ALIOTTA Antonio Aliotta Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
navigationJump to search Antonio Aliotta (Palermo, 18 gennaio 1881[1] – Napoli,
1º febbraio 1964) è stato un filosofo e accademico italiano. Fu componente dell'Accademia Nazionale dei
Lincei, nonché dell'Accademia Pontaniana e della Società Nazionale di Scienze,
Lettere e Arti. Indice 1Biografia
2Pensiero 2.1Psicologia 2.2La filosofia 3Opere principali 4Note 5Bibliografia
6Altri progetti 7Collegamenti esterni Biografia Fondò la rivista internazionale
di filosofia Logos e fu autore di una decina di monografie. Allievo di Felice Tocco e Francesco De Sarlo,
fu influenzato molto dalla concezione della conoscenza scientifica del secondo,
che si rifaceva alle teorie di Franz Brentano.
Nel primo periodo della sua vita, Aliotta si interessò in particolar
modo alla psicologia sperimentale come ricercatore, mentre in un secondo
periodo, approssimativamente dal 1944, rivolse il suo interesse alla filosofia
e all'epistemologia. Tra i suoi allievi
vi furono Nicola Abbagnano, Paolo Filiasi Carcano, Cleto Carbonara, Renato
Lazzarini, Giuseppe Martano, Alberto Marzi, Nicola Petruzzellis, Michele
Federico Sciacca, Luigi Stefanini, anche se la sua indole non dogmatica e
aperta "a diverse culture e suggestioni"[2] non diede luogo alla
formazione di una vera e propria scuola riferibile al suo nome, ma incoraggiò i
suoi allievi a indirizzarsi su percorsi culturali autonomi, emancipandosi
dall'egemonia esercitata dal neoidealismo di Benedetto Croce e di Giovanni
Gentile[2]. Al suo magistero può essere
associato anche la figura dello psicanalista Cesare Musatti, che si indirizzò
allo studio della psicologia dopo aver assistito alle lezioni sull'argomento
tenute da Aliotta all'Università di Padova nell'anno accademico
1915-16[2]. Il 19 febbraio 1951 divenne
socio dell'Accademia delle scienze di Torino.[3] A lui è intitolato il dipartimento di
filosofia dell'Università degli studi di Napoli "Federico II". Pensiero Psicologia Nella sua prima fase,
prettamente psicologica, agli inizi del nuovo secolo, Aliotta afferma che i
fatti psichici non possono essere quantificati come avviene con i fatti fisici
esistenti e misurabili, in quanto i fatti psichici sono elementi costitutivi
della coscienza. La psicologia, perciò, essendo una scienza empirica che studia
i fatti psichici interni al soggetto, avrebbe dovuto servirsi del metodo
dell'introspezione, riferendosi a formulazioni matematiche al solo scopo
simbolico. La filosofia La particolare
concezione della conoscenza dell'autore, intesa né come esistente in sé, né
come iscritta nel processo dialettico del pensiero, lo allontanò sia dalle posizioni
positiviste che da quelle neoidealiste.
Nelle sue opere emerge una visione contraria all'idealismo: né Hegel,
nemmeno Fichte, né tanto meno Schelling col loro proposito di racchiudere tutta
la realtà nel pensiero, sebbene con sfumature diverse, soddisfano Aliotta, che
invece paragona il pensiero a un processo vivente, costruito da tanti centri
individuali tesi verso una armonia, continuatrice dei fenomeni
dell'universo.[4] Aliotta si sofferma sulla coordinazione delle conoscenze,
sulle intese fra le persone, sulla sintesi della scienza e soprattutto sulla
ricerca filosofica a cui assegna il compito particolare di supervisione dei
campi di conoscenza con il fine di limitarne i dissidi e di ampliare, il più
possibile, il punto di vista delle scienze particolari. Aliotta afferma che
l'unico metodo che consente la ricerca della verità sia l'esperimento; la
verità stessa non è assoluta e unica ma prevede vari livelli, i superiori dei
quali sfruttano e inglobano quelli inferiori. La ricerca filosofica possiede,
secondo l'autore, un formidabile strumento di indagine e di verifica che si
chiama "storia". In alcuni
scritti successivi ("Il sacrificio come significato del mondo",1947),
pubblicati nel secondo dopoguerra, Aliotta sembra avvicinarsi a un modello di
pensiero a metà strada tra il pragmatismo e lo spiritualismo, nel quale mette
in rilievo l'esperienza morale e il sacrificio, considerato come l'esempio di
realizzazione più elevato, sia per l'individuo sia per la collettività.[5] L'affermarsi dello sperimentalismo produce in
Aliotta una serrata critica all'astratto intellettualismo nonché apre la strada
alla ricezione di studi avanzati sulla cosiddetta 'filosofia scientifica', in
un panorama di reazione idealistica contro la scienza e di graduale
affermazione in Italia di scienze come la sociologia (Guglielmo Rinzivillo,
Antonio Aliotta. L'idea scientifica dello sperimentalismo in Una epistemologia
senza storia, Roma, Nuova Cultura, 2013, p. 197 e sg. ISBN
978-88-6812-222-5). Opere principali
Classici del pensiero: Platone - Aristotele - Lucrezio - Epitteto (1911) La
reazione idealistica contro la scienza (1912) La guerra eterna e il dramma
dell'esistenza (1917) L'estetica di Kant e degli idealisti romantici (1942) Il
sacrificio come significato del mondo (1947) Il relativismo dell'idealismo e la
teoria di Einstein (1948) Evoluzionismo e spiritualismo (1948) Il problema di
Dio e il nuovo pluralismo (1949) Le origini dell'irrazionalismo contemporaneo
(1950) Pensatori tedeschi della prima metà dell'Ottocento (1950) Critica
dell'esistenzialismo (1951) L'estetica di Croce e la crisi dell'idealismo
italiano (1951) Il nuovo positivismo e lo sperimentalismo (1954) Cinquant'anni
di relatività. 1905-1955 (con Giuseppe Armellini, Piero Caldirola, Bruno Finzi,
Giovanni Polvani, Francesco Severi, Paolo Straneo), prefazione di Albert
Einstein. Edizioni Giuntine e Sansoni Editore, Firenze, 1955 Note ^ Vedi S.
Belardinelli, in Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in
Collegamenti esterni. Sergio
Belardinelli, «ALIOTTA, Antonio» in Dizionario Biografico degli Italiani,
Volume 34 (1988) ^ Antonio ALIOTTA, su www.accademiadellescienze.it. URL
consultato il 9 luglio 2020. ^ Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia,
Torino, Utet, 1995, p. 235, voce "Aliotta". ^ Nicola Abbagnano,
Dizionario di filosofia, Torino, Utet, 1995, p. 236, voce "Aliotta".
Bibliografia Michele Federico Sciacca (a cura di), Lo sperimentalismo di A.
Aliotta, Napoli, 1951. Nicola Abbagnano Antonio Aliotta, in "Rivista di
Filosofia", 1964, 55, pp. 442–448. Adriana Dentone, Il problema morale e
religioso in Aliotta, Napoli, 1972. Luciano Mecacci, Antonio Aliotta, in: Guido
Cimino, Nino Dazzi (a cura di), La psicologia in Italia: i protagonisti e i
problemi scientifici, filosofici e istituzionali: (1870-1945), Milano, LED,
1998, pp. 391–402. «ALIOTTA, Antonio» Enciclopedia Italiana - II Appendice,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, 1948. Sergio Belardinelli,
«ALIOTTA, Antonio» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 34, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1988. Altri progetti Collabora a
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esterni Antonio Aliotta, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Modifica su Wikidata Antonio Aliotta, in Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di
Antonio Aliotta, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN)
Opere di Antonio Aliotta, su Open Library, Internet Archive. Modifica su
Wikidata Opere di Antonio Aliotta consultabili nell'Archivio di Storia della
Psicologia, su archiviodistoria.psicologia1.uniroma1.it. URL consultato il 16
dicembre 2011 (archiviato dall'url originale il 12 luglio 2012). Controllo di
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Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX
secoloAccademici italiani del XX secoloNati nel 1881Morti nel 1964Nati il 18
gennaioMorti il 1º febbraioNati a PalermoMorti a NapoliAccademici dei
LinceiProfessori dell'Università degli Studi di Napoli Federico IIMembri
dell'Accademia delle Scienze di Torino[altre]
ALLEGRETTI Giacomo Allegretti Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump
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Allegretti Coa fam ITA allegretti2.jpg Blasonatura cuore d'oro su campo azzurro
Giacomo (o Jacopo) Allegretti (Forlì, prima del 1326 – Rimini, 1393) è stato un
poeta, filosofo, medico e astrologo italiano, è noto per aver fondato, secondo
alcuni storici, la prima accademia letteraria d'Italia. Indice 1Biografia 2 Note 3Opere 4Bibliografia 5 Collegamenti
esterni Biografia Fu figlio di Leonardo Allegretti[1], giudice a Forlì, di
parte guelfa[1]. Apparteneva ad un'antica e cavalleresca famiglia, il cui
capostipite fu Mazzone Allegretti (o Mazzonius Alegrettus), che nel 1095 prese
parte alla prima crociata in Terra Santa e per “arma” scelse un “cuore d'oro su
campo azzurro”. Lesse filosofia a
Bologna nel 1357[1], logica e filosofia a Firenze tra il 1358 e il
1365[1]. Nel 1370, fondò la prima
accademia con un gruppo di intellettuali: Francesco dei Conti di Calbolo, Azzo
e Nerio Orgogliosi, Giovanni de' Sigismondi, Andrea Speranzi, Rinaldo Arfendi,
Valerio Morandi, Giovanni Aldrobandini, Spinuccio Aspini e Paolo Allegretti.
Nel 1376, per motivi politici, gli Ordelaffi, signori di Forlì ghibellini,
imposero il confino a Giacomo e al fratello Giovanni[1]. Si trasferì perciò a
Rimini. Richiamato dall'esilio nel 1385, coinvolto in una faida familiare degli
Ordelaffi, fu nuovamente costretto a fuggire a Rimini, ove fondò una nuova
Accademia, l'Accademia dei Filergiti, con vocazione insieme letteraria e
scientifica. La sua prosapia si estinse
per linea maschile circa nel 1479, ma s'innestò negli Aspini mediante una
Margherita di Francesco Allegretti, che sposò un Lodovico, che fu erede degli
averi e del cognome degli Allegretti. Si trova il seguito di questa famiglia
nel senese e nel modenese (a Ravarino).
Note Fonte: F. Valenti,
Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in Bibliografia. Opere Nel
XIV secolo, la sua opera principale era considerata il Bucolicon. Ma scrisse anche: un epicedio per la morte di Galeotto I
Malatesta, signore di Rimini; un carme al Conte di Virtù; un carme per la
"divisa della tortora"; Eglogae, in lingua latina; un carme sulla
"bissa milanese", cioè lo stemma dei Visconti, il biscione.
Bibliografia Giorgio Viviano Marchesi, Memorie storiche dell'antica, ed insigne
Accademia de' Filergiti della città di Forlì ..., Forlì, per Antonio Barbiani,
1741. Paolo Bonoli, Storia di Forlì scritta da Paolo Bonoli distinta in dodici
libri corretta ed arricchita di nuove addizioni, 2 voll., Forlì, Luigi
Bordandini, 1826. Filippo Valenti, ALLEGRETTI, Giacomo, in Dizionario
biografico degli italiani, II, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1960.
Collegamenti esterni (EN) Opere di Giacomo Allegretti, su Open Library,
Internet Archive. Modifica su Wikidata Controllo di autoritàVIAF (EN) 10639768
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Portale Letteratura Storia di famiglia Portale Storia di famiglia Categorie:
Poeti italiani del XIV secoloFilosofi italiani del XIV secoloMedici
italianiMorti nel 1393Nati a ForlìMorti a Rimini[altre]
ALLIEVO Giuseppe Allievo Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump
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Allievo Giuseppe Allievo (San Germano Vercellese, 14 settembre 1830 – Torino,
24 giugno 1913) è stato un filosofo e pedagogista italiano. Indice 1Biografia 2Pensiero 3Opere
principali 4Note 5Collegamenti esterni Biografia [1] Frequentò la facoltà di
filosofia dell'università di Torino e seguì l'insegnamento di Giovanni Antonio
Rayneri (1810-1867), sacerdote e filosofo di matrice rosminiana. Laureatosi il 18 luglio 1853 insegnò
pedagogia a Novara (1853), a Domodossola (1854), dove conobbe Rosmini, e a
Ivrea (1855 e 1856) e nel Collegio di Ceva. A Domodossola pubblicò i suoi primi
saggi e scrisse articoli per la Rivista contemporanea di Luigi Chiala. Arrivò alla cattedra di pedagogia a Torino
(1869). Cattolico spiritualista, fu propugnatore del cosiddetto sintesismo
degli esseri, principio secondo il quale «nessuna parte di un ente può
sussistere divisa dal tutto dell'ente stesso, e nessun essere può sussistere né
operare diviso dagli enti che costituiscono l'universo».[2] Il 13 gennaio 1895 divenne socio
dell'Accademia delle scienze di Torino.[3]
Pensiero Critico dell'hegelismo, soprattutto per motivi religiosi,
Allievo sosteneva doversi rifare alla tradizione filosofica spiritualista
italiana per combattere sia la dottrina hegeliana che quella positivista che
nella pedagogia si stava in quegli anni diffondendo in Italia. Rimase fino al 1912 nell'Università di Torino
insegnando pedagogia e dedicandosi a ricerche di antropologia e pedagogia. Fu
autore anche di un'opera di vaste proporzioni dedicata a Il problema metafisico
studiato nella storia della filosofia, dalla scuola ionica a Giordano Bruno
(Torino 1877). Opere principali Saggi
filosofici (1866) Il problema metafisico studiato nella storia della filosofia
(1877) Studi antropologici:l'uomo e il cosmo (1891) Studi pedagogici (1892)
Attinenze tra l'antropologia e la pedagogia (1896) Esame dell'hegelianesimo
(1896) Il ritorno al principio della personalità (1904) Note ^ Fonte: Francesco
Corvino, Dizionario biografico degli Italiani (1960) alla voce corrispondente ^
in F. Corvino, Op. cit. ibidem ^ Giuseppe ALLIEVO, su
www.accademiadellescienze.it. URL consultato il 9 luglio 2020. Collegamenti
esterni Giuseppe Allievo, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Giuseppe Allievo, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su
Wikidata Giuseppe Allievo, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Giuseppe Allievo, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Giuseppe
Allievo, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Controllo di
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Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XIX secoloFilosofi italiani
del XX secoloPedagogisti italianiNati nel 1830Morti nel 1913Nati il 14
settembreMorti il 24 giugnoNati a San Germano VercelleseMorti a TorinoMembri
dell'Accademia delle Scienze di Torino[altre]
ALLMEYER-FAZIO Vito
Fazio Allmayer Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Vito Fazio Allmayer Vito Fazio Allmayer (Palermo, 21 novembre 1885
– Pisa, 14 aprile 1958) è stato un filosofo, pedagogista e insegnante italiano.
Fu insieme a Giovanni Gentile, e altri filosofi, uno degli esponenti di spicco
della corrente filosofica detta attualismo. Indice 1Biografia
1.1Carriera 2Pensiero filosofico 2.1Insegnare è non morire 2.2Fondazione 3Opere
4Note 5Bibliografia 6Voci correlate 7Collegamenti esterni Biografia Nacque a
Palermo da Giuseppe Emanuele Fazio, originario di Alcamo (ex garibaldino e in
servizio presso il Museo nazionale di Palermo) e da Felicina Allmayer, di
origine tedesca, ma residente in Italia.[1] Fin da ragazzo si interessò alla
storia dell'arte; a 23 anni si laureò in giurisprudenza ma poiché era
appassionato alla filosofia, iniziò subito gli studi filosofici e a frequentare
la Biblioteca filosofica di Palermo, dove ebbe modo di conoscere Giovanni
Gentile. Nel 1910 l'Allmayer si laureò in filosofia e iniziò la carriera
come professore: nel 1914 passò al liceo "Umberto I" di Palermo, dove
cominciò la sua ricca produzione saggistica che lo rese famoso in Italia.
La sua carriera continuò a Roma; subito dopo la caduta del fascismo, nel
novembre 1943, il Fazio Allmayer fu sospeso dall'insegnamento; per essere
reintegrato dopo la fine della guerra. Dopo un periodo travagliato della
sua vita, negli anni Cinquanta riprese la molteplice attività di saggista e
critico, oltre che di docente. Nel 1915 si era sposato con Concettina
Carta, con cui ebbe tre figli. Nel 1953, rimasto vedovo, si sposò in seconde
nozze con Bruna Boldrini che, conosciuta col cognome acquisito, è stata tra i
maggiori critici del Fazio e ne ha promosso un'edizione completa delle Opere
(I-XXII, Firenze 1969-1991).[1] L'Allmayer, colpito da infarto tre anni
prima, morì a Pisa nel 1958. In memoria di questo insigne filosofo e
pedagogista di origine alcamese, il Liceo Statale delle Scienze Umane,
Economico Sociale, Linguistico, Musicale (ed autorizzato per le Arti coreutiche)
è stato intitolato al suo nome. Carriera 1910: Professore presso il liceo
di Matera 1911: professore al liceo di Agrigento, vinse nello stesso anno una
borsa di studio per perfezionamento presso l'università di Roma 1914 docente
presso il liceo "Umberto I" di Palermo 1918: libero docente di storia
della filosofia a Roma 1919: trasferito a Palermo, fu condirettore del
Giornale critico della filosofia italiana, fondato da Gentile e diretto dallo
stesso prima di essere ministro. 1921-1922: docente di filosofia presso
l'università di Palermo 1922-1924: docente di storia della filosofia (con corsi
su Bacone e sui sofisti e Platone) presso l'Università di Roma, in sostituzione
di Gentile e incaricato di pedagogia al magistero di Roma. 1924: collaboratore
di Gentile per la riforma scolastica e, con l'incarico di ispettore centrale
degli istituti medi di istruzione, ebbe affidata la redazione dei programmi
della scuola media. 1925: professore non stabile di storia della filosofia
medievale e moderna 1929: ebbe la cattedra di filosofia teoretica in
sostituzione di Pantaleo Carabellese 1939: preside della facoltà di lettere
1925-1931: commissario per l'amministrazione straordinaria della sezione arti
decorative, annessa alla Scuola artistica e industriale di Palermo dal 1931 in
poi: commissario governativo per l'Accademia di Belle Arti. 1943: sospeso
dall'insegnamento e reintegrato dopo la fine della guerra 1951: cattedra di
storia della filosofia dell'università di Pisa 1954: direttore dell'istituto di
filosofia. Pensiero filosofico Il tramonto del Positivismo e l'amicizia con
Gentile lo portarono a un impegno ideologico a favore dell'attualismo che
sembrava poter portare a un rinnovamento culturale e civile;[1] secondo
l'attualismo, era l'atto del pensare in quanto percezione, e non il pensiero
creativo in quanto immaginazione, a definire la realtà. Assieme a Gentile
e Guido De Ruggiero, fu uno dei sostenitori di quell'attualismo che "aveva
tutta la seduzione romantica e tutta la fiducia ottimistica a trarre a sé... i
migliori dei giovani scontenti, quelli che non si muovevano verso D'Annunzio o
Marinetti"[2], e nel 1914-15 appoggiò apertamente, anche con conferenze,
l'intervento dell'Italia nel conflitto mondiale, ma venne riformato alla visita
militare. Nelle parole di Bruna Boldrini, moglie del filosofo, che
tendeva a sottolineare la sostanziale autonomia della ricerca del Fazio dalla
metafisica di Gentile, il Fazio-Allmayer giunge a giustificare l'esperienza
storica come vita concreta, in cui le molteplici e diverse forme confluiscono
in un rapporto intersoggettivo, sintesi etico-estetica, nella specificità di
ciascuna (p. 35). D'altronde, anche Benedetto Croce, fin dal 1922, in una
recensione del saggio Contributo alla teoria della storia dell'arte (poi in
Opere, IV, pp. 103-113), metteva in dubbio che si potesse parlare ancora di
idealismo attuale per il Fazio. Nel secondo dopoguerra, in un momento
denigratorio dell'idealismo, e maggiormente dell'attualismo, che era accusato
di connivenza col fascismo, la posizione del Fazio fu di aperta difesa
dell'attualismo e di un fedele sviluppo del proprio pensiero.[1]
Insegnare è non morire Insegnare vuol dire non morire, ma entrare in un
processo di vita che ci precede e ci prosegue nel tempo: su questa certezza di
Vito e Bruna Fazio-Allmayer, si basa una spinta pedagogica di tipo socratico,
per cui il maestro si sente un uomo tra uomini, lui più esperto, e loro più
giovani, ma protesi verso il nuovo.[3] L'educatore, nel suo farsi
persona, diventa storico di se stesso, nel rapporto con i propri alunni li deve
riconoscere nella loro singolarità, piuttosto che livellarli. Aprirsi agli
altri è il contributo al vivere: allorché viene meno questo senso di
solidarietà col tutto, si crea in noi il disagio dell'angoscia. Quindi il
senso della vita è quello della speranza e dell'amore: gli altri individui non
sono antitetici al proprio io, ma un indispensabile sbocco del proprio io.
Ognuno di noi si fa compossibile agli altri per ciò che dà e per quello che
ripiglia dagli altri, così il particolare si risolve nell'universale e
quest'ultimo nel particolare.[3] Per Vito Fazio-Allmayer la speranza è
nella certezza che il futuro è nel presente: sono vecchi, quindi, gli
insegnanti che, presi dal passato, trovano disprezzabile tutto ciò che si
produce nel presente, e sciocchi i giovani, e sbagliato ogni nuovo pensiero. La
scuola è vecchia se non riesce a vedere il mondo nuovo e in rinnovamento;
l'insegnante che si racchiude nelle memorie del passato, manifesta la malattia
mortale che si chiama vecchiaia. Fondazione La Fondazione Nazionale
"Vito Fazio-Allmayer” è sorta a Palermo nel 1975, creata da Fanny
Giambalvo e Bruna Fazio-Allmayer, che venne in Sicilia dalla Toscana per
insegnare Filosofia morale e Storia della Pedagogia; tale istituzione è stata
fondata per onorare il ricordo del marito e per suscitare nelle giovani
generazioni l'interesse per la filosofia.[3] Opere Su: La Sicile
illustrée, articoli e saggi (1905-1908) Su: Rassegna d'arte, articoli e saggi
(1905-1908) Studi sul pensiero antico; Sansoni, 1974 Galileo Galilei; R.
Sandron, 1911 Galileo Galilei, Palermo 1912, poi in Opere, X, pp. 51-209;
Galileo Galilei; Sansoni, 1975 Novum organum: Bacon, Francis; Laterza &
Figli, 1912 Dell'anima Aristoteles; Laterza, 1912 la formazione del problema
kantiano, in Annali della Bibl. filosofica di Palermo, 1912, fasc. I, pp.
43-89, poi in Opere, IV, pp. 191-235) La scuola popolare e altri discorsi ai
maestri: 1912 e 1913; Francesco Battiato, 1914 Introduzione allo studio della
storia della filosofia; Zanichelli; 1921 Materia e sensazione (Sandron, Palermo
1913, poi in Opere, II) Materia e sensazione; Sansoni, 1969 Introduzione alla
filosofia; Sansoni, 1970 La teoria della libertà nella filosofia di Hegel
(Messina 1920, poi in Opere, XIV) Saggio su Francesco Bacone (Palermo 1928, poi
in Opere, XI) Saggio su Francesco Bacone; 1979 Il problema morale come problema
della costituzione del soggetto, e altri saggi (Firenze, Le Monnier, 1942, poi
in Opere, IV, pp. 952) Il problema morale come problema della costituzione del
soggetto e altri saggi; Sansoni, 1971 Il significato della vita; Sansoni, 1955
Il significato della vita; 1988 Divagazioni e capricci su Pinocchio; G.C.
Sansoni, 1958 Divagazioni e capricci su Pinocchio; Fondazione nazionale Vito
Fazio-Allmayer, 1989 Ricerche hegeliane; G. C. Sansoni, 1959 Ricerche
hegeliane; Fondazione nazionale Vito Fazio-Allmayer, 1991 Storia della
filosofia; G.B. Palumbo, 1942 Storia della filosofia; Sansoni, 1981 I vigenti
programmi della scuola elementare: Commento e interpretazione; Firenze, F. Le
Monnier, 1954 Morale e diritto; Sansoni, 1955 Discorsi, lezioni; Sansoni, 1983
Saggi e problemi; Sansoni, 1984 Recensioni e varie, 1986 La Pinacoteca del
Museo di Palermo e altri saggi; notizie dei pittori palermitani, Palermo 1908
Prolusioni e discorsi inaugurali; Sansoni, 1969 Alcune lezioni edite e inedite;
Sansoni, 1982 Alcune lezioni edite e inedite; Sansoni, 1983 Spunti di storia
della pedagogia Moralita dell'arte: rievocazione estetica e rievocazione
suggestiva (con 53 postille); Sansoni, 1953 Moralita dell'arte e altri saggi;
Sansoni. 1972 Logica e metafisica; Sansoni, 1973 La storia; Sansoni, 1973
Lettere a Bruna; Fondazione nazionale Vito Fazio-Allmayer, 1992 Lettere a
Gentile; Fondazione nazionale Vito Fazio-Allmayer, 1993 Introduzione allo
studio della storia della filosofia e della pedagogia; Sansoni, 1979 La teoria
della liberta' nella filosofia di Hegel; Giuseppe Principato, 1920 Opere;
Sansoni, 1969 Commento a Pinocchio; G. C. Sansoni, 1945 Il problema Pirandello;
Firenze, Belfagor, 1957 Note
http://www.treccani.it/enciclopedia/vito-fazio-allmayer_(Dizionario-Biografico)/
^ E. Garin, Cronache di filosofia italiana..., I-II, Bari 1966, ad
Indicem; http://www.fazio-allmayer.it/index// Bibliografia treccani.it, http://www.treccani.it/enciclopedia/vito-fazio-allmayer_(Dizionario-Biografico)/.
fazio-allmayer.it, http://www.fazio-allmayer.it/index//. Vita e pensiero di V.
F., Firenze 1960; 2 ediz., Palermo 1975, con bibliografia degli scritti del e
sul F., alle pp. 205-224; A. Massolo: Fazio e la logica della compossibilità,
in Giornale critico della filosofia italiana, XXXVI (1957), pp. 478-487; C.
Luporini, Ricordo di V. F., in Belfagor, XIII (1958), pp. 360 s.; Giardina
Francesco: Intenzionalità ermeneutica e compossibilità nell'attualismo
comunicazionale di Vito Fazio-Allmayer: implicazioni pedagogiche; Edizioni
della Fondazione nazionale Vito Fazio-Allmayer - 1996 A. Guzzo, V. F. e Guido
Rossi, in Filosofia, IX (1958), pp. 494-499; Giornale critico della filosofia
italiana, XXXVII (1958), pp. 425-465 (scritti di G. Saitta, A. Massolo, S.
Caramella, F. Albeggiani, M. F. Mineo Fazio, B. Fazio-Allmayer Boldrini); A.
Santucci: Esistenzialismo e filosofia italiana, Bologna 1959, pp. 169 s.; A.
Negri, In ricordo di V. F., in Filosofia, XIII (1962), pp. 527-530; E. Garin,
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Fazio-Allmayer: Esistenza e realtà nella fenomenologia di V. F., Bologna 1968;
L. Sichirollo, Filosofia e storia nella più recente evoluzione di F., in Per
una storiografia filosofica, II, Urbino 1970, pp. 461-484; E. Giambalvo, La
metafisica come esigenza in Bergson e l'esigenza della metafisica in V. F.,
Palermo 1972; Carlo Sini: Studi e prospettive sul pensiero di V.F. Allmayer;
estratto da "il Pensiero" ist. editoriale Cisalpino, Milano-Varese
Atti del 1º Congresso nazionale di filosofia "V. F., oggi", Palermo
1975. Atti del Convegno nazionale su l'estetica come ricerca e l'impegno
dell'artista nel suo mondo, Palermo 1984 (con interventi di L. Lugarini, U.
Mirabelli, L. Russo Voci correlate Attualismo (filosofia) Giovanni Gentile
Guido De Ruggiero Alcamo Collegamenti esterni treccani.it,
http://www.treccani.it/enciclopedia/vito-fazio-allmayer_(Dizionario-Biografico)/.
