Lombardo
Longano -- Francesco Longano
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scrittori italiani Questa voce sugli argomenti scrittori italiani e filosofi
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di Wikipedia. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Francesco
Longano (Ripalimosani, 5 febbraio 1728 – Santopadre, 28 aprile 1796) è stato un
filosofo e saggista italiano. Figlio di
Vito Longano e Dorotea Gentile, fu allievo di Ottavio Zurlo, si trasferì a
Campobasso dove nel 1751 fu ordinato sacerdote e quindi a Napoli l’anno
seguente, dove riprese gli studi e divenne allievo dell'abate Antonio Genovesi.
Trasferitosi poi a Cerreto Sannita per qualche tempo, insegnando al locale
seminario, quindi tornò a Napoli dove sostituì come insegnante
Genovesi.[1] Fece parte della massoneria
ed è considerato un importante esponente dell'illuminismo italiano, fu
sostenitore dello stretto rapporto tra anima e corpo e di una visione dell'uomo
nella sua interezza.[2] Propugnò la
rinascita dell'Italia meridionale, proponendo un piano di riforme e il
superamento del feudalesimo.[3] Indice
1 Opere
2 Note
3 Bibliografia
4 Altri
progetti 5 Collegamenti
esterni Opere Piano di un corpo di filosofia morale, o sia Estratto d'un corso
di Etica, di economia e dipolitica, composto dall'abate Francesco Longano,
lettore straordinario in dritto naturale nella regia Università di Napoli,
Napoli, 1764. Dell'Uomo Naturale. Trattato dell'abate Francesco Longano,
Napoli, Giuseppe Raimondi,1767 .Saggio politico sul commercio tradotto dal
francese colle annotazioni dell'ab. Longano, Napoli, presso Vincenzo Flauto,
1778 .Raccolta di Saggi economici per gli abitanti delle due Sicilie, Napoli,
Vol. I, presso Domenico Sangiacomo, vol. II, presso Giuseppe Campo, 1779
Dell'uomo e della sua morale naturale Volume 1, Esame fisico, e morale
dell'uomo, Napoli, Michele Morelli, 1783 Dell'uomo, e sua morale naturale Volume
2, Della morale naturale, Napoli, Michele Morelli, 1783 Dell'uomo Religioso e
cristiano, vol. I, Dell'uomo religioso, Napoli, 1786, Michele Morelli Logica, o
sia arte del ben pensare Viaggio per lo contado di Molise nell'ottobre 1786
ovvero descrizione fisica, economica e politica del medesimo, Napoli, 1788
Viaggio dell'abate Longano per la Capitanata, Napoli, Domenico Sangiacomo, 1790
Il Purgatorio ragionato, a cura di Francesco Lepore, postfazione di Sebastiano
Martelli, Campobasso, Palladino, 2015 Philosophiae rationalis elementa Vol. I,
De arte logica, Neapoli, 1791; vol. II, De Scientia metaphysica, Neapoli, 1791,
apud Vincentium Orsino; vol. III, DeJure humanae, Neapoli, 1791. Note ^
Biblioteca provinciale di Foggia - L'anno di Genovesi (PDF), su bibliotecaprovinciale.foggia.it.
^ Gaetano, IL PENSIERO FILOSOFICO DI FRANCESCO LONGANO, su
webcache.googleusercontent.com. URL consultato il 5 dicembre 2017. ^ Anna Maria
Rao, L'amaro della feudalità: la devoluzione di Arnone e la questione feudale a
Napoli alla fine del '700, Guida Editori, 1984, ISBN 9788870422658. URL
consultato il 5 dicembre 2017. Bibliografia Francesco Rizzo, Francesco Longano
e la civiltà del Purgatorio: riformismo e anticlericalismo nella provincia
molisana del XVIII secolo, ISBN 9788862747028 Altri progetti Collabora a
Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Francesco Longano Collegamenti
esterni Stefano Borgna, Francesco Longano su delpt.unina.it Antonio Trampus,
Francesco Longano, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 4 dicembre 2017. Controllo di
autorità VIAF (EN) 70948479 · ISNI (EN)
0000 0000 6138 7596 · SBN IT\ICCU\CFIV\108841 · LCCN (EN) no90010736 · BNF (FR)
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lccn-no90010736 Biografie Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che
trattano di biografie Categorie: Filosofi italiani del XVIII secoloSaggisti
italiani del XVIII secoloNati nel 1728Morti nel 1796Nati il 5 febbraioMorti il
28 aprileNati a RipalimosaniMorti a SantopadreMassoniIlluminismo[altre]
longinus: Grecian
literary critic, author of a treatise “Peri hypsous.” The work is ascribed to
“Dionysius or Longinus” in the manuscript and is now tentatively dated to the
end of the first century A.D. The author argues for five sources of sublimity
in literature: (a) grandeur of thought and (b) deep emotion, both products of
the writer’s “nature”; (c) figures of speech, (d) nobility and originality in
word use, and (e) rhythm and euphony in diction, products of technical
artistry. The passage on emotion is missing from the text. The treatise, with
Aristotelian but enthusiastic spirit, throws light on the emotional effect of
many great passages of Greek literature; noteworthy are its comments on Homer
(ch. 9). Its nostalgic plea for an almost romantic independence and greatness
of character and imagination in the poet and orator in an age of dictatorial
government and somnolent peace is unique and memorable.
Losano -- Mario
Giuseppe Losano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Mario Giuseppe Losano (Casale Monferrato, 5 ottobre 1939) è un filosofo
italiano. Si occupa di filosofia del diritto e informatica giuridica, ed è
inoltre un brasilianista. Indice 1 Biografia
2 Riconoscimenti
3 Opere
principali 4 Collegamenti
esterni Biografia Laureato in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di
Torino nel 1961-62 e libero docente di filosofia del diritto nel 1971, insegnò
teoria generale del diritto presso la Facoltà di Scienze Politiche
dell'Università degli Studi di Milano dal 1969 al 2004. Dal 2002 al 2007 è
stato professore ordinario di Introduzione all'Informatica Giuridica e di
Filosofia del Diritto presso le Facoltà di Giurisprudenza e di Scienze Matematiche
e Fisiche e presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche ed Economiche
dell'Università del Piemonte Orientale "Amedeo Avogadro", sede di
Alessandria. Dal 2007 è stato professore ordinario di Filosofia del Diritto
presso la Facoltà di Giurisprudenza della stessa università, dove ha anche
insegnato Introduzione all'Informatica Giuridica. Dal 2009 è professore emerito
di Filosofia del Diritto e Informatica Giuridica presso la stessa università. È
professore nella Scuola di Dottorato in Diritti e Istituzioni dell'Università
degli Studi di Torino e, inoltre, nel Corso di perfezionamento del Dipartimento
di Scienze Umane per la Formazione, Università di Milano Bicocca. È stato
professore visitante, in Brasile, presso la Universidade do Estado de Minas Gerais,
Belo Horizonte, e "professor visitante permanente" presso la
Universidade Federal da Paraíba, João Pessoa, Brasile. È socio corrispondente
dell'Accademia delle Scienze di Torino e, in Brasile, della Academia
Pernambucana de Letras, Recife, e della Academia Sergipana de Letras,
Aracaju. Assoziierter Wissenschaftler am Max-Planck-Institut für
Europäische Rechtsgeschichte, Frankfurt am Main 2017[in italiano?]. Si
occupa di storia della filosofia del diritto; teoria generale del diritto;
circolazione mondiale delle idee giuridiche e sociali; filosofia politica;
diritti umani; geopolitica; informatica giuridica; privacy; e-publishing;
edizioni di archivi storici. Ha pubblicato in tre volumi un completo panorama
sull'evoluzione della nozione di sistema nel diritto dalle origini ai giorni
nostri. Ha curato i tre volumi dei carteggi inediti di Rudolf von Jhering con
vari giuristi tedeschi e austriaci, nonché le traduzioni italiane di importanti
opere di Rudolf von Jhering e di Hans Kelsen. In tedesco ha curato l'edizione
critica delle corrispondenze dal Giappone di Hermann Roesler. In francese ha
pubblicato l'inedito corso di filosofia del diritto tenuto a Tokyo nel 1889 da
Alessandro Paternostro. Come informatico giuridico, ha pubblicato il primo
manuale italiano di informatica giuridica e diritto informatico in tre volumi e
un progetto di legge sulla tutela della privacy; presso l'Università degli
Studi di Milano è stato presidente del "Centro di calcolo automatico"
(1982-1985 e 1985-1988); nel 2001 ha fondato il corso triennale di laurea in
informatica giuridica presso l'Università del Piemonte Orientale, primo corso
interfacoltà di questo genere in Italia, poiché è inserito tanto nella Facoltà
di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, quanto nella Facoltà di
Giurisprudenza. Come brasilianista, ha studiato il filosofo Tobias Barreto e il
maggior movimento sociale del Sud America, il "Movimento Sem-Terra"
(MST). Nel 1973 ha tenuto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università
di São Paulo il primo corso brasiliano di informatica giuridica. Ha finora
pubblicato oltre 50 volumi e 500 saggi originali. Suoi libri e saggi sono
tradotti in 12 lingue. Prima di optare per il tempo pieno all'università,
è stato per anni consulente editoriale della Giulio Einaudi Editore di Torino,
poi del gruppo editoriale Elemond (Electa-Mondadori di Milano), nonché
consulente scientifico per l'informatica dell'amministratore delegato della
Siemens Data S.p.A. di Milano (in seguito Unidata e poi Siemens Nixdorf).
Riconoscimenti Nel 1971 gli è stato conferito il Prix International des Hautes
Synthèses, Nice (Francia). Nel 1971 gli è stato conferito il Premio Honeywell
per il giornalismo scientifico, Milano. Nel 1995 la fondazione tedesca
Alexander von Humboldt gli ha conferito il premio per la ricerca Alexander von
Humboldt-Forschungspreis. Nel 2002 il Governo brasiliano lo ha nominato
Comendador da Ordem Nacional do Cruzeiro do Sul per meriti culturali. Nel 2004
ha ricevuto il titolo di Dottore honoris causa dalla Facoltà di Giurisprudenza
dell'Università di Hannover. Nel 2008 ha ricevuto il titolo di Dottore honoris
causa dell'Universidad de la República di Montevideo. Nel 2009 ha ricevuto il
titolo di Dottore honoris causa dalla Facoltà di Giurisprudenza
dell'Universidad Carlos III, Madrid. Nel 2012 il Governo austriaco gli ha
conferito la Oesterreichisches Ehrenkreuz für Wissenschaft und Kunst I. Klasse.
Nel 2013 ha ricevuto il titolo di Professor honoris causa dalla Universidade
Federal de Pernambuco (UFPE), Recife, Brasile. Nel 2015 è nominato Socio
Onorario e Paul Harris Fellow dal Rotary Club, Distretto 2032 di Casale
Monferrato, Italia. Nel 2015 ha ricevuto la Medaglia d'oro dell'Ordine degli
Avvocati, Milano, Italia. Nel 2019 ha ricevuto il titolo di Professor honoris
causa dalla Universidade Federal da Paraíba (UFPB), João Pessoa, Brasile. Opere
principali Hans Kelsen, La dottrina pura del diritto. Saggio introduttivo e
traduzione di Mario G. Losano, Einaudi, Torino 1966, CIII-418 pp. (Nuova
Biblioteca Scientifica Einaudi). Hans Kelsen, La dottrina pura del diritto. A
cura di Mario G. Losano, Einaudi, Torino 1990, LXXXVII-425 pp. (Nuova
Universale Einaudi). La teoria di Marx ed Engels sul diritto e sullo stato.
Materiali per il seminario di filosofia del diritto, Università Statale di
Milano. Anno Accademico 1968-69, Cooperativa Libraria Università Torinese,
Torino 1969, V-188 pp. Giuscibernetica. Macchine e modelli cibernetici nel
diritto, Einaudi, Torino 1969, 205 pp. Libia 1970. Materiali sui rapporti fra
ideologia ed economia nel terzo mondo. Corso di filosofia politica, Università
di Milano. Anno Accademico 1969-70, Cooperativa Libraria Università Torinese,
Torino 1970, II-159 pp. Libia 1970. Materiali sui rapporti fra ideologia ed
economia nel terzo mondo. http://daten.digitale-sammlungen.de/db/0010/bsb00105522/images/
. Rudolf von Jhering, Lo scopo nel diritto. A cura di Mario G. Losano, Einaudi,
Torino 1972, CIII-419 pp. Rudolf von Jhering, Lo scopo nel diritto.
Introduzione e cura di Mario G. Losano, Nino Aragno Editore, Torino 2014, 407
pp. ISBN 978-88-8419-674-3 Corso di informatica giuridica, Cooperativa
Universitaria Editrice Milanese, Milano 1971, VI-325 pp. [Trad. in port.:
Informática jurídica, São Paulo 1976, XVI-255 pp.] Corso di informatica
giuridica. Seconda edizione ampliata: I - L'elaborazione dei dati non numerici,
Unicopli, Milano 1981, XXIII-316 pp. II - Il diritto dell'informatica,
Unicopli, Milano 1981, pp. XXV-(317-)543 pp. Corso di informatica giuridica.
Terza edizione: I - L'elaborazione dei dati non numerici, Unicopli, Milano
1984, XXXI-317 pp. [Trad. spagn.: Curso de informática jurídica, Madrid 1984,
262 pp.] II - Il diritto dell'informatica, Unicopli, Milano 1984, XXXI–
[317-543] + 16 pp. (seconda edizione, 1981) Lições de informática jurídica, Editora
Resenha Tributaria, São Paulo 1974, XVI-237 pp. [ed. ital.: Lezioni pauliste di
informatica giuridica, Torino 1974, VII-205 pp.] Stato e automazione. L'esempio
giapponese, Etas Kompass, Milano 1974, 245 pp. Babbage: la macchina analitica.
Un secolo di calcolo automatico, Etas Kompass, Milano 1974, IX-191 pp. Scheutz:
La macchina alle differenze. Un secolo di calcolo automatico, Etas Libri,
Milano 1974, 164 pp. Machines arithmétiques. Invenzioni francesi del
Settecento. Testi originali con 15 tavole dell'epoca, Bottega d'Erasmo, Torino
1976, VIII-117 pp. I grandi sistemi giuridici. Introduzione ai diritti europei
ed extraeuropei, Einaudi, Torino 1978, XXIII-361 pp. [trad. port.: Os grandes
sistemas jurídicos, Lisboa 1979, 307 pp.; trad. spagn.: Los grandes sistemas
jurídicos, Madrid 1981, 405 pp.] I grandi sistemi giuridici. Introduzione ai
diritti europei ed extraeuropei, Einaudi, Torino 1988, XXIX-370 pp. (seconda
edizione ampliata). I grandi sistemi giuridici. Introduzione ai diritti europei
ed extraeuropei, Laterza, Roma – Bari 2000, XIX-550 pp. (terza edizione
ampliata) [Trad. romena: Marile sisteme juridice. Introducere în dreptul
european şi extraeuropean, Bucureşti 2005, 640 pp. [trad. in port.: Os grandes
sistemas jurídicos. Introdução aos sistemas jurídicos europeus e
extra-europeus. Tradução di Marcela Varejão, Martins Fontes, São Paulo 2007,
LVII-677 pp.] L'informatica legislativa regionale. L'esperimento del Consiglio
Regionale della Lombardia, Rosenberg & Sellier, Torino 1979, 144 pp. Forma
e realtà in Kelsen, Comunità, Milano 1981, 229 pp. (Trad. in spagn.: Teoría
pura del derecho. Evolución y puntos cruciales, Bogotá 1992, XVI-267 pp.)
Introducción a la informática jurídica, Universidad de Palma de Mallorca, Palma
1982, 107 pp. Automi arabi del XIII secolo. Dal "Libro sulla conoscenza
degli ingegnosi meccanismi", Luigi Maestri Editore, Milano 1982, 94 pp.
(con 12 tavole a colori); ristampato con il titolo: Automi d'Oriente.
"Ingegnosi meccanismi" arabi del XIII secolo, Milano 2003, 127 pp. Il
diritto economico giapponese. Seconda edizione ampliata con un'appendice sul
diritto coreano, Unicopli, Milano 1984, 138 pp. (prima edizione: 1982) Der
Briefwechsel zwischen Jhering und Gerber, Münchener Universitätsschriften.
Juristische Fakultät. Abhandlungen zur rechtswissenschaftlichen
Grundlagenforschung, Band 55/1, Teil 1, Verlag Rolf Gremer, Ebelsbach 1984,
XXII-693 pp. Studien zu Jhering und Gerber, Münchener Universitätsschriften.
Juristische Fakultät. Abhandlungen zur rechtswissenschaftlichen Grundlagenforschung,
Band 55/2, Teil 2, Verlag Rolf Gremer, Ebelsbach 1984, XXIII-432 pp.
L'ammodernamento giuridico della Turchia (1839-1926), Unicopli, Milano 1980,
150 pp. L'ammodernamento giuridico della Turchia (1839-1926), Unicopli, Milano
1985, 155 pp. (Seconda edizione, ristampata anche nel 1990; prima edizione:
1980) Hermann Roesler, Berichte aus Japan (1879-1880), Herausgegeben von Mario
G. Losano, Unicopli, Milano 1984, XXVII-398 pp. Hermann Roesler, Berichte aus
Japan (1879-1880), http://daten.digitale-sammlungen.de/db/0010/bsb00106246/images/
Corso di informatica giuridica: I - Informatica per le scienze sociali,
Einaudi, Torino 1985, XXI-547 pp. II - Il diritto privato dell'informatica,
Einaudi, Torino 1986, XVIII-298 pp. III - Il diritto pubblico dell'informatica,
Einaudi, Torino 1986, IV-348 pp. Scritto con la luce. Il disco compatto e la
nuova editoria elettronica, Unicopli, Milano 1988, 128 pp. Libertad informática
y leyes de protección de datos personales, Centro de Estudios Constitucionales,
Madrid 1989, 213 pp. L'informatica e l'analisi delle procedure giuridiche,
Unicopli, Milano 1989, 388 pp. (prima edizione: 1984) (Trad. spagn.: La
informática y el análisis de los procedimientos jurídicos, Madrid 1991, 222
pp.) Diritto e CD-ROM. Esperienze italiane e tedesche a confronto. A cura di
Mario G. Losano e Lothar Philipps, Giuffrè, Milano 1990, VIII-117 pp. Storie di
automi. Dalla Grecia classica alla Belle Époque, Einaudi, Torino 1990,
XXVIII-154 pp. (Trad. in port.: Histórias de autômatos. Da Grécia Antiga à
Belle Époque, São Paulo 1992, 147 pp.) Saggio sui fondamenti tecnologici della
democrazia, Quaderni della Fondazione Adriano Olivetti, 1991, 82 pp.
Disponibile on line a questo indirizzo
http://www.fondazioneadrianolivetti.it/pubblicazioni.php?id_pubblicazioni=124
Informatika juridike. Përkthimi dhe parathënia nga Gjergj Sinani, Istituto per
la Documentazione Giuridica, Firenze 1994, 129 pp. (Raccolta di saggi
sull'informatica giuridica, già pubblicati in italiano e qui tradotti in
albanese). Sonne in der Tasche. Italienische Politik seit 1992. Aus dem
Italienischen von Moshe Kahn, Antje Kunstmann Verlag, München 1995, 230 pp. Der
Briefwechsel Jherings mit Unger und Glaser, Münchener Universitätsschriften.
Juristische Fakultät. Abhandlungen zur rechtswissenschaftlichen
Grundlagenforschung, Band 78, Aktiv Verlag, Ebelsbach 1996, XIII-337 pp. Renato
Treves, sociologo tra il Vecchio e il Nuovo Mondo. Con il regesto di un
archivio ignoto e la bibliografia di Renato Treves, Unicopli, Milano 1998, VIII-210
pp. Hans Kelsen – Umberto Campagnolo, Diritto internazionale e Stato sovrano. A
cura di Mario G. Losano. Con un inedito di Hans Kelsen e un saggio di Norberto
Bobbio, Giuffrè, Milano 1999, XI-402 pp. [trad. in port.: Hans Kelsen – Umberto
Campagnolo, Direito internacional e Estato soberano, São Paulo 2002, XV-209
pp.; trad. spagn.: Hans Kelsen - Umberto Campagnolo, Derecho Internacional y
Estado Soberano. Un diálogo con Kelsen sobre paz, federalismo y soberanía.
Mario G. Losano, Edición y estudio introductorio - Consuelo Ramón, Traducción
al Castellano, Publicacions Universitat de València - Tirant lo Blanc, Valencia
2007, 214 pp.] Un giurista tropicale. Tobias Barreto fra Brasile reale e
Germania ideale, Laterza, Roma – Bari 2000, pp. XII-322. Sistema e struttura
nel diritto: I - Dalle origini alla Scuola storica, Giuffrè, Milano 2002,
XXIX-373 pp. (prima edizione, 1968); II - Il Novecento, Giuffrè, Milano 2002,
XVIII-311 pp.; III - Dal Novecento alla postmodernità, Giuffrè, Milano 2002,
XVIII-371 pp. (trad. in port.: Sistema e estrutura no direito): (trad. in
port.: I - Das origens à Escola Histórica, Martins Fontes, São Paulo 2008,
XLIV-463 pp.) (trad. in port.: II - O século XX, Martins Fontes, São Paulo
2010, XXV-373 pp) (trad. in port.: III: Do século XX à pós-modernidade, Martins
Fontes, São Paulo 2011, XXXV-456 pp.) Umberto Campagnolo, Verso una
costituzione federale per l'Europa. Una proposta inedita del 1943. A cura di M.
G. Losano, Giuffrè, Milano 2003, XV-229 pp. Mario G. Losano – Francisco Muñoz
Conde (org.), El derecho ante la globalización y el terrorismo. "Cedant
arma togae". Actas del Coloquio Internacional Humboldt, Montevideo abril
2003, Tirant lo Blanc, Valencia 2004, 459 pp. Un giudice e due leggi.
Pluralismo normativo e conflitti agrari in Sud America. A cura di M. G. Losano,
Giuffrè, Milano 2004, XIX-271 pp. Función social de la propiedad y latifundios
ocupados. Los Sin Tierra de Brasil, Dykinson, Madrid 2006, 219 pp. Il Movimento
Sem Terra del Brasile. Funzione sociale della proprietà e latifondi occupati,
Diabasis, Reggio Emilia 2007, 280 pp. Hans Kelsen, Scritti autobiografici.
Traduzione e cura di Mario G. Losano, Diabasis, Reggio Emilia 2008, 147 pp.
Peronismo e giustizialismo: dal Sudamerica all'Italia, e ritorno. A cura di
Marzia Rosti, Diabasis, Reggio Emilia 2008, 110 pp. La Turchia tra Europa ed
Asia: un secolo tra laicismo e Islam. Memoria dell'Accademia delle Scienze di
Torino, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, Serie V, Volume 33,
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Torino: Pietro Luigi Albini (1807-1863). Con due documenti sulla collaborazione
di Albini con Mittermaier, Memorie della Accademia delle Scienze di Torino,
Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche (Serie V, vol. 37, fasc. 2),
Accademia delle Scienze, Torino 2013, 104 pp. [ISBN 978-88-908669-2-0; ISSN
1120-1622 (WC · ACNP)]. (Summary in English).
http://www.accademiadellescienze.it/attivita/editoria/periodici-e-collane/memorie/morali/vol-37-fasc-2-2013
I carteggi di Pietro Luigi Albini con Federico Sclopis e Karl Mittermaier
(1839-1856). Alle origini della filosofia del diritto a Torino, Memoria
dell'Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze Morali, Storiche e
Filologiche, Serie V, Volume 38, fasc. 3, Accademia delle Scienze, Torino 2014,
304 pp. ISBN 978-88-99471-01-9. (Summary in English). http://www.accademiadellescienze.it/attivita/editoria/periodici-e-collane/memorie/morali/vol-38-fasc-3-2014
Alle origini della filosofia del diritto in Giappone. Il corso di Alessandro
Paternostro a Tokyo nel 1889. In appendice: A. Paternostro, Cours de
philosophie du droit, 1889, Lexis, Torino 2016, XI-246 pp. [Cfr. n. 58] [ISBN
978-88-904616-8-2 – ISBN digitale 9788894206401] Il portoghese Wenceslau de
Moraes e il Giappone ottocentesco. Con 25 sue corrispondenze nelle epoche Meiji
e Taisho (1902-1913), Lexis, Torino 2016, XXVII-569 pp. [ISBN
978-88-942064-6-3; ISBN digitale 9788894206449] Lo spagnolo Enrique Dupuy e il
Giappone ottocentesco. In appendice: Enrique Dupuy, La transformación del Japón
en la era Meiji, 1867-1894, Lexis, Torino 2016, XXIII-407 pp. [ISBN 9788894206456
– ISBN digitale 9788894206449] El valenciano Enrique Dupuy y el Japón del siglo
XIX. En apéndice: Enrique Dupuy, La transformación del Japón en la era Meiji,
1867-1894, Servei de Publicacions de la Universitat de València, Valencia 2017,
313 pp. La Rete e lo Stato Islamico. Internet e i diritti delle donne nel
fondamentalismo islamico, Mimesis, Milano 2017, 169 pp. ISBN 978-88-575-3873-0
Norberto Bobbio. Una biografia culturale, Carocci, Roma 2018, 510 pp. ISBN
978-88-430-9269-7 Hans Kelsen, Due saggi sulla democrazia in difficoltà
(1920-1925). A cura di Mario G. Losano, Aragno, Torino 2018, XXII-134 pp. ISBN
9-788884-198914 La libertà d’insegnamento in Brasile e l’elezione del
Presidente Bolsonaro, Mimesis, Milano 2019, 221 pp. ISBN 9788857556147 Collegamenti
esterni Sito di Mario G. Losano (con bibliografia completa) Controllo di
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(EN) 64085195 · ISNI (EN) 0000 0001 2136 5357 · SBN IT\ICCU\CFIV\033288 · LCCN
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(data) · WorldCat Identities (EN) lccn-n79049280 Biografie Portale Biografie
Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloNati nel
1939Nati il 5 ottobreNati a Casale MonferratoFilosofi del diritto[altre]
losurdo: losurdo, Italian
philosopher, expert not on Grice, but Nietzsche, “Nietzsche, ribelle
aristocratico” -- essential Italian philosopher.
Domenico Losurdo (Sannicandro di Bari, 14
novembre 1941 – Ancona, 28 giugno 2018) è stato un filosofo, saggista e storico
italiano. Indice 1 Biografia 2 Pensiero e opera 3 Controversia degli
storici 3.1 Despecificazione politico-morale e despecificazione naturalistica
3.2 Polemiche riguardanti Stalin 4 Politica 5 Opere 6 Note 7 Voci correlate 8
Altri progetti 9 Collegamenti esterni Biografia Losurdo si laureò nel 1963
all'Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo" sotto la guida di
Pasquale Salvucci con una tesi su Johann Karl Rodbertus. Direttore
dell'Istituto di Scienze filosofiche e pedagogiche "Pasquale Salvucci"
all'Università di Urbino, insegnò storia della filosofia nella stessa
università presso la facoltà di Scienze della Formazione. Inoltre fu presidente
dell'hegeliana Società internazionale Hegel-Marx per il pensiero dialettico
(dal 1988), membro della Società di scienze di Leibniz a Berlino
(un'associazione di scienziati che si rifà alla settecentesca Accademia Reale
Prussiana delle Scienze nella tradizione di Gottfried Wilhelm Leibniz) e
direttore dell'associazione politico-culturale Marx XXI sino alla sua morte,
sopraggiunta il 28 giugno 2018 all'età di settantasei anni per un cancro alla
gola.[1][2][3] Dalla militanza comunista[4] alla condanna dell'imperialismo
statunitense,[5] fino allo studio della questione afroamericana e di quella dei
nativi,[6] Losurdo fu studioso anche partecipe della politica nazionale e
internazionale.[7] Pensiero e opera Di formazione marxista,
descritto sia come un «marxista controcorrente»[8] sia come un «marxista
eterodosso»[9] e un «comunista militante»,[4] la sua produzione spazia dai
contributi allo studio della filosofia kantiana (la cosiddetta autocensura di
Immanuel Kant e il suo nicodemismo politico),[10] alla rivalutazione
dell'idealismo classico tedesco, specie di Georg Wilhelm Friedrich Hegel,[11]
nel tentativo di riproporne l'eredità (sulla scia di György Lukács in
particolare),[12] alla riaffermazione dell'interpretazione del marxismo tedesco
e non (Antonio Gramsci e i fratelli Bertrando e Silvio Spaventa),[13] con
incursioni nell'ambito del pensiero nietzscheano (la lettura di un Friedrich
Nietzsche radicale aristocratico)[14] e di quello heideggeriano[15] (in
particolare la questione dell'adesione al nazismo di Martin
Heidegger).[16] La sua riflessione filosofico-politica, attenta alla
contestualizzazione del pensiero filosofico nel proprio tempo storico, muove in
particolare dai temi della critica radicale del liberalismo, del capitalismo,
del colonialismo e dell'imperialismo, nonché della concezione tradizionale del
totalitarismo (Hannah Arendt), nella prospettiva di una difesa della dialettica
marxista e del materialismo storico, dedicandosi anche allo studio
dell'antirevisionismo in ambito marxista-leninista.[7] Losurdo ha una visione
molto critica della tradizione intellettuale europea del liberalismo, in
particolare della tradizione classica e delle sue origini, sostenendo che pur
pretendendo di enfatizzare l'importanza della libertà individuale in pratica il
liberalismo reale è a lungo contrassegnato dalla sua esclusione di persone da
questi diritti, con conseguente sfruttamento come razzismo, schiavitù e
genocidio. Losurdo afferma che le origini del nazismo si trovano in quelle che
considera politiche colonialiste e imperialiste del mondo occidentale.
Esaminando le posizioni intellettuali e politiche degli intellettuali sulla
modernità, Kant e Hegel furono i più grandi pensatori della modernità mentre
Nietzsche fu il suo più grande critico.[17] I suoi lavori, che lui stesso
fa rientrare nell'ambito della storia delle idee, riguardano inoltre l'indagine
delle questioni di storia e politica contemporanee, con una attenzione critica
costante al revisionismo storico e la polemica contro le interpretazioni di
François Furet e Ernst Nolte. In particolare critica una tendenza reazionaria
tra gli storici contemporanei revisionisti riconoscibile nel lavoro di autori
come Nolte, che traccia l'impeto dietro l'Olocausto agli eccessi della
rivoluzione russa; o Furet, che collega le purghe staliniane a una «malattia»
originata dalla rivoluzione francese. Secondo Losurdo l'intenzione di questi
revisionisti è di sradicare la tradizione rivoluzionaria in quanto le loro vere
motivazioni hanno poco a che fare con la ricerca di una maggiore comprensione
del passato, ma si trovano nel clima e nei bisogni ideologici delle classi
politiche, come è più evidente nel lavoro dei revivalisti imperiali anglofoni
Paul Johnson e Niall Ferguson. Fornisce inoltre una nuova prospettiva su
rivoluzioni come quella inglese, americana, francese, russa e quelle contro il
colonialismo e l'imperialismo.[18][19] Si discosta anche dalle posizioni
elogiative che la maggior parte delle biografie prende nell'analisi di Mahatma
Gandhi e la nonviolenza.[20][21] Losurdo volge la sua attenzione alla
storia politica della filosofia moderna tedesca da Kant a Karl Marx e del dibattito
che su di essa si sviluppa in Germania nella seconda metà dell'Ottocento e nel
Novecento, per poi procedere a una rilettura della tradizione del liberalismo,
in particolare partendo dalla critica e dalle accuse di ipocrisia rivolte a
John Locke per la sua partecipazione finanziaria alla tratta degli schiavi.[22]
Riprendendo ciò che afferma Arendt nel 1951 in Le origini del totalitarismo,
per Losurdo il vero peccato originale del Novecento è nell'impero coloniale di
fine Ottocento, dove per la prima volta si manifesta il totalitarismo e
l'universo concentrazionario.[17] Controversia degli storici Losurdo
critica il concetto di totalitarismo, sostenendo che fosse un concetto
polisemico con origini nella teologia cristiana e che applicarlo alla sfera
politica richiedeva un'operazione di schematismo astratto che
utilizza elementi isolati della realtà storica per collocare la Germania
nazista e altri regimi fascisti e l'Unione Sovietica e l'esperienza del
socialismo reale e di altri Stati socialisti nello stesso insieme, servendo
così l'anticomunismo degli intellettuali della guerra fredda piuttosto che
riflettere la ricerca intellettuale.[23][24] Forte critico
dell'equiparazione tra nazismo e comunismo (in particolare quello sovietico)
fatta da studiosi come François Furet e Ernst Nolte,[25][26] ma anche da Hannah
Arendt e Karl Popper,[27] nonché del concetto di «olocausto rosso»,[25] il suo
Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, libro pubblicato per la prima
volta nel 2008, sollevò un dibattito sulla figura di Iosif Stalin, sul quale a
suo avviso peserebbe una sorta di leggenda nera costruita per screditare tutto
il comunismo. Porta l'esempio che nel lager vi era volontà omicida esplicita in
quanto l'ebreo che vi entrava era destinato a non uscire più (vi è una
despecificazione naturalistica) mentre nel gulag no (si tratta di
despecificazione politico-morale) e nel primo venivano rinchiusi quelli che il
nazismo chiamava Untermensch («sottouomini») mentre nel secondo (in cui afferma
finissero solo una parte dei dissidenti), pur essendo una pratica da
condannare, erano rinchiusi dissidenti da rieducare e non da eliminare. Losurdo
afferma che «il detenuto nel Gulag è un potenziale compagno [la guardia stessa
era tenuta a chiamarlo in questo modo] e dopo il 1937 [l'inizio del biennio
delle grandi purghe che seguono l'assassinio di Sergej Mironovič Kirov] è
comunque un cittadino».[25] Riprendendo anche l'opinione di Primo Levi
(internato ad Auschwitz, secondo cui il lager era moralmente più grave del gulag)
e contro Aleksandr Isaevič Solženicyn (internato in Siberia e che affermava
l'equiparazione della volontà sterminazionistica), Losurdo sostiene che pur
essendo grave che un Paese socialista nato per abolire lo sfruttamento usi
sistemi imperialisti e capitalisti, il gulag sia analogo a molti campi di
concentramento occidentali (i cui governi hanno sostenuto e sostengono di
essere paladini della libertà), che per certi versi furono anche più affini al
lager in quanto campo di sterminio e non di rieducazione, riprendendo la storia
del genocidio indiano. Egli sostiene anche che i campi di concentramento e le
colonie penali britanniche erano peggio di qualsiasi gulag, accusando anche
politici come Winston Churchill e Harry Truman di essere autori di crimini
di guerra e contro l'umanità pari (se non peggiori) di quelli che sono stati
poi attribuiti a Stalin.[25] Losurdo ritiene inoltre che i comunisti soffrano
di autofobia, cioè paura di se stessi e della propria storia, problema
patologico che va affrontato, a differenza dell'autocritica sana.[28]
Despecificazione politico-morale e despecificazione naturalistica La
despecificazione è l'esclusione di un individuo o di un gruppo dalla comunità
dei civili. Esistono due tipi di despecificazione:[6] La despecificazione
politico-morale (in questo caso l'esclusione è dovuta a fattori politici o
morali). La despecificazione naturalistica (in questo caso l'esclusione è
dovuta a fattori biologici). Per Losurdo la despecificazione naturalistica è
qualitativamente peggiore rispetto a quella politico-morale. Infatti mentre
quest'ultima offre almeno una via di scampo mediante il cambio di ideologia,
questo non è possibile nel caso in cui sia in atto una despecificazione
naturalistica, che è irreversibile in quanto rimanda a fattori biologici che
sono di per sé immodificabili.[25][29] Inoltre a differenza di altri pensatori
ritiene quindi che l'olocausto degli ebrei non è incomparabile ed è quindi
disposto ad ammettere in questo caso una tragica peculiarità. La comparatistica
che Losurdo offre a proposito non vuole essere una relativizzazione o uno
sminuire, ma semplicemente considerare l'olocausto degli ebrei come
incomparabile significa perdere la prospettiva storica e dimenticarsi
dell'olocausto nero (l'olocausto dei neri) o dell'olocausto americano
(l'olocausto dei nativi indiani d'America ottenuto negli Stati Uniti mediante
la continua deportazione sempre più a ovest e la diffusione ad arte del
vaiolo), oltre ad altri stermini di massa come il genocidio armeno.[6]
Polemiche riguardanti Stalin Una recensione effettuata nell'aprile del 2009 da
Guido Liguori su Liberazione (organo ufficiale del Partito della Rifondazione
Comunista) di Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, libro in cui
Losurdo critica la demonizzazione di Stalin effettuata dalla storiografia
maggioritaria e cerca di sottrarlo a quella che definisce «la leggenda nera su
di lui», è al centro di una polemica all'interno della redazione del suddetto
quotidiano. Venti redattori inviano una lettera di protesta al direttore del
giornale in cui si critica sia il tentativo di riabilitazione di Stalin
presente nel libro di Losurdo sia la recensione di Liguori (giudicata troppo
positiva nei confronti del libro), oltre che la scelta del direttore del
giornale di pubblicare tale recensione.[30] Il libro riceve delle recensioni
critiche per le sue affermazioni e per la metodologia di lavoro
utilizzata.[31][32][33] All'estero, soprattutto in Germania, i critici di
Losurdo lo accusano di essere un «neostalinista».[34][35][36][37] Grover Furr,
autore di Krusciov mentì e descritto come un «revisionista storico»,[38] un
«revisionista in una ricerca lunga una carriera per scagionare Stalin»[39] e un
«prezioso contributo alla scuola revisionista storica degli studi sovietici e
comunisti»,[40][41][42] elogia il lavoro di Losurdo, in particolare quello su
Stalin, iniziando un'amicizia reciproca.[43] Nel 2016 introduce Furr a un
editore italiano che pubblica la traduzione italiana di Khruschev mentì, per
cui scrive l'introduzione.[43][44] Nel 2013 aveva già scritto l'introduzione e
il retrocopertina del libro di Furr sull'assassinio di Sergej Mironovič Kirov
che rimane inedito.[43][45] Negli estratti di un convegno organizzato nel
2003 per rivalutare la figura di Stalin a cinquant'anni dalla morte
critica le rivelazioni contenute nel rapporto segreto di Nikita Sergeevič
Chruščёv, l'allora segretario generale del Partito Comunista dell'Unione
Sovietica. Secondo Losurdo la cattiva fama di Stalin deriverebbe non dai
crimini commessi da quest'ultimo (paragonati ad altri del suo tempo), ma dalle
falsità presenti in quel rapporto che Chruščёv lesse nel corso del XX Congresso
del febbraio 1956. Nella relazione al convegno dà credito a una delle accuse
principali che stavano alla base della sanguinosa repressione staliniana contro
gli oppositori, ovvero l'esistenza nell'Unione Sovietica della «realtà corposa
della quinta colonna» pronta ad allearsi col nemico.[46] Losurdo ribadisce di
non voler riabilitare Stalin, seppur calato nella sua epoca, volendo presentare
solo un'analisi dei fatti più neutrale e attuare un revisionismo
sull'esperienza generale del socialismo reale ritenuta passata, ma utile da
studiare per capire le dinamiche future del socialismo.[25][26][32]
Politica Losurdo apparteneva alla corrente del marxismo-leninismo,
ma ammirava anche l'interpretazione che Mao Zedong diede della pluralità della
lotta di classe, da collocare nel contesto dell'attenzione che rivolge al
processo di emancipazione femminile e dei popoli colonizzati.[47] Vicino
prima al Partito Comunista Italiano, poi al Partito della Rifondazione
Comunista e infine al Partito dei Comunisti Italiani, confluito nel Partito
Comunista d'Italia (2014) e nel Partito Comunista Italiano (2016), di cui è
stato membro,[48] fu anche direttore dell'associazione politico-culturale Marx
XXI.[49] Critico del liberalismo,[17][50] della NATO e dell'imperialismo,
in particolare quello statunitense,[4][7] Losurdo contestò l'assegnazione del
Premio Nobel per la pace al dissidente cinese Liu Xiaobo, considerato un
sostenitore aperto del colonialismo occidentale,[51] in particolare per la sua
idealizzazione del mondo occidentale[52] e per aver affermato che ci sarebbe
bisogno di «300 anni di colonialismo. In 100 anni di colonialismo Hong Kong è
cambiata fino a diventare ciò che è oggi. Data la grandezza della Cina,
ovviamente ci vorrebbero 300 anni per trasformarla in quello che Hong Kong è
oggi. E ho dei dubbi che 300 anni siano abbastanza».[53][54] Opere
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della letteratura»), Open Magazine, 27 novembre 1988. ^ (ZH) Liu Xiaobo, 我與《開放》結緣十九年 (Wǒ yǔ "kāifàng" jiéyuán shíjiǔ nián; «I miei 19
anni di legami con l'Open Magazine»), Open Magazine, 19 dicembre 2006. Voci
correlate Hannah Arendt Controstoria del liberalismo Antonio Gramsci Genocidio
indiano Grandi purghe Martin Heidegger Karl Marx Friedrich Nietzsche Olocausto
Josif Stalin Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo"
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della politica | Politici del Partito dei Comunisti Italiani | Professori
all'Università degli Studi di Urbino | Traduttori italiani | Traduttori dal
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Contattaci: e-mail. Guarda anche: Impronta & Politica sulla riservatezza. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice, Losurdo, e Nietzsche, ribelle aristocratico,"
per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia.
lottery paradox, a paradox involving two
plausible assumptions about justification which yield the conclusion that a
fully rational thinker may justifiably believe a pair of contradictory
propositions. The unattractiveness of this conclusion has led philosophers to
deny one or the other of the assumptions in question. The paradox, which is due
to Henry Kyburg, is generated as follows. Suppose I am contemplating a fair lottery
involving n tickets (for some suitably large n), and I justifiably believe that
exactly one ticket will win. Assume that if the probability of p, relative to
one’s evidence, meets some given high threshold less than 1, then one has justification
for believing that p (and not merely justification for believing that p is
highly probable). This is sometimes called a rule of detachment for inductive
hypotheses. Then supposing that the number n of tickets is large enough, the
rule implies that I have justification for believing (T1) that the first ticket
will lose (since the probability of T1 (% (n † 1)/n) will exceed the given high
threshold if n is large enough). By similar reasoning, I will also have
justification for believing (T2) that the second ticket will lose, and
similarly for each remaining ticket. Assume that if one has justification for
believing that p and justification for believing that q, then one has
justification for believing that p and q. This is a consequence of what is sometimes
called “deductive closure for justification,” according to which one has
justification for believing the deductive consequences of what one justifiably
believes. Closure, then, implies that I have justification for believing that
T1 and T2 and . . . Tn. But this conjunctive proposition is equivalent to the
proposition that no ticket will win, and we began with the assumption that I
have justification for believing that exactly one ticket will win.
Lottieri -- Carlo
Lottieri Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Carlo Lottieri (2006) Carlo Lottieri (Brescia, 6 novembre 1960) è
un filosofo, docente universitario e saggista italiano di orientamento
liberale. Indice 1 Biografia
2 Pensiero
3 Libri
4 Note
5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Allievo di Alberto Caracciolo, ha studiato a Genova, Ginevra
e Parigi, dove ha ottenuto un dottorato di ricerca sotto la guida di Raymond
Boudon, discutendo la tesi Idéologie et science dans la sociologie politique de
Gaetano Mosca.[1] Ha collaborato con Václav Bělohradský dell'Università
di Trieste. Nel maggio 2003 è divenuto ricercatore in filosofia del diritto
alla Facoltà di Giurisprudenza di Siena, dove per molti anni ha insegnato
Dottrina dello Stato. Sempre nel 2003, insieme ad Alberto Mingardi e Carlo
Stagnaro ha dato vita all'Istituto Bruno Leoni, un istituto che si ispira alla
tradizione intellettuale di Luigi Einaudi e Sergio Ricossa, e di cui egli è
direttore del dipartimento Teoria Politica. Da anni è collaboratore de Il
Giornale.[2] Ha curato l'edizione di alcune opere di Bruno Leoni in
lingua inglese, spagnola, francese e ceca.[3] Attualmente insegna
Filosofia del Diritto a Verona e Filosofia delle scienze sociali alla Facoltà
di Teologia di Lugano (Svizzera).[4] Pensiero La riflessione teorica di
Lottieri si sviluppa all'interno del liberalismo classico e, grazie allo studio
degli autori elitisti,[5] si delinea quale critica del sistema di dominio
iscritto nei regimi democratici rappresentativi e nelle loro proiezioni
internazionali.[6] I primi lavori mostrano l'adesione a tale prospettiva, che
rapidamente evolve grazie al contatto con il pensiero libertarian,
principalmente americano.[7] È esattamente in questo senso che Piero
Vernaglione rileva come la filosofia libertaria di Lottieri metta in
discussione "la psicologia regolamentativa e anti-innovativa del
burocrate", avverso a ogni forma di rischio e cambiamento.[8] Il
volume sulla teoria libertaria, dedicato a Murray N. Rothbard, evidenzia
l'adesione ai temi classici del pensiero liberale lockiano e giusnaturalista
(difesa della proprietà, del mercato, dell'autonomia negoziale),[9] ma anche il
maturare di questioni che sono invece tutte interne al realismo politico
europeo: specie nel confronto con autori come Carl Schmitt, Otto Brunner e, in
Italia, Gianfranco Miglio.[10] Mentre il testo sul rapporto tra economia
di mercato e ordine sociale/comunitario (Denaro e comunità, del 2000) è una
critica della sociologia, a cui è rimproverato di avere frainteso la natura
interpersonale della moneta e delle relazioni di mercato, la monografia su
Leoni pubblicata nel 2006 muove dal pensatore torinese per delineare una
filosofia libertaria anche oltre la lettera stessa dell'autore di Freedom and
the Law.[11] In particolare, in questa fase della riflessione Leoni viene
individuato come uno studioso in grado di dare una maggiore consapevolezza
filosofico-giuridica alla teoria libertaria, fino ad ora elaborata per lo più
da economisti e teorici politici.[12] Libri Denaro e comunità. Relazioni
di mercato e ordinamenti giuridici nella società liberale, Napoli, Guida
Editori, 2000 Il pensiero libertario contemporaneo. Tesi e controversie sulla
filosofia, sul diritto e sul mercato, Macerata, Liberilibri, 2001 Le ragioni
del diritto. Libertà individuale e ordine giuridico nel pensiero di Bruno
Leoni, Treviglio - Soveria Mannelli, Facco - Rubbettino Editore, 2006 Come il
federalismo fiscale può salvare il Mezzogiorno, scritto con Piercamillo
Falasca, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008 Credere nello Stato? Teologia
politica e dissimulazione da Filippo il Bello a WikiLeaks, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 2011 Liberali e non. Percorsi di storia del pensiero politico,
Brescia, La Scuola, 2013 Guglielmo Ferrero in Svizzera. Legittimità, libertà e
potere, Roma, Studium, 2015 Every New Right Is A Freedom Lost, Plano TX,
Monolateral, 2016 Un'idea elvetica di libertà. Nella crisi della modernità
europea, Brescia, La Scuola, 2017 Beni comuni, diritti individuali e ordine
evolutivo, Torino, IBL Libri, 2020 Note ^ Idéologie et science dans la
sociologie politique de Gaetano Mosca (Book, 1993) [WorldCat.org]. ^ Carlo
Lottieri Articoli recenti - ilGiornale.it. ^ Bruno Leoni, La liberté et le
droit, Paris, Les Belles Lettres, 2006; Bruno Leoni, Pravo a svoboda, Praha,
Liberalni Institut, 2007; Bruno Leoni, Lecciones de Filosofía del Derecho,
Madrid, Union Editorial, 2008; Bruno Leoni, Law, Liberty and the Competitive
Market, con una prefazione di Richard A. Epstein, New Brunswick NJ, Transaction,
2008. ^ Facoltà di Teologia di Lugano Archiviato il 28 maggio 2012 in Internet
Archive.. ^ A questa fase dell'elaborazione teorica appartengono i seguenti
scritti: “La catallaxie ou la loi de la jungle? La théorie sociale de Hayek et
les critiques des constructivistes”, Journal des Économistes et des Études
Humaines, mars 1993, pp. 43-63; "Un élitisme technocratique et libéral.
L'autorité et l'État selon Mosca”, L'Année Sociologique, 1994 (ora anche in:
Raymond Boudon - Mohamed Cherkaoui - Jeffrey C. Alexander, eds., The Classical
Tradition in Sociology. The European Tradition, vol.II (The Emergence of
European Sociology: II - The Classical Tradition [1880-1920]), London, Sage
Publications, 1997, pp. 1123-172; “Élitisme classique (Mosca et Pareto) et élitisme
libertarien: analogies et différences”, in: Alban Bouvier, éd., Pareto
aujourd'hui, Parigi, Presses Universitaires de France, 1999, pp. 199-219. ^
Pierre Garello e Nikolay Nenovsky hanno evidenziato come negli scritti di
Lottieri sull'unificazione europea, in particolare, è cruciale l'opposizione
tra l'armonizzazione spontanea emergente dal basso e l'unificazione coercitiva;
si veda: Pierre Garello - Nikolay Nenovsky, "Reflections on the Evolution
of Institutions in Post-Communist Countries"[collegamento interrotto],
working paper, p. 13. Un'analisi non dissimile si trova in uno studio di Josef
Sima, nel quale lo studioso boemo evidenzia che “Lottieri identifica quattro
superstizioni o quattro credenze erronee che sotto alla base dei tentativi di
creare un nuovo Stato chiamato ‘Europa': (1) l'idea che la libertà individuale
e il policentrismo giuridico causino tensioni e, in definitiva, conflitti; (2)
che il mercato derivi dall'ordine giuridico creato dallo Stato; (3) che
l'esistenza di una distinta identità europea esiga la costruzione di un singolo
Stato continentale; e (4) che un'Europa unificata sarebbe più armoniosa e
meglio in grado di sostenere lo sviluppo delle sue componenti più povere, come
quelle dell'Europa orientale" (Josef Sima, “From the Bosom of Communism to
the Central Control of EU Planners”, Journal of Libertarian Studies, Vol. 16,
n.1, Winter 2002, p. 64). ^ Nel 2000, dopo la pubblicazione di Denaro e
comunità, sulle pagine culturali del Corriere della Sera Lottieri sarà
individuato come uno degli esponenti di un liberalismo particolarmente radicale
e volto a proporre una sorta di fuga dallo Stato: Dario Fertlio,
"Libertari 2001: la grande fuga dallo Stato, Corriere della Sera, 30
ottobre 2000. Una disamina molto critica – al limite dell'insulto personale –
di tale liberalismo libertarian si ha nella recensione che Ermanno Vitale nel
2002 dedicò al volume su Rothbard scritto a quattro mani da Lottieri assieme a
Enrico Diciotti (basato su un confronto assai franco tra prospettive molto diverse):
una recensione che, rivolgendosi al solo Diciotti, si chiudeva con l'invito per
il futuro “ad occuparsi di un autore più interessante con un autore più
interessante” (Ermanno Vitale, “Rothbard, un Trasimaco piccolo piccolo. E una
modestissima proposta”, Teoria politica, XVIII, n.3, 2002, p. 189). ^ Piero
Vernaglione, Il libertarismo. La teoria, gli autori, le politiche, Soveria
Mannelli, Rubbettino, 2003, p. 56. ^ Un riferimento garbatamente polemico alle
posizioni giusnaturaliste di Lottieri si trova in Dario Antiseri (Laicità. Le
sue radici, le sue ragioni, Rubbettino, p. 2010). La stessa contrapposizione è
al fondo di una discussione tra i due riguardante proprio i contenuti di quel
volume: http://blog.centrodietica.it/?p=2005. ^ Secondo Angelo Panebianco,questo
libro di Lottieri rappresenta "una presentazione completa e approfondita
del pensiero libertario nelle sue diverse varianti" (Angelo Panebianco, Il
potere. lo stato, la libertà. La gracile costituzione della società libera, Bologna,
il Mulino, 2004, p. 83), mentre Raimondo Cubeddu evidenzia soprattutto
l'"approccio libertario ai problemi ecologici" (Raimondo Cubeddu,
Politica e certezza, Napoli, Guida, 2000, p. 203). ^ In un articolo di Lafaille
sono espresse alcune riserve nei riguardi delle tesi libertarie e
dell'ispirazione "anarchica" della teoria del diritto di Lottieri:
Frank Lafaille, "L'anarchisme juridique de Bruno Leoni" Archiviato il
26 marzo 2012 in Internet Archive., Jus Politicum, 2011, p. 37. Nella sua monografia
su Leoni (L'ordine giuridico dei privati, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008)
pure Grondona sviluppa alcune critiche nei riguardi dell'interpretazione dello
studioso torinese offerta da Lottieri, mentre in maggiore sintonia con le sue
posizioni si trova Andrea Favaro (Bruno Leoni. Dell'irrazionalità della legge
per la spontaneità dell'ordinamento, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane,
2009, p. 225. ^ A giudizio di Panebianco, nei suoi scritti sul filosofo
torinese “Lottieri mostra che, contrariamente a un'opinione diffusa, le
distanze fra la concezione del diritto di Leoni e quella di Hayek sono
notevoli. In ogni caso non fu Hayek a influenzare Leoni ma il secondo a
influenzare, almeno in parte, il primo” (Angelo Panebianco, “Introduzione” a:
Antonio Masala, a cura di, La teoria politica di Bruno Leoni, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 2005, pp. 10-11). Per un'equilibrata analisi del volume si veda:
Mauro Grondona, "Recensione a Carlo Lottieri, Le ragioni del
diritto"[collegamento interrotto], Nuova Giurisprudenza Ligure, n.1, 2007,
pp. 55-58. Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di
o su Carlo Lottieri Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene
immagini o altri file su Carlo Lottieri Collegamenti esterni Articoli di Carlo
Lottieri pubblicati su vari quotidiani e riviste sito dell'Istituto Bruno Leoni
V · D · M Liberalismo Controllo di autorità VIAF
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Luca -- Roberto Luca Da Wikipedia,
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Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Roberto Luca (Marostica, 10
novembre 1954) è un filosofo e saggista italiano. Indice 1 Biografia
2 Pensiero
3 Opere
4 Note
Biografia Dopo aver frequentato il Liceo Ginnasio G.B. Brocchi di Bassano del
Grappa, si è laureato in Filosofia nel 1978 presso l'Università degli Studi di
Firenze, con una tesi in Filosofia Antica su Platone con relatore Francesco
Adorno. È nipote di Francesco
Guidolin. Pensiero I suoi studi sono
stati incentrati inizialmente sulla tematica dell’Eros greco attraverso la
traduzione commentata dei dialoghi platonici Simposio e Fedro. Ha mantenuto
però una costante apertura alla produzione letteraria, da Omero in poi, nella
convinzione che per quanto differenti possano essere i costumi o gli statuti
sociali, rimane un elemento per così dire “originario”, intrinsecamente umano,
nell’approccio con il desiderio, l’amore, l’amicizia, la sessualità.
Nell'ultimo lavoro Labirinti dell’Eros. Da Omero a Platone,pur sviluppandosi la
tematica all'interno di un arco di tempo definito, l’intento non è quello di
affrontare l’argomento in senso cronologico, ma di esprimere, senza costrizioni
di “percorsi prefigurati” una distinzione logico concettuale, attraverso la
quale conseguire, almeno, dei punti fermi nell'interpretazione dell’erotica
antica. Negli studi più recenti
l'interesse principale riguarda lo sviluppo del pensiero scientifico
platonico-pitagorico, sia nelle sue caratteristiche peculiari ed in rapporto
alla metafisica platonica, sia nell'accezione più ampia rispetto all'esigenza
di dare conto "dei fenomeni" (visibili /udibili). Per questa ragione,
l’attenzione principale è orientata alla tarda produzione platonica e al
pitagorismo di seconda generazione, che vengono analizzati anche attraverso i
risultati più recenti della fisica e della cosmologia contemporanee. Opere Platone, Simposio, a cura di Roberto
Luca, La Nuova Italia, Firenze,1985 Platone, Fedro, a cura di Roberto Luca, La
Nuova Italia, Firenze,1998 Eros & Epos: il lessico d'amore nei poemi
omerici, L.S. Gruppo editoriale, Quarto Inferiore (BO), 2001 Platone e la
sapienza antica. Matematica, filosofia e armonia, Marsilio Editori, Venezia,
2014 ISBN 978-88-317-1855-4 Labirinti dell’Eros. Da Omero a Platone, con un
saggio di Massimo Cacciari, Marsilio Editori, Venezia, 2017 ISBN 978-88-317-2728-0
Note Controllo di autorità VIAF
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XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloSaggisti italiani del XX
secoloSaggisti italiani del XXI secoloNati nel 1954Nati il 10 novembreNati a
Marostica[altre]
lucrezio: possibly the most important Italian
philosopher -- lucretius:
Roman poet, author of “De rerum natura,” an epic poem in six books. Lucretius’s
emphasis, as an orthodox Epicurean, is on the role of even the most technical
aspects of physics and philosophy in helping to attain emotional peace and
dismiss the terrors of popular religion. Each book studies some aspect of the
school’s theories, while purporting to offer elementary instruction to its
addressee, Memmius. Each begins with an ornamental proem and ends with a
passage of heightened emotional impact; the argumentation is adorned with
illustrations from personal observation, frequently of the contemporary Roman
and Italian scene. Book 1 demonstrates that nothing exists but an infinity of
atoms moving in an infinity of void. Opening with a proem on the love of Venus
and Mars (an allegory of the Roman peace), it ends with an image of Epicurus as
conqueror, throwing the javelin of war outside the finite universe of the
geocentric astronomers. Book 2 proves the mortality of all finite worlds; Book
3, after proving the mortality of the human soul, ends with a hymn on the theme
that there is nothing to feel or fear in death. The discussion of sensation and
thought in Book 4 leads to a diatribe against the torments of sexual desire.
The shape and contents of the visible world are discussed in Book 5, which ends
with an account of the origins of civilization. Book 6, about the forces that
govern meteorological, seismic, and related phenomena, ends with a frightening
picture of the plague of 429 B.C. at Athens. The unexpectedly gloomy end
suggests the poem is incomplete (also the absence of two great Epicurean
themes, friendship and the gods). Tito Lucrezio Caro
(in latino: Titus Lucretius Carus, pronuncia classica o restituta: [ˈtɪtʊs lʊˈkreːtɪ.ʊs
ˈkaː.rus]; Pompei o Ercolano, 98/94 a.C.[2][3] – Roma, 15 ottobre 50 a.C. o 55
a.C.[4][5][6]) è stato un poeta e filosofo romano, seguace dell'epicureismo.
Della vita di Lucrezio ci è ignoto quasi tutto: egli non compare mai sulla
scena politica romana, né sembra esistere negli scritti dei contemporanei, in
cui non viene mai citato, eccezion fatta per la lettera di Cicerone ad Quintum
fratrem II 9, contenuta nella sezione Ad familiares, in cui il celebre oratore
accenna all'edizione, forse postuma, del poema di Lucrezio, che egli starebbe
curando. Ma in scrittori romani successivi egli viene spesso citato: ne parlano
Seneca, Frontone, Marco Aurelio, Quintiliano, Ovidio, Vitruvio, Plinio il
Vecchio, senza tuttavia fornire nuove informazioni sulla vita. Questo però
dimostra che non si tratta di un personaggio inventato.[7] Un'altra fonte
che lo cita è San Girolamo nel suo Chronicon o Temporum liber, di cinque secoli
dopo, in cui, ispirandosi ad alcuni dubbi passi di Svetonio[8], ci dice che
sarebbe nato circa nel 94 a.C. e morto suicida nel 50 a.C.; tale dato non
concorda tuttavia con quanto affermato da Elio Donato (IV d.C.), maestro di
Girolamo stesso, secondo il quale Lucrezio sarebbe morto quando Virgilio (nato
nel 70 a.C.) indossò a 17 anni la toga virile, nell'anno in cui erano consoli
per la seconda volta Crasso e Pompeo. Questo dato ha fatto propendere a credere
che Lucrezio nacque nel 98 a.C. per poi morire nel 55 a.C., all'età di
quarantatré anni. Queste vengono comunemente considerate le uniche notizie
biografiche tramandate direttamente dall'antichità.[7] Ignoto risulta
anche il luogo di nascita, che tuttavia taluni hanno creduto essere la Campania
e più precisamente Pompei o Ercolano, per la presenza di un Giardino Epicureo
in quest'ultima città, in particolare, dall'analisi di numerose epigrafi
risalenti all'epoca dell'autore latino, risulta evidente un'ingente presenza
del cognome Carus nell'antico territorio campano, secondo la critica recente la
suddetta indagine prova fermamente (nei limiti del probabile) le origini campane
di Lucrezio. Neppure la sua militanza politica sembra essere ricostruibile: il
desiderio di pace accennato prima non sembra affatto ricordare il drammatico
rancore dell'aristocratico, per altro solitamente stoico, che vede sgretolarsi
la Repubblica e la libertà, ma il desiderio dell'"amico" epicureo,
che vede nella pace e nel benessere di tutti la possibilità di fare accoliti e
viver serenamente.[9] È tuttavia rilevante il fatto che la sua opera De rerum
natura sia dedicata a Memmio, fine letterato e appassionato di cultura greca,
ma anche e soprattutto membro di spicco degli optimates. Tale era, del
resto, il suo desiderio di pace da auspicare alla fine del proemio della sua
opera una "placida pace" per i Romani.[10] Questo anelito così forte
alla pace è peraltro riscontrabile non solo in Lucrezio, ma anche in Catullo,
Sallustio, Cicerone, Catone l'Uticense e perfino in Cesare: esso rappresenta il
desiderio di un'intera società dilaniata da un secolo di guerre civili e lotte
intestine.[11] La scarsità delle fonti sulla sua vita ha portato molti a
interrogarsi persino sulla stessa esistenza del poeta, a volte considerato solo
uno pseudonimo sotto il quale si celava un anonimo poeta[14], per alcuni un
amico epicureo di Cicerone, Tito Pomponio Attico, che si suicidò in età matura
perché malato[15], o persino lo stesso Cicerone.[15][16] Secondo lo
storico Luciano Canfora, è possibile ricostruire una scarna biografia di
Lucrezio:[5] nacque in Campania nel 94 a.C. circa, a Pompei (dove aveva una
villa la famiglia nobiliare di un possibile parente, Marco Lucrezio
Frontone[17]) o nella vicina Ercolano, appartenente quasi sicuramente
all'antica famiglia nobile dei Lucretii (qualcuno ne fa invece un liberto della
stessa famiglia). Studiò l'epicureismo proprio ad Ercolano, dove si trovava un
centro della "filosofia del giardino", diretta dal filosofo greco
Filodemo di Gadara, allora ospite nella villa di Lucio Calpurnio Pisone, il
ricco suocero di Cesare (la cosiddetta "villa dei papiri"). Lucrezio
avrebbe sofferto di sbalzi d'umore, chiamati oggi disturbo bipolare, ma non
sarebbe stato pazzo, ma di questo umore alterno risentì il suo lavoro. In
disaccordo con le guerre civili, avrebbe lasciato Roma prima del 54 a.C. e non
sarebbe morto suicida in quell'anno, ma avrebbe viaggiato in Grecia, ad Atene,
nei luoghi del maestro Epicuro, e oltre, essendo forse il suo nome conosciuto
da Diogene di Enoanda (che secondo l'autore non visse nel II secolo d.C. ma nel
I secolo), quindi quasi in Asia minore, nelle cui famose incisioni sotto il
portico della sua casa si ricorda un certo "Caro" (nome poco
diffuso), romano, e sapiente epicureo. Non si sa se il poema fosse
diffuso nell'oriente, quindi è possibile che Lucrezio si fosse davvero recato
in Grecia.[18] Lucrezio, spinto da una delusione d'amore, si sarebbe
allontanato lasciando incompiuto il suo poema, affidato forse a Cicerone stesso
(che difatti non parla effettivamente di suicidio ma afferma: «Lucretii
poemata, ut scribis, ita sunt: multis luminibus ingenii, multae tamen artis»
("le poesie di Lucrezio, come tu mi scrivi, sono dotate di molti lumi di
talento, e tuttavia di molta arte")[19], ma, forse, senza impazzire e
morire (che fosse suicidandosi o perché assassinato), esagerazione della fonte
di Girolamo o di qualche altro avversario di Lucrezio[20], e sarebbe stato
forse volutamente confuso dallo stesso Girolamo con Lucullo, onde screditare
l'epicureismo.[21][22] Il destinatario dell'opera, Gaio Memmio, caduto in
disgrazia ed espulso dal Senato per condotta immorale, andò ad Atene nel 52
a.C., causando una nuova delusione a Lucrezio, che, tornato a Roma, sarebbe
morto intorno o dopo il 50 a.C.[23] La notizia di un "filtro d'amore"
velenoso somministratogli da una donna di facili costumi, amante gelosa del
poeta, viene riportata anche da Svetonio nei confronti di Caligola e della
moglie Milonia Cesonia; in questo caso è apparsa una semplice diceria, e, data
l'ispirazione svetoniana (dal perduto De poetis) del passo di Girolamo su
Lucrezio, anche lì sembra essere una spiegazione semplicistica, dovuta alla
poca conoscenza dei disturbi psichici che si aveva all'epoca (anche per
Caligola si parlò, difatti, come per Lucrezio, di epilessia e malattie fisiche
misteriose che l'avrebbero fatto impazzire improvvisamente, come, nel caso di
studiosi moderni, l'avvelenamento da piombo, oltre che dei detti
"filtri").[24] La questione del suicidio[modifica | modifica
wikitesto] Se Lucrezio soffrì di un disagio psichico, che lo avrebbe spinto a
cercare sollievo nella filosofia, non fu a causa di un veleno, e se il suicidio
ci fu (il che potrebbe spiegare l'abbandono improvviso del poema), la causa
potrebbe essere stata di natura politica — come sarà più tardi il caso di
Catone Uticense —, ovverosia la rovina del suo protettore Memmio e della sua
cerchia culturale.[24][25] Virgilio, che lo rispettava anche se era
passato dall'epicureismo, abbracciato in gioventù, alle teorie pitagoriche,
parla di lui nelle Georgiche e nelle Bucoliche, definendolo "felix"
(ossia "prediletto dalla dea Fortuna")[26] e non "folle".
Secondo Guido Della Valle[27], la V ecloga, che parla della morte di un
personaggio chiamato Dafni (a volte identificato con Cesare, a volte con
Flacco, il fratello di Virgilio), potrebbe riferirsi invece alla morte dello stesso
Lucrezio, definita "immatura e innaturale", cioè avvenuta per cause
traumatiche in giovane età.[24] Il movente politico e morale del gesto potrebbe
essere la causa del silenzio attorno ad esso e del fiorire di aneddoti per
giustificarlo, dato che non si poteva cancellare la grandezza poetica di
Lucrezio, con una sorta di damnatio memoriae di solito riservata ai nemici
politici. Essi erano spesso vittime delle liste di proscrizione dei
vincitori, come quella di Marco Antonio che colpirà Cicerone, e molti si toglievano
la vita, in quanto morte onorevole per i costumi romani; Virgilio e Orazio,
estimatori di Lucrezio, facevano parte della corte di Augusto, e dovevano
quindi allinearsi alla linea culturale dettata dall'imperatore, assertore
dell'antica moralità e diffusore della leggenda di Cesare (per cui venivano
cancellate le espressioni scomode di dissenso), e dal suo amico Mecenate, in
cui l'epicureismo, se non sfumato come in Orazio appunto - così come ogni opera
che non fosse celebrativa del princeps e della grandezza di Roma - non trovava
spazio, per cui Lucrezio verrà ricordato solo come grande poeta, tralasciandone
l'aspetto filosofico.[24] Secondo Della Valle, quindi, Lucrezio si
sarebbe tolto la vita come gesto di protesta contro la classe politica in ascesa,
o perché condannato a morte da essa.[24] La figura di Lucrezio[modifica |
modifica wikitesto] La scomodità di Lucrezio[modifica | modifica wikitesto]
Lucrezio, per il periodo in cui è vissuto, è stato un personaggio scomodo: gli
ideali epicurei di cui era profondamente intriso corrodevano le basi del potere
di una Roma alla vigilia della congiura di Catilina. In un'epoca di tensioni
repubblicane, infatti, isolarsi dalla realtà politica nell'hortus epicureo
significava sottrarsi ai negotia politici e uscire di conseguenza anche dalla
sfera d'influenza del potere.[28] Le più forti correnti stoiche, ostili
all'epicureismo, avevano permeato la classe dirigente romana in quanto più
conformi alla tradizione guerriera dell'Urbe. L'epicureismo era invece presente
anche attraverso il citato Filodemo e altri in Campania, dove Virgilio avrebbe
approfondito la sua conoscenza dell'epicureismo. Orazio non lo nomina, ma è
evidente che lo conosce, e ideologicamente gli è più vicino di altri.[28]
La presunta pazzia[modifica | modifica wikitesto] La natura poetica del De
rerum natura fa sì che Lucrezio col suo pessimismo esistenziale avanzi profezie
apocalittiche, visioni quasi allucinate, critiche e ambigue espressioni, che
accompagnano il poema. Alcuni teologi cristiani come San Girolamo ed altri,
hanno dato di lui l'immagine di un ateo psicotico in preda alle forze del male.
Appoggiandosi alla psicoanalisi qualcuno ha sostenuto che in certi bruschi
cambiamenti di immagine e di pensiero ci fossero i sintomi di una pazzia
delirante o di problemi di ordine psichico.[29] In realtà l'ipotizzata
pazzia di Lucrezio appare oggi più plausibilmente un tentativo di
mistificazione per screditare il poeta, così come la presunta morte per
suicidio sarebbe stato l'esito di un modo di pensare perverso, che travia chi
lo segue. L'ipotesi dell'epilessia poi, viene avanzata sulla base dell'arcaica
credenza che il poeta fosse sempre un invasato; elemento quest'ultimo da
collegare alla credenza che gli epilettici fossero sacri ad Apollo e da lui
ispirati nelle loro creazioni.[30] Comunque altri scrittori cristiani
come Arnobio e Lattanzio affermarono che egli non fosse pazzo e che non si
fosse ucciso. L'ipotesi della follia e del suicidio attestata dal Chronicon di
San Girolamo si fondava su illazioni di Svetonio, peraltro di difficile
verifica. Potrebbe anche esserci stata una confusione dovuta all'abbreviazione
Luc., impiegata indifferentemente nei codici latini per indicare i nomi di
Lucillius, Lucullus e Lucretius.[30] Plutarco scrisse infatti di un certo
Licinio Lucullo, politico, generale e cultore dei piaceri, che morì dopo essere
impazzito a causa di un filtro d'amore. L'errore di interpretazione
dell'abbreviazione Luc. potrebbe così aver permesso lo scambio dei due
personaggi.[30] A causa dell'impossibilità di ricostruire i momenti
salienti della sua vita, dunque, il progetto letterario che egli volle
esprimere è ricostruibile interamente solo dalla sua opera poetica, considerata
tra le più vigorose d'ogni età. Bisogna ora individuare le motivazioni che
spinsero Lucrezio a scrivere il De rerum natura, che fondamentalmente sono due:
la prima è una ragione etico-filosofica, in quanto il poeta, affascinato dalla
filosofia epicurea, desiderava invitare il lettore alla pratica di tale filosofia,
incitandolo a liberarsi dall'angoscia della morte e degli dèi. La seconda
motivazione invece è di carattere storico. Lucrezio era conscio che la
situazione politica a Roma peggiorasse di giorno in giorno: Roma era quadro
ormai di continui scontri bellici e conseguenti dissidi; giustappunto egli, con
un evidente positivismo, voleva incoraggiare il cittadino-lettore romano a non
perdere la fiducia verso un successivo miglioramento della
situazione.[31] Lucrezio si proponeva di rivoluzionare il cammino di
Roma, riportandolo all'epicureismo che era stato declinato in favore dello
stoicismo. La prima cosa da distruggere era la convinzione provvidenzialistica
stoica e più propriamente romana[31]: non c'era un dovere romano di civilizzare
"l'orbe terrifero e de le acque", come farà dire Virgilio alla
Sibilla Cumana in un colloquio con Enea[32]; non c'è una ragione seminale
universale responsabile della vita nel cosmo, destinata a deflagrare per poi
ricominciare un nuovo, identico, ciclo esistenziale, come voleva la fisica
stoica, ma un mondo che non è unico nell'universo, peraltro infinito, essendo
uno dei tanti possibili. Non c'è quindi nessun fine provvidenziale di Roma,
essa è una Grande fra le Grandi, ed un giorno perirà nel suo tempo.[31] La
religione, considerata come Instrumentum regni, deve essere non distrutta, ma
integrata nel contesto del viver civile come utile ma falsa. Egli afferma fin
dal libro I del De rerum natura[33]: «Tanto male poté suggerire la
religione. Ma anche tu forse un giorno, vinto dai terribili detti dei vati,
forse cercherai di staccarti da noi. Davvero, infatti, quante favole sanno
inventare, tali da poter sconvolgere le norme della vita e turbare ogni tuo
benessere con vani timori! Giustamente, poiché se gli uomini vedessero la sicura
fine dei loro travagli, in qualche modo potrebbero contrastare le superstizioni
e insieme le minacce dei vati... Queste tenebre, dunque, e questo terrore
dell'animo occorre che non i raggi del sole né i dardi lucenti del giorno
disperdano, bensì la realtà naturale e la scienza... E perciò, quando avremo
veduto che nulla può nascere dal nulla, allora già più agevolmente di qui
potremo scoprire l'oggetto delle nostre ricerche, da cosa abbia vita ogni
essenza, e in qual modo ciascuna si compia senza opera alcuna di
dèi.[34]» Epicuro Lucrezio colpiva direttamente la credenza negli
dèi latini sostenendo che non c'è preghiera che schiuda le fauci di una
tempesta, giacché essa è regolata da leggi fisiche e gli dèi, seppur esistenti
e anche loro composti da atomi così sottili che ne assicurano l'immortalità,
non si curano del mondo né lo reggono; ma la religione deve essere inglobata
nella scoperta e nello studio della natura, che rasserena l'animo e fa
comprendere la vera natura delle cose: infatti l'unico principio divino che
regge il mondo è la Divina Voluptas, Venere: il piacere, la vita stessa intesa
come animazione regge l'universo, ed è l'unica cosa in grado di fermare lo
sfacelo che sta portando Roma alla fine: Marte, ovvero la Guerra.[31] Proprio
per questo, egli elogia Atene, creatrice di quegli intelletti più grandi che
hanno illuminato la natura e quindi l'uomo stesso, ed in ultima istanza
Epicuro, sole invitto della conoscenza rasserenatrice. Non solo, egli stesso si
sente quasi un poeta rasserenatore delle tempeste umane e proprio per questo si
sente profondamente affine ai poeti delle origini, il cui luogo principe è in
Empedocle (secondo infatti per elogi solo a Epicuro) ma con una sola grande
differenza: egli non è portatore di una verità divina fra le umane genti, ma di
una verità affatto umana, universale e per tutti, che attecchirà ben presto per
la salvezza di Roma.[31] Epicuro è comunque, per Lucrezio, il più grande uomo
mai esistito, come risulta dai tre inni a lui dedicati (chiamati anche "trionfi"
o "elogi"): «E dunque trionfò la vivida forza del suo animo. E
si spinse lontano, oltre le mura fiammeggianti del mondo. E percorse con il
cuore e la mente l'immenso universo, da cui riporta a noi vittorioso quel che può
nascere, quel che non può, e infine per quale ragione ogni cosa ha un potere
definito e un termine profondamente connaturato. Perciò a sua volta abbattuta
sotto i piedi la religione è calpestata, mentre la vittoria ci eguaglia al
cielo.[35]» Il De rerum natura Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: De rerum natura. De rerum natura, 1570 È un poema
didascalico in esametri, di genere scientifico-filosofico, suddiviso in sei
libri (raccolti in diadi), comprendente un totale di 7415 versi, che illustrano
fenomeni di dimensioni progressivamente più ampie: dagli atomi (I-II) si passa
al mondo umano (III-IV) per arrivare ai fenomeni cosmici (V-VI).[36] Riproduce
il modello prosastico e filosofico epicureo e la struttura del poema Περὶ
φύσεως di Empedocle (anche un'opera di Epicuro aveva il medesimo titolo).
