the Early 20th. La filosofia e il suo passato, 40 . CLEUP, pp. 95–116. ISBN 9788861297357 Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Filippo Fabri Collegamenti esterni Opere di Filippo Fabri, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Filippo Fabri, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata Controllo di autorità                                      VIAF (EN) 153175425 · ISNI (EN) 0000 0001 1018 055X · LCCN (EN) no2006019917 · GND (DE) 142393304 · BAV (EN) 495/24228 · CERL cnp01876978 · WorldCat Identities (EN) lccn-no2006019917 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Filosofia Portale Filosofia Categorie: Teologi italianiFilosofi italiani del XVI secoloFilosofi italiani del XVII secoloReligiosi italianiNati nel 1564Morti nel 1630Nati a BrisighellaMorti a PadovaFrancescani italiani[altre]

Fabro -- Cornelio Fabro Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Cornelio Fabro (Talmassons, 24 agosto 1911 – Roma, 4 maggio 1995) è stato un presbitero, teologo, filosofo, storico della filosofia, traduttore e accademico italiano, membro della Congregazione delle Sacre Stimmate di Nostro Signore Gesù Cristo.   Indice 1                  Biografia 2                                            Il pensiero 3                                            Opere 3.1                                            Traduzioni 4                                          Letteratura su Cornelio Fabro 5                                     Note 6                                             Voci correlate 7                                            Altri progetti 8                                           Collegamenti esterni Biografia Nacque in Flumignano, frazione del comune di Talmassons (UD). Nel 1922 entrò come aspirante nel seminario degli stimmatini. Compiuti tutti gli studi inferiori e superiori, nel 1931 si laureò in Filosofia presso la Pontificia Università Lateranense (con il massimo dei voti, la lode e l'assegnazione di un premio speciale). Il titolo della sua tesi di laurea è: L'oggettività del principio di causa e la critica di D. Hume. Alla Lateranense, il Fabro era stato in precedenza allievo del biologo Giuseppe Reverberi. Il 20 aprile 1935 riceve l'ordinazione sacerdotale a San Giovanni Laterano, e il 7 luglio consegue (con pieni voti e lode) la licenza in Teologia presso la Pontificia Università San Tommaso d'Aquino[1].  Si dedica quindi allo studio da una parte delle scienze naturali e biologiche, per le quali sembra avviarsi alla docenza universitaria, dall'altra, e soprattutto, della filosofia: nel 1938 consegue il dottorato in Teologia nella Pontificia Università «Angelicum» con la dissertazione teologica La nozione metafisica di partecipazione secondo San Tommaso, che diventa un'opera capitale per la comprensione della quarta via e di tutto il pensiero tomista. Nel 1939 è docente straordinario di Metafisica nell'Ateneo Urbaniano (dal 1941 diventa ordinario).  Gli studi e le pubblicazioni si susseguono a ritmo serrato. Nel 1948 consegue la «libera docenza» di Filosofia teoretica all'Università di Roma, ed è anche nominato professore honoris causa di Filosofia nell'Università di Buenos Aires. Continua a insegnare nelle università pontificie, ma dal 1949 ha anche un incarico di Filosofia all'Università di Roma. Nel 1954 diventa straordinario di Filosofia teoretica presso l'Istituto Universitario Pareggiato di Magistero «Maria Ss. Assunta» di Roma, divenendone al contempo direttore fino al 1956. Nel 1954 risulta vincitore della cattedra di Filosofia teoretica presso l'Università di Napoli come secondo ternato.  Nel 1965 è nominato professore ordinario di Filosofia nell'Università degli Studi di Perugia, e preside della Facoltà di Magistero nella stessa Università. Di qui in avanti è un seguito ininterrotto d'incarichi sia accademici sia culturali e istituzionali del più alto prestigio, nella Chiesa, in Italia e nel mondo. Nonostante il susseguirsi instancabile di studi, di pubblicazioni, d'impegni, e la fama che ne consegue, il padre Fabro continua a vivere modestamente e semplicemente nella parrocchia romana di Santa Croce al Flaminio, retta dai suoi confratelli stimmatini, dedicandosi alla pastorale parrocchiale, e non tirandosi mai indietro da scalmanate partite a pallone coi "regazzini" dell'oratorio, inconsapevoli di star marcando chiassosamente un centravanti così illustre.  Il pensiero Cornelio Fabro si inscrive nell'alveo della neoscolastica, o, più precisamente, del neotomismo. Il suo apporto più profondo alla metafisica classica, sulle orme di san Tommaso d'Aquino, è la distinzione reale tra essentia ("essenza") e actus essendi ("atto d'essere"). È questa tesi che lo porterà a riconoscere con sicurezza le debolezze e le aporie del pensiero moderno, il quale, movendo dall'immanentismo del cogito cartesiano, sfocia ineluttabilmente nell'ateismo. Inoltre combatté e condannò l'eterodosso pensiero modernista.  Nel saggio Introduzione all'ateismo moderno (Studium, Roma, 1964) egli ha sviluppato un ampio esame del pensiero ateo moderno, trovandone l'origine nel pensiero di Cartesio e con successivi importanti apporti di quello di Spinoza. Secondo Fabro con alcune premesse poste da essi l'ateismo ha trovato basi di sviluppo importanti. In buona sintesi: tutto nasce da una visione filosofica dell'"immanenza" che ha danneggiato fortemente il riferimento alla "trascendenza".  Altri pensatori moderni su cui si è esercitata l'acribìa fabriana sono Emanuele Severino e Karl Rahner. Sul fronte opposto, il Fabro ha valorizzato in misura importante il pensiero cristiano, esistenzialista, anti-idealista di Søren Kierkegaard, facendosi traduttore (dall'originale in lingua danese), editore e commentatore delle sue opere.  Opere Nell'arco temporale 1934-1994 Fabro pubblicò 38 libri, ciò che fa di lui uno scrittore con una produzione media superiore a un libro ogni due anni. Ma la sua produzione letteraria viene quasi raddoppiata quando si considerino i suoi contributi in diverse opere in collaborazione (circa venti); le voci per Dizionari, per Enciclopedie italiane ed estere (per la sola Enciclopedia Cattolica [1948] scrive 113 voci); gli articoli su riviste, giornali, periodici (quasi novecento); le recensioni (centinaia); ecc.[1]  La nozione metafisica di partecipazione secondo S. Tommaso d'Aquino, S.E.I., Torino, 1939 Neotomismo e suarezismo, Piacenza, 1941 La fenomenologia della percezione, Vita e Pensiero, Milano, 1941 Percezione e pensiero, Vita e Pensiero, Milano, 1941 Introduzione all'esistenzialismo, Vita e Pensiero, Milano, 1943 Problemi dell'esistenzialismo, A.V.E., Roma, 1945 Tra Kierkegaard e Marx: per una definizione dell'esistenza, Vallecchi, Firenze, 1952 Dio. Introduzione al problema teologico, Studium, Roma, 1953 L'Assoluto nell'esistenzialismo, Miano-Catania, 1953 L'anima, Studium, Roma, 1955 Dall'essere all'esistente, Morcelliana, Brescia, 1957 Profili di Santi, Istituto Padano di Arti Grafiche, Rovigo, 1957 Vangeli delle domeniche, Morcelliana, Brescia, 1959 Breve introduzione al Tomismo, Desclée, Roma, 1960 Georg W.F. Hegel: La dialettica, La Scuola Editrice, Brescia, 1960 Participation et causalité selon S. Thomas D'Aquin, Paris-Louvain, 1961 Partecipazione e causalità, S.E.I., Torino, 1960 Feuerbach-Marx-Engels. Materialismo dialettico e materialismo storico, La Scuola Editrice, Brescia, 1962 Introduzione all'ateismo moderno, Studium, Roma, 1964 L'uomo e il rischio di Dio, Studium, Roma, 1967 Esegesi tomistica, Pontificia Università Lateranense, Roma, 1969 Tomismo e pensiero moderno, Pontificia Università Lateranense, Roma, 1969 La svolta antropologica di Karl Rahner, Rusconi, Milano, 1974 L'avventura della teologia progressista, Rusconi, Milano, 1974 Søren Kierkegaard. Il problema della Fede, La Scuola Editrice, Brescia, 1978 La trappola del compromesso storico: da Togliatti a Berlinguer, Logos, Roma, 1979 La preghiera nel pensiero moderno, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1979 L'alienazione dell'Occidente. Osservazioni sul pensiero di Emanuele Severino, Quadrivium, Genova, 1981 Momenti dello spirito I, Sala Francescana di cultura «P. Antonio Giorgi», Assisi - S. Damiano, 1983 Momenti dello spirito II, Sala Francescana di cultura «P. Antonio Giorgi», Assisi - S. Damiano, 1983 Introduzione a San Tommaso, Ares, Milano, 1983 Riflessioni sulla libertà, Maggioli, Rimini, 1983 Gemma Galgani. Testimone del soprannaturale, Cipi, Roma, 1987 L'enigma Rosmini, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1988 Le prove dell'esistenza di Dio, La Scuola, Brescia, 1989 Commento al Pater Noster, (postumo), Pontificia Accademia di San Tommaso d'Aquino, Città del Vaticano, 2002 Traduzioni Ludwig Feuerbach, L'essenza del Cristianesimo, L'Aquila, Japadre, 1977. Letteratura su Cornelio Fabro Antonio Pieretti (a cura di), Essere e libertà. Studi in onore di Cornelio Fabro, Maggioli, Rimini, 1984. Giuseppe Mario Pizzuti (a cura di), Veritatem in caritate. Studi in onore di C. Fabro, Ermes, Potenza, 1991. Rosa Goglia, La novità metafisica in Cornelio Fabro, Marsilio, Venezia, 2004. Federico Costantini (a cura di), Cornelio Fabro e il problema della libertà, Forum, Udine, 2007. Elvio Celestino Fontana, Fabro all'Angelicum, EDIVI, Segni, 2008. Idem, Fabro e l'Esistenzialismo, EDIVI, Segni, 2010. Rosa Goglia, Cornelio Fabro. Profilo biografico, cronologico, tematico da inediti, note di archivio, testimonianze, EDIVI, Segni, 2010. Ariberto Acerbi (a cura di), Crisi e destino della filosofia. Studi su Cornelio Fabro, EDUSC, Roma, 2012. Note ^ Goglia, Rosa, Cornelio Fabro : profilo biografico cronologico tematico da inediti, note di archivio, testimonianze, EDIVI, 2010, p. 44, ISBN 9788889231371, OCLC 641458068. Voci correlate Søren Kierkegaard Neotomismo Ateismo Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Cornelio Fabro Collegamenti esterni AA. VV., Cornelio Fabro, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Pagina su Cornelio Fabro e sulle sue opere., su corneliofabro.org. Pagina dell'Università di Trieste relativa a Convegno internazionale su Cornelio Fabro., su units.it. Il Fondo Fabro presso la Biblioteca della Pontificia Università della Santa Croce., su pusc.it. Controllo di autorità                                    VIAF (EN) 14848063 · ISNI (EN) 0000 0001 0872 2014 · SBN IT\ICCU\CFIV\000300 · LCCN (EN) n79108916 · BNF (FR) cb123591113 (data) · BNE (ES) XX920497 (data) · BAV (EN) 495/141629 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79108916 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Filosofia Portale Filosofia Categorie: Presbiteri italianiTeologi italianiFilosofi italiani del XX secoloNati nel 1911Morti nel 1995Nati il 24 agostoMorti il 4 maggioNati a TalmassonsMorti a RomaAccademici italiani del XX secoloFilosofi cattoliciPersonalità del cattolicesimoProfessori della Sapienza - Università di RomaProfessori dell'Università degli Studi di Napoli Federico IIProfessori dell'Università degli Studi di PerugiaStorici della filosofia italianiStorici della filosofia medievaleTraduttori all'italianoTraduttori dal daneseTraduttori dal tedesco all'italianoTraduttori italianiStimmatini[altre]

Faggin Giuseppe Faggin Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Giuseppe Faggin (Isola Vicentina, 20 ottobre 1906 – 23 settembre 1995[1]) è stato un filosofo e storico della filosofia italiano.   Indice 1            Biografia 2                                            Pubblicazioni 2.1                                        Monografie 2.2                                         Traduzioni 3                                          Note 4                                             Bibliografia 5                                           Collegamenti esterni Biografia Laureatosi nel 1930 con Erminio Troilo,[2] Faggin è stato professore di filosofia all'Università di Padova e nei licei classici di Bassano del Grappa, Campobasso e Vicenza.[1]  Studioso del platonismo, della tradizione mistica e dell'occultismo, ha tradotto per la prima volta in Italia le Enneadi di Plotino, pubblicate nel 1947–48 per l'Istituto Editoriale, e riedite nel 1992 da Rusconi.[1]  Altri suoi lavori riguardano Meister Eckhart e la mistica medioevale tedesca, il filosofo Schopenhauer, la stregoneria e l'occultismo rinascimentale.[1]  Suo figlio Federico è un importante fisico e inventore: sua l'invenzione nel 1971 del microprocessore.  Pubblicazioni Monografie Van Gogh, Padova, CEDAM, 1945. Plotino, Milano, Garzanti, 1945[3] (2ª ed. aggiornata: Plotino, Roma, Āśram Vidyā, 1988). Meister Eckhart e la mistica tedesca preprotestante, Bocca, Milano, 1946. Schopenhauer: il mistico senza Dio, Firenze, La nuova Italia, 1951. Le streghe: trentatré incisioni dell'epoca, Milano, Longanesi & C., 1959. Gli occultisti dell'età rinascimentale, Milano, Marzorati, 1960. Storia della filosofia: ad uso dei licei classici, Milano, Principato, 1963–65. Dal Rinascimento a Immanuel Kant, Milano, Principato, 1969. Il pensiero antico e medievale, Milano, Principato, 1972. Diabolicità del rospo, Vicenza, Neri Pozza, 1973. Dal Romanticismo alla scuola di Francoforte, Milano, Principato, 1977. Traduzioni Plotino, Enneadi, 3 voll., Introduzione, testo critico, traduzione e note di Giuseppe Faggin, Milano, Istituto Editoriale, 1947–48. Arthur Schopenhauer, I due problemi fondamentali dell'etica: 1. Sulla libertà del volere; 2. Sul fondamento della morale, Introduzione, traduzione e note di Giuseppe Faggin, Torino, Boringhieri, 1961. Meister Eckhart, Trattati e prediche, a cura di Giuseppe Faggin, Milano, Rusconi, 1982. Inni orfici, a cura di Giuseppe Faggin, Roma, Āśram Vidyā, 1991. Plotino, Enneadi. Testo greco a fronte, a cura di Giuseppe Faggin, coadiuvato da Roberto Radice, Milano, Rusconi, 1992. Note  In ricordo di Giuseppe Faggin. ^ Franco Volpi, Ars majeutica. Studi in onore di Giuseppe Faggin, pag. 3, Neri Pozza, 1985. ^ Estratti del testo su Plotino pubblicato da Giuseppe Faggin per Garzanti. Bibliografia Franco Volpi (a cura di), ARS MAJEUTICA. Scritti in onore di Giuseppe Faggin, Vicenza, Neri Pozza Editrice, 1985. Collegamenti esterni Giuseppe Faggin. Le ragioni dell'insegnante, dagli Atti della commemorazione tenuta il 22 novembre 1996 Controllo di autorità                     VIAF (EN) 66550126 · ISNI (EN) 0000 0000 8344 3106 · SBN IT\ICCU\CFIV\051471 · LCCN (EN) n79060267 · GND (DE) 122870735 · BNF (FR) cb13756920c (data) · BAV (EN) 495/153050 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79060267 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloStorici della filosofia italianiNati nel 1906Morti nel 1995Nati il 20 ottobreMorti il 23 settembreNati a Isola Vicentina[altre]

Falciglia -- Giuliano Falciglia da Salemi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Giuliano Falciglia, detto da Salemi (Salemi, XV secolo – Messina, 20 maggio 1459), è stato un religioso e filosofo italiano Generale dell'ordine Agostiniano.   Indice 1   Biografia 2                                            Opere 3                                             Note 4                                             Bibliografia 5                                           Collegamenti esterni Biografia Giuliano Falciglia nacque a Salemi agli inizi del XV secolo e giovanissimo entrò nel convento di Sant'Agostino della sua città natale per essere poi trasferito nel 1419 a Padova per proseguine negli studi dove divenne allievo di Paolo da Venezia e Giovanni di Cipro. Fu poi più volte trasferito: nel 1422 a Siena e due anni dopo a Bologna, dove fu eletto definitore dell'ordine dell'isola sicula durante il capitolo del 4 luglio 1430 tenutosi nel convento di Montpelier.[1]  Fu nominato baccelliere sentenziario a Padova dove insegnò teologia nel biennio 1430-32. Fu quindi nominato reggente di Rimini e socio del Generale dell'ordine durante il concilio di Basilea sostituendolo nell'incarico dal 1443. Restò fino al 1459 Generale dell'Ordine agostiniano.[2] Questa carica gli venne più volte rinnovata nei diversi Capitoli dell'ordine tenutesi a Burges 1441, Ferrara (1451) e ad Avignone (1455) restando presumibilmente in carica fino alla sua morte, tanto che il successore Alessandro Oliva fu eletto solo il 12 maggio 1459. La data della sua morte che il Perdini indica come il 20 maggio è quindi non da tutti considerata esatta, ma si presume che possa essere deceduto entro la prima decate del mese di maggio. In questo lungo periodo a causa dei suoi gravi problemi di salute dal 1448 incaricò suo collaboratore Alessandro Oliva di Sassoforte, poi suo successore.  La salma fu sepolta nel convento agostiniano di Messina.  Opere Statuta pro conventu Parisiensi del 1447 De sensu composito De medio demostrationis Note ^ Giuliano da Salemi, Associazione Storico culturale S. Agostino. URL consultato il 30 luglio 2019.. ^ La chiesa e i salemitani, su matricesalemi.blogspot.com. URL consultato il 30 luglio 2019.. Bibliografia Nicola Crusenio, Bibliografia Agostiniana, a cura di D.Perini, Firenze, 1931, p. 44-45. Collegamenti esterni Giuliano Falciglia da Salemi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Categorie: Religiosi italianiFilosofi italiani del XV secoloNati nel XV secoloMorti nel 1459Morti il 20 maggioNati a SalemiMorti a Messina[altre]

Falzea -- Angelo Falzea Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Angelo Falzea (Messina, 26 agosto 1914 – Messina, 11 febbraio 2016[1]) è stato un giurista, filosofo e avvocato italiano.   Indice 1                  Biografia e carriera 2                                            Attività scientifica e pensiero 3                                         Opere principali 4                                          Note 5                                             Bibliografia 6                                           Collegamenti esterni Biografia e carriera Laureatosi in Giurisprudenza nel 1936 e allievo di Salvatore Pugliatti,[2][3][4][5][6] ha svolto l'intera carriera accademica alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Messina (intervallata da periodi di parallelo insegnamento in alcune università calabresi), prima come assistente poi, dal 1943 in poi, come ordinario, di Istituzioni di diritto privato e, dal 1984, di diritto civile,[7] fino alla nomina a professore emerito, dopo essere stato collocato a riposo. Dal 1959 al 1986, fu anche preside della Facoltà di Giurisprudenza.  Socio nazionale dell'Accademia Nazionale dei Lincei e decano dei civilisti italiani[8] fra i più noti a livello mondiale, Falzea è stato anche il più anziano ed illustre esponente della Scuola messinese di diritto civile, fondata da Salvatore Pugliatti. Condirettore della Rivista di Diritto Civile, dal 1997 al 2002 è stato anche il direttore scientifico dell'Enciclopedia del Diritto, voluta dall'editore Antonino Giuffrè, e di cui è stato uno dei fondatori.  Docente esigente, rigoroso e integerrimo, maestro della tradizione italiana della scienza del diritto, con le sue ricerche di teoria generale e dogmatica giuridica,[9] nonché con i suoi numerosi contributi ai più diversi istituti civilistici, ha segnato, in più di sessant'anni di intensa e ricca operosità scientifica, un profondo avanzamento ed un decisivo rinnovamento degli studi giuridici in Italia.[10] Tra i suoi allievi: Vincenzo Scalisi, Angelo Federico, Giovanni D'Amico, Attilio Gorassini, Enzo Campagna e Mario Trimarchi.  Tra i molti riconoscimenti ricevuti da Falzea nel corso degli anni, la laurea honoris causa in Scienze Politiche, conferitagli dall'Università di Siena[11] nel 2006, e il primo premio internazionale Bonino.  Attività scientifica e pensiero Falzea è stato un pioniere delle scienze giuridiche teoriche[12] e della filosofia del diritto, contribuendo, con un originale metodo interdisciplinare (ma non eclettico), a mettere in relazione aree disciplinari apparentemente distanti fra loro, ma tutte convergenti a conferire più solidità ed autonomia al diritto.[13] Sua costante preoccupazione è stata quella di integrare, sempre ed opportunamente, la prospettiva astratta logico-formale e filosofica con quella pragmatica del diritto mirante a fornire quel necessario ordine giuridico indispensabile alla coesistenza pacifica di vita materiale, vita spirituale e vita sociale.[14] Fra i suoi maggiori risultati,[15] la centralità della nozione di ”soggetto“, pensato sia astrattamente che in relazione alla correlativa persona fisica e reale, la fondazione di una etica giuridica e l'elaborazione di una teoria assiologica del diritto, frutto rispettivamente della sua incisiva indagine critica ed ampia comprensione concettuale delle nozioni di ”valore“ – da porre, per Falzea, al centro del pensiero giuridico, assieme a quello di ”interesse“ – e di ”categoria giuridica“ formale, quali nuclei fondanti del corpus dottrinario della giurisprudenza. Da qui, la constatazione di principio secondo cui il ”fenomeno giuridico“, nella sua accezione più ampia come fatto storico-sociale dinamico e non statico, deve essere analizzato nelle sue due componenti principali, quella ”formale“ e quella ”sostanziale“, da considerarsi sempre in un reciproco, razionale equilibrio correlativo garante di quella realtà umana fattuale di interessi e di valori.[16][17]  Epistemologia giuridica e interdisciplinarità Il perno epistemologico dell'impianto teorico delineato da Falzea, quale presupposto ineludibile per l'esistenza di un qualsiasi stato di diritto, è quello che fa leva sull'imprescindibile ruolo formalizzante che ogni determinazione giuridica cogente deve avere nel catturare, indi razionalizzare (componente formale), quel nucleo affettivo-emotivo (componente sostanziale) insito in ogni fatto umano consuetudinario della vita reale.[18][19][20] Il diritto, come realtà assiologica, è quella naturale concezione, Falzea fa notare, cui si perviene allorché si abbandona quella riduttiva visione formalistica ed astratta della giurisprudenza la quale, invece, come scienza viva e positiva, deve guardare alla realtà fattuale ed alle sue dinamiche complesse e multifattoriali, ai suoi contenuti pragmatici, di valori ed interessi.[21] Da qui, la necessaria interdisciplinarità cui deve sottostare – pur mantenendo la propria autonomia – la costante giurisprudenza per non cadere in un anacronistico e sterile formalismo privo di sostanzialità.[13]  La «forte, quasi esasperata dimensione teoretica»[22] (ma mai grettamente dogmatica) che ha caratterizzato l'opera di Falzea, espressa non solo da un punto di vista meramente logico-formale ma sempre contestualizzata alla variegata problematicità e storicità della realtà umana, si evince, in tutta la sua evidenza, dagli scritti dedicati ai problemi di teoria generale del diritto, affrontati, oltre che in alcuni suoi lavori monografici,[23] in certe voci la lui redatte per l'Enciclopedia del Diritto, tra gli anni '50 e '60, sì da costituire dei veri "classici" della letteratura giuridica contemporanea: fra queste, le voci “Accertamento” (Vol. I, 1958), “Apparenza” (Vol. II, 1958), “Efficacia Giuridica” (Vol. XIV, 1965), “Fatto giuridico” (Vol. XVI, 1967).  Fra i molti contributi dati da Falzea all'elaborazione teorica dell'ordinamento giuridico, in raccordo a quanto detto sopra, degno di nota è l'aver egli richiamata l'attenzione – nella voce ”I fatti del sentimento“, sulla scia di parte del pensiero di Pugliatti – sulla rilevanza giuridica del sentimento, inteso non come un principio generale dell'ordinamento, bensì come un vero e proprio sentimento individuale o collettivo, fattualmente rilevante per il comportamento umano, che le norme giuridiche, specie quelle del diritto civile e penale, classificano come un valore positivo, da rispettare dunque, o negativo (disvalore), da reprimere invece.[24] Da questa presupposizione quindi, con metodo contraddistinto da ampiezza dell'indagine storica e improntato al rigore filosofico, Falzea consegue uno dei suoi maggiori risultati, riguardante l'analisi del concetto generale di diritto, quale diritto positivo, cioè effettivamente vigente, scritto o no, incardinato entro un sistema assiologico fondato su un ordine razionale dello spirito umano che permette di classificare i valori umani, di una determinata società in un assegnato luogo ed in un certo tempo (storicità del diritto), secondo una scala della loro importanza. Quest'ordinamento razionale è un tratto distintivo sia del sistema culturale umano generale che dei suoi sottosistemi, fra i quali preminenti sono quello linguistico, che è il principale sistema di comunicazione, e quello giuridico, che è il sistema normativo attualizzato dell'azione umana individuale e collettiva.[25]  Da questa prospettiva, anche sulla base di un parallelo analogico-concettuale con la struttura della logica, Falzea perviene, tra l'altro, ad una elementare quanto fondamentale distinzione metagiuridica fra teoria generale del diritto e dogmatica giuridica, argomentando solidamente a favore della tesi per cui la teoria generale del diritto opera ad un livello superiore di generalità rispetto a quello in cui si colloca la dogmatica giacché quest'ultima è sempre inerente a diritti positivi storicamente attualizzati, oggetti di studio della teoria generale che, in quanto tale, non discende dunque da alcun diritto positivo particolare, e quindi neppure dalla dogmatica. La teoria generale del diritto è piuttosto riflessione metateorica su quei particolari sistemi culturali individuati dalle varie attuazioni storiche del diritto positivo, sistemi che verranno quindi interpretati speculativamente e spiegati razionalmente (interpretazione giuridica) tramite metodi centrati sulla individuazione e ordinazione concettuale. Solo in questi termini, Falzea ribadisce, si può allora più propriamente parlare, da un punto di vista positivistico, di ”scienza del diritto“, piuttosto che di semplice ”filosofia del diritto“.[26]  Nel 1991 è stata pubblicata, in sei volumi, una raccolta di scritti in suo onore, comprendente contributi tecnici e scientifici di alcuni fra i maggiori giuristi italiani, fra cui Guido Alpa, Pietro Barcellona, Paolo Barile, Cesare Massimo Bianca, Antonino Cataudella, Paolo Grossi, Elio Fazzalari, Vittorio Frosini, Nicolò Lipari, Enrico Opocher, Giorgio Oppo, Pietro Rescigno, Rodolfo Sacco, Paolo Spada, Michele Taruffo, Alberto Trabucchi.  Opere principali Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 1939. La condizione e gli elementi dell'atto giuridico, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 1941 (con successive edizioni). La separazione personale, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 1943. L'offerta reale e la liberazione coattiva del debitore, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 2011 (ristampa della prima edizione del 1947, con nuova prefazione dell'autore). Il fatto naturale, CEDAM-Casa Editrice Dott. Antonio Milani, Padova, 1969. Voci di teoria generale del diritto, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 1978 (con successive edizioni). Il gene giuridico (con Danilo Mainardi), Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 1983. Introduzione alle scienze giuridiche. Parte I: Il concetto di diritto, VI edizione (I edizione, 1975), Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 2008. Teoria generale del diritto, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 1999 (Fa parte di Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, Vol. I). Dogmatica Giuridica, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 1997 (Fa parte di Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, Vol. II). Scritti d'occasione, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 2010 (Fa parte di Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, Vol. III). Note ^ Messaggio di cordoglio Archiviato il 16 febbraio 2016 in Internet Archive. sul sito dell'Università di Messina. ^ Cfr. P. Grossi, ”La cultura del civilista italiano“, p. 1215, in: Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia, Convegno di studio in onore del prof. Angelo Falzea, Messina, 4-7 giugno 2002, a cura di V. Scalisi, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 2004, pp. 1149-1228. ^ Cfr. la testimonianza dello stesso Falzea in: M. Sabbioneti, ”Salvatore Pugliatti“, Dizionario Biografico degli Italiani, 2016. ^ Cfr. http://www.messinaierieoggi.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2801:falzea-il-preside-angelo-&catid=92:antonino-condorelli&Itemid=2906 ^ Cfr. ”Omaggio ad Angelo Falzea“ (p. 191), in: P. Grossi, Nobiltà del diritto. Profili di giuristi, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 2008, pp. 189-215. ^ Cfr. pure A. Falzea, ”Salvatore Pugliatti, il maestro“, in: AA.VV., L'opera di Salvatore Pugliatti, fascicolo speciale dedicato in sua memoria, Rivista di Diritto Civile, Parte I, 1978, pp. 534-540. ^ Angelo Falzea nell'Enciclopedia Treccani ^ Sull'importanza del contributo di Falzea alla giuscivilistica italiana, cfr., per esempio, ”Omaggio ad Angelo Falzea“, cit. ^ A cui dedicava il corso annuale speciale, da lui introdotto per la prima volta nella Facoltà di Giurisprudenza di Messina, di Introduzione alle Scienze Giuridiche. ^ Cfr. V. Scalisi, ”Presentazione“, p. XVIII, in: Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia, Convegno di studio in onore del prof. Angelo Falzea, Messina, 4-7 giugno 2002, a cura di V. Scalisi, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 2004, pp. XVII-XXVII. ^ Cfr. Motivazione della laurea honoris causa in scienze Politiche conferita dall'Università degli Studi di Siena il 6 marzo 2006 ad Angelo Falzea, in: Oltre il ”positivismo giuridico“: in onore di Angelo Falzea, a cura di P. Sirena, ESI, Napoli, 2012, p. XI. ^ Cfr. F. Santoro-Passarelli, ”Sguardo all'opera di un giurista“ (p. 3), in: Scritti in onore di Angelo Falzea, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 1991, Vol. I, pp. 3-5.  Cfr. ”Omaggio ad Angelo Falzea“, cit., pp. 208-209. ^ Cfr. ”Omaggio ad Angelo Falzea“, cit., p. 205. ^ Molti dei quali riguardanti tematiche, metodologie ed indirizzi già aperti da Pugliatti (cfr. la sua biografia scientifica ”Salvatore Pugliatti, giurista inquieto“, in: P. Grossi, Nobiltà del diritto. Profili di giuristi, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 2008, pp. 531-555), seppur ottenuti, da Falzea, secondo una sua propria visione condotta da un'originale prospettiva storica e per altre vie. Per un raffronto storico-critico fra il pensiero di Pugliatti e quello di Falzea, così come per più approfondite notizie storiche sulla ”Scuola giuridica messinese“, rinviamo a V. Scalisi, Fonti-Teoria-Metodo. Alla ricerca della «regola giuridica» nell'epoca della postmodernità, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 2012, Parte II, ed alle referenze ivi citate. ^ Cfr. G. Benedetti, ”La contemporaneità del civilista“, pp. 1274-1275, in: Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia, Convegno di studio in onore del prof. Angelo Falzea, Messina, 4-7 giugno 2002, a cura di V. Scalisi, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 2004, pp. 1229-1299. ^ Cfr. ”Omaggio ad Angelo Falzea“, cit., pp. 203-205. ^ Cfr. ”Omaggio ad Angelo Falzea“, cit., pp. 201-202, 212, che riprende quanto Falzea sostiene alle pp. 9-10 della voce Sistema normativo e analitica della norma, dell'Enciclopedia del Diritto. ^ Per Falzea, il nesso fra la fattispecie, ossia la premessa normativa (ovvero, il caso particolare fattuale), e la conseguenza, ossia il suo possibile effetto giuridico, sarebbe di fondamentale importanza per chiarire la natura delle norme giuridiche, e quindi per strutturare il mondo del diritto. Cfr. F. Viola, G. Zaccaria, Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Editori Laterza, Roma-Bari, 1999, Cap. II, § 8, p. 144. ^ In merito a ciò, è utile rammentare come gli studi antropologici abbiano messo in luce il fatto saliente per il quale, in un certo senso, tutto il diritto può essere considerato come consuetudinario; cfr. U. Fabietti, F. Remotti (a cura di), Dizionario di Antropologia. Etnologia, Antropologia Culturale, Antropologia Sociale, Zanichelli Editore, Bologna, 1997, p. 239; sull'importanza, poi, della consuetudine dal punto di vista dell'antropologia giuridica, cfr. pure A. Facchi, M.P. Mittica (a cura di), Concetti e norme. Teorie e ricerche di antropologia giuridica, FrancoAngeli, Milano, 2000; L. Assier-Andrieu, Le Droit dans les sociétés humaines, Éditions Nathan, Paris, 1996, e "Penser le temps culturel du droit. Le destin du concept de coutume en anthropologie", L'Homme, 160 (2001) pp. 67-90. Inoltre, per i fondamentali contributi dell'opera di Falzea all'antropologia giuridica, cfr. R. Sacco, Antropologia giuridica. Contributo ad una macrostoria del diritto, Società editrice il Mulino, Bologna, 2007. ^ Cfr. ”Omaggio ad Angelo Falzea“, cit., pp. 206-207. ^ Cfr. ”Omaggio ad Angelo Falzea“, cit., p. 203. ^ Cfr. soprattutto la sua Introduzione alle Scienze Giuridiche. ^ Cfr. ”Sguardo all'opera di un giurista“, cit., pp. 3-4. ^ Cfr. ”Sguardo all'opera di un giurista“, cit., p. 4. ^ Cfr. A. Falzea, Teoria generale del diritto, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 1999, pp. 278-279. Bibliografia Scritti catanzaresi in onore di Angelo Falzea, ESI-Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1987. Scritti in onore di Angelo Falzea, 6 voll., Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 1991. Giornate in onore di Angelo Falzea, Messina, 15-16 febbraio 1991, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 1993. Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia, Convegno di studio in onore del prof. Angelo Falzea, Messina, 4-7 giugno 2002, a cura di V. Scalisi, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 2004. Oltre il ”positivismo giuridico“: in onore di Angelo Falzea, a cura di P. Sirena, ESI-Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2012. V. Scalisi, Fonti-Teoria-Metodo. Alla ricerca della «regola giuridica» nell'epoca della postmodernità, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 2012. Collegamenti esterni Centenario di Angelo Falzea, su gazzettadelsud.it. Ricordo di Angelo Falzea, su gazzettadelsud.it. Controllo di autorità                                         VIAF (EN) 27394002 · ISNI (EN) 0000 0000 8106 5797 · SBN IT\ICCU\CFIV\022612 · LCCN (EN) n79062992 · BNF (FR) cb15675422z (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-n79062992 Biografie Portale Biografie Diritto Portale Diritto Categorie: Giuristi italiani del XX secoloGiuristi italiani del XXI secoloFilosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloAvvocati italiani del XX secoloAvvocati italiani del XXI secoloNati nel 1914Morti nel 2016Nati il 26 agostoMorti l'11 febbraioNati a MessinaMorti a MessinaCentenari italianiProfessori dell'Università degli Studi di MessinaStudiosi di diritto civile del XX secoloStudiosi di diritto civile del XXI secolo[altre]

Fano -- Giorgio Fano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Giorgio Fano (Trieste, 17 aprile 1885 – Siena, 20 settembre 1963) è stato un filosofo italiano.  Pensatore neoidealista, apparteneva a quel gruppo di artisti, letterati, e scrittori che hanno reso famosa la Trieste del primo Novecento. Egli ha letto in modo originale l'opera di Croce e Gentile. In particolare ha sottolineato l'importanza delle scienze naturali e della matematica, che nel suo sistema non sono governate dagli pseudoconcetti. Inoltre ha dato molta importanza agli aspetti più semplici e ferini dello spirito seguendo le riflessioni di Giambattista Vico.   Indice 1                                   Biografia 1.1                                           Giovinezza e interazione con gli intellettuali giuliani 1.2                               Studi e insegnamenti 1.3                                      Ultimi anni e ricerche sull'origine del linguaggio 2                               Opere 2.1                                            Traduzioni 3                                          Note 4                                             Bibliografia 5                                           Collegamenti esterni Biografia Giorgio Fano nacque a Trieste il 17 aprile 1885. Suo padre Guglielmo era un medico affermato, sua madre Amalia Sanguinetti, da molti anni gravemente sofferente, morì quando lui era ancora bambino. Il padre Guglielmo fu uno dei pochi ebrei di allora che passarono al cattolicesimo per sincera fede. Ma tale conversione fu accompagnata da manie religiose e disordini mentali precoci.  Giovinezza e interazione con gli intellettuali giuliani Fin dall'adolescenza Fano ebbe un impulso di rivolta contro gli adulti, il loro conformismo, il loro spirito oppressivo. Nel romanzo Quasi una fantasia[1] di Ettore Cantoni[2] si parla di due ragazzi, in cui è facile riconoscere l'autore Ettore e il suo amico Giorgio Fano, che viaggiano e arrivano addirittura in Africa, appunto per sfuggire all'atmosfera pesante instaurata dagli adulti.  Fano fu un ragazzo ribelle, non volle accettare la disciplina della scuola; un piccolo episodio contraddistingue il suo carattere, quando gettò nella stufa il registro di classe. Frequentò le scuole austriache del tempo con scarso profitto; egli affermava che una parte delle sue difficoltà era dovuta al fatto di avere poca memoria (non quella concettuale, in cui eccelleva, ma quella specifica, dettagliata, necessaria ad es. nello studio della storia e della geografia). Così abbandonò gli studi assai prima di aver conseguito la maturità.  Ritiratosi da scuola, i suoi congiunti gli procurarono un posto di impiegato. Ma egli abbandonò l’impiego e affittò, assieme ad alcuni coetanei, una cameretta sul colle di Scorcola, dove si dedicò non solo a discussioni senza fine con gli amici, ma passò ore e ore a leggere i classici della filosofia. Più tardi a Vienna poté sentire le lezioni universitarie di alcuni luminari del tempo. Fu la lettura dei classici tedeschi, da Leibnitz a Schopenhauer, da Kant a Fichte e Hegel, a dare al suo pensiero un indirizzo al quale egli sarebbe rimasto fedele per tutta la vita, a fargli trovare le armi per la sua personale battaglia contro il dogmatismo, il fideismo, il clericalismo del proprio ambiente familiare.[3]  Certo alla formazione di Fano ha contribuito anche l'ambiente eccezionale della Trieste di allora; fu suo amico Umberto Poli, il cui pseudonimo, Saba, fu inventato proprio da lui.  Si ispira certamente alla figura di Fano anche il sesto de I prigioni (1924) di Saba: «L’Appassionato. / Natura, perché ardo, m’ha di rosso / pelo le guance rivestite e il mento. / Non è una brezza lo spirito: è un vento / impetuoso, onde anche il Fato è scosso. /…../ Ero Mosè che ti trasse d’Egitto, / ed ho sofferto per te sulla croce. / Mi chiamano in Arabia Maometto».  Nel 1919 Saba e Fano comprarono in società la libreria antiquaria Mayländer, la futura "Libreria antica e moderna"[4], ma non andavano d’accordo, perché Fano non era persona da accollarsi diligentemente troppi compiti "noiosi". Così i due decisero di separarsi e, poiché entrambi volevano rimanere proprietari, Fano propose di giocare questo diritto a testa o croce e vinse. Ma Saba, che era amante e cultore di libri antichi, non accettò il verdetto della sorte e convinse l’amico a cedergli ugualmente la libreria[5].  Un'altra persona dell'ambiente triestino con cui Fano ebbe grande amicizia è stato Virgilio Giotti. Scrive Fano[senza fonte]: «Il nostro fu un incontro come di un artista toscano con un profeta ebreo. Io ne ebbi un grande giovamento. Egli leggeva a quel tempo Zola, Maupassant e Flaubert che io non conoscevo. Per il suo carattere indolente, in molte cose esteriori della vita egli fece ciò che gli consigliavo io. Se ne venne via da Trieste, poi fece venire la famiglia a Firenze e cose simili». Ma l'amicizia fra i due subì un tremendo contraccolpo a causa delle drammatiche vicende in cui fu coinvolta Maria, sorella di Virgilio, che Fano sposò nel 1914: ebbero un figlio minorato mentale, Piero, che nel 1929 fu ucciso dalla madre, la quale si tolse a sua volta la vita[6]. Fu una tragedia che scosse profondamente tutta la città.  In seconde nozze, nel 1931 Giorgio Fano sposò Anna Curiel, da cui ebbe un figlio di nome Guido.  Studi e insegnamenti Durante il periodo della prima guerra mondiale fu irredentista, come molti dei suoi amici, Benco, Saba, Giotti, Schiffrer e altri. In seguito il suo atteggiamento fu molto simile a quello di Benedetto Croce, e per analoghi motivi ideologici. Gli ideali egalitari non facevano presa su di lui e gli sembrava utopistico, e comunque non desiderabile, l’instaurare una società comunista. Anzi, negli anni subito dopo la prima guerra mondiale si oppose con decisione al socialismo massimalista e turbolento di allora, tanto da dimostrare, per un breve periodo, una certa comprensione per la reazione fascista. Ma, già prima di Croce, Giorgio Fano divenne un antifascista, che non perdeva alcuna occasione per manifestare apertamente le sue opinioni.  Fano si laureò in filosofia col massimo dei voti a Padova nel 1923, con una tesi dal titolo Dell’universo ovvero di me stesso: saggio di una filosofia solipsistica, tesi che fu poi pubblicata nel 1926 sulla Rivista d’Italia. Probabilmente non frequentò le lezioni universitarie a Padova, anche perché era già sposato e doveva pensare a mantenere la sua famiglia. Semmai la sua formazione universitaria si compì, oltre che a Vienna, a Firenze, dove aveva trascorso qualche anno prima della guerra e dove aveva frequentato l’ambiente de La Voce.   «Professore di filosofia presso vari licei di Trieste dal 1925, il Fano aspirava tuttavia all’insegnamento universitario, a cui giunse dopo molte traversie causate da intralci posti dalle autorità. Il motivo di queste difficoltà si deve alla fama di antifascista che egli si procurò quando, commemorando il cugino Enrico Elia, volontario nella grande guerra e morto sul Podgora nel 1915, tenne un discorso in cui traspariva, in maniera non molto velata, la convinzione che il sacrificio di tante vite per la libertà veniva rinnegato dal regime politico allora dominante. Questa sua presa di posizione gli costò alcuni giorni di carcere nella fortezza di Capodistria e la fama di antifascista si ripercosse sulla sua carriera universitaria».[7]  Attorno a quegli anni a Trieste si andavano diffondendo le idee della psicoanalisi, in particolare ad opera di Edoardo Weiss che era stato discepolo di Freud. A Fano non piaceva questa teoria, affermando che si basava su supposte attività del pensiero immaginarie e non verificabili; il concetto di inconscio non poteva venir accettato da chi come lui basava tutto sull'autocoscienza.[8]  Studioso di Croce, che aveva conosciuto fin dal 1912 Fano pubblicò vari articoli sulla filosofia crociana[9]; un suo articolo, dal titolo La negazione della filosofia nell’idealismo attuale (1932) gli procurò l’attenzione di Giuseppe Lombardo Radice, che gli offrì un posto di assistente volontario di pedagogia presso la facoltà di magistero dell’università di Roma, dove Fano si trasferì assieme alla sua nuova famiglia. Da notare che il suo primo libro, in cui veniva esposto organicamente il suo pensiero, Il sistema dialettico dello spirito apparve solo nel 1937, quando egli aveva già 52 anni. Nel 1938, in seguito alle leggi razziali, fu allontanato dall'insegnamento universitario; riuscì però a mantenere  un posto di professore presso la Scuola Militare di Roma.  Ultimi anni e ricerche sull'origine del linguaggio Dopo l'invasione tedesca successiva all'8 settembre 1943, Fano trovò rifugio a Rocca di Mezzo, in Abruzzo dove rimase per quasi un anno. La tranquilla sicurezza, la noncuranza dei pericoli non gli vennero mai meno, né per il rischio di venir scoperti dai tedeschi (lui e la moglie avevano falsificato le carte d’identità), né per i bombardamenti alleati. Anzi, nel lungo inverno 1943-44 i tedeschi lo usarono spesso come interprete e poiché la sua casa stava proprio sulla strada maestra, spesso la cucina era piena di soldati che avevano bisogno di qualcosa. Lì, in quella cucina mal riscaldata, incurante dei rischi immediati, egli lavorò forse più di quanto non avesse mai fatto in precedenza e portò a termine l'opera: La filosofia del Croce. Saggi di critica e primi lineamenti di un sistema dialettico dello spirito, che venne poi pubblicata nel 1946.[10]  Finita la guerra ritrovò il suo posto presso l’Università di Roma, e anzi per un breve periodo ricoprì anche la carica provvisoria di direttore dell’Istituto di pedagogia del Magistero, ma non si preoccupò di ottenere una sistemazione stabile, tanto che alla fine della sua carriera accademica non ebbe neanche diritto alla pensione. In compenso lavorò con continuità per quasi vent'anni, fino alla sua morte, portando a termine altri saggi rilevanti. Nel già citato saggio sul Croce aveva rivendicato l'importanza delle scienze empiriche, che nella filosofia crociana non avevano dignità conoscitiva. Nel testo Teosofia orientale e filosofia greca (1949) troviamo una descrizione dello sviluppo storico del pensiero umano, in cui tra l'altro viene rivendicata l'importanza della matematica, mentre il Croce sosteneva che la matematica è uno pseudoconcetto. Inoltre curò la traduzione integrale dei Prolegomena ad ogni futura metafisica di Kant (1948), di cui aveva già pubblicato degli estratti.  Infine le sue ricerche lo portarono ad esaminare il problema dell'origine della lingua, su cui espresse il suo pensiero nel Saggio sulle origini del linguaggio (1962), poi riedito accresciuto a cura della moglie Anna e del figlio Guido.  Morì a Siena il 20 Settembre 1963, mentre presiedeva una commissione di esami.  Opere Il sistema dialettico dello spirito, Roma, Servizi editoriali del GUF, 1937. La filosofia del Croce. Saggi di critica e primi lineamenti di un sistema dialettico dello spirito, Milano, Istituto editoriale italiano, 1946. Teosofia orientale e filosofia greca. Preliminari ad ogni storiografia filosofica, Firenze, La nuova Italia, 1949. Saggio sulle origini del linguaggio. Con una storia critica delle dottrine glottogoniche, Torino, Einaudi, 1962; riedizione postuma, con parti inedite, a cura di Anna e Guido Fano, col titolo Origini e natura del linguaggio, Torino, Einaudi, 1973.[11] Neopositivismo, analisi del linguaggio e cibernetica, Torino, Einaudi, 1968. Traduzioni Emanuele Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica: estratti, traduzione, introduzione e note a cura di Giorgio Fano, Firenze, G. C. Sansoni, 1935. Emanuele Kant, Prolegomena ad ogni futura metafisica, a cura di Giorgio Fano, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1948. Note ^ Ettore Cantoni, Quasi una fantasia: romanzo, Milano, Treves, 1926. ^ Cantóni, Ettore, su treccani.it. ^ Giorgio Voghera su Il Piccolo del 4 gennaio 1995. ^ Nel 1919 viene venduta a Giorgio Fano e Umberto Poli, il poeta Umberto Saba, che in data 12 settembre 1919 ne diventa proprietario unico (Rino Alessi). ^ Lantier 1976, p. 12. ^ Anna Fano 2005, p. 314. ^ Franco Laicini, in Dizionario Biografico degli Italiani, cit. infra. ^ Giorgio Voghera, Gli anni della psicanalisi, Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1980, pp. 32-33: «Egli diceva, ad esempio, che una teoria può essere accettata solo se si prospettano anche delle ipotesi — che poi appariranno assurde e non si verificheranno concretamente — nelle quali essa dovrebbe venir respinta. La psicanalisi, invece, si mette accuratamente al coperto da ogni prova contraria». ^ L'estetica nel sistema di B. Croce, L'Anima, dicembre 1911; la filosofia di B. Croce, Giornale critico della filosofia italiana, 1928. ^ Un episodio illustra bene sia l’importanza che egli annetteva al suo lavoro, sia il suo coraggio: «Una mattina, scendendo in cucina, che era diventata il suo studio, la trovò invasa da soldati tedeschi che cercavano acqua ed altro. E allora, con l’abituale tono tranquillo, dimenticando con chi aveva a che fare, lui l’ebreo, col suo viso di profeta biblico, additò ai soldati della Wehrmacht la porta: Prego – disse in tedesco – se lorsignori avessero la compiacenza di andare da un’altra parte. Io avrei da lavorare. Senza fiatare i soldati infilarono la porta ed egli si rimise tranquillamente al suo tavolo di lavoro per battagliare con Croce, dimentico che la più superficiale inchiesta sarebbe stata sufficiente a convogliarlo assieme alla sua famiglia verso i campi di sterminio» (Anna Fano 1993, p. 47). ^ Il saggio è stato tradotto in inglese: The Origins and Nature of Language, translated by Susan Petrilli, Bloomington, Indianapolis, Indiana University Press, 1992. Bibliografia Anna Fano, Noi ebrei, Gorizia, Istituto giuliano di storia, cultura e documentazione, 1993. Anna Fano, Giorgio e io: un grande amore nella Trieste del primo '900, a cura di Guido Fano, Venezia, Marsilio, 2005, ISBN 88-317-8689-X. Guido Fano, L'ottimismo di Giorgio Fano e il pessimismo di Giorgio Voghera. Brani da lettere e testi, Milano, Mimesis, 2019, ISBN 978-88-575-5487-7. Silvano Lantier, Il pensiero di Giorgio Fano: il linguaggio tra filosofia e scienza, Trieste, Riva, 1976. Silvano Lantier, Giambattista Vico e Giorgio Fano: motivi di un'affinità ideale, Udine, Del Bianco, 1981. Collegamenti esterni Franco Laicini, Giorgio Fano, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 15 gennaio 2018. Dal sito "Giorgio Fano Filosofo" si possono scaricare in formato PDF molti suoi scritti editi e inediti Controllo di autorità                                            VIAF (EN) 79094807 · ISNI (EN) 0000 0000 8396 8009 · SBN IT\ICCU\RAVV\016238 · LCCN (EN) n82130656 · GND (DE) 17208458X · BNF (FR) cb123472977 (data) · BAV (EN) 495/319699 · WorldCat Identities (EN) viaf-79094807 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XIX secoloFilosofi italiani del XX secoloNati nel 1885Morti nel 1963Nati il 17 aprileMorti il 20 settembreNati a TriesteMorti a SienaEbrei italiani[altre]

Fardella -- Michelangelo Fardella Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Ritratto di Michelangelo Fardella, 1818 circa Michelangelo Fardella (Trapani, 1650 – Napoli, 5 gennaio 1718) è stato un matematico e filosofo italiano.   Indice 1      Biografia 2                                            Pensiero 3                                            Opere 4                                             Note 5                                             Bibliografia 6                                           Collegamenti esterni Biografia Fardella studiò a Messina, allievo di Giovanni Alfonso Borelli, dal quale accettò la teoria atomistica di Democrito, ma abbracciò il pensiero di Cartesio, dopo averne appreso gli insegnamenti durante il suo soggiorno a Parigi dal 1678 al 1680, grazie alle conversazioni con Antoine Arnauld, Nicolas Malebranche e Bernard Lamy.  Membro dell'ordine francescano, insegnò matematica a Roma e poi a Modena, mentre a Padova, dal 1693, anno in cui divenne prete secolare, insegnò astronomia e poi filosofia. Nel 1709 lasciò lo Studio padovano, recandosi a Barcellona, e ritornando in Italia nel 1712.  Tenne una lunga corrispondenza con Leibniz e polemizzò con Matteo Giorgi, che con il suo Saggio della nuova dottrina di Renato Descartes aveva attaccato il cartesianesimo.  Pensiero Il cartesianesimo del Fardella, per quanto riconosca che «solo Cartesio trovò, fra gli antichi e i moderni, il retto e naturale metodo di filosofare», è tuttavia relativo, adeguato com'è al platonismo di Agostino. La struttura del mondo è organizzata secondo principi matematici:«Dio ha creato ogni cosa secondo peso, numero e misura, ossia secondo le leggi statiche, aritmetiche e geometriche»; mediante la matematica si comprende il mondo e si comprende così la logica di Dio.  Nel punto, che non ha peso, non ha grandezza, non è divisibile, è tuttavia l'origine di ogni estensione: «nel punto, come il numero nell'unità, si risolve l'estensione». L'anima, che non ha estensione, è un punto.  Per Fardella, non è possibile dimostrare l'esistenza indipendente delle realtà materiali: «La stessa esperienza ci insegna che spesso nel sogno percepiamo oggetti che veramente non possiamo ammettere realmente esistenti. Quante volte, la notte, mentre dormo, vedo splendere il sole sopra l'orizzonte e vedo muoversi in vari modi moltissime cose prodigiose, che non sono niente extra ideam?. Dunque, quel che sento e vedo non può in nessun modo essere dedotto come realmente esistente». E se si obbietta che una cosa è sognare, altra cosa è la veglia, per lui le cose che percepiamo nella veglia potrebbe anche essere soltanto cose percepite «con maggiore chiarezza, distinzione e ordine, benché non siano niente» in sé. I sensi non danno certezza del mondo, la quale può ritrovarsi, per il Fardella come per Cartesio, soltanto in Dio.  Opere Universae philosophiae systema, in qua nova quadam et extricata Methodo, Naturalis scientiae et Moralis fundamenta explanantur, Venezia, 1691[1] Universae usualis mathematicae theoria, Venezia, 1691. Utraque dialectica rationalis et mathemathica, Amsterdam, 1695. Animae humanae natura ab Augustino detecta in libris de Animae Quantitate, decimo de Trinitate, et de Animae Immortalitate, Venezia, 1698 Pensieri scientifici, Napoli, 1986. Lettera antiscolastica, Napoli, 1986. Note ^ Recensito immediatamente dopo la pubblicazione del primo e unico volume sulla rivista scientifica Acta Eruditorum Universae Philosophae Systema. Tomus I, Leipzig, 1692, p. 39. URL consultato il 10 settembre 2018. Bibliografia Descartes e l'eredità cartesiana nell'Europa sei-settecentesca, Lecce, 2002. Professori e scienziati a Padova nel Settecento, Treviso, 2002. Franco Aureluio Meschini, FARDELLA, Michelangelo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 44, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1994. Modifica su Wikidata FARDELLA, Michelangelo, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Collegamenti esterni Opere di Michelangelo Fardella, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Michelangelo Fardella, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Controllo di autorità                                VIAF (EN) 71418257 · ISNI (EN) 0000 0000 6300 7585 · LCCN (EN) n82259779 · GND (DE) 119291967 · BNF (FR) cb12093422f (data) · BAV (EN) 495/114275 · CERL cnp00405237 · WorldCat Identities (EN) lccn-n82259779 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Matematici italiani del XVII secoloMatematici italiani del XVIII secoloFilosofi italiani del XVII secoloFilosofi italiani del XVIII secoloNati nel 1650Morti nel 1718Morti il 5 gennaioNati a TrapaniMorti a NapoliPersone legate all'Università degli Studi di PadovaFardella (famiglia)[altre]

farquharsonism – Grice enjoyed reading Cook Wilson, and was grateful to A S L Farquharson for making that possible.