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93853255 · ISNI (EN) 0000 0000 8166 5012 · SBN IT\ICCU\CFIV\018717 · LCCN (EN)
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Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX
secoloFilosofi italiani del XXI secoloPedagogisti italianiInsegnanti italiani
del XX secoloInsegnanti italiani del XXI secoloNati nel 1885Morti nel 1958Nati
il 21 novembreMorti il 14 aprileNati a PalermoMorti a Pisa[altre]
ALTAN- Carlo Tullio-Altan Da
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Tullio-Altan (San Vito al Tagliamento, 30 marzo 1916 – Palmanova, 15 febbraio
2005) è stato un antropologo, sociologo, filosofo e accademico italiano.
Indice 1 Biografia
e carriera 2 Opere
2.1 Saggi
2.2 Opere
disponibili on-line 2.2.1 Articoli
e interviste 3 Citazioni
4 Note
5 Bibliografia
6 Altri
progetti 7 Collegamenti
esterni Biografia e carriera Nato da un'antica famiglia friulana di San Vito al
Tagliamento, Carlo Tullio-Altan è stato uno dei massimi esperti di antropologia
culturale in Italia. Destinato dalla famiglia alla carriera diplomatica,
si laurea nel 1940 in giurisprudenza a La Sapienza di Roma con una tesi in diritto
internazionale.[1] Inviato in Albania durante la seconda guerra mondiale,
partecipa successivamente alla Resistenza, militando nel Partito
d'Azione. Dopo le vicende belliche, conosce Benedetto Croce grazie a cui
fa il suo ingresso nel panorama culturale italiano.[2] L'incontro con
Croce, avvicina il suo pensiero all'idealismo crociano ed allo spiritualismo
etico, come testimoniano le sue prime opere di questo periodo. Trascorre
quindi, a partire dai primi anni '50, dei periodi di studio e di ricerca a
Vienna, Parigi e Londra, dove si accosta pure all'antropologia e
all'etnologia. Dal 1953, grazie all'influsso di Ernesto De Martino, di
Remo Cantoni (di cui sarà anche assistente volontario, a partire dal 1958) e di
Tullio Tentori, si dedica all'antropologia[3][4], secondo un approccio che non
si basi esclusivamente sulla ricerca sul campo e l'etnografia ma che faccia
soprattutto ricorso al pensiero filosofico, alla storia delle religioni,
all'epistemologia, alla sociologia, alla psicologia.[5] Inoltre, influenzato
pure dall'opera di Bronisław Malinowski, si oppone allo strutturalismo,
aderendo successivamente al funzionalismo[6] nonché a un marxismo mediato dalla
scuola francese degli Annales.[7] Nel 1961, gli viene assegnato, per la
prima volta in Italia, l'incarico di insegnamento di Antropologia culturale
alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Pavia, successivamente
ricoperto alla Facoltà di Sociologia dell'Università di Trento. Poi, come
ordinario della stessa disciplina, ha lavorato alla Facoltà di Scienze
Politiche "Cesare Alfieri" dell'Università di Firenze e, dal 1978
fino al collocamento a riposo (nel 1991), nella Facoltà di Lettere e
Filosofia dell'Università di Trieste, della quale è stato poi nominato
professore emerito. Nel 1987, organizza a Roma, insieme ai maggiori
antropologi italiani di allora,[8] il primo "Convegno nazionale di
antropologia delle società complesse", che, negli anni, verrà
riorganizzato più volte.[9] Negli ultimi anni, ha vissuto tra Milano e
un'antica casa rurale tra Aquileia e Grado, la stessa dove lavora il figlio
Francesco Tullio-Altan. Sulla base della sua iniziale formazione
universitaria in discipline storico-giuridiche[10] nonché della sua vasta
conoscenza filosofica e culturale, dopo una prima fase di originali ricerche
sulla fenomenologia religiosa ed il simbolismo, volge la sua attenzione verso i
metodi antropologici applicati all'analisi sociologica, quindi si dedica allo
studio dei comportamenti e dei valori della gioventù italiana negli anni '60-'70,
che lo hanno poi condotto ad approfondire, da una prospettiva storico-culturale
e con una visione alquanto critica, la dimensione identitaria degli
italiani.[11] Altan ha poi cercato di far capire sia all'opinione
pubblica che ai politici italiani l'importanza e la necessità di dare al loro
paese una "religione civile".[12] In questo progetto, vanno inserite
alcune fra le sue opere più recenti come La coscienza civile degli italiani e
il manuale di Educazione civica.[13] L'ultimo periodo della sua attività
di ricerca, lo dedicò allo studio delle basilari componenti simboliche
dell'identità etnica,[14] concentrandosi, a tale scopo, sulla categoria
dell'ethnos, individuandone ed analizzandone le sue cinque principali
componenti, ovvero l'"epos" (cioè, la memoria storica collettiva),
l'"ethos" (cioè, la sacralizzazione delle norme e delle regole[15] in
valori), il "logos" (cioè, il linguaggio interpersonale), il
"genos" (cioè, l'idea di una comune discendenza) ed il "topos"
(cioè, il simbolo di una identità collettiva comunitaria stanziata su un dato
territorio), allo scopo di trovare una possibile soluzione razionale, dal punto
di vista dell'antropologia, ai conflitti tra i vari etnocentrismi.[16]
Opere Saggi La filosofia come sintesi esplicativa della storia. Spunti critici
sul pensiero di B. Croce e lineamenti di una concezione moderna dell'Umanesimo,
Parte 1, Longo & Zoppelli, Treviso, 1943. Pensiero d'Umanità. Sommario
breve d'una moderna concezione speculativa dell'Umanesimo, D. Del Bianco e
Fratelli, Udine, 1949. Parmenide in Eraclito, o della personalità individuale
come assoluto nello storicismo moderno, Udine, 1951. Lo spirito religioso del
mondo primitivo, Il Saggiatore, Milano, 1960. Proposte per una ricerca
antropologico-culturale sui problemi della gioventù, Società editrice il
Mulino, Bologna, 1966. Antropologia funzionale, Bompiani, Milano, 1968. La
sagra degli ossessi: il patrimonio delle tradizioni popolari italiane nella
società settentrionale, Sansoni, Firenze, 1972. Personalità giovanile e
rapporto interpersonale, ISVET, Roma, 1972. Le origini storiche della scienza
delle tradizioni popolari, Sansoni, Firenze, 1972. Atteggiamenti politici e
sociali dei giovani in Italia, Società editrice il Mulino, Bologna, 1973. I
valori difficili. Inchiesta sulle tendenze ideologiche e politiche dei giovani
in Italia, Bompiani, Milano, 1974. Comunismo e società (con Eridano
Bazzarelli), Società editrice il Mulino, Bologna, 1976. Valori, classi sociali,
scelte politiche. Indagine sulla gioventù degli anni settanta (con Alberto
Marradi e con la collaborazione di Roberto Cartocci), Bompiani, Milano, 1976.
Manuale di antropologia culturale. Storia e metodo, Bompiani, Milano, 1979.
Modi di produzione e lotta di classe in Italia (con Roberto Cartocci), Arnoldo
Mondadori Editore-Isedi, Milano, 1979. Tradizione e modernizzazione: proposte
per un programma di ricerca sulla realtà del Friuli, Editrice cooperativa Il
Campo, Udine, 1981. Antropologia. Storia e problemi, Feltrinelli, Milano, 1983.
La nostra Italia: arretratezza socioculturale, clientelismo, trasformismo e
ribellismo dall'Unità ad oggi, Feltrinelli, Milano, 1986. Populismo e
trasformismo. Saggio sulle ideologie politiche italiane, Feltrinelli, Milano,
1989. Per una storia dell'Italia arretrata, Le Monnier, Firenze, 1987. Una
modernizzazione difficile. Aspetti critici della società italiana (curato con
Riccardo Scartezzini), Liguori Editore, Napoli, 1992. Soggetto, simbolo e
valore. Per un'ermeneutica antropologica, Feltrinelli, Milano, 1992. Un processo
di pensiero, Lanfranchi, Milano, 1992. Ethnos e Civiltà. Identità etniche e
valori democratici, Feltrinelli, Milano, 1995. Italia: una nazione senza
religione civile. Le ragioni di una democrazia incompiuta, IEVF-Istituto
editoriale veneto friulano, Udine, 1995. La coscienza civile degli italiani.
Valori e disvalori nella storia nazionale, Gaspari Editore, Udine, 1997.
Religioni, simboli, società: sul fondamento umano dell'esperienza religiosa
(con Marcello Massenzio), Feltrinelli, Milano, 1998. Gli italiani in Europa.
Profilo storico comparato delle identità nazionali europee, Il Mulino, Bologna,
1999. Per un dialogo fra la ragione e la fede, Leo S. Olschki, Firenze, 2000.
Le grandi religioni a confronto. L'età della globalizzazione, Feltrinelli,
Milano, 2002. Opere disponibili on-line Articoli e interviste Identità etniche,
https://web.archive.org/web/20091004210216/http://www.emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=328
Una religione civile per l'Italia d'oggi,
https://web.archive.org/web/20091004210216/http://www.emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=328
Il crogiolo,
https://web.archive.org/web/20091004210216/http://www.emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=328
L'esperienza dei valori,
https://web.archive.org/web/20091004210216/http://www.emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=328
Identità etniche e valori universali,
https://web.archive.org/web/20091004210216/http://www.emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=328
Modelli concettuali antropologici per un discorso interdisciplinare tra
psichiatria e scienze sociali, in: Psicoterapia e scienze umane, N. 1, Anno
1967 e N. 1, Anno 1975,
https://polser.wordpress.com/2009/02/25/carlo-tullio-%e2%80%93-altan-modelli-concettuali-antropologici-per-un-discorso-interdisciplinare-tra-psichiatria-e-scienze-sociali-in-psicoterapia-e-scienze-umane-n-1-1967-e-n-1-1975/[collegamento
interrotto] Citazioni «Per la destra l'antropologia è roba per selvaggi; la
sinistra pensa solo all'economia; altri sono ancorati a schemi anglosassoni,
che vedono le strutture politiche come realtà a sé», da un'intervista
rilasciata a Paolo Rumiz e pubblicata in La secessione leggera, Roma, Editori
Riuniti, 1997, p. 202. Note ^ Cfr. il saggio autobiografico: C. Tullio-Altan,
"Un percorso di pensiero", Belfagor. Rivista di varia umanità, Vol.
51, N. 3 (31 maggio 1996), pp. 303-319, nonché il testo autobiografico Un
processo di pensiero, Lanfranchi Editore, Milano, 1992. ^ Cfr. U. Fabietti, F.
Remotti, Dizionario di Antropologia. Etnologia, Antropologia Culturale,
Antropologia Sociale, Zanichelli Editore, Bologna, 1997, voce
"Tullio-Altan, Carlo", p. 772. ^ Cfr.
http://www.controluce.it/notizie-old-html/giornali/a14n03/18-culturaecostume-altan.htm
^ Cfr. http://www.segnalo.it/TRACCE/NONPIU/tullio-altan.htm ^ Frutto di questo
nuovo programma di ricerca, fu peraltro la monografia Lo spirito religioso nel
mondo primitivo (1960). ^ Cfr. A. Rigoli, Lezioni di etnologia, II edizione,
Renzo e Reau Mazzone editori/Ila Palma, Palermo (IT)/San Paolo (BRA), 1988,
Parte III, Cap. 1, pp. 65-71. ^ Cfr. U. Fabietti, F. Remotti, cit. ^ Fra cui
Armando Catemario, Giorgio Raimondo Cardona, Matilde Callari Galli, Vittorio
Lanternari, Gavino Musio, Francesco Remotti, Aurelio Rigoli, Luigi Lombardi
Satriani, Tullio Tentori. ^ Cfr. Tullio Tentori (a cura di), Antropologia delle
società complesse, A. Armando Editore, Roma, 1999. ^ Da un punto di vista
storico, è da ricordare come l'antropologia culturale abbia avuto origini
giuridiche. Invero, molti dei maggiori antropologi della seconda metà del XIX
secolo erano giuristi o, quantomeno, avevano una formazione giuridica. Ciò
fondamentalmente è dovuto al fatto basilare per cui nessuna società umana è
priva di una qualche forma di diritto, anzi tutte le istituzioni sociali hanno
una imprescindibile dimensione giuridica; cfr. U. Fabietti, F. Remotti, cit.,
voce "Antropologia giuridica". ^ Cfr. I. Ignazi, "Populismo e
trasformismo nell'analisi di Carlo Tullio-Altan", il Mulino. Rivista di
cultura e politica fondata nel 1951, 5 (1989) pp. 864-870. ^ Cfr. Giulio Angioni,
"Obituary. Carlo Tullio-Altan: un antropologo "anti-italiano".
Familismo amorale e clientelismo tra i mali del Paese", in: Il Sole 24
Ore, 20/02/2005 [1] ^ Cfr. Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche
[2] Archiviato il 4 ottobre 2009 in Internet Archive. ^ Cfr. C. Tullio-Altan,
"La dimensione simbolica dell'identità etnica", in: G. De Finis, R.
Scartezzini (a cura di), Universalità e differenza. Cosmopolitismo e
relativismo nelle relazioni tra identità e culture, Franco Angeli Editore,
Milano, 1996, pp. 318-339. ^ Qui, per regola, si intende una norma, in genere
non necessariamente codificata, suggerita dall'esperienza o stabilita per
convenzione o consuetudine, spesso in riferimento al modo usuale di vivere e di
comportarsi, sia individualmente che collettivamente; cfr. [3] ^ Cfr. C.
Tullio-Altan, Ethnos e civiltà. Identità etniche e valori democratici,
Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1995, nonché i ricordi di Umberto
Galimberti e di Marcello Massenzio comparsi su La Repubblica del 16 febbraio
2005 e reperibili all'indirizzo [4] Archiviato il 1º marzo 2017 in Internet
Archive. Cfr. pure A. Rigoli, cit., Parte I, Cap. 1, pp. 11-12. Bibliografia C.
Tullio-Altan, Un processo di pensiero, Lanfranchi Editore, Milano, 1992 (testo
autobiografico). C. Tullio-Altan, "Un percorso di pensiero",
Belfagor. Rassegna di varia umanità, 51 (3) (1996) pp. 303-319. G. Ferigo,
"Bibliografia di Carlo Tullio-Altan", Metodi & Ricerche. Rivista
di studi regionali, Vol. 24, Fasc. 2, Luglio-Dicembre 2005. Atti del Convegno
Storia comparata, antropologia e impegno civile. Una riflessione su Carlo
Tullio Altan, Udine-Aquileia, 17-19 maggio 2006, i cui sunti sono stati
pubblicati, a cura di Liza Candidi, sulla rivista Italia Contemporanea, Vol.
243, giugno 2006 (cfr., per esempio, [5]). Fascicolo speciale dedicato a
Tullio-Altan: Vol. 16, N. 1, Anno 2005 della rivista Metodi & Ricerche.
Rivista di studi regionali. AA.VV., L'antropologia italiana. Un secolo di
storia, Editori Laterza, Roma-Bari, 1985. E.V. Alliegro, Antropologia italiana.
Storia e storiografia 1869-1975, SEID Editori, Firenze, 2011. C. Tullio-Altan,
C. Signorelli, "A proposito di alcune critiche: dibattito Tullio
Altan-Signorelli", in Rivista della Fondazione Italiana dei Centri
Sociali, Roma, NN. 112-114, Anno 1973, pp. 204-212. A. Forniz, "Il Palazzo
Tullio-Altan in S. Vito al Tagliamento: dimore illustri nel Friuli
occidentale", in Itinerari, Numero IV, Fascicolo 3, settembre 1970. Altri
progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Carlo Tullio-Altan
Collegamenti esterni Carlo Tullio-Altan, su Treccani.it – Enciclopedie on line,
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in Dizionario biografico dei friulani. Nuovo Liruti online, Istituto Pio
Paschini per la storia della Chiesa in Friuli. Modifica su Wikidata Biografia
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Portale Sociologia Categorie: Antropologi italianiSociologi italianiFilosofi
italiani del XX secoloNati nel 1916Morti nel 2005Nati il 30 marzoMorti il 15
febbraioNati a San Vito al TagliamentoMorti a PalmanovaAccademici italiani del
XX secoloStudenti della Sapienza - Università di RomaProfessori dell'Università
degli Studi di PaviaProfessori dell'Università degli Studi di Trento[altre]
allais’s paradox: a puzzle about
rationality, discussed by H. P. Grice, “Aspects of reason,” devised by Maurice
Allais b. 1. Leonard Savage advanced the
sure-thing principle, which states that a rational agent’s ranking of a pair of
gambles having the same consequence in a state S agrees with her ranking of any
other pair of gambles the same as the first pair except for having some other
common consequence in S. Allais devised an apparent counterexample with four
gambles involving a 100-ticket lottery. The table lists prizes in units of
$100,000. Ticket Numbers Gambles 1 2 11
12 100 A 5 5 5 B 0 25 5 C 5 5 0 D 0 25 0
Changing A’s and B’s common consequence for tickets 12100 from 5 to 0 yields C
and D respectively. Hence the sure-thing principle prohibits simultaneously
preferring A to B, and D to C. Yet most people have these preferences, which
seem coherent. This conflict generates the paradox. Savage presented the
sure-thing principle in The Foundations of Statistics 4. Responding to
preliminary drafts of that work, Allais formulated his counterexample in “The
Foundations of a Positive Theory of Choice Involving Risk and a Criticism of
the Postulates and Axioms of the School”
2.
allegedly
‘wayward’ causal chain: Grice: “What
is the antonym of ‘wayward’?’ A causal chain, referred to in a proposed causal
analysis of a key concept, that goes awry. Causal analyses have been proposed
for key concepts e.g., reference,
action, explanation, knowledge, artwork. There are two main cases of wayward or
deviant causal chains that defeat a causal analysis: 1 those in which the
prescribed causal route is followed, but the expected event does not occur; and
2 those in which the expected event occurs, but the prescribed causal route is
not followed. Consider action. One proposed analysis is that a person’s doing
something is an action if and only if what he does is caused by his beliefs and
desires. The possibility of wayward causal chains defeats this analysis. For
case 1, suppose, while climbing, John finds he is supporting another man on a
rope. John wants to rid himself of this danger, and he believes that he can do
so by loosening his grip. His belief and desire unnerve him, causing him to
loosen his hold. The prescribed causal route was followed, but the ensuing
event, his grip loosening, is not an action. For case 2, suppose Harry wants to
kill his rich uncle, and he believes that he can find him at home. His beliefs
and desires so agitate him that he drives recklessly. He hits and kills a
pedestrian, who, by chance, is his uncle. The killing occurs, but without
following the prescribed causal route; the killing was an accidental
consequence of what Harry did. Refs.: H.
P. Grice, “Aetiologica: from Roman ‘causa’ to Anglo-Saxon ‘for’”, Woodfield,
“Be-*cause* he thought she had insulted him,” H. P. Grice, “A philosophical
mistake: ‘cause’ is called for for unusual events only.” Grice: “What is the
antonym of ‘wayward’?” -- a causal chain, referred to in a proposed causal
analysis of a key concept, that goes awry. Causal analyses have been proposed
for key concepts – e.g., reference, action, explanation, knowledge, artwork.
There are two main cases of wayward (or deviant) causal chains that defeat a
causal analysis: (1) those in which the prescribed causal route is followed,
but the expected event does not occur; and (2) those in which the expected
event occurs, but the prescribed causal route is not followed. Consider action.
One proposed analysis is that a person’s doing something is an action if and
only if what he does is caused by his beliefs and desires. The possibility of
wayward causal chains defeats this analysis. For case (1), suppose, while
climbing, John finds he is supporting another man on a rope. John wants to rid
himself of this danger, and he believes that he can do so by loosening his
grip. His belief and desire unnerve him, causing him to loosen his hold. The
prescribed causal route was followed, but the ensuing event, his grip
loosening, is not an action. For case (2), suppose Harry wants to kill his rich
uncle, and he believes that he can find him at home. His beliefs and desires so
agitate him that he drives recklessly. He hits and kills a pedestrian, who, by
chance, is his uncle. The killing occurs, but without following the prescribed
causal route; the killing was an accidental consequence of what Harry did.
Refs.: H. P. Grice, “Aetiologica: from Roman ‘cause’ to Anglo-Saxon ‘for’” –
Woodfield, “Be-*cause* she thought he had insulted him.’”
alnwick: English
Franciscan theologian. William studied under Duns Scotus at Paris, and wrote
the Reportatio Parisiensia, a central source for Duns Scotus’s teaching. In his
own works, William opposed Scotus on the univocity of being and haecceitas.
Some of his views were attacked by Ockham. English Franciscan theologian from
Northumbria -- William studied under Duns Scotus at Paris, and wrote the
Reportatio Parisiensia, a central source for Duns Scotus’s teaching. In his own
works, William opposed Scotus on the univocity of being and haecceitas. Some of
his views were attacked by Ockham.
altogether nice
girl:
Or Grice’s altogether nice girl. Grice quotes from the music-hall ditty, “Every
[sic] nice girl loves a sailor” (WoW:33). He uses this for his account of
multiple quantification. There is a reading where the emissor may implicate
that every nice girl is such that he loves one sailor, viz. Grice. But if the
existential quantifier is not made dominant, the uniqueness is disimplicated.
Grice admits that not every nominalist will be contented with the
‘metaphysical’ status of ‘the altogether nice girl.’ The ‘one-at-a-time sailor’
is her counterpart. And they inhabit the class of LOVE.
AMBROGIO -- ambrosius: saint. Grice: I
prefer the spelling “Ambrogio,” or if not “Aurelio Ambrosius” – To call him
Ambrosisus is like calling me Gree.” Grice: “Not to be confused with Ambrose
and his orchestra – sweet!” – on altruism. known as Ambrose of Milan. Roman
church leader and theologian. While bishop of Milan, he not only led the
struggle against the Arian heresy and its political manifestations, but offered
new models for preaching, for Scriptural exegesis, and for hymnody. His works
also contributed to medieval Latin philosophy. Ambrose’s appropriation of
Neoplatonic doctrines was noteworthy in itself, and it worked powerfully on and
through Augustine. Ambrose’s commentary on the account of creation in Genesis,
his Hexaemeron, preserved for medieval readers many pieces of ancient natural
history and even some elements of physical explanation. Perhaps most
importantly, Ambrose engaged ancient philosophical ethics in the search for
moral lessons that marks his exegesis of Scripture; he also reworked Cicero’s
De officiis as a treatise on the virtues and duties of Christian living.
amicus: philia and eros –
Grice on Aristotle’s aporia of friendship -- Eros, the Grecian god of erotic
love. Eros came to be symbolic of various aspects of love, first appearing in
Hesiod in opposition to reason. In general, however, Eros was seen by Grecians
e.g., Parmenides as a unifying force. In Empedocles, it is one of two external
forces explaining the history of the cosmos, the other being Strife. These
forces resemble the “hidden harmony” of Heraclitus. The Symposium of Plato is
the best-known ancient discussion of Eros, containing speeches from various
standpoints mythical, sophistic, etc.
Socrates says he has learned from the priestess Diotima of a nobler form of
Eros in which sexual desire can be developed into the pursuit of understanding
the Form of beauty. The contrast between agape and Eros is found first in
Democritus. This became important in Christian accounts of love. In
Neoplatonism, Eros referred to the mystical union with Being sought by
philosophers. Eros has become important recently in the work of Continental
writers.
ammonio: Or as Strawson
preferred, “Ammonius.” Ssaccas early third century A.D., Platonist philosopher.
He apparently served early in the century as the teacher of the philosopher
Origen. He attracted the attention of Plotinus, who came to the city in 232 in
search of philosophical enlightenment Porphyry, Life of Plotinus 3. Ammonius the
epithet ‘Saccas’ seems to mean ‘the bagman’ was undoubtedly a charismatic
figure, but it is not at all clear what, if any, were his distinctive
doctrines, though he seems to have been influenced by Numenius. He wrote
nothing, and may be thought of, in E. R. Dodds’s words, as the Socrates of
Neoplatonism. There is a good edition in Bibliotheca Scriptores Graeci e
Romani.
ANA-LYTICVM -- : Grice:
Etyologically, a compound – ana-lusis --. Cf. catalysis --. Porphyry couldn’t
find a Latinate for ‘analyticum’ – ‘analyisis’ is like ‘se-paratio.’ But even
in Grecian, ‘analysis’ and synthesis are not real opposite – since ‘synthesis’
neatly comes as ‘compositio’ -- analysis, the process of breaking up a concept,
proposition, linguistic complex, or fact into its simple or ultimate
constituents. That on which the analysis is done is called the analysandum, and
that which does the analysis is called the analysans. A number of the most
important philosophers of the twentieth century, including Russell, Moore, and
the early Vitters, have argued that philosophical analysis is the proper method
of philosophy. But the practitioners of analytic philosophy have disagreed
about what kind of thing is to be analyzed. For example, Moore tried to analyze
sense-data into their constituent parts. Here the analysandum is a complex
psychological fact, the having of a sense-datum. More commonly, analytic
philosophers have tried to analyze concepts or propositions. This is conceptual
analysis. Still others have seen it as their task to give an analysis of
various kinds of sentences e.g., those
involving proper names or definite descriptions. This is linguistic analysis.
Each of these kinds of analysis faces a version of a puzzle that has come to be
called the paradox of analysis. For linguistic analyses, the paradox can be
expressed as follows: for an analysis to be adequate, the analysans must be
synonymous with the analysandum; e.g., if ‘male sibling’ is to analyze
‘brother’, they must mean the same; but if they are synonymous, then ‘a brother
is a male sibling’ is synonymous with ‘a brother is a brother’; but the two
sentences do not seem synonymous. Expressed as a dilemma, the paradox is that
any proposed analysis would seem to be either inadequate because the analysans
and the analysandum are not synonymous or uninformative because they are
synonymous. Analytic philosophy is an
umbrella term currently used to cover a diverse assortment of philosophical
techniques and tendencies. As in the case of chicken-sexing, it is relatively
easy to identify analytic philosophy and philosophers, though difficult to say
with any precision what the criteria are. Analytic philosophy is sometimes
called Oxford philosophy or linguistic philosophy, but these labels are, at
least, misleading. Whatever else it is, analytic philosophy is manifestly not a
school, doctrine, or body of accepted propositions. At Cambridge, analytic
philosophers are the intellectual heirs of Russell, Moore, and Vitters,
philosophers who self-consciously pursued “philosophical analysis” in the early
part of the twentieth century. Analysis, as practiced by Russell and Moore,
concerned not language per se, but concepts and propositions. In their eyes,
while it did not exhaust the domain of philosophy, analysis provided a vital
tool for laying bare the logical form of reality. Vitters, in the Tractatus
Logico-Philosophicus, contended, though obliquely, that the structure of
language reveals the structure of the world; every meaningful sentence is
analyzable into atomic constituents that designate the finegrained constituents
of reality. This “Tractarian” view was one Vitters was to renounce in his later
work, but it had considerable influence within the Vienna Circle in the 0s, and
in the subsequent development of logical positivism in the 0s and 0s. Carnap
and Ayer, both exponents of positivism, held that the task of philosophy was
not to uncover elusive metaphysical truths, but to provide analyses of
scientific sentences. Other sentences, those in ethics, for instance, were
thought to lack “cognitive significance.” Their model was Russell’s theory of
descriptions, which provided a technique for analyzing away apparent
commitments to suspicious entities. Meanwhile, a number of former proponents of
analysis, influenced by Vitters, had taken up what came to be called ordinary
language philosophy. Philosophers of this persuasion focused on the role of
words in the lives of ordinary speakers, hoping thereby to escape long-standing
philosophical muddles. These muddles resulted, they thought, from a natural
tendency, when pursuing philosophical theses, to be misled by the grammatical
form of sentences in which those questions were posed. A classic illustration
might be Heidegger’s supposition that ‘nothing’ must designate something,
though a very peculiar something. Today, it is difficult to find much unanimity
in the ranks of analytic philosophers. There is, perhaps, an implicit respect
for argument and clarity, an evolving though informal agreement as to what
problems are and are not tractable, and a conviction that philosophy is in some
sense continuous with science. The practice of analytic philosophers to address
one another rather than the broader public has led some to decry philosophy’s
“professionalization” and to call for a return to a pluralistic,
community-oriented style of philosophizing. Analytic philosophers respond by
pointing out that analytic techniques and standards have been well represented
in the history of philosophy. Analyticity. H. P. Grice, “In defence of a
dogma,” in Studies in the way of words. the analyticsynthetic distinction, the
distinction, made famous by Kant, according to which an affirmative
subject-predicate statement proposition, judgment is called analytic if the
predicate concept is contained in the subject concept, and synthetic otherwise.