Secondo i filologi vi sono corrispondenze e simmetrie interne che
corrisponderebbero ad un gusto alessandrino. L'opera infatti è suddivisa in tre
diadi, che hanno tutte un inizio solare ed una fine tragica. Ogni diade
contiene un inno ad Epicuro, mentre il secondo e il terzo libro (in
quest'ultimo è presente anche un'esposizione della sua estetica) si aprono
entrambi con un inno alla scienza.[36] Essendo un poema didascalico, ha
come modello Esiodo e quindi anche Empedocle, che aveva preso il modello
esiodeo come massimo strumento per l'insegnamento della filosofia. Altri
modelli potrebbero essere i poeti ellenistici Arato e Nicandro di Colofone, che
usavano il poema didascalico come sfoggio di erudizione letteraria.[37]
Il destinatario e i destinatari Il dedicatario dell'opera è la Memmi clara
propago (I 42), ovvero il rampollo della famiglia dei Memmi, che solitamente si
identifica con Gaio Memmio.[38] Più in generale, si può dire che il
destinatario che l'autore si prefigge di conquistare è il giovane aperto ad
ogni esperienza, che un giorno prenderà il posto dei politici e attuerà quella
rivoluzione propugnata con tanto fervore da Lucrezio.[38] Ma, almeno con
Memmio, egli fallì: da adulto divenne un dissoluto, fraintendendo il
significato di piacere catastematico epicureo, e fu allontanato dal Senato
probri causa, cioè per immoralità. Riparò quindi in Grecia, dove scrisse poesie
licenziose e dove ce lo menziona anche Cicerone (nelle Ad Familiares), intenzionato
a distruggere la casa e il giardino in cui proprio Epicuro risiedette, per
costruirsi un palazzo, suscitando lo sdegno degli epicurei che fecero istanza a
Cicerone stesso di intervenire per impedirglielo, senza che però Cicerone ci
riuscisse.[38] Lo stile In un simile progetto Lucrezio scelse di doversi
rifare ad un modello di stile arcaico, che vedeva in Livio Andronico, ma
soprattutto in Ennio e in Pacuvio i modelli emuli, per motivi fra loro quanto
meno vari: l'egestas linguae (povertà della lingua)[39], lo vede costretto a
dover arrangiare le lacune terminologiche e tecnicistiche con l'arcaismo,
ancora che proprio Lucrezio, insieme a Cicerone, sia uno dei fondatori del
lessico astratto e filosofico latino, e a colmare e ancor meglio comprendere
l'oscurità del filosofo con la mielosa luce della poesia.[39] Discendendo più
in profondità nelle anguste gole del poema, si notano anche altri problemi cui
dovette far fronte: primo fra tutti, come tradurre parole di pregnanza
filosofica in latino, che ancora non aveva termini confacenti. Finché poté,
egli evitò la semplice translitterazione (ad es. "Atomus" per Ατομος)
e preferì invece usare altri termini presenti già nella sua lingua magari
dandogli altra accezione oppure (come mostrato anche sopra) creando neologismi.
Ed è proprio grazie all'arcaismo che Lucrezio riesce a rendere possibile tutto
questo: infatti era proprio dello stile arcaico il neologismo
"munificenza" ed anche un certo uso (convulso a detta di antichi e
moderni) delle figure di suono quali allitterazioni, consonanze, assonanze e
omoteleuti.[39] Molto importante è anche il fatto che Lucrezio non si limitò a
trasmettere il messaggio di Epicuro con un arido scritto filosofico, ma lo fece
attraverso un poema che, a differenza del rigoroso linguaggio razionale della
filosofia, parla per squarci imaginifici.[39][40] Filosofia di Lucrezio
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Epicuro ed
Epicureismo. Ontologia Sul piano teorico l'opera di Lucrezio si caratterizza
come una puntualizzazione di quella epicurea con alcune esplicazioni che nel
suo referente greco non erano abbastanza chiare. Il concetto di parenklisis che
Lucrezio tradurrà con clinamen mancava di definizione chiara. Nella Lettera ad
Erodoto Epicuro poneva infatti la parenklisis al § 43[41], ma poi al § 61
parlava piuttosto di una deviazione per urto[42]. Il celebre passaggio
del libro II del De rerum natura dice: «Perciò è sempre più necessario
che i corpi deviino un poco; ma non più del minimo, affinché non ci sembri di
poter immaginare movimenti obliqui che la manifesta realtà smentisce. Infatti è
evidente, a portata della nostra vista, che i corpi gravi in se stessi non
possono spostarsi di sghembo quando precipitano dall’alto, come è facile
constatare. Ma chi può scorgere che essi non compiono affatto alcuna deviazione
dalla linea retta del loro percorso?[43]» Lucrezio precisa poi
ulteriormente le modalità del clinamen aggiungendo: «Infine, se ogni moto
è legato sempre ad altri e quello nuovo sorge dal moto precedente in ordine
certo, se i germi primordiali con l’inclinarsi non determinano un qualche
inizio di movimento che infranga le leggi del fato così che da tempo infinito
causa non sussegua a causa, donde ha origine sulla terra per i viventi questo
libero arbitrio, donde proviene, io dico, codesta volontà indipendente dai
fati, in virtù della quale procediamo dove il piacere ci guida, e deviamo il
nostro percorso non in un momento esatto, né in un punto preciso dello spazio,
ma quando lo decide la mente? Infatti senza alcun dubbio a ciascuno un proprio
volere suggerisce l’inizio di questi moti che da esso si irradiano nelle
membra.[44]» Per quanto riguarda la sfera del vivente Lucrezio la collega
direttamente agli atomi nel loro processo creativo[45], scrivendo: «Così
è difficile rescindere da tutto il corpo le nature dell'animo e dell'anima,
senza che tutto si dissolva. Con particelle elementari così intrecciate tra
loro fin dall’origine, si producono insieme fornite d’una vita di eguale destino:
ed è chiaro che ognuna di per sé, senza l’energia dell’altra, le facoltà del
corpo e dell’anima separate, non potrebbero aver senso: ma con moti
reciprocamente comuni spira dall’una e dall’altra quel senso acceso in noi
attraverso gli organi.[46]» Gnoseologia Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Critiche alla religione. Lucrezio,
incisione di Michael Burghers, 1682 Secondo Lucrezio, che riprende in maniera
radicale la tesi già di Epicuro, la religione è la causa dei mali dell'uomo e
della sua ignoranza. Egli ritiene che la religione offuschi la ragione
impedendo all'uomo di realizzarsi degnamente e, soprattutto, di poter accedere
alla felicità, da raggiungere attraverso la liberazione dalla paura della
morte.[47] Il poema ha come argomenti principali la lacerante antinomia fra
ratio e religio, l'epicureismo e il progresso. La ratio è vista da Lucrezio
come quella chiarità folgorante della verità «che squarcia le tenebre
dell'oscurità», è il discorso razionale sulla natura del mondo e dell'uomo,
quindi la dottrina epicurea, mentre la religio è ottundimento gnoseologico e
cieca ignoranza, che lo stesso Lucrezio denomina spesso con il termine
"superstitio". Indica l'insieme di credenze e dunque di comportamenti
umani "superstiziosi" nei confronti degli dèi e della loro potenza.
Poiché la religio non si basa sulla ratio essa è falsa e
pericolosa.[37][47] Lucrezio afferma che sono evidenti le nefaste
conseguenze della religione e adduce come esempio il caso di Ifigenia, dicendo
poi che il mito è una rappresentazione falsata della realtà, come
nell'Evemerismo. La religione è perciò la causa principale dell'ignoranza e
dell'infelicità degli uomini.[47] Lucrezio riprende i temi principali
della dottrina epicurea, che sono: l'aggregazione atomistica e la
"parenklisis" (che egli ribattezza clinamen), la liberazione dalla
paura della morte, la spiegazione dei fenomeni naturali in termini meramente
fisici e biologici. Egli opera un completamento di essa in senso naturalistico
ed esistenzialistico, introducendo un elemento di pessimismo, assente in
Epicuro, probabilmente da attribuirsi a una personalità malinconica.[47]
Da un punto di vista ontologico, secondo Lucrezio, tutte le specie viventi
(animali e vegetali) sono state "partorite" dalla Terra grazie al
calore e all'umidità originari. Ma egli avanza anche un nuovo criterio
evoluzionistico: le specie così prodotte sono infatti mutate nel corso del
tempo, perché quelle malformate si sono estinte, mentre quelle dotate degli
organi necessari alla conservazione della vita sono riuscite a riprodursi.[48]
Tale concezione atea, materialista, antiprovvidenzialista e storica della
natura sarà ereditata e rielaborata da molti pensatori materialisti dell'età
moderna, in particolare gli illuministi Diderot, d'Holbach e La Mettrie,
anch'essi atei dichiarati e a loro volta divulgatori dell'ateismo; Lucrezio
sarà inoltre seguito da Ugo Foscolo e Giacomo Leopardi.[37][49] Lucrezio
nega ogni sorta di creazione, di provvidenza e di beatitudine originaria e
afferma che l'uomo si è affrancato dalla condizione di bisogno tramite la
produzione di tecniche, che sono trasposizioni della natura.[47] Per
Lucrezio, però, il progresso non è positivo a priori, ma solo finché libera
l'uomo dall'oppressione. Se è invece fonte di degradazione morale, lo condanna
duramente.[47] Anima e Animus Lucrezio introduce nel III libro del De
rerum natura una chiarificazione che nel mondo latino era stata trascurata
generando non poche confusioni, circa il concetto di animus in rapporto a
quello di anima[50]. Egli scrive: «Vi sono dunque calore e aria vitale
nella sostanza stessa del corpo, che abbandona i nostri arti morenti. Perciò,
trovata quale sia la natura dell'animo e dell'anima - quasi una parte dell'uomo
-, rigetta il nome di armonia, recato ai musicisti già dall'alto Elicona, o che
essi hanno forse tratto d'altrove e trasferito a una cosa che prima non aveva
un suo nome. Tu ascolta le mie parole. Ora affermo che l'anima e l'animo sono
tenuti Avvinti tra loro, e formano tra sé una stessa natura. Ma è il capo, per
così dire, è il pensiero a dominare tutto il corpo: quello che noi denominiamo
animo e mente e che ha stabile sede nella zona centrale del petto. Qui
palpitano infatti l'angoscia e il timore, qui intorno le gioie provocano dolcezza;
qui è dunque la mente, l’animo. La restante parte dell’anima, diffusa per tutto
il corpo, obbedisce e si muove al volere e all’impulso della mente. Questa da
sé sola prende conoscenza, e da sé gioisce, quando nessuna cosa stimola l’anima
e il corpo.» ([51]) Lucrezio riprende il concetto ellenico di anima come
"soffio vitale che vivifica ed anima il corpo, ciò che i greci chiamavano
psyché. Questo soffio pervade tutto il corpo in ogni sua parte e lo abbandona
solo “con l'ultimo respiro". L'"animus" invece è identificabile
col "noùs" ellenico, traducibile in latino con mens. Dunque animus e
mens paiono essere o la stessa cosa o due elementi coniugati dell'unità
mentale. L'indicazione della “zona centrale del petto” come sede fa pensare al
concetto di “cuore”, ricorrente ancora oggi nel linguaggio comune per indicare
la sensibilità umana, centro dell'emozione e del sentimento. Parrebbe allora
che l'animus sia insieme e conoscenza e emozione, mentre l'anima è soffio
vitale.[47] L'angoscia esistenziale Il De rerum natura è ricchissimo di
elementi tipici dell'esistenzialismo moderno, riscontrabile specialmente in
Giacomo Leopardi, che dell'opera di Lucrezio era un profondo conoscitore, anche
se in realtà non è noto il lasso di tempo in cui Leopardi lesse Lucrezio.[52]
Questi elementi di angoscia hanno indotto alcuni studiosi a sottolineare il
pessimismo di fondo che si opporrebbe alla volontà di rinnovare il mondo a
partire dalla filosofia epicurea; in altre parole, in Lucrezio ci sarebbero due
spinte contrapposte; l'una dominata dalla razionalità e fiduciosa nel riscatto
dell'uomo, l'altra ossessionata dalla fragilità intrinseca degli esseri viventi
e dal loro destino di dolore e morte. Altri studiosi, però ritengono che
l'insistenza di Lucrezio sugli aspetti dolorosi della condizione umana non sia
altro che una strategia di propaganda, per fare emergere più fortemente la
funzione salvifica della ratio epicurea.[53] Note ^ S'intende, ciechi alla
dottrina di Epicuro. ^ Sul luogo di nascita: anche se c'è chi afferma fosse
nato a Roma, si ritiene quasi all'unanimità che fosse originario della
Campania: di Napoli, di Ercolano, o, secondo recenti studi epigrafici, di
Pompei, dove il nomen e il cognomen Tito e Lucrezio sono attestati, e la gens
Lucretia aveva delle ville cfr: Biografia di Lucrezio; o perlomeno vi avesse
abitato a lungo cfr. Enrico Borla, Ennio Foppiani, Bricolage per un naufragio.
Alla deriva nella notte del mondo, nota 25, pag. 304; cfr. anche la Lucrezio
Caro, Tito su Enciclopedia Treccani ^ Sulla data di nascita: molti optano per
il 98 a.C. o secondo altri 96 a.C. ^ Secondo alcune fonti: Lucretius testimonia
vitae Luciano Canfora, Vita di Lucrezio, Sellerio, 1993 ^ oppure 55 a.C.,
o secondo altri 53 a.C., cfr. Paolo Di Sacco, Mauro Serio, "Odi et amo -
Storia e testi della letteratura latina" vol. 1 "L'età arcaica e la
repubblica", Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, Sezione 2, Modulo 7,
pag 264 Testimonianze su Lucrezio ^ Canfora 1993, p. 16. ^ Lucrezio, De
rerum natura, I, 1-43. ^ Lucrezio, De rerum natura, I, 40. ^ Enrico Fichera, I
"templa serena" e il pessimismo di Lucrezio: echi lucreziani nella
letteratura, Roma, Bonanno edizioni, 2001. ^ G. Lippold, Testo per
Arndt-Bruckmann, Griech. u. röm. Porträts, tavv. 1211-1216, Monaco 1942 ^
Enciclopedia dell'arte antica ^ Cfr. Gerlo 1956. Benedetto Coccia, Il
mondo classico nell'immaginario contemporaneo ^ Nel romanzo epistolare di
Tiziano Colombi, Il segreto di Cicerone, Palermo, Sellerio, 1993. ^ Nomi
romani: glossario ^ Canfora 1993, p. 67. ^ Cicerone, Ep. ad Quintum fratrem, II
9. ^ Stephen Greenblatt, The Swerve, New York, W.W. Norton & Company, 2009,
pp. 53-54. ^ Lucrezio ^ Canfora 1993, p. 31. ^ Classici: Lucrezio e il De rerum
natura Aldo Oliviero, Il suicidio di Lucrezio, su lafrontieraalta.com.
URL consultato il 29 dicembre 2013 (archiviato dall'url originale il 13 ottobre
2016). ^ Ettore Stampini, Il suicidio di Lucrezio, Messina, Tipografia D'Amico,
1896. ^ La risposta di Virgilio a Lucrezio ^ Guido Della Valle (Napoli
1884-1962), pedagogista e docente universitario, autore di Tito Lucrezio Caro e
l'epicureismo campano, Napoli, Accademia Pontaniana, 1935. Lucrezio in
Enciclopedia Italiana ^ Lucrezio: informazioni biografiche ibidem
La natura delle cose, Milano, Rizzoli, 1990, pp. 62-85. ^ Eneide, libro VI. ^
La natura delle cose, cit. supra, p. 81. ^ Lucrezio, La natura delle cose, vv.
101-106 cit., pp. 81-85. ^ La natura delle cose, cit. supra, p. 77. Il De
rerum natura di Lucrezio Introduzione a Lucrezio accesso=21 dicembre 2013
(PDF), su www2.classics.unibo.it. Memmio su Enciclopedia Italiana
Lo stile di Lucrezio ^ C. Craca, Le possibilità della poesia. Lucrezio e la
madre frigia in «De rerum natura» II 598-660, Bari, Edipuglia, 2000, p. 17. ^
Epicuro, Opere, a cura di E. Bignone, Laterza 1984, p. 45. ^ Ibid., p. 53. ^
Lucrezio, La natura delle cose, a cura di Biagio Conte, Milano, Rizzoli, 2000,
pp. 175-176. ^ Ibid., pp. 175-176 ^ La natura delle cose, cit. supra, p. 271. ^
De rerum natura, III, 329-336 Diego Fusaro (a cura di), Tito Lucrezio
Caro, su filosofico.net. URL consultato il 21 dicembre 2013. ^ De rerum natura,
V, 784-859. ^ Torquato Tasso segue Lucrezio stilisticamente, non
ideologicamente: vedasi la famosa similitudine del proemio del libro IV (vv.
11-17) ripresa nel proemio della Gerusalemme liberata (I, 21-24). ^ La natura
delle cose, cit. supra, pp. 255-257. ^ De rerum natura, III, vv. 130-146 ^
Mario Pazzaglia, Antologia della letteratura italiana. ^ Lucrezio,
introduzione Edizioni De rerum natura, (Brixiae), Thoma Fer(r)ando
auctore, s.d. [ma 1473] (editio princeps) [De rerum natura] libri sex nuper
emendati, Venetiis, apud Aldum, 1500 (prima edizione aldina). In Carum
Lucretium poetam commentarij a Joanne Baptista Pio editi, Bononiae, in
ergasterio Hieronymi Baptistae de Benedictis, 1511 (prima edizione commentata).
De rerum natura libri sex a Dionysio Lambino emendati atque restituti &
commentariis illustrati, Parisiis, in Gulielmi Rovillij aedibus, 1563 (prima
edizione lambiniana). De rerum natura libri VI, Patavii, excudebat Josephus
Cominus, 1721 (prima edizione cominiana). De rerum natura libri sex, Revisione
del testo, commento e studi introduttivi di Carlo Giussani, 4 voll., Torino, E.
Loescher, 1896-98 (importante edizione critica, tuttora fondamentale). De rerum
natura, Edizione critica con introduzione e versione a cura di Enrico Flores, 3
voll., Napoli, Bibliopolis, 2002-09. Traduzioni italiane Della natura delle
cose libri sei tradotti da Alessandro Marchetti, Londra, per G. Pickard, 1717
(prima traduzione italiana). La natura, libri VI tradotti da Mario Rapisardi,
Milano, G. Brigola, 1880. Della natura, a cura di Armando Fellin, Torino, UTET,
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Sansoni, 1969. La natura delle cose, Introduzione di Gian Biagio Conte,
Traduzione di Luca Canali, Testo latino e commento a cura di Ivano Dionigi,
Milano, Rizzoli, 1990. La natura, Introduzione, testo criticamente riveduto,
traduzione e commento di Francesco Giancotti, Milano, Garzanti, 1994 Bibliografia
(Per la bibliografia specifica sul De rerum natura si rimanda a tale
voce) V.E. Alfieri, Lucrezio, Firenze, Le Monnier, 1929. A. Bartalucci,
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Lucrezio Caro, Milano, Longanesi, 1995, ISBN 88-304-1287-2. E. Cetrangolo,
Lucrezio. Tragedia, Roma, Edizioni della Cometa, 1982. Tiziano Colombi, Il
segreto di Cicerone, Palermo, Sellerio, 1993. Piergiorgio Odifreddi, Come
stanno le cose. Il mio Lucrezio, la mia Venere, Milano, Rizzoli, 2013, ISBN
978-88-17-06600-6. Alieto Pieri, Non parlerò degli dèi. Il romanzo di Lucrezio,
Firenze, Le Lettere, 2003, ISBN 88-7166-703-4. Voci correlate Epicureismo
Esistenzialismo ateo Storia dell'ateismo Altri progetti Collabora a Wikisource
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Bibliografia di Tito Lucrezio Caro, su Internet Speculative Fiction Database,
Al von Ruff. Modifica su Wikidata (EN) Tito Lucrezio Caro, su Goodreads.
Modifica su Wikidata De Rerum Natura: testo con concordanze e liste di
frequenza, su intratext.com. (EN) David Sedley, Lucretius, in Edward N. Zalta
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Language and Information (CSLI), Università di Stanford. (EN) Lucretius. Une
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bsa.univ-lille3.fr. Intervista a Luca Canali su passioni e razionalità in
Lucrezio, dall'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, su
conoscenza.rai.it. Analisi critica del pensiero di Lucrezio, su
lucrezio.exactpages.com. V · D · M Epicureismo Controllo di autoritàVIAF (EN)
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15 ottobreMorti a RomaTito Lucrezio CaroAtomistiEpicureiFilosofi
ateiLucretiiStoria dell'evoluzionismoPre-esistenzialistiPersonalità
dell'ateismo[altre]. Refs.: Lucretius, in The Stanford Encyclopaedia, Luigi Speranza, "Grice, Lucrezio, e la natura
delle cose," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia.
Luporini -- Cesare
Luporini Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
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{{Carica pubblica}} Cesare Luporini
Cesare Luporini (Ferrara, 20 agosto 1909 – Firenze, 25 aprile 1993) è stato un
filosofo, critico letterario e politico italiano. Indice 1 Biografia
2 La
filosofia marxista 3 Scritti
4 Riconoscimenti
5 Note
6 Saggi
critici su Luporini 7 Convegni
8 Collegamenti
esterni Biografia Nei primi anni trenta si recò prima a Friburgo, dove
frequentò attivamente le lezioni di Martin Heidegger, e poi a Berlino, dove
poté seguire le lezioni di Nicolai Hartmann[1]. Si laureò successivamente a
Firenze. Ha insegnato storia della filosofia nelle Università di Cagliari, Pisa
e Firenze. Dopo un iniziale interesse per l'esistenzialismo, aderì al marxismo,
iscrivendosi al Partito Comunista Italiano, per il quale fu eletto senatore nella
terza legislatura (1958-1963). Tra le altre iniziative parlamentari, fu
cofirmatario, insieme ad Ambrogio Donini, di un progetto di legge (n. 359) del
21 gennaio 1959, per un'organica e progressista riforma della scuola, dal
titolo "Istituzione della scuola obbligatoria statale dai 6 ai 14
anni", considerata passaggio improrogabile per la democratizzazione della
vita civile. Con Ranuccio Bianchi Bandinelli, Romano Bilenchi e Marta Chiesi fu
tra i fondatori della rivista Società.
Collaborò, dagli anni sessanta in poi, ai periodici politico-culturali
del PCI, Il Contemporaneo, Rinascita, Critica marxista. Durante il dibattito
che, a seguito degli eventi del 1989, portò alla trasformazione del PCI in PDS,
si schierò decisamente contro la "svolta" di Occhetto, aderendo alla
mozione "due" di opposizione interna, in un'orgogliosa difesa e per
un rilancio della prospettiva e degli ideali comunisti. Deceduto nel 1993, i
suoi resti riposano nella cappella di famiglia al cimitero delle Porte Sante di
Firenze. La filosofia marxista Il
marxismo di Luporini è fondato su una critica radicale allo storicismo, sul
rifiuto di ogni concezione finalistica dello sviluppo storico: il comunismo,
quello marxista in particolare, non è assimilabile con la tematica tipicamente storicista
del progresso come traccia dell'evoluzione umana. Egli rifiuta letture
dogmatiche del marxismo e le sue deteriori forme di economicismo e
meccanicismo, ma, pur apprezzando lo strutturalismo di Althusser con cui cercò
di far dialogare tutto il marxismo italiano, non ne condivideva
l'anti-umanismo, in quanto il pensiero di Marx conservava per lui un profondo
umanesimo, anche negli scritti successivi alla "rottura
epistemologica" del 1845, in cui le strutture, cioè i modelli interpretativi
della società, non sono astratti ma in funzione degli individui concreti,
umani. Nello stesso ambito marxista, tra
i suoi obiettivi polemici vi furono quelle posizioni che proponevano una
interpretazione di radicale discontinuità tra Karl Marx e Georg Hegel, cioè quelle
di Galvano Della Volpe e della sua scuola. Centrale è infatti per Luporini la
nozione di contraddizione, la marxiana "oggettività reale", che lo
pone comunque in relazione con Hegel. Il pensiero di Marx deve essere
considerato una concezione aperta e complessa, dove materialismo e dialettica
compongono una sintesi mai totalizzante (da qui il suo interesse profondo per
l'elaborazione di Antonio Gramsci) e parte fondamentale di una più generale
teoria dei condizionamenti umani.
Fondamentale è, per Luporini, il concetto di formazione
economico-sociale, espressione già utilizzata da Emilio Sereni, ma in senso
storicistico[2] e cioè la possibilità per il marxismo di costituire modelli per
l'analisi degli specifici modi di produzione delle società capitaliste, nonché
per la previsione scientifica delle sue varie forme. La legge generale delle
formazioni economico-sociali è tratta dall’Introduzione del 1857 ai Lineamenti
fondamentali di critica dell'economia politica di Marx. La struttura economica
va indagata secondo logica scientifica e bisogna stabilire un "criterio
oggettivo", il momento dominante che condiziona tutti gli altri assetti
produttivi.[3] L'approccio
storico-genetico non è un "continuum" evoluzionistico come nella
tradizione storicistica, è la fase dell'osservazione e descrizione empirica del
fenomeno dalla sua origine ed è secondario rispetto all'approccio
genetico-formale, cioè all'indagine che permette di stabilire la categoria
dominante di una determinata fase storica della produzione. Il modello de Il
Capitale può dunque aspirare all'universalità, ma anche alla flessibilità di
applicazione.[4] La formalizzazione di un “modello” attraverso il metodo
genetico, individua anche il processo per cui i rapporti di produzione si
riflettono in qualcos’altro, la coscienza dei singoli, le relazioni
intersoggettive e le radici stesse della vita morale.[5] È palese così il
contrasto di Luporini ad ogni disegno provvidenzialista e di ‘filosofia della
storia’, e anche in questo si rende chiaro il rapporto dialettico-oppositivo
tra Hegel e Marx. Per quanto riguarda Leopardi, secondo Luporini, la sua poesia
non è permeata solo di pessimismo, ma ci invita anch'essa alla resistenza
attiva. La formazione filosofico-umanistica del poeta infatti, illuminista e materialista,
permette di leggere ad esempio, nelle "magnifiche sorti e
progressive" de "La Ginestra", una possibilità di rinnovamento
politico-sociale non in antitesi con la concezione della 'natura matrigna', un
compito storico degli esseri umani altrimenti o comunque destinati
all'infelicità esistenziale.[6] Scritti
Fino al 1979 esiste una completa e accurata bibliografia degli scritti di
Luporini a cura di Patrizia Guarnieri pubblicata in appendice a Filosofia e politica: scritti dedicati a
Cesare Luporini, Firenze, La Nuova Italia, 1981, pp. 419-456. Una bibliografia
completa e aggiornata, a cura di L. Fonnesu, è stata pubblicata nel numero
speciale dedicato a Luporini dalla rivista "Il Ponte" in occasione
del centenario della nascita: Cesare Luporini, 1909-1993. Firenze, Il Ponte
Editore, Il Ponte, N.11, (2009) (cfr. pp. 249-289). Oltre agli studi sulla storia del pensiero
moderno e a un'elaborazione teorica del marxismo incentrata sui temi etici, si
ricordano, fra le sue opere principali:
Situazione e libertà nell'esistenza umana, Firenze, Le Monnier (1942), e
II edizione, modificata e aumentata, Firenze, Sansoni, (1945); terza edizione
in C. Luporini, Situazione e libertà nell'esistenza umana e altri scritti,
Roma, Editori Riuniti, 1993. Filosofi vecchi e nuovi, Firenze, Sansoni, (1947)
Spazio e materia in Kant, Firenze, Sansoni, (1961) Introduzione a K. Marx-F.
Engels, L'ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, (1967) Dialettica e
materialismo, Roma, Editori Riuniti, (1974). Contiene oltre ad un'importante
Introduzione (pagg.VII-LXVII), uno scritto inedito del 1962 dal titolo Marxismo
e soggettività (pagg.111-151) Il marxismo e la cultura italiana del Novecento,
in Storia d'Italia, V, I documenti, Einaudi, (1975) Una raccolta di scritti in
lingua spagnola sul concetto di "formazione economico-sociale" in
Marx sta in Cesare Luporini-Emilio Sereni, El Concepto de Formación Económico
Social, Cuadernos de Pasado y Presente, 39, Ver Curiosidades, 1973 Un'incidenza
notevolissima ebbe sugli studi leopardiani il suo saggio Leopardi progressivo
(1947). Riconoscimenti Nel 1954 Luporini
è stato insignito di un premio minore nell'ambito del Premio Viareggio[7] Note ^ Sulle lezioni di Heidegger e Hartmann
seguite da Luporini, vedi l'aneddoto raccontato dal suo allievo Sergio Landucci
in Antonio Gnoli, Intervista a Sergio Landucci, "Repubblica", 18
febbraio 2018 ^ E.Sereni, Da Marx a Lenin: la categoria di "formazione
economico-sociale", Quaderni di Critica marxista, nr.4, 1970, pag.2973. ^
C.Luporini, Realtà e storicità: economia e dialettica nel marxismo, in Critica
marxista, IV, nr.1, 1966, pp. 56-109 ^ C.Luporini, Per l'interpretazione della
categoria 'formazione economico-sociale', in Critica marxista, 1977, XV, 3, pp.
3-26. ^ C.Luporini, Le “radici” della vita morale, in Aa.Vv., Morale e società,
Ed.Riuniti, Roma, 1966, pag.58. ^ vedi il saggio di S.Lanfranchi, Dal Leopardi
ottimista della critica fascista al Leopardi progressivo della critica
marxista, Laboratoire italien, 12/2012, anche in https://laboratoireitalien.revues.org/662
^ Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su premioletterarioviareggiorepaci.it.
URL consultato il 9 agosto 2019. Saggi critici su Luporini Eugenio Garin,
Esistenza e libertà, in Critica marxista, nr.6, 1986, pagg.5-14. Giorgio Mele,
Esistenzialismo e significato della libertà in Cesare Luporini, in Critica
Marxista, nr.6, 1986,pagg.105-130. Aldo Zanardo, Un orizzonte filosofico
materialistico, in Critica marxista, nr.6, 1986, pagg.15-42. Claudio La Rocca,
Esistenzialismo e nichilismo. Luporini e Michelstaedter, «Belfagor», LIV, n. 5,
30 settembre 1999, pp. 521-538. Roberto Mapelli, Cesare Luporini e il suo
pensiero, con la prefazione di Fulvio Papi, Milano, ed. Punto Rosso, 2008.
Cesare Luporini, 1909-1993. Firenze, Il Ponte Editore, Il Ponte, N.11, (2009).
Convegni Aa.Vv., Quarant'anni di filosofia in Italia. La ricerca di Cesare
Luporini, numero monografico di "Critica marxista", 1986, n.6. Il
fascicolo contiene gli atti delle due "giornate di studio" sull'opera
di Cesare Luporini organizzate dalla Facoltà di Lettere e filosofia
dell'Università di Firenze e dalla fondazione Gramsci di Roma, svoltesi a
Firenze il 10 e 11 ottobre 1986. Aa.Vv., Il pensiero di Cesare Luporini,
Feltrinelli,1996. Nella loro maggior parte i contributi riprendono gli
interventi al Convegno promosso dall'Università di Firenze e organizzato dal
Dipartimento di Filosofia, svoltosi a Firenze il 13 e 14 maggio 1994.
Collegamenti esterni Cesare Luporini, su Treccani.it – Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Cesare Luporini, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su
Wikidata Cesare Luporini, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Cesare Luporini,
su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (FR) Pubblicazioni di
Cesare Luporini, su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la
Recherche et de l'Innovation. Modifica su Wikidata Cesare Luporini, su
senato.it, Senato della Repubblica. Modifica su Wikidata Sito web italiano per
la filosofia -- Swif - rassegna Cesare Luporini, su swif.uniba.it. URL
consultato il 15 gennaio 2012 (archiviato dall'url originale il 13 novembre
2012). Cesare Luporini - Biblioteche dei Filosofi (SNS), su picus.unica.it.
L'ultima lezione di Cesare Luporini (una grande avventura intellettuale
attraverso il Novecento), su hyperpolis.it su Academia.edu Controllo di
autorità VIAF (EN)
37009980 · ISNI (EN) 0000 0001 1024 9588 · SBN IT\ICCU\RAVV\000198 · LCCN (EN)
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del XX secoloCritici letterari italiani del XX secoloPolitici italiani del XX
secoloNati nel 1909Morti nel 1993Nati il 20 agostoMorti il 25 aprileNati a
FerraraMorti a FirenzeSenatori della III legislatura della Repubblica
ItalianaPolitici del Partito Comunista ItalianoSepolti nel cimitero delle Porte
Sante[altre]
Liceo -- lycæum: il peripato al liceo nel
lycobetto -- an extensive sanctuary of Apollo just east off Athens (“so my
“Athenian dialectic” has to be taken with a pinch of salt!”) -- the site of
public athletic (or gymnastic) facilities where Aristotle teaches, a center for
philosophy and systematic research in science and history organized there by
Aristotle and his associates; it begins as an informal play group, lacking any
legal status until Theophrastus, Aristotle’s colleague and principal heir,
acquires land and buildings there. By a principle of metonymy common in
philosophy (cf. ‘Academy’, ‘Oxford’, ‘Vienna’),‘Lycæum’ comes to refer collectively
to members of the school and their methods and ideas, although the school
remained relatively non-doctrinaire. Another ancient label for adherents of the
school and their ideas, apparently derived from Aristotle’s habit of lecturing
in a portico (peripatos) at the Lycæum, is ‘Peripatetic’. The school had its
heyday in its first decades, when members include Eudemus, author of lost
histories of mathematics; Aristoxenus, a prolific writer, principally on music
(large parts of two treatises survive); Dicaearchus, a polymath who ranged from
ethics and politics to psychology and geography; Meno, who compiled a history
of medicine; and Demetrius of Phaleron, a dashing intellect who writes
extensively and ruled Athens on behalf of dynasts. Under Theophrastus and his
successor Strato, the Lycæum produces
original work, especially in natural science. But by the midthird century B.C.,
the Lycæum had lost its initial vigor. To judge from meager evidence, it
offered sound education but few new ideas. Some members enjoyed political
influence, but for nearly two centuries, rigorous theorizing is displaced by
intellectual history and popular moralizing. In the first century B.C., the
school enjoyed a modest renaissance when Andronicus oversaw the first
methodical edition of Aristotle’s works and began the exegetical tradition that
culminated in the monumental commentaries of Alexander of Aphrodisias. Refs.:
H. P. Grice, “Oxonian dialectic and Athenian dialectic.”
Luzzago -- Alessandro Luzzago Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Alessandro Luzzago Alessandro Luzzago
(Brescia, ottobre 1551 – Brescia, 7 maggio 1602) è stato un teologo, filosofo e
educatore italiano. Indice 1 Storia 2 Il
culto 3 Note
4 Bibliografia
5 Collegamenti
esterni Storia Nato a Brescia nell'ottobre del 1551 da Girolamo e da Paola
Peschiera, in una delle più importanti famiglie del patriziato cittadino i
Luzzago[1]. Fin da bambino fu educato alla pratica devota e
all'apostolato. Nel convento di
S.Antonio dei gesuiti dal 1570 si impegnò in un corso di filosofia. Proprio in
quel luogo dibatté in pubblico 737 argomenti filosofici[1]. Fra il 1578 e il
1582, con l'aiuto del cardinale Carlo Borromeo, partecipò a Milano ai corsi di
teologia dei gesuiti di Brera[1]. Soltanto nel 1586 si laureò a Padova in
filosofia e teologia. Luzzago era
desideroso di entrare a far parte della Compagnia di Gesù, ma le difficoltà
economiche della famiglia, causate da alcune transazioni inopportune del padre,
glielo impedirono[1]. Nel 1595 fu
nominato conservatore dei Monti di Pietà[1], mentre nel 1597 fu eletto
protettore della Compagnia delle Dimesse di S. Orsola e di altri due istituti
caritativi bresciani: il Soccorso e le Zitelle[1]. Riorganizzò e diede nuovo
impulso, inoltre, a un'altra istituzione sorta dopo il Concilio di Trento: la
Scuola della dottrina cristiana[1]. Per gli studenti fondò la Congregazione di
S. Caterina da Siena. Per far sì che il suo operato continuasse, fondò la
Congregazione dello Spirito Santo, che raccolse i membri della classe dirigente
cittadina con l'obiettivo di cooperare più efficacemente e concordemente al
sostegno di tutte le buone istituzioni e mantenere un clima di concordia;
infatti Luzzago intercedeva per la conciliazione delle famiglie nobili bresciane
spesso in conflitto[1]. La sua indole
caritativa emerse soprattutto quando, dal 1584, venne a far parte del Consiglio
della città, dove seppe armonizzare le strutture governative ed organismi
canonici. Nelle opere scritte dal Luzzago vi sono indicazioni per i cavalieri
di Malta, sulla carità, ispirati al modello della Compagnia di Gesù. Durante il
suo viaggio a Roma esaminò le strutture di beneficenza per poi proporle a
Brescia. In quest'occasione ebbe la possibilità di conoscere Filippo Neri[1].
In un'epistola del segretario del cardinale Gianfrancesco Morosini, risalente
al 1595, Luzzago venne informato che il papa, Clemente VIII, aveva preso in
considerazione il suo nome per la carica di arcivescovo di Milano. Luzzago morì il 7 maggio 1602 e fu sepolto
nella chiesa di S. Barnaba a Brescia[1]. Nel 1878 le spoglie furono trasferite
nella chiesa di S. Maria della Pace, ove ancora riposano[1]. Il culto Nel 1751 fu avviata presso la
Congregazione dei riti la causa di beatificazione del Luzzago. Nel 1899 Leone
XIII, riconosciute le sue virtù eroiche, gli conferì il titolo di
venerabile[1]. Note Fonte: M. Rinaldi, Dizionario Biografico
degli Italiani, riferimenti in Bibliografia. Bibliografia Antonio Cottinelli,
Vita del venerabile Alessandro Luzzago patrizio bresciano: dedicata ai comitati
parrocchiali, Tipografia e libreria Salesiana, 1883. Antonio Cistellini,
Alessandro Luzzago. Il movimento cattolico a Brescia, Morcelliana, 1998.
Antonio Fappani, Enciclopedia bresciana, Opera San Francesco di Sales, 2007.
Marco Rinaldi, «LUZZAGO, Alessandro», in Dizionario Biografico degli Italiani,
Volume 66, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2007. Simona Negruzzo,
L'allievo santo. Marcantonio Roccio precettore di Alessandro Luzzago, in
«Annali di Storia dell'Educazione e delle Istituzioni Scolastiche», 20, 2013,
pp. 55–66. Simona Negruzzo, Dalla scuola dell'ajo al collegio dei gesuiti: il
caso del bresciano Alessandro Luzzago, in Dalla virtù al precetto. L'educazione
del gentiluomo tra '500 e '700, Brescia, Fondazione Civiltà Bresciana, 2015,
pp. 39–69. Collegamenti esterni Alessandro Luzzago, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata
Controllo di autorità VIAF (EN)
21716970 · ISNI (EN) 0000 0000 6135 6132 · LCCN (EN) no93028220 · BAV (EN)
495/90519 · WorldCat Identities (EN) lccn-no93028220 Biografie Portale
Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Categorie: Teologi
italianiFilosofi italiani del XVI secoloFilosofi italiani del XVII
secoloEducatori italianiNati nel 1551Morti nel 1602Morti il 7 maggioNati a
BresciaMorti a BresciaVenerabili italianiFondatori di società e istituti
cattolici[altre]
Luzzato Mosè
Luzzatto Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Mosè Chaim Luzzatto (detto il Ramchal) - affresco ad Acri, Israele
Mosè Luzzatto (in ebraico משה חיים לוצאטו, Moshe Chaim Luzzatto, ma il nome si
trova scritto anche come Moses Chaim o Moses Hayyim), conosciuto anche con
l'acronimo ebraico di RaMCHaL (o RaMHaL, רמח"ל), (Padova, 1707 – Acri, 6
maggio 1746) è stato un rabbino, filosofo e cabalista italiano. La sua
eredità è associata ai suoi scritti sullo Zohar, anche se viene dai più
ricordato per l'aspetto etico del suo insegnamento, in particolare attraverso
il trattato Mesillat Yesharim ("Il cammino dei giusti").
Indice 1 Biografia
1.1 In
Italia 1.2 Amsterdam
1.3 Acri
2 Opere
3 Note
4 Bibliografia
5 Voci
correlate 6 Altri
progetti 7 Collegamenti
esterni Biografia In Italia Nato nel ghetto di Padova, ricevette un'educazione
classica, sia ebraica che italiana, mostrando sin da giovanissimo una
predilezione per la letteratura. Egli potrebbe aver frequentato l'Università di
Padova e certamente faceva parte di un gruppo di studenti che notoriamente si
interessava di misticismo e alchimia. Con la sua vasta conoscenza di studi
religiosi, arti e scienze divenne rapidamente la figura dominante di quel
gruppo. I suoi scritti dimostrano padronanza del Tanakh, del Talmud, dei
commentari rabbinici e dei codici della legge ebraica. Scrisse da ragazzo il
dramma allegorico Sansone e i filistei.[1] Il punto di svolta nella sua
vita avvenne all'età di venti anni quando affermò di aver ricevuto istruzioni
direttamente da un essere mistico conosciuto come il magghid. Storie simili non
erano estranee ai circoli cabalistici ma non se n'era mai sentito parlare da
qualcuno in così giovane età. I suoi colleghi erano affascinati dai riassunti
scritti di queste divine lezioni, ma le autorità superiori dei rabbini
veneziani erano molto scettiche e minacciarono di scomunicarlo[2]. Questi
scritti (o dettati), dei quali solo una piccola parte è sopravvissuta,
descrivono la convinzione di Luzzatto secondo la quale lui e i suoi seguaci
rappresentassero figure chiave nel dramma messianico che stava per iniziare.
Identificando uno dei suoi seguaci come il Messia figlio di Davide, assunse per
se stesso il ruolo di Mosè affermando che egli era la sua reincarnazione.
Secondo Luzzatto Mosè era collocato al di sopra del Messia ed era il vero
catalizzatore per la Redenzione.[3] Minacciato di scomunica e dopo molte
discussioni, Luzzatto alla fine giurò di non trascrivere più le lezioni del
magghid, né di insegnare il misticismo. Nel 1735 Luzzatto lasciò l'Italia per
Amsterdam, credendo che in un ambiente più liberale sarebbe stato in grado di
proseguire i suoi studi. Passando dalla Germania fece appello alle locali
autorità rabbiniche perché lo proteggessero dalle minacce dei rabbini italiani.
Questi rifiutarono, costringendolo a firmare un documento in cui affermava che
tutti gli insegnamenti del magghid erano falsi. Quasi tutti i suoi scritti
furono bruciati e solo alcuni sopravvissero. Dagli scritti sullo Zohar, nel
1958, riapparvero i 70 Tiqqunim Hadashim, inaspettatamente conservati nella
Biblioteca Bodleiana di Oxford.[3] Questi Tikounim sono
"arrangiamenti" di pensieri ed espongono 70 diversi ed essenziali
modi per utilizzare l'ultimo verso del Chumash (Pentateuco). Insegnati parola
per parola in aramaico dal magghid del Ramchal, questi affiancano i 70 Tikouney
haZohar del Rashbi, i quali espongono le 70 fondamentali interpretazioni del
primo verso del Chumash. Amsterdam Quando finalmente Luzzatto raggiunse
Amsterdam fu in grado di continuare i suoi studi di Kabbalah relativamente
senza ostacoli. Guadagnandosi da vivere come tagliatore di diamanti, egli
continuò a scrivere ma si rifiutò di insegnare. È in questo periodo che scrisse
la sua grande opera, la Mesillat Yesharim (1740), essenzialmente un trattato
etico con un sottofondo mistico[4]. Il libro, in 26 capitoli, rappresenta un
percorso, passo dopo passo[5], tramite il quale ogni persona ebrea può superare
l'inclinazione al peccato e raggiungere la santità. Redatto in un linguaggio
rabbinico molto distinto dai suoi precedenti scritti, è possibile che sia
stato scritto per trovare il legittimo riconoscimento all'interno della locale
comunità ebraica. Un altro eminente lavoro, Derekh ha-Shem ("La via
di Dio"), è un testo filosofico sullo scopo di Dio nella Creazione, nella
giustizia e nell'etica e sulle finalità della vita umana[6]. Gli stessi
argomenti si ritrovano anche in un'opera più concisa, il Maamar Haikarim
("L'articolo sui princìpi") che come il Mesillat Yesharim è stato
recentemente tradotto in italiano. Ambedue le traduzioni sono disponibili in rete[7].
Il dialogo, definito socratico, Da'at Tevunoth ("La conoscenza delle
ragioni") fu scritto nella città olandese quale anello mancante tra
razionalità e Cabala, come una conversazione tra l'intelletto e l'anima che
riprese la logica della struttura dei dibattiti talmudici come mezzo per capire
e accettare il mondo che ci circonda. Uno fra i principali rabbini suoi
contemporanei, che ammirava gli scritti di Luzzatto, fu Eliyahu di Vilna, il
Gaon di Vilna (1720-1797), che era considerato il più autorevole saggio della
Torah dell'era moderna così come grande cabalista. Egli fu noto per aver detto,
dopo aver letto il Mesillat Yesharim che, se Luzzatto fosse stato ancora in
vita, avrebbe camminato da Vilna per raggiungerlo e imparare prostrandosi ai
suoi piedi.[8][9] Vilna non è vicina all'Italia, separata da una distanza di
circa 2050 km.[10] Egli affermò che, letta l'opera, i primi otto capitoli non
contenevano una parola superflua[11]. Anche Dov Ber di Mezeritch lodò il
"Chassid di Padova" e mise i suoi lavori tra quelli chassidici.
Luzzatto scrisse anche poesie e drammi molti dei quali laici (anche se molti
studiosi identificano anche in questi lavori toni mistici). I suoi scritti sono
influenzati fortemente dai poeti ebraici spagnoli e da autori italiani
contemporanei.[1][3] Il cantore della sinagoga sefardita di Amsterdam,
Abraham Caceres, collaborò con Luzzatto per mettere in musica diverse sue
poesie.[12][13] Acri Lapide tombaria (Tziyun) del Ramhal a
Tiberiade, Israele Frustrato dall'impossibilità di insegnare la Cabala ebraica,
Luzzatto lasciò Amsterdam per la Terra Santa nel 1743, stabilendosi a San
Giovanni d'Acri. Tre anni dopo (il 26 Iyar 5506) lui e la sua famiglia morirono
di peste. Solo cento anni dopo Luzzatto venne riscoperto dal Movimento Mussar,
che adottò i suoi lavori etici. Fu il grande etico della Torah, il rabbino
Israel Salanter (1810-1883), a mettere il Mesillat Yesharim al centro del
Mussar (etico), il curriculum delle principali Yeshivot dell'Europa
orientale. Gli scrittori della Haskalah, l'Illuminismo ebraico, per i
suoi scritti laici lo dichiararono fondatore della moderna letteratura ebraica.
Anche suo cugino, il poeta Ephraim Luzzatto (1729–1792), esercitò una notevole
influenza sugli albori della moderna poesia ebraica.[14]) Sebbene sia
stato stabilito dagli studiosi che la sua tomba si trova a Kfar Yassif, il
posto della sua sepoltura è tradizionalmente collocato vicino al saggio del
Talmud rabbino Akiva di Tiberiade, nel nord di Israele. La sinagoga che
egli costruì, e nella quale pregò, fu rasa la suolo dal governante beduino
della città, Daher el-Omar, nel 1758, che ci costruì sopra una moschea. Al suo
posto gli ebrei di Acri ricevettero una piccola costruzione al nord della
moschea che funziona tuttora come sinagoga e porta il nome del Ramchal; durante
gli ultimi anni la sinagoga è stata restaurata ed è stata aperta al vasto
pubblico.[15] Nel 2007 sono stati celebrati i 300 anni dalla sua
nascita. Opere Queste, probabilmente, sono le maggiori opere di Luzzatto:[16]
Ma'aseh Shimshon ("La storia di Sansone"); Lashon Limudim ("Una
lingua per insegnare"); Migdal Oz ("Una Torre di Forza"); Zohar
Kohelet ("Lo Zohar al Libro di Ecclesiaste"); Shivim Tikikunim
("Settanta Tikkunim"): in parallelo con i settanta Tikkunei Zohar;
Zohar Tinyanah ("Un secondo Zohar"): non esiste più; Klallot Haillan
o Klalut Hailan ("Gli elementi principali dell'Albero [della Vita]"):
sinopsi dell'opera cabalistica basilare dell'ARI; Ma'amar Hashem ("Un
discorso su Dio"); Ma'amar HaMerkava ("Un discorso sul Carro");
Ma'amer Shem Mem-Bet ("Un discorso sulle 42 lettere del Nome [di
Dio]"); Ma'amar HaDin ("Un discorso sul Giudizio [Divino]");
Ma'amar HaChochma o Maamar Ha'hokhma ("Un discorso sulla Saggezza"):
si concentra su Rosh haShana, Yom Kippur e Pesach da una prospettiva
cabalistica; Ma'amar HaGeulah ("Un discorso sulla Redenzione" o
"La Grande Redenzione"); Ma'amar HaNevuah ("Un discorso sulla
Profezia"); Mishkanei Elyon o Mishkane 'Elyon ("Torri Esaltate"):
un'interpretazione cabalstica del Tempio Santo con un'illustrazione della
dimensioni del Terzo Tempio; Ain Yisrael ("Il Pozzo d'Israele"); Ain
Yaakov ("Il Pozzo di Giacobbe"); Milchamot Hashem ("Le Guerre di
Dio"): che difende la Cabala ebraica contro i suoi detrattori; Kinnaot
Hashem Tzivakot o Kinat H' Tsevaot ("Difese ardenti per il Signore degli
Eserciti"): offre particolari sulla redenzione e sul Messia; Adir Bamarom
("[Dio è] Potente nell'Alto"), commentario della Iddrah Rabbah
("La Grande Camera della Trebbiatura"): sezione dello Zohar; Iggrot
Pitchei Chochma v'Da'at o Klale Pit'he 'Hokhma Veda'at ("Lettere [che
servono] come Introduzione alla Saggezza e alla Conoscenza"): spiega certi
principi eruditi della fede ebraica secondo la Cabala; Sefer Daniel ("Il
Libro di Daniele"): commentario esoterico di questa opera biblica; Tiktu
Tephilot ("515 Preghiere"): si focalizza sulle preghiere per la
rivelazione della sovranità di Dio; Kitzur Kavvanot ("Intenzioni
abbreviate"): permette al lettore di avere una panoramica delle preghiere
e intendimenti dell'ARI; Ma'amar HaVechuach ("Discorso [che serve come]
argomento"): mette a confronto un cabalista con un razionalista, ognuno
che cerca di difendere il proprio punto di vista; Klach Pitchei Chochma o
Kala'h Pitkhe 'Hokhma ("138 introduzioni alla Saggezza"): una delle
opere più importanti del Ramchal, poiché espone il suo pensiero sulla natura
simbolica degli scritti dell'ARI e delle rispettive spiegazioni del Ramchal;
Areichat Klallot HaEilan ("Dizionario dei Principali Elementi dell'Albero
[della Vita]"); Klallim ("Elementi Principali"): serie di brevi
presentazioni sui maggiori principi dei sistemi cabalistici; Da'at Tevunot o
Da'ath Tevunoth ("Il Cuore conosce" o "Sapere le ragioni"):
opera che spiega la dualità del positivo e negativo che esiste a tutti i
livelli della realtà, affermando che questa è la base per cui Dio "mostra
il Suo Volto o Lo occulta" all'umanità, e la doppia esistenza del bene e
del male; Peirush al Midrash Rabbah ("Commentario di Midrash
Rabbah"): non tanto cabalistico quanto simbolico; Derech Hashem o Derekh
Hashem ("La Via di Dio"): una delle sue opere più rinomate.
Un'esposizione succinta delle fondamenta della fede ebraica, che tratta anche
degli obblighi dell'umanità su questa terra e le sue relazioni con Dio; Ma'amar
al HaAggadot ("Discorso sull'Aggadah"): che spiega che la letteratura
aggadica non è letterale ma metaforica; Ma'amar HaIkkurim o Maamar Ha'ikarim
("Discorso sulle Cose Fondamentali"): breve esposizione delle
fondamenta della religione ebraica simile a "La Via di Dio" e che
concerne certe altre tematiche; Derech Chochma o Sepher Derekh 'Hokhma
("La Via della Saggezza"): che serve come dialogo tra un giovane e un
saggio, con quest'ultimo che prepara un corso sulla Torah che duri tutta la
vita e culmini con lo studio della Cabala; Vichuach HaChocham V'HaChassid
("L'argomentazione tra il Saggio e il Pio"): che è in verità la prima
stesura di Messilat Yesharim recentemente ritrovato; Messilat Yesharim o
Mesilat Yesharim ("Il Percorso del Giusto"): la sua opera più famosa
che permette ai lettori di arricchirsi gradualmente in devozione - scritto
quando aveva 33 anni (nel 1740); Sefer HaDikduk ("Il Libro della
Grammatica"); Sefer HaHigayon ("Il Libro della Logica"): espone
il giusto modo di pensare e analizzare; Ma'amar al HaDrasha ("Un
discorso sulle Omelie"): incoraggia lo studio di Cabala e Mussar; Sefer
Hamalitza ("Il Libro dello Stile"): offre l'arte di scrivere
accuratamente e di esprimersi correttamente; Derech Tevunot ("La Via della
Comprensione"): spiega il modo di pensare talmudico; LaYesharim Tehilla
("Sia lode al Giusto"): un'opera drammatica. Note Yirmeyahu
Bindman , Rabbi Moshe Chaim Luzzatto: His Life and Works, Jason Aronson Inc.,
1995. ^ Solamente nel secolo precedente un altro giovane mistico, Sabbatai Zevi
(m.1676) aveva scosso il mondo ebraico affermando di essere il Messia. Anche se
a un certo punto Zevi aveva convinto quasi tutti i rabbini europei e
medio-orientali della sua affermazione, l'episodio si concluse con la sua
ritrattazione e successiva conversione all'Islam. L'intera comunità ebraica si
stava appena riprendendo da quell'episodio, così le similitudini tra gli
scritti di Luzzatto e quelli di Zevi furono visti in maniera particolarmente
pericolosa. Come scrive Gershom Scholem: "The heated controversy about the
revelations of Moses Hayyim Luzzatto in Padua, which began in 1727, and the
messianic tendencies of his group engaged much attention in the following ten
years. Although even in their secret writings Luzzatto, Moses David Valle, and
their companions repudiated the claims of Shabbetai Zevi and his followers,
they were without doubt deeply influenced by some of the paradoxical teachings
of Shabbatean Kabbalah, especially those concerning the metaphysical prehistory
of the Messiah's soul in the realm of the kelippot. Luzzatto formulated these
ideas in a manner which removed the obviously heretical elements but still
reflected, even in his polemics against the Shabbateans, much of their
spiritual universe. He even tried to find a place for Shabbetai Zevi, though
not a messianic one, in his scheme of things." (articolo "SHABTAI ZVI
(1626–1676)" in : Encyclopaedia Judaica) "Rabbi Moses Hayyim
Luzzatto", su Jewish Virtual Library, IV paragrafo. URL consultato 19/06/2013
^ Il libro è stato tradotto da Massimo Giuliani presso le edizioni San Paolo,
nel 2000. ISBN 88-215-4237-8 ^ Tre tappe, distribuite nel primi 12 capitoli,
sono vigilanza (zehirut), dedizione (zerizut) e innocenza (neqiut) per
diventare giusto (zaddik) e, nei capitoli successivi, altre sei tappe: ascesi
(perishut), purezza (taharah), pietà (chasidut), umiltà (ʿanavà), timore del
peccato (jirat hachet) e santità (qedushà) per raggiungere Dio e rettificare la
Shekhinah. ^ Secondo il suo impianto Dio ha creato il mondo a servizio dell'uomo,
il cui scopo è la comunione (devequt) con il suo Creatore attraverso il compito
di aggiustare e migliorare il mondo stesso. Tra buona e cattiva inclinazione,
ogni uomo svolge la sua battaglia per raggiungere la via maestra. ^ Sul sito. ^
Jonathan Rietti, "Deepening one's relationship with God" , serie di
lezioni in formato audio, su Gateways Online. ^ Moshe Hayyim Luzzatto, The Way
of God (ebraico: Derech Hashem) (6ª ed. riveduta 1998), Gerusalemme, Feldheim
Publishers, p. 15, ISBN 978-0-87306-344-9 ^ Google Maps, Maps.google.com, 1º
gennaio 1970. URL consultato il 19 giugno 2013. ^ Questa formula è uno dei
maggiori pregi che un saggio può dire nel lodare un altro. ^ Alfred Sendrey,
The music of the Jews in the Diaspora (up to 1800), 1971: "...Moses Hayyim
Luzzatto, che visse ad Amsterdam dal 1736 al 1743, scrisse le poesie e Abraham
Caceres la musica." ^ Cfr. anche Journal of synagogue music: 5 - 3 Cantors
Assembly of America - 1974: "Nei testi delle poesie composte per questa
occasione dai rabbini di Amsterdam, Isaac Aboab da Fonseca (vedi nota su
Luzzatto... in seguito messe in musica da Abraham Caceres, appare anche in
questo importante manoscritto musicale, sul fol. l5b-l6a..." ^ Abraham J.
Twerski, Lights Along the Way: Timeless Lessons for Today from Rabbi Moshe
Chaim Luzzatto's Mesillas Yesharim, Mesorah Publications, 1995, Introd. e s.v.
"Poetry and literature". ^ "La Sinagoga del Ramchal", su I
Segreti dell'Antica Acri ^ Le informazioni bibliografiche provengono principalmente
da Ramchal, Torah.org. URL consultato il 19 giugno 2013 (archiviato dall'url
originale il 10 maggio 2013). Bibliografia Moseh Chajijm Luzzatto,
Centotrentotto porte di sapienza [estratto], in Mistica ebraica, a cura di
Giulio Busi, Einaudi, Torino 1995, pp. 591–624. Moseh Chajijm Luzzatto, Il
sentiero dei giusti, a cura di Massimo Giuliano, San Paolo, Cinisello Balsamo
2000 ISBN 8821542378 L'epistolario di Mošeh Ḥayyim Luzzatto, a cura di Natascia
Danieli, Giuntina, Firenze 2006 ISBN 8880572717 Moshe Chaim Luzzatto, KLaCh
Pischey Chokhmah. 138 Aperture di Saggezza, Providence University, 2007 ISBN
9781897352236 Moshe Chaim Luzzatto, Derech Ha-shem: La Via Di Dio, Providence
University, 2007 ISBN 978-1897352229 Moshè Chayìm Luzzatto, Articolo sui
principi: Amsterdam 1743, trad. di Ralph Anzarouth, Morashà, Milano 2010 Gadi
Luzzatto - Mauro Perani (edd.), Ramhal. Pensiero ebraico e kabbalah tra Padova
ed Eretz Israel, Esedra, Padova 2010 Voci correlate Cabala lurianica Cinque
Mondi Ebraismo in Italia Letteratura mussar Shekhinah Storia degli ebrei in
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RAMCHAL, su torah.org. (EN) Estratti di Derech Etz Chaim del Ramchal, su
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WorldCat Identities (EN) lccn-n79090164 Biografie Portale Biografie Ebraismo
Portale Ebraismo Categorie: Rabbini italianiFilosofi italiani del XVIII
secoloNati nel 1707Morti nel 1746Morti il 6 maggioNati a PadovaMorti ad Acri
(Israele)Cabalisti italiani[altre]
machiavelli: possibly Italy’s
greateset philosopher -- the Italian political theorist commonly considered the
most influential political thinker of the Renaissance. Born in Florence, he was
educated in the civic humanist tradition. He was secretary to the second
chancery of the republic of Florence, with responsibilities for foreign affairs
and the revival of the domestic civic militia. His duties involved numerous
diplomatic missions both in and outside Italy. With the fall of the republic,
he was dismissed by the returning Medici regime. He lived in enforced
retirement, relieved by writing and occasional appointment to minor posts.
Machaivelli’s writings fall into two genetically connected categories: chancery
writings (reports, memoranda, diplomatic writings) and essays, the chief among
them The Prince, the Discourses, the Art of War, Florentine Histories, and the
comic drama Mandragola. With Machiavelli a new vision emerges of politics as
autonomous activity leading to the creation of free and powerful states. This
vision derives its norms from what humans do rather than from what they ought
to do. As a result, the problem of evil arises as a central issue: the
political actor reserves the right “to enter into evil when necessitated.” The
requirement of classical, medieval, and civic humanist political philosophies
that politics must be practiced within the bounds of virtue is met by
redefining the meaning of virtue itself. Machiavellian virtù is the ability to
achieve “effective truth” regardless of moral, philosophical, and theological
restraints. He recognizes two limits on virtù: fortuna, understood as either chance or as a
goddess symbolizing the alleged causal powers of the heavenly bodies; and (the
agent’s own temperament, bodily humors, and the quality of the times. Thus, a
premodern astrological cosmology and the anthropology and cyclical theory of
history derived from it underlie his political philosophy. History is seen as
the conjoint product of human activity and the alleged activity of the heavens,
understood as the “general cause” of all human motions in the sublunar world.
There is no room here for the sovereignty of the Good, nor the ruling Mind, nor
Providence. Kingdoms, republics, and religions follow a naturalistic pattern of
birth, growth, and decline. But, depending on the outcome of the struggle
between virtù and fortuna, there is the possibility of political renewal; and
Machiavelli saw himself as the philosopher of political renewal. Historically,
Machiavelli’s philosophy came to be identified with Machiavellianism), the
doctrine that the reason of state recognizes no moral superior and that, in its
pursuit, everything is permitted. Although Machiavelli himself does not use the
phrase ‘reason of state’, his principles have been and continue to be invoked
in its defense. Niccolò di Bernardo dei Machiavelli
noto semplicemente come Niccolò Machiavelli (Firenze, 3 maggio 1469 – Firenze,
21 giugno 1527) è stato uno storico, filosofo, scrittore, drammaturgo, politico
e diplomatico italiano, secondo cancelliere della Repubblica Fiorentina dal
1498 al 1512. Niccolò Machiavelli (stampa primi Ottocento)
Considerato, come Leonardo da Vinci, un uomo universale, nonché figura
controversa nella Firenze dei Medici, è noto come il fondatore della scienza
politica moderna, i cui principi base emergono dalla sua opera più famosa, Il
Principe, nella quale è esposto il concetto di ragion di stato e la concezione
ciclica della storia. Questa definizione, secondo molti, descrive in maniera
compiuta sia l'uomo sia il letterato più del termine machiavellico, entrato
peraltro nel linguaggio corrente ad indicare un'intelligenza acuta e sottile,
ma anche spregiudicata[1] e, proprio per questa connotazione negativa del
termine, negli ambiti letterari viene preferito il termine
"machiavelliano". L'ortografia del cognome è, purtroppo,
ambigua: la versione "Macchiavelli", quella della statua a lui
dedicata agli Uffizi, in attesa di chiarimenti dell'Ufficio Culturale del museo
o dell'Accademia della Crusca, andrebbe considerata ugualmente corretta in
lingua italiana. L'analisi della firma del filosofo, riportata qui accanto,
farebbe propendere per la "c" singola[senza fonte][2]. «Nacqui
povero, ed imparai prima a stentare che a godere.» (N. Machiavelli,
Lettera a Francesco Vettori.) Niccolò Machiavelli (scritto anche Macchiavelli
sulla statua a lui dedicata all'ingresso degli Uffizi) nacque a Firenze,[3]
terzo figlio, dopo le sorelle Primavera (1465) e Margherita (1468) e prima del
fratello Totto (1475-1522); figlio di Bernardo (1432-1500) e di Bartolomea
Nelli (1441-1496). Anticamente originari della Val di Pesa, i Machiavelli sono
attestati[4] popolani guelfi residenti almeno dal XIII secolo a Firenze, dove
occuparono uffici pubblici ed esercitarono il commercio. Il padre Bernardo era
tuttavia di così poca fortuna da esser considerato, non si sa quanto
veritieramente, figlio illegittimo: dottore in legge, risparmiatore per
carattere o per necessità, ebbe interesse agli studi di umanità, come risulta
da un suo Libro di Ricordi che è anche la principale fonte di notizie sull'infanzia
di Niccolò.[5] La madre, secondo un suo lontano pronipote,[6] avrebbe composto
laude sacre, rimaste peraltro sconosciute, dedicate proprio al figlio
Niccolò. Nel 1476 Niccolò cominciò a studiare latino con un certo Matteo,
l'anno dopo si dedicava allo studio della grammatica con Battista da Poppi,
all'aritmetica nel 1480 e l'anno seguente affrontava le prove scritte di
componimento in latino. Opere in questa lingua esistevano nella biblioteca
paterna: la I Deca di Tito Livio e quelle di Flavio Biondo, opere di Cicerone,
Macrobio, Prisciano e Marco Giuniano Giustino. Adulto, maneggerà anche
Lucrezio[7] e la Historia persecutionis vandalicae di Vittore Uticense. Non
conobbe invece il greco antico, ma poté leggere le traduzioni latine di alcuni
degli storici più importanti, soprattutto Tucidide, Polibio e Plutarco, da cui
trasse importantissimi spunti per la sua riflessione sulla Storia[8].