Fasso --  Guido Fassò Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search «Guido Fassò, mi viene a conforto col suo ottimo lavoro, che dà una diligentissima ed acuta interpretazione ed esposizione del corso non già logico ma storico, o per meglio dire, psicologico della formazione della Scienza nuova; esposizione che è utile possedere e che si segue con curiosità. Con pari bravura è condotta la ricerca di quel che il Vico attinse o credette di attingere ai quattro suoi autori.»  (Benedetto Croce, Illusione degli autori sui “loro” autori, in Quaderni della Critica, luglio 1949, n. 14[1])  Guido Fassò. Guido Fassò (Bologna, 18 ottobre 1915 – Bologna, 30 ottobre 1974) è stato un giurista e filosofo italiano.   Indice 1                                         Biografia 2                                            Sinossi del pensiero 3                                        Onorificenze 4                                           Note 5                                             Bibliografia 5.1                                          Opere 5.2                                            Curatele 5.3                                            Biografie 5.4                                           Letteratura critica 6                                                Collegamenti esterni Biografia  Frontespizio de La storia come esperienza giuridica, Giuffrè, Milano 1953.  Giuseppe Saitta, esponente della cosiddetta «sinistra gentiliana»[2], seguì Fassò nella redazione della tesi di laurea in Filosofia, avviandolo, per mezzo dell'indagine su Michelet, agli studi vichiani[3]. Nato a Bologna, il 18 ottobre 1915, da Ernesto, generale dell'esercito, e Caterina Barbieri, discendente dalle famiglie Barbieri (il di lei nonno era Lodovico Barbieri) e Dallolio (Maria Sofia, moglie di Lodovico, era sorella di Alberto e Alfredo Dallolio[4][5]), Guido Fassò trascorre i suoi primi anni, fino all'adolescenza, fra il Piemonte (Mondovì), l'Emilia-Romagna (Parma) e la Lombardia (Mantova). Temperamento religioso, ereditato dall'educazione famigliare e dalla frequentazione con un anziano sacerdote[6], egli si caratterizzò sempre per il rigore negli studi (perciò Mazzetti, suo compagno di gioventù, poté definirlo «schivo degli incontri e quasi della società, teso in un impegno di chiarezza mentale, di serietà e finezza di sentire»[7]). Conseguita, nel 1932, la maturità classica al "Virgilio" di Mantova, si laurea, presso l'Alma Mater Studiorum di Bologna, in Giurisprudenza (1936), discutendo, con Umberto Borsi, una tesi di Legislazione del lavoro, intitolata L'elemento demografico nelle provvidenze assistenziali a favore dei lavoratori[8]. Dopo aver rinunciato ad impiegarsi come funzionario nell'Unione industriale[6], Fassò ottiene anche la laurea in Filosofia (1940), sotto la supervisione di Giuseppe Saitta, con una tesi di Storia della filosofia su Il pensiero filosofico e politico di Giulio Michelet[9]. Confiderà poi al suo allievo, Enrico Pattaro, che la scelta della filosofia, lungi dall'essere redditizia, è un matrimonio con «madonna povertà»[10], cui egli, tuttavia, non volle sottrarsi, non essendo versato, come rivelò a Fausto Nicolini, nella «professione forense»[11]. Svolse, quindi, l'attività di docente di storia e filosofia, inizialmente come supplente al "Galvani" di Bologna (1939), poi a Forlì (1939-1940) e, infine, al Liceo scientifico "Augusto Righi" di Bologna (1949-1953)[6].  Nel 1942, convola a nozze con una sua vecchia alunna del Liceo "Galvani", Margherita Osti, figlia di Giuseppe Osti, professore ordinario di Diritto privato all'Università di Bologna, del quale lo stesso Fassò era stato allievo[6]. Dall'unione nasceranno Alberto, Andrea (1945[12]), Federico (1952[13]) e Silvia[14]. Nell'anno delle nozze, Fassò completava il suo primo saggio, dedicato a Il Vico nel pensiero del suo primo traduttore francese, che, però, a causa dell'indisponibilità degli editori, sarebbe stato pubblicato, grazie all'intervento di Giuseppe Saitta, solo nel 1947, come memoria dell'Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna[15]. Vicino al Partito Liberale Italiano, a guerra conclusa, nel 1951, accettò di candidarsi, per il medesimo partito, alle elezioni comunali bolognesi[6].  Divenuto assistente volontario di Filosofia del diritto nell'Ateneo felsineo (1947), fu convinto da Felice Battaglia a concorrere per la libera docenza, che ottenne nel 1949. Nel medesimo anno, all'Università di Parma, gli viene quindi assegnato l'incarico in Filosofia del diritto[16]. Aggiudicatosi l'ordinariato (1957), si trasferì successivamente a Bologna (1963), dove insegnò filosofia giuridica, presso la Facoltà di Giurisprudenza, e Storia delle dottrine politiche, nella Facoltà di Lettere e Filosofia[17][18].  Si occupò di studi vichiani (della cui validità scientifica è testimonianza una epistola di Gioele Solari del 17 maggio 1949, in cui si apprende che «l'interpretazione giuridica della Scienza nuova [proposta da Fassò] [...] supera la visione Croce-Nicolini», ponendosi al livello qualitativo di quelle del Fubini e del Donati[19]) e groziani, della cura e traduzione dei Prolegomeni al diritto della guerra e della pace di Grozio (1949), e scrisse Vico e Grozio (1971), nonché, fra il 1966 e il 1970, la Storia della filosofia del diritto in tre volumi, giudicata da Bobbio come la «storia della filosofia del diritto [...] più completa» esistente «sulla faccia della terra»[20].   Oltre Croce, Fassò criticò anche Gentile, autore di una «concezione speculativa indubbiamente grandiosa», che si risolveva, però, in «vana retorica», negante, entro la dialettica dello spirito, la realtà del fenomeno giuridico[21]. Fra le altre opere, La democrazia in Grecia, del 1959 (tradotta in neogreco nel 1971, col titolo Η Δημοκρατία στην Ελλάδα [I Dimokratìa stin Ellàda], e fatta circolare durante la dittatura dei colonnelli[22]); Il diritto naturale, del 1964; dello stesso anno è La legge della ragione, considerata una «tra le opere migliori di filosofia del diritto uscite in Italia» al tempo, e consistente in una «appassionata rivalutazione» del diritto naturale[23]; Società, legge e ragione, apparso nell'anno della morte (i due ultimi volumi citati, tuttavia, ripropongono scritti precedenti). Le pubblicazioni in cui si esprime con più chiarezza l'ispirazione teoretica di Fassò sono, invece, La storia come esperienza giuridica del 1953 (in cui, ha commentato Bobbio, si dimostra che «tutti i rapporti che l'uomo ha con gli altri uomini, contengono un germe di organizzazione, e quindi sono istituzioni giuridiche»[24]) e Cristianesimo e società del 1956, che susciterà un vivace dibattito nell'ambiente cattolico, incontrando financo il favore di Prezzolini[25].  Colpito dalla malattia, Fassò spira nella notte del 30 ottobre 1974[26]. Il suo testamento, composto già nel 1955, disponeva funerali semplici, «senza fiori e senza seguito di estranei». In un codicillo del 1967, inoltre, soggiungeva che, «se si trovassero miei scritti incompiuti, manoscritti o dattilografati, non si stampino, perché non possono essere stati riveduti come avrei ritenuto necessario», congiuntamente all'invito a non raccogliere «in volume opuscoli sparsi o "scritti minori", operazione che non dovrebbe mai esser fatta se non dall'autore»[27].  Alla memoria di Fassò, oltre che a quella di Augusto Gaudenzi, è intitolato il Centro Interdipartimentale di Ricerca in Storia del Diritto, Filosofia e Sociologia del Diritto e Informatica Giuridica (CIRSFID) dell’Università di Bologna, istituito nel 1986[28].   Benché Fassò abbia apprezzato il Romano sostenitore della concezione non normativistica del diritto, egli non poté tacerne il limite, consistente nell'assenza di una «definizione esauriente» dell'istituzione, dovuto alla volontà di Romano di tenersi «fuori dal campo della filosofia»[29]. Sinossi del pensiero Secondo Giuliano Marini fu «il più limpido storico del giusnaturalismo»[30].  Formatosi filosoficamente nella temperie culturale neoidealistica, Fassò se ne distaccò, rifiutandone soprattutto l'immanentismo[31], con La storia come esperienza giuridica[32], opera ispirata dalle suggestioni istituzionalistiche di Santi Romano (ma di questi deplorerà, nella successiva Storia della filosofia del diritto, il «circolo vizioso», per cui una «istituzione è giuridica [solo] quando è giuridica»[33][34]). A Croce, che faceva coincidere storia e filosofia[35][36], Fassò replicava con l'identificazione di storia e giuridicità[37], estendendo il concetto di istituzione — contrariamente a quanto aveva fatto Romano, e risolvendone così il «circolo vizioso» — a «tutti gli aspetti della vita sociale, cioè della vita dell'uomo nella storia, che è sempre vita dell'uomo in società»[33]. L'elisione dell'identità fra realtà (storica) e razionalità (filosofica) non implicava, per Fassò, la rimozione dell'Assoluto, ma egli ne negava ogni possibilità conoscitiva, ricadendo la «concreta unità del reale» (sotto l'aspetto gnoseologico) nell'ambito del privo di senso[38], sebbene restasse attingibile in uno slancio mistico, descritto, in una pagina de La legge della ragione, come partecipazione dell'«uomo [al] Valore divino, ma solo quando si faccia anch'egli Dio per unirsi a lui, trascendendo la propria umanità, la propria soggettività empirica, storica»[39]. È importante tener fermo come Fassò, quantunque abbia legato l'Assoluto a uno slancio mistico, non si sia fatto teorico di un irrazionalismo misticheggiante[40], ma — giusta l'osservazione di Lombardi Vallauri — abbia formulato un «dittico» in cui si afferma, da un lato, la «sopragiuridicità dell'etica intesa come esperienza religiosa» e, dall'altro, «la funzione essenziale della ragione giuridica nel mondo»[41]. Proprio il riconoscimento della centralità della ragione giuridica nel governo della «concreta molteplicità del reale»[42] costituì, per Fassò, un ulteriore motivo critico nei confronti dell'antigiusnaturalismo crociano, da cui, dopo l'approfondimento della storia del giusnaturalismo, prese più convintamente le distanze[43]. La concezione giusnaturalistica fassoiana, infatti, cerca di non cadere nell'errore proprio della tradizione precedente (errore che Fassò, nella Storia della filosofia del diritto, non esitò a indicare quale «difetto capitale» della scuola del diritto naturale, consistente nell'«astrattismo [e nel] conseguente antistoricismo»[44]), intendendo il diritto naturale quale «ordine che nasce dalla storia, e nel quale l'uomo non può non essere inserito proprio per la sua dimensione storica, che è la sua dimensione essenziale»[45].  Onorificenze Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell'arte - nastrino per uniforme ordinaria                                       Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell'arte — 2 giugno 1974[46][47]. Note ^ B. Croce, Illusione degli autori sui “loro” autori (PDF), su Quaderni della Critica, Laterza, luglio 1949, n. 14, 89-90. URL consultato il 26 agosto 2016. Ora anche in Id., Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, a cura di A. Savorelli, Napoli, Bibliopolis, 1997 [1952], p. 204, ISBN 978-88-7088-334-3. ^ Cfr. E. Garin, Cronache di filosofia italiana (1900/1943), 2 voll., vol. 2, Bari, Laterza, 1966 [1955], p. 427, ISBN non esistente.  «La sua ricerca [: di Saitta], anche storica, sembra inscindibile da una polemica e da una protesta. Polemica e protesta che attraversano ugualmente l'attività così del Calogero come dello Spirito, annoverati talora col Saitta fra gli esponenti della "sinistra" gentiliana, e come lui accusati a volte, e non certo benevolmente, di crocianesimo». ^ E. Pattaro, Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di Guido Fassò, in G. Fassò, Scritti di filosofia del diritto, 3 voll., a cura di E. Pattaro, C. Faralli, G. Zucchini, vol. 1, Milano, Giuffrè, 1982, p. XXIV, nota 7, ISBN non esistente.  «[Fassò seguì] con particolare attenzione i corsi di Giuseppe Saitta, che gli suggerì di approfondire Michelet (che lo avrebbe condotto a Vico)». ^ Scheda senatore DALLOLIO Alberto, su senato.it. URL consultato il 18 agosto 2019. ^ Scheda senatore DALLOLIO Alfredo, su senato.it. URL consultato il 18 agosto 2019.  F. Tamassia, FASSÒ, Guido, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 45, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1995, p. 295a, ISBN non esistente. ^ Le parole di Mazzetti sono riportate in Carla Faralli, Il maestro e lo studioso, in Rivista di filosofia del diritto, Bologna, Il Mulino, dicembre 2015, p. 9, ISBN 978-88-15-26112-0, ISSN 2280-482X (WC · ACNP). ^ Elenco dei laureati e diplomati nell'Anno Scolastico 1935-36 (e loro tesi) (JPG), in Annuario dell'Anno Accademico 1936-1937, Bologna, Società Tipografica già Compositori, 1938, p. 398a-b. URL consultato il 22 agosto 2019. ^ Elenco dei laureati e diplomati nell'Anno Scolastico 1939-40 (e loro tesi) (JPG), in Annuario dell'Anno Accademico 1940-1941, Bologna, Tipografia Compositori, 1941, p. 444a. URL consultato il 22 agosto 2019. ^ E. Pattaro, Alcuni ricordi personali e cenni sulla gnoseologia, ontologia e concezione della filosofia di Fassò, in Rivista di filosofia del diritto, Bologna, Il Mulino, dicembre 2015, p. 60, ISBN 978-88-15-26112-0, ISSN 2280-482X (WC · ACNP).  «Sul finire del 1965 Fassò mi disse che ci sarebbe stato un concorso per assistente ordinario alla cattedra e mi chiese se fossi interessato a partecipare. Ma mi prevenne con due avvertimenti sui quali avrei dovuto meditare prima di dargli una risposta. Essi sono: "chi fa filosofia del diritto in una facoltà di Giurisprudenza sposa madonna povertà", e "nell'università occorre sapere ingoiare amaro e sputare dolce perché l'intelligenza degli accademici è di regola superiore a quella dei comuni mortali, e ciò implica che essi siano capaci di cattiverie più raffinate e perfide di quelle di cui sono capaci i comuni mortali"». ^ La citazione è tratta dal carteggio Fassò-Nicolini, richiamato da E. Pattaro, nel suo Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di Guido Fassò, premesso a G. Fassò, Scritti di filosofia del diritto, 3 voll., a cura di E. Pattaro, C. Faralli, G. Zucchini, vol. 1, Milano, Giuffrè, 1982, p. XXIII, nota 7, ISBN non esistente.  «In altre lettere allo stesso Nicolini, del 23 febbraio e del 4 marzo 1948, Fassò scrive di […] non sent[ire] "nessuna vocazione per la professione forense"». ^ Curriculum vitae di Andrea Fassò, su www.unibo.it. URL consultato il 22 agosto 2019. ^ Consiglio Nazionale del Notariato, su www.notariato.it. URL consultato il 22 agosto 2019. ^ C. Faralli, Prefazione a G. Fassò, Storia della filosofia del diritto, 3 voll., edizione aggiornata a cura di C. Faralli, vol. 1, Roma-Bari, Laterza, 2001 [1966], p. VIII, ISBN 978-88-420-6239-4. ^ E. Pattaro, Gli studi vichiani di Guido Fassò (PDF), in Bollettino del Centro Studi Vichiani, vol. 5, Napoli, Guida, 1975, p. 87, nota 1. URL consultato il 18 agosto 2019.  «Fassò aveva ultimato [Il Vico nel pensiero del suo primo traduttore francese] nel maggio-giugno 1942, ma — causa la difficoltà di trovare un editore — non gli fu possibile pubblicarlo allora: soltanto il 29 marzo 1947 egli poté presentarlo all'Accademia delle scienze di Bologna per il tramite di Giuseppe Saitta». ^ E. Pattaro, Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di Guido Fassò, in G. Fassò, Scritti di filosofia del diritto, 3 voll., a cura di E. Pattaro, C. Faralli, G. Zucchini, vol. 1, Milano, Giuffrè, 1982, p. XXIV, nota 7, ISBN non esistente.  «Nel '45-'46, dopo i disagi della guerra, [Fassò] aveva ripreso le proprie ricerche incoraggiato da Felice Battaglia, che lo convinse ad affrontare l'esame di libera docenza in filosofia del diritto […]. Conseguita la libera docenza in filosofia del diritto nel 1949, nello stesso anno Fassò ebbe il suo primo incarico in questa materia, all'università di Parma». ^ F. Tamassia, FASSÒ, Guido, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 45, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1995, pp. 295a-295b, ISBN non esistente. ^ F. Battaglia, Guido Fassò: in memoria, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, n. 2, 1975, p. 301.  «Nel 1949 [giunse] alla libera docenza, e nello stesso anno lo abilitarono a tenere l'incarico della filosofia del diritto nella Università di Parma, ove divenne professore della materia nel 1954 e infine ordinario nel 1957. Nel 1963 il Fassò passò all'Università di Bologna, dove rimase titolare della disciplina, tenuta con alto prestigio e qualificata dignità fino alla morte che ne chiuse la laboriosa giornata». ^ Enrico Pattaro, Gli studi vichiani di Guido Fassò, in Bollettino del Centro Studi Vichiani, vol. 5, Napoli, Guida, 1975, pp. 94-95 e nota 12.  «Tra le carte personali di Guido Fassò ho trovato una cartolina postale, vergata fitta fitta da Gioele Solari. In essa, tra le altre cose, è scritto: ‘Da tempo ero convinto della verità della interpretazione giuridica della S.[cienza] Nuova: ma Lei [Fassò] ne ha dato ampia, profonda, persuasiva dimostrazione. La cautela con cui è sostenuta è frutto della Sua modestia, e della Sua serietà di studioso. Il Suo saggio sui «quattro autori» può stare a paro cogli scritti vichiani del Donati e del Fubini e supera la visione Croce-Nicolini che sul punto della genesi giuridica della S.[cienza] N.[uova] stanno ancora sulle generali’ [cfr. nota 12: La cartolina [...] fu scritta il 17 maggio 1949]». ^ Guido Fassò, Prefazione, in Carla Faralli (a cura di), Storia della filosofia del diritto, vol. 1, Roma-Bari, Laterza, 2007 [1966], p. V, ISBN 978-88-420-6239-4.  «‘Finalmente esiste in Italia (dico in Italia, ma potrei dire sulla faccia della terra) una storia della filosofia del diritto, non angustamente scolastica, non puramente nozionistica e per di più completa’: così Norberto Bobbio in due lettere a Guido Fassò del 27 aprile 1966 e del 18 gennaio 1971 salutava l'uscita della Storia della filosofia del diritto». ^ G. Fassò, Storia della filosofia del diritto, 3 voll., edizione aggiornata a cura di C. Faralli, vol. 3, Roma-Bari, Laterza, 2001 [1970], p. 247, ISBN 978-88-420-7936-1.  «In tutta la filosofia del Gentile si ha una concezione speculativa indubbiamente grandiosa, ma che si risolve in vana retorica, negante l'esperienza della realtà effettuale. Non è tuttavia dalla negazione della molteplicità dei soggetti che discende la negazione della realtà del diritto nella filosofia gentiliana. Come in quella del Croce, essa è compiuta in relazione alla dialettica dello spirito, cioè del soggetto assoluto». ^ C. Faralli, Presentazione, in G. Fassò, La democrazia in Grecia, a cura di C. Faralli, E. Pattaro, G. Zucchini, 2ª ed., Milano, Giuffrè, 1999, p. X, ISBN 88-14-07833-5.  «È importante, infine, sottolineare il valore di impegno civile che il filosofo bolognese riconosceva al testo e che ad esso venne riconosciuto dalla traduzione greca del 1971 [cfr. nota 8: Thessalonike, Poseidonas], all'epoca della dittatura militare in Grecia». ^ Norberto Bobbio, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, prefazione di Luigi Ferrajoli, Roma-Bari, Laterza, 2011 [1965], p. 4, ISBN 978-88-420-8668-0. ^ Norberto Bobbio, La filosofia del diritto in Italia (PDF), in Jus, Milano, 1957, p. 189. URL consultato il 22 agosto 2016. ^ Carla Faralli, I momenti della riflessione critica su Guido Fassò, in Guido Fassò, Scritti di filosofia del diritto, vol. 3, Milano, Giuffrè, 1982, pp. 1487-1488, ISBN non esistente.  «Prezzolini chiosa Cristianesimo e società sia in un articolo su ‘Il resto del carlino’ sia nel libro Cristo e/o Machiavelli. ‘Conservo la prima edizione di Cristianesimo e società — egli scrive —... La volli come compagna perché dovevo moltissimo a quel libro, cioè non dirò l'apertura, ma la conferma dotta, serena, eppure appassionata di un punto di vista importante’. Prezzolini ritiene di aver trovato in Fassò, argomentate con un'alta filologia, sempre al corrente della produzione critica e accompagnata dalla conoscenza dei testi filosofici, quelle stesse idee che anch'egli aveva manifestato fin dal 1908 ‘lanciate piuttosto da un intuito che da un sapere storico’». ^ Guido Fassò (PDF), in Annuario dell'Anno Accademico 1973-1974, Bologna, Tipografia Compositori, 1975, p. 423. URL consultato il 22 agosto 2019. ^ E. Pattaro, Ricordo di Guido Fassò, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, n. 3, Milano, Giuffrè, 1975, p. 1090. ^ CIRSFID - Centro Interdipartimentale di Ricerca in Storia del Diritto, Filosofia e Sociologia del Diritto e Informatica Giuridica, su www.cirsfid.unibo.it. URL consultato il 23 agosto 2019. ^ G. Fassò, Storia della filosofia del diritto, 3 voll., edizione aggiornata a cura di C. Faralli, vol. 3, Roma-Bari, Laterza, 2001 [1970], pp. 285-286, ISBN 978-88-420-7936-1.  «Romano si tiene deliberatamente fuori dal campo della filosofia, non sfruttando neppure quegli indirizzi di essa, primo fra tutti quello del Croce, che potevano valere a suffragar la sua tesi. Questa è sostenuta unicamente sul terreno della considerazione empirica del diritto, e non vuole avere né premesse né conclusioni che stiano al di fuori o al di sopra di essa. […] Neppure il Romano dà del concetto di istituzione una definizione esauriente». ^ G. Marini, Il giusnaturalismo nella cultura filosofica italiana del Novecento [1976], in Id., Storicità del diritto e dignità dell'uomo, Napoli, Morano, 1987, p. 315, ISBN non esistente. ^ Cfr. N. Matteucci, recensione a G. Fassò, Cristianesimo e società, Giuffrè, Milano 1956, in Il Mulino, n. 10, ottobre 1957, p. 732b.  «L'esigenza filosofica fondamentale che si palesa nei lavori del Fassò […] è quella di uscire dallo storicismo immanentistico dei Croce e dei Gentile che vedeva nella storia la manifestazione di un principio assoluto (lo Spirito, l'Atto)». ^ Cfr. E. Pattaro, In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di Guido Fassò [1983], in appendice a G. Fassò, La storia come esperienza giuridica, a cura di C. Faralli, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2016 [1953], p. 146, ISBN 978-88-498-4623-2.  «L'esperienza che Fassò aveva avuto della filosofia idealistica egemone in Italia nella prima metà del secolo, la quale all'interno dei suoi precedenti studi vichiani, condotti in chiave di storia della filosofia, non necessariamente costituiva un'ipoteca con cui dover fare conti precisi, in sede teoretica — sia pure di filosofia del diritto — venne chiamata ad un inevitabile redde rationem».  G. Fassò, Storia della filosofia del diritto, 3 voll., edizione aggiornata a cura di C. Faralli, vol. 3, Roma-Bari, Laterza, 2001 [1970], p. 287, ISBN 978-88-420-7936-1. ^ Il giudizio, tuttavia, è già presente in G. Fassò, La storia come esperienza giuridica, a cura di C. Faralli, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2016 [1953], p. 32, ISBN 978-88-498-4623-2.  «È proprio questo, del resto, il punto debole della dottrina del Romano, che fu subito rilevato dai suoi critici: il circolo vizioso in cui egli si aggira, presupponendo la giuridicità di quella istituzione che poi identifica con il diritto. In altre parole, il Romano afferma che sono istituzione, ossia ordinamento giuridico, ossia diritto, quegli enti o corpi sociali che hanno carattere giuridico». ^ B. Croce, Logica come scienza del concetto puro, a cura di C. Farnetti, con una nota al testo di G. Sasso, Napoli, Bibliopolis, 1996 [1909], p. 223, ISBN 978-88-7088-345-9. ^ B. Croce, La storia come pensiero e come azione, a cura di M. Conforti, con una nota al testo di G. Sasso, Napoli, Bibliopolis, 2002 [1938], p. 29, ISBN 978-88-7088-377-0.  «Si può dire che, con la critica storica della filosofia trascendente, la filosofia stessa, nella sua autonomia, sia morta, perché la sua pretesa di autonomia era fondata appunto nel carattere suo di metafisica. Quella che ne ha preso il luogo, non è più filosofia, ma storia, o, che viene a dire il medesimo, filosofia in quanto storia e storia in quanto filosofia: la filosofia-storia, che ha per suo principio l'identità di universale ed individuale, d'intelletto e intuizione, e dichiara arbitrario o illegittimo ogni distacco dei due elementi, i quali realmente sono un solo». ^ G. Fassò, La storia come esperienza giuridica, a cura di C. Faralli, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2016 [1953], p. 92, ISBN 978-88-498-4623-2.  «L'esperienza giuridica non [è] altro che l'esperienza umana nella sua totalità, la storia stessa insomma dell'uomo». ^ Enrico Pattaro, In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di Guido Fassò, cit., p. 153. «La concreta unità del reale, l'universale concreto, è un residuato della grandiosa retorica metafisica idealistica. Fassò, con l'onore delle armi, lo colloca nella dimensione che gli compete, ossia dell'inconoscibile, indicibile, incomunicabile per definizione: dell'indiscutibile che è tale non perché sia vero o certo di là da ogni ragionevole dubbio, bensì perché non è possibile oggetto di discorso, non è suscettibile di ragionamento, sfugge ad ogni comprensione e spiegazione razionale. Lo colloca nella dimensione del privo di senso»  ^ Guido Fassò, La legge della ragione, a cura di Carla Faralli, Enrico Pattaro e Giampaolo Zucchini, 2ª ed., Milano, Giuffrè, 1999 [1964], p. 11, ISBN 88-14-07827-0. ^ Enrico Pattaro, In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di Guido Fassò, cit., p. 155, nota 10. «Resti chiaro, peraltro, che Fassò rinvia sì al piano mistico l'unità del reale, l'assoluto, l'universale concreto, ecc., ma che, non per questo, egli professa una filosofia mistica (intuizionistica)»  ^ Il giudizio di Lombardi Vallauri è espresso nel suo Amicizia, carità, diritto, Giuffrè, Milano 1969, p. 238 («Considerata nel suo arco complessivo, l'opera di Fassò risulta formare come un dittico, che da un lato ribadisce rigorosamente la sopragiuridicità della esperienza cristiana giunta al suo culmine (identificato nella carità), e dall'altro lato riconosce la funzione preziosa della ragione giuridica ‘nel mondo, dove ogni individuo limita e contraddice l'altro e dove una norma di coesistenza è indispensabile’») e accolto in Guido Fassò, Società, legge e ragione, Milano, Edizioni di Comunità, 1974, pp. 8-9, ISBN non esistente. ^ Enrico Pattaro, In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di Guido Fassò, cit., p. 158. «La ‘(concreta) molteplicità del reale’, il ‘flusso eracliteo dei particolari concrerti’, l'eterogeneo continuum di cui Fassò parla richiamando Ross, è la realtà empirica, fenomenica: molteplicità infinita di eventi originali e irripetibili, ‘non essendovi nello spazio, e più ancora nel tempo, due fenomeni perfettamente identici’»  ^ Sulla posizione crociana rispetto al giusnaturalismo cfr., per esempio, Benedetto Croce, Filosofia della pratica. Economica ed etica, a cura di M. Tarantino, con una nota al testo di G. Sasso, Napoli, Bibliopolis, 1996 [1909], pp. 332-333, ISBN 978-88-7088-357-2.  «Contraddittorio è altresì il concetto di un codice eterno, di una legislazione-limite o modello, di un diritto universale, razionale o naturale, o come altro lo si è venuto variamente intitolando. Il diritto naturale, la legislazione universale, il codice eterno, che pretende fissare il transeunte, urta contro il principio della mutevolezza delle leggi, che è conseguenza necessaria del carattere contingente e storico del loro contenuto. Se al diritto naturale si lasciasse fare quel che esso annunzia, se Dio permettesse che gli affari della Realtà fossero amministrati secondo le astratte idee degli scrittori e dei professori, si vedrebbe, con la formazione e applicazione del Codice eterno, arrestarsi di colpo lo Svolgimento, concludersi la Storia, morire la Vita, disfarsi la Realtà». Sulla presa esplicita di distanza di Fassò da Croce, cfr. Società, legge e ragione, cit., pp. 7-8. «Ho continuato a ripetere la stessa cosa: che il diritto nasce dalla natura umana, la quale è natura storica e natura sociale. Ho rifiutato dapprima, sotto la suggestione dell'antigiusnaturalismo del tempo in cui ero cresciuto, di chiamare naturale un siffatto diritto; più tardi, dopo avere approfondito la conoscenza storica del giusnaturalismo ed essermi meglio chiarito la parte che esso ha avuto nella difesa della libertà contro l'assolutismo politico, mi sono deciso a designare con quell'aggettivo in realtà equivoco il diritto che la ragione trova nella natura della società»  ^ Guido Fassò, Storia della filosofia del diritto, a cura di Carla Faralli, vol. 2, Roma-Bari, Laterza, 2001 [1968], p. 91, ISBN 978-88-420-6240-0. ^ Guido Fassò, Sicietà, legge e ragione, Milano, Edizioni di Comunità, 1974, p. 8, ISBN non esistente. ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato. ^ Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, n. 291, 8 novembre 1974, p. 7719. URL consultato il 23 agosto 2019. Bibliografia L'ordine delle opere, ivi compreso quello delle curatele e della letteratura critica, segue l'anno originario di pubblicazione. Laddove, invece, si è riscontrata coincidenza cronologica, si è preferito seguire l'ordine alfabetico.  Opere Per una più completa bibliografia degli scritti di Guido Fassò, si rinvia a Giampaolo Zucchini, Bibliografia degli scritti filosofico-giuridici di Guido Fassò, in appendice al terzo volume degli Scritti di filosofia del diritto dello stesso Fassò, a cura di Enrico Pattaro, Carla Faralli, Giampaolo Zucchini, Giuffrè, Milano 1982, pp. 1463-1473.  Guido Fassò, I «quattro auttori» del Vico. Saggio sulla genesi della Scienza nuova, Milano, Giuffrè, 1949, ISBN non esistente. Guido Fassò, La storia come esperienza giuridica, a cura di Carla Faralli, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2016 [1953], ISBN 978-88-498-4623-2. Guido Fassò, Cristianesimo e società, 2ª ed., Milano, Giuffrè, 1969 [1956], ISBN non esistente. Guido Fassò, La democrazia in Grecia, a cura di Carla Faralli, Enrico Pattaro e Giampaolo Zucchini, 2ª ed., Milano, Giuffrè, 1999 [1959], ISBN 88-14-07833-5. Guido Fassò, Il diritto naturale, 2ª ed., Torino, ERI, 1972 [1964], ISBN non esistente. Guido Fassò, La legge della ragione, a cura di Carla Faralli, Enrico Pattaro e Giampaolo Zucchini, 2ª ed., Milano, Giuffrè, 1999 [1964], ISBN 88-14-07827-0. Guido Fassò, Storia della filosofia del diritto, a cura di Carla Faralli, vol. 1, Roma-Bari, Laterza, 2005 [1966], ISBN 88-420-6239-1. Guido Fassò, Storia della filosofia del diritto, a cura di Carla Faralli, vol. 2, Roma-Bari, Laterza, 2001 [1968], ISBN 88-420-6240-5. Guido Fassò, Storia della filosofia del diritto, a cura di Carla Faralli, vol. 3, Roma-Bari, Laterza, 2009 [1970], ISBN 978-88-420-7936-1. Guido Fassò, Vico e Grozio, Napoli, Guida, 1971, ISBN non esistente. Guido Fassò, Società, legge e ragione, Milano, Edizioni di Comunità, 1974, ISBN non esistente. Guido Fassò, Scritti di filosofia del diritto, a cura di Carla Faralli, Enrico Pattaro e Giampaolo Zucchini, vol. 1, Milano, Giuffrè, 1982, ISBN non esistente. Guido Fassò, Scritti di filosofia del diritto, a cura di Carla Faralli, Enrico Pattaro e Giampaolo Zucchini, vol. 2, Milano, Giuffrè, 1982, ISBN non esistente. Guido Fassò, Scritti di filosofia del diritto, a cura di Carla Faralli, Enrico Pattaro e Giampaolo Zucchini, vol. 3, Milano, Giuffrè, 1982, ISBN non esistente. Curatele Ugo Grozio, Prolegomeni al diritto della guerra e della pace, traduzione, introduzione e note di Guido Fassò, aggiornamento di Carla Faralli, 3ª ed., Napoli, Morano, 1979 [1949], ISBN non esistente. Biografie Franco Tamassia, Fassò, Guido, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 45, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1995, pp. 295-298, ISBN non esistente. Carla Faralli, Fassò, Guido, in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII – XX secolo), 2 voll., diretto da Italo Birocchi, Ennio Cortese, Antonello Mattone, Marco Nicola Miletti, con la collaborazione della Biblioteca del Senato, vol. 1, Bologna, Il Mulino, 2013, pp. 825-826, ISBN 978-88-15-24124-5. Letteratura critica Per una più completa bibliografia degli scritti su Guido Fassò, almeno fino agli anni Ottanta, si rinvia a Carla Faralli, I momenti della riflessione critica su Guido Fassò, in appendice al terzo volume degli Scritti di filosofia del diritto dello stesso Fassò, a cura di Enrico Pattaro, Carla Faralli, Giampaolo Zucchini, Giuffrè, Milano 1982, pp. 1475-1517, che passa in rassegna i contributi dedicati all'opera del filosofo felsineo. Segue, alle pp. 1518-1528 del suddetto terzo volume, la Bibliografia degli scritti su Guido Fassò.  Enrico Pattaro, Gli studi vichiani di Guido Fassò (PDF), in Bollettino del Centro Studi Vichiani, vol. 5, Napoli, Guida, 1975, pp. 87-121. URL consultato il 23 agosto 2016. Enrico Pattaro, Ricordo di Guido Fassò, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, n. 3, Milano, Giuffrè, 1975, pp. 1089-1105 (con Bibliografia delle opere di Guido Fassò, a cura di Giampaolo Zucchini, pp. 1097-1105). Felice Battaglia, Guido Fassò: in memoria, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, n. 2, 1975, pp. 301-310. Antonio-Enrique Pérez Luño, L'itinerario intellettuale di Guido Fassò, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, vol. 53, n. 3, Milano, Giuffrè, 1976, pp. 372-381. Enrico Pattaro, Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di Guido Fassò, in Guido Fassò, Scritti di filosofia del diritto, a cura di Carla Faralli, Enrico Pattaro e Giampaolo Zucchini, vol. 1, Milano, Giuffrè, 1982, pp. XIX-LXXX, ISBN non esistente. Enrico Pattaro, In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di Guido Fassò, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, vol. 37, n. 2, Milano, Giuffrè, 1983, pp. 390-428. (ES) Antonio-Enrique Pérez Luño, Razon y historia en la experiencia filosofica y juridica de Guido Fassó, in Carla Faralli e Enrico Pattaro (a cura di), Reason in Law. Proceedings of the Conference Held in Bologna, 12-15 Dicembre 1984, vol. 1, Milano, Giuffrè, 1987, pp. 47-62, ISBN 88-14-01245-8. Giuliano Marini, Lo storicismo di Guido Fassò, in Carla Faralli e Enrico Pattaro (a cura di), Reason in Law. Proceedings of the Conference Held in Bologna, 12-15 Dicembre 1984, vol. 1, Milano, Giuffrè, 1987, pp. 35-46, ISBN 88-14-01245-8. Dario Quaglio, Guido Fassò. Della ragione come legge, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1991, ISBN 88-7104-267-0. (ES) Fernando Higinio Llano Alonso, El pensamiento iusfilosófico de Guido Fassò, Madrid, Editorial Tecnos, S.A., 1997, ISBN 978-84-309-2966-5. URL consultato il 5 luglio 2019. Carla Faralli, Norberto Bobbio e Guido Fassò. Sulla annosa e ricorrente disputa tra positivisti e giusnaturalisti, in Antonio Punzi (a cura di), Metodo, linguaggio, scienza del diritto. Omaggio a Norberto Bobbio (1909-2004), Milano, Giuffrè, 2007, pp. 145-154, ISBN 978-88-14-12801-1. Paolo Grossi, Carla Faralli, Antonio-Enrique Pérez Luño, Francesco D'Agostino, Franco Todescan, Luigi Ferrajoli, Eugenio Ripepe, Luigi Lombardi Vallauri e Enrico Pattaro, Guido Fassò. Una tavola rotonda, in Rivista di filosofia del diritto, Bologna, Il Mulino, dicembre 2015, pp. 7-69, ISBN 978-88-15-26112-0, ISSN 2280-482X (WC · ACNP). URL consultato il 28 agosto 2016. Fernando Higinio Llano Alonso, L'idea di storia come esperienza giuridica in Guido Fassò, in Rivista di filosofia del diritto, Bologna, Il Mulino, dicembre 2017, pp. 397-412, ISBN 978-88-15-26112-0, ISSN 2280-482X (WC · ACNP). URL consultato il 15 novembre 2018. Giuseppe Russo, Guido Fassò. Un itinerario filosofico tra diritto e natura umana, in Il Pensiero Italiano. Rivista di studi filosofici, vol. 2, n. 1-2, 2018, pp. 91-114, ISSN 2532-6864 (WC · ACNP). URL consultato il 28 ottobre 2019. Collegamenti esterni Guido Fassò - Archivio storico dell'Università di Bologna. Franco Tamassia, «FASSÒ, Guido» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 45, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1995. AA.VV., «FASSÒ, Guido» in Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Controllo di autorità                             VIAF (EN) 111469551 · ISNI (EN) 0000 0000 8178 0053 · SBN IT\ICCU\CFIV\053960 · LCCN (EN) n81085596 · GND (DE) 119043599 · BNF (FR) cb119739235 (data) · BNE (ES) XX1042120 (data) · BAV (EN) 495/140575 · WorldCat Identities (EN) lccn-n81085596 Biografie Portale Biografie Diritto Portale Diritto Filosofia Portale Filosofia Categorie: Giuristi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XX secoloNati nel 1915Morti nel 1974Nati il 18 ottobreMorti il 30 ottobreNati a BolognaMorti a BolognaFilosofi del diritto[altre]


Fazzini -- Lorenzo Fazzini Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Lorenzo Fazzini Lorenzo Fazzini (Vieste, 19 gennaio 1787[1] – Napoli, 4 maggio 1837) è stato un matematico, fisico e filosofo italiano, un divulgatore di materie scientifiche e filosofiche e il fondatore dell'omonima scuola privata, una delle più celebri nel Regno delle Due Sicilie.   Indice 1                 Biografia 1.1                                           Formazione 1.2                                         Attività come insegnante 1.3                                      Laboratorio 1.4                                         Morte 2                                             Ricerche scientifiche 3                                           Opere 4                                             Note 5                                             Bibliografia 6                                           Voci correlate 7                                            Altri progetti 8                                           Collegamenti esterni Biografia  Via dedicata a Lorenzo Fazzini a Vieste Lorenzo Fazzini nacque a Vieste, in provincia di Foggia, da Tommaso e Porzia Medina, che appartenevano a due delle famiglie più agiate della città.[2]. Ebbe tre fratelli minori, Gaetano,[3] Antonio e Matteo; Gaetano e Antonio in seguito collaborarono alla scuola fondata da Lorenzo a Napoli.  Formazione Lorenzo Fazzini trascorse l'infanzia a Vieste. Il suo talento per la matematica fu notato fin dai primi anni; i genitori decisero quindi di far proseguire i suoi studi in ambienti che potessero garantire una formazione adeguata. Fazzini si trasferì così a Foggia, poi a Benevento e in ultimo nel seminario di Nusco, in provincia di Avellino. Qui trascorse l'adolescenza approfondendo anche lo studio dei classici.  A diciotto anni, terminato il seminario, Fazzini tornò a Vieste.[4] Lì, poco dopo il suo rientro, recitò in Duomo un'orazione in lode dell'Arcangelo Michele che fu molto apprezzata dal clero e dai fedeli.[5]  Il rientro nella città natale fu comunque di breve durata: desiderando continuare i suoi studi, Fazzini si trasferì infatti a Napoli,[6] dove rimase per il resto della vita. Nel 1809 venne ordinato sacerdote[7] e nello stesso anno ebbe come insegnante di matematica il napoletano Nicola Fergola.[8] La scuola di quest'ultimo era un rinomato centro per la formazione di matematici e un punto di incontro per studiosi e ricercatori del Mezzogiorno; Fazzini ne fu uno degli allievi più illustri.  Fazzini proseguì anche gli studi in teologia, diritto canonico, storia della Chiesa, filosofia, scienze fisico-matematiche. Nel frattempo, tuttavia, si era avvicinato alla filosofia sensista. Nel 1817 ottenne dalla Chiesa il permesso di acquisire testi proibiti su questa corrente filosofica, a patto che non ne divulgasse i contenuti.[9] Questo aspetto della formazione filosofica di Fazzini influirà sulla sua docenza e sulla sua personalità, determinando una contraddizione che, secondo le testimonianze di allievi e amici, lo accompagnò per tutta la vita.[10]  Attività come insegnante Nel 1810, Fazzini aprì una scuola privata in cui venivano insegnate filosofia, matematica e fisica. La scuola aveva sede nella Strada nuova dei Pellegrini, nel quartiere di Montecalvario, e divenne uno dei centri di studio più rinomati di Napoli. Nel periodo di maggior successo la scuola arrivò a contare tra i 300 e i 400 allievi. In una data non precisabile, Fazzini dovette quindi spostare la scuola in una sede più grande, in via Magnacavallo, nello stesso quartiere.[11]  Anche dopo aver aperto la propria scuola, comunque, Fazzini insegnò presso altre scuole private. Secondo diverse testimonianze del tempo, dedicava quindi all'insegnamento sei o sette ore al giorno.[12] Uno dei suoi allievi fu Francesco De Sanctis, che nella sua autobiografia La giovinezza ha lasciato una descrizione molto vivace di Fazzini e del suo insegnamento, particolarmente coinvolgente per quanto riguardava la fisica.[10]  Sembra comunque che la maggior parte del tempo di insegnamento di Fazzini fosse dedicata alla matematica.[13] Al servizio di questa attività Fazzini pubblicò tre volumi, riediti più volte e dedicati rispettivamente all'aritmetica, alla geometria piana e alla geometria solida. Questi lavori non avevano tuttavia solo finalità didattiche: in particolare, secondo Raffaele Santoro, nei due volumi dedicati alla geometria piana e alla geometria solida, traduzione degli Elementi di Euclide, Fazzini tenne conto di diverse traduzioni precedenti, esaminandole in modo critico anche alla luce degli sviluppi recenti della geometria.[14]  Laboratorio Oltre all'insegnamento della filosofia e delle materie scientifiche, Fazzini si dedicava alla ricerca e alla divulgazione. Al servizio di queste tre attività allestì anche un laboratorio scientifico, considerato all'epoca uno dei migliori di Napoli.[15] Dopo la morte di Fazzini, le attrezzature del laboratorio vennero acquistate dall'Università di Napoli.[16]  Morte Il 4 maggio del 1837, Fazzini morì di colera, di cui era ammalato da mesi, durante la prima grande epidemia del morbo in Italia.  La salma fu provvisoriamente depositata nella chiesa di San Tommaso d'Aquino; al termine dell'epidemia, venne trasferita in quella di Santa Maria ad Ogni Bene dei Sette Dolori. Qui furono celebrate le esequie solenni; alla celebrazione parteciparono molti giovani allievi e amici che manifestarono la loro venerazione e gratitudine per il maestro. Per la cerimonia venne composta da Gaetano Donizetti una Messa da Requiem oggi perduta,[17] mentre Basilio Puoti recitò un elogio di Fazzini, di cui era amico.[18] Nei mesi successivi, numerose commemorazioni a stampa esaltarono le qualità di Fazzini come persona e come scienziato.[19]  Dopo la sua morte, l'attività della scuola di Lorenzo Fazzini venne proseguita per un certo periodo dai fratelli Antonio e Gaetano.[20] A Lorenzo sopravvissero anche i genitori, che nel frattempo si erano trasferiti con lui a Napoli: dopo la sua morte, il padre rientrò a Vieste mentre la madre rimase a Napoli.[21]  Ricerche scientifiche Fazzini si occupò a lungo di ricerche scientifiche in vari campi della fisica. In particolare, studiò l'induzione elettromagnetica, il magnetismo in generale e la relazione tra luce e magnetismo. Non pubblicò però quasi nulla a proposito di queste ricerche, che sono note soprattutto attraverso le testimonianze di Emanuele Tellini e di Gaetano Fazzini.[22]  Fazzini era convinto che diverse delle forze naturali allora note, e in particolare il calorico, la luce, l’elettricismo, il galvanismo e il magnetismo, fossero in realtà diverse manifestazioni di un'unica forza.[23] Partendo da questa idea di base, studiò soprattutto il magnetismo, e in particolare due fenomeni di induzione, oggi spiegati in base alla Legge di Faraday, che erano stati scoperti negli anni immediatamente precedenti:  il magnetismo di rotazione, scoperto nel 1825 da Arago: il fenomeno per cui un ago magnetico posto sopra un disco di rame in rotazione inizia a sua volta a ruotare l'induzione tellurica, scoperta nel 1831 da Faraday: la generazione di una corrente elettrica indotta in un circuito che si muove attraverso il campo geomagnetico Per quanto riguarda il magnetismo di rotazione, Fazzini ripeté e approfondì le esperienze di Arago notando che la rotazione dell'ago magnetico si verificava anche quando al di sopra del disco di rame si sovrapponeva materiale isolante, mentre non si verificava se il disco di rame veniva sostituito da un disco di materiale isolante.[24]  Per quanto riguarda l'induzione tellurica, Fazzini ne identificò con maggiore chiarezza le modalità. Cercò poi di combinare lo studio di questo fenomeno con quello del magnetismo di rotazione, costruendo per questo tre diversi apparecchi. Una ricostruzione dettagliata del modo in cui gli apparecchi operavano è stata fornita da Raffaele Santoro sulla base delle testimonianze lasciate da Filippo Cirelli e Gaetano Fazzini.[25]  Lorenzo Fazzini descrisse una delle sue esperienze sull'induzione tellurica in una lettera scritta in francese a Faraday e datata 3 aprile 1832; pubblicata postuma,[26] questa lettera è l'unica descrizione lasciata da Fazzini in persona riguardo ai propri esperimenti.[27]  Fazzini eseguì inoltre esperimenti sul rapporto tra luce e magnetismo, proiettando raggi di luce su un ago magnetico. Le testimonianze rimaste, tutte indirette, non permettono però, secondo Raffaele Santoro, di ricostruire in modo sicuro le intenzioni di Fazzini e i risultati dei suoi esperimenti.[28]  Opere I primi sei libri degli elementi di Euclide tradotti in Italiano dall'abate Fazzini (Geometria piana), Napoli, dalla stamperia francese, 1825 (ripubblicato nel 1828 presso la stessa stamperia e nel 1834 presso la stamperia del Fibreno). I libri undecimo, e duodecimo degli elementi di Euclide tradotti in italiano dall'abate Fazzini ed i teoremi scelti di Archimede sulla sfera e sul cilindro, e la misura del cerchio aggiunti dal medesimo (Geometria solida), Napoli, dalla stamperia di C. Cataneo, 1825 (ripubblicato nel 1829 presso la stamperia francese e nel 1843 presso la stamperia di Gennaro Agrelli). Elementi di aritmetica, Napoli, dalla stamperia francese, 1827 (ripubblicato nel 1829 presso la stessa stamperia e nel 1834 presso la stamperia del Fibreno). Note ^ I biografi di Lorenzo Fazzini hanno tradizionalmente riportato come sua data di nascita il 17 gennaio. La data corretta è stata ricavata da Raffaele Santoro in base a informazioni contenute nel registro dei Battezzati della Cattedrale di Vieste, vol. 12, p. 236 (Santoro, p. 1). Dalla stessa fonte risulta, inoltre, che Fazzini venne battezzato col nome completo di Laurentius Maria Antonius (Santoro, p. 1). ^ Santoro, p. 1. ^ LaTosa. ^ Santoro, p. 3. ^ Puoti, p. 81. ^ Taddei, p. 54. ^ Santoro, p. 4. ^ Santoro, pp. 8-9. ^ Santoro, p. 10.  De Sanctis, pp. 31-38. ^ Santoro, p. 12. ^ Santoro, pp. 12-13. ^ Santoro, p. 34. ^ Santoro, p. 35. ^ Puoti stima che per l'allestimento del laboratorio Fazzini avesse speso complessivamente 10 000 ducati: Puoti, p. 86. ^ De Sanctis, p. 35. ^ Santoro, p. 25. ^ L'elogio di Puoti fu in seguito inserito dall'autore nella raccolta dei suoi Elogi: Puoti. ^ In particolare: Brayda, Malpica. ^ Santoro, p. 52. ^ Puoti, p. 84. ^ Santoro, p. 57. ^ Santoro, p. 63. ^ Santoro, pp. 68-69. ^ Santoro, pp. 70-81. ^ L. Pearce Williams (a cura di), The Selected Correspondence of Michael Faraday, vol. 1 - 1812-1848, Cambridge University Press, 1971, p. 219. ^ Santoro, pp. 69-81. ^ Santoro, pp. 82-94. Bibliografia Francesco De Sanctis, La giovinezza. Ricordi, a cura di Gennaro Savarese, Napoli, Guida editori, 1983 [1889], ISBN 88-7042-129-5. URL consultato il 24 luglio 2019. Giuseppe La Tosa, Fazzini, Gaetano Emanuele, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 45, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1995. URL consultato il 23 luglio 2019. Cesare Malpica, Necrologia di Lorenzo Fazzini, in Poliorama Pittoresco, II, n. 41, 1837, pp. 317-391. URL consultato il 28 luglio 2019. Basilio Puoti, L'elogio di Lorenzo Fazzini, in Elogi, Firenze, Giunti Editore, 1846, pp. 77-91. Raffaele Santoro, Fazzini, Lorenzo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 45, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1995. URL consultato il 31 luglio 2019. Raffaele Santoro, Lorenzo Fazzini, Bologna, Vecchiarelli Editore, 2017, ISBN 978-1521338636. Emanuele Taddei, Necrologia di Lorenzo Fazzini, in Annali Civili del Regno delle Due Sicilie, XIX, 1837, pp. XVIII-XIX. Carlo Tortora Brayda, Necrologia di Lorenzo Fazzini, in Il progresso delle scienze, delle lettere e delle arti, XVI, n. 32, marzo-aprile, pp. 298-302. Voci correlate Michael Faraday Francesco De Sanctis Interazione elettromagnetica Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Lorenzo Fazzini Collegamenti esterni Pagina dedicata a Lorenzo Fazzini, su web.tiscali.it. Vieste - LORENZO FAZZINI, IL PIU' FAMOSO DEI VIESTANI ILLUSTRI, su retegargano.it. Controllo di autorità                         VIAF (EN) 90105545 · SBN IT\ICCU\BVEV\135612 · BAV (EN) 495/315584 · WorldCat Identities (EN) viaf-90105545 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Fisica Portale Fisica Matematica Portale Matematica Categorie: Matematici italiani del XIX secoloFisici italiani del XIX secoloFilosofi italiani del XIX secoloNati nel 1787Morti nel 1837Nati il 19 gennaioMorti il 4 maggioNati a ViesteMorti a Napoli[altre]

Felice – to search.