The statement ‘All red roses are red’ is analytic, since the concept ‘red’ is
contained in the concept ‘red roses’. ‘All roses are red’ is synthetic, since
the concept ‘red’ is not contained in the concept ‘roses’. The denial of an
affirmative subject-predicate statement entails a contradiction if it is
analytic. E.g., ‘Not all red roses are red’ entails ‘Some roses are both red
and not red’. One concept may be contained in another, in Kant’s sense, even
though the terms used to express them are not related as part to whole. Since
‘biped’ means ‘two-footed animal’, the concept ‘two-footed’ is contained in the
concept ‘biped’. It is accordingly analytic that all bipeds are two-footed. The
same analytic statement is expressed by the synonymous sentences ‘All bipeds
are two-footed’ and ‘All two-footed animals are two-footed’. Unlike statements,
sentences cannot be classified as analytic or synthetic except relative to an
interpretation. analytical jurisprudence analyticsynthetic distinction 26
4065A- 26 Witness ‘All Russian teachers
are Russian’, which in one sense expresses the analytic statement ‘All teachers
that are Russian are Russian’, and in another the synthetic statement ‘All
teachers of Russian are Russian’. Kant’s innovation over Leibniz and Hume lay
in separating the logicosemantic analyticsynthetic distinction from the
epistemological a prioria posteriori distinction and from the modalmetaphysical
necessarycontingent distinction. It seems evident that any analytic statement
is a priori knowable without empirical evidence and necessary something that
could not be false. The converse is highly controversial. Kant and his
rationalist followers maintain that some a priori and necessary statements are
synthetic, citing examples from logic ‘Contradictions are impossible’, ‘The
identity relation is transitive’, mathematics ‘The sum of 7 and 5 is 12’, ‘The
straight line between two points is the shortest’, and metaphysics ‘Every event
is caused’. Empiricists like J. S. Mill, Carnap, Ayer, and C. I. Lewis argue
that such examples are either synthetic a posteriori or analytic a priori.
Philosophers since Kant have tried to clarify the analyticsynthetic
distinction, and generalize it to all statements. On one definition, a sentence
is analytic on a given interpretation provided it is “true solely in virtue of
the meaning or definition of its terms.” The truth of any sentence depends in
part on the meanings of its terms. `All emeralds are green’ would be false,
e.g., if ‘emerald’ meant ‘ruby’. What makes the sentence synthetic, it is
claimed, is that its truth also depends on the properties of emeralds, namely,
their being green. But the same holds for analytic sentences: the truth of ‘All
red roses are red’ depends on the properties of red roses, namely, their being
red. Neither is true solely in virtue of meaning. A more adequate
generalization defines an analytic statement as a formal logical truth: one
“true in virtue of its logical form,” so that all statements with the same form
are true. In terms of sentences under an interpretation, an analytic truth is
an explicit logical truth one whose surface structure represents its logical
form or one that becomes an explicit logical truth when synonyms are
substituted. The negative statement that tomorrow is not both Sunday and not
Sunday is analytic by this definition, because all statements of the form : p
& - p are true. Kant’s definition is obtained as a special case by
stipulating that the predicate of an affirmative subjectpredicate statement is
contained in the subject provided the statement is logically true. On a third
generalization, ‘analytic’ denotes any statement whose denial entails a
contradiction. Subject S contains predicate P provided being S entails being P.
Whether this is broader or narrower than the second generalization depends on
how ‘entailment’, ‘logical form’, and ‘contradiction’ are defined. On some
construals, ‘Red is a color’ counts as analytic on the third generalization its
denial entails ‘Something is and is not a color’ but not on the second ‘red’
and ‘colored’ are logically unstructured, while the rulings are reversed for a
counterfactual conditional like ‘If this were a red rose it would be red’.
Following Quine, many have denied any distinction between analytic and
synthetic statements. Some arguments presume the problematic “true by meaning”
definition. Others are that: 1 the distinction cannot be defined without using
related notions like ‘meaning’, ‘concept’, and ‘statement’, which are neither
extensional nor definable in terms of behavior; 2 some statements like ‘All
cats are animals’ are hard to classify as analytic or synthetic; and 3 no
statement allegedly is immune from rejection in the face of new empirical
evidence. If these arguments were sound, however, the distinction between
logical truths and others would seem equally dubious, a conclusion seldom
embraced. Some describe a priori truths, both synthetic and analytic, as
conceptual truths, on the theory that they are all true in virtue of the nature
of the concepts they contain. Conceptual truths are said to have no “factual
content” because they are about concepts rather than things in the actual
world. While it is natural to classify a priori truths together, the proffered
theory is questionable. As indicated above, all truths hold in part because of
the identity of their concepts, and in part because of the nature of the
objects they are about. It is a fact that all emeralds are emeralds, and this
proposition is about emeralds, not concepts. analyticum-a-priori:
For Grice, an oxymoron, since surely
‘analyticum-a-posteriori’ is an oxymoron. R. A. Wollheim. London-born
philosopher, BPhil Oxon, Balliol (under D. Marcus) and All Souls. Examined by H. P. Grice. “What’s two times
two?” Wollheim treasured that examination. It was in the context of a
discussion of J. S. Mill and I. Kant, for whom addition and multiplication are
‘synthetic’ – a priori for Kant, a posteriori for Mill. Grice was trying to
provide a counterexample to Mill’s thesis that all comes via deduction or
induction.
AMADUZZI Giovanni
Cristofano Amaduzzi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump
to search Giovanni Cristofano Amaduzzi Giovanni Cristofano Amaduzzi, sui
libri talvolta nella variante latina di Ioannis Cristophori Amadutii (Savignano
di Romagna, 18 agosto 1740 – Roma, 21 gennaio 1792), è stato un abate, filologo
classico e filosofo italiano. Indice 1Biografia 2Opere principali
2.1Dissertazioni 2.2Carteggi 2.3Curatele 3Intitolazioni 4Note 5Bibliografia 6Altri
progetti 7Collegamenti esterni Biografia Discepolo a Rimini di Giovanni Bianchi
(Iano Planco), si trasferì dal 1762 a Roma, dove iniziò la sua attività di
ricerca ed erudizione, sia pure tra numerose ristrettezze. Un assestamento
nella sua vita si registrerà alla fine degli anni Sessanta del XVIII secolo,
come rilevano i diari dei suoi primi "diporti" (gli Odeporici
autunnali eruditi), le brevi perlustrazioni compiute nei dintorni della città
eterna o comunque entro lo Stato della Chiesa, tra il 1768 e il 1774, emblema
di un genere letterario di viaggio che mostra chiaramente la sua versatilità di
interessi[1]. Grazie alla protezione del papa Clemente XIV, anch'egli ex
allievo di Bianchi, dal 1769 fu professore di lettere greche presso La Sapienza,
mentre dal 1780 insegnò al Collegio Urbano. Nel frattempo era anche diventato
ispettore della Congregazione di Propaganda Fide, ottenendo da Clemente XIV nel
1770 la carica di soprintendente della relativa stamperia[2]. Con la quale curò
la pubblicazione, scrivendone le prefazioni, in particolare tra il 1771 e il
1786, di importanti trattati di grammatica di lingue orientali, fra cui
l'ebraico, il persiano, l'armeno, il tibetano e perfino il malayalam. Per
i suoi studi ottenne ottima reputazione presso i principali esponenti del
panorama culturale settecentesco, entrando in contatto e in corrispondenza, tra
gli altri, con Pietro Metastasio[3], Vincenzo Monti, Carlo Denina, Ippolito
Pindemonte, Girolamo Tiraboschi[4], nonché con Lazzaro Spallanzani[5].
Fra le sue pubblicazioni spiccano anche dissertazioni di ordine filosofico, che
s'innestavano nell'alveo di un illuminismo moderato [6]: infatti, con i
«discorsi» su La filosofia alleata della religione del 1778 e sull'Indole della
verità e delle opinioni del 1786 (per i quali fu denunciato all'Inquisizione),
i cui temi di fondo erano ispirati al filosofo inglese John Locke, egli cercava
di coniugare il sensismo con il cattolicesimo, poiché vedeva nel sensismo un
valido approccio alla conoscenza dell'uomo [7]. Vicino alle istanze del
giansenismo regalistico, come emerge dalla ultradecennale corrispondenza con
Scipione de' Ricci, ebbe parte significativa nella discussione che portò, nel
1773, al decreto di soppressione della Compagnia del Gesù. Si occupò anche
di archeologia, curando fra l'altro i Fragmenta vestigii veteris Romae del 1764
e la Raccolta di antichità agrigentine pubblicata, postuma, nel 1798[8]. In
questo ambito s'inscrive l'ampia corrispondenza con l'aquilano Anton Ludovico
Antinori[9]. Compose, inoltre, canzoni e rime, e poco prima di morire, nel
1791, pubblicò anche per la Stamperia del Bodoni a Parma un commentario su
Anacreonte. Fu tra gli accademici dell'Arcadia, con lo pseudonimo di
Biante Didimeo[10]. Opere principali Dissertazioni Dissertazione
canonico-filologica sopra il titolo delle instituzioni canoniche De officio
archidiaconi, s.e., s.i.l. 1767. Donaria duo graece loquentia quorum unum in
tabula argentea apud moniales Saxoferratenses S. Clarae, s.e., Roma 1774.
Discorso filosofico sul fine ed utilità dell'Accademie, per i
torchidell'Enciclopedia, Livorno 1777. La filosofia alleata della religione.
Discorso filosofico-politico, per i torchi dell'Enciclopedia, Livorno 1778.
Discorso filosofico dell'indole della verità e delle opinioni, dai torchj
Pazzini, Siena 1786. Carteggi Ad virum clarissimum Janum Plancum archiatrum, et
patricium Ariminensem epistola, typis J. Rocchii, Lucae 1767. De veteri
inscriptione Ursi Togati ludi pilae vitreae inventoris epistola, apud B.
Francesium, Romae 1775. Epistola ad Iohannem Baptistam Bodonium qua emendatur
et suppletur commentarium de Anacreontis genere eiusque bibliotheca, in aedibus
Palatinis typis Bodonianis, Parmae 1791. Il carteggio tra Amaduzzi e Corilla
Olimpica 1775-1792, a cura di L. Morelli, Leo S. Olschki, Firenze 2000. Lettere
familiari, a cura di G. Donati, Accademia dei Filopatridi, Savignano sul
Rubicone 2001. Carteggio, 1774-1791, a cura di M.F. Turchetti, Edizioni di
storia e letteratura, Roma 2005. Curatele Leges novellae 5. anecdotae imperatorum
Theodosii junioris et Valentiniani, Typ. Zempelianis, Romae 1767. Alphabetum
Brammhanicum seu Indostanum Universitatis Kasi, (a J. Ch. Amadutio editum),
Sac. Cong. de Propaganda fide, Romae 1771 (versione digitalizzata) Alphabetum
Hebraicum addito Samaritano et Rabbinico, Sac. Cong. de Propag. Fide, Romae
1771 (versione digitalizzata) Alphabetum veterum Etruscorum et nonnulla
eorundem monumenta, Sac. Cong. de Propaganda fide, Romae 1771 (versione
digitalizzata) Alphabetum Graecum, Sac. Cong. de Propag. Fide, Romae 1771.
Alphabetum grandonico-malabaricum sive samscrudonicum, Sac. Cong. de Propaganda
Fide, Romae 1772 (versione digitalizzata) Alphabetum Tangutanum sive Tibetanum,
Sac. Cong. de Propaganda Fide, Romae 1773. (versioni digitalizzate: [1] [2]
[3]) Anecdota litteraria ex mss. codicibus eruta, voll. 4, apud G. Settarium,
Romae 1773. Catalogus librorum qui ex tipographio sacrae congreg. de propaganda
fide variis linguis prodierunt et in eo adhuc asservantur, Sac. Cong. de
Propaganda Fide, Romae 1773. Alphabetum Barmanum seu Bomanum regni Avae
finitimarumque regionum, typis Sacrae Congregationis de Propaganda Fide, Roma
1776 (versione digitalizzata). Alphabetum Persicum, Sac. Cong. de Propag. Fide,
Romae 1783. (versione digitalizzata) Alphabetum Armenum], Sac. Cong. De
Propaganda Fide, Romae 1784. (versione digitalizzata) Characterum ethicorum
Theophrasti Eresii capita duo hactenus anecdota quae ex cod. ms. Vaticano
saeculi 11, Typ. Regia, Parmae 1786. Alphabetum Aethiopicum sive Gheez et Amhharicum,
Sac. Cong. de Propaganda Fide, Romae 1789 Intitolazioni L'Accademia dei
Filopatridi di Savignano ha creato nel 1999 il Centro di studi amaduzziani, su
proposta di Antonio Montanari, autore di vari testi su Amaduzzi. Tra le
principali iniziative del centro: «Giornate amaduzziane»: una giornata di
studi annuale su G. Amaduzzi; «Biblioteca amaduzziana»: la pubblicazione di
opere (biografiche e non) su Amaduzzi. Il primo volume è Elogio dell'abate
Giovanni Cristofano Amaduzzi di Isidoro Bianchi (1731-1808), la prima biografia
scritta sull'abate savignanese. Note ^ T. Scappaticci,Gli Odeporici di
Amaduzzi, in Fra Lumi e reazione. Letteratura e società nel secondo Settecento,
Cosenza 2006, pp. 123-161. ^ G. Moroni, Dizionario di erudizione
storico-ecclesiastica, vol. XIV, Venezia 1842, pp. 240-241 ^ Cfr. P.
Metastasio, Opere, vol. V, Firenze 1832, pp. 341-342 ^ A. Cappelli, Del
carteggio inedito tra Ludovico Antonio Antinori e Giovanni Cristoforo Amaduzzi.
Studi archeologici, Tip. Perfilia, Aquila 1904, p. 5. ^ L. Spallanzani,
Diciassette lettere di Lazzaro Spallanzani all'abate Gio. Cristoforo Amaduzzi
per la prima volta stampate, Ditta tip. Conti, Faenza 1874. ^ L'espressione è
di Antonio Piromalli. ^ A. Piromalli, La letteratura calabrese, vol. I, Pellegrini,
Cosenza 1996, pp. 193-194. ^ G.C. Amaduzzi, Raccolta di antichita agrigentine
alle quali si uniscono i disegni del tempio di Teseo in Atene e di quello di
Pesto il tutto espresso in 53. rami, Zempel, Roma 1798. ^ A. Cappelli, op.
cit., pp. 12-27. ^ V. Lancetti, Pseudonimia. Ovvero tavole alfabetiche de' nomi
finti o supposti degli scrittori con la contrapposizione de' veri, Milano 1836,
p. 44 Bibliografia G. C. Amaduzzi, Odeporici autunnali eruditi, ovvero diario
di un viaggiatore curioso ed erudito, vol. I, Rubiconia Accademia dei
Filopatridi, Savignano sul Rubicone 2001. G. C. Amaduzzi, Rime, a cura di G.
Donati, Rubiconia Accademia dei Filopatridi, Verucchio 2003. A. Fabi,
«Amaduzzi, Giovanni Cristofano», in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. II,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma 1960, pp. 612–615. A. Montanari,
Giovanni Cristofano Amaduzzi e la scuola di Jano Planco, Accademia dei
Filopatridi, Studi Amaduzziani, III, Viserba di Rimini 2003, pp. 13–36. A.
Montanari, Amaduzzi, illuminista cristiano, «Romagna arte e storia», 67/2003,
pp. 67–88. A. Montanari, Appendice storico-critica in G. C. Amaduzzi, La
Filosofia alleata della Religione, rist. an. Il Ponte, Rimini 1993. A.
Montanari, Amaduzzi editore a Roma delle Notti di Bertòla. Storia inedita dei
Canti clementini, «Quaderno XIX, 1997-1998», Accademia dei Filopatridi,
Savignano sul Rubicone, 2000, pp. 207–217. A. Montanari, Amaduzzi, Scipione De'
Ricci ed il ‘giansenismo' italiano, «Il carteggio tra Amaduzzi e Corilla
Olimpica, 1775-1792», Olschki, Firenze 2000, pp. XXVIII-XL T. Scappaticci, Fra
lumi e reazione. Letteratura e società nel secondo Settecento, Pellegrini,
Cosenza 2006. M. Trincia Caffiero, Cultura e religione nel '700 italiano:
Giovanni Cristofano Amaduzzi e Scipione de' Ricci, in «Rivista di Storia della
Chiesa in Italia», XXVIII (1974), n. 1, pp. 94-126 (PDF), su w3.uniroma1.it.
URL consultato il 17 febbraio 2009 (archiviato dall'url originale il 2 gennaio
2007). Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina
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Portale Letteratura Linguistica Portale Linguistica Categorie: Abati e badesse
italianiFilologi classici italianiFilosofi italiani del XVIII secoloNati nel
1740Morti nel 1792Nati il 18 agostoMorti il 21 gennaioNati a Savignano sul
RubiconeMorti a RomaScrittori italiani del XVIII secoloLinguisti italianiPoeti
italiani del XVIII secoloOrientalisti italianiAccademici dell'Arcadia[altre]
AMBROGIO Sant'Ambrogio
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Nota
disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi
Sant'Ambrogio (disambigua). Nota disambigua.svg Disambiguazione –
"Ambrogio da Milano" rimanda qui. Se stai cercando lo scultore e
architetto italiano, vedi Ambrogio Barocci. Sant'Ambrogio di Milano
AmbroseOfMilan.jpg Mosaico di Sant'Ambrogio di Milano nel sacello di San
Vittore (378 ca.) annesso alla Basilica del Santo, probabile ritratto del
vescovo[1]. Vescovo e Dottore della Chiesa
NascitaAugusta Treverorum (Treviri), forse 339-340 MorteMilano, 397 Venerato
daTutte le Chiese che ammettono il culto dei santi Santuario principaleBasilica
di Sant'Ambrogio, Milano Ricorrenza4 aprile (vetero-cattolici) 7 dicembre
(cattolici) 7 dicembre (ortodossi) Attributiapi, scudscio, bastone pastorale e
gabbiano Patrono diMilano, Alassio, prefetti, Lombardia, Rozzano, Monserrato,
Buccheri, Cerami, Vigevano, Castel del Rio, Sant'Ambrogio di Torino, vescovi,
Omegna, Carate Brianza, Caslino d’Erba Manuale Aurelio Ambrogio vescovo della
Chiesa cattolica AmbroseGiuLungara.jpg Template-Bishop.svg Incarichi
ricoperti Vescovo di
Milano Natoincerto 339-340 a Treviri Ordinato presbitero?
Consacrato vescovo7 dicembre 374 Deceduto4 aprile 397 a Milano
Manuale Aurelio Ambrogio (in latino: Aurelius Ambrosius), meglio
conosciuto come sant'Ambrogio (Augusta Treverorum, incerto 339-340 – Milano, 4
aprile 397) è stato un funzionario, vescovo, teologo e santo romano, una delle
personalità più importanti nella Chiesa del IV secolo. È venerato come santo da
tutte le Chiese cristiane che prevedono il culto dei santi; in particolare, la
Chiesa cattolica lo annovera tra i quattro massimi dottori della Chiesa
d'Occidente, insieme a san Girolamo, sant'Agostino e san Gregorio I papa.
Conosciuto anche come Ambrogio di Treviri, per il luogo di nascita, o più comunemente
come Ambrogio di Milano, la città di cui assieme a san Carlo Borromeo e san
Galdino è patrono e della quale fu vescovo dal 374 fino alla morte, nella quale
è presente la basilica a lui dedicata che ne conserva le spoglie.
Indice 1Biografia 1.1Gioventù 1.2Incarichi pubblici e nomina a vescovo di
Milano 1.3Episcopato 1.3.1Gli impegni pastorali 1.3.2Politica ecclesiastica
1.3.3Rapporti con la corte imperiale 2Pensiero e opere 2.1Esegesi 2.2Morale e
ascetismo 2.3Società e politica 2.4Antigiudaismo 2.4.1L'episodio di Callinicum
2.5Mariologia 3Milano e il rito ambrosiano 4Sant'Ambrogio e il canto liturgico
5Leggende su Sant'Ambrogio 6Opere 6.1Oratorie (esegetiche) 6.2Morali
(ascetiche) 6.3Dogmatiche (sistematiche) 6.4Catechetiche 6.5Epistolario
6.6Innografia 6.7Altro 7Curiosità 8Note 9Bibliografia 10Voci correlate 11Altri
progetti 12Collegamenti esterni Biografia Gioventù Altare di
Sant'Ambrogio, 824-859 ca., Ambrogio ordinato vescovo Aurelio Ambrogio nacque
ad Augusta Treverorum (l'odierna Treviri, nella Renania-Palatinato, in
Germania), nella Gallia Belgica, dove il padre esercitava la carica di prefetto
del pretorio delle Gallie, intorno al 339 circa da un'illustre famiglia romana
di rango senatoriale, la gens Aurelia, cui la famiglia materna apparteneva inoltre
al ramo dei Simmaci[2] (era dunque un cugino dell'oratore Quinto Aurelio
Simmaco). La famiglia di Ambrogio risultava convertita al cristianesimo
già da alcune generazioni (egli stesso soleva citare con orgoglio la sua
parente Santa Sotere, martire cristiana che «ai consolati e alle prefetture dei
parenti preferì la fede»[3]) e stesso una sua sorella ed un suo fratello,
Marcellina (consacratasi a Dio nelle mani di papa Liberio nel 353) e Satiro di
Milano, vennero poi venerati come santi. Destinato alla carriera
amministrativa sulle orme del padre, dopo la sua prematura morte frequentò le
migliori scuole di Roma, dove compì i tradizionali studi del trivium e del
quadrivium (imparò il greco e studiò diritto, letteratura e retorica),
partecipando poi attivamente alla vita pubblica dell'Urbe. Incarichi
pubblici e nomina a vescovo di Milano Dopo cinque anni di avvocatura esercitati
presso Sirmio (l'odierna Sremska Mitrovica, in Serbia), nella
Pannonia Inferiore, nel 370 fu incaricato quale governatore dell'Italia
Annonaria per la provincia romana Aemilia et Liguria, con sede a Milano, dove
divenne una figura di rilievo nella corte dell'imperatore Valentiniano I. La
sua abilità di funzionario nel dirimere pacificamente i forti contrasti tra
ariani e cattolici gli valse un largo apprezzamento da parte delle due
fazioni.[4][5] Nel 374, alla morte del vescovo ariano Aussenzio di
Milano, il delicato equilibrio tra le due fazioni sembrò precipitare. Il
biografo Paolino racconta che Ambrogio, preoccupato di sedare il popolo in
rivolta per la designazione del nuovo vescovo, si recò in chiesa, dove
all'improvviso si sarebbe sentita la voce di un bambino urlare «Ambrogio
vescovo!», a cui si unì quella unanime della folla radunata nella chiesa. I
milanesi volevano un cattolico come nuovo vescovo. Ambrogio però rifiutò
decisamente l'incarico, sentendosi impreparato: come era in uso presso alcune
famiglie cristiane all'epoca, egli non aveva ancora ricevuto il battesimo, né
aveva affrontato studi di teologia.[6] Paolino racconta che, al fine
di dissuadere il popolo di Milano dal farlo nominare vescovo, Ambrogio provò
anche a macchiare la buona fama che lo circondava, ordinando la tortura di
alcuni imputati e invitando in casa sua alcune prostitute; ma, dal momento che
il popolo non recedeva nella sua scelta, egli tentò addirittura la fuga. Quando
venne ritrovato, il popolo decise di risolvere la questione appellandosi
all'autorità dell'imperatore Flavio Valentiniano, cui Ambrogio era alle
dipendenze. Fu allora che accettò l'incarico, considerando che fosse questa la
volontà di Dio nei suoi confronti, e decise di farsi battezzare: nel giro di
sette giorni ricevette il battesimo nel battistero di Santo Stefano alle Fonti
a Milano[7] e, il 7 dicembre 374, venne ordinato vescovo.[8][9] Riferendosi
alla sua elezione, egli scriverà poco prima della morte:[10] «Quale
resistenza opposi per non essere ordinato! Alla fine, poiché ero costretto,
chiesi almeno che l'ordinazione fosse ritardata. Ma non valse sollevare
eccezioni, prevalse la violenza fattami.» Nonostante, come scrisse più
tardi, si sentisse «rapito a forza dai tribunali e dalle insegne
dell'amministrazione al sacerdozio»[11], dopo la nomina a vescovo, Ambrogio
prese molto sul serio il suo incarico e si dedicò ad approfonditi studi biblici
e teologici. Episcopato Ambrogio con le insegne episcopali Gli
impegni pastorali Quando divenne vescovo (nel 374), adottò uno stile di vita
ascetico, elargì i suoi beni ai poveri, donando i suoi possedimenti terrieri
(eccetto il necessario per la sorella Marcellina). Uomo di grande carità,
tenne la sua porta sempre aperta, prodigandosi senza tregua per il bene dei
cittadini affidati alle sue cure. Ad esempio, Sant'Ambrogio non esitò a
spezzare i Vasi Sacri e ad usare il ricavo dalla vendita per il riscatto
di prigionieri[12][13]. Di fronte alle critiche mosse dagli ariani per il suo
gesto, egli rispose che «è molto meglio per il Signore salvare delle anime che
dell'oro. Egli infatti mandò gli apostoli senza oro e senza oro fondò le Chiese.
[...] I sacramenti non richiedono oro, né acquisisce valore per via dell'oro
ciò che non si compra con l'oro» (De officiis, II, 28, 136-138) La sua
sapienza nella predicazione e il suo prestigio furono determinanti per la
conversione nel 386 al cristianesimo di Sant'Agostino, di fede manichea, che
era venuto a Milano per insegnare retorica. Ambrogio fece costruire varie
basiliche, di cui quattro ai lati della città, quasi a formare un quadrato
protettivo, probabilmente pensando alla forma di una croce. Esse corrispondono
alle attuali basilica di San Nazaro (sul decumano, presso la Porta Romana,
allora era la Basilica Apostolorum), alla basilica di San Simpliciano, detta
Basilica Virginum, ossia basilica delle vergini (sulla parte opposta), alla
basilica di Sant'Ambrogio (collocata a sud-ovest, era chiamata originariamente
Basilica Martyrum in quanto ospitava i corpi dei santi martiri Gervasio e
Protasio rinvenuti da Ambrogio stesso; accoglie oggi le spoglie del santo) e
alla basilica di San Dionigi (Basilica Prophetarum). Il ritrovamento dei
corpi dei santi martiri Gervasio e Protasio è narrato dallo stesso Ambrogio,
che ne attribuisce il merito ad un presagio, per il quale egli fece scavare la
terra davanti ai cancelli della basilica (oggi distrutta) dei santi Nabore e
Felice. Al ritrovamento dei corpi seguì la loro traslazione (secondo un rito
importato dalla Chiesa orientale) nella Basilica Martyrum; durante la
traslazione, si racconta (è lo stesso Ambrogio a riportarlo) che un cieco di
nome Severoriacquistò la vista. Il ritrovamento del corpo dei martiri da parte
del vescovo di Milano diede grande contributo alla causa dei cattolici nei
confronti degli ariani, che costituivano a Milano un gruppo nutrito e attivo, e
negavano la validità dell'operato di Ambrogio, di fede cattolica.