S'interessò alla politica anche prima di avere degli incarichi istituzionali,
come dimostra una sua lettera del 9 marzo 1498, la seconda che di lui ci è
pervenuta - la prima è una richiesta al cardinale Giovanni Lopez, del 2
dicembre 1497, affinché si adoperi a riconoscere alla sua famiglia un terreno
contestato dalla famiglia dei Pazzi - indirizzata probabilmente all'amico
Ricciardo Becchi, ambasciatore fiorentino a Roma, nella quale egli si esprime
in modo critico contro Girolamo Savonarola. Due sono le fasi che
scandiscono la vita di Niccolò Machiavelli: nella prima parte della sua
esistenza egli è impegnato soprattutto negli affari pubblici; nella successiva
nella scrittura di testi di portata teorica e speculativa. A partire dal 1512
si apre la seconda fase segnata dal forzato allontanamento dello storico e
filosofo toscano dalla politica attiva. «Della persona fu ben
proporzionato, di mezzana statura, di corporatura magro, eretto nel portamento
con piglio ardito. I capelli ebbe neri, la carnagione bianca ma pendente
all'ulivigno; piccolo il capo, il volto ossuto, la fronte alta. Gli occhi
vividissimi e la bocca sottile, serrata, parevano sempre un poco ghignare. Di
lui più ritratti ci rimangono, di buona fattura, ma soltanto Leonardo, col
quale ebbe pur che fare ai suoi prosperi giorni, avrebbe potuto ritradurre in
pensiero, col disegno e i colori, quel fine ambiguo sorriso» (Roberto
Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli, p. 22) Caterina Sforza Riario,
ritratta da Lorenzo di Credi. Niccolò aveva già presentato al Consiglio dei
Richiesti, il 18 febbraio 1498, la propria candidatura a segretario della
Seconda Cancelleria della Repubblica fiorentina, ma gli fu preferito un
candidato savonaroliano. Pochi giorni però dopo la fine dell'avventura politica
e religiosa del frate ferrarese, il 28 maggio Machiavelli fu nuovamente
designato ed eletto il 15 giugno dal Consiglio degli Ottanta, elezione
ratificata dal Consiglio maggiore il 19 giugno 1498, probabilmente grazie
all'autorevole raccomandazione del Primo segretario della Repubblica, Marcello
Virgilio Adriani, che il Giovio asserisce[9] essere stato suo maestro. Per
quanto i compiti delle due Cancellerie siano stati spesso confusi, generalmente
alla prima si attribuivano gli affari esterni, e alla seconda quelli interni e
la guerra: ma i compiti della seconda Cancelleria, presto unificati con quelli
della Cancelleria dei Dieci di libertà e pace, consistevano nel tenere i
rapporti con gli ambasciatori della Repubblica, cosicché, essendogli stata
affidata, il 14 luglio, anche questa ulteriore responsabilità, Machiavelli finì
per doversi occupare di una tale somma di compiti da essere storicamente
considerato, senza ulteriori distinzioni, il «Segretario fiorentino». Era
il tempo nel quale, conclusa l'avventura italiana di Carlo VIII, la maggiore
preoccupazione di Firenze era volta alla riconquista di Pisa - resasi indipendente
dopo che Piero de' Medici l'aveva data in pegno al re di Francia- e alleata di
Venezia che, intendendo impedire l'espansione fiorentina, aveva invaso il
Casentino, occupandolo a nome dei Medici. Il pericolo venne fronteggiato dal
capitano di ventura Paolo Vitelli, e la mediazione del duca di Ferrara Ercole
I, il 6 aprile 1499, riconsegnò il Casentino a Firenze, autorizzandola altresì
a riprendersi Pisa. In marzo venne inviato a Pontedera, dove erano
acquartierate le milizie del signore di Piombino, Jacopo d'Appiano, alleato di
Firenze. In maggio scrisse il Discorso della guerra di Pisa per il
magistrato dei Dieci: poiché «Pisa bisogna averla o per assedio o per fame o
per espugnazione, con andare con artiglieria alle mura», esaminate diverse
soluzioni, si esprime favorevole a un assedio di «un quaranta o cinquanta dì ed
in questo mezzo trarne tutti gli uomini da guerra potete, e non solamente
cavarne chi vuole uscire, ma premiare chi non ne volesse uscire, perché se ne
esca. Dipoi, passato detto tempo, fare in un subito quanti fanti si può; fare
due batterie, e quanto altro è necessario per accostarsi alle mura; dare libera
licenza che se ne esca chiunque vuole, donne, fanciulli, vecchi ed ognuno,
perché ognuno a difenderla è buono; e così trovandosi i Pisani voti di
difensori dentro, battuti dai tre lati, a tre o quattro assalti sarìa
impossibile che reggessero». Il 16 luglio 1499 si presentò a Forlì alla
contessa Caterina Sforza Riario, nipote di Ludovico il Moro e madre di
Ottaviano Riario, che era stato al soldo dei fiorentini, per rinnovare
l'alleanza e ottenere uomini e munizioni per la guerra pisana. Ottenne solo
vaghe promesse dalla contessa che era già impegnata a sostenere lo zio nella
difficile difesa del Ducato milanese dalle mire di Luigi XII e dovette
ripartire senza aver nulla ottenuto. Era nuovamente a Firenze in agosto, quando
le artiglierie fiorentine, provocata una breccia nelle mura pisane, aprivano la
via alla conquista della città, ma il Vitelli non seppe sfruttare l'occasione e
temporeggiò finché la malaria non ebbe ragione delle sue truppe, costringendolo
a togliere l'assedio il 14 settembre. Invano ritentò l'impresa: sospettato di
tradimento, quello che «era il più reputato capitano d'Italia»[10] fu
decapitato. Nessuna prova vi era che il Vitelli fosse stato corrotto dai
Pisani ma la giustificazione di Machiavelli, a nome della Repubblica, in
risposta alle critiche di un cancelliere di Lucca, fu che «o per non havere
voluto, sendo corropto, o per non havere potuto, non avendo la compagnia, ne
sono nati per sua colpa infiniti mali ad la nostra impresa, et merita l'uno o
l'altro errore, o tuct'a due insieme che possono stare, infinito castigo».[11]
Conquistato il Ducato di Milano, in risposta alla richieste fiorentine Luigi
XII mandò suoi soldati a risolvere l'impresa di Pisa le cui mura furono bensì
abbattute nel luglio del 1500 ma né gli svizzeri né i francesi entrarono in
città anzi, lamentando che Firenze non li pagasse, levarono l'assedio e
sequestrarono il commissario fiorentino Luca degli Albizzi, che fu rilasciato
solo dietro riscatto. A Machiavelli, presente ai fatti, non restava che
informare la Repubblica, che decise di mandarlo in Francia, insieme con
Francesco della Casa, per cercare nuovi accordi che risolvessero finalmente la
guerra di Pisa. Il cardinale di Rouen Georges d'Amboise Il 6 agosto
1500 raggiunsero la corte francese a Nevers, presentando al re e al ministro,
cardinale di Rouen, le rimostranze per il cattivo comportamento dei loro
soldati; sapendo che Firenze non aveva al momento denari sufficienti a
finanziare l'impresa, invitarono Luigi a intervenire direttamente nella guerra,
al termine della quale la Repubblica avrebbe ripagato la Francia di tutte le
spese. Il rifiuto dei francesi - che richiedevano a Firenze il mantenimento
degli svizzeri rimasti accampati in Lunigiana e minacciavano la rottura
dell'alleanza - mise i legati fiorentini, privi di istruzioni dalla Repubblica,
in difficoltà, acuite dalla ribellione di Pistoia e dalle iniziative che
frattanto aveva preso in Romagna Cesare Borgia, i cui ambiziosi e oscuri piani
potevano anche indirizzarsi contro gli interessi fiorentini. Occorreva,
pagando, mantenere buoni rapporti con la Francia - scriveva da Tours il 21
novembre - e guardarsi dalle macchinazioni del papa: così, ottenuto dalla
Signoria il denaro richiesto dalla Francia, Machiavelli poteva finalmente
ritornare a Firenze il 14 gennaio 1501. Quella lunga permanenza nella corte
francese verrà dislocata negli opuscoli (entrambi del 1510) De natura Gallorum,
dove i francesi verranno descritti come «humilissimi nella captiva fortuna;
nella buona insolenti [ ... ] più cupidi de' danari che del sangue [ ... ] vani
et leggieri [ ... ] più tosto tachagni che prudenti», con una bassa opinione
degli Italiani, e nel successivo Ritratto delle cose di Francia, dove,
spostandosi su un piano d'analisi prettamente politica, finisce col fare della
Francia l'esemplare dello stato moderno. Soprattutto egli insiste sul nesso fra
la prosperità della monarchia e il raggiunto processo di unificazione
nazionale, sentito come la lezione peculiare delle "cose di
Francia".[12] Cesare Borgia «Questo signore è molto splendido e
magnifico, e nelle armi è tanto animoso che non è sì gran cosa che non gli paia
piccola, e per gloria e per acquistare Stato mai si riposa né conosce fatica o
periculo: giugne prima in un luogo che se ne possa intendere la partita donde
si lieva; fassi ben volere a' suoi soldati; ha cappati e' migliori uomini
d'Italia: le quali cose lo fanno vittorioso e formidabile, aggiunte con una
perpetua fortuna» (Machiavelli, Lettera ai Dieci del 26 giugno 1502) La
minaccia del Borgia si fece presto concreta: fermato dalle minacce della
Francia quando tentava d'impadronirsi di Bologna, si volse contro Piombino,
entrando nel territorio della Repubblica e cercando di imporle tributi, dai
quali Firenze fu nuovamente fatta salva dall'intervento di Luigi. Fra una
missione a Pistoia e un'altra a Siena, Niccolò ebbe tempo di sposare,
nell'autunno del 1501, Marietta Corsini, donna di modesta origine, dalla quale
avrà sei figli: Primerana, Bernardo, Lodovico, Guido, Piero e Baccina. Padrone
di Piombino il 3 settembre 1501, il Borgia, per mezzo del suo sodale Vitellozzo
Vitelli s'impadronì di Arezzo, dove si stabilì Piero de' Medici, poi delle
terre di Valdichiana, di Cortona, di Anghiari e di Borgo San Sepolcro e di lì
passò a investire Camerino e Urbino, chiedendo nel contempo di intavolare
trattative con Firenze che, nel frattempo, vistasi stretta dai due Borgia,
padre e figlio, aveva rinnovato gli accordi con la Francia. Il 22 giugno
1502, lo stesso giorno della caduta della città nelle mani di Cesare, partirono
per Urbino Machiavelli e il vescovo di Volterra, Francesco Soderini, fratello
di Piero: ricevuti il 24 giugno, si sentirono ordinare di cambiare il governo
della Repubblica, pena la sua inimicizia. La crisi fu superata grazie
all'intervento delle armi francesi: avvicinandosi queste ad Arezzo, la città fu
sgomberata e restituita, insieme con le altre terre, ai Fiorentini. Riferimento
a questi casi è il breve scritto dell'anno successivo, Del modo di trattare i
popoli della Valdichiana ribellati, nel quale, preso esempio dal comportamento
tenuto dagli antichi Romani in caso di ribellioni, rimprovera il governo
fiorentino di non aver trattato severamente la ribelle città di Arezzo. Pensa
che come i Romani «fecero giudizio differente per esser differente il
peccato di quelli popoli, così dovevi fare voi, trovando ancora nei vostri
ribellati differenza di peccati [ ... ] giudico ben giudicato che a Cortona,
Castiglione, il Borgo, Foiano, si siano mantenuti i capitoli, siano vezzeggiati
e vi siate ingegnati riguadagnarli con i beneficii [ ... ] ma io non approvo
che gli Aretini, simili ai Veliterni ed Anziani non siano stati trattati come
loro.[13] [ ... ] I Romani pensarono una volta che i popoli ribellati si
debbano o beneficare o spegnere e che ogni altra via sia
pericolosissima.» Di fronte a quelli che apparivano tempi nuovi e
tempestosi, nei quali occorreva che uomini capaci prendessero pronte
risoluzioni, come prima riforma nell'organizzazione dello Stato fiorentino fu
resa vitalizia la carica di gonfaloniere, affidata, il 15 settembre 1502, a
Pier Soderini, che appariva uomo accetto tanto agli ottimati che ai popolani. La
prima missione che egli affidò a Machiavelli[14] fu quella di prendere
nuovamente contatto col Borgia il quale, formalmente capitano delle truppe
pontificie e finanziato da quello Stato, intendeva tuttavia agire nel proprio
interesse e in quello della sua famiglia, stringendo un nuovo patto col Luigi
XII e ottenendone libertà d'azione nei suoi piani di espansione, non solo nei
confronti di signorotti quali gli Orsini, i Baglioni e il Vitelli, già suoi
alleati, ma anche contro lo stesso Bentivoglio di Bologna. Seguendo la
tradizionale politica di alleanza con la Francia, Firenze - pur diffidando del
Valentino - intendeva confermargli la sua amicizia, per non essere investita
dai suoi aggressivi disegni. Machiavelli giunse a Imola dal Borgia il 7
ottobre, confidandogli che Firenze non aveva aderito all'offerta di amicizia
propostale dagli Orsini e dai Vitelli, congiurati a Magione contro il duca
Valentino, e ne ricevette in cambio un'offerta di alleanza, alla quale Niccolò,
affascinato dalla figura di Cesare Borgia, guardava con favore più di quanto
non facesse il governo fiorentino. Fu al seguito del Valentino per tutta la
durata di quei tre mesi di campagna militare e, il 1º gennaio 1503, due ore
dopo l'uccisione a tradimento di Vitellozzo e di Oliverotto da Fermo, ne
raccolse le parole «savie e affezionatissime»[15] per i Fiorentini, invitati
nuovamente a unirsi a lui per avventarsi contro Perugia e Città di Castello.
Firenze, a questo punto, decise di mandare presso il Borgia un ambasciatore
accreditato, Jacopo Salviati, così che il nostro Segretario il 20 gennaio
lasciò il campo di Città della Pieve per fare ritorno a Firenze.
Vitellozzo Vitelli, ritratto da Luca Signorelli. «Vitellozo, Pagolo et
duca di Gravina in su muletti ne andorno incontro al duca, accompagnati da
pochi cavagli; et Vitellozo disarmato, con una cappa foderata di verde, tucto
aflicto se fussi conscio della sua futura morte, dava di sé, conosciuta la
virtù dello huomo et la passata sua fortuna, qualche ammiratione [ ... ]
Arrivati adunque questi tre davanti al duca, et salutatolo humanamente, furno
da quello ricevuti con buono volto [ ... ] Ma, veduto il duca come Liverotto vi
mancava [ ... ] adciennò con l'occhio a don Michele, al quale la cura di
Leverotto era demandata, che provedessi in modo che Liverotto non schapassi [
... ] Liverotto havendo facto riverenza, si adcompagnò con gli altri; et
entrati in Senigagla, et scavalcati tutti ad lo alloggiamento del duca, et
entrati seco in una stanza secreta, furno dal duca fatti prigioni [ ... ]
venuta la nocte [ ... ] al duca parve di fare admazare Vitellozzo e Liverotto;
et conductogli in uno luogo insieme, gli fe' strangolare [ ... ] Pagolo et el
duca di Gravina Orsini furno lasciati vivi per infino che il duca intese che a
Roma el papa haveva preso el cardinale Orsino, l'arcivescovo di Firenze et
messer Jacopo da Santa Croce; dopo la quale nuova, a dì 18 di giennaio, ad
Castel della Pieve furno anchora loro nel medesimo modo strangolati»
(Machiavelli, Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nello ammazzare
Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il duca di Gravina
Orsini, giugno-agosto 1503) La morte di Alessandro VI privò Cesare Borgia
delle risorse finanziarie e politiche che gli occorrevano per mantenere il ducato
di Romagna, che si dissolse tornando a frammentarsi nelle vecchie signorie,
mentre Venezia s'impadronì di Imola e di Rimini. Dopo il brevissimo pontificato
di Pio III, Machiavelli fu inviato a Roma il 24 ottobre 1503 per il conclave
che il 1º novembre elesse Giulio II. Raccolse le ultime confidenze del
Valentino, del quale pronosticò la rovina imminente, e cercò di comprendere le
intenzioni politiche del nuovo papa, che egli sperava s'impegnasse contro i
Veneziani, le cui mire espansionistiche erano temute da Firenze: «O la sarà una
porta che aprirà loro tutta Italia, o fia la rovina loro», scrive il 24
novembre. A Roma gli giunse la notizia della nascita del secondogenito
Bernardo: «Somiglia voi, è bianco come la neve, ma gli ha il capo che pare velluto
nero, et è peloso come voi, e da che somiglia voi parmi bello», gli scrive la
moglie Marietta il 24 novembre. E Machiavelli, che lungamente in questo scorcio
di tempo aveva frequentato la casa del cardinal Soderini, al quale forse
prospettò già il suo progetto di costituire una milizia nazionale che
sostituisse l'infida soldatesca mercenaria,[16] il 18 dicembre s'avviò per
Firenze. In Francia Ingresso a Genova di Luigi XII, 1508. Le
fortune della Francia in Italia sembrarono declinare dopo la cacciata dal
Napoletano ad opera dell'armata spagnola di Gonzalo Fernández de Córdoba.
Firenze, alleata di Luigi XII, e timorosa delle prossime iniziative della
Spagna, del papa e della nemica tradizionale, la Siena di Pandolfo Petrucci,
era interessata a conoscere i progetti del re e a questo scopo alla sua corte
mandò Machiavelli «a vedere in viso le provvisioni che si fanno e scrivercene
immediate, e aggiungervi la coniettura e iudizio tuo». Il 22 gennaio 1504
Machiavelli era a Milano per conferire con il luogotenente Charles II
d'Amboise, che non credeva in un attacco spagnolo in Lombardia e rassicurò
Niccolò sull'amicizia francese per Firenze. Raggiunse la corte e
l'ambasciatore Niccolò Valori a Lione il 27 gennaio, ricevendo uguali
rassicurazioni dal cardinale di Rouen e da Luigi stesso. In marzo ripartiva per
Firenze e di qui si recava per pochi giorni a Piombino da Jacopo d'Appiano, per
sondare la posizione di quel signorotto. È di questo tempo la stesura del suo
primo Decennale, una storia dei fatti notevoli occorsi degli ultimi dieci anni
volta in terzine: Machiavelli non è poeta, anche se invoca Apollo nell'esordio
del poemetto, ma a noi interessa il suo giudizio sull'attualità della vicenda
politica italiana e su quel che attende Firenze: «L'imperador, con
l'unica sua prole vuol presentarsi al successor di Pietro al Gallo il colpo
ricevuto duole; e Spagna che di Puglia tien lo scetro va tendendo a' vicin
laccioli e rete, per non tornar con le sue imprese a retro; Marco, pien di
paura e pien di sete, fra la pace e la guerra tutto pende; e voi di Pisa troppa
voglia avete [ .... ] Onde l'animo mio tutto s'infiamma or di speranza, or di
timor si carca tanto che si consuma a dramma a dramma, perché saper vorrebbe
dove, carca di tanti incarchi debbe, o in qual porto, con questi venti, andar
la vostra barca. Pur si confida nel nocchier accorto ne' remi, nelle vele e
nelle sarte; ma sarebbe il cammin facile e corto se voi el tempio riapriste a
Marte» (Decennale primo, vv 529-549) I tentativi d'impadronirsi di Pisa
fallirono ancora: battuta a Ponte a Cappellese il 27 marzo 1505, Firenze doveva
anche guardarsi dalle manovre dei signori ai loro confini. Machiavelli andò a
Perugia l'11 aprile per conferire col Baglioni, ora alleato con gli Orsini, con
Lucca e con Siena, poi a Mantova, per cercare invano accordi con il marchese
Giovan Francesco Gonzaga e il 17 luglio a Siena. In settembre, fallì un nuovo
assalto a Pisa e Machiavelli ne trasse spunto per presentare la proposta della
creazione di un esercito cittadino. Rimasti diffidenti i maggiorenti della
città - che temevano che un esercito popolare potesse costituire una minaccia
per i loro interessi - ma appoggiato dal Soderini, Machiavelli si mosse per
mesi nei borghi toscani a far leva di soldati, istruiti «alla tedesca», e
finalmente, il 15 febbraio 1506, Firenze poté vedere la prima parata di una
milizia «nazionale» che peraltro non avrà nessun ruolo nella successiva
conquista di Pisa e si rivelerà di scarso affidamento nella difesa di Prato del
1512. Con la pace concordata con la Francia nell'ottobre 1505, la Spagna,
con Ferdinando II d'Aragona, aveva preso definitivamente possesso del Regno di
Napoli. I piccoli stati della penisola attendevano ora le mosse di Giulio II,
deciso a imporre la sua egemonia nell'Italia centrale: nel luglio, il papa
chiese a Firenze di partecipare alla guerra che egli intendeva muovere al
signore di Bologna, Giovanni Bentivoglio, che era alleato, come Firenze, dei
francesi, e perciò teoricamente amico, oltre che confinante, dei Fiorentini. Si
trattava di temporeggiare, osservando gli sviluppi dell'impresa del papa al
quale fu mandato Machiavelli, che lo incontrò a Nepi il 27 agosto 1506.
Giulio II gli dimostrò di godere dell'appoggio della Francia, che aveva
promesso di inviare truppe in suo aiuto, cosicché fu agevole a Machiavelli
promettere aiuti a sua volta - dopo però che fossero arrivati quelli di re
Luigi - e seguì papa Giulio che, con la sua corte curiale e pochi armati se
n'andava a Perugia, ottenendo, il 13 settembre, la resa senza combattimento di
Giampaolo Baglioni che, con stupore e rimprovero del Machiavelli[17] e, un
giorno, anche del Guicciardini,[18] non ebbe il coraggio di opporsi alle poche
forze allora a disposizione del Papa. La corte papale, dopo aver atteso a
Cesena fino a ottobre l'arrivo dei francesi e, dopo questi, dei Fiorentini di
Marcantonio Colonna, entrò trionfante a Bologna l'11 novembre. Machiavelli,
tornato a Firenze già alla fine d'ottobre, s'occupò ancora dell'istituzione
delle milizie fiorentine: il 6 dicembre furono creati i Nove ufficiali
dell'Ordinanza e Milizia fiorentina, eletti dal popolo, responsabili militari
della Repubblica. In Germania Massimiliano I d'Asburgo Il nuovo
anno 1507 si aprì con le minacce del passaggio in Italia del «Re dei Romani»
Massimiliano, intenzionato a ribadire le proprie pretese di dominio sulla
penisola, a espellere i francesi e a farsi incoronare a Roma «imperatore del
Sacro Romano Impero». Si valutò a Firenze la possibilità di finanziargli
l'impresa in cambio della sua amicizia e del riconoscimento dell'indipendenza
della Repubblica: il 27 giugno fu inviato a questo scopo l'ambasciatore
Francesco Vettori e, il 17 dicembre, lo stesso Machiavelli. Giunse a Bolzano,
dove Massimiliano teneva corte, l'11 gennaio 1508 e le lunghe trattative
sull'esborso preteso da Massimiliano s'interruppero quando i Veneziani,
sconfiggendolo più volte, gli fecero comprendere la velleità dei suoi sogni di
gloria. Da questa esperienza Machiavelli trasse tre scritti, il Rapporto
delle cose della Magna, composto il 17 giugno 1508, il giorno dopo il suo
rientro a Firenze, il Discorso sopra le cose della Magna e sopra l'Imperatore,
del settembre 1509, e il più tardo Ritratto delle cose della Magna, del 1512,
una rielaborazione del primo Rapporto. Rileva la grande potenza della Germania,
che «abunda di uomini, di ricchezze e d'arme»; le popolazioni hanno «da
mangiare e bere e ardere per uno anno: e così da lavorare le industrie loro,
per potere in una obsidione [assedio] pascere la plebe e quelli che vivono
delle braccia, per uno anno intero sanza perdita. In soldati non spendono
perché tengono li uomini loro armati ed esercitati; e li giorni delle feste
tali uomini, in cambio delli giuochi, chi si esercita collo scoppietto, chi
colla picca e chi con una arme e chi con un'altra, giocando tra loro onori et
similia, e quali tra loro poi si godono. In salari e in altre cose spendono
poco: talmente che ogni comunità si truova ricca in publico». Importano e
consumano poco perché «le loro necessità sono assai minori delle nostre», ma
esportano molte merci «di che quasi condiscono tutta la Italia [...] e così si
godono questa loro rozza vita e libertà e per questa causa non vogliono ire
alla guerra se non sono soprappagati e questo anche non basterebbe loro, se non
fussino comandati dalle loro comunità. E però bisogna a uno imperadore molti
più denari che a uno altro principe». Tanta forza potenziale, che potrebbe fare
la grandezza politica e militare dell'Imperatore, è limitata dalle divisioni
delle comunità governate dai singoli principi, una realtà simile a quella
italiana: nessun principe tedesco vuole favorire l'imperatore, «perché,
qualunque volta in proprietà lui avessi stati o fussi potente, è domerebbe e
abbasserebbe e principi e ridurrebbeli a una obedienzia di sorte da potersene
valere a posta sua e non quando pare a loro: come fa oggi il re di Francia, e
come fece già il re Luigi, quale con l'arme e ammazzarne qualcuno li ridusse a
quella obedienzia che ancora oggi si vede».[19] La conquista di Pisa Decisa
a concludere le operazioni militari contro Pisa, Firenze mandò Machiavelli a
far leve di soldati: in agosto condusse soldati prelevati da San Miniato e da
Pescia all'assedio della città irriducibile. Riunite altre milizie, si incaricò
di tagliare i rifornimenti bloccando l'Arno; poi, il 4 marzo del 1509, andò
prima a Lucca a intimare a quella Repubblica di cessare ogni aiuto ai Pisani e,
il 14, si recò a Piombino, incontrando gli ambasciatori di Pisa per cercare
invano un accordo di resa. Raccolte nuove truppe, in maggio era presente
all'assedio: Pisa, ormai stremata, trattava finalmente la pace. Machiavelli
accompagnò i legati pisani a Firenze dove, il 4 giugno 1509 fu firmata la resa
e l'8 giugno poté entrare in Pisa con i commissari Niccolò Capponi, Antonio
Filicaia e Alamanno Salviati. Un ben più vasto incendio era intanto
divampato nell'Italia settentrionale: stipulata un'alleanza a Cambrai, Francia,
Spagna, Impero e papato si avventavano contro la Repubblica veneziana che a
maggio cedeva i suoi possedimenti lombardi e romagnoli e, in giugno, anche
Verona, Vicenza e Padova, consegnate a Massimiliano. Firenze, da parte sua,
doveva finanziare la nuova impresa imperiale: consegnato un primo acconto in
ottobre, il 21 novembre Machiavelli era a Verona per consegnare il saldo a
Massimiliano, che era stato però costretto alla ritirata dalla controffensiva
veneziana, resa possibile dalla rivolta popolare contro i nuovi padroni. E
Machiavelli commentava dei «due re, che l'uno può fare la guerra e non vuol farla,
l'altro ben vorrebbe farla e non può»,[20] riferendosi a Luigi e a Massimiliano
che se n'era tornato in Germania a chiedere soldati e denari ai principi
tedeschi. Atteso inutilmente il ritorno dell'Imperatore, il 2 gennaio
1510 Machiavelli se ne tornò a Firenze. Venezia si salvò soprattutto grazie
alle divisioni degli alleati: mentre Luigi XII aveva tutto l'interesse di
ridurre all'impotenza Venezia per avere le mani libere nella pianura padana,
Giulio II la voleva abbastanza forte da opporsi alla Francia senza averne
contrasto alle proprie ambizioni di espansione. Per Firenze, amica della
Francia ma non nemica del papa, era necessario spiegarsi con il re francese, e
Machiavelli fu mandato a Blois, dove Luigi teneva la corte, incontrandolo il 17
giugno 1510. Machiavelli confermò l'amicizia con la Francia ma disse di
dubitare che la Repubblica potesse impegnarsi in una guerra contro Giulio II,
in grado di volgere contro Firenze forze troppo superiori: meglio sarebbe stata
una mediazione che evitasse il conflitto e sottraesse, oltre tutto, Firenze
dalla responsabilità di un impegno nel quale era difficile trarre un guadagno.
Dovette tornare a Firenze il 19 ottobre, convinto che la guerra fosse
ineluttabile. Le vittorie militari non furono sfruttate da Luigi XII e la sua
indizione di un concilio a Pisa, che condannasse il papa, provocò l'interdetto
di Giulio II contro Firenze. Il 22 settembre 1511 Machiavelli era ancora in
Francia, ottenendo dal re soltanto un breve rinvio del concilio: dalla Francia
andò a Pisa e riuscì a ottenere il trasferimento del concilio a Milano.
Il ritorno dei Medici a Firenze Le fortune di Luigi XII volgevano al tramonto:
sconfitto dalla nuova coalizione guidata dal papa, era costretto ad abbandonare
la Lombardia, lasciando Firenze politicamente isolata e incapace di resistere
alle armi spagnole. Il 31 agosto 1512 Pier Soderini fuggì a Siena, i Medici
rientrarono a Firenze: disfatto il vecchio governo, il 7 novembre anche
Machiavelli venne rimosso dal suo incarico, il successivo 10 novembre fu
confinato e multato della grande somma di mille fiorini e il 17 gli fu
interdetto l'ingresso a Palazzo Vecchio. Giuliano de' Medici duca
di Nemours Il nuovo regime processò Pietro Paolo Boscoli e Agostino Capponi,
accusati di aver complottato contro Giuliano de' Medici, condannandoli a morte.
Anche Machiavelli è sospettato: arrestato il 12 febbraio 1513, fu anche
torturato (gli fu somministrata la corda o, com'era chiamata allora a Firenze,
la "colla"[21]). Scrisse allora a Giuliano di Lorenzo de' Medici duca
di Nemours due sonetti, per ricordargli, ma senza averne l'aria e in forma
scherzosa, la sua condizione di carcerato: «Io ho, Giuliano, in gamba un
paio di geti e sei tratti di fune in sulle spalle; l'altre miserie mie non vo'
contalle, poiché così si trattano i poeti Menon pidocchi queste parieti
grossi e paffuti che paion farfalle, né mai fu tanto puzzo in Roncisvalle o in
Sardigna fra quegli arboreti quanto nel mio sì delicato ostello» Giulio
II moriva intanto proprio in quei giorni e dal conclave uscì eletto l'11 marzo
il cardinale de' Medici con il nome di Leone X: era la fine dei pericoli di
guerra per Firenze e anche il tempo dell'amnistia. Uscito dal carcere,
Machiavelli cercò di ottenere favori dai Medici attraverso l'ambasciatore
Francesco Vettori e lo stesso Giuliano, ma invano. Si ritirò allora nel suo
podere dell'Albergaccio, a Sant'Andrea in Percussina, tra Firenze e San
Casciano in Val di Pesa. L'esilio dalla politica. «Il Principe» Qui, tra
le giornate rese lunghe dall'ozio forzato, comincia a scrivere i Discorsi sopra
la prima Deca di Tito Livio che, forse nel luglio 1513, interrompe per metter
mano al suo libro più famoso, il De Principatibus, dal solenne titolo latino ma
scritto in volgare e perciò divenuto ben più noto come Il Principe. Lo dedica
dapprima a Giuliano di Lorenzo de' Medici e, dopo la morte di questi nel 1516,
a Lorenzo de' Medici, figlio di Piero "fatuo"; ma il libro uscì solo
postumo, nel 1532. Certo, non doveva farsi illusioni che un Medici potesse mai essere
quel «redentore» atteso dall'Italia contro «questo barbaro dominio», ma da un
Medici si attendeva almeno la sua propria «redenzione» dall'inattività cui era
stato relegato dal ritorno a Firenze di quella famiglia. Sperava che
l'amico Vettori, ambasciatore a Roma, si facesse interprete del suo «desiderio
[...] che questi signori Medici mi cominciasseino adoperare», dal momento «che
io sono stato a studio all'arte dello stato [...] e doverrebbe ciascheduno aver
caro servirsi d'uno che alle spese d'altri fussi pieno d'esperienza. E della
fede mia non si doverrebbe dubitare, perché, avendo sempre osservato la fede,
io non debbo imparare ora a romperla; e chi è stato fedele e buono quarantatré
anni che io ho, non debbe potere mutare natura; e della fede e bontà mia ne è
testimonio la povertà mia». Delle ombre della sua povertà, ma anche delle sue
luci, Machiavelli scrive al Vettori in quella che è la più famosa lettera della
nostra letteratura: L'Albergaccio di Machiavelli a Sant'Andrea in
Percussina «Venuta la sera, mi ritorno in casa ed entro nel mio scrittoio; e in
su l'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi
metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique
corti delli antiqui uomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di
quel cibo che solum è mio e che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno
parlare con loro e domandargli della ragione delle loro azioni; e quelli per
loro umanità mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia;
sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte;
tutto mi trasferisco in loro. E perché Dante dice che non fa scienza sanza lo
ritenere lo avere inteso, io ho notato quello di che per la loro conversazione
ho fatto capitale, e composto uno opuscolo de Principatibus» (Lettera a
Francesco Vettori, 10 dicembre 1513) Ritornato il 3 febbraio 1514 a Firenze,
continuò a sperare a lungo che il Vettori, al quale spedì il manoscritto del
Principe,[22] lo facesse introdurre in qualche incarico nell'amministrazione
cittadina, ma invano. Tutto dipendeva dalla volontà del papa, e Leone non era
affatto intenzionato a favorire chi non si era mostrato, a suo tempo,
favorevole agli interessi di Casa Medici. Machiavelli, da parte sua, scriveva
al Vettori di aver «lasciato i pensieri delle cose grandi e gravi» e di non
dilettarsi più di «leggere le cose antiche, né ragionare delle moderne: tutte
si sono converse in ragionamenti dolci». Si era infatti innamorato di una
«creatura tanto gentile, tanto delicata, tanto nobile e per natura e per
accidente, che io non potrei né tanto laudarla né tanto amarla che la non
meritasse più».[23] La guerra, ripresa in Italia dalla discesa del nuovo
re di Francia Francesco I, si concluse nel settembre 1515 con la sua grande
vittoria a Marignano (oggi Melegnano) contro la vecchia «Lega santa»: Leone X
dovette accettare il dominio francese in Lombardia e la stipula a Bologna di un
concordato che riconosceva il controllo reale sul clero francese. Si rifece
impossessandosi, per conto del nipote Lorenzo, capitano generale dei
Fiorentini, del Ducato di Urbino. A quest'ultimo invano dedicava Machiavelli il
suo Principe: la sua esclusione dalla gestione degli affari di Firenze
continuava. Nel 1516 o 1517 si diede a frequentare gli «Orti Oricellari»,
latineggiamento che indica i giardini del Palazzo di Cosimo Rucellai, dove si
riunivano letterati, giuristi ed eruditi come Luigi Alamanni, Jacopo da
Diacceto, Jacopo Nardi, Zanobi Buondelmonti, Antonfrancesco degli Albizi,
Filippo de' Nerli e Battista della Palla. Qui vi lesse probabilmente qualche
capitolo di quell'Asino, poemetto in terzine che voleva essere una
contaminazione fra l'Asino d'oro di Apuleio e la Divina Commedia dantesca, ma
che lasciò presto interrotto: e al Rucellai e al Buondelmonti dedicò i Discorsi
sopra la prima Deca di Tito Livio, scritti dal 1513 al 1519. Machiavelli si era
già cimentato, quando ricopriva l'incarico di segretario della Repubblica, in
composizioni teatrali: una imitazione dell'Aulularia di Plauto e una commedia,
Le maschere, ispirata a Nebulae di Aristofane, sono tuttavia perdute. Al 1518
risale il suo capolavoro letterario, la commedia Mandragola, nel cui prologo
egli inserisce un accenno autobiografico «scusatelo con questo, che
s'ingegna con questi van pensieri fare el suo tristo tempo più suave,
perch'altrove non have dove voltare el viso; ché gli è stato interciso mostrar
con altre imprese altra virtue, non sendo premio alle fatiche sue.»
Intorno a quest'anno vanno collocate la traduzione dell'Andria di Terenzio e
stesura della novella di Belfagor arcidiavolo o Novella del demonio che pigliò
moglie - il suo titolo preciso è attualmente stabilito in Favola - il cui tema
di fondo è la visione pessimistica dei rapporti che legano gli esseri umani,
tutti intesi al proprio interesse a danno, se necessario, di quello di ciascun
altro. Il ritorno alla vita politica Lorenzo de' Medici morì nel 1519,
lasciando il governo di Firenze al cardinale Giulio. Costui, favorevole a Machiavelli,
lo incaricò della stesura di una storia della città sotto lauta retribuzione.
Machiavelli, galvanizzato dall'incarico, diede alle stampe nel 1521 l’Arte
della guerra, dedicandola allo stesso cardinal Giulio. Nello stesso anno fu
inviato in missione diplomatica a Carpi presso il governatore Francesco
Guicciardini di cui, pur avendo opposte visioni della Storia[24], divenne buon
amico. Nel 1525 cercò di guadagnare il favore di papa Clemente VII offrendogli
le Istorie fiorentine. Nel frattempo giunsero la revoca ufficiale
dell'interdizione dalla vita pubblica e l'affidamento di missioni militari in
Romagna in collaborazione col Guicciardini. L'ultima interdizione dalla
vita pubblica e la morte Nel 1527 i Medici furono cacciati da Firenze e venne
instaurata nuovamente la repubblica. Machiavelli si propose come candidato alla
carica di segretario della repubblica, ma venne respinto in quanto ritenuto
colluso coi Medici e soprattutto con papa Clemente VII. La delusione per
Machiavelli fu insopportabile. Ammalatosi repentinamente, cominciò a peggiorare
vistosamente fino alla morte, sopraggiunta il 21 giugno 1527. Abbandonato da
tutti, fu sepolto nel corso di una modesta cerimonia funebre nella tomba di
famiglia nella basilica di Santa Croce. Nel 1787 la città di Firenze fece
costruire un monumento nella basilica stessa; esso raffigura la Diplomazia
assisa su un sarcofago marmoreo. Sulla lastra frontale sono incise le parole
Tanto nomini nullum par elogium (Nessun elogio sarà mai degno di tanto
nome). Pensiero Machiavelli e il Rinascimento Con il termine
machiavellico si è spesso indicato un atteggiamento spregiudicato e disinvolto
nell'uso del potere: un buon principe deve essere astuto per evitare le
trappole tese dagli avversari, capace di usare la forza se ciò si rivela
necessario, abile manovratore negli interessi propri e del suo popolo. Ciò si
accompagna a un travaglio personale che Machiavelli sentiva nella sua attività
quotidiana e di teorico, secondo una tradizione politica che già in Cicerone
affermava: "un buon politico deve avere le giuste conoscenze, stringere
mani, vestire in modo elegante, tessere amicizie clientelari per avere
un'adeguata scorta di voti". Con Machiavelli l'Italia ha conosciuto
il più grande teorico della politica. Secondo Machiavelli la politica è il
campo nel quale l'uomo può mostrare nel modo più evidente la propria capacità
di iniziativa, il proprio ardimento, la capacità di costruire il proprio
destino secondo il classico modello del faber fortunae suae. Nel suo pensiero
si risolve il conflitto fra regole morali e ragion di Stato che impone talvolta
di sacrificare i propri princìpi in nome del superiore interesse di un popolo.
La politica deve essere autonoma da teologia e morale e non ammette ideali, è
un gioco di forze finalizzate al bene della collettività e dello stato. La
politica, svincolata da dogmatismi e princìpi teorici, guarda alla realtà
effettuale, ai "fatti": "Mi è parso più conveniente andare
dietro alla verità effettuale della cosa piuttosto che alla immaginazione di
essa". Si tratta di una visione antropocentrica che si richiama
all'Umanesimo quattrocentesco ed esprime gli ideali del Rinascimento.
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Rinascimento italiano. Nel Discorso o
dialogo intorno alla nostra lingua, opera di non certa attribuzione e che non
fu pubblicata, Machiavelli dà un giudizio severo su Dante Alighieri, col quale
inscena un dialogo nell'opera. Dante è rimproverato di negare la matrice
fiorentina della lingua della Commedia. Il passo assume i caratteri
dell'invettiva contro il poeta concittadino, accusato di aver infangato la
reputazione di Firenze: «[...] Dante il quale in ogni parte mostrò
d'esser per ingegno, per dottrina et per giuditio huomo eccellente, eccetto che
dove egli hebbe a ragionare della patria sua, la quale, fuori d'ogni humanità
et filosofico instituto, perseguitò con ogni spetie d'ingiuria. E non potendo
altro fare che infamarla, accusò quella d'ogni vitio, dannò gli uomini, biasimò
il sito, disse male de' costumi et delle legge di lei; et questo fece non solo
in una parte de la sua cantica, ma in tutta, et diversamente et in diversi
modi: tanto l'offese l'ingiuria dell'exilio, tanta vendetta ne desiderava!
[...] Ma la Fortuna, per farlo mendace et per ricoprire con la gloria sua la
calunnia falsa di quello, l'ha continuamente prosperata et fatta celebre per
tutte le province cristiane, et condotta al presente in tanta felicità et sì
tranquillo stato, che se Dante la vedessi, o egli accuserebbe sé stesso, o ripercosso
dai colpi di quella sua innata invidia, vorrebbe essendo risuscitato di nuovo
morire.» (Niccolò Machiavelli, Discorso o dialogo intorno alla nostra
lingua) Poi, durante un altro scambio immaginario con Dante, Machiavelli
rimprovera il carattere "goffo", "osceno", addirittura
"porco" del registro utilizzato nell'Inferno: «N. Dante mio, io
voglio che tu t'emendi, et che tu consideri meglio il parlare fiorentino et la
tua opera; et vedrai che, se alcuno s'harà da vergognare, sarà più tosto
Firenze che tu: perché, se considererai bene a quel che tu hai detto, tu vedrai
come ne' tuoi versi non hai fuggito il goffo, come è quello: "Poi ci
partimmo et n'andavamo introcque"; non hai fuggito il porco, com'è
quello: "che merda fa di quel che si trangugia"; non hai
fuggito l'osceno, com'è: "le mani alzò con ambedue le
fiche"; e non avendo fuggito questo, che disonora tutta l'opera tua,
tu non puoi haver fuggito infiniti vocaboli patrii che non s'usano altrove che
in quella [...]» (Niccolò Machiavelli, Discorso o dialogo intorno alla
nostra lingua) La concezione della storia Autografo delle Historiae
Fiorentinae Per Machiavelli la storia è il punto di riferimento verso il quale
il politico deve sempre orientare la propria azione. La storia fornisce i dati
oggettivi su cui basarsi, i modelli da imitare, ma indica anche le strade da
non ripercorrere. Machiavelli si basa su una concezione ciclica della storia:
"Tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li medesimi". Ma ciò
che allontana Machiavelli da una visione deterministica della storia è
l'importanza che egli attribuisce alla virtù, ovvero alla capacità dell'uomo di
dominare il corso degli eventi utilizzando opportunamente le esperienze degli
errori compiuti nel passato, nonché servendosi di tutti i mezzi e di tutte le
occasioni per la più alta finalità dello stato, facendo anche violenza, se
necessario, alla legge morale. Non a caso il Principe, nella conclusione,
abbandona il suo taglio cinico e pragmatico per esortare i sovrani italiani,
con una scrittura più solenne e venata di un certo idealismo, a riconquistare
la sovranità perduta e a cacciare l'invasore straniero. Non c'è rassegnazione
nel Principe, né tanto meno sfiducia nei confronti dell'uomo. La storia è il
prodotto dell'attività politica dell'uomo per finalità terrene esclusivamente
pratiche. Lo stato, oggetto di tale attività, nella situazione politica e nel
pensiero del tempo si identifica con la persona del principe. Di
conseguenza l'attività politica è riservata solo ai grandi protagonisti, ai
pochi capaci di agire, non al "vulgo" incapace di decisione e di
coraggio. L'obiettivo è creare o conservare lo stato, una creazione individuale
legata alle qualità e alla sorte del suo fondatore: la fine del principe può
determinare la fine del suo stato, come capitò ad esempio a Cesare Borgia. Il
Machiavelli ha dunque un'importanza fondamentale per la scoperta che la
politica è una forma particolare autonoma di attività umana, il cui studio
rende possibile la comprensione delle leggi da cui è perennemente retta la
storia; da quella scoperta discende, come suo naturale fondamento, una vigorosa
concezione della vita, incentrata unicamente sulla volontà e sulla
responsabilità dell'uomo. Una errata interpretazione del Novecento fece
del Machiavelli un precursore del movimento unitario italiano, ma la parola
nazione ha assunto l'attuale significato solo a partire dalla seconda metà del
Settecento, mentre il Machiavelli la usò in senso particolaristico e cittadino
(es. nazione fiorentina o, nel senso più generico di popolo, moltitudine).
Tuttavia, Machiavelli propugnava un principato in grado di reggersi sull'unità
etnica [senza fonte] dell'Italia; così facendo, e denunciando in tal modo una
chiara coscienza dell'esistenza di una civiltà italiana[senza fonte],
Machiavelli predicava la liberazione dell'Italia sotto il patrocinio di un
principe, criticando il dominio temporale dei Papi che spezzava in due la
penisola. Ma l'unità d'Italia resta in Machiavelli un problema solo
intuito. Non si può dubitare che avesse concepito l'idea dell'unità italiana,
ma tale idea restò indeterminata, poiché non trovò appigli concreti nella
realtà, restando perciò a livello di utopia, cui solo dava forma la figura
ideale del principe nuovo. Machiavelli dunque intraprese un viaggio che
identificò come spirituale in giro per il mondo. In seguito, tornato in patria,
ebbe una nuova visione sia del "popolo" che della "nazione"
(di qui quello che oggi definiamo rinnovamento culturale). Il principe o
De Principatibus Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Il Principe. Niccolò Machiavelli nello
studio, Stefano Ussi, 1894 Emblematico è il modo di trattare argomenti
delicati, quali le mosse necessarie al Principe per organizzare uno stato ed
ottenerne uno stabile e duraturo consenso. Per esempio vi troviamo indicazioni
programmatiche, quali l'utilità nello "spegnere" gli stati abituati a
vivere liberi di modo da averli sotto il proprio diretto controllo (metodo
preferito al creare un'amministrazione locale "filo-principesca" o al
recarvisi e stabilirvisi personalmente, metodo però sempre tenuto da conto in
modo da avere un occhio sempre presente sulle proprie terre, e stabilire una
figura rispettata e conosciuta in loco). Altro elemento caratteristico
del trattato sta nella scelta dell'atteggiamento da tenere nei confronti dei
sudditi, culminante nell'annosa questione del "s'elli è meglio essere
amato che temuto o e converso" (Cap. XVII[25]). La risposta corretta si
concretizzerebbe in un ipotetico principe amato e temuto, ma essendo difficile
o quasi impossibile per una persona umana l'essere ambedue le cose, si conclude
decretando che la posizione più utile viene ad essere quella del Principe
temuto (pur ricordando che mai e poi mai il Principe dovrà rendersi odioso nei
confronti del popolo, fatto che porrebbe i prodromi della propria caduta). Qua
appare indubbiamente la concezione realistica e la concretezza del Machiavelli,
il quale non viene a proporre un ipotetico Principe perfetto, ma irrealizzabile
nel concreto, bensì una figura effettivamente possibile e soprattutto
"umana". Ulteriore atteggiamento principesco dovrà l'essere
metaforicamente sia "volpe" che "leone", in modo da potersi
difendere dalle avversità sia tramite l'astuzia (volpe) che tramite la violenza
(leone). Mantenendo un solo atteggiamento dei due non ci si potrà difendere da
una minaccia violenta o di astuzia. Spesso alla figura evocata dal Principe di
Machiavelli viene associata la figura di un uomo privo di scrupoli, di un
cinismo estremo, nemico della libertà. Inoltre gli viene erroneamente associata
la frase "il fine giustifica i mezzi", che invece mai enunciò. Questo
perché la parola "giustifica" evoca sempre un criterio morale, mentre
Machiavelli non vuole "giustificare" nulla, vuole solo valutare, in
base ad un altro metro di misura, se i mezzi utilizzati sono adatti a
conseguire il fine politico, l'unico fine da perseguire è il mantenimento dello
Stato. Machiavelli nella stesura del Principe si rifà alla reale
situazione che gli si presentava attorno, una situazione che necessitava essere
risolta con un atto deciso, forte, violento. Machiavelli non vuole proporre dei
mezzi giustificati da un fine, egli pone un programma politico che qualunque
Principe che voglia portare alla liberazione dell'Italia, da troppo tempo
schiava, dovrà seguire. Fuori dai suoi intenti una giustificazione morale dei
punti suggeriti: egli stende un vademecum necessariamente utile a quel Principe
che finalmente vorrà impugnare le armi. Alle accuse di sola illiberalità od
autoritarismo, si può dare una risposta leggendo il capitolo IX, "De
Principatu Civili", ritratto di un principe nascente dal e col consenso
del popolo, figura ben più solida del Principe nato dal consesso dei
"grandi", cioè dei grandi proprietari feudali. Non esiste un unico
tipo di principato, ma per ognuno troviamo un'ampia trattazione di pregi e dei
difetti. Controversie sul Principe «Quel grande / che temprando lo
scettro a' regnatori gli allor ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime
grondi e di che sangue» (Ugo Foscolo, Dei sepolcri) La gelida obiettività
e un certo cinismo con cui Machiavelli descriveva il comportamento freddo,
razionale ed eventualmente spietato che un capo di Stato deve mettere in atto,
colpì i critici. Così, da una parte vi è la linea di pensiero tradizionale,
secondo la quale "Il Principe" è un trattato di scienza politica
destinato al governante, che tramite esso saprà come affrontare i problemi,
spesso drammatici, posti dal suo ruolo di garante della stabilità dello stato.
Dall'altra, troviamo un'interpretazione secondo cui il trattato di Machiavelli,
che era originariamente un repubblicano, ha come vero scopo quello di mettere a
nudo, e quindi chiarire, le atrocità compiute dai principi dell'epoca, a vantaggio
del popolo, che di conseguenza avrebbe le dovute conoscenze per attuare le
precauzioni al fine di stare in guardia e difendersi quando si dimostra
necessario. Il principe è visto anche come figura assai drammatica, la quale,
per il bene dello stato stesso, non si può permettere di lasciare spazio al
proprio carattere, diventando così quasi un uomo-macchina.[26][27] Secondo
alcuni, Machiavelli venne in realtà accusato da subito di nicodemismo, e:
«...di non aver mirato ad altro, in quel libro, che a condurre il tiranno a
precipitosa rovina, allettandolo con precetti a lui graditi...»
(Attribuita a Niccolò Machiavelli[28]) Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio:
Machiavellismo § L'antimachiavellismo e il repubblicanesimo. Gli esponenti di
questa seconda interpretazione (la cosiddetta "interpretazione
obliqua", diffusa dal XVII secolo, e avanzata per la prima volta da
Alberico Gentili nel 1585[29] ispirandosi a Reginald Pole[30], poi ripresa da
Traiano Boccalini e in seguito Baruch Spinoza)[31], furono numerosi soprattutto
in ambito illuminista (anche se venne rifiutata da Voltaire[32]), che vedeva in
Machiavelli un precursore della politica laica e del repubblicanesimo: la
sostennero, dal Settecento, Jean-Jacques Rousseau[33], Vittorio Alfieri[34],
Giuseppe Baretti[35], Giuseppe Maria Galanti[36], gli enciclopedisti[37] (in
primis Denis Diderot[3 Opere Discorso 8] e Jean Baptiste d'Alembert), Ugo
Foscolo e Giuseppe Parini[39], e ha avuto diffusione soprattutto
nell'Ottocento, prima e durante il Risorgimento[26]; ne è un esempio quello che
Foscolo scrive nei "Sepolcri": «Io quando il monumento / vidi ove
posa il corpo di quel grande / che temprando lo scettro a' regnatori / gli
allor ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue».
Forse alcuni di essi - ad esempio, per quanto riguarda Foscolo, è un'ipotesi
alternativa di Spongano e riportata anche da Mario Pazzaglia - ritenevano anche
che, pur essendo Il principe un'opera fatta per i tiranni e i governanti, fosse
utile lo stesso per svelare al popolo gli intrighi del potere, ritenendo valida
l'interpretazione obliqua, qualunque fossero le intenzioni di
Machiavelli.[40] In generale, per i sostenitori di questa lettura, Il
principe avrebbe, come le satire (ad esempio Una modesta proposta di Jonathan
Swift), uno scopo opposto a quello apparente, come avverrà anche per alcuni
scritti di epoca romantica (Lettera semiseria di Grisostomo di Giovanni Berchet
o alcune Operette Morali di Giacomo Leopardi[41]). In epoca più recente,
tuttavia, nella maggioranza dei critici è prevalsa la prima interpretazione,
quella tradizionale, dal quale risalta la libertà e concretezza, anche
spregiudicata, del pensiero di Machiavelli, che non descrive mondi utopici, ma
il mondo reale della politica dei suoi tempi[42], e la sua concezione
anticipatrice del realismo politico e della cosiddetta realpolitik.[43]
L'interpretazione obliqua è stata riproposta in modo minoritario, ad esempio in
alcuni monologhi del drammaturgo e attore Dario Fo.[44] Il modello
linguistico prescelto da Machiavelli è fondato sull'uso vivo più che sui
modelli letterari; lo scopo, esplicito soprattutto nel Principe, di
scrivere qualcosa di utile e chiaramente espressivo lo induce a scegliere
spesso modi di dire proverbiali di immediata evidenza. Il lessico impiegato
dall'autore si rifà a quello boccacciano, è ricco di parole comuni e i
latinismi, seppure abbondanti, provengono per lo più dal gergo cancelleresco.
Nelle sue opere ricoprono un ruolo assai rilevante anche le metafore, i
paragoni e le immagini. La concretezza è una delle caratteristiche salienti,
l'esempio concreto ed essenziale, tratto dalla storia sia antica che recente, è
sempre preferito al concetto astratto. In generale si parla di uno stile "fresco",
come lo ebbe a definire il filosofo Nietzsche in Al di là del bene e del male,
con un riferimento particolare all'uso della paratassi, a una certa
sentenziosità delle frasi, costruite secondo un criterio di chiarezza a scapito
di un maggior rigore logico-sintattico. Machiavelli rende evidenti concetti
che, se espressi con un linguaggio più elaborato, sarebbero molto difficili da
decifrare, e riesce a esprimere le sue tesi con originale capacità
espositiva. Opere Discorso fatto al magistrato de' Dieci sopra le cose di
Pisa (1499) Parole da dirle sopra la provvisione del danaio (1503) Descrizione
del modo tenuto dal Duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli,
Oliverotto da Fermo, il Signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini (1503) De
natura Gallorum (1510) Ritratto delle cose di Francia (1510) Ritratto delle
cose della Magna (1512) Il Principe (1513) – Testo su Wikisource Discorsi sopra
la prima deca di Tito Livio (1513 –1519) Dell'arte della guerra (1519 – 1520)
La vita di Castruccio Castracani da Lucca (1520) Istorie fiorentine (1520 –
1525) – Riedizione Istorie fiorentine, Venezia, 1546. Discorso o dialogo
intorno alla nostra lingua (pubblicato nel 1730) Decennali Mandragola (1518),
commedia teatrale Belfagor arcidiavolo (1518 - 1527) Epistolario (1497 – 1527)
L'asino (1517) Edizioni critiche in pubblico dominio: Legazioni,
commissarie, scritti di governo. A cura di Fredi Chiappelli. Laterza,
Roma-Bari. 1, 1971. 2, 1973. 3, 1984. 4, 1985. Drammaturgie minori Clizia
(1525) Andria, traduzione-rifacimento dell'Andria di Terenzio Onori Nel 2009
Alitalia gli ha dedicato uno dei suoi Airbus A320-216 (EI-DTI). Nella
cultura di massa Il suo nome, modificato in "Makaveli", venne usato
dal rapper statunitense Tupac Shakur tra il 1995 e il 1996 per firmare molte sue
canzoni e un album uscito postumo. Niccolò Machiavelli viene proposto anche nel
videogioco Assassin's Creed 2 e il seguito Assassin's Creed: Brotherhood, in
veste di Assassino. Proprio in quest'ultimo assume un ruolo particolarmente
importante, insieme ad altri personaggi dell'Italia rinascimentale. Niccolò
Machiavelli è, assieme a John Dee, il principale antagonista della serie di
romanzi fantasy I segreti di Nicholas Flamel, l'immortale (come capo dei
servizi segreti francesi), scritta da Michael Scott. Nella mostra "Il
Principe di Niccolò Machiavelli e il suo tempo. 1513-2013" (Roma,
Complesso del Vittoriano, Salone Centrale, 25 aprile-16 giugno 2013), promossa
dall'Istituto dell'Enciclopedia Italiana e dalla sezione italiana di Aspen
Institute, la sezione "Machiavelli e il nostro tempo: usi e abusi"
presenta, tra altre "opere", Figurine Liebig, pacchetti di sigarette,
schede telefoniche, trading card, cartoline, francobolli, giochi da tavolo e
videogiochi dedicati a Machiavelli[45] Cinema e televisione Nella serie I
Borgia di Neil Jordan è interpretato da Julian Bleach. Machiavel è una band
belga, catalogabile sotto il genere progressive rock, attiva dal 1974. Il nome
della band è un chiaro omaggio a Niccolò Machiavelli. Nella serie I Medici è
interpretato da Vincenzo Crea> Edizione nazionale delle opere Edizione
Nazionale delle Opere di Niccolò Machiavelli, Salerno Editrice di Roma:
Il principe, a cura di Mario Martelli, corredo filologico a cura di Nicoletta
Marcelli, vol. I/1, pp. 536, 2006, ISBN 978-88-8402-520-3 Discorsi sopra la
prima Deca di Tito Livio, a cura di Francesco Bausi, vol. I/2, due tomi pp.
XLIV-960, 2001, ISBN 978-88-8402-356-8 L'arte della guerra. Scritti politici
minori, a cura di Giorgio Masi, Jean Jacques Marchand, Denis Fachard, vol. I/3,
pp. XV-726, 2001, ISBN 978-88-8402-338-4 Opere storiche, a cura di Alessandro
Montevecchi, Carlo Varotti, vol. II, 2 tomi pp. 1052, 2011, ISBN
978-88-8402-675-0 Teatro. Andria-Mandragola-Clizia, a cura di Pasquale
Stoppelli, vol. III/1, pp. XXIX-456, 2017, ISBN 978-88-6973-191-4 Scritti in
poesia e in prosa, a cura di Antonio Corsaro, Paola Cosentino, Emanuele
Cutinelli-Rèndina, Filippo Grazzini, Nicoletta Marcelli, coordinam. di
Francesco Bausi, vol. III/2, pp. XXXVI-652, 2013, ISBN 978-88-8402-770-2
Legazioni, Commissarie, Scritti di governo (1498-1500), a cura di Jean-Jacques
Marchand, vol. V/1, pp. 570, 2002, ISBN 978-88-8402-377-7 Legazioni.
Commissarie. Scritti di governo (1501-1503), vol. V/2, pp. 650, 2003, ISBN
978-88-8402-408-4 Legazioni. Commissarie. Scritti di governo (1503-1504), a
cura di Jean-Jacques Marchand, Matteo Melera-Morettini,vol. V/3, pp. 596, 2005,
ISBN 978-88-8402-504-3 Legazioni. Commissarie. Scritti di governo (1504-1505),
a cura di Denis Fachard, Emanuele Cutinelli-Rèndina, vol. V/4, pp. 596, 2006,
ISBN 978-88-8402-509-8 Legazioni. Commissarie. Scritti di governo (1505-1507),
a cura di Jean-Jacques Marchand, Andrea Guidi, Matteo Melera-Morettini, vol.
V/5, pp. VIII-596, 2009, ISBN 978-88-8402-642-2 Legazioni. Commissarie. Scritti
di governo (1507-1510), a cura di Denis Fachard, Emanuele Cutinelli-Rèndina,
vol. V/6, pp. VIII-592, 2011, ISBN 978-88-8402-727-6 Legazioni. Commissarie.
Scritti di governo (1510-1527), a cura di Jean-Jacques Marchand, Andrea Guidi,
Matteo Melera-Morettini, vol. V/7, pp. VIII-572, 2012, ISBN
978-88-8402-743-6 Note ^ La famosa frase "Il fine giustifica il
mezzo" (o "i mezzi"), usata spesso come esempio di
machiavellismo, è del critico letterario Francesco de Sanctis, con riferimento
ad interpretazioni fuorvianti del pensiero di Machiavelli espresso nel
Principe. Il passo di De Sanctis, dal capitolo XV della sua Storia della
letteratura italiana, dedicato a Machiavelli, recita: "Ci è un piccolo
libro del Machiavelli, tradotto in tutte le lingue, il Principe, che ha gittato
nell'ombra le altre sue opere. L'autore è stato giudicato da questo libro, e
questo libro è stato giudicato non nel suo valore logico e scientifico, ma nel
suo valore morale. E hanno trovato che questo libro è un codice di tirannia, fondato
sulla turpe massima che il fine giustifica i mezzi, e il successo loda l'opera.
E hanno chiamato machiavellismo questa dottrina. Molte difese sonosi fatte di
questo libro ingegnosissime, attribuendosi all'autore questa o quella
intenzione più o meno lodevole. Così n'è uscita una discussione limitata e un
Machiavelli rimpiccinito". ^ Celebrazioni per il V centenario del Principe
di Machiavelli, Accademia della Crusca, 29 novembre 2013. URL consultato il 1º
novembre 2019 (archiviato il 1º novembre 2019). ^ Archivio dell'Opera di Santa
Maria del Fiore, Libri dei battesimi: A dì 4 di detto maggio 1469 Niccolò Piero
e Michele di m. Bernardo Machiavelli, p. di Santa Trinita, nacque a dì 3 a hore
4, battezzato a dì 4 ^ Dal Villani, nella sua Cronica ^ I Ricordi vanno dal 30
settembre 1474 al 19 agosto 1487 ^ In Discorsi di Architettura del senatore
Giovan Battista Nelli, 1753 ^ La sua trascrizione del De rerum natura è nel
manoscritto Vaticano Rossiano 884 ^ L. Canfora, Noi e gli antichi, Milano 2002,
p. 16, 22, 121 ^ P. Giovio, Elogia clarorum virorum, 1546, 55v: «Constat [...]
a Marcello Virgilio [...] graecae atque latinae linguae flores accepisse» ^ R.
Ridolfi, cit., p. 45 ^ Lettera 11, ottobre 1499. ^ Riccardo Bruscagli,
"Niccolò Machiavelli"(1975). ^ Il Senato romano fece distruggere
Velletri e indebolì Anzio sottraendole la flotta: cfr. Livio, VIII, 13 ^
"La sua vicinanza a Pier Soderini, vexillifer perpetuus dal 1502, si
accentua progressivamente in uno sforzo di sottrarre Firenze a un immobilismo
indotto dal timore di un potere esecutivo più forte e irrispettoso di una lunga
tradizione di libertà repubblicano-oligarchica": Grazzini, Filippo, Ante
res perdita, post res perditas : dalle dediche del Decennale primo a quella del
Principe, Interpres : rivista di studi quattrocenteschi : XXXIII, 2015, p. 170,
Roma : Salerno, 2015. ^ Lettera dell'8 gennaio 1503 ^ È un'ipotesi del Ridolfi,
cit., p. 115 ^ Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, I, 27:
«Giovanpagolo, il quale non stimava essere incesto e publico parricida, non
seppe, o, a dir meglio, non ardì, avendone giusta occasione, fare una impresa,
dove ciascuno avesse ammirato l'animo suo, e avesse di sé lasciato memoria
eterna, sendo il primo che avesse dimostro a' prelati quanto sia poco uno che
vive e regna come loro; ed avessi fatto una cosa, la cui grandezza avesse
superato ogni infamia, ogni pericolo, che da quella potesse dependere» ^ Nella
sua Storia d'Italia, il Guicciardini esprime lo stesso giudizio di Machiavelli
^ Ritratto delle cose della Magna, in «Tutte le opere storiche, politiche e
letterarie, p. 442» ^ Lettera ai Dieci, 1º dicembre 1509 ^ Il carcere, la
tortura e il ritiro all'Albergaccio, su viv-it.org. URL consultato il 16
novembre 2017 (archiviato il 16 novembre 2017). ^ Ottenendo un giudizio
evasivo: cfr. la lettera del Vettori del 18 gennaio 1514 ^ Lettera a Francesco
Vettori, 3 agosto 1514 ^ David Quint, Armi e nobiltà : Machiavelli,
Guicciardini e le aristocrazie cittadine, Cadmo, Studi italiani. Anno XXI, N.
1, GEN.-GIU. 2009. ^ De credulitate et pietate; et an sit melius amari quam
timeri, vel e contra. Il machiavellismo, su
dizionariostoria.wordpress.com. URL consultato il 20 novembre 2017 (archiviato
il 1º dicembre 2017). ^ Machiavellismo, Treccani, su treccani.it. URL consultato
il 20 novembre 2017 (archiviato il 1º dicembre 2017). ^ Citata in Niccolò
Machiavelli, Periodici Mondadori, 1968 p.128 ^ A. Gentili, De legationibus,
III, 2 ^ R. Pole, Apologia ad Carolum V Caesarem de Unitate Ecclesiae ^ che
talvolta elogiarono però anche alcuni consigli pragmatici dati al principe,
come quello della religione come instrumentum regnii; ad esempio Voltaire, nel
capitolo Se sia utile mantenere il popolo nella superstizione, del Trattato
sulla tolleranza, afferma l'utilità, entro certi limiti, di una forma di
religione razionale per il popolo ^ La fortuna di Machiavelli nei secoli, su
windoweb.it. URL consultato il 16 novembre 2015 (archiviato il 4 marzo 2016). ^
«Machiavelli era un uomo giusto e un buon cittadino; ma, essendo legato alla corte
dei Medici, non poteva velare il proprio amore per la libertà nell'oppressione
che imperava nel suo paese. La scelta di Cesare Borgia come proprio eroe, ben
evidenziò il suo intento segreto; e la contraddizione insita negli insegnamenti
del Principe e in quelli dei Discorsi e delle Istorie fiorentine ben dimostra
quanto questo profondo pensatore politico è stata finora studiato solo dai
lettori superficiali o corrotti. La Corte pontificia vietò severamente la
diffusione di quest'opera. Ci credo ... in fondo, quanto scritto la ritrae
fedelmente. (...) il libro dei repubblicani (...) fingendo di dare lezioni ai
re, ne ha date di grandi ai popoli». (Jean Jacques Rousseau, Il contratto
sociale, III, 6) ^ «Dal solo suo libro Del Principe si potrebbero qua e là
ricavare alcune massime immorali e tiranniche, e queste dall'autore son messe
in luce (a chi ben riflette) molto più per disvelare ai popoli le ambiziose ed
avvedute crudeltà dei principi che non certamente per insegnare ai principi a
praticarne... all'incontro, il Machiavelli nelle Storie, e nei Discorsi sopra
Tito Livio, ad ogni sua parola e pensiero, respira libertà, giustizia, acume,
verità, ed altezza d'animo somma, onde chiunque ben legge, e molto sente, e
nell'autore s'immedesima, non può riuscire se non un fuocoso entusiasta di
libertà, e un illuminatissimo amatore d'ogni politica virtù» (Del principe e
delle lettere, II, 9) ^ «Con quel libro, se la sapessimo tutta, egli si pensò
forse di pigliare, come si suol dire, due colombi ad una fava: presentando
dall'un lato a' suoi Fiorentini come schietta e naturale una caricata e
mostruosa immagine d'un sovrano assoluto, affinché si risolvessero a non averne
mai alcuno; e cercando dall'altro di tirare insidiosamente i Medici a
governarsi in guisa che s'avessero poi a snodolare il collo, seguendo i
fraudolenti precetti da lui con molta adornezza sciorinati in quella sua
dannata opera.» ^ G.M. Galanti, Elogio di N. Machiavelli cittadino e segretario
fiorentino ^ Alessandro Arienzo, Gianfranco Borrelli, Anglo-American Faces of
Machiavelli, 2009; pag. 364 ^ Voce "Machiavellismo" dell'Encyclopedie
^ Franco Ferrucci, Il teatro della fortuna: potere e destino in Machiavelli e
Shakespeare, Fazi Editore, 2004; pag. 108 ^ Mario Pazzaglia, Note ai Sepolcri,
in Antologia della letteratura italiana, vol I ^ cfr. l'inizio del Dialogo di
Tristano e di un amico. ^ Introduzione a: Alfredo Oriani, Niccolò Machiavelli ^
http://www.repubblica.it/rubriche/la-parola/2012/06/24/news/realpolitik-37893071/
Archiviato il 2 febbraio 2014 in Internet Archive. Realpolitik ^ Video di Dario
Fo che parla di Machiavelli (trasmissione tv Vieni via con me, su youtube.com.
URL consultato il 9 dicembre 2014 (archiviato il 2 dicembre 2015). ^ Il
Principe di Niccolò Machiavelli e il suo tempo. 1513-2013, Catalogo della
mostra, Roma Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2013, pp. 470-95 La
bibliografia su Machiavelli è sterminata. Tentativi di redigerla sono stati
realizzati da Achille Norsa, Il principio della forza nel pensiero politico di
Niccolò Machiavelli, seguito da un contributo bibliografico [1740‑1935], Milano
1936; Silvia Ruffo Fiore, Niccolò Machiavelli: an annotated bibliography of
modern criticism and scholarship [1935‑88], New York‑Westport‑London 1990;
Daria Perocco, Rassegna di studi sulle opere letterarie del Machiavelli (1969‑1986),
in "Lettere italiane", XXXIX (1987), pp. 544‑579; Emanuele Cutinelli‑Rendina,
Rassegna di studi sulle opere politiche e storiche di Niccolò Machiavelli (1969‑1992),
in "Lettere italiane", XLVI (1994), pp. 123‑172. Nel 2014 l'Istituto
della Enciclopedia Italiana Treccani ha pubblicato in 3 volumi l'opera
Machiavelli: enciclopedia machiavelliana. Di seguito una selezione di studi dal
1970. Monografie principali (dal 1970) Felix Gilbert, Machiavelli e la vita
culturale del suo tempo, Bologna, Il mulino, 1972 Claude Lefort, Le travail de
l'oeuvre Machiavel, Paris, Gallimard, 1972 Jean-Jacques Marchand, Niccolò
Machiavelli. I primi scritti politici (1499-1512). Nascita di un pensiero e di
uno stile, Padova, Antenore, 1975 Riccardo Bruscagli, Niccolò Machiavelli,
Firenze, La Nuova Italia editrice, 1ª edizione: aprile 1975 Roberto Ridolfi,
Vita di Niccolò Machiavelli, Firenze, Sansoni, 1978 (ultima ed.) Federico
Chabod, Scritti su Machiavelli, Torino, Einaudi, 1980 (ultima ed.) John
Greville Agard Pocock, Il momento machiavelliano: il pensiero politico
fiorentino e la tradizione repubblicana anglosassone, Bologna, Il mulino, 1980
Carlo Dionisotti, Machiavellerie, Torino, Einaudi, 1980 Gennaro Sasso, Niccolo
Machiavelli, vol. 1: Il pensiero politico; vol. 2: La storiografia, Bologna, Il
Mulino, 1993 (1ª ed. Napoli 1958) Giuliano Procacci, Machiavelli nella cultura
europea dell'età moderna, Roma-Bari, Laterza, 1995 Gennaro Sasso, Machiavelli e
gli antichi e altri saggi, I-IV, Milano-Napoli, Ricciardi, 1987-97 Maurizio
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monde, Vecchiarelli, 2010, ISBN 88-8247-272-8. Emanuele Cutinelli-Rendina,
Introduzione a Machiavelli, Roma-Bari, Laterza, 2013 (5ª ed.) Voci
correlate Lettera a Francesco Vettori Letteratura italiana Francesco
Guicciardini Teoria della ragion di Stato Istorie fiorentine Barbara Salutati
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esterni Niccolò Machiavelli, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
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machiavelliani (2000-2014). Una ricognizione dei contributi scientifici
dedicati al Machiavelli negli ultimi decenni Controllo di autorità VIAF (EN) 95151646 ·
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XVI secoloFilosofi italiani del XV secoloFilosofi italiani del XVI
secoloScrittori italiani del XV secoloScrittori italiani del XVI secoloNati nel
1469Morti nel 1527Nati il 3 maggioMorti il 21 giugnoNati a FirenzeMorti a
FirenzePolitici italiani del XV secoloPolitici italiani del XVI secoloMembri
dell'Accademia neoplatonicaNiccolò MachiavelliMachiavelli
(famiglia)Drammaturghi italianiDiplomatici italianiFilosofi della storiaSepolti
nella basilica di Santa CroceFilosofi della politica[altre]. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Machiavelli," per
il club anglo-italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia.
mctaggart: Irish philosopher, the leading
British personal idealist. Aside from his childhood and two extended visits to
New Zealand, McTaggart lived in Cambridge as a student and fellow of Trinity
College. His influence on others at Trinity, including Russell and Moore, was
at times great, but he had no permanent disciples. He began formulating and
defending his views by critically examining Hegel. In Studies in the Hegelian
Dialectic (1896) he argued that Hegel’s dialectic is valid but subjective,
since the Absolute Idea Hegel used it to derive contains nothing corresponding
to the dialectic. In Studies in Hegelian Cosmology (1901) he applied the
dialectic to such topics as sin, punishment, God, and immortality. In his
Commentary on Hegel’s Logic (1910) he concluded that the task of philosophy is
to rethink the nature of reality using a method resembling Hegel’s dialectic.
McTaggart attempted to do this in his major work, The Nature of Existence (two
volumes, 1921 and 1927). In the first volume he tried to deduce the nature of
reality from self-evident truths using only two empirical premises, that
something exists and that it has parts. He argued that substances exist, that
they are related to each other, that they have an infinite number of substances
as parts, and that each substance has a sufficient description, one that
applies only to it and not to any other substance. He then claimed that these
conclusions are inconsistent unless the sufficient descriptions of substances
entail the descriptions of their parts, a situation that requires substances to
stand to their parts in the relation he called determining correspondence. In
the second volume he applied these results to the empirical world, arguing that
matter is unreal, since its parts cannot be determined by determining
correspondence. In the most celebrated part of his philosophy, he argued that
time is unreal by claiming that time presupposes a series of positions, each
having the incompatible qualities of past, present, and future. He thought that
attempts to remove the incompatibility generate a vicious infinite regress.
From these and other considerations he concluded that selves are real, since
their parts can be determined by determining correspondence, and that reality
is a community of eternal, perceiving selves. He denied that there is an
inclusive self or God in this community, but he affirmed that love between the
selves unites the community producing a satisfaction beyond human
understanding.
Madera -- Romano
Madera Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Romano Màdera (Varese, 25 gennaio 1948) è un filosofo, psicoanalista,
accademico di formazione junghiana italiano. Indice 1 Biografia 2 Il
pensiero 3 Opere
4 Bibliografia
5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia È professore emerito presso l'Università degli Studi di
Milano-Bicocca e ha insegnato all'Università della Calabria e all'Università
Ca' Foscari di Venezia. È membro dell'Associazione italiana di psicologia
analitica (AIPA), dell'International Association for Analytical Psychology
(IAAP), del Laboratorio analitico delle immagini (LAI, associazione per lo
studio del gioco della sabbia nella pratica analitica), e fa parte della
redazione della Rivista di psicologia analitica. Insieme al filosofo
italiano Luigi Vero Tarca ha fondato, alla fine degli anni novanta del XX
secolo, i Seminari aperti di pratiche filosofiche di Venezia e di Milano.
È tra i fondatori e i docenti di Philo - Pratiche filosofiche a Milano.