Ferdinando -- Epifanio Ferdinando Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Epifanio Ferdinando Epifanio Ferdinando (Mesagne, 2 novembre 1569 – Mesagne, 7 dicembre 1638) è stato un medico e filosofo italiano.  Chiamato "il Vecchio" per distinguerlo dal figlio, fu docente di medicina e filosofia oltre che Primo Cittadino di Mesagne per ben due volte, e uno dei medici più famosi e colti della Puglia di inizio Seicento   Indice 1                          Vita 2                                              Cenni biografici ed opere principali 3                                   Cultura e amore per la medicina 4                                      Epifanio Ferdinando e il Tarantismo 5                                 Testimonianza del tarantismo 6                                      Opere edite ed inedite 7                                         Note 8                                             Bibliografia 9                                           Altri progetti 10                                          Collegamenti esterni Vita Nasce a Mesagne, in provincia di Brindisi, il 2 novembre 1569 e ivi muore nel 1638. L'attenzione di questo medico-filosofo, laureatosi presso l'Università di Napoli in filosofia e medicina il 24 agosto 1594, per campi non strettamente connessi a quello medico quali l'astronomia, l'astrologia, la storia e la teologia, ne testimoniano la poliedricità. Nella sua vita si dedicò, oltre che alla professione di medico, anche all'insegnamento declinando però l'offerta di una cattedra di medicina avanzatagli dall'Università di Padova, luogo di insegnamento di menti geniali come Andrea Vesalio e Galileo Galilei, per il suo grande attaccamento al Salento e soprattutto alla sua città natale, Mesagne, di cui fu anche eletto Primo Cittadino nel 1605.   Copertina del Centum Historiae  Dedica alla Marchesa Giulia Farnese  Copertina del Theoremata Medica et Philosophica Cenni biografici ed opere principali Epifanio Ferdinando (il Vecchio), definito dai suoi concittadini “Socrate Salentino”, studiò grammatica, poetica, greco e latino sotto la sapiente guida, in Mesagne, di Francesco Riccio, intimo amico di Paolo e Aldo Manuzio. Si trasferì successivamente a Napoli nel 1588 dove studiò medicina , filosofia, geometria e matematica prima di conseguire la laurea in filosofia e medicina nel 1594. Tornò poi a Mesagne dove prese in moglie la ventinovenne Giordana Longo Pecoraio, da cui ebbe dieci figli, ed esercitò la professione di medico fino alla sua morte avvenuta il 7 dicembre del 1638. Tra le opere principali del Ferdinando grande rilievo assumono i Teoremi Medici e Filosofici, dedicati alla sua amata città natale; Morso della tarantola, che testimonia l'importanza del tarantismo e della tradizione salentina nel suo pensiero; Centum Historie o Casi Medici, raccolta di cento casi clinici più peculiari analizzati dal medico nella sua vita professionale; infine Antiqua Messapographia, attenta e appassionata analisi della storia di Mesagne.  Tutte le sue opere edite e inedite furono redatte in lingua latina e solo successivamente furono raccolte e tradotte in italiano, probabilmente dai suoi allievi. Dal punto di vista medico, ma anche culturale, l'opera di riferimento per eccellenza del Ferdinando è fuor di dubbio Centum Historiae. Pubblicata nel 1621 e scritta completamente in latino, l'opera è dedicata a Giulia Farnese, Marchesa di Mesagne, di cui l'autore fu medico di fiducia, intimo amico e compagno di viaggio, come quello che li condusse a Roma dove Epifanio conobbe Cinzio Clemente, medico di Paolo V e fu contattato, per la sua fama, da noti scienziati e medici romani dell'epoca tra cui Marco Aurelio Severino, con cui ebbe una disputa riguardo al metodo migliore di operare l'incisione della salvatella, la vena presente sul dorso della mano che parte dalla base del mignolo e si connette con la vena ulnare.  Cultura e amore per la medicina Profondo conoscitore dei classici e seguace non solo delle teorie di Ippocrate di Kos, Galeno e Avicenna, ma anche di quelle formulate da Girolamo Mercuriale, Bartolomeo Eustachio, Falloppia e Fracastoro, attento alle tradizioni della sua terra, Epifanio Ferdinando propose un nuovo metodo di insegnamento con lezioni al letto del malato, anticipando, in una certa misura, quello che sarebbe stato lo stile del Johns Hopkins statunitense: una perfetta sinergia tra lo studio teorico e la sua applicazione clinica. Per la sua grande cultura e competenza fu richiesto non solo in tutta la provincia, ma anche a Bari, Napoli e Lecce. Noto fra i concittadini per la sua bontà d'animo, curava anche senza compenso somministrando farmaci costosi pure ai poveri. Nelle sue diagnosi si concentrava sull'importanza delle analisi del sangue valutandone consistenza, opacità, densità e colore e riteneva centrale per la terapia attenersi ad una adeguata dieta. Per curare i suoi pazienti si serviva non solo di salassi, purghe e clisteri, secondo la prassi ordinaria, ma preparava anche dei farmaci di origine vegetale ottenuti miscelando quantità variabili di erbe mediche a seconda della terapia.  Nella sua vita si occupò anche di due casi di interesse neurologico e pediatrico, descritti nei particolari nelle Centum Historiae, e nutrì anche uno spiccato interesse nei confronti del tarantismo e della musica come terapia “certissima”. Grazie alle sue opere, in cui l'impostazione medico-scientifica si compenetra con quella storica, grazie ad uno stile tendente al genere narrativo, ed ai contatti che mantenne con i medici napoletani, Epifanio Ferdinando fu uno dei più importanti intermediari fra la cultura medica napoletana e quella di Terra d'Otranto del 1600.  Epifanio Ferdinando e il Tarantismo Molti studiosi, soprattutto medici come il Ferdinando, si sono interrogati sulla natura del tarantismo, o tarantolismo, dopo essere venuti a conoscenza delle cure previste dalla tradizione popolare per questo morbo, tra cui la più importante di tutte è senza dubbio la “musico-terapia”somministrata al malato da vere e proprie orchestre composte da violinisti, chitarristi e soprattutto tamburellisti a pagamento. Proprio il tamburello assume una funzione fondamentale in questo tipo di terapia poiché scandisce il tempo modificando via via il ritmo del brano che, divenuto frenetico, viene assecondato dai movimenti della danza del tarantato. La credenza vuole che il malato dopo essere stato morso dovesse espellere il veleno scatenandosi a ritmo di musica, ma non di una qualunque: il tema musicale doveva essere scelto in base al colore della tarantola responsabile del morso. Il primo documento che testimonia il legame tra musica e taranta è il Sertum Papale de Venenis redatto, presumibilmente da Guglielmo di Marra da Padova, nel primo anno del pontificato di Urbano V, nel 1362[1], ma il secondo a documentare per esperienza diretta questa connessione fu il medico di Mesagne Epifanio Ferdinando, vissuto nel XVII secolo. Nelle sue Centum Historiae egli analizza, tra gli altri, il caso di un suo giovane concittadino, tale Pietro Simeone, pizzicato mentre dormiva di notte in un campo. Il medico credette fermamente nella musica come terapia “certissima” criticando chi sosteneva che il tarantismo non fosse necessariamente scatenato da un morso tanto reale quanto velenoso. Inoltre, fu il primo a proporre come metodo di cura per i tarantati morsi da tarantole le malinconiche (nenie funebri).  Testimonianza del tarantismo Il gesuita Atanasio Kircher riferisce nel suo Magnes[2] un episodio accaduto ad Andria, nel barese, talmente singolare da destare ragionevoli sospetti su quanto starebbe alla base di questa terapia:  “Come il veleno stimolato dalla musica spinge l'uomo alla danza mediante continua eccitazione dei muscoli, lo stesso fa con la tarantola; il che non avrei mai creduto se non l'avessi appreso per testimonianza dei Padri ricordati, che son degnissimi di fede. Essi infatti mi scrivono che in proposito fu tenuto un esperimento nel palazzo ducale di Andria, in presenza di uno dei nostri Padri, e d tutti i cortigiani. La duchessa infatti, per mostrare nel modo più adatto questo ammirabile prodigio della natura, ordinò che si trovasse a bella posta una taranta, la si collocasse, librata su una piccola festuca, in un vasetto colmo d'acqua, e che fossero quindi chiamati i suonatori. In un primo momento la taranta non dette alcun segno di muoversi al suono della chitarra, ma poi, allorché il suonatore dette inizio ad una musica proporzionata al suo umore, la bestiola non soltanto faceva le viste di eseguire una danza saltellando sulle zampe e agitando il corpo, ma addirittura danzava sul serio, rispettando il tempo: e se il suonatore cessava di suonare anche la bestiola sospendeva il ballo. I Padri vennero a sapere che ciò che in Andria ammirarono in quella circostanza come episodio straordinario, era a Taranto fato consueto: infatti i suonatori di Taranto, i quali erano soliti curare con la musica questo morbo anche in qualità di pubblici funzionari retribuiti con regolari stipendi (e ciò per venire incontro ai più poveri, e sollevarli dalle spese), per accelerare la cura dei pazienti in modo più certo e più facile, sogliono chiedere ai colpiti il luogo dove la taranta li ha morsicati, e il suo colore. Dopo ciò i medici citaredi sogliono portarsi subito sul luogo indicato, dove in gran numero le diverse specie di tarante si adoperano a tessere le loro tele: e quivi tentano vari generi di armonie, a cui, cosa mirabile a dirsi, or queste or quelle saltano… E quando abbiano scorto saltare una taranta di quel colore indicata dal paziente, tengono per segno certissimo di aver trovato con ciò il modulo esattamente proporzionato all'umore velenoso del tarantato e adattissimo alla cura, eseguendo la quale essi dicono che ne deriva un sicuro effetto terapeutico.”  Opere edite ed inedite Le opere edite sono:  Theoremata medica et philosophica, Venetiis 1611 apud Thomam Ballionum in folio. De vita proroganda seu iuventute conservanda et senectute retardanda, Neapoli 1612 apud Io. Bapt. Garganum et Lucretium Muccium- in quarto. Centum Historiae seu Observationes et Casus medici, Venetiis 1621 apud Thomam Ballionum in folio. Aureus De Peste Libellus, Neapoli 1626 apud Dominicum Maccaranum in 4°. Alcune opere inedite:  Libellus de apibus in 4° Tractatus de natura Leporis De coelo Messapiensi De bonitate aquae cisternae Libellus de morsu tarantolae Note ^ Ernesto De Martino La terra del rimorso,Milano,Est, 1996,cit., p. 136 ^ Magnes sive de arte magnetica opus tripartitum, Colonia, 1643, p. 770 Bibliografia Le notizie biografiche sono tratte da:  Mario Marti e Domenico Urgesi (a cura di), Epifanio Ferdinando, medico e storico del Seicento. Atti del convegno di studi (Mesagne, 28-29 maggio 1999), Besa Editrice, Nardò, 1999 Altre fonti:  Atanasio Kircher, Magnes sive de arte magnetica opus tripartitum, Colonia, 1643 Ernesto De Martino, La terra del rimorso, Est, Milano, 1996 M. Luisa Portulano Scoditti, A. Elio Distante, Roberto Alfonsetti, Enzo Poci (a cura di), Epifanio Ferdinando Medico, Storico, Filosofo (Mesagne 1569-1638), Edizione Assessorato alla Cultura Città di Mesagne, Mesagne, 1999 Nicola Caputo, De tarantulae anatome et morsu, Lecce, 1741 Altre opere pubblicate su Epifanio Ferdinando:  M. Luisa Portulano Scoditti e Amedeo Elio Distante, La peste, 2001, traduzione italiana del De peste aureus libellus, Napoli, 1626 M. Luisa Portulano Scoditti e Amedeo Elio Distante, Epifanio Ferdinando - Le centum historiae e la medicina del suo tempo, Città di Mesagne, 2000 M. Luisa Portulano Scoditti e Amedeo Elio Distante, Epifanio Ferdinando - De Vita Proroganda, Città di Mesagne, 2004, traduzione italiana del De Vita Proroganda seu juventute conservanda..., Napoli, 1612 M. Luisa Portulano Scoditti e Amedeo Elio Distante, (a cura di), Atti del XLI Congresso Nazionale della Società Italiana Storia della Medicina, Mesagne, 2001 Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ferdinando Epifanio Collegamenti esterni Opere di Epifanio Ferdinando, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata Controllo di autorità         VIAF (EN) 18335946 · ISNI (EN) 0000 0000 6130 0702 · LCCN (EN) n2005047196 · GND (DE) 130587095 · BAV (EN) 495/98625 · CERL cnp00688260 · WorldCat Identities (EN) lccn-n2005047196 Biografie Portale Biografie Medicina Portale Medicina Categorie: Medici italianiFilosofi italiani del XVII secoloNati nel 1569Morti nel 1638Nati il 2 novembreMorti il 7 dicembreNati a MesagneMorti a Mesagne[altre]

Fergnani -- Franco Fergnani Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Dubbio di enciclopedicità La rilevanza enciclopedica di questa voce o sezione sull'argomento filosofi è stata messa in dubbio. Motivo: la maggior parte delle opere sembra essere pubblicata postuma, nessuna fonte che ne attesti la rilevanza, gli unici link sono alle opere sul sito dell'editore (o su altri rivenditori online) Puoi aiutare aggiungendo informazioni verificabili e non evasive sulla rilevanza, citando fonti attendibili di terze parti e partecipando alla discussione. Se ritieni la voce non enciclopedica, puoi proporne la cancellazione. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Per interpellare gli autori della voce o il progetto usa: {{AiutoE|Franco Fergnani}}--~~~~ Franco Fergnani (Milano, 1927 – Milano, 18 giugno 2009) è stato uno storico della filosofia, traduttore, accademico e antifascista italiano, nonché studioso e profondo conoscitore del pensiero esistenzialista, in particolare quello di Jean-Paul Sartre.  Biografia Di famiglia dotata di ampia cultura e fortemente schierata contro il regime fascista, si unisce appena sedicenne alla Resistenza italiana con un deciso spirito attivista, fatto che gli costerà un arresto e la breve reclusione nel carcere di San Vittore. La passione per la filosofia lo porterà a laurearsi nel 1953 all’Università degli Studi di Milano con Antonio Banfi; dopo l’insegnamento in licei come l’Alessandro Racchetti di Crema e il Filippo Lussana di Bergamo e diverse pubblicazioni di saggi e articoli su riviste come “Il pensiero critico”, “Rivista di filosofia”, “aut aut”, “Rivista critica di storia della filosofia” e “Nuova corrente”, ottiene la cattedra di Filosofia Morale II dell’Università degli Studi di Milano nel 1971[1] e la mantiene ininterrottamente fino al pensionamento, avvenuto nel 2000. Fu figura di spicco nella riflessione esistenzialista novecentesca: egli può essere infatti considerato il portatore del pensiero di Jean-Paul Sartre in Italia[2], traducendo e curando numerosi testi del filosofo francese. Oltre che al pensiero sartriano, Fergnani dedicò molte riflessioni al marxismo occidentale e ad autori come Maurice Merleau-Ponty, Bloch, lo stesso Marx, Lukács e Althusser, tenendo inoltre corsi universitari su Martin Heidegger, Emmanuel Lévinas, Henri Bergson[3]. Alle lezioni tenute da Fergnani, Massimo Recalcati dedica parole estremamente rilevanti, con le quali esprime al meglio le caratteristiche e il lavoro del professore: «Lezioni che apparivano ai nostri occhi come piccoli diamanti: Essere e tempo di Heidegger o L'essere e il nulla di Sartre diventavano incredibilmente vivi, pulsanti, straripavano dalle loro cornici prestabilite per entrarci dentro. La parola del professore sapeva scuoterci scuotendo i testi che commentava»[4] . Collaborò e strinse amicizia con Fulvio Papi[5], Pier Aldo Rovatti e Remo Cantoni, figure anch’esse di estrema rilevanza nel panorama filosofico italiano. Le sue ceneri sono in una celletta al Cimitero Maggiore di Milano[6].  Opere Marxismo e filosofia contemporanea, Padus, Cremona, 1964. [3] Lukács critico di se stesso, 1971. Etica-Trattato teologico-politico, Baruch Spinoza, a c. di Remo Cantoni e Franco Fergnani, UTET, Torino, 1972. [4] Antonio Gramsci. La filosofia della prassi nei «Quaderni del carcere», Unicopli, Milano, 1975. [5] Materialismo e rivoluzione, Jean-Paul Sartre, a c. e introduzioni di Franco Fergnani, Pier Aldo Rovatti, traduzioni di Franco Fergnani, Augusta Mattioli, Domenico Tarizzo, il Saggiatore, Milano, 1977. [6] La cosa umana: esistenza e dialettica nella filosofia di Sartre, Feltrinelli, Milano, 1978. [7] L'essere e il nulla, Jean-Paul Sartre, Traduzione di G. Del Bo, revisione a cura di Franco Fergnani e Marina Lazzari, Il Saggiatore, Milano, 1997. [8] Da Heidegger a Sartre, Farina Editore, Milano, 2016. ISBN 978-88-941469-5-0 [9] La coscienza sadica. Ripercorrendo l’analisi di Jean-Paul Sartre, Farina Editore, Milano, 2016. ISBN 978-88-941469-0-5 [10] Nietzsche e la filosofia dell’esistenza, Farina Editore, Milano, 2016. ISBN 978-88-941469-6-7 [11] Introduzione a Sartre, Franco Fergnani, Mauro Trentadue, Farina Editore, Milano, 2017. ISBN 978-88-942213-0-5 [12] Kierkegaard, A c. di Mauro Trentadue e Lorenza Mantovani, Postfazione di Patrizia De Capua, Farina Editore, Milano, 2017. ISBN 978-88-942213-5-0 [13] Il gesto e la passione. Sull’insegnamento di Franco Fergnani (Opera dedicata a Franco Fergnani), AAVV, Farina Editore, Milano, 2017. ISBN 978-88-942213-7-4 [14] Merleau-Ponty, Farina Editore, Milano 2018. ISBN 978-88-943369-0-0 [15] L’Esistenzialismo ieri e oggi, Carini E., Farina G., Fergnani F., Trentadue M., Toscani F., Farina Editore, Milano, 2018. ISBN 978-88-943369-6-2 [16] Lezioni su Sartre, Farina Editore, Milano, 2018. ISBN 978-88-943369-7-9 [17] Jaspers, Farina Editore, Milano, 2019. ISBN 978-88-32265-01-9 [18] Note ^ E.I. Rambaldi, “Gli insegnamenti filosofici nella Facoltà di Lettere (1924-1968)”, Annali di Storia delle Università italiane, XI, 2007. ^ F. Manzoni, “Franco Fergnani, il filosofo che ci “spiegò” Sartre”, Corriere della Sera, 19 gennaio 2010, p. 9. ^ Si confronti M. Bellini, "La filosofia come vita: la lezione di Franco Fergnani", in Materiali di Estetica, N. 5.2, 2018, pp. 310-324.[1] ^ Massimo Recalcati, L'ora di lezione, Einaudi, Torino, 2014. ISBN 978-88-06-21489-0 ^ F. Papi, “Ricordo di Franco Fergnani”, Materiali di Estetica, n. 3, 1, 2016, p. 170. [2] ^ Comune di Milano, app di ricerca defunti "Not 2 4get". Controllo di autorità                      VIAF (EN) 45567531 · BAV (EN) 495/345397 · WorldCat Identities (EN) lccn-n78096146 Biografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie Categorie: Storici della filosofia italianiTraduttori italianiAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani del XXI secoloNati nel 1927Morti nel 2009Morti il 18 giugnoNati a MilanoMorti a MilanoAntifascisti italianiProfessori dell'Università degli Studi di MilanoStudenti dell'Università degli Studi di MilanoTraduttori all'italianoTraduttori dal francese all'italiano[altre]

ferguson: a. philosopher. His main theme was the rise and fall of virtue in individuals and societies. In his most important work, An Essay on the History of Civil Society Ferguson argues that human happiness of which virtue is a constituent is found in pursuing social goods rather than private ends. Ferguson thought that ignoring social goods not only prevented social progress but led to moral corruption and political despotism. To support this he used classical texts and travelers’ writings to reconstruct the history of society from “rude nations” through barbarism to civilization. This allowed him to express his concern for the danger of corruption inherent in the increasing selfinterest manifested in the incipient commercial civilization of his day. He attempted to systematize his moral philosophy in The Principles of Moral and Social Science 1792. J.W.A. Fermat’s last theorem.

Ferrabino -- Aldo Ferrabino Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search «Si compie il mio ottantesimo anno. Declinano le stelle della sera sulla diuturna milizia di storia e di magistero che fu la mia vocazione, non tradita ma superata. Misticamente m'accoglie la dimora del Verbo dove l'Io s'incontra col suo Dio nascosto.[1]»  Aldo Ferrabino Aldo Ferrabino senato.jpg Senatore della Repubblica Italiana Legislature   I Gruppo parlamentare                                        democratico cristiano Incarichi parlamentari 6ª Commissione permanente (Istruzione pubblica e belle arti) Commissione speciale ddl ratifica decreti legislativi Comitato per l'incremento della ricerca scientifica Sito istituzionale Dati generali Partito politico                              DC Titolo di studio                                       laurea in lettere Università                                           Università di Torino Professione                                    storico, filosofo, accademico, rettore  Aldo Ferrabino nel giugno 1928 Aldo Ferrabino (Cuneo, 26 giugno 1892 – Roma, 30 ottobre 1972) è stato uno storico, filosofo e bibliotecario italiano, nonché scrittore e poeta.   Indice 1          Biografia 2                                            Opere 2.1                                            Opere in collaborazione 3                                       Note 4                                                Bibliografia 5                                           Altri progetti 6                                           Collegamenti esterni Biografia Ferrabino nacque a Cuneo, primo dei tre figli di Angelica Toesca, donna sensibile e generosa e di Vincenzo Agostino, funzionario dello Stato, uomo dalla natura affettuosa e sobria e di idee agnostiche, che per questo motivo non volle far battezzare i figli. L'infanzia di Aldo trascorse serena circondato com'era dalle premure della madre e del padre che, avendo perduto il precedente figlio, dedicarono molte attenzioni al fanciullo nato di costituzione debole e di salute cagionevole.  A Cuneo compì il primo ciclo di studi dimostrandosi subito allievo modello e con rare doti di intelligenza. Proseguì gli studi classici a Cremona, dove il padre era stato trasferito per lavoro, e quando la famiglia dovette nuovamente trasferirsi in Alessandria, il giovane, che aveva terminato il Liceo, si iscrisse nell'ottobre del 1910, all'Università di Torino presso la facoltà di Lettere.  Aldo Ferrabino nel suo studio a Torino A Torino, dove viveva in una camera ammobiliata, iniziò a frequentare assiduamente l'ambiente universitario dedicandosi con il massimo impegno allo studio e dando lezioni private per non dover pesare troppo sulle finanze paterne.  Il suo primo maestro fu Arturo Graf, docente di Letteratura italiana presso la stessa università, ma verso il terzo anno iniziò a seguire con crescente interesse la storia antica frequentando le lezioni dello storico Gaetano De Sanctis, con il quale si laureò nel 1914, con una tesi su Kalypso.  Insegnò presso vari Licei, a Torino, Palermo, Napoli fintanto che, ottenuta la libera docenza, divenne nel 1921 professore di storia antica dapprima presso l'Università di Torino e in seguito presso l'Università di Padova. Nel 1947 venne nominato rettore dell'Ateneo, incarico che durò fino al 1949, anno in cui ottenne la cattedra di Storia romana presso l'Università di Roma, cattedra che detenne fino al 1962.   Aldo Ferrabino nel suo studio di Roma il 28 giugno 1948  Aldo Ferrabino ad Assisi nel 1954 Morta la prima moglie Mercedes dopo lunga malattia il 4 giugno 1945, Ferrabino concluse il suo periodo di avvicinamento alla religione cattolica facendosi battezzare nel dicembre 1945. Sposò poi Paola Zancan, sua collega nell'Università di Padova, proveniente da agiata e cattolica famiglia, con la quale si stabilì a Roma, dove vivrà fino alla morte.  Iniziò in quel periodo a frequentare "La Cittadella di Assisi" diventando grande amico di don Giovanni Rossi, fondatore dell'Associazione «Pro Civitate Christiana» e della rivista La Rocca.  Ad Assisi, Ferrabino prese l'abitudine di trascorrere con la moglie e le nipoti lunghi periodi durante le vacanze estive alternate a quelle trascorse a Fregene. Nel 1948 venne eletto senatore della Repubblica Italiana per la Democrazia Cristiana e rimase al Senato fino al 1954.  Nel 1954 divenne presidente della Enciclopedia Italiana, incarico che detenne, insieme a quello di direttore scientifico avuto nel 1966, fino al 1972.  Nel 1949 era stato intanto incaricato di presiedere al Consiglio Superiore delle Accademie e nel 1950 promosse il Centro nazionale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche diventandone il presidente.  Nel 1950 divenne corrispondente dell'Accademia del Lincei e nel 1955 corrispondente nazionale della stessa e presidente dell'Istituto italiano per la storia antica.  Nel 1956 fu eletto presidente della Società Nazionale "Dante Alighieri" e nel 1957, insieme a Vincenzo Cappelletti, fondò la Rivista di italianistica "Il Veltro".  Pubblicò circa 200 lavori sulla storia di Atene e dei Greci, sull'Italia romana, l'età dei Cesari, la filosofia della storia, la cristologia.  Opere Kalipso, saggio d’una storia di un mito, Bocca, Torino, 1914 Arato di Sicione e l'idea federale, Le Monnier, Firenze, 1921[2] L'impero ateniese, 1927[3] La dissoluzione della libertà nella Grecia antica, cedam, Padova, 1929 L'Italia romana, Mondadori, Milano, 1934[4] Cesare, pp. 244, Unione Tipografica, Edizione Torinese, 1941 La vocazione umana, pp. 248, Nuova Edizione Ivrea, Ivrea, 1943 L'esperienza cristiana, Libreria Draghi, Padova, 1944 Le speranze immortali, Casa Editrice Società per Azioni, Padova, 1945 Trilogia del Cristo, 3 voll.[5], Casa editrice Le tre venezie, 1946-47 Adamo, pp. 172, Morcelliana, 1950, Brescia Le vie della storia, pp. 241, Sansoni, Firenze, 1955 Rivelazione e cultura, pp. 189, La Scuola, Brescia, 1956 Storia dell'uomo avanti e dopo Cristo, pp. 190, Edizioni Pro Civitate Christiana, Assisi, 1957 L'essenza del Romanesimo, pp. 291, Tumminelli, Roma, 1957 L'inno del Simposio di S. Metodio Martire, G. Giappichelli, Torino, 1958 Nuova storia di Roma, Tumminelli, Roma, 1959, seconda edizione [ 1ª edizione 1942], 3 voll. Scritti di filosofia della Storia, pp. XVIII-810, G. C. Sansoni, 1962 Trasfigurazioni, Aldo Martello, Milano, 1965 Pagine italiane, pp. 332, Il Veltro, Roma, 1969, ISBN 88-85015-09-3 Misticamente, pp. 179, Stamperia Valdonega, Verona, 1972 Opere in collaborazione La bonifica benedettina, Aldo Ferrabino, Augusto Jandolo, Luigina Fasoli, Georges Duby e altri, pp. 199, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970 Enciclopedia dell'Arte Antica: Classica e Orientale, A. Ferrabino (presidente), Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1966 Dizionario Enciclopedico Illustrato, 12 voll., A. Ferrabino, Jannaccone, Sturzo, Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma, 1955 Nel Centenario Della Battaglia Del Volturno - 1-2 ottobre, Gino Doria, Aldo Ferrabino, Nino Cortese, Francesco Flora, Ente Autonomo Volturno, Napoli, 1960 Note ^ da Prefazione in Aldo Ferrabino, Misticamente, Verona, 1972, pag. 5 ^ Ripubblicato da L'Erma di Bretschneider[collegamento interrotto], 1972, ISBN 88-7062-263-0 ^ Ripubblicato da L'Erma di Bretschneider[collegamento interrotto], 1972, ISBN 88-7062-262-2 ^ Fonte BookFinder ^ I vol.: Il figlio dell'uomo (nella testimonianza di S. Matteo) II vol.: Il figlio di Dio (nella testimonianza di S. Giovanni) III vol.: Il risorto (nella testimonianza di S. Paolo) Bibliografia Voce "Aldo Ferrabino" in Biografie e bibliografie degli Accademici Lincei, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1976, pp. 907–908 Giorgio De Gregori, Simonetta Buttò, Per una storia dei bibliotecari italiani del XX secolo. Dizionario bio-bibliografico, con la collaborazione di Giuliana Zagra, presentazione di Alberto Petrucciani, Roma, Associazione Italiana Biblioteche, 1999, p. 84 [1] Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Aldo Ferrabino Collegamenti esterni Aldo Ferrabino, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Aldo Ferrabino / Aldo Ferrabino (altra versione), in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Aldo Ferrabino, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Aldo Ferrabino, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Aldo Ferrabino, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Aldo Ferrabino, su senato.it, Senato della Repubblica. Modifica su Wikidata Controllo di autorità    VIAF (EN) 110955987 · ISNI (EN) 0000 0000 8177 178X · SBN IT\ICCU\RAVV\049375 · LCCN (EN) n84224203 · GND (DE) 119373343 · BNF (FR) cb12027136t (data) · BNE (ES) XX1268747 (data) · BAV (EN) 495/118996 · WorldCat Identities (EN) lccn-n84224203 Biografie Portale Biografie Editoria Portale Editoria Filosofia Portale Filosofia Letteratura Portale Letteratura Storia Portale Storia Categorie: Storici italiani del XX secoloFilosofi italiani del XX secoloBibliotecari italianiNati nel 1892Morti nel 1972Nati il 26 giugnoMorti il 30 ottobreNati a CuneoMorti a RomaStudenti dell'Università degli Studi di TorinoProfessori dell'Università degli Studi di TorinoSenatori della I legislatura della Repubblica ItalianaProfessori dell'Università degli Studi di PadovaProfessori della Sapienza - Università di RomaRettori dell'Università degli Studi di Padova[altre]

Ferrando -- Guido Ferrando Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Guido Ferrando Guido Ferrando (Roma, 29 marzo 1883 – Santa Barbara, 11 giugno 1969) è stato un docente, filosofo, teosofo, anglista, studioso di psicologia e antifascista italiano.   Indice 1                                    Biografia 2                                            Note 3                                             Bibliografia 4                                           Collegamenti esterni Biografia Si laureò in filosofia e filosofia moderna all'Università di Pisa. Nel 1920 divenne titolare della cattedra di letteratura inglese presso la facoltà di lettere dell'Università di Firenze e per oltre un decennio fu vicedirettore e preside del British Institute della stessa città; fu anche direttore della Biblioteca Filosofica fiorentina. In qualità di anglista s'interessò a Shakespeare, Coleridge, Yeats e i trascendentalisti Emerson e Thoreau, dando di alcuni di questi anche delle versioni. Scrisse per La Voce nei primi anni della sua pubblicazione. Fu inoltre studioso di psicologia e redattore della rivista Psiche. Collaborò con Gaetano Salvemini alla propaganda antifascista e firmò il Manifesto di Benedetto Croce (1925).  Nel 1932 espatriò negli Stati Uniti, a New York, dove continuò la sua attività antifascista, divenne professore d'italiano e filosofia presso il Vassar College e nel 1934 sposò Wilhelmina Anieka Leggett, con cui adottò la figlia Vasanti[1]. Contribuì più tardi a fondare la Besant Hill School di Ojai, California, praticandovi l'insegnamento more socratico: "l'istruzione è un processo d'indagine dove gli studenti imparano come pensare, non cosa pensare".  Note ^ RootsWeb's WorldConnect Project: LEGGETT of ELY, CAMBRIDGESHIRE, ENGLAND and WEST FARMS (BRONX), NEW YORK Bibliografia Guido Ferrando appointed Chairman of italian dept. in «Vassar Miscellany News», Volume XVII, N. 30, 25 febbraio 1933. Collegamenti esterni Guido Ferrando in Internet Culturale Besanthill.org (archiviato dall'url originale il 27 marzo 2014). Mccurdyfamilylineage.com. Controllo di autorità                             VIAF (EN) 86154380956930291160 · BAV (EN) 495/124550 Biografie Portale Biografie Letteratura Portale Letteratura Categorie: Insegnanti italiani del XIX secoloInsegnanti italiani del XX secoloFilosofi italiani del XIX secoloFilosofi italiani del XX secoloTeosofi italianiNati nel 1883Morti nel 1969Nati il 29 marzoMorti l'11 giugnoNati a RomaMorti a Santa Barbara (California)Traduttori italiani[altre]

ferrari: essential Italian philosopher. Giuseppe Ferrari (Milano, 7 marzo 1811 – Roma, 2 luglio 1876[1]) è stato un filosofo, storico e politico italiano. Federalista, repubblicano, di posizioni democratiche e socialiste, fu deputato della Sinistra nel Parlamento italiano per sei legislature dal 1860 al 1876, e senatore del Regno dal 15 maggio al 2 luglio 1876. Nato a Milano da una famiglia borghese - il padre era medico - dopo la morte dei suoi genitori, avvenuta quando era ancora giovane, poté godere di una piccola rendita grazie alla quale visse senza particolari problemi economici.  Ferrari fece i suoi studî nel ginnasio S. Alessandro, fu poi alunno dell'Almo Collegio Borromeo e si laureò in utroque iure a Pavia nel 1831. Fu però più interessato dalla filosofia, che coltivò nel cerchio della gioventù milanese che si riuniva attorno a Gian Domenico Romagnosi.  Gli anni in Francia Giunto a posizioni irreligiose e scettiche, nutriva per la cultura filosofica, storica e politica francese un'ammirazione che nell'aprile 1838 lo portò a Parigi. Ferrari trascorse in Francia i successivi 21 anni. Il 27 agosto del 1840 sostenne l'esame di dottorato in filosofia alla Sorbona, con la presentazione di due tesi intitolate De religiosis Campanellae opinionibus[2] e De l'Erreur, nella prima delle quali presentava positivamente il pensiero religioso di Tommaso Campanella, mentre nella seconda giungeva ad una conclusione scettica a proposito dei giudizî. Essi infatti non consentono di giungere alla verità assoluta in quanto essa è indissolubilmente intrecciata all'errore, così che si può dire che la verità sia un errore relativo e l'errore una verità relativa. Dal 1838 al 1847 collaborò regolarmente alla «Revue des Deux Mondes».  Introdotto nei circoli intellettuali della capitale francese da lettere di presentazione di Amedeo Peyron e Lorenzo Valerio (due allievi piemontesi di Cattaneo) e di Pierre-Simon Ballanche, Ferrari frequentò Victor Cousin, Augustin Thierry, Claude Fauriel, Jules Michelet e Edgar Quinet, come pure gli intellettuali e gli emigrati italiani che si riunivano nel salotto della principessa di Belgiojoso. Nel 1840 fu docente di filosofia al Liceo di Rochefort-sur-mer, e nel novembre di quell'anno richiese un permesso di residenza permanente in Francia, poi nel 1841 fu nominato professore supplente all'Università di Strasburgo dove, attaccato dalla Chiesa e dal partito cattolico per le affermazioni irreligiose e scettiche espresse nel suo corso sulla filosofia del Rinascimento e per la sua presentazione favorevole della Riforma luterana nel dicembre del 1841, fu anche accusato di insegnare dottrine atee e socialiste e sospeso dall'insegnamento nel 1842 e, benché avesse ottenuto la nazionalità francese e nel 1843 il titolo di "professore aggregato" di filosofia, che lo abilitava ad insegnare all'università, non fu più reintegrato nell'insegnamento universitario francese, poiché la raccomandazione di Edgar Quinet per una sua nomina a professore supplente al Collège de France nel 1847, benché accettata dalla Facoltà, fu rifiutata dal ministero dell'Educazione.  L'allontanamento dalla cattedra di Strasburgo fu all'origine del suo lungo rapporto con Proudhon che, avendo appreso il "caso Ferrari" dalla stampa, s'interessò a lui e ai suoi scritti e dette inizio ad un'amicizia che durò sino alla morte di Proudhon, nel 1865. A partire dal 1847 Ferrari fu tra gli avversari repubblicani della monarchia orleanista, con Victor Schoelcher e Félicité de Lamennais. Durante il sollevamento delle cinque giornate di Milano contro il governo austriaco nel marzo del 1848 fu accanto a Carlo Cattaneo ma, deluso dai risultati della rivoluzione, fece rientro in Francia, dove fece un altro tentativo infruttuoso (per l'opposizione di Victor Cousin) di ottenere una cattedra all'Università di Strasburgo. Da gennaio a giugno del 1849 insegnò la filosofia al Liceo di Bourges.  Il 2 dicembre 1851 avvenne il colpo di Stato che mise fine alla Seconda Repubblica francese e portò al trono Napoleone III; Ferrari, ricercato come repubblicano, si rifugiò à Bruxelles per sfuggire alla polizia.  Il ritorno in Italia Pur conservando il suo appartamento a Parigi, Ferrari ritornò definitivamente a Milano a metà dicembre del 1859, per partecipare alle vicende che porteranno all'unificazione e alla nascita dello stato italiano. Fu eletto deputato al Parlamento del Regno di Sardegna nel collegio di Luino nel 1859 (elezioni suppletive), confermato nelle elezioni del 27 gennaio-3 febbraio del 1861 (eletto in secondo scrutinio nello stesso collegio di Luino, nel frattempo allargato a Gavirate). Confermato per quindici anni, Ferrari sedette ala Camera dei deputati sui banchi della Sinistra ininterrottamente per sei legislature, fino al 1876 (XII Legislatura). Nel 1870 (XI Legislatura) fu pure eletto nel primo collegio di Como, ma si mantenne fedele ai suoi primi elettori. Il suo programma politico può essere riassunto nella formula: " irreligione[3] e legge agraria", cioè lotta contro la Chiesa e il clericalismo e riforma della proprietà terriera dei latifondi, con la distribuzione di terre coltivabili ai contadini. La Chiesa e i proprietari terrieri, sostenendosi a vicenda, erano per lui i nemici naturali dell'uguaglianza, non teorica ma concreta e reale.  Per quel che concerne la forma del nuovo stato italiano, Ferrari domandava una costituzione federale di tipo svizzero o statunitense, con un esercito, delle finanze e delle leggi federali comuni, ma anche con la più ampia decentralizzazione amministrativa possibile.  Nell'agosto del 1861, dopo essersi recato sul posto, scrisse una relazione parlamentare sul Massacro di Pontelandolfo e Casalduni[4].  Nel giugno del 1862, contro la sua volontà, Ferrari fu nominato dal re Cavaliere Ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, e rimandò immediatamente il decreto di nomina al ministro della Pubblica Istruzione, che glielo aveva inviato. Ma la nomina era irrevocabile, essendo stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale.  Nominato professore di filosofia della storia all'Accademia scientifico-letteraria di Milano, benché non ci fosse a quel tempo nessuna indennità parlamentare e i parlamentari non godessero di nessun beneficio, Ferrari rinunciò allo stipendio per poter rimanere in Parlamento pur continuando a insegnare. In Parlamento, Ferrari prese posizione in sede di discussione sull'intitolazione degli atti del governo, contro la denominazione di secondo, e non primo re d'Italia, assunta da Vittorio Emanuele[5], a più riprese contro uno stato unitario, in favore di una costituzione federale e dell'autonomia delle regioni, in particolare del Mezzogiorno.  Nonostante il Ferrari riconoscesse nell'articolo "La révolution et les réformes en Italie" del 1848 che: (FR) «L'unité italienne n'existe que dans les régions de la littérature et de la poésie; dans ces régions, on ne trouve pas de peuples, on ne peut pas recruter d'armées, on ne peut organiser aucun gouvernement.»  (IT) «L'unità italiana non esiste che nelle regioni della letteratura e della poesia; in queste regioni non si trovano popoli, non si possono reclutare eserciti, non si può organizzare nessun governo.»  (Joseph Ferrari, La révolution et les réformes en Italie, Parigi, 1848, p. 10.) esprimeva ugualmente, nello stesso testo, l'auspicio che l'Unità Italiana si potesse prima o poi realizzare:[6] (FR) «L'Italie doit tout demander à la liberté: elle n'a ni lois, ni mœurs politiques , elle ne s'appartient pas; elle n'est ni une, ni confédérée; elle n'avancera qu'en demandant d'abord des chartes, puis la confédération, ensuite la guerre, enfin l'unité, si la fatalité le permet.»  (IT) «L’Italia tutto deve domandare alla libertà: essa non ha leggi, né costumi politici, essa non appartiene a se medesima; essa non è né una né confederata; essa non progredirà se non col cominciare a chiedere costituzioni, poi la confederazione, indi la guerra, da ultimo l’Unità, se la fatalità lo permette»  (Joseph Ferrari, La révolution et les réformes en Italie, Parigi, 1848) L'8 Ottobre 1860 nel Parlamento di Torino sconfessò queste sue parole scritte 12 anni prima dicendo : Io non muto d'avviso: sono stato avversario dell'unità italiana, la credo tragica nell'azione sua, destinata a creare immemorabili martirii e crudelissimi disinganni, benché necessaria come gli scandali alla storia, come i sacrifizi e gli olocausti alle religioni.[7]  Si è pure pronunciato contro la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia (1860), contro il trattato di commercio con la Francia (1863) e contro gli accordi con il governo francese per la ripartizione del debito già pontificio (1867) (lui, "francese al peggiorativo", come amava definirlo il suo irriducibile avversario, Mazzini), in difesa di Garibaldi per i fatti d'Aspromonte (1862), in favore della Polonia (1863) e dello spostamento della capitale da Torino a Firenze (1864), prese parte attiva ai dibattiti parlamentari sulla proclamazione di Roma capitale, sul brigantaggio, sulla situazione finanziaria del nuovo regno. Il 15 maggio del 1876 fu fatto senatore. Morì improvvisamente nella notte tra il 1º e il 2 luglio del 1876.  Assolutamente solitario e totalmente estraneo ad ogni gruppo politico e ad ogni consorteria, Ferrari non ebbe seguito e, come disse il politico Francesco Crispi intervenendo alla Camera il 3 agosto 1862:  «Ferrari, tutti lo sanno, è una delle illustrazioni del parlamento, ma non esprime se non che le sue idee individuali»  La sua azione parlamentare è stata così caratterizzata e riassunta:[8]  «Ferrari sedeva sui banchi della Sinistra difendendo le opinioni liberali, combattendo gli arbitri e gli errori dell'amministrazione, denunciando nel piemontesismo l'indebita preminenza di una consorteria, vagheggiando la demolizione di ogni privilegio ecclesiastico, e per tutto questo poteva sembrare d'accordo con i suoi colleghi dell'Estrema, anche se talvolta si divertiva a pungerli e sgomentarli con l'indisciplinata libertà dei suoi atteggiamenti; ma intimamente non era con loro.» Discorsi parlamentari Dal 1860 al 1875:  1860, 27 maggio, Contro la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia. 1860, 8 e 11 ottobre, Contro le annessioni incondizionate. 1861, 26 marzo, Sulla interpellanza del deputato Audinot intorno alla questione romana. 1861, 4 aprile, Interpellanza relativa alle condizioni delle province meridionali. 1861, 16 e 17 aprile, Il battesimo del Regno. 1861, 26 e 30 giugno, Contro il prestito di 500 milioni. 1861, 2 dicembre, La questione romana e le condizioni delle province meridionali. 1862, 15 marzo, La ferrovia da Gallarate al Lago Maggiore. 1862, 26 marzo, Sull'esercizio provvisorio (bilancio 1862). 1862, 3 agosto, Interpellanza sul proclama del Re (Aspromonte). 1862, 29 e 30 novembre, Interpellanza sugli affari di Roma. 1863, 27 marzo, Sulla questione della Polonia. 1863, 25 e 7 novembre, Contro il trattato di commercio con la Francia. 1864, 6 maggio, Intorno al bilancio dell'Interno. 1864, 2, 4 e 5 luglio, Sulla situazione del Tesoro e sulle condizioni finanziarie del Regno. 1864, 10 novembre, Il trasporto della capitale. 1865, 17 gennaio, sul giuramento politico. 1865, 23 gennaio, sulle giornate di Torino. 1867, Interpellanza al Ministero sulla crisi del Ministero Ricasoli. 1867, 10 e 24 aprile, Contro la convenzione col governo francese per l'assunzione del debito pubblico degli ex Stati pontifici. 1867, 21 giugno, 1, 4 e 13 luglio, Contro le trattative con Roma e la nomina dei vescovi da parte del Papa. 1867, 7 e 30 luglio, Sulla violazione del diritto del non intervento. 1867, 11 e 19 dicembre, Interpellanza su Mentana. 1868, 7 marzo, Inchiesta sul corso forzoso. 1868, 15 marzo, Per la guardia nazionale. 1868, 14 e 16 marzo, Legge sul macinato. 1868, 27 e 29 aprile, Sulla sospensione dei professori all'Università di Bologna. 1868, 4 agosto, Sulla Regia cointeressata dei tabacchi. 1868, 25 novembre, 6, 7 e 9 dicembre, Sull'assassinio di Monti e Tognetti. 1869, 13, 21, 22 e 25 gennaio, Sui disordini per la legge sul macinato. 1869, 31 maggio, 1, 2, 4 e 5 giugno, Inchiesta sulla Regia. 1870, 11 aprile, Sul bilancio dell'Interno. 1870, 12 aprile, Sul consiglio Superiore d'Istruzione. 1870, 19 agosto, I fatti di Francia. 1870, 21 dicembre, Contro la convalidazione del decreto di accettazione del plebiscito di Roma. 1872, 19 aprile, Interpellanza per la pubblicazione del Libro verde. 1872, 14 maggio, Contro la politica estera. 1872, 25 e 27 maggio, Sulla nomina dei vescovi. 1872, 21 novembre, Interpellanza intorno al divieto del comizio popolare al Colosseo. 1872, 28 novembre, Sulla politica estera. 1873, 18 marzo, Sul ripristinamento dell'appannaggio al principe Amedeo. 1873, 12 e 25 maggio, La soppressione degli ordini religiosi in Roma. 1875, 25 gennaio, Gli arresti di Villa Ruffi.Carriera universitaria Dal 1841 al 1876:  1841, autunno, Professore supplente di storia all'Università di Strasburgo. 1862, 9 febbraio, Professore onorario dell'Università di Napoli. 1862, 28 marzo, Professore di Filosofia della storia all'Accademia scientifico-letteraria di Milano 1864, Professore ordinario di Filosofia all'Università di Torino. 1865, 28 giugno, Professore ordinario di Filosofia della storia all'Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento di Firenze. Cariche e titoli Dal 1836 al 1876:  1836, Direttore e fondatore della rivista L'Ateneo. 1861, 21 febbraio, Membro corrispondente dell'Istituto lombardo di scienze e lettere di Milano. 1862, 20 maggio, Membro ordinario della Società reale di Napoli. 1864, 18 gennaio, Membro effettivo dell'Istituto lombardo di scienze e lettere di Milano. 1864, 6 novembre, Membro straordinario del Consiglio superiore della pubblica istruzione. 1865, 6 dicembre - dicembre 1866, Membro ordinario del Consiglio superiore della pubblica istruzione. 1870, Socio corrispondente della Deputazione di storia patria per le antiche province modenesi. 1876, 19 marzo, Socio nazionale dell'Accademia dei Lincei di Roma. Onorificenze Cavaliere dell'Ordine al Merito Civile di Savoia - nastrino per uniforme ordinaria                    Cavaliere dell'Ordine al Merito Civile di Savoia — 30 aprile 1876 Ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro - nastrino per uniforme ordinaria  Ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro — giugno 1862 Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria   Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia — 1862 Il socialismo di Ferrari Come tutti i teorici socialisti italiani del primo Ottocento, Ferrari è fortemente influenzato dalle teorie francesi, e in particolare dall'Illuminismo e da Proudhon. Il suo socialismo si costituisce come una radicalizzazione del principio di uguaglianza affermato dalla rivoluzione francese.  Ferrari riconosce come unico fondamento della proprietà il lavoro: propone quindi un socialismo che, non strettamente in opposizione al liberalismo, fosse fondato sul merito individuale e sul diritto di godere dei frutti del proprio lavoro. Più che con la nascente borghesia, Ferrari si pone dunque in contrasto con i residui feudali ancora presenti in Italia, e auspica uno sviluppo industriale e una rivoluzione borghese.  Partecipa anche attivamente al dibattito risorgimentale: contrario all'unificazione della penisola, propone come obiettivo la formazione di una federazione di repubbliche, in modo da tutelare le particolarità e l'unicità delle singole regioni. Questo progetto doveva essere attuato attraverso un'insurrezione armata, aiutata dall'intervento francese. Al contrario della maggioranza dei teorici risorgimentali (in particolare Giuseppe Mazzini), i quali credevano che l'Italia avesse una missione storica, egli credeva - abbastanza pragmaticamente - che fosse necessario l'intervento di uno stato estero per sconfiggere gli eserciti organizzati dei diversi stati italiani.  L'opinione pubblica doveva essere preparata alla rivoluzione (che doveva avvenire spontaneamente e non guidata da un gruppo di cospiratori) da un partito di stampo democratico, repubblicano, federalista e socialista (la questione sociale era infatti inscindibile da quella istituzionale). Il futuro stato federale sarebbe stato gestito da un'assemblea nazionale e da tante assemblee regionali.  Insieme a Guglielmo Pepe elaborò il termine neoguelfismo, per sottolineare il carattere reazionario di restaurare la presenza attiva della Chiesa nella vita politica dello Stato; Ferrari era critico verso la formula liberale Libera Chiesa in libero Stato, e affermava la necessità di una superiorità dello Stato rispetto alla Chiesa, corrispondente alla superiorità della ragione rispetto alla credenza religiosa, un rapporto Stato-Chiesa che si riallaccia alla politica ecclesiastica di Giuseppe II in Lombardia e a quella di Leopoldo I di Toscana.  Note ^ "Consta dai registri della Parrocchia di S. Satiro , che Giuseppe Michele Giovanni Francesco dei coniugi Giovanni e Rosalinda Ferrari nacque il 7 di marzo 1811.", "Cenno su Giuseppe Ferrari e le sue dottrine", di Luigi Ferri, : G. Ferrari, La mente di G. D. Romagnosi, a cura di O. Campa, Milano, 1913, p. 145, nota 1. ^ Giuseppe Ferrari, Sulle opinioni religiose di Campanella, Milano, FrancoAngeli, 2009 ^ "La fede in Dio è l'errore più primitivo, più naturale del genere umano [...]. La religione è la pratica della servitù [...] Il cristianesimo presenta tutti i vizi della rivelazione soprannaturale [...] l'autorità cristiana conduce alla dominazione dell'uomo sull'uomo [...] il cristiano è morto, l'uomo deve nascere, è nato, ha già respinto dallo Stato gli apostoli e la Chiesa.", Giuseppe Ferrari, Filosofia della rivoluzione, in: Scritti politici di Giuseppe Ferrari, a cura di Silvia Rota Ghibaudi, Torino, UTET, 1973, p. 807-831. ^ Camera dei Deputati, Atti del Parlamento Italiano - sessione del 1861, vol. III discussioni della Camera dei Deputati, Torino, Eredi Botta, 1862. ^ Atti del parlamento italiano (1861) ^ (FR) Giuseppe Ferrari, La révolution et les réformes en Italie, Amyot, 1º gennaio 1848. URL consultato il 13 maggio 2017. ^ https://storia.camera.it/regno/lavori/leg07/sed063.pdf. ^ P. Schinetti, Le più belle pagine di Scrittori italiani scelte da scrittori viventi. Giuseppe Ferrari, Milano, Garzanti, 1944, p. 261. Opere La mente di G. D. Romagnosi, 1835 (ried. 1913, 1924) La mente di Vico, 1837 (FR) Vico et l'Italie, 1839 (FR) De l'Erreur, 1840 (FR) Idées sur la politique de Platon et d'Aristote, 1842 (FR) Essai sur le principe et les limites de la philosophie de l'histoire, 1843 (FR) La philosophie catholique en Italie, 1844 (FR) La révolution et les révolutionnaires en Italie, 1844-1845 (FR) Des idées et de l'école de Fourier depuis 1830, 1845 (FR) La révolution et les réformes en Italie, 1848 (FR) Machiavel juge des révolutions de notre temps, 1849 (trad. it 1921) (FR) Les philosophes salariés, 1849 (ried. 1980) La Federazione repubblicana, 1851 Filosofia della rivoluzione (vol. 1), 1851 (ried. 1873, 1922, 1928, 1942) Filosofia della rivoluzione (vol. 2), 1851 L'Italia dopo il colpo di Stato del 2 dicembre 1851, 1852 Opuscoli politici e letterari ora per la prima volta tradotti, 1852 La mente di Giambattista Vico, 1854 (FR) Histoire des révolutions d'Italie, ou, Guelfes et Gibelins, 1856-1858 (ried. 2012) (FR) Histoire de la raison d'Etat, 1860 (ried. 2011) (FR) L'annexion des deux Siciles, 1860 Corso sugli scrittori politici italiani, 1862 (ried. 1929 con pref. di Adriano Olivetti) Corso sugli scrittori politici italiani e stranieri, 1863 Il governo a Firenze, 1865 (FR) La Chine et l'Europe, 1867 La mente di Pietro Giannone, 1868 Lettere chinesi sull'Italia, 1869 Storia delle Rivoluzioni d'Italia, 1872 (ried. 1921) Teoria dei periodi politici, 1874 L'aritmetica nella storia, 1875 Proudhon, 1875, (ried. a cura di Andrea Girardi, Napoli, Edizioni Immanenza, 2015 ISBN 9788898926541) La Rivoluzione e i rivoluzionari in Italia (dal 1796 al 1844), 1900 (ried. 1952) Il genio di Vico, 1916 (ried. 1928) I partiti politici italiani (dal 1789 al 1848), 1921 Le più belle pagine di Giuseppe Ferrari, 1927 (ried. 1941) Opere di Giandomenico Romagnosi, Carlo Cattaneo e Giuseppe Ferrari, a cura di Ernesto Sestan, 1957 Scritti politici, a cura di Silvia Rota Ghibaudi, 1973 I filosofi salariati, a cura di L. La Puma, 1988 (trad. dal francese) Scritti di filosofia e di politica, a cura di M. Martirano, 2006 Il genio di Vico, 2009 Sulle opinioni religiose di Campanella, 2009 Epistolario Franco Della Peruta, "Contributo all'epistolario di Giuseppe Ferrari", in: Franco Della Peruta, I democratici e la rivoluzione italiana, Milano, 1958. Franco Della Peruta (ed.),"Contributo all'epistolario di Giuseppe Ferrari", Rivista storica del socialismo, 1960, 3, p. 181-211. Franco Della Peruta (ed.),"Lettere di Giuseppe Ferrari a Pierre-Joseph Proudhon (1854-1861)", Annali dell'Istituto Giangiacomo Feltrinelli, 1961, 4, p. 260-290. Clara M. Lovett (ed.),"Giuseppe Ferrari e la Questione Meridionale - con lettere inedite", Rassegna storica del Risorgimento, 1974, 61, p. 74-88. Clara M. Lovett (ed.), "Milano e la Convenzione di Settembre - dalla corrispondenza inedita di Giuseppe Ferrari", Nuova rivista storica, 1975, 59, p. 186-190. Clara M. Lovett (ed.), "Il 1848 in Lombardia dalla corrispondenza inedita di Giuseppe Ferrari", Nuova rivista storica, 1975, 59, p. 470-480. Clara M. Lovett (ed.),"Il Secondo Impero, il Papato e la Questione Romana. Lettere inedite di Jean Gustave Wallon a Giuseppe Ferrari", Rassegna storica del Risorgimento, 1976, 63, p. 441-448. Antonio Monti, Giuseppe Ferrari e la politica interna della Destra. Con un carteggio inedito, Milano, 1925. Bibliografia Fonte biografica L'unica biografia e principale fonte per la vita di Ferrari è il libro di  (EN) Clara M. Lovett, Giuseppe Ferrari and the Italian Revolution, Chapel Hill, 1979 (ristampa 2011). Altro A. Agnelli, "Giuseppe Ferrari e la filosofia della rivoluzione", in: Per conoscere Romagnosi, a cura di Robertino Ghiringhelli e F. Invernici, 1982. Chiara Ambrosoli [et alii], "Giuseppe Ferrari e la vita sociale e politica nel collegio di Gavirate-Luino", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992, p. 285-368. Luigi Ambrosoli, "Cattaneo e Ferrari: l'edizione di Capolago delle opere di Ferrari", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992, p. 225-240. Paolo Bagnoli, "Giuseppe Ferrari e Giuseppe Montanelli", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992, p. 241-260. Bruno Barillari, "Giuseppe Ferrari critico di Mazzini", Pensiero mazziniano, 1963, 18, p. 4. Francesco Brancato, Giuseppe Ferrari e i Siciliani, Trapani, 1959. Bruno Brunello, Il pensiero di Giuseppe Ferrari, Roma, 1933. Bruno Brunello, "Ferrari e Proudhon", Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1951, 27, p. 58-75. Michele Cavaleri, Giuseppe Ferrari, Milano, 1861. Cosimo Ceccuti, "Ferrari e la Nuova antologia: il destino della Francia repubblicana", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992, p. 121-130. Arturo Colombo, "Il Ferrari del Corso", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992, p. 75-88. Luigi Compagna, "Giuseppe Ferrari collaboratore della "Revue des deux mondes", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992, p. 453-462. Maria Corrias Corona, "Il filosofo "rivoluzionario" visto da Giorgio Asproni", in : Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992, p. 203-420. Carmelo D'Amato, Ideologia e politica in Giuseppe Ferrari", Studi storici, 1970, 11, p. 743-754. Carmelo D'Amato, "La formazione di Giuseppe Ferrari e la cultura italiana della prima metà dell'Ottocento", Studi storici, 1971, 12, p. 693-717. Franco Della Peruta, "Il socialismo risorgimentale di Ferrari, Pisacane e Montanelli", Movimento operaio, 1956, 8, p. 3-41. Franco Della Peruta, Un capitolo di storia del socialismo risorgimentale: Proudhon e Ferrari", Studi storici, 1962, 3, p. 307-342. Franco della Peruta, "Giuseppe Ferrari", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992, p. 285-368. Aldo Ferrari, Giuseppe Ferrari, Saggio critico, Genova, 1914. Luigi Ferri, "Cenno su Giuseppe Ferrari e le sue dottrine", in: Giuseppe Ferrari, La mente di G. D. Romagnosi, Milano, 1913. (FR) Fabrizio Frigerio, "Ferrari, Giuseppe", in: Dictionnaire international du Fédéralisme, dir.Denis de Rougemont, Bruxelles, 1994, pp. 207–210. Gian Biagio Furiozzi, " Angelo Oliviero Olivetti e Giuseppe Ferrari", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992, p. 273-284. Paolo Virginio Gastaldi, "Nella galassia dell'Estrema", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992, p. 421-452. Robertino Ghiringhelli, Giuseppe Ferrari et le fédéralisme, 1991. Robertino Ghiringhelli, "Romagnosi e Ferrari", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992, p. 209-224. Carlo G. Lacaita, "Il problema della storia in Ferrari giovane", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992, p. 131-166. Eugenio Guccione, "Il laicismo politico di Giuseppe Ferrari", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992, p. 463-474. Anna Maria Lazzarino Del Grosso, "Il Medioevo in Giuseppe Ferrari", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992, p. 89-108. Clara M. Lovett, "Europa e Cina nell'opera di Giuseppe Ferrari", Rassegna storica del Risorgimento, 1972, 59, p. 398-401. Maurizio Martirano, Giuseppe Ferrari editore e interprete di Vico, 2001. Maurizio Martirano, Filosofia, storia, rivoluzione. Saggio su Giuseppe Ferrari, Napoli, Liguori, 2012. (FR) Gilda Manganaro Favaretto, "Giuseppe Ferrari, le Risorgimento et la France", in: Revue française d'histoire des idées politiques, 2009, n. 30, pp. 359–383. Angelo Mazzoleni, Giuseppe Ferrari. Il pensatore, lo storico, lo scrittore politico, Roma, 1925. Angelo Mazzoleni, Giuseppe Ferrari. I suoi tempi e le sue opere, Milano, 1878. Antonio Monti, "La posizione di Giuseppe Ferrari nel primo Parlamento italiano", Critica politica, 1923, 3, p. 180-186. Giulio Panizza, L'illuminismo critico di Giuseppe Ferrari, 1980. Giulio Panizza, "La teoria della fatalità nell'Histoire de la Raison d'Etat", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992, p. 109-120. Giacomo Perticone, "La concezione etico-politica di Giuseppe Ferrari", Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1922, 2, p. 259-274. (FR) Charles Pfister, "Un épisode de l'histoire de la Faculté des Lettres de Strasbourg: l'affaire Ferrari", Revue internationale de l'enseignement, 1926, 56, p. 334-355. Luigi Polo Friz, "Giuseppe Ferrari e Lodovico Frapolli: un rapporto di amore e odio tra due interpreti del Risorgimento Italiano", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992, p. 385-402. Nello Rosselli, "Italia e Francia nel pensiero di Giuseppe Ferrari", Il Ponte, 1967, 33, p. 750-756. Silvia Rota Ghibaudi, Giuseppe Ferrari, l'evoluzione del suo pensiero (1838-1860), Firenze, 1969. Silvia Rota Ghibaudi, "Giuseppe Ferrari e la Teoria dei periodi politici", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992, p. 45-74. Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992. Luciano Russi, "Pisacane e Ferrari: esiti socialisti dopo una rivoluzione fallita", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992, p. 261-272. M. Schiattone, Alle origini del federalismo italiano, Giuseppe Ferrari, 1996. Nicola Tranfaglia, "Giuseppe Ferrari e la storia d'Italia", Belfagor, 1970, 25, p. 1-32. (FR) Patrice Vermeren, "Joseph Ferrari et les droits de la liberté", in: Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992, p. 193-208. Luigi Zanzi, "Giuseppe Ferrari:un filosofo"militante", in:Silvia Rota Ghibaudi, e Robertino Ghiringhelli, [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, Milano, 1992, p. 167-192. Stefano Carraro, "Alcuni aspetti del pensiero politico di Giuseppe Ferrari", BAUM, Venezia, 1986. Voci correlate Gian Domenico Romagnosi Carlo Cattaneo Cinque giornate di Milano Lodovico Frapolli Pierre-Joseph Proudhon Giuseppe Mazzini Carlo Pisacane Federalismo Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Giuseppe Ferrari Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina in lingua francese dedicata a Giuseppe Ferrari Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Giuseppe Ferrari Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giuseppe Ferrari Collegamenti esterni Giuseppe Ferrari, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Giuseppe Ferrari, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata (EN) Giuseppe Ferrari, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Giuseppe Ferrari, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Giuseppe Ferrari, su siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Modifica su Wikidata Opere di Giuseppe Ferrari, su Liber Liber. Modifica su Wikidata Opere di Giuseppe Ferrari, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Giuseppe Ferrari, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Giuseppe Ferrari, su storia.camera.it, Camera dei deputati. Modifica su Wikidata Giuseppe Ferrari, su Senatori d'Italia, Senato della Repubblica. Modifica su Wikidata Giancarlo Iacchini, Giuseppe Ferrari: il primo radicalsocialista italiano, dal sito del Movimento RadicalSocialista (FR) Jean Vinatier, Giuseppe Ferrari: la Chine et l'Europe (1867)[collegamento interrotto] su Seriatim, n. 288, 2ème année. Controllo di autorità  VIAF (EN) 89589518 · ISNI (EN) 0000 0001 0923 2957 · SBN IT\ICCU\CFIV\089927 · LCCN (EN) n82132708 · GND (DE) 118683403 · BNF (FR) cb11902614p (data) · BNE (ES) XX1136210 (data) · CERL cnp00584863 · WorldCat Identities (EN) lccn-n82132708 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Politica Portale Politica Risorgimento Portale Risorgimento Storia Portale Storia Università Portale Università Categorie: Filosofi italiani del XIX secoloStorici italiani del XIX secoloPolitici italiani del XIX secoloNati nel 1811Morti nel 1876Nati il 7 marzoMorti il 2 luglioNati a MilanoMorti a RomaFilosofi ateiCavalieri dell'Ordine civile di SavoiaUfficiali dell'Ordine dei Santi Maurizio e LazzaroUfficiali dell'Ordine della Corona d'ItaliaPersonalità del RisorgimentoSenatori della XII legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della VII legislatura del Regno di SardegnaDeputati dell'VIII legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della IX legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della X legislatura del Regno d'ItaliaDeputati dell'XI legislatura del Regno d'ItaliaSepolti nel Cimitero Monumentale di MilanoFederalisti[altre]. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Ferrari," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.