Ambrogio fu autore di diversi inni per la preghiera, compiendo fondamentali
riforme nel culto e nel canto sacro, che per primo introdusse nella liturgia
cristiana, e ancor oggi a Milano vi è una scuola che tramanda nei millenni
questo antico canto. Politica ecclesiastica L'importanza della sede
occupata da Ambrogio, teatro di numerosi contrasti religiosi e politici, e la
sua personale attitudine di uomo politico lo portarono a svolgere una forte
attività di politica ecclesiastica. Egli scrisse infatti opere di morale e
teologia in cui combatté a fondo gli errori dottrinali del suo tempo; fu
inoltre sostenitore del primato d'onore del vescovo di Roma, contro altri
vescovi (tra i quali Palladio) che lo ritenevano pari a loro. Si mostrò
in prima linea nella lotta all'arianesimo, che aveva trovato numerosi seguaci a
Milano e nella corte imperiale. Si scontrò per questo motivo con l'imperatrice
Giustina, di fede ariana e probabilmente influì sulla politica religiosa
dell'imperatore Graziano che, nel 380, inasprì le sanzioni per gli eretici e,
con l'editto di Tessalonica, dichiarò il cristianesimo religione di Stato. Il
momento di massima tensione si ebbe nel 385-386 quando, dopo la morte di
Graziano, gli ariani chiesero insistentemente con l'appoggio della corte
imperiale una basilica per praticare il loro culto. L'opposizione di
Ambrogio fu energica tanto che rimase famoso l'episodio in cui, assieme ai
fedeli cattolici, "occupò" la basilica destinata agli ariani finché
l'altra parte fu costretta a cedere. Fu in questa occasione, si racconta, che
Ambrogio introdusse l'usanza del canto antifonale e della preghiera cantata in
forma di inno, con lo scopo di non fare addormentare i fedeli che occupavano la
basilica. Fu inoltre determinante per la vittoria di Ambrogio nella
controversia con gli ariani il ritrovamento dei corpi dei santi Gervasio e
Protaso, che avvenne proprio nel 386 sotto la guida del vescovo di Milano, il
quale guadagnò in questo modo il consenso di gran parte dei fedeli della
città. Fu infine forte avversario del paganesimo "ufficiale"
romano, che dimostrava in quegli anni gli ultimi segni di vitalità; per questo
motivo si scontrò con il suo stesso cugino, il senatore Quinto Aurelio Simmaco,
che chiedeva il ripristino dell'altare e della statua della dea Vittoria
rimossi dalla Curia romana, sede del Senato, in seguito a un editto di Graziano
nel 382. Rapporti con la corte imperiale Sant'Ambrogio rifiuta
l'ingresso in chiesa all'imperatore, nel dipinto di Van Dyck. Molto
probabilmente questo episodio non avvenne mai: Ambrogio preferì non arrivare
allo scontro pubblico con l'imperatore, ma lo redarguì in privato. Il
potere politico e quello religioso al tempo erano strettamente legati: in
particolare l'imperatore, a cominciare daCostantino, possedeva una certa
autorità all'interno della Chiesa, nella quale il primato petrino non era
pienamente assodato e riconosciuto. A questo si aggiunsero la posizione di
Ambrogio, vescovo della città di residenza della corte imperiale, e la sua
precedente carriera come avvocato, amministratore e politico, che lo portarono
più volte a intervenire incisivamente nelle vicende politiche, ad avere stretti
rapporti con gli ambienti della corte e dell'aristocrazia romana, e talvolta a
ricoprire specifici incarichi diplomatici per conto degli imperatori. In
particolare, nonostante il convinto lealismo verso l'impero Romano e
l'influenza nella vita politica dell'impero, i suoi rapporti con le istituzioni
non furono sempre pacifici, soprattutto quando si trattò di difendere la causa
della Chiesa e dell'ortodossia religiosa. Gli storici bizantini gli
accreditarono questo atteggiamento come parrhesia (παρρησία), schiettezza e
verità di fronte ai potenti e al potere politico, che traspare a partire dal
suo rapporto epistolare con l'imperatore Teodosio. Essendo Ambrogio
precettore dell'imperatore Graziano, lo educò secondo i principi del
Cristianesimo. Egli predicava all'imperatore di rendere grazie a Dio per le
vittorie dell'esercito e lo appoggiò nella disputa contro il senatore Simmaco,
che chiedeva il ripristino dell'altare alla dea Vittoria fatto rimuovere dalla
Curia romana Chiese poi a Graziano di indire il concilio di Aquileia nel
settembre del 381 per condannare due vescovi eretici, secondo i dettami dei
vari concili ecumenici ed anche secondo l'opinione del Papa e dei vescovi ortodossi.[14]
In questo concilio Ambrogio si pronunciò contro l'arianesimo. Ambrogio
influì anche sulla politica religiosa di Teodosio I. Nel 388, dopo che un
gruppo di cristiani aveva incendiato la sinagoga della città di Callinico,
l'imperatore decise di punire i responsabili e di obbligare il vescovo,
accusato di aver istigato i distruttori, a ricostruire il tempio a suo spese.
Ambrogio, informato della vicenda, si scagliò contro questo provvedimento,
minacciando di sospendere l'attività religiosa, tanto da indurre l'imperatore a
revocare le misure. Nel 390 criticò aspramente l'imperatore, che aveva
ordinato un massacro tra la popolazione di Tessalonica, rea di aver linciato il
capo del presidio romano della città: in tre ore di carneficina erano state
assassinate migliaia di persone, attirate nell'arena con il pretesto di
una corsa di cavalli. Ambrogio, venuto a conoscenza dell'accaduto, evitò
diplomaticamente una contrapposizione aperta con il potere imperiale (con il
pretesto di una malattia evitò l'incontro pubblico con Teodosio) ma, per via
epistolare, chiese in modo riservato ma deciso una «penitenza pubblica»
all'imperatore, che si era macchiato di un grave delitto pur dichiarandosi
cristiano, pena il rifiuto di celebrare i sacri riti in sua presenza («Non oso
offrire il sacrificio, se tu vorrai assistervi», Lettera 11). Teodosio ammise
pubblicamente l'eccesso e nella notte Natale di quell'anno, venne riammesso ai
sacramenti. Dopo questo episodio la politica religiosa dell'imperatore si
irrigidì notevolmente: tra il 391 e il 392 furono emanati una serie di decreti
(noti come decreti teodosiani) che attuavano in pieno l'editto di Tessalonica:
venne interdetto l'accesso ai templi pagani e ribadita la proibizione di
qualsiasi forma di culto, compresa l'adorazione delle statue[15]; furono
inoltre inasprite le pene amministrative per i cristiani che si riconvertissero
nuovamente al paganesimo[16] e nel decreto emanato nel 392 da Costantinopoli,
l'immolazione di vittime nei sacrifici e la consultazione delle viscere erano
equiparati al delitto di lesa maestà, punibile con la condanna a
morte[17]. Nel 393 Milano fu coinvolta nella lotta per il potere tra
l'imperatore Teodosio I e l'usurpatore Flavio Eugenio. In aprile Eugenio varcò
le Alpi e puntò alla conquista della città, in quanto capitale d'Occidente.
Ambrogio partì e andò ritirarsi a Bologna. Durante un soggiorno temporaneo a
Faenza scrisse una lettera ad Eugenio. Poi accettò l'invito della comunità di
Firenze, ove rimase per circa un anno. La guerra per il controllo dell'impero
fu vinta da Teodosio. Nell'autunno del 394 Ambrogio fece ritorno a
Milano. Alla sua morte, per sua stessa volontà, fu sepolto all'interno
della basilica che tuttora porta il suo nome, fra le spogli dei martiri
Gervasio e Protasio. Le sue spoglie, rinvenute sotto l'altare nel 1864, furono
trasferite in un'urna di argento e cristallo posta nella cripta della
basilica.[18] Pensiero e opere Rilievo gotico raffigurante
Ambrogio. Tra gli attributi del santo c'è il miele, simbolo della dolcezza
delle prediche e degli scritti Fortemente legata all'attività pastorale di
Ambrogio fu la sua produzione letteraria, spesso semplice frutto di una
raccolta e di una rielaborazione delle sue omelie e che quindi mantengono un
tono simile al parlato. Per il suo stile dolce e misurato del suo parlato
e della sua prosa, Ambrogio venne definito «dolce come il miele» e tra i suoi
attributi compare perciò un alveare. Esegesi Oltre la metà dei suoi
scritti è dedicata all'esegesi biblica, che egli affronta seguendo
un'interpretazione prevalentemente allegorica e morale del testo sacro (in
particolare per quanto riguarda l'Antico Testamento): ad esempio, ama ricercare
nei patriarchi e nei personaggi biblici in generale figure di Cristo o esempi
di virtù morali. Fu proprio questo metodo di lettura della Bibbia ad
affascinare Sant'Agostino e a risultare determinante per la sua conversione
(come egli scrisse nelle Confessioni V, 14, 24). Secondo Gérard Nauroy,
«per Ambrogio l'esegesi è un modo fondamentale di pensare piuttosto che un
metodo o un genere: [...] ormai egli "parla la Bibbia", non più con
la giustapposizione di citazioni dagli stili più diversi, ma in un discorso
sintetico, eminentemente allusivo, "misterico" come la Parola stessa».[19]
Per Ambrogio la lettura e l'approfondimento della conoscenza biblica
costituiscono un elemento fondamentale della vita cristiana: «Bevi dunque
tutt'e due i calici, dell'Antico e del Nuovo Testamento, perché in entrambi
bevi Cristo. [...] La Scrittura divina si beve, la Scrittura divina si divora,
quando il succo della parola eterna discende nelle vene della mente e
nelle energie dell'anima» (Ambrogio, Commento al Salmo I, 33) Tra le
opere esegetiche spiccano l'esauriente commento al Vangelo di Luca (Expositio
evangelii secundum Lucam) e l'Exameron (dal greco "sei giorni").
Quest'ultima opera, ispirata ampiamente all'omonimo Exameron di Basilio di
Cesarea, raccoglie, in sei libri, nove omelie riguardanti i primi capitoli
della Genesi dalla creazione del cielo fino alla creazione dell'uomo. Anche in
questo caso, il racconto della creazione è occasione di evidenziare
insegnamenti morali desunti dalla natura e dal comportamento degli animali e
dalle proprietà delle piante; in questo senso l'uomo appare ad Ambrogio
necessariamente legato con tutto il creato dal punto di vista non solo
biologico e fisico, ma anche morale e spirituale. Morale e ascetismo Un
altro gruppo significativo consiste nelle opere di argomento morale o ascetico,
tra le quali risalta il De officiis ministrorum (talvolta abbreviato in De
officiis), un trattato sulla vita cristiana rivolto in particolare al clero ma
destinato a tutti i fedeli. L'opera ricalca l'omonimo scritto di Cicerone, che
si proponeva come manuale di etica pratica indirizzato al figlio (cui è
dedicato) rivolto soprattutto a questioni politico-sociali. Ambrogio riprende
il titolo (indirizzando l'opera ai suoi "figli" in senso spirituale,
cioè il clero e il popolo di Milano), la struttura (il libro è ripartito in tre
libri, dedicati all'honestum, all'utile e al loro contrasto risolto
nell'identificazione tra i due) e alcuni elementi contenutistici (tra i quali i
principi della morale stoica, come il dominio della razionalità, l'indipendenza
dai piaceri e dalla vanità delle cose, la virtù come sommo bene). Questi
elementi sono rivisti con originalità in chiave cristiana: agli exempla tratti
dalla storia e dalla mitologia classica, Ambrogio sostituisce ad esempio storie
ed esempi tratti dalla Bibbia. In generale, è lo stesso orientamento del testo
a non essere più etico-filosofico ma prevalentemente religioso e spirituale,
come egli spiega fin dall'inizio: «Noi valutiamo il dovere secondo un principio
diverso da quello dei filosofi. Essi considerano beni quelli di questa vita,
noi addirittura danni» (De officiis, I, 9, 29). Allo stesso modo, le virtù
tradizionali vengono rilette cristianamente e accettate alla luce del Vangelo:
la fides (lealtà) diventa la fede in Cristo, la prudenza include la devozione
verso Dio, esempi di fortezza divengono i martiri. Alle virtù classiche si
aggiungono le virtù cristiane: la carità (che già esisteva nel mondo latino,
ora assume un significato più interiore e spirituale), l'umiltà, l'attenzione
verso i poveri, gli schiavi, le donne. Altre cinque opere sono dedicate
alla verginità, specialmente quella femminile (De virginibus, De viduis, De
virginitate, De institutione virginis e Exhortatio virginitatis). Ambrogio
esalta la verginità come massimo ideale di vita cristiana, sulla scia della
tradizione cristiana da San Paolo («colui che sposa la sua vergine fa bene e
chi non la sposa fa meglio», 1 Cor 7,38) fino al contemporaneo Girolamo, senza
tuttavia negare la validità della vita matrimoniale. La scelta della verginità
è ritenuta l'unica vera scelta di emancipazione per la donna dalla vita
coniugale, in cui si trova subordinata. Critica aspramente in questo senso il
fatto che il matrimonio costituisca solo un contratto economico e sociale, che
non lascia spazio alla scelta degli sposi e in particolare della donna: «Davvero
degna di compianto è la condizione che impone alla donna, per sposarsi, di
essere messa all'asta come una sorta di schiavo da vendere, perché la compri
chi offre il prezzo più alto» (De virginibus, I, 9, 56). Per questo Ambrogio
incoraggia i genitori ad accettare la scelta di verginità dei figli e i figli a
resistere alle difficoltà imposte dalla famiglia («Se vinci la famiglia, vinci
anche il mondo», De virginibus, I, 11, 63). Società e politica
Ambrogio assolve Teodosio dopo l'episodio di Tessalonica Nel confronto con la
società e gli ideali del mondo latino, Ambrogio accolse i valori civili della
romanità con l'intento di dare ad essi nuovo significato all'interno della
religione cristiana. Nel suo Esamerone esalta l'istituzione repubblicana (di
cui l'antica repubblica romana era secondo lui un ammirevole esempio) prendendo
spunto dalla spontanea organizzazione delle gru, che si dividono il lavoro
avvicendandosi nei turni di guardia: «Che c'è di più bello del fatto che
la fatica e l'onore comuni a tutti e il potere non sia preteso da pochi, ma
passi dall'uno all'altro senza eccezioni come per una libera decisione? Questo
è l'esercizio di un ufficio proprio di un'antica repubblica, quale conviene in
uno stato libero.» (Esamerone, VIII, 15, 51) Nella visione di Ambrogio
inoltre potere e dell'autorità, intesi come servizio («Libertà è anche il
servire», Lettera 7), dovevano essere sottomessi alle leggi di Dio. Prendendo
ispirazione dal racconto della corona imperiale e del morso di cavallo realizzati,
secondo la tradizione, da Costantino con i chiodi della croce di Gesù, nel
discorso funebre di Teodosio egli elogiò la sottomissione dell'imperatore a
Cristo, dimostrata in primis dall'episodio di Tessalonica: «Per quale
motivo [ebbero] "una cosa santa sul morso" se non perché frenasse
l'arroganza degli imperatori, reprimesse la dissolutezza dei tiranni che, come
cavalli, nitrivano smaniosi di piaceri, perché potevano impunemente commettere
adulteri? Quali turpitudini conosciamo dei Neroni e dei Caligola e di tutti gli
altri che non ebbero "una cosa santa sul morso"!» (In morte
di Teodosio, 50) Di fronte al dispotismo e alla dissolutezza che avevano
caratterizzato il comportamento di non pochi imperatori romani, Ambrog io
vide nel cristianesimo una possibilità per "redimere" il potere
imperiale e renderlo giusto e clemente. Nella sua idea, infatti, il
cristianesimo avrebbe dovuto sostituire il paganesimo nella società romana
senza per questo negare e distruggere le istituzione imperiali («Voi [pagani]
chiedete pace per le vostre divinità agli imperatori, noi per gli stessi
imperatori chiediamo pace a Cristo», Lettera 73 a Valentiniano II), ma anzi
dando ai valori romani la nuova linfa offerta dalla morale cristiana.
Ambrogio richiamò infine la società romana nella quale era sempre più
accentuato il divario tra ricchi e poveri; alla sperequazione economica,
Ambrogio contrapponeva infatti la morale del Vangelo e della tradizione
biblica. Così egli scrive nel Naboth: «La terra è stata creata come un bene
comune per tutti, per i ricchi e per i poveri: perché, o ricchi, vi arrogate un
diritto esclusivo sul suolo? [...] Tu [ricco] non dai del tuo al povero [quando
fai la carità], ma gli rendi il suo; infatti la proprietà comune, che è stata
data in uso a tutti, tu solo la usi.» (Naboth, 1,2; 12, 53) Antigiudaismo
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Antisemitismo § Antigiudaismo teologico. Per
Ambrogio era fondamentale la storia di Israele come popolo eletto: da qui la
grande presenza dell'Antico Testamento nel rito ambrosiano, le numerosissime
sue opere di commento agli episodi della storia ebraica, la conservazione della
sacralità del sabato, ecc. Tuttavia, come era comune nel cristianesimo dei
primi secoli, forte era anche la volontà di mostrare l'originalità cristiana
rispetto alla tradizione giudaica (che non aveva riconosciuto Gesù come Messia)
e di affermare l'indipendenza e le prerogative della Chiesa nascente. Ad
esempio, nell'Expositio Evangelii secundum Lucam (4, 34), commentando un passo
del vangelo di Luca in cui un uomo invaso dallo spirito di un demonio impuro,
grida: «Ah! Che c'è fra noi e te, Gesù Nazareno? Sei venuto per rovinarci? So
chi tu sei: il Santo di Dio», Ambrogio critica aspramente l'incredulità della
gente circostante: «Chi è colui che aveva nella sinagoga spirito immondo
di demonio, se non la folla dei giudei che, come stretta da spire serpentine e
legata dai lacci del diavolo, simulata la purità del corpo, profanava con le
immondezze della mente interiore? Ebbene: era nella sinagoga l'uomo che aveva
lo spirito immondo; perché lo Spirito Santo lo aveva ammesso. Era entrato
infatti il diavolo dal luogo da cui Cristo era uscito. Insieme, si mostra la
natura del diavolo non come ostinata, ma come opera ingiusta. Infatti quello
che attraverso una natura superiore professa il Signore, con le opere lo nega.
E in questo appare la sua malvagità [del demonio] e l'ostinazione dei giudei,
poiché così [il demonio] spandé tra la folla la cecità della mente furiosa; affinché
la gente neghi, colui che i demoni professano. O eredità dei discepoli peggiore
del maestro! Quello tenta il Signore con le parole, essi con l'agire: egli dice
"Buttati!" (Luc. IV, 9), questi sono assaliti perché [lo]
buttino.» L'episodio di Callinicum Le cronache storiche riportano un
episodio che può essere considerato rivelatore dell'atteggiamento di Ambrogio
nei riguardi degli ebrei. Nel 388, a Callinicum (Kallinikon, sul fiume Eufrate,
in Asia, l'attuale al-Raqqa), una folla di cristiani diede l'assalto alla
sinagoga e la bruciò. Il governatore romano condannò l'accaduto e, per
mantenere l'ordine pubblico, dispose affinché la sinagoga venisse ricostruita a
spese del vescovo. L'imperatore Teodosio I rese noto di condividere quanto
deciso dal suo funzionario.[20] Ambrogio si oppose alla decisione
dell'imperatore e gli scrisse una lettera (Epistulae variae 40) per convincerlo
a ritirare l'ingiunzione di ricostruire la sinagoga a spese del vescovo: «Il
luogo che ospita l'incredulità giudaica sarà ricostruito con le spoglie della
Chiesa? Il patrimonio acquistato dai cristiani con la protezione di Cristo sarà
trasmesso ai templi degli increduli?... Questa iscrizione porranno i giudei sul
frontone della loro sinagoga: - Tempio dell'empietà ricostruito col bottino dei
cristiani -... Il popolo giudeo introdurrà questa solennità fra i suoi giorni
festivi...» Citando dalla lettera di Ambrogio a Teodosio (Epistulae
variae 40,11): «Ma ti muove la ragione della disciplina. Che cosa dunque
è più importante, l'idea di disciplina [mantenimento dell'ordine pubblico] o il
motivo della religione?» Nell'epistola Ambrogio si attribuì la
responsabilità dell'incendio: «Io dichiaro di aver dato alle fiamme la
sinagoga, sì, sono stato io che ho dato l'incarico, perché non ci sia più
nessun luogo dove Cristo venga negato[21]» Ambrogio si spinse ad
affermare che quell'incendio non era affatto un delitto e che se lui non aveva
ancora dato l'ordine di bruciare la sinagoga di Milano era solo per pigrizia e
che bruciare le sinagoghe era altresì un atto glorioso. Ambrogio non
volle salire sull'altare finché l'imperatore non abolì il decreto imperiale
riguardante la ricostruzione della sinagoga a spese del vescovo. Secondo la
visione del vescovo, nella questione della religione l'unico foro competente da
consultare doveva essere la Chiesa cattolica la quale, grazie ad Ambrogio,
divenne la religione statale e dominante. In questa impresa lo scopo era quello
di avvalorare l'indipendenza della Chiesa dallo Stato, affermando anche la superiorità
della Chiesa sullo Stato in quanto emanazione di una legge superiore alla quale
tutti devono sottostare. Mariologia Sebbene non si possa parlare di una
mariologia vera e propria (intesa come pensiero sistematico), sono numerosi
nell'opera di Ambrogio i riferimenti a Maria: spesso, quando si presenta
l'occasione, egli si rifà alla sua figura e al suo esempio. La sua
venerazione per Maria nasce soprattutto dal ruolo attribuitole nella storia
della salvezza. Maria è infatti madre di Cristo, e dunque modello per tutti i
credenti che, come lei, sono chiamati a "generare" Cristo:
«Vedi bene che Maria non aveva dubitato, bensì creduto e perciò aveva
conseguito il frutto della sua fede. «Beata tu che hai creduto». Ma beati anche
voi che avete udito e avete creduto: infatti, ogni anima che crede, concepisce
e genera il Verbo di Dio e ne comprende le operazioni. Sia in ciascuno l’anima
di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria ad
esultare in Dio: se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo
la fede tutte le anime generano Cristo» (Esposizione del Vangelo secondo
Luca, II, 19. 24-26) Ambrogio difende strenuamente la verginità di Maria,
soprattutto in relazione al mistero di Cristo: egli infatti, proprio perché nato
da vergine, non ha contratto il peccato originale. Maria è anche la prima donna
a cogliere i "frutti" della venuta di Cristo: «Non c’è affatto
da stupirsi che il Signore, accingendosi a redimere il mondo, abbia iniziato la
sua opera proprio da Maria: se per mezzo di lei Dio preparava la salvezza a
tutti gli uomini, ella doveva essere la prima a cogliere dal Figlio il frutto
della salvezza» (Esposizione del vangelo secondo Luca, II, 17) Maria è
inoltre modello di virtù morali e cristiane, in primo luogo per le vergini
(«Nella vita di Maria risplende la bellezza della sua castità e della sua
esemplare virtù») ma anche per tutti i fedeli; di lei vengono esaltate la
sincerità (la verginità «di mente»), l'umiltà, la prudenza, la laboriosità,
l'ascesi.[22] Milano e il rito ambrosiano Sant'Ambrogio con in mano
il flagello contro i nemici di Milano, in un bassorilievo quattrocentesco
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Rito ambrosiano. L'operato di Sant'Ambrogio a
Milano ha lasciato segni profondi nella diocesi della città. Già nel
settembre del 600 papa Gregorio Magno parlò del neoeletto vescovo di Milano,
Deodato, non tanto come successore, bensì come "vicario" di
sant'Ambrogio (equiparandolo quasi ad un secondo "vescovo di Roma").[23]
Nell'anno 881 invece papa Giovanni VIII definì per la prima volta la diocesi
"ambrosiana", termine che è rimasto ancora oggi per identificare non
solo la Chiesa di Milano, ma talvolta anche la stessa città. L'eredità di
Ambrogio è delineata principalmente a partire dalla sua attività pastorale: la
predicazione della Parola di Dio coniugata alla dottrina della Chiesa
cattolica, l'attenzione ai problemi della giustizia sociale, l'accoglienza
verso le persone provenienti da popoli lontani, la denuncia degli errori nella
vita civile e politica.[23] L'operato di Ambrogio lasciò un segno
profondo in particolare sulla liturgia. Egli introdusse nella Chiesa
occidentale molti elementi tratti dalle liturgie orientali, in particolare
canti e inni. Si attribuisce ad Ambrogio l'inno Te Deum laudamus, ma la
questione è controversa e negata anche da Luigi Biraghi. Le riforme liturgiche
furono mantenute nella diocesi di Milano anche dai successori e costituirono il
nucleo del Rito ambrosiano, sopravvissuto all'uniformazione dei riti e alla
costituzione dell'unico rito romano voluta da papa Gregorio I e dal Concilio di
Trento. In dialetto milanese Ambrogio viene chiamato sant Ambroeus
(grafia classica) o sant Ambrös (entrambi pronunciati "sant'ambrœs").
Sant'Ambrogio affrescato da Masolino, Battistero Castiglione Olona Alla
sua figura è ispirato anche il premio Ambrogino d'oro, che è il nome non
ufficiale con cui sono comunemente chiamate le onorificenze conferite dal
comune di Milano. Sant'Ambrogio e il canto liturgico Michael
Pacher, Sant'Ambrogio, Monaco, Alte Pinakothek Con il termine di ambrosiano non
si definisce solo il rito della Chiesa Cattolica che fa riferimento al santo,
ma anche un preciso modo di cantare durante la liturgia. Esso viene indicato
con il nome di canto ambrosiano. Esso è caratterizzato dal canto di inni, cioè
di nuove composizioni poetiche in versi, che vengono cantate da tutti i
partecipanti al rito. A differenza di quanto avveniva per i salmi,
solitamente cantati da un solista o da un gruppo di coristi, essi vengono
invece cantati da tutti i partecipanti, in cori alternati, normalmente tra
donne e uomini, ma in altri casi tra giovani e anziani o anche tra fanciulli e
adulti. Alcuni di questi inni sono stati sicuramente composti da Ambrogio. La
certezza viene dal fatto che a menzionarli è sant'Agostino, che fu discepolo di
Sant'Ambrogio. Essi sono: Aeterne rerum conditor (cf. Retractionum
I,21); Iam surgit hora tertia (cf. De natura et gratia 63,74); Deus creator
omnium (ricordato nelle Confessioni e citato complessivamente ben cinque volte
dal vescovo di Ippona); Intende qui regis Israel (cf. Sermo 372 4,3).
Attraverso la liturgia della Chiesa cattolica in generale e di quella
ambrosiana in particolare, sono giunti fino a noi una moltitudine di inni in
stile ambrosiano. I ricercatori hanno cercato di trovare dei criteri per
indicare quelli che, con più certezza, sono stati composti da Ambrogio. Nel
1862 Luigi Biraghi ne indicava tre: la conformità degli inni con l'indole
letteraria di Ambrogio, con il suo vocabolario e con il suo stile. Con questi
criteri egli arrivò a selezionare diciotto inni: Splendor paternae
gloriae (nell'aurora) Iam surgit hora tertia (per l'ora di terza domenicale)
Nunc sancte nobis Spiritus (per l'ora di terza feriale) Rector potens verax
Deus (per l'ora di sesta) Rerum, Deus, tenax vigor (per l'ora di nona) Deus
creator omnium (per l'ora dell'accensione) Iesu, corona virginum (inno della
verginità) Intende qui regis Israel (per il Natale del Signore) Inluminans Altissimus
(per le Epifanie del Signore) Agnes beatae virginis (per sant'Agnese) Hic est
dies verus Dei (per la Pasqua) Victor, Nabor, Felix, pii (per i santi Vittore,
Nabore e Felice) Grates tibi, Iesu, novas (per i santi Gervasio e Protasio)
Apostolorum passio (per i santi Pietro e Paolo) Apostolorum supparem (per san
Lorenzo) Amore Christi nobilis (per san Giovanni Evangelista) Aeterna Christi
munera (per i santi martiri) Aeterne rerum conditor (al canto del gallo) Gli
autori dell'edizione delle opere poetiche di Ambrogio in un volume stampato nel
1994, che ha portato a compimento l'Opera Omnia, in latino e in italiano, del
vescovo di Milano, hanno ridotto questo numero certo a tredici canti,
escludendo quelli per le ore minori, per i martiri e della verginità.
L'esclusione va ascritta alla metrica di questi testi. Ambrogio aveva una
predilezione per il numero otto. I suoi inni sono tutti di otto strofe con
versi ottosillabici. Egli vedeva in questo numero la risurrezione di Cristo, la
novità cristiana e la vita eterna (octava dies, l'ottavo giorno della
settimana, cioè il nuovo giorno, in cui inizia l'era del Cristo). Per questi
studiosi appare improbabile che egli sia venuto meno a questa preferenza e
quindi quelli di due o di quattro strofe non vengono attribuiti al vescovo
milanese. Per questi storici inoltre non vi è motivo di dubitare che
l'autore della melodia sia lo stesso Ambrogio dato che per loro natura questi
inni nascono consostanziati alla musica. Il Migliavacca nota come Ambrogio
possedesse una conoscenza musicale approfondita. Le sue opere rivelano, oltre a
una perfetta conoscenza scolastica, anche una particolare propensione musicale.
Egli parla dell'arte musicale con cognizione tecnica e non solo con estetica
raffinatezza come il suo discepolo Agostino. Leggende su
Sant'Ambrogio Spoglie mortali di Ambrogio e Gervasio, rivestite dei
paramenti liturgici, nella cripta della Basilica di Sant'Ambrogio a Milano. Su
Sant'Ambrogio vi sono numerose leggende miracolistiche: Mentre Ambrogio
infante dormiva nella sua culla posta temporaneamente nell'atrio del Pretorio,
uno sciame di api si posò improvvisamente sulla sua bocca, dalla quale e nella
quale esse entravano ed uscivano liberamente. Dopodiché lo sciame si levò in
volo salendo in alto e perdendosi alla vista degli astanti. Il padre,
impressionato da tutto ciò, avrebbe esclamato: «Se questo mio figlio vivrà,
diverrà sicuramente un grand'uomo!».[24] Ambrogio, camminando per Milano,
avrebbe trovato un fabbro che non riusciva a piegare il morso di un cavallo: in
quel morso Ambrogio riconobbe uno dei chiodi con cui venne crocifisso Cristo.