Studioso del pensiero di Carl Gustav Jung, ha definito la sua proposta nel
campo della ricerca e della cura del senso "analisi biografica a
orientamento filosofico", formando nel 2007 la società degli analisti
filosofi (SABOF). Il pensiero Romano Màdera è il fondatore dell'analisi
biografica a orientamento filosofico (ABOF), pratica filosofica volta a
utilizzare e a trasformare il metodo psicoanalitico, nata agli inizi del XXI
secolo e oggi praticata in diverse città italiane. La pratica
dell'analista filosofo si rivolge alle dimensioni “sane” ed è volta alla
ricerca di senso dell'esistenza dell'analizzante: orientamento filosofico è
inteso come ricerca di senso che, a differenza della filosofia come modo di
vivere dell’antichità, parte dalla biografia storicamente, culturalmente e
socialmente incarnata. Questo è un tentativo di risposta alla crisi, a partire
dal XX secolo, delle istituzioni tradizionalmente riconosciute come orientanti
l’esistenza; l'analista filosofo si propone di riformulare su base biografica i
processi educativi e formativi integrandoli con le psicologie del
profondo. L’aver cura “terapeutica” dell’insieme della personalità e
della vita dei gruppi è stato da sempre vocazione della filosofia, riproposta
come contenitore di diversi approcci e discipline delle scienze umane, dalla
psicoanalisi alla pedagogia. Il senso è inteso come il fattore terapeutico
fondamentale. L'ABOF non si occupa della cura delle psicopatologie,
a meno che l'analista filosofo non sia anche uno psicoterapeuta, psicologo o
psichiatra. Essendo l'ABOF una pratica filosofica, sono richiesti
all'analista non solo la competenza professionale ma anche l'indirizzo
vocazionale della sua vita alla filosofia, dedicandosi agli esercizi filosofici
personali e comunitari. L'ambito di esperienze e teorie da cui deriva
riunisce l'eredità delle psicologie del profondo, la filosofia intesa nel suo
valore terapeutico e come stile di vita, la pedagogia del corpo e le pratiche di
meditazione, la psicologia sistemica, il metodo autobiografico e biografico, la
narrazione delle storie di vita in una prospettiva sociologica. Opere
Identità e feticismo, Moizzi, Milano 1977 Dio il Mondo, Coliseum, Milano 1989
L'alchimia ribelle, Palomar, Bari 1997 C.G. Jung. Biografia e teoria, Bruno
Mondadori, Milano 1998 L'animale visionario, Il Saggiatore, Milano 1999 “Mia
philosophikê askêsê”, in ê sunantêsê, n. 16, 2005 “Ti einai ê philosophika
prosanatolismenê biographikê analusê?”, in ê sunantêsê, n. 18, 2005 La
filosofia come stile di vita (con L.V.Tarca), Bruno Mondadori, Milano, 2003,
tr. inglese Philosophy as Life Path, Ipoc, Milano 2007 Il nudo piacere di
vivere, Arnoldo Mondadori, Milano 2006 "Che cosa è l'analisi biografica a
orientamento filosofico", in AAVV, Pratiche filosofiche e cura di sé,
Bruno Mondadori, Milano 2006 “C.G. Jung come precursore di una filosofia per
l'anima”, in AAVV, Il senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di
psicologia analitica, novembre 2007, 76/2007, n. s. n. 24 “C.G. Jung:
Forerunner of a Philosophy for the Soul”, in European Journal of
Psychoanalysis, II, 24, 2009 La carta del senso. Psicologia del profondo e vita
filosofica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2012, tr. inglese Approaching
the Navel of the Darkened Soul. Depht Psychology and Philosophical Practices,
Ipoc, 2013 Una filosofia per l'anima. All'incrocio di psicologia analitica e
pratiche filosofiche (a cura di Chiara Mirabelli), Ipoc, Milano 2013 “Empirisme
ou une philosophie pour l’ame?”, in Recherches Germaniques, Université de
Strasbourg, Hors série n. 9, 2014 “The Missing Link: from Jung to Hadot and
Vice Versa”, in Eranos. Its Magical Past and Alluring Future: the Spirit of a
Wondrous Place, Spring, n. 92, 2015 Carl Gustav Jung. L'opera al rosso,
Feltrinelli, Milano 2016 “The Quest for Meaning after God’s Death in an Era of
Chaos”, in AAVV, Jung’s Red Book for our Time: Searching for Soul under
Postmodern Conditions, vol. 2, Chiron Publications, Asheville, NC 2017
Sconfitta e utopia. Identità e feticismo attraverso Marx e Nietzsche, Mimesis,
Milano 2018 “Che tipo di sapere potrebbe essere quello della psicoanalisi?”, in
Psiche. Rivista di cultura psicoanalitica, n. 2, 2018 Màdera R., “Dalla
pseudospeciazione al capro espiatorio", in AAVV, Tabula rasa. Neuroscienze
e culture, Fondazione Intercultura , vol. 15, 2019 Màdera R., "The psychic
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Milano 2013 Daddi A. I., Filosofia del profondo, formazione continua, cura di
sé. Apologia di una psicoanalisi misconosciuta, Ipoc, Milano, 2016 Daddi A. I.,
“Principio Misericordia, perfezionismo morale e nuova etica. La proposta
màderiana per l'Occidente del terzo millennio”, in I. Pozzoni (a cura di),
Rassegna storiografica decennale, Limina Mentis, Monza, 2018 Diana M.,
Contaminazioni necessarie. La cura dell'anima tra religioni, psicoterapia,
counselling filosofici, Moretti&Vitali, Bergamo 2008 Galimberti U., Nuovo
dizionario di psicologia. Psichiatria, psicoanalisi, neuroscienze, voce
“Biografico, Metodo”, Feltrinelli, Milano 2018 Gamelli I., Mirabelli C., Non
solo a parole. Corpo e narrazione nella formazione e nella cura, Raffaello
Cortina, Milano 2019 Janigro N. (a cura di), La vocazione della psiche,
Einaudi, Torino 2015 Janigro N., Psicoanalisi. Un’eredità al futuro, Mimesis,
Milano 2017 Malinconico A. (a cura di), "Dialettica di redazione (ancora
in tema di analisi biografica a orientamento filosofico)", in AAVV, Il
senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica,
novembre 2007, 76/2007, n. s. n. 24 Malinconico A., Psicologia Analitica e mito
dell’immagine. Dialogando con Paolo Aite, Biblioteca di Vivarium, Milano 2017
Montanari M., “Hadot e Foucault. Per una filosofia del profondo”, in AAVV, Il
senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica,
novembre 2007, 76/2007, n. s. n. 24 Montanari M., La filosofia come cura,
Mursia, Milano 2012 Montanari M., Vivere la filosofia, Mursia, Milano 2013
Moreni L. (a cura di), “Intervista a tre analisti filosofi”, in AAVV, Il senso
di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica, novembre
2007, 76/2007, n. s. n. 24 Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote
contiene citazioni di o su Romano Madera Collegamenti esterni Ways to go beyond
the nihilistic alienation [1] Sull’analisi biografica a orientamento filosofico
[2] Analisi biografica e cura di sé [3] Una nuova formazione alla cura [4]
Psiche e città. La nuova politica nelle parole di analisti e filosofi [5]
Quattordici punti sull’analisi biografica a orientamento filosofico [6] Dalla
pseudospeciazione al capro espiatorio [7] Romano Màdera et l’analyse
biographique à orientation philosophique [8] Controllo di autorità VIAF (EN) 59212523 · ISNI (EN)
0000 0000 3168 053X · LCCN (EN) n78040665 · BNF (FR) cb128498272 (data) ·
WorldCat Identities (EN) lccn-n78040665 Biografie Portale Biografie Filosofia
Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani
del XXI secoloPsicoanalisti italianiAccademici italiani del XX secoloAccademici
italiani del XXI secoloNati nel 1948Nati il 25 gennaioNati a VareseProfessori
dell'Università Ca' FoscariProfessori dell'Università degli Studi di
Milano-BicoccaProfessori dell'Università della CalabriaPsicologi
junghiani[altre]
Maffetone -- Sebastiano
Maffettone Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Sebastiano Maffettone (Napoli, 10 aprile 1948) è un filosofo e
accademico italiano[1]. Indice 1 Biografia 2 Campi
di interesse 3 Incarichi
4 Opere
5 Note
6 Collegamenti
esterni Biografia Laureatosi in giurisprudenza all'Università degli studi di
Napoli Federico II nel 1971, dal 1975 al 1976 è stato borsista presso
l'Università di Oxford e dal 1977 al 1980 ha studiato per conseguire un master
presso l'Università di Londra. Campi di
interesse Ha contribuito al dibattito scientifico internazionale sui temi della
bioetica e dell'etica dell'economia e della politica. In particolare ha avuto
il merito di introdurre in Italia il pensiero di John Rawls, tentando di
ricostruire i principi del liberalismo applicandoli al contesto della
globalizzazione economica. Incarichi Ha
insegnato in diverse università italiane e internazionali, come Harvard,
Columbia, Tufts University, Boston College, University of Pennsylvania, Nuova
Delhi, London School of Economics, Sciences-Po (Paris).[2] È direttore del
dipartimento di scienze politiche della LUISS Guido Carli, dove insegna
filosofia politica.[3] Dal 2015 è
consigliere delegato alla cultura del governatore della Regione Campania
Vincenzo De Luca e presidente della Fondazione Ravello. Opere I fondamenti del liberalismo, con Ronald
Dworkin, Laterza, 1996. Etica Pubblica, Il Saggiatore, 2001. La pensabilità del
mondo Il Saggiatore, 2006. Rawls: un'introduzione, Laterza, 2010. Rawls, Polity
Press, 2010. Un mondo migliore. Giustizia globale tra Leviatano e Cosmopoli,
Luiss University Press, 2013. Karl Marx nel XXI secolo, Luiss University Press,
2018. Note ^ Pagina web di Sebastiano Maffettone ^ Biografia di Sebastiano
Maffettone ^ Cv del docente Archiviato l'11 novembre 2012 in Internet Archive.
Collegamenti esterni (EN) Opere di Sebastiano Maffettone, su Open Library,
Internet Archive. Modifica su Wikidata Registrazioni di Sebastiano Maffettone,
su RadioRadicale.it, Radio Radicale. Modifica su Wikidata Sebastiano Maffettone
- Pubblicazioni, LUISS Guido Carli, 2012. URL consultato il 6 gennaio 2016
(archiviato dall'url originale l'11 novembre 2012). Sebastiano Maffettone.
Rassegna di articoli SWIF Sito web Italiano per la Filosofia. Università degli
Studi di Bari. Controllo di autorità VIAF
(EN) 84503141 · ISNI (EN) 0000 0001 1772 8063 · SBN IT\ICCU\CFIV\002213 · LCCN
(EN) n81115242 · GND (DE) 1104761629 · BNF (FR) cb12036377x (data) · BNE (ES)
XX4748687 (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-n81115242 Biografie Portale
Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX
secoloFilosofi italiani del XXI secoloAccademici italiani del XX
secoloAccademici italiani del XXI secoloNati nel 1948Nati il 10 aprileNati a
Napoli[altre]
Magalotti -- Lorenzo Magalotti
(letterato) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Medaglione di Lorenzo Magalotti nel Museo della Specola, Firenze
Lorenzo Magalotti (Roma, 13 dicembre 1637[1] – Firenze, 2 marzo 1712) è stato
uno scienziato, letterato e diplomatico italiano, al servizio del Granducato di
Toscana. Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Note
4 Bibliografia
5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Appartenente ad una famiglia dell'aristocrazia fiorentina,
nacque a Roma, dove il padre Orazio era prefetto dei corrieri pontifici, pochi
mesi dopo la morte dell'omonimo zio cardinale; la madre si chiamava Francesca
Venturi. Studiò nel Collegio Romano, un seminario dei Gesuiti, e
successivamente nell'Università di Pisa, dove fu allievo di Vincenzo Viviani e
di Marcello Malpighi. Segretario del cardinale Leopoldo de' Medici, nel
1660 fu nominato segretario dell'Accademia del Cimento (fondata dal cardinale
nel 1657). Fece parte anche dell'Accademia della Crusca e dell'Accademia
dell'Arcadia col nome di Lindoro Elateo. Dall'esperienza al Cimento nacquero i
Saggi di naturali esperienze, ossia le relazioni dell'attività dell'Accademia
del Cimento dal 1662 al 1667 (anno in cui l'Accademia fu sciolta)[2]. Dal
1667 passò al servizio di Cosimo III de' Medici, granduca di Toscana, iniziando
così un'attività diplomatica che lo portò a una lunga serie di viaggi per tutta
l'Europa (raccolse in diverse opere le sue vivaci e brillanti relazioni di
viaggio). Nel 1675 ottenne il titolo di conte e la nomina ad ambasciatore
residente a Vienna, sede dalla quale venne improvvisamente rimosso nel 1678 per
ragioni rimaste ignote e legate verosimilmente a dissensi di natura
politica col granduca. Si ritirò allora a vita privata nei suoi possedimenti e
successivamente chiese di entrare a far parte della Confederazione
dell'Oratorio di San Filippo Neri; ma si pentì anche di questa decisione, e si
ritirò definitivamente nella sua villa di Lonchio. Magalotti si dedicò
anche all'attività letteraria; ma la sua produzione poetica petrarcheggiante[3]
non è ritenuta all'altezza delle sue relazioni scientifiche, tranne forse delle
canzonette anacreontiche derivanti da traduzioni dalla lingua greca di testi
dello stesso Anacreonte[4]. Tradusse inoltre il Paradiso perduto del Milton e
un poemetto georgico del poeta inglese John Philips (The Cyder)[5]. Un apporto
positivo hanno invece recato i documenti della sua amicizia con Charles de
Saint-Évremond, pubblicati nel 1964[6]. Pubblicò anche vari scritti di
divulgazione scientifica, da cui traspare la sua particolare attenzione per la
filosofia naturale di Galileo. Opere Frontespizio di Lettere
scientifiche ed erudite di Lorenzo Magalotti (Firenze, 1721) Canzonette
anacreontiche di Lindoro Elateo, pastore arcade, 1723. Delle lettere familiari
del conte Lorenzo Magalotti e di altri insigni uomini a lui scritte, Firenze,
1769. Diario di Francia dell'anno 1668, a cura di M.L. Doglio, Palermo,
Sellerio, 1991 La donna immaginaria, canzoniere del conte Lorenzo Magalotti con
altre di lui leggiadrissime composizioni inedite, raccolte e pubblicate da
Gaetano Cambiagi al nobilissimo signore Vincenzo Maria Alamanni patrizio
fiorentino marchese di Trentola, e Barone di Lodano ecc., Lucca 1762. Lettere
del conte Lorenzo Magalotti gentiluomo fiorentino dedicate all'Ecc.mo e Clar.mo
Sig. Senatore Carlo Ginori Cav. dell'Ordine di S. Stefano, Segretario delle
Riformagioni e delle Tratte, Lucca 1736. Lettere familiari (parte I) contro
l'ateismo, Venezia 1719. Lettere odorose, a cura di E. Falqui, Milano 1943.
Lettere scientifiche, ed erudite del conte Lorenzo Magalotti gentiluomo
trattenuto, e del Consiglio di Stato dell'Altezza Reale del Serenissimo
Granduca di Toscana, Firenze 1727. Opere dei discepoli di Galileo Galilei, ed.
naz. a cura di G. Abetti e P. Pagnini, vol. I, dedicato all'Accademia del
Cimento, Firenze. 1942. Saggi di naturali esperienze fatte nell'Accademia del
cimento sotto la protezione del Serenissimo Principe Leopoldo di Toscana e
descritte dal Segretario di essa Accademia, Milano 1806. Scritti di corte e di
mondo, a cura di Enrico Falqui, Roma 1945. Varie operette del conte Lorenzo
Magalotti con giunta di otto lettere su le terre odorose d'Europa e d'America
dette volgarmente buccheri ora pubblicate per la prima volta, Roma. 1825. Note
^ Cesare Preti e Luigi Matt, Lorenzo Magalotti, in Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. ^ Saggi di naturali
esperienze fatte nell'Accademia del Cimento sotto la protezione del serenissimo
principe Leopoldo di Toscana e descritte dal segretario di essa Accademia, In
Firenze: per Giuseppe Cocchini all'Insegna della Stella, 1666 ^ La donna
immaginaria canzoniere del celebre conte Lorenzo Magalotti ora per la prima
volta dato alla luce e dedicato alle nobilissime dame italiane, in Firenze:
appresso Andrea Bonducci, 1762 ^ Canzonette anacreontiche di Lindoro Elateo
pastore arcade, in Firenze : per Gio. Gaetano Tartini, e Santi Franchi, 1723 ^
Il sidro poema in due canti di Giovanni Filips tradotto dall'inglese in toscano
dal celebre conte Lorenzo Magalotti ora per la prima volta stampato con altre
traduzioni, e componimenti di vari autori, in Firenze: appresso Andrea
Bonducci, 1749 ^ Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond, Opere
slegate : precedute da un carteggio tra Magalotti e Saint-Évremond, tradotte in
toscano da Lorenzo Magalotti, edizione critica a cura di Luigi De Nardis, Roma:
Edizioni dell'Ateneo, 1964 Bibliografia Questo testo proviene in parte dalla
relativa voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo
Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze (home page),
pubblicata sotto licenza Creative Commons CC-BY-3.0 Elogio storico del conte
Lorenzo Magalotti nell'edizione de La donna immaginaria canzoniere del conte
Lorenzo Magalotti con altre di lui leggiadrissime composizioni inedite,
raccolte e pubblicate da Gaetano Cambiagi, In Lucca: nella stamperia di Gio.
Riccomini, pp. XIII-XLV, 1762 [1]. Felice Del Beccaro, Magalotti, Lorenzo
(1637-1712), in Vittore Branca (a cura di), Dizionario critico della
letteratura italiana, Torino, UTET, 1973, vol. II, 466-470. Lorenzo Magalotti,
Relazioni di viaggio in Inghilterra, Francia e Svezia, Bari, G. Laterza, 1968.
URL consultato il 24 febbraio 2016. Altri progetti Collabora a Wikisource
Wikisource contiene una pagina dedicata a Lorenzo Magalotti Collabora a
Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Lorenzo Magalotti Collabora a
Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Lorenzo
Magalotti Collegamenti esterni Lorenzo Magalotti, su Treccani.it – Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Federico
Millosevich, Lorenzo Magalotti, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Cesare Preti e Luigi Matt,
Lorenzo Magalotti, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Lorenzo Magalotti, su
accademicidellacrusca.org, Accademia della Crusca. Modifica su Wikidata Opere
di Lorenzo Magalotti, su Liber Liber. Modifica su Wikidata Opere di Lorenzo
Magalotti, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere
di Lorenzo Magalotti, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata
Testi on-line Relazioni di viaggio in Inghilterra, Francia e Svezia [2] Lettere
scientifiche ed erudite [3] Comento sui primi cinque canti dell'Inferno di
Dante, e quattro lettere del conte Lorenzo Magalotti [4] Canzonette
anacreontiche di Lindoro Elateo pastore arcade [5] Lettere scientifiche ed
erudite [6] La donna immaginaria [7] Novelle [8] (il volume contiene anche
opere di altri autori) Gli amori innocenti di Sigismondo conte d'Arco con la
Principessa Claudia Felice d'Inspruch [9] Controllo di autorità VIAF (EN) 34478273 · ISNI (EN) 0000
0001 2095 9022 · SBN IT\ICCU\CFIV\024176 · LCCN (EN) n79135561 · GND (DE)
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Categorie: Scienziati italianiLetterati italianiDiplomatici italianiNati nel
1637Morti nel 1712Nati il 13 dicembreMorti il 2 marzoNati a RomaMorti a
FirenzeAccademici dell'ArcadiaTraduttori dall'ingleseTraduttori italianiStudenti
dell'Università di Pisa[altre]
Maggi -- Vincenzo Maggi Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Vincenzo
Maggi (Pompiano, 1498 – Ferrara, 20 ottobre 1564) è stato un filosofo e
letterato italiano. Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Note
4 Bibliografia
5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Vincenzo Maggi nacque a Pompiano, piccola località della
pianura bresciana occidentale, dove la famiglia aveva possedimenti e anche un
negozio di farmacia. Il padre Francesco, uomo di lettere, fu il suo primo
maestro. Studiò filosofia a Padova con Gerolamo Bagolino e frequentò
attivamente gli ambienti culturali della città. Si laureò il 2 dicembre 1528 e
divenne professore supplente di filosofia nello Studio di Padova, con uno stipendio
iniziale di 47 fiorini. Nel 1533 alla morte di Marcantonio Passeri ottenne la
cattedra di filosofia e rimase ad insegnare a Padova fino al 1543. Membro
dal 1540 dell'«Accademia degli Infiammati», strinse amicizia con Daniele
Barbaro, Bartolomeo Lombardi, Alessandro Piccolomini, Sperone Speroni,
Bernardino Tomitano, Benedetto Varchi, entrò quindi a far parte del circolo di
Pietro Bembo, frequentando insigni estimatori di Erasmo da Rotterdam, come
Aonio Paleario, Benedetto Lampridio e Emilio degli Emigli. Conobbe il cardinale
Reginald Pole, il vescovo Pier Paolo Vergerio, Marcantonio Flaminio e Alvise
Priuli. Nel 1529 fu in Germania dove incontrò Erasmo da Rotterdam. Il
dibattito sulla questione della lingua e sui temi estetici legati soprattutto
all'interpretazione della Poetica aristotelica condusse alla preparazione di un
commento allo scritto di Aristotele che, iniziato dal Lombardi nel 1541, per la
prematura morte di questi fu proseguito, concluso e fatto pubblicare dal Maggi,
con altra sua opera dedicata ad Orazio, a Venezia nel 1550, le In Aristotelis
librum de Poetica communes explanationes: Madii vero in eundem librum propriae
annotationes, dedicato al cardinale Cristoforo Madruzzo. Nel 1543 Maggi
lasciò Padova per entrare al servizio del duca Ercole II d'Este come precettore
del figlio Alfonso e, insieme, per insegnare filosofia nell'Università di
Ferrara: si conservano appunti delle sue lezioni sulla Poetica tenute nel 1546
e 1547.[1] Anche della vita culturale della città estense Maggi fu protagonista,
divenendo nel 1544 principe dell'«Accademia dei Filareti», che vantava membri
come Ercole Bentivoglio, Alfonso Calcagnini, Lilio Gregorio Giraldi e Giovan
Battista Giraldi Cinzio, oltre a essere amico degli umanisti Giovan Battista
Pigna, Francesco Porto e Bartolomeo Ricci, che gli diede pubblicamente merito
di essere stato «il primo interprete della Poetica di Aristotele». Del
1545 è l'orazione Mulierum praeconium o De mulierum praestantia, dedicata ad
Anna d'Este, la figlia di Ercole e di Renata di Francia, che nello stesso anno
fu tradotta in volgare - non dal Maggi - con il titolo Un brieve trattato
dell'eccellentia delle donne. L'edizione di questo scritto comprende anche una
anonima Essortatione a gli huomini perché non si lascino superar dalle donne,
attribuita a Ortensio Lando, che si pone come corollario dell'orazione del
Maggi. Alla chiusura temporanea dell'Università, avvenuta nel 1557, il
Maggi ritornò a Brescia per motivi familiari e culturali, partecipando alle
riunioni dell'Accademia di Rezzato, fondata nel 1548 da Giacomo Chizzola. Abitò
nella quadra della cittadella vecchia, in contrada Santo Spirito: dalla
polizza d'estimo, presentata al comune di Brescia nel 1548, sappiamo che aveva
cinquant'anni ed era sposato con Francesca, figlia del nobile Paris Rosa, dalla
quale ebbe cinque figli. A Brescia sedeva nel Consiglio Generale e nel
1550 fu incluso nell'elenco dei consiglieri comunali della città destinati alla
reggenza delle podestarie maggiori del territorio. Fu destinato alla Podestaria
di Orzinuovi, ma vi rinunciò, come rinunciò anche alla podestaria di Salò nel
1551, e partecipò alle sedute del Consiglio Generale fino al 1558. Opere
Un brieve trattato dell'eccellentia delle donne, Brescia, Turlini 1545. In
Aristotelis librum de Poetica communes explanationes: Madii vero in eundem
librum propriae annotationes, Venetiis, Valgrisi, 1550 (con Bartolomeo
Lombardi). De ridiculis, in Horatii librum de arte poetica interpretatio,
Venetiis, Valgrisi, 1550. Lectiones philosophicae, Firenze, Biblioteca
Riccardiana, ms 19.756. Expositio in libros de Coelo et Mundo, Milano,
Biblioteca Ambrosiana, ms D. 494. Expositio de Coelo, de Anima, Milano,
Biblioteca Ambrosiana, mss G. 69, R. 114. Quaestio de visione, Milano,
Biblioteca Ambrosiana, ms P. 71. Espositio super primo Coelo, Piacenza,
Biblioteca Passerini-Landi, ms Pollastrelli 98. Mulierum praeconium, Modena,
Biblioteca Estense, ms Estensis latinus 174. Oratio de cognitionis praestantia,
Ferrariae, apud Franciscum Rubeum de Valentia 1557. Consilia philosophica
Vincentii Madii et Jo. Bap. Pignae in favorem serenissimi Ferrariae ducis in ea
praecedentia, Archivio di Stato, Casa e Stato, b. 502/23, n. 881, Modena. Note
^ In Alessandro Sardi, Estensis latinus 88, Modena, Biblioteca Estense. Bibliografia
Giulio Bertoni, Nota su Vincenzo Maggi, in «Giornale storico della letteratura
italiana», XCVI, 1930, pp. 325–327. Conor Fahy, Un trattato di Vincenzo Maggi
sulle donne e un'opera sconosciuta di Ortensio Lando, in «Giornale storico
della letteratura italiana», CXXXVIII, 1961, pp. 254–272. Francesco Bruni,
Sperone Speroni e l'Accademia degli Infiammati, in «Filologia e letteratura»,
XIII, 1968, pp. 24–71. Bernard Weinberg (a cura di), Trattati di retorica e
poetica, III, Roma-Bari, Laterza, 1974. Anthony J. E. Harmsen, La théorie du
ridicule chez Madius et le classicisme néerlandais, in «Acta Conventus
neolatini Bononiensis», Binghamton, NY, 1985, pp. 491–499. Enrico Bisanti,
Vincenzo Maggi, interprete tridentino della Poetica di Aristotele, Brescia,
Geroldi, 1991. Giorgio Tortelli, Quattro Maggi in cerca d'autore, in «Quaderni
del Lombardo-Veneto», Padova 1999, n. 48, pp. 18–22. Altri progetti Collabora a
Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Vincenzo Maggi Collabora a
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esterni Vincenzo Maggi, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Vincenzo Maggi, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su
Wikidata Vincenzo Maggi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Vincenzo Maggi, su
Liber Liber. Modifica su Wikidata Opere di Vincenzo Maggi, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata Controllo di autorità VIAF (EN) 10649059 · ISNI (EN) 0000
0000 6130 6848 · SBN IT\ICCU\BVEV\032043 · LCCN (EN) no2012102451 · GND (DE)
119133199 · BNE (ES) XX1542117 (data) · CERL cnp01236672 · WorldCat Identities
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Letteratura Portale Letteratura Categorie: Filosofi italiani del XVI
secoloLetterati italianiNati nel 1498Morti nel 1564Morti il 20 ottobreNati a
PompianoMorti a Ferrara[altre]
Magi -- Gianluca Magi Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Franco
Battiato, Gianluca Magi, Gabriele Mandel "Misticismo d'Oriente e
d'Occidente" (2003) Gianluca Magi (Pesaro, 18 novembre 1970) è uno storico
delle religioni, orientalista e filosofo italiano, conoscitore di dottrine
esoteriche. Indice 1 Biografia
2 Pensiero
3 Opere
4 Contributi
a opere enciclopediche 5 Al
cinema 6 Premi
e riconoscimenti 7 Note
8 Voci
correlate 9 Altri
progetti 10 Collegamenti
esterni Biografia Ha insegnato Storia delle religioni in Cina e Storia della
filosofia all'Università di Urbino. È docente di Storia e filosofia della
religione indiana alla Facoltà di Sociologia nello stesso ateneo. Si è dedicato
alla cultura orientale, e in particolare all'induismo, buddhismo, sufismo,
taoismo, tantrismo studiandone, in particolare, gli aspetti psicologici
(psicologia transpersonale). È uno degli autori italiani che ha maggiormente
contribuito alla elaborazione teorico-pratica e alla diffusione della
psicologia transpersonale. Nel 1996 ha fondato, in convenzione con
l'università di Urbino, la Scuola Superiore di Filosofia Orientale e
Comparativa di Rimini, centro di ricerca composto da docenti universitari che
si occupano di mediare il pensiero orientale e occidentale in campo filosofico
e psicologico. Dal 2005 ne è stato il direttore scientifico e dal 2013 è stato
affiancato nella direzione da Franco Battiato. Nel 2018 lascia la
direzione scientifica e le docenze con un asciutto comunicato[1] per fondare a Pesaro
Incognita ◦ Advanced Creativity[2], centro transdisciplinare - che amplia gli
orizzonti dell'esperienza precedente e concepito come il successore dei Circoli
letterari parigini del XVII secolo, del Cabaret Voltaire dadaista di Zurigo e
del programma televisivo Bitte, keine Réclame dello stesso Franco Battiato -
che dirige sempre con il musicista catanese. La sede di "Incognita"
ospita la "AC Mind School", co-diretta dalla studiosa di estetica e
orientalista Grazia Marchianò, moglie di Elémire Zolla, Scuola che si propone
di fondere l' Immaginazione in una lega con le nuove e accreditate ricerche
scientifiche, in chiave cognitiva per il XXI secolo; tesoreggiando
‘l’intelligenza del cuore’ e ciò che si è inteso per ‘principio
dell’interiorità’ in Oriente, Occidente e in ciò che sopravvive dei mondi
indigeni[3] [4]. In seguito all'incontro con Franco Battiato, avvenuto
nel 2003 a Rimini, in occasione della mostra pittorica "Misticismo
d'Oriente e d'Occidente", ha instaurato una collaborazione con il
musicista, che scrisse la presentazione de I 36 stratagemmi (Edizioni Il Punto
d'Incontro; dal 2019, BestBUR)[5], libro che ottiene un grande successo di
pubblico[6] (39 ristampe e tradotto in 32 Paesi) e ampia risonanza mediatica.
Nel 2005 partecipa al programma televisivo Bitte, keine Réclame, condotto da
Battiato per la Rai, occupandosi di strategia taoista[7]. Molto rare sono
le apparizioni televisive di Magi, che è intervenuto sporadicamente all'interno
del canale Sky TG 24[8]. Il suo libro, Il Gioco dell'Eroe. Le porte della
percezione per essere straordinario in un mondo ordinario, con la presentazione
di Franco Battiato, uscito nel maggio del 2012, vede un clamoroso
successo[9]. Il suo nuovo libro, I 64 Enigmi. L'antica sapienza cinese
per vincere nel mondo contemporaneo, edito da Sperling & Kupfer uscito il
14 aprile 2015, è segnalato da Wuz.it al primo posto dei libri più attesi del
2015[10]. Il giorno stesso della sua uscita balza ai primi posti della
classifica dei libri più venduti[11]. Nel marzo 2016 esce Lo stato
intermedio, scritto in coppia con Franco Battiato. Nel libro Magi e Battiato
conversano sull'argomento rimosso dei nostri tempi: la morte. La conversazione
abbraccia l'orizzonte ampio degli ambiti cari agli autori: filosofia
occidentale, filosofia indiana, filosofia cinese, buddhismo, sufismo, mistica,
psicologia transpersonale, sciamanesimo, esperienze ai confini della
morte. Il 5 settembre 2019, esce un aggiornamento ampliato del Gioco
dell'Eroe con un nuovo sottotitolo La porta dell'Immaginazione e nuova traccia
audio dal titolo "Follow the White Rabbit" creata e prodotta da
Cristoforo Magi, figlio dell'autore; è segnalato da Wuz.it al primo posto dei
libri più attesi del 2019[12] e ottiene i primi posti della classifica dei libri
più venduti[13] [14]. La presentazione dell'opera è sempre a firma di Franco
Battiato. È un vegetariano dichiarato.[15]. Pensiero Si è
focalizzato sui modelli di pensiero asiatici per approfondirne, oltre la
portata metafisica e autorealizzativa, i concetti di efficacia ed efficienza:
nel libro I 36 stratagemmi declina il taoismo nei suoi aspetti di strategia
psicologica; nel saggio "Le arti marziali della parola" all'interno
della sua curatela del libro di Liang Shiqiu, La nobile arte dell'insulto (Einaudi)
evidenzia come l'arte del combattimento diventi arte retorica e dialettica[16];
nei libri Il dito e la luna, La via dell'umorismo e Il tesoro nascosto mostra
il rilievo psicopedagogico della comunicazione metaforica e umoristica delle
narrazioni buddhiste e sufi. Ha inoltre elaborato e sviluppato la dimensione
della psicologia transpersonale all'interno del Gioco dell'Eroe [17],
disciplina da lui creata e imperniata sulla capacità umana
dell'immaginazione. Opere Il dharma del sacrificio del mondo, Panozzo,
1997; La filosofia del linguaggio eterno, Università di Urbino, 1997; Quaderno
indiano, Scuola superiore di filosofia orientale e comparativa di Rimini, 2002;
Il dito e la luna, Il Punto d'Incontro, 2002 [introduzione di Gabriele Mandel
(edizione tedesca: Der verborgene Schatz, Random House Kailash Verlag, 2009); I
36 stratagemmi, Il Punto d'Incontro, 2003 (dal 2019, BestBur; edizione tedesca:
36 Strategeme. Die chinesische Kunst der Strategie, Random House Kailash
Verlag, 2009; edizione spagnola: Las 36 estratagemas. El arte secreto de la
estrategia china, Obelisco Ediciones, 2009; edizione portoghese: "Os 36
Estratagemas Chineses", Esfera dos Livros, 2010); Sanjiao. I tre pilastri
della sapienza, Il Punto d'Incontro, 2006; Liang Shiqiu, La nobile arte
dell'insulto, Einaudi, 2006 [a cura di e con il saggio introduttivo di Gianluca
Magi "Le arti marziali della parola" e l'introduzione di Michele
Serra, pp. 89]; Uscite dal sogno della veglia. Viaggio attraverso le filosofie
indiane della Liberazione, Scuola superiore di filosofia orientale e
comparativa di Rimini, 2008; La Via dell'umorismo, Il Punto d'Incontro, 2008
(edizione tedesca:Lieber ein intelligenter Feind als ein dummer Freund, Random
House Arkana Verlag, 2009); La vita è uno stato mentale. Ovvero La conta dei
frutti delle azioni nel mondo evanescente secondo l'insegnamento di Phalu il
Kashmiro, Bompiani, 2009. Kauṭilya, Il Codice del Potere (Arthaśāstra). Arte
della guerra e della strategia indiana, Edizioni Il Punto d'Incontro, 2011
[traduzione dal sanscrito, commento e introduzione "Lo yoga segreto del
perfetto sovrano" di Gianluca Magi] ISBN 978-88-8093-707-4. Il Gioco
dell'Eroe, Il Punto d'Incontro, 2012. Libro/CD con prefazione di Franco
Battiato;[18] I 64 Enigmi, Sperling & Kupfer, 2015. Lo stato intermedio,
scritto con Franco Battiato, Arte di Essere, 2016. Il tesoro nascosto. 100
lezioni sufi, Sperling & Kupfer, 2017. Il Gioco dell'Eroe. La porta
dell'Immaginazione, Il Punto d'Incontro, 2019. Nuova edizione ampliata con
nuova traccia audio. Prefazione di Franco Battiato. 101 burle spirituali,
Sperling & Kupfer, 2020. Prefazione di Alejandro Jodorowsky. Contributi a
opere enciclopediche Per la seconda edizione, in dodici volumi,
dell’Enciclopedia filosofica, promossa dal Centro Studi Filosofici di Gallarate
ed edita da Bompiani nel 2006 (poi dal Corriere della Sera nel 2011), ha
scritto le voci di filosofia indiana: Ahimsa; Ājīvika; Āraṇyaka; Brahman;
Brāhmaṇa; Buddhismo; Cārvāka; Darśana; Dharma; Hindūismo; India; Jainismo;
Karman; Māyā; Mīmāmsā; Mokṣa; Nāgārjuna; Nirvāṇa; Nyāya; Oṃ o aum; Sāṃkhya; Śaṅkara;
Śivaismo; Upaniṣad; Vaiśeṣika; Veda; Vedānta; Viṣṇuismo; Yoga. Filosofia
indiana in: Virgilio Melchiorre (a cura di), Filosofie nel mondo, Bompiani,
Milano 2014 Al cinema Ha recitato un cameo, nel ruolo di se stesso, nel film
Niente è come sembra, 2006 di Franco Battiato, a fianco del regista e scrittore
cileno Alejandro Jodorowsky[19]. Jodorowsky ha scritto in seguito la
presentazione del libro di Magi La Via dell'umorismo[20]. Premi e riconoscimenti
2014 - Premio internazionale Letteratura “ArteSpirito”[21]. Note ^ Blog di
Gianluca Magi 3 marzo 2018. «Nel 1996 fondai a Rimini la “Scuola Superiore di
Filosofia Orientale e Comparativa”. Oggi mi congedo dalla Direzione scientifica
e dalla docenza dei miei vari Corsi. Le cose belle hanno un inizio e una fine.
Ai tanti Allievi di questi ventidue anni, un grato saluto. Non mi ritirerò nel
mondo delle idee, che per un platonico può anche apparire una promozione. I
tempi sono maturi per l’upgrade: “Incognita” a Pesaro. Per spaziare in
temi altissimi con una narrazione transdisciplinare. Attraverso immaginazione,
religioni, filosofie, arti e scienze. Sempre in compagnia di Franco Battiato».
^ Incognita. Advanced Creativity ^ Il Secolo XIX 18 settembre 2018 (Roberto
Onofrio) " 'Incognita' di Pesaro. Diario di viaggio nell'Oltre,
un'immersione interiore al di là dello spazio-tempo", p. 31 ^ Il Secolo
XIX 26 giugno 2019 (Roberto Onofrio) "Advanced Creativity Mind School. Per
capire l'entrata nell'epoca del post-umano", p. 41 ^ Per il titolo del suo
album Dieci stratagemmi, Franco Battiato si è ispirato a I 36 stratagemmi di
Gianluca Magi. Il sottotitolo dell'album "Attraversare il mare per
ingannare il cielo" è il primo stratagemma dei trentasei che compongono
che il libro. ^ ibs.it ^ Stralcio della quinta puntata (youtube) ^ Modelli
strategici cinesi ed occidentali (youtube) ^ Corriere della Sera 5 agosto 2012
(Edoardo Camurri) ^ wuz.it ^ Panorama.it (Anna Mazzone) ^ wuz.it ^ Panorama.it
(Oriana Allegri) ^ Il Secolo XIX 20 dicembre 2019 (Roberto Onofrio)
"Aprite le porte all'Immaginazione, c'è un mondo oltre la
quotidianità", p. 42 ^ Gianluca Magi, I 64 Enigmi, Sperling & Kupfer,
Milano 2015, p. 61: «Diversi anni fa, in un’intervista, mi chiesero perché sono
vegetariano. La mia risposta fu molto sintetica (e la penso ancora così): Non
mangio animali. Non riesco a digerire l'agonia». ^ La Repubblica 3 maggio 2006
(Michele Serra); Il Riformista 6 aprile 2006 (Luca Mastrantonio); Il Venerdì di
Repubblica 26 maggio 2006 (Brunella Schisa) ^ Il Gioco dell'Eroe, Il Punto
d'Incontro, 2012. Libro/CD con prefazione di Franco Battiato ^ Il Gioco
dell'Eroe - Gianluca Magi ^ Scena del film ove compaiono Gianluca Magi e
Alejandro Jodorowsky (youtube) ^ La Via dell'umorismo, Il Punto d'Incontro,
Vicenza 2008, p. 9 ^ La Stampa 27 giugno 2014 (Il Premio è stato conferito
dalle autorità della Repubblica di San Marino con la motivazione: «Lo scrittore
che ha costruito – attraverso la sua produzione e l'attività della Scuola
Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa di Rimini – ponti di
comunicazione tra le antiche saggezze d'Oriente e d'Occidente, attualizzandone,
in teoria e in pratica, il loro messaggio filosofico, psicologico e spirituale
per l'uomo contemporaneo»). Gli altri premi sono stati conferiti a: Franco
Battiato (Musica), Alejandro Jodorowsky (Teatro), Franco Mussida (Arti visive),
Silvano Agosti (Cinema), Massimo Gramellini (Giornalismo), Gabriele La Porta
(Televisione). Voci correlate Induismo Buddhismo Sufismo Taoismo Alchimia
Tantrismo Psicologia transpersonale Storia della filosofia occidentale Altri
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Magi Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri
file su Gianluca Magi Collegamenti esterni Sito ufficiale di Gianluca Magi (in
cinque lingue) Incognita ◦ Advanced Creativity "Psicologia transpersonale.
Che cos'è?" Video Lectio brevis di Gianluca Magi. Riflessioni di Gianluca
Magi sul Senso della vita su riflessioni.it Controllo di autorità VIAF (EN) 24763761 ·
ISNI (EN) 0000 0000 4048 7037 · LCCN (EN) no99076391 · BNF (FR) cb135369271
(data) · WorldCat Identities (EN) lccn-no99076391 Biografie Portale Biografie
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Categorie: Storici delle religioni italianiOrientalisti italianiFilosofi
italiani del XXI secoloNati nel 1970Nati il 18 novembreNati a Pesaro[altre]
magnani – essential
Italian philosopher, not to be confussed with Tenessee Williams’s favourite
actress, Anna Magnani --. Lorenzo Magnani (Sannazzaro de' Burgondi, 14 luglio 1952) è un
filosofo italiano. Lorenzo Magnani.jpg È professore ordinario di
Filosofia della scienza[1] presso la Sezione di Filosofia del Dipartimento di
Studi Umanistici dell'Università di Pavia, dove dirige il Computational
Philosophy Laboratory.[2] Dedicatosi allo studio della storia e della
filosofia della geometria fin dagli studi universitari, i suoi interessi si
sono poi rivolti all'analisi della tradizione neopositivista e postpositivista.
Si è poi dedicato al tema della scoperta scientifica e del ragionamento
creativo: soggiorni in USA presso la Carnegie Mellon University (1992) prima e
poi presso la McGill University (1992, 1993) hanno favorito l'approfondimento
di alcune tematiche riguardanti il ragionamento diagnostico in medicina in
collegamento con il problema dell'abduzione, presto diventato fondamentale
nella sua ricerca. A partire dal 1993, inizialmente in collaborazione con Nancy
J. Nersessian e Paul Thagard, e grazie a soggiorni ed attività di insegnamento
presso il Georgia Institute of Technology (1993, 1995, 1998-2001) di Atlanta e
la University of Waterloo in Canada (1993) la sua attenzione si è anche
indirizzata verso il cosiddetto model-based reasoning. Con Nancy J. Nersessain
e Paul Thagard è stato fondatore coorganizzatore, a partire dal 1998, di una
serie di conferenze sul Model-Based Reasoning (MBR)[3]. L'attività di Weissman
Distinguished visiting professor presso il Baruch College della City University
of New York ha favorito l'attenzione per i problemi di filosofia della
tecnologia e di etica, recentemente rivolti anche al tema trascurato in
filosofia dell'analisi della violenza. I suoi interessi di ricerca
includono dunque la filosofia della scienza, la logica, le scienze cognitive,
l'intelligenza artificiale e la filosofia della medicina, nonché i rapporti fra
etica e tecnologia e tra etica e violenza. Ha contribuito a diffondere a
livello internazionale il problema dell'abduzione con il suo primo libro sul
tema dal titolo Abduction in Reason and Science. La sua ricerca
storico-scientifica ha riguardato principalmente la geometria e la filosofia
della geometria del XIX e XX secolo. È stato (2006-2012) visiting professor
presso la Sun Yat-sen University in Cina[4]. Ha diretto e dirige vari programmi
di ricerca accademici internazionali in collaboratione con USA, EU, e Cina.
L'Università Ştefan cel Mare di Suceava, Romania ha conferito a Lorenzo Magnani
la Laurea honoris causa[5] Lorenzo Magnani dirige la Collana di Libri SAPERE -
Studies in Applied Philosophy, Epistemology and Rational Ethics, Springer
Science+Business Media.[6]. Citazioni e giudizi critici sul suo lavoro sono
riportati dalla Stanford Enciclopedia of Philosophy alle voci: Models in
Science, Scientific Discovery, Information Technology and Moral Values. Nel
2015 è stato nominato membro della International Academy for the Philosophy of
the Sciences (AIPS)[7]. Opere (elenco parziale) In italiano Conoscenza
come dovere. Moralità distribuita in un mondo tecnologico (2006) Filosofia
della violenza (2012) Rispetta gli altri come cose (2013); In inglese Abduction,
Reason, and Science. Processes of Discovery and Explanation (Kluwer
Academic/Plenum Publishers, New York, 2001). Edizione cinese [意] 洛伦佐•玛格纳尼 / 著;李大超,任远 / 译,《溯因、理由与科学——发现和解释的过程》,中国广州:广东人民出版社2006年,
2006;[8]; Philosophy and Geometry. Theoretical and Historical Issues (Kluwer,
Dordrecht, 2001);[9] Morality in a Technological World. Knowledge as a Duty
(Cambridge University Press, Cambridge, 2007) sviluppa una teoria filosofica
dei rapporti fra tecnologia ed etica in una prospettiva naturalistica e
cognitiva.[10] Abductive Cognition. The Epistemological and Eco-Cognitive
Dimensions of Hypothetical Reasoning (Springer Science+Business Media,
Heidelberg/Berlin, 2009);[11] Understanding Violence. The Intertwining of
Morality, Religion, and Violence: A Philosophical Stance (Springer
Science+Business Media, Heidelberg/Berlin, 2011).[12] The Abductive Structure
of Scientific Creativity. An Essay on the Ecology of Cognition (Springer
Science+Business Media, Cham, Switzerland, 2017).[13] Libri collettivi, numeri
speciali di riviste e libri in cinese Ha curato libri in cinese[14], atti di
convegni, libri collettivi e numerosi numeri speciali di riviste accademiche
internazionali. In collaborazione con T. Bertolotti ha curato il volume
Handbook of Model-Based Science presso l'editore Springer, Switzerland,
2017.[15] Note ^ Web Page del Dipartimento di Studi Umanistici ^
Computational Philosophy Laboratory Web Site ^ [Cfr. le varie pagine dedicate a
questi convegni in http://www-3.unipv.it/webphilos_lab/cpl/index.php Computational
Philosophy Laboratory], Dipartimento di Studi Umanistici, Sezione di Filosofia,
Università di Pavia, Pavia (Italia)] ^ Sun Yat-sen Award 2010 ^ Cerimonia ^
Book Series SAPERE Web Page ^ Copia archiviata, su lesacademies.org. URL
consultato il 25 settembre 2015 (archiviato dall'url originale il 26 settembre
2015). ^ [1]; Edizione cinese: [2] ^ Philosophy and Geometry ^ Morality in a
Technological World - Academic and Professional Books - Cambridge University
Press ^ Abductive Cognition ^ Understanding Violence ^ The Abductive Structure
of Scientific Creativity ^ Author Web Page ^ Handbook of Model-Based Science
Collegamenti esterni Lorenzo Magnani: Logica e possibilità, su RAI Filosofia,
su filosofia.rai.it. Lorenzo Magnani: Filosofia della violenza, su RAI
Filosofia, su filosofia.rai.it. Controllo di autorità VIAF (EN) 76389740 · ISNI
(EN) 0000 0000 8156 3980 · SBN IT\ICCU\CFIV\109141 · LCCN (EN) n85811995 · BNF
(FR) cb12340770w (data) · WorldCat Identities (EN) lccn-n85811995 Biografie
Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del
XXI secoloNati nel 1952Nati il 14 luglioNati a Sannazzaro de' BurgondiStudenti
dell'Università degli Studi di Pavia[altre]. Refs. Luigi Speranza,
"Grice e Magnani," per il Club Anglo-Italiano -- The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
magnitude, extent or size of a thing with
respect to some attribute; technically, a quantity or dimension. A quantity is
an attribute that admits of several or an infinite number of degrees, in
contrast to a quality (e.g., triangularity), which an object either has or does
not have. Measurement is assignment of numbers to objects in such a way that
these numbers correspond to the degree or amount of some quantity possessed by
their objects. The theory of measurement investigates the conditions for, and
uniqueness of, such numerical assignments. Let D be a domain of objects (e.g.,
a set of physical bodies) and L be a relation on this domain; i.e., Lab may
mean that if a and b are put on opposite pans of a balance, the pan with a does
not rest lower than the other pan. Let ; be the operation of weighing two
objects together in the same pan of a balance. We then have an empirical
relational system E % ‹ D, L, ; (. One can prove that, if E satisfies specified
conditions, then there exists a measurement function mapping D to a set Num of
real numbers, in such a way that the L and ; relations between objects in D
correspond to the m and ! relations between their numerical values. Such an
existence theorem for a measurement function from an empirical relational
system E to a numerical relational system, N % ‹ Num, m ! (, is called a
representation theorem. Measurement functions are not unique, but a uniqueness
theorem characterizes all such functions for a specified kind of empirical
relational system and specified type of numerical image. For example, suppose
that for any measurement functions f, g for E there exists real number a ( 0
such that for any x in D, f(x) % ag(x). Then it is said that the measurement is
on a ratio scale, and the function s(x) % ax, for x in the real numbers, is the
scale transformation. For some empirical systems, one can prove that any two
measurement functions are related by f % ag ! b, where a ( 0 and b are real
numbers. Then the measurement is on an interval scale, with the scale
transformation s(x) % ax ! b; e.g., measurement of temperature without an
absolute zero is on an interval scale. In addition to ratio and interval
scales, other scale types are defined in terms of various scale
transformations; many relational systems have been mathematically analyzed for
possible applications in the behavioral sciences. Measurement with weak scale
types may provide only an ordering of the objects, so quantitative measurement
and comparative orderings can be treated by the same general methods. The older
literature on measurement often distinguishes extensive from intensive
magnitudes. In the former case, there is supposed to be an empirical operation
(like ; above) that in some sense directly corresponds to addition on numbers.
An intensive magnitude supposedly has no such empirical operation. It is
sometimes claimed that genuine quantities must be extensive, whereas an
intensive magnitude is a quality. This extensive versus intensive distinction
(and its use in distinguishing quantities from qualities) is imprecise and has
been supplanted by the theory of scale types sketched above.
mansel: philosopher,
a prominent defender of Scottish common sense philosophy. Mansel was the
Waynflete professor of metaphysical philosophy and ecclesiastical history at
Oxford, and the dean of St. Paul’s. Much of his philosophy was derived from
Kant as interpreted by Hamilton. In “Prolegomena Logica,” Mansel defines logic
as the science of the laws of thought, while in “Metaphysics,” he argues that
human faculties are not suited to know the ultimate nature of things. He drew
the religious implications of these views in his most influential work, The
Limits of Religious Thought, by arguing that God is rationally inconceivable
and that the only available conception of God is an analogical one derived from
revelation. From this he concluded that religious dogma is immune from rational
criticism. In the ensuing controversy Mansel was criticized by Spenser, Thomas
Henry Huxley, and J. S. Mill.
PLURI-VALUED/UNI-VALUE LOGIC -- many-valued
logic, a logic that rejects the principle of bivalence: every proposition is
true or false. However, there are two forms of rejection: the truth-functional
mode (many-valued logic proper), where propositions may take many values beyond
simple truth and falsity, values functionally determined by the values of their
components; and the truth-value gap mode, in which the only values are truth
and falsity, but propositions may have neither. What value they do or do not
have is not determined by the values or lack of values of their constituents.
Many-valued logic has its origins in the work of Lukasiewicz and
(independently) Post around 1920, in the first development of truth tables and
semantic methods. Lukasiewicz’s philosophical motivation for his three-valued
calculus was to deal with propositions whose truth-value was open or “possible”
– e.g., propositions about the future. He proposed they might take a third
value. Let 1 represent truth, 0 falsity, and the third value be, say, ½. We
take Ý (not) and P (implication) as primitive, letting v(ÝA) % 1 † v(A) and v(A
P B) % min(1,1 † v(A)!v(B)). These valuations may be displayed: Lukasiewicz
generalized the idea in 1922, to allow first any finite number of values, and
finally infinitely, even continuum-many values (between 0 and 1). One can then
no longer represent the functionality by a matrix; however, the formulas given
above can still be applied. Wajsberg axiomatized Lukasiewicz’s calculus in
1931. In 1953 Lukasiewicz published a four-valued extensional modal logic. In
1921, Post presented an m-valued calculus, with values 0 (truth), . . . , m † 1
(falsity), and matrices defined on Ý and v (or): v(ÝA) % 1 ! v(A) (modulo m)
and v(AvB) % min (v(A),v(B)). Translating this for comparison into the same
framework as above, we obtain the matrices (with 1 for truth and 0 for
falsity): The strange cyclic character of Ý makes Post’s system difficult to
interpret – though he did give one in terms of sequences of classical
propositions. A different motivation led to a system with three values
developed by Bochvar in 1939, namely, to find a solution to the logical
paradoxes. (Lukasiewicz had noted that his three-valued system was free of
antinomies.) The third value is indeterminate (so arguably Bochvar’s system is
actually one of gaps), and any combination of values one of which is
indeterminate is indeterminate; otherwise, on the determinate values, the
matrices are classical. Thus we obtain for Ý and P, using 1, ½, and 0 as above:
In order to develop a logic of many values, one needs to characterize the
notion of a thesis, or logical truth. The standard way to do this in manyvalued
logic is to separate the values into designated and undesignated. Effectively,
this is to reintroduce bivalence, now in the form: Every proposition is either
designated or undesignated. Thus in Lukasiewicz’s scheme, 1 (truth) is the only
designated value; in Post’s, any initial segment 0, . . . , n † 1, where n‹m (0
as truth). In general, one can think of the various designated values as types
of truth, or ways a proposition may be true, and the undesignated ones as ways
it can be false. Then a proposition is a thesis if and only if it takes only
designated values. For example, p P p is, but p 7 Ýp is not, a Lukasiewicz
thesis. However, certain matrices may generate no logical truths by this
method, e.g., the Bochvar matrices give ½ for every formula any of whose
variables is indeterminate. If both 1 and ½ were designated, all theses of
classical logic would be theses; if only 1, no theses result. So the
distinction from classical logic is lost. Bochvar’s solution was to add an
external assertion and negation. But this in turn runs the risk of undercutting
the whole philosophical motivation, if the external negation is used in a
Russell-type paradox. One alternative is to concentrate on consequence: A is a
consequence of a set of formulas X if for every assignment of values either no
member of X is designated or A is. Bochvar’s consequence relation (with only 1
designated) results from restricting classical consequence so that every
variable in A occurs in some member of X. There is little technical difficulty
in extending many-valued logic to the logic of predicates and quantifiers. For
example, in Lukasiewicz’s logic, v(E xA) % min {v(A(a/x)): a 1. D}, where D is,
say, some set of constants whose assignments exhaust the domain. This
interprets the universal quantifier as an “infinite” conjunction. In 1965,
Zadeh introduced the idea of fuzzy sets, whose membership relation allows
indeterminacies: it is a function into the unit interval [0,1], where 1 means
definitely in, 0 definitely out. One philosophical application is to the
sorites paradox, that of the heap. Instead of insisting that there be a sharp
cutoff in number of grains between a heap and a non-heap, or between red and,
say, yellow, one can introduce a spectrum of indeterminacy, as definite
applications of a concept shade off into less clear ones. Nonetheless, many have
found the idea of assigning further definite values, beyond truth and falsity,
unintuitive, and have instead looked to develop a scheme that encompasses
truthvalue gaps. One application of this idea is found in Kleene’s strong and
weak matrices of 1938. Kleene’s motivation was to develop a logic of partial
functions. For certain arguments, these give no definite value; but the
function may later be extended so that in such cases a definite value is given.
Kleene’s constraint, therefore, was that the matrices be regular: no
combination is given a definite value that might later be changed; moreover, on
the definite values the matrices must be classical. The weak matrices are as
for Bochvar. The strong matrices yield (1 for truth, 0 for falsity, and u for indeterminacy):
An alternative approach to truth-value gaps was presented by Bas van Fraassen
in the 1960s. Suppose v(A) is undefined if v(B) is undefined for any subformula
B of A. Let a classical extension of a truth-value assignment v be any
assignment that matches v on 0 and 1 and assigns either 0 or 1 whenever v
assigns no value. Then we can define a supervaluation w over v: w(A) % 1 if the
value of A on all classical extensions of v is 1, 0 if it is 0 and undefined
otherwise. A is valid if w(A) % 1 for all supervaluations w (over arbitrary
valuations). By this method, excluded middle, e.g., comes out valid, since it
takes 1 in all classical extensions of any partial valuation. Van Fraassen
presented several applications of the supervaluation technique. One is to free
logic, logic in which empty terms are admitted. .
Magni -- Valeriano Magni Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Valeriano Magni Valeriano Magni, soprannominato il Monaco lungo (Milano, 15
ottobre 1587[1] – Salisburgo, 29 luglio 1661[1]), è stato un religioso,
diplomatico e filosofo italiano. Appartenente all'ordine dei frati cappuccini,
fu missionario apostolico in Europa centrale. Indice 1 Biografia 2 Opere 3 Opere
scelte 4 Note
5 Bibliografia
6 Fonti
7 Altri
progetti 8 Collegamenti
esterni Biografia Discendente da una famiglia aristocratica milanese, Valeriano
Magni nacque a Milano il 15 ottobre 1586 dal conte Costantino Magni e da
Ottavia Carcassola. Nel 1588, la famiglia si trasferì a Praga, dove, nel 1598
nacque suo fratello Francesco. Entrò nei cappuccini della provincia boema
nel 1602 a Praga prendendo il nome di Valeriano da Milano. Dopo l'ordinazione,
divenne un famoso predicatore e professore di filosofia entrando, grazie al suo
insegnamento, nelle grazie dell'imperatore. Presto fu eletto Provinciale della
Provincia austro-boema dell'ordine e divenne apprezzato consigliere
dell'imperatore e di altri principi europei. Nel 1616 il re di Polonia
Sigismondo III gli affidò la missione cappuccina nel suo paese. Nel 1621
l'imperatore Ferdinando II lo inviò in missione diplomatica in Francia. Tra il
1622 e il 1623 fu uno dei consiglieri del duca Massimiliano I di Baviera. Dopo
la battaglia della Montagna Bianca, sostenne l'arcivescovo di Praga Ernesto Adalberto
d'Harrach nella ricattolicizzazione della popolazione e nelle riforme
diocesane. Nel 1630 prese parte in nome dell'imperatore ai negoziati con il
cardinale Richelieu sulla successione ereditaria al trono di Mantova. Nel 1635
divenne consulente teologico nei negoziati per la pace di Praga e dal 1645 fu
missionario apostolico per l'elettorato di Sassonia, Assia, Brandeburgo e
Danzica. Nel luglio del 1647 riprodusse a Varsavia di fronte al re e alla corte
l'esperimento di Torricelli usando un tubo riempito di mercurio per produrre il
vuoto.[2] Nel 1652 riuscì a convertire il conte Ernesto d'Assia-Rheinfels
e sua moglie. Dopo che l'Università di Praga venne affidata ai Gesuiti
nel 1623, entrò in contrasto con i gesuiti, che lo fecero arrestare a Vienna nel
1655. Fu rilasciato dalla prigione per intervento dell'Imperatore e tornò a
Salisburgo, dove morì quello stesso anno. Opere Frutto della sua polemica
con i protestanti è l'opera De acatholicorum credendi regula judicium
(1628/31), in cui sosteneva che senza l'autorità della Chiesa, la Bibbia da
sola non era sufficiente come regola di fede per i cristiani. Trattò lo stesso
argomento nel libro Judicium de acatholicorum et catholicorum regula credendi
(1641), le cui debolezze argomentative scatenarono la controffensiva dei
protestanti. Negli scritti filosofici e nella sua attività di insegnamento,
Magni si occupò di metodologia, logica, epistemologia, cosmologia, metafisica,
matematica e scienze naturali. Rifiutò i principi aristotelico-scolastici,
ispirandosi alle dottrine di Platone, Agostino e Bonaventura.[3] Opere
scelte Apologia contra imposturas Jesuitarum, 1661. Christiana et catholica
defensio adversus Societatem Jesu, 1661. Opus philosophicum, 1660 Commentarius
de homine infami personato sub titulis Iocosi Severi Medii, 1654. Concussio
fundamentorum ecclesiae catholicae, iactata ab Herm. Conringi ..., 1654.
Conringiana concussio Sanctissimi in Christo papae catholici retorta ..., 1654.
Echo Absurditatum Ulrici de Neufeld Blesa, 1646. Epistola ... de responsione H.
Conringii, 1654. Epistola Valeriani Magni Fratris Capucini ..., 1654. Epistola
de quaestione utrum Primatus Rom. Pontificis ..., 1653. Principia et specimen
philosophiae, 1652. Acta disputationis habitae Rheinfelsae apud S. Goarem,
1652. Organum theologicum, 1643. Methodus convincendi et revocandi haereticos,
1643. De luce mentium, 1642. Judicium de catholicorum ei acatholicorum regula
credendi, 1628, 1641. De atheismo Aristotelis ad Mersennum, 1647. (LA)
Valeriano Magni, Demonstratio ocularis, loci sine locato: corporis successiuè
moti in vacuo..., Bononiae, typis haeredis Victorij Benatij, 1648. URL
consultato il 19 giugno 2015. Note Vedi la voce nella Enciclopedia
Italiana, riferimenti in Collegamenti esterni. ^ David Wootton, The Invention
of Science: A New History of the Scientific Revolution, Penguin UK, 2015. ^
Eugenio Garin, History of Italian Philosophy, vol. 1, Rodopi, 2008, p. 652.
Bibliografia (DE) Franz Heinrich Reusch, Magnus, Valerianus, in Allgemeine
Deutsche Biographie, vol. 20, Lipsia, Duncker & Humblot, 1884, p. 92–94. J.
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bibliographia, Romae, 1989. J. Cygan, Opera Valeriani Magni velut manuscripta
tradita aut typis impressa, «Collectanea Franciscana», 1972 (XLII), pp.
119–178, 309-352. G. Abgottspon Von Staldenried, P. Valerianus Magni Kapuciner
(1586-1661). Sein Leben im allgemeinen, seine apostolische Tätigkeit in Böhmen
im besonderen. Ein Beitrag zur Geschichte der katholischen Restauration im 17.
Jahrhundert, Olten-Freiburg/Br.1939). Stanislav Sousedik, Valerián Magni.
1586-1661. Kapitola z kulturních dějin Čech 17. století, Praha, 1983. (DE)
Heinz Haushofer, Valerian Magni, in Neue Deutsche Biographie, vol. 15, Berlino,
Duncker & Humblot, 1987, ISBN 3-428-00196-6, p. 659-661 (online).
Alessandro Catalano, La Boemia e la riconquista delle coscienze. Ernst Adalbert
von Harrach e la Controriforma in Europa centrale (1620-1667), premessa di
Adriano Prosperi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2005, ISBN
88-8498-255-3. Massimo Bucciantini, «La discussione sul vuoto in Italia: il
caso di Valeriano Magni», in: Discussioni sul nulla tra Medioevo ed Età
moderna, a cura di Massimiliano Lenzi e Alfonso Maierù, Firenze, Leo S.
Olschki, 2009, 300-301. Alfredo Di Napoli, Valeriano Magni da Milano e la
riforma ecclesiastica in Boemia attraverso la corrispondenza della
Congregazione de Propaganda Fide (1626-1651), Centro Studi Cappuccini Lombardi
- Nuova serie 2, Edizioni Biblioteca Francescana, Milano 2015. ISBN 978-88-7962-237-0
Fonti Biographisch-Bibliographisches Kirchenlexikon, su bautz.de. Relatio
veridica de pio obitu R.P. Valeriani Magni, Lione 1662; Ludwig von Pastor,
Storia dei papi, XIII, trad. it., Roma 1931; Mittheilungen des Vereins für
Geschichte der Deutschen in Böhmen, XLVII, p. 248; Augustin Maria Ilg, Geist
des heiligen Franziskus Seraphikus: dargestellt in Lebensbildern aus der
Geschichte des Kapuziner-Ordens, Augusta 1876. Altri progetti Collabora a
Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Valeriano
Magni Collegamenti esterni Valeriano Magni, su Treccani.it – Enciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Heinrich
Kretschmayr, Valeriano Magni, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Valeriano Magni, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Valeriano Magni, su Open
Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Michael Bihl, Valeriano
Magni, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata
(EN) Valeriano Magni, in Galileo Project, Rice University. Valeriano Magni
(1586 - 1661), su imss.fi.it. (FR) Louis Mayeul Chaudon, Magni, (Valerien), in
Nouveau dictionnaire historique, vol. 5, Paris, G. Leroy, 1789, pp. 479-480. V
· D · M Francescanesimo Controllo di autorità VIAF
(EN) 17306939 · ISNI (EN) 0000 0001 1600 4872 · LCCN (EN) n83217744 · GND (DE)
118576151 · BNF (FR) cb12394481q (data) · BNE (ES) XX1230546 (data) · BAV (EN)
495/98941 · CERL cnp01341127 · WorldCat Identities (EN) lccn-n83217744
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Religiosi italianiDiplomatici italianiFilosofi italiani del XVII secoloNati nel
1587Morti nel 1661Nati il 15 ottobreMorti il 29 luglioNati a MilanoMorti a
Salisburgo[altre]
Mainardini -- mainardini –
marsilio di padova -- Marsilius of Padua, in Italian, Marsilio dei Mainardini
(1275/80–1342), Italian political theorist. He served as rector of the
University of Paris between 1312 and 1313; his anti-papal views forced him to
flee Paris (1326) for Nuremberg, where he was political and ecclesiastic
adviser of Louis of Bavaria. His major work, Defensor pacis (“Defender of
Peace,” 1324), attacks the doctrine of the supremacy of the pope and argues
that the authority of a secular ruler elected to represent the people is
superior to the authority of the papacy and priesthood in both temporal and
spiritual affairs. Three basic claims of Marsilius’s theory are that reason,
not instinct or God, allows us to know what is just and conduces to the
flourishing of human society; that governments need to enforce obedience to the
laws by coercive measures; and that political power ultimately resides in the
people. He was influenced by Aristotle’s ideal of the state as necessary to
foster human flourishing. His thought is regarded as a major step in the
history of political philosophy and one of the first defenses of republicanism.
-- marsilio: essential Italian philosopher. Refs.: Luigi
Speranza, "Grice e Marsilio," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Maistre -- Joseph de Maistre
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scrittore e militare sabaudo (1763 – 1852), vedi Xavier de Maistre Joseph
de Maistre Joseph-Marie de Maistre (1753 – 1821), conte, magistrato,
diplomatico, filosofo, scrittore, politico e giurista italiano.
Indice 1 Citazioni
di Joseph de Maistre 2 Le
serate di San Pietroburgo 3 Saggio
sul principio generatore delle costituzioni e delle altre istituzioni umane 4 Citazioni su Joseph de
Maistre 5 Bibliografia
6 Altri
progetti Citazioni di Joseph de Maistre Bisogna predicare senza sosta ai popoli
i benefici dell'autorità, e ai re i benefici della libertà. (da Memoires
politiques et correspondance diplomatique) Il faut prêcher sans cesse aux peuples
les bienfaits de l'autorité, et aux rois les bienfaits de la liberté. Credi
forse che sarei stato maggiormente grato a tua madre se, anziché farmi te e tuo
fratello, avesse scritto un bellissimo romanzo? (da una lettera alla figlia;
citato nella Prefazione di Alfredo Cattabiani a J. De Maistre, Le Serate di San
Pietroburgo, Rusconi Editore) La donna non può essere superiore che come donna,
ma dal momento in cui vuole emulare l'uomo, non è che una scimmia. (da una
lettera alla figlia; citato in Julius Evola, Ricognizioni. Uomini e problemi,
Edizioni Mediterranee, Roma, 1985 (1974), p. 188) Le false opinioni somigliano
alle monete false: coniate da qualche malvivente e poi spese da persone oneste,
che perpetuano il crimine senza saperlo. (da Correspondance inédite: Lettre à
M. l'Amiral Tchitchagof; in Œuvres complètes) Non sono gli uomini che guidano
la rivoluzione, è la rivoluzione che guida gli uomini. (da Considération sur la
France) Ogni popolo ha il governo che si merita. Toute nation a le gouvernement
qu'elle mérite. (da Correspondance diplomatique) Qualsiasi autorità, ma
soprattutto quella della Chiesa, deve opporsi alle novità senza lasciarsi
spaventare dal pericolo di ritardare la scoperta di qualche verità,
inconveniente passeggero e vantaggio del tutto inesistente, paragonato al danno
di scuotere le istituzioni e le opinioni correnti. (da Exame de la philosophie
de Bacon) Senza il potere temporale de' Papi il mondo politico non poteva
camminare, e quanto più siffatto potere sarà attivo, meno guerre vi saranno,
giacch'egli è il cui visibile interesse non altro domanda che pace. (da Del
papa, Dalla tipografia di Porcelli, seconda versione italiana, Napoli, 1823,
libro III, p. 94) [Giudizio sui Sardi quale responsabile della cancelleria
sabauda] Sono più selvaggi dei selvaggi perché il selvaggio non conosce la
luce, il sardo la odia... Razza refrattaria a tutti i sentimenti, a tutti i
gusti e a tutti i talenti che onorano l'umanità. Le serate di San Pietroburgo
Ad un tal banchetto [eucaristia] gli uomini tutti diventan UNO, satollandosi di
un cibo che è uno, e tutto in tutti. All'intendimento di rendere quanto si
poteva ad un certo grado sensibile questa trasformazione nella unità, si
compiacquero gli antichi Padri di desumere le loro comparazioni dalla spiga, e
dal grappolo, i quali sono i materiali del mistero. Poiché in quella guisa
stessa che molti grani di frumento, o di uva non altro formano che un pane, ed
una bevanda, così quel pane e quel vino mistici che alla sacra mensa ci vengono
somministrati, distruggono l'Io, e ci attraggono nella inconcepibile loro
unità. (1827, II, p. 153) Dove esiste un altare là esiste anche una religione.
[Sul boia] È un uomo? Sì: Dio lo accoglie nei suoi templi e gli permette di
pregare. Non è un criminale; tuttavia nessuna lingua accetta di affermare, per
esempio, che sia un uomo virtuoso, un onesto, che sia degno di stima, ecc.
Nessun elogio morale gli può essere tributato, perché ogni elogio morale
presuppone un rapporto con gli uomini, mentre egli non ne ha alcuno. E tuttavia
ogni grandezza, ogni potere, ogni subordinazione dipendono dal boia: egli è
l'orrore e il legame dell'associazione umana. Togliete dal mondo questo agente
incomprensibile, e nello stesso istante l'ordine lascia il posto al caos, i
troni si inabissano e la società scompare. Dio, autore della sovranità, lo è
pure del castigo; fra questi due poli ha gettato la nostra terra: "ché
Jehova è il padrone dei cardini della terra, e su di essi fa girare il
mondo". Gli uomini quindi non soltanto hanno cominciato con la scienza, ma
con una scienza diversa dalla nostra e ad essa superiore, perché partiva da un
punto più alto, il che la rendeva anche molto pericolosa. E questo vi spiega
come mai la scienza, al suo inizio, fu sempre misteriosa e restò chiusa nell'ambito
dei templi, dove infine si spense quando questa fiamma non poté servire ad
altro che a bruciare. I simboli greci di Nicea e di Costantinopoli, e quello di
sant'Atanasio, non contengono essi forse la mia fede? Io sono della Religione
di san Ignazio, di san Giustino, di sant'Atanasio, di san Gregorio Nisseno, di
san Cirillo, di san Basilio, di san Gregorio Nazianzeno , di san Epifanio, di
tutti quei Santi insomma che sono sui vostri altari e dei quali portate i nomi,
e segnatamente di san Giovanni Crisostomo, di cui avete conservata la liturgia.
Io ammetto quanto quei grandi e santi personaggi hanno ammesso; mi rammarico di
quanto si son essi rammaricati; accolgo inoltre come Vangelo, tutti i concili
ecumenici convocati nella Grecia asiatica, o nella Grecia europea. Vi domando
ora, si può essere più greco? (1827, I, p. 207) In ogni grande divisione della
specie umana, la morte ha scelto un certo numero d'animali a cui essa commise
di divorare gli altri; così vi sono degl'insetti da preda, dei rettili da
preda, dei pesci da preda, degli uccelli da preda, e dei quadrupedi da preda.
Non vi ha un istante della di lui durata, in cui l'essere vivente non venga
divorato da un altro. Superiormente alle numerose razze d'animali è collocato
l'uomo, la cui mano struggitrice nulla risparmia di ciò che vive; esso uccide
per nutrirsi, uccide per vestirsi, uccide per ornarsi, uccide per difendersi,
uccide per solazzarsi, uccide per uccidere. L'ammirazione sfrenata con cui
troppe persone circondano Voltaire è il segno infallibile d'un animo corrotto.
Che non ci s'illuda: se qualcuno, percorrendo la propria biblioteca, si sente
attratto verso le Œuvres de Ferney, Dio non lo ama affatto. Spesso ci si è
presi gioco dell'autorità ecclesiastica che condanna i libri in
odium auctoris; in verità niente è più giusto di ciò: rifiutate gli onori a
colui che abusa del suo genio. Se questa legge fosse severamente osservata, si
vedrebbero rapidamente sparire i libri avvelenati; ma poiché non dipende da noi
promulgarla, guardiamoci almeno dal piombare nell'eccesso ben più reprensibile
dell'esaltare senza misura scrittori colpevoli, e, tra questi, soprattutto
Voltaire. Egli ha pronunciato contro se stesso, senza accorgersene, una
sentenza terribile, affermando che uno spirito corrotto non fu mai sublime. Non
c'è nulla di più vero, giacché Voltaire, con i suoi cento volumi, non fu mai
più che spiritoso; faccio eccezione delle tragedie, dove la natura dell'opera
lo costrinse ad esprimere dei nobili sentimenti estranei al suo carattere; ma anche
sul palco, su cui trionfa, egli non riesce ad ingannare gli spettatori più
sagaci. Nei suoi pezzi migliori, egli rassomiglia ai suoi due grandi rivali,
come il più abile ipocrita rassomiglia ad un santo. (Les Soirées de
Saint-Pétersbourg, in Œuvres complètes, Lyon, 18913, tomo IV, pp. 206-210). La
spada della giustizia non ha fodero. Le glaive de la justice n'a point de
fourreau. (da Les soirées de Saint-Pétersbourg, Paris, 1821, p. 42) La vera
religione ha più che diciotto secoli di vita; essa nacque il giorno in cui
nacquero i giorni. [...] quando gli uomini, che sempre pregarono in virtù di
una religione rivelata [...], si sono avvicinati al deismo, che non è nulla e
non può nulla, hanno smesso a poco a poco di pregare; e ora li vedete curvi
sulla terra, intenti unicamente a leggi e studi fisici, avendo perduto anche il
minimo sentimento della loro dignità naturale. La disgrazia di questi uomini è
tale che essi non possono nemmeno più desiderare la propria rigenerazione, non
solo per la ben nota ragione che «non si può desiderare ciò che non si
conosce», ma perché trovano nel loro abbrutimento non so quale terribile
fascino che è un castigo spaventoso. (2014, p. 169) Se non esistesse alcun male
morale sulla terra, non ci sarebbe, di conseguenza, alcun male fisico. Tutti i
dolori sono punizioni, e ogni punizione è inflitta in eguale misura per amore e
per giustizia. Saggio sul principio generatore delle costituzioni e delle altre
istituzioni umane Uno dei grandi errori di un secolo che li professò tutti [il
1700], fu di credere che una costituzione politica potesse essere scritta e
creata a priori, mentre ragione ed esperienza si uniscono per dimostrare che
una costituzione è un'opera divina e che proprio ciò che vi è di più
fondamentale e di più essenzialmente costituzionale nelle leggi di una nazione
non potrebbe mai essere scritto. Si è spesso creduto di fare dello spirito di
ottima lega domandando ai francesi in che libro fosse scritta la legge salica;
ma Jéróme Bignon rispondeva molto a tono, e forse senza neanche immaginare fino
a che punto avesse ragione, che essa era scritta nei cuori dei francesi.