ferrari: Ferrari (alias Novatore) Renzo Novatore Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search «Oggi cerco un'ora sola di furibonda anarchia e per quell'ora darei tutti i miei sogni, tutti i miei amori, tutta la mia vita.»  (Renzo Novatore)  Renzo Novatore Renzo Novatore, pseudonimo di Abele Ricieri Ferrari (Arcola, 12 maggio 1890 – Genova, 29 novembre 1922), è stato un anarchico, poeta e filosofo italiano.   Indice 1Biografia 1.1L'anarchico disertore 1.2 L'antifascismo e la morte 2 Il pensiero 3Opere scritte 4 Note 5Bibliografia 6Altri progetti 7Collegamenti esterni Biografia Refrattario a ogni disciplina fin da giovanissimo, Abele Ricieri Ferrari frequentò la scuola soltanto per alcuni mesi prima di abbandonarla definitivamente ed essere costretto dal padre a lavorare nei campi. Il suo profondo desiderio di conoscenza, unito ad una notevole forza di volontà, lo spinse però ad un personalissimo studio da autodidatta che lo portò a leggere Max Stirner, Friedrich Nietzsche, Georges Palante, Oscar Wilde, Henrik Ibsen, Arthur Schopenhauer, Charles Baudelaire.[1]  Non rinunciò comunque ad elaborare una visione autonoma, che costruì giorno dopo giorno, come ricorda il suo amico Auro D'Arcola, attraverso una costante attività meditativa.[1]  Si sposò con Emma Rolla e con lei ebbe tre figli, uno dei quali morto in tenera età. Gli altri due, Renzo e Stelio, proseguirono sulle orme paterne una personalissima riflessione esistenzialista che svilupparono nell'ambito della produzione artistica e letteraria.[1] Questo nonostante fosse contrario alla famiglia tradizionale e alla visione idealizzata della donna: «O ciniche prostitute, o espropriatrici audaci, ergetevi sopra la putredine ove il mondo sta immerso e fatelo impallidire sotto la luce perversa dei vostri grandi occhi profondi. Voi siete il sole più bello che oggi il sole bacia. Voi siete di un'altra razza. E l'anima vostra è un canto, un sogno la vostra vita. Scardinate il mondo o libere prostitute, o espropriatrici audaci. Io canterò per voi. Il resto è fango!»  (Le mie sentenze) L'anarchico disertore La prima volta in cui le cronache s'interessarono di lui fu nel 1910, quando un incendio distrusse la chiesa della Madonna degli Angeli nella notte tra il 15 e il 16 maggio: le indagini dei regi carabinieri portarono infatti a identificare i responsabili del gesto in un gruppo di giovani anarchici del posto, tra i quali anche Abele Ferrari.[1]  Contrario alla guerra, nel 1915 venne richiamato sotto le armi ma si rese irreperibile. Venne dunque imputato di diserzione e condannato in contumacia alla pena di morte. Sarà poi arrestato e scarcerato in seguito ad amnistia.[1]  «E le rane partirono... Partirono verso il regno della suprema viltà umana. Partirono verso il fango di tutte le trincee. Partirono.... E la morte venne! Venne ebbra di sangue e danzò macabramente sul mondo. Danzò con piedi di folgore... Danzò e rise... Rise e danzò... Per cinque lunghi anni. Ah, Come è volgare la morte che danza senza avere sul dorso le ali di un'idea... Che cosa idiota morire senza sapere il perché...»  (Dal poema Verso il nulla creatore) Anarchico individualista, assunto lo pseudonimo di Renzo Novatore, fu protagonista con i suoi compagni Dante Carnesecchi e Tintino Persio Rasi di alcuni dei più importanti episodi della lotta operaia del biennio rosso nella Provincia della Spezia: episodi la cui importanza non si comprende se non tenendo conto che allora La Spezia era una delle più importanti roccaforti militari italiane, circondata da una serie di forti e polveriere che ne dominavano il golfo, e caratterizzata dalla presenza di un arsenale militare e di alcune delle più importanti industrie belliche. In quel periodo molti lavoratori anelavano a "fare come in Russia", tanto che era in molti anarchici, come Errico Malatesta, la convinzione che la rivoluzione fosse dietro l'angolo e bastasse dare solo una spallata decisa.[1]  L'antifascismo e la morte Coerente fino alla fine nella prima lotta al nascente fascismo, entrò nel mirino delle camicie nere, coadiuvate dalla polizia di Stato, e dovette fuggire per garantirsi l'incolumità; per sopravvivere si unì al bandito piemontese Sante Pollastri che era noto anche per proteggere e finanziare gli anarchici con la sua banda di rapinatori, data la simpatia politica che aveva per loro e il suo odio per il fascismo. Qualche tempo dopo la banda di Pollastri rapinò un importante cassiere di una banca, che portava una borsa piena d'oro: durante la colluttazione il ragionier Achille Casalegno venne colpito da un proiettile e morì; sebbene probabilmente fu Pollastri, che aveva già diversi omicidi di poliziotti e fascisti alle spalle, ad esplodere il colpo, al processo del 1931 costui avrebbe accusato il defunto Novatore.[1]  Le forze dell'ordine, su incarico del governo Mussolini, intensificarono la caccia alla banda Pollastri. Il 29 novembre 1922, intorno a mezzogiorno, il maresciallo Lupano e i carabinieri Corbella e Marchetti entrarono in abiti civili nell'Osteria della Salute di Teglia, nel genovese, perché avevano individuato Pollastro ed intendevano arrestarlo. Novatore era seduto accanto al celebre bandito e ad un altro componente del gruppo, e probabilmente fu proprio lui il primo a sparare sui carabinieri, scatenando la risposta di quest'ultimi[2]. Nello scontro a fuoco rimasero uccisi il maresciallo Lupano e un amico del bandito, il cui corpo crivellato di colpi si rivelò essere quello dell'anarchico Abele Ricieri Ferrari, noto come Renzo Novatore, ricercato per attività sovversiva e antifascismo, mentre Pollastri e l'altro compagno riuscirono a scappare. Novatore, al momento della morte, aveva con sé una pistola Browning, due caricatori di riserva, una bomba a mano ed un anello con spazio nascosto contenente una dose letale di cianuro, per suicidarsi se fosse caduto vivo nelle mani dei fascisti, oltre ad un documento falso recante il nome di Giovanni Governato[1].  Il pensiero Novatore si definiva anarchico individualista. Lottava per la libertà e per i diritti delle masse, ma era anche sicuro, dopo il fallimento delle insurrezioni del 1919, che non si potesse fare affidamento sul popolo:  «Le masse che sembrano adoratrici di Errico Malatesta sono vili e impotenti. Il governo e la borghesia lo sanno e sogghignano.»  «Io so, noi sappiamo, che cento uomini - degni di questo nome - potrebbero fare quello che cinquecentomila "organizzati" incoscienti non sono e non saranno mai capaci di fare.»  Il suo pensiero nichilista, anticlericale, anarchico e iconoclasta si caratterizzava soprattutto per il fortissimo individualismo, un individualismo fine a sé stesso che lo pose spesso in conflitto con altri membri del movimento anarchico di quegli anni, come Camillo Berneri (di ispirazione anarco-comunista).[1]  «L'individualismo com'io lo sento, lo comprendo e lo intendo, non ha per fine né il Socialismo, né il Comunismo, né l'Umanità. L'individualismo ha per fine sé stesso.»  (Dallo scritto Il mio individualismo iconoclasta in Iconoclasta!, 1920) «L'anarchia è per me un mezzo per giungere alla realizzazione dell'individuo; e non l'individuo un mezzo per la realizzazione di quella. Se così fosse anche l'anarchia sarebbe un fantasma. Se i deboli sognano l'anarchia per un fine sociale; i forti praticano l'anarchia come un mezzo d'individuazione.»  «Nella vita io cerco la gioia dello spirito e la lussuriosa voluttà dell'istinto. E non m'importa sapere se queste abbiano le loro radici perverse entro la caverna del bene o entro i vorticosi abissi del male. Nessun avvenire e nessuna umanità, nessun comunismo e nessuna anarchia valgono il sacrificio della mia vita. Dal giorno che mi sono scoperto ho considerato me stesso come meta suprema.»  Rimaneva salda nel suo pensiero la convinzione che agire e schierarsi fosse una necessità irrinunciabile tanto che di lui si disse che scriveva come un angelo, combatteva come un demonio.  Su di lui restò sempre fortissima l'ispirazione di Max Stirner e di Nietzsche[1].  Opere scritte Le opere e il ricordo del Novatore sono state in gran parte distrutte dal regime fascista e sostanzialmente a lungo dimenticate anche da alcune parti del movimento anarchico[1].  Le sue firme compaiono con molti pseudonimi diversi (oltre al già citato "Renzo Novatore", anche "Mario Ferrento", "Andrea Del Ferro", "Sibilla Vane"[3], "Brunetta l'Incendiaria") su svariate pubblicazioni anarchiche dell'epoca, tra cui Il Libertario (pubblicato a La Spezia), Gli Scamiciati (Pegli), Cronaca Libertaria (Milano), Il Proletario (Pontremoli), Pagine Libertarie, Iconoclasta! (Pistoia), L'Avvenire Anarchico, Vertice (La Spezia), Nichilismo, L'Adunata dei Refrattari (New York) e Veglia (Parigi).  Da ricordare inoltre due libri di pubblicazione postuma: "Verso il nulla creatore" e "Al di sopra dell'arco".  Libri ed opuscoli  Renzo Novatore, prefazione de Il figlio dell'Etna, Verso il nulla creatore, Siracusa, "Figli dell'Etna", 1924. Renzo Novatore, prefazione biografica di Auro d'Arcola, appendice di Totò Di Mauro, illustrazioni di G. Scaccia, Al di sopra dell'arco, Siracusa, "Figli dell'Etna", 1924. Renzo Novatore, prefazioni di Virginio De Martin e Il figlio dell'Etna, Verso il nulla creatore, New York, 1939. Renzo Novatore, prefazione di Auro d'Arcola, Il mio individualismo iconoclasta, Firenze, Pistoia, Albatros, 1949. Renzo Novatore, Camillo da Lodi [Camillo Berneri], Mario Senigallesi, Polemica, Firenze, Pistoia, Albatros, 1950. Renzo Novatore, prefazioni di Totò Di Mauro, Tito Eschini e Lato Latini, illustrazioni di G. Scaccia, Al di sopra dell'arco, Firenze, Pistoia, Albatros, 1951. Renzo Novatore, prefazione biografica di Auro d'Arcola, appendice di Totò Di Mauro, illustrazioni di G. Scaccia, Al di sopra dell'arco, Torino, Reprint Assandri, 1978. Renzo Novatore, Verso il nulla creatore, Catania, Centrolibri, 1993. Renzo Novatore, a cura di Alberto Ciampi, Un fiore selvaggio. Scritti scelti e note biografiche, Pisa, BFS Edizioni, 1996. Renzo Novatore, Toward the Creative Nothing, Portland, Venomous Butterfly Publications, 2000. Renzo Novatore, introduzione di Alfredo M. Bonanno, Verso il nulla creatore, Trieste, Edizioni Anarchismo, 2009. Renzo Novatore, Novatore, Ardent Press, 2012. Renzo Novatore, Le rose, dove sono le rose?, Gratis Edizioni, 2013. Renzo Novatore, Flores silvestres, Lisbona, Textos Subterraneos, 2013. Note  Novatore: una biografia Archiviato il 22 luglio 2011 in Internet Archive. ^ Renzo Novatore - Anarchopedia, su ita.anarchopedia.org. URL consultato il 17 dicembre 2018. ^ dal personaggio di Sybil Vane, presente nel romanzo Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde Bibliografia Maurizio Antonioli (diretto da), Dizionario biografico degli anarchici italiani, 2 voll., Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2003-2004. ISBN 88-86389-86-8, ISBN 88-86389-87-6. Massimo Novelli, La furibonda anarchia. Renzo Novatore poeta, Bra (CN), Araba Fenice, 2007. ISBN 978-88-86771-89-4. Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Renzo Novatore Collegamenti esterni Scritti, citazioni e aforismi di Renzo Novatore Archivio di testi di Renzo Novatore V · D · M Antifascismo (1919-1943) Controllo di autoritàVIAF (EN) 49309213 · ISNI (EN) 0000 0000 9328 4495 · Europeana agent/base/145933 · LCCN (EN) no2005108339 · GND (DE) 121007499 · BNF (FR) cb123986879 (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-n2001037620 Anarchia Portale Anarchia Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Letteratura Portale Letteratura Categorie: Anarchici italianiPoeti italiani del XX secoloFilosofi italiani del XX secoloNati nel 1890Morti nel 1922Nati il 12 maggioMorti il 29 novembreNati ad ArcolaMorti a GenovaAnarco-individualismoAntifascisti italianiVittime di dittature nazifascisteAvventurieri italianiFuturismoRivoluzionari italianiAssassinati con arma da fuocoAnarco-insurrezionalismoRapinatoriScrittori atei[altre]

Ferraris – Antonio De Ferraris Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Antonio De Ferraris, detto il Galateo Antonio De Ferraris, a volte scritto “De Ferrariis”, detto il Galateo (Galatone, 1444 – Lecce, 12 novembre 1517), è stato un medico, filosofo e astronomo italiano, appartenente alla minoranza greca del Salento[1].   Indice 1 Biografia 2 Il profilo culturale 3 Opere 4 Riconoscimenti 5 Note 6 Bibliografia 7 Altri progetti 8 Collegamenti esterni Biografia Antonio De Ferraris[2] nacque a Galatone fra il 1444 e il 1448[3], e dal luogo di nascita derivò il nome “Galateo”. Il padre, il notaio Pietro De Ferraris, morì quando Antonio era ancora in giovanissima età, e perciò la madre Giovanna d'Alessandro lo affidò ai frati basiliani del paese che gli impartirono le nozioni formative di base. Chiuso il primo ciclo scolastico, proseguì gli studi a Nardò spaziando fra filosofia antica, letteratura greca e latina, medicina e geografia, discipline verso le quali mostrò vivo interesse. Passò quindi a Napoli, dove dal 1465 approfondì le discipline umanistiche e la medicina[4].  Antonius Galateus.JPG Molte furono le conoscenze che fece all'Accademia napoletana, dove fu ammesso attorno al 1470. Lì entrò in contatto con un gran numero di intellettuali: Benedetto Gareth detto il Chariteo, Paolo e Giovanni Attaldi, Giovanni Pontano, Teodoro Gaza, Giovan Francesco e Galeazzo Caracciolo, Giovanni Pardo, fra' Roberto da Lecce, Jacopo Sannazaro. Con l'aiuto di Girolamo Castello ottenne il diploma di medicina a Ferrara[4], dove soggiornò praticando la professione di medico; si trasferì poi a Venezia per poi ritornare a Napoli ed entrare nel giro della reggia partenopea[2], stimato a tal punto da divenire medico della corte di Ferdinando I d’Aragona[3].  Verso il 1478, per il suo carattere riservato e modesto, si adattò a svolgere la funzione di medico condotto a Gallipoli[2], dove si sposò con l'aristocratica Maria Lubelli dei baroni di Sanarica. La coppia ebbe cinque figli: Antonino, Lucrezia, Galeno, Betta e Francesca. La serenità della sua vita fu turbata nel 1480 dall'invasione di Otranto da parte dei Turchi, e De Ferraris cercò rifugio a Lecce annotando gli eventi drammatici che in seguito sarebbero stati il canovaccio per un'opera composta in latino[2]. Fra il 1481 e il 1495, ormai medico affermato, si spostò ripetutamente fra Napoli, apprezzato dottore al servizio della corte aragonese, e la Puglia, sua zona d'origine e di residenza. Iniziò anche a scrivere, inizialmente in forma epistolare: in Ad Hermolaum Barbarum mandò i ringraziamenti a Ermolao Barbaro per la dedica ricevuta; è seguente la redazione di Altilio Galateus εὐ πράττειν e Ad M. Antonium Lupiensem episcopum de distinctione humani generis et nobilitate; e ancora, negli anni novanta del XV secolo, una seconda epistola a Barbaro e il saggio Ad Marinum Pancratium de dignitate disciplinarum[4].  Dopo la morte del re Ferdinando e quella, nel 1495, di Alfonso II che gli era succeduto, De Ferraris abbandonò Napoli non prima di avere composto l’Antonius Galateus medicus in Alphonsum regem epitaphium, e tornò a Lecce dove formò assieme ad altri amici studiosi l'Accademia lupiense, e dove scrisse Ad Chrysostomum De villae incendio, per celebrare la propria villa di Trepuzzi che era andata distrutta dal fuoco. Dal 1498 al 1501 fu a Napoli, convocato dal re Federico d’Aragona che lo volle con sé, ma l'inasprimento del conflitto franco-spagnolo lo spinse a ritornare nella provincia salentina. Dal 1503 godette dell'ospitalità di Isabella d’Aragona, presso cui ebbe modo di comporre in latino lavori filosofici, cronachistici e commemorativi, assieme all’Esposizione del Pater Noster, unico scritto in volgare che ci è stato tramandato[4].  Una delle pochissime trasferte dal Salento fu quella che l'accademico effettuò a Roma presso il Papa Giulio II, a cui offrì una copia dell'atto di Donazione di Costantino, che era conservata nella biblioteca di Casole[3]. Divenuto prete di rito greco a seguito della morte della moglie, De Ferraris morì a Lecce nel 1517[2].  A lui è dedicato il cenotafio nella chiesa della Madonna del Rosario (eretto nel 1788 dall'Arditi).  Il profilo culturale  Antonio De Ferraris De Ferraris fu uno studioso che, come gli intellettuali suoi contemporanei, riuscì a coniugare una vasta erudizione umanistica con nozioni scientifiche e, nel suo caso, anche con una apprezzata pratica medica. Le sue conoscenze erano di ampio respiro, e il suo bagaglio filosofico includeva la cultura classica di Aristotele, Platone ed Euclide, e quella araba di Avicenna e Averroè. Considerò che la filosofia classica era stata traviata dai pensatori medievali, come Alberto Magno e Duns Scoto, e dei filosofi dei secoli bui salvò solo Severino Boezio e la sua Consolatio philosophiae. In campo letterario era un estimatore della lingua spagnola, anche se prediligeva la civiltà classica e autori come Omero, Senofonte e Plutarco; Terenzio, Catullo, Ovidio, Seneca, Svetonio, Virgilio e Orazio; e insieme il mondo del volgare, con letture di Dante, Petrarca, il Morgante e Sannazaro fra i tanti. De Ferraris si interessò anche delle opere geografiche di Strabone, Tolomeo e Plinio. A questo patrimonio di conoscenze associò lo studio di medicina, cominciando dai dottori del mondo classico (fra gli altri Ippocrate, Galeno) e arabo (Serapione il Vecchio)[4].  Nonostante questa cultura ampia e poliedrica, De Ferraris non trascurò gli usi e i costumi della sua terra d'origine, e descrisse in termini molto particolareggiati le zone del salentino, illustrando con realismo Gallipoli ed esaltando uno stile di vita meditativo in alcune sue opere. Ma non sfuggì all'intellettuale il quadro generale della società dei suoi tempi e della corruzione morale e politica che la attanagliava; e che fu anch'essa soggetto degli scritti di De Ferraris nei quali criticò la diffusione delle consuetudini spagnole[4].  Il suo De Situ Japygiae, scritto nel 1510-11, circolò a lungo manoscritto fino alla sua pubblicazione a Basilea (1553) ad opera del duca di Oria Giovanni Bernardino Bonifacio, e fu per secoli il più autorevole trattato storico-geografico sul Salento.  Mentre era a Bari (1503) come medico di Isabella d'Aragona (vedova di Gian Galeazzo Sforza) e precettore di sua figlia Bona Sforza (futura regina di Polonia), ebbe notizia della "Disfida di Barletta" e ne narrò per primo la storia nel suo De pugna tredecim equitum.  Opere Oltre a decine di saggi e trattatelli la cui datazione è vaga o impossibile da determinare, De Ferraris compose le seguenti epistole in latino:  1495-1502 - Ad Accium Sincerum de inconstantia humani animi 1495-1502 - Ad Accium Sincerum de villa Laurentii Vallae 1495-1502 - Ad Franciscum Caracciolum de beneficio indignis collato 1495-1502 - Marco Antonio Ptolomaeo Lupiensi episcopo Antonius Galateus medicus 1495-1502 - Antonio Ptolomaeo Lupiensi episcopo Antonius Galateus medicus 1495-1502 - Dialogus de Heremita 1495-1502 - De podagra 1495-1502 - Ad Chrysostomum, Antonius Galateus Gelasio suo salutem de nobilitate 1495-1502 - Ad Chrysostomum de morte fratris 1495-1502 - Ad illustrem comitem Potentiae 1495-1502 - Ad comitem potentiarum 1495-1502 - Ad Maramontium de pugna singulari veterani et tyronis militis 1495-1502 - Ad Belisarium Aquevivum marchionem Neritonorum 1495-1502 - Federico Aragonio regi Apuliae Antonius Galateus medicus sanitatem 1495-1502 - Ad Chrysostomum de morte Lucii Pontani 1495-1502 - Ad Ferdinandum ducem Calabriae 1503 - Antonius Galateus salutem 1503 - Galateus ad Chrysostomum de pugna tredecim equitum 1503 - Ad Hieronymum Carbonem de morte Pontani 1504-5 - Ad Prosperum Columnam 1504-5 - Galateus medicus ad Chrysostomum de Prospero Columna 1504-5 - Antonii Galatei Liciensis phiilosophi et medici praestantissimi de situ elementorum ad Accium Syncerum Sannazarium 1504-8 - Esposizione del Pater noster 1505-8 - De educatione 1507 - Ad illustrem dominam Bonam Sforciam 1507-10 - Antonius Galateus ad Antonium de Caris Neritinum episcopum 1510 - Ad Catholicum regem Ferdinandum 1510 - Beatissimo PP. Iulio II pontifici maximo Antonius Galateus 1510-1 - Antonii Galatei philosophi et medici praestantissimi De situ Japigiae ad clarissimum virum Ioannem Baptistam Spinellum, comitem Choriati 1512 - Antonii Galatei medici Lupiensis epistola ad Nicolaum Leonicenum medicum 1512-3 - Petro Summontio Antonius Galateus medicus bene valere (De suo scribendi genere) 1512-3 - Antonius Galateus medicus Summontio suo bonam valetudinem (Callipolis descriptio) 1512-4 - Ad Pyrrum Castriotam 1513 - Illustri viro Belisario Aquevivo Galateus medicus bene valere (Vituperatio litterarum) 1513 - Ad Ioannem et Alfonsum Castriotas 1513-4 - Galateus medicus Ugoni Martello episcopo Lupiensi B. V.[4] De Situ Japygiae (Basilea 1553), trad. italiana di Gabriella Miccoli La Iapigia. Itinerari e luoghi dell'antico Salento, a c. di Vittorio Zacchino (Lecce, Messapica Editrice, 1975) Callipolis Descriptio (trad. italiana di Amleto Pallara, Gallipoli, a c. di V. Zacchino, Lecce, Messapica Editrice 1977). Riconoscimenti Diverse città pugliesi hanno intitolato una via "Antonio De Ferraris", come Bari, Collepasso (LE), Manduria (TA), Poggiardo (LE), Santa Maria al Bagno (Nardò) o Taurisano (LE).  Galatone, che ha una strada "Antonio Galateo", onorato il poeta nel marzo 2017 con l’apposizione di una lapide dedicata alla sua memoria, in Piazza Crocefisso, evento inserito nel programma delle Celebrazioni del V centenario della morte di Antonio De Ferraris.  Note ^ Leuzzi 2014.  Antonio Galateo, su scienzasalento.unile.it. URL consultato il 1º settembre 2013.  Antonio De Ferraris Galateo, Città di Galatone. URL consultato il 1º settembre 2013 (archiviato dall'url originale il 2 luglio 2010).  A. Romano, Antonio De Ferraris, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 33, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1987. URL consultato il 31 agosto 2013. Bibliografia Angelo Romano, DE FERRARIIS, Antonio, in Dizionario biografico degli italiani, XXXIII vol., Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1987. URL consultato il 1º novembre 2018. Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Antonio De Ferrariis Collegamenti esterni De Ferràriis, Antonio, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 1º novembre 2018. Galatone, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 1º novembre 2018. «De Ferràriis, Antonio. - Umanista (Galatone 1444 o 1448 - Lecce 1517), detto il Galateo dalla sua patria». Controllo di autorità VIAF (EN) 102733 · ISNI (EN) 0000 0001 0854 5265 · SBN IT\ICCU\SBLV\094741 · Europeana agent/base/125890 · LCCN (EN) n82000472 · GND (DE) 120896990 · BNF (FR) cb12436272m (data) · BNE (ES) XX903551 (data) · BAV (EN) 495/19296 · CERL cnp01343161 · WorldCat Identities (EN) lccn-n82000472 Biografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie Categorie: Medici italianiFilosofi italiani del XV secoloFilosofi italiani del XVI secoloAstronomi italianiNati nel 1444Morti nel 1517Morti il 12 novembreNati a GalatoneMorti a Lecce[altre]

Ferraris Maurizio Ferraris Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Questa voce è da wikificare Questa voce o sezione sull'argomento filosofia non è ancora formattata secondo gli standard. Commento: Gli elenchi vanno ordinati in ordine cronologico ascendente, non discendente. Inoltre mancano i programmi televisivi. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento.  Maurizio Ferraris Maurizio Ferraris (Torino, 7 febbraio 1956) è un filosofo e accademico italiano.  Dal 1995 è professore ordinario di filosofia teoretica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia (dal 2012 "Dipartimento di Filosofia e Scienze dell'Educazione") dell'Università degli Studi di Torino. Presso l'ateneo torinese dirige il LabOnt (Laboratorio di Ontologia dal 2018 Centro interdipartimentale di ontologia) di cui è stato Direttore dal 1999 al 2015 e di cui è Presidente dal 2016. Ha studiato a Torino, Parigi (prendendo un diploma d'études approfondies con Jacques Derrida alla Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales), all'Università di Heidelberg e insegnato in importanti università europee. Dirige la Rivista di Estetica ed è nel comitato direttivo di Critique, del Círculo Hermenéutico editorial e di aut aut. Dal 1989 al 2010 ha collaborato al supplemento culturale de Il Sole 24 ORE; dal 2010 scrive per le pagine culturali de la Repubblica. È inoltre editorialista per la Neue Zürcher Zeitung. Dopo aver scritto e condotto Zettel - Filosofia in movimento per Rai Cultura, dal 2015 conduce Lo Stato dell'Arte su Rai 5, dedicato all'approfondimento di temi d'attualità, politica e cultura.  In ambito teorico, ha legato il suo nome al rilancio dell'estetica come teoria della sensibilità, a un'ontologia sociale intesa come ontologia dei documenti (documentalità) e a un superamento del postmodernismo attraverso la proposta di un nuovo realismo. Ha scritto Henning Klüver, nella Süddeutsche Zeitung del 3 gennaio 2014:  «Uno spettro si aggira, e non solo per l'Europa. Lo spettro del “nuovo realismo”. Il concetto di “nuovo realismo” è stato coniato dal filosofo italiano Maurizio Ferraris dell'Università di Torino. [...] Il dibattito sul realismo è oggi condotto in diverse parti del mondo, dall'argentino José Luis Jerez, passando dal messicano Manuel De Landa e dall'americano Graham Harman, per arrivare fino al tedesco Markus Gabriel. [...] Grazie ai suoi innumerevoli contributi come colonnista di quotidiani come Il Sole 24 Ore e la Repubblica e a una sua trasmissione televisiva per il canale culturale Rai Scuola (Zettel - Filosofia in movimento), Ferraris è divenuto nel frattempo una celebrità della scena filosofica italiana, sapendo abbinare il lavoro scientifico alle comparse pubbliche – attirandosi però allo stesso tempo aspre critiche.»  ( Henning Klüver, Ich bin, also denke ich (PDF), in Süddeutsche Zeitung, traduzione italiana di Simone Maestrone, 3 gennaio 2014. URL consultato il 10 ottobre 2015.)  Indice 1              Biografia 2                                            Pensiero 2.1                                           L'ermeneutica 2.2                                          La svolta 2.3                                           Il realismo e l'ontologia critica 2.4                                       Dall'ontologia sociale alla Documentalità 2.5                                  Nuovo Realismo e critiche 3                                      Premi 4                                             Opere 5                                                Media e divulgazione 6                                       Note 7                                             Bibliografia 8                                           Voci correlate 9                                            Altri progetti 10                                          Collegamenti esterni Biografia Ferraris si laurea in Filosofia a Torino nel 1979, sotto la guida di Gianni Vattimo. Nei primi anni la sua attività si divide tra insegnamento, ricerca e giornalismo culturale. Dal 1979 al 1988 è redattore, poi condirettore, di Alfabeta, il cui comitato direttivo comprende, tra gli altri, Antonio Porta, Nanni Balestrini, Maria Corti, Umberto Eco, Francesco Leonetti, Pier Aldo Rovatti e Paolo Volponi.  All'inizio degli anni ottanta inizia il suo rapporto con Jacques Derrida, che segna profondamente la sua formazione. Sul piano accademico, dopo due anni di insegnamento a Macerata (1982-83), nel 1984 inizia a insegnare a Trieste, inframmezzando l'attività didattica con una serie di soggiorni a Heidelberg dove, a contatto con Hans-Georg Gadamer, intraprende studi di ermeneutica. Nel 1995 Ferraris viene chiamato a Torino, come professore ordinario di Estetica. Passerà all'insegnamento di Filosofia Teoretica nel 1999. Direttore di programma (cioè insegnante) al Collège international de philosophie dal 1998 al 2004, nel 1999 fonda il Laboratorio di Ontologia (LabOnt) e il Centro interuniversitario di Ontologia Teorica e Applicata (CTAO).  Pensiero L'ermeneutica I primi interessi di Ferraris si rivolgono alla filosofia post-strutturalista francese, con autori come Jean-François Lyotard, Michel Foucault, Jacques Lacan, Gilles Deleuze. Un ruolo particolare nella formazione del pensiero del filosofo italiano è stato rivestito indubbiamente da Jacques Derrida, con cui Ferraris intrattiene un rapporto di ricerca, e poi di amicizia, a partire dal 1981. Sono testimonianza di questa fase del suo pensiero le opere: Differenze (1981), Tracce (1983) e La svolta testuale (1984). Specificamente a Derrida, Ferraris ha dedicato: Postille a Derrida (1990), Honoris causa a Derrida (1998), Introduzione a Derrida (2003), Il gusto del segreto (1997) e, infine, Jackie Derrida. Ritratto a memoria (2006). Lavorando invece a contatto con Gadamer, a partire dai primi anni Ottanta Ferraris si rivolge all'ermeneutica, scrivendo: Aspetti dell'ermeneutica del Novecento (1986), Ermeneutica di Proust (1987), Nietzsche e la filosofia del Novecento (1989) e soprattutto Storia dell'ermeneutica (1988).  La svolta Alla fine degli anni ottanta Ferraris sviluppa un'articolata critica alla tradizione heideggeriana e gadameriana (si veda in particolare Cronistoria di una svolta, del 1990, postfazione alla conferenza di Heidegger La svolta), che fa valere, in particolare, l'apporto del post-strutturalismo come contestazione del retaggio romantico e idealistico che condiziona tale tradizione. La conclusione di questo percorso critico sfocia nella riconsiderazione del rapporto tra lo spirito e la lettera e in un ribaltamento della loro contrapposizione tradizionale. Spesso i filosofi e gli uomini comuni disprezzano la lettera – le norme e i vincoli che sono istituiti attraverso documenti e iscrizioni di vario genere – anteponendole lo spirito – il pensiero e la volontà – e riconoscendo la libera creatività del secondo rispetto alla prima. Per Ferraris è la lettera a precedere e fondare lo spirito. Si consuma così il passaggio alla seconda fase del pensiero del filosofo italiano.  Il realismo e l'ontologia critica Ferraris abbandona il relativismo ermeneutico e la decostruzione di Derrida per abbracciare una forma di oggettivismo realistico secondo cui l'«oggettività e realtà, considerate dall'ermeneutica radicale come principi di violenza e di sopraffazione, sono di fatto - e proprio in conseguenza della contrapposizione tra spirito e lettera di cui si è detto - la sola tutela nei confronti dell'arbitrio»[1]. Questo principio, valido in ambito morale, ha nel riconoscimento di una sfera di realtà indipendente dalle interpretazioni il suo fondamento teorico (si veda, in particolare, L'ermeneutica del 1998). Il mondo esterno, riconosciuto come inemendabile, e il rapporto tra schemi concettuali ed esperienza sensibile (l'estetica, riportata al suo significato etimologico di “scienza della percezione sensibile”, acquisisce una rilevanza primaria – si vedano, in particolare, Analogon rationis (1994), Estetica (1996, con altri autori), L'immaginazione (1996), Experimentelle Ästhetik (2001) ed Estetica razionale (1997)) sono i temi dominanti della seconda fase del pensiero ferrarisiano, che rilegge Kant attraverso la fisica ingenua del percettologo triestino Paolo Bozzi (Il mondo esterno (2001) e Goodbye Kant! (2004)).  La “ontologia critica” ferrarisiana riconosce il mondo della vita quotidiana come largamente impenetrabile rispetto agli schemi concettuali. Il mancato riconoscimento di questo principio risale alla confusione tra ontologia (la sfera dell'essere) ed epistemologia (la sfera del sapere), di cui Ferraris articola una tematizzazione critica fondata sulcarattere di inemendabilità che è proprio dell'essere rispetto al sapere (si vedano in particolare: Ontologia (2003) e Storia dell'ontologia (2008, con altri autori). La sua riflessione sul realismo sfocia, nel 2011, nell'elaborazione del Manifesto del New Realism[2].  Dall'ontologia sociale alla Documentalità L'esito naturale dell'ontologia critica è il riconoscimento – accanto al mondo inemendabile – di un dominio di oggetti in cui la filosofia trascendentale kantiana trova la sua adeguata applicazione: gli oggetti sociali. Questa nuova fase del suo pensiero si apre idealmente con la pubblicazione di Dove sei? Ontologia del telefonino (2005) e prosegue con Babbo Natale, Gesù adulto (2006), Sans Papier (2007), La fidanzata automatica (2007), Il tunnel delle multe (2008). La tesi di fondo è che la distinzione tra ontologia ed epistemologia, unita al riconoscimento dell'autonomia ontologica della sfera degli oggetti sociali (regolata dalla legge costitutiva “oggetto = atto iscritto”), consente di correggere la tesi derridiana secondo cui "nulla esiste al di fuori del testo" (letteralmente, e asemanticamente, “non c'è fuori testo”) per teorizzare, contro Searle, che “niente di sociale esiste fuori del testo”.  Si approda così alla fase più matura del pensiero di Ferraris, esposta compiutamente e sistematizzata in quella che può essere considerata la sua summa, Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce (2009). In seguito la sua bibliografia si arricchisce di piccole ma significative metafisiche dei costumi artistici e scritturali - finanche ultratecnologici - con Piangere e ridere davvero (2010) e Filosofia per dame (2011), vere e proprie grammatologies, insomma, ma ri-viste, e robustamente visionarie, oltre che re-visionate, come del resto tutti gli articoli di intervento culturale (si cfr. esemplarmente quelli per Alfabeta e Alfabeta2).  Nuovo Realismo e critiche La svolta realista compiuta da Maurizio Ferraris a partire dalla formulazione dell'estetica non come filosofia dell'arte, ma come ontologia della percezione e dell'esperienza sensibile (Estetica razionale 1997, nuova edizione 2011), trova un'ulteriore declinazione nel Manifesto del nuovo realismo (2012). Il Nuovo realismo, i cui principi sono anticipati da Ferraris in un articolo uscito su Repubblica l'8 agosto 2011 e che avvia un imponente dibattito, è in primo luogo un consuntivo di alcuni fenomeni storici, culturali, politici (l'analisi del postmoderno sino al suo deteriorarsi in populismo mediatico); da queste considerazioni consegue la messa in chiaro degli esiti prodotti dalle derive del postmoderno nel pensiero contemporaneo (l'interpretazione dei realismi filosofici e delle “teorie della verità” che si sviluppano a partire dalla fine del secolo scorso come reazione a una devianza del rapporto tra individuo e realtà); da questo scaturisce la proposta di un antidoto alla degenerazione dell'ideologia postmodernista, alla prassi degradata e mendace della relazione con il mondo che questa ha indotto: il Nuovo Realismo si identifica infatti nell'azione sinergica di tre parole-chiave, Ontologia, Critica, Illuminismo. Il Nuovo Realismo è stato oggetto di discussioni e convegni nazionali e internazionali e ha sollecitato una serie di pubblicazioni che implicano il concetto di realtà come paradigma anche in ambiti extrafilosofici[3].  In effetti, il dibattito sul nuovo realismo, per quantità di contributi e media implicati, non ha equivalenti nella storia culturale recente, tanto da essere stato assunto 'case study' per analisi di sociologia della comunicazione e linguistica[4]. In campo internazionale, il Manifesto del nuovo realismo ha già avuto due traduzioni (cilena e spagnola, quest'ultima accresciuta con un nuovo saggio di Ferraris e accompagnata da ampia introduzione di Francisco José Martín anticipata sulla Revista de Occidente[5]) seguite dall'uscita delle traduzioni inglese (Suny Press), tedesca (Klostermann), francese (Hermann), svedese (Daidalos) e dalla recente traduzione cinese (BIT Press). Sempre sul piano internazionale, il nuovo realismo è stato discusso dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung, dalla Neue Zürcher Zeitung e dalla Süddeutsche Zeitung[6] e si annuncia un fascicolo monografico del "Monist"[7].  Inoltre, il tema è rielaborato sia in Warum es die Welt nicht gibt di Markus Gabriel (Berlin, Ullstein Verlag 2013), sia nel Manifiesto del nuevo realismo analógico (Buenos Aires, Círculo Herméneutico 2013) di Mauricio Beuchot (México-UNAM) e José Luis Jerez (Argentina-UNCo). Per ciò che riguarda l'Italia, il nuovo realismo ha sollecitato una serie di pubblicazioni che ne discutono le tesi, a cominciare da Della realtà: fini della filosofia, Milano, Garzanti 2011 di Gianni Vattimo e Inattualità del pensiero debole, Udine, Forum, 2011 di Pier Aldo Rovatti sino a Il senso dell'esistenza. Per un nuovo realismo ontologico, Roma, Carocci, 2012, di Markus Gabriel, Bentornata Realtà. Il nuovo realismo in discussione (a cura di M. De Caro e M. Ferraris), Torino, Einaudi, 2012 e a Sociologia e nuovo realismo, Milano-Udine, Mimesis, 2013 di Luca Martignani (che fa parte della collana “Nuovo Realismo” diretta da Ferraris e De Caro, che conta numerose pubblicazioni)[8].  Al Nuovo Realismo di Ferraris hanno aderito sia filosofi di formazione analitica, come Mario De Caro (cfr. Bentornata Realtà, a c. di De Caro e Ferraris, 2012), sia filosofi di formazione continentale, come Mauricio Beuchot (Manifesto del realismo analogico, 2013), Luca Taddio (Verso un nuovo realismo, 2014), e Markus Gabriel (Campi di senso. Un'ontologia neorealista, 2014), che ha raccolto il sostegno di pensatori come Umberto Eco, Hilary Putnam e John Searle, e che si incrocia con altri movimenti realisti sorti in modo indipendente ma rispondendo a esigenze affini, come il “realismo speculativo” del filosofo francese Quentin Meillassoux e del filosofo statunitense Graham Harman. Per il nuovo realismo, il fatto che sia sempre più evidente che la scienza non è sistematicamente la misura ultima della verità e della realtà non comporta che si debba dire addio alla realtà, alla verità o alla oggettività, come aveva concluso molta filosofia del secolo scorso.  Significa piuttosto che anche la filosofia, così come la giurisprudenza, la linguistica o la storia, ha qualcosa di importante e di vero da dirci a proposito del mondo. In questo quadro, il nuovo realismo si presenta anzitutto come un realismo negativo: la resistenza che il mondo esterno oppone ai nostri schemi concettuali non va considerata come uno scacco, ma come una risorsa, come una prova dell'esistenza di un mondo solido e indipendente. Se le cose stannoin questi termini, però, il realismo negativo si trasforma in un realismo positivo (Cfr. M. Ferraris, Realismo Positivo, Rosenber e Sellier 2013): nella sua resistenza larealtà non costituisce soltanto un limite, ma offre anche delle possibilità e delle risorse, il che spiega come, nel mondo naturale, forme di vita differenti possano interagire nello stesso ambiente senza condividere alcuno schema concettuale; e come, nel mondo sociale, le intenzioni e i comportamenti umani siano resi possibili da una realtà che è anzitutto data, e che solo in un secondo momento potrà essere interpretata e, se necessario, trasformata. Esauritasi la stagione del postmoderno, il nuovo realismo ha intercettato un diffuso bisogno di rinnovamento in ambiti extradisciplinari come l'architettura, la letteratura, la pedagogia, la medicina.  L'ultima corrente filosofica inaugurata da Maurizio Ferraris ha provocato resistenze e critiche da parte dei sostenitori del postmodernismo e del pensiero debole.  Premi  Foto del 2007 1990 Premio filosofico "Claretta" 2005 Premio filosofico "Valitutti" 2006 Premio filosofico "Castiglioncello" 2007 Premio "Ringrose", Università di Berkeley 2008 Premio filosofico "Viaggio a Siracusa" 2012 Premio filosofico "Capalbio" 2017 Premio "Humboldt Forschung", Univeristà di Monaco 2018 Premio filosofico "Elio Matassi" Opere 1981 Differenze. La filosofia francese dopo lo strutturalismo, Milano: Multhipla, pp. 228, seconda edizione, 2007 Milano: Edizioni Albo Versorio, pp. 158 1983 Tracce. Nichilismo moderno postmoderno, Milano: Multhipla, pp. 174; seconda edizione, Milano: Mimesis, 2006, pp. 173 1984 La svolta testuale. Il decostruzionismo in Derrida, Lyotard, gli “Yale Critics”, Pavia: Cluep, pp. 145; seconda edizione, 1986 Milano: Unicopli (es) parziale in M. Asensi (a cura di),Teoría literaria y deconstrucción, Madrid: Arco / Libros, 1990 1986 Aspetti dell'ermeneutica del Novecento, in Il pensiero ermeneutico. Testi e materiali, Genova: Marietti, pp. 209-277 1987 Ermeneutica di Proust, Milano: Guerini e associati, pp. 124 1988 Storia dell'ermeneutica, Milano: Bompiani, nona edizione 2008, pp. 528 (en) History of Hermeneutics, New Jersey: Humanities Press, 1996 (es) Historia de la Hermenéutica, Madrid: Akal, 2001 (es) Historia de la Hermenéutica, Città del Messico: Siglo, pp. XXI, 2002 1989 Nietzsche e la filosofia del Novecento, Milano: Bompiani; seconda edizione 1999, pp. 170 1990 Cronistoria di una svolta, in Martin Heidegger, La svolta, Genova: il Melangolo (traduzione e conclusione, pp. 35–115) 1990 Postille a Derrida, Torino: Rosenberg & Sellier, pp. 308 1991 La filosofia e lo spirito vivente, Roma-Bari: Laterza, pp. 280 1992 Mimica. Lutto e autobiografia da Agostino a Heidegger, Milano: Bompiani, pp. 150 (es) Luto y Autobiografía, Città del Messico: Taurus, 2000 1992 Storia della volontà di potenza, in Friedrich Nietzsche, La volontà di potenza, Milano: Bompiani, pp. 563–688 1994 Analogon rationis, Milano: Pratica filosofica, pp. 150 1995 Interpretazione ed emancipazione. Studi in onore di Gianni Vattimo (con altri), Milano: Raffaello Cortina, pp. 446 1996 L'immaginazione, Bologna: il Mulino, pp. 157 (es) La Imaginación, tr. di F. Campillo Garcia, Madrid: Visor, 1998 (tr) İmgelem, tr. di Firat Genç, Ankara: Dost, 2008, pp. 143 1996 Estetica, (con altri autori), Torino: Utet, pp. 114 1997 Il gusto del segreto, con Jacques Derrida, Roma-Bari: Laterza, pp. 181 (en) A Taste for the Secret, Londra: Blackwell, 2001 (pt) O Gosto do Segredo, Lisbona: Fim de Século, 2006 (es) El gusto del secreto, Buenos Aires-Madrid: Amorrortu editores, 2009, pp. 256 (fr) Le goûte du secret, Paris: Hermann, 2017 1997 Estetica razionale, Milano: Raffaello Cortina, pp. 648 1998 Honoris causa a Derrida, Torino: Rosenberg & Sellier, pp. 106 1998 L'ermeneutica, Roma-Bari: Laterza, pp. 130, seconda edizione 2003 (es) La hermenéutica, Città del Messico: Taurus Mexicana, 2000, pp. 187 (es) La Hermenéutica, tr. di by Lázaro Sanz, Madrid: Ediciones Cristiandad, 2004, pp. 182 1999 Nietzsche, (con altri autori),Roma-Bari: Laterza, pp. 422, seconda edizione 2004 2000 Nietzsche y el nihilismo, Madrid: Akal, pp. 87 2001 Una Ikea di università, Milano: Raffaello Cortina, pp. 117 2001 Experimentelle Ästhetik, Vienna: Turia und Kant, pp. 170 2001 Il mondo esterno, Milano: Bompiani, pp. 210 2001 L'altra estetica, (con altri autori), Torino: Einaudi, pp. 351 2003 Introduzione a Derrida, Roma-Bari: Laterza, pp. 161, seconda edizione 2004 (es) Introducción a Derrida, Buenos Aires-Madrid: Amorrortu editores, 2006, pp. 186 2003 Ontologia, Napoli: Guida, pp. 168 2004 Goodbye Kant!, Milano: Bompiani, pp. 154, quinta edizione 2006 (es) Goodbye, Kant! Qué queda hoy de la «Critica de la razón pura», Madrid: Losada, 2007, pp. 205 (fr) Goodbye, Kant! Ce qu'il reste aujourd'hui de la «Critique de la raison pure», tr. di Jean-Pierre Cometti, con una pref. di Pascal Engel, Parigi: Editions de l'éclat, 2009, pp. 176 (sr) Goodbye Kant! Šta ostaje danas od Kritike čistog uma, tr. di Ivo Kara-Pešić, Belgrado: Paideia, 2010 (en) Goodbye, Kant!, New York: Suny, 2013, pp. 146 2005 Dove sei? Ontologia del telefonino, Milano: Bompiani, pp. 294, seconda edizione 2006, terza edizione 2010 con prefaz. di Umberto Eco (fr) T'es où? Ontologie du téléphone mobile, tr. di Pierre-Emmanuel Dauzat, Parigi: Albin Michel, 2006, pp. 312 nuova edizione in Letture di filosofia, introduzione di Umberto Eco, Milano: Il Sole 24 ore, 2007, pp. 350 (es) ¿Dónde estás? Ontología del teléfono móvil, tr. di Carmen Revilla Guzmán, Barcelona: Marbot, 2008, pp. 320 (ro) Alo? Unde eşti? Mic tratat despre telefonul mobil, tr. di Teodora Pavel, Bucarest: RAO, 2008, pp. 336 (hu) Hol vagy? A mobiltelefon ontológiája, tr. di Judit Gál, Budapest: Európa, 2008, pp. 448 (en) Where are you? An Ontology of the Cell Phone, New York: Fordham UP, pp. 248 (sr) Gde si? Ontologija mobilnog telefona, tr. di Ivo Kara-Pešić, Belgrado: Fedon, 2011 pp. 448 2006 Babbo Natale, Gesù adulto. In cosa crede chi crede?, Milano: Bompiani, pp. 151 2006 Jackie Derrida. Ritratto a memoria, Torino: Bollati Boringhieri, pp. 120 (es) Jackie Derrida. Retrato de memoria, Bogotá: Siglo del Hombre, 2007, pp. 91 2007 Sans papier. Ontologia dell'attualità, Castelvecchi: Roma, pp. 233 2007 La fidanzata automatica, Milano: Bompiani, pp. 204 2008 Il tunnel delle multe. Ontologia degli oggetti quotidiani, Torino: Einaudi, pp. 284 2008 Storia dell'ontologia (con altri), Milano: Bompiani, pp. 826 2009 Una Ikea di università. Alla prova dei fatti, nuova edizione, Milano: Raffaello Cortina, pp. 161 2009 Piangere e ridere davvero. Feuilleton, Genova: Il melangolo, pp. 100 2009 Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce, Roma-Bari: Laterza, pp. XV-429, seconda edizione 2010 (en) Documentality: Why It Is Necessary to Leave Traces, Oxford USA: Oxford University Press, 2012 2010 Ricostruire la decostruzione. Cinque saggi a partire da Jacques Derrida, Milano: Bompiani, pp. 120 2011 Filosofia per dame, Parma: Guanda, pp. 202 2011 Anima e iPad, Parma: Guanda, pp. 185, seconda edizione 2011 (fr) Âme et iPad, Montréal: coll. Parcours Numériques, Les Presses de l'Université de Montréal, 2014, pp. 216 (anche in open access[9]) (de) Die Seele - ein i-Pad?, Basel: Schwabe, 2014, pp. 194 2012 Manifesto del nuovo realismo, Roma-Bari: Laterza, pp. 113 (ch) Manifiesto del Nuevo Realismo por Maurizio Ferraris, Ariadna, 2012, pp. 134 (es) Manifiesto del Nuevo Realismo, Madrid: Actas, 2013, pp. 134 (fr) Manifeste du nouveau réalisme, Paris: Hermann, 2014, pp. 122 (en) Manifesto of New Realism, New York: Suny, 2014, pp. 124 (de) Manifest des neuen Realismus, Frankfurt/M: Klosterman, 2014, pp. 90 (se) Manifest for en nyrealism, Stockholm: Daidalos, 2014, pp. 146 2012 Bentornata Realtà. Il nuovo realismo in discussione (a cura di), con Mario De Caro, Torino: Einaudi, pp. XI 230 2012 Lasciar tracce: documentalità e architettura, a cura di F. Visconti e R. Capozzi, Milano: Mimesis, pp. 96 2013 Filosofia Globalizzata, con Leonardo Caffo, Milano: Mimesis, pp. 104 2013 From Fictionalism to Realism (a cura di), con C. Barbero, A. Voltolini, Newcastle: Cambridge Scholars Publishing, pp. 160 2013 Realismo Positivo, Torino: Rosenberg & Sellier, pp. 120 (en) Positive Realism, London: Zer0 Books, 2015 2014 Spettri di Nietzsche, Guanda: Parma, pp. 272 (de) Nietzsches Gespenster, Frankfurt/M: Klosterman, 2016, pp. 252 2014 Introduction to New Realism, London: Bloomsbury, pp. 168 (es) Introducción al Nuevo Realismo, Neuquén, Argentina: Circulo Hermenéutico, 2014, pp. 117 2015 Mobilitazione Totale, Roma-Bari: Laterza, pp. 120 (fr) Mobilitation totale. L'appelle du portable, Paris: Presses Universitaire de France, 2016, pp.152 (es) Movilización total, Barcelona: Herder, 2017, pp. 152 2016 I modi dell'amicizia, con Achille Varzi, Napoli-Salerno: Orthothes, pp. 60 2016 Emergenza, Torino: Einaudi, pp. 128 2016 L'imbecillità è una cosa seria, Bologna: il Mulino, pp. 132 2017 Filosofia teoretica, con Enrico Terrone, Bologna: il Mulino, pp. 333 2017 Postverità e altri enigmi, Bologna: il Mulino, pp. 181 2018 Il denaro e i suoi inganni, con John R. Searle, Torino: Einaudi, pp. 136 2018 Intorno agli unicorni. Supercazzole, ornitorinchi, ircocervi, Bologna: il Mulino, pp. 144 2018 Il capitale documediale. Prolegomeni, in Scienza Nuova. Ontologia della trasformazione digitale, Torino: Rosenberg&Sellier, pp. 11-120 2019 From Fountain to Moleskine, Brill Research Perspectives in Art and Law, 2/4, pp. 87 2019 Cinema and Ontology, with E. Terrone, Milano-Udine: Mimesis, pp. 200 Media e divulgazione Maurizio Ferraris è responsabile scientifico del seguente manuale in tre volumi per le scuole superiori:  2019 "Pensiero in movimento", Pearson Libri in collana di quotidiani: Oltre che diverse curatele e interventi per il "Caffè Filosofico" del settimanale l'Espresso (2009) e la collana "Capire la Filosofia" de la Repubblica si segnalano:  2012 "Felicità. Cos'è la ricerca della felicità?", Roma, la Repubblica, venerdì 9 novembre, pp. 96 2012 "Libertà. Quando si è davvero liberi?", Roma, la Repubblica, sabato 10 novembre, pp. 96 2012 "Arte. Perché certe cose sono opere d'arte?", Roma, la Repubblica, venerdì 16 novembre, pp. 96 2012 "Male. È possibile vivere senza il male?", Roma, la Repubblica, sabato 17 novembre, pp. 96 2012 "Uguaglianza. C'è qualcuno più uguale degli altri?", Roma, la Repubblica, venerdì 23 novembre, pp. 95 2012 "Bellezza. C'è una regola del bello?", Roma, la Repubblica, sabato 24 novembre, pp. 95 2012 "Mente. La mente è soltanto il cervello?", Roma, la Repubblica, venerdì 30 novembre, pp. 95 2012 "Morale. C'è un solo modo giusto di vivere?", Roma, la Repubblica, sabato 1º dicembre, pp. 95 2012 "Potere. Perché si lotta per il potere?", Roma, la Repubblica, venerdì 7 dicembre, pp. 96 2012 "Pensiero. Che cosa significa pensare?", Roma, la Repubblica, sabato 8 dicembre, pp. 96 2012 "Violenza: La violenza è inevitabile?", Roma, la Repubblica, venerdì 14 dicembre, pp. 96 2012 "Passione: Chi decide, la ragione o la passione?", Roma, la Repubblica, sabato 15 dicembre, pp. 96 2012 "Senso: Che cosa ci manca quando diciamo che la vita non ha senso?", Roma, la Repubblica, venerdì 21 dicembre, pp. 96 2012 "Linguaggio: Si può pensare senza parole", Roma, la Repubblica, sabato 22 dicembre, pp. 96 2012 "Scienza: Che cosa sanno gli scienziati?", Roma, la Repubblica, venerdì 28 dicembre, pp. 96 2012 "Filosofia: A cosa servono i filosofi?", Roma, la Repubblica, sabato 29 dicembre, pp. 96 Dal settembre 2013 ha curato, oltre a partecipare con singoli interventi, la seconda serie del "Caffè Filosofico" di Repubblica curandone gli epiloghi[10].  Nel biennio 2012-2013 ha diretto e condotto tre serie del programma televisivo Zettel - Filosofia in movimento in onda su Rai Scuola. Nel 2015 e nel 2016 ha continuato tale lavoro nel programma televisivo "Lo stato dell'arte", in onda su RAI5[11]. Ha condotto la rubrica di Rai cultura "Opera aperta", in onda sullo stesso canale.  Note ^ "Maurizio Ferraris", in D. Antiseri e S. Tagliagambe (a cura di), Filosofi italiani contemporanei, Milano: Bompiani, pp. 226-235. ^ "Maurizio Ferraris", la Repubblica, 8 agosto 2011, http://www.alfabeta2.it/2011/09/09/manifesto-del-new-realism/#more-1513. Per una rassegna completa del dibattito sorto intorno al "Manifesto del New Realism" si veda Copia archiviata, su labont.it. URL consultato il 26 novembre 2015 (archiviato dall'url originale il 4 maggio 2012).. ^ Nuovo Realismo | Il sito ufficiale della rassegna nuovo realismo ^ R. Scarpa, Ilcaso Nuovo Realismo. La lingua del dibattito filosofico contemporaneo, Milano-Udine, Mimesis, 2013. ^ Reperibileonline, fascicolo di Giugno: http://www.ortegaygasset.edu/fog/ver/552/revista-de-occidente/junio-2013 ^ Questi ealtri riferimenti, con resoconti e presentazioni degli incontri, sono quireperibili: https://nuovorealismo.wordpress.com/rassegna/2013-2/ ^ http://www.themonist.com/wp-content/uploads/2010/06/98-4CFP.html ^ Si vedano ancora, tra gli altri, Emiliano Bazzanella, La filosofia e il suo consumo. Il nuovo New Realism, Trieste, Asterios, 2012; Perché essere realisti? Una sfida filosofica, a cura di Andrea Lavazza e Vittorio Possenti, Milano-Udine, Mimesis, 2013; L. Somigli (a curadi), Negli archivi e per le strade. Il ritorno alla realtà nella narrativa di terzo millennio, Roma, Aracne, 2013; Architettura e realismo, Milano Maggioli, 2013. ^ Âme et iPad e disponibile in francese in open access sulla portale parcoursnumeriques-pum.ca ^ Il Caffè Filosofico. La filosofia raccontata dai filosofi ^ Lo stato dell`arte - Il portale di RAI Cultura dedicato alla filosofia, in Il portale di RAI Cultura dedicato alla filosofia. URL consultato il 17 ottobre 2017. Bibliografia 2009 "Maurizio Ferraris", in D. Antiseri e S. Tagliagambe (a cura di), Filosofi italiani contemporanei, Milano: Bompiani, pp. 226-235; 2009 "Ontologia analitica e ontologie continentali: Maurizio Ferraris e i filosofi italiani di impostazione analitica", in C. Esposito e P. Porro (a cura di), Filosofia contemporanea, Roma-Bari: Laterza, pp. 692-693. dal 2011 Rassegna Stampa Nuovo Realismo, sul sito del Labont: raccolta estesa di tutti gli interventi a proposito della proposta teorica sul realismo di Maurizio Ferraris. Voci correlate Documentalità Ontologia Ermeneutica Realismo (filosofia) Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Maurizio Ferraris Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Maurizio Ferraris Collegamenti esterni (EN) Sito ufficiale, su maurizioferraris.it (archiviato dall'url originale il 31 luglio 2018). Modifica su Wikidata Maurizio Ferraris, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Maurizio Ferraris, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Maurizio Ferraris, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (FR) Pubblicazioni di Maurizio Ferraris, su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de l'Innovation. Modifica su Wikidata CTAO - Centro Interuniversitario di Ontologia Teoretica ed Applicata, su ctaorg.org. URL consultato l'11 novembre 2008 (archiviato dall'url originale il 12 gennaio 2013). LABONT - Laboratorio di Ontologia, su labont.it. Il «questionario Proust» a Maurizio Ferraris, su elapsus.it. Maurizio Ferraris, il Nuovo Realismo, sul portale RAI Filosofia, su filosofia.rai.it. Controllo di autorità                                                VIAF (EN) 34490197 · ISNI (EN) 0000 0001 2023 6756 · SBN IT\ICCU\CFIV\039274 · LCCN (EN) n85041082 · GND (DE) 114197377 · BNF (FR) cb121235991 (data) · BNE (ES) XX926476 (data) · NLA (EN) 35855923 · WorldCat Identities (EN) lccn-n85041082 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani del XXI secoloNati nel 1956Nati il 7 febbraioNati a TorinoStudenti dell'Università degli Studi di TorinoStudenti dell'università di HeidelbergProfessori dell'Università degli Studi di MacerataProfessori dell'Università degli Studi di TorinoDirettori di periodici italianiConduttori televisivi di Rai Scuola[altre]

ferrero: Italian philosopher, author of “Pigatorismo nel mondo romano.” La Storia del Pitagorismo nel mondo romano di Leonardo Ferrero (1915-1965) vide la luce nel 1955 grazie al contributo della Fondazione Parini-Chirio e della Facoltà di Lettere dell’Università di Torino e rappresenta ancora oggi uno dei contributi più alti alla Storia della Filosofia Romana.  Animato da uno spirito che potrebbe senza dubbio definirsi per mezzo del sentimento dell’importanza maggiore, nella storia delle idee dell’Antichità, di coloro che Aristotele chiamava “i filosofi italiani”, di coloro che hanno fatto fiorire sulla terra d’Italia uno dei rami più vigorosi del pensiero filosofico occidentale. Ricco di elementi ed agile nella prosa, il libro è uno dei più importanti, se non l’unico, contributo che rende ragione della relazione tra filosofia romana e  pitagorica, rinvenendo l’importanza del pensiero speculativo alla base della cultura romana classica.  Su questa base l’a. arriva a sostenere l’idea nuova ed originale dell’ideale che l’organizzazione pitagorica ha, in ogni tempo, proposto alla classe dirigente romana che l’accolto e realizzato, non dimenticando che il fine della filosofia pitagorica è la formazione del politico.  Il piano dell’opera è semplice e chiaro. Due parti e cinque capitoli solamente permettonodi abbracciare una storia che si estende sui secoli storici della Roma prima dell’era cristiana, arricchite da un’ampia consultazione delle fonti e da un indice analitico che ne facilita la consultazione.  L’autore  Leonardo Ferrero allievo del filologo concittadino Rostagni, nel 1937 si laurea all’Università di Torino ed inizia subito l’insegnamento. Docente all’Istituto Universitario di Magistero dell’Aquila e, poi, Ordinario di Letteratura Latina presso l’Università di Trieste di cui è eletto Preside. L’anno successivo è nominato socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Torino. Leonardo Ferrero muore a Trieste il 31 dicembre 1965.