Dopo vari passaggi, un "chiodo della crocifissione" è tuttora appeso
nel Duomo di Milano, a grande altezza, sopra l'altare maggiore. Nella piazza
davanti alla basilica di Sant'Ambrogio a Milano è presente una colonna,
comunemente detta "la colonna del diavolo". Si tratta di una colonna
di epoca romana, qui trasportata da altro luogo, che presenta due fori, oggetto
di una leggenda secondo la quale la colonna fu testimone di una lotta tra
Sant'Ambrogio ed il demonio. Il maligno, cercando di trafiggere il santo con le
corna, finì invece per conficcarle nella colonna. Dopo aver tentato a
lungo di divincolarsi, il demonio riuscì a liberarsi e, spaventato, fuggì. La tradizione
popolare vuole che i fori odorino di zolfo e che appoggiando l'orecchio alla
pietra si possano sentire i suoni dell'inferno. In realtà questa colonna veniva
usata per l'incoronazione degli imperatori germanici. A Parabiago, Ambrogio
sarebbe apparso il 21 febbraio 1339, durante la celebre battaglia: a dorso di
un cavallo e sguainando una spada, mise paura alla Compagnia di San Giorgio
capitanata da Lodrisio Visconti, permettendo alle truppe milanesi del fratello
Luchino e del nipote Azzone di vincere. A ricordo di tale leggenda fu edificata
a Parabiago la Chiesa di Sant'Ambrogio della Vittoria e a Milano, su un portone
bronzeo del Duomo, gli è stata dedicata una formella.[25] Opere Divi
Ambrosii Episcopi Mediolanensis Omnia Opera, 1527 Oratorie (esegetiche)
Exameron De paradiso De Cain et Abel De Noe De Abraham De Isaac et anima De
bono mortis De Iacob et vita beata De Ioseph De patriarchis De fuga saeculi De
interpellatione Iob et David Apologia David De Helia et ieiunio De Tobia De
Nabuthae historia Explanatio in XII Psalmos Davidicos Expositio in Psalmum
CXVIII Expositio in Lucam De excessu fratris Satyri libri duo De obitu
Valentiniani consolatio De obitu Theodosii oratio Morali (ascetiche) De
virginibus o Ad Marcellinam sororem libri tres De viduis De perpetua
virginitate Sanctae Mariae Adhortatio virginitatis o Exhortatio virginitatis De
officiis ministrorum Dogmatiche (sistematiche) De fide ad Gratianum Augustum
libri quinque De Spiritu Sancto ad Gratianum Augustum De incarnationis
dominicae sacramento De paenitentia Catechetiche De sacramentis libri sex De
mysteriis De sacramento regenerationis sive de philosophia Explanatio Symboli
ad initiandos Epistolario Epistulae Innografia Hymni Altro Sermo contra
Auxentium de basilicis tradendis Tituli Curiosità S.Ambrogio essendo patrono
delle api, rappresenta al meglio l'operosità non solo quella risaputa dei
milanesi, di cui è patrono festeggiato il 7 dicembre, ma di tutti coloro che si
impegnano nel lavoro, con combattività, spirito di sacrificio e di spirito di
abnegazione. Inoltre S.Ambrogio ha come secondo simbolo il gabbiano che è
legato alla sensazione di libertà e spazio immenso. Il gabbiano trova
l'equilibrio e si alimenta di ciò che trova nel rispetto della sua natura di
predatore e onnivoro che non si tira indietro a nulla per la propria
sopravvivenza. Per le suddette simbologie, e per tutte le altre che sia le api
che i gabbiani rappresentano, S.Ambrogio è ormai considerato da tempo il
protettore delle startup innovative che vedono in S.Ambrogio, guida sicura con
la sua famosa frase di valore eterno: "Voi pensate che i tempi sono
cattivi, i tempi sono pesanti, i tempi sono difficili. Vivete bene e muterete i
tempi" Note ^
https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2018/10/02/news/milano-studi-confermano-l-identita-di-sant-ambrogio-e-di-due-martiri-1.34049446
^ (EN) Johan Leemans, Peter Van Nuffelen e Shawn W. J. Keough, Episcopal
Elections in Late Antiquity, Walter de Gruyter, 28 luglio 2011, ISBN
978-3-11-026860-7. ^ Ambrogio, Exorthatio virginitatis, 12, 82 ^ Robert Wilken,
"The Spirit of Early Christian Thought" (Yale University Press: New
Haven, 2003), pp. 218. ^ Michael Walsh, ed. "Butler's Lives of the
Saints" (HarperCollins Publishers: New York, 1991), pp. 407. ^ Paolino, Vita
di Ambrogio, 6 ^ Basilica Vetus e Battistero di Santo Stefano alle fonti, su
adottaunaguglia.duomomilano.it. URL consultato il 18 marzo 2020. ^ Paolino,
Vita di Ambrogio, 7-8 ^ Indro Montanelli, Storia di Roma, Rizzoli, 1957 ^
Ambrogio, Lettera fuori coll. 14 ai Vercellesi, 65 ^ Ambrogio, De officiis, I,
1, 4 ^ Giacomo Biffi, Relazione al Meeting di Rimini, 29-08-1997 ^ C. Pasini, I
Padri della Chiesa. Il cristianesimo dalle origini e i primi sviluppi della
fede a Milano, op. cit., pp. 169-170 ^ Graziano avrebbe voluto convocare un
concilio numeroso, ma Ambrogio lo esortò a convocare un numero limitato di
vescovi, affermando che per appurare la verità ne bastavano pochi e che non era
il caso di incomodarne troppi, facendo loro affrontare un viaggio faticoso
(Neil B. McLynn, Ambrose of Milan: Church and Court in a Christian Capital,
University of California Press, 1994. pp. 124–5.). ^ Codex Theodosianus,
16.10.10 ^ Codex Theodosianus, 16.7.4 ^ Codex Theodosianus, 16.10.12.1 ^ Guida
della Basilica di S. Ambrogio: note storiche sulla Basilica ambrosiana,
Ferdinando Reggiori, Ernesto Brivio, Nuove Edizioni Duomo, 1986, p. 86. ^
Gérard Nauroy, L'Ecriture dans la pastorale d'Ambroise de Milan, in Le monde
latin antique et la Bible. A cura di J. Fontaine e C. Pietri, Parigi 1985. Citato
in Pasini, I Padri della Chiesa. Il cristianesimo delle origini e i primi
sviluppi della fede a Milano, op. cit. ^ Per un'ampia descrizione
dell'episodio: Antonietta Mauro Todini, Aspetti della legislazione religiosa
del IV secolo, La Sapienza Editrice, Roma, 1990, pag. 3 e segg.; Thomas J.
Craughwell, Santi per ogni occasione, Gribaudi, 2003, pag.49; Lucio De
Giovanni, Chiesa e stato nel Codice Teodosiano, Tempi moderni, pag.120;
Giovanni De Bonfils, Roma e gli ebrei, Cacucci, 2002, pag. 186; Mariateresa
Amabile, Nefaria Secta. La normativa imperiale ‘de Iudaeis’ tra repressione,
protezione, controllo, I, Jovene, Napoli, 2018. (EN) James Hastings,
Encyclopedia of Religion and Ethics , Kessinger Publishing, 2003, pag. 374 ^
Walter Peruzzi, Il cattolicesimo reale, Odradek, Roma, 2008 ^ Ambrogio, De
virginibus, 2, 6-18, citato in L. Gambero, Testi mariani del primo millennio,
Città Nuova, 1990 Rito Ambrosiano: la centralità dell'opera di
Sant'Ambrogio per la Chiesa di Milano ^ Jacopo da Varazze, Leggenda Aurea,
LVII. Un episodio analogo è riferito anche a Santa Rita da Cascia, vedi:
Alfredo Cattabiani, Santi d'Italia, Ed. Rizzoli, Milano, 1993, ISBN
88-17-84233-8, pag. 816 ^ Per una narrazione della leggenda e della costruzione
della chiesa si veda: Don Gerolamo Raffaelli, La vera historia della Vittoria
qual ebbe Azio Visconti nell'anno della comune salute 1339 nel dì XXI febbr. in
Parabiago contro Lodrisio V a cura di Limonti, Milano, anno MDCIX Don Claudio
Cavalleri, Racconto istorico della celebre Vittoria ottenuta da Luchino
Visconti princ. di Milano per la miracolosa apparizione di Santo Ambrogio,
seguita il dì 21 febbr. l'anno 1339 in Parabiago, e dedicata al March. D.
Giambattista Morigia a cura di G. Richino Malerba, Milano, 1745 Alessandro
Giulini, La Chiesa e l'Abbazia Cistercense di S. Ambrogio della Vittoria in
Parabiago, Archivio Storico Lombardo, 1923, pagina 144 Bibliografia Ponzio di
Cartagine, Vita di Cipriano; vita di Ambrogio; vita di Agostino / Ponzio,
Paolino, Possidio, Città Nuova, Milano, 1977 Tutte le opere di sant'Ambrogio,
Ed. bilingue a cura della Biblioteca Ambrosiana, Roma: Città nuova. Angelo
Paredi, Ambrogio, FIR Milano - Storia - Sec. IV-V Hoepli collana Collezione
Hoepli Angelo Ronzi, Sant'Ambrogio e Teodosio: studio storico-filosofico,
Visentini editore, Venezia. Enrico Cattaneo, Terra di Sant'Ambrogio: la Chiesa
milanese nel primo millennio; a cura di Annamaria Ambrosioni, Maria Pia
Alberzoni, Alfredo Lucioni, Ed. Vita e pensiero, Milano, 1989. Vita di
sant'Ambrogio: La prima biografia del patrono di Milano di Paolino di Milano, a
cura di Marco Maria Navoni, Edizioni San Paolo, 1996. ISBN 978-88-215-3306-8
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Chiesi, Fabrizio Panzera, Terre del Ticino. Diocesi di Lugano, Editrice La
Scuola, Brescia 2003m, 5, 128, 202, 224, 225, 248, 259nota, 280, 286, 287, 442.
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Borromeo, I Santi di Milano, Milano 2012, ISBN 978-88-97618-03-4 Patrick
Boucheron e Stéphane Gioanni (a cura di), La memoria di Ambrogio di Milano. Usi
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médiévale, 133 - CEF, 503), 631 p., ISBN 978-2-7283-1131-6 (LA) Sant'Ambrogio,
[Opere], apud inclytam Basileam, [Johann Froben], 1527. AA.VV., Sant Ambroeus –
Tra storia e leggenda, Meravigli edizioni (in collaborazione con Circolo
Filologico Milanese), Milano, 2017 Voci correlate Satiro di Milano Santa
Marcellina Agostino di Ippona Basilica di Sant'Ambrogio Patristica Diocesi di
Milano Rito ambrosiano Paolino di Milano Chiesa dei Santi Ambrogio e Theodulo
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2010. Modifica su Wikidata Sant'Ambrogio, su sapere.it, De Agostini. Modifica
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testimoni, santiebeati.it. Modifica su Wikidata (EN) Epistole di S.Ambrogio, su
tertullian.org. (LA) Epistole di S.Ambrogio, su intratext.com. Opera Omnia dal
Migne Patrologia Latina con indici analitici, su documentacatholicaomnia.eu. Cathechesi,
su w2.vatican.va. di papa Benedetto XVI su Sant'Ambrogio in occasione
dell'udienza generale del 24 ottobre 2007 Predecessore Vescovo di Milano Successore BishopCoA
PioM.svg Aussenzio 374-397 San
Simpliciano Soresini V
· D · M Padri e dottori della Chiesa cattolica V · D · M Ambrogio di Milano
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aprileNati a TreviriMorti a MilanoAmbrogio di MilanoSanti romani del IV
secoloCorrispondenti di Quinto Aurelio SimmacoDottori della Chiesa
cattolicaPadri della ChiesaSanti per nomeScrittori cristiani antichiScrittori
romaniTeologi cristianiVescovi e arcivescovi di MilanoSanti della Chiesa
ortodossa[altre]
AMBROSOLI – not ambrosolini -- Luigi Ambrosoli Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
navigationJump to search Il Prof. Luigi Antonio Ambrosoli (Varese, 15 luglio
1919 – Varese, 20 maggio 2002) è stato un docente e storiografo italiano. Indice 1Biografia 2Opere 3Onorificenze 4Note
Biografia È stato uno dei protagonisti della storiografia italiana del secondo
Novecento.[1] Allievo di Federico Chabod negli anni della Seconda guerra
mondiale, si dedicò per tutta la vita alla ricerca storica, coniugandola con un
costante impegno civile per la sua Varese.
Laureato in Filosofia all'Università degli Studi di Milano, fu dapprima
docente di scuola secondaria, poi preside di scuola secondaria; successivamente
fu ordinario di Storia contemporanea presso l'Università degli Studi di
Ferrara, quindi presso l'Università degli Studi di Padova e infine preside
della Facoltà di Magistero presso l'Università degli Studi di Verona, dove fu
anche direttore dell'istituto di storia.
I suoi studi si orientarono particolarmente alla storia del Risorgimento
e, nell'ambito di questa, all'opera di Carlo Cattaneo, con esiti unanimemente
apprezzati sia per il rigore filologico che per l'acume interpretativo e la
ricerca storiografica. Parallelamente contribuì alla ricostruzione della storia
dei movimenti e dei partiti politici, con saggi dedicati al movimento cattolico
e al movimento operaio e socialista.
Grande fu il suo contributo allo studio del sistema educativo e delle
istituzioni scolastiche nell'Italia del XIX e XX secolo, con apporti
interpretativi che ancor oggi sono il riferimento per gli studiosi del
settore. Collaborò a "Il
Ponte" di Piero Calamandrei, "Belfagor" di Luigi Russo,
"Nuova Antologia", "Mondo Operaio", "L'Avanti!",
"Critica storica", "Storia in Lombardia". Fu anche fervido
sostenitore della nascita dell'Università degli Studi dell'Insubria. Opere Varese e il Risorgimento Nazionale,
pubblicazione a cura del Comune di Varese, 1959 Il primo movimento
democratico-cristiano in Italia 1897-1904, Roma, Edizioni 5 Lune, 1959 La
formazione di Carlo Cattaneo, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960 Né aderire né
sabotare 1915-1918, Milano, Edizioni Avanti!, 1961 La Federazione nazionale
scuole medie dalle origini al 1925, Firenze, La Nuova Italia, 1967 (premio
Friuli-Venezia Giulia 1969 per un'opera di storia sociale) I periodici operai e
socialisti di Varese dal 1860 al 1926. Bibliografia e storia, Milano, Sugarco,
1975 Libertà e religione nella riforma Gentile, Firenze, Vallecchi, 1980 La
scuola in Italia, dal dopoguerra ad oggi, Bologna, Il Mulino, 1982 La scuola
alla Costituente, Brescia, Calzari Trebeschi-Paideia, 1987 Educazione e società
tra rivoluzione e restaurazione, Verona, Libreria universitaria editrice, 1987
Giuseppe Mazzini, una vita per l'unità d'Italia, Manduria, Piero Lacaita
Editore, 1993 Carlo Cattaneo e il federalismo, Roma, Istituto Poligrafico dello
Stato, 1999 Varese. Storia millenaria, Varese, Editore Macchione, 2002 Ha
curato per l'editore Mondadori i tre volumi degli scritti dal 1848 al 1853 di
Carlo Cattaneo (1967 e 1974) e per l'editore Bollati-Boringhieri i due volumi
degli scritti del «Politecnico» dal 1839 al 1844 (1989). Onorificenze
Commendatore dell'Ordine al merito della Repubblica italiana - nastrino per
uniforme ordinariaCommendatore dell'Ordine al merito della Repubblica italiana
«Su proposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri» — 2 giugno 1984[2]
Note ^ Luigi Ambrosoli, ricerca storica e impegno civile (PDF), su
va.camcom.it. URL consultato il 16 luglio 2019. ^ Sito web del Quirinale:
dettaglio decorato, su quirinale.it. URL consultato il 01-01-2020. Controllo di
autoritàVIAF (EN) 51703132 · ISNI (EN) 0000 0000 8129 7774 · LCCN (EN)
n80070800 · GND (DE) 119429004 · BNF (FR) cb12024670n (data) · BAV (EN)
495/76722 · WorldCat Identities (EN) lccn-n80070800 Biografie Portale Biografie
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italiani del XX secoloStorici italiani del XX secoloNati nel 1919Morti nel
2002Nati il 15 luglioMorti il 20 maggioNati a VareseMorti a VareseFilosofi
italiani del XX secolo[altre]
AMERIO Romano Amerio Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
navigationJump to search Romano Amerio.
Romano Amerio (Lugano, 17 gennaio 1905 – Lugano, 16 gennaio 1997) è stato un
filosofo, filologo e teologo svizzero-italiano[1] di posizione cattolica
tradizionalista. Le sue posizioni
fortemente critiche sugli sviluppi post-conciliari nella liturgia e
nell'ecclesiologia cattolica l'hanno portato in vita a un lungo periodo di
isolamento culturale [2]. Indice
1Biografia 2Gli studi teologici 3Gli studi filosofici 4Altre pubblicazioni
5Opere principali 6Note 7Bibliografia 8Voci correlate 9Altri progetti
10Collegamenti esterni Biografia Nacque il 17 gennaio 1905 a Lugano, da padre
astigiano e madre svizzera. Conclusi gli studi al ginnasio e poi al liceo di
Lugano, s'iscrisse all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove,
nel 1927, conseguì la laurea in filosofia, e successivamente, nel 1934, quella
in filologia classica. Dal 1928 al 1970 insegnò prima latino e greco e poi
filosofia al liceo cantonale di Lugano. Nel 1951 divenne libero docente di
storia della filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Prese parte come perito al Concilio Vaticano
II, e fu consulente del cardinale Giuseppe Siri; le sue forti posizioni
critiche prendono le mosse dalla maniera stessa in cui si svolsero gli eventi
di quelle assise e i lavori delle commissioni conciliari. Nei suoi scritti, l'Amerio individua tre
documenti del magistero che, a suo dire, sono stati implicitamente negati, sul
piano intellettuale, durante i lavori conciliari: l'enciclica Quanta cura di
papa Pio IX, che condannava l'ideologia massonico-liberale, il decreto
Lamentabili sane exitu di san Pio X, che metteva in guardia dai radicalismi in
materia di critica biblica, e l'enciclica Humani generis di Pio XII, che, nel
1950, criticava fortemente le nuove antropologie ed ecclesiologie proprie del
neo-modernismo o "nuova teologia".
L'Amerio fu poi decisamente critico verso la nuova creatività liturgica
postconciliare. Il suo pensiero su questo tema fu sostanzialmente in linea con
l'enciclica Mediator Dei di papa Pio XII, secondo la quale l'essenza della
liturgia è il cultus, l'adorazione di Dio, e non un'autocelebrazione
antropocentrica. Esaminò inoltre le modifiche istituzionali nel Sant'Uffizio,
ritenendo che il pratico quasi abbandono del termine eresia nelle indagini
ufficiali e nelle procedure avrebbe condotto a conseguenze drammatiche sia
nella vita della Chiesa sia negli studi accademici cristiani[3]. Fu un deciso promotore dell'apologetica, e
rimase costernato di fronte all'abbandono delle nozioni di conversione e
disputationes, in favore di un approccio esclusivamente dialettico tra la
Chiesa e il mondo. Rimase fortemente legato alla tradizione tomistica e
agostiniana, fu un neotomista e disapprovò profondamente il rivolgersi di molti
intellettuali cattolici al kantismo, all'hegelismo e finanche allo
spinozismo. Gli studi dell'Amerio furono
dapprima elogiati da alcuni studiosi cattolici, vicini alle posizioni
tradizionali. Successivamente, a causa della questione lefebvriana che contrappose
l'allora arcivescovo tradizionalista a capo della Fraternità San Pio X e il
papa Giovanni Paolo II, si venne a creare una situazione assai difficile per lo
studioso luganese. In seguito a ciò, le sue ricerche e i suoi libri furono in
gran parte ignorati o trascurati all'interno della Chiesa. Fu tra i soci fondatori della prima
associazione di cattolici tradizionalisti, Una Voce. Fu presidente del pre-comitato promotore e in
seguito vicepresidente, con funzioni di coordinatore, del consiglio direttivo
dell'Istituto Ticinese di Alti Studi, dal 1970 al 1973. Nel 1977 la città di Lugano gli conferì la
cittadinanza onoraria. L'Amerio è morto
il 16 gennaio 1997, nella sua casa di via Cattedrale a Lugano. Durante il pontificato di Benedetto XVI s’è
iniziata una lenta opera di rivalutazione e di parziale riabilitazione del
teologo svizzero. Il papa, in collaborazione col liturgista Klaus Gamber, ha
promosso un'ermeneutica della continuità riguardo al Concilio Vaticano II, più
in sintonia con la Chiesa storica e col suo patrimonio culturale. Anche in
seguito alla pubblicazione del motu proprio Summorum Pontificum, per la
liberalizzazione della messa tridentina, il pensiero dell'Amerio è stato
sorprendentemente riscoperto, nel 2007, dalla rivista dei gesuiti La civiltà
cattolica. Secondo fonti recenti, il
segreto ispiratore dell'enciclica papale Caritas in veritate sarebbe stato
proprio l'Amerio. Emanata nel 2009, quest'enciclica conferma le idee e i
concetti che furono al centro dei lavori e degli studi teologici e filosofici
dell'Amerio. Gli studi teologici La sua
opera più importante è Iota Unum. Studio delle variazioni della Chiesa
Cattolica nel secolo XX, uno studio dedicato alle relazioni filosofiche tra
Verità e Vita. Il libro, pubblicato nel 1985 e tradotto in sei lingue, è
riconosciuto complessivamente come il massimo contributo all'individuazione
della crisi della Chiesa, a partire dagli anni successivi all'ultimo Concilio
ecumenico ma anche alla conservazione della grande tradizione filosofica tomistica. Stat Veritas è un'opera postuma del teologo
svizzero. Il libro è costituito da " 55 chiose da noi radunate a commento
di alcune proposizioni della Lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente,
uscito dalle tipografie vaticane l'11 novembre del 1994 "[4]. Gli studi filosofici I suoi studi hanno
riguardato soprattutto la figura di Tommaso Campanella, delle cui opere ha
curato decine di edizioni. Importanti anche le edizioni delle opere di Giordano
Bruno e gli studi su Cartesio, su Leopardi e sull'Epicureismo. Le due edizioni più importanti da lui curate
sono quelle degli Scritti filosofici e teologici di Paolo Sarpi, usciti nel
1951 nella prestigiosa collana laterziana degli Scrittori d'Italia, e quella
delle Osservazioni sulla morale cattolica di Alessandro Manzoni, uscita nel
1965 presso Riccardo Ricciardi. Altre
pubblicazioni Non si deve dimenticare il suo libro Introduzione alla Valsolda,
che rivela tutto il suo amore per il paesaggio e l'arte di quella terra in cui
suo padre fu medico condotto, né i tre volumetti pubblicati dal 1990 al 1992 e
ripubblicati nel 2010 in un volume unico, col titolo Zibaldone[5], che
raccolgono una scelta di 470 tra 4300 pensieri su varî argomenti, scritti a
partire dal 1939 per più di mezzo secolo.
Opere principali Arbitrarismo divino, libertà umana e implicanze
teologiche nella dottrina di Cartesio, Milano, Società Editrice "Vita e
Pensiero", 1937. L'epicureismo, Torino, Edizioni di filosofia, 1953.
Tommaso Campanella, Della necessità di una filosofia cristiana, prima
traduzione italiana con introduzione e commento a cura di Romano Amerio,
Torino, Società Editrice Internazionale, 1953. Augusto Guzzo e Romano Amerio (a
cura di), Opere di Giordano Bruno e di Tommaso Campanella, Milano-Napoli, R.
Ricciardi, 1956. Alessandro Manzoni filosofo e teologo: studio delle dottrine
seguito da una appendice di lettere, postille e carte inedite, Torino, Edizioni
di filosofia, 1958. Il sistema teologico di Tommaso Campanella: studio di editi
ed inediti con appendici e indici, Milano-Napoli, R. Ricciardi, 1972. Iota
Unum. Studio delle variazioni della Chiesa Cattolica nel secolo XX, I edizione,
Milano-Napoli, R. Ricciardi, 1985. Poi Torino, Lindau, 2009; Verona, Fede &
Cultura, 2009[6]. Stat veritas, I edizione, Milano-Napoli, R. Ricciardi, 1997.
Poi Stat veritas. Seguito a Iota unum , Torino, Lindau, 2009[7]. Note ^ Romano
Amerio, in Dizionario storico della Svizzera. ^ "La Civiltà
Cattolica" rompe il silenzio. Su Romano Amerio, articolo di Sandro
Magister. ^ Vaccaro, Chiesi, Panzera, 105nota, 178, 191nota, 371nota, 451, 454.
^ Nota dell'autore, p. 14 ^ Descrizione dell'opera sul sito "Aurea
Domus" di Enrico Maria Radaelli ^ Descrizione dell'opera sul sito
"Aurea Domus" di Enrico Maria Radaelli ^ Descrizione dell'opera sul
sito "Aurea Domus" di Enrico Maria Radaelli Bibliografia Fausto
Ghisalberti, "Romano Amerio, Alessandro Manzoni filosofo e teologo",
Giornale Storico della letteratura italiana, v. 135, fasc. 412, 1958. Elémire
Zolla, "Romano Amerio", in: Uscite dal mondo, Milano, Adelphi 1992,
p. 449-452. Luciano Vaccaro, Giuseppe Chiesi, Fabrizio Panzera, Terre del
Ticino. Diocesi di Lugano, Editrice La Scuola, Bresci,a 2003. Enrico Maria
Radaelli, Romano Amerio: della verita e dell'amore, Lungro di Cosenza, Marco,
2005. Romano Amerio (1905-1997): l'umanista, il luganese, il cattolico :
convegno italo-svizzero nel primo centenario della nascita, Lugano, G.
Casagrande, 2005. Romano Amerio, il Vaticano 2. e le variazioni nella chiesa
cattolica del 20. secolo. convegno di studi in Ancona, 9 novembre 2007, Verona,
Fede & Cultura, 2008. Voci correlate Neotomismo Concilio Vaticano II
Cattolici tradizionalisti Ermeneutica del Concilio Vaticano II Messa tridentina
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lettura ameriana del Concilio Vaticano II (I parte): articolo di Daniele Laganà
La lettura ameriana del Concilio Vaticano II (II parte): articolo di Daniele
Laganà Fine di un tabù: anche Romano Amerio è "un vero cristiano":
Articolo di Sandro Magister Grandi ritorni: Romano Amerio e le variazioni della
Chiesa cattolica: Articolo di Sandro Magister Lo Zibaldone di Romano Amerio:
Articolo di Sandro Magister Citazioni dallo Zibaldone di Romano Amerio su Aforismario
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AMICO
Giovan Battista Amico Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
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l'omonimo fisico e matematico modenese, vedi Giovanni Battista Amici. Copertina dell'opera di Amico, Venezia 1536
Giovan Battista Amico o Amici o anche d'Amico (in latino: Ioannes Baptista
Amicus Cosentinus)[1] (Cosenza, 1511 o 1512 – Padova, 1538) è stato un
astronomo, matematico e filosofo italiano.