L'uomo, poiché agisce, crede di agire da solo; e poiché ha la coscienza della
sua libertà, dimentica la sua dipendenza. Nell'ordine fisico intende ragione, e
sebbene possa, per esempio, piantare una ghianda, innaffiarla, ecc., è capace
tuttavia di convenire che non è lui a fare le querce, poiché vede l'albero
crescere e perfezionarsi senza che il potere umano vi abbia parte e poiché,
d'altra parte, non è stato lui a fare la ghianda; ma nell'ordine sociale, in
cui è presente e operante, si mette a credere di essere realmente l'autore
diretto di tutto ciò che si fa per suo mezzo: in un certo senso, è la cazzuola
che si crede architetto. Locke ha cercato il carattere della legge
nell'espressione delle volontà riunite; bisogna proprio essere fortunati, per
trovare cosi il carattere che esclude precisamente l'idea di legge. Se c'è
qualcosa di universalmente noto è il paragone di Cicerone a proposito del
sistema di Epicuro, che voleva costruire un mondo con gli atomi che cadono a
caso nel vuoto. Crederei più facilmente – diceva il grande oratore – che un
pugno di lettere, gettate in aria, cadendo possano disporsi in modo da formare
un poema. Migliaia di bocche hanno ripetuto e celebrato questo pensiero, ma non
vedo tuttavia nessuno che abbia pensato a dargli il compimento che gli manca.
Supponiamo che un pugno di caratteri tipografici, gettati a piene mani
dall'alto di una torre, vengano a formare, caduti al suolo, l'Athalie di
Racine. Che ne risulterà? Che un'intelligenza ha presieduto alla caduta e alla
disposizione dei caratteri. Il buon senso non concluderà mai diversamente. Se
l'educazione non è restituita ai sacerdoti e se la scienza non è collocata
ovunque al secondo posto, i mali che ci attendono sono incalcolabili; saremo
abbrutiti dalla scienza, ed è l'estremo grado dell'abbrutimento. Quando si
pensa che una detestabile coalizione di ministri perversi, di magistrati in
delirio e di ignobili settari ha potuto, ai nostri giorni distruggere questa
meravigliosa istituzione [i Gesuiti] e farsene un vanto, sembra di vedere quel
folle che metteva trionfalmente il piede su un orologio dicendogli: ti saprò
ben impedire di far rumore. Ma che dico mai? Un folle non è colpevole!
Citazioni su Joseph de Maistre Come dovevano splendere quelle architetture [di
San Pietroburgo] al principio del secolo scorso, quando Joseph de Maistre
descriveva nella prima delle sue Soirées de Saint-Péters-bourg l'incanto d'una
sera estiva sulla Neva. (Mario Praz) Il Conte di Maistre era più veramente un
grande scrittore, un ardito pensatore che un diplomatico. Vi aveva nel suo
spirito e nel suo cuore tale una soprabbondanza di vita, una sì perfetta
tenacità dell'idea che parevagli essere la verità rivelata o dimostrata del
raziocinio, ch'egli portavala in trionfo così alto quanto all'umana debolezza è
permesso. I mezzani provvedimenti dello spirito di parte, gl'indugi
dell'intelletto, le difficoltà di tempo e di luogo, niente faceva ostacolo a questa
vigoria del genio che si stendeva sopra tutti i subbietti che trattava, e che
in ciascuno di essi lasciava una profonda impressione. (Jacques Crétineau-Joly)
Il più grande dei reazionari, Joseph de Maistre, era 'anticapitalista' ben
prima, e con più fondato argomentare, di Franco Fortini. (Roberto Calasso)
Maestro occulto del romanticismo europeo [...] ispiratore dei reazionari e
nello stesso tempo interprete sottile della Tradizione. (Alfredo Cattabiani)
Nella radicale polemica contro le tesi di Rousseau — autore di una sconvolgente
introduzione di errori — de Maistre non risparmia colpi. Dalla convinzione che
il suo avversario rimproverasse ogni giorno il Signore per non averlo fatto
nascere nobile e duca lo bolla aspramente chiamandolo più volte plebeo.
Ispirarsi oggi a Rousseau può non essere culturalmente — per tanti versi —
molto illuminante. Ma nella rigidità del modello di de Maistre proprio non
trovo spunti di approvazione. Né mi sembra entusiasmante quello che scrive
sulla possibilità teorica di uccidere il tiranno, il quale per il resto è
intoccabile totalmente super leges. (Giulio Andreotti) Nella Savoia sono nati i
grandi scrittori francesi, come de Maistre. (Pietro Citati) Bibliografia Joseph
de Maistre, Le serate di Pietroburgo, I, Biblioteca cattolica, Napoli, 1827.
Joseph de Maistre, Le serate di Pietroburgo, II, Biblioteca cattolica, Napoli,
1827. Joseph de Maistre, Le serate di Pietroburgo o Colloqui sul governo
temporale della Provvidenza, a cura di Alfredo Cattabiani, trad. it. Lorenzo
Fenoglio e Anna Rosso, Nino Aragno Editore, Torino, 2014. Altri progetti
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Malfitano -- Giovanni
Malfitano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Giovanni Malfitano (Siracusa, 29 settembre 1872 – Parigi, 6 aprile 1941) è
stato un chimico, microbiologo e filosofo italiano. Indice 1 Biografia 1.1 Nascita
e studi 1.2 L'incarico
a Parigi 1.3 La
teoria delle Complessità Crescenti 1.4 La
Filosofia dei quattro Complessi e la Geometria Superiore 1.5 La malattia e il
decesso 2 Curiosità
3 Note
4 Bibliografia
5 Collegamenti
esterni Biografia Nascita e studi Giovanni Malfitano nacque a Siracusa da
Carmelo, commerciante e navigatore, e Santa Veneziano.[1] Era l'ultimo di sette
fratelli.[1] Dal 1882 al 1890 frequentò il Liceo Classico Tommaso Gargallo,
dove iniziò a nutrire l'interesse per la materie scientifiche.[1] Già da
giovanissimo frequentava assiduamente una nota farmacia del centro storico
della città natale acquisendo notevole interesse per la chimica e la
biologia.[1] Si iscrisse dunque alla facoltà di chimica dell'Università degli
Studi di Catania per frequentare le lezioni del professor Alberto Peratoner.[1]
Malfitano continuò gli studi universitari a Palermo, dove si trasferì nel 1892
al seguito di Peratoner e ottenne la laurea nel 1894 nel capoluogo
siciliano.[1] Nel 1895 decise di abbandonare la Sicilia per spostarsi a
Milano, dove intraprese una breve carriera lavorativa nel campo della chimica
industriale agli stabilimenti Pirelli.[2] Contemporaneamente frequentava la
scuola di microbiologia dell'Università degli Studi di Pavia, retta all'epoca
da Camillo Golgi, futuro Premio Nobel per la medicina nel 1906.[2] Stimolato
dall'ambiente favorevole, Malfitano pubblicò nel 1897 il suo primo scritto:
Comportamento dei microrganismi sotto l'effetto delle compressioni gassose.[2]
Il giovane siracusano iniziava in questo modo a farsi notare da colleghi e
professori, sia per la materia dei suoi studi, sia per il carattere disponibile
e solare, come ricorda in un suo libro Antonio Pensa, celebre anatomista
milanese.[3] L'incarico a Parigi La carriera del giovane Malfitano prese
una svolta definitiva nel 1899, quando, durante un congresso internazionale a
Pavia, venne notato dal futuro successore di Louis Pasteur, Emile Duclaux.[2]
Il siracusano venne dunque invitato a trasferirsi nel 1900 a Parigi, avendo
ricevuto l'offerta di un impiego all'istituto Pasteur.[2] Una volta arrivato
nella capitale francese, Malfitano si dedicò in un primo momento alla
microbiologia, pubblicando come risultati delle sue ricerche: Protease de
l'aspergillus niger (1900), Influence de l'oxygen sur la proteolyse en presence
de Clorophorme (1902) e Bactericidie charbonneuse (1904).[2] Dal 1905, invece,
lo scienziato italiano, decise di ritornare a studiare la chimica pura, campo
d'indagine scientifica che lo rese definitivamente famoso.[2] I suoi studi
sulla chimica colloidale, arrivarono a dimostrare la natura elettrochimica
delle micelle, e riuscì a misurare con notevole precisione la conducibilità
elettrica dei colloidi.[2] In campo pratico, Malfitano mise a punto i
cosiddetti ultrafiltri, necessari per gli studi in campo teorico sui colloidi.[2]
Nel 1908 lo scienziato siracusano divenne capo di un laboratorio chimico
all'Istituto Pasteur, dove mantenne l'incarico fino al 1913.[4] Gli studi
di Giovanni Malfitano si interruppero durante la prima guerra mondiale.[2] Al
termine di essa, lo scienziato sposò Vera, una studentessa di nazionalità
russa.[2] Subito dopo il grande conflitto ebbe inizio l'elaborazione
della più nota dottrina del chimico siracusano, ovvero la teoria delle
complessità crescenti, concetto alla luce del quale Malfitano non indagò solo
le micelle, ma l'esistenza in generale.[5] Nel 1927 pubblicò Complexité et
micelle, e nel 1934 Les composés micellaires selon la notion de complexité
croissant. Le conclusioni di Malfitano non vennero accettate da subito, ma si
dovette attendere l'esperimento del premio Nobel Theodor Svedberg che dimostrò
l'esattezza delle intuizioni di Malfitano.[5] La teoria delle Complessità
Crescenti Malfitano elaborò negli anni Venti una teoria che tentava di spiegare
la materia, attraverso l'esame dei diversi livelli atomici e molecolari che la
caratterizzano strutturalmente.[5] La materia, secondo lo scienziato
siracusano, è suddivisibile in atomi, molecole, plurimolecole (polimeri e
complessi) e micelle.[5] In ognuna delle classi citate si possono distinguere
tre tipi di unità materiali: ioniche, polari e ionopolari.[5] La
Filosofia dei quattro Complessi e la Geometria Superiore L'analisi compiuta
sulla materia venne estesa in campo sociologico da Malfitano, il quale tentò di
ricondurre la complessità socio-antropologica, alla complessità atomica.[6] I
quattro ordini di complessi che costituiscono il mondo sono dunque: i complessi
materiali (livello atomico e molecolare), i complessi biologici (livello
istologico e citologico), complessi sociali (l'essere umano) e al culmine di
un'ipotetica piramide i complessi ideologici (ideazione, conoscenza e
convinzioni).[6] L'ultimo passo della speculazione in campo filosofico di
Malfitano era il concetto di Geometria Superiore, un'armonia equilibrata e simmetrica
che domina gli eventi e la materia, una variabile fondamentale e al tempo
stesso fuggevole dell'esistenza, un concetto che rappresenta la libertà.[6] In
ultima analisi, il compito dello scienziato era dunque quello di comprendere le
leggi dell'armonia ordinatrice del cosmo e di preservarne la bellezza e
l'equilibrio.[6] La malattia e il decesso Lo scienziato siracusano, che
soleva spesso tornare in Sicilia seppur per brevi periodi, dovette rinunciare a
questa abitudine.[5] L'aggravarsi della sua malattia, una cecità che
gradualmente lo privò della vista, e le sue convinzioni antifasciste, non gli
permisero di rivedere il paese natale dalla fine degli anni Trenta.[5]
Giovanni Malfitano morì il 6 aprile 1941 nell'alloggio assegnatogli
dell'Istituto Pasteur dove aveva trascorso gran parte della sua vita.[7]
Curiosità Giovanni Malfitano pubblicava le sue convinzioni filosofiche
servendosi dello pseudonimo "Aporema", termine che indicava
l'impossibilità di ottenere una risposta precisa dallo studio di un problema.[8]
Malfitano introdusse per primo a Siracusa la moda di bere il latte acido,
quello che abitualmente viene chiamato yogurt, come era già frequente nella
capitale francese.[5] Durante una tempesta patita in mare nel dicembre
1855, Carmelo Malfitano aveva fatto voto a Santa Lucia, patrona siracusana, di
sposare un'orfana se fosse riuscito a tornare incolume sulla terraferma.[1]
Carmelo sposò per questo motivo il 16 dicembre del 1855 Santa Veneziano,
sedicenne orfana di entrambi i genitori.[1] Da tale unione nacque
Giovanni.[1] Note AA.VV., Ad Repellendam Pestem Storie di Medici e
Sanità nella terra di Aretusa, Tyche, p. 121. AA.VV., Ad repellendam
Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche, p. 122. ^
Antonio Pensa, Ricordi di vita universitaria (1892-1970), (Citato nel testo
AA.VV. - Ad Repellendam Pestem Storie di Medici e di Sanità nella terra di
Aretusa p.122), Cisalpino, p. 79-80. ^ Archivio Istituto Pasteur, su
webext.pasteur.fr. AA.VV., Ad repellendam Pestem Storie di Medici e
Sanità nella terra di Aretusa, Tyche, p. 123. AA.VV., Ad repellendam
Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche, p. 124. ^
AA.VV., Ad repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa,
Tyche, p. 126. ^ AA.VV., Ad repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità,
Tyche, p. 125. Bibliografia AA.VV., Ad repellendam Pestem. Storie di Medici e
Sanità nella terra di Aretusa, Tyche, Siracusa, 2016, pp. 121-126 Giovanni
Malfitano, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
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del XX secoloNati nel 1872Morti nel 1941Nati il 29 settembreMorti il 6
aprileNati a SiracusaMorti a Parigi[altre]
Malipiero -- Troilo Malipiero
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Troilo
Malipiero (Venezia, 21 novembre 1770 – Venezia, 2 ottobre 1829) è stato uno
scrittore e filosofo italiano. Biografia
Nacque da Angelo di Troilo e da Emilia Fracassetti. Entrambi i genitori erano
patrizi: il padre proveniva dalla storica casata dei Malipiero (ramo
"delle Procuratie Vecchie"), mentre la madre apparteneva a una
famiglia di mercanti bergamaschi nobilitata nel 1704. Nel 1808 il Malipiero dichiarava di abitare
in un palazzo a Santa Maria Zobenigo (ereditato dal padre dopo l'estinzione di
un'altra linea della famiglia), cui si aggiungevano quattro botteghe nei
centralissimi quartieri di Rialto e San Moisè; altre cinque case si trovavano
tra Santa Margherita, San Gregorio e San Martino. Il 17 febbraio 1796 esordì in politica con
l'elezione a savio agli Ordini. Il 23 gennaio 1797 divenne provveditore alle
Pompe, ma non riuscì a prendere possesso della carica a causa della caduta
della Repubblica, il 12 maggio successivo. A questo punto, il Malipiero lasciò
la vita pubblica per dedicarsi alla scrittura. Fu un autore poliedrico, capace
di spaziare dall'attualità politica alla letteratura e alla tragedia di ambito
neoclassico. La prima opera pubblicata
(1794) è il saggio di matematica Dimostrazione sulla triplicazione e trisezione
dell'angolo effettuato colla retta e col cerchio, ma più tardi si cimentò nella
filosofia presentando l'opuscolo Saggio sugli sforzi della passione
nell'intelletto e su' di lei effetti nel cuore (1796), in cui sostiene di
moderare il razionalismo perché nell'animo umano esso convivi in armonia con le
passioni. Questa idea, in contrasto con
quanto asserito da Jean-Jacques Rousseau, fu ribadita ne La felicità della
nazione realizzata dal politico e dal sovrano, uno dei suoi primi scritti
politici (1798). In questo lavoro il Malipiero prese in esame la tendenza allo
sfarzo di una parte della società, analizzando come i governi avessero reagito
al fenomeno in epoche diverse. Nell'opera emerge la condanna al lusso sfrenato,
ma anche all'appiattimento estremo dettato da rivoluzionari e giacobini. Lo stesso pensiero moderato è ripreso nel
Trionfo della ragione ossia Confutazione del sistema del contratto sociale di
Gian Giacomo Rousseau (1801, ristampato nel 1818, senza grosse variazioni, come
Il trionfo della verità nella difesa dei diritti del trono ossia Confutazione
del contratto sociale). Qui il Malipiero cercò di dimostrare come la migliore
forma di governo non fosse la democrazia, ma la monarchia. La sua linea antirivoluzionaria fu affermata
anche nel 1797, quando si tenne distante dagli organi della Municipalità
istituita sul modello francese. Accolse perciò con favore l'arrivo degli
Austriaci, come dimostrano il Testamento della spirata libertà cisalpina (1799)
e l'annesso sonetto Confronto fra il genio della Romana Repubblica e quello
dell'Austria. Di grande importanza è
quanto emerge nella Voce della verità, una memoria autografa inviata al
governatore austriaco Mailath von Székhely all'indomani del suo insediamento a
Venezia, nel 1801. Nell'opera, divisa in capitoli dedicati ai problemi dell'amministrazione
asburgica (polizia, zecca, commercio, diritto ecc.), il Malipiero si chiede
quale dovesse essere il criterio di scelta per la nuova classe dirigente
veneziana. Dimostrandosi critico nei confronti degli ex funzionari della
Repubblica di Venezia (ceto a cui lui stesso apparteneva), nominati non in base
ai meriti, ma per favoritismo, auspicava di non concedere spazio a coloro che
vivevano nel lusso, poiché entravano in politica solo per il proprio
tornaconto, e soprattutto verso i trasformisti che cambiavano opinioni con
l'avvicendarsi delle amministrazioni.
Con questo lavoro anticipò le scelte del governo austriaco che, in
effetti, estromise il patriziato dalla vita politica e assegnando le cariche
amministrative a personalità lombarde o delle province ereditarie. Si dedicò, con un certo successo, anche alla
stesura di tragedie, a tema biblico, storico o mitologico, che potessero
presentare allo spettatore esempi da seguire o da evitare. Tra queste Il sacrifizio
di Abramo (senza luogo né data), Camillo (1808), Prometeo ossia La prodigiosa
civilizzazione delle genti (1814), Medea (1818). Altre opere degne di nota sono La bottega del
caffè. Quadro critico morale (1810), Lo scultore e la luce, azione mitologica
in apoteosi del cav. Canova (senza luogo né data), Il conte Ugolino in fondo
alla torre di Pisa. Sciolti (1813), Atabiba ed Huascar. Azione tragica di
spettacolo (1821), La Verità nello spirito dei tempi e nel nuovo carattere di
nostra età (sul congresso di Verona del 1822, senza luogo né data), Zanghira e
Lemanza. Quadro poetico nelle nozze Malipiero - Martinengo dalle Palle (1828),
Elogio di Giovanni II del mr. co. Martinengo dalle Palle (1828), Descrizione
della Montagna ov'è la chiesa della Madonna della Corona nelle alture di
Montebello (1828). Nel 1819 fu
confermato nobile dell'Impero Austriaco, assieme ai figli Angelo e Angela, nati
dal matrimonio con Contarina di Vincenzo Pisani (1799). Bibliografia Michele Gottardi, MALIPIERO,
Troilo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 68, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2007. URL consultato l'8 giugno 2020. Controllo di
autorità VIAF
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Wikipedia che trattano di biografie Categorie: Scrittori italiani del XVIII
secoloScrittori italiani del XIX secoloFilosofi italiani del XVIII
secoloFilosofi italiani del XIX secoloNati nel 1770Morti nel 1829Nati il 21
novembreMorti il 2 ottobreNati a VeneziaMorti a Venezia[altre]
Mamiani -- Maurizio Mamiani Da
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Questa voce sull'argomento filosofi italiani è solo un abbozzo. Contribuisci a
migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Maurizio Mamiani (San Secondo
Parmense, 1942 – Parma, 2002) è stato un filosofo, accademico, docente
universitario e studioso di storia della scienza italiano. Membro dell'Accademia dei Lincei ha insegnato
Storia del pensiero scientifico all'Università di Parma, Udine e Ferrara. Si è occupato soprattutto di Isaac Newton,
del quale ha trascritto un trattato inedito sull'Apocalisse[1], di Cartesio e
dell'origine delle enciclopedie moderne.
Indice 1 Opere
principali 2 Note
3 Bibliografia
4 Collegamenti
esterni Opere principali J.M. Guyau Abbozzo di una morale senza obbligazione né
sanzione, Firenze, Le Monnier, 1971 Isaac Newton filosofo della natura. Le
lezioni giovanili di ottica e la genesi del metodo newtoniano, Firenze, La
Nuova Italia, 1976 Teorie dello spazio da Descartes a Newton, Milano,
FrancoAngeli, 1981 La mappa del sapere. La classificazione delle scienze nella
Cyclopaedia di E. Chambers, Milano, FrancoAngeli, 1983 Il prisma di Newton,
Roma-Bari, Laterza, 1986 Introduzione a Newton, Roma-Bari: Laterza, 1990
Trattato sull'Apocalisse, Torino, Bollati Boringhieri, 1994 Isaac Newton,
Firenze, Giunti, 1995 Storia della scienza moderna, Roma-Bari, Laterza, 1998
Scienza e Sacra scrittura nel XVII Secolo, Napoli, Vivarium, 2001 Note ^ Isaac
Newton, Trattato sull'Apocalisse, a cura di Maurizio Mamiani, Torino, Bollati
Boringhieri, 1994 Bibliografia Scienza e teologia fra Seicento e Ottocento:
studi in memoria di Maurizio Mamiani, a cura di Chiara Giuntini e Brunello
Lotti, Firenze, Olschki 2006. Studi sul pensiero scientifico fra Seicento e
Ottocento. Ricordando Maurizio Mamiani, "I castelli di Yale", Saggi
n. 2, Il Poligrafo, Padova 2004. Collegamenti esterni Maurizio Mamiani, La
Rivoluzione scientifica - I domini della conoscenza: La sintesi newtoniana in
Storia della Scienza, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2012. Maurizio
Mamiani, Newton e l'Apocalisse Controllo di autorità VIAF (EN) 50524149 · ISNI
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Categorie: Filosofi italiani del XX secoloAccademici italiani del XX
secoloInsegnanti italiani del XX secoloNati nel 1942Morti nel 2002Nati a San
Secondo ParmenseMorti a ParmaAccademici dei Lincei[altre]
Mancini -- Italo Mancini
(filosofo) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search «La filosofia è il passaggio dal senso al significato, attraverso le
mediazioni culturali, dottrinali, attraverso la struttura del puro pensare e
attraverso le mediazioni della prassi.» Italo Mancini (Schieti, 4 marzo
1925 – Urbino, 7 gennaio 1993) è stato un presbitero, filosofo e teologo
italiano. Indice 1 Biografia
2 Pubblicazioni
2.1 Opere
postume 3 Onorificenze
4 Bibliografia
su Mancini 5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Dopo aver studiato in Seminario a Fano si laureò in filosofia
all'Università Cattolica di Milano nella quale ha successivamente insegnato per
dieci anni come assistente e docente di Filosofia della religione. Nel 1965
Carlo Bo lo vuole all'Università di Urbino, dove insegna prima filosofia della
religione e storia del cristianesimo, poi filosofia teoretica presso la
Facoltà di magistero e, negli ultimi anni filosofia del diritto presso la
Facoltà di giurisprudenza. Studioso dei massimi teologi del Novecento, ha
curato le edizioni italiane degli scritti di Karl Barth, Rudolf Bultmann e
Dietrich Bonhoeffer pubblicando, su quest'ultimo, anche una biografia e
un'analisi dottrinale. Ha fondato l'Istituto superiore di scienze religiose di
Urbino, oggi intitolato a lui, unico esempio, per molti anni, di "facoltà
teologica" in una università laica. Tra i filosofi, si è dedicato
molto a Immanuel Kant, pubblicando (nel 1981 e nel 1988) in due tomi Guida alla
Critica della ragion pura, contribuendo notevolmente alla diffusione del suo
pensiero in ambito cattolico. In questo senso è ancora più importante
"Kant e la teologia", che Italo Mancini pubblicò nel 1975. In
quest'opera Mancini tratta la filosofia della religione kantiana, fondata su
una concezione morale rigorosa resa possibile dall'Imperativo categorico, che
prospetta una trascendenza per l'uomo, attraverso i postulati dell'immortalità
dell'anima e dell'esistenza di Dio. Questa filosofia della religione, in cui Kant
mette in rapporto la religione razionale con la religione rivelata (e che si
contraddistingue per i concetti di Male radicale e di Chiesa invisibile), è
considerata da Mancini feconda anche per la teologia cattolica alla luce del
Concilio Vaticano II. Negli anni '70 del XX secolo Italo Mancini si è anche
confrontato con Marx e il Marxismo, allora dominanti nella cultura filosofica e
politica italiana. In Marx, Mancini tiene in grande considerazione il concetto
di Alienazione, presente soprattutto nei Manoscritti economico-filosofici del
1844. Questo concetto, che esprime l'estraneazione dell'operaio in rapporto al
lavoro salariato, a causa dei modi di produzione capitalistici, capaci di
sfruttare il lavoro come fosse una merce, deve essere stimolo per la Dottrina
Sociale della Chiesa. Ciò che Mancini critica in Marx è l'ateismo e il
materialismo, attraverso l'uso della dialettica hegeliana in una prospettiva
materialistica (materialismo storico): questa concezione infatti mette in
discussione la libertà dell'uomo, inteso come persona, riducendolo all'insieme
dei suoi rapporti economici. Italo Mancini ha inoltre fatto parte della
redazione della rivista internazionale di teologia Concilium. È stato autore di
numerosi libri di notevole spessore e di grande successo editoriale. Ha fondato
nel 1981 la rivista di filosofia e teologia Hermeneutica, che esce per numeri
monografici, nota sia a livello nazionale che internazionale ed edita da
Morcelliana. La sua posizione di pensiero verteva su un cristianesimo di matrice
liberale e democratica d'impronta sociale, che cercava uno spazio autonomo e
libero, dando un'importante risposta da credente alla cultura laicista e
marxista di quegli anni sulle orme del Concilio Vaticano II.
Pubblicazioni Ontologia fondamentale, La Scuola, Brescia 1958 Il giovane
Rosmini. I. La metafisica inedita, Argalìa, Urbino 1963 Filosofi
esistenzialisti (Heidegger, Marcel, Wahl, Gilson, Lotze), Argalìa, Urbino 1964
Linguaggio e salvezza, Vita e Pensiero, Milano 1964 Filosofia della religione,
Abete, Roma 1968 Bonhoeffer, Vallecchi, Firenze 1969 Teologia ideologia utopia,
Queriniana, Brescia 1974 Kant e la teologia, Cittadella, Assisi 1975 Futuro
dell'uomo e spazio per l'invocazione, L'Astrogallo, Ancona 1975 Con quale
comunismo? La Locusta, Vicenza, 1976 Con quale cristianesimo, Coines, Roma,
1977 Novecento teologico, Vallecchi, Firenze 1977 Teologia ideologia utopia,
Queriniana, Brescia 1978 Fede e cultura, con Giuseppe Ruggeri, Genova, Marietti
1979 Come continuare a credere, Rusconi, Milano 1980 Negativismo giuridico,
QuattroVenti, Urbino 1981 Guida alla Critica della ragion pura, vol. I,
QuattroVenti, Urbino 1982 Lettera a un laureando, Urbino, Quattroventi 1982 Il
pensiero negativo e la nuova destra, Mondadori, Milano 1983 Il quinto evangelio
come violenza ermeneutica, in “Apocalisse e ragione”, testi di Carlo Bo e
altri, Urbino, Quattroventi 1983, “Hermeneutica” 3, pp. 29-139 Filosofia della
prassi, Morcelliana, Brescia 1986 Tre follie, Camunia, Milano 1986 Guida alla
Critica della ragion pura, vol. II. L'Analitica, QuattroVenti, Urbino 1988 Il
male radicale per Kant, in “La ragione e il male. Atti del terzo colloquio su
filosofia e religione”, 8-10 maggio 1986; Genova, Marietti 1988, pp. 53-72 De
profundis per la dialettica, in “Metafisica e dialettica”, Genova, Tilgher
1988, pp. 153-214 Tornino i volti, Marietti, Genova 1989 Giustizia per il
creato, Urbino, Quattroventi 1990, coll. "Il nuovo Leopardi" L'Ethos
dell'Occidente. Neoclassicismo etico, profezia cristiana, pensiero critico moderno,
Marietti, Genova 1990 Scritti cristiani. Per una teologia del paradosso,
Marietti, Genova 1991 Opere postume Diritto e società. Studi e testi, Urbino,
Quattroventi 1993 Come leggere Maritain, Brescia, Morcelliana 1993 Ethos e
cultura nella cooperazione di credito, Piergiorgio Grassi, Urbino, Associazione
per la ricerca religiosa “S. Bernardino”, Quattroventi 1994 Bonhoeffer
(postfazione di Piergiorgio Grassi), Morcelliana, Brescia 1995 Frammento su
Dio, Andrea Aguti (a cura), prefazione di Graziano Ripanti, Brescia,
Morcelliana 2000 Per Aldo Moro. Al di là della politica, Carlo Bo - Mario Luzi
- Italo Mancini, Urbino, Quattroventi 2008 Opere scelte. Voll. 1-3, Brescia,
Morcelliana 2007-2011 Onorificenze Grande Ufficiale Ordine al Merito della
Repubblica Italiana - nastrino per uniforme ordinaria Grande Ufficiale Ordine al Merito della
Repubblica Italiana — Roma, 27 dicembre 1966 Bibliografia su Mancini Giorgio
Rognini, Metafisica e sofferenza. Un itinerario critico con Italo Mancini,
Verona, Mazziana 1983 Andrea Milano, Rivelazione ed ermeneutica. Karl Barth,
Rudolf Bultmann, Italo Mancini, Urbino, Quattroventi 1988, "Biblioteca di
Hermeneutica" Piergiorgio Grassi, Intervista a Italo Mancini sulla
teologia contemporanea, Urbino, Quattroventi 1992, coll. "Il nuovo
Leopardi" Enrico Moroni (a cura), La filosofia politica nel pensiero di
Italo Mancini, Urbino, Quattroventi 1994 Francesco D'Agostino, Italo Mancini,
filosofo del diritto, Urbino, Quattroventi 1994, coll. "Il nuovo
Leopardi" G. Ripanti - P. Grassi (a cura), Kerigma e prassi, Brescia,
Morcelliana, Hermeneutica 1995 Gustavo Pansini (a cura), Studi in memoria di
Italo Mancini, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane 1999 Galliano Crinella (a
cura), Italo Mancini. Dalla teoresi classica alla modernità come problema,
Roma, Edizioni Studium 2000 Antonio Areddu, Cristianesimo e marxismo nel
pensiero di Italo Mancini. Una rilettura in memoriam, Pistoia, Petite Plaisance
2001 Italo Mancini tra filosofia e teologia, in "Riv. di teologia -
Asprenas", I (2003), A. Pitta (a cura), numero monografico dedicato a
Italo Mancini G. Ripanti - P. Grassi (a cura), Filosofia, teologia, politica. A
partire da Italo Mancini, Brescia, Morcelliana, Hermeneutica 2004 Mariangela
Petricola, Pensare la differenza. La questione di Dio nell'epoca della
disgregazione del senso. Una rilettura con Italo Mancini, in “Dialegesthai.
Riv. telematica di filosofia", XII (2010);
http://mondodomani.org/dialegesthai/mpet01.htm Mariangela Petricola, Pensare
Dio. Il cristianesimo differente di Italo Mancini, Assisi, Cittadella Editrice
2011 Antonio Ascione, Fedele a Dio e alla terra. L'avventura intellettuale di
Italo Mancini, Benevento, Passione Educativa 2014 Valeria Sala, Italo Mancini.
Filosofo del diritto, Torino, Giappichelli 2014, "Recta Ratio" Altri
progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Italo
Mancini Collegamenti esterni Italo Mancini, su sapere.it, De Agostini. Modifica
su Wikidata Italo Mancini, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Seminario in memoriam, su
pesaronotizie.com. Centro socio culturale "Don Italo Mancini" presso
il suo paese natale Schieti, su centroitalomancini.it. URL consultato il 15
gennaio 2020 (archiviato dall'url originale il 22 gennaio 2019). Pagina sul
social network Facebook, su facebook.com. Bibliografia cronologica (PDF), su
uniurb.it. L'Istituto di Scienze Religiose fondato da Italo Mancini, su
uniurb.it. Biblioteca personale "Ca' Fante", su uniurb.it. Rivista "Hermeneutica"
fondata da Italo Mancini, su uniurb.it. A. Aguti, Italo Mancini, in Il pensiero
filosofico-religioso italiano.org. Controllo di autorità VIAF (EN) 49240648 · ISNI (EN) 0000 0000 6124
6216 · SBN IT\ICCU\CFIV\019633 · LCCN (EN) n79049296 · GND (DE) 119383543 · BNF
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Filosofia Portale Filosofia Categorie: Presbiteri italianiFilosofi italiani del
XX secoloTeologi italianiNati nel 1925Morti nel 1993Nati il 4 marzoMorti il 7
gennaioMorti a UrbinoProfessori dell'Università degli Studi di Urbino[altre]
Mangione -- Corrado Mangione
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Corrado
Mangione (Bagnara Calabra, 25 novembre 1930 – Milano, 28 febbraio 2009) è stato
un logico, filosofo e accademico italiano, docente di logica all'Università di
Milano: «uno dei padri della rinascita degli studi di logica in Italia nella
seconda metà del secolo scorso».[1].
Indice 1 Biografia 2 Pubblicazioni
3 Note
4 Voci
correlate Biografia Negli anni Sessanta diresse le due collane matematiche
della casa editrice Progresso tecnico editoriale di Milano, appendice della
Aldo Martello editore, dedicata alla pubblicazione di una serie di opuscoli
tascabili di divulgazione scientifica nel campo della matematica e della
chimica[2]. Presso l'editore Boringhieri
di Torino ha diretto la serie Testi e manuali della scienza contemporanea.
Serie di logica matematica. Ha contribuito
alla Storia del pensiero filosofico e scientifico pubblicata da Ludovico
Geymonat per Garzanti con specifici contributi sulla storia della logica
moderna e contemporanea. Ha successivamente ampliato e sistematizzato tali
contributi nella Storia della logica. Da Boole ai nostri giorni (con la
collaborazione di Silvio Bozzi): l'opera costituisce un ampio ed esaustivo
lavoro di ricognizione e sintesi sugli ambiti di ricerca e sui risultati della
logica contemporanea. Per Franco Muzzio
& C. Editore ha diretto la collana editoriale Muzzio scienze. Insieme a Edoardo Ballo, Silvio Bozzi,
Gabriele Lolli e Paolo Pagli, ha curato, per Bollati Boringhieri, l'edizione
italiana delle opere di Kurt Gödel.[3]
Pubblicazioni Elementi di logica matematica, Torino, Boringhieri, 1964
(curatore) Rózsa Péter, Giocando con l'infinito: matematica per tutti,
traduzione di Giulio Giorello, Milano, Feltrinelli, 1973 (curatore, con
Gabriele Lolli) AA.VV., Matematica e calcolatore, Le Scienze quaderni, Milano,
1984 (curatore) Scienza e filosofia: saggi in onore di Ludovico Geymonat,
Milano, Garzanti (con Silvio Bozzi) Storia della logica, 2 volumi, CUEM, 1985
Volume 1, 2004 ISBN 978-88-6001-853-3 Volume 2, 2004 ISBN 978-88-6001-854-0
(con Silvio Bozzi) Storia della logica. Da Boole ai nostri giorni, Garzanti
libri, ISBN 978-88-11-59966-1 Gottlob Frege. Logica e aritmetica, scritti
raccolti a cura di Corrado Mangione con prefazione di Ludovico Geymonat,
Torino, Boringhieri, 1965 Note ^ AA.VV., Logic and Philosophy in Italy. Some
trends and perspectives. Essays in Honor of Corrado Mangione on his 75th
Birthday, a cura di Edoardo Ballo e Miriam Franchella, Polimetrica Publisher,
2006 ISBN 978-88-7699-027-4 (raccolta di studi in onore di Corrado Mangione) ^
Emanuele Vinassa de Regny, «Corrado Mangione: breve storia di una lunga
amicizia», in: AA.VV., Logic and philosophy in Italy: some trends and
perspectives. Essays in Honor of Corrado Mangione on his 75th Birthday, 2006
(p. 21) ^ Franco Prattico, «Pubblicate tutte le opere del grande logico
austriaco» dalla Repubblica, articolo disponibile sul database SWIF
dell'Università di Bari Voci correlate Scuola di Milano Controllo di autorità VIAF (EN) 22162871 · ISNI (EN) 0000 0001 1750
3868 · SBN IT\ICCU\CFIV\032434 · LCCN (EN) n85154655 · GND (DE) 1024206904 ·
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Matematica Portale Matematica Università Portale Università Categorie: Logici
italianiFilosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI
secoloAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani del XXI secoloNati
nel 1930Morti nel 2009Nati il 25 novembreMorti il 28 febbraioNati a Bagnara
CalabraMorti a MilanoProfessori dell'Università degli Studi di Milano[altre]
Manfredi -- Girolamo Manfredi
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Liber de homine, 1497 Girolamo Manfredi
(Bologna, 1430 circa – Bologna, 1493) è stato un filosofo, medico e astrologo italiano. Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Bibliografia
4 Collegamenti
esterni Biografia Sappiamo che il padre si chiamava Antonio, mentre i suoi
fratelli si laurearono in diritto canonico ed ebbero notevoli incarichi. Nel
1453 era "studens in artibus" a Bologna, ma concluse gli studi a
Ferrara e si laureò nel 1455. A Ferrara entrò in contatto con circoli
umanistici. Insegnò logica a Bologna; entrò negli ordini minori e nel 1459 ebbe
la tonsura. Nel 1466 ottenne il dottorato
in medicina all'università di Parma, continuando a insegnare a Bologna nel
1465–66. Continuò poi a insegnare varie materie a Bologna, fino alla morte.
Riceveva un compenso superiore alla media ed è il docente più citato nei Libri
partitorum. Esercitò l'astrologia e fu attaccato, fra gli altri, da Giovanni
Pico della Mirandola (Disputationes adversus astrologiam divinatricem). Collaborò con Cola Montano e Galeotto Marzio.
Scrisse opere divulgative in volgare. La sua opera Il Perché fu un successo per
secoli. Opere Girolamo Manfredi, Tractato
de la pestilentia, Bologna, Johann Schriber, 1478. URL consultato il 14 aprile
2015. Girolamo Manfredi, Prognosticon anni 1490 [ita], Bologna, Bazaliero
Bazalieri, 1489. URL consultato il 14 aprile 2015. Girolamo Manfredi, Liber de
homine [ita], Impressum Bononiae, Ugo Ruggeri, 1497. URL consultato il 14
aprile 2015. Bibliografia Girolamo Manfredi, in Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Collegamenti esterni Opere
di Girolamo Manfredi, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata
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(EN) 79148162 · ISNI (EN) 0000 0000 7820 010X · LCCN (EN) n82070824 · GND (DE)
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495/31828 · CERL cnp01366210 · WorldCat Identities (EN) lccn-n82070824
Astrologia Portale Astrologia Biografie Portale Biografie Categorie: Filosofi
italiani del XV secoloMedici italianiAstrologi italianiNati nel 1430Morti nel
1493Nati a BolognaMorti a Bologna[altre]
Manicone -- Michelangelo
Manicone Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
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sull'uso delle fonti. Michelangelo Manicone (Vico del Gargano, 4 marzo 1745 –
Ischitella, 18 aprile 1810) è stato un naturalista e filosofo italiano, padre
francescano. Biografia e pensiero Manicone è una delle personalità più
caratteristiche del suo tempo della Capitanata. Padre Michelangelo
Manicone nacque a Vico del Gargano (Foggia) il 4 marzo 1745, ma la data, le
circostanze e le cause della sua morte, fino a qualche anno fa, erano avvolte da
una fitta nebbia come - del resto - molti periodi della sua vita; tuttavia è
stata stabilita come data di morte il 18 aprile 1810 nel convento di San
Francesco ad Ischitella. La bibliografia che lo riguarda è scarna e
lacunosa, nonostante il fascino della sua persona e delle sue idee. Era
definito il “monacello rivoluzionario” (a causa della sua bassa statura,
che sembrerebbe di 1,40 m). La sua indole illuministica consisteva in una sete
di sapere che non si placava con il dogmatismo, ma con l'esperienza diretta, lo
studio approfondito dei fenomeni naturali e della scienza, un'osservazione
empirica che poteva fornire una risposta valida e concreta alle varie
problematiche e quindi un aiuto pratico all'uomo, al suo benessere e sviluppo,
alla sua felicità. Ciò gli costò l'inimicizia di chi, seppur in pieno
illuminismo, diffidava e demonizzava la scienza. Lo sviluppo
economico-sociale che teorizzava Padre Manicone consisteva in uno sviluppo
connesso e, per certi versi, dipendente dall'ambiente, perché egli riteneva che
la natura fosse una fonte primaria di ricchezza e la sua distruzione avrebbe
potuto segnare la fine dello sviluppo. Manicone può essere considerato un
profeta dello sviluppo sostenibile, perché in pieno Settecento, quando le
industrie erano inesistenti, ebbe un'ampiezza di vedute che gli consentì di
prevedere le conseguenze disastrose che avrebbe portato l'uso improprio e
scriteriato delle risorse naturali. Le opere in cui Manicone tratta, tra
gli altri, il tema dello sviluppo sostenibile, sono La Fisica Appula (cioè
dell'Apulia) e La Fisica Daunica (cioè della Daunia, antico nome della
Capitanata). Secondo il “monacello”, uno dei peggiori atti compiuti dall'uomo
del suo tempo era la cesinazione selvaggia dei boschi garganici, un tempo
rigogliosi, come anche attesto da Orazio nelle Epistole: «Garganum mugire putes
nemus». Manicone riferisce che il disboscamento del promontorio iniziò
nel 1764, con il taglio “barbaro” dei pini nel territorio “Difesa” di Vico del
Gargano e la cesinazione degli ischi ad Ischitella, talmente “furiosa” che, ad
inizio Ottocento, l'Abate Longano denunciò la carenza di legna da ardere per
gli ischitellani. La causa di questo disboscamento fu la volontà di
destinare i suoli a coltura, anche quelli non adatti a questo scopo e più utili
al pascolo e alla produzione di legname, vista la “rocciosità” della terra sul
promontorio del Gargano. Manicone spiega anche la diminuzione della fauna
selvatica nel Gargano, sempre dovuta alla cesinazione, che diminuiva i
nascondigli per gli animali selvatici, e li rendeva più vulnerabili. Ne
“La Fisica Appula”, il frate dedica un intero libro al Mefitismo (insalubrità
dell'aria) e alle cause che lo generano. Egli sostiene che l'inquinamento può
avere cause naturali o accidentali (provocate dall'uomo), può essere anche
indigeno (proprio della zona) o esotico (derivante da altre zone). Secondo il
Manicone le principali cause accidentali del mefitismo erano: 1. Le
condizioni igieniche precarie delle strade e delle abitazioni; 2. L'insana abitudine
di depositare gli escrementi nelle strade; 3. La sepoltura dei morti nel centro
abitato (consuetudine abolita nel 1804 con l'Editto di Saint-Cloud, ma
anticipata nel 1792 a Vico del Gargano da Pietro de Finis, che fece costruire
il cimitero monumentale di San Pietro); 4. Il taglio dei boschi (invece gli
alberi sono importanti perché emettono ossigeno e assorbono anidride
carbonica). Lo studio del frate sul territorio garganico fu talmente minuzioso
da fargli notare un mutamento climatico dalla metà del Settecento
all'Ottocento; in alcune zone del Gargano, ci furono sbalzi di temperatura che
provocarono un sensibile calo di precipitazioni nevose e mitigarono parecchio
gli inverni. Secondo il Manicone, la causa è attribuibile al disboscamento
iniziato nel 1764: il taglio delle foreste avrebbe consentito al sole di
riscaldare prima e maggiormente i suoli e soprattutto non avrebbe bloccato i
venti provenienti da Nord e da Sud, quindi le zone meridionali rispetto alle
alture garganiche si sarebbero raffreddate a causa dell'arrivo della Tramontana
da Nord, mentre nel Gargano settentrionale sarebbero arrivati maggiormente i
venti caldi del Sud. Un rimboschimento avrebbe reso più fertili le terre
coltivabili, ma Manicone stesso, dopo aver dato questo suggerimento, esprime la
consapevolezza di “aver cantato ai sordi”. Viaggiò molto per l'Europa,
studiando Medicina a Vienna e a Berlino, Scienze Fisiche a Londra e Scienze
Naturali a Bruxelles. È noto soprattutto per il suo trattato, La Fisica
Appula (1806), un'opera di cinque tomi, in cui analizza le caratteristiche
fisiche delle terre di Puglia e soprattutto del Gargano. Al Manicone è
intitolato il Centro Studi e Documentazione del Parco Nazionale del Gargano
sito presso il Convento di San Matteo a San Marco in Lamis. Descrizione
di Vico Del Gargano nella Fisica daunica Al tempo di Manicone la popolazione
vichese era di 6131 abitanti, circa lo stesso numero di residenti effettivi
attuali. L'area abitata era più ristretta e consisteva nel nucleo originario
(Casale, Civita e Terra) e i quartieri nuovi di San Marco, Carmine, la
Misericordia e Fuoriporta. L'incuria delle istituzioni si manifestava nella
scarsa attenzione verso l'igiene delle acque del Casale (quartiere
affollatissimo), originariamente buone e dolci ma inquinate dall'incuria
generale; anche le strade strette e ombrose della Civita erano soggette ad
abbandono e perennemente sporche. Soltanto i quartieri nuovi erano larghi,
puliti e soleggiati. Le Istituzioni mancavano anche laddove era
necessario rendere più agevole il lavoro dei contadini e dei pastori vichesi,
costruendo strade per diminuire gli ostacoli a cui erano sottoposti
quotidianamente questi uomini quando si recavano nelle loro campagne, poste
spesso in profonde valli o zone impervie. La popolazione vichese era
laboriosa e onesta e non c'erano grandi disuguaglianze economiche, tuttavia
Manicone descrive i suoi compaesani come barbari e incivili, infatti non hanno
riguardo per l'ambiente, ad esempio i pastori lasciano distruggere dalle loro
bestie le pianticelle fruttifere e le vigne, sono dediti all'alcol e spesso ciò
li porta a risse feroci. Le donne sono laboriose come gli uomini e sempre
gentili, il frate però critica fortemente l'usanza vichese, e delle donne dei
paesi del Sud in generale, di urlare e strepitare ai funerali, di portare il
lutto a vita e di vestire sfarzosamente i defunti; il primo comportamento
denota la selvatichezza della popolazione, il secondo uso può essere
anti-economico e negativo per la società e il terzo è uno spreco di denaro,
dato in pasto ai vermi. Un difetto presente in tutte le abitazioni
vichesi dell'epoca era il forno in casa, che poteva provocare incendi domestici
e inquinare l'aria interna. Dopo il 1764 a Vico molti boschi furono
tagliati per lasciare spazio ai campi di grano, ma ciò fu improduttivo
economicamente e causò lo smottamento dei terreni in pendenza, non più
trattenuti dalle radici delle piante. Nella raccolta dell'ulivo, i vichesi
distruggevano gli alberi, picchiando forte con i bastoni per far cadere le
olive; questa errata abitudine provocava la mutilazione della pianta e una
maggiore esposizione al freddo, e conseguentemente minori raccolti per gli anni
successivi. Per Manicone, il mancato sviluppo del Gargano era da imputare
anche alla pigrizia e indolenza dei suoi abitanti, che non erano capaci di
valorizzare i loro prodotti (olive, agrumi, vino, fichi, etc.) e talvolta
acquistavano prodotti meno pregiati e ad alto prezzo da altre regioni. Al
fine di comprendere come le istituzioni del tempo fossero distanti dalle reali
necessità della popolazione, è interessante la situazione che riguardò l'uso
delle acque di Canneto, infatti veniva impedito ai vichesi (anche con la forza)
di utilizzare l'acqua per l'irrigazione dei campi, perché avrebbero disturbato
l'attività di un mulino sito nel territorio di Rodi Garganico. Il giudice diede
ragione ai rodiani ma, per fortuna, questa sentenza ingiusta e ingiustificata
fu annullata dalla Regia Camera. Dalla lettura di alcune pagine delle
opere di padre Michelangelo Manicone è emerso che, pur cambiando i tempi, gli
usi, le risorse a disposizione, le conoscenze e le attività, l'uomo garganico
(e non solo) viveva e produceva nell'ottica del profitto immediato,
sottovalutando gli effetti che avrebbero potuto causare i suoi comportamenti
errati nella vita della futura comunità. Collegamenti esterni (EN) Opere
di Michelangelo Manicone, su Open Library, Internet Archive. Modifica su
Wikidata V · D · M Francescanesimo Controllo di autorità VIAF (EN) 74983881 ·
ISNI (EN) 0000 0000 4492 0643 · LCCN (EN) no2006043759 · GND (DE) 131410350 ·
CERL cnp00800782 · WorldCat Identities (EN) lccn-no2006043759 Biografie Portale
Biografie Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Filosofia Portale Filosofia
Letteratura Portale Letteratura Categorie: Naturalisti italianiFilosofi
italiani del XVIII secoloNati nel 1745Morti nel 1810Nati il 4 marzoMorti il 18
aprileNati a Vico del GarganoMorti a IschitellaFrancescani italiani[altre]
Mannelli -- Filippo Amantea
Mannelli Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Filippo Amantea Mannelli Filippo
Amantea Mannelli (Grimaldi, 3 gennaio 1878 – Cosenza, 29 ottobre 1964) è stato
un poeta, giurista e filosofo italiano.
Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Note
4 Voci
correlate 5 Collegamenti
esterni Biografia Nato nel 1878 in un paese del Cosentino, Grimaldi, frequentò
il ginnasio a Cosenza. Successivamente si trasferì con la famiglia prima ad
Aosta, dove terminò gli studi liceali, e poi a Roma per intraprendere gli studi
di giurisprudenza.[1] Nella capitale s'interessò sempre più al mondo politico e
dopo la laurea, conseguita con il massimo dei voti, ritornò a Cosenza e nel
1914 venne eletto Consigliere Provinciale.[1]
Nel 1915, proprio in qualità di membro del consiglio provinciale, si
adoperò in prima persona per arricchire e promuovere l'ampliamento della
Biblioteca Provinciale di Cosenza[2]
Letterato e poeta prolifico (la cui opera più importante è la poesia
Come le nuvole),[1] si dedicò in tempi e con modi diversi all'attività di
approfondimento e divulgazione. Nel 1932 firmò una traduzione (in seguito
ampiamente citata e riutilizzata) dal tedesco della Xenia di Goethe.[3] Fu saggista e redattore; negli anni cinquanta
del XX secolo fu tra i maggiori contributori della più importante rivista di
arti e lettere della regione, la Calabria Letteraria.[4] Fu per più di una decade, dal 1952 alla sua
morte, presidente eletto dell'Accademia Cosentina, l'istituzione accademica
calabrese che vanta un'esistenza plurisecolare e che nel XVI secolo ebbe come
presidente Bernardino Telesio. Opere
Filippo Amantea Mannelli, Inaugurandosi il monumento al caduti grimaldesi:
scultura di Duilio Cambellotti[collegamento interrotto], Reggio Calabria,
Editore Il Giornale di Calabria, 1927. Johan Wolfgang Goethe, traduzione
metrica: Filippo Amantea Mannelli, Xenien (traduzione in italiano)[collegamento
interrotto], Roma [Leipzig], Paravia, 1932 [1871]. Filippo Amantea Mannelli, Le
storiche Terme Luigiane : passato-presente-futuro, Cosenza, Cronaca di Calabria,
1960. Filippo Amantea Mannelli, L'Accademia Cosentina nella sua storia secolare
e nell'oggi, Cosenza, Tip. Vincenzo Serafino, 1954. Note Biografia di Filippo Amantea Mannelli in
Calabriaonline.com ^ Michele Chiodo, L'Accademia cosentina e la sua biblioteca.
Società e cultura in Calabria. ^ Xenia Edizione Paravia[collegamento
interrotto]. ^ Anna Vincenza Aversa, Dopoguerra calabrese: cultura e stampa,
1945/79, Editore Pellegrini, Catanzaro, 1932. Voci correlate Accademia
Cosentina Biblioteca Civica di Cosenza Goethe Collegamenti esterni Poesia
"Mamma" da "Come le nuvole[collegamento interrotto] su
Grimaldi2000 Grimaldesi da ricordare, su digilander.libero.it. Biografia di
Filippo Amantea Mannelli in Calabriaonline.com Biografie Portale Biografie Filosofia
Portale Filosofia Letteratura Portale Letteratura Categorie: Poeti italiani del
XX secoloGiuristi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XX secoloNati nel
1878Morti nel 1964Nati il 3 gennaioMorti il 29 ottobreNati a GrimaldiMorti a
CosenzaAccademia cosentina[altre]
Mantovani -- Mauro Mantovani
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Mauro Mantovani (Moncalieri, 3 gennaio 1966)
filosofo e docente di Filosofia teoretica. Mauro Mantovani (Moncalieri, 3
gennaio 1966) è un accademico e filosofo italiano. Indice 1 Biografia
1.1 Studi
e insegnamento 1.2 Altre
attività 2 Posizioni
3 Opere
3.1 Traduzioni,
curatele e commenti 4 Note
5 Voci
correlate 6 Altri
progetti Biografia Studi e insegnamento Consegue il dottorato di ricerca in
filosofia, ecclesiastico e civile, presso la Universtità Pontificia di
Salamanca[1] nel 2006 ed il dottorato in Teologia presso la Pontificia
Università San Tommaso D’Aquino[2] "Angelicum" nel 2010[3]. È
professore ordinario di Filosofia Teoretica . Decano della Facoltà di Filosofia
della UPS dal 2006 al 2012, dal 2012 al 2015 è stato Decano della Facoltà di
Scienze della Comunicazione sociale della UPS[4], e dal 2015 è Rettore[5] della
Università Pontificia Salesiana[6].
Altre attività Da ottobre 2016 è Presidente della Conferenza dei Rettori
delle Università ed Istituzioni Pontificie Romane[7] (CRUIPRO)[8]. Dal 2010 è
Accademico Ordinario della Pontificia Accademia San Tommaso D’Aquino[9]. È
vicepresidente della Società Internazionale Tommaso D’Aquino (S.I.T.A.)[10].
Nel 2016 è stato insignito del Premio Mediterraneo “Portatore di
Pace”[11][12]. Posizioni Gli ambiti
delle sue ricerche spaziano sulla Filosofia della Storia, l'Ontologia, la
Teologia filosofica, e loro rapporti con la scienza. Ha compiuto studi sulla
storia del tomismo, in particolare sulla seconda scolastica spagnola. È uno dei
maggiori studiosi e conoscitori del realismo dinamico e delle opere del
filosofo Tommaso Demaria[13][14]. Opere
Fede e ragione: opposizione, composizione? / a cura di Mauro Mantovani, Scaria
Thuruthiyil, Mario Toso, Roma , LAS, 1999, ISBN 8821304124. Quale
globalizzazione? : l'uomo planetario alle soglie della mondialità / a cura di
Mauro Mantovani, Scaria Thuruthiyil, Roma, LAS, 2000, ISBN 8821304396. Eleos:
l'affanno della ragione: fra compassione e misericordia / a cura di Maurizio
Marin e Mauro Mantovani, Roma, LAS, 2002, ISBN 882130504X. Sulle vie del tempo.
Un confronto filosofico sulla storia e sulla libertà, Roma, LAS, 2002, ISBN
88-213-0483-3. Paolo VI: fede, cultura, università / a cura di Mauro Mantovani
e Mario Toso; con la collaborazione di Teresa Greco, Giuseppe R. M. Motta e
Oliviero Riggi, Roma, LAS, 2003, ISBN 8821305333. An Deus sit (Summa Theologiae
I, q. 2). Los comentarios de la «primera Escuela» de Salamanca, Salamanca 2007;
Fede, cultura e scienza / a cura di Mauro Mantovani e Marilena Amerise; con la
collaborazione di Tomasz Trafny , Città del Vaticano, Libreria Editrice
Vaticana, 2008, ISBN 8820978806. Didattica delle scienze: temi, esperienze,
prospettive / a cura di Cristián Desbouts e Mauro Mantovani, Città del
Vaticano: Libreria editrice vaticana, 2010, ISBN 9788820983901. La discussione
sull’esistenza di Dio nei teologi domenicani a Salamanca dal 1561 al 1669.
Studio sui testi di Sotomayor, Mancio, Medina, Astorga, Báñez e Godoy, Roma -
Salamanca 2011, ISBN 9788482602554. Oltre la crisi: prospettive per un nuovo
modello di sviluppo: il contributo del pensiero realistico dinamico di Tommaso
Demaria / Mauro Mantovani, Alberto Pessa, Oliviero Riggi (a cura), Roma, LAS,
2011, ISBN 978-88-213-0808-6. Momenti del logos: ricerche del "progetto
LERS" (logos, episteme, ratio, scientia) : in memoria di Marilena Amerise
e di Marco Arosio / a cura di Flavia Carderi, Mauro Mantovani, Graziano Perillo,
Roma, Nuova cultura, 2012, ISBN 9788861347656. Per una finanza responsabile e
solidale: problemi e prospettive / a cura di Massimo Crosti e Mauro Mantovani,
Roma, LAS, 2013, ISBN 9788821308826. Una ricognizione sulla Summa Theologiae di
Tommaso d'Aquino / Mauro Mantovani, in Un pensiero per abitare la frontiera:
sulle tracce dell'ontologia trinitaria di Klaus Hemmerle / P. Coda, A.
Clemenzia, J. Tremblay (edd.), Roma - Incisa Valdarno, Città Nuova - Istituto
universitario Sophia, 2016, ISBN 9788831133920 Traduzioni, curatele e commenti
Lorenzo Cretti , La quarta navigazione: realtà storica e metafisica
organico-dinamica/Prefazione prof. Mauro Mantovani e Postfazione del prof.
Mario Toso, Associazione Nuova Costruttività -Tipografia Novastampa, Verona, 2004.
Francisco de Vitoria, Sul matrimonio (Introduzione, traduzione e commento di M.
Mantovani), Roma, 2015, ISBN 8854887862. Scritti teologici inediti. Tommaso
Demaria; a cura di Mauro Mantovani e Roberto Roggero, Roma,Editrice LAS, 2017.
ISBN 978-88-213-1278-6. Note ^ Universidad Pontificia de Salamanca, su
www.upsa.es. URL consultato il 2 novembre 2019. ^ Pontifical University of
Saint Thomas Aquinas, su Angelicum. URL consultato il 2 novembre 2019. ^
AVEPRO, su www.avepro.glauco.it. URL consultato il 2 novembre 2019. ^
L’Università Salesiana, un servizio per l’educazione e la comunicazione - La
Stampa, su lastampa.it, 2 marzo 2018. URL consultato il 2 novembre 2019. ^
Autorità accademiche, su UNISAL. URL consultato il 2 novembre 2019. ^ «Il
nostro impegno per la “civiltà dell’amore”. Come vuole don Bosco» - La Stampa,
su lastampa.it, 3 settembre 2015. URL consultato il 2 novembre 2019. ^ CRUIPRO
– Conferenza Rettori delle Università e Istituzioni Pontificie Romane, su
cruipro.net. URL consultato il 2 novembre 2019. ^ redazione, Nuovi accordi di
cooperazione interuniversitaria, su FarodiRoma, 28 giugno 2017. URL consultato
il 2 novembre 2019. ^ Pontificia Accademia di S. Tommaso D'Aquino, su
www.cultura.va. URL consultato il 2 novembre 2019. ^ Direttorio, su S.I.T.A..
URL consultato il 2 novembre 2019. ^ PREMI MEDITERRANEO, su
www.fondazionemediterraneo.org. URL consultato il 2 novembre 2019. ^ A DON
MAURO MANTOVANI IL PREMIO MEDITERRANEO "PORTATORE DI PACE" 2016. URL
consultato il 2 novembre 2019. ^ Young4Young, Mauro Mantovani, “Vita tua, vita
mea”: l'insegnamento di Tommaso Demaria è più che mai attuale [collegamento
interrotto], su Young4young. URL consultato il 2 novembre 2019. ^ Fondazione
Adriano Olivetti, su www.fondazioneadrianolivetti.it. URL consultato il 2
novembre 2019. Voci correlate Tomismo
Scolastica Realismo dinamico Tommaso Demaria Università Pontificia Salesiana Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons
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Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Accademici italiani
del XXI secoloFilosofi italiani del XXI secoloNati nel 1966Nati il 3
gennaioNati a Moncalieri[altre]
Marassi -- Massimo Marassi Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Massimo
Marassi (Cardano al Campo, 1954) è un filosofo e docente universitario
italiano. Indice 1 Biografia 2 Pensiero
3 Opere
principali 4 Collegamenti
esterni Biografia Allievo di Virgilio Melchiorre, si è laureato presso
l'Università Cattolica di Milano nell'a.a. 1978/79 con una tesi sulla
differenza ontologica in Martin Heidegger, sotto la direzione del prof.
Melchiorre e con la correlazione di Gustavo Bontadini. Nel 1987 ha discusso,
sempre presso l'Università Cattolica, una tesi di dottorato dal titolo Il
profilo della presenza. Heidegger e il regno della pluralità, elaborata sotto
la supervisione dei prof. Virgilio Melchiorre ed Ernesto Grassi. Insegna
filosofia teoretica presso l'Università Cattolica di Milano. Ha coordinato
l'edizione dell'Enciclopedia filosofica (Bompiani, Milano 2006) in 12 volumi.
Dal 2010 è Direttore del Dipartimento di Filosofia dell'Università Cattolica di
Milano. Dal 2012 dirige la Rivista di filosofia neo-scolastica, fondata nel
1909. Dirige per la casa editrice AlboVersorio la collana Epoche ed è membro
del comitato scientifico del festival La Festa della Filosofia. Pensiero Si è occupato di storia
dell'umanesimo (Bruni, Alberti, Vico), della neoscolastica tedesca (Rahner,
Lotz), di ermeneutica (Schleiermacher, Heidegger, Grassi, Gadamer), di
filosofia trascendentale (Kant), del pensiero postmoderno. I temi della sua
ricerca ruotano attorno a tre temi principali: la riflessione sui modelli
storico-teorici della filosofia della storia, l'interpretazione dell'umanesimo
italiano in riferimento alla dimensione storica e morale, l'analisi della
fondazione trascendentale del sapere.
Opere principali Ermeneutica della differenza. Saggio su Heidegger, Vita
e Pensiero, Milano 1990 Edizione italiana di Friedrich D.E. Schleiermacher,
Ermeneutica, Rusconi, Milano 1996; Bompiani, Milano 20002 Edizione italiana di
Immanuel Kant, Critica del giudizio, Bompiani, Milano 2004, n.e. riveduta e
ampliata 2015 Metafisica e metodo trascendentale. Johannes B. Lotz e la
struttura dell'esperienza, Vita e Pensiero, Milano 2004 Metamorfosi della
storia. Momus e Alberti, Mimesis, Milano 2004 (ed.spagnola Metamorfosis de la
historia. El Momus de L.B. Alberti, Anthropos, Rubì Barcelona, 2008)
Coordinamento generale e direzione redazionale della Enciclopedia filosofica,
Bompiani, Milano 2006 Collegamenti esterni Pagina Docente dell'Università
Cattolica, su docenti.unicatt.it. Controllo di autorità VIAF (EN) 59124974 · ISNI (EN) 0000 0001 0905 4986 ·
LCCN (EN) n91003268 · BNE (ES) XX4733512 (data) · BAV (EN) 495/103572 ·
WorldCat Identities (EN) lccn-n91003268 Biografie Portale Biografie Filosofia
Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani
del XXI secoloNati nel 1954Nati a Cardano al CampoProfessori dell'Università
Cattolica del Sacro CuoreStudenti dell'Università Cattolica del Sacro
Cuore[altre]
Marchesini -- Giovanni
Marchesini (filosofo) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
navigationJump to search Giovanni Marchesini (Noventa Vicentina, 1868 – Padova,
1931) è stato un filosofo e pedagogista italiano, esponente del
positivismo. Indice 1 Biografia 2 Opere
(selezione) 3 Note
4 Bibliografia
5 Voci
correlate 6 Altri
progetti 7 Collegamenti
esterni Biografia Nato in provincia di Vicenza nel 1868, allievo di Roberto
Ardigò, il maggiore esponente del positivismo filosofico italiano [1], Giovanni
Marchesini fu docente all'Università di Padova ove insegnò filosofia morale e
pedagogia [1]. Condirettore con Enea Zamorani, dal 1899, della Rivista di
Filosofia Pedagogia e Scienze Affini, che nel 1901 mutò il nome in Rivista di
Filosofia e Scienze affini, ne divenne poi direttore nel 1904 e proprietario
l'anno successivo, fino alla chiusura della pubblicazione nel 1908 [2].
Diresse, anche, un Dizionario delle scienze pedagogiche, edito dalla Società
Editrice Libraria di Milano nel 1929 [1]. Tra i suoi numerosi scritti, oltre ad
opere di filosofia, psicologia e pedagogia, anche diversi manuali per le
scuole. Tradusse, inoltre, un testo del filosofo empirista britannico John
Locke Pensieri sull'educazione, edito da Sansoni nel 1922 e più volte
ristampato [3]. Morì a Padova, a circa sessantatré
anni, nel 1931. Opere (selezione) Il
problema della vita, Montagnana, Tip. di A. Spighi, 1889. Saggio sulla naturale
unità del pensiero, Firenze, Sansoni, 1895. Elementi di psicologia ad uso dei
licei tratti dalle opere filosofiche del prof. Roberto Ardigò, Firenze,
Sansoni, 1895. Elementi di logica secondo le opere di R. Ardigò, St. Mill, A.
Bain ecc., prefazione di Roberto Ardigò, Firenze, Sansoni, 1896. Elementi di
morale, ad uso anche dei licei, secondo le opere degli scienziati moderni,
prefazione di Roberto Ardigò, Firenze, Sansoni, 1896. La crisi del positivismo
e il problema filosofico, Torino, F.lli Bocca, 1898. Le amicizie di collegio
(con prefazione di E. Morselli e in collaborazione col Dott. Obici), Roma,
Società Ed. "Dante Alighieri ", 1898. Elementi di pedagogia : Con un'appendice
di cento scelte citazioni, Firenze, Sansoni, 1899. Doveri e diritti : ad uso
delle scuole tecniche e complementari, Milano-Palermo, R. Sandron, 1900. La
teoria dell'utile : principi etici fondamentali e applicazioni, Milano-Palermo,
R. Sandron, 1900. Il Simbolismo nella conoscenza e nella morale, Torino,
Fratelli Bocca Editori, 1901. Il dominio dello spirito, ossia Il problema della
personalità e il diritto all'orgoglio, Torino, F.lli Bocca, 1902. Corso
sistematico di pedagogia generale , Torino, Paravia, 1907. Il principio della
indissolubilità del matrimonio e il divorzio, Padova-Verona, Fratelli Drucker,
1902. Elementi di logica, ed. interamente rifusa, Firenze, Sansoni, 1905.
Disegno storico delle dottrine pedagogiche, Roma, Athenaeum, 1913. La dottrina
positiva delle idealità, Roma, Athenaeum, 1913. L'educazione morale, Milano, F.
Vallardi, 1914. I problemi fondamentali della educazione, 2ª ed. riveduta e
ampliata, Torino, Paravia, 1922. I problemi dell'Emilio di G. G. Rousseau,
Firenze, R. Bemporad e Figlio, 1925. La finzione dell'educazione o la pedagogia
del Come se, Torino, Paravia, 1925. L'educazione del soldato, con 50 problemi
per esercitazioni, Firenze, Ed. La Voce, 1925. Il problema della scienza nella
storia delle scienze : per i licei scientifici, Milano, Signorelli, 1927.
Dizionario delle scienze pedagogiche : opera di consultazione pratica con un
indice sistematico, direttore Giovanni Marchesini, collaboratori: Antonio
Aliotta, Giuseppe Aliprandi e altri, Milano, Soc. Edit. Libraria, 1929.
Note Vedi Treccani.it L'Enciclopedia
Italiana. Riferimenti in Collegamenti esterni. ^ Vedi il testo di Mariantonella
Portale, citato in Bibliografia, p. 20. ^ Ultima ristampa: Firenze, Sansoni,
1968. Bibliografia Mariantonella Portale, Giovanni Marchesini e la «Rivista di
filosofia e scienze affini». La crisi del positivismo italiano, Collana di
filosofia, Franco Angeli, 2010. Voci correlate Roberto Ardigò Positivismo Altri
progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Giovanni
Marchesini Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Giovanni
Marchesini Collegamenti esterni Marchesini ‹-ʃ-›, Giovanni la voce nella
Treccani.it L'Enciclopedia Italiana. URL visitato il 29/07/2012 Controllo di
autorità VIAF
(EN) 14905413 · ISNI (EN) 0000 0000 6135 2350 · SBN IT\ICCU\RAVV\061021 · LCCN
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XX1355050 (data) · BAV (EN) 495/198274 · WorldCat Identities (EN)
lccn-n99274639 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia
Categorie: Filosofi italiani del XIX secoloFilosofi italiani del XX
secoloPedagogisti italianiNati nel 1868Morti nel 1931Nati a Noventa
VicentinaMorti a Padova[altre]
Marchesini -- Roberto
Marchesini Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Voce da controllare Questa voce o sezione sull'argomento filosofi è
ritenuta da controllare. Motivo: voce autoreferenziale,con ref dell'autore e
citazioni di dubbia enciclopedicità Partecipa alla discussione e/o correggi la
voce. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Roberto
Marchesini Roberto Marchesini (Bologna, 16 aprile 1959) è un filosofo, etologo
e saggista italiano. Cardine della sua proposta filosofica –
riconducibile, seppur con caratteristiche proprie, alla più ampia corrente del
Post-human – è lo smascheramento di quell'errore prospettico che pone l'uomo al
centro e a misura dei suoi predicati. «Comincerò il mio viaggio dal prato
più bello, quello che l'aria non abbandona un istante, il sole vi si intrappola
da splendere pur di notte ed i profumi vergini coesistono con quelli gravidi. È
qui che il dio Pan cadde la notte dei tempi, da qui iniziò il suo girovagare
incerto, all'unico desiderio d'amare» (R. Marchesini, Il dio Pan, p.
16) Indice 1 Formazione 2 Ricerche di entomologia ed etologia cognitiva 3
Bioetica e diritti animali 4 Zooantropologia 5 Etologia filosofica 6 Post-human
7 Narrativa 8 Progetti esteri 9 Collaborazioni editoriali 10 Note 11 Opere
scelte 11.1 Bioetica, diritti animali, pedagogia e scienze cognitive 11.2
Zooantropologia 11.3 Etologia filosofica 11.4 Posthuman 11.5 Arte 11.6
Narrativa 12 Altri progetti 13 i Collegamenti esterni Formazione Da
sempre affascinato dalla natura e, in particolare, dal regno animale, consegue
la laurea in Medicina Veterinaria presso l'Università di Bologna nei primi anni
ottanta. Ricerche di entomologia ed etologia cognitiva Parallelamente
agli anni di formazione universitaria, spinto da un forte interesse verso il
comportamento animale, stringe una feconda collaborazione e amicizia con
l'etologo Giorgio Celli, con il quale inizia a indagare le interazioni sociali
degli imenotteri. Per cinque anni conduce ricerche “sul campo” e, con l'ausilio
della macrofotografia, è in grado di immortalare quegli attimi di vita animale
altrimenti nvisibili all'occhio nudo: rituali di corteggiamento, di
accoppiamento e di trofallassi tra gli insetti che diventeranno il viatico per
tutta la sua ricerca futura. Nei suoi studi di entomologia approfondisce
l'analisi dei sistemi feromonali che saranno tema di alcune pubblicazioni e
della successiva ricerca sul comportamento e sul benessere animale. Nella
seconda metà degli anni ottanta, sotto la guida del professor Franco Pezza,
dell'Università degli Studi di Milano, studia i metodi di allevamento, i
parametri di benessere nelle aziende zootecniche, i fattori di incidenza del
rischio in zootecnia, le modalità di individuazione dei sinistri, pubblicando
alcuni lavori sulla medicina veterinaria delle assicurazioni. Inizia così
la sua collaborazione con diversi atenei sui temi del comportamento animale,
tenendo corsi e master di etologia applicata e medicina comportamentale. Alla
metà degli anni novanta entra nel Consiglio Direttivo della Società di Scienze Comportamentali
Applicate (SISCA) di cui diverrà Presidente focalizzando la propria attenzione
sul comportamento degli animali domestici, sugli stili di relazione
interspecifica, sui problemi e sulle patologie comportamentali. Osservando sul
campo le espressioni comportamentali e i processi di apprendimento degli
animali, inizia a considerare anacronistici e contraddittori i modelli
esplicativi tradizionali[1]. In sintesi, quello che Marchesini propone
nel panorama delle scienze cognitive è un superamento dei tre modelli
interpretativi al comportamento animale – quello behaviorista, quello etologico
classico e quello antropomorfico – in virtù di un modello mentalistico unitario
(un'unità necessaria che la mente, come fenomeno unico, richiede), che valga
sia per i processi consapevoli che inconsapevoli e che descriva espressione e
apprendimento in termini elaborativi dell'informazione, sistemici o
composizionali dellecomponenti, solutivi e non reattivi, evolutivi e
relazionali nella realizzazione ontogenetica. Questo porterà alla pubblicazione
di tre testi dal forte impatto innovativo: Intelligenze plurime (2008) e
Modelli cognit ivi e comportamento animale (2012) ed Etologia cognitiva.