FERRETTI -- Giovanni Ferretti (filosofo) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Giovanni Ferretti (Brusasco, 26 luglio 1933) è un filosofo e storico della filosofia italiano, professore ordinario di filosofia teoretica dal 1976, e direttore del Dipartimento di filosofia e scienze umane dell’Università degli studi di Macerata dal 1999.   Indice 1                         Carriera accademica 2                                            Orientamento di pensiero 3                                      Pubblicazioni 4                                         Collegamenti esterni Carriera accademica Si è laureato in filosofia presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore nel febbraio del 1962 e ha ottenuto la licenza in Sacra Teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica di Milano con sede in Venegono Inferiore nell'ottobre del 1962. Dal 1968 al 1976 ha insegnato filosofia della religione presso la Facoltà teologica dell'Italia settentrionale, nella sede centrale di Milano, e filosofia nella sede parallela di Torino. Dal 1979 al 1985 è stato Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia presso l'Università degli Studi di Macerata; dal 1985 al 1991 è stato Rettore della medesima Università e dal 1995 al 1998 ne è stato Presidente del Nucleo di valutazione.  Dal 1995 al 1998 è stato Presidente del Centro di studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson. È Direttore del Dipartimento di filosofia e scienze umane dell'Università degli studi di Macerata dal 1999. È membro della Giunta direttiva del Comitato scientifico del Centro Studi filosofici di Gallarate. È fondatore e fa parte della Direzione della rivista «Filosofia e Teologia» dal 1987. È tra i fondatori ed è membro del consiglio di amministrazione del Centro di studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson, con sede a Torino, dal 1995. Dal 1995 fa parte del Comitato direttivo dell’Annuario filosofico, pubblicato dal medesimo centro.  Orientamento di pensiero Sezione vuota Questa sezione sugli argomenti biografie e filosofia è ancora vuota. Aiutaci a scriverla! Pubblicazioni Max Scheler. I. Fenomenologia e antropologia personalistica, Vita e Pensiero, Milano 1972; Max Scheler. II. Filosofia della religione, Vita e Pensiero, Milano 1972; Introduzione alla teologia contemporanea. Profilo storico e antologia (in con F. Ardusso, A. Pastore Perone, U. Perone), SEI, Torino 1972, 2ª ed. ampliata e rinnovata collaborazione con il titolo La teologia contemporanea. Introduzione e brani antologici, Marietti, Torino 1980; Storia del pensiero filosofico (in collaborazione con Ugo Perone, A. Pastore Perone, C. Ciancio), 3 voll., SEI, Torino 1975; Filosofia della religione, in Dizionario Teologico Interdisciplinare, vol. I, Marietti, Torino 1977, pp. 151–181; Filosofia e pedagogia. Profilo storico e analisi delle istituzione educative (in collaborazione con B. Bellerate, C. Ciancio, A. Perone, U. Perone), voll. 3, SEI, Torino 1978; In lotta con l'angelo. La filosofia degli ultimi due secoli di fronte al Cristianesimo, SEI, Torino 1989 (in collaborazione con U. Perone, A. Pastore Perone, C. Ciancio, Maurizio Pagano); Filosofia: i testi, la storia (in collaborazione con C. Ciancio, U. Perone, A. Pastore), SEI, Torino 1991; Soggettività, intersoggettività, alterità. In dialogo con Husserl e Levinas, I, Le meditazioni cartesiane di Husserl (Quaderni di ricerca e didattica, VI), Dipartimento di filosofia e scienze umane, Università di Macerata, Macerata 1993; Soggettività, intersoggettività, alterità. In dialogo con Husserl e Levinas, II, Totalità e infinito di Emmanuel Levinas (Quaderni di ricerca e didattica, VIII), Dipartimento di Filosofia e Scienze umane, Università di Macerata, Macerata 1993; Alterità e trascendenza. Introduzione e commento ad Altrimenti che essere di E. Levinas (Quaderni di ricerca e didattica, XI), Dipartimento di Filosofia e Scienze Umane, Università di Macerata, Macerata 1994; Ontologia e teologia in Kant. Con commentari di testi kantiani (Quaderni di ricerca e didattica, XIV), Dipartimento di Filosofia e Scienze Umane, Università di Macerata, Macerata 1995; La filosofia di Levinas. Alterità e trascendenza, Rosenberg & Sellier, Torino 1996; Soggettività e intersoggettività. Le Meditazioni cartesiane di Husserl, Rosenberg & Sellier, Torino 1997; Ontologia e teologia in Kant, Rosenberg & Sellier, Torino 1997 (tradotta in francese come Ontologie et Theologie chez Kant, Cerf, Paris 2001). Collegamenti esterni Università-Macerata, su unimc.it. Controllo di autorità                                               VIAF (EN) 24634397 · ISNI (EN) 0000 0001 0879 4819 · SBN IT\ICCU\CFIV\200448 · LCCN (EN) n91072287 · GND (DE) 141983574 · BNF (FR) cb12123172w (data) · BAV (EN) 495/121287 · WorldCat Identities (EN) lccn-n91072287 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XXI secoloNati nel 1933Nati il 26 luglioProfessori dell'Università degli Studi di MacerataRettori dell'Università degli Studi di Macerata[altre]

FERRI -- Luigi Ferri (filosofo) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Abbozzo Questa voce sull'argomento filosofi italiani è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Luigi Ferri (Bologna, 15 giugno 1826 – Roma, 17 marzo 1895) è stato un filosofo italiano.  Insegnò all'Istituto superiore di Firenze e all'Università di Roma dal 1871 al 1895. Venne nominato, nel 1876, Socio Nazionale dell'Accademia dei Lincei.  Discusse in tre lettere le Confessioni di un metafisico del suo amico Terenzio Mamiani ed elaborò in tre memorie (1888) le sue concezioni.  Dal 1885 pubblicò la Rivista italiana di filosofia.  Opere (selezione) Essai sur l'histoire de la philosophie en Italie au dixnèuvieme siècle (1869) Bibliografia Luca Lo Bianco, FERRI, Luigi, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 47, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1997. Collegamenti esterni Luigi Ferri, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Luigi Ferri, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Luigi Ferri, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Controllo di autorità                   VIAF (EN) 52442649 · ISNI (EN) 0000 0000 6128 751X · LCCN (EN) nr99000815 · GND (DE) 116472774 · BNF (FR) cb10238171v (data) · BAV (EN) 495/88698 · CERL cnp01078982 · WorldCat Identities (EN) lccn-nr99000815 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XIX secoloNati nel 1826Morti nel 1895Nati il 15 giugnoMorti il 17 marzoNati a BolognaMorti a Roma[altre]

ficino: one of the most important Italian philosophers, neoplatonic philosopher who played a leading role in the cultural life of Florence. Ordained a priest in 1473, he hoped to draw people to Christ by means of Platonism. It was through Ficino’s translation and commentaries that the works of Plato first became accessible to the Latin-speaking West, but the impact of Plato’s work was considerably affected by Ficino’s other interests. He accepted Neoplatonic interpretations of Plato, including those of Plotinus, whom he tr.; and he saw Plato as the heir of Hermes Trismegistus, a mythical Egyptian sage and supposed author of the hermetic corpus, which he tr. early in his career. He embraced the notion of a prisca theologia, an ancient wisdom that encapsulated philosophic and religious truth, was handed on to Plato, and was later validated by the Christian revelation. The most popular of his original works was Three Books on Life 1489, which contains the fullest Renaissance exposition of a theory of magic, based mainly on Neoplatonic sources. He postulated a living cosmos in which the World-Soul is linked to the world-body by spirit. This relationship is mirrored in man, whose spirit or astral body links his body and soul, and the resulting correspondence between microcosm and macrocosm allows both man’s control of natural objects through magic and his ascent to knowledge of God. Other popular works were his commentary on Plato’s Symposium 1469, which presents a theory of Platonic love; and his Platonic Theology 1474, in which he argues for the immortality of the soul. Marsilio Ficino (Figline Valdarno, 19 ottobre 1433 – Careggi, 1º ottobre 1499) è stato un filosofo, umanista e astrologo italiano[1]. Nato dal medico personale di Cosimo il Vecchio, Diotifeci d'Agnolo, e da Alessandra di Nanoccio,[2] studia a Firenze sotto Luca de Bernardi e Comando Comandi e apprende le prime nozioni di greco da Francesco da Castiglione,[3] mentre sarebbe da smentire la notizia riportata nella Vita Ficini di Giovanni Corsi, scritta del 1506, che sia stato allievo del Platina.[4]  Il suo primo maestro di filosofia è il folignate Niccolò Tignosi, medico aristotelico autore di un De anima e di un De ideis.[5] Conseguenza di questi insegnamenti è la sua Summa philosophiae, un gruppo di scritti in latino dedicati a Michele Mercati intorno al 1454 in cui il Ficino tratta di fisica, di logica, di Dio e di aliae multae quaestiones.[6] Nella dedica all'amico scrive di volerlo introdurre «a quegli studi che devono impegnare la nostra età, secondo la regola del nostro Platone».  Studia Epicuro e Lucrezio, scrivendo intorno al 1457 i Commentariola in Lucretium, che distruggerà nel 1492,[7] il De voluptate ad Antonium Calisianum, il De virtutibus moralibus e il De quattuor sectis philosophorum, dove tratta di questioni morali e dell'anima riportando opinioni platoniche, aristoteliche, epicuree e stoiche, e l'exercendae memoriae gratia, come esercitazione mnemonica e senza pretese sistematiche.[7]  Nel 1456 scrive vari libri di Institutionum ad platonicam disciplinam, perduti, tratti da fonti latine e per questo motivo trascurati per la sentita esigenza di abbeverarsi alla diretta fonte greca.[6] Sembra che il suo interesse al platonismo abbia indotto l'arcivescovo fiorentino Antonino Pierozzi, preoccupato di possibili deviazioni del Ficino verso eresie platoniche, a consigliargli di studiare sia medicina a Bologna sia l'opera di Tommaso d'Aquino.[8] Ma la permanenza a Bologna dal 1457 al 1458, testimoniata da Zanobi Acciaiuoli, non è documentata e resta certo l'ininterrotto interesse per la filosofia platonica e neo-platonica.[3] Intorno al 1460 traduce Alcinoo, Speusippo, i versi attribuiti a Pitagora e l'Assioco attribuito a Senocrate.[9] Tradotti gli inni di Orfeo, di Omero, di Proclo e la Teogonìa di Esiodo, riceve in dono da Cosimo de' Medici un codice platonico e una villa a Careggi, che diverrà nel 1459 sede della nuova Accademia Platonica, fondata dallo stesso Ficino per volere di Cosimo, con il compito di studiare le opere di Platone e dei platonici, al fine di promuoverne la diffusione.[10] Qui inizia la traduzione, nell'aprile del 1463, dei Libri ermetici (Corpus hermeticum), portati in Italia dalla Macedonia da Leonardo da Pistoia; la sua opera di traduzione avrà un notevole influsso nel pensiero rinascimentale europeo.[11] Il Ficino vede in quella sapienza antica la presenza di una rivelazione, di una pia philosophia che si è attuata nel Cristianesimo ma della quale l'umanità di tutti i tempi era sempre stata partecipe. Nella dedica a Cosimo, scrive che Ermete Trismegisto «per primo disputò con grandissima sapienza della maestà divina, della gerarchia degli spiriti» (daemonum ordine), «della trasmigrazione delle anime. Per primo fu chiamato teologo: lo seguì, secondo teologo, Orfeo, poi Aglaofemo, Pitagora e Filolao, maestro del nostro divino Platone».[12]  Esiste dunque, secondo Ficino, una concorde e antica tradizione teologica, una priscae theologiae undique sibi consona secta, che nasce con Ermete e culmina con Platone.[13] La «pia filosofia», antitetica alle correnti di pensiero atee e materialiste, si propone di sottrarre l'anima dagli inganni dei sensi e della fantasia per elevarla alla mente; questa percepisce la verità, l'ordine di tutte le cose, sia esistenti in Dio che emanate da Lui, grazie all'illuminazione divina, affinché l'uomo, tornato fra i suoi simili, possa renderli partecipi delle verità rivelategli dalla fonte divina (divino numine revelata).[14]  La sua traduzione latina del Corpus hermeticum, già tradotto in volgare nel 1463 da Tommaso Benci, viene stampata nel 1471; nel 1463 inizia la traduzione latina dei dialoghi platonici, conclusa forse nel 1468, e vi aggiunge nel tempo i suoi commenti: intorno al 1474 quelli al Filebo, al Fedro e al Convivio (tradotto anche in italiano), nel 1484 al Timeo, e nel 1494 al Parmenide.[15] Dal 1469 al 1474 stende l'opera più importante, i diciotto libri della Theologia platonica de immortalitate animarum, dedicata a Lorenzo de' Medici. Dopo aver preso i voti sacerdotali il 18 dicembre 1473, compone la Religione cristiana, in italiano, di cui darà poi la versione latina nella De christiana religione. Dal 1475 al 1476 scrive la Disputatio contra iudicium astrologorum e nel 1481 viene dato alle stampe il suo Consiglio contro la pestilenza, dopo il flagello dell'epidemia del 1478.[16]   Busto di Marsilio Ficino ad opera di Andrea Ferrucci (1522) in Santa Maria del Fiore, Firenze Nel 1484 inizia la traduzione delle Enneadi di Plotino e dal 1488 al 1493 traduce le opere di Giamblico, Proclo, Prisciano, Porfirio, Sinesio, Teofrasto, Michele Psello, la Mistica teologia e i Nomi divini dello Pseudo-Dionigi, e i frammenti di Atenagora di Atene:[15] con questo ampio corpus platonico il Ficino persegue la sua teorizzazione della continuità della tradizione teologica da Ermete ai platonici prolungatasi attraverso Dionigi Areopagita, Agostino, Apuleio, Boezio, Macrobio, Avicebron, Al-Farabi, Avicenna, Duns Scoto, Bessarione e il Cusano.[14]  I tre libri del De vita, usciti nel 1489, gli procurano accuse di magia dalle quali si difende con un'Apologia;[17] nel 1495 pubblica dodici libri di Epistulae che comprendono anche opuscoli scritti dal 1476 al 1491, come il De furore divino, la Laus philosophiae, il De raptu Pauli, le Quinque claves Platonicae sapientiae, il De vita Platonis, i De laudibus philosophiae, l'Orphica comparatio Solis ad Deum, la Concordia Mosis et Platonis, gli Apologi de voluptate quattuor.[16]  Lascia incompiuto un Commento a San Paolo per la morte sopraggiunta a sessantasei anni, nel 1499. È sepolto nel duomo di Santa Maria del Fiore, dove un monumento lo celebra come il maggior filosofo fiorentino.[16]  È noto come Aristotele concepisca l'essere umano come sinolo, unità ordinata e indissolubile di materia e forma, di corpo e anima, cosicché il suo principale commentatore dell'antichità Alessandro di Afrodisia poteva ben dedurne esplicitamente la mortalità dell'anima contemporanea a quella del corpo.[18] Al contrario, Platone aveva già distinto le due sostanze, concedendo all'anima una vita separata e indipendente dal destino del corpo.  A questa concezione aderisce Ficino, che in polemica contro Aristotele esalta la dottrina platonica, al punto da interpretarla come una forma di religiosità propedeutica alla fede cristiana.[19] La sua Theologia platonica o De immortalitate animarum si apre dunque con un (LA) «Soluamus obsecro caelestes animi caelestis patriae cupidi, soluamus quamprimum uincula compedum terrenarum ut alis sublati Platonicis, ac Deo duce, in sedem aetheream liberius peruolemus, ubi statim nostri generis excellentiam feliciter contemplabimur.»  (IT) «Liberiamoci in fretta, spiriti celesti desiderosi della patria celeste, dai lacci delle cose terrene, per volare con ali platoniche e con la guida di Dio, alla sede celeste dove contempleremo beati l'eccellenza del genere nostro.»  (Ficino, Theologia Platonica, I, 1)  Delle divine lettere del gran Marsilio Ficino, frontespizio di una edizione del 1563 Per comprendere la sostanza dell'anima è necessario comprendere la struttura dell'universo, composto da cinque livelli gerarchici:[20]  Dio; gli angeli; le anime; le qualità; la materia. Al grado inferiore sta la materia, concepita, seguendo Averroè, come pura quantità: «la materia non ha di per sé nessuna forza che possa produrre le forme», diversamente da chi, come Avicebron, la concepisce come «sostanza produttrice di forme, fonte piuttosto che soggetto delle forme».  È la qualità il principio formale che dà sostanza alle realtà corporee, grazie a «una sostanza incorporea che penetra attraverso i corpi, della quale sono strumento le qualità corporee»: questa sostanza incorporea nell'uomo si eleva al rango di anima «che genera la vita e il senso della vita anche dal fango non vivente».[21]  Al di sopra delle anime sono gli angeli: «Sopra quelli intelletti che alli corpi s'accostano, cioè l'anime ragionevoli, non è dubbio che sono assai menti, dal commercio dei corpi al tutto divise»;[22] e se l'intelletto dell'anima «è mobile e parte interrotto e dubbio»,[23] l'intelletto angelico è «stabile tutto, continuo e certissimo».[23]  Al di sopra del tutto è Dio, che è unità, bontà e verità assoluta, fonte di ogni verità e di ogni vita, è atto e vita assoluta: «Dove un continuo atto e una continua vita dura, quivi è un immenso lume d'una assolutissima intelligenza»[24] che è luce per gli uomini perché si riflette in tutte le cose. Attraverso Dio «tutte le cose son fatte, e però Iddio si trova in tutte le cose e tutte le cose si veggono in lui... Iddio è principio, perché da lui ogni cosa procede; Iddio è fine, perché a lui ogni cosa ritorna, Iddio è vita e intelligenza, perché per lui vivono le anime e le menti intendono».[25]  Dio e materia rappresentano i due estremi della natura, e la funzione dell'anima, che è considerata, diversamente da Aristotele e da Tommaso, realtà in sé e non solamente forma del corpo, è quella di incarnarsi per riunire lo spirito e la corporeità:   Amore sacro e amor profano (Tiziano): eros come mediatore dei contrari «[L'anima] … è tale da cogliere le cose superiori senza trascurare le inferiori... per istinto naturale, sale in alto e scende in basso. E quando sale, non lascia ciò che sta in basso e quando scende, non abbandona le cose sublimi; infatti, se abbandonasse un estremo, scivolerebbe verso l'altro e non sarebbe più la copula del mondo.»  (Ficino, Theologia Platonica, 1474[26]) La "copula mundi" è l'anima razionale che «ha sede nella terza essenza, possiede la regione mediana della natura» (obtinet naturae mediam regionem) «e tutto connette in unità». La sua opera unificatrice è resa possibile dall'amore, inteso come movimento circolare attraverso il quale Dio si disperde nel mondo a causa della sua bontà infinita, per poi produrre nuovamente negli uomini il desiderio di ricongiungersi a Lui. L'amore di cui parla Ficino è l'eros di Platone, che per l'antico filosofo greco svolgeva appunto la funzione di tramite fra il mondo sensibile e quello intelligibile, ma Ficino lo intende anche in un senso cristiano perché, a differenza di quello platonico, l'amore per lui non è solo attributo dell'uomo ma anche di Dio.[27]  Lo stesso Platone viene interpretato in una chiave di lettura che oggi definiamo piuttosto neoplatonica, sebbene Ficino non faccia distinzione tra platonismo e neoplatonismo.[28] Per lui esiste una sola filosofia, che consiste nella riflessione su quelle verità eterne, le Idee, che in quanto tali restano inalterate nel tempo e trascendono la storia.[14] Congiungendo tutti i campi del reale secondo una concezione propria peraltro dell'astrologia e della magia, a cui Ficino rivolge notevoli interessi in virtù dell'unione vitale del mondo da essi presupposta,[29] filosofia e religione si fondono così in una visione d'insieme di reciproca complementarità, sottolineata anche nell'accostamento di termini come «pia philosophia», o «teologia platonica». Strumento dell'amore nel suo farsi portavoce dell'Uno è principalmente la Bellezza.[30]  Nel pensiero di Marsilio Ficino, Gesù Cristo è considerato un maestro spirituale spirito-guida, inviato da Dio per il bene dell'umanità:[31]  «Cos'altro era Cristo se non una specie di manuale di etica, cioè di filosofia divina, il quale visse come un inviato dal cielo, essendo lui stesso una divina Idea di virtù, manifestata agli occhi degli uomini.»  (De Christiana religione, cap. 4) Elevando il cristianesimo a religione suprema,[31] Ficino asserì che l'Incarnazione del Cristo era avvenuta anche perché Dio si potesse riunire «a tutti gli aspetti della creazione».[32] Pur esercitando un fortissimo impulso al rinnovamento del panorama filosofico dell'Europa, in cui da diversi paesi si faceva costante richiesta delle sue opere,[33] dopo la fine del Rinascimento Ficino venne tradotto e commentato sempre meno, fino ad essere accusato, immeritatamente,[31] di un ritorno al paganesimo. In Italia, dove è riconosciuta la sua influenza sull'ermetismo cinquecentesco,[34] e in particolare su Giordano Bruno,[35] sarà Giambattista Vico a raccogliere nel Settecento l'eredità neoplatonica di Ficino, di cui lesse l'opera di traduzione, rammaricandosi del fatto che la filosofia moderna si fosse allontanata da lui, rinchiudendosi nelle angustie mentali di Cartesio.[36]  Sottoposto ad attacchi nel corso del Novecento che giudicarono «retorici» e «privi di valore» i suoi scritti,[37] Ficino è stato rivalutato dallo psicanalista scrittore James Hillman, che lo definì uno «psicologo del profondo» e «precursore della psicologia junghiana», per il suo incitamento a leggere e interpretare ogni affermazione proveniente dai campi più disparati, sia della scienza che della teologia, nell'ottica dell'esperienza psicologica dell'anima, la quale viene vista cioè come «mediazione e compendio» dell'universo.[38] La conoscenza dell'anima è infatti per Hillman la «quintessenza del neoplatonismo italiano», in cui giacciono sepolte le «fantasie mistiche» di questo «strano uomo che suonava inni orfici sul liuto, che studiava la magia e componeva canti astrologici, quest'uomo gobbo, bleso, politicamente timido, senza amore, malinconico traduttore di Platone, Plotino, Proclo, Esiodo, dei Libri Ermetici, autore lui stesso di alcuni tra gli scritti più diffusi e influenti (Commento al Simposio) e scandalosamente pericolosi (Liber de vita) del suo tempo».[39]  La centralità attribuita da Ficino all'anima, per la quale, ancora ragazzo, Cosimo de' Medici lo considerava «prescelto alla cura delle anime» come suo padre medico lo era dei corpi,[40] convinse anche Erwin Panofsky che egli «ebbe un impatto paragonabile per estensione ed intensità solo a quello prodotto oggi dalla psicoanalisi».[41]  Notevole è ad esempio l'intuizione di Ficino del potere psicosomatico nella cura delle malattie, e in quello che la medicina moderna considera un effetto placebo:  «Io sono del parere che l'intenzione dell'immaginazione abbia il suo peso su immagini e medicine, non tanto al momento della preparazione, quanto in quello dell'applicazione: ad esempio, se un tale, a quel che si dice, porta indosso un'immagine fatta nei modi debiti, o certamente, se facendo uso analogo di una medicina, desidera intensamente soccorso da quella e crede senza ombra di dubbio e spera con incrollabile fermezza, da questo atteggiamento deriva certo il massimo di incremento all'aiuto che essa può dare.»  (Ficino, De vita[42]) Opere  Frontespizio di una edizione del 1560 del De triplici vita. De Voluptate (1457-8) De Amore o Commentarium in Convivium Platonis (1469) De religione Christiana et fidei pietate (1475–6) Theologia Platonica de immortalitate animarum (1482) Compendium in Timaeum (1484) De triplici vita (1489) De lumine (1492) In Epistolas Pauli commentaria (Venezia 1491; Firenze 1497) El libro dell'amore De vita Teologia platonica (1474) Sopra lo amore ovvero Convito di Platone La religione cristiana Epistolarum familiarum, liber I. Note ^ Rosanna Zerilli, Marsilio Ficino: alla lente dell'astrologia, Edizioni Capone, 2010. ^ Ove non diversamente riportato, le notizie sulla vita e la dottrina di Ficino sono tratte da: Eugenio Garin, Storia della filosofia italiana, vol. I, Einaudi, 1966, pp. 373-436.  Giuseppe Saitta, Marsilio Ficino e la filosofia dell'umanesimo, pag. 2, Fiammenghi & Nanni, 1954. ^ Giornale storico della letteratura italiana, voll. 111-112, a cura di Francesco Novati, Egidio Gorra, Vittorio Cian, Giulio Bertoni, Carlo Calcaterra, Loescher, 1938, pag. 339. ^ Arthur M. Field, The Origins of the Platonic Academy of Florence, pag. 140, Princeton University Press, 2014.  Giorgio Bàrberi Squarotti, Storia della civiltà letteraria italiana: Umanesimo e Rinascimento, vol. II, pag. 815, UTET, 1996.  E. Garin, pag. 231. ^ Giovanni Semprini, I platonici italiani, pag. 40, Edizioni Athena, 1926. ^ AA.VV., La Letteratura italiana: Storia e testi, vol. XIII, pag. 929, a cura di E. Garin, Riccardo Ricciardi Editore, 1950-60. ^ A. Della Torre, Storia dell'Accademia Platonica di Firenze, Istituto di Studi Superiori Pratici e di Perfezionamento in Firenze, 1902. ^ Eugenio Garin, Ermetismo del Rinascimento, pag. 72, Ed. Riuniti, 1988. ^ «Primus de maiestate Dei, daemonum ordine, animarum mutationibus sapientissime disputavit. Primus igitur theologiae appellatus est autor. Eum secutus Orpheus, secundas antiquae theologiae partes obtinuit. Orphei sacris initiatus est Aglaophemo successit in theologia Pythagoras, quem Philolaus sectatus est, divi Platonis nostri praeceptor». ^ James D. Heiser, Prisci Theologi and the Hermetic Reformation in the Fifteenth Century, Repristination Press, 2011.  Andrea Cusimano, Storia del pensiero occidentale, pag. 167, Lulu.com, 2013.  L'immenso lavoro di traduzione compiuto da Marsilio Ficino è stato documentato in particolare da Paul Oskar Kristeller, in Supplementum ficinianum: Marsilii Ficini florentini philosophi platonici Opuscula inedita et dispersa, 2 voll., Firenze, Leo S. Olschki, 1937. Cfr. anche: P. O: Kristeller, The First Printed Edition of Plato's Works and the Date of Its Publication (1484), in "Science and History: Studies in Honor of Edward Rosen", a cura di Erna Hilfstein, Pawel Czartoryski, e Frank D. Grande, pp. 25–35, Wroclaw, 1978; Marsilio Ficino as a Beginning Student of Plato, in "Scriptorium", n. 20, pp. 41–54, 1966; Marsilio Ficino and His Work after Five Hundred Years, in "Quaderni di Rinascimento", n. 7, Firenze, 1987.  E. Garin, pp. 241-243. ^ Arnaldo Della Torre, Storia dell'Accademia Platonica di Firenze (1902), pag. 623, Istituto di Studi Superiori Pratici e di Perfezionamento in Firenze, 1960. ^ Alessandro di Afrodisia, L'anima, a cura di P. Accattino e P. Donini, Roma-Bari, Laterza, 1996. ^ Marsilio Ficino su Parodos. ^ isentieridellaragione.weebly.com, https://isentieridellaragione.weebly.com/ficino.html. ^ Ficino, cit. in E. Garin, pag. 251. ^ Le divine lettere del gran Marsilio Ficino, vol. 1, pag. 137, a cura di S. Gentile, Edizioni di storia e letteratura, 2001.  Ficino, Sopra lo amore o ver' Convito di Platone, pag. 118, a cura di G. Ottaviano, Celuc, 1973. ^ Ficino, cit. in E. Garin, pag. 253. ^ Le divine lettere del gran Marsilio Ficino, vol. 1, pag. 157, a cura di S. Gentile, op. cit. ^ Trad. in Storia sociale e culturale d'Italia: La cultura filosofica e scientifica, a cura di Guido Ceriotti, vol. 5, pag. 305, Bramante, 1988. ^ Ioan P. Couliano, Eros and the Magic in the Reinassance, University of Chicago Press, 1987. ^ Il termine "neoplatonismo" è stato coniato solo nel XIX secolo per indicare le interpretazioni platoniche che si erano andate via via sovrapponendo a partire dall'età ellenistica, ma che erano sempre state identificate col pensiero stesso di Platone, ritenuto quasi un loro capostipite (cfr. Cenni sulla tradizione platonica). ^ Sebastiano Gentile, Il ritorno di Platone, dei platonici e del "corpus" ermetico. Filosofia, teologia e astrologia nell'opera di Marsilio Ficino, in C. Vasoli, Le filosofie del Rinascimento, a cura di P.C. Pissavino, pp. 193-228, Milano, Bruno Mondadori, 2002. ^ La prospettiva storiografica di Marsilio Ficino, di E. Lo Presti, Università degli Studi di Bologna.  Battista Mondin, Storia della teologia: epoca moderna, pag. 51, Edizioni Studio Domenicano, 1996. ^ Citazione da A. C. Grayling, Una storia del bene. Alla riscoperta di un'etica laica, Storia e civiltà, n. 62, Bari, Edizioni Dedalo, 2006, pp. 122-3, ISBN 978-88-220-0562-5, OCLC 635623420. URL consultato il 26 luglio 2019 (archiviato il 26 luglio 2019). Ospitato su archive.is. ^ R. Marcel, Marsile Ficin, pag. 534 e sgg., Parigi, Belles Lettres, 1958. ^ D. P. Walker, Spiritual and Demonic Magic: From Ficino to Campanella, 0271020458, 9780271020457, The Pennsylvania State University Press, 2000. ^ Cesare Vasoli, Quasi sit deus: studi su Marsilio Ficino, pp. 46-47, Conte, 1999. Cfr. anche A. Jugegno, II primo Bruno e l'influenza di Marsilio Ficino, in «Rivista critica di storia della filosofia», n. XXIII, pp. 149-170, 1968. ^ Giambattista Vico, The Autobiography of Giambattista Vico, pag. 137, trad. ingl. di Max Harold Fisch e Thomas Goddard Bergin, Ithaca, New York, Cornell University Press, 1963. ^ R.R. Boltgar, The Classical Heritage and Its Beneficiaries, pp. 287-288, Cambridge University Press, 1954. ^ James Hillman, Plotino, Ficino e Vico, precursori della psicologia junghiana (1973), trad. di Priscilla Artom, pp. 10-14. ^ J. Hillman, p. 13, ivi. ^ Aneddoto rintracciabile in Coenobium, vol. 3, pag. 102, edizione 2, Casa Editrice del Coenobium, 1909. ^ Erwin Panofsky, «Artist, Scientist, Genius: Notes on the 'Renaissance-Dämmerung'», in Renaissance: Six Essays, pag. 129, ed. Wallace K. Ferguson et al., New York, Harper Torchbook, 1962. ^ Marsilio Ficino, De vita, trad it, Edizioni Biblioteca dell'Immagine, Pordenone 1991, p. 185. Bibliografia Testi Marsilio Ficino, Commentarius in Convivium Platonis, in Venetia, Giovanni Farri e fratelli, 1544. Marsilio Ficino, De christiana religione, Firenze, Nicolò di Lorenzo, circa 1476. Marsilio Ficino, De triplici vita, Lugduni, apud Gulielmum Rouillium sub scuto Veneto, 1560. Marsilio Ficino, Theologia Platonica De immortalitate animorum, a cura di Gilles Gourbin, apud Aegidium Gorbinum, 1559. Marsilio Ficino, Opera omnia, Torino, Bottega d’Erasmo, 1959–1962. (ristampa anastatica dell'edizione di Basilea, 1576) Marsilio Ficino, Opere. Lettere e carteggi, in Vinegia, appresso Gabriel Giolito de' Ferrari, 1563. Marsilio Ficino, Opere. Lettere e carteggi, in Vinegia, appresso Gabriel Giolito de' Ferrari, 1548. Marsilio Ficino, De vita libri tres, (1489) a cura di Albano Biondi e Giuliano Pisani, Biblioteca dell'Immagine, Pordenone 1991, pp. XXXV-501. Marsilio Ficino, Scritti sull'astrologia, a cura di Ornella Pompeo Faracovi, Milano, BUR, 1999, ISBN 978-88-586-5688-4. Studi AA. VV., Il neoplatonismo nel Rinascimento, Roma, 1993. AA. VV., Marsilio Ficino e il ritorno a Platone, Firenze, 1986. Accademia. Revue de la Société Marsile Ficin, I, 1999 sg. (con bibliografia ficiniana). Tamara Albertini, Marsilio Ficino. Das Problem der Vermittlung von Denken und Welt in einer Metaphysik der Einfachheit, Monaco, 1997. Cesare Catà, Il Rinascimento sulla via di Damasco. Il ruolo della teologia di San Paolo in Marsilio Ficino e Nicola Cusano, in “Bruniana & Campanelliana”, XIV (2008), n.2, pp. 523–534. Cesare Catà, L'idea di “anima stellata” nel Quattrocento fiorentino. Andrea da Barberino e la teoria psico-astrologica in Marsilio Ficino, in “Bruniana & Campanelliana”, XVI, 2 (2010), pp. 629–639. Giovanni Dall'Orto, Socratic Love as a Disguise for Same-sex Love in the Italian Renaissance", in "Journal of homosexuality", XVI, n. 1/2 1989, pp. 33–65. Gian Carlo Garfagnini, Marsilio Ficino e il ritorno di Platone. Studi e documenti, Olschki, 1986, 2 voll. Eugenio Garin, Storia della filosofia italiana, I, Einaudi, 1966, ISBN 978-88-06-04267-7. Kent Gerard e Gert Hekma (a cura di), The pursuit of sodomy: male homosexuality in Renaissance and Enlightenment, Europe Harrington Park Press, New York 1989, pp. 33–65. James Hankins, Plato in the Italian Renaissance, Leida 1990. Paul Oskar Kristeller, Il pensiero filosofico di Marsilio Ficino, 2ª ed., Firenze, 1988 [1953]. Paul Oskar Kristeller, Il pensiero filosofico di Marsilio Ficino, Le Lettere, 2005, ISBN 88-7166-903-7. Thomas Moore, Pianeti interiori. L'astrologia psicologica di Marsilio Ficino, Moretti & Vitali, 2009. Erwin Panofsky, Il movimento neoplatonico a Firenze e nell'Italia settentrionale, in Studi di iconologia (1939), Einaudi, Torino, 1999, pp. 184–235. Alessandro Polcri, L'etica del perfetto cittadino: la magnificenza a Firenze tra Cosimo de' Medici, Timoteo Maffei e Marsilio Ficino, in "Interpres: rivista di studi quattrocenteschi", volume 26, Roma–Salerno (2007), pp. 195–223. Michele Schiavone, Problemi filosofici in Marsilio Ficino, Milano, 1957. Angela Voss, Marsilio Ficino, Berkeley, North Atlantic Books, 2006. Rosanna Zerilli, Marsilio Ficino alla lente dell'astrologia, Edizioni Federico Capone, Torino, 2010. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Marsilio Ficino Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina in lingua latina dedicata a Marsilio Ficino Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Marsilio Ficino Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Marsilio Ficino Collegamenti esterni (EN) Marsilio Ficino, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Marsilio Ficino, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Marsilio Ficino, su Mathematics Genealogy Project, North Dakota State University. Modifica su Wikidata Opere di Marsilio Ficino / Marsilio Ficino (altra versione) / Marsilio Ficino (altra versione) / Marsilio Ficino (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Marsilio Ficino, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Marsilio Ficino, su Progetto Gutenberg. Modifica su Wikidata (EN) Bibliografia di Marsilio Ficino, su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff. Modifica su Wikidata (EN) Marsilio Ficino, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata Sito della società ficiniana, su ficino.it. (EN) Christopher S. Celenza, Marsilio Ficino, su Stanford Encyclopedia of Philosophy. (EN) James G. Snyder, Marsilio Ficino, su Internet Encyclopedia of Philosophy. Marsilio Ficino: dalla cristianizzazione della magia alla "magicizzazione" del cristianesimo, su aispes.net. Eugenio Garin (a cura di), Una sintetica presentazione del pensiero di Ficino, RAI. James Hillman, Plotino, Ficino e Vico precursori della psicologia Junghiana (PDF), su rivistapsicologianalitica.it. Il mito greco alla corte dei Medici (PDF), su memoriedalmediterraneo.com. V · D · M Platonici Controllo di autorità. VIAF (EN) 120697563 · ISNI (EN) 0000 0001 2149 1468 · SBN IT\ICCU\CFIV\023808 · Europeana agent/base/60158 · LCCN (EN) n50001263 · GND (DE) 118532855 · BNF (FR) cb11902728n (data) · BNE (ES) XX868747 (data) · ULAN (EN) 500317670 · NLA (EN) 35082791 · BAV (EN) 495/20603 · CERL cnp01302118 · NDL (EN, JA) 00439468 · WorldCat Identities (EN) lccn-n50001263 Astrologia Portale Astrologia Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XV secoloUmanisti italianiAstrologi italianiNati nel 1433Morti nel 1499Nati il 19 ottobreMorti il 1º ottobreNati a Figline ValdarnoMorti a CareggiAlchimisti italianiCabalisti italianiErmetisti italianiFilosofi cattoliciNeoplatoniciMembri dell'Accademia neoplatonicaTraduttori dal greco al latino[altre]. Refs.: Ficino’s “Commentaries on Plato,” Tatti -- Luigi Speranza, "Grice e Ficino," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

fictum: in the widest usage, whatever contrasts with what is a matter of fact. As applied to works of fiction, however, this is not the appropriate contrast. For a work of fiction, such as a historical novel, might turn out to be true regarding its historical subject, without ceasing to be fiction. The correct contrast of fiction is to non-fiction. If a work of fiction might turn out to be true, how is ‘fiction’ best defined? According to some philosophers, such as Searle, the writer of nonfiction performs illocutionary speech acts, such as asserting that such-and-such occurred, whereas the writer of fiction characteristically only pretends to perform these illocutionary acts. Others hold that the core idea to which appeal should be made is that of making-believe or imagining certain states of affairs. Kendall Walton Mimesis as Make-Believe, 0, for instance, holds that a work of fiction is to be construed in terms of a prop whose function is to serve in games of make-believe. Both kinds of theory allow for the possibility that a work of fiction might turn out to be true. 