Fu insigne studioso di astronomia, brillante nella conoscenza del
latino, del greco e dell'ebraico, abbracciò la scuola di pensiero
dell'aristotelismo padovano del XVI secolo. Fu autore dell'operetta De motibus
corporum coelestium iuxta principia peripatetica sine eccentricis set
epicyclis, pubblicata a Venezia nel 1536 e nel 1537 e a Parigi nel 1549.[2] Le
sue osservazioni furono una delle fonti per il lavoro di Niccolò Copernico. Indice 1Biografia 1.1Morte 2Note
3Bibliografia 4Altri progetti 5Collegamenti esterni Biografia Contemporaneo di
Bernardino Telesio, frequentò lo Studium dei Domenicani, università aperta a
tutti e non solo all'ordine dei Padri Predicatori. Per il resto della sua
biografia si conosce ben poco se non quanto trapela dalla sua maggiore opera,
il De motibus corporum coelestium iuxta principia peripatetica sine eccentricis
et epicyclis, pubblicato nel 1536 a Venezia per i tipi di Giovanni Patavino e
Venturino Roffinelli.[3] Dalla sua opera
si traggono le uniche scarne notizie relative alla sua vita, ovvero, come da
lui stesso riportato nell'opera, che Amico fosse cosentino di nascita e che
all'epoca della pubblicazione avesse la giovane età di 24 anni. Questo farebbe
collocare la nascita dell'Amico a Cosenza forse nell'anno 1512, seppure alcuni
studiosi propendano per il 1511. Tuttavia la nascita dell'astronomo risulta di
difficile datazione non essendo noto in quale mese del 1536 il De motibus fu
pubblicato e in quale periodo esso venne compilato dall'autore.[4] Sempre all'interno del De motibus, nel
proemio, l'Amico riferisce di essere stato allievo di Vincenzo Maggi
(1498-1564), Marco Antonio Passeri detto il Gènua (1491-1563) e di Federico Delfino
(1477-1547),[5] professori all'Ateneo di Padova negli anni precedenti la
pubblicazione del De motibus e anche professori del Telesio; queste
informazioni porrebbero l'Amico nel filone di pensiero dell'aristotelismo
padovano rinascimentale e dimostra che l'astronomo cosentino avesse frequentato
l'Università di Padova, una delle più prestigiose dell'epoca, dalla quale
tuttavia non si ha certezza se si fosse licenziato con una laurea, dato che il
suo nome non risulta in nessuna lista di laureati di quell'ateneo.[6] Dopo la
frequentazione dei corsi di Padova parrebbe, ma anche qui non vi è certezza
alcuna, che l'Amico fosse stato ammesso all'Accademia Cosentina forse nell'anno
1537, ovvero un anno dopo la prima pubblicazione a stampa del De motibus e un
anno prima della morte del giovane astronomo che avrebbe avuto fra i 26 e i 27
anni. Va detto che il De motibus fu la prima operetta a mettere in discussione
il modello tolemaico e che l'opera si concludeva anticipando per sommi capi
alcuni dati oggetto di una futura pubblicazione e che promettevano di essere
assolutamente rivoluzionari. Da questa considerazione gli studiosi tendono a
pensare che la prematura morte per assassinio di Amico fosse stata provocata
dall'invidia della sua dottrina, così come suggerito da un anonimo che compose
l'epitaffio del giovane astronomo nel quale si leggeva: «IOAN. BAPTISTÆ AMICO Cosentino, qui cum
omnes omnium liberalium artium disciplinas miro ingenio, solerti industria,
incredibili studio, Latine Grece atque etiam Hebraice percurrisset feliciter,
ipsa adolescentia suorumque laborum & vigilarum cursu pene confecto, a
sicario ignoto, literarum, ut putatur, virtutisque, invidia, interfectus est
MDXXXVIII.» (Monumentorum Italiae, quae
hoc nostro saeculo & a Christianis posita sunt, libri 4, pag.11) ovvero
"ammazzato da ignoto sicario si pensa per invidia della sua scienza e
delle sue virtù".[7] Morte Nel 1538
Amici venne assalito, derubato e ucciso mentre camminava nei vicoli di Padova.
Il processo contro ignoti che seguì accertò che era scomparsa una borsa contenente
alcuni documenti, che forse erano proprio le carte con quelle rivoluzionarie
osservazioni che aveva promesso l'autore, o almeno così sembrava credere
l'Inquisizione nel processo postumo per eresia che subito dopo istituì contro
lo studioso defunto. Dell'Amico fa menzione nella sua orazione in morte di
Telesio, Giovanni Paolo d'Aquino, filosofo e oratore calabrese nato a Cosenza e
morto intorno al 1612, che definisce l'Amico "così grande astrologo e
filosofo" e nulla aggiunge alla sua biografia rispetto a quanto già
noto.[8] Cinque anni dopo la sua morte,
Copernico pubblicò il suo De revolutionibus orbium coelestium. Il 6 aprile 2019 la città di Cosenza gli
dedica, inaugurandolo, il Planetario della città che sorge a 224 metri s.l.m.
nel quartiere Gergeri del capoluogo bruzio.
Note ^ Amico, Giovanni Battista (1512 - 1538), su Consortium of European
Research Libraries, http://thesaurus.cerl.org/. URL consultato il 16 febbraio
2014. ^ amico, giovan battista : d', su OPAC SBN Catalogo del servizio bibliotecario
nazionale, http://opac.sbn.it. URL consultato il 16 febbraio 2014. ^ Ioannis
Baptistae Amici Cosentini de Motibus corporum coelestiu iuxta principia
peripatetica sine eccentricis & epicyclis, su OPAC SBN Catalogo del
servizio bibliotecario nazionale, http://opac.sbn.it. URL consultato il 15
febbraio 2014. ^ Francesco Sacco, Giovan Battista Amico, su Galleria
dell'Accademia Cosentina, Consiglio Nazionale delle Ricerche CNR. URL
consultato il 15 febbraio 2014. ^ Concetta Bianca, DELFINO (Dolfin), Federico,
su Dizionario Biografico degli Italiani, Enciclopedia Italiana Treccani. URL
consultato il 15 febbraio 2014. ^ Elda Martellozzo Forin, Università di Padova.
Istituto per la Storia (a cura di), Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini
ab anno 1501 ad annum 1550: Ab anno 1501 ad annum 1525, Padova, Antenore. URL
consultato il 15 febbraio 2014. ^ Per il testo originale dell'epitaffio si veda
Lorenz Schrader, Monumentorum Italiae, quae hoc nostro saeculo & a
Christianis posita sunt, libri 4, Lucius Transylvanus, 1592, p. 11. URL
consultato il 16 febbraio 2014. ^ Le biografie degli uomini illustri delle
Calabrie raccolte a cura di Luigi Accattatis, Volume 2, vol. 2, Cosenza, Tip.
Municipale, 1870, p. 29. URL consultato il 17 febbraio 2014. Bibliografia Giovan
Battista Amico, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Coriolano Martirano, L'arco di Ulisse. Vita ed
opera di Giovanni Battista Amici, Bruttium et scientia, Laruffa, 2007, pp. 902,
ISBN 978-88-7221-286-8. URL consultato il 17 febbraio 2014. Francesco Sacco,
Giovan Battista Amico, su Galleria dell'Accademia Cosentina, Consiglio
Nazionale delle Ricerche CNR. URL consultato il 15 febbraio 2014. Luigi
Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, A. Forni, 1977,
pp. 902. URL consultato il 15 febbraio 2014. Mario Di Bono, Le sfere
omocentriche di Giovan Battista Amico nell'astronomia del Cinquecento, Centro
di Studio sulla Storia della tecnica, 1990, pp. 221. URL consultato il 15
febbraio 2014. Franco Piperno, Da Eudosso di Cnido a Giovan Battista D'Amico da
Cosenza, su Università della Calabria, progetto "Divulgare la Scienza
Moderna attraverso l'antichità", http://lcs.unical.it/. URL consultato il
15 febbraio 2014. (EN) Noel Swerdlow, Aristotelian Planetary Theory in the
Renaissance: Giovanni Battista Amico's homocentric spheres, su Journal for the
History of Astronomy, Vol. 3, p.36, http://articles.adsabs.harvard.edu/. URL
consultato il 15 febbraio 2014. Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons
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V CENTENARIO NASCITA DI G. BATTISTA D'AMICO, in Provincia di Cosenza,
http://www.provincia.cs.it, 21 febbraio 2011 Controllo di autoritàVIAF (EN)
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AMIDEI Cosimo Amidei Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
navigationJump to search Cosimo Amidei (Peccioli, 1725 circa – Firenze, dopo il
1783) è stato un giurista e filosofo italiano.
Indice 1 Biografia
2Opere 2.1Sopra la carcere de' debitori 2.2La Chiesa e la Repubblica dentro i
loro limiti 2.3De' mezzi per diminuire i mendichi 3Note 4Bibliografia 5Altri
progetti 6Collegamenti esterni Biografia
Frontespizio del Discorso filosofico-politico sopra la carcere de'
debitori di Cosimo Amidei, ed. Harlem (Paris), 1771. Non si sa quasi nulla
sulla biografia di Cosimo Amidei. Figlio del dotore in giurisprudenza Domenico
Amidei di Peccioli (Pisa), si laureò in Giurisprudenza all'Università di Pisa
probabilmente nel 1746. Per le modeste condizioni della famiglia nel 1739 aveva
chiesto di essere ammesso al Collegio di Sapienza, e aveva ottenuto un posto
gratuito il 1º novembre 1741[1],[2]. Stando ad una lettera di Alessandro Verri
al fratello Pietro, Amidei era un magistrato fiorentino, "notaro criminale"[3]. Fra le poche cose certe vi è quella che
conobbe personalmente Cesare Beccaria, di cui era un ammiratore e con cui fu in
corrispondenza fin dal 1766[4],[5].
Opere Discorso filosofico-politico sopra la carcere de debitori, s.l.,
1770 La Chiesa, e la Repubblica dentro i loro limiti. Concordia discors, s.l.,
1768. De' mezzi per diminuire i mendichi, s.l., 1771 Sopra la carcere de'
debitori L'Amidei è noto soprattutto quale autore del "Discorso
filosofico-politico sopra la carcere de' debitori" (1770). Ispirata direttamente
dal paragrafo XXXIV del "Dei delitti e delle pene" del Beccaria,
l'opera è considerata una delle più importanti espressioni del riformismo e
dell'umanitarismo settecentesco. L'opuscolo ebbe immediatamente successo: fu
recensito con favore dalle "Novelle letterarie" di Firenze[6], e dal
"Journal encyclopédique"[7]; l'anno seguente ebbe una seconda
edizione, con osservazioni di Giambattista Vasco, uscita a Milano presso lo
stampatore Galeazzi, e ancora una edizione in testo bilingue italiano - francese[8].
Il testo di Amidei influì certamente sulla riforma leopoldina del 1776, che,
per merito del ministro Francesco Maria Gianni, abolì la carcerazione per
debiti (ma occorre ricordare come un'analoga riforma venisse promulgata anche
in Russia). Nella concezione relativistica delle leggi e nella critica alla
legislazione romana dell'illuminismo giuridico-politico toscano di quegli anni,
l'opera di Amidei si arricchisce di spunti egualitari rousseauiani (rarissimi
ancora nel pensiero illuministico toscano) dai quali Amidei ottiene la
giustificazione teorica per l'abolizione della pena detentiva dei debitori. Una
nuova edizione dell'opera, apparsa in Firenze nel 1783, è una prova
dell'esistenza in vita di Cosimo Amidei nel 1783; dopo di allora, infatti, non
si hanno più notizie biografiche certe su di lui. La Chiesa e la Repubblica dentro i loro
limiti All'Amidei è attribuita anche un'opera edita poco prima il Discorso
sopra la carcere de' debitori, "La Chiesa e la Repubblica dentro i loro
limiti". L'opera, pubblicata anonima nel 1768, è stata attribuita a Cosimo
Amidei a partire dal 1770, anno di pubblicazione del Discorso
filosofico-politico sopra la carcere de debitori. Finora mancano però elementi
sicuri per confermare tale attribuzione, attestata solo da alcuni cataloghi di
biblioteche e di cui non v'è notizia neppure nel "Dizionario di opere
anonime e pseudonime" di Gaetano Melzi. L'opera uscì anonima e senza
indicazione del luogo dell'edizione; dovrebbe trattarsi di Pavia[9] o di
Firenze[10]. Molti contemporanei[11] ritennero che fosse Napoli, identificando
probabilmente l'edizione originale con una edizione ampliata, con falsa
indicazione di luogo Amsterdam, sequestrata presso lo stampatore Campo di
Napoli; si tratterebbe in realtà di una ristampa contraffatta dello scritto
apparsa nella città partenopea prima che fosse posta in vendita l'edizione
proveniente da Firenze, e che venne sequestrata per la "sediziosa
proposizione" dell'origine popolare della sovranità[12]. Al suo apparire,
infatti, per alcuni spunti contrattualistici rousseauiani, l'opera richiamò
l'attenzione dell'autorità laica ed ecclesiastica e le vicissitudini di cui fu
oggetto sono ritenute importanti per ricostruire la fortuna di Jean-Jacques
Rousseau in Italia. A Roma, autore dell'opera fu ritenuto il Beccaria, e nel
clima di irrigidimento contro le correnti giurisdizionalistiche e
illuministiche che caratterizzò gli ultimi anni di pontificato di Clemente
XIII, essa fu posta all'Indice nel 1769.
De' mezzi per diminuire i mendichi Anche quest'opera, pubblicata anonima
nel 1771 senza indicazione di luogo, ma probabilmente a Firenze, è solo
attribuita a Cosimo Amidei; ma l'attribuzione risale già ai
contemporanei[13],[14]. L'autore sostiene, in base a una concezione
fisiocratica, che il grave problema possa essere risolto solo per mezzo di una
riforma fiscale. Note ^ Società storica
pisana, Bollettino storico pisano 1965, p. 300. ^ Società storica pisana,
Bollettino storico pisano 1932, p. 517. ^ Carteggio di Pietro e Alessandro
Verri. a cura di F. Nevati ed E. Greppi, III (agosto 1769 - settembre 1770)
Milano 1911, pp. 194-195 ^ C. Beccaria, Scritti e lettere inediti, a cura di E.
Landry, Milano 1910, p. 289. Landry segnala quattro lettere dell'Amidei al
Beccaria, in Biblioteca Ambrosiana, Milano. Beccaria, B. 231). Frontespizio di Scritti e lettere inediti del
1910 ^ Carteggio di Pietro e Alessandro Verri, a cura di F. Nevati ed E.
Greppi, III (agosto 1769 - settembre 1770) Milano 1911, p. 210 ^ Novelle
letterarie, 16 febbr. 1770, n. 7, coll. 103 s. ^ Journal encyclopédique, 1º
giugno 1770, p. 314 ^ "Discorso filosofico-politico sopra la carcere de'
debitori", Harlem, et se vend a Paris: chez Molini libraire rue de la
Harpe, vis-a-vis la rue de la Parcheminerie, 1771. ^ F. Venturi, Settecento
riformatore, 2. vol., Torino, Einaudi, 1976, p. 237-249 ^ Archivo General de
Símancas, Estado Legajo 6102, lettera di Bernardo Tanucci al marchese Domenico
Grimaldi Portici 13 dicembre 1768, f. 157 v. ^ P. Savio, "Dottrina ed
azione dei giurisdizionalisti del sec. XVIII", in Arch. Veneto, s. 5, LXII
(1958), pp. 12 n. 2, 31 ss. ^ vedi lettera citata del Tanucci al Grimaldi ^
Marco Lastri, Bibliotheca georgica, ossia Catalogo ragionato degli scrittori di
agricoltura, veterinaria, agrimensura, meteorologia, economia pubblica, caccia,
pesca ecc. spettanti all'Italia, Firenze, 1787, p. 45 ^ Carteggio di Pietro e
Alessandro Verri. a cura di F. Nevati ed E. Greppi, III 1766 - 1797, Milano
1911. Bibliografia M. Rosa, AMIDEI, Cosimo, in Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Altri
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Cosimo Amidei Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Cosimo
Amidei Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o
altri file su Cosimo Amidei Collegamenti esterni Opere di Cosimo Amidei, su
Liber Liber. Modifica su Wikidata Opere di Cosimo Amidei, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Modifica su Wikidata V · D · M Illuministi italiani Controllo di
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Giuristi italiani del XVIII secoloFilosofi italiani del XVIII secoloNati a
PeccioliMorti a FirenzeIlluministiAmidei[altre]
AMUCO
ANCESCHI Luciano
Anceschi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Luciano Anceschi Luciano Anceschi (Milano, 20 febbraio 1911 –
Bologna, 2 maggio 1995) è stato un filosofo, critico letterario e accademico
italiano. Indice 1 Biografia 2 Note 3 Bibliografia 4 Voci correlate
5 Collegamenti esterni Biografia Allievo di Antonio Banfi, con il quale si
laureò in Filosofia nel 1933, ricoprì l'insegnamento di Estetica nella Facoltà
di Lettere e filosofia presso l'Università di Bologna dal 1952 al 1981.
L'interesse per la letteratura e le arti figurative si accompagnò sempre a
quello per la filosofia moderna antidogmatica: dopo la pubblicazione della sua
tesi di laurea Autonomia ed eteronomia dell'arte edita da Sansoni nel 1936, le
sue ricerche sulle figure e i modelli letterari antidealistici trovarono voce
negli interventi pubblicati su Orpheus dal 1932 e su Corrente di vita giovanile
dagli anni 1938-1939, riviste da lui stesso promosse. Sensibile ai nuovi
orientamenti culturali, si schierò a favore dell'Ermetismo e della
Neoavanguardia, affiancando all'attività di teorico quella di critico militante:
pubblicò i Saggi di poetica e poesia. Con una scheda sullo Swedenborg (1942) e
curò le antologie Lirici nuovi (1943), Linea lombarda. Sei poeti (1952) e
Lirica del Novecento (1953). Della voce Ermetismo fu autore nell'Enciclopedia
del Novecento (1977). Concentratosi sui modelli culturali dimenticati dal
Neoidealismo, si dedicò ai temi del Barocco, dando alle stampe nel 1953 Del
Barocco e altre prove e nel 1960 Barocco e Novecento. Con alcune prospettive
metodologiche. Non abbandonò mai gli studi filosofici: del 1955 sono I
presupposti storici e teorici dell'estetica kantiana, del 1956 D. Hume e i
presupposti empirici dell'estetica kantiana, del 1967 Burke e l'estetica
dell'empirismo inglese e del 1972 Da Bacone a Kant. Saggi di estetica. In
particolare in Progetto di una sistematica dell'arte (1962) delineò una teoria
estetica intesa come fenomenologia delle forme artistiche. Sui principi della
fenomenologia critica basò tutte le successive ricerche. Fondò nel 1956
la rivista Il Verri, di cui fu direttore, mentre diresse dal 1973 per Paravia
la collana La tradizione del nuovo e, nell'ambito universitario, la rivista
Studi di estetica, che raccoglieva i risultati delle ricerche filosofiche che
egli condusse insieme con i suoi allievi. Per il suo impegno nel tener vivo il
fermento culturale di questi anni, gli sarà assegnata a Mestre nel 1965 la
prima edizione del prestigioso premio "Amelia" alla
"tavola" di Dino Boscarato.[1] Nelle pubblicazioni degli anni
Sessanta centrali sono i temi della poetica (Poetiche del Novecento in Italia,
1961, Le poetiche del Barocco, 1963) e delle istituzioni letterarie (Le
istituzioni della poesia, 1968, Da Ungaretti a D'Annunzio, 1976, Che cosa è la
poesia? 1986). Tra gli scritti più recenti si ricordano Il caos, il
metodo. Primi lineamenti di una nuova estetica fenomenologica (1981) e Gli
specchi della poesia. Riflessione, poesia, critica (1989). Nel 1992 ha ricevuto
dall'Accademia dei Lincei il Premio Feltrinelli per la Critica
letteraria.[2] Presidente dell'Ente bolognese manifestazioni artistiche,
dell'Accademia delle Scienze e dell'Accademia Clementina di Bologna, socio
corrispondente dell'Accademia nazionale dei Lincei di Roma, donò la sua
biblioteca (circa 30.000 stampati) e il suo archivio personale (oltre 18.000
lettere e migliaia di autografi) al Comune di Bologna; sono attualmente
conservati presso la Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio. Note ^ Premi
Amelia 1965-2005, a cura della "Tavola all'Amelia", prefazione di
Sergio Perosa, Venezia-Mestre, 2006, pp. 18-21. Lo stesso anno il premio è
assegnato anche "per le arti figurative", a Virgilio Guidi. ^ Premi
Feltrinelli 1950-2011, su lincei.it. URL consultato il 17 novembre 2019.
Bibliografia Università degli studi di Bologna, Annuario dell'anno accademico
1995-1996 e 1996-1997, Bologna, Compositori, 1998, pp. 863–865. Voci correlate
Il Verri Giuseppe Pontiggia Salvatore Quasimodo Alessandro Montevecchi
Collegamenti esterni Luciano Anceschi, su Treccani.it – Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Luciano Anceschi, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su
Wikidata Luciano Anceschi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Luciano Anceschi, su BeWeb,
Conferenza Episcopale Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Luciano
Anceschi, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Fondo Luciano
Anceschi – Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna Approfondimento, su
ibc.regione.emilia-romagna.it. URL consultato il 22 marzo 2005 (archiviato
dall'url originale il 5 maggio 2001). Studi di estetica, su unibo.it. URL
consultato il 18 gennaio 2010 (archiviato dall'url originale il 15 gennaio
2010). V · D · M Vincitori del Premio Feltrinelli Controllo di autorità VIAF
(EN) 71406254 · ISNI (EN) 0000 0001 1029 1233 · SBN IT\ICCU\CFIV\006121 · LCCN
(EN) n80001452 · GND (DE) 118847406 · BNF (FR) cb12031872c (data) · BNE (ES)
XX831340 (data) · BAV (EN) 495/111350 · WorldCat Identities (EN) lccn-n80001452
Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi
italiani del XX secoloCritici letterari italiani del XX secoloAccademici
italiani del XX secoloNati nel 1911Morti nel 1995Nati il 20 febbraioMorti il 2
maggioNati a MilanoMorti a BolognaVincitori del Premio FeltrinelliAccademici
dei LinceiAutori del Gruppo 63BibliofiliDirettori di periodici
italianiFondatori di riviste italianePremiati con l'Archiginnasio
d'oroProfessori dell'Università commerciale Luigi BocconiProfessori dell'Università
di BolognaStudenti dell'Università degli Studi di Milano[altre]
ANDREA-D’ Francesco
D'Andrea Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Abbozzo politici italiani Questa voce sull'argomento politici italiani è solo
un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia.
Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Francesco D'Andrea (Ravello,
24 febbraio 1625 – Candela, 10 settembre 1698) è stato un giurista, filosofo e
politico italiano. Indice 1 Biografia 2 Bibliografia 3 Voci
correlate 4 Altri progetti 5 Collegamenti esterni Biografia Nato da una ricca
famiglia di avvocati e giuristi di Ravello, seguì gli studi legali e si
addottorò a Napoli, dove fu allievo di Giovanni Andrea Di Paolo, nel 1641. Nel
1648 venne nominato funzionario del viceré, il duca d'Arcos, a Chieti nel
giustizierato dell'Abruzzo citeriore. Frequentò l'Accademia di Camillo
Colonna, dove si illustravano i fondamenti della filosofia atomista e si dava
avvio al rinnovamento della cultura e della scienza napoletana. Fu membro e
fondatore dell'Accademia degli Investiganti e difese strenuamente il sapere dei
moderni nel testo, rimasto manoscritto, Apologia in difesa degli atomisti e
nella Risposta a favore del Sig. Lionardo di Capoa (1694). Avvocato primario
del Regno di Napoli, D'Andrea viaggiò e partecipò alla vita intellettuale e
agli studi scientifici in molti ambienti culturali italiani. Morì l'11
settembre 1698 nel palazzo Iambrenghi a Candela Bibliografia N. Cortese,
I ricordi di un avvocato napoletano del Seicento, Francesco D'Andrea, Napoli,
L. Lubrano e C., 1923. Voci correlate Dogana della mena delle pecore in Puglia
Regno di Napoli Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene
citazioni di o su Francesco D'Andrea Collegamenti esterni Francesco D'Andrea,
in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata Francesco D'Andrea, su accademicidellacrusca.org,
Accademia della Crusca. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Francesco D'Andrea,
su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Questo testo proviene
in parte dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza in Italia,
opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze
(home page), pubblicata sotto licenza Creative Commons CC-BY-3.0 Francesco
D'Andrea e il rinnovamento culturale del Seicento a Napoli (in occasione del
rinvenimento di un manoscritto sconosciuto degli "Avvertimenti ai
nipoti") di Stefano Capone, sito della Biblioteca provinciale di Foggia,
(ampio documento in formato PDF) Controllo di autorità VIAF (EN) 34532192 ·
ISNI (EN) 0000 0000 8113 3649 · SBN IT\ICCU\BVEV\008265 · LCCN (EN) n82121930 ·
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Categorie: Giuristi italiani del XVII secoloGiuristi italiani del XVIII
secoloFilosofi italiani del XVII secoloFilosofi italiani del XVIII
secoloPolitici italiani del XVII secoloPolitici italiani del XVIII secoloNati
nel 1625Morti nel 1698Nati il 24 febbraioMorti il 10 settembreNati a
RavelloMorti a Candela (Italia)Regno di NapoliSalottieri[altre]
ANDRIA Niccolò
Andria Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search «A
fronte de' profondi misteri dell'immensa, ed eterna meccanica, colla quale
l’Autor del tutto à voluto che sian le cose disposte ed ordinate, la forza
dell'umano intendimen to si trova per l'ordinario talmente oppressa dalla
propria picciolezza ed imbecillità, che o totalmente impossibile le riesce di
penetrarvi dentro, o appena l'è concesso di conoscerne le più esterne
apparenze; o pur finalmente, sembrandole di esser riuscita nel suo disegno,
realmente non fa altro, che delirare e perdersi dietro la brevità e l'inezia
delle sue idee.» (N. Andria, Osservazioni generali sulla teoria della
vita, 1804) Francesco Nicola Maria Andria Francesco Nicola Maria Andria
(Massafra, 10 settembre 1747 – Napoli, 9 dicembre 1814) è stato un medico e
filosofo italiano. Indice 1Biografia 2Pensiero 3Opere 4Note
5Bibliografia 6Altri progetti 7Collegamenti esterni Biografia Francesco Nicola
Maria Andria nacque a Massafra (odierna provincia di Taranto), il 10 settembre
1747 e morì a Napoli, dove visse fin al 1814. Tre anni dopo la sua morte il suo
nome apparve nella Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli il suo
primo profilo bio-bibliografico a cura di Gennaro Terracina. Studiò nella città
partenopea giurisprudenza, pubblicando nel 1769 un Discorso politico sulla
servitù. Decise, poi, di proseguire i suoi studi applicandosi alla medicina.
Allievo di Domenico Cotugno e Giuseppe Vairo, a soli 23 anni aprì a Napoli una
scuola privata; a 27 concorse con il Cirillo per l'ottenimento della cattedra
di medicina pratica, poi conferita a quest'ultimo. La sua attività di
cattedratico, svoltasi tra Sette e Ottocento, nel contesto di un particolare
periodo storico,[1] fu principalmente di ricerca e didattica presso
l'Università Regia degli Studi di Napoli, dove ricoprì vari insegnamenti dalla
storia naturale, alla medicina teoretica e pratica, all'agricoltura.
Pubblicò diverse opere ad uso degli studenti di medicina ed apprezzate altresì
in varie parti d'Europa.[2] Nel 1808 Nicola Andria prese a dettare
lezioni di medicina teoretica; nel 1811, di patologia e di nosologia. Malato ed
ormai cieco, fu congedato agli inizi del 1814, insignito del titolo di
cavaliere da Gioacchino Murat (cognato di Napoleone), e il 9 dicembre morì di
tifo a Napoli, dove fu seppellito nella chiesa di Santa Sofia, insieme al
collega Antonio Sementini. Nicola Andria ha subìto per più di un secolo
una "congiura filosofica" perché medico e perché di Massafra, da cui
gli epiteti spesso riferiti, nei pochi profili apparsi, alle sue origini
provinciali; tuttavia, egli fu decano a Napoli ed ebbe amicizia e consuetudine
epistolare con i nomi più noti ed importanti del panorama scientifico europeo
dell'epoca. Non esistono studi sull'autore, eccezion fatta per alcuni
contributi arenatisi agli anni ottanta del secolo scorso. Nicola Andria fu
socio fondatore e membro del Real Istituto d'Incoraggiamento e del Comitato
Centrale di Vaccinazione, oltreché di molte altre Accademie italiane ed estere.