Alla ricerca della mente animale (2018) Gli assunti di base della proposta
di Marchesini sono i seguenti: il soggetto è immerso in un campo di
possibilità filogenetiche che definiscono il tipo di intelligenza propensionale
o specie-specifica - da cui l'idea di pluralità cognitiva dove le diverse
intelligenze sono comparabili ma non commensurabili; il processo ontogenetico
di costruzione dell'identità si realizza grazie alle dotazioni innate, che
ricche di virtualità evolutive, possono essere organizzate in una molteplicità
di modi - da cui l'idea di rapporto dimensionale o direttamente proporzionale
di innato e appreso; l'espressione del soggetto è sempre proattiva, mossa cioè
da un obiettivo, e quindi frutto di una condizione problematica che il soggetto
cerca di risolvere attraverso ricette solutive fino al raggiungimento
dell'obiettivo - da cui il superamento del concetto di rinforzo. Vi è quindi
una ridefinizione della soggettività animale, come possesso del suo qui e ora,
e come capacità di mettere in dialogo tutte quelle istanze (ontogenetiche e
filogenetiche) che gli appartengono nella sua relazione con il mondo. Bioetica
e diritti animali Alla fine degli anni ottanta si iscrive alla facoltà di
Lettere e Filosofia dell'Università di Bologna, con l'intento di sondare il
rapporto uomo-natura da una prospettiva pedagogico-filosofica. In questi
anni inizia a portare nelle scuole percorsi progettati appositamente a misura
di bambini per permettere loro di conoscere la varietà del mondo animale
evitando letture antropomorfiche, quelle viziate, ad esempio, dai sedimentati
repertori culturali. È in questi anni che avviene uno degli snodi cardine
nell'attività di Marchesini: egli si accorge che le potenzialità che è in grado
di esprimere il binomio bambino – animale (o più in generale uomo – animale) è
da ricercarsi non nella performatività quanto piuttosto nelle dinamiche che la
relazione, unica e irripetibile, è in grado di generare. L'animale coinvolto
nelle attività didattiche non è più un oggetto dal quale attingere – quasi
fosse una fonte miracolosa – elementi benefici al percorso formativo del
bambino, ma è nel suo essere soggetto e capace di stipulare un patto con il
proprio interlocutore che lo fa divenire elemento imprescindibile di ogni
percorso formativo. L'esperienza condotta all'interno delle scuole porta
Marchesini alla stesura del volume Natura e pedagogia (1996), inizialmente nato
per divenire la sua tesi di laurea, ma pubblicato prima della conclusione degli
studi umanistici. Le attività con i bambini lo conducono in tutta Italia
portando in evidenza due aspetti: il divorzio che si è andato realizzando
tra l'uomo e le altre specie nella cultura contemporanea, con bambini che non
sono in grado di relazionarsi con gli animali e spesso nemmeno conoscono le
specie domestiche; la svalutazione degli animali e l'incapacità della società
contemporanea di avere consapevolezza dell'importanza della relazione con le
altre specie per lo sviluppo della personalità[2]. Per Marchesini la
svalutazione operata dalla società contemporanea parte dalla perdita di quel
rapporto di convivenza e di ospitalità che viceversa ancora caratterizzava la
cultura rurale. Nasce così il Concetto di soglia (1996) che esprime il bisogno
di uscire dalla dicotomia novecentesca dell'antropomorfismo e della
reificazione dell'eterospecifico. Temi già affrontati in due saggi precedenti,
Animali di città (1997), critico verso l'antropomorfizzazione degli animali da
compagnia, Oltre il Muro (1993), critico verso la reificazione dei cosiddetti
animali da utilità. Sono gli anni in cui riflette sul pensiero animalista e sulla
bioetica animale fondando, insieme a colei che diventerà la sua storica
collaboratrice, Sabrina Golfetto, la casa editrice Apeiron con lo scopo di
creare un luogo dove ospitare riflessioni e dibattiti su tali tematiche. Sono
gli anni in cui abbraccia, senza più abbandonarlo, il vegetarianesimo[3] e dà
vita assieme a Luisella Battaglia e a Margherita Hack a un'intensa attività
convegnistica che confluirà nella collana Quaderni di bioetica di cui sarà
direttore. Nel 2014 sostituisce Leonardo Caffo, che ne era stato fondatore e
primo direttore[4], nella direzione[5] di Animal Studies: Rivista Italiana di
Antispecismo. Nel maggio 2014 esce per le Edizioni Sonda Contro i diritti
degli animali? Proposta per un antispecismo postumanista. Il saggio affronta il
tema dello specismo passando in rassegna le incongruenze e le incoerenze
nascoste nelle maglie di un dibattito filosofico e culturale che pretende di
sospendere l'antropocentrismo, rimanendo all'interno di una cornice umanistica.
Il testo vede i commenti finali di Stefano Rodotà, Boria Sax, Luigi Lombardi
Vallauri e Ubaldo Fadini. Zooantropologia Negli anni novanta, porta la
neonata zooantropologia in Italia, disciplina all'interno della quale compie
una sistematizzazione sia a livello teorico, accanto alle antropologhe Eleonora
Fiorani e Sabrina Tonutti, sia a livello applicativo con la delineazione di
protocolli operativi nelle aree educative e assistenziali. Per ciò che
concerne la zooantropologia teorica, l'ipotesi di fondo proposta da Marchesini,
e riconducibile alla sua teoria della zootropia, è che gli animali nel corso
della storia non abbiano funto solo da produttori di prestazioni o di
collezioni di modelli da imitare ma altresì da alterità referenziale nei
processi antropopoietici. Marchesini sviluppa il concetto di "referenza
animale", inteso come contributo di cambiamento offerto all'uomo dalla
relazione con l'eterospecifico. Per Marchesini, per esempio, gli uccelli
non hanno insegnato all'uomo l'arte di volare - il modo di realizzare questa
attività - ma gli hanno ispirato la dimensione esistenziale del volare. Per
Marchesini i predicati umani - come la danza, la musica, la cosmesi, la tecnica
- vanno considerati come frutti ibridi, esito cioè dell'incontro relazionale
con le altre specie. Il motore della cultura umana è quindi per Marchesini
rintracciabile nell'incontro con l'alterità animale che, nella forma di una
vera e propria epifania, è stato capace di re-direzionare l'uomo lontano dal
suo centro filogenetico e dalla sua solipsia di specie dando vita a nuove
possibilità esistenziali. Per ciò che concerne la
zooantropologia applicata, opera una trasformazione in alcuni settori
delle attività di relazione con gli animali, dalla pet therapy alla pedagogia
cinofila, impostando i "protocolli dimensionali", vale a dire
individuando nel rapporto delle dimensioni di relazione, ciascuna dotata di
specificità sia di ordine relazionale che referenziale. In pet therapy lavorare
secondo l'approccio dimensionale significa evitare l'incontro generico tra un
paziente e un animale ma individuare le dimensioni di relazione che sono utili
al fruitore secondo i suoi bisogni specifici e renderle operative attraverso
attività specifiche. Allo scopo di formare nuovi operatori in grado di
lavorare secondo i protocolli dimensionali nel 1997 fonda, sempre assieme a
Sabrina Golfetto, SIUA (Scuola di Interazione Uomo-Animale) con sede a
Bologna. Nel 2002 si fa co-promotore di Carta Modena (Carta dei Valori e
dei Principi della Pet-Relationship) che riceve il patrocinio del Ministero
della Salute. Il documento mira a tutelare, all'interno del panorama della
attività assistite dagli animali (A.A.A.) sia il fruitore, il benessere
dell'animale coinvolto e il principio relazionale che dal binomio
scaturisce. Etologia filosofica Nel 2016 Roberto Marchesini pubblica
Etologia filosofica. Alla ricerca della soggettività animale con il quale
inaugura la riflessione ontologica sul carattere di soggettività animale, vale
a dire su che cosa differenzia un oggetto da un essere vivente. Nel testo
Marchesini rilegge l'ontologia animale in termini di "desiderio".
Essere animale significa prima di tutto "essere desiderante", una
condizione di non-equilibrio che rende gli animali protagonisti de loro
divenire nonché capaci di definire il corso della filogenesi di specie.
L'etologia filosofica diviene ben presto un campo di ricerca entro il quale
Roberto Marchesini e altri autori (in modo particolare la filosofa belga
Vinciane Despret e l'etologo francese Dominique Lestel) dialogano allo scopo di
ridefinire i contorni di ciò che intendiamo con essere animale.
Post-human Sempre negli anni novanta, inizia la ricerca filosofica di
Marchesini che va a innestarsi nella costellazione di studi definita come
post-human[6]. È di questo periodo la collaborazione con studiosi come
Antonio Caronia e Roberto Terrosi nella direzione di una ridefinizione
dell'umano quale entità ibrida, puntualizzato nel dettato di Marchesini che
vede l'uomo non più misura del mondo ma nemmeno misura di se stesso. In tale
corrente filosofica ci sono per Marchesini le giuste premesse per poter
articolare la propria riflessione in quanto il concetto di alterità nel
progetto post-human assume un significato molto più vasto, abbracciando di
fatto le entità non umane animali e macchiniche. Collabora con la rivista
Virus diretta da Francesca Alfano Miglietti, inaugurando una nuova estetica
basata sull'ibrido come manifestazione contemporanea del sublime. In tale luce
il Manifesto del Teriomorfismo postulato da Marchesini rappresenta il documento
attraverso il quale gli artisti rifiutano il dettato antropocentrico e
riconoscono la natura ibrida di ogni processo creativo[7]. All'interno di
tale campo d'indagine Marchesini sancisce il sodalizio con l'artista tedesca
Karin Andersen che porterà alla pubblicazione di Animal Appeal (2003) e a una
feconda collaborazione che travalica i campi disciplinari e rivela ancora una
volta i debiti che la cultura, in questo caso l'arte, ha contratto con le
alterità. Nel 1998 conosce Alfredo Salsano, storico, sociologo ed editor
della casa editrice Bollati Boringhieri, che affascinato dal lavoro di
Marchesini decide di pubblicare un primo saggio sul rapporto tra bios e techne
dal titolo La fabbrica delle chimere (1999), testo che si pone a cavallo tra le
precedenti esperienze in zooantropologia e bioetica e la nuova riflessione
postumanistica. Nel 2002 esce Post-human. Verso nuovi modelli di
esistenza, testo corposo, concettualmente denso e dalla molteplicità di
riferimenti, che ha suscitato un grande dibattito nel mondo accademico portando
il suo autore a divenire punto di riferimento per ogni ricognizione che vada ad
indagare i rapporti che intercorrono tra vivente (sia esso umano o animale) e
tecnica. Sempre nel medesimo anno fonda Il Centro Studi Filosofia Postumanista
allo scopo di promuovere e sviluppare in Italia le tematiche legate al
post-human da diverse prospettive, arte, letteratura, cinema, new media,
formazione. Innumerevoli saranno poi le pubblicazioni sul pensiero
postumanista, che vedranno nel 2009 la pubblicazione del saggio Il tramonto
dell'uomo. Inoltre, traduce, cura e scrive la postfazione dell'edizione
italiana del testo The Companion Species Manifesto (2003) della filosofa
americana Donna Haraway. Il 30 luglio 2014 esce per Mimesis Epifania
animale. L'oltreuomo come rivelazione nel quale Marchesini evidenzia come la
cultura non vada pensata in modo antropocentrico come l'esito autarchico di un
processo creativo interamente svolto dall'uomo, pur avvalendosi di materiale
zoomorfo, ma come una rivelazione - epifania - ispirata dal non umano.
Nel 2017 Roberto Marchesini torna in libreria con un volume interamente
dedicato al rapporto tra bios e tecnica, Tecnosfera. Proiezioni per un futuro
postumano (Castelvecchi). Il libro rilegge il connubio tra essere umano e
tecnologia come una partnership emersa dal corredo filogenetico della specie
Sapiens, mettendo in luce le potenzialità ibridatrici e plasmatrici della
tecnologia. Da questa prospettiva, ogni invenzione, ogni scoperta, ha un
effetto epifanico; apre, cioè, una nuova dimensione di imprevisto e di
opportunità che modifica i confini e la percezione di ciò che definiamo
umano. Narrativa Il mondo degli insetti così minuziosamente osservato
negli anni ottanta, risulta essere particolarmente evocativo anche da un punto
di vista estetico e narrativo tant'è che nel 1988 Marchesini dà alla luce la
raccolta di racconti lirici Il dio Pan, frutto in parte anche delle
osservazioni compiute tra gli imenotteri. Nei brevi racconti dedicati al
dio agreste della mitologia greca, Marchesini cerca di sfatare il mito di una
natura, da un lato meccanicistica (mera esecutrice dei dettami della genetica)
e dall'altro lato bucolica e idealizzata che nulla o poco rappresenta ciò che
l'autore mira ad affrescare: una natura reale, un mondo del vivente a volte
crudele ma in grado di interconnettere profondamente tutti i suoi abitanti: la
preda e il predatore, la cavalletta e la mantide. Il testo, recepito
positivamente dall'ambiente culturale bolognese, porta Marchesini a stretto
contatto con il poeta Roberto Roversi, altra figura che influenzerà
profondamente la sua attività futura portandola a spingersi in plurimi
territori e a cavallo di numerosi discipline: dalla narrativa alla poesia,
passando per la filosofia. Nel 1998 pubblica il romanzo Uscendo da Lauril
mentre nel 2000 la raccolta di racconti Specchio animale che ospita la
postfazione del poeta e scrittore Francesco Leonetti. Con la pubblicazione di
Uscendo da Lauril in particolare, Marchesini intraprende l'esperimento di
trasferire sul piano narrativo le evocazioni postumanistiche partendo dalla
poetica cyber-punk. In entrambi i lavori è possibile ritrovare quegli elementi
che contraddistinguono la speculazione filosofica di Marchesini: la dialettica
tra identità alterità, il rifiuto di qualsiasi mito della purezza originaria e
di ogni forma di antropocentrismo. Il 14 novembre 2013 esce per la casa
editrice Mursia Ricordi di animali, l'autobiografia di Marchesini volta a
raccogliere la storia di vita dell'etologo osservata tramite la lente dei
numerosi animali che ne hanno scandito le tappe fondamentali. Nel 2018 è
invece la volta de La filosofia del giardiniere, pubblicato dalla Graphe
edizioni nella collana Parva. Il libro è composto di due parti, nella prima il
lettore è condotto dalle parole a passeggiare nel giardino, novello atelier
darwiniano, con stupore e riverenza. Nella seconda sono le immagini di alcuni
giardini del mondo a far continuare la riflessioni sulla cura, portate avanti
da Marchesini. Roberto Marchesini nel Centro Studi di Galliera
(Bologna) Progetti esteri Roberto Marchesini tiene regolarmente conferenze in
diversi paesi del mondo tra i quali: Stati Uniti, dove dal 2013 tiene
annualmente una lecture presso l'Università di Harvard, Brasile, Messico, Cile,
India, Australia, Francia, dove nel 2009 è stato ospite della Sorbona, Spagna,
Portogallo. Il 21 aprile 2016 è uscito per la rivista Angelaki: Journal
of the Theoretical Humanities il numero "Philosophical Ethology III:
Roberto Marchesini" a cura di Jeffrey Bussolini, Brett Buchanan e Matthew
Chrulew che raccoglie i passaggi più significativi del lavoro di Marchesini
tradotti in inglese. Nel 2017 esce invece per Springer, Over the human.
Post-humanism and the concept of animal epiphany, volume che presenta al
pubblico anlglofono la proposta postuamista di Roberto Marchesini e, in modo
particolare, il concetto di epifania animale. I suoi lavori sono stati
tradotti in inglese, portoghese, spagnolo e francese e tedesco. Collaborazioni
editoriali Roberto Marchesini è autore di oltre quaranta volumi, più di un
centinaio di saggi apparsi in opere collettanee e riviste accademiche, scrive
inoltre sulle pagine culturali di vari quotidiani nazionali tra cui Il
manifesto e La Stampa. Ha avuto infine una lunga collaborazione con
Tuttoscienze'. Da ottobre 2017 cura inoltre la rubrica etologia a cadenza
settimanale "Gli animali che dunque siamo"[8] per Il Corriere della
Sera. Note ^ Roberto Marchesini, Intelligenza emotiva versus intelligenza
cognitiva, in Pluriverso, vol. 3, La Nuova Italia, 2001, pp. 22-33. ^ R.
Marchesini, Introduzione all'edizione italiana di H. Montagner, Il bambino,
l'animale, la scuola, Bologna, Perdisa, 2001, pp.VII-XI ^ R.Marchesini, R.
Trespidi, V. Falabella, B. Salvini, G. Cocca, La via vegetariana per un mondo
migliore, Vimercate, La spiga vegetariana, 1992 ^ Riferimento a pagina 2:
http://www.novalogos.it/drive/File/LIBRO%20ANIMAL%20STUDIES%201-2012.pdf ^
http://www.novalogos.it//drive/File/animalstudies(5).pdf ^ Rosi Braidotti, The
Posthuman, John Wiley & Sons, 2013 ^ R. Marchesini, Teriomorfismo, Bologna,
Apeiron, 2010 ^ La rubrica etologica di Roberto Marchesini per Il Corriere
della Sera, su corriere.it. Opere scelte Bioetica, diritti animali, pedagogia e
scienze cognitive R. Marchesini, Oltre al muro, Torino, Franco Muzzio Editore,
1993, ISBN 978-88-7021-778-0. R. Marchesini, Natura e pedagogia, Roma, Theoria,
1996. R. Marchesini, Il concetto di soglia, Roma, Theoria, 1996. R. Marchesini,
Io e la natura, Forlì-Cesena, Macro Edizioni, 1998. R. Marchesini, La fabbrica
delle chimere. Biotecnologie applicate agli animali, Torino, Bollati
Boringhieri, 1999, ISBN 978-88-339-1197-7 R. Marchesini, Bioetica e scienza
veterinarie, Edizioni Scientifiche Italiane, 2001, ISBN 978-88-495-0117-9. R.
Marchesini, "Intelligenza emotiva versus intelligenza cognitiva", In
Pluriverso, Firenze, La Nuova Italia, 2001, pp. 22-36. R. Marchesini, Bioetica
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ISBN 978-88-8372-148-9. R. Marchesini, Intelligenze plurime. Manuale di scienze
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cane secondo me. Vi racconto quello che ho imparato dai cani, Alessandria,
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Riflessioni sulla cura, Perugia, Graphe.it edizioni, 2018, ISBN 978-8893720274.
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Marchetti -- Alessandro
Marchetti (matematico) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
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Marchetti Alessandro Marchetti (Empoli, 17 marzo 1633 – Pisa, 6 settembre 1714)
è stato un matematico e filosofo italiano, noto come il primo traduttore di
Lucrezio in lingua italiana. Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Bibliografia
4 Voci
correlate 5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Professore di filosofia, poi di matematica all'Università di
Pisa, continuò le ricerche di Galileo nel campo della meccanica, come il suo
contemporaneo Vincenzo Viviani. Collaborò con il medico Giuseppe Del Papa,
lettore di logica e filosofia nell'ateneo pisano. Oltre che matematico, fu anche poeta —
scrisse, infatti, alcune rime religiose, morali ed eroiche —, ma l'opera cui
deve la sua fama è la traduzione del De rerum natura di Lucrezio, pubblicata
postuma nel 1717 (ma già in precedenza circolante manoscritta) con il titolo
Della natura delle cose. Considerata come il manifesto del razionalismo
cartesiano, la traduzione di Marchetti influì notevolmente sul gusto arcadico
per la purezza della lingua e l'eleganza dello stile. La diffusione di idee atee e materialiste
attirò sul Marchetti l'accusa di empietà. Pur rifugiatosi nella poesia, non
riuscì ad evitare le indagini del Sant'Uffizio, ispirate soprattutto dal gesuita
lucchese Giovanni Francesco Vanni. Per altre sue opere di successo fu attaccato
dagli oppositori di Galileo. Fece parte
di numerose accademie: Accademia dei Disuniti, Accademia dell'Arcadia,
Accademia dei Fisiocritici, Accademia dei Risvegliati, Accademia della Crusca e
Accademia Fiorentina. Opere De
resistentia solidorum, Florentiae, typis Vincentij Vangelisti & Petri
Matini, 1669 (opera abbastanza interessante, basata sulla teoria galileiana,
cui Marchetti dà una struttura assiomatica rigorosa. Tratta in larga parte il
problema dei solidi di uniforme resistenza, precedendo di mezzo secolo
l'importante trattato di Luigi Guido Grandi). Exercitationes mechanicae, Pisis,
ex typographia Io. Ferretti, 1669. Della natura delle comete. Lettera scritta
all'illustriss. sig. Francesco Redi, In Firenze, alla Condotta, 1684. Saggio
delle rime eroiche morali e sacre dedicato all'altezza reale di Ferdinando
principe di Toscana, In Firenze, nella stamperia di Cesare Bindi, 1704.
Anacreonte tradotto dal testo greco in rime toscane da Alessandro Marchetti
accademico della Crusca e da lui dedicato all'altezza reale di Ferdinando
principe di Toscana, In Lucca, per Leonardo Venturini, 1707. Tito Lucrezio
Caro, Della natura delle cose libri sei tradotti da Alessandro Marchetti,
Londra, per Giovanni Pickard, 1717. Vita e poesie d'Alessandro Marchetti da
Pistoja filosofo e matematico all'illustrissimo sig. cavaliere Francesco Feroni
marchese di Bellavista patrizio fiorentino e accademico della Crusca, Venezia,
appresso Pietro Valvasense, 1755 (Contiene poesie postume con la Vita scritta
dal figlio Francesco). Bibliografia Gustavo Costa, Epicureismo e pederastia. Il
Lucrezio e l'Anacreonte di Alessandro Marchetti secondo il Sant'Uffizio,
Firenze, L.S. Olschki, 2012. MARCHETTI, Alessandro, in Dizionario di filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Cesare Preti, MARCHETTI, Alessandro,
in Dizionario biografico degli italiani, vol. 69, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2007. Mario Saccenti, Lucrezio in Toscana. Studio
su Alessandro Marchetti, Firenze, L.S. Olschki, 1966. Voci correlate De rerum
natura Razionalismo Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene
una pagina dedicata a Alessandro Marchetti Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Alessandro Marchetti
Collegamenti esterni Alessandro Marchetti, su Treccani.it – Enciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Giulio Natali,
Alessandro Marchetti, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Modifica su Wikidata Alessandro Marchetti, su
accademicidellacrusca.org, Accademia della Crusca. Modifica su Wikidata Opere
di Alessandro Marchetti, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su
Wikidata Controllo di autorità VIAF
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495/109960 · CERL cnp00951070 · WorldCat Identities (EN) viaf-38398606
Biografie Portale Biografie Letteratura Portale Letteratura Matematica Portale
Matematica Categorie: Matematici italiani del XVII secoloFilosofi italiani del
XVII secoloNati nel 1633Morti nel 1714Nati il 17 marzoMorti il 6 settembreNati
a EmpoliMorti a PisaAccademici dell'ArcadiaVittime dell'InquisizioneProfessori
dell'Università di PisaTraduttori dal latinoTraduttori dal greco
all'italiano[altre]
Marchi -- Vittore Marchi Da
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Vittore Arnaldo Marchi (Potenza, 6 settembre 1892 – Roma, 1981) è stato un
filosofo, magistrato e generale di corpo d’armata italiano, Medaglia d'oro dei
Benemeriti dell'Educazione Nazionale.
Indice 1 Biografia
2 Pubblicazioni
principali 3 Riconoscimenti
4 Note
5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Professore dell'Università di Roma “La Sapienza” di Storia
della Filosofia e Filosofia della Religione, curò la pubblicazione di diverse
riviste in cui si confrontarono alcuni studiosi del primo Novecento italiano
come Bernardino Varisco. Tra queste Dio e Popolo e L'idealismo realistico. Dio e Popolo, rivista di ispirazione
mazziniana, accoglie scritti miranti alla ricostruzione della filosofia
religiosa di Giuseppe Mazzini e i rapporti tra religione e stato[1]; nega
l'ateismo e persegue l'ideale di “repubblica”. L'idealismo realistico, rivista
attiva tra gli anni 1924 e 1931 circa, raccoglie saggi e teorie filosofiche di
stampo antigentiliano[2]. A lui è
dedicato il Premio tesi di Laurea “Vittore Marchi”, bandito dall'Università
degli Studi Roma Tre per i neolaureati che abbiano sostenuto tesi su un
argomento concernente il pensiero filosofico antico degne di essere pubblicate;
e il parco "Vittore Arnaldo Marchi" a Roma, Municipio IV. Pubblicazioni principali Ricostruzione della
filosofia religiosa di Mazzini, in Dio e Popolo, 1911; La missione di Roma nel
mondo, Atanòr Ed., 1915; Il concetto e il metodo della storia della filosofia,
1919; Filosofia e religione, La perseveranza Ed., Potenza 1922; La filosofia
morale e giuridica di Giovanni Gentile, Stabilimento Tipografico F.lli Marchi,
Camerino 1923; Relazione tra la filosofia teoretica e la filosofia pratica, in
L'idealismo realistico, Roma 1924; Le prove dell'esistenza di Dio, in
L'idealismo realistico, Roma 1924. Riconoscimenti Medaglia d'oro ai Benemeriti
dell'Educazione Nazionale Gli è stato dedicato un parco a Roma Note ^ Antonio
Gramsci (a cura di J. A. Buttigiec), Prison notebooks Vol. 1, New York,
Columbia University Press, 1992. ^ G. De Turris, Fenomenologia dell'individuo
assoluto, Roma, Edizioni Mediterranee, 2007. Altri progetti Collabora a
Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Vittore Marchi
Collegamenti esterni http://www.uniroma3.it/news.php?news=603 Controllo di
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Categorie: Filosofi italiani del XX secoloMagistrati italianiNati nel 1892Morti
nel 1981Nati il 6 settembreNati a PotenzaMorti a Roma[altre]
Marchi -- Luigi De Marchi (psicologo) Da
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{{AiutoE|Luigi De Marchi (psicologo)}}--~~~~ Luigi De Marchi Luigi De
Marchi (Brescia, 17 luglio 1927 – Roma, 24 luglio 2010) è stato uno psicologo e
saggista italiano. Psicoterapeuta di formazione reichiana, umanista,
autore di scritti talvolta controversi perché a scopo provocatorio[1], si
definiva Solista ed amava stare «fuori dall'Accademia». Indice 1 Biografia, attività e pensiero 2 Istituto
di Psicologia Umanistica Esistenziale "LUIGI DE MARCHI" - IPUE 2.1 Modello, Fondatori e Storia
della Scuola 3 Note
4 Opere
5 Articoli
6 Voci
correlate 7 Collegamenti
esterni Biografia, attività e pensiero Psicologo clinico e sociale, politologo
e autore di numerosi saggi pubblicati in Europa e in America, è stato protagonista
di varie battaglie per i diritti civili e sessuali, riuscendo nel 1971, con una
sentenza della Corte Suprema[non chiaro] sulla “Vertenza tra il Presidente del
Consiglio dei Ministri, On. Emilio Colombo, e il Prof. Luigi De Marchi”, ad
ottenere la revoca dei divieti penali all'informazione e all'assistenza
anticoncezionale e ad avviare la realizzazione di una rete di migliaia di
consultori sessuologici e familiari pubblici.[senza fonte] Nei primi anni
cinquanta è stato tra i fondatori dell'AIED[2], guidando per 20 anni
l'Associazione in qualità di Segretario Nazionale. De Marchi ha dato per oltre
quarant'anni un contributo determinante non solo alla segnalazione della
pericolosità dell'esplosione demografica (da lui definita “la madre di tutte le
tragedie”) e dei suoi corollari (fame, guerre, genocidi, disastri ambientali,
disoccupazione di massa, migrazioni disperate, crisi energetica mondiale) ma
anche al chiarimento dei meccanismi psicologici che hanno finora impedito di
comprendere e di affrontare questa tragedia planetaria. In particolare, negli
anni ‘70, ha dimostrato con alcuni fotoromanzi interpretati da noti attori
(Paola Pitagora, Ugo Pagliai, Paola Gassman, Marco Zavattini e Mario
Valdemarin) che i messaggi mass-mediatici associati alla psicologia
motivazionale sono lo strumento più efficace per indurre le masse alla
regolazione delle nascite: una tesi oggi confermata da varie organizzazioni
internazionali. Negli anni dal '60 all'‘80 De Marchi è stato presidente
italiano di tre importanti Scuole di Psicoterapia da lui fondate: quella
psico-corporea di Wilhelm Reich, quella bioenergetica di Alexander Lowen e
quella umanistica di Carl Rogers. A partire dai primi anni ‘80 De Marchi
matura un diverso punto di vista nei confronti degli approcci teorici di Reich,
Lowen e Rogers (a suo parere non avevano colto fino in fondo l'importanza della
coscienza e dell'angoscia della morte nella genesi delle patologie psichiche
umane) e propone nel 1984 una teoria della cultura e della nevrosi in un libro (“Scimmietta
ti amo -Psicologia Cultura Esistenza: da Neanderthal agli scenari atomici ”
Ed.Longanesi – “Lo shock primario”, Ultima Ed. 2002, Rai-Eri) che nell'edizione
tedesca viene proclamato “Libro del Mese”. Nel 1986 fonda a Roma l'Istituto di
Psicologia Umanistica Esistenziale, oggi diretto dalla dr.ssa Antonella
Filastro. Pioniere europeo della ricerca psico-sociale, De Marchi è stato
Presidente Onorario della Società Italiana di Psicologia Politica . I suoi
contributi in questo campo sono stati: 1) la fondazione della Psicopolitica (un
metodo di analisi psicologica dei fenomeni socio-culturali che da trent'anni
propone una “lettura” psicologica di tali fenomeni, diversa da quelle di
carattere marxista, idealista o istituzionalista finora prevalse, con risultati
fallimentari, nelle scienze sociali e politiche tradizionali); 2)
l'elaborazione d'una nuova "Psicologia Politica Liberale" . Dai primi
anni novanta De Marchi si è interessato anche al teatro e alla televisione,
creando programmi di cui Federico Fellini scrisse nel '92: “Ecco una nuova
televisione culturale di cui c'è, oggi, bisogno”. E per oltre due anni ha
condotto un programma di psicologia su RaiUno ” La chiave d'oro” con l'attore
Rodolfo Baldini. Paolo Guzzanti ha scritto di lui: “De Marchi è un felice
incrocio tra Bertrand Russell e Woody Allen”. Attivista per il
riconoscimento dei diritti alla contraccezione, al divorzio, all'interruzione
di gravidanza e all'eutanasia, ha fondato il CISA (Centro informazioni
sterilizzazione aborto) che negli anni settanta anticipò la legge sull'aborto
in Italia, e l'AIED (Associazione italiana per l'educazione demografica). Ha
costantemente sostenuto l'importanza del problema della crescita demografica e
dei problemi economici, ecologici, sociali e psicologici ad essa
connessi. Pur essendo favorevole alla chiusura dei manicomi, ha criticato
la legge Basaglia in quanto scaricava sulle famiglie il problema dei malati
psichiatrici pericolosi; parlando dei delitti in famiglia, De Marchi evidenziò
come il nucleo familiare resti il luogo principale in cui avvengono gli
omicidi, a suo giudizio "frutto del fallimento" della legge 180 sulla
salute mentale. Egli propose «una riforma radicale e l'apertura di cliniche
psichiatriche che non siano i vecchi manicomi ma strutture umanizzate, oltre
che di centri per l'attività riabilitativa».[3] Aderente al Partito
Radicale, ha tenuto per tredici anni, dal 1995 al 2008, la rubrica
bisettimanale "Controluce" su Radio Radicale, in cui ha trattato temi
che venivano altrove trattati con conformismo: il sesso e l'amore, la
procreazione e la contraccezione, le malattie e la morte, il lavoro e le
rendite, la libertà e l'autoritarismo.[4] È stato autore della
"Teoria liberale della lotta di classe", sviluppata nel 2000 nel
volume O noi o loro!.[5] Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale
"LUIGI DE MARCHI" - IPUE Modello, Fondatori e Storia della Scuola
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Luigi De Marchi è mosso dalle radici comuni teoriche ed epistemologiche
riconducibili alla fenomenologia e all'esistenzialismo, fondamentali correnti
filosofiche del ‘900, e da alcuni autori significativi del movimento della
psicologia umanistico-esistenziale americana ed europea - in particolare Carl
Rogers, Otto Rank, Viktor Frankl, Ludwig Binswanger, Medard Boss, Karl Jaspers,
Eugène Minkowski - . Eredita la particolare concezione dell'uomo e della vita,
che rivendica all'essere umano il diritto e la capacità di scelta.
Consapevole della sovrabbondanza di Scuole Psicologiche esistenti in Italia
esitò prima di fondare l'Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale
(IPUE). Per molti anni preferì lavorare nell'ambito di indirizzi già
affermati, che sentiva geniali e creativi e nel ventennio 1960-1980 fu
l'iniziatore della Scuola Reichiana in Italia Presidente dell'Istituto di
Bioenergetica W. Reich di Roma e per 6 anni Presidente dell'Istituto di
Psicologia Rogersiana (FDI) e inoltre concorse a riscoprire e valorizzare
l'opera pionieristica di Otto Rank con la pubblicazione della sua opera:
"Otto Rank pioniere misconosciuto" Melusina Editrice 1992.
Negli anni 80 esperienze personali drammatiche e ricerche in campo clinico e
antropologico imposero alla sua attenzione l'importanza dell'angoscia di morte
come uno dei più importanti fattori che contribuiscono alla sofferenza
psicologica e psicopatologica. Sentì allora l'esigenza di creare una
nuova Scuola che riuscisse a riconoscere la rilevanza di questa angoscia
primaria dell'uomo e di sviluppare un approccio originale, pluralista e non
dogmatico alla sofferenza umana, fondato sull'integrazione sinergica delle tre
dimensioni, di approccio simultaneoall'essere umano in terapia verbale,
corporea ed esistenziale. Si tratta di un modello che nasce sulla scia
della filosofia esistenziale, dalla quale eredita la concezione dell'uomo e
della vita che rivendica all'essere umano il diritto e la capacità di scelta e,
intende: (1) offrire la possibilità di elaborare e affrontare le tremende
tensioni esistenziali di ogni essere umano anche nel percorso di malattia
psichica e somatica nel clima di contatto empatico, di solidarietà,
convogliando nel processo terapeutico il grande potenziale di crescita e
comunicazione del paziente, la sua conoscenza dei propri bisogni, la sua
creatività, l'apporto decisivo della sua esperienza. 2) che si presenta
multidimensionale, integrato e non dogmatico alla sofferenza umana e psichica e
costantemente aperto ad arricchire la propria prospettiva teorica e clinica
attraverso un confronto critico e di fertilizzazione con altri approcci
psicoterapici, e interviene su 4 dimensioni fondamentali dell'esperienza
umana: - la dimensione empatico relazionale, che definisce il nostro modo
di essere nel mondo con gli altri; - la dimensione corporea, che spesso
esprime sotto forma di tensioni e dolori muscolari la sofferenza psicologica;
- la dimensione esistenziale, che riconosce l'importanza del senso che si
riesce a dare alla propria esistenza; - la dimensione cognitiva, che
riconosce la rilevanza sintomatica della sofferenza psicologica e
psicopatologica. Note ^ Un esempio di testo provocatorio, scritto senza
avere alcuna competenza in infettivologia, è il seguente sulla cospirazione
dell'AIDS: Luigi De Marchi, AIDS......affare multi Miliardario, su mednat.org.
URL consultato il 16 giugno 2015. e Aids, la grande truffa continua (2003) in:
L. De Marchi, Il nuovo pensiero forte. Marx è morto, Freud è morto e io mi
sento molto meglio (2007); altri scritti di critica, più documentati, hanno
riguardato le sue critiche alle prassi della chemioterapia dei tumori e gli
effetti collaterali, come in Kaputt tutta la ricerca sul cancro? (1999), sempre
in De Marchi, op. cit. ^ Addio a Luigi De Marchi lo psicologo che inventò
l'Aied - Repubblica.it ^ Addio a Luigi De Marchi, lo psicologo che inventò
l'Aied ^ L. De Marchi, Il Solista - Autobiografia d'un italiano fuori dal coro,
Edizioni Interculturali (2003) ^ Luca Bagatin, articolo su Politica Magazine,
su lucabagatin.ilcannocchiale.it. URL consultato l'8 aprile 2015 (archiviato
dall'url originale l'8 ottobre 2009). Opere Sesso e civiltà, Laterza (1960)
introduzione: Wilhelm Reich, Teoria dell'orgasmo e altri scritti, Lerici (1961)
Sociologia del sesso, Laterza (1963) Repressione sessuale e oppressione
sociale, Sugar (1964) Wilhelm Reich – Biografia di un'idea, Sugar (1970)
Psicopolitica, SugarCo (1975) Vita e opere di Wilhelm Reich (2 volumi), SugarCo
(1981) Scimmietta ti amo, Longanesi (1983) Lo shock primario. Le radici del
fanatismo da Neandertal alle Torri Gemelle, RAI-ERI (1984; poi 2002) ISBN
978-88-397-1208-0 Poesia del desiderio, La Nuova Italia (1992; poi 1998 Seam
ISBN 978-88-8179-162-0) Perché la Lega, Mondadori (1993) Il Manifesto dei
Liberisti – Le idee-forza del nuovo Umanesimo Liberale, Seam (1995) ISBN
978-88-8179-044-9 Aids. La grande truffa (con Fabio Franchi), Roma, Seam (1996)
ISBN 978-88-8179-048-7 O noi o loro! – Produttori contro Burocrati, ecco la
vera lotta di classe della Rivoluzione Liberale, Bietti (2000) ISBN
978-88-8248-111-7 Il Solista - Autobiografia d'un italiano fuori dal coro,
Edizioni Interculturali (2003) ISBN 978-88-88375-14-4 Psicoterapia umanistica.
L'anima del corpo: sviluppi europei (con Antonio Lo Iacono, Maria Rita Parsi),
Franco Angeli (2006) ISBN 978-88-464-7426-1 Wilhelm Reich Una formidabile
avventura scientifica e umana (con Vincenzo Valenzi), Macro Edizioni (2007)
ISBN 978-88-7507-859-1 Il nuovo pensiero forte – Marx è morto, Freud è morto e
io mi sento molto meglio, Spirali (2007) ISBN 978-88-7770-796-3 Svolta a
destra? Ovvero non è conservatore chi combatte parassiti, fannulloni e
sfruttatori, Armando Curcio Editore (2008) ISBN 978-88-95049-43-4 Articoli
Luigi De Marchi, La Psicologia Umanistica Esistenziale – Rivista delle
Psicoterapie, Università di Roma “La Sapienza”, vol. 2, n. 2, 1997 Voci
correlate Associazione italiana per l'educazione demografica (AIED) Wilhelm
Reich Collegamenti esterni Blog ufficiale, su luigidemarchi.blogspot.com.
Modifica su Wikidata Opere di Luigi De Marchi, su openMLOL, Horizons Unlimited
srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Luigi De Marchi, su Open Library,
Internet Archive. Modifica su Wikidata Registrazioni di Luigi De Marchi, su
RadioRadicale.it, Radio Radicale. Modifica su Wikidata Istituto di Psicologia
Umanistica Esistenziale "Luigi De Marchi" - IPUE, su ipue.it.
Archivio IPUE, su luigidemarchi.wordpress.com. Archivio della rubrica
"Controluce" che Luigi De Marchi teneva su Radio Radicale, su
radioradicale.it. Renato Vignati Luigi De Marchi, un pionieredella psicologia
italiana in Psychomedia (PM, 8 settembre 2010) Renato Vignati Lo sguardo sulla
persona. Psicologia delle relazioni umane, Libreriauniversitaria.it edizioni,
Padova, 2016. ISBN-13: 9788862927345 Sito sul pensiero di De Marchi, su
il-demarchi-pensiero.it. Controllo di autorità VIAF
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Filosofia Politica Portale Politica Psicologia Portale Psicologia Categorie:
Psicologi italianiSaggisti italiani del XX secoloSaggisti italiani del XXI
secoloNati nel 1927Morti nel 2010Nati il 17 luglioMorti il 24 luglioNati a
BresciaMorti a RomaPsicoterapeuti italianiPolitici del Partito
RadicalePolitologi italianiFilosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del
XXI secolo[altre]
Marconi -- Diego Marconi Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Diego
Marconi (Torino, 10 giugno 1947) è un filosofo italiano. Professore ordinario di Filosofia del
linguaggio all'Università di Torino, ha studiato con Luigi Pareyson a Torino e
con Nicholas Rescher, Wilfrid Sellars e Richmond H. Thomason a Pittsburgh, dove
ha scritto la sua tesi di Ph.D. su Hegel. Noto per i suoi contributi sul
pensiero di Wittgenstein, tra cui la tesi di laurea, è stato tra i primi in
Italia a promuovere la collaborazione dei filosofi con informatici e scienziati
cognitivi. In questo campo ha presentato diversi risultati, specie riguardo al
problema dell'analisi del linguaggio. Su questi temi ha pubblicato Lexical
Competence (MIT Press, 1997) e Filosofia e scienza cognitiva (Laterza, 2000).
Ha curato con Maurizio Ferraris la nuova edizione della Enciclopedia filosofica
Garzanti ed è stato presidente della Società Italiana di Filosofia Analitica
(SIFA) e membro fondatore della European Society for Analytic Philosophy
(ESAP). Indice 1 Opere 1.1 Saggi
1.2 Curatele
1.3 Saggi
su Marconi 2 Collegamenti
esterni Opere Saggi Il mito del linguaggio scientifico. Studio su Wittgenstein,
Milano, Mursia, 1971; Dizionari e enciclopedie, Torino, Giappichelli, 1982 (2ª
ed. accresciuta, 1986); L'eredità di Wittgenstein, Roma-Bari, Laterza, 1987
(poi Lampi di Stampa, 1999); Lexical Competence, MIT Press, 1997 (trad. it. La
competenza lessicale, Roma-Bari, Laterza, 1999); La filosofia del linguaggio.
Da Frege ai giorni nostri, Torino, Utet, 1999; Filosofia e scienza cognitiva,
Roma-Bari, Laterza, 2001; Per la verità. Relativismo e la filosofia, Torino,
Einaudi, 2007; Verità, menzogna (con Roberto Vignolo), Trento, Il Margine, 2014;
Il mestiere di pensare. La filosofia nell'epoca del professionismo, Torino,
Einaudi, 2014. Curatele La formalizzazione della dialettica: Hegel, Marx e la
logica contemporanea, Torino, Rosenberg & Sellier, 1979. Guida a
Wittgenstein: Il «Tractatus», dal «Tractatus» alle «Ricerche», Matematica,
Regole e Linguaggio privato, Psicologia, Certezza, Forme di vita. Saggi di M.
Andronico, R. Casati, P. Frascolla, D. Marconi, M. Messeri, L. Perissinotto, A.
Voltolini, Roma-Bari, Laterza, 1997. Filosofia analitica (1996-1998).
Prospettive teoriche e revisioni storiografiche (con Michele Di Francesco e
Paolo Parrini), Milano, Guerini e associati, 1998. Knowledge and meaning.
Topics in Analytic Philosophy, Vercelli, Mercurio, 2000. Scritti sulla
tolleranza (John Locke), Torino, UTET, 2005. Saggi su Marconi Il significato
eluso. Saggi in onore di Diego Marconi (a cura di Marilena Andronico, Alfredo
Paternoster e Alberto Voltolini), numero monografico della «Rivista di
estetica», 34/1, 2007. Collegamenti esterni Marconi, Diego, in Treccani.it –
Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Intervista a Diego
Marconi di Michele Herbstritt, Rivista italiana di filosofia analitica, sito
dell'Università degli Studi di Milano. Controllo di autorità VIAF (EN)
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Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi
italiani del XXI secoloNati nel 1947Nati il 10 giugnoNati a Torino[altre]
Mariano -- Raffaele Mariano Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Raffaele
Mariano (Capua, 5 settembre 1840 – Firenze, 1912) è stato un filosofo e storico
italiano. Indice 1 Biografia
2 Mariano
filosofo e critico 3 Mariano
storico 4 Opere
filosofico-critiche, monografie e saggistica 5 Opere
storico-religiose 6 Riconoscimenti
7 Bibliografia
8 Collegamenti
esterni Biografia Fedelissimo allievo di Augusto Vera, si occupò di filosofia e
storia delle religioni. Fu docente di Storia della Chiesa presso l'Università
di Napoli negli anni tra il 1885 al 1904. La sua indagine fu prevalentemente
orientata verso l'interpretazione del pensiero di Hegel con argomentazioni
comuni agli esponenti della destra hegeliana ottocentesca. Mariano
filosofo e critico Come filosofo può essere collocato insieme al suo maestro in
quella tendenza affermatasi nella seconda metà dell'Ottocento che privilegiava
l'interpretazione sistematica e razionale rispetto a quella rivoluzionaria dei
testi di Hegel, denominata hegelismo ortodosso. Nelle sue interpretazioni
inserì talvolta temi non strettamente legati al pensiero di Hegel affermando tra
l'altro che "la filosofia deve essere compiuta dalla religione"
(Dall'idealismo nuovo a quello di Hegel, Motivi, risonanze e variazioni sulle
dottrine hegeliane), trattando riguardo a "ciò che dell'idealismo di Hegel
è morto e di ciò che non può morire", argomento precedentemente trattato
da Benedetto Croce, il quale risponde aspramente alle argomentazioni proposte
da Mariano sul 6º numero del 1908 de "La critica. Rivista di Letteratura,
Storia e Filosofia" diretta dallo stesso Croce: «il Mariano non ha
mai capito nulla di tutto ciò che vi è di più sostanziale in Hegel come non ha
meditata seriamente nessuna grande filosofia; e (ora si può aggiungere) non ne
ha mai letto le opere. Immaginarsi che il Mariano si afferma hegeliano, mentre
sostiene che la conoscenza non è assoluta; che rimane insuperabile il mistero;
che dio esiste fuori del mondo e sarebbe dio anche senza il mondo; e che la
filosofia deve essere compiuta dalla religione!Insomma, ciò che di Hegel
"non può morire" sarebbe ciò che Hegel non ha mai detto perché
affatto indegno della sua mente altissima.» Nel 1864 si schierò a favore
del mantenimento della pena di morte in un dibattito sul tema, in accordo con
il suo maestro Augusto Vera ( La pena di morte. Considerazioni in appoggio del prof.
Vera, 1864, Napoli. ), uno dei più autorevoli difensori del mantenimento di
questa pratica. È ancora Croce che commenta con grave disappunto
l'argomento: «Notiamo in ultimo che sempre riecheggiando i vaniloqui del
Vera, il Mariano si professa filosofico difensore della pena di morte (p. IX):
come se la maggiore o minore opportunità di mettere i delinquenti in
segregazione cellulare, o d'impiccarli, ghigliottinarli, garrottarlie
impalarli, costituisse una questione filosofica. Ma il Mariano ama tutte le cause
generose; e non è da meravigliare se per esse trascenda persino i limiti della
filosofia.» Fu anche saggista con un gusto per la "critica della
critica" (cit."Storia Letteraria d'Italia, Volume III, Armando
Balduino") sia letteraria che filosofica, non trascurando l'arte che
annetteva strettamente alla morale. Rivolse la sua indagine anche al
rinascimento con un Saggio biografico critico su Giordano Bruno La vita e
l'uomo, 1881 - [1] . Pubblicò anche una monografia
"apologetica" del suo maestro Augusto Vera, Augusto Vera, 1886.
Mariano storico La sua produzione fu in un secondo momento soprattutto riferita
alla storia, in particolare la storia del cristianesimo e quella delle
religioni in genere, argomenti affini anche alla materia insegnata presso l'università
napoletana. Non sono presenti particolari innovazioni nella sua ricerca, ma fu
uno dei primi a discutere la tesi proposta dal Croce riguardo alla riduzione
della storia al concetto generale dell'arte. Opere filosofico-critiche,
monografie e saggistica Elenco completo delle opere Lassalle e il suo Eraclito.
Saggio sulla filosofia hegeliana, 1865. Il Risorgimento italiano secondo i
principi della filosofia della storia, 1866. La philosophie contemporaine en
Italie. Essai de philosophie hégélienne, 1868. La libertà di coscienza, Milano,
Hoepli, 1873. Strauss e Vera. Saggio critico, Roma, Tip. Civelli, 1874.
L'individuo e lo Stato nel rapporto economico e sociale. Saggio, Milano,
Treves, 1876. Il Machiavelli del Villari, Roma, Loescher, 1882. Un nuovo libro
su Leopardi, Roma, Tip. Botta, 1882. La pena di morte. Considerazioni in
appoggio del prof. Vera, Napoli, 1884. Il p. Carlo Maria Curci, Milano,
Vallardi, 1885. Augusto Vera. Necrologio, «Annuario Università di Napoli»,
1885-1886. Dio secondo Platone, Aristotele ed Hegel, «Acc. SMP Napoli. Atti»,
1886. Biografie del Machiavelli, 1886. Arte e religione, 1892. Il brutto e il
male nell'arte. Il brutto e il male nel romanzo moderno, 1900. Dall'idealismo
nuovo a quello di Hegel, Motivi, risonanze e variazioni sulle dottrine
hegeliane, 1908. La vita e l'uomo, 1881, [2]. Opere storico-religiose I
rapporti dello Stato con la religione, Firenze, Civelli, 1870. Il problema
religioso in Italia, Roma, Civelli, 1872. La riforma ecclesiastica in Italia,
«Il diritto», 1877. Cristianesimo, cattolicesimo e civiltà, 1879. Papato e
socialismo ai giorni nostri. Studio, Roma, Tip. Artero e comp., 1882. Buddismo
e cristianesimo, 1890. La Storia è una scienza o un'arte?, «Fanfulla della
Domenica», 1894. La conversione del mondo pagano al cristianesimo, 1901. Il
cristianesimo dei primi secoli, 1902. Riconoscimenti La città d'origine del
filosofo, Capua, gli ha dedicato una strada, sede, tra l'altro, del Banco di
Napoli. La targa riporta il cognome Mariani anziché Mariano, errore che nessuna
amministrazione ha ancora provveduto a correggere. Bibliografia La
Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da Benedetto Croce,
6, 1908. Armando Balduino (a cura di), Storia letteraria d'Italia -
L'Ottocento, vol. III, Piccin Nuova Libraria, 1997. Piero di Giovanni (a cura
di), Giovanni Gentile, La filosofia italiana tra idealismo e anti-idealismo,
Milano, FrancoAngeli, 2003. Paolo Malerba, Luciano Malusa, Bibliografia, sito
della Società filosofica italiana Collegamenti esterni Guido Calogero,
«MARIANO, Raffaele» in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1934. Controllo di autorità VIAF
(EN) 28686462 · ISNI (EN) 0000 0001 2006 0391 · SBN IT\ICCU\RAVV\047565 · LCCN
(EN) n90607053 · GND (DE) 116771992 · BNF (FR) cb13014637r (data) · BAV (EN)
495/131519 · WorldCat Identities (EN) lccn-n90607053 Biografie Portale
Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XIX
secoloFilosofi italiani del XX secoloStorici italiani del XIX secoloStorici
italiani del XX secoloNati nel 1840Morti nel 1912Nati il 5 settembreNati a
CapuaMorti a Firenze[altre]
Marin -- Giovanni Marin (filosofo) Da Wikipedia,
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sull'argomento filosofi italiani è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla
secondo le convenzioni di Wikipedia. Giovanni Marin (Venezia, 1414 circa – ...)
è stato un filosofo, giurista e ambasciatore italiano. Biografia Nato a Venezia dal nobile Rosso
Marin, studiò con profitto sotto l'insegnamento dell'umanista Vittorino da
Feltre a Venezia,[1] dal quale apprese la lingua greca, latina e la retorica.
Frequentò il ginnasio, presso il quale recitò eloquenti orazioni in encomio
agli uomini illustri veneziani. Si laureò in diritto all'Università degli studi
di Padova. Nel 1440 fu ambasciatore della Repubblica di Venezia presso gli
Estensi e quindi presso la Repubblica di Firenze. Note ^ Rosmini, pp. 261-265. Bibliografia
Carlo de' Rosmini, Idea dell'ottimo precettore nella vita e disciplina di
Vittorino da Feltre e de' suoi discepoli, Rovereto, 1801, ISBN non esistente.
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Categorie: Filosofi italiani del XV secoloGiuristi italiani del XV secoloAmbasciatori
italianiNati a VeneziaAllievi di Vittorino da Feltre[altre]
Marliani -- Giovanni Marliani
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Giovanni
Marliani (Milano, 1420 – 1483) è stato un medico, filosofo e astrologo italiano. Biografia Nato a Milano nel 1420, era figlio
del patrizio milanese Castello Marliani. Studiò medicina all'Università di
Pavia, dove fu allievo del matematico Biagio Pelacani. Divenne medico nel 1440
ed entrò nel Collegio dei fisici milanesi e intraprese una carriera
nell'insegnamento passando per diverse cattedre: medicina, fisica, filosofia e
astrologia. Nel 1448 era attivo presso lo Studio di Milano e nel 1452 tornò a
Pavia. Con l'ascesa della dinastia degli
Sforza a capo del Ducato di Milano, Giovanni, appartenente alla famiglia
Marliani tradizionalmente ghibellina, aumentò il proprio prestigio. Il padre
Castello nel 1450 razionatore della Camera delle entrate straordinarie. Nel
1466 Giovanni e il fratello Daniele ottennero la concessione in esenzione dei
diritti di sfruttamento delle acque del Secchia nei pressi di Moglia, nel
Mantovano. Alla morte del duca Francesco
Sforza, nel 1467 Giovanni Marliani scrisse una lettera al nuovo duca Galeazzo
Maria Sforza in cui dichiarava di essere stato richiesto da molti Studi in
diverse città d'Italia, sperando di poter essere trasferito da Pavia a Milano e
di ricevere un aumento di salario, vista anche la sua numerosa famiglia. Il
Consiglio segreto di Milano intercedette presso lo Sforza in favore di Giovanni,
esaltando la sua fama anche oltre i confini del Ducato. Il duca Galeazzo Maria,
dopo alcuni indugi, acconsentì per conferirgli un'assegnazione annua di 1 000
fiorini, il più alto salario riconosciuto a chiunque nel Ducato. Sotto la
reggenza di Ludovico il Moro ottenne i dazi di Gallarate e della sua
pieve. I suoi studi di matematica sulle
frazioni, di fisica sui problemi di statica, moto e velocità, di meccanica e di
termologia, Giovanni Marliani lo portarono ad essere tra i più grandi
scienziati dell'epoca e riuscì a mettere in discussione Thomas Bradwardine e
Alberto di Sassonia. Nella sua opera
Quaestio de caliditate corporum humanorum tempore hyemis et estati set de
antiperistasi (1472), il Marliani distinse la temperatura dell'organismo dalla
quantità e dalla produzione del calore naturale del corpo e sostenne che la
produzione del calore naturale è più elevata in inverno che in estate. Nel 1467 si recò a Novara dal conte Gaspare
Vimercati, colpito da problemi respiratori e nel 1469 curò Rinaldo d'Este da
una gravissima malattia che lo colse durante una visita alla corte milanese.
Nel 1482 Giovanni Marliani raggiunse i vertici della propria carriera e prestò
le sue doti di medico a Federico I Gonzaga.
Giovanni Marliani morì nel 1483 e fu sepolto nella cappella milanese
della Marliani, nella chiesa di Santa Maria delle Grazie. Le opere del Marliani furono oggetto di
studio da parte di Leonardo Da Vinci, che lo cita in diverse occasioni nel suo
Codice Atlantico. Ebbe tre figli: Paolo,
Gerolamo e Pietro Antonio, la discendenza del primo dei quali ottenne
all'inizio del XVII secolo il titolo di conte di Busto Arsizio. Il nipote
Luigi, figlio del fratello Daniele, fu medico e Consigliere segreto di Ludovico
il Moro e di Massimiliano Sforza; divenne poi medico personale degli imperatori
Massimiliano I e Carlo V d'Asburgo e di Filippo I re di Spagna, per poi
diventare vescovo della diocesi di Tui, in Galizia. Opere Quaestio de caliditate corporum
humanorum tempore hyemis et estati set de antiperistasi (1472) Disputatio cum
Iohanne Arculano de diversis materiis ad philosophiam et medicinam
pertinentibus Quaestio de proportione motuum in velocitate (1464) Algebra
Algorismus de minutiis De secta philosophorum Probatio cuiusdam sententiae
Calculatoris de motu locali (1460) Collegamenti esterni Giovanni Marliani, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
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(EN) 32340770 · ISNI (EN) 0000 0000 6136 2807 · LCCN (EN) no2007111288 · GND
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Biografie Portale Biografie Medicina Portale Medicina Categorie: Medici
italianiFilosofi italiani del XV secoloAstrologi italianiNati nel 1420Morti nel
1483Nati a Milano[altre]
Marotta -- Gerardo Marotta Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Niente
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italiani non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Puoi
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Gerardo Marotta Gerardo Marotta (Napoli, 26 aprile 1927 – Napoli, 25
gennaio 2017) è stato un avvocato e filosofo italiano. Indice 1 Biografia
2 Premi
e riconoscimenti 3 Note
4 Bibliografia
5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Gerardo Marotta si è laureato in giurisprudenza con il
massimo dei voti all'Università degli Studi di Napoli "Federico II",
presentando una tesi in filosofia del diritto dal titolo La concezione dello
Stato nel pensiero della filosofia tedesca e nella sinistra hegeliana. In seguito si è interessato presto di storia,
letteratura e filosofia, avvicinandosi dapprima all'Istituto Italiano per gli
Studi Storici fondato da Benedetto Croce, poi fondando l'associazione Cultura
Nuova che diresse fino al 1953 organizzando manifestazioni e conferenze rivolte
ai giovani che richiamarono tutte le più grandi personalità della cultura
Italiana. Nel 1975, incoraggiato dagli
auspici dell'allora Presidente dell'Accademia Nazionale dei Lincei Enrico
Cerulli, della Sig.ra Elena Croce, figlia del celebre filosofo, del prof.
Pietro Piovani e del prof. Giovanni Pugliese Carratelli, fondò a Napoli
l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, del quale è stato Presidente fino
alla morte. Marotta ha donato,
all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, la propria biblioteca
personale, con una dotazione di oltre 300.000 volumi frutto di trent'anni di
appassionata ricerca. Il 25 gennaio 2017
è morto a Napoli all'età di 89 anni a causa dell'aggravamento dei problemi
respiratori che lo avevano afflitto dopo un ricovero ospedaliero per una
caduta.[1] Premi e riconoscimenti Per i
suoi importantissimi apporti al mondo della filosofia e della cultura in
generale ha avuto numerosi riconoscimenti da centri di ricerca e di formazione
di rilievo internazionale. Ha vinto la
sezione Premio Speciale del Premio Cimitile nel 1999. Gli è stata conferita la
laurea ad honorem in Filosofia dall'Università di Bielefeld, dall'Università
Erasmus di Rotterdam, dalla Sorbona di Parigi e dalla Seconda Università di
Napoli, e in Pedagogia dall'Università degli Studi di Urbino. Ha ricevuto la
Medaglia d'oro per i benemeriti della cultura ed il Diploma d'onore del
Parlamento europeo per l'opera svolta in favore della cultura europea.
All'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici è stato conferito, nell'aula
magna dell'Università di Roma, il Prix International pour la Paix. Jacques
Mühlethaler per l'attività svolta a favore della pace fra i popoli.
"Bidone d'Oro" per la cultura del Movimento artistico culturale
"Esasperatismo Logos & Bidone" , il 10 Ottobre 2008. Note ^
Gaetano Capaldo, È morto Gerardo Marotta, addio al fondatore dell’Istituto
Studi Filosofici, su Diario Partenopeo, 26 gennaio 2017. URL consultato il 26
gennaio 2017 (archiviato dall'url originale il 26 gennaio 2017). Bibliografia
Yves Hersant (cur.), Al vero filosofo ogni terreno è patria : Hommage à Gerardo
Marotta, Les Belles Lettres, Paris 1996. Claudio Piga (cur.), Per Gerardo
Marotta. Scritti editi e inediti raccolti dagli amici di Gerardo Marotta, Arte
Tipografica, Napoli 1999. Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote
contiene citazioni di o su Gerardo Marotta Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Gerardo Marotta
Collegamenti esterni Registrazioni di Gerardo Marotta, su RadioRadicale.it,
Radio Radicale. Modifica su Wikidata Biografia di Gerardo Marotta in
Cinquantamila Giorni de Il Corriere della Sera Controllo di autorità VIAF (EN) 293254203 · ISNI (EN) 0000
0003 9939 2659 · SBN IT\ICCU\LO1V\248205 · LCCN (EN) n97078125 · GND (DE)
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lccn-n97078125 Biografie Portale Biografie Diritto Portale Diritto Filosofia
Portale Filosofia Categorie: Avvocati italiani del XX secoloAvvocati italiani
del XXI secoloFilosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI
secoloNati nel 1927Morti nel 2017Nati il 26 aprileMorti il 25 gennaioNati a
NapoliMorti a NapoliStudenti dell'Università degli Studi di Napoli Federico
II[altre]
Marramao -- marrameo:
essential Italian philosopher -- Giacomo Marramao Da Wikipedia, l'enciclopedia
libera. Jump to navigationJump to search Giacomo Marramao (Catanzaro, 18
ottobre 1946) è un filosofo e professore universitario italiano. Indice 1 Biografia
2 Pensiero
3 Note
4 Bibliografia
5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Allievo di Eugenio Garin, nel 1969 si è laureato in Filosofia
all'Università di Firenze. Dal 1971 al 1975 ha proseguito gli studi
all'Università di Francoforte, lavorando soprattutto intorno ai diversi filoni
del marxismo italiano ed europeo. Nel 1971 ha pubblicato Marxismo e
revisionismo in Italia, rintracciando in Gentile la chiave di volta filosofica
del marxismo italiano. Dal 1976 al 1995 ha insegnato "Filosofia della politica"
e "Storia delle dottrine politiche" presso l'Istituto Universitario
Orientale di Napoli. Nel 1979 è uscito il suo libro Il politico e le
trasformazioni, nel quale ha posto a confronto le tematiche del marxismo
europeo degli anni '20-30 con le analisi delle trasformazioni del politico di
Carl Schmitt (del cui pensiero egli è stato uno dei primi riscopritori). A
partire dal volume Potere e secolarizzazione (1983) è venuto elaborando una
teoria simbolica del potere (e del nesso politica-tempo) incentrata sulla
ricostruzione ‘archeologica' dei presupposti del razionalismo occidentale. Fondamentali, nel dibattito
politico-culturale e filosofico degli anni Ottanta, le sue collaborazioni a due
riviste: Laboratorio politico (1981-1983) diretto da Mario Tronti e il Centauro
(1981-1986), diretto da Biagio de Giovanni.
È stato direttore scientifico della Fondazione Basso-Issoco, membro del
Collège International de Philosophie di Parigi e professore honoris causa
all'Università di Bucarest. Nel 2005 la Presidenza della Repubblica francese
gli ha conferito l'onorificenza delle "Palmes Académiques". Nel 2009
ha ricevuto il Premio internazionale di filosofia "Karl-Otto Apel" e
nel 2013 il titolo di doctor honoris causa in Filosofia dalla Universidad Nacionál
de Córdoba (Argentina). Ha conseguito
altri premi: Premio Pozzale Luigi Russo a Passaggio a Occidente e Premio di
filosofia "Viaggio a Siracusa" a La passione del presente. Insegna filosofia politica e filosofia
teoretica presso il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo
dell'Università degli Studi Roma Tre.
Nel 2018 è nominato professore emerito.[1] Pensiero Muovendo dallo studio del marxismo
italiano ed europeo (Marxismo e revisionismo in Italia, 1971; Austromarxismo e
socialismo di sinistra fra le due guerre, 1977), ha analizzato le categorie
politiche della modernità (Potere e secolarizzazione, 1983), proponendone, in
dialogo con i francofortesi (Il politico e le trasformazioni, 1979) e con M.
Weber (L'ordine disincantato, 1985), una ricostruzione simbolico-genealogica.
Secondo questa lettura, che riprende le ipotesi storico-filosofiche di Karl
Löwith, nelle forme moderne di organizzazione sociale si depositano significati
che derivano da un processo di secolarizzazione dei contenuti religiosi, ossia dalla
riproposizione in dimensione mondana dell'orizzonte simbolico cristiano. In
particolare, la secolarizzazione ha il suo centro in un processo di
«temporalizzazione della storia», in virtù del quale le categorie del tempo
(che traducono l'escatologia cristiana in una generica apertura al futuro:
progresso, rivoluzione, liberazione, etc.) assumono centralità crescente nelle
rappresentazioni politiche della modernità. Su queste considerazioni, riprese
anche in Dopo il Leviatano (1995 - nuova edizione ampliata 2013), Passaggio a
Occidente. Filosofia e globalizzazione (2003 - nuova edizione 2009), La
passione del presente (2008), Contro il potere (2011), si è innestata via via
una tematizzazione esplicita del problema filosofico della temporalità, che per
molti aspetti anticipa sia le tesi oggi in voga intorno alla
"accelerazione" e al rapporto politica-velocità, sia i temi dello
spatial turn, della "svolta spaziale" contemporanea. Contro le
concezioni bergsoniana e heideggeriana, che delineano con sfumature diverse una
forma pura della temporalità, più originaria rispetto alle sue
rappresentazioni/spazializzazioni, Marramao argomenta l'inscindibilità del
nesso tempo-spazio e, richiamandosi tra l'altro alla fisica contemporanea,
riconduce la struttura del tempo a un profilo aporetico e impuro, rispetto a
cui la dimensione dello spazio costituisce il riferimento formale per pensarne
i paradossi. (Minima temporalia, 1990 - nuova edizione 2005 - e Kairós.
Apologia del tempo debito, 1992 - nuova edizione 2005). Note ^ Lectio magistralis del Prof. Giacomo
Marramao e consegna emeritato, su filosofiacomunicazionespettacolo.uniroma3.it,
Università degli Studi Roma Tre, 11 dicembre 2018. URL consultato l'8 marzo
2019 (archiviato dall'url originale il 31 marzo 2019). Bibliografia AA.VV.,
Enciclopedia di filosofia, Garzanti libri, Milano, 2004 (ISBN 9788811505150);
Benso S., Marramao's Kairós: The Space of “Our” Time in the Time of Cosmic
Disorientation, in “Human Studies”, anno 2008, n. 31 A. Baird, History and
Kairos, in “History and Theory”, Vol. 50, Issue 1, pp. 120–128. AA.VV., Figure
del conflitto. Studi in onore di Giacomo Marramao, a c. di A. Martinengo,
Valter Casini Editore, Roma 2006. D. Antiseri, S. Tagliabue, Storia della
filosofia, vol. 14: Filosofi italiani contemporanei, Bompiani, Milano 2008, pp.
328–339 (ISBN 9788845264474). Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giacomo Marramao
Collegamenti esterni (EN) Opere di Giacomo Marramao, su Open Library, Internet
Archive. Modifica su Wikidata Registrazioni di Giacomo Marramao, su
RadioRadicale.it, Radio Radicale. Modifica su Wikidata Bibliografia (selezione)
(PDF), su host.uniroma3.it. Pagina personale nel sito dell'Università degli
Studi Roma Tre, su host.uniroma3.it. Video intervista a Giacomo Marramao al
Festival della Filosofia 2008, su asia.it. Controllo di autorità VIAF (EN) 112822818
· ISNI (EN) 0000 0000 8410 1626 · SBN IT\ICCU\CFIV\030814 · LCCN (EN) n79084115
· GND (DE) 172249600 · BNF (FR) cb121923552 (data) · BNE (ES) XX968585 (data) ·
WorldCat Identities (EN) lccn-n79084115 Biografie Portale Biografie Filosofia
Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani
del XXI secoloAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani del XXI
secoloNati nel 1946Nati il 18 ottobreNati a CatanzaroProfessori dell'Università
degli Studi di Napoli "L'Orientale"Persone legate all'Università
degli Studi Roma Tre[altre]Luigi Speranza, "Grice e Marrameo," The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
martineau: English
philosopher of religion and ethical intuitionist. As a minister and a
professor, Martineau defended Unitarianism and opposed pantheism. In A Study of
Religion Martineau agreed with Kant that reality as we experience it is the
work of the mind, but he saw no reason to doubt his intuitive conviction that
the phenomenal world corresponds to a real world of enduring, causally related
objects. He believed that the only intelligible notion of causation is given by
willing and concluded that reality is the expression of a divine will that is
also the source of moral authority. In Types of Ethical Theory he claimed that
the fundamental fact of ethics is the human tendency to approve and disapprove
of the motives leading to voluntary actions, actions in which there are two
motives present to consciousness. After freely choosing one of the motives, the
agent can determine which action best expresses it. Since Martineau thought
that agents intuitively know through conscience which motive is higher, the
core of his ethical theory is a ranking of the thirteen principal motives, the
highest of which is reverence.
materia-forma
distinction, the -- forma: ideatum – Cicero was a bit at a loss when trying to
translate the Greek eidos or idea. For ‘eidos’ he had forma, but the Romans
seemed to have liked the sound of ‘idea,’ and Martianus Capella even coined
‘ideal,’ which Kant and Grice later used. idea, in the seventeenth and
eighteenth centuries, whatever is immediately before the mind when one thinks.
The notion of thinking was taken in a very broad sense; it included perception,
memory, and imagination, in addition to thinking narrowly construed. In
connection with perception, ideas were often (though not always – Berkeley is the
exception) held to be representational images, i.e., images of something. In
other contexts, ideas were taken to be concepts, such as the concept of a horse
or of an infinite quantity, though concepts of these sorts certainly do not
appear to be images. An innate idea was either a concept or a general truth,
such as ‘Equals added to equals yield equals’, that was allegedly not learned
but was in some sense always in the mind. Sometimes, as in Descartes, innate
ideas were taken to be cognitive capacities rather than concepts or general
truths, but these capacities, too, were held to be inborn. An adventitious
idea, either an image or a concept, was an idea accompanied by a judgment
concerning the non-mental cause of that idea. So, a visual image was an adventitious
idea provided one judged of that idea that it was caused by something outside
one’s mind, presumably by the object being seen. From Idea Alston coined
‘ideationalism’ to refer to Grice’s theory. “Grice’s is an ideationalist theory
of meaning, drawn from Locke.”Alston calls
Grice an ideationalist, and Grice takes it as a term of abuse. Grice would
occasionally use ‘mental.’ Short and Lewis have "mens.” “terra corpus est,
at mentis ignis est;” so too, “istic est de sole sumptus; isque totus mentis
est;” f. from the root ‘men,’ whence
‘memini,’ and ‘comminiscor.’ Lewis and
Short render ‘mens’ as ‘the mind, disposition; the heart, soul.’ Lewis and
Short have ‘commĭniscor,’ originally conminiscor ), mentus, from ‘miniscor,’
whence also ‘reminiscor,’ stem ‘men,’ whence ‘mens’ and ‘memini,’ cf. Varro, Lingua Latina 6, § 44. Lewis and
Short render the verb as, literally, ‘to ponder carefully, to reflect upon;’
‘hence, as a result of reflection; cf. 1. commentor, II.), to devise something
by careful thought, to contrive, invent, feign. Myro is perhaps unaware of the
implicatura of ‘mental’ when he qualifies his -ism with ‘modest.’ Grice would
seldom use mind (Grecian nous) or mental (Grecian noetikos vs. æsthetikos). His
sympathies go for more over-arching Grecian terms like the very Aristotelian
soul, the anima, i. e. the psyche and the psychological. Grice discusses G.