fidanza: essential Italian philosopher, b. Bagnorea, Tuscany, he was educated at Paris, earning a master’s degree in arts and a doctorate in theology. He joined the Franciscans about 1243, while still a student, and was elected minister general of the order in 1257. Made cardinal bishop of Albano by Pope Gregory X in 1274, Bonaventure helped organize the Second Ecumenical Council of Lyons, during the course of which he died, in July 1274. He was canonized in 1482 and named a doctor of the church in 1587. Bonaventure wrote and preached extensively on the relation between philosophy and theology, the role of reason in spiritual and religious life, and the extent to which knowledge in God is obtainable by the “wayfarer.” His basic position is nicely expressed in De reductione artium ad theologiam “On the Reduction of the Arts to Theology”: “the manifold wisdom of God, which is clearly revealed in sacred scripture, lies hidden in all knowledge and in all nature.” He adds, “all divisions of knowledge are handmaids of theology.” But he is critical of those theologians who wish to sever the connection between faith and reason. As he argues in another famous work, Itinerarium mentis ad deum “The Mind’s Journey unto God,” 1259, “since, relative to our life on earth, the world is itself a ladder for ascending to God, we find here certain traces, certain images” of the divine hand, in which God himself is mirrored. Although Bonaventure’s own philosophical outlook is Augustinian, he was also influenced by Aristotle, whose newly available works he both read and appreciated. Thus, while upholdBonaventure, Saint Bonaventure, Saint 94   94 ing the Aristotelian ideas that knowledge of the external world is based on the senses and that the mind comes into existence as a tabula rasa, he also contends that divine illumination is necessary to explain both the acquisition of universal concepts from sense images, and the certainty of intellectual judgment. His own illuminationist epistemology seeks a middle ground between, on the one hand, those who maintain that the eternal light is the sole reason for human knowing, providing the human intellect with its archetypal and intelligible objects, and, on the other, those holding that the eternal light merely influences human knowing, helping guide it toward truth. He holds that our intellect has certain knowledge when stable; eternal archetypes are “contuited by us [a nobis contuita],” together with intelligible species produced by its own fallible powers. In metaphysics, Bonaventure defends exemplarism, the doctrine that all creation is patterned after exemplar causes or ideas in the mind of God. Like Aquinas, but unlike Duns Scotus, he argues that it is through such ideas that God knows all creatures. He also adopts the emanationist principle that creation proceeds from God’s goodness, which is self-diffusive, but differs from other emanationists, such as al-Farabi, Avicenna, and Averroes, in arguing that divine emanation is neither necessary nor indirect i.e., accomplished by secondary agents or intelligences. Indeed, he sees the views of these Islamic philosophers as typical of the errors bound to follow once Aristotelian rationalism is taken to its extreme. He is also well known for his anti-Aristotelian argument that the eternity of the world  something even Aquinas following Maimonides concedes as a theoretical possibility  is demonstrably false. Bonaventure also subscribes to several other doctrines characteristic of medieval Augustinianism: universal hylomorphism, the thesis, defended by Ibn Gabirol and Avicenna among others, that everything other than God is composed of matter and form; the plurality of forms, the view that subjects and predicates in the category of substance are ordered in terms of their metaphysical priority; and the ontological view of truth, according to which truth is a kind of rightness perceived by the mind. In a similar vein, Bonaventure argues that knowledge ultimately consists in perceiving truth directly, without argument or demonstration. Bonaventure also wrote several classic works in the tradition of mystical theology. His bestknown and most popular mystical work is the aforementioned Itinerarium, written in 1259 on a pilgrimage to La Verna, during which he beheld the six-winged seraph that had also appeared to Francis of Assisi when Francis received the stigmata. Bonaventure outlines a seven-stage spiritual journey, in which our mind moves from first considering God’s traces in the perfections of irrational creatures, to a final state of peaceful repose, in which our affections are “transferred and transformed into God.” Central to his writings on spiritual life is the theme of the “three ways”: the purgative way, inspired by conscience, which expels sin; the illuminative way, inspired by the intellect, which imitates Christ; and the unitive way, inspired by wisdom, which unites us to God through love. Bonaventure’s writings most immediately influenced the work of other medieval Augustinians, such as Matthew of Aquasparta and John Peckham, and later, followers of Duns Scotus. But his modern reputation rests on his profound contributions to philosophical theology, Franciscan spirituality, and mystical thought, in all three of which he remains an authoritative source.Bonaventura da Bagnoregio (Bagnoregio, 1217/1221 circa – Lione, 15 luglio 1274) è stato un cardinale, filosofo e teologo italiano. Denominato Doctor Seraphicus, insegnò alla Sorbona di Parigi e fu amico di san Tommaso d'Aquino.  Vescovo e cardinale, dopo la morte venne canonizzato da papa Sisto IV nel 1482 e proclamato Dottore della Chiesa da papa Sisto V nel 1588. È considerato uno tra i più importanti biografi di san Francesco d'Assisi. Infatti alla sua biografia — la Legenda Maior — si ispirò Giotto per il ciclo delle storie sul Santo nella basilica di Assisi.  Per diciassette anni — dal 1257 — fu ministro generale dell'Ordine francescano, del quale è ritenuto uno dei padri: quasi un secondo fondatore. Sotto la sua guida furono pubblicate le Costituzioni narbonesi, su cui si basarono tutte le successive costituzioni dell'Ordine.  La visione filosofica di Bonaventura partiva dal presupposto che ogni conoscenza derivi dai sensi: l'anima conosce Dio e se stessa senza l'aiuto dei sensi esterni. Risolse il problema del rapporto tra ragione e fede in chiave platonico-agostiniana.  È venerato come santo dalla Chiesa cattolica, che celebra la sua memoria obbligatoria il 15 luglio o il giorno precedente nella forma straordinaria. La data in cui Bonaventura venne alla luce non è certa e viene collocata tra il 1217 e il 1221. Nacque a Civita di Bagnoregio, in Tuscia, oggi provincia di Viterbo. Era figlio di Giovanni di Fidanza, medico, e di Rita (o Ritella).[1] Iniziò i suoi studi giovanili nel convento di San Francesco "vecchio", situato a metà strada tra Bagnoregio e Civita[2]. Nel 1235 si recò a Parigi a studiare nella facoltà delle Arti e successivamente, nel 1243, nella facoltà di teologia. Probabilmente in quello stesso anno entrò tra i Frati Minori (Minoriti). I suoi studi di teologia terminarono nel 1253, quando divenne magister (cioè "maestro") di teologia e ottiene la licentia docendi (la "licenza d'insegnare").  Tra il 1262 e il 1264 Bonaventura fu priore del convento di San Francesco ad Orvieto che fece ristrutturare. I francescani erano di casa ad Orvieto. I Mendicanti di Francesco dovevano essere in città almeno fin dal 1216 (ben prima dell'approvazione della Regola) nel luogo stesso dove sarà edificato il complesso attuale di San Francesco, chiesa e convento; presumibilmente sul preesistente sito della citata S. Maria in Pulzella chiesa “detta Nunziata” nel quartiere di Serancia: dove sorgerà il quartier generale dei Monaldeschi.  Quello dei Frati Minori fu il primo Ordine ad insediarsi ufficialmente in Orvieto nel 1228 o 1229 presso S. Pietro in Vetera: dove è il sito del santuario federale Fanum Voltumnae di Velsna, Volsinii Etruriae capita (Tito Livio), Orvieto etrusca. Francesco era morto il 3 ottobre 1226. La Regola era stata approvata da Onorio III nell'ottobre 1223. Tracce del passaggio di Francesco nel territorio orvietano restano a La Scarzuola, dove è raffigurato il suo ritratto più antico; a Pantanelli, dove dimorò e predicò ai pesci sul Tevere; ad Alviano e Lugnano, dove predicò agli uccelli.  Insegnamento San Bonaventura, francescano, venti giorni dopo l'indizione della festa del Corpus Domini predicò il Sermo de sanctissimo corpore Christi alla presenza di papa Urbano IV e del concistoro generale. Bonaventura, con Tommaso d'Aquino, è stato tra i protagonisti di quell'evento rilevante nella storia religiosa ma anche nella storia della cultura: veniva istituita, infatti, una nuova festa per la Chiesa latina, incentrata sul mistero dell'eucaristia. Bonaventura e Tommaso, i dottori "seraphicus" ed "angelicus", furono due protagonisti del pensiero filosofico e teologico del tempo: erano stati entrambi cattedratici presso lo Studium orvietano, l'antica università della città. Nel 1250 il papa aveva autorizzato il cancelliere dell'Università a conferire la licenza di insegnamento a religiosi degli ordini mendicanti, sebbene ciò contrastasse con il diritto di cooptare i nuovi maestri rivendicato dalla corporazione universitaria. Nel 1253, di fatti, scoppiò uno sciopero al quale tuttavia i membri degli ordini mendicanti non si associarono. La corporazione universitaria richiese loro un giuramento di obbedienza agli statuti, ma essi rifiutarono e pertanto vennero esclusi dall'insegnamento.  Questa esclusione colpì anche Bonaventura, che fu maestro reggente fra il 1253 e il 1257. Nel 1254 i maestri secolari denunciarono a papa Innocenzo IV il libro del francescano Gerardo di Borgo San Donnino, Introduzione al Vangelo eterno. In questo testo fra' Gerardo, rifacendosi al pensiero di Gioacchino da Fiore, annunciava l'avvento di una «nuova età dello Spirito Santo» e di una «Chiesa cattolica puramente spirituale fondata sulla povertà», profezia che si doveva realizzare attorno al 1260. In conseguenza di questo il Papa — poco prima di morire — annullò i privilegi concessi agli ordini mendicanti.  Il nuovo pontefice papa Alessandro IV condannò il libro di Gerardo con una bolla nel 1255, prendendo tuttavia posizione a favore degli ordini mendicanti e senza più porre limiti al numero delle cattedre che essi potevano ricoprire. I secolari rifiutarono queste decisioni, venendo così scomunicati, anche per il boicottaggio da loro operato ai danni dei corsi tenuti dai frati degli ordini mendicanti. Tutto questo nonostante che i primi avessero l'appoggio del clero e dei vescovi, mentre il re di Francia Luigi IX si trovava a sostenere le posizioni dei mendicanti. Nel 1257 Bonaventura venne riconosciuto magister. Nello stesso anno fu eletto Ministro generale dell'Ordine francescano, rinunciando così alla cattedra. A partire da questa data, preso dagli impegni del nuovo servizio, accantonò gli studi e compì vari viaggi per l'Europa.  Il suo obiettivo principale fu quello di conservare l'unità dei Frati Minori, prendendo posizione sia contro la corrente spirituale (influenzata dalle idee di Gioacchino da Fiore e incline ad accentuare la povertà del francescanesimo primitivo), sia contro le tendenze mondane insorte in seno all'Ordine. Favorevole a coinvolgere l'Ordine francescano nel ministero pastorale e nella struttura organizzativa della Chiesa, nel Capitolo generale di Narbona del 1260 contribuì a definire le regole che dovevano guidare la vita dei suoi membri: le Costituzioni, dette appunto Narbonensi. A lui, in questo Capitolo, venne affidato l'incarico di redigere una nuova biografia di san Francesco d'Assisi che, intitolata Legenda Maior, diventerà la biografia ufficiale nell'Ordine.   Incipit del Legenda maior Infatti il Capitolo generale successivo, del 1263 (Pisa), approvò l'opera composta dal Ministro generale; mentre il Capitolo del 1266, riunito a Parigi, giunse a decretare la distruzione di tutte le biografie precedenti alla Legenda Maior, probabilmente per proporre all'Ordine una immagine univoca del proprio fondatore, in un momento in cui le diverse interpretazioni fomentavano contrapposizioni e conducevano verso la divisione.[3]  In modo analogo a Tommaso d'Aquino che rifiutò ripetutamente la proposta di essere nominato Arcivescovo di Napoli, nel 1265 fu nominato arcivescovo di York dal neoeletto papa Clemente IV (mai beatificato), incarico che, dopo numerose richieste al Sommo Pontefice, gli fu consentito di lasciare l'anno seguente[4].  Ultimi anni Negli ultimi anni della sua vita Bonaventura intervenne nelle lotte contro l'aristotelismo e nella rinata polemica fra maestri secolari e mendicanti. A Parigi, tra il 1267 e il 1269, tenne una serie di conferenze sulla necessità di subordinare e finalizzare la filosofia alla teologia. Nel 1270 lasciò Parigi per farvi però ritorno nel 1273, quando tenne altre conferenze nelle quali attaccava quelli che erano a suo parere gli errori dell'aristotelismo. Peraltro, negli anni tra il 1269 ed il 1271, fu spesso a Viterbo ove si svolgeva il famoso, lunghissimo conclave, per tenere numerosi sermoni volti ad accelerare ed indirizzare la scelta dei cardinali; alla fine fu eletto papa Gregorio X, cioè quel Tedaldo Visconti di cui Bonaventura era amico da molti anni[5]  Fu proprio papa Gregorio X a crearlo cardinale vescovo con titolo di Albano nel concistoro del 3 giugno 1273, mentre Bonaventura soggiornava nel convento del Bosco ai Frati presso Firenze; l'anno successivo partecipò al Concilio di Lione (in cui favorì un riavvicinamento fra la Chiesa latina e quella greca), nel corso del quale morì, forse a causa di un avvelenamento, stando almeno a quanto affermò in seguito il suo segretario, Pellegrino da Bologna.[senza fonte]  Pierre de Tarentaise, futuro papa Innocenzo V, ne celebrò le esequie e Bonaventura venne inumato nella chiesa francescana di Lione. Intorno all'anno 1450 la salma venne traslata in una nuova chiesa, dedicata a San Francesco d'Assisi; la tomba venne aperta e la sua lingua venne trovata in perfetto stato di conservazione: questo fatto ne facilitò la canonizzazione, che avvenne ad opera del papa francescano Sisto IV il 14 aprile 1482, e la nomina a dottore della Chiesa, compiuta il 14 marzo1588 da un altro francescano, papa Sisto V.  Le reliquie: il «santo braccio» Il 14 marzo 1490, a seguito della ricognizione del corpo del santo a Lione, venne estratta una parte del braccio destro del santo e composta in un reliquiario d'argento che l'anno seguente fu portato a Bagnoregio. Oggi il «santo braccio» è la più grande delle reliquie rimaste di san Bonaventura dopo la profanazione del suo sepolcro e la dispersione dei suoi resti compiuta dagli Ugonotti nel 1562. Si trova custodito a Bagnoregio nella concattedrale di San Nicola. Da esso, nel corso degli anni, sono state ricavate alcune reliquie minori. Frontespizio delle Meditationes Bonaventura è considerato uno dei pensatori maggiori della tradizione francescana, che anche grazie a lui si avviò a diventare una vera e propria scuola di pensiero, sia dal punto di vista teologico che da quello filosofico. Difese e ripropose la tradizione patristica, in particolare il pensiero e l'impostazione di sant'Agostino. Egli combatté apertamente l'aristotelismo, anche se ne acquisì alcuni concetti, fondamentali per il suo pensiero. Inoltre valorizzò alcune tesi della filosofia arabo-ebraica, in particolare quelle di Avicenna e di Avicebron, ispirate al neoplatonismo. Nelle sue opere ricorre continuamente l'idea del primato della sapienza, come alternativa ad una razionalità filosofica isolata dalle altre facoltà dell'uomo. Egli sostiene, infatti, che:  «(...) la scienza filosofica è una via verso altre scienze. Chi si ferma resta immerso nelle tenebre.»  Secondo Bonaventura è il Cristo la via a tutte le scienze, sia per la filosofia che per la teologia.  Il progetto di Bonaventura è una riduzione (reductio artium) non nel senso di un depotenziamento delle arti liberali, bensì della loro unificazione sotto la luce della verità rivelata, la sola che possa orientarle verso l'obiettivo perfetto a cui tende imperfettamente ogni conoscenza, il vero in sé che è Dio. La distinzione delle nove arti in tre categorie, naturali (fisica, matematica, meccanica), razionali (logica, retorica, grammatica) e morali (politica, monastica, economica) riflette la distinzione di res, signa ed actiones la cui verticalità non è altro che cammino iniziatico per gradi di perfezione verso l'unione mistica. La parzialità delle arti è per Bonaventura non altro che il rifrangersi della luce con la quale Dio illumina il mondo: prima del peccato originale Adamo sapeva leggere indirettamente Dio nel Liber Naturae (nel creato), ma la caduta è stata anche perdita di questa capacità.  Per aiutare l'uomo nel recupero della contemplazione della somma verità, Dio ha inviato all'uomo il Liber Scripturae, conoscenza supplementare che unifica ed orienta la conoscenza umana, che altrimenti smarrirebbe se stessa nell'autoreferenzialità. Attraverso l'illuminazione della rivelazione, l'intelletto agente è capace di comprendere il riflesso divino delle verità terrene inviate dall'intelletto passivo, quali pallidi riflessi delle verità eterne che Dio perfettamente pensa mediante il Verbo. Ciò rappresenta l'accesso al terzo libro, Liber Vitae, leggibile solo per sintesi collaborativa tra fede e ragione: la perfetta verità, assoluta ed eterna in Dio, non è un dato acquisito, ma una forza la cui dinamica si attua storicamente nella reggenza delle verità con le quali Dio mantiene l'ordine del creato. Lo svelamento di quest'ordine è la lettura del terzo libro che per segni di dignità sempre maggior avvicina l'uomo alla fonte di ogni verità.  La primitas divina o "primalità di Dio" è il sostegno a tutto l'impianto teologico di Bonaventura. Nella sua prima opera, il Breviloquium, egli definisce i caratteri della teologia affermando che, poiché il suo oggetto è Dio, essa ha il compito di dimostrare che la verità della sacra scrittura è da Dio, su Dio, secondo Dio ed ha come fine Dio. L'unita del suo oggetto determina come unitaria ed ordinata la teologia perché la sua struttura corrisponde ai caratteri del suo oggetto. Nella sua opera più famosa, l'Itinerarium mentis in Deum ("L'itinerario della mente verso Dio"), Bonaventura spiega che il criterio di valore e la misura della verità si acquisiscono dalla fede, e non dalla ragione (come sostenevano gli averroisti).  Da ciò fa conseguire che la filosofia serve a dare aiuto alla ricerca umana di Dio, e può farlo, come diceva sant'Agostino, solo riportando l'uomo alla propria dimensione interiore (cioè l'anima), e, attraverso questa, ricondurlo infine a Dio. Secondo Bonaventura, dunque, il «viaggio» spirituale verso Dio è frutto di una illuminazione divina, che proviene dalla «ragione suprema» di Dio stesso. Per giungere a Dio, quindi, l'uomo deve passare attraverso tre gradi, che, tuttavia, devono essere preceduti dall'intensa ed umile preghiera, poiché:  «(...) nessuno può giungere alla beatitudine se non trascende sé stesso, non con il corpo, ma con lo spirito. Ma non possiamo elevarci da noi se non attraverso una virtù superiore. Qualunque siano le disposizioni interiori, queste non hanno alcun potere senza l'aiuto della Grazia divina. Ma questa è concessa solo a coloro che la chiedono (...) con fervida preghiera. È la preghiera il principio e la sorgente della nostra elevazione. (...) Così pregando, siamo illuminati nel conoscere i gradi dell'ascesa a Dio.»  La "scala" dei 3 gradi dell'ascesa a Dio è simili alla "scala" dei 4 gradi dell'amore di Bernardo di Chiaravalle, anche se non uguale; tali gradi sono:  1) Il grado esteriore: «(...) è necessario che prima consideriamo gli oggetti corporei, temporali e fuori di noi, nei quali è l'orma di Dio, e questo significa incamminarsi per la via di Dio.»  2) Il grado interiore: «È necessario poi rientrare in noi stessi, perché la nostra mente è immagine di Dio, immortale, spirituale e dentro di noi, il che ci conduce nella verità di Dio.»  3) Il grado eterno: «Infine, occorre elevarci a ciò che è eterno, spiritualissimo e sopra di noi, aprendoci al primo principio, e questo dona gioia nella conoscenza di Dio e omaggio alla Sua maestà.»  Inoltre, afferma Bonaventura, in corrispondenza a tali gradi l'anima ha anche tre diverse direzioni:  «(...) L'una si riferisce alle cose esteriori, e si chiama animalità o sensibilità; l'altra ha per oggetto lo spirito, rivolto in sé e a sé; la terza ha per oggetto la mente, che si eleva spiritualmente sopra di sé. Tre indirizzi che devono disporre l'uomo a elevarsi a Dio, perché l'ami con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutta l'anima (...).»  (San Bonaventura da Bagnoregio, Itinerarium mentis in Deum) Dunque, per Bonaventura, l'unica conoscenza possibile è quella contemplativa, cioè la via dell'illuminazione, che porta a cogliere le essenze eterne, e ad alcuni permette persino di accostarsi a Dio misticamente. L'illuminazione guida anche l'azione umana, in quanto solo essa determina la sinderesi, cioè la disposizione pratica al bene. Bonaventura elaborò una teologia trinitaria di derivazione agostiniana, in quanto volle evidenziare l'unità del Dio-Trino, come forza, che unisce le tre persone. Ma tale unità è conciliabile con la pluralità delle persone: unità e trinità sono sempre insieme. I dati presenti nella Scrittura presentano all'uomo la verità rivelata: in Dio vi sono tre persone. Due sono le fasi dell'auto-rivelazione di Dio: la prima nella creazione, la seconda in Cristo. Il mondo, per Bonaventura, è come un libro da cui traspare la Trinità che l'ha creato. Noi possiamo ritrovare la Trinità extra nos (cioè "fuori di noi"), intra nos ("in noi") e super nos ("sopra di noi"). Infatti, la Trinità si rivela in 3 modi:  come vestigia (o impronta) di Dio, che si manifesta in ogni essere, animato o inanimato che sia; come immagine di Dio, che si trova solo nelle creature dotate d'intelletto, in cui risplendono memoria, intelligenza e volontà; come similitudine di Dio, che è qualità propria delle creature giuste e sante, toccate dalla Grazia e animate da fede, speranza e carità; quindi, quest'ultima è ciò che ci rende "figli di Dio". La Creazione dunque è ordinata secondo una scala gerarchica trinitaria e la natura non ha sua consistenza, ma si rivela come segno visibile del principio divino che l'ha creata; solo in questo, quindi, trova il suo significato. Bonaventura trae questo principio anche da un passo evangelico, in cui i discepoli di Gesù dissero:  ««Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!» Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli.» Ma egli rispose: «Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre.»»  (Lc, 19,38-40) Le creature, dunque, sono impronte, immagini, similitudini di Dio, e persino le pietre "gridano" tale loro legame col divino.   Opere Breviloquium (Breviloquio) Collationes de decem praeceptis (Raccolte su dieci precetti) Collationes de septem donis Spiritus Sanctis (Raccolte sui sette doni dello Spirito Santo) Collationes in Hexaemeron (Raccolte nei Sei Giorni della Creazione) Commentaria in quattuor libros sententiarum Magistri Petri Lombardi (Commentari in quattro libri delle sentenze del maestro Pietro Lombardo) De mysterio Trinitatis (Il mistero della Trinità; questione disputata) De perfectione vitae ad sorores (La perfezione della vita alle sorelle) De reductione artium ad theologiam (La riduzione della arti alla teologia) De Regno Dei descripto in parabolis evangelicis (Il Regno di Dio descritto nelle parabole evangeliche) De scientia Christi et mysterio Trinitatis (La conoscenza di Cristo ed il mistero della Trinità) De sex alis Seraphin (Le sei ali dei Serafini) De triplici via (La triplice via) Itinerarium mentis in Deum (Itinerario della mente verso Dio) Legenda majior Sancti Francisci (La leggenda maggiore di San Francesco) Legenda minor Sancti Francisci (La leggenda minore di San Francesco) Lignum vitae (L'Albero della vita) Officium de passione Domini (L'Ufficio della passione del Signore) Quaestiones de perfectione evangelica (Questioni sopra la perfezione evangelica) Soliloquium (Soliloquio) Summa theologiae (Complesso di teologia) Vitis mystica (La vite mistica) Note ^ Eletto Ramacci, S. Bonaventura e il Santo Braccio, Bagnoregio, Associazione Organum, 1991. ^ Oggi del convento restano solo i ruderi. ^ Grado Giovanni Merlo, Storia di frate Francesco e dell'Ordine dei Minori, in Maria Pia Alberzoni, et al., Francesco d'Assisi e il primo secolo di storia francescana, Torino, Einaudi, 1997. pp. 28-30. ^ G. Bosco, Storia ecclesiastica ad uso della gioventù utile ad ogni grado di persone, Torino, Libreria Salesiana Editore, 1904, p. 284. URL consultato il 4 novembre 2018 (archiviato il 4 novembre 2018)., con l'approvazione del card. Lorenzo Gastaldi, arcivescovo di Torino ^ Cesare Pinzi,Storia della Città di Viterbo,Tip.Camera dei Deputati, Roma, 1887-89,lib.VII. Il Pinzi parla dettagliatamente degli interventi di Bonaventura a Viterbo in occasione del Conclave e dell'amicizia con Gregorio X. Bibliografia Testi Bonaventura da Bagnorea (presunto), Meditationes vitae Christi, Venezia, Nicolaus Jenson, circa 1478. Bonaventura da Bagnorea, Legenda maior, Milano, Ulrich Scinzenzeler, 1495. Bonaventura da Bagnorea, Opera omnia, Lyon, Borde, Philippe ; Borde, Pierre ; Arnaud, Laurent, 1668. Bonaventura da Bagnorea, Expositiones in Testamentum novum, Lyon, Borde, Philippe ; Borde, Pierre ; Arnaud, Laurent, 1668. Bonaventura da Bagnorea, Sermones de tempore ac de sanctis, Lyon, Borde, Philippe ; Borde, Pierre ; Arnaud, Laurent, 1668. Bonaventura da Bagnorea, Opuscula, vol. 1, Lyon, Borde, Philippe ; Borde, Pierre ; Arnaud, Laurent, 1668. Bonaventura da Bagnorea, Opuscula, vol. 2, Lyon, Borde, Philippe ; Borde, Pierre ; Arnaud, Laurent, 1668. Bonaventura da Bagnorea, Commentaria in libros sententiarum, vol. 1, Lyon, Borde, Philippe ; Borde, Pierre ; Arnaud, Laurent, 1668. Bonaventura da Bagnorea, Commentaria in libros sententiarum, vol. 2, Lyon, Borde, Philippe ; Borde, Pierre ; Arnaud, Laurent, 1668. Studi Bettoni E., S. Bonaventura da Bagnoregio, Vita e Pensiero, Milano 1973. Bougerol J.G., Introduzione a S. Bonaventura, trad. it. di A. Calufetti, L.I.E.F., Vicenza 1988. Corvino F., Bonaventura da Bagnoregio francescano e pensatore, Città Nuova, Roma 2006. Cuttini E., Ritorno a Dio. Filosofia, teologia, etica della “mens” nel pensiero di Bonaventura da Bagnoregio, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2002. Di Maio A., Piccolo glossario bonaventuriano. Prima introduzione al pensiero e al lessico di Bonaventura da Bagnoregio, Aracne, Roma 2008. Barbara Faes, Bonaventura da Bagnoregio, Biblioteca Francescana, Milano 2017. Mathieu V., La Trinità creatrice secondo san Bonaventura, Biblioteca francescana, Milano 1994. Moretti Costanzi T., San Bonaventura, Armando, Roma 2003. Ramacci Eletto, S. Bonaventura e il Santo Braccio, Associazione Organum, Bagnoregio, 1991. Todisco O., Le creature e le parole in sant'Agostino e san Bonaventura, Anicia, Roma 1994. Vanni Rovighi S., San Bonaventura, Vita e Pensiero, Milano 1974. Raoul Manselli, BONAVENTURA da Bagnoregio, santo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 11, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1969. URL consultato il 19 dicembre 2017. Modifica su Wikidata Emiliano Ramacci, Un Inno per S. Bonaventura (1560), Associazione Organum, Bagnoregio, 2017. Emiliano Ramacci, S. Bonaventura da Bagnoregio - Miracoli, Associazione Organum, Bagnoregio, 2020. Voci correlate Dottore della Chiesa Filosofia scolastica. Il Quadragesimale de Contemptu Mundi Pontificia Facoltà Teologica San Bonaventura Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Bonaventura da Bagnoregio Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Bonaventura da Bagnoregio Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Bonaventura da Bagnoregio Collegamenti esterni Bonaventura da Bagnoregio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Bonaventura da Bagnoregio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Bonaventura da Bagnoregio, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Bonaventura da Bagnoregio, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Modifica su Wikidata (DE) Bonaventura da Bagnoregio, su ALCUIN, Università di Ratisbona. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Bonaventura da Bagnoregio / Bonaventura da Bagnoregio (altra versione) / Bonaventura da Bagnoregio (altra versione) / Bonaventura da Bagnoregio (altra versione) / Bonaventura da Bagnoregio (altra versione), su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Audiolibri di Bonaventura da Bagnoregio, su LibriVox. Modifica su Wikidata (EN) Bonaventura da Bagnoregio, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata Bonaventura da Bagnoregio, su Santi, beati e testimoni, santiebeati.it. Modifica su Wikidata (EN) Tim Noone e R. E. Houser, Saint Bonaventure, su Stanford Encyclopedia of Philosophy. Biografia di San Francesco d'Assisi (PDF), su assisiofm.it. scritta da San Bonaventura da Bagnoregio Itinerario della mente in Dio (PDF), su lamelagrana.net. (LA) Itinerarium mentis in Deum, su thelatinlibrary.com. (FR) Oeuvres spirituelles, su abbaye-saint-benoit.ch. URL consultato il 26 aprile 2007 (archiviato dall'url originale il 30 aprile 2007). (LA) S. Bonaventura: Opera Omnia Peltiero Edente, su documentacatholicaomnia.eu. (LA) San Bonaventura online, su dionysiana.wordpress.com. L'Opera omnia nell'edizione dei padri francescani di Quaracchi (EN) Salvador Miranda, BONAVENTURA, O.F.M., su fiu.edu – The Cardinals of the Holy Roman Church, Florida International University. PredecessoreMinistro generale dell'Ordine dei Frati MinoriSuccessoreFrancescocoa.png Giovanni da Parma2 febbraio 1257 - 15 luglio 1274Girolamo Masci d'Ascoli PredecessoreCardinale vescovo di AlbanoSuccessoreCardinalCoA PioM.svg Raoul Grosparmi3 giugno 1273 - 15 luglio 1274Bentivegna de' Bentivegni, O.F.M.V · D · M Padri e dottori della Chiesa cattolica V · D · M Francescanesimo Controllo di autoritàVIAF (EN) 89657091 · ISNI (EN) 0000 0001 1774 1110 · SBN IT\ICCU\CFIV\029314 · LCCN (EN) n79043613 · GND (DE) 118513176 · BNF (FR) cb118857861 (data) · BNE (ES) XX875119 (data) · NLA (EN) 36330595 · BAV (EN) 495/34579 · CERL cnp01259644 · NDL (EN, JA) 00433788 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79043613 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Filosofia Portale Filosofia Medioevo Portale Medioevo Categorie: Cardinali italiani del XIII secoloFilosofi italiani del XIII secoloTeologi italianiMorti nel 1274Morti il 15 luglioNati a BagnoregioMorti a LioneBonaventura da BagnoregioSanti canonizzati da Sisto IVCardinali nominati da Gregorio XDottori della Chiesa cattolicaFrancescani italianiInnatistiNeoplatoniciPersonaggi citati nella Divina Commedia (Paradiso)Santi per nomeSanti italiani del XIII secoloSanti minoritiScolasticiCardinali francescani del XIII secoloVescovi e cardinali vescovi di AlbanoVescovi e arcivescovi cattolici di YorkFilosofi cattoliciScrittori medievali in lingua latinaVescovi francescani[altre]. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Fidanza," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

figura: figure-ground, the discrimination of an object or figure from the context or background against which it is set. Even when a connected region is grouped together properly, as in the famous figure that can be seen either as a pair of faces or as a vase, it is possible to interpret the region alternately as figure and as ground. This fact was originally elaborated in 1 by Edgar Rubin 6 1. Figureground effects and the existence of other ambiguous figures such as the Necker cube and the duck-rabbit challenged the prevailing assumption, Vitters thought, in classical theories of perception  maintained, e.g., by H. P. Grice and J. S. Mill and H. von Helmholtz  that complex perceptions could be understood in terms of primitive sensations constituting them. The underdetermination of perception by the visual stimulus, noted by Berkeley in his Essay of 1709, takes account of the fact that the retinal image is impoverished with respect to threedimensional information. Identical stimulation at the retina can result from radically different distal sources. Within Gestalt psychology, the Gestalt, or pattern, was recognized to be underdetermined by constituent parts available in proximal stimuli. M. Wertheimer 03 observed in 2 that apparent motion could be induced by viewing a series of still pictures in rapid succession. He concluded that perception of the whole, as involving movement, was fundamentally different from the perception of the static images of which it is composed. W. Köhler An example of visual reversal from Edgar Rubin: the object depicted can be seen alternately as a vase or as a pair of faces. The reversal occurs whether there is a black ground and white figure or white figure and black ground. figure figure  ground 310   310 77 observed that there was no figure ground articulation in the retinal image, and concluded that inherently ambiguous stimuli required some autonomous selective principles of perceptual organization. As subsequently developed by Gestalt psychologists, form is taken as the primitive unit of perception. In philosophical treatments, figureground effects are used to enforce the conclusion that interpretation is central to perception, and that perceptions are no more than hypotheses based on sensory data. Refs.: Grice, “You can’t see a knife as a knife,” “The Causal Theory of Perception,” Vitters on ‘seeing-as’”.  figura -- schema (Latin ‘figura,’ as in Grice, ‘figure of speech’), also schema plural: schemata, a metalinguistic frame or template used to specify an infinite set of sentences, its instances, by finite means, often taken with a side condition on how its blanks or placeholders are to be filled. The sentence ‘Either Abe argues or it is not the case that Abe argues’ is an instance of the excluded middle scheme for English: ‘Either . . . or it is not the case that . . .’, where the two blanks are to be filled with one and the same well-formed declarative English sentence. Since first-order number theory cannot be finitely axiomatized, the mathematical induction scheme is used to effectively specify an infinite set of axioms: ‘If zero is such that . . . and the successor of every number such that . . . is also such that . . . , then every number is such that . . .’, where the four blanks are to be filled with one and the same arithmetic open sentence, such as ‘it precedes its own successor’ or ‘it is finite’. Among the best-known is Tarski’s scheme T: ‘. . . is a true sentence if and only if . . .’, where the second blank is filled with a sentence and the first blank by a name of the sentence. And then there’s the figura quadrata: square of opposition – figura quadrata – Grice: “It is clear that the apparatus of Modernism does not give a faithful account of the character of semantic phenomena. One such less than faithful account, indeed, deviant account, appears in the treatment of the square of opposition.” cited by Grice in “Retrospective epilogue.” Since tutoring Strawson on this for Strawson’s ‘logic paper,’ Grice kept an interest, if only to witness Strwson’s playing with the square – and ‘uselessly trying to circle it’ -- a graphic representation of various logical relations among categorical propositions. Relations among modal and even among hypothetical propositions have also been represented on the square. Two propositions are said to be each other’s 1 contradictories if exactly one of them must be true and exactly one false; 2 contraries if they could not both be true although they could both be false; and 3 subcontraries if at least one of them must be true although both of them may be true. There is a relation of 4 subalternation of one proposition, called subaltern, to another called superaltern, if the truth of the latter implies the truth of the former, but not conversely. Applying these definitions to the four types of categorical propositions, we find that SaP and SoP are contradictories, and so are SeP and SiP. SaP and SeP are contraries. SiP and SoP are subcontraries. SiP is subaltern to SaP, and SoP is subaltern to SeP. These relations can be represented graphically in a square of opposition: The four relations on the traditional square are expressed in the following theses: Contradictories: SaP S -SoP, SeP S -SiP Contraries: -SaP & SeP or SaP P -SeP Subcontraries: SiP 7 SoP Subalterns: SaP P SiP, SeP P SoP For these relations to hold, an underlying existential assumption must be satisfied: the terms serving as subjects of propositions must be satisfied, not empty e.g., ‘man’ is satisfied and ‘elf’ empty. Only the contradictory opposition remains without that assumption. Modern interpretations of categorical propositions exclude the existential assumption; thus, only the contradictory opposition remains in the square.  Refs.: H. P. Grice, “Apuleius on the square of opposition,” H. P. Grice, “Boethius and the square of opposition.”

filmer: r. English political writer who produced, most importantly, the posthumous Patriarcha It is remembered because Locke attacked it in the first of his Two Treatises of Government 1690. Filmer argued that God gave complete authority over the world to Adam, and that from him it descended to his eldest son when he became the head of the family. Thereafter only fathers directly descended from Adam could properly be rulers. Just as Adam’s rule was not derived from the consent of his family, so the king’s inherited authority is not dependent on popular consent. He rightly makes laws and imposes taxes at his own good pleasure, though like a good father he has the welfare of his subjects in view. Filmer’s patriarchalism, intended to bolster the absolute power of the king, is the classic English statement of the doctrine. 

find play – where Grice’s implicaturum finds play Strawson Wiggins p. 523

Fides – cf. con-fido – con-fidence -- Fides: -- justification by faith, the characteristic doctrine of the Protestant Reformation that sinful human beings can be justified before God through faith in Jesus Christ. ‘Being justified’ is understood in forensic terms: before the court of divine justice humans are not considered guilty because of their sins, but rather are declared by God to be holy and righteous in virtue of the righteousness of Christ, which God counts on their behalf. Justification is received by faith, which is not merely belief in Christian doctrine but includes a sincere and heartfelt trust and commitment to God in Christ for one’s salvation. Such faith, if genuine, leads to the reception of the transforming influences of God’s grace and to a life of love, obedience, and service to God. These consequences of faith, however, are considered under the heading of sanctification rather than justification. The rival Roman Catholic doctrine of justification – often mislabeled by Protestants as “justification by works” – understands key terms differently. ‘Being just’ is understood not primarily in forensic terms but rather as a comprehensive state of being rightly related to God, including the forgiveness of sins, the reception of divine grace, and inner transformation. Justification is a work of God initially accomplished at baptism; among the human “predispositions” for justification are faith (understood as believing the truths God has revealed), awareness of one’s sinfulness, hope in God’s mercy, and a resolve to do what God requires. Salvation is a gift of God that is not deserved by human beings, but the measure of grace bestowed depends to some extent on the sincere efforts of the sinner who is seeking salvation. The Protestant and Catholic doctrines are not fully consistent with each other, but neither are they the polar opposites they are often made to appear by the caricatures each side offers of the other.