A Massafra, città natale del medico filosofo, com'egli stesso si definisce,
portano il suo nome ben tre vie (Via Niccolò [sic] Andria, Lungovalle Niccolò
[sic] Andria e Vico Casa di Niccolò [sic] Andria) e una Scuola Media. Il 10
settembre 1997, in occasione del 250esimo anniversario della nascita, a
Massafra è stato fatto un annullo filantelico speciale e una cartolina
commemorativa. Pensiero «Non vi è una materia in Natura che abbia per sua
qualità intrinseca la vita, e meriti perciò di esser chiamata vivente. Né la
vita è un fenomeno semplice, che a una sola materia appartenga, e nasca da una
sola forza. Molte son le materie, e queste fra loro diversissime, che
concorrono alla formazione di una macchina, in cui la vita risiede, le quali
materie intanto, trovandosi separate, niuna vita producono» (N. Andria,
Osservazioni generali sulla teoria della vita, 1804) Il contesto storico in cui
Andria vive fa da “cerniera” ai due secoli più importanti della storia della
scienza e della civiltà: il Settecento e l'Ottocento hanno “gestato” l'umanità
contemporanea, provocato le guerre e portato l'uomo sulla Luna. Andria
vive a Napoli, per certi versi quasi “fulcro” e “convoglio” delle principali
idee e scoperte dell'epoca; la sua particolare sensibilità di scienziato di
formazione filosofica lo porta ad assorbirne il carattere rivoluzionario e ad
“anticipare” i tempi. La sua condizione di provinciale in-urbato, tuttavia, lo
“veste” di una semplicità ed umiltà di cuore, la quale si esprime nelle lodi
del creato e dell'uomo, «congegni perfettissimi» di straordinaria
bellezza. Oggi, questo significa “ri-orientare” la ricerca scientifica
verso un fine che non sia l'“utile” economico (politico, militare), ma ricerca
del vero e del bello nella tutela e nella salvaguardia di tutta
l'umanità. Dagli anni cinquanta dell'Ottocento la circolazione delle idee
andriane (di “freno vitalistico” al meccanicismo più sterile) si arena sulla
sponda di un “nuovo lido”: quel meccanicismo biologico che dell'anima e del
pensiero ha fatto solo un aggregato chimico di molecole. L'eco dell'appello di
Nicola Andria, così instancabilmente perpetrato, in ricerca come in didattica,
si perde; si perde alle soglie di una svolta importante, la stessa che avrebbe
prodotto la Grande Guerra, il delirio dei nazionalismi, la credenza che debba
sopravvivere il più abominevole degli uomini, dove “fortezza” vale
essenzialmente in-umanità, dis-umanità, non-umanità. «Il filosofo [...]
in tutto questo giro di cose, ravvisando le tracce della sapienza infinita di
un Dio, è obbligato ad esclamare: quanto ammirabili, o Signore, sono le opere
tue!» (B. Vulpes, in N. Andria, Elementi di Chimica Filosofica, 1813)
Opere Discorso politico sulla servitù, Napoli, D. Campo, (1769); Piano di un corso
di chimica pratica, Napoli, s. n. t., (1773); Trattato delle acque minerali',
Napoli, V. Manfredi, (1775, 1783); Lettera sull'aria fissa, Napoli, s. n. t.,
(1776); Elementi di Chimica Filosofica, Napoli, V. Manfredi, (1788, 1792, 1803,
1812, 1813, 1816); Elementi di Fisiologia, Napoli, V. Manfredi, (1788, 1801);
Materia Medica, Napoli, V. Manfredi, (1788, 1811, 1815, 1817); Elementi di
Medicina Teoretica, Napoli, V. Manfredi, (1788, 1814, 1817); Istituzioni di
Medicina Pratica, Napoli, V. Manfredi, (1790, 1807, 1812, 1816); Prospetto
generale dell'istituzione di agricoltura, in Elementi di Chimica Filosofica
(1803); Osservazioni generali sulla teoria della vita, Napoli, V. Manfredi,
(1804, 1805); Observations generales sur la théorie de la vie, Parigi, Giguet
et Michaud, (1805); Riflessioni su di un caso singolarissimo di gravidanza
fuori dell'utero, in Osservazioni generali sulla teoria della vita (1805), in
Elementi di Medicina (1814). Note ^ A partire da V. Cuoco, vari studi sono
stati editi a proposito della Rivoluzione napoletana del 1799, la quale diede
vita alla Repubblica partenopea, preparata dal triennio giacobino sin dal 1796.
^ Per l'internazionalità del suo pensiero si vedano gli studi di M. A. Duca in
Il pensiero scientifico di Nicola Andria, Massafra, A. Dellisanti, 2010, pp.
95-9 Bibliografia Melania Anna Duca, Il pensiero scientifico di Nicola Andria,
Antonio Dellisanti Editore, Massafra 2010 Melania Anna Duca, Nicola Andria:
Epistolario (1775-1794). Lettere a Canterzani, Haller e Spallanzani, Antonio
Dellisanti Editore, Massafra 2011 Melania Anna Duca, Nicola Andria et les
origines de la psychiatrie moderne. Une contribution historiographique, in
«Psychofenia», n. 23, 2010 Melania Anna Duca, Troubles de l'alimentation,
hypocondrie et mesmérisme en Nicola Andria, in «Psychofenia», n. 24, 2011 Altri
progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o
altri file su Niccolò Andria Collegamenti esterni Sito dedicato al medico e
filosofo Nicola Andria, su nicolaandria.it. URL consultato il 21 ottobre 2011
(archiviato dall'url originale il 15 maggio 2013). Felice Mondella, «ANDRIA
(D'Andria), Nicola», in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 3, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1961. Controllo di autoritàVIAF (EN)
17215086 · ISNI (EN) 0000 0001 1809 7240 · SBN IT\ICCU\SBLV\041611 · LCCN (EN)
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· WorldCat Identities (EN) lccn-n82205788 Biografie Portale Biografie Medicina
Portale Medicina Categorie: Medici italianiFilosofi italiani del XVIII
secoloFilosofi italiani del XIX secoloNati nel 1747Morti nel 1814Nati il 10
settembreMorti il 9 dicembreNati a MassafraMorti a Napoli[altre]
ANGELI Stefano degli Angeli Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Jump to navigationJump to search Abbozzo Questa voce sull'argomento matematici
italiani è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni
di Wikipedia. Problemata geometrica
sexaginta, 1658 Stefano degli Angeli (Venezia, 23 settembre 1623 – Padova, 11
ottobre 1697) è stato un matematico e filosofo italiano. Indice 1Biografia 2Opere 3Note 4Bibliografia
5Collegamenti esterni Biografia Frate dell'Ordine dei gesuati, nel 1668, con la
soppressione dell'Ordine voluta da papa Clemente IX divenne prete secolare[1].
Delfino e fedele allievo di Bonaventura Cavalieri, dal 1662 fino al 1697, anno
della sua morte, insegnò all'Università di Padova[1]. Fu l'unica voce
autorevole di fine Seicento che continuò a difendere la teoria degli infinitesimi,
in palese conflitto con i gesuiti. Dal
1654 al 1667 si dedicò allo studio della geometria, continuando le ricerche di
Cavalieri e di Evangelista Torricelli[1]. Passò quindi alla meccanica, su cui
spesso si trovò in conflitto con Giovanni Alfonso Borelli e con Giovanni
Riccioli[1]. Opere Stefano degli Angeli,
Della gravità dell'aria e fluidi, esercitata principalmente nei loro omogenei,
In Padoua, per Mattio Cadorin, 1671. URL consultato il 19 maggio 2015. (LA) Stefano
degli Angeli, Problemata geometrica sexaginta, Venetiis, apud Iohannem La Noù,
1658. URL consultato il 19 maggio 2015. (LA) Stefano degli Angeli, De
infinitorum spiralium spatiorum mensura, Venetijs, apud Ioannem La Noù, 1660.
URL consultato il 19 maggio 2015. (LA) Stefano degli Angeli, Accessionis ad
steriometriam, et mecanicam, pars prima, Venetijs, apud Ioannem La Noù, 1662.
URL consultato il 19 maggio 2015. (LA) Stefano degli Angeli, De infinitis
parabolis, de infinitisque solidis ex variis rotationibus ipsarum, partiumque
earundem genitis, Venetiis, apud Ioannem La Noù, 1659. URL consultato il 19
maggio 2015. (LA) Stefano degli Angeli, Miscellaneum geometricum, Venetijs,
apud Ioannem La Noù, 1660. URL consultato il 19 maggio 2015. Note Fonte: M. Gliozzi, Dizionario Biografico
degli Italiani, riferimenti in Bibliografia. Bibliografia Mario Gliozzi,
«ANGELI, Stefano degli», in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 3,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1961. Àngeli, Stefano degli, in
Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Amir
Alexander, Infinitamente piccoli. La teoria matematica alla base del mondo
moderno, Torino, Codice edizioni, 2015, p. 353. (EN) Kirsti Andersen,
"Cavalieri's method of indivisibles." Arch. Hist. Exact Sci. 31
(1985), no. 4, 291-367 Collegamenti esterni Stefano degli Angeli, su
Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata Stefano degli Angeli, in Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN)
Stefano degli Angeli, su MacTutor, University of St Andrews, Scotland. Modifica
su Wikidata Opere di Stefano degli Angeli / Stefano degli Angeli (altra
versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata Pietro Magrini,
Sulla vita e sulle opere del Padre Stefano degli Angeli matematico Veneziano
del sec. XVII memoria di Pietro Magrini, letta all'Ateneo Veneto 10 Luglio
1862: Estratta dal Giornale Arcadico; tomo 45 della nuova serie, Tip. delle
belle arti, 1866. Controllo di autoritàVIAF (EN) 18589555 · ISNI (EN) 0000 0003
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del XVII secoloFilosofi italiani del XVII secoloNati nel 1623Morti nel 1697Nati
il 23 settembreMorti l'11 ottobreNati a VeneziaMorti a Padova[altre]
ANGIULLI -- Andrea Angiulli Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
navigationJump to search Andrea Angiulli
Andrea Angiulli (Castellana, 12 febbraio 1837 – Napoli, 2 gennaio 1890) è stato
un filosofo e pedagogista italiano, importante esponente del positivismo
pedagogico italiano. Indice 1Biografia
2 Il pensiero
pedagogico 3 Opere
3.1 Filosofia
3.2 Pedagogia
4Curiosità 5Note 6Bibliografia 7Voci correlate 8Altri progetti 9Collegamenti
esterni Biografia Inizialmente allievo di Bertrando Spaventa, uno degli
interpreti del pensiero hegeliano in Italia, successivamente Angiulli si
allontanò dalla scuola hegeliana napoletana dopo un soggiorno biennale di studi
in Germania nonché in Francia e in Inghilterra, dove conobbe la sua futura
sposa: Mary della nobile famiglia dei Romano di Patù, nipote di Liborio
Romano[1]. Aderì al positivismo, ma rifiutò l'agnosticismo di Herbert Spencer,
mentre ritenne possibile giustificare la "religione dell'umanità" (di
Auguste Comte) in base alle scienze positive.[2] Iniziò la sua carriera d'insegnante di
filosofia nel liceo "Vittorio Emanuele" di Napoli[1]. In seguito
divenne professore di antropologia e pedagogia nell'università di Bologna
(1871-1876) e dal 1876 ordinario di pedagogia in quella di Napoli[1], dove fu
anche incaricato dell'insegnamento di etica e di filosofia teoretica[1]. Fu più volte assessore alla pubblica
istruzione nel Comune di Napoli dal 1884 e candidato senza successo al
parlamento nazionale. Angiulli era ritenuto un progressista vicino al
socialismo che egli invece contestava come dimostra la sua corrispondenza
epistolare con Marx che aveva avuto modo di conoscere in Germania. Massone, fu affiliato Maestro nella Loggia
Fede italica di Napoli il 7 febbraio 1889[3].
Il pensiero pedagogico Angiulli riteneva che ci si dovesse adoperare per
una riforma dell'istruzione in senso popolare e nazionale inserendo questo
progetto nell'ambito di un rinnovamento dell'intera società che solo tramite
l'educazione sarebbe riuscita a mantenere nel tempo le proprie caratteristiche.
Occorreva dunque una fusione fra cultura, sistemi educativi e la politica
sociale realizzando così il programma del pensiero positivista che, secondo
Angiulli, ha un valore soprattutto pedagogico, di una pedagogia scientifica,
secondo i dettami positivisti, ma anche letteraria e liberale. La pedagogia quindi non potrà non tener conto
dell'antropologia che dimostra l'importanza della famiglia come nucleo fondante
della società e della sociologia che stabilisce il collegamento tra educazione
e una politica laica e liberale. È nella
famiglia, secondo Angiulli, che avviene la prima forma di pedagogia dove il
padre rappresenta l'autorità e la madre il temperamento, tramite l'affetto, dei
comportamenti infantili: elementi questi essenziali destinati alla formazione
armonica di un cittadino in grado di esprimere solidarietà sociale e volontà di
progredire resistendo a quelle pressioni clericali che caratterizzavano i primi
anni della nascita dello stato unitario italiano.[4] Opere Filosofia La filosofia e la ricerca
positiva: quistioni di filosofia contemporanea (1868) Gli hegeliani e i
positivisti in Italia e altri scritti inediti, a cura di A. Savorelli (1992)
Pedagogia La pedagogia lo stato e la famiglia (1876) La filosofia e la scuola
(1888) Curiosità Al professore è stata intitolata, nel 1906, la Società
Ginnastica Angiulli di Bari. Note E.
Garin, Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in Bibliografia. ^
Andrea Angiulli, La filosofia e la ricerca positiva, Napoli, tip. Ghio, 1868,
pp. 97 e seg. e 150 e seg. ^ Vittorio Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori,
Erasmo ed., Roma, 2005, p. 15. ^ Luigi Volpicelli, La Pedagogia: storia e
problemi, maestri e metodi, sociologia e psicologia dell'educazione e
dell'insegnamento, ed. Piccin, 1982, p.168 e sgg. Bibliografia A. Espinas, La
Philosophie expérimentale en Italie. Origines-Etat actuel,Paris 1880, pp.
82-88. F. Alterocca, Sulla vita e sulle opere di A. A.,Milano 1890. G. A.
Colozza, A. A., in Diz. illustrato di Pedagogia, Milano 1891, I, pp. 31-40. G.
M. Ferrari, Il Liceo Vittorio Emanuele II di Napoli, all'esposizione universale
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Orestano, A. A., Roma 1907, (con bibliografia). G. Gentile, La filosofia in
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(1909), pp. 97-120 (e in "Le origini della filosofia contemporanea in
Italia", II, Messina 1921, pp. 123-53). G. Flores D'Arcais, Studi sul
positivismo pedagogico italiano, Padova 1953, passim. U. Spirito e F.
Valentini, Il pensiero pedagogico del positivismo, Firenze 1956, passim. R.
Tisato (a cura di), Positivismo pedagogico italiano, vol. II, Torino 1976, pp.
65-101. A. Savorelli, Positivismo a Napoli. La metafisica critica di A. A.,
Napoli 1990. G. Oldrini, Idealismo italiano tra Napoli e l'Europa, Milano 1998,
cap. VIII. M. Donzelli, Origini e declino del positivismo. Saggio su Auguste
Comte in Italia, Napoli 1999, pp. 141-177. G. U. Cavallera, A. A. e la
fondazione della pedagogia scientifica, Lecce 2008. Voci correlate Positivismo
Pedagogia Famiglia Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene
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Eugenio Garin, Andrea Angiulli, in Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Andrea
Angiulli, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Andrea Angiulli,
in L'Unificazione, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2011. Controllo di
autorità VIAF (EN) 50027273 ·
ISNI (EN) 0000 0001 2132 3894 · SBN IT\ICCU\LO1V\052729 · LCCN (EN) n92116512 ·
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Portale Filosofia Istruzione Portale Istruzione Categorie: Filosofi italiani
del XIX secoloPedagogisti italianiNati nel 1837Morti nel 1890Nati il 12
febbraioMorti il 2 gennaioNati a Castellana GrotteMorti a
NapoliMassoniProfessori dell'Università di BolognaProfessori dell'Università
degli Studi di Napoli Federico II[altre]
ANNUNZIO-D’ – to study thoroughly.
Grice: “I will call him a philosopher.”
ANTISERI Dario Antiseri Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
navigationJump to search Dario Antiseri
Dario Antiseri (Foligno, 9 gennaio 1940) è un filosofo e docente italiano. Indice 1 Biografia
2 Critiche
3 Opere
4 Note
5 Bibliografia
6 Voci
correlate 7 Altri
progetti 8 Collegamenti
esterni Biografia Originario della città umbra di Spello, si laurea in
filosofia nel 1963 presso l'Università di Perugia; ha poi proseguito i suoi
studi presso varie università europee sui temi legati alla logica matematica,
all'epistemologia ed alla filosofia del linguaggio. Divenuto libero docente nel 1968 ha iniziato
l'insegnamento presso l'Università "La Sapienza" di Roma e
l'Università di Siena. È inoltre membro dell'Advisory Board del Centro Studi
Tocqueville-Acton. Dal 1975 al 1986 è
stato ordinario di filosofia del linguaggio presso l'Università di Padova
mentre, dal 1986 al 2009, ha assunto la cattedra di "Metodologia delle
scienze sociali" alla LUISS di Roma per poi ricoprire l'incarico di
preside della Facoltà di Scienze politiche della stessa Università tra il 1994
ed il 1998. Nel febbraio del 2002 è stato insignito, assieme a Giovanni Reale,
di una laurea honoris causa presso l'Università Statale di Mosca. Collabora
stabilmente con il quotidiano Avvenire.
Dario Antiseri ha pubblicato testi didattici di filosofia oltre a testi
di divulgazione filosofica e di autori stranieri, in particolare ha contribuito
a far conoscere in Italia il pensiero di Karl Popper.[1][2][3] Critiche Il pensiero del professor Antiseri è
da tempo sottoposto a critiche sia all'interno della Chiesa sia all'interno del
mondo intellettuale liberale. A tal proposito sono interessanti le critiche
recentemente mosse al pensiero dell'intellettuale da Assuntina Morresi sul
giornale on-line L'occidentale[4] e l'articolo del 2005 su
"espressonline" di Sandro Magister in cui l'opera di Antiseri viene
definita "apologia del relativismo".[5] Altrettanto interessante è il commento al
relativismo di Antiseri apparso sul web nel blog di Fabrizio Falconi,[6] e
quello di Litta Modignani pubblicato sul sito Critica liberale. [7] Opere Perché la metafisica è necessaria per
la scienza e dannosa per la fede, Brescia, Queriniana, 1980, 2ª ed. aumentata
1991. ISBN 88-399-0623-1. Dario Antiseri e Nicola Alberto De Carlo. Epistemologia
e metodica della ricerca in psicologia, Padova, Liviana Editrice, 1987. ISBN
8876750371. Dario Antiseri et al., C'è ancora spazio per la fede?, Milano,
Rusconi Libri, 1992. ISBN 978-88-18-01088-6. Dario Antiseri e Ralf Dahrendorf.
Il filo della ragione, Roma, Donzelli, 1995. ISBN 88-7989-146-4. Liberi perché
fallibili, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1995. ISBN 88-7284-376-6. Trattato di
metodologia delle scienze sociali, UTET Università, 1996. ISBN 88-7750-498-6.
Carl Gustav Hempel e Dario Antiseri. Come lavora uno storico, Roma, Armando,
1997. ISBN 88-7144-074-9. Liberali. Quelli veri e quelli falsi, Soveria
Mannelli, Rubbettino, 1998. ISBN 88-7284-676-5. L'università italiana. Com'è e
come potrebbe essere, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998. ISBN 88-7284-685-4.
Dario Antiseri et al. Tre idee per un'Italia civile, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 1998. ISBN 88-7284-638-2. Credere dopo la filosofia del secolo XX,
Roma, Armando, 1999. ISBN 88-8358-006-0. Didattica della storia: epistemologia
contemporanea, Roma, Armando, 1999. ISBN 88-7144-926-6 Karl Popper, Soveria
Mannelli, Rubbettino, 1999. ISBN 88-7284-729-X. L'agonia dei partiti politici,
Soveria Mannelli, Rubbettino, 1999. ISBN 88-7284-821-0. Epistemologia e
didattica delle scienze, Roma, Armando, 2000. ISBN 88-7144-928-2. Dario
Antiseri e Mario Timio. La medicina basata sulle evidenze, Edizioni Memoria,
2000. ISBN 88-87373-24-8. La Vienna di Popper, Soveria Mannelli, Rubbettino,
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onore di Dario Antiseri nel suo 70º compleanno, Pensa Editore, Lecce 2010, pp.
23–43. Voci correlate Relativismo Altri progetti Collabora a Wikiquote
Wikiquote contiene citazioni di o su Dario Antiseri Collegamenti esterni Sito
ufficiale, su docenti.luiss.it. Modifica su Wikidata Dario Antiseri, su
Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata Dario Antiseri, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.
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Studi e Ricerche, su tocqueville-acton.org. Controllo di autorità VIAF (EN) 84496563 · ISNI
(EN) 0000 0001 0920 5182 · SBN IT\ICCU\CFIV\002949 · LCCN (EN) n50021305 · GND
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Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX
secoloFilosofi italiani del XXI secoloInsegnanti italiani del XX
secoloInsegnanti italiani del XXI secoloNati nel 1940Nati il 9 gennaioNati a
FolignoProfessori della Sapienza - Università di Roma[altre]
ANTONI Carlo
Antoni Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search
Carlo Antoni Carlo Antoni.jpeg Deputato della Consulta Nazionale del Regno
d'Italia Durata mandato 25
settembre 1945 – 24 giugno 1946 Incarichi parlamentari Segretario della
Commissione affari esteri (27 settembre 1945 – 24 giugno 1946) Sito
istituzionale Dati generali Titolo di studio Laurea
in Lettere e Filosofia Professione docente
universitario, filosofo, giornalista Carlo Antoni (Senosecchia, 15 agosto 1896
– Roma, 3 agosto 1959) è stato un filosofo, storico della filosofia e politico
italiano. Indice 1 Biografia
2 Opere
principali 3 Note
4 Bibliografia
5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Nato come Karlo Antonič[1][2], allievo di Benedetto Croce,
studiò soprattutto la cultura filosofica tedesca, dal Settecento al Novecento,
ritenendo di cogliere – nella sua opera più nota, La lotta contro la ragione –
le radici dell'idealismo e dell'irrazionalismo tedesco nella lotta combattuta
contro il razionalismo cartesiano dai movimenti politici svizzeri e dal
pietismo. Difese la filosofia dei distinti contro la concezione della
dialettica hegeliana degli opposti. Tenne la cattedra di Filosofia della
storia presso l'Università di Roma dal 1947 alla morte. La sua riflessione
speculativa si muove all'interno del paradigma crociano e il suo indirizzo
politico gioca al confine tra il liberalismo politico, il liberismo economico e
il socialismo moderato. Aderì al Partito Liberale Italiano, ma nel 1956 scelse
il Partito Radicale di Mario Pannunzio. Opere principali Per una più
completa bibliografia, si rinvia alla Bibliografia degli scritti di Carlo
Antoni, a cura di Franco Voltaggio, in Carlo Antoni, Storicismo e
antistoricismo, a cura di M. Biscione, 2ª ed., Napoli, Morano, 1972 [1964], pp.
231-248, ISBN non esistente. Carlo Antoni, Dallo storicismo alla
sociologia, Firenze, Sansoni, 1973 [1940], ISBN non esistente. Carlo Antoni, La
lotta contro la ragione, nuova edizione a cura di M. Biscione, Firenze,
Sansoni, 1968 [1942], ISBN non esistente. Carlo Antoni, Considerazioni su Hegel
e Marx, Napoli, Ricciardi, 1946, ISBN non esistente. Carlo Antoni, Commento a
Croce, 2ª ed., Venezia, Neri Pozza, 1964 [1955], ISBN non esistente. Carlo
Antoni, Lo storicismo, 2ª ed., Torino, Edizioni Rai Radiotelevisione Italiana,
1968 [1957], ISBN non esistente. Carlo Antoni, Gratitudine, Milano-Napoli,
Ricciardi, 1959, ISBN non esistente. Carlo Antoni, La restaurazione del diritto
di natura, Venezia, Neri Pozza, 1959, ISBN non esistente. Carlo Antoni, Chiose
all'estetica, a cura e con un saggio di A. Olivetti, Fiesole, Cadmo, 2002
[1960], ISBN 88-7923-267-3. Carlo Antoni, Storicismo e antistoricismo, a cura
di M. Biscione, 2ª ed., Napoli, Morano, 1972 [1964], ISBN non esistente. Carlo
Antoni, Scritti di estetica, a cura di M. Biscione, Napoli, Giannini, 1968,
ISBN non esistente. Carlo Antoni, L'esistenzialismo di Heidegger, a cura di M.
Biscione, Napoli, Guida, 1972, ISBN non esistente. Carlo Antoni, Lezioni su
Hegel (1949-1957), a cura e con una nota di M. Biscione, Napoli, Bibliopolis,
1988, ISBN 978-88-708-8186-8. Note ^ (SL) Historiografska divergenca:
razsvetljenska in historična paradigma (PDF), su
tajakramberger.files.wordpress.com. URL consultato il 24 agosto 2020. ^ (IT)
QUALESTORIA Rivista di storia contemporanea - 1 (PDF), su openstarts.units.it.
URL consultato il 25 agosto 2020. Bibliografia Carteggio Croce-Antoni, a cura
di M. Mustè, introduzione di G. Sasso, Bologna, Il Mulino, 1996, ISBN
88-15-05594-0. Gennaro Sasso, L'illusione della dialettica. Profilo di Carlo
Antoni, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1982, ISBN non esistente. Dario Quaglio,
Umanesimo liberale. Del giusnaturalismo di Carlo Antoni, Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 1987, ISBN non esistente. Francesco Mattei, La
dimensione etica tra storicismo e giusnaturalismo. Studio su Carlo Antoni,
Roma, Anicia, 1999 [1981], ISBN non esistente. Francesco Postorino, Carlo
Antoni. Un filosofo liberista, prefazione di S. Audier, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 2016, ISBN 978-88-498-4832-8. Michele Biscione, Antoni, Carlo, in
Dizionario biografico degli italiani, vol. 3, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana, 1961, pp. 507-509, ISBN non esistente. Altri progetti Collabora a
Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Carlo Antoni Collegamenti
esterni Carlo Antoni, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Carlo Antoni, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su
Wikidata Carlo Antoni, su storia.camera.it, Camera dei deputati. Modifica su
Wikidata Liberalismo e liberismo: Carlo Antoni tra Croce e “gli amici della
Mont Pélerin Society” di Raimondo Cubeddu, in Società Libera, sito
societalibera.it. La Biblioteca privata di Carlo Antoni, su Sapienza Università
di Roma. URL consultato il 2 agosto 2019. Controllo di autorità VIAF
(EN) 36954110 · ISNI (EN) 0000 0001 0856 6082 · SBN IT\ICCU\CFIV\092579 · LCCN
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Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloStorici della filosofia
italianiPolitici italiani del XX secoloNati nel 1896Morti nel 1959Nati il 15
agostoMorti il 3 agostoMorti a RomaDeputati della Consulta nazionaleNati a
DivacciaProfessori della Sapienza - Università di Roma[altre]
ANTONINI Antonini: Essential Italian philosopher.
Antonini (n. Viterbo), filosofo. Egidio da Viterbo Da Wikipedia, l'enciclopedia
libera. Jump to navigationJump to search «Sono gli uomini che devono essere
trasformati dalla religione, non la religione dagli uomini» (Egidio da
Viterbo, prolusione al Quinto Concilio Lateranense) Egidio Antonini da Viterbo,
O.E.S.A. cardinale di Santa Romana Chiesa Egidio 2.jpg Egidio da Viterbo,
affresco XVII secolo (part.), Sala Regia, Palazzo dei Priori, Viterbo Stemma
egidio.jpg Incarichi ricopertiPriore generale dell'Ordine di
Sant'Agostino (1507-1518) Cardinale presbitero di San Bartolomeo all'Isola
(1517) Cardinale presbitero di San Matteo in Merulana (1517-1530) Vescovo di
Viterbo e Tuscania (1523-1532) Patriarca titolare di Costantinopoli (1524-1530)
Cardinale presbitero di San Marcello (1530-1532) Amministratore apostolico di
Zara (1530-1532) Amministratore apostolico di Lanciano (1532) Nato 1469 a Viterbo
Ordinato presbiteroin data sconosciuta Nominato vescovo2 dicembre 1523 da papa
Clemente VII Consacrato vescovo10 gennaio 1524 dall'arcivescovo Gabriele
Mascioli Foschi, O.E.S.A. Elevato patriarca8 agosto 1524 da papa Clemente VII
Creato cardinale1º luglio 1517 da papa Leone X Deceduto12 novembre 1532 a
Roma Manuale Egidio Antonini da Viterbo, o semplicemente Egidio da
Viterbo (Viterbo, 1469 – Roma, 12 novembre 1532), è stato un umanista, filosofo
e cardinale italiano. Apparteneva all'Ordine degli Agostiniani.
Indice 1Biografia 2Filosofia, Ebraismo, Cabala 3Lo scrittore e l'oratore
4Genealogia episcopale 5Note 6Bibliografia 7Voci correlate 8Altri progetti 9Collegamenti
esterni Biografia Nacque a Viterbo, da Lorenzo Antonini e Maria del
Testa[1][2][3], in un giorno imprecisato tra l'estate e l'autunno del
1469[4]Pur essendo i genitori di origini modeste, fecero compiere ad Egidio
studi approfonditi presso il convento agostiniano viterbese della Santissima
Trinità. Forse influenzato dalla predicazione di Mariano da Genazzano, presente
a Viterbo nel 1485, tre anni dopo, nel 1488, all'éta di diciotto anni, entrò
nell'Ordine degli Agostiniani, presso il medesimo convento per esservi ordinato
sacerdote[5]. Sotto il priorato di Giovanni Parentezza, studiò filosofia,
teologia e lingue antiche (greco, ebraico, arabo, aramaico, persiano) e si
perfezionò, cominciando anche ad insegnare, presso le case del suo ordine ad Amelia,
Padova, Firenze, Roma, Viterbo ed in Istria. A Padova (1490-1493) incontrò più
volte Pico della Mirandola, con il quale discusse di astrologia e cabalismo,
ma, soprattutto, in quella città curò nel 1493 l'editio princeps di tre
commenti aristotelici di Egidio Romano[6], con notazioni contrarie ai
peripatetici e ad Averroè. Alcuni anni più tardi conobbe a Firenze l'umanista
Marsilio Ficino, di cui fu allievo e successivamente amico, e con il quale si
perfezionò notevolmente nello studio delle dottrine neoplatoniche, specialmente
in rapporto alla loro assoluta compatibilità con i principi del Cristianesimo.
Nella primavera del 1497 il cardinale Riario, protettore degli Agostiniani, che
aveva per lui grande stima, lo richiamò a Roma dove, dopo una duplice e
complessa prova, conseguì il magisterium in teologia. Oratore di
straordinaria efficacia, particolarmente apprezzato in quegli anni da papa
Alessandro VI[7], quindi dai suoi successori, paragonato da taluni a
Demostene[8], fu in contatto con i maggiori intellettuali del tempo; oltre alla
fitta corrispondenza con Marsilio Ficino, va ricordata la frequentazione che
ebbe a Napoli con Giovanni Pontano (che gli dedicò il dialogo Ægidius) e con
gli intellettuali della sua Accademia. Nel giugno 1506 papa Giulio II gli
affidò la guida dell'Ordine agostiniano come Vicario apostolico; l'anno
successivo (1507) il capitolo generale dell'Ordine lo confermò alla sua guida
come Priore Generale, incarico che mantenne per molti anni[9], durante i quali
riformò profondamente l'Ordine stesso, riportandolo agli antichi fasti con il
pieno recupero della regola di S.Agostino. Durante quegli anni fu uno dei più
stretti collaboratori di Giulio II, che accompagnò nella sua missione contro
Bologna e dal quale fu inviato come nunzio apostolico a Venezia e Napoli per
ottenere l'adesione di quegli stati alla crociata progettata dal pontefice:
venne anche inviato nella città ribelle di Perugia e ad Urbino. Il 3 maggio
1512 il papa gli conferì il prestigioso incarico di tenere l'orazione
inaugurale del Quinto Concilio Lateranense: Egidio pronunciò così una celebre,
accorata allocuzione in cui parlò con determinata onestà dei mali della Chiesa,
suscitando viva emozione nei presenti, molti dei quali lodarono lo stampo
ciceroniano dell'orazione[10]. Morto nel febbraio 1513 Giulio II, anche
il suo successore Leone X - appartenente alla potente famiglia fiorentina dei
Medici - continuò la stretta collaborazione con Egidio, che impiegò in
importanti missioni diplomatiche, come quella del 1516 in Germania, quando
ottenne una difficile pacificazione tra Massimiliano I e la Repubblica di
Venezia. Il papa innalzò Egidio alla dignità cardinalizia nel concistoro del 1º
luglio 1517 creandolo cardinale prete con titolo di San Bartolomeo all'Isola;
quasi subito il porporato viterbese optò per il titolo di San Matteo in
Merulana, antica chiesa agostiniana; molti anni più tardi, poco prima di
morire, avrebbe infine optato per il titolo di San Marcello. Nel 1518 Leone X
lo nominò cardinale protettore dell'Ordine degli Eremitani di Sant'Agostino e,
nello stesso anno, lo inviò come legato pontificio in Spagna per una complessa
missione nella quale avrebbe dovuto impegnare Carlo V alla crociata contro i
turchi. In quel periodo fu anche governatore di diverse città dello Stato
Pontificio. Occorre altresì ricordare come il 31 ottobre 1517, a meno di
quattro mesi dalla sua nomina a cardinale e quando Egidio era ancora Priore
Generale degli Agostiniani, un monaco agostiniano tedesco, Martin Lutero,
affisse sulle porte della Schlosskirche di Wittenberg le notissime 95 tesi che
avrebbero dato inizio alla riforma protestante. Dopo la scomparsa di
Leone X (1º dicembre 1521) ed il breve pontificato di Adriano VI, il 18
novembre 1523 fu eletto papa, con l'appoggio di Egidio, un altro Medici,
Clemente VII, che, pochi giorni dopo l'elezione, il 2 dicembre, conferì al
cardinale viterbese la nomina a vescovo proprio della diocesi di Viterbo:
l'anno successivo Egidio venne nominato patriarca latino di Costantinopoli e
amministratore apostolico dell'arcidiocesi di Zara. Purtroppo in quegli anni le
indecisioni e gli errori politici di Clemente VII crearono problemi gravissimi
al governo della Chiesa: il papa finì per schierarsi con i francesi, ma prima
la sconfitta di Francesco I a Pavia (1525), poi le incertezze della lega di
Cognac aprirono le porte alla discesa in Italia di Carlo V con i suoi
lanzichenecchi, culminata nel terribile Sacco di Roma (1527), durante il quale
venne distrutta -tra l'altro- tutta la ricchissima biblioteca di Egidio nel
Convento di Sant'Agostino. Il porporato si trovava allora nelle Marche e, per
soccorrere il papa, assediato in Castel Sant'Angelo, organizzò -impiegando
anche il proprio denaro- una spedizione armata, che non ebbe però fortuna per i
molti ostacoli frapposti dai signori locali[11]. Dopo quei dolorosi momenti la
salute di Egidio andò peggiorando: questo fatto non gli impedì, peraltro, di
tenere, durante il concistoro pubblico del novembre 1530, una famosa ed
appassionata orazione sulla necessità di riformare la Chiesa dopo lo scisma
luterano. Clemente VII dichiarò la sua disponibilità, ma sarà solo il suo
successore, Paolo III, conterraneo di Egidio[12], a convocare l'importante
Concilio di Trento, che segnerà, con la controriforma, la prima importante
reazione della Chiesa al protestantesimo. Poco prima di morire il cardinale fu
nominato arcivescovo di Lanciano (10 aprile 1532); amministrò la diocesi
lancianese a titolo di commenda per sette mesi, fino alla morte. Morì a
Roma il 12 novembre 1532 e venne sepolto nella chiesa di Sant'Agostino, dove lo
ricorda una semplicissima lapide sul pavimento della navata centrale, a cornu
evangelii rispetto all'altar maggiore[13]. Filosofia, Ebraismo,
Cabala Egidio da Viterbo - partic. di affresco XVIII secolo, Sala del
Cenacolo, Convento Santissima Trinità, Viterbo Egidio deve certamente essere
considerato uno dei maggiori filosofi di quei secoli. Il suo primo impegno
importante fu quando, studente a Padova, curò nel 1493 la pubblicazione con
commento di tre opere del filosofo e vescovo agostiniano Egidio Romano, vissuto
tra il XIII ed il XIV secolo: elaborò così un'autentica avversione nei
confronti della filosofia di Aristotele e dell'averroismo, contro i quali
ritenne che l'unico possibile antidoto fosse, specie dopo l'incontro con
Marsilio Ficino ed in perfetta armonia con Sant'Agostino, il neoplatonismo,
inteso come «pia philosophia», cioè nella sua piena compatibilità con i valori
cristiani. Uomo dottissimo, volle leggere tutte le opere che studiava nelle
lingue originali in cui erano state scritte, per meglio comprenderne il vero
significato: acquisì in tal modo una straordinaria conoscenza, oltre che del
latino e del greco antico di cui aveva padronanza assoluta, dell'aramaico, per
il Talmud e varie parti della Bibbia, dell'arabo, per il Corano e le opere di
Averroè, e dell'ebraico, per la Torah. Ebbe nel 1516 una fitta corrispondenza
con l'umanista tedesco Johannes Reuchlin, finissimo conoscitore dell'ebraismo,
con il quale si intrattenne a lungo sia su temi relativi all'Antico Testamento
sia sulla cabala (in ebraico Qaballáh), argomento da lui già affrontato con
Pico della Mirandola, che trattava dei misteriosi simbolismi, parte dei quali
nascosti nei numeri e nelle lettere stesse dell'alfabeto ebraico, che potevano
avvicinare l'uomo a Dio. Le problematiche della letteratura ebraica e della
cabala occuparono gran parte dei suoi ultimi anni di vita, quando tentò
ripetutamente di ricondurre in ambito cristiano tutte le altre culture,
dedicandosi in particolare ad approfonditi studi e ricerche sullo Zohar.
Lo scrittore e l'oratore Raffaello:La disputa del Sacramento (affresco,
Roma, Stanze Vaticane) Egidio da Viterbo in preghiera, particolare di
pala d'altare, 1537, chiesa Santissima Trinità, Viterbo Rimane ben poco della
cospicua produzione letteraria di Egidio, sia a causa della perdita della sua
biblioteca durante il Sacco di Roma (1527), sia perché lui stesso, per
modestia, non volle dare alle stampe molte delle sue opere. Nei suoi scritti,
la maggior parte dei quali in lingua latina, trattò quasi tutti i campi del
sapere umano, dalla filosofia alla letteratura, dall'astrologia alla storia,
dalla poesia alla geografia, dalla teologia all'arte: a quest'ultimo proposito
si ritiene che il programma iconografico per gli affreschi di Raffaello della
Disputa del Sacramento e della Scuola di Atene nella Stanza della Segnatura sia
stato largamente ispirato dalla sua opera, con la probabile mediazione di
Tommaso Fedra Inghirami[14]. Da notare come Egidio, per scrivere, preferisse di
solito ritirarsi in luoghi tranquilli, come l'Eremo di Lecceto, presso Siena, o
la sua città natale, Viterbo, o, ancora più spesso, due rifugi nei dintorni di
quest'ultima: un Convento nell'Isola Martana, sul Lago di Bolsena, ed un Eremo
nella selva del Monte Cimino. Tra i suoi lavori meritano comunque menzione tre
ecloghe latine di stampo virgiliano (Paramellus et Aegon,in Resurrectione
Domini e De Ortu Domini, del 1504), sei madrigali dedicati a Vittoria Colonna
(circa 1500) ed una favola silvestre dello stesso periodo (Cyminia, in volgare,
andata perduta); la sua maggiore opera filosofica, peraltro incompiuta, è
costituita dai Commentaria sententiarum ad mentem et animum Platonis,
brevemente detta Sententiae ad mentem Platonis[15], iniziata nel primo decennio
del XVI secolo, in cui sono presenti tutti i temi tipici del pensiero egidiano,
dall'ostilità all'aristotelismo alla necessità di sostituirlo, in campo
teologico, con il platonismo; non mancano riflessioni tipicamente agostiniane
sulla Trinità, l'anima e la dignità umana. Il lavoro storico di maggior
interesse è la Historia XX saeculorum per totidem psalmos conscripta, redatta
tra il 1513 ed il 1518 e di cui vi sono almeno quattro codici[16]. A
quest'opera, nella quale Egidio racconta le vicende della Storia della Chiesa
da Alessandro VI a Leone X, attinsero a piene mani vari storici, da Gregorovius
a Pastor, anche se il loro giudizio complessivo sulla Historia del cardinale
viterbese è perplesso, se non addirittura negativo[17]. Tra le sue opere
letterarie meritano anche menzione il Libellus de litteris sanctis (1517), sul
significato recondito delle lettere dell'alfabeto ebraico, e la Scechina (circa
1530), che guarda in ottica cristiana tutta la letteratura cabalistica.
Il campo nel quale Egidio riuscì comunque a dare il meglio è quello della
retorica, divenendo uno dei migliori oratori di quei decenni, forse il migliore
in assoluto, con giudizi sempre entusiastici da parte di tutti quelli che
ebbero modo di ascoltarlo: in realtà egli era veramente dotato di un'eloquenza
drammaticamente coinvolgente, capace di suscitare grandi emozioni negli
uditori, sia che fossero ricchi principi, sia che si trattasse di poveri
popolani; lo aiutava probabilmente lo stesso aspetto fisico, ascetico, con il
viso pallido e scavato e la barba fluente[18]. Tra le orazioni conservate vanno
ricordate: quella del 1497, nel certamen che lo vide trionfare su tre oratori
peripatetici e conseguire il magisterium; la De aurea aetate (o De Ecclesiae
incremento), tenuta in San Pietro il 21 dicembre 1506 su incarico di Giulio II
per onorare re Manuele I del Portogallo che aveva scoperto nuove terre e
riportato una grande vittoria navale, lavoro dottissimo e ricco di riferimenti
cabalistici[19]; l'orazione inaugurale (3 maggio 1512) del Quinto Concilio
Lateranense - grande onore concessogli dal papa - che provocò indicibile
emozione negli astanti e fece definire l'agostiniano viterbese il Cicerone
cristiano[20]; è in quest'ultima orazione la celebre sentenza di Egidio: Sono
gli uomini che devono essere trasformati dalla religione, non la religione
dagli uomini[21]. Va infine ricordata l'orazione del novembre 1530, tenuta in
occasione di un concistoro, sulla necessità di riformare la Chiesa, che viene
da molti considerata come il vero preludio al celebre Concilio di Trento,
convocato nel 1545 da Paolo III. Genealogia episcopale Arcivescovo
Gabriele Mascioli Foschi, O.E.S.A. Cardinale Egidio Antonini da Viterbo,
O.E.S.A. Note ^ Notizie molto precise sul suo luogo di nascita e sul suo esatto
cognome sono reperibili nel lavoro di Giuseppe Signorelli, Il cardinale Egidio
da Viterbo etc.,Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1929. L'opera dello
storico viterbese, con una ricchissima documentazione bibliografica, costituisce
un indispensabile fondamento monografico per lo studio di questo porporato; in
particolare Signorelli precisa, con riferimento a numerosi manoscritti, perché
debba essere ritenuta Viterbo la città natale di Egidio ed in base a quali
errori diversi storici abbiano, sbagliando, ritenuto Canisio il suo cognome:il
cognome esatto è Antonini. ^ Quanto sostenuto dal Signorelli è pienamente
confermato da G.Ernst,Egidio da Viterbo, in Dizionario Biografico degli
Italiani, Treccani, 1993, in quella che è probabilmente la più completa
monografia su Egidio reperibile on-line, con notevole bibliografia. ^ Pur
essendo acclarato il cognome Antonini, appare peraltro corretto chiamarlo
semplicemente EGIDIO da VITERBO: Ægidius Viterbiensis o Viterbii è il nome con
cui viene indicato nella bolla papale di nomina cardinalizia relativa al
concistoro del 1517, è il nome che compare nelle bolle da lui sottoscritte ed
è, infine, il semplice nome che compare sulla sua lapide sepolcrale nella
Chiesa di S. Agostino in Roma; sempre Egidio da Viterbo sono intitolate le
principali monografie a lui dedicate da Signorelli, Ernst, Massa, O'Malley
ecc.. Va infine ricordato come lo stesso Comune di Viterbo abbia chiamato Via
Egidio da Viterbo la strada a lui dedicata parecchi anni fa nel centro storico
cittadino e con la medesima intitolazione Egidio da Viterbo vi siano altre
istituzioni viterbesi. ^ L'epoca della nascita è indicata ancora dal Signorelli
(op.cit.), che cita vari documenti del periodo. ^ Si veda in proposito Lettera
a Mannio Capenati, agosto 1504 citata in: Francis X. Martin, Friar..., cit.,
Appendice III, pag. 346 ^ De materia coeli; De intellectu possibili; Egidii
Romani commentaria in VIII libros Physicorum Aristotelis ^ Egidio non ricambiò
mai la simpatia di papa Borgia, anzi il suo giudizio sul pontificato di
Alessandro VI fu terribile, con parole di inusitata durezza; si veda Cesare
Pinzi, Storia della Città di Viterbo, vol.IV,lib.XVI,pag.394,Viterbo,
Agnesotti, 1913. ^ Lo dice espressamente il Signorelli, op. cit., capo II, pag
5. ^ Per la precisione fino al 25 febbraio 1518, giorno in cui depose
l'incarico davanti al Capitolo generale dell'Ordine, consegnandolo nelle mani
dell'amico Gabriele Di Volta, nominato due giorni prima con breve di Leone X
proprio su proposta di Egidio; v. G. Signorelli, op. cit., Capo VI, pag. 68. ^
Lo sottolinea bene Ernst (op.cit.). ^ L'episodio che vide Egidio alla testa di
un esercito è ricordato in un intero capitolo (Da Vescovo a Duce) nella
monografia del Signorelli, op.cit., capo VIII. ^ Papa Paolo III, era nato come
Alessandro Farnese nella cittadina di Canino, situata ad una trentina di
chilometri da Viterbo. ^ La lapide, fatta collocare dal Priore Generale
Gabriele Veneto nel 1536, reca la seguente iscrizione: D.O.M. - AEGIDIO VITERBIENSI
CARDINALI - GABRIEL VENETUS GENERALIS P. MDXXXVI (v.S.Vismara,Una grande figura
religiosa del Rinascimento:Egidio da Viterbo su Biblioteca e società in
http://www.bibliotecaviterbo.it/biblioteca-e-societa/index.php?fasc=12 ; il
volumetto contiene gli Atti di un interessante Convegno di studi su Egidio da
Viterbo , nel 450º anniversario della morte). Occorre notare come la lapide
originale, praticamente distrutta dal tempo, sia stata sostituita nel 1982 , a
cura dell'Ist. Stor. Agostiniano con una nuova lapide che riporta,
integralmente, l'iscrizione del 1536. ^ Il background intellettuale e la
relativa fonte egidiana dei due affreschi della Stanza della Segnatura sono
stati promossi dallo storico gesuita Pfeiffer (Heinrich Pfeiffer, Die Predig
des Egidio da Viterbo über das goldene Zeitalter und die Stanza della
Segnatura, in: J. A. Schmoll gen. Eisenwerth, Marcell Restle, Herbert Weiermann
(a cura di), Festschrift Luitpold Dussler, Monaco-Berlino, Deutscher
Kunstverlag, 1972, pagg. 237-254; Id., La Stanza della Segnatura sullo sfondo
delle idee di Egidio da Viterbo, Colloqui del Sodalizio, serie II, n°3,
1970-1972, pagg. 31-43; Id., Zur Ikonographie von Raffaels Disputa : Egidio da
Viterbo und die christlich-platonische Konzeption der Stanza della Segnatura,
Roma, Università Gregoriana Editrice, 1975) ripreso da Ernst, op.cit., e da
G.Polo, Egidio da Viterbo e Raffaello, in Biblioteca e Società, cit., pagg.
21-22. Il ruolo di Fedra Inghirami quale mediatore tra Egidio e Raffaello è
stato inizialmente ipotizzato da Paul Künzle, Raffaels Denkmal für Fedra
Inghirami auf dem letzen Arazzo, in: Mélanges Eugène Tisserant, vol. VI, Città
del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1964, pagg. 499-548 e si ritrova
in: Christiane L. Joost-Gaugier, Raphael's Stanza della Segnatura: Meaning and
Invention, Cambridge, Cambridge University Press, 2002. Per una sintesi si
veda: Ingrid D. Rowland, The Intellectual Background of the School of Athens:
Tracking Divine Wisdom in the Rome of Julius II, in: Marcia Hall (ed.), Raphael's
School of Athens, Cambridge, Cambridge University Press, 1997, pagg. 131-170,
spec. pagg. 147-8 e 158-9 ^ Biblioteca apostolica vaticana, Ms Vat.lat. 6525 ^
Il più autorevole di questi manoscritti è certamente quello autografo esistente
presso la Biblioteca Nazionale di Napoli (Mss.lat.,IX,B,14). ^ Tutti i giudizi
degli storici sono ben riportati dal Signorelli, op.cit., capo XI,pag.112. ^
Riprendendo il Signorelli, descrive bene le sue grandi doti oratorie Sandro
Vismara, Biblioteca e società, giugno 1982, ATTI del
Convegno...,op.cit.,pag.11. ^ Proprio a questa orazione si sarebbe ispirato
Raffaello per due affreschi della Stanza della Segnatura, cioè la Disputa del
Sacramento e la Scuola di Atene (v.Pfeiffer e Polo, opp.citt..) ^
S.Vismara,op.cit.. ^ Il testo latino recita letteralmente: Homines per sacra
immutari fas est, non sacra per homines. Bibliografia Egidio da Viterbo,
"Ecloghe", Jacopo Rubini (a cura di), Sette Città, 2016. Rafael
Lazcano, Episcopologio agustiniano. Agustiniana. Guadarrama (Madrid), 2014,
vol. I, pagg. 227-260. Hubert Jedin, Riforma Cattolica o Controriforma,
Morcelliana, Brescia, 1957 Francis X. Martin, The problem of Giles of Viterbo:
a Historiographical Survey, "Augustiniana", vol. IX, 1959, pagg.
357-379; vol. X, 1960, pagg. 43-60. Francis X. Martin, Friar, Reformer, and
Renaissance Scholar: Life and Work of Giles of Viterbo 1469-1532, Villanova,
Augustinian Press, 1992 ISBN 978-0941491501 John W. O'Malley, Giles of Viterbo
on Church and Reform: a Study on Renaissance Thought, Leiden, Brill, 1968
Heinrich Pfeiffer, Le Sententiae ad mentem Platonis e due prediche di Egidio da
Viterbo, in: Marcello Fagiolo (a cura di), Roma e l'antico nell'arte e nella
cultura del Cinquecento, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1985,
pagg. 33-40 Cesare Pinzi, Storia della Città di Viterbo, vol. IV, Agnesotti,
Viterbo, 1913 François Secret, Notes sur Egidio da Viterbo,
"Augustiniana", vol. XV, 1965, pagg. 68-72 Giuseppe Signorelli, Il
cardinale Egidio da Viterbo agostiniano, umanista e riformatore, Libreria
Editrice Fiorentina, Firenze, 1929 Voci correlate Viterbo Ordine di
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on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Egidio da
Viterbo, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
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fiu.edu – The Cardinals of the Holy Roman Church, Florida International
University. URL consultato il 29 settembre 2019. Articolo della rivista
Theological Studies (O'Malley, 1967) dedicato al pensiero riformistico di
Egidio da Viterbo (PDF), su bc.edu. PredecessorePriore generale dell'Ordine di
Sant'AgostinoSuccessore13.escudo.oar.png Agostino da Terni, O.E.S.A20 marzo 1507
- 1º febbraio 1518Gabriele da Venezia, O.E.S.APredecessoreCardinale presbitero
di San Bartolomeo all'IsolaSuccessoreCardinalCoA PioM.svg -6 luglio - 10 luglio
1517Domenico GiacobazziPredecessoreCardinale presbitero di San Matteo in
MerulanaSuccessoreCardinalCoA PioM.svg Cristoforo Numai, O.F.M.Obs.10 luglio
1517 - 9 maggio 1530Charles de Hémard de DenonvillePredecessoreVescovo di
Viterbo e TuscaniaSuccessoreBishopCoA PioM.svg Ottaviano Riario2 dicembre 1523
- 12 novembre 1532Niccolò Ridolfi (amministratore
apostolico)PredecessorePatriarca titolare di
CostantinopoliSuccessorePrimateNonCardinal PioM.svg Marco Corner8 agosto 1524 -
19 dicembre 1530Francesco de Pisauro PredecessoreCardinale
presbitero di San MarcelloSuccessoreCardinalCoA PioM.svg Enrique Cardona y
Enríquez9 maggio 1530 - 12 novembre 1532Marino
GrimaniPredecessoreAmministratore apostolico di ZaraSuccessoreArchbishopPallium
PioM.svg Francesco Pesaro (arcivescovo metropolita)19 dicembre 1530 - 19
novembre 1532Cornelio Pesaro (arcivescovo metropolita)PredecessoreAmministratore
apostolico di LancianoSuccessoreBishopCoA PioM.svg Angelo Maccafani (vescovo)10
aprile - 12 novembre 1532Michele Fortini, O.P. (vescovo)Controllo di
autoritàVIAF (EN) 62342111 · ISNI (EN) 0000 0001 2096 2635 · SBN IT\ICCU\CFIV\047185
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Cattolicesimo Categorie: Umanisti italianiFilosofi italiani del XVI
secoloCardinali italiani del XVI secoloNati nel 1469Morti nel 1532Morti il 12
novembreNati a ViterboMorti a RomaAgostiniani italianiCabalisti
italianiCardinali nominati da Leone XPatriarchi latini di CostantinopoliEbraisti
italiani[altre]
anaxagoras: Grecian and
pre-Griceian philosopher who was the first of the pre-Socratics to teach in
Athens, where he influenced leading intellectuals such as Pericles and
Euripides. He left Athens when he was prosecuted for impiety. Writing in
response to Parmenides, he elaborated a theory of matter according to which
nothing comes into being or perishes. The ultimate realities are stuffs such as
water and earth, flesh and bone, but so are contraries such as hot and cold,
likewise treated as stuffs. Every phenomenal substance has a portion of every
elemental stuff, and there are no minimal parts of anything, but matter takes
on the phenomenal properties of whatever predominates in the mixture.
Anaxagoras posits an indefinite number of elemental stuffs, in contrast to his
contemporary Empedocles, who requires only four elements; but Anaxagoras
follows Parmenides more rigorously, allowing no properties or substances to
emerge that were not already present in the cosmos as its constituents. Thus
there is no ultimate gap between appearance and reality: everything we perceive
is real. In Anaxagoras’s cosmogony, an initial chaos of complete mixture gives
way to an ordered world when noûs mind begins a vortex motion that separates
cosmic masses of ether the bright upper air, air, water, and earth. Mind is
finer than the stuffs and is found in living things, but it does not mix with
stuffs. Anaxagoras’s theory of mind provides the first hint of a mindmatter
dualism. Plato and Aristotle thought his assigning a cosmic role to mind made
him sound like “a sober man” among his contemporaries, but they were
disappointed that he did not exploit his idea to provide teleological explanations
of natural phenomena.
anaximander:: Grecian and
pre-Griceian philosopher and cosmologist, reputedly the student and successor
of Thales in the Milesian school. He described the cosmos as originating from
apeiron the boundless by a process of separating off; a disk-shaped earth was
formed, surrounded by concentric heavenly rings of fire enclosed in air. At
“breathing holes” in the air we see jets of fire, which are the stars, moon,
and sun. The earth stays in place because there is no reason for it to tend one
way or another. The seasons arise from alternating periods where hot and dry or
wet and anaphor Anaximander 28 4065A-
28 cold powers predominate, governed by a temporal process figuratively
portrayed as the judgment of Time. Anaximander drew a map of the world and
explained winds, rain, and lightning by naturalistic hypotheses. He also
described the emergence of life in a way that prefigures the theory of
evolution. Anaximander’s interest in cosmology and cosmogony and his brilliant
conjectures set the major questions for later preSocratics.
anaximenes: of Miletus:
Grecian and pre-Griceian philosopher, a
pre-Socratic who, following in the tradition of the Milesians Thales and
Anaximander, speculated about cosmology and meteorology. The source arche of
the cosmos is air aer, originally mist, which by a process of rarefaction
becomes fire, and by a process of condensation becomes wind, clouds, water,
earth, and stones. Air is divine and causes life. The earth is flat and rides
on a cushion of air, while a heavenly firmament revolves about it like a felt
cap. Anaximenes also explained meteorological phenomena and earthquakes.
Although less innovative than his predecessor Anaximander, he made progress in
naturalistic explanations by appealing to a quantitative process of rarefaction
and condensation rather than to mythical processes involving quasi-personal
agents.
ancestry: Studied by H. P.
Grice. Of a given relation R, the relation also called the transitive closure
of R that relates one given individual to a second if and only if the first can
be “reached” from the second by repeated “applications” of the given relation
R. The “ancestor” relation is the ancestral of the parent relation since one
person is an ancestor of a second if the first is a parent of the second or the
first is a parent of a parent of the second or the first is a parent of a
parent of a parent of the second, and so on. Frege discovered a simple method
of giving a materially adequate and formally correct definition of the
ancestral of a given relation in terms of the relation itself plus logical
concepts. This method is informally illustrated as follows. In order for one
person A to be an ancestor of a second person B it is necessary and sufficient
for A to have every property that belongs to every parent of B and that belongs
to every parent of any person to whom it belongs. This and other similar
methods made possible the reduction of all numerical concepts to those of zero
and successor, which Frege then attempted to reduce to concepts of pure logic.
Frege’s definition of the ancestral has become a paradigm in modern analytic
philosophy as