Myro’s essay, ‘In defence of a modal mentalism,’ with attending commentary by
R. Albritton and S. Cavell. Grice himself would hardly use mental, mentalist,
or mentalism himself, but perhaps psychologism. Grice would use mental, on
occasion, but his Grecianism was deeply rooted, unlike Myro’s. At Clifton and
under Hardie (let us recall he came up to Oxford under a classics scholarship
to enrol in the Lit. Hum.) he knows that mental translates mentalis translates
nous, only ONE part, one third, actually, of the soul, and even then it may not
include the ‘practical rational’ one! Cf. below on ‘telementational.’ formalism: Cicero’s
translation for ‘idealism,’ or ideism -- the philosophical doctrine that
reality is somehow mind-correlative or mind-coordinated – that the real objects
constituting the “external world” are not independent of cognizing minds, but
exist only as in some way correlative to mental operations. The doctrine
centers on the conception that reality as we understand it reflects the
workings of mind. Perhaps its most radical version is the ancient Oriental
spiritualistic or panpsychistic idea, renewed in Christian Science, that minds
and their thoughts are all there is – that reality is simply the sum total of
the visions (or dreams?) of one or more minds. A dispute has long raged within
the idealist camp over whether “the mind” at issue in such idealistic formulas
was a mind emplaced outside of or behind nature (absolute idealism), or a
nature-pervasive power of rationality of some sort (cosmic idealism), or the
collective impersonal social mind of people in general (social idealism), or
simply the distributive collection of individual minds (personal idealism).
Over the years, the less grandiose versions of the theory came increasingly to
the fore, and in recent times virtually all idealists have construed “the
minds” at issue in their theory as separate individual minds equipped with
socially engendered resources. There are certainly versions of idealism short
of the spiritualistic position of an ontological idealism that (as Kant puts it
at Prolegomena, section 13, n. 2) holds that “there are none but thinking
beings.” Idealism need certainly not go so far as to affirm that mind makes or
constitutes matter; it is quite enough to maintain (e.g.) that all of the
characterizing properties of physical existents resemble phenomenal sensory
properties in representing dispositions to affect mind-endowed creatures in a
certain sort of way, so that these properties have no standing without
reference to minds. Weaker still is an explanatory idealism which merely holds
that an adequate explanation of the real always requires some recourse to the
operations of mind. Historically, positions of the generally idealistic type
have been espoused by numerous thinkers. For example, Berkeley maintained that
“to be [real] is to be perceived” (esse est percipi). And while this does not
seem particularly plausible because of its inherent commitment to omniscience,
it seems more sensible to adopt “to be is to be perceivable” (esse est
percipile esse). For Berkeley, of course, this was a distinction without a
difference: if something is perceivable at all, then God perceives it. But if
we forgo philosophical reliance on God, the matter looks different, and pivots
on the question of what is perceivable for perceivers who are physically
realizable in “the real world,” so that physical existence could be seen – not
so implausibly – as tantamount to observability-in-principle. The three
positions to the effect that real things just exactly are things as philosophy
or as science or as “common sense” takes them to be – positions generally
designated as Scholastic, scientific, and naive realism, respectively – are in
fact versions of epistemic idealism exactly because they see reals as
inherently knowable and do not contemplate mind-transcendence for the real.
Thus, the thesis of naive (“commonsense”) realism that ‘External things exist
exactly as we know them’ sounds realistic or idealistic according as one
stresses the first three words of the dictum or the last four. Any theory of
natural teleology that regards the real as explicable in terms of value could
to this extent be counted as idealistic, in that valuing is by nature a mental
process. To be sure, the good of a creature or species of creatures (e.g.,
their well-being or survival) need not be something mind-represented. But
nevertheless, goods count as such precisely because if the creatures at issue
could think about it, they would adopt them as purposes. It is this
circumstance that renders any sort of teleological explanation at least
conceptually idealistic in nature. Doctrines of this sort have been the stock-in-trade
of philosophy from the days of Plato (think of the Socrates of the Phaedo) to
those of Leibniz, with his insistence that the real world must be the best
possible. And this line of thought has recently surfaced once more in the
controversial “anthropic principle” espoused by some theoretical physicists.
Then too it is possible to contemplate a position along the lines envisioned in
Fichte’s Wissenschaftslehre (The Science of Knowledge), which sees the ideal as
providing the determining factor for the real. On such a view, the real is not
characterized by the science we actually have but by the ideal science that is
the telos of our scientific efforts. On this approach, which Wilhelm Wundt
characterized as “ideal-realism” (Idealrealismus; see his Logik, vol. 1, 2d
ed., 1895), the knowledge that achieves adequation to the real idea, clear and
distinct idealism (adaequatio ad rem) by adequately characterizing the true
facts in scientific matters is not the knowledge actually afforded by
present-day science, but only that of an ideal or perfected science. Over the
years, many objections to idealism have been advanced. Samuel Johnson thought
to refute Berkeley’s phenomenalism by kicking a stone. He conveniently forgot
that Berkeley goes to great lengths to provide for stones – even to the point
of invoking the aid of God on their behalf. Moore pointed to the human hand as
an undeniably mind-external material object. He overlooked that, gesticulate as
he would, he would do no more than induce people to accept the presence of a
hand on the basis of the handorientation of their experience. Peirce’s “Harvard
Experiment” of letting go of a stone held aloft was supposed to establish
Scholastic realism because his audience could not control their expectation of the
stone’s falling to earth. But an uncontrollable expectation is still an
expectation, and the realism at issue is no more than a realistic
thought-exposure. Kant’s famous “Refutation of Idealism” argues that our
conception of ourselves as mindendowed beings presupposes material objects
because we view our mind-endowed selves as existing in an objective temporal
order, and such an order requires the existence of periodic physical processes
(clocks, pendula, planetary regularities) for its establishment. At most,
however, this argument succeeds in showing that such physical processes have to
be assumed by minds, the issue of their actual mind-independent existence
remaining unaddressed. (Kantian realism is an intraexperiential “empirical”
realism.) It is sometimes said that idealism confuses objects with our
knowledge of them and conflates the real with our thought about it. But this
charge misses the point. The only reality with which we inquirers can have any
cognitive commerce is reality as we conceive it to be. Our only information
about reality is via the operation of mind – our only cognitive access to
reality is through the mediation of mind-devised models of it. Perhaps the most
common objection to idealism turns on the supposed mind-independence of the
real: “Surely things in nature would remain substantially unchanged if there
were no minds.” This is perfectly plausible in one sense, namely the causal one
– which is why causal idealism has its problems. But it is certainly not true
conceptually. The objector has to specify just exactly what would remain the
same. “Surely roses would smell just as sweet in a minddenuded world!” Well . .
. yes and no. To be sure, the absence of minds would not change roses. But
roses and rose fragrance and sweetness – and even the size of roses – are all
factors whose determination hinges on such mental operations as smelling,
scanning, measuring, and the like. Mind-requiring processes are needed for
something in the world to be discriminated as a rose and determined to bear
certain features. Identification, classification, property attribution are all
required and by their very nature are all mental operations. To be sure, the
role of mind is here hypothetical. (“If certain interactions with duly
constituted observers took place, then certain outcomes would be noted.”) But
the fact remains that nothing could be discriminated or characterized as a rose
in a context where the prospect of performing suitable mental operations
(measuring, smelling, etc.) is not presupposed. Perhaps the strongest argument
favoring idealism is that any characterization of the real that we can devise
is bound to be a mind-constructed one: our only access to information about
what the real is is through the mediation of mind. What seems right about idealism
is inherent in the fact that in investigating the real we are clearly
constrained to use our own concepts to address our own issues – that we can
learn about the real only in our own terms of reference. But what seems right
about realism is that the answers to the questions we put to the real are
provided by reality itself – whatever the answers may be, they are
substantially what they are because it is reality itself that determines them
to be that way. -- idealism, Critical. .
materia et forma. Materia-forma distinction, the: One of Grice’s
twelve labours is against Materialism -- Cicero’s translation of hyle, ancient
Greek term for matter. Aristotle brought the word into use in philosophy by
contrast with the term for form, and as designating one of the four causes. By
hyle Aristotle usually means ‘that out of which something has been made’, but
he can also mean by it ‘that which has form’. In Aristotelian philosophy hyle
is sometimes also identified with potentiality and with substrate. Neoplatonists
identified hyle with the receptacle of Plato. Materia-forma distinction, the forma: Grice always found ‘logical
form’ redundant (“Surely we are not into ‘matter’ – that would be cheap!”) –
“‘materia-forma’ is the unity, as the Grecians well knew.”- hylomorphism, the
doctrine, first taught by Aristotle, that concrete substance consists of form
in matter (hyle). The details of this theory are explored in the central books
of Aristotle’s Metaphysics (Zeta, Eta, and Theta). Materia-forma distinction, the. Then there’s hylozoism: from Greek hyle,
‘matter’, and zoe, ‘life’), the doctrine that matter is intrinsically alive, or
that all bodies, from the world as a whole down to the smallest corpuscle, have
some degree or some kind of life. It differs from panpsychism though the
distinction is sometimes blurred – in upholding the universal presence of life
per se, rather than of soul or of psychic attributes. Inasmuch as it may also
hold that there are no living entities not constituted of matter, hylozoism is
often criticized by theistic philosophers as a form of atheism. The term was
introduced polemically by Ralph Cudworth, the seventeenth-century Cambridge
Platonist, to help define a position that is significantly in contrast to
soul–body dualism (Pythagoras, Plato, Descartes), reductive materialism
(Democritus, Hobbes), and Aristotelian hylomorphism. So understood, hylozoism
had many advocates in the eighteenth and nineteenth centuries, among both
scientists and naturalistically minded philosophers. In the twentieth century,
the term has come to be used, rather unhelpfully, to characterize the animistic
and naive-vitalist views of the early Greek philosophers, especially Thales,
Anaximenes, Heraclitus, and Empedocles – who could hardly count as hylozoists
in Cudworth’s sophisticated sense. If anything characterizes ‘analytic’ philosophy, then it is
presumably the emphasis placed on analysis. But as history shows, there is
a wide range of conceptions of analysis, so such a characterization says
nothing that would distinguish analytic philosophy from much of what has either
preceded or developed alongside it. Given that the decompositional
conception is usually offered as the main conception, it might be thought that
it is this that characterizes analytic philosophy, even Oxonian 'informalists'
like Strawson.But this conception was prevalent in the early modern period,
shared by both the British Empiricists and Leibniz, for example. Given
that Kant denied the importance of de-compositional analysis, however, it might
be suggested that what characterizes analytic philosophy is the value it places
on such analysis. This might be true of G. E. Moore's early work, and of
one strand within analytic philosophy; but it is not generally true. What
characterizes analytic philosophy as it was founded by Frege and Russell is the
role played by logical analysis, which depended on the development of modern
logic. Although other and subsequent forms of analysis, such as
'linguistic' analysis, were less wedded to systems of FORMAL logic, the central
insight motivating logical analysis remained. Pappus's account of
method in ancient Greek geometry suggests that the regressive conception of
analysis was dominant at the time — however much other conceptions may also
have been implicitly involved.In the early modern period, the decompositional
conception became widespread.What characterizes analytic philosophy—or at least
that central strand that originates in the work of Frege and Russell—is the
recognition of what was called earlier the transformative or interpretive
dimension of analysis.Any analysis presupposes a particular framework of
interpretation, and work is done in interpreting what we are seeking to analyze
as part of the process of regression and decomposition. This may involve
transforming it in some way, in order for the resources of a given theory or
conceptual framework to be brought to bear. Euclidean geometry provides a
good illustration of this. But it is even more obvious in the case of
analytic geometry, where the geometrical problem is first ‘translated’ into the
language of algebra and arithmetic in order to solve it more easily.What
Descartes and Fermat did for analytic geometry, Frege and Russell did for
analytic PHILOSOPHY. Analytic philosophy is ‘analytic’ much more in the
way that analytic geometry (as Fermat's and Descartes's) is ‘analytic’ than in
the crude decompositional sense that Kant understood it. The
interpretive dimension of philosophical analysis can also be seen as
anticipated in medieval scholasticism and it is remarkable just how much of
modern concerns with propositions, meaning, reference, and so on, can be found
in the medieval literature. Interpretive analysis is also illustrated in
the nineteenth century by Bentham's conception of paraphrasis, which he
characterized as "that sort of exposition which may be afforded by
transmuting into a proposition, having for its subject some real entity, a
proposition which has not for its subject any other than a fictitious
entity." Bentham, a palaeo-Griceian, applies the idea in ‘analyzing
away’ talk of ‘obligations’, and the anticipation that we can see here of
Russell's theory of descriptions has been noted by, among others, Wisdom and
Quine in ‘Five Milestones of Empiricism.'vide: Wisdom on Bentham as palaeo-Griceian.What
was crucial in analytic philosophy, however, was the development of
quantificational theory, which provided a far more powerful interpretive system
than anything that had hitherto been available. In the case of Frege and
Russell, the system into which statements were ‘translated’ was predicate
calculus, and the divergence that was thereby opened up between the 'matter'
and the logical 'form' meant that the process of 'translation' (or logical
construction or deconstruction) itself became an issue of philosophical
concern. This induced greater self-consciousness about our use of language
and its potential to mislead us (the infamous implicaturums, which are neither
matter nor form -- they are IMPLICATED matter, and the philosopher may want to
arrive at some IMPLICATED form -- as 'the'), and inevitably raised semantic,
epistemological and metaphysical questions about the relationships between
language, logic, thought and reality which have been at the core of analytic
philosophy ever since. Both Frege and Russell (after the latter's
initial flirtation with then fashionable Hegelian Oxonian idealism -- "We
were all Hegelians then") were concerned to show, against Kant, that
arithmetic (or number theory, from Greek 'arithmos,' number -- if not geometry)
is a system of analytic and not synthetic truths, as Kant misthought. In
the Grundlagen, Frege offers a revised conception of analyticity, which
arguably endorses and generalizes Kant's logical as opposed to phenomenological
criterion, i.e., (ANL) rather than (ANO) (see the supplementary section on
Kant): (AN) A truth is analytic if its proof depends only on
general logical laws and definitions. The question of whether arithmetical
truths are analytic then comes down to the question of whether they can be
derived purely logically. This was the failure of Ramsey's logicist
project.Here we already have ‘transformation’, at the theoretical level —
involving a reinterpretation of the concept of analyticity.To demonstrate this,
Frege realized that he needed to develop logical theory in order to 'FORMALISE'
a mathematical statements, which typically involve multiple generality or
multiple quantification -- alla "The altogether nice girl loves the
one-at-at-a-time sailor" (e.g., ‘Every natural number has a
successor’, i.e. ‘For every natural number x there is another natural number y
that is the successor of x’). This development, by extending the use of
function-argument analysis in mathematics to logic and providing a notation for
quantification, is essentially the achievement of his Begriffsschrift,
where he not only created the first system of predicate calculus but also,
using it, succeeded in giving a logical analysis of mathematical induction (see
Frege FR, 47-78). In Die Grundlagen der Arithmetik, Frege goes on to
provide a logical analysis of number statements (as in "Mary had two
little lambs; therefore she has one little lamb" -- "Mary has a
little lamb" -- "Mary has at least one lamb and at most one
lamb"). Frege's central idea is
that a number statement contains an assertion about a 'concept.'A statement
such as Jupiter has four moons.is to be understood NOT as *predicating* of
*Jupiter* the property of having four moons, but as predicating of the
'concept' "moon of Jupiter" the second-level property " ... has
at least and at most four instances," which can be logically
defined. The significance of this construal can be brought out by
considering negative existential statements (which are equivalent to number
statements involving "0"). Take the following negative
existential statement: Unicorns do not exist. Or
Grice's"Pegasus does not exist.""A flying horse does not
exist."If we attempt to analyze this decompositionally, taking the
'matter' to leads us to the 'form,' which as philosophers, is all we care for,
we find ourselves asking what these unicorns or this flying horse called
Pegasus are that have the property of non-existence!Martin, to provoke Quine,
called his cat 'Pegasus.'For Quine, x is Pegasus if x Pegasus-ises (Quine, to
abbreviate, speaks of 'pegasise,' which is "a solicism, at Oxford."We
may then be forced to posit the Meinongian subsistence — as opposed to
existence — of a unicorn -- cf. Warnock on 'Tigers exist' in "Metaphysics
in Logic" -- just as Meinong (in his ontological jungle, as Grice calls
it) and Russell did ('the author of Waverley does not exist -- he was invented
by the literary society"), in order for there to be something that is the
subject of our statement. On the Fregean account, however, to deny that something exists is
to say that the corresponding concept has no instance -- it is not possible to
apply 'substitutional quantification.' (This leads to the paradox of
extensionalism, as Grice notes, in that all void predicates refer to the empty
set). There is no need to posit any mysterious object, unless like Locke,
we proceed empirically with complex ideas (that of a unicorn, or flying horse)
as simple ideas (horse, winged). The Fregean analysis of (0a) consists in
rephrasing it into (0b), which can then be readily FORMALISED as(0b) The
concept unicorn is not instantiated. (0c) ~(∃x) Fx. Similarly, to say that God
exists is to say that the concept God is (uniquely) instantiated, i.e., to deny
that the concept has 0 instances (or 2 or more instances). This is actually
Russell's example ("What does it mean that (Ex)God?")But cf. Pears
and Thomson, two collaborators with Grice in the reprint of an old Aristotelian
symposium, "Is existence a predicate?"On this view, existence is no
longer seen as a (first-level) predicate, but instead, existential statements
are analyzed in terms of the (second-level) predicate is instantiated,
represented by means of the existential quantifier. As Frege notes, this
offers a neat diagnosis of what is wrong with the ontological argument, at
least in its traditional form (GL, §53). All the problems that arise if we
try to apply decompositional analysis (at least straight off) simply drop away,
although an account is still needed, of course, of concepts and
quantifiers. The possibilities that this strategy of ‘translating’
'MATTER' into 'FORM' opens up are enormous.We are no longer forced to treat the
'MATTER' of a statement as a guide to 'FORM', and are provided with a means of
representing that form. This is the value of logical analysis.It allows
us to ‘analyze away’ problematic linguistic MATERIAL or matter-expressions and
explain what it is going on at the level of the FORM, not the MATTERGrice calls
this 'hylemorphism,' granting "it is confusing in that we are talking
'eidos,' not 'morphe'." This strategy was employed, most famously, in
Russell's theory of descriptions (on 'the' and 'some') which was a major
motivation behind the ideas of Wittgenstein's Tractatus.SeeGrice,
"Definite descriptions in Russell and in the vernacular"Although
subsequent philosophers were to question the assumption that there could ever
be a definitive logical analysis of a given statement, the idea that this or
that 'material' expression may be systematically misleading has
remained. To illustrate this, consider the following examples from
Ryle's essay ‘Systematically Misleading Expressions’:
(Ua) Unpunctuality is reprehensible.Or from Grice's and Strawson's
seminar on Aristotle's Categories:Smith's disinteresteness and altruism are in
the other room.Banbury is an egoism. Egoism is reprehensible Banbury is
malevolent. Malevolence is rephrensible. Banbury is an altruism. Altruism and
cooperativeness are commendable. In terms of second-order predicate calculus.
If Banbury is altruist, Banbury is commendable. (Ta) Banbury hates
(the thought of) going to hospital. Ray Noble loves the very thought
of you. In each case, we might be tempted to make unnecessary 'reification,' or
subjectification, as Grice prefers (mocking 'nominalisation' -- a category
shift) taking ‘unpunctuality’ and ‘the thought of going to hospital’ as
referring to a thing, or more specifically a 'prote ousia,' or spatio-temporal
continuant. It is because of this that Ryle describes such expressions as
‘systematically misleading’. As Ryle later told Grice, "I would have
used 'implicaturally misleading,' but you hadn't yet coined the thing!"
(Ua) and (Ta) must therefore be rephrased: (Ub) Whoever is
unpunctual deserves that other people should reprove him for being unpunctual.
Although Grice might say that it is one harmless thing to reprove
'interestedness' and another thing to recommend BANBURY himself, not his
disinterestedness. (Tb) Jones feels distressed when he thinks of what he will
undergo IF he goes to hospital. Or in more behaviouristic terms: The
dog salivates when he salivates that he will be given food.(Ryle avoided
'thinking' like the rats). In this or that FORM of the MATTER, there is no
overt talk at all of ‘unpunctuality’ or ‘thoughts’, and hence nothing to tempt
us to posit the existence of any corresponding entities. The problems that
otherwise arise have thus been ‘analyzed away’. At the time that he
wrote ‘Systematically Misleading Expressions’, Ryle too, assumed that every
statement has a form -- even Sraffa's gesture has a form -- that was to be
exhibited correctly.But when he gave up this assumption (and call himself and
Strawson 'informalist') he did not give up the motivating idea of conceptual
analysis—to show what is wrong with misleading expressions. In The Concept
of Mind Ryle sought to explain what he called the ‘category-mistake’ involved
in talk of the mind as a kind of ‘Ghost in the Machine’. "I was so
fascinated with this idea that when they offered me the editorship of
"Mind," on our first board meeting I proposed we changed the name of
the publication to "Ghost." They objected, with a smile."Ryle's
aim is to “'rectify' the conceptual geography or botany of the knowledge which
we already possess," an idea that was to lead to the articulation of
connective rather than 'reductive,' alla Grice, if not reductionist, alla
Churchland, conceptions of analysis, the emphasis being placed on elucidating
the relationships BETWEEN this or that concepts without assuming that there is
a privileged set of intrinsically basic or prior concepts (v. Oxford Linguistic
Philosophy). For Grice, surely 'intend' is prior to 'mean,' and
'utterer' is prior to 'expression'. Yet he is no reductionist. In
"Negation," introspection and incompatibility are prior to 'not.'In
"Personal identity," memory is prior to 'self.'Etc. Vide, Grice,
"Conceptual analysis and the defensible province of philosophy."Ryle
says, "You might say that if it's knowledge it cannot be rectified, but
this is Oxford! Everything is rectifiable!" What these varieties of conceptual
analysis suggest, then, is that what characterizes analysis in analytic
philosophy is something far richer than the mere ‘de-composition’ of a concept
into its ‘constituents’. Although reductive is surely a necessity.The
alternative is to take the concept as a 'theoretical' thing introduced by
Ramseyfied description in this law of this theory.For things which are a matter
of intuition, like all the concepts Grice has philosophical intuitions for, you
cannot apply the theory-theory model. You need the 'reductive analysis.' And
the analysis NEEDS to be 'reductive' if it's to be analysis at all! But this is
not to say that the decompositional conception of analysis plays no role at
all. It can be found in Moore, for example.It might also be seen as reflected
in the approach to the analysis of concepts that seeks to specify the necessary
and sufficient conditions for their correct employment, as in Grice's
infamous account of 'mean' for which he lists Urmson and Strawson as
challenging the sufficiency, and himself as challenging the necessity!
Conceptual analysis in this way goes back to the Socrates of Plato's early
dialogues -- and Grice thought himself an English Socrates -- and Oxonian
dialectic as Athenian dialectic-- "Even if I never saw him bothering
people with boring philosophical puzzles."But it arguably reached its
heyday with Grice.The definition of ‘knowledge’ as ‘justified true belief’ is
perhaps the second most infamous example; and this definition was criticised in
Gettier's classic essay -- and again by Grice in the section on the causal
theory of 'know' in WoW -- Way of Words.The specification of necessary and
sufficient conditions may no longer be seen as the primary aim of conceptual
analysis, especially in the case of philosophical concepts such as ‘knowledge’,
which are fiercely contested.But consideration of such conditions remains a
useful tool in the analytic philosopher's toolbag, along with the implicaturum,
what Grice called his "new shining tool" "even if it comes with
a new shining skid!"The use of ‘logical form,’ as Grice
and Strawson note, tends to be otiose. They sometimes just use ‘form.’ It’s
different from the ‘syntactic matter’ of the expression. Matter is strictly
what Ammonius uses to translate ‘hyle’ as applied to this case. When Aristotle
in Anal. Pr. Uses variable letters that’s the forma or eidos; when he doesn’t
(and retreats to ‘homo’, etc.) he is into ‘hyle,’ or ‘materia.’ What other form
is there? Grammatical? Surface versus deep structure? God knows. It’s not even
clear with Witters! Grice at least has a theory. You draw a skull to
communicate there is danger. So you are concerned with the logical form of
“there is danger.” An exploration on logical form can start and SHOULD INCLUDE
what Grice calls the ‘one-off predicament,” of an open GAIIB.” To use
Carruthers’s example and Blackburn: You draw an arrow to have your followers
choose one way on the fork of the road. The logical form is that of the
communicatum. The emissor means that his follower should follow the left path.
What is the logical form of this? It may be said that “p” has a simplex logical
form, the A is B – predicate calculus, or ‘predicative’ calculus, as Starwson
more traditionally puts it! Then there is molecular complex logical form with
‘negation,’ ‘and’, ‘or’, and ‘if.’. you can’t put it in symbols, it’s not worth
saying. Oh, no, if you can put it in symbols, it’s not worth saying. Grice
loved the adage, “quod per litteras demonstrare volumus, universaliter
demonstramus.” material
adequacy, the property that belongs to a formal definition of a concept when
that definition characterizes or “captures” the extension (or material) of the
concept. Intuitively, a formal definition of a concept is materially adequate
if and only if it is neither too broad nor too narrow. Tarski advanced the
state of philosophical semantics by discovering the criterion of material
adequacy of truth definitions contained in his convention T. Material adequacy
contrasts with analytic adequacy, which belongs to definitions that provide a
faithful analysis. Defining an integer to be even if and only if it is the
product of two consecutive integers would be materially adequate but not
analytically adequate, whereas defining an integer to be even if and only if it
is a multiple of 2 would be both materially and analytically adequate.
Mcdougall: Irish philosophical psychologist.
He was probably the first to define psychology as the science of behavior
(Physiological Psychology, 1905; Psychology: The Science of Behavior, 1912) and
he invented hormic (purposive) psychology. By the early twentieth century, as
psychology strove to become scientific, purpose had become a suspect concept,
but following Stout, McDougall argued that organisms possess an “intrinsic
power of self-determination,” making goal seeking the essential and defining
feature of behavior. In opposition to mechanistic and intellectualistic
psychologies, McDougall, again following Stout, proposed that innate instincts
(later, propensities) directly or indirectly motivate all behavior
(Introduction to Social Psychology, 1908). Unlike more familiar psychoanalytic
instincts, however, many of McDougall’s instincts were social in nature (e.g.
gregariousness, deference). Moreover, McDougall never regarded a person as merely
an assemblage of unconnected and quarreling motives, since people are
“integrated unities” guided by one supreme motive around which others are
organized. McDougall’s stress on behavior’s inherent purposiveness influenced
the behaviorist E. C. Tolman, but was otherwise roundly rejected by more
mechanistic behaviorists and empiricistically inclined sociologists. In his
later years, McDougall moved farther from mainstream thought by championing
Lamarckism and sponsoring research in parapsychology. Active in social causes,
McDougall was an advocate of eugenics (Is America Safe for Democracy?, 1921).
low-subjective contraster: in WoW: 140, Grice distinguishes between a subjective
contraster (such as “The pillar box seems red,” “I see that the pillar box is red,”
“I believe that the pillar box is red” and “I know that the pillar box is red”)
and an objective contraster (“The pillar box is red.”) Within these subjective
contraster, Grice proposes a sub-division between nonfactive (“low-subjective”)
and (“high-subjective”). Low-subjective contrasters are “The pillar box seems
red” and “I believe that the pillar box is red,” which do NOT entail the
corresponding objective contraster. The high-subjective contraster, being
factive or transparent, does. The entailment in the case of the high-subjective
contraster is explained via truth-coniditions: “A sees that the pillar box is
red” and “A knows that the pillar box is red” are analysed ‘iff’ the respective
low-subjective contraster obtains (“The pillar box seems red,” and “A believes
that the pillar box is red”), the corresponding objective contraster also
obtains (“The pillar box is red”), and a third condition specifying the
objective contraster being the CAUSE of the low-subjective contraster. Grice
repeats his account of suprasegmental. Whereas in “Further notes about logic
and conversation,” he had focused on the accent on the high-subjective
contraster (“I KNOW”), he now focuses his attention on the accent on the low
subjective contraster. “I BELIEVE that the pillar box is red.” It is the
accented version that gives rise to the implicaturum, generated by the
utterer’s intention that the addressee’s will perceive some restraint or
guardedness on the part of the utterer of ‘going all the way’ to utter a claim
to ‘seeing’ or ‘knowing’, the
high-subjective contraster, but stopping short at the low-subjective
contraster.
martian
conversational implicaturum: “Oh, all the difference in the world!” Grice
converses with a Martian. About Martian x-s that the pillar box is
red. (upper x-ing organ) Martian y-s that the pillar box is red. (lower y-ing
organ). Grice: Is x-ing that the pillar box is red LIKE y-ing that the
pillar-box is red? Martian: Oh, no; there's all the difference in the world!
Analogy x smells sweet. x tastes sweet. Martian x-s the the pillar box is
red-x. Martian y-s that the pillar box is red-y. Martian x-s the pillar box is
medium red. Martian y-s the pillar box is light red.
materia/forma
distinction, materia-inmateria distinction --: immaterialism, Materia-forma --
formale/informale distinction: informal logic: Grice preferred ‘material’ logic
– “What Strawson means by ‘informal logic’ is best expressed by
‘ordinary-language logic,’ drawing on Bergmann’s distinction between the
ordinary and the ideal.” Also called practical logic, the use of logic to
identify, analyze, and evaluate arguments as they occur in contexts of
discourse in everyday conversations. In informal logic, arguments are assessed
on a case-by-case basis, relative to how the argument was used in a given
context to persuade someone to accept the conclusion, or at least to give some
reason relevant to accepting the conclusion. One of Grice’s twelve labours is
with Materialism. Immaterialism is the view that objects are best characterized
as mere collections of qualities: “a certain colour, taste, smell, figure and
consistence having been observed to go together, are accounted one distinct
thing, signified by the name apple” (Berkeley, Principles, 1). So construed,
immaterialism anticipates by some two hundred years a doctrine defended in the
early twentieth century by Russell. The negative side of the doctrine comes in
the denial of material substance or matter. Some philosophers had held that
ordinary objects are individual material substances in which qualities inhere.
The account is mistaken because, according to immaterialism, there is no such
thing as material substance, and so qualities do not inhere in it.
Immaterialism should not be confused with Berkeley’s idealism. The latter, but
not the former, implies that objects and their qualities exist if and only if
they are perceived. materia-forma
distinction, the: forma: form, in metaphysics, especially Plato’s and
Aristotle’s, the structure or essence of a thing as contrasted with its matter.
Plato’s theory of Forms is a realistic ontology of universals. In his elenchus,
Socrates sought what is common to, e.g., all chairs. Plato believed there must
be an essence or Form common to everything falling under one
concept, which makes anything what it is. A chair is a chair because it
“participates in” the Form of Chair. The Forms are ideal “patterns,”
unchanging, timeless, and perfect. They exist in a world of their own cf. the
Kantian noumenal realm. Plato speaks of them as self-predicating: the Form of
Beauty is perfectly beautiful. This led, as he realized, to the Third Man
argument that there must be an infinite number of Forms. The only true
understanding is of the Forms. This we attain through anamnesis,
“recollection.” 2 Aristotle agreed that forms are closely tied to
intelligibility, but denied their separate existence. Aristotle explains change
and generation through a distinction between the form and matter of substances.
A lump of bronze matter becomes a statue through its being molded into a
certain shape form. In his earlier metaphysics, Aristotle identified primary
substance with the composite of matter and form, e.g. Socrates. Later, he
suggests that primary substance is form
what makes Socrates what he is the form here is his soul. This notion of
forms as essences has obvious similarities with the Platonic view. They became
the “substantial forms” of Scholasticism, accepted until the seventeenth
century. Kant saw form as the a priori aspect of experience. We are presented
with phenomenological “matter,” which has no meaning until the mind imposes
some form upon it. Grice finds the ‘logical’ in ‘logical form’ otiose. “Unless
we contrast it with logical matter.” Refs.: Grice, “Form: logical and other.” A
formal fallacy is an invalid inference pattern that is described in terms of a
formal logic. There are three main cases: 1 an invalid or otherwise
unacceptable argument identified solely by its form or structure, with no
reference to the content of the premises and conclusion such as equivocation or
to other features, generally of a pragmatic character, of the argumentative
discourse such as unsuitability of the argument for the purposes for which it
is given, failure to satisfy inductive standards for acceptable argument, etc.;
the latter conditions of argument evaluation fall into the purview of informal
fallacy; 2 a formal rule of inference, or an argument form, that is not valid
in the logical system on which the evaluation is made, instances of which are
sufficiently frequent, familiar, or deceptive to merit giving a name to the
rule or form; ad 3 an argument that is an instance of a fallacious rule of
inference or of a fallacious argument form and that is not itself valid. The
criterion of satisfactory argument typically taken as relevant in discussing
formal fallacies is validity. In this regard, it is important to observe that
rules of inference and argument forms that are not valid may have instances
which may be another rule or argument form, or may be a specific argument that
are valid. Thus, whereas the argument form i P, Q; therefore R a form that
every argument, including every valid argument, consisting of two premises
shares is not valid, the argument form ii, obtained from i by substituting
P&Q for R, is a valid instance of i: ii P, Q; therefore P&Q. Since ii
is not invalid, ii is not a formal fallacy though it is an instance of i. Thus,
some instances of formally fallacious rules of inference or argument-forms may
be valid and therefore not be formal fallacies. Examples of formal fallacies
follow below, presented according to the system of logic appropriate to the
level of description of the fallacy. There are no standard names for some of
the fallacies listed below. Fallacies of sentential propositional logic.
Affirming the consequent: If p then q; q / , p. ‘If Richard had his nephews
murdered, then Richard was an evil man; Richard was an evil man. Therefore,
Richard had his nephews murdered.’ Denying the antecedent: If p then q; not-p /
, not-q. ‘If North was found guilty by the courts, then North committed the
crimes charged of him; North was not found guilty by the courts. Therefore,
North did not commit the crimes charged of him.’ Commutation of conditionals:
If p then q / , If q then p. ‘If Reagan was a great leader, then so was
Thatcher. Therefore, if Thatcher was a great leader, then so was Reagan.”
Improper transposition: If p then q / , If not-p then not-q. ‘If the nations of
the Middle East disarm, there will be peace in the region. Therefore, if the
nations of the Middle East do not disarm, there will not be peace in the
region.’ Improper disjunctive syllogism affirming one disjunct: p or q; p / ,,
not-q. ‘Either John is an alderman or a ward committeeman; John is an alderman.
Therefore, John is not a ward committeeman.’ This rule of inference would be
valid if ‘or’ were interpreted exclusively, where ‘p or EXq’ is true if exactly
one constituent is true and is false otherwise. In standard systems of logic,
however, ‘or’ is interpreted inclusively. Fallacies of syllogistic logic.
Fallacies of distribution where M is the middle term, P is the major term, and
S is the minor term. Undistributed middle term: the middle term is not
distributed in either premise roughly, nothing is said of all members of the
class it designates, as in form, grammatical formal fallacy 316 316 Some P are M ‘Some politicians are
crooks. Some M are S Some crooks are thieves. ,Some S are P. ,Some politicians
are thieves.’ Illicit major undistributed major term: the major term is
distributed in the conclusion but not in the major premise, as in All M are P
‘All radicals are communists. No S are M No socialists are radicals. ,Some S
are ,Some socialists are not not P. communists.’ Illicit minor undistributed
minor term: the minor term is distributed in the conclusion but not in the
minor premise, as in All P are M ‘All neo-Nazis are radicals. All M are S All
radicals are terrorists. ,All S are P. ,All terrorists are neoNazis.’ Fallacies
of negation. Two negative premises exclusive premises: the syllogism has two
negative premises, as in No M are P ‘No racist is just. Some M are not S Some
racists are not police. ,Some S are not P. ,Some police are not just. Illicit
negative/affirmative: the syllogism has a negative premise conclusion but no
negative conclusion premise, as in All M are P ‘All liars are deceivers. Some M
are not S Some liars are not aldermen. ,Some S are P. ,Some aldermen are
deceivers.’ and All P are M ‘All vampires are monsters. All M are S All
monsters are creatures. ,Some S are not P. ,Some creatures are not vampires.’
Fallacy of existential import: the syllogism has two universal premises and a
particular conclusion, as in All P are M ‘All horses are animals. No S are M No
unicorns are animals. ,Some S are not P. ,Some unicorns are not horses.’ A
syllogism can commit more than one fallacy. For example, the syllogism Some P
are M Some M are S ,No S are P commits the fallacies of undistributed middle,
illicit minor, illicit major, and illicit negative/affirmative. Fallacies of
predicate logic. Illicit quantifier shift: inferring from a universally
quantified existential proposition to an existentially quantified universal
proposition, as in Ex Dy Fxy / , Dy Ex Fxy ‘Everyone is irrational at some time
or other /, At some time, everyone is irrational.’ Some are/some are not
unwarranted contrast: inferring from ‘Some S are P’ that ‘Some S are not P’ or
inferring from ‘Some S are not P’ that ‘Some S are P’, as in Dx Sx & Px / ,
Dx Sx & -Px ‘Some people are left-handed / , Some people are not
left-handed.’ Illicit substitution of identicals: where f is an opaque oblique
context and a and b are singular terms, to infer from fa; a = b / , fb, as in
‘The Inspector believes Hyde is Hyde; Hyde is Jekyll / , The Inspector believes
Hyde is Jekyll.’ Forma gives rise to
formalism (or the formalists), which Grice contrasts with Ryle and Strawson’s
informalism (the informalists). Formalism is described by Grice as the the view
that mathematics concerns manipulations of symbols according to prescribed structural
rules. It is cousin to nominalism, the older and more general metaphysical view
that denies the existence of all abstract objects and is often contrasted with
Platonism, which takes mathematics to be the study of a special class of
non-linguistic, non-mental objects, and intuitionism, which takes it to be the
study of certain mental constructions. In sophisticated versions, mathematical
activity can comprise the study of possible formal manipulations within a
system as well as the manipulations themselves, and the “symbols” need not be
regarded as either linguistic or concrete. Formalism is often associated with
the mathematician formalism formalism 317
317 David Hilbert. But Hilbert held that the “finitary” part of
mathematics, including, for example, simple truths of arithmetic, describes
indubitable facts about real objects and that the “ideal” objects that feature
elsewhere in mathematics are introduced to facilitate research about the real
objects. Hilbert’s formalism is the view that the foundations of mathematics
can be secured by proving the consistency of formal systems to which
mathematical theories are reduced. Gödel’s two incompleteness theorems
establish important limitations on the success of such a project. And then
there’s “formalization,” an abstract representation of a theory that must
satisfy requirements sharper than those imposed on the structure of theories by
the axiomatic-deductive method. That method can be traced back to Euclid’s
Elements. The crucial additional requirement is the regimentation of
inferential steps in proofs: not only do axioms have to be given in advance,
but the rules representing argumentative steps must also be taken from a
predetermined list. To avoid a regress in the definition of proof and to
achieve intersubjectivity on a minimal basis, the rules are to be “formal” or
“mechanical” and must take into account only the form of statements. Thus, to
exclude any ambiguity, a precise and effectively described language is needed
to formalize particular theories. The general kind of requirements was clear to
Aristotle and explicit in Leibniz; but it was only Frege who, in his
Begriffsschrift 1879, presented, in addition to an expressively rich language
with relations and quantifiers, an adequate logical calculus. Indeed, Frege’s
calculus, when restricted to the language of predicate logic, turned out to be
semantically complete. He provided for the first time the means to formalize
mathematical proofs. Frege pursued a clear philosophical aim, namely, to
recognize the “epistemological nature” of theorems. In the introduction to his
Grundgesetze der Arithmetik 3, Frege wrote: “By insisting that the chains of
inference do not have any gaps we succeed in bringing to light every axiom,
assumption, hypothesis or whatever else you want to call it on which a proof
rests; in this way we obtain a basis for judging the epistemological nature of
the theorem.” The Fregean frame was used in the later development of
mathematical logic, in particular, in proof theory. Gödel established through
his incompleteness theorems fundamental limits of formalizations of particular
theories, like the system of Principia Mathematica or axiomatic set theories.
The general notion of formal theory emerged from the subsequent investigations
of Church and Turing clarifying the concept of ‘mechanical procedure’ or
‘algorithm.’ Only then was it possible to state and prove the incompleteness
theorems for all formal theories satisfying certain very basic representability
and derivability conditions. Gödel emphasized repeatedly that these results do
not establish “any bounds for the powers of human reason, but rather for the
potentialities of pure formalism in mathematics.” As Grice notes, to ormalize: narrowly construed,
to formulate a subject as a theory in first-order predicate logic; broadly
construed, to describe the essentials of the subject in some formal language
for which a notion of consequence is defined. For Hilbert, formalizing
mathematics requires at least that there be finite means of checking purported
proofs. The formalists speak of a
‘formal’ language, “but is it a language?” – Grice. formal language: H. P.
Grice, “Bergmann on ideal language versus ordinary language,” a language in
which an expression’s grammaticality and interpretation if any are determined
by precisely defined rules that appeal only to the form or shape of the symbols
that constitute it rather than, for example, to the intention of the speaker.
It is usually understood that the rules are finite and effective so that there
is an algorithm for determining whether an expression is a formula and that the
grammatical expressions are uniquely readable, i.e., they are generated by the
rules in only one way. A paradigm example is the language of firstorder
predicate logic, deriving principally from the Begriffsschrift of Frege. The
grammatical formulas of this language can be delineated by an inductive
definition: 1 a capital letter ‘F’, ‘G’, or ‘H’, with or without a numerical
subscript, folformalism, aesthetic formal language 318 318 lowed by a string of lowercase letters
‘a’, ‘b’, or ‘c’, with or without numerical subscripts, is a formula; 2 if A is
a formula, so is -A; 3 if A and B are formulas, so are A & B, A P B, and A
7 B; 4 if A is a formula and v is a lowercase letter ‘x’, ‘y’, or ‘z’, with or
without numerical subscripts, then DvA' and EvA' are formulas where A' is
obtained by replacing one or more occurrences of some lowercase letter in A
together with its subscripts if any by v; 5 nothing is a formula unless it can
be shown to be one by finitely many applications of the clauses 14. The
definition uses the device of metalinguistic variables: clauses with ‘A’ and
‘B’ are to be regarded as abbreviations of all the clauses that would result by
replacing these letters uniformly by names of expressions. It also uses several
naming conventions: a string of symbols is named by enclosing it within single
quotes and also by replacing each symbol in the string by its name; the symbols
‘7’, ‘‘,’’, ‘&’, ‘P’, ‘-’ are considered names of themselves. The
interpretation of predicate logic is spelled out by a similar inductive
definition of truth in a model. With appropriate conventions and stipulations,
alternative definitions of formulas can be given that make expressions like ‘P
7 Q’ the names of formulas rather than formulas themselves. On this approach,
formulas need not be written symbols at all and form cannot be identified with
shape in any narrow sense. For Tarski, Carnap, and others a formal language
also included rules of “transformation” specifying when one expression can be
regarded as a consequence of others. Today it is more common to view the
language and its consequence relation as distinct. Formal languages are often
contrasted with natural languages, like English or Swahili. Richard Montague,
however, has tried to show that English is itself a formal language, whose
rules of grammar and interpretation are similar to though much more complex than predicate logic. Then there’s formal learnability theory, the
study of human language learning through explicit formal models typically
employing artifical languages and simplified learning strategies. The
fundamental problem is how a learner is able to arrive at a grammar of a
language on the basis of a finite sample of presented sentences and perhaps
other kinds of information as well. The seminal work is by E. Gold 7, who
showed, roughly, that learnability of certain types of grammars from the
Chomsky hierarchy by an unbiased learner required the presentation of
ungrammatical strings, identified as such, along with grammatical strings.
Recent studies have concentrated on other types of grammar e.g., generative
transformational grammars, modes of presentation, and assumptions about
learning strategies in an attempt to approximate the actual situation more
closely. If Strawson and Ryle are into ‘informal logic,’ Hilbert isn’t. Formal
logic, versus ‘material logic,’ is the science of correct reasoning, going back
to Aristotle’s Prior Analytics, based upon the premise that the validity of an
argument is a function of its structure or logical form. The modern embodiment
of formal logic is symbolic mathematical logic. This is the study of valid
inference in artificial, precisely formulated languages, the grammatical
structure of whose sentences or well-formed formulas is intended to mirror, or
be a regimentation of, the logical forms of their natural language
counterparts. These formal languages can thus be viewed as mathematical models
of fragments of natural language. Like models generally, these models are
idealizations, typically leaving out of account such phenomena as vagueness,
ambiguity, and tense. But the idea underlying symbolic logic is that to the
extent that they reflect certain structural features of natural language arguments,
the study of valid inference in formal languages can yield insight into the
workings of those arguments. The standard course of study for anyone interested
in symbolic logic begins with the classical propositional calculus sentential
calculus, or PC. Here one constructs a theory of valid inference for a formal
language built up from a stock of propositional variables sentence letters and
an expressively complete set of connectives. In the propositional calculus, one
is therefore concerned with arguments whose validity turns upon the presence of
two-valued truth-functional sentence-forming operators on sentences such as
classical negation, conjunction, disjunction, and the like. The next step is
the predicate calculus lower functional calculus, first-order logic, elementary
quantification theory, the study of valid inference in first-order languages.
These are languages built up from an expressively complete set of connectives,
first-order universal or existential quantifiers, individual variables, names,
predicates relational symbols, and perhaps function symbols. Further, and more
specialized, work in symbolic logic might involve looking at fragments of the
language of the propositional or predicate calculus, changing the semantics
that the language is standardly given e.g., by allowing truth-value gaps or
more than two truth-values, further embellishing the language e.g., by adding
modal or other non-truth-functional connectives, or higher-order quantifiers,
or liberalizing the grammar or syntax of the language e.g., by permitting
infinitely long well-formed formulas. In some of these cases, of course,
symbolic logic remains only marginally connected with natural language
arguments as the interest shades off into one in formal languages for their own
sake, a mark of the most advanced work being done in formal logic today. Some philosophers (“me included” – Grice)
speak of “formal semantics,” as opposed to Austin’s informal linguistic
botanising -- the study of the interpretations of formal languages. A formal
language can be defined apart from any interpretation of it. This is done by
specifying a set of its symbols and a set of formation rules that determine
which strings of symbols are grammatical or well formed. When rules of
inference transformation rules are added and/or certain sentences are
designated as axioms a logical system also known as a logistic system is
formed. An interpretation of a formal language is roughly an assignment of
meanings to its symbols and truth conditions to its sentences. Typically a
distinction is made between a standard interpretation of a formal language and
a non-standard interpretation. Consider a formal language in which arithmetic
is formulable. In addition to the symbols of logic variables, quantifiers,
brackets, and connectives, this language will contain ‘0’, ‘!’, ‘•’, and ‘s’. A
standard interpretation of it assigns the set of natural numbers as the domain
of discourse, zero to ‘0’, addition to ‘!’, multiplication to ‘•’, and the
successor function to ‘s’. Other standard interpretations are isomorphic to the
one just given. In particular, standard interpretations are numeral-complete in
that they correlate the numerals one-to-one with the domain elements. A result
due to Gödel and Rosser is that there are universal quantifications xAx that
are not deducible from the Peano axioms if those axioms are consistent even
though each An is provable. The Peano axioms if consistent are true on each
standard interpretation. Thus each An is true on such an interpretation. Thus xAx
is true on such an interpretation since a standard interpretation is
numeral-complete. However, there are non-standard interpretations that do not
correlate the numerals one-to-one with domain elements. On some of these
interpretations each An is true but xAx is false. In constructing and
interpreting a formal language we use a language already known to us, say,
English. English then becomes our metalanguage, which we use to talk about the
formal language, which is our object language. Theorems proven within the
object language must be distinguished from those proven in the metalanguage.
The latter are metatheorems. One goal of a semantical theory of a formal
language is to characterize the consequence relation as expressed in that
language and prove semantical metatheorems about that relation. A sentence S is
said to be a consequence of a set of sentences K provided S is true on every
interpretation on which each sentence in K is true. This notion has to be kept
distinct from the notion of deduction. The latter concept can be defined only
by reference to a logical system associated with a formal language.
Consequence, however, can be characterized independently of a logical system,
as was just done.
Materialism: one of the twelve labours of
H. P. Grice. d’Holbach, Paul-Henri-Dietrich, Baron, philosopher, a leading
materialist and prolific contributor to the Encyclopedia. He dharma d’Holbach,
Paul-Henri-Dietrich 231 231 was born in
the Rhenish Palatinate, settled in France at an early age, and read law at
Leiden. After inheriting an uncle’s wealth and title, he became a solicitor at
the Paris “Parlement” and a regular host of philosophical dinners attended by
the Encyclopedists and visitors of renown Gibbon, Hume, Smith, Sterne,
Priestley, Beccaria, Franklin. Knowledgeable in chemistry and mineralogy and
fluent in several languages, he tr. G. scientific works and English
anti-Christian pamphlets into . Basically, d’Holbach was a synthetic thinker,
powerful though not original, who systematized and radicalized Diderot’s
naturalism. Also drawing on Hobbes, Spinoza, Locke, Hume, Buffon, Helvétius,
and La Mettrie, his treatises were so irreligious and anticlerical that they
were published abroad anonymously or pseudonymously: Christianity Unveiled
1756, The Sacred Contagion 1768, Critical History of Jesus 1770, The Social
System 1773, and Universal Moral 1776. His masterpiece, the System of Nature
1770, a “Lucretian” compendium of eighteenth-century materialism, even shocked
Voltaire. D’Holbach derived everything from matter and motion, and upheld
universal necessity. The self-sustaining laws of nature are normative. Material
reality is therefore contrasted to metaphysical delusion, self-interest to
alienation, and earthly happiness to otherworldly optimism. More vindictive
than Toland’s, d’Holbach’s unmitigated critique of Christianity anticipated
Feuerbach, Strauss, Marx, and Nietzsche. He discredited supernatural
revelation, theism, deism, and pantheism as mythological, censured Christian
virtues as unnatural, branded piety as fanatical, and stigmatized clerical
ignorance, immorality, and despotism. Assuming that science liberates man from
religious hegemony, he advocated sensory and experimental knowledge. Believing
that society and education form man, he unfolded a mechanistic anthropology, a
eudaimonistic morality, and a secular, utilitarian social and political
program.
maximum: Grice uses ‘maximum’ variously. “Maximally effective
exchange of information.” Maximum is used in decision theory and in value theory.
Cfr. Kasher on maximin. “Maximally effective exchange of information” (WOW: 28)
is the exact phrase Grice uses, allowing it should be generalised. He repeats
the idea in “Epilogue.” Things did not change.
maximal consistent set, in formal logic, any
set of sentences S that is consistent – i.e., no contradiction is provable from
S – and maximally so – i.e., if T is consistent and S 0 T, then S % T. It can
be shown that if S is maximally consistent and s is a sentence in the same
language, then either s or - s (the negation of s) is in S. Thus, a maximally
consistent set is complete: it settles every question that can be raised in the
language.
maximin strategy, a strategy that
maximizes an agent’s minimum gain, or equivalently, minimizes his maximum loss.
Writers who work in terms of loss thus call such a strategy a minimax strategy.
The term ‘security strategy’, which avoids potential confusions, is now widely
used. For each action, its security level is its payoff under the worst-case
scenario. A security strategy is one with maximal security level. An agent’s
security strategy maximizes his expected utility if and only if (1) he is
certain that “nature” has his worst interests at heart and (2) he is certain
that nature will be certain of his strategy when choosing hers. The first
condition is satisfied in the case of a two-person zero-sum game where the
payoff structure is commonly known. In this situation, “nature” is the other
player, and her gain is equal to the first player’s loss. Obviously, these
conditions do not hold for all decision problems.
Maxwell’s pataphysics -- hammer: Scots
physicist who made pioneering contributions to the theory of electromagnetism,
the kinetic theory of gases, and the theory of color vision. His work on
electromagnetism is summarized in his Treatise on Electricity and Magnetism
(1873). In 1871 he became Cambridge University’s first professor of
experimental physics and founded the Cavendish Laboratory, which he directed
until his death. Maxwell’s most important achievements were his field theory of
electromagnetism and the discovery of the equations that bear his name. The
field theory unified the laws of electricity and magnetism, identified light as
a transverse vibration of the electromagnetic ether, and predicted the
existence of radio waves. The fact that Maxwell’s equations are
Lorentz-invariant and contain the speed of light as a constant played a major
role in the genesis of the special theory of relativity. He arrived at his
theory by searching for a “consistent representation” of the ether, i.e., a
model of its inner workings consistent with the laws of mechanics. His search
for a consistent representation was unsuccessful, but his papers used
mechanical models and analogies to guide his thinking. Like Boltzmann, Maxwell
advocated the heuristic value of model building. Maxwell was also a pioneer in
statistical physics. His derivation of the laws governing the macroscopic
behavior of gases from assumptions about the random collisions of gas molecules
led directly to Boltzmann’s transport equation and the statistical analysis of
irreversibility. To show that the second law of thermodynamics is
probabilistic, Maxwell imagined a “neat-fingered” demon who could cause the
entropy of a gas to decrease by separating the faster-moving gas molecules from
the slower-moving ones.
Marsili -- Alessandro Marsili
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Alessandro Marsili (Siena, 26 dicembre 1601 – Siena, 21 gennaio 1670) è stato
un filosofo italiano. Biografia Si
laureò in legge (1622) e in filosofia (1623) a Siena, sua città natale. Nel
1627 fu nominato lettore di logica e, in seguito, di filosofia nello Studio
senese. Conobbe Galileo dopo il processo in casa dell'arcivescovo di Siena
Ascanio Piccolomini. Nel 1638 passò alla cattedra di filosofia nello Studio
pisano, dove dal 1662 esercitò la carica di Provveditore. Fu membro
dell'Accademia del Cimento, ma le sue convinzioni dichiaratamente aristoteliche
gli impedirono di coglierne lo spirito innovatore. Propose un esperimento per
capire se lo spazio lasciato libero nel tubo barometrico durante l'esperienza
torricelliana contenesse esalazioni di mercurio. Altri progetti Collabora a Wikisource
Wikisource contiene una pagina dedicata a Alessandro Marsili Collegamenti
esterni Museo Galileo, su catalogo.museogalileo.it. Federica Favino, Alessandro
Marsili, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 5 agosto 2018. Biografie Portale
Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XVII
secoloNati nel 1601Morti nel 1670Nati il 26 dicembreMorti il 21 gennaioNati a
SienaMorti a Siena[altre]
Martelli -- Michele Martelli
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Michele Martelli Michele Martelli (San Marco
in Lamis, 5 maggio 1940) è un filosofo e saggista italiano. Ha insegnato
filosofia all'Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo" per quasi
quarant'anni. Indice 1 Biografia 2 Pensiero
3 Opere
4 Voci
correlate 5 Collegamenti
esterni Biografia Laureatosi in filosofia nel 1964, ha partecipato a lungo alla
lotta politica in formazioni marxiste nate a cavallo del Sessantotto. Diventato
docente nell'Università di Urbino negli anni Settanta, ha insegnato, tra
l'altro, Filosofia della storia e Filosofia morale. Ha diretto il master
interfacoltà «Management etico e Governance delle Organizzazioni». Collabora
con MicroMega (periodico). Pensiero Nel
passato i suoi studi si sono concentrati sul pensiero di Nietzsche, Gramsci, e
di numerosi autori del Novecento, affrontando alcune tra le più dibattute
vicende e problematiche filosofico-politiche dell'ultimo secolo. Negli ultimi
anni si è occupato di temi di forte attualità, elaborando l'idea di una filosofia
volta ad una critica radicale del dogmatismo e del fondamentalismo religioso e
in generale di ogni forma di assolutismo che minacci la libertà di pensiero, i
diritti civili, le istituzioni democratiche e la pace tra i popoli. Il suo
attuale impegno di saggista è rivolto in particolare alla difesa della laicità,
contro l'interventismo politico delle gerarchie ecclesiastiche e vaticane. Opere La felicità e i suoi nemici. Apologia
dell'agnosticismo, Manifestolibri, 2017. ISBN 978-88-7285-871-4 Il laico impertinente.
Laicità e democrazia nella crisi italiana, Manifestolibri, 2013. ISBN
978-88-7285-747-2 La Chiesa è compatibile con la Democrazia?, Manifestolibri,
2011. ISBN 88-7285-698-1 Italy, Vatican State, Fazi editore, 2010. ISBN
88-6411-089-5 Quando Dio entra in politica, Fazi editore, 2008. ISBN
88-8112-953-1 Senza dogmi. L'antifilosofia di Papa Ratzinger, Editori riuniti,
2007. ISBN 88-359-5878-4 Teologia del terrore. Filosofia, religione, politica
dopo l'11 settembre, Manifestolibri, 2006 (nuova edizione economica 2008) ISBN
88-7285-534-9. Il secolo del male. Riflessioni sul Novecento, Manifestolibri,
2004. ISBN 88-7285-369-9 Etica e storia. Croce e Gramsci a confronto, La città
del sole, 2001. ISBN 88-8292-111-5 I filosofi e l'Urss. Per una critica del «Socialismo
reale», La città del sole, 1999. ISBN 88-8292-018-6 Gramsci filosofo della
politica, Unicopli, 1996. ISBN 88-400-0418-1 Nietzsche inattuale, Quattroventi,
1989. ISBN 88-392-0080-0 Filosofia e società nel giovane Nietzsche,
Quattroventi, 1983. Voci correlate Università degli studi di Urbino "Carlo
Bo" Antonio Gramsci Friedrich Nietzsche Laicità Collegamenti esterni Il
laico impertinente: il blog di Michele Martelli, su
michelemartelli.blogspot.com. URL consultato il 3 maggio 2019 (archiviato dall'url
originale il 17 giugno 2019). Controllo di autorità VIAF (EN) 12322320 · ISNI
(EN) 0000 0000 9523 6921 · LCCN (EN) n85101837 · BNF (FR) cb120273967 (data) ·
WorldCat Identities (EN) lccn-n85101837 Biografie Portale Biografie Filosofia
Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani
del XXI secoloSaggisti italiani del XX secoloSaggisti italiani del XXI
secoloNati nel 1940Nati il 5 maggioNati a San Marco in Lamis[altre]
Martinetti -- Piero Martinetti Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search «Di sé soleva dire di
essere un neoplatonico trasmigrato troppo presto nel nostro secolo»
(Cesare Goretti[1]) Piero Martinetti Piero Martinetti (Pont Canavese, 21
agosto 1872 – Cuorgnè, 23 marzo 1943) è stato un filosofo, storico della
filosofia e accademico italiano. Fu professore di filosofia, in
particolare filosofia teoretica e morale; si distinse per essere stato uno dei
pochi docenti universitari, nonché l'unico filosofo universitario italiano, che
rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà al Fascismo.[2] Indice
1 Biografia 1.1 Famiglia
1.2 Studi
1.3 L'insegnamento
1.4 Il
rifiuto della politica e la critica della guerra 1.5 La Società di studi filosofici
e religiosi 1.6 Il
Congresso Nazionale di Filosofia del 1926 1.7 La
Rivista di filosofia 1.8 Il
rifiuto del giuramento di fedeltà al Fascismo 1.9 Il ritiro 1.10 L'antifascismo
di Martinetti 1.11 L'arresto
e il carcere 1.12 La
morte 1.13 Il
funerale e la cremazione 1.14 L'eredità
intellettuale 2 Filosofia
3 La
riflessione religiosa 4 La
nonviolenza 5 La
riflessione sugli animali 6 La
scelta della cremazione 7 Opere
8 Riconoscimenti
9 Note
10 Bibliografia
11 Voci
correlate 12 Altri
progetti 13 Collegamenti
esterni Biografia Famiglia Pier Federico Giuseppe Celestino Mario Martinetti fu
il primo dei quattro figli (tre maschi e una femmina, senza contare una bambina
che morì piccolissima) dell'avvocato Francesco Martinetti (1846-1921) e di
Rosalia Bertogliatti(1846-1927). Studi Dopo aver frequentato il Liceo
classico Carlo Botta di Ivrea, si iscrisse all'Università degli Studi di
Torino, dove ebbe come insegnanti Giuseppe Allievo, Romualdo Bobba, Pasquale
D'Ercole[3], Giovanni Flechia[4] e Arturo Graf[5], laureandosi in filosofia nel
1893 all'età di 21 anni[6], con una tesi su Il Sistema Sankhya. Studio sulla
filosofia indiana[7] discussa con Pasquale D'Ercole, docente di filosofia
teoretica. La tesi viene pubblicata a Torino da Lattes nel 1896 e, grazie
all'interessamento di Giuseppe Allievo, risulta vincitrice del Premio
Gautieri.[8] Dopo la laurea Martinetti fece un soggiorno di due semestri
presso l'Università di Lipsia[9], dove poté venire a conoscenza del
fondamentale studio di Richard Garbe sulla filosofia Sāṃkhya da poco
pubblicato[10]. Si può dunque "ipotizzare che tra gli scopi del viaggio vi
fosse anzitutto quello di approfondire gli studi indianistici, iniziati a
Torino con Giovanni Flechia e Pasquale D'Ercole."[11] L'insegnamento
Martinetti insegnò dapprima filosofia nei licei di Avellino (1899-1900)[12]
Correggio (1900-1901), Vigevano (1901-1902), Ivrea (1903-1904) e per finire al
Liceo Alfieri di Torino (1904-1905). Nel 1904 pubblicò la monumentale
Introduzione alla metafisica. I Teoria della conoscenza, che - dopo che ebbe
conseguito nel 1905 la libera docenza in Filosofia teoretica all'Università di
Torino - gli valse di vincere il concorso per le cattedre di filosofia
teoretica e morale dell'Accademia scientifico-letteraria di Milano (che nel
1923 diventò Regia Università degli Studî) nella quale insegnò dal novembre del
1906 al novembre del 1931. Nel 1915 divenne socio corrispondente della
classe di Scienze morali dell'Istituto lombardo di scienze e lettere[13],
fondato nel 1797 da Napoleone sul modello dell'Institut de France.
Il rifiuto della politica e la critica della guerra Martinetti fu una singolare
figura di intellettuale indipendente, estraneo alla tradizione cattolica come
ai contrasti politici che viziarono il suo tempo[14], non aderì né al Manifesto
degli intellettuali fascisti di Gentile né al Manifesto degli intellettuali
antifascisti di Croce[15]. Fu uno dei rari intellettuali che criticarono la
prima guerra mondiale; scrisse infatti che la guerra è «sovvertitrice degli
ordini sociali pratici ed un'inversione di tutti i valori morali [...] dà un
primato effettivo alla casta militare che è sia intellettualmente sia
moralmente l'ultima di tutte subordinando ad essa le parti migliori della
nazione [...] strappa gli uomini ai loro focolari e li getta in mezzo ad una
vita fatta di ozio, di violenze e di dissolutezze.[16]» Nel 1923, in
seguito a quelle che qualificò di "circostanze pesantissime" (la
marcia su Roma e la successiva nomina di Mussolini a presidente del Consiglio
il 31 ottobre 1922), rifiutò la nomina a socio corrispondente della Reale
Accademia Nazionale dei Lincei[17]. La Società di studi filosofici e
religiosi Mentre nelle sue lezioni universitarie sviluppava un sistema di
filosofia della religione, il 15 gennaio 1920 Martinetti inaugurò a Milano una
Società di studi filosofici e religiosi, formata da un gruppo di amici in
"piena e perfetta indipendenza da ogni vincolo dogmatico"[18] dove si
riunirono autorevoli intellettuali del panorama filosofico e intellettuale
italiano dell'epoca e in cui organizzò una serie di conferenze. Le prime
conferenze furono tenute da Antonio Banfi e da Luigi Fossati oltre che,
naturalmente, da Martinetti, le cui tre relazioni, riunite sotto il titolo
comune di Il compito della filosofia nell'ora presente, segneranno la sua
rottura con Giovanni Gentile.[19] In seguito ad una denuncia per «vilipendio
della eucaristia», presentata da un certo Ricci al rettore Luigi Mangiagalli il
2 febbraio 1926, dovette sottoscrivere un memoriale in difesa dei propri corsi
sulla filosofia della religione[20]. Il Congresso Nazionale di Filosofia
del 1926 Nel marzo 1926, incaricato dalla "Società Filosofica
Italiana", organizzò e presiedette il "VI Congresso Nazionale di
Filosofia"[21]. L'evento fu sospeso dopo solo due giorni dal rettore
Luigi Mangiagalli a causa di agitatori politici fascisti e cattolici. Il
congresso fu poi chiuso d'imperio dal questore: da un lato incise l'opposizione
di P. Agostino Gemelli[22], fondatore e rettore dell'Università Cattolica, che
faceva parte del Comitato organizzatore (quale rappresentante dell'Università
Cattolica) ma che, per scelta di Martinetti, non era tra i relatori[23];
dall'altro lato la partecipazione, fortemente voluta da Martinetti, di Ernesto
Buonaiuti, scomunicato "expresse vitandus" dal Sant'Uffizio[24],
dette ai filosofi cattolici neoscolastici la scusa per ritirarsi dal
congresso[25]. Come scrive Pier Giorgio Zunino: «Le minute cronache
del congresso hanno già messo in luce come Martinetti nell'assolvere al compito
di organizzatore dell'incontro, assunto con una apparente riluttanza, operasse
assai poco da ingenuo filosofo fuori dal mondo. Al contrario, ricorrendo a una
certa qual abile ruse egli mise assieme un programma che costituiva quanto di
più ostico potesse risultare ai palati dei cattolici fascisti sia dei filosofi
di regime.» Il 31 marzo del 1926 Martinetti firma con Cesare Goretti
(segretario del Congresso) una lettera di protesta al rettore
Mangiagalli[26]: «Compiamo il dovere d'informarla che conforme al suo
ordine il congresso si è sciolto senza incidenti. Sciogliendosi ha votato
all'unanimità il seguente ordine del giorno di protesta: Il Congresso della
Società filosofica italiana riunito in Milano: avuta comunicazione che è stato
rivolto alla Presidenza un invito superiore achiudere i lavori del Congresso.
Protesta in nome della libertà degli studi e della tradizione italiana contro
un atto di violenza che impedisce l'esercizio della discussione filosofica ed
invano pretende di vincolare la vita del pensiero.» La Rivista di
filosofia A partire dal 1927 Martinetti fu il direttore della Rivista di
filosofia, ma per prudenza il suo nome non vi comparve mai come tale.[27]. Tra
i collaboratori della rivista vi furono: Ennio Carando, Maria Venturini,
Norberto Bobbio, Ludovico Geymonat, Luigi Fossati (che ufficialmente ne era il
direttore responsabile), Gioele Solari, Alessandro Levi, Giulio Grasselli,
Cesare Goretti[28]. Il rifiuto del giuramento di fedeltà al Fascismo Nel
dicembre 1931, quando il ministro dell'educazione nazionale Balbino Giuliano impose
ai professori universitari il Giuramento di fedeltà al Fascismo, Martinetti fu
uno dei pochi a rifiutare fin dal primo momento[29]: La lettera di
rifiuto del giuramento 13 dicembre 1931 Eccellenza! Ieri sono stato
chiamato dal Rettore di questa Università che mi ha comunicato le Sue cortesi
parole, e vi ha aggiunto, con squisita gentilezza, le considerazioni più
persuasive. Sono addolorato di non poter rispondere con un atto di obbedienza.
Per prestare il giuramento richiesto dovrei tenere in nessun conto o la lealtà
del giuramento o le mie convinzioni morali più profonde: due cose per me
egualmente sacre. Ho prestato il giuramento richiesto quattro anni or sono,
perché esso vincolava solo la mia condotta di funzionario: non posso prestare
quello che oggi mi si chiede, perché esso vincolerebbe e lederebbe la mia
coscienza. Ho sempre diretta la mia attività filosofica secondo le
esigenze della mia coscienza, e non ho mai preso in considerazione, neppure per
un momento, la possibilità di subordinare queste esigenze a direttive di
qualsivoglia altro genere. Così ho sempre insegnato che la sola luce, la sola
direzione ed anche il solo conforto che l'uomo può avere nella vita è la
propria coscienza; e che il subordinarla a qualsiasi altra considerazione, per
quanto elevata essa sia, è un sacrilegio. Ora col giuramento che mi è richiesto
io verrei a smentire queste mie convinzioni ed a smentire con esse tutta la mia
vita; l'E.V. riconoscerà che questo non è possibile. Con questo non
intendo affatto declinare qualunque eventuale conseguenza della mia decisione:
soltanto sono lieto che l'E.V. mi abbia dato la possibilità di mettere in
chiaro che essa procede non da una disposizione ribelle e proterva, ma dalla
impossibilità morale di andare contro ai principî che hanno retto tutta la mia
vita. Dell'E.V. dev.mo Dr. Piero Martinetti In una lettera a
Guido Cagnola del 21 dicembre 1931[30] Martinetti scrive: «Ella ora saprà
che io sono uno degli undici (su 1225 professori universitari! ne arrossisco
ancora) che hanno rifiutato il giuramento di fedeltà fascista e che perciò sono
stati o saranno fra breve espulsi dall'università. Mi consolo d'essere in buona
compagnia: Ruffini, Carrara, De Sanctis (lo storico), Levi Della Vida
(l'orientalista), Volterra (il matematico), Buonaiuti e qualche altro. Mi
rincresce non tanto la cosa, quanto il modo: e mi rincresce che si sia fatto e
si faccia rumore intorno al mio nome. Ma come fare? Giurare per me era tanto
impossibile quanto una impossibilità fisica: sarei morto d'avvilimento.»
E in un'altra lettera ad Adelchi Baratono del 27 dicembre 1931[31]: «Io
non ho voluto giurare (e così credo molti degli undici) per un motivo
religioso, per non subordinare le cose di Dio alle cose della terra: dove sta
per andare il rispetto della coscienza? Ciò è triste e annuncia oscuramente un
avvenire triste per tutti, anche per i persecutori.» Come scrive al
proposito Fabio Minazzi[32]: «Martinetti ha infine opposto un netto
rifiuto a sottostare al giuramento preteso e voluto dalla dittatura fascista,
nel 1931, da tutti i docenti universitari italiani. Giustamente occorre sempre
sottrarre, criticamente, questo straordinario gesto martinettiano, invero assai
emblematico, da ogni ottundente e vacua retorica antifascista, onde comprenderlo
in tutta la sua genesi specifica. Nel caso di Martinetti non può allora essere
certamente negato, in sintonia con Franco Alessio, il carattere dichiaratamente
religioso di questa sua scelta che, non per nulla, lo ha infine indotto ad
essere l'unico filosofo italiano universitario che ha avuto l'incredibile
capacità critica di sottrarsi nettamente e senza compromessi all'imposizione
del regime fascista. In questa prospettiva Martinetti non ha giurato proprio
perché nutriva una particolare percezione critica dello stesso
"giuramento" in connessione con i suoi più profondi convincimenti
morali che avevano peraltro guidato tutta la sua attività di docente e di
filosofo. Tuttavia, nel riconoscere questa precisa matrice religiosa della sua
scelta, non deve essere neppure negato il suo specifico valore e il suo preciso
significato civile, culturale e anche filosofico.» Scrive in proposito
Amedeo Vigorelli[33]: «Una certaretorica resistenziale si è impadronita
anche di Martinetti, impedendo un approfondimento più serio e radicale dei
tratti originali del suo antifascismo […] L'atto di Martinetti non era cioè
solo un monito contro l'oppressione totalitaria e antidemocratica, ma contro
ogni forma di politica compromissoria e concordataria, contro l'ambiguo
connubio fra religione e politica, sintomo di una profonda immaturità religiosa
e premessa di forme più o meno larvate di condizionamento della libertà di
coscienza, non sempre si ama ricordare che l'avversione di Martinetti al
fascismo era innanzi tutto avversione a ogni forma di retorica nazionalistica,
ma anche all'esaltazione demagogica delle masse popolari. Prima che della
dittatura fascista, Martinetti fu critico altrettanto risoluto del socialismo
marxista e della democrazia, di cui colse gli aspetti degenerativi
dell'affarismo e dell'ultraparlamentarismo» Il ritiro In seguito a questo
suo rifiuto, Martinetti venne messo in pensione d'autorità[34], e dal 1932 fino
alla morte si dedicò unicamente agli studi personali di filosofia[35],
ritirandosi nella villa di Spineto, frazione di Castellamonte, vicino al suo
paese di nascita.[36] In questo lasso di tempo tradusse i suoi classici
preferiti (Kant, Schopenhauer), studiò approfonditamente Spinoza e ultimò la
trilogia (iniziata con la Introduzione alla metafisica e continuata nel 1928
con La libertà) scrivendo Gesù Cristo e il Cristianesimo (1934); Il Vangelo è
del 1936; Ragione e fede venne completato nel 1942. Martinetti propose come
suoi successori Adelchi Baratono per l'insegnamento della filosofia e Antonio Banfi
per l'insegnamento della Storia della Filosofia all'Università degli Studi di
Milano[37]. L'antifascismo di Martinetti Lontano da ogni forma di impegno
politico e critico severo sia nei confronti del socialismo marxista che delle
degenerazioni del parlamentarismo, Martinetti, a partire dal 1925, prese ad
annotare minuziosamente sul suo diario gli episodi di corruzione e di violenza
in cui erano coinvolti esponenti fascisti. così ad esempio il 28 marzo 1928, a
fronte di una serie di scandali annotava "è dunque l'associaz[ione] dei
malviventi d'Italia!"[38] . Nel 1934 scriveva: "Come persuadersi che
uno stato senza leggi, senza traccia di onestà pubblica, sostenuto soltanto dal
terrore che desta nel popolo inerme un'organizzazione di ribaldi messa al servizio
del despota, odiata da tutte le rette coscienze, disprezzata dagli intelligenti
possa resistere, senza condurre il popolo che lo soffre all'estrema
rovina?"[39]. Martinetti si scagliava nei suoi appunti contro il
dispotismo che accomunava socialismo marxista e fascismo: "Tutto deve
servire alla propaganda e alla educazione di stato. Non vi è più libertà di
pensiero, non vi è più pensiero" (1937)[40]. A questo proposito
Amedeo Vigorelli evidenzia[41] «il valore pedagogico, di educazione alla
libertà, che l'esempio morale di Martinetti ebbe per quella generazione di
intellettuali antifacisti, che trovò negli anni Trenta un decisivo punto di
riferimento nella “Rivista di filosofia”, da lui informalmente diretta»
L'arresto e il carcere Martinetti fu arrestato in casa di Gioele Solari,
dov'era ospite, in seguito a una delazione fatta da Pitigrilli (Dino Segre),
agente dell'OVRA (delazione che porterà all'arresto e alla condanna al confino
di Franco Antonicelli, Giulio Einaudi, Vittorio Foa, Michele Giua, Carlo Levi,
Massimo Mila, Augusto Monti, Cesare Pavese, Carlo Zini e di due studenti,
Vindice Cavallera e Alfredo Perelli, e all'ammonizione di Norberto Bobbio), e
dal 15 al 20 maggio 1935 fu incarcerato a Torino[42] per sospetta connivenza
con gli attivisti antifascisti di Giustizia e Libertà, benché fosse del tutto
estraneo alla congiura antifascista degli intellettuali che facevano
riferimento alla casa editrice Einaudi.[43] Al momento dell'arresto, a detta
della signora Solari, Martinetti disse una frase che aveva già sentito
pronunciargli più volte: "Io sono un cittadino europeo, nato per
combinazione in Italia".[44]. La morte Il suo declino fisico
cominciò nel settembre 1941, in seguito a una trombosi che menomò le sue
capacità mentali, consecutiva ad una caduta accidentale da un pero nella tenuta
di Spineto[45]. Alla fine del 1942 subì una prima operazione alla prostata.