finis: H. P. Grice, "Cum finis est licitus, etiam media sunt licita" -- "Der Zweck und die Mittel.” Grice: “means-end rationality is a must” -- finitum -- telos, ancient Grecian term meaning ‘end’ or ‘purpose’. Telos is a key concept not only in Grecian ethics but also in Grecian science. The purpose of a human being is a good life, and human activities are evaluated according to whether they lead to or manifest this telos. Plants, animals, and even inanimate objects were also thought to have a telos through which their activities and relations could be understood and evaluated. Though a telos could be something that transcends human activities and sensible things, as Plato thought, it need not be anything apart from nature. Aristotle, e.g., identified the telos of a sensible thing with its immanent form. It follows that the purpose of the thing is simply to be what it is and that, in general, a thing pursues its purpose when it endeavors to preserve itself. Aristotle’s view shows that ‘purpose in nature’ need not mean a higher purpose beyond nature. Yet, his immanent purpose does not exclude “higher” purposes, and Aristotelian teleology was pressed into service by medieval thinkers as a framework for understanding God’s agency through nature. Thinkers in the modern period argued against the prominent role accorded to telos by ancient telepathy telos 906   906 and medieval thinkers, and they replaced it with analyses in terms of mechanism and law. teleology, the philosophical doctrine that all of nature, or at least intentional agents, are goaldirected or functionally organized. Plato first suggested that the organization of the natural world can be understood by comparing it to the behavior of an intentional agent  external teleology. For example, human beings can anticipate the future and behave in ways calculated to realize their telekinesis teleology 905   905 intentions. Aristotle invested nature itself with goals  internal teleology. Each kind has its own final cause, and entities are so constructed that they tend to realize this goal. Heavenly bodies travel as nearly as they are able in perfect circles because that is their nature, while horses give rise to other horses because that is their nature. Natural theologians combined these two teleological perspectives to explain all phenomena by reference to the intentions of a beneficent, omniscient, all-powerful God. God so constructed the world that each entity is invested with the tendency to fulfill its own God-given nature. Darwin explained the teleological character of the living world non-teleologically. The evolutionary process is not itself teleological, but it gives rise to functionally organized systems and intentional agents. Present-day philosophers acknowledge intentional behavior and functional organization but attempt to explain both without reference to a supernatural agent or internal natures of the more metaphysical sort. Instead, they define ‘function’ cybernetically, in terms of persistence toward a goal state under varying conditions, or etiologically, in terms of the contribution that a structure or action makes to the realization of a goal state. These definitions confront a battery of counterexamples designed to show that the condition mentioned is either not necessary, not sufficient, or both; e.g., missing goal objects, too many goals, or functional equivalents. The trend has been to decrease the scope of teleological explanations from all of nature, to the organization of those entities that arise through natural selection, to their final refuge in the behavior of human beings. Behaviorists have attempted to eliminate this last vestige of teleology. Just as natural selection makes the attribution of goals for biological species redundant, the selection of behavior in terms of its consequences is designed to make any reference to intentions on the part of human beings unnecessary.  Kant, in fact, for reasons not unlike these, sought to show the validity of a different but fairly closely related Technical Imperative by just such a method. The form which he selects is one which, in my terms, would be represented by "It is fully acceptable, given let it be that B, that let it be that A" or "It is necessary, given let it be that B, that let it be that A". Applying this to the one fully stated technical imperative given in Grundlegung, we get "It is necessary, given let it be that one bisect a line on an unerring principle, that let it be that I draw from its extremities two intersecting arcs". Call this statement, (α). Though he does not express himself very clearly, I am certain that his claim is that this imperative is validated in virtue of the fact that it is, analytically, a consequence of an indicative statement which is true and, in the present context, unproblematic, namely, the statement vouched for by geometry, that if one bisects a line on an unerring principle, then one does so only as a result of having drawn from its extremities two intersecting arcs. Call this statement, (β). His argument seems to be expressible as follows. (1) It is analytic that he who wills the end (so far as reason decides his conduct), wills the indispensable means thereto. (2) So it is analytic that (so far as one is rational) if one wills that A, and judges that if A, then A as a result of B, then one wills that B. end p.93 (3) So it is analytic that (so far as one is rational) if one judges that if A, then A as a result of B, then if one wills that A then one wills that B. (4) So it is analytic that, if it is true that if A, then A as a result of B, then if let it be that A, then it must be that let it be that B. From which, by substitution, we derive (5): it is analytic that if β then α. Now it seems to me to be meritorious, on Kant's part, first that he saw a need to justify hypothetical imperatives of this sort, which it is only too easy to take for granted, and second that he invoked the principle that "he who wills the end, wills the means"; intuitively, this invocation seems right. Unfortunately, however, the step from (3) to (4) seems open to dispute on two different counts. (1) It looks as if an unwarranted 'must' has appeared in the consequent of the conditional which is claimed, in (4), as analytic; the most that, to all appearances, could be claimed as being true of the antecedent is that 'if let it be that A then let it be that B'. (2) (Perhaps more serious.) It is by no means clear by what right the psychological verbs 'judge' and 'will', which appear in (3), are omitted in (4); how does an (alleged) analytic connection between (i) judging that if A, A as a result of B and (ii) its being the case that if one wills that A then one wills that B yield an analytic connection between (i) it's being the case that if A, A as a result of B and (ii) the 'proposition' that if let it be that A then let it be that B? Can the presence in (3) of the phrase "in so far as one is rational" legitimize this step? I do not know what remedy to propose for the first of these two difficulties; but I will attempt a reconstruction of Kant's line of argument which might provide relief from the second. It might, indeed, even be an expansion of Kant's actual thinking; but whether or not this is so, I am a very long way from being confident in its adequacy. (1) Let us suppose it to be a fundamental psychological law that, ceteris paribus, for any creature x (of a sufficiently developed kind), no matter what A and B are, if x wills A and judges that if A, A only as a result of B, then x wills B. This I take to be a proper representation of "he who wills the end, wills the indispensable means"; and in calling it a fundamental law I mean that it is the end p.94 law, or one of the laws, from which 'willing' and 'judging' derive their sense as names of concepts which explain behaviour. So, I assume, to reject it would be to deprive these words of their sense. If x is a rational creature, since in this case his attitudes of acceptance are at least to some degree under his control (volitive or judicative assent can be withheld or refused), this law will hold for him only if the following is true: (2) x wills (it is x's will) that (for any A, B) if x wills that A and judges that if A, A only as a result of B, then x is to will that B. In so far as x proceeds rationally, x should will as specified in (2) only if x judges that if it is satisfactory to will that A and also satisfactory to judge that if A, A only as a result of B, then it is satisfactory to will that B; otherwise, in willing as specified in (2), he will be willing to run the risk of passing from satisfactory attitudes to unsatisfactory ones. So, given that x wills as specified in (2): (3) x should (qua rational) judge that (for any A, B) if it is satisfactory to will that A and also satisfactory to judge that if A, A only as a result of B, then it is satisfactory to will that B. Since the satisfactoriness of attitudes of acceptance resolves itself into the satisfactoriness (in the sense distinguished in the previous chapter) of the contents of those attitudes (marked by the appropriate mode-markers), if x judges as specified in (3) then: (4) x should (qua rational) judge that (for any A, B) if it is satisfactory that ! A and also satisfactory that if it is the case that A, A only as a result of B, then it is satisfactory that ! B. And, if x judges as in (4), then (because (A & B → C) yields A → (B → C)): (5) x should judge that (for any A, B) if it is satisfactory that if A, A only because B, then it is satisfactory that, if let it be that A, then let it be that B. But if x judges that satisfactoriness is, for any A, B, transmitted in this particular way, then: (6) x should judge that (for any A, B) if A, A only because B, yields if let it be that A, then let it be that B. end p.95 But if any rational being should (qua rational) judge that (for any A, B) the first 'propositional' form yields the second, then the first propositional form does yield the second; so: (7) (For any A, B) if A, A only because B yields if let it be that A, then let it be that B. (A special apology for the particularly violent disregard of 'use and mention'; my usual reason is offered.) Fig. 4 summarizes the steps of the argument. I. Kant's Steps α = It is necessary, given let it be that one bisect a line on an unerring principle, that let it be that I draw from its extremities two intersecting arcs. β = If one bisects a line on an unerring principle, then one does so only as a result of having drawn from its extremities two intersecting arcs. (1) It is analytic that (so far as he is rational) he who wills the end wills the means. (2) It is analytic that (so far as one is rational) if one wills that A, and judges that if A, then A only as a result of B, then one wills that B. (3) It is analytic that (so far as one is rational) if one judges that if A, A as a result of B, then if one wills that A one wills that B. (4) It is analytic that if, if A, then A as a result of B, then, if let it be that A, then it must be that let it be that B. (5) It is analytic that if β, then α. Grice goes on to provide some Reconstruction Steps (1) Fundamental law that (ceteris paribus) for any creature x (for any A, B), if x wills A and judges that if A, then A as a result of B; then x wills B. (2) x wills that (for any A, B) if x wills A and judges that if A, A as a result of B, then x is to will that B. (3) x should (qua rational) judge that (for any A, B) if it is satisfactory to will that A and also satisfactory to judge that if A, A only as a result of B, then it is satisfactory to will that B. (4) x should (qua rational) judge that (for any A, B) if it is satisfactory that ! A and also satisfactory that if A, then A only as a result of B, then it is satisfactory that ! B. (5) x should (q.r.) judge that (for any A, B) if it is satisfactory that if A, A only because B, then it is satisfactory that, if let it be that A, then let it be that B. (6) x should (q.r.) judge that (for any A, B) if A, A only because B, yields if let it be that A, then let it be that B. (7) (For any A, B) if A, A only because B yields if let it be that A, then let it be that B. Fig. 4. Validation of Technical Acceptabilities end p.96 Prudential Acceptability It will be convenient to initiate the discussion of this topic by again referring to Kant. Kant thought that there is a special sub-class of Hypothetical Imperatives (which he called "counsels of prudence") which were like his class of Technical Imperatives, except in that the end specified in a full statement of the imperative is the special end of Happiness (one's happiness). To translate into my terminology, this seems to amount to the thesis that there is a special subclass of, for example, singular practical acceptability conditionals which exemplifies the structure "it is acceptable, given that let a (an individual) be happy, that let a be (do) G"; an additional indicative sub-antecedent ("that it is the case that a is F") might be sometimes needed, and could be added without difficulty. There would, presumably, be a corresponding special subclass of acceptability generalizations. The main characteristics which Kant would attribute to such prudential acceptability conditionals would, I think, be the following. (1) The foundation for such conditionals is exactly the same as that for technical imperatives; they would be treated as being, in principle, analytically consequences of indicative statements to the effect that so-and-so is a (the) means to such-and-such. The relation between my doing philosophy now and my being happy would be a causal relation not significantly different from the relation between my taking an aspirin and my being relieved of my headache. (2) However, though the relation would be the same, the question whether in fact my doing philosophy now will promote my happiness is insoluble; to solve it, I should have to be omniscient, since I should have to determine that my doing philosophy now would lead to "a maximum of welfare in my present and all future circumstances". (3) The special end (happiness) of specific prudential acceptability conditionals is one which we know that, as a matter of "natural necessity", every human being has; so, unlike technical imperatives, their applicability to himself cannot be disclaimed by any human being. end p.97 (4) Before we bring in the demands of morality (which will prescribe concern for our own happiness as a derivative duty), the only positive evaluation of a desire for one's happiness is an alethic evaluation; one ought to, or must, desire one's own happiness only in the sense that, whoever one may be, it is acceptable that it is the case that one desire one's own happiness; the 'ought' or 'must' is non-practical. (This position seems to me akin to a Humean appeal to 'natural dispositions', in place of justification.) I would wish to disagree with Kant in two, or possibly three, ways.(1) Kant, I think, did not devote a great deal of thought to the nature of happiness, no doubt because he regarded it as being of little importance to the philosophical foundations of morality. So it is not clear whether he regarded happiness as a distinct end from the variety of ends which one might pursue with a view to happiness, rather than as a complex end which includes (in some sense of 'include') some of such ends. If he did regard it as a distinct end, then I think he was wrong. (2) I think he was certainly wrong in thinking of something's being conducive to happiness as being on all fours with, say, something's being conducive to the relief of a headache; as, perhaps, a matter (in both cases) of causal relationship. (3) I would like to think him wrong in thinking that (morality apart) there is no practical interpretation of 'ought' in which one ought to pursue (desire, aim at) one's own happiness. We have, then, three not unconnected questions which demand some attention. (A) What is the nature of happiness? (B) In what sense (if any) (and why) should I desire, or aim at, my own happiness? (C) What is the nature of the connection between things which are conducive to happiness and happiness? (What, specifically, is implied by 'conducive'?) Though it is fiendishly difficult, I shall take up question (C) first. I trust that I will be forgiven if I do not present a full and coherent answer. Let us take a brief look at Aristotle. Aristotle was, I think, more sophisticated in this area. end p.98 (1) Though it is by no means beyond dispute, I am disposed to think that he did regard Happiness (eudaemonia) as a complex end 'containing' (in some sense) the ends which are constitutive of happiness; to use the jargon of recent commentators, I suspect he regarded it as an 'inclusive' and not a 'dominant' end. (2) He certainly thought that one should (practical 'should') aim at one's own happiness. (3) (The matter directly relevant to my present purpose.) I strongly suspect that he did not think that the relationship between, say, my doing philosophy and my happiness was a straightforward causal relationship. The passage which I have in mind is Nicomachean Ethics VI. 12, 13, where he distinguishes between wisdom ("practical wisdom") and cleverness (or, one might say, resourcefulness). He there makes the following statements: (a) that wisdom is not the same as cleverness, though like it, (b) that wisdom does not exist without cleverness, (c) that wisdom is always laudable (to be wise one must be virtuous), but cleverness is not always laudable, for example, in rogues, (d) that the relation between wisdom and cleverness is analogous to the relation between 'natural' virtue and virtue proper (he says this in the same place as he says (a)). Faced with these not exactly voluminous remarks, some commentators have been led (not I think without reluctance) to interpret Aristotle as holding that the only difference between wisdom and cleverness is that the former does, and the latter does not, require the presence of virtue; to be wise is simply to be clever in good causes. Apart from the fact that additional difficulties are generated thereby, with respect to the interpretation of Nicomachean Ethics VI, to attribute this view to Aristotle does not seem to indicate a very high respect for his wisdom, particularly as the text does not seem to demand such an interpretation. Following an idea once given me, long ago, by Austin, I would prefer to think of Aristotle as distinguishing between the characteristic manifestation of wisdom, namely, the ability to determine what one should do (what should be done), and the characteristic manifestation of cleverness, which is the ability to determine how to do what it is that should be done. On this interpretation cleverness would plainly be in a certain sense subordinate to wisdom, since opportunity for cleverness (and associated qualities) will only end p.99 arise after there has been some determination of what it is that is to be done. It may also be helpful (suggestive) to think of wisdom as being (or being assimilable to) administrative ability, with cleverness being comparable with executive ability. I would also like to connect cleverness, initially, with the ability to recognize (devise) technical acceptabilities (though its scope might be larger than this), while wisdom is shown primarily in other directions. On such assumptions, expansion of the still obscureAristotelian distinction is plainly a way of pursuing question (C), or questions closely related to it; for we will be asking what other kinds of acceptabilities (beyond 'technical' acceptabilities) we need in order to engage (or engage effectively) in practical reasoning. I fear my contribution here will be sketchy and not very systematic. We might start by exploring a little further the 'administrative/ executive' distinction, a distinction which, I must admit, is extremely hazy and also not at all hard and fast (lines might be drawn, in different cases, in quite different places). A boss tells his secretary that he will be travelling on business to suchand-such places, next week, and asks her to arrange travel and accommodation for him. I suspect that there is nothing peculiar about that. But suppose, instead of giving her those instructions, he had said to her that he wanted to travel on business somewhere or other, next week, and asked her to arrange destinations, matters to be negotiated, firms to negotiate with, and brief him about what to say to those whom he would visit. That would be a little more unusual, and the secretary might reply angrily, "I am paid to be your secretary, not to run your business for you, let alone run you." What (philosophically) differentiates the two cases? Let us call a desire or intention D which a man has at t "terminal for him at t" if there is no desire or intention which he has at t, which is more specific than D; if, for example, a man wanted at t a car, but it was also true of him that he wanted a Mercedes, then his desire for a car would not be terminal. Now I think we can (roughly) distinguish (at least) three ways in which a terminal desire may be non-specific. (1) D may be finitely non-specific; for example, a man may want a large, fierce dog (to guard his house) and not care at all what kind of large, fierce dog he acquired; any kind will do (at least within end p.100 some normal range). Furthermore, he does not envisage his attitude, that any kind will do, being changed when action-time comes; he will of course get some particular kind of dog, but what kind will simply depend on such things as availability. (2) D may be indeterminately non-specific: that is to say the desirer may recognize, and intend, that before he acts the desire or intention D should be made more specific than it is; he has decided, say, that he wants a large, fierce dog, but has not yet decided what kind he wants. It seems to me that an indeterminately non-specific desire or intention differs from a finitely non-specific desire in a way which is relevant to the application of the concept of 'meanstaking'. If the man with the finitely non-specific desire for a large, fierce dog decides on a mastiff, that would be (or at least could be) a case of choosing a mastiff as a means to having a large, fierce dog, but not something of which getting a large, fierce dog would be an effect. But, if the man with the indeterminate desire for a large, fierce dog decides that he wants a mastiff (as a further determination of that indeterminate desire), that is not a case of meanspicking at all. (3) There is a further kind of non-specificity which I mention only with a view to completeness: a desire D may be vaguely, or indefinitely, non-specific; a man may have decided that he wants a large, fierce dog, but it may not be very well defined what could count as a large, fierce dog; a mastiff would count, and a Pekinese would not, but what about a red setter? In such cases the desire or intention needs to be interpreted, but not to be further specified. With regard to the first two kinds of non-specificity, there are some remarks to be made. (1) We do not usually (if we are sensible) make our desires more determinate than the occasion demands; if getting a dog is not a present prospect, a man who decides exactly what kind of dog he would like is engaging in fantasy. (2) The final stage of determination may be left to the occasion of action; if I want to buy some fancy curtains, I may leave the full determination of the kind until I see them in the store. (3) Circumstances may change the status of a desire; a man may have a finitely non-specific desire for a dog until he talks to end p.101 his wife, who changes things for him (making his desire indeterminately non-specific). (4) Indeterminately non-specific desires may of course be founded (and well founded) on reasons, and so may be not merely desires one does have but also desires which one should have.We may now return to the boss and his secretary. It seems to me that what the 'normally' behaved boss does (assuming that he has a very new and inexperienced secretary) is to reach a finitely non-specific desire or intention (or a set of such), communicate these to his secretary, and leave to her the implementation of this (these) intention(s); he presumes that nothing which she will do, and no problem which she will encounter, will disturb his intention (for, within reasonable limits, he does not care what she does), even though her execution of her tasks may well involve considerable skill and diplomacy (deinotes). If she is more senior, then he may well not himself reach a finitely, but only an indeterminately, non-specific intention, leaving it to her to complete the determination and trusting her to do so more or less as he would himself. If she reaches a position in which she is empowered to make determinate his intentions not as she thinks he would think best, but as she thinks best, then I would say that she has ceased to be a secretary and has become an administrative assistant. This might be a convenient place to refer briefly to a distinction which is of some importance in practical thinking which is not just a matter of finding a means, of one sort or another, to an already fixed goal, and which is fairly closely related to the process of determination which I have been describing. This is the distinction between non-propositional ends, like power, wealth, skill at chess, gardening; and propositional or objective ends, like to get the Dean to agree with my proposal, or that my uncle should go to jail for his peculations of the family money. Non-propositional ends are in my view universals, the kind of items to be named by mass-terms or abstract nouns. I should like to regard their non-propositional appearance as genuine; I would like them to be not only things which we can be said to pursue, but also things which we can be said to care about; and I would not want to reduce 'caring about' to 'caring that', though of course there is an intimate end p.102 connection between these kinds of caring. I would like to make the following points. (1) Non-propositional ends enter into the most primitive kinds of psychological explanation; the behaviour of lower animals is to be explained in terms of their wanting food, not of their wanting (say) to eat an apple. (2) Non-propositional ends are characteristically variable in degree, and the degrees are valuationally ordered; for one who wants wealth, a greater degree of wealth is (normally) preferable to a lesser degree. (3) They are the type, I think, to which ultimate ends which are constitutive of happiness belong; and not without reason, since their non-propositional, and often non-temporal, character renders them fit members of an enduring system which is designed to guide conduct in particular cases. (4) The process of determination applies to them, indeed, starts with them; desire for power is (say) rendered more determinate as desire for political power; and objectives (to get the position of Prime Minister) may be reached by determination applied to non-propositional ends. (5) Though it is clear to me that the distinction exists, and that a number of particular items can be placed on one side or another of the barrier, there is a host of uncertain examples, and the distinction is not easy to apply. Let us now look at things from her (the secretary's) angle. First, many (indeed most) of the things she does, though perhaps cases of means-finding, will not be cases of finding means of the kind which philosophers usually focus on, namely, causal means. She gets him an air-ticket, which enables, but does not cause, him to travel to Kalamazoo, Michigan; she arranges by telephone for him to stay at the Hotel Goosepimple; his being booked in there is not an effect but an intended outcome of her conversation on the telephone; and his being booked in at that hotel is not a cause of his being booked at a hotel, but a way in which that situation or circumstance is realized. Second, if during her operations she discovers that there is an epidemic of yellow fever at Kalamazoo, she does not (unless she wishes to be fired) go blindly ahead and book him in; she consults him, because something has now happened end p.103 which will (if he knows of it) disturb his finitely non-specific intention; indeed may confront the boss with a plurality of conflicting (or apparently conflicting) ends or desiderata; a situation which is next in line for consideration. Before turning to it, however, I think I should remark that the kind of featureswhich have shown up in this interpersonal transaction are also characteristic of solitary deliberation, when the deliberator executes his own decisions. We are now, we suppose, at a stage at which the secretary has come back to the boss to announce that if she executes the task given her (implements the decision about what to do which he has reached), there is such-and-such a snag; that is, the decision can be implemented only at the cost of a consequence which will (or which she suspects may) dispromote some further end which he wants to promote, or promote some "counter-end" which he wants to dispromote. (1) We may remark that this kind of problem is not something which only arises after a finitely non-specific intention has been formed; exactly parallel problems are frequently, though not invariably, encountered on the way towards a finitely non-specific intention or desire. This prompts a further comment on Aristotle's remark that, though wisdom is not identical with cleverness, wisdom does not exist without cleverness. This dictum covers two distinct truths; first, that if a man were good at deciding what to do, but terrible at executing it (he makes a hash of working out train times, he is tactless with customs officials, he irritates hotel clerks into non-cooperation), one might hesitate to confer upon him the title 'wise'; at least a modicum of cleverness is required. Second, and more interestingly, cleverness is liable to be manifested at all stages of deliberation; every time a snag arises in connection with a tentative determination of one's will, provided that the snag is not blatantly obvious, some degree of cleverness is manifested in seeing that, if one does such-and-such (as one contemplates doing), then there will be the undesirable result that so-and-so. (2) The boss may now have to determine how 'deep' the snag is, how radically his plan will have to be altered to surmount it. To lay things out a bit, the boss might (in some sense of 'might'), in his deliberation, have formed successively a series of indeterminately non-specific intentions (I i , I ii , I iii , . . . I n ), where each end p.104 member is a more specific determination of its predecessor, and I n represents the final decision which he imparted to the secretary. He now (the idea is) goes back to this sequence to find the most general (least specific) member which is such that if he has that intention, then he is saddled with the unwanted consequences. He then knows where modification is required. Of course, in practice he may very well not have constructed such a convenient sequence; if he has not, then he has partially to construct one on receipt of the bad news from the secretary, to construct one (that is) which is just sufficiently well filled in to enable him to be confident that a particular element in it is the most generic intention of those he has, which generates the undesirable consequence. Having now decided which desire or intention to remove, how does he decide what to put in its place? How, in effect, does he 'compound' his surviving end or ends with the new desideratum, the attainment of the end (or the avoidance of the counter-end) which has been brought to light by the snag? Now I have to confess that in connection with this kind of problem, I used to entertain a certain kind of picture. Let us label (for simplicity) initially just two ends E1 and E2, with degrees of "objective desirability" d 1 and d 2 . For any action a 1 which might realize E1, or E2, there will be a certain probability p 1 that it will realize E1, a certain probability p 2 that it will realize E2, and a probability p 12 (a function of p 1 and p 2 ) that it will realize both. If E1 and E2 are inconsistent (again, for simplicity, let us suppose they are) p 12 will be zero. We can now, in principle, characterize the desirability of the action a 1 , relative to each end (E1 and E2), and to each combination of ends (here just E1 and E2), as a function of the desirability of the end and the probability that the action a 1 will realize that end, or combination of ends. If we envisage a range of possible actions, which includes a 1 together with other actions, we can imagine that each such action has a certain degree of desirability relative to each end (E1 and (or) E2) and to their combination. If we suppose that, for each possible action, these desirabilities can be compounded (perhaps added), then we can suppose that one particular possible action scored higher (in actiondesirability relative to these ends) than any alternative possible action; and that this is the action which wins out; that is, is the action which is, or at least should, end p.105 be performed. (The computation would in fact be more complex than I have described, once account is taken of the fact that the ends involved are often not definite (determinate) states of affairs(like becoming President), but are variable in respect of the degree to which they might be realized (if one's end is to make a profit from a deal, that profit might be of a varying magnitude); so one would have to consider not merely the likelihood of a particular action's realizing the end of making a profit, but also the likelihood of its realizing that end to this or that degree; and this would considerably complicate the computational problem.) No doubt most readers are far too sensible ever to have entertained any picture even remotely resembling the "Crazy-Bayesy" one I have just described. I was not, of course, so foolish as to suppose that such a picture represents the manner in which anybody actually decides what to do, though I did (at one point) consider the possibility that it might mirror, or reflect, a process actually taking place in the physiological underpinnings of psychological states (desires and beliefs), a process in the 'animal spirits', so to speak. I rather thought that it might represent an ideal, a procedure which is certainly unrealized in fact, and quite possibly one which is in principle unrealizable in fact, but still something to which the procedures we actually use might be thought of as approximations, something for which they are substitutes; with the additional thought that the closer the approximation the better the procedure. The inspirational source of such pictures as this seems to me to be the very pervasive conception of a mechanical model for the operations of the soul; desires are like forces to which we are subject; and their influence on us, in combination, is like the vectoring of forces. I am not at all sure that I regard this as a good model; the strength of its appeal may depend considerably on the fact that some model is needed, and that, if this one is not chosen, it is not clear what alternative model is available. If we are not to make use of any variant of my one-time picture, how are we to give a general representation of the treatment of conflicting or competing ends? It seems to me that, for example, the accountant with the injured wife in Boise might, in the first instance, try to keep everything, to fulfil all relevant ends; he might think of telephoning Redwood City to see if his firm could postpone for a week the preparation of their accounts. If this is end p.106 ineffective, then he would operate on some system of priorities. Looking after his wife plainly takes precedence over attention to his firm's accounting, and over visiting his mother. But having settled on measures which provide adequately for his wife's needs, he then makes whatever adjustments he can to provide for the ends which have lost the day. What he does not do, as a rule, is to compromise; even with regard to his previous decision involving the conflict between the claims of his firm and his mother, substantially he adopted a plan which would satisfy the claims of the firm, incorporating therein a weekend with mother as a way of doing what he could for her, having given priority to the claims of the firm. Such systems of priorities seem to me to have, among their significant features, the following. (1) They may be quite complex, and involve sub-systems of priorities within a single main level of priority. It may be that, for me, family concerns have priority over business concerns; and also that, within the area of family concerns, matters affecting my children have priority over matters concerning Aunt Jemima, whs been living with us all these years. (2) There is a distinction between a standing, relatively long-term system of priorities, and its application to particular occasions, with what might be thought of as divergences between the two. Even though my relations with my children have, in general, priority over my relations with Aunt Jemima, on a particular occasion I may accord priority to spending time with Aunt Jemima to get her out of one of her tantrums over taking my son to the zoo to see the hippopotami. It seems to me that a further important feature of practical thinking, which plays its part in simplifying the handling of problems with which such thinking is concerned, is what I might call its 'revisionist' character (in a non-practical sense of that term). Our desires, and ascriptions of desirability, may be relative in more than one way. They may be 'desire-relative' in that my desiring A, or my regarding A as desirable, may be dependent on my desiring, or regarding as desirable, B; the desire for, or the desirability of, A may be parasitic on a desire for, or the desirability of, B. This is the familiar case of A's being desired, or desirable for the sake of B. But desires and desirabilities may be relative in another slightly less banal way, which end p.107 (initially) one might think of as 'fact-relativity'. They may be relative to some actual or supposed prevailing situation; and, relative to such prevailing situations, things may be desired or thought desirablewhich would not normally be so regarded. A man who has been sentenced to be hanged, drawn, and quartered may be relieved and even delighted when he hears that the sentence has been changed to beheading; and a man whose wealth runs into hundreds of millions may be considerably upset if he loses a million or so on a particular transaction. Indeed, sometimes, one is led to suspect that the richer one is, the more one is liable to mind such decrements; witness the story, no doubt apocryphal, that Paul Getty had pay-telephones installed in his house for the use of his guests. The phenomenon of 'fact-relativity' seems to reach at least to some extent into the area of moral desirabilities. It can be used, I think, to provide a natural way of disposing of the Good Samaritan paradox; and if one recalls the parable of the Prodigal Son, one may reflect that what incensed the for so long blameless son was that there should be all that junketing about a fact-relative desirability manifested by his errant brother; why should one get a party for that? It perhaps fits in very well with these reflections that our practical thinking, or a great part of it, should be revisionist or incremental in character; that what very frequently happens is that we find something in the prevailing situation (or the situation anticipated as prevailing) which could do with improvement or remove a blemish. We do not, normally, set to work to construct a minor Utopia. It is notable that aversions play a particularly important role in incremental deliberations; and it is perhaps just that (up to a point) the removal of objects of aversion should take precedence over the installation of objects of desire. If I have to do without something which I desire, the desired object is not (unless the desire is extreme) constantly present in imagination to remind me that I am doing without it; but if I have to do or have something which I dislike, the object of aversion is present in reality, and so difficult to escape. This revisionist kind of thinking seems to me to extend from the loftiest problems (how to plan my life, which becomes how to improve on the pattern which prevails) to the smallest (how to arrange the furniture); and it extends also, at the next move so to speak, to the projected improvements which I entertain in thought; I seek to improve on them; a master chess-player, end p.108 it is said, sees at once what would be a good move for him to make; all his thought is devoted to trying to find a better one. When one looks at the matter a little more closely, one sees that 'fact-relative' desirability is really desirability relative to an anticipated, expected, or feared temporal extension of the actual state of affairs which prevails (an extension which is not necessarily identical with what prevails, but which will come about unless something is done about it). And looked at a little more closely still, such desires or desirabilities are seen to be essentially comparative; what we try for is thought of as better than the anticipated state which prompts us to try for it. This raises the large and difficult question, how far is desirability of its nature comparative? Is it just that the pundits have not yet given us a non-comparative concept of desirability, or is there something in the nature of desire, or in the use we want to make of the concept of desirability, which is a good reason why we cannot have, or should not have, a noncomparative concept? Or, perhaps, we do have one, which operates only in limited regions? Certainly we do not have to think in narrowly incremental ways, as is attested by those who seek to comfort us (or discomfort us) by getting us to count our blessings (or the reverse); by, for example, pointing out that being beheaded is not really so hot, or that, if you have 200 million left after a bad deal, you are not doing so badly. Are such comforters abandoning comparative desirability, or are they merely shifting the term of comparison? Do we find non-comparative desirability (perhaps among other regions) in moral regions? If we say that a man is honest, we are likely to mean that he is at least not less honest than the average; but we do not expect a man, who wants or tries to be honest, just to want or try to be averagely honest. Nor do we expect him to aspire to supreme or perfect honesty (that might be a trifle presumptuous). We do expect, perhaps, that he try to be as honest as he can, which may mean that we don't expect him to form aspirations with regard to a lifetime record of any sort for honesty, but we do expect him to try on each occasion, or limited bunch of occasions, to be impeccably honest on those occasions, even though we know (and he knows) that on some occasions at some times there will or may be lapses. If something like this interpretation be correct, it may correspond to a general feature of universals (non-propositional ends) of which one cannot have end p.109 too much, a type of which certain moral universals are specimens; desirabilities in the case of such universals are, perhaps, not comparative. But these are unworked-out speculations.To summarize briefly this rambling, hopefully somewhat diagnostic, and certainly unsystematic discussion. I have suggested, in a preliminary enquiry into practical acceptability which is other than technical acceptability: (1) that practical thinking, which is not just means-end thinking, includes the determination or sharpening of antecedently indeterminate desires and intentions; (2) that means-end thinking is involved in the process of such determination; (3) that a certain sort of computational model may not be suitable; (4) that systems of priorities, both general and tailored to occasions, are central; (5) that much, though not perhaps all, of practical thinking is revisionist and comparative in character. I turn now to a brief consideration of questions (A) and (B) which I distinguished earlier, and left on one side. These questions are: (A) What is the nature of happiness? (B) In what sense, and why, should I desire or aim at my own happiness? I shall take them together. First, question (B) seems to me to divide, on closer examination, into three further questions. (1) Is there justification for the supposition that one should, other things being equal, voluntarily continue one's existence, rather than end it? (2) (Given that the answer to (1) is 'yes'.) Is there justification for the idea that one should desire or seek to be happy? (3) (Given that the answer to (2) is 'yes'.) Is there a way of justifying (evaluating favourably) the acceptance of some particular set of ends (as distinct from all other such sets) as constitutive of happiness (or of my happiness)? end p.110 The second and third questions, particularly the third, are closely related to, and likely to be dependent on, the account of happiness provided in answer to question (A); indeed, such an account might wholly or partly provide an answer to question (3), since "happiness" might turn out to be a valueparadigmatic term, the meaning of which dictates that to be happy is to have a combination of ends which (the combination) is valuable with respect to some particular purpose or point of view. I shall say nothing about the first two questions; one or both of these would, I suspect, require a careful treatment of the idea of Final Causes, which so far I have not even mentioned. I will discuss the third question and question (A) in the next chapter. end p.111 5 Some Reflections About Ends and Happiness I The topic which I have chosen is one which eminently deserves a thorough, systematic, and fully theoretical treatment; such an approach would involve, I suspect, a careful analysis of the often subtly different kinds of state which may be denoted by the word 'want', together with a comprehensive examination of the role which different sorts of wanting play in the psychological equipment of rational (and non-rational) creatures. While I hope to touch on matters of this sort, I do not feel myself to be quite in a position to attempt an analysis of this kind, which would in any case be a very lengthy undertaking. So, to give direction to my discussion, and to keep it within tolerable limits, I shall relate it to some questions arising out of Aristotle's handling of this topic in the Nicomachean Ethics; such a procedure on my part may have the additional advantage of emphasizing the idea, in which I believe, that the proper habitat for such great works of the past as the Nicomachean Ethics is not the museums but the marketplaces of philosophy. My initial Aristotelian question concerns two conditions which Aristotle supposes to have to be satisfied by whatever is to be recognized as being the good for man. At the beginning of Nicomachean Ethics I. 4, Aristotle notes that there is general agreement that the good for man is to be identified with eudaemonia (which may or may not be well rendered as 'happiness'), and that this in turn is to be identified with living well and with doing well; but remarks that there is large-scale disagreement with respect to any further and more informative specification of eudaemonia. In I. 7 he seeksend p.112 to confirm the identification of the good for man with eudaemonia by specifying two features, maximal finality (unqualified finality) and self-sufficiency, which, supposedly, both are required of anything which is to qualify as the good for man, and are also satisfied by eudaemonia. 'Maximal finality' is defined as follows: "Now we call that which is in itself worthy of pursuit more final than that which is worthy of pursuit for the sake of something else, and that which is never desirable for the sake of something else more final than the things which are desirable both in themselves and for the sake of that other thing, and therefore we call final without qualification that which is always desirable in itself and never for the sake of something else." Eudaemonia seems (intuitively) to satisfy this condition; such things as honour, pleasure, reason, and virtue (the most popular candidates for identification with the good for man and with eudaemonia) are chosen indeed for themselves (they would be worthy of choice even if nothing resulted from them); but they are also chosen for the sake of eudaemonia, since "we judge that by means of them we shall be happy". Eudaemonia, however, is never chosen for the sake of anything other than itself. After some preliminaries, the relevant sense of 'self-sufficiency' is defined thus: "The selfsufficient we now define as that which when isolated makes life desirable and lacking in nothing." Eudaemonia, again, appears to satisfy this condition too; and Aristotle adds the possibly important comment that eudaemonia is thought to be "the most desirable of all things, without being counted as one good thing among others". This remark might be taken to suggest that, in Aristotle's view, it is not merely true that the possession of eudaemonia cannot be improved upon by the addition of any other good, but it is true because eudaemonia is a special kind of good, one which it would be inappropriate to rank alongside other goods. This passage in Nicomachean Ethics raises in my mindseveral queries: (1) It is, I suspect, normally assumed by commentators that Aristotle thinks of eudaemonia as being the only item which satisfies the condition of maximal finality. This uniqueness claim is not, however, explicitly made in the passage (nor, so far as I can recollect, elsewhere); nor is it clear to me that if it were made it end p.113 would be correct. Might it not be that, for example, lazing in the sun is desired, and is desirable, for its own sake, and yet is not something which is also desirable for the sake of something else, not even for the sake of happiness? If it should turn out that there is a distinction, within the class of things desirable for their own sake (I-desirables), between those which are also desirable for the sake of eudaemonia (H-desirables) and those which are not, then the further question arises whether there is any common feature which distinguishes items which are (directly) H-desirable, and, if so, what it is. This question will reappear later. (2) Aristotle claims that honour, reason, pleasure, and virtue are all both I-desirable and Hdesirable. But, at this stage in the Nicomachean Ethics, these are uneliminated candidates for identification with eudaemonia; and, indeed, Aristotle himself later identifies, at least in a sort of way, a special version of one of them (metaphysical contemplation) with eudaemonia. Suppose that it were to be established that one of these candidates (say, honour) is successful. Would not Aristotle then be committed to holding that honour is both desirable for its own sake, and also desirable for the sake of something other than honour, namely, eudaemonia, that is, honour? It is not clear, moreover, that this prima facie inconsistency can be eliminated by an appeal to the non-extensionality of the context "——is desirable". For while the argument-pattern 'α is desirable for the sake of β, β is identical with γ; so, α is desirable for the sake of γ' may be invalid, it is by no means clear that the argument-pattern 'α is desirable for the sake of β, necessarily β is identical with γ; so, α is desirable for the sake of γ' is invalid. And, if it were true that eudaemonia is to be identified with honour, this would presumably be a non-contingent truth. (3) Suppose the following: (a) playing golf and playing tennis are each I-desirables, (b) each is conducive to physical fitness, which is itself I-desirable, (c) that a daily round of golf and a daily couple of hours of tennis are each sufficient for peak physical fitness, and (if you like, for simplicity), (d) that there is no third route to physical fitness. Now, X and Y accept all these suppositions; X plays golf daily, and Y plays both golf and tennis daily. It seems difficult to deny, first, that it is quite conceivable that allof the sporting activities of these gentlemen are undertaken both for their own sake and also for the sake of physical fitness, and, second, that (pro end p.114 tanto) the life of Y is more desirable than the life of X, since Y has the value of playing tennis while X does not. The fact that in Y's life physical fitness is overdetermined does not seem to be a ground for denying that he pursues both golf and tennis for the sake of physical fitness; if we wished to deny this, it looks as if we could, in certain circumstances, be faced with the unanswerable question, "If he doesn't pursue each for the sake of physical fitness, then which one does he pursue for physical fitness?" Let us now consider how close an analogy to this example we can construct if we search for one which replaces references to physical fitness by references to eudaemonia. We might suppose that X and Y have it in common that they have distinguished academic lives, satisfying family situations, and are healthy and prosperous; that they value, and rightly value, these aspects of their existences for their own sakes and also regard them as contributing to their eudaemonia. Each regards himself as a thoroughly happy man. But Y, unlike X, also composes poetry, an activity which he cares about and which he also thinks of as something which contributes to his eudaemonia; the time which Y devotes to poetic endeavour is spent by X pottering about the house doing nothing in particular. We now raise the question whether or not Y's life is more desirable than X's, on the grounds that it contains an I-desirable element, poetic composition, which X's life does not contain, and that there is no counterbalancing element present in X's life but absent in Y's. One conceivable answer would be that Y's life is indeed more desirable than X's, since it contains an additional value, but that this fact is consistent with their being equal in respect of eudaemonia, in line with the supposition that each regards himself as thoroughly happy. If we give this answer we, in effect, reject the Aristotelian idea that eudaemonia is, in the appropriate sense, self-sufficient. There seems to me, however, to be good reason not to give this answer. Commentators have disagreed about the precise interpretation of the word "eudaemonia", but none, so far as I know, has suggested what I think of as much the most plausible conjecture; namely, that "eudaemonia" is to be understood as the name for that state or condition which one's good daemon would (if he could) ensure for one; and my good daemon is a being motivated, with respect to me, solely by concern for my well-being or happiness. end p.115 To change the idiom, "eudaemonia" is the general characterization of what a full-time and unhampered fairy godmother would secure for you. The identifications regarded by Aristotle as unexcitingly correct, of eudaemonia with doing well and with living well, now begin to look like necessary truths. If this interpretation of "eudaemonia" is correct (as I shall brazenly assume) then it would be quite impossible for Y's life to be more desirable than X's, though X and Y are equal in respect of eudaemonia; for this would amount to Y's being better off than X, though both are equally well-off. Various other possible answers remain. It might be held that not only is Y's life more desirable than X's, but Y is more eudaemon (better off) than X. This idea preserves the proposed conceptual connection between eudaemonia and being well-off, and relies on the not wholly implausible principle that the addition of a value to a life enhances the value of that life (whatever, perhaps, the liver may think). One might think of such a principle, when more fully stated, as laying down or implying that any increase in the combined value of the H-desirable elements realized in a particular life is reflected, in a constant proportion, in an increase in the degree of happiness or well-being exemplified by that life; or, more cautiously, that the increase in happiness is not determined by a constant proportion, but rather in some manner analogous to the phenomenon of diminishing marginal utility. I am inclined to see the argument of this chapter as leading towards a discreet erosion of the idea that the degree of a particular person's happiness is the value of a function the arguments of which are measures of the particular Hdesirables realized in that person's life, no matter what function is suggested; but at the present moment it will be sufficient to cast doubt on the acceptability of any of the crudest versions of this idea. To revert to the case of X and Y: it seems to me that when we speak of the desirability of X's life or of Y's life, the desirability of which we are speaking is the desirability of that life from the point of view of the person whose life it is; and that it is therefore counterintuitive to suppose that, for example, X who thinks of himself as "perfectly happy" and so not to be made either better off or more happy (though perhaps more accomplished) by an injection of poetry composition, should be making a misassessment of what his stateof well-being would be if the composition of poetry were added to his occupation. Furthermore, if the pursuit end p.116 of happiness is to be the proper end, or even a proper end, of living, to suppose that the added realization of a further H-desirable to a life automatically increases the happiness or well-being of the possessor of that life will involve a commitment to an ethical position which I, for one, find somewhat unattractive; one would be committed to advocating too unbridled an eudaemonic expansionism. A more attractive position would be to suppose that we should invoke, with respect to the example under consideration, an analogue not of diminishing marginal utility, but of what might be called vanishing marginal utility; to suppose, that is, that X and Y are, or at least may be, equally well-off and equally happy even though Y's life contains an H-desirable element which is lacking in X's life; that at a certain point, so to speak, the bucket of happiness is filled, and no further inpouring of realized Hdesirables has any effect on its contents. This position would be analogous to the view I adopted earlier with respect to the possible overdetermination of physical fitness. Even should this position be correct, it must be recognized that the really interesting work still remains to be done; that would consist in the characterization of the conditions which determine whether the realization of a particular set of Hdesirables is sufficient to fill the bucket. The main result, then, of the discussion has been to raise two matters for exploration; first, the possibility of a distinction between items which are merely I-desirable and items which are not only Idesirable but also H-desirable; and, second, the possibility that the degree of happiness exemplified by a life may be overdetermined by the set of H-desirables realized in that life, together with the need to characterize the conditions which govern such overdetermination. (4) Let us move in a different direction. I have already remarked that, with respect to the desirability-status of happiness and of the means thereto, Aristotle subscribed to two theses, with which I have no quarrel (or, at least, shall voice no quarrel). (A) That some things are both I-desirable and H-desirable (are both ends in themselves and also means to happiness). (B) That happiness, while desirable in itself, is not desirable for the sake of any further end. end p.117 I have suggested the possibility that a further thesis might be true (though I have not claimed that it is true), namely: (C) That some things are I-desirable without being H-desirable (and, one might add, perhaps without being desirable for the sake of any further end, in which case happiness will not be the only item which is not desirable for the sake of any further end). But there are two further as yet unmentioned theses which I am inclined to regard as being not only true, but also important: first, (D) Any item which is directly H-desirable must be I-desirable. And second, (E) Happiness is attainable only via the realization of items which are I-desirable (and also of course H-desirable). Thesis (D) would allow that an item could be indirectly H-desirable without being I-desirable; engaging in morning press-ups could be such an item, but only if it were desirable for the sake of (let us say) playing cricket well, which would plainly be itself an item which was both I-desirable and Hdesirable. A thesis related to (D), namely, (D′). (An item can be directly conducive to the happiness of an individual x only if it is regarded by x as being I-desirable) seems to me very likely to be true; the question whether not only (D′) but (D) are true would depend on whether a man who misconceives (if that be possible) certain items as being I-desirable could properly be said to achieve happiness through the realization of those items. To take an extreme case, could a wicked man who pervertedly regards cheating others in an ingenious way as being I-desirable, and who delights in so doing, properly be said to be (pro tanto) achieving happiness? I think Aristotle would answer negatively, and I am rather inclined to side with him; but I recognize that there is much to debate. A consequence of thesis (D), if true, would be that there cannot be a happiness-pill (a pill the taking of which leads directly tohappiness); there could be (and maybe there is) a pill which leads directly to "feeling good" or to euphoria; but these states would have to be distinguishable from happiness. Thesis (E) would imply that happiness is essentially a dependent state; happiness cannot just happen; its realization is conditional end p.118 upon the realization of one or more items which give rise to it. Happiness should be thought of adverbially; to be happy is, for some x, to x happily or with happiness. And reflection on the interchangeability or near-interchangeability of the ideas of happiness and of well-being would suggest that the adverbial in question is an evaluation adverbial. The importance, for present purposes, of the two latest theses is to my mind that questions are now engendered about the idea that items which are chosen (or desirable) for the sake of happiness can be thought of as items which are chosen (or desirable) as means to happiness, at least if the means-end relation is conceived as it seems very frequently to be conceived in contemporary philosophy; if, that is, x is a means to y just in case the doing or producing of x designedly causes (generates, has as an effect) the occurrence of y. For, if items the realization of which give rise to happiness were items which could be, in the above sense, means to happiness, (a) it should be conceptually possible for happiness to arise otherwise than as a consequence of the occurrence of any such items, and (b) it seems too difficult to suppose that so non-scientific a condition as the possession of intrinsic desirability should be a necessary condition of an item's giving rise to happiness. In other words, theses (D) and (E) seem to preclude the idea that what directly gives rise to happiness can be, in the currently favoured sense, a means to happiness. The issue which I have just raised is closely related to a scholarly issue which has recently divided Aristotelian commentators; battles have raged over the question whether Aristotle conceived of eudaemonia as a 'dominant' or as an 'inclusive' end. The terminology derives, I believe, from W. F. R. Hardie; but I cite a definition of the question which is given by Ackrill in a recent paper: "By 'an inclusive end' might be meant any end combining or including two or more values or activities or goods . . . By 'a dominant end' might be meant a monolithic end, an end consisting of just one valued activity or good."1 One's initial reaction to this formulation may fall short of overwhelming enlightenment, among other things, perhaps, because the verb 'include' appears within end p.119 the characterization of an inclusive end. I suspect, however, that this deficiency could be properly remedied only by a logicometaphysical enquiry into the nature of the 'inclusion relation' (or, rather, the family of inclusion relations), which would go far beyond the limits of my present undertaking. But, to be less ambitious, let us, initially and provisionally, think of an inclusive end as being a set of ends. If happiness is in this sense an inclusive end, then we can account for some of the features displayed in the previous section. Happiness will be dependent on the realization of subordinate ends, provided that the set of ends constituting happiness may not be the empty set (a reasonable, if optimistic, assumption). Since the "happiness set" has as its elements I-desirables, what is desirable directly for the sake of happiness must be I-desirable. And if it should turn out to be the case, contrary perhaps to the direction of my argument in the last section, that the happiness set includes all I-desirables, then we should have difficulty in finding any end for the sake of which happiness would be desirable. So far so good, perhaps; but so far may not really be very far at all. Some reservation about the treatment of eudaemonia as an inclusive end is hinted at by Ackrill: It is not necessary to claim that Aristotle has made quite clear how there may be 'components' in the best life or how they may be interrelated. The very idea of constructing a compound end out of two or more independent ends may arouse suspicion. Is the compound to be thought of as a mere aggregate or as an organized system? If the former, the move to eudaemonia seems trivial—nor is it obvious that goods can be just added together. If the latter, if there is supposed to be a unifying plan, what is it?2 From these very pertinent questions, Ackrill detaches himself, on the grounds that his primary concern is with the exposition and not with the justification of Aristotle's thought. But we cannot avail ourselves of this rain check, and so the difficulties which Ackrill touches on must receive further exposure.Let us suppose a next-to-impossible world W, in which there are just three I-desirables, which are also H-desirables, A, B, and C. If you like, you may think of these as being identical, respectively, with honour, wealth, and virtue. If, in general, happiness is end p.120 to be an inclusive end, happiness-in-W will have as its components A, B, and C, and no others. Now one might be tempted to suppose that, since it is difficult or impossible to deny that to achieve happiness-in-W it is necessary and also sufficient to realize A, to realize B, and to realize C, anyone who wanted to realize A, wanted to realize B, and wanted to realize C would ipso facto be someone who wanted to achieve happiness-in-W. But there seems to me to be a good case for regarding such an inference as invalid. To want to achieve happiness-in-W might be equivalent to wanting to realize A and to realize B and to realize C, or indeed to wanting A and B and C; but there are relatively familiar reasons for allowing that, with respect to a considerable range of psychological verbs (represented by 'ψ'), one cannot derive from a statement of the form 'x ψ's (that) A and x ψ's (that) B' a statement of the form 'x ψ's (that) A and B'. For instance, it seems to me a plausible thesis that there are circumstances in which we should want to say of someone that he believed that p and that he believed that q, without being willing to allow that he believed that both p and q. The most obvious cases for the application of the distinction would perhaps be cases in which p and q are inconsistent; we can perhaps imagine someone of whom we should wish to say that he believed that he was a grotesquely incompetent creature, and that he also believed that he was a world-beater, without wishing to say of him that he believed that he was both grotesquely incompetent and a world-beater. Inconsistent beliefs are not, or are not necessarily, beliefs in inconsistencies. Whatever reasons there may be for allowing that a man may believe that p and believe that q without believing that p and q would, I suspect, be mirrored in reasons for allowing that a man may want A and want B without wanting both A and B; if I want a holiday in Rome, and also want some headache pills, it does not seem to me that ipso facto I want a holiday in Rome and some headache pills. Moreover, even if we were to sanction the disputed inference, it would not, I think, be correct to make the further supposition that a man who wants A and B (simply as a consequence of wanting A and wanting B) would, or even could, want A (or want B) for the sake of, or with a view to, realizing A and B. So even if, in world W, a man could be said to want A and B and C, on the strength of wanting each one of them, some further condition would end p.121 have to be fulfilled before we could say of him that he wanted each of them for the sake of realizing A and B and C, that is, for the sake of achieving happiness-in-W. In an attempt to do justice to the idea that happiness should be treated as being an 'inclusive' end, let me put forward a modest proposal; not, perhaps, the only possible proposal, but one which may seem reasonably intuitive. Let us categorize, for present purposes, the I-desirables in world W as 'universals'. I propose that to want, severally, each of these I-desirables should be regarded as equivalent to wanting the set whose members are just those I-desirables, with the understanding that a set of universals is not itself a universal. So to want A, want B, and want C is equivalent to wanting the set whose members are A, B, and C ('the happinessin-W set'). To want happiness-in-W requires satisfaction of the stronger condition of wanting A and B and C, which in turn is equivalent to wanting something which is a universal, namely, a compound universal in which are included just those universals which are elements of the happiness-inW set. I shall not attempt to present a necessary and sufficient condition for the fulfilment of the stronger rather than merely of the weaker condition; but I shall suggest an important sufficient condition for this state of affairs. The condition is the following: for x to want the conjunction of the members of a set, rather than merely for him to want, severally, each member of the set, it is sufficient that his wanting, severally, each member of the set should be explained by (have as one of its explanations) the fact that there is an 'open' feature F which is believed by x to be exemplified by the set, and the realization of which is desired by x. By an open feature I mean a feature the specification of which does not require the complete enumeration of the items which exemplify it. To illustrate, a certain Oxford don at one time desired to secure for himself the teaching, in his subject, at the colleges of Somerville, St Hugh's, St Hilda's, Lady Margaret Hall, and St Anne's. (He failed, by two colleges.) This compound desire was based on the fact that the named colleges constituted the totality of women's colleges in Oxford, and he desired the realization of the open feature consisting in his teaching, in his subject, at all the women's colleges in Oxford. This sufficient condition is important in that it is, I think, fulfilled with respect to all compound desires which are rational, as distinct from end p.122 arbitrary or crazy. There can be, of course, genuinely compound desires which are non-rational, and I shall not attempt to specify the condition which distinguishes them; but perhaps I do not need to, since I think we may take it as a postulate that, if a desire for happiness is a compound desire, it is a rational compound desire. The proposal which I have made does, I think, conform to acceptable general principles for metaphysical construction. For it provides for the addition to an initially given category of items ('universals') of a special sub-category ('compound universals') which are counterparts of certain items which are not universals but rather sets of universals. It involves, so to speak, the conversion of certain non-universals into 'new' universals, and it seems reasonable to suppose that the purpose of this conversion is to bring these non-universals, in a simple and relatively elegant way, within the scope of laws which apply to universals. It must be understood that by 'laws' I am referring to theoretical generalities which belong to any of a variety of kinds of theory, including psychological, practical, and moral theories; so among such laws will be laws of various kinds relating to desires for ends and for means to ends. If happiness is an inclusive end, and if, for it to be an inclusive end the desire for which is rational, there must be an open feature which is exemplified by the set of components of happiness, our next task is plainly to attempt to identify this feature. To further this venture I shall now examine, within the varieties of means-end relation, what is to my mind a particularly suggestive kind of case. II At the start of this section I shall offer a brief sketch of the varieties, or of some of the varieties, of means-end relation; this is a matter which is interesting in itself, which is largely neglected in contemporary philosophy, and which I am inclined to regard as an important bit of background in the present enquiry. I shall then consider a particular class of cases in our ordinary thinking about means and ends, which might be called cases of 'end-fixing', and which might provide an important modification to our consideration of the idea that happiness is an inclusive end. end p.123 I shall introduce the term 'is contributive to' as a general expression for what I have been calling 'means-end' relation, and I shall use the phrase 'is contributive in way w to' to refer, in a general way, to this or that particular specific form of the contributiveness relation. I shall, for convenience, assume that anyone who thinks of some state of affairs or action as being contributive to the realization of a certain universal would have in mind that specific form of contributiveness which would be appropriate to the particular case. We may now say, quite unstartlingly, that x wants to do A for the sake of B just in case x wants to do A because (1) x regards his doing A as something which would be contributive in way w to the realization of B, and (2) x wants B. That leaves us the only interesting task, namely, that of giving the range of specific relations one element in which will be picked out by the phrase 'contributive in way w', once A and B are specified. The most obvious mode of contributiveness, indeed one which has too often been attended to to the exclusion of all others, is that of causal antecedence; x's contributing to y here consists in x's being the (or a) causal origin of y. But even within this mode there may be more complexity than meets the eye. The causal origin may be an initiating cause, which triggers the effect in the way in which flipping a switch sets off illumination in a light bulb; or it may be a sustaining cause, the continuation of which is required in order to maintain the effect in being. In either case, the effect may be either positive or negative; I may initiate a period of non-talking in Jones by knocking him cold, or sustain one by keeping my hand over his mouth. A further dimension, in respect of which examples of each variety of causal contributiveness may vary, is that of conditionality. Doing A may be desired as something which will, given the circumstances which obtain, unconditionally originate the realization of B, or as something which will do so provided that a certain possibility is fulfilled. A specially important subclass of cases of conditional causal contributiveness is the class of cases in which the relevant possibility consists in the desire or will of some agent, either the means-taker or someone else, that B should be realized; these arecases in which x wants to do A in order to enable, or to make it possible for, himself (or someone else) to achieve the realization of B; as when, for example, x puts a corkscrew in his pocket to enable him later, should be wish to do so, to open a bottle of wine. end p.124 But, for present purposes, the more interesting modes of contributiveness may well be those other than that of causal contributiveness. These include the following types. (1) Specificatory contributiveness. To do A would, in the prevailing circumstances, be a specification of, or a way of, realizing B; it being understood that, for this mode of contributiveness, B is not to be a causal property, a property consisting in being such as to cause the realization of C, where C is some further property. A host's seating someone at his right-hand side at dinner may be a specification of treating him with respect; waving a Union Jack might be a way of showing loyalty to the Crown. In these cases, the particular action which exemplifies A is the same as the item which exemplifies B. Two further modes involve relations of inclusion, of one or another of the types to which such relations may belong. (2) To do A may contribute to the realization of B by including an item which realizes B. I may want to take a certain advertised cruise because it includes a visit to Naples. (3) To do A may contribute to the realization of B by being included in an item which realizes B. Here we may distinguish more than one kind of case. A and B may be identical; I may, for example, be hospitable to someone today because I want to be hospitable to him throughout his visit to my town. In such a case the exemplification of B (hospitality) by the whole (my behaviour to him during the week) will depend on a certain distribution of exemplifications of B among the parts, such as my behaviour on particular days. We might call this kind of dependence "componentdependence". In other cases A and B are distinct, and in some of these (perhaps all) B cannot, if it is exemplified by the whole, also be exemplified by any part. These further cases subdivide in ways which are interesting but not germane to the present enquiry. We are now in a position to handle, not quite as Aristotle did, a 'paradox' about happiness raised by Aristotle, which involves Solon's dictum "Call no man happy till he is dead". I give a simplified, but I hope not distorted, version of the 'paradoxical' line of argument. If we start by suggesting that happiness is the end for man, we shall have to modify this suggestion, replacing "happiness" by "happiness in a complete life". (Aristotle himself end p.125 applies the qualification "in a complete life" not to happiness, but to what he gives as constituted of happiness, namely, activity of soul in accordance with excellence). For, plainly, a life which as a whole exemplifies happiness is preferable to one which does not. But since lifelong happiness can only be exemplified by a whole life, non-predictive knowledge that the end for man is realized with respect to a particular person is attainable only at the end of the person's life, and so not (except possibly at the time of his dying gasp) by the person himself. But this is paradoxical, since the end for man should be such that non-predictive knowledge of its realization is available to those who achieve its realization. I suggest that we need to distinguish non-propositional, attributive ends, such as happiness, and propositional ends or objectives, such as that my life, as a whole, should be happy. Now it is not in fact clear that people do, or even should, desire lifelong happiness; it may be quite in order not to think about this as an objective. And, even if one should desire lifelong happiness, it is not clear that one should aim at it, that one should desire, and do, things for the sake of it. But let us waive these objections. The attainment of lifelong happiness, an objective, consists in the realization, in a whole life, of the attributive end happiness. This realization is component-dependent; it depends on a certain distribution of realizations of that same end in episodes or phases of that life. But these realizations are certainly nonpredictively knowable by the person whose life it is. So, if we insist that to specify the end for man is to specify an attributive end and not an objective, then the 'paradox' disappears. The special class of cases to which one might be tempted to apply the term 'end-fixing' may be approached in the following way. For any given mode of contributiveness, say causal contributiveness, the same final position, that x wants (intends, does) A as contributive to the realization of B, may be reached through more than one process of thought. In line with the canonical Aristotelian model, x maydesire to realize B, then enquire what would lead to B, decide that doing A would lead to B, and so come to want, and to do, A. Alternatively, the possibility of doing A may come to his mind, he then enquires what doing A would lead to, sees that it would lead to B, which he wants, and so he comes to want, and perhaps do, A. I now ask whether there are cases in which the following end p.126 conditions are met: (1) doing A is fixed or decided, not merely entertained as a possibility, in advance of the recognition of it as desirable with a view to B, and (2) that B is selected as an end, or as an end to be pursued on this occasion, at least partly because it is something which doing A will help to realize. A variety of candidates, not necessarily good ones, come to mind. (1) A man who is wrecked on a desert island decides to use his stay there to pursue what is a new end for him, namely, the study of the local flora and fauna. Here doing A (spending time on the island) is fixed but not chosen; and the specific performances, which some might think were more properly regarded as means to the pursuit of this study, are not fixed in advance of the adoption of the end. (2) A man wants (without having a reason for so wanting) to move to a certain town; he is uncomfortable with irrational desires (or at least with this irrational desire), and so comes to want to make this move because the town has a specially salubrious climate. Here, it seems, the movement of thought cannot be fully conscious; we might say that the reason why he wants to move to a specially good climate is that such a desire would justify the desire or intention, which he already has, to move to the town in question; but one would baulk at describing this as being his reason for wanting to move to a good climate. The example which interests me is the following. A tyrant has become severely displeased with one of his ministers, and to humiliate him assigns him to the task of organizing the disposal of the palace garbage, making clear that only a high degree of efficiency will save him from a more savage fate. The minister at first strives for efficiency merely in order to escape disaster; but later, seeing that thereby he can preserve his self-respect and frustrate the tyrant's plan to humiliate him, he begins to take pride in the efficient discharge of his duties, and so to be concerned about it for its own sake. Even so, when the tyrant is overthrown and the minister is relieved of his menial duties, he leaves them without regret in spite of having been intrinsically concerned about their discharge. One might say of the minister that he efficiently discharged his office for its own sake in order to frustrate the tyrant; and this is clearly inadequately represented as his being interested in the efficient discharge of his office both for its own sake and for the end p.127 sake of frustrating the tyrant, since he hoped to achieve the latter goal by an intrinsic concern with his office. It seems clear that higher-order desires are involved; the minister wants, for its own sake, to discharge his office efficiently, and he wants to want this because he wants, by so wanting, to frustrate the tyrant. Indeed, wanting to do A for the sake of B can plausibly be represented as having two interpretations. The first interpretation is invoked if we say that a man who does A for the sake of B (1) does A because he wants to do A and (2) wants to do A for the sake of B. Here wanting A for the sake of B involves thinking that A will lead to B. But we can conceive of wanting A for the sake of B (analogously with doing A for the sake of B) as something which is accounted for by wanting to want A for the sake of B; if so, we have the second interpretation, one which implies not thinking that A will help to realize B, but rather thinking that wanting A will help to realize B. The impact of this discussion, on the question of the kind of end which happiness should be taken to be, will be that, if happiness is to be regarded as an inclusive end, the components may be not the realizations of certain ends, but rather the desires for those realizations. Wanting A for the sake of happiness should be given the second mode of interpretation specified above, one which involves thinking that wanting A is one of a set of items which collectively exhibit the open feature associated with happiness. III My enquiry has, I hope, so far given some grounds for the favourable consideration of three theses: (1) happiness is an end for the sake of which certain I-desirables are desirable, but is to beregarded as an inclusive rather than a dominant end; (2) for happiness to be a rational inclusive end, the set of its components must exemplify some particular open feature, yet to be determined; and (3) the components of happiness may well be not universals or states of affairs the realization of which is desired for its own sake, end p.128 but rather the desires for such universals or states of affairs, in which case a desire for happiness will be a higher-order desire, a desire to have, and satisfy, a set of desires which exemplifies the relevant open feature. At this point, we might be faced with a radical assault, which would run as follows. "Your whole line of enquiry consists in assuming that, when some item is desired, or desirable, for the sake of happiness, it is desired, or desirable, as a means to happiness, and in then raising, as the crucial question, what kind of an end happiness is, or what kind of means-end relation is involved. But the initial assumption is a mistake. To say of an item that it is desired for the sake of happiness should not be understood as implying that that item is desired as any kind of a means to anything. It should be understood rather as claiming that the item is desired (for its own sake) in a certain sort of way: 'for the sake of happiness' should be treated as a unitary adverbial, better heard, perhaps, as 'happinesswise'. To desire something happiness-wise is to take the desire for it seriously in a certain sort of way, in particular to take the desire seriously as a guide for living, to have incorporated it in one's overall plan or system for the conduct of life. If one looks at the matter this way, one can see at once that it is conceivable that these should be I-desirables which are not H-desirables; for the question whether something which is desirable is intrinsically desirable, or whether its desirability derives from the desirability of something else, is plainly a different question from the question whether or not the desire for it is to be taken seriously in the planning and direction of one's life, that is, whether the item is H-desirable. One can, moreover, do justice to two further considerations which you have, so far, been ignoring: first, that what goes to make up happiness is relative to the individual whose happiness it is, a truth which is easily seen when it is recognized that what x desires (or should desire) happiness-wise may be quite different from what y so desires; and, second, that intuition is sympathetic to the admittedly vague idea that the decision that certain items are constitutive of one's happiness is not so much a matter of judgement or belief as a matter of will. One's happiness consists in what one makes it consist in, an idea which will be easily accommodated if 'for the sake of happiness' is understood in the way which I propose." end p.129 There is much in this (spirited yet thoughtful) oration towards which I am sympathetic and which I am prepared to regard as important; in particular, the idea of linking H-desirability with desires or concerns which enter into a system for the direction of one's life, and the suggestion that the acceptance of a system of ends as constituting happiness, or one's own happiness, is less a matter of belief or judgement than of will. But, despite these attractive features, and despite its air of simplifying iconoclasm, the position which is propounded can hardly be regarded as tenable. When looked at more closely, it can be seen to be just another form of subjectivism: what are ostensibly beliefs that particular items are conducive to happiness are represented as being in fact psychological states or attitudes, other than beliefs, with regard to these items; and it is vulnerable to variants of stock objections to subjectivist manœuvres. That in common speech and thought we have application for, and so need a philosophical account of, not only the idea of desiring things for the sake of happiness but, also, that of being happy (or well-off), is passed over; and should it turn out that the position under consideration has no account to offer of the latter idea, that would be not only paradoxical but also, quite likely, theoretically disastrous. For it would seem to be the case that the construction or adoption of a system of ends for the direction of life is something which can be done well or badly, or better or less well; that being so, there will be a demand for the specification of the criteria governing this area of evaluation; and it will be difficult to avoid the idea that the conditions characteristic of a good system of ends will be determined by the fact that the adoption of a system conforming to those conditions will lead, or is likely to lead, or other things being equal will lead, to the realization of happiness; to something, that is, which the approach under consideration might well not be able to accommodate. So it begins to look as if we may be back where we were before the start of this latest discussion. But perhaps not quite; for, perhaps, something can be done with the notion of a set or system of endswhich is suitable for the direction of life. The leading idea would be of a system which is maximally stable, one whose employment for the direction of life would be maximally conducive end p.130 to its continued employment for that purpose, which would be maximally self-perpetuating. To put the matter another way, a system of ends would be stable to the extent to which, though not constitutionally immune from modification, it could accommodate changes of circumstances or vicissitudes which would impose modification upon other less stable systems. We might need to supplement the idea of stability by the idea of flexibility; a system will be flexible in so far as, should modifications be demanded, they are achievable by easy adjustment and evolution; flounderings, crises, and revolutions will be excluded or at a minimum. A succession of systems of ends within a person's consciousness could then be regarded as stages in the development of a single life-scheme, rather than as the replacement of one life-scheme by another. We might find it desirable also to incorporate into the working-out of these ideas a distinction, already foreshadowed, between happiness-in-general and happiness-for-an-individual. We might hope that it would be possible to present happiness-in-general as a system of possible ends which would be specified in highly general terms (since the specification must be arrived at in abstraction from the idiosyncrasies of particular persons and their circumstances), a system which would be determined either by its stability relative to stock vicissitudes in the human condition, or (as I suspect) in some other way; and we might further hope that happiness for an individual might lie in the possession, and operation for the guidance of life, of a system of ends which (a) would be a specific and personalized derivative, determined by that individual's character, abilities, and situations in the world, of the system constitutive of happiness in general; and (b) the adoption of which would be stable for that individual in his circumstances. The idea that happiness might be fully, or at least partially, characterized in something like this kind of way would receive some support if we could show reason to suppose that features which could plausibly be regarded, or which indeed actually have been regarded, as characteristic of happiness, or at least of a satisfactory system for the guidance of life, are also features which are conducive to stability. Refs.: H. P. Grice, “Means-end rationality.”






FIGLIUCCI -- Felice Figliucci Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Felice Figliucci (in latino: Felix Filliucius; Siena, 4 maggio 1518 – Firenze, 20 ottobre 1595) è stato un umanista, filosofo e teologo italiano. Partecipò al Concilio di Trento, durante il quale pronunciò un'orazione in latino.  Vita Nato a Siena intorno all'anno 1525, completò gli studi filosofici a Padova e, per qualche tempo, fu al servizio del cardinale del Monte, destinato a diventare papa Giulio III nel 1550. Dopo aver vissuto le piacevolezze mondane della corte, Figliucci entrò, nel 1551, nel convento domenicano di Firenze, dove assunse il nome di Alessio.  Nonostante fosse rinomato come oratore, poeta e profondo conoscitore del greco, il suo nome non è menzionato in opere sul Rinascimento come Die Wiederbelebung des classischen Alterthums di Georg Voigt o Il Seicento di Antonio Belloni.  Opere Figliucci scrisse opere in italiano e traduzioni dal greco. Esse includono:  Felice Figliucci, Il Fedro, ovvero del bello, Roma, 1544. URL consultato il 26 maggio 2019. Delle divine lettere del gran Marsilio Ficino, Venezia, 1548 Felice Figliucci, Le undici Filippiche di Demostene con una Lettera di Filippo agli Ateniesi. Dichiarate in lingua Toscana, Roma, Appresso Vincenzo Valgrisi, 1550. URL consultato il 26 maggio 2019. Della Filosofia morale d'Aristotile, Roma, 1551 Felice Figliucci, Della Politica, ovvero Scienza civile secondo la dottrina d'Aristotile, libri VIII scritti in modo di dialogo, Venezia, Gio. Battista Somascho, 1583. URL consultato il 26 maggio 2019. Tradusse in italiano il Catechismo latino del Concilio di Trento (Catechismo, cioè istruzione secondo il decreto del Concilio di Trento, 1567), più volte ristampato.  Collegamenti esterni Felice Figliucci, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Dario Busolini, Felice Figliucci, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Felix Filliucius, in Catholic Encyclopedia, New York, Encyclopedia Press, 1913. V · D · M Famiglia domenicana Controllo di autorità                  VIAF (EN) 100227551 · ISNI (EN) 0000 0001 1000 7191 · WorldCat Identities (EN) viaf-100227551 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Letteratura Portale Letteratura Rinascimento Portale Rinascimento Categorie: Umanisti italianiFilosofi italiani del XVI secoloTeologi italianiNati nel 1518Morti nel 1595Nati il 4 maggioMorti il 20 ottobreNati a SienaMorti a FirenzeTraduttori dal greco all'italiano[altre]

FILANGIERI -- Gaetano Filangieri Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Gaetano Filangieri Gaetano filangieri.jpg Dei principi di Arianello Stemma Nascita                                  San Sebastiano al Vesuvio, 22  agosto 1753 Morte                           Vico Equense, 21 luglio 1788 Coniuge                            Charlotte Frendel Figli                                        Carlo Filangieri, Roberto Filangieri, Adelaide Filangieri Gaetano Filangieri (San Sebastiano al Vesuvio , 22 agosto 1753 – Vico Equense, 21 luglio 1788) è stato un giurista e filosofo italiano del Regno di Napoli. È ritenuto uno dei massimi giuristi e pensatori italiani del XVIII secolo.[1]   Indice 1                                         Biografia 2                                            La Scienza della Legislazione 3                                       Opere e scritti nelle principali edizioni 4                                      Note 5                                             Bibliografia 6                                           Voci correlate 7                                            Altri progetti 8                                                Collegamenti esterni Biografia Terzogenito di Cesare, principe di Arianiello, e di Marianna Montalto, figlia del duca di Fragnito, Gaetano nacque il 22 di agosto del 1753 in un'antica villa di suo padre, sita nella giurisdizione territoriale del Casale di San Sebastiano di Napoli, in seguito denominato San Sebastiano al Vesuvio[2]. Nella medesima villa di San Sebastiano al Vesuvio, nel 1750, morì Giovan Gaetano Filangieri: il nonno dell'illuminista[3]. Gaetano proveniva da una delle famiglie più antiche della nobiltà partenopea: lo zio arcivescovo era Serafino Filangieri.  Ricevette un'educazione severa che si svolse privatamente nel palazzo di Largo Arianello. Se ne occuparono lo zio Serafino, benedettino, professore di fisica sperimentale all'Università di Napoli, e soprattutto l'ecclesiastico Luca Nicola De Luca.  A 17 anni abbandonò la carriera militare a cui era stato destinato fin da bambino per dedicarsi agli studi. Si laureò in legge nel 1774. Tre anni dopo, a seguito della carica di gentiluomo di camera presso il re Ferdinando IV di Borbone, si dedicò al progetto della riforma di giustizia e divenne ufficiale volontario di marina.  Preconizzazione della Questione meridionale Il suo illuminismo è considerato "napoletano" in quanto non assimilato dall'esterno. Si tratta di un Illuminismo prodotto nella Napoli del Settecento: la città partenopea si era dimostrata sì come uno dei maggiori laboratori di idee d'Europa, ma in essa allo stesso tempo esistevano sempre i privilegi feudali e il lusso sfrenato di nobiltà e clero, mentre la massa plebea continuava a vivere nell'ignoranza.  Si parla a questo proposito di "Questione meridionale" in quanto vi si impediva non solo il progresso, ma si metteva in discussione anche l'esistenza di una civiltà, dato che il tessuto sociale era ridotto a brandelli. In tale contesto Gaetano Filangieri rappresentò la voce riformatrice, la cui efficacia fu tuttavia limitata dalla precoce morte, prima delle vicende rivoluzionarie in Francia (che in campo sociale stava peggio di Napoli all'epoca) e dalle conseguenze che esse ebbero o indussero.  Nel 1772 scrisse un breve testo, Morale de' legislatori, nel quale dichiarava di essere favorevole alla pena di morte, mettendo in discussione le tesi di Cesare Beccaria; in questo afferma infatti che "nello stato di natura ciascuno ha il diritto di togliere la vita a tutti per proteggere la propria ingiustamente minacciata". Tali temi vengono poi ripresi e trattati ne La Scienza della Legislazione, la sua opera più importante.  Nel 1774 stampò a Napoli le Riflessioni politiche su l'ultima legge del sovrano, dedicata al ministro Bernardo Tanucci. L'opera riguarda la riforma dell'amministrazione della giustizia; in particolare afferma la necessità, per i magistrati, di motivare le proprie sentenze in base alla legislazione scritta nel regno, permettendo in questo modo di eliminare gli abusi e i privilegi per i giudici.  L'Illuminismo napoletano di Filangieri emerge in particolar modo nella sua opera più famosa, La Scienza della Legislazione (1780-1788). In tale scritto sono analizzate le linee sistematiche di una scienza pratica destinata a essere guida delle riforme legislative e basata sulla felicità individuale del cittadino come premessa utilitaristica allo Stato buono. Famosi pensatori come d'Alembert e Montesquieu, con il loro spirito di classici dell'Illuminismo, contribuirono a influenzare l'opera.  Nel 1783 Filangieri si sposò con una giovane nobile ungherese, Charlotte Frendel e, ottenuta la dispensa dal servizio di corte, si trasferì a La Cava (oggi Cava de' Tirreni), poco lontano da Napoli. Qui si dedicò interamente alla scrittura e alla famiglia.  Nel dicembre del 1784 arrivarono le prime condanne relative all'opera di Filangieri da parte dell'Inquisizione, anche se la Chiesa non contestò la legittimità dei provvedimenti assunti dal governo borbonico sulla scorta delle proposte contenute nella Scienza della legislazione.  Parallelamente alla stesura de La Scienza della Legislazione, Filangieri fu investito di un'importante carica militare di grado superiore: Tenente di fanteria nel 1783 e Capitano nel 1785.  Nel 1787 divenne Consigliere del Supremo Consiglio delle Finanze e, preso dagli impegni politici, non riuscì a completare il quinto libro della Scienza, il quale fu pubblicato incompiuto postumo nel 1791. Dei sette volumi inizialmente progettati, riuscì quindi a pubblicarne solo cinque.  Colpito dalla tubercolosi, si ritirò a Vico Equense, dove morì il 20 luglio 1788 a soli trentacinque anni. È sepolto nell'ex cattedrale della Santissima Annunziata della stessa cittadina.  Essendo stato iniziato in massoneria in una loggia napoletana di costituzione inglese, Filangieri ebbe solenni funerali massonici, celebrati da Domenico Cirillo, Mario Pagano, Donato Tommasi e Giuseppe Leonardo Albanese, ai quali parteciparono delegazioni di tutte le logge napoletane di obbedienza inglese[4].  A Gaetano Filangieri era intitolato il carcere minorile di Napoli, istituito da Gioacchino Murat nel 1809 e dismesso alla fine degli anni settanta. A Milano è intitolata la piazza antistante il carcere di San Vittore.  La Scienza della Legislazione La Scienza della Legislazione, composta da otto volumi, è un'opera di alto e innovativo valore europeo[5] in materia di filosofia del diritto[6] e teoria della giurisprudenza. In quest'opera che fu così apprezzata per la sobrietà della critica e per la concreta esposizione sul piano giuridico[7], Filangieri espose un pensiero frutto della grande cultura napoletana[8] antecedente all'Unità d'Italia, rappresentata in particolare da Giambattista Vico e da Pietro Giannone, che interpolò con le teorie dei filosofi francesi, in particolare con le dottrine di Montesquieu e soprattutto di Rousseau.  La Scienza della Legislazione porta alla luce le ingiustizie sociali che affliggevano anche la Napoli borbonica come le tante altre capitali europee (Parigi, Londra, San Pietroburgo, ecc.) pervasa dal lusso sfrenato dei privilegi feudali di aristocrazia e clero sfruttatori del popolo[9]; al tempo stesso essa chiede alla Corona di farsi portatrice di una "rivoluzione pacifica", una sorta di modello di monarchia illuminata, secondo i canoni illuministici[10], da conseguire attraverso una seria azione riformatrice da attuarsi sugli strumenti giuridici.  Importanti[11] l'affermazione dell'esigenza di attuare una codificazione delle leggi[12] e di una riforma progressiva dalla procedura penale, la necessità di operare un'equa ripartizione delle proprietà terriere[13] e anche un miglioramento qualitativo dell'educazione pubblica oltre ad un suo rafforzamento su quella privata.   Giuseppe Grippa, La scienza della legislazione sindacata (1784), una critica dell'opera di Filangieri Per ciò che attiene al diritto criminale, nell'opera Filangieri dà un'innovativa definizione di delitto: «Non tutte le azioni contrarie alle leggi sono delitti, non tutti coloro che le commettono sono delinquenti. L'azione disgiunta dalla volontà non è imputabile; la volontà disgiunta dall'azione non è punibile. Il delitto consiste dunque nella violazione della legge accompagnata dalla volontà di violarla»[14]. L'opera tratta le principali proposte di riforma, nel campo politico-economico (abolizione dei privilegi feudali ecc.), penale, dei rapporti tra religione e legislazione, e, in modo particolare, nel campo educativo. Essa comprende il primo libro dedicato a Le Regole generali della scienza legislativa, il secondo a Le Leggi politiche ed economiche, il terzo a Le Leggi criminali (prima parte: la procedura; seconda parte: dei delitti e delle pene), il quarto a Le Leggi che riguardano l'educazione, i costumi e l'opinione pubblica, il quinto a Le Leggi che riguardano la religione. Il sesto, dedicato alle leggi relative alla proprietà, rimase abbozzato (ne fu steso soltanto il sommario), e il settimo, dedicato alle leggi sulla famiglia, non venne mai scritto.  Tra le varie tesi esposte in questo libro emerge la considerazione che Filangieri aveva dell'agricoltura; sotto l'influenza di Genovesi, di Verri e dei fisiocratici, egli la considerava come un settore importante del sistema economico e propose la rimozione di ogni ostacolo giuridico, fiscale ed economico al suo sviluppo e alla libertà del commercio dei suoi prodotti, sostenendo altresì l'imposta unica sul prodotto della terra.  L'opera fu messa all'Indice dalla Chiesa cattolica nel 1784, per le sue idee giacobine e per i suoi attacchi ai diritti del clero. Filangieri infatti criticava l'atteggiamento della Chiesa, ritenendo appunto che questa pesasse sulla società e si avvalesse di privilegi. Egli aveva messo in campo proposte (giustizia sociale e giuridica, uguaglianza, pubblica istruzione, espropriazione dei beni ecclesiastici donati dai fedeli, ecc.) miranti al "progresso" in senso rivoluzionario attraverso un'azione legislativa fondata sulla presunta "ragione" e rivolta ad un altrettanto presunto sviluppo della realtà delle città di Napoli, ma con i metodi tipicamente giacobini basati su coercizione e sentimento massonico e anticattolico.  Fu pubblicata a partire dal 1780 in 7 volumi e una parte uscì postuma (l'indice e parte del libro V). Nel 1783 e nel 1785 ne vennero stampati altri due libri, i quali ebbero grande successo non solo a livello nazionale con le riedizioni (Firenze e Venezia 1782, Milano 1784) ma anche a livello europeo.  Fino all'Ottocento si contarono 40 edizioni italiane e 28 in lingue straniere[15]. In Germania comparvero tre edizioni diverse a Zurigo, Berlino e a Vienna (la prima traduzione in tedesco è del 1784). L'opera venne tradotta in francese (la prima traduzione in francese è del 1786)[16], spagnolo[17], inglese, russo e svedese, con elogi entusiastici rivolti all'autore: il più noto e significativo fu quello di Benjamin Franklin, il quale avviò una corrispondenza con Filangieri e tenne presente le sue idee per la stesura della Costituzione americana.  La fortuna dell'opera fu vastissima sul continente europeo[18] e oltre[19]. L'opera fu - assieme a Dei delitti e delle pene (1764) di Cesare Beccaria - uno dei contributi italiani maggiormente diffusi e tradotti all'estero. Suscitò interesse e discussioni sino al Novecento anche grazie all'attenzione dedicatagli da Benjamin Constant (1767-1830)[20].  Opere e scritti nelle principali edizioni Riflessioni politiche su l'ultima legge del sovrano, che riguarda la riforma dell'amministrazione della giustizia, Napoli 1774. La scienza della legislazione, Napoli 1780-1785. Reflexiones sobre la libertad del comercio de frutos, Madrid 1784. Il mondo nuovo e le virtù civili: l'epistolario di Gaetano Filangieri 1772-1788, Napoli 1999. Note ^ Ricca, Discorso genealogico della famiglia Filangieri estratto dall'istoria del feudo di Lapio, Napoli 1863. ^ Bernardo Cozzolino, San Sebastiano al Vesuvio: Un itinerario storico artistico e un ricordo di Gaetano Filangieri, Poseidon Editore, Napoli 2006, p.137. ^ Giovan Gaetano Filangieri (Lapio,1676 † San Sebastiano al Vesuvio, 1750), Signore di Lapio, Rogliano e Arianello, Patrizio Napoletano aggregato al Seggio di Capuana nel 1685, fu decorato nel 1724, con diploma imperiale di Carlo VI d'Asburgo, col titolo di principe di Arianello ^ Vittorio Gnocchini, L'Italia dei liberi muratori. Brevi biografie di massoni famosi, Roma-Milano, Erasmo Editore-Mimesis, 2005, p. 122 ^ Simon, Fabrizio. "An economic approach to the study of law in the eighteenth century : Gaetano Filangieri and 'La scienza della legislazione'." Journal Of The History Of Economic Thought 33, no. 2 (June 2011): 223-248. ^ LUNA GONZALEZ, Adriana, "Religión Y Política: Ciencia De La Legislación De Gaetano Filangieri." (2008) ISTITUTO UNIV. EUROPEO. ^ Giampiero Buonomo, Quei lumi accesi nel Mezzogiorno, in Avanti!, 4 marzo 1989. ^ BECCHI, PAOLO. "Gaetano Filangieri und die neapolitianische Schule: Ein Beitrag zu den Anfängen der Wirkungsgeschichte einer Gesetzgebungslehre in der europäischen Aufklärung." ARSP: Archiv für Rechts- und Sozialphilosophie / Archives for Philosophy of Law and Social Philosophy, 1985, 199. ^ Ferrone, Vincenzo. 2012. The politics of enlightenment : Republicanism, constitutionalism, and the rights of man in Gaetano Filangieri. n.p.: Anthem Press, 2012. ^ The politics of enlightenment; republicanism, constitutionalism, and the rights of man in Gaetano Filangieri, 2012, Reference & Research Book News, no. 6. ^ De Luca, S. Il Pensiero Politico di Gaetano Filangieri. Un'Analisi Critica. Il Pensiero Politico; Firenze 2008. ^ Maestro, Marcello. 1976. Gaetano Filangieri and His Science of Legislation. Transactions of the American Philosophical Society, 1976. 1. ^ Silvestrini, Maria Teresa. 2006. Free trade, feudal remnants and international equilibrium in Gaetano Filangieri's Science of Legislation. History Of European Ideas 32, no. Commerce and Morality in Eighteenth-Century Italy: 502-524. ^ Seelmann, Kurt. Gaetano Filangieri e la proporzionalità fra reato e pena. Imputazione e prevenzione nella filosofia penale dell'Illuminismo. n.p.: Società editrice il Mulino, 2001. ^ Trampus, Antonio, La traduzione settecentesca di testi politici: il caso della 'Scienza della legislazione' di Gaetano Filangieri, EUT - Edizioni Università di Trieste, 2001. ^ Filangieri G., La science de la législation, par M. le chevalier Gaetano Filangieri, 1786. cfr. ouvrage traduit de l'italien d'après l'édition de Naples, de 1784, 1786-1791. ^ Scandellari, Simonetta. 2007. "La difusión del pensamiento criminal de Gaetano Filangieri en España." Nuevo Mundo Mundos NuevosOpenedition.org. ^ Trampus, Antonio, Diritti e costituzione : l'opera di Gaetano Filangieri e la sua fortuna europea. n.p.: Soc. Ed. Il Mulino, 2005. ^ Juan Camilo Escobar Villegas; Adolfo León Maya S. Otras 'luces' sobre la temprana historia política de Colombia, 1780-1850: Gaetano Filangieri y 'La ruta de Nápoles a las Indias Occidentales'. Revista Co-herencia [serial online]. 2006. ^ Cordey, Pierre. "Benjamin Constant, Gaetano Filangieri et la 'Science de la législation'." Revue européenne des sciences sociales, 1980, 55. Bibliografia Domenico Valente, Gaetano Filangieri, in "Poliorama Pittoresco", n. 10 del 20 ottobre 1838, pp. 77–78 Masucci, Giovanni. 1909. Gaetano Filangieri. Conferenza tenuta dal comm. Giovanni Masucci al Circolo giuridico di Napoli, n.p.: Napoli, Tip. gazz. Diritto e giurisprudenza, 1909., 1909. Cassese, Giovanna. Filangieri, Gaetano. n.p.: Oxford University Press, 1996 Gerardo Ruggiero, Gaetano Filangieri. Un uomo, una famiglia, un amore nella Napoli del Settecento, 1999, Alfredo Guida Editore Pecora Gaetano, Il pensiero politico di Gaetano Filangieri. Una analisi critica, Rubbettino Editore, 2007 Ferrone Vincenzo, La società giusta ed equa. Repubblicanesimo e diritti dell'uomo in Gaetano Filangieri, Roma-Bari, Laterza, 2003 Cozzolino Bernardo, San Sebastiano al Vesuvio: Un itinerario storico artistico e un ricordo di Gaetano Filangieri, Edizioni Poseidon, Napoli 2006 Giancarlo Piccolo, Cappella Filangieri. Indagini sulla Parrocchia Immacolata e Sant'Antonio, Cercola (NA), IeS Edizioni, Cercola 2019 F.S. Salfi, Franco Crispini (ed.), "Introduzione" di Valentina Zaffino, Elogio di Filangieri, Cosenza, Pellegrini, 2012, ISBN 978-88-8101-863-5 "Frontiera d'Europa" (Rivista storica semestrale, Esi editore - Istituto Italiano per gli Studi Filosofici), anno XVI, n. 2, 2010 intitolato Studi filangieriani Berti, F., Il repubblicanesimo di Gaetano Filangieri, Pensiero politico XXXVII.1 (2004): 108-113. Mongardini, C., Politica e sociologia nell'opera di G. Filangieri, Giuffrè, 1964. Trampus, A. e Scola, M., Diritti e costituzione. L'opera di Gaetano Filangieri e la sua fortuna europea, Pensiero politico, XL.1 (2007): 167-168. Simon, Fabrizio, An economic approach to the study of law in the eighteenth century: Gaetano Filangieri and la scienza della legislazione, Journal of the history of economic thought33.2 (Jun 2011): 223-248. Ascione Gina Carla e Cozzolino Bernardo, Cappella di San Vito Martire a San Domenico: Il restauro del dipinto della Madonna del Carmelo di Giovanni Antonio d’Amato, Pref. S.E. Card. Crescenzio Sepe, San Sebastiano al Vesuvio (NA) 2016. Voci correlate Filangieri Illuminismo in Italia Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Gaetano Filangieri Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Gaetano Filangieri Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Gaetano Filangieri Collegamenti esterni Gaetano Filangieri, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata (EN) Gaetano Filangieri, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Gaetano Filangieri, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Gaetano Filangieri, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Gaetano Filangieri, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Il pensiero politico di Gaetano Filangieri.Una analisi critica, su politicamagazine.it. V · D · M Illuministi italiani Controllo di autorità                     VIAF (EN) 19740686 · ISNI (EN) 0000 0001 1022 1462 · SBN IT\ICCU\RAVV\065034 · LCCN (EN) n85017398 · GND (DE) 118937170 · BNF (FR) cb12284679b (data) · BNE (ES) XX1270298 (data) · BAV (EN) 495/89208 · CERL cnp00944354 · NDL (EN, JA) 001264602 · WorldCat Identities (EN) lccn-n85017398 Biografie Portale Biografie Diritto Portale Diritto Filosofia Portale Filosofia Categorie: Giuristi italiani del XVIII secoloFilosofi italiani del XVIII secoloNati nel 1753Morti nel 1788Nati il 22 agostoMorti il 21 luglioMorti a Vico EquenseMassoniIlluministiStoria del dirittoFilangieriStudenti dell'Università degli Studi di Napoli Federico IIFilosofi del dirittoStudiosi di diritto penale del XVIII secolo[altre]


FILLIPIS -- Vincenzo De Filippis Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Niente fonti! Questa voce o sezione sugli argomenti matematici italiani e filosofi italiani non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sull'uso delle fonti. Vincenzo De Filippis (Tiriolo, 4 aprile 1749 – Napoli, 28 novembre 1799) è stato un matematico, filosofo e patriota italiano, considerato un martire della Repubblica Napoletana del 1799.   Indice 1     Biografia 2                                            Opere 3                                             Note 4                                             Bibliografia 5                                           Voci correlate 6                                            Altri progetti 7                                           Collegamenti esterni Biografia Nato in Calabria in una famiglia di piccoli proprietari terrieri, fu allievo del Real Collegio gesuita di Catanzaro dove ricevette una buona istruzione nelle scienze matematiche. Nel 1769 si recò a Napoli dove fu allievo del grande economista Antonio Genovesi. Nella città partenopea ebbe modo di frequentare gli ambienti illuministici entrando in contatto fra gli altri con la poetessa Eleonora Pimentel Fonseca e il giurista Mario Pagano[senza fonte].  Proseguì in seguito gli studi in matematica e filosofia presso il collegio Ancarano dell'Università di Bologna, dove fu discepolo del matematico Sebastiano Canterzani[senza fonte].  Nel 1787 ottenne la cattedra di matematica al Real Collegio di Catanzaro[senza fonte] ed ebbe, fra i suoi discepoli, Giuseppe Poerioː tuttavia, le cattive condizioni di salute lo spinsero ad abbandonare l'insegnamento nel 1793.  Nel 1799 fu fra i principali artefici della Repubblica Napoletanaː infatti il 25 febbraio 1799, con la nomina di Ignazio Ciaia alla guida della Repubblica napoletana in sostituzione di Carlo Lauberg, Vincenzo De Filippis entrò nel governo come ministro degli Interni, succedendo a Francesco Conforti[1].  Con la caduta della Repubblica, venne messo a morte per impiccagione in Piazza Mercato (28 novembre 1799) assieme ad altri sette patrioti[2].  Opere Conseguito il dottorato, nel 1777 De Filippis era ritornato al paese natale, dove rimase in relazione epistolare con gli studiosi di Napoli e di Bologna, e scrisse importanti opere di filosofia e matematica, quali il Corso di etica, gli Scritti filosofici e metafisici, Statica e dinamica, Scritti di fisica e di meccanica. Appartengono anche a questo periodo gli scritti Appunti di matematica e meccanica, Meccanica, Problemi di matematica, meccanica, dinamica[senza fonte].  Gli scritti di De Filippis sono andati, tuttavia, dispersi[senza fonte], tranne una relazione sui terremoti del 1783 e del 1789 inviata al Canterzani[3].  Note ^ M. D'Ayala, Vite degl'Italiani benemeriti della libertà e della patria, Torino, Bocca, 1883, pp. 218-221; Albo illustrativo della Rivoluzione Napoletana del 1799 a cura di B. Croce, G. Ceci, M. D'Ayala, S. Di Giacomo, Napoli, Morano, 1899. ^ Anna Maria Rao, La Repubblica napoletana del 1799, Roma, Newton, 1999, ISBN 88-8183-608-4. ^ Vincenzo De Filippis, De' terremoti della Calabria Ultra nel 1783 e 1789. Bibliografia Ugo Baldini, Vincenzo De Filippis, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 33, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1987. Modifica su Wikidata Voci correlate Repubblica Napoletana (1799) Repubblicani napoletani giustiziati nel 1799-1800 Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Vincenzo De Filippis Collegamenti esterni Biografia di Vincenzo De Filippis, su web.tiscalinet.it. Vincenzo De Filippis, De' Terremoti della Calabria Ultra nel 1783 e 1789, testo elettronico, su web.tiscalinet.it. V · D · M Illuministi italiani Controllo di autorità                              VIAF (EN) 30339810 · ISNI (EN) 0000 0000 5288 6334 · LCCN (EN) nr93043543 · GND (DE) 119124564 · BNF (FR) cb12290835h (data) · BAV (EN) 495/152339 · CERL cnp00547889 · WorldCat Identities (EN) lccn-nr93043543 Biografie Portale Biografie Matematica Portale Matematica Categorie: Matematici italiani del XVIII secoloFilosofi italiani del XVIII secoloPatrioti italiani del XVIII secoloNati nel 1749Morti nel 1799Nati il 4 aprileMorti il 28 novembreNati a TirioloMorti a NapoliIlluministiPersone giustiziate per impiccagionePersonalità della Repubblica Napoletana (1799)[altre]

FINESCHI -- Roberto Fineschi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Questa voce è orfana Questa voce sull'argomento filosofi è orfana, ovvero priva di collegamenti in entrata da altre voci. Inseriscine almeno uno pertinente e non generico e rimuovi l'avviso. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Niente fonti! Questa voce o sezione sull'argomento filosofi italiani non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sull'uso delle fonti. Roberto Fineschi (Siena, 1º marzo 1973) è un filosofo italiano.   Indice 1                       Biografia 2                                            Scritti 3                                              Note 4                                             Collegamenti esterni Biografia Nel 1998 Fineschi ha concluso i suoi studi presso l'Università di Siena con Alessandro Mazzone con l dissertazione Marx rivisitato. Per il suo dottorato, svoltosi sotto la guida di Nicola De Domanico presso l'Università di Palermo, si è occupato del rapporto Marx-Hegel. Nel 2002 ha vinto la prima edizione del premio David-Rjazanov-Preises,[1] presentando il lavoro, Wertform, Geldform und Austauschprozess“[2].  Scritti Ripartire da Marx. Processo storico ed economia politica nella teoria del “capitale”, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici – La Città del Sole, Napoli 2001 Come editore: Karl Marx: rivisitazioni e prospettive, Mimesis, Milano 2005, ISBN 88-8483-389-2 (Itinerari filosofici) Marx e Hegel. Contributi a una relectura, Carocci editore, Roma 2006 Un nuovo Marx. Filologia e interpretazione dopo la nuova edizione storico critica (MEGA2), Carocci editore, Roma 2008 Wolfgang Fritz Haug: Rezension (5 Seiten pdf; 86 kB) in: Das Argument 277, 2008/4, Seite 540ff. mit Riccardo Bellofiore als Herausgeber: Re-reading Marx. New Perspectives after the Critical Edition, Basingstoke, Hampshire; Palgrave Macmillan, New-York 2009, ISBN 978-0-230-20211-5 Note ^ Begründung zur Verleihung des David-Rjazanov-Preises 2002 Archiviato il 4 marzo 2016 in Internet Archive. (3 Seiten pdf; 43 kB) des Vereines zur Förderung der MEGA-Edition e. ^ R. Fineschi: Nochmals zum Verhältnis Wertform/Geldform/Austauschprozess Archiviato il 4 marzo 2016 in Internet Archive. (13 Seiten pdf; 63 kB) Collegamenti esterni Roberto Fineschi (PDF; 33 kB), Angaben auf Marxforschung.de Marxdialecticalstudies: Interview mit Roberto Fineschi zum zweiten Buch des Kapital gemäß der neuen kritischen Ausgabe (MEGA) (englisch) Controllo di autorità                           VIAF (EN) 49473265 · ISNI (EN) 0000 0000 6658 1056 · LCCN (EN) n2003099791 · GND (DE) 132030187 · BNF (FR) cb145993729 (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-n2003099791 Categorie: Filosofi italiani del XXI secoloNati nel 1973Nati il 1º marzoNati a SienaFilosofi del XXI secolo[altre]


Fioramonte -- Lorenzo Fioramonti (Roma, 29 aprile 1977) è un accademico e politico italiano, dal 5 settembre al 30 dicembre 2019 ministro dell’istruzione, dell'università e della ricerca nel Governo Conte II.   Indice 1                        Biografia 1.1                                           Attività accademica 1.2                                          Attività politica 1.2.1                                         Sottosegretario e vice ministro 1.2.2                                    Ministro dell’istruzione, dell'università e della ricerca 1.3                                  L’uscita dai 5 Stelle 1.4                                         La fondazione di Eco e l'entrata in Green Italia 2                                  Controversie 3                                          Pubblicazioni 4                                         Vita privata 5                                            Note 6                                             Voci correlate 7                                            Altri progetti 8                                                Collegamenti esterni Biografia Dopo aver frequentato il liceo scientifico "Edoardo Amaldi" di Roma, situato nel quartiere di Tor Bella Monaca, si è laureato in Filosofia presso l'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata" con una tesi in Storia del pensiero politico ed economico moderno incentrata sul ruolo dei diritti di proprietà ed individuali in America e in Europa. Ha conseguito anche un dottorato di ricerca in Politica comparata ed europea presso l’Università degli Studi di Siena[1].  Attività accademica Diviene a 35 anni docente di economia politica presso l'Università di Pretoria, ed è direttore del Centro per lo studio dell'innovazione Governance (GovInn) dello stesso ateneo[2]. È inoltre membro del Center for Social Investment dell'Università di Heidelberg, della Hertie School of Governance e dell'Università delle Nazioni Unite.  Si occupa di economia e integrazione economica europea[1]. Per il Financial Times, Fioramonti sostiene che il PIL è "non solo uno specchio distorto in cui vedere le nostre economie sempre più complesse, ma anche un impedimento a costruire società migliori".[3]   Lorenzo Fioramonti mentre tiene un discorso nel 2013 I suoi articoli sono inoltre apparsi su The New York Times, The Guardian, Harvard Business Review, Die Presse, Das Parlament, Der Freitag, Mail & Guardian, Foreign Policy e opendemocracy.net. Ha una rubrica mensile nel Business Day, il principale quotidiano finanziario del Sudafrica.[4] È stato co-direttore della rivista scientifica The Journal of Common Market Studies[1].  Fioramonti è inoltre coautore e co-editore di diversi libri[1]. Oltre ai best seller Gross Domestic Problem: la politica dietro il numero più potente del mondo (2013) e Il modo in cui i numeri governano il mondo: l'uso e l'abuso delle statistiche nella politica globale (2014), nel 2017 ha pubblicato i volumi Economia del benessere: successo in un mondo senza crescita, Presi per il PIL. Tutta la verità sul numero più potente del mondo e Il mondo dopo il PIL: economia, politica e relazioni internazionali nell'era post-crescita.  Attività politica Fra il 1997 e il 2000 ha avuto un'esperienza come assistente parlamentare, collaborando a titolo gratuito con Antonio Di Pietro (IdV) a sviluppare politiche per i giovani nelle periferie[1].  Nel gennaio 2018 viene resa nota la sua candidatura col Movimento 5 Stelle alle imminenti elezioni politiche di marzo 2018, risultando eletto alla Camera dei deputati nel collegio uninominale di Roma-Torre Angela con il 36,65% dei voti.[5]  Sottosegretario e vice ministro Il 12 giugno dello stesso anno l'onorevole Fioramonti è stato nominato sottosegretario presso il Ministero dell’istruzione, dell'università e della ricerca nel Governo Conte I[6]. A settembre 2018 ha annunciato di aver nominato a luglio 2018 il personaggio televisivo Dino Giarrusso suo segretario particolare, affidandogli l'incarico di coordinare la comunicazione del suo ufficio e curare le relazioni istituzionali. L'onorevole ha inoltre aggiunto di aver chiesto a Giarrusso di aiutarlo anche ad evadere le segnalazioni inviate al Ministero sulle presunte irregolarità che si verificano all'interno dei concorsi universitari[7].  Il 13 settembre 2018 il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro Marco Bussetti, lo ha nominato vice ministro all'istruzione, università e ricerca[8].  Ministro dell’istruzione, dell'università e della ricerca Proposto il 4 settembre 2019 come ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca nel Governo Conte II, viene nominato ufficialmente il 5 settembre 2019. All'inizio del suo mandato ha istituito un comitato scientifico di consulenza, composto tra gli altri dall'indiana Vandana Shiva.  Nel mese di ottobre 2019 intervenendo ai microfoni della trasmissione radiofonica Un giorno da pecora ha affermato di "credere in una scuola laica" e di essere favorevole alla rimozione del crocifisso nelle scuole, per sostituirlo piuttosto con una mappa del mondo. In seguito, verrà criticato dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI).[9]  Il 5 novembre 2019 Fioramonti ha annunciato per l'anno successivo l'introduzione in Italia, primo Paese al mondo, dello studio del cambiamento climatico e dello sviluppo sostenibile come materia scolastica.[10]  Il 18 novembre 2019, in un'intervista a Il Messaggero, ha dichiarato di essere pronto a rassegnare le proprie dimissioni qualora nella Legge di bilancio 2020 non fossero stati trovati fondi per 3 miliardi di euro da destinare all'istruzione[11]; il 25 dicembre dello stesso anno Fioramonti invia al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte una lettera in cui annuncia le proprie dimissioni e dichiara che, a proprio avviso, sarebbe opportuno rivedere l'IVA al fine di incassare i fondi che chiedeva per il proprio ministero.[12]  L’uscita dai 5 Stelle Il 30 dicembre 2019 comunica la propria uscita dal Movimento 5 Stelle e la propria adesione al Gruppo Misto alla Camera[13].  La fondazione di Eco e l'entrata in Green Italia Il 7 gennaio 2020 ha annunciato la fondazione del nuovo partito politico Eco.[14] Successivamente ha dichiarato che Eco rappresenta un'ipotesi, un'idea guidata dalla volontà di costituire una entità in collaborazione tra società civile e parlamentari, ma la cui concretizzazione in una nuova realtà non è ancora certa.[15]  Il 10 giugno 2020 però entra a far parte di Green Italia, insieme all'onorevole Rossella Muroni e Elly Schlein, vicepresidente dell'Emilia Romagna.  Controversie Il 3 ottobre 2019, dopo che il quotidiano il Giornale ha pubblicato alcune dichiarazioni fatte nel passato su Twitter da Fioramonti, ritenute inappropriate per la carica da ministro, diversi partiti (tra cui Lega, FI e FdI) chiedono le sue dimissioni dal dicastero, annunciando il deposito in Parlamento di una mozione di sfiducia[È stata effettivamente depositata? Che ne è stato?][16]. Il ministro ha quindi dichiarato sui social che tali opinioni erano state scritte di getto e si è quindi scusato[17].  Nello stesso periodo suscita polemica il fatto che, secondo quanto riportato dalle chat di alcuni genitori, il ministro avrebbe scelto di iscrivere il figlio alla scuola inglese e di non fargli fare l'esame di italiano; a seguito di tale notizia Fioramonti scrive un post sui social in cui si definisce turbato come padre e cittadino ed annuncia di voler presentare un esposto al garante della privacy[17].  Pubblicazioni Diritti umani 50 anni dopo. Aracne, 1999. Fuori. Fermento, 2010. Poteri emergenti nell'economia politica e internazionale. Il caso di India, Brasile e Sudafrica . ETS, 2011. Presi per il PIL. Tutta la verità sul numero più potente del mondo. L’Asino d’oro edizioni, 2017. Il mondo dopo il Pil. Economia e politica nell'era della post-crescita. Edizioni Ambiente, 2019. Un'economia per stare bene. Dalla pandemia del Coronavirus alla salute delle persone e dell'ambiente. Chiarelettere, 2020. Vita privata È sposato con Janine Schall-Emdem, cittadina tedesca, e ha due figli.[18]  Note  Vincenzo Bisbiglia, Lorenzo Fioramonti, chi è il candidato M5S: dalla laurea in Filosofia alla critica al pil. Con tappa alla Rockefeller foundation - Il Fatto Quotidiano, in Il Fatto Quotidiano, 16 febbraio 2018. URL consultato il 15 settembre 2018. ^ (EN) Professor Lorenzo Fioramonti, su www.up.ac.za. URL consultato il 15 settembre 2018. ^ (EN) Has GDP become an impediment to a better society?, su Financial Times. URL consultato il 16 ottobre 2017. ^ (EN) World needs a new Bretton Woods with Africa in the lead, su www.bdlive.co.za, Business Day. URL consultato il 13 gennaio 2015. ^ Eligendo: Camera [Scrutini] Collegio uninominale 05 - ROMA - ZONA TORRE ANGELA (Italia) - Camera dei Deputati del 4 marzo 2018 - Ministero dell'Interno, su Eligendo. URL consultato il 16 marzo 2018. ^ F.Q., Governo, nominati 45 tra viceministri e sottosegretari: Castelli e Garavaglia al Mef. Crimi all'Editoria. Dentro anche Siri - Il Fatto Quotidiano, in Il Fatto Quotidiano, 12 giugno 2018. URL consultato il 15 settembre 2018. ^ Università, dietrofront su Giarrusso. Fioramonti: "è solo il mio segretario, non un controllore", in Repubblica.it, 14 settembre 2018. URL consultato il 15 settembre 2018. ^ Governo: Galli, Rixi e Fioramonti nominati viceministri - Tgcom24, in Tgcom24, 13 settembre 2018. URL consultato il 15 settembre 2018. ^ Crocifisso a scuola, la Chiesa contro il ministro Fioramonti che vorrebbe toglierlo dalle classi, su Repubblica.it, 1º ottobre 2019. URL consultato il 26 dicembre 2019. ^ Fioramonti: da settembre il clima sarà materia di studio a scuola ^ Fioramonti: 3 miliardi per l'istruzione o confermo le mie dimissioni -, su Orizzonte Scuola, 18 novembre 2019. URL consultato il 26 dicembre 2019. ^ Il ministro dell’Istruzione Fioramonti ha dato le dimissioni, Corriere della sera, 25 dicembre 2019. ^ Fioramonti lascia il gruppo M5S: «C'è diffuso sentimento di delusione», Il Messaggero, 30 dicembre 2019. ^ [1] ^ L’ex ministro Fioramonti: «Un altro governo non è un tabù. Ora un’area civica progressista», su Il Manifesto. URL consultato il 4 giugno 2020. ^ Bufera su Fioramonti per alcuni tweet. Meloni chiede le dimissioni, per Lega e Pd deve chiarire, su L'HuffPost, 3 ottobre 2019. URL consultato il 26 dicembre 2019.  Bufera su Fioramonti per offese web, ministro si scusa - Politica, su Agenzia ANSA, 3 ottobre 2019. URL consultato il 26 dicembre 2019. ^ Chi è Lorenzo Fioramonti, nuovo ministro del MIUR, su theitaliantimes.it, 4 settembre 2019. URL consultato il 5 settembre 2019. Voci correlate Governo Conte II Ministri dell'istruzione, dell'università e della ricerca della Repubblica Italiana Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Lorenzo Fioramonti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Lorenzo Fioramonti Collegamenti esterni Sito ufficiale, su lorenzofioramonti.org. Modifica su Wikidata Lorenzo Fioramonti, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Lorenzo Fioramonti, su Openpolis, Associazione Openpolis. Modifica su Wikidata Registrazioni di Lorenzo Fioramonti, su RadioRadicale.it, Radio Radicale. Modifica su Wikidata Predecessore                                                Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca della Repubblica Italiana                             Successore                                                MinisteroIstruzione.png Marco Bussetti                                   5 settembre 2019 - 25 dicembre 2019                                Giuseppe Conte (ad interim)                                       Predecessore                                             Viceministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca della Repubblica Italiana                            Successore                                             MinisteroIstruzione.png -                                       13 settembre 2018 - 5 settembre 2019                                 Anna Ascani                                            Controllo di autorità                                        VIAF (EN) 53960315 · ISNI (EN) 0000 0001 1644 5803 · LCCN (EN) no2008079354 · GND (DE) 141034475 · NLA (EN) 48864573 · WorldCat Identities (EN) lccn-no2008079354 Biografie Portale Biografie Istruzione Portale Istruzione Politica Portale Politica Università Portale Università Categorie: Accademici italiani del XXI secoloPolitici italiani del XXI secoloNati nel 1977Nati il 29 aprileNati a RomaGoverno Conte IIMinistri dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca della Repubblica ItalianaDeputati della XVIII legislatura della Repubblica ItalianaPolitici del Movimento 5 StelleStudenti dell'Università degli Studi di Roma Tor Vergata[altre]

fiore: da Floris: Italian philosopher, the founder the order of Ciscercian order of San Giovanni in Fiore (vide, Grice, “St. John’s and the Cistercians”). He devoted the rest of his life to meditation and the recording of his prophetic visions. In his major works Liber concordiae Novi ac Veteri Testamenti,: Expositio in Apocalypsim and Psalterium decem chordarum. Da Floris  illustrates the deep meaning of history as he perceived it in his visions. History develops in coexisting patterns of twos and threes. The two testaments represent history as divided in two phases ending in the First and Second Advent, respectively. History progresses also through stages corresponding to the Holy Trinity. The age of the Father is that of the law; the age of the Son is that of grace, ending approximately in 1260; the age of the Spirit will produce a spiritualized church. Some monastic orders like the Franciscans and Dominicans saw themselves as already belonging to this final era of spirituality and interpreted Joachim’s prophecies as suggesting the overthrow of the contemporary ecclesiastical institutions. Some of his views were condemned by the Lateran Council.

Fiormonte – Domenico

Fiorentino -- Francesco Fiorentino Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Francesco Fiorentino Francesco Fiorentino.gif Deputato del Regno d'Italia Legislature                             XI, XII Sito istituzionale Dati generali Titolo di studio                               laurea Professione                                           filosofo Francesco Fiorentino (Sambiase, 1º maggio 1834[1] – Napoli, 22 dicembre 1884) è stato un filosofo e storico della filosofia italiano.   Indice 1                                           Biografia 2                                            Le opere e il pensiero 2.1                                        Opere 3                                             Note 4                                             Bibliografia 5                                           Altri progetti 6                                           Collegamenti esterni Biografia Nacque a Sambiase (attuale Lamezia Terme), nel cui centro storico ci sono una piazza ed una via a lui dedicate, il 1˚ maggio del 1834[1] da Gennaro, chimico e farmacista, e da Saveria Sinopoli. Fu educato da Giorgio e Bruno Sinopoli, rispettivamente zio e fratello di sua madre, entrambi sacerdoti, e venne influenzato dal pensiero e dagli scritti di Giuseppe Capocasale e Pasquale Galluppi. Successivamente entrò nel seminario vescovile di Nicastro, per imparare lettere e teologia. Qui studiò sotto gli insegnamenti di N. De Marco e F. M. Crecca, insigni filosofi e latinisti. Abbandonò il seminario nel 1851. Durante la giovinezza, trascorreva il suo tempo libero nel caffè letterario "Cherry Plum", luogo d'élite che attirava gli intellettuali del tempo. Lì Fiorentino iniziò a farsi conoscere tra i coetanei di Sambiase, costruendosi una discreta reputazione.  Dopo due anni trascorsi a Sambiase, a studiare teologia, si trasferì a Catanzaro dove intraprese gli studi di giurisprudenza. Non poté laurearsi perché aveva solo diciannove anni. Sarebbe probabilmente divenuto un avvocato se la filosofia non fosse stata la sua innata passione. Per vivere, Fiorentino dava lezioni private spendendo il resto della giornata a studiare. Di questi anni sono numerose traduzioni di testi antichi della Chiesa. Sempre a Catanzaro, nel 1859, si legò con profonda amicizia a M. Vitale, B. Chimirri, V. Bona, F. Pronestì e soprattutto a Bernardino Grimaldi.  Pur se miope e non aduso alle armi, Fiorentino tentò di prender parte alla rivoluzione di Giuseppe Garibaldi, ma dovette desistere, ritornando nuovamente alle sudate sue carte. All'indomani dell'ignominosa resa del generale Ghio e dei suoi dodicimila soldati borbonici a Soveria Mannelli, nell'incontrare Giuseppe Garibaldi a Maida, Fiorentino gli si avvicinò per congratularsi del successo ottenuto gridando: «Viva l'annessione, vogliamo l'annessione!»  Dopo l'Unità d'Italia, Fiorentino venne nominato, con decreto regio, professore di filosofia nel Liceo di Spoleto in Umbria: la sua fama di intellettuale e filosofo aveva varcato i confini della sua natia regione.  Non si sa dove e quando è stato iniziato in Massoneria, ma nel 1867 era membro effettivo della Loggia Felsinea di Bologna[2].  Le opere e il pensiero Da Spoleto presto passò a Maddaloni, vicino a Napoli, dove approfondì sempre più i suoi studi. Nella città partenopea pubblicò: Il Panteismo di Giordano Bruno.  Fiorentino rivedeva molto di sé nel carattere e nel martirio del filosofo nolano. La stessa affinità che, sia pure in chiave politica, egli ritrovava in Vincenzo Gioberti, grande statista torinese.  Il saggio su Bruno, gli valse nel 1862 la cattedra presso l'Università di Bologna che era stata dell'amico Bertrando Spaventa. Qui si occupò della storia della filosofia greca, contemporaneamente si interessò dell'epoca risorgimentale mettendo in risalto figure di filosofi allora sconosciute. Nella città felsinea, Fiorentino rimase per ben nove anni, dove avviò intensissima l'attività di pubblicista e saggista, scrivendo: Il Saggio storico sulla filosofia greca; Pietro Pomponazzi; e Scritti varii. Seguì l'opera su Telesio data alle stampe in Firenze.  Nel 1871 si trasferì a Napoli per insegnare Filosofia della storia. Con lui fu Restituta Trebbe, la donna che amò intensamente e dalla quale ebbe quattro figli.  Nel 1875 il Fiorentinò mutò ancora la sede dei suoi insegnamenti: fu nell'Università di Pisa per insegnare Filosofia teoretica. Qui pubblicò il noto testo Elementi di filosofia ad uso dei Licei, che per decenni ha costituito uno dei migliori manuali scolastici.  Tra il 1879 e il 1881 pubblicò il Manuale di Storia della Filosofia. Di lui risaltava lo stile incisivo e spigliato: un vero filosofo scrittore…  Nel 1880 ritornò di nuovo a Napoli ad occupare la cattedra che già una volta fu sua. Nel 1883 successe all'amico Spaventa nell'insegnamento della Filosofia Teoretica. Sempre nella città partenopea fondò il Giornale Napoletano. Nel 1882, con le sue prefazione e note, pubblicò "Poesie Liriche edite ed inedite di Luigi Tansillo", Domenico Morano, Napoli. Nel campo politico, dopo essere stato Deputato al Parlamento nel 1870 e nel 1874 in due collegi del Norditalia, nel 1861 egli era stato candidato nel collegio di Nicastro, ma non venne eletto. Riprovò nuovamente nel 1882 quando si presentò nel collegio di Monteleone.  Morirà a Napoli due anni dopo, il 22 dicembre del 1884 per un attacco cardiaco, a soli cinquant'anni d'età.  Nel 1887 le sue spoglie vennero traslate a Catanzaro che due anni dopo gli eresse un monumento alla memoria. Così pure il paese natale di Sambiase nel 1909.  Benché egli avesse insegnato per ventiquattro anni di seguito nelle scuole pubbliche, la sua famiglia non poté ottenere la pensione per soli sei mesi di servizio mancanti.  Opere Volgarizzazione dell'Itinerario della mente a Dio di S. Bonaventura, dei Libri del Maestro, Dell'immortalità dell'anima e Del libero arbitrio di S. Aurelio Agostino, del Proslogio di S. Anselmo, Messina, 1858 Sul panteismo di Giordano Bruno, Napoli, 1861 Saggio storico sulla filosofia greca, Firenze, 1864 Pietro Pomponazzi, studi storici sulla scuola bolognese e padovana del secolo XVI, Firenze, 1868 Bernardino Telesio, ossia studi storici sull'Idea della Natura nel Risorgimento italiano, Firenze, 1872-1873 La filosofia contemporanea in Italia, Napoli, 1876 Scritti vari di letteratura, poesia e critica, Napoli, 1876 Elementi di filosofia, Napoli, 1877 Della vita e opere di Vincenzo de Grazia, Napoli, 1877 Manuale di storia della filosofia, Napoli, 1879-1881 Elementi di filosofia, Napoli, 1880 Il Risorgimento filosofico nel Quattrocento, Napoli, 1885 e 1994 ISBN 88-85239-10-2 Note  L. Lo Bianco, op. cit., indica la data del 10 maggio 1834. ^ Vittorio Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Erasmo ed., Roma, 2005, pp. 123-124. Bibliografia G. Galati, Interpretazione dell'opera di Francesco Fiorentino, in «Archivio storico della filosofia italiana», 1936 G. Oldrini, La cultura filosofica napoletana dell'Ottocento, Bari, 1973 P. Di Giovanni, A cento anni dalla nascita dell'idealismo italiano, in «Bollettino della Società Filosofica Italiana», 2000 Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Francesco Fiorentino Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Francesco Fiorentino Collegamenti esterni Francesco Fiorentino, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Francesco Fiorentino, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Francesco Fiorentino, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Francesco Fiorentino, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Francesco Fiorentino, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Francesco Fiorentino, su storia.camera.it, Camera dei deputati. Modifica su Wikidata Simonetta Bassi, Francesco Fiorentino e Felice Tocco, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2012. Controllo di autorità                                               VIAF (EN) 24695059 · ISNI (EN) 0000 0001 1609 058X · SBN IT\ICCU\CFIV\043187 · LCCN (EN) n79063350 · GND (DE) 116532041 · BNF (FR) cb12442953h (data) · BNE (ES) XX1208908 (data) · BAV (EN) 495/121333 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79063350 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XIX secoloNati nel 1834Morti nel 1884Nati il 1º maggioMorti il 22 dicembreNati a SambiaseMorti a NapoliProfessori dell'Università degli Studi di Napoli Federico IIMassoniProfessori dell'Università di Pisa[altre]

Fioretti -- Benedetto Fioretti Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Proginnasmi poetici, 1639. Benedetto Fioretti, noto anche come Udeno Nisiely e Fracastoro, (Mercatale, 18 ottobre 1579[1] – Pistoia, 30 giugno 1642[1]), è stato un filosofo, filologo, teologo grammatico, poeta, critico letterario, ed educatore italiano. italiano. Fu autore del lavoro Proginnasmi poetici (pubblicato in 5 volumi tra il 1620 e il 1639), un'ampia raccolta di note critiche su autori di varie epoche, dai greci e latini agli scrittori italiani del XVI secolo, da cui emergono la straordinaria versatilità e ricchezza interessi dell'autore.  Come moralista, scrisse le opere Osservazioni di creanze e Esercizi morali (1633). Fu critico acerrimo di Ariosto[2], Aristotele e altri autori classici. È stato anche co-fondatore dell'Accademia degli Apatisti[1]. Secondo Girolamo Tiraboschi, era più un poeta che un filosofo[3].   Indice 1      Biografia 2                                            Opere 3                                             Note 4                                             Bibliografia 5                                           Altri progetti 6                                           Collegamenti esterni Biografia A ventidue anni divenne prete, ma trascurò i suoi doveri di ministro di Dio, avendo una vita così indisciplinata che il conte Giovanni Bardi, il feudatario di Vernio, lo ammonì ad una vita più contenuta. Ma ha risposto alle minacce con una satira che raggiunse le mani del conte, che immediatamente ordinò l'arresto di Fioretti. Ma il prete accorto fuggì, e i partigiani del conte trovarono solo un'iscrizione nella casa del prete che recita: Resurrexit, non est hic[4].  Infatti, si era rifugiato a Firenze, dove, nel tempo, cambiò completamente stile di vita: si dedicò agli studi e alla letteratura e divenne un sacerdote virtuoso. Rimase isolato nella sua residenza di Oriuolo e cambiò anche il nome diventando Udeno Nisieli, che significa "di nessuno, ad eccezione di Dio".  Ha pubblicato numerosi lavori, dimostrandosi diligente filologo e critico critico. Il suo capolavoro è la raccolta di poesie Proginnasmi, in cinque volumi, contenente critiche ai poeti greci, latini e italiani. La figura di Benedetto Fioretti è stata dimenticata dalla letteratura nel tempo, forse perché era eccessivamente franco[5].  Al suo pseudonimo era solito aggiungere la qualifica di "accademico apatita", come ad indicare la mancanza di passione nelle sue considerazioni poetiche. La totale imparzialità dei suoi giudizi era una condizione essenziale per sentirsi membro di questa accademia immaginaria, che più tardi, con la generosità di Agostino Coltellini, si concretizzò con l'obiettivo di riunire persone con abitudini salutari e politici impegnati.  Secondo Francesco Cionacci (1633-1714), nella sua opera Vita di Benedetto Fioretti, fu sepolto nella chiesa di San Basilio dei confratelli della Congregazione dello Spirito Santo, a cui lasciò come eredità la sua biblioteca e i suoi scritti.  Opere Benedetto Fioretti, Polifemo Briaco, 1627. Benedetto Fioretti, Proginnasmi poetici, vol. 1, Firenze, appresso Zanobi Pignoni, 1620. URL consultato il 18 marzo 2020. Benedetto Fioretti, Proginnasmi poetici, vol. 2, Firenze, appresso Zanobi Pignoni, 1620. URL consultato il 18 marzo 2020. Benedetto Fioretti, Proginnasmi poetici, vol. 3, Firenze, appresso Zanobi Pignoni, 1627. URL consultato il 18 marzo 2020. Benedetto Fioretti, Proginnasmi poetici, vol. 4, Firenze, nella Stamperia di Zanobi Pignoni, 1638. URL consultato il 18 marzo 2020. Benedetto Fioretti, Proginnasmi poetici, vol. 5, Firenze, nella stamperia di Pietro Nesti all'insegna del Sole, 1639. URL consultato il 18 marzo 2020. Il quinto volume dei Proginnasmi poetici venne presentato a Leopoldo I di Toscana che lo definì "un'opera di grande erudizione, che pesa i meriti dei grandi scrittori dell'universo, e rivela i più singolari artifici della Poetica"[6]. Benedetto Fioretti, Esercizi morali, 1633. URL consultato il 18 marzo 2020. Benedetto Fioretti, Rimario e Sillabario, Firenze, per Zanobi Pignoni, 1641. URL consultato il 18 marzo 2020. Note  DBI. ^ Raffaello Ramat, La critica ariostesca, Firenze 1954, pp. 38-48, e anche in Walter Binni, Storia della critica ariostesca, Lucca 1951, pp. 20-25. ^ Tiraboschi. ^ Luca, 24,6 ^ Scheda Biografica di Benedetto Fioretti, su Centro Ricerche Pratesi, 2013. URL consultato il 15 ottobre 2018 (archiviato il 30 aprile 2013). ^ Carmine Jannaco e Martino Capucci, Storia letteraria d'Italia: Il Seicento. Bibliografia Gian Vittorio Rossi, Pinacotheca, Colonia 1647, II, n. 31; Giulio Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara, per Bernardino Pomatelli, 1722, pp. 92-93. Giovanni Mario Crescimbeni, Comentarij..., Venezia 1730, II, p. 352; III, p. 105; IV, p. 146; Giovanni Mario Crescimbeni, L'Istoria della volgar poesia, Venezia 1731, p. 31; Giovanni Cinelli Calvoli, Biblioteca volante, II, Venezia 1735, p. 322; Giusto Fontanini, Della eloquenza italiana, Roma 1736, pp. 151, 261 s., 264, 298, 300, 311, 394 s., 419, 498, 526, 558 s., 639; Domenico Moreni, Bibliografia storico-ragionata della Toscana ..., I, Firenze 1805, pp. 269, 475; Giovan Battista Corniani, I secoli della Letteratura italiana dopo il suo Risorgimento Commentario di G.B. Corniani, a cura di S. Ticozzi, II, Milano 1833, pp. 52 ss.; Francesco Inghirami, Storia della Toscana, Biografia, XIII, Fiesole 1844, pp. 59 s.; Ciro Trabalza, La critica letteraria, Milano 1915, pp. 205, 253-256; Umberto Cosmo, Le polemiche letterarie, la Crusca e Dante, in Con Dante attraverso il Seicento, Bari 1946, pp. 32-37; Benedetto Croce, Storia dell'età barocca, Bari 1946, pp. 66 s., 181 s., 197 s., 205; Walter Binni, Storia della critica ariostesca, Lucca 1951, pp. 20-25; Raffaello Ramat, La critica ariostesca, Firenze 1954, pp. 38-48; Franco Croce, La discussione sull'Adone, in La Rassegna della letteratura italiana, LIX (1955), pp. 437 ss.; Letteratura italiana (Marzorati), I minori, II, Milano [1961], pp. 1010, 1234, 1237, 1351, 1356, 1785; Carmine Jannaco, Martino Capucci, Il Seicento, Milano 1963, pp. 31, 36 ss., 41, 45, 67, 73 ss., 79, 83, 205, 213, 279, 343, 428; Pio Rajna, Le fonti dell'Orlando furioso, Firenze [1975], pp. VII s. Gianfranco Formichetti, Benedetto Fioretti, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 48, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1997. Modifica su Wikidata Anton Angelo de Cavanis e Marcantonio de Cavanis, Il giovane istruito nella cognizione dei libri, vol. 6, Venezia, per Giuseppe Picotti, 1823, pp. 113-115. Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, vol. 8, Roma, per Luigi Perego Salvioni Stampator Vaticano, 1785, p. 407. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Benedetto Fioretti Collegamenti esterni Benedetto Fioretti, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Antonio Belloni, Benedetto Fioretti, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Controllo di autorità                           VIAF (EN) 61680503 · ISNI (EN) 0000 0001 0851 3685 · SBN IT\ICCU\TO0V\256983 · LCCN (EN) n85317302 · GND (DE) 124523684 · BNF (FR) cb13006438t (data) · BAV (EN) 495/17945 · CERL cnp00947261 · WorldCat Identities (EN) lccn-n85317302 Categorie: Filosofi italiani del XVI secoloFilosofi italiani del XVII secoloFilologi italianiTeologi italianiNati nel 1579Morti nel 1642Nati il 18 ottobreMorti il 30 giugnoNati a VernioMorti a Pistoia[altre]

Fisichella -- Francesco Fisichella Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Biblioteca Civica di Catania Francesco Fisichella (Catania, 1841 – Messina, 28 dicembre 1908) è stato un presbitero e filosofo italiano.   Indice 1                    Biografia 2                                            Opere 3                                             Note 4                                             Bibliografia 5                                           Voci correlate 6                                            Collegamenti esterni Biografia Appartenente alla nobile famiglia siciliana dei Fisichella[1], il canonico Francesco Fisichella fu autore di famose opere di teologia e diritto.  Fu responsabile della Biblioteca Civica di Catania dal 1878 al 1902.[2]  Insegnò presso l'Istituto teologico di Messina.  Morì a Messina, vittima del terremoto del 1908.  Opere Francesco Fisichella: Roma e il Mondo nel 1869: Discorso recitato nella chiesa del gesuiti in Catania il 31 dicembre 1869, Eugenio Coco, 1870, pp. 58. Francesco Fisichella: Della interdizione patrimoniale del condannato a pena perpetua: Secondo l'ultimo disegno del Codice penale italiano, F. Martinez, 1888. RISTAMPA: Kessinger Publishing, 2010, pp. 72. ISBN 1162354690, EAN 9781162354699. Francesco Fisichella: Delle obbligazioni naturali: Saggio critico, F. Martinez, 1889, pp. 78. RISTAMPA: Kessinger Publishing, 2010, pp. 78. ISBN 1162360119, EAN 9781162360119. Francesco Fisichella: Il divorzio: observazioni critiche, Carmelo de Stefano, 1894, pp. 164. Francesco Fisichella: Chiesa e Stato nel matrimonio: Studio critico di legislazione matrimoniale, Loescher, 1899, pp. 336. RISTAMPA: Kessinger Publishing, 2010, pp. 346. ISBN 1160339716, EAN 9781160339711. Note ^ Albero genealogico, su MyHeritage. URL consultato il 28 aprile 2020. ^ Nel 1893 fu nominato "bibliotecario onorario" Federico De Roberto, che scrisse in uno scrittoio a schiena d'asino ancora conservato molte pagine del suo romanzo I Viceré. Bibliografia Armando Balduino: Storia letteraria d'Italia, Vol. 10, p. 1753, Piccin, 1997, pp. 2510. Voci correlate Biancavilla Biblioteche riunite Civica ed Ursino Recupero Collegamenti esterni Opere di Francesco Fisichella, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata Predecessore                                            Responsabile della Biblioteca Civica di Catania                                  Successore Giuseppe Coco Zanghì 11 luglio 1872 – 1878                    1878 – 1902                                       Carmelo Ardizzoni 1902 – 1907 Controllo di autorità                        VIAF (EN) 81668143 · SBN IT\ICCU\PALV\041967 · WorldCat Identities (EN) viaf-81668143 Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Categorie: Presbiteri italianiFilosofi italiani del XIX secoloNati nel 1841Morti nel 1908Morti il 28 dicembreNati a CataniaMorti a Messina[altre]

flew

floridi: essential Italian philosopher. He has explored aspects of Grice’s use of the expression ‘inform,’ ‘mis-inform,’ in terms of ‘factivity.’  Luciano Floridi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search  Luciano Floridi Luciano Floridi (Roma, 16 novembre 1964) è un filosofo italiano naturalizzato britannico, professore ordinario di filosofia ed etica dell'informazione presso l'Oxford Internet Institute dell'Università di Oxford[1], dove è direttore del Digital Ethics Lab[2].  Attualmente è visiting professor all'Università di Ferrara.  Floridi è principalmente conosciuto per il suo lavoro in due aree di ricerca filosofica: la filosofia dell'informazione e l'etica informatica.   Indice 1                         Biografia 2                                            Pensiero 3                                            Opere 4                                             Note 5                                             Voci correlate 6                                            Collegamenti esterni Biografia Laureato all'Università di Roma "La Sapienza", M.Phil e in possesso di un dottorato di ricerca conseguito all'Università di Warwick, M.A. all'Università di Oxford, prima dell'attuale incarico il professor Floridi ha insegnato, in qualità di professore associato, logica ed epistemologia all'Università di Oxford e all'Università di Bari. In qualità di professore ordinario, invece, ha insegnato filosofia dell'informazione presso l'Università dello Hertfordshire, dove è anche stato UNESCO Chair of Information and Computer Ethics.  È conosciuto per i suoi studi sulla tradizione scettica (scetticismo), ma principalmente per il suo lavoro di fondazione della filosofia dell'informazione e dell'etica informatica, due campi che ha contribuito a costituire.[3] È stato fondatore e coordinatore, con Jeff Sanders, dello IEG, gruppo di ricerca interdipartimentale sulla filosofia dell'informazione all'Università di Oxford.[4] Ha lavorato nella Humanities Computing e ha fondato e diretto il Sito Web Italiano di Filosofia (SWIF).[5] È stato presidente della IACAP (International Association for Computing And Philosophy), della quale in passato è stato anche vicepresidente.  I suoi lavori sono stati tradotti in ceco, cinese, francese, giapponese, greco, persiano, polacco, portoghese e ungherese.  Pensiero Niente fonti! Questa voce o sezione sull'argomento filosofi italiani non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sull'uso delle fonti. Durante la laurea ha studiato da classicista e da storico della filosofia. Nel Regno Unito, prima a Warwick e poi a Oxford, si è interessato di filosofia della logica ed epistemologia. Si è quindi occupato di diversi argomenti filosofici tradizionali, alla ricerca di una nuova metodologia, con l'obiettivo di riuscire ad avvicinarsi ai problemi contemporanei in una prospettiva che fosse efficace dal punto di vista euristico e potesse allo stesso tempo anche costituire un arricchimento intellettuale nell'affrontare le questioni filosofiche dei nostri giorni. Molto presto, ha iniziato a distanziarsi dalla filosofia analitica classica. Secondo Floridi, il movimento analitico aveva perso la sua spinta iniziale ed era ormai un paradigma sempre più debole, scolasticizzato.[6] Per questo motivo, ha concentrato i suoi interessi su una nuova fondazione dell'epistemologia. Nel suo primo libro, Scepticism and the Foundation of Epistemology, andava già alla ricerca di un concetto di "conoscenza-indipendente-dal-soggetto", vicino a ciò che oggi definisce informazione semantica.  Secondo Floridi, è necessario sviluppare una filosofia costruzionista, all'interno della quale il design, la creazione di modelli e le implementazioni sostituiscano analisi frivole e esami cavillosi. In questo modo, la filosofia ha la speranza di non chiudersi in un angolo sempre più angusto, fatto di ricerche autosufficienti e che interessano solo a sé stesse, e di riacquistare un punto di vista più ampio sui problemi che sono realmente determinanti nella vita umana. Così, lentamente, Floridi è giunto a prendere in considerazione la filosofia dell'informazione, una nuova area di ricerca emersa dalla svolta computazionale, avvicinandola da due prospettive, quella puramente teorica della logica e dell'epistemologia, e quella più tecnica dell'informatica, in particolare dell'etica del computer, della teoria dell'informazione e della humanities computing.  Nella prefazione di Philosophy and Computing, pubblicato nel 1999, Floridi scrive che il libro è pensato per due tipi di studenti di filosofia: gli studenti che hanno bisogno di acquisire conoscenze di IT necessarie per fare uso del computer in maniera efficace, e gli studenti che possono essere interessati ad acquisire le conoscenze di sfondo indispensabili per la comprensione critica della nostra era digitale e dunque iniziare a lavorare sulla nuova branca della filosofia che si va formando, proprio la Filosofia dell'informazione, che Floridi si augura un giorno possa diventare parte integrante della cosiddetta Philosophia Prima. Da allora, la PI, o PCI (Philosophy of Computing and Information), è diventata il suo maggiore interesse di ricerca.  In PI, Floridi sostiene che ci sia bisogno di un concetto più ampio di elaborazione e di flusso dell'informazione, che includa la computazione, ma non solo. Questa nuova prospettiva fornisce una cornice teorica molto efficace all'interno della quale inserire e dare significato alle differenti linee di ricerca che hanno preso forma dagli anni cinquanta a oggi. Il secondo vantaggio è la prospettiva diacronica fornita da PI, che permette di inquadrare lo sviluppo della filosofia nel tempo. Secondo Floridi, PI fornisce infatti un punto di vista molto più ampio e profondo su ciò che la filosofia avrebbe cercato di fatto di realizzare nel corso dei secoli.  Opere Scepticism and the Foundation of Epistemology - A Study in the Metalogical Fallacies. Leida: Brill, 1996. Internet - An Epistemological Essay. Milano: Il Saggiatore, 1997. Philosophy and Computing: An Introduction. Londra/New York: Routledge, 1999. Sextus Empiricus, The Recovery and Transmission of Pyrrhonism. Oxford: Oxford University Press, 2002. The Blackwell Guide to the Philosophy of Computing and Information. Oxford: Blackwell UK, 2003. Infosfera - Filosofia e Etica dell'informazione. Torino: Giappichelli Editore, 2009. Information – A Very Short Introduction. Oxford: Oxford University Press, 2010 (trad. it. di Massimo Durante, La rivoluzione dell'informazione. Torino: Codice, 2012). The Philosophy of Information. Oxford: Oxford University Press, 2011. The Fourth Revolution - How the infosphere is reshaping human reality. Oxford: Oxford University Press, 2014 (tr. it. La quarta rivoluzione, Milano: Raffaello Cortina Editore, 2017). The Ethics of Information. Oxford: Oxford University Press, 2013. Information - A Very Short Introduction. Oxford: Oxford University Press, 2010. The Cambridge Handbook of Information and Computer Ethics. Cambridge: Cambridge University Press, 2010. Pensare l'infosfera. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2020. Il verde e il blu. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2020. Note ^ OII: Luciano Floridi, www.oii.ox.ac.uk. URL consultato il 9 maggio 2016. ^ digitalethicslab.oii.ox.ac.uk, http://digitalethicslab.oii.ox.ac.uk/luciano-floridi/. URL consultato il 2 dicembre 2017. ^ Pagina personale di Floridi ^ IEG Home Page ^ https://web.archive.org/web/20080907203824/http://www.philosophyofinformation.net/pdf/auto.pdf ^ https://www.thenewatlantis.com/publications/why-information-matters Voci correlate Onlife Collegamenti esterni Opere di Luciano Floridi, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Luciano Floridi, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Pagina ufficiale nel sito dell'Oxford Institute, su oii.ox.ac.uk. Home page e articoli online, su philosophyofinformation.net. Intervista e lezione durante l'IoE talks (Internet of Everything - Roma 2015) La lecture su "Intelligenza artificiale, dobbiamo preoccuparci?" presso il Centro Nexa del Politecnico di Torino - 2015 Biografia e intervista su Rai MediaMente, su mediamente.rai.it. URL consultato il 1º maggio 2006 (archiviato dall'url originale il 26 giugno 2007). Biografia e intervista per l'American Philosophical Association (archiviato) Biografia, da Cervelli in Fuga, Roma, Accenti, 2001 (archiviato) Where are we in the philosophy of information? The Bergen podcast (archiviato) Controllo di autorità                       VIAF (EN) 64109500 · ISNI (EN) 0000 0001 1446 1957 · Europeana agent/base/146003 · LCCN (EN) n98095077 · ORCID (EN) 0000-0002-5444-2280 · GND (DE) 143605453 · BNF (FR) cb12498356c (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-n98095077 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XXI secoloFilosofi britanniciNati nel 1964Nati il 16 novembreNati a RomaStudenti della Sapienza - Università di RomaProfessori dell'Università di Oxford[altre]

No comments:

Post a Comment