"L'11 gennaio 1943 la sorella Teresa scriveva a Cagnola: "Il
Professore è da oltre un mese degente in quest'ospedale, ove venne d'urgenza
trasportato ed operato in seguito ad intossicamento urico grave. L'intervento
chirurgico avviene in questo caso in due tempi: operazione preliminare alla
vescica, per ovviare immediatamente alla causa diretta dell'intossicamento, e
susseguente operazione alla prostata che ne è la causa originale. La prima
operazione già venne effettuata e con buon esito, e l'operatore non attende che
il tempo opportuno per procedere alla seconda."[46]. Martinetti fu
ricoverato all'ospedale Molinette di Torino, sfollato a Cuorgnè, dove morì il
23 marzo 1943, dopo aver disposto che nessun prete intervenisse con alcun segno
sul suo corpo.[47] Il funerale e la cremazione Nonostante "l'invito
del parroco di Spineto di non dare onore alla salma dell'eretico, ateo e
scandaloso anche nella morte perché aveva disposto di essere cremato"[48],
una decina di persone seguirono l'autofurgone che portò il corpo di Martinetti
alla stazione, da dove partì in treno per Torino, per la cremazione[49].
L'eredità intellettuale In prossimità della morte Martinetti lascia la sua
biblioteca privata in legato a Nina Ruffini (nipote di Francesco Ruffini),
Gioele Solari e Cesare Goretti[50] . La Biblioteca verrà poi conferita dai
rispettivi eredi nel 1955 alla "Fondazione Piero Martinetti per gli studi
di storia filosofica e religiosa" di Torino; oggi è posta nel palazzo del
Rettorato dell'Università di Torino, presso la Biblioteca della Facoltà di
Lettere e Filosofia.[51] La sua casa di Spineto è attualmente sede della
"Fondazione Casa e Archivio Piero Martinetti", che intende promuovere
la diffusione del suo pensiero e della sua opera a livello
internazionale. Filosofia La filosofia di Martinetti è un'interpretazione
originale dell'idealismo post-kantiano, nella linea dell'idealismo razionalistico
trascendente che va da Platone a Kant, nel senso di un dualismo panteista
trascendente, un'interpretazione che lo avvicina a quel post-kantiano atipico
che fu Africano Spir (1837-1890), il quale (ancor più di Kant, Schopenhauer o
Spinoza) fu il filosofo preferito di Martinetti, quello a cui fu più
particolarmente legato, sulquale scrisse molti studi e un denso saggio
monografico steso verso il 1908-1912 (rimasto inedito e pubblicato postumo nel
1990) e al quale fece consacrare il terzo numero del 1937 della Rivista di
filosofia[52], filosofo che fu come lui profondamente inattuale.[53].
Come scrive Emilio Agazzi: «Il Martinetti professò una altissima stima
per l'opera di questo solitario filosofo, tanto da considerarla
"immortale": in essa infatti vedeva un tentativo d'un rinnovamento
speculativo-religioso di tutta la filosofia.[54]» Scrive al proposito
Franco Alessio[55]: «Il carattere speculativo dell'interpretazione di P.
Martinetti dipese da particolarissime circostanze. La speculazione di A. Spir esercitò
sul pensiero suo un influsso profondo sin dagli inizi; e anche nella
costruzione dell'idealismo trascendente di P. Martinetti la speculazione di A.
Spir rivestì un peso pressoché decisivo. Oltre che in Kant, in Schopenhauer e
in Spinoza, le radici e la linfa dell'idealismo di P. Martinetti si trovano
nella speculazione di A. Spir. In nessun altro pensatore A. Spir occupò tanto
spazio ed ebbe un pari rilievo. D'altra parte, senza perdere la configurazione
sua propria, il pensiero di Spir viene trasposto da Martinetti entro la sua
propria filosofia, riferito in modo diretto al suo proprio pensiero, così
intimamente consonante con quello di Spir e cresciuto, per così dire, anche su
di esso. Proprio questo condusse P. Martinetti a penetrare e nell'atto stesso a
svolgere in armonia con il proprio il pensiero di A. Spir e questo si trova
come penetrato e attraversato da quello di P. Martinetti. In nessun altro
pensatore A. Spir fu tanto intimamente valorizzato e, in qualche misura,
continuato in ciò che della sua speculazione parve propriamente
essenziale.[56]» Come scrive Amedeo Vigorelli[57]: «La lettura di
Martinetti insiste sul nucleo metafisico del suo [di Spir] pensiero, che gli
pare incarnare "la forma pura della visione religiosa".
L'affermazione fondamentale, in cui per Martinetti si riassume tutta la
filosofia dello Spir, è quella della dualità fondamentale tra il vero essere -
l'Unità incondizionata, assoluta e trascendente in cui si esprime il divino - e
l'essere apparente e molteplice rivelato dal mondo dell'esperienza. L'approccio
alla rivelazione di tale realtà dualista mediante la teoria della conoscenza
(l'idealismo gnoseologico di Spir) non è che premessa e introduzione
all'autentico nucleo metafisico della sua filosofia, consistente in una forma
di dualismo acosmista. Il dualismo di realtà e apparenza è in effetti esso
stesso apparente: "non è fra due effettive realtà, ma fra un'unica realtà
assoluta e l'irrealtà in cui il mondo sprofonda."» Si può così dire
che in Martinetti[58]: «il motivo desunto probabilmente da Spir, il contrasto
tra "anormale" (il mondo dell'esperienza empirico e molteplice) e
"norma" (il principio d'identità, rivelazione incoativa del divino in
noi) si spoglia qui dell'originario aspetto dualista per confluire in una
visione coerentemente monista dell'esperienza di coscienza. Monismo
coscienzialista, quello martinettiano, che non sfocia però in una forma di
panteismo, in quanto il termine finale di questa unificazione formale rimane
trascendente. L'unica realtà metafisica assoluta - si afferma in conclusione -
è l'"Unità formale assoluta", che trascende l'intero processo
dell'esperienza, che di tale unità è solo un'espressione simbolica.»
Della filosofia di Spir, Martinetti mantenne sostanzialmente inalterata la
morale, di derivazione kantiana, aveva d'altronde dichiarato che dopo Kant
"nessun filosofo serio può non essere in Etica "kantiano".
Secondo Augusto Del Noce: "L'intero percorso del pensiero martinettiano
parte dal suo anticlericalismo" [59], e aggiunge: "la natura del suo
anticlericalismo lo portava a detestare la Massoneria. Ripetutamente mi disse
di non essere mai stato massone, di essere anzi assolutamente contrario a
questa Chiesa cattolica di segno rovesciato." Questo suo anticlericalismo
l'ha, sempre secondo Del Noce, portato ad un antimarxismo, il marxismo essendo
"secondo i termini in cui egli si sarebbe espresso, la massima
secolarizzazione concepibile della religione"[60]. E Del Noce conclude:
"Ora a mio giudizio il pensiero di Martinetti si situa appunto come
momento conclusivo del pessimismo religioso e come la sua posizione più
coerente e rigorosa [61]. La riflessione religiosa L'antologia Il Vangelo
- scrive Martinetti - «lasciando da parte l'elemento leggendario e dogmatico,
cerca di disporre il materiale evangelico nell'ordine logicamente più
appropriato. Tutto quello che i vangeli contengono di essenziale per la nostra
coscienza religiosa è stato qui conservato.» Il risultato di questo
ordinamento logico è l'espunzione - in quanto elaborazione teologica successiva
ai lòghia di Gesù o ancora propria all'ebraismo da cui Gesù stesso non è immune
- del Vangelo di Giovanni, degli Atti degli Apostoli, delle Lettere (anche le
Lettere di Paolo) e dell'Apocalisse. Gesù di Nazaret, e non di Betlemme, è un
profeta ebraico, l'ultimo e il più grande dei profeti. Non quindi Figlio di
Dio, nemmeno resuscitato dalla morte, né apparso realmente ai suoi, Gesù in
quanto Messia annuncia un regno messianico a cui succederebbe escatologicamente
il regno dei cieli, quello di Dio. Tuttavia non chiarendo tale avvento
escatologico, di fatto Gesù è soprattutto un maestro di dottrina morale che
esorta a rinunciare al mondo per unirsi spiritualmente e interiormente a Dio,
il bene supremo, amando il prossimo. Per Martinetti bisogna aspirare ad
una "Chiesa invisibile", in cui si possano compendiare i valori
moralmente più elevati di tutte le culture religiose, dando vita così ad una
società universale fraternamenteunita, egli scrive: «In tutti i tempi, ma
specialmente nelle età come la nostra, la vera Chiesa non risiede in alcuna
delle chiese visibili che ci offrono il triste spettacolo dei loro dissensi, ma
nell'unione invisibile di tutte le anime sincere che si sono purificate
dall'egoismo naturale e nel culto della carità e della giustizia hanno avuto la
rivelazione della verità e la promessa della vita eterna.[62]» Gesù
Cristo e il Cristianesimo fu messo sotto sequestro dalla Prefettura non appena
stampato (1934)[63], come Martinetti scrive a Guido Cagnola: «Il mio
libro venne terminato di stampare il 2 agosto e in tale giorno furono mandati i
3 es.[emplari] al Prefetto. Il 3 di mattina venne il permesso; alle 17 dello
stesso giorno esso era ritirato. Per quali influenze? Io non lo so. Così il
libro stette due mesi in sospeso: il 10 ottobre giunse (da Roma) il decreto
definitivo di sequestro.» Con decreto del 3 dicembre 1937 Gesù Cristo e
il Cristianesimo, Il Vangelo e Ragione e fede furono messi all'Indice dei libri
proibiti della Chiesa cattolica[64]. La rinascita del pensiero
filosofico-religioso martinettiano scaturisce alla fine degli anni novanta del
secolo scorso in virtù della rinnovata proposta ermeneutica del filosofo
Alessandro Di Chiara che cura l'inedito L'Amore, Il Vangelo (Genova 1998) e
Pietà verso gli animali (Genova 1999); in particolare l'interpretazione
elaborata da Di Chiara mette in luce gli aspetti gnostici della filosofia della
religione martinettiana per poi proporne una rilettura in chiave kantiana anche
attraverso un confronto con alcune sette separatiste vicine alla tradizione
spirituale dei quaccheri. La nonviolenza Nel 1938 Aldo Capitini rese
visita a Martinetti, che a proposito della nonviolenza gli disse: "Forse
se discutessi con lei mi convincerei, ma ora come ora le assicuro che se mi
fosse detto che con l'uccisione di diecimila persone si estirperebbe il male
che c'è in Europa, firmerei la sentenza senza esitazione." [65]. La
riflessione sugli animali Negli scritti La psiche degli animali e Pietà verso
gli animali, Martinetti sostiene che gli animali, così come gli esseri umani,
possiedono intelletto e coscienza, quindi l'etica non deve limitarsi alla
regolazione dei rapporti infraumani, ma deve estendersi a ricercare il
benessere e la felicità anche per tutte quelle forme di vita senzienti (cioè
provviste di un sistema nervoso) che come l'uomo sono in grado di provare gioia
e dolore: «Nella relazione sulla psiche degli animali Martinetti tra
l'altro affronta il problema dello scandalo morale suscitato dall'indifferenza
delle grandi religioni positive occidentali di fronte all'inaudita sofferenza
degli animali provocata dagli uomini: gli animali hanno una forma
dell'intelligenza e della ragione, sono esseri affini a noi, possiamo leggere
nei loro occhi l'unità profonda che ad essi ci lega.[66]» Martinetti cita
le prove di intelligenza che sanno dare animali come cani e cavalli, ma anche
la stupefacente capacità organizzativa delle formiche e di altri piccoli
insetti, che l'uomo ha il dovere di rispettare, prestando attenzione a non distruggere
ciò che la natura costruisce. Nel proprio testamento Martinetti dispose
che una somma significativa fosse versata alla Società Protettrice degli
Animali; egli personalmente nutriva per gli animali una profonda pietà e tale
sentimento lo aveva persuaso a darsi al vegetarismo, una scelta che assumeva
per lui quasi il carattere di un valore religioso. Scrive al proposito
Amedeo Vigorelli: «La scelta del vegetarianesimo non era "generica
simpatia, e neppure un ideale politico, bensì meditato atteggiamento
filosofico", da porsi in relazione sia con la sua profonda conoscenza
della filosofia indiana sia con convinzioni radicate in una personale
metafisica, sulla "unicità" della sostanza vivente e sul destino di
"perennità" dello spirito.[67]» La scelta della cremazione
Martinetti fu un fautore della cremazione[68] e una testimonianza "ci dice
come Martinetti portasse sempre con sé, in una busta, le ceneri di sua
madre."[69] Secondo Paviolo, "Per i Martinetti la cremazione era una
specie di tradizione familiare e la cosa appare strana in quei tempi nei quali,
specie nei piccoli centri era pressoché ignota a tutti, e oggetto di scandalo
per il gran rumore che, in questi casi, ne facevano i parroci."[70] Non è
però da escludere, nel caso preciso di Piero Martinetti, che questa scelta,
come quella del vegetarianesimo, avesse anche una relazione con il suo
interesse per la filosofia indiana, e dunque un valore filosofico e religioso.
I suoi resti sono tumulati nel cimitero di Castellamonte in provincia di
Torino. Opere Una "Bibliografia martinettiana" a cura di
C. Ferronato si trova nel fascicolo speciale della Rivista di Filosofia a
cura di Pietro Rossi: Piero Martinetti nel cinquantenario della morte, 1993,
LXXXIV, pp. 521–554. Dopo questa data, di Martinetti sono stati
pubblicati: Ragione e fede, a cura di Italo Sciuto, Gallone, Milano,
1997; a cura di Luca Natali, Morcelliana, Brescia, 2016. Il Vangelo, a cura di
Alessandro Di Chiara, il nuovo melangolo, Genova, 1998. L'amore, a cura di
Alessandro Di Chiara, Il nuovo melangolo, Genova, 1998. Pietà verso gli
animali, a cura di Alessandro Di Chiara, Il nuovo melangolo, Genova, 1999. La
religione di Spinoza. Quattro saggi, a cura di Amedeo Vigorelli, Ghibli,
Milano, 2002. La Libertà, Aragno, Torino, 2004. Schopenhauer, a cura di Mirko
Fontemaggi, Il nuovo Melangolo, Genova, 2005. Breviario spirituale, a cura di
Anacleto Verrecchia, UTET, Torino, 2006. L'educazione della volontà, a cura di
Domenico Dario Curtotti, Edizioni clandestine, Marina di Massa, 2006 Sulla teoria
della conoscenza in Kant, a cura di Luca Natali, Franco Angeli, Milano, 2008
Pier Giorgio Zunino (a cura di), Piero Martinetti, Lettere (1919-1942),
Firenze, Olschki, 2011, ISBN 9788822260666.[71] Gesù Cristo e il Cristianesimo,
prefazione di Massimo Cacciari, Castelvecchi, Roma, 2013; edizione critica a
cura di Luca Natali, introduzione di Giovanni Filoramo, Morcelliana, Brescia,
2014, Il Vangelo: un'interpretazione, Castelvecchi, Roma, 2013 Baruch Spinoza,
Etica, esposizione e commento di Piero Martinetti, Castelvecchi, Roma, 2014. Il
numero, introduzione di Niccolò Argentieri, Castelvecchi, Roma, 2015 Luca
Natali (a cura di), Le carte di Piero Martinetti, Firenze, Olschki, 2018, ISBN
9788822265685. Scritti su Spinoza, a cura di Francesco Saverio Festa,
Castelvecchi, Roma, 2020. Riconoscimenti Nella seduta del Senato Accademico
dell’Università degli Studi di Milano del 19 settembre 2017, è stata approvata
ufficialmente la decisione del Dipartimento di Filosofia di intitolarsi alla
figura di Piero Martinetti[72]. La città di Roma gli ha intitolato una piazza
il 27 gennaio 2018, nel Giorno della Memoria[73]. A Milano Piero Martinetti
figura "tra i nuovi Giusti che saranno onorati al Monte Stella dal
2020" nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo[74] [75]. Note ^ Cesare
Goretti, "Piero Martinetti", Archivio della Cultura Italiana 1943, f.
I, p. 81. ^ Simonetta Fiori, I professori che dissero "NO" al Duce,
in La Repubblica, 16 aprile 2000. URL consultato il 18 febbraio 2016. ^ «Ebbe
molta influenza sulla scelta che Martinetti fece di iscriversi alla facoltà di
Filosofia, fu suo professore, ma non un Maestro. [...] Scrisse di lui
Martinetti: "Era un uomo; quando andai a visitarlo l'ultima volta, pochi
giorni prima della sua morte, mi disse di avere un'unica certezza, che dopo
questa vita non c'è nulla. Le mie idee erano assolutamente opposte alle sue, su
questo come su tutti gli altri punti. Ma non potei non ammirare la fermezza
delle sue convinzioni"»: Paviolo 2003, p. 121. ^ «che morì proprio durante
l'iter scolastico di Martinetti ma che ebbe con lui, forse per la comune
origine canavesana, un particolare rapporto»: Paviolo 2003, p. 20. ^ «Di una
reale affinità tra Martinetti e i suoi maestri torinesi si può parlare forse
solo in un caso: quello di Arturo Graf, del cui dualismo e pessimismo si può
trovare qualche traccia nel pensiero del Nostro e alla cui poesia, piena di
dolente (e a tratti cupa) riflessività filosofica, Martinetti tornerà anche
negli anni maturi, come a una sorgente di ispirazione e conforto spirituale.
Più documentata è l'influenza sul giovane Martinetti di un'altra singolare
figura di poeta-filosofo: quel Pietro Ceretti da Intra (noto anche con lo
pseudonimo poetico di Alessandro Goreni e con quello di Theophilo Eleuthero),
alla cui postuma riscoperta si adoperarono intensamente Pasquale D'Ercole e
Vittore Alemanni, nell'ultimo decennio del secolo scorso e ai primi del
nostro»: Vigorelli 1998, pp. 46-47. ^ «Nel breve verbale relativo all'esame di
laurea (qui il laureando è indicato come Pietro Martinetti) si dice
semplicemente che "il Candidato ha sostenuto durante quaranta minuti
innanzi alla commissione la disputa prescritta, sopra la dissertazione da lui
presentata e sopra le tesi annesse alla medesima; e ha sostenuto anche la prova
pratica assegnatagli dalla Commissione"»: Paviolo 2003, p. 20. ^ La tesi
ottenne la votazione di 99/110: «Il lavoro di tesi non ebbe, come noto, il
riconoscimento che meritava - anche a motivo di certe resistenze accademiche
nel settore filologico della Università di Torino - e forse per questo il
giovane studioso sentì il bisogno di attingere direttamente alle fonti
dell'erudizione tedesca, fuori dal chiuso ambiente provinciale. Del resto
l'intento di Martinetti era più filosofico che filologico, e la prima suggestione
a interessarsi del Samkhya poté venirgli, piuttosto che dalle lezioni di
Flechia, dalla conversazione con Pasquale D'Ercole, docente di Filosofia
teoretica [...] Proprio del Samkhya D'Ercole si era interessato alcuni anni
primi in una breve Memoria uscita sulla Rivista Italiana di Filosofia diretta
da Luigi Ferri»: Vigorelli 1998, pp. 42-44. ^ Dell'interesse costante di
Martinetti per la filosofia indiana testimonia il corso di lezioni tenuto a
Milano nel 1920, pubblicato a Milano nel 1981 da Celuc libri: Piero Martinetti,
La sapienza indiana. Corredata da un'antologia di testi Indù e Buddhisti. ^
"Ma è antefatto significativo, giacché lascia intravedere ancora una
volta, questa volta sotto il rispetto particolare dei primi contatti di Martinetti
coi testi di A. Spir, l'importanza della permanenza a Lipsia (1894-1895) nella
formazione filosofica di Martinetti. Nella Lipsia conosciuta da Martinetti
sopravviveva Drobitsch, l'antico maestro herbartiano di Spir e dalla Lipsia di
Martinetti si diffondevano le edizioni di A. Spir entro il moto allora nascente
in Germania dell'interesse per la filosofia sua." Franco Alessio,
introduzione a Piero Martinetti, Il pensiero di Africano Spir, Torino, Albert
Meynier, 1990, p. IV-V. ^ Richard Garbe, Die Samkhya-Philosophie, eine
Darstellung des indischen Rationalismus nach der Quellen, Leipzig, H. Haessel,
1894. ^ Vigorelli 1998, p. 32, nota 4. ^ Anno che fu per lui particolarmente
duro, vedi: Piero Martinetti, "Lettere ai famigliari dalla Siberia
dell'Italia meridionale", a cura di Fabio Minazzi, Il Protagora,
gennaio-giugno 2004, XXXII, V serie, n. 3, pp. 73-110. ^ Lettere 2011, pp.
18-19, nota 37. ^ «Prima che della dittatura fascista, Martinetti fu critico
altrettanto risoluto del socialismo marxista e della democrazia, di cui colse
gli aspetti degenerativi dell'affarismo e dell'ultraparlamentarismo»: Vigorelli
1998, p. 292. ^ "non si vede in chi e in che cosa un uomo come Martinetti
- che, per sua scelta culturale ma anche per disposizione personale, agiva in
modo disgiunto da ogni partito, movimento, gruppo - avrebbe pouto trovare un
legame per immettersi in un flusso di attivo antifascismo." Pier Giorgio
Zunino, "Tra dittatura e inquisizione. Piero Martinetti negli anni del
Fascismo", in: Piero Martinetti, Lettere (1919-1942), Firenze, 2011, p.
XIX. ^ Vigorelli 1998, p. 167. ^ «Ringrazio la S.V. Ill.ma della cortese
partecipazione e la prego di esprimere la mia profonda gratitudine ai membri di
codesta R. Accademia che hanno voluto conferirmi un sì ambito onore. Ma
circostanze pesantissime, sulle quali non è il caso di [parola illeggibile] mi
vietano nel modo più reciso di poterlo accettare»: Lettera n. 18, Piero
Martinetti a Vittorio Scialoja, presidente della Reale Accademia Nazionale dei
Lincei, 26 agosto 1923, in: Lettere 2011, pp. 19. ^ Vigorelli 1998, p. 202. ^
Vigorelli 1998, pp. 207-223 . ^ Lettera n. 47, Piero Martinetti a Luigi
Mangiagalli, 21 marzo 1926, in: Lettere 2011, pp.51-53. ^ «Il Congressonon ha
altro fine che di essere una manifestazione della filosofia italiana in quanto
libera e appartata da ogni contingenza del momento: come deve essere in
qualunque tempo la filosofia»: Lettera n. 37, Piero Martinetti a Tommaso
Gallarati Scotti, 14 dicembre 1925, in: Lettere 2011, p.42. ^ Che accusò Martinetti,ricambiato,
di disonestà intellettuale nel riguardo della filosofia scolastica, cf. Helmut
Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista,
Firenze, 2000, p. 192. ^ Per Martinetti «Padre Gemelli è tutto fuorché un
filosofo»: Lettera n. 31, Piero Martinetti a Bernardino Varisco, 29 settembre
1925, in: Lettere 2011, p. 33. ^ Helmut Goetz, Il giuramento rifiutato. I
docenti universitari e il regime fascista, Firenze, 2000, 3.4 Il congresso di
filosofia del 1926, pp. 245-263. ^ «Tutto l'affare è una montatura (come del
resto anche il ritiro dei cattolici dal Congresso), la quale ha la sua origine
nel fatto che io non ho permesso al P. Gemelli di spadroneggiare nel Congresso
e di prepararvi qualcuna delle sue rappresentazioni ciarlatanesche»: Lettera n.
46, Piero Martinetti a Bernardino Varisco, 15 marzo 1926, in:Lettere 2011,
pp.49-50. ^ Lettera n. 50, Piero Martinetti e Cesare Goretti a Luigi
Mangiagalli, 31 marzo 1926, in: Lettere 2011, p.55. ^ «Quando Martinetti, con
il rifiuto del giuramento di fedeltà al fascismo, abbandonò l'insegnamento non
rinunciò a quegli incarichi o a quelle adesioni che non erano a tale giuramento
connesse: guardò di non compromettere quella sua creatura che era diventata La
Rivista di Filosofia e non ne volle la direzione "effettiva", ma
continuò l'intensa e puntuale collaborazione redazionale sino a che le sue
condizioni di salute glielo permisero»: Vigorelli 1998, p. 39. ^ Vigorelli
1998, pp. 299-318. ^ Lettera n. 104, Piero Martinetti a Balbino Giuliano, 13
dicembre 1931, in: Lettere 2011, pp.101-103. ^ Lettera n. 106, Piero Martinetti
a Guido Cagnola, 21 dicembre 1931, in: Lettere 2011, pp.105-107. ^ Lettera n.
108, Piero Martinetti a Adelchi Baratono, 21 dicembre 1931, in: Lettere 2011,
pp.107-108. ^ Presentazione a: Davide Assael, Alle origini della Scuola di
Milano: Martinetti, Barié, Banfi, Milano, 2009, p. 18. ^ Vigorelli 1998, p.
291-292. ^ «Ella già saprà certamente che io, in seguito all'affare del negato
giuramento, sono stato collocato a riposo. Non appartengo quindi più
all'Università di Milano e non posso più esserle utile che indirettamente»:
Lettera n. 116, Piero Martinetti a Carlo Emilio Gadda, 17 marzo 1932, in:
Lettere 2011, p. 114. ^ «del resto io sono perfettamente sereno come chi ha fatto
ciò che doveva fare: e non mi sarà discaro poter d'ora innanzi applicare tutto
il mio tempo ai miei studi, cioè agli studi veramente miei, fatti per mè, per
la mia personalità e la mia vita»: Lettera n. 110, Piero Martinetti a Vittorio
Enzo Alfieri, 4 gennaio 1932, in: Lettere 2011, p.109. ^ Sulla cui porta fece
mettere un'indicazione che diceva: "Piero Martinetti - agricoltore":
Paviolo 2003, p. 68. ^ «Perciò appunto non ho dimenticato i tuoi interessi e
sarei lieto che fossi tu a succedermi. In questo senso ho scritto,
"richiesto da Castiglioni stesso", che ora è preside, a Castiglioni.
Ho consigliato lui e con lui la facoltà ad accaparrarsi te per la F.[ilosofia]
e Banfi per la St.[oria] d.[ella] F.[ilosofia]»: Lettera n. 108, Piero Martinetti
a Adelchi Baratono, 21 dicembre 1931, in: Lettere 2011, pp.107-108. ^ Vigorelli
1998, p. 293. ^ Vigorelli 1998, p. 296. ^ Vigorelli 1998, p. 297-298. ^
Vigorelli 1998, p. 299. ^ "Nel registro di entrata delle Carceri Nuove di
Torino egli è l'unico che nella scheda personale si faccia registrare,
nell'apposita voce, come "ateo", mentre tutti gli altri non di
religione israelitica (ossia Bobbio, Einaudi, Pavese, Antonicelli, Salvatorelli
e così via) si dichiarano "cattolici" - alcune schede, peraltro, tra
cui quella di Mila, sono andate perse (il registro è conservato all'Archivio di
Stato di Torino, sezioni riunite, Casa circondariale di Torino, Registro
matricole 1935, n. 1559)", in: Lettere 2011, p. 142, n. 285. ^
"Martinetti [...] veniva rinchiuso in una cella sulla cui porta veniva
apposto il cartellino "Politico: sorveglianza particolare". Il giorno
successivo cominciavano gli interrogatori che si ripetevano finché dopo alcuni
giorni d'arresto il Martinetti veniva finalmente scarcerato.", Michelangelo
Giorda, Piero Martinetti, Castellamonte, 1993, p. 14. ^ Paviolo 2003, p. 62. ^
«Devo darle una notizia terrificante, relativamente. Lunedì passato 8 corrente
sono caduto malamente da una pianta, per fortuna senza gravi conseguenze di
nessuna specie, salvo un leggero tramortimento durato qualche ora»: Lettera n.
241, Piero Martinetti a Nina Ruffini, 16 settembre 1941, in: Lettere 2011, p.
231. ^ Cit. in: Lettere 2011, p. 245. ^ «Si può comunque, in base a
testimonianze diverse, ritenere che Martinetti sia deceduto all'Ospedale
Molinette sfollato a Cuorgnè, ove si tentò inutilmente di salvarlo e che il
corpo sia stato immediatamente trasferito (abitudine che rimase in uso per
decenni in circostanze analoghe) alla casa d'abitazione, per evitare lungaggini
burocratiche e maggiori spese funerarie. [...] L'atto di morte recita: "
il giorno 23 del mese di marzo dell'anno 1943 alle ore quattro e minuti zero,
nella casa posta in frazione Spineto n. 106 è morto Martinetti Piero, anni 70,
residente in Torino, professore pensionato"»: Paviolo 2003, p. 81. ^
Paviolo 2003, p. 82. ^ "Per ultimo desidero di essere cremato e che le mie
ceneri riposino nel Camposanto di Castellamonte", frase finale del
testamento di Piero Martinetti, 2 novembre 1942.Paviolo 2003, p. 106. ^ Il testamento
di Martinetti, da lui riscritto il 2 novembre 1942, "in una grafia incerta
e in una forma in cui non si trova lo stile abituale del nostro
filosofo"(Paviolo 2003, p. 105) fu considerato da sua sorella Teresa come
estorto: "Le opere che al tempo del decesso di Piero erano ancora solo
allo stato di manoscritto vennero devolute ai beneficiari della biblioteca, la
quale, a dirtelo in assoluta confidenza, cadde in mano a tre estranei alla
famiglia, per un testamento fatto fare a nostra insaputa a Piero, a oltre un
anno da che era stato colpito da un insulto di trombosi al cervello [...] la
preziosa biblioteca, che per volontà recisa, assoluta di Piero a me da Lui
ripetutamente espressa alcuni mesi prima che fosse colpito dalla trombosi,
doveva andare all'Università di Milano, prese altre vie e e sta presentemente
ancora peregrinando in attesa di destinazione definitiva." Lettera del 25
settembre 1947 di Teresa Martinetti al cugino Giuseppe Bertogliatti, in:
Paviolo 2003, p. 97. ^ Fondazione Casa e Archivio Piero Martinetti ^ «Allo
Spir, un singolare pensatore solitario, al quale mi legano tante affinità e
tante simpatie, sarà dedicato il fascic. 3 della "Riv. di Filosofia",
che non mancherò di spedirle a suo tempo. Quante dottrine dello Spir,
specialmente nel rapporto morale e religioso, sembrano pensate per il nostro
tempo! Ma esse passeranno, come passarono, inavvertite. La luce - questo passo
del quarto Vangelo lo Spir volle inciso sul suo sepolcro - volle penetrare le
tenebre, ma le tenebre non l'accolsero»: Lettera n. 164, Piero Martinetti a
Nina Ruffini, 26 gennaio 1937, in: Lettere 2011, p. 155.. ^ «io sono sempre
stato un filosofo inattuale»: Lettera n. 258, Piero Martinetti a Giorgio Borsa,
1942, in: Lettere 2011, p. 244. ^ Emilio Agazzi, La filosofia di Piero
Martinetti, Milano, Unicopli, 2016, p. 123. ^ «Ma è stato Alessio a dimostrare
l'importanza e l'anteriorità, rispetto ad altri autori, della lettura di Spir
per la maturazione della metafisica martinettiana»: Vigorelli 1998, pp. 66-67.
^ Franco Alessio, op. cit. , p. II. ^ Vigorelli 1998, p. 69. ^ Vigorelli 1998,
pp. 94-95. ^ GM 1964, pp. 88-89. ^ GM 1964, p. 93. ^ GM 1964, p. 70. ^ Piero
Martinetti, Breviario spirituale, Bresci, Torino, 1972, p. 282. ^ Lettera n.
143, Piero Martinetti a Guido Cagnola, 17 ottobre 1934, in: Lettere 2011, pp.
136-138. ^ Sulla riflessione religiosa di Martinetti vedi Franco Alessio,
L'idealismo religioso di Piero Martinetti, Brescia, Morcelliana, 1950 (Tesi di
Pavia: relatore Michele Federico Sciacca) ^ Paviolo 2003, p. 120. ^ Paviolo
2003, p. 28. ^ Amedeo Vigorelli, "Martinetti e Capitini: attualità di un
confronto", in: Amedeo Vigorelli, La nostra inquietudine. Martinetti,
Banfi, Rebora, Cantoni, Paci, De Martino, Rensi, Untersteiner, Dal Pra, Segre,
Capitini, Bruno Mondadori, Milano, 2007, p. 174. ^ "e si conversò a lungo
della inumazione e della cremazione (aveva fatto cremare il cadavere della
mamma, per avere vicine le sue ceneri)" Aldo Capitini, Antifascismo tra i
giovani, Célèbes Trapani, 1966, p. 57. ^ Paviolo 2003, p. 17. ^ Paviolo 2003,
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Raffaele Liucci su Il fatto quotidiano, 6 gennaio 2012 Archiviato il 24
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125–33. Voci correlate Africano Spir Scuola di Milano Gioele Solari
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Vol. 71, n. 12, pp. 698–724. Giuseppe Colombo, La filosofia come soteriologia,
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Scienze di Torino[altre]
Martini -- Lorenzo Martini Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Lorenzo Martini Lorenzo Martini (Cambiano, 19
settembre 1785 – Torino, 3 aprile 1844) è stato un medico, fisiologo e
pedagogista italiano. Indice 1 Biografia 2 Opere 2.1 Medicina
2.2 Filosofia
e Pedagogia 2.3 Biografie
2.4 Curatele
3 Note
4 Bibliografia
5 Collegamenti
esterni Biografia Nato in un piccolo centro della provincia torinese, Lorenzo
Martini compì studi classici a Chieri e poi, ospitato al Real Collegio delle
Province di Torino, si rivolse allo studio delle scienze naturalistiche. Con la
laurea in medicina nel 1815, cui seguirà anche quella in filosofia, ottenne
l'insegnamento al predetto Istituto, prima di conseguire una brillante carriera
nell'ateneo torinese. Qui, infatti, ottenne prima la docenza in fisiologia
(1820) e poi quella di medicina legale, cattedra quest'ultima, istituita nel
1832, di cui fu il primo insegnante in assoluto[1]. Dell'Università di Torino fu anche rettore,
negli anni in cui ebbe numerosi riconoscimenti, tra cui l'onorificenza di
cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Ma non mancarono episodi tragici, allorché,
pochi anni dopo le nozze, perse la moglie (figlia del chimico Giovanni Antonio
Giobert), dalla quale ancora non aveva avuti figli, né li avrebbe avuti in
seguito, visto che non si risposò, per dedicarsi completamente all'insegnamento
e alla stesura di saggi e manuali nelle discipline mediche[2]. In questo
filone, il più ricco, vanno almeno segnalati gli Elementa physiologiae (1821) e
il corso in dodici volumi sulle Lezioni di fisiologia (1835-36), così come i
tre volumi dell'Introduzione alla medicina legale (1825), accanto agli Elementa
medicinae forensis, politiae medicae et hygienes (1832), cui avrebbe fatto
seguito il Manuale di medicina legale (1839).
Il variegato percorso saggistico di Lorenzo Martini non si limitò (e non
si esaurì) a studi a carattere medico-fisiologico e medico-legale. Anzi, forte
del curriculum studiorum seguito fin da giovanissimo, cercò di approfondire i
pensatori classici, come nel caso del compendio dedicato a Platone del 1844, di
cui peraltro riuscì a terminare il manoscritto poco prima di morire, arrivando
persino a stilare, nel 1840, sia pure non in forma sistematica, una Storia
della filosofia. Risultati migliori li
ebbe, tuttavia, nel campo educativo-pedagogico[3]. Questo indirizzo è
testimoniato, oltre che dal saggio sulla Riforma della prima educazione del
1834, dai dodici volumi dell'Emilio pubblicati tra il 1821 e il 1823. Qui,
facendo leva della sua vasta cultura, tratta emblematicamente di argomenti in cui
si fondono, senza soluzione di continuità, il "viver sano" e il
"maritaggio", il "governo della famiglia" e la felicità, le
"tendenze morali" e la "moderazione nella prosperità",
passando per i modi attraverso i quali "sopportare le
avversità"[4]. Opere Medicina
Elementa physiologiae, Tip. Pica, Torino 1821. Dei vantaggi che la medicina
apporta alle nazioni, Tip. Chirio e Mina, Torino 1823. Introduzione alla
medicina legale, 3 voll., Tip. Marietti, Torino 1825. La medicina curativa di
Leroy, Tip. Marietti, Torino 1825. Prime linee di polizia medica, Tip. Fontana,
Milano 1828. Della scienza del cuore, Tip. Fontana, Milano 1829. Della colera
indica, Tip. Fodratti, Torino 1831. Elementa medicinae forensis, politiae
medicae et hygienes, 4 voll., Tip. Marinetti, Torino 1832 Manuale di polizia
medica, Tip. Fontana, Milano 1828. Manuale d'igiene, Tip. Fontana, Milano 1829.
Lezioni di fisiologia, 12 voll., Tip. Pomba, Torino 1831. Patologia generale, 2
voll., Tip. Elvetica, Capolago 1834. Invito a' medici piemontesi all'occasione
del cholera-morbus, Tip. Cassone e Marzorati, Torino 1835. Storia della
fisiologia, 8 voll., Tip Cassone e Marzorati, Torino 1835-1836. Manuale di
medicina legale, Tip. Fontana, Milano 1839. Filosofia e Pedagogia Emilio, 12
voll., Tip. Marietti, Torino 1821-1823. Della solitudine, Tip. Marietti, Torino
1824. Narciso o regalo agli sposi, Tip. Marietti, Torino 1824. Guerra e pace
dei sensi, Tip. Marietti, Torino 1825. Emilio o sia del governo della vita,
Tip. Fontana, Milano 1829. Discorsi filadelfici, ossia fasti dell'ingegno
italiano, Tip. Marietti, Torino 1832. Riforma della prima educazione, Tip.
Marietti, Torino 1834. Della sapienza dei greci, Tip. Cassone e Marzorati,
Torino 1836. Storia della filosofia, 3 voll., Tip. Pirotta, Milano 1840 Platone
compendiato e comentato, Tip. Elvetica, Capolago 1844. Biografie Alcune vite di
donne celebri, 2 voll., Tip. Fontana, Milano 1829-1830. De clarissimo viro
Thoma Tosio ex ordine Oratorum sacrae facultatis professore in regio Taurinensi
Athenaeo, Tip. Regia, Torino 1830. Vita del conte Gian-Francesco Napolio, Tip.
Bocca, Torino 1836. Vita Francisci Canevarii, Torino 1837. Cenni biografici di
Lagrangia, Tip. Cassone e Marzorati, Torino 1840. Curatele A. von Haller,
Poesie scelte, Stamp. Reale, Torino 1822. J.L. Alibert, Riflessioni sulla
fisiologia delle passioni o nuova dottrina de' sentimenti morali, Tip.
Marietti, Torino 1825. F. Redi, Consulti medici, Tip. Elvetica, Capolago 1831.
D. Alighieri, La Divina Commedia, 3 voll., Tip. Marietti, Torino 1840. Note ^
G.L. Gianelli, L'uomo ed i codici nel nuovo Regno d'Italia. Commentario
medico-legale, in «Politecnico. Repertorio mensile di studi applicati alla
prosperità e cultura sociale», vol. IX, Milano 1860, p. 643. ^ G. Corniani, I
secoli della letteratura italiana dopo il suo risorgimento, a cura di F.
Predari, vol. VIII, Utet, Torino 1856, pp. 222-226. ^ Si veda S.G.M. Berruti,
Saggio sulla vita e sugli scritti del professore cavaliere Lorenzo Martini,
s.e., Bologna 1847. ^ L. Martini, Emilio, 12 voll., Tip. Marietti, Torino
1821-1823. Bibliografia S.G.M. Berruti, Saggio sulla vita e sugli scritti del
professore cavaliere Lorenzo Martini, s.e., Bologna 1847. G. Corniani, I secoli
della letteratura italiana dopo il suo risorgimento, a cura di F. Predari, vol.
VIII, Utet, Torino 1856. G.B. Gerini, Due medici pedagogisti. Maurizio Bufalini
e Lorenzo Martini, Tip. Bona, Torino 1909. G.L. Gianelli, L'uomo ed i codici
nel nuovo Regno d'Italia. Commentario medico-legale, in «Politecnico.
Repertorio mensile di studi applicati alla prosperità e cultura sociale», vol.
IX, Milano 1860. Collegamenti esterni Opere di Lorenzo Martini, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Lorenzo Martini, su
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WorldCat Identities (EN) lccn-n86054334 Biografie Portale Biografie Filosofia
Portale Filosofia Medicina Portale Medicina Categorie: Medici italianiFisiologi
italianiPedagogisti italianiNati nel 1785Morti nel 1844Nati il 19
settembreMorti il 3 aprileNati a CambianoMorti a TorinoEducatori
italianiFilosofi italiani del XIX secolo[altre]
Martino -- Ernesto de Martino Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Ernesto de
Martino Ernesto de Martino (Napoli, 1º dicembre 1908 – Roma, 9 maggio 1965) è
stato un antropologo, storico delle religioni e filosofo italiano.
Indice 1 Biografia intellettuale 2 La presenza 2.1 Il folklore
progressivo 3 Crisi della presenza e destorificazione del negativo 4
L'elaborazione del lutto ed il pianto rituale antico 5 Opere 6 Note 7
Bibliografia 8 Voci correlate 9 Altri progetti 10 Collegamenti esterni
Biografia intellettuale Dopo la laurea in Lettere all'Università di Napoli nel
1932, con una tesi in Storia delle religioni sui gephyrismi eleusini sotto la
direzione di Adolfo Omodeo, si interessa alle discipline etnologiche. Si
iscrive ai GUF e alla Milizia Universitaria, collaborando a L'Universale di
Berto Ricci e facendo circolare in una cerchia ristretta di collaboratori un
Saggio sulla religione civile poi rimasto inedito. L'ingresso nel circolo
crociano «Erano quelli gli anni in cui Hitler sciamanizzava in Germania e in
Europa, e ancora lontano era il giorno in cui le rovine del palazzo della
Cancelleria avrebbero composto per questo atroce sciamano europeo la bara di
fuoco in cui egli tentava di seppellire il genere umano: ed erano anche gli
anni in cui una piccola parte della gioventù italiana cercava asilo nelle
severe e serene stanze di Palazzo Filomarino per risillabare il discorso
elementarmente umano altrove impossibile, persino nella propria famiglia».[1]
Il suo primo libro, Naturalismo e storicismo nell'etnologia (1941), è un
tentativo di sottoporre l'etnologia al vaglio critico della filosofia
storicista di Benedetto Croce. Secondo de Martino, l'etnologia solo attraverso
la filosofia storicista avrebbe potuto riscattarsi dal suo naturalismo (tratto
che accomuna, per de Martino, tanto la scuola sociologica francese che gli
indirizzi "pseudostorici" tedeschi e viennesi). Fu lo stesso Croce a
introdurre il giovane de Martino all'editore Laterza, suggerendo la
pubblicazione del libro, in cui, nonostante qualche ingenuità, si può già
scorgere in nuce l'idea del successivo lavoro sul "magismo
etnologico". Scritto negli anni della seconda guerra mondiale e pubblicato
nel 1948, Il mondo magico è il libro nel quale Ernesto de Martino elabora
alcune delle idee che rimarranno centrali in tutta la sua opera
successiva. Qui de Martino costruisce la sua interpretazione del magismo
come epoca storica nella quale la labilità di una "presenza" non ancora
determinatasi, viene padroneggiata attraverso la magia, in una dinamica di
crisi e riscatto. In quel periodo, de Martino comincia a militare nei
partiti di sinistra. Prima, dal 1945, lavora come segretario di federazione, in
Puglia, per il Partito Socialista Italiano; influenzato da Gramsci e da Carlo
Levi, cinque anni dopo, entra a far parte del Partito Comunista Italiano[2].
Anche per questa ragione, negli anni che seguono, de Martino comincia a
interessarsi sempre di più allo studio etnografico delle società contadine del
sud Italia, in contemporanea con le inchieste di Vittorini e l’opera
documentaristica di Cesare Zavattini. Di questa fase, talvolta detta
"meridionalista", fanno parte le opere più note al grande pubblico:
Morte e pianto rituale, Sud e magia, La terra del rimorso. Innovativo
nelle sue ricerche fu l'approccio multidisciplinare, che lo portò a costituire
un'équipe di ricerca etnografica. La terra del rimorso è la sintesi delle sue
ricerche sul campo (il Salento) affiancato da uno psichiatra (Giovanni Jervis),
una psicologa (L. Jervis-Comba), un'antropologa culturale (Amalia Signorelli),
un etnomusicologo (Diego Carpitella), un fotografo (Franco Pinna) e dalla
consulenza di un medico (S. Bettini). Nello studio del fenomeno del tarantismo
vengono utilizzati anche filmati girati tra Copertino, Nardò e Galatina. A
queste monografie segue la pubblicazione dell'importante raccolta di saggi
Furore Simbolo Valore (1962). De Martino è stato collaboratore di
Raffaele Pettazzoni all'Università "La Sapienza" di Roma, nell'ambito
della Scuola romana di Storia delle religioni. Come ordinario di Storia delle
religioni e di Etnologia, dal dicembre 1958 fino alla morte ha insegnato
all'Università di Cagliari, dove ha avuto uno stuolo di allievi. Con
Alberto Mario Cirese, Giovanni Lilliu, Cesare Cases, la sua assistente Clara
Gallini, e in seguito altri studiosi, quali Placido Cherchi, Giulio Angioni,
Pietro Clemente, e Pier Giorgio Solinas, saranno esponenti di una
significativa, sebbene mai formalizzata, scuola antropologica all'Università di
Cagliari, della quale de Martino è considerato uno dei fondatori.[3] È
considerato uno dei più importanti antropologi dell’età contemporanea,
fondatore in Italia dell’umanesimo etnografico e dell’etnocentrismo
critico. La presenza La presenza in senso antropologico, nella
definizione di de Martino è intesa come la capacità di conservare nella
coscienza le memorie e le esperienze necessarie per rispondere in modo adeguato
ad una determinata situazione storica, partecipandovi attivamente attraverso
l'iniziativa personale e andandovi oltre attraverso l'azione. La presenza
significa dunque esserci (il "da-sein" heideggeriano) come persone
dotate di senso, in un contesto dotato di senso. Il rito aiuta l'uomo a
sopportare una sorta di "crisi della presenza" che esso avverte di
fronte alla natura, sentendo minacciata la propria stessa vita. I comportamenti
stereotipati dei riti offrono rassicuranti modelli da seguire, costruendo
quella che viene in seguito definita come "tradizione".
Ernesto de Martino, 11 agosto 1956, spedizione in Lucania Se si vuole
rintracciare in de Martino un filo comune e unitario tra l’influenza marxista e
gramsciana della “triade meridionalista” (esplicita anche attraverso la sua
militanza diretta nel PCI negli anni ‘50) di Morte e pianto rituale (1958), Sud
e magia (1959) e La terra del rimorso (1961), e gli appunti e i dossiers
preparati per La fine del mondo, in cui è presente un’elaborazione filosofica
più marcatamente sui piani ontologico, esistenzialista e fenomenologico e che
vedranno la luce solo posteriormente (1ed.1977) dal riordino delle carte ad
opera di Angelo Brelich e Clara Gallini, bisogna rendere centrale il nesso tra
presenza/crisi/riscatto e il processo di destorificazione del negativo ad opera
dell’ethos del trascendimento; l’immaginazione simbolica collettiva è la
realizzazione di un’ethos del trascendimento che, come un mito di fondazione
per il senso di appartenenza o la sacralizzazione dell’”oggetto” per scopi
espiatori, rende possibile il superamento di una crisi, della “presenza” in
quanto soggetto che opera nella natura, che rischia di perdersi in essa senza
riscatto (escaton). Il soggetto dunque si ricolloca nella storia tramite la
cultura, e la crisi si rivela esistenziale nel rapporto tra se’ e il mondo
“altro da se’”. Ma la crisi affonda sempre nelle materiali condizioni di vita e
nelle modalità concrete di una prassi che deve tendere e tende incessantemente
alla trasformazione rivoluzionaria (che è escatologica nelle religioni) come
base insopprimibile della costituzione di sè come soggetto: “Vi è dunque
un principio trascendentale che rende intellegibile l’utilizzazione e le altre
valorizzazioni, e questo principio è l’ethos trascendentale del trascendimento
della vita nel valore: attività dunque, ma ethos, dover-essere-nel-mondo per il
valore, per la valorizzante attività che fa mondo il mondo, e lo fonda e lo
sostiene.”[4] Costante, inoltre, nella ricerca sul campo, come nelle
analisi ed elaborazioni degli ultimi anni, fu l’indagine sul valore euristico
assegnato ai dati psicopapatologici, sempre legato a una
riflessione
critica sulla trasferibilità delle relative nozioni in contesti culturali
diversi e sulle loro implicazioni sul piano antropologico e filosofico più
generale: dalla figura dello sciamano come “Cristo magico” ne Il mondo magico,
ai fenomeni di dissociazione e possessione (influenzato dalle letture di
Shirokogoroff e Pierre Janet) nei riti della taranta, fino alle note sulle
“apocalissi psicopatologiche” ne La fine del mondo. Il folklore
progressivo Il concetto di folklore, come concezione del mondo regressiva,
secondo le “osservazioni sul folklore” del Quaderno XXVII di Gramsci “un
agglomerato indigesto di frammenti di concezioni del mondo (..) e superstiti
documenti mutili e contaminati”, ma anche di positiva creatività delle classi
subalterne (come i canti popolari), in opposizione alla cultura dotta delle
élite dirigenti, fu oggetto di riflessione dell’antropologo partenopeo a
partire dal 1949, con il saggio “Intorno ad una storia del mondo popolare
subalterno”, pubblicato su Società sul nr.3 di quell’anno, in cui riprende
studi e indagini della nuova etnologia sovietica (Tolstov, Hippius, Cicerov,
ispirati da V.J. Propp). Nel giugno 1951 in un articolo lo definì come [5]
“proposta consapevole del popolo contro la propria condizione socialmente
subalterna, o che commenta, esprime in termini culturali, le lotte per
emanciparsene.” Il concetto fu poi ripreso, discusso problematicamente e
allargato in particolare da A.M.Cirese (in rapporto a Gramsci) e Luigi M.
Lombardi Satriani (il folklore come cultura di contestazione). I
“folkloristi” erano stati oggetto di critica di de Martino già nella sua prima
opera del 1941, Naturalismo e storicismo nell’etnologia, in quanto puri
descrittori e catalogatori con criterio naturalistico e non storico-culturale:
per cui il folklore rimane, pur categorizzato come “progressivo”, come fenomeno
di indagine antropologica nei termini più complessivi di cultura
popolare. Crisi della presenza e destorificazione del negativo In quanto
alla “crisi della presenza” come spaesamento, ne La fine del mondo, Ernesto de
Martino racconta di una volta in Calabria quando, cercando una strada, egli e i
suoi collaboratori fecero salire in auto un anziano pastore perché indicasse
loro la giusta direzione da seguire, promettendogli di riportarlo poi al posto
di partenza. L'uomo salì in auto pieno di diffidenza, che si trasformò via via
in una vera e propria angoscia territoriale, non appena dalla visuale del finestrino
sparì alla vista il campanile di Marcellinara, il suo paese. Il campanile
rappresentava per l'uomo il punto di riferimento del suo circoscritto spazio
domestico, senza il quale egli si sentiva realmente spaesato. Quando lo
riportarono indietro in fretta l'uomo stava penosamente sporto fuori dal
finestrino, scrutando l'orizzonte per veder riapparire il campanile. Solo
quando lo rivide, il suo viso finalmente si riappacificò. In un altro
esempio, per esprimere il medesimo concetto, De Martino racconta degli Achilpa,
cacciatori e raccoglitori australiani, nomadi da sempre e per sopravvivenza,
che avevano però l'usanza di piantare al centro del loro accampamento un palo
sacro, intorno al quale celebravano un rito ogni volta che "approdavano"
in un luogo nuovo. Il giorno che il palo si spezzò, i membri della tribù si
lasciarono morire, sopraffatti dall'angoscia. Il concetto di spaesamento,
come una condizione molto "rischiosa" in cui gli individui temono di
perdere i propri riferimenti domestici, che in qualche modo fungono da
"indici di senso", viene inserito dunque da de Martino nelle sue
categorie di “crisi della presenza” e destorificazione del negativo. La
crisi della presenza caratterizza allora quelle condizioni diverse nelle quali
l'individuo, al cospetto di particolari eventi o situazioni (malattia, morte,
conflitti morali, migrazione), sperimenta un'incertezza, una crisi radicale del
suo essere storico (della "possibilità di esserci in una storia
umana", scrive de Martino) in quel dato momento scoprendosi incapace di
agire e determinare la propria azione. La destorificazione del negativo
permette l'universalizzazione della propria condizione umana in una dimensione
mitico-simbolica, mediata dalla religione e presente nel rito. Secondo Amalia Signorelli,
antropologa e
e collaboratrice della
spedizione nel Salento, "Il dato esistenziale che ha scatenato la
crisi (morte, malattia, paura e altro ancora) viene mentalmente astratto dal
contesto storico per entro il quale è stato esperito e viene ricondotto a un
tempo e a una vicenda mitici".[6] Se il mito è narrazione, il rito è
un comportamento orientato ad uno scopo e ripetuto con parole e gesti di
significato altamente simbolico. È così che mito, rito e simbolo diventano un
circuito volto alla soluzione della crisi, astraendo dalla storia reale in cui
agisce il negativo. Quando è il negativo a prevalere, e questo accade in
fasi particolarmente drammatiche dell’esistenza umana (come la morte di una
persona cara), può manifestarsi una crisi radicale, una “funesta miseria
esistenziale”, per cui l’ethos del trascendimento non riesce più a risolvere la
crisi nel valore e la mancata valorizzazione fa perdere anche l’operabilità sul
reale. L’attività etica della valorizzazione è necessaria per impedire la
destrutturazione dell”esserci”, in quanto il “vitale” vede per intero invaso il
suo spazio, quello dell’intersoggettività e il rapporto con il mondo. Avviene
allora che “la presenza abdica senza compenso”.[7] Ernesto De
Martino e Muzi Epifani, 1956, durante una missione in Lucania L'elaborazione
del lutto ed il pianto rituale antico Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso
argomento in dettaglio: Morte di Gesù negli studi antropologici e Planctus. Tra
il 1952 e il 1956, l’etnologo organizza una serie di spedizioni di ricerca in
Lucania, accompagnato da un’equipe interdisciplinare, tra cui Vittoria De
Palma, anche lei etnologa e compagna di vita e con l’utilizzo di strumenti
quali il magnetofono e la cinepresa, innovativi rispetto all’indagine
folklorica classica. Riconnettendosi a Il mondo magico, decide di concentrarsi
sul lamento funebre e la “crisi del cordoglio”, ai segni, al simbolismo delle
ritualità legate ad una crisi esistenziale tra le più gravi, come quella che
segue la perdita di un caro, e il pianto e il dolore collettivi che
rappresentano la “crisi della presenza”, della propria e di tutti, minacciata
dalla morte. Il pericolo del lutto è dunque quello dell’annullamento
totale. In Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto
di Maria, 1958, affronta anche il senso della morte di Cristo in rapporto alla
condizione esistenziale dell'uomo nel mondo ed al momento traumatico della
esperienza della morte dei propri cari. Di fronte alla "crisi del
cordoglio" che può portare al crollo esistenziale, emerge la esigenza di
elaborare culturalmente il lutto, nella forma socialmente codificata del rito.
La consolazione offerta dal credo religioso riconduce a forme sopportabili la
carica drammatica del lutto, riferendola simbolicamente alla morte tragica di
Cristo sulla croce, forme che consentono di ritrovarsi uguali nel dolore, ma
che diventano anche promessa di resurrezione. «È possibile interpretare
la genesi del protocristianesimo come esemplarizzazione di una storica
risoluzione del cordoglio che trasforma Gesù morto in Cristo risorto e il morto
che torna nel morto-risorto presente nella chiesa e nel banchetto eucaristico.
Le apparizioni di Cristo dopo la morte testimoniano la Resurrezione e la
presenza di Cristo nella chiesa sino al compimento del piano temporale di
salvezza. Dopo l'Ascensione la discesa dello S.S. inaugura l'epoca in cui il
morto-risorto è con i credenti sino alla fine, per donare la spinta alla
testimonianza missionaria. (291:) "Il Cristianesimo diventa un grande rituale
funerario per una morte esemplare risolutiva del vario morire storico e come
pedagogia del distacco e del trascendimento rispetto a ciò che muore (il che
poteva aver luogo solo in quanto il morto era l'unto dell'Uomo-Dio)".
Abbiamo un esempio storico di soluzione della crisi e la garanzia mediante la
fede della presenza del Risorto nella comunità. La celebrazione eucaristica
rappresenta contemporaneamente l'evento passato di un Cristo al centro del
piano temporale di salvezza (mito che garantisce e fonda la salvezza futura) e
l'evento futuro della definitiva Parusia.[8]» De Martino indaga la
persistenza, nelle realtà marginalizzate della Lucania, del pianto funebre,
come “riplasmazione” del planctus irrelativo, rito antichissimo e diffuso prima
del Cristianesimo in tutta l'area mediterranea. La destorificazione dell’evento
luttuoso, soggettivamente vissuto, permette di riportarlo ad una dimensione
mitico-rituale, e dunque al superamento della crisi. Su questi temi si è
soffermata una sua studentessa e collaboratrice, la scrittrice Muzi Epifani,
nella commedia La fuga, scritta a dieci anni dalla sua scomparsa. Opere
Naturalismo e storicismo nell'etnologia, Laterza, Bari, 1941; n. ed. con
introduzione e cura di Stefano De Matteis, Argo, Lecce, 1997. Il mondo magico:
prolegomeni a una storia del magismo, Einaudi, Torino, 1948; n. ed.
Boringhieri, Torino, 1973 (con introduzione di Cesare Cases e in appendice
testi di Benedetto Croce, Enzo Paci, Raffaele Pettazzoni e Mircea Eliade) Morte
e pianto rituale nel mondo antico: dal lamento pagano al pianto di Maria,
Einaudi, Torino, 1958, Premio Viareggio Saggistica[9]; n. ed. Bollati
Boringhieri, Torino, 2000 (con introduzione di Clara Gallini) Sud e magia,
Feltrinelli, Milano, 1959; n. ed. 2002 (con introduzione di Umberto
Galimberti). Sud e magia La terra del rimorso. Contributo a una storia
religiosa del Sud, Il Saggiatore, Milano, 1961 Furore, simbolo, valore, Il
Saggiatore, Milano, 1962; poi Feltrinelli, Milano, 1980 (con introduzione di
Luigi M. Lombardi Satriani) e ivi 2002 (con introduzione di Marcello Massenzio)
Magia e civiltà. Un'antologia critica fondamentale per lo studio del concetto
di magia nella civiltà occidentale, Garzanti, Milano, 1962 Mondo popolare e
magia in Lucania, a cura e con prefazione di Rocco Brienza, Basilicata,
Roma-Matera, 1975 La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi
culturali, a cura di Clara Gallini, con introduzione di Clara Gallini e
Marcello Massenzio, Einaudi, Torino, 1977 La collana viola: lettere 1945-1950
(con Cesare Pavese), a cura di Pietro Angelini, Bollati Boringhieri, Torino,
1991 Scritti minori su religione, marxismo e psicoanalisi, a cura di Roberto
Altamura e Patrizia Ferretti, Nuove edizioni romane, Roma, 1993 Compagni e
amici: lettere di Ernesto de Martino e Pietro Secchia, a cura di Riccardo Di
Donato, La nuova Italia, Firenze, 1993 Storia e metastoria: i fondamenti di una
teoria del sacro, introduzione e cura di Marcello Massenzio, Argo, Lecce, 1995
Note di campo: spedizione in Lucania, 30 settembre - 31 ottobre 1952, edizione
critica a cura di Clara Gallini, Argo, Lecce, 1995 L'opera a cui lavoro:
apparato critico e documentario alla Spedizione etnologica in Lucania, a cura
di Clara Gallini, Argo, Lecce, 1996 Una vicinanza discreta: lettere (con Renato
Boccassino), a cura di Francesco Pompeo, Oleandro, Roma, 1996 I viaggi nel Sud
di Ernesto de Martino, a cura di Clara Gallini e Francesco Faeta,
fotografie di Arturo Zavattini, Franco Pinna e Ando Gilardi, Bollati
Boringhieri, Torino, 1999 Panorami e spedizioni: le trasmissioni radiofoniche
del 1953-54, a cura di Luigi M. Lombardi Satriani e Letizia Bindi, Bollati
Boringhieri, Torino, 2002 Musiche tradizionali del Salento: le registrazioni di
Diego Carpitella ed Ernesto de Martino (1959, 1960), a cura e testi di Maurizio
Agamennone, Squilibri, Roma, 2005 (con 2 cd) Scritti filosofici, a cura di
Roberto Pastina, il Mulino, Bologna, 2005 Dal laboratorio del mondo magico:
carteggi 1940-1943, a cura di Pietro Angelini, Argo, Lecce, 2007 Ricerca sui
guaritori e la loro clientela, a cura di Adelina Talamonti, Argo, Lecce, 2008
(con introduzione di Clara Gallini) Etnografia del tarantismo pugliese. I
materiali della spedizione nel Salento del 1959, a cura di Amalia Signorelli e
Valerio Panza, Introduzione e commenti di Amalia Signorelli, Argo, Lecce 2011.
La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali, nuova
edizione a cura di Giordana Charuty, Daniel Fabre, Marcello Massenzio, Einaudi,
Torino 2019, EAN9788806241889 Note ^ E. de Martino, Promesse e minacce
dell'etnologia, in Id., Furore Simbolo Valore, Milano, 2002, p. 85. ^ ERNESTO
DE MARTINO, su www.filosofico.net. URL consultato il 19 luglio 2017. ^ Giulio
Angioni, Una scuola antropologica sarda?, in Giulio Angioni et al. (a cura di
Luciano Marrocu, Francesco Bachis, Valeria Deplano), La Sardegna contemporanea.
Idee, luoghi, processi culturali, Roma, Donzelli, 2015, pp. 649-662. ^ Ernesto
De Martino, cap.VI “Antropologia e marxismo” par. “Marxismo e religione”, in La
fine del mondo - Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, Einaudi,
ed.2019, pag. 483, ISBN 9788806241889. ^ Ernesto de Martino, Il folklore
progressivo, in l’Unita’, 28 giugno 1956. ^ Amalia Signorelli, Ernesto De
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Claude Lévi-Strauss Diego Carpitella Tarantismo Carlo Tullio Altan Alberto
Mario Cirese Giulio Angioni Antropologia culturale Placido Cherchi Scuola
antropologica di Cagliari Antonio Gramsci Storia delle religioni Etnologia
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Martino, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Modifica su Wikidata Mariannita Lospinoso, DE MARTINO, Ernesto, in
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Prolegomeni a una storia del magismo. Ernesto de Martino - Pagina autore
LiberCensor.net Bibliografia di Ernesto de Martino (formato pdf) Istituto
Ernesto De Martino, su iedm.it. Società di Mutuo Soccorso Ernesto de Martino,
su smsdemartino.noblogs.org. URL consultato il 2 settembre 2018 (archiviato
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edizioni de LA FINE DEL MONDO di Ernesto de Martino, su L’analisi e la classe
Ernesto de Martino, "Intorno a una storia del mondo popolare
subalterno",1949 su Academia.edu V · D · M Vincitori del Premio Viareggio
per la saggistica Controllo di autorità VIAF (EN) 12350298 · ISNI (EN) 0000
0001 0870 3497 · SBN IT\ICCU\CFIV\033030 · LCCN (EN) n79043314 · GND (DE)
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riferimento. Filippo Masci Filippo Masci.gif Deputato del Regno d'Italia
Legislature XIX,
XX Senatore del Regno d'Italia Legislature XXIV
Dati generali Titolo di studio Laurea
in scienze giuridiche e politiche amministrative Professione Docente
universitario, filosofo Filippo Masci (Francavilla al Mare, 29 settembre 1844 –
Napoli, 7 dicembre 1922) è stato un filosofo, politico, docente universitario e
senatore del Regno italiano. Indice 1 Biografia 1.1 Vita privata 1.2 Il
pensiero 2 Opere
3 Onorificenze
4 Note
5 Bibliografia
6 Altri
progetti 7 Collegamenti
esterni Biografia Nato il 29 settembre 1844 in una famiglia della borghesia
abruzzese, perse il padre Guglielmo all'età di 4 anni. Frequentò il collegio
Giambattista Vico di Chieti e, completati gli studi liceali, fu allievo del
professor Mola, che gli insegnò filosofia, scienze e matematica. Iniziò nel
1862 gli studi di giurisprudenza all'Università di Napoli, dove si laureò nel
1866, ed in seguito studiò scienze politico-amministrative. Cominciò ad
approfondire le sue conoscenze filosofiche grazie alle lezioni tenute da
Bertrando Spaventa nella stessa città. Influenzato dalla sua formazione
universitaria e dallo stesso Spaventa, al centro dei suoi primi studi c'era il pensiero
di Kant e Hegel. Nel 1875 ottenne la cattedra di professore reggente di
filosofia presso il liceo di Chieti, prima dell'abilitazione che gli fu
consegnata nel 1879 a Pisa. Inoltre sempre nel 1875 venne nominato vincitore di
un concorso della Reale Accademia delle scienze morali e politiche grazie ad un
saggio sulla Critica della ragion pura. Nel 1882 divenne libero docente di
filosofia teoretica all'Università di Napoli e, l'anno successivo, di storia
della filosofia presso l'Università di Pavia. Nel 1883 abbandonò l'insegnamento
a Chieti per recarsi a Padova, dove era stato nominato professore straordinario
di filosofia morale. All'istituto scolastico lasciò numerosi scritti sulla
filosofia antica. Un anno dopo divenne professore ordinario all'Università di
Napoli. Nel 1893 ottenne la carica di rettore dell'Università di Napoli e
nel 1894 di consigliere comunale della medesima città. Nel corso della sua
carriera politica fu eletto deputato dal collegio di Ortona al Mare per la XIX
legislatura (1895-1897) e fu un sostenitore di Gabriele D'Annunzio. Nel 1913
entrò nel Senato del Regno, dove intervenne più volte sul tema dell'istruzione
pubblica. Sosteneva la maggiore importanza della formazione classica rispetto a
quella tecnica o scientifica nelle scuole secondarie[1]. Liceo
scientifico "Filippo Masci" a Chieti Fu Presidente dell'Accademia di
lettere ed arti della Società Reale di Napoli, socio della Regia Accademia dei
Lincei, membro del Consiglio superiore dell'Istruzione Pubblica e di altre istituzioni
culturali.[2] Nel 1918 presso l'Accademia dei Lincei difese l'importanza di
Kant e Fichte in contrasto con le parole di Luigi Luzzati che li aveva
criticati per essere filosofi tedeschi. Dopo la morte avvenuta il 7 dicembre
1922, fu eretto un busto commemorativo a Francavilla al Mare e nel 1923 il
neonato liceo scientifico di Chieti fu intitolato in suo onore.[1] Vita
privata Nel corso della sua carriera di insegnante conobbe Edoardo Scarfoglio e
Gabriele D'Annunzio, che continuò a frequentare negli anni successivi. Inoltre
fu tenuto in grande considerazione da Bertrardo Spaventa. Nel 1888 sposò una
lontana parente di sua madre, entrambe appartenenti alla famiglia Tattoni di
Bellante. Dal matrimonio nacquero tre figli.[1] Il pensiero Poco prima di
morire pubblicò Pensiero e conoscenza, in cui sono racchiusi gli aspetti più
importanti del suo pensiero, che oggi è poco studiato. Ebbe molteplici
interessi (filosofia, psicologia, sociologia, pedagogia, diritto e storia) ed è
considerato uno dei più importanti esponenti italiani del neokantismo, avendo
rifiutato sia alcune posizioni filosofiche di Spaventa, sia l'affermato
positivismo di Roberto Ardigò, che escludeva ogni possibile principio "a
priori" della conoscenza. La ripresa della filosofia di Immanuel Kant fu
segnata dalla convinzione che fosse sbagliato ridurre la realtà a pura
rappresentazione, ma anche dal tentativo di studiare la genesi psicologica
delle categorie di Kant e quindi negare la loro formulazione numericamente
rigida. Nel Materialismo psicofisico cercò di dimostrare l'unità tra anima e
natura in una concezione psicofisica della realtà, ma i suoi lavori furono
criticati da Giovanni Gentile, anche a causa della mancata adesione al
neoidealismo.[3][2] Opere Le forme dell'intuizione, Del Vecchio, Chieti
1881. Le teorie sulla formazione naturale dell'istinto. Memoria letta alla R.
Accademia di Scienze Morali e Politiche della Società Reale di Napoli. Napoli:
Tipografia della Regia Università, 1893 Il materialismo psico-fisico e la
dottrina del parallelismo in psicologia, “Atti dell'Accademia di Napoli”,
Napoli 1901. Intellettualismo e pragmatismo, “Atti della Regia Accademia delle
Scienze morali e politiche”, Napoli, 1911. Quantità e misura nei fenomeni
psichici. Memoria letta all'Accademia di Scienze Morali e Politiche della
Società Reale di Napoli. Napoli: Federico Sangiovanni & Figlio, 1915 Della
misura indiretta in psicologia. Conoscenza scientifica e conoscenza matematica.
Napoli: Federico Sangiovanni & Figlio, 1916 Credenza e conoscenza, “Atti
dell'Accademia di Napoli”, Napoli, 1920. Pensiero e conoscenza, Bocca Editori,
Torino 1922. Onorificenze Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia -
nastrino per uniforme ordinaria Commendatore
dell'Ordine della Corona d'Italia Ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e
Lazzaro - nastrino per uniforme ordinaria Ufficiale
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Note Schede di personalità
abruzzesi importanti nel campo della filosofia, Regione Abruzzo. URL consultato
il 15 luglio 2016 (archiviato dall'url originale il 23 agosto 2016).
Storia del liceo F. Masci e biografia, Liceo F. Masci. URL consultato il 15
luglio 2016 (archiviato dall'url originale il 28 settembre 2007). ^ Discorso di
commiato per la morte di Filippo Masci, su notes9.senato.it. URL consultato il
15 luglio 2016. Bibliografia Alfonso Pietrangeli, Filippo Masci e il suo
neocriticismo, Cedam, Padova 1962. Luigi Gentile, Filippo Masci : dal
criticismo kantiano al monismo psicofisico, Noubs, Chieti 2003. Giuseppe
Landolfi Petrone, MASCI, Filippo, in Dizionario biografico degli italiani, vol.
71, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2008. URL consultato il 26
agosto 2016. Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons
contiene immagini o altri file su Filippo Masci Collegamenti esterni Filippo
Masci, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Modifica su Wikidata Filippo Masci, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Filippo Masci,
su Liber Liber. Modifica su Wikidata Opere di Filippo Masci, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata Filippo Masci, su
storia.camera.it, Camera dei deputati. Modifica su Wikidata Filippo Masci, su
Senatori d'Italia, Senato della Repubblica. Modifica su Wikidata Controllo di
autorità VIAF (EN) 118007097 · ISNI (EN)
0000 0000 8187 0876 · SBN IT\ICCU\MILV\096266 · LCCN (EN) no2002107031 · GND
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secoloInsegnanti italiani del XX secoloNati nel 1844Morti nel 1922Nati il 29
settembreMorti il 7 dicembreNati a Francavilla al MareMorti a NapoliProfessori
dell'Università degli Studi di Napoli Federico II[altre]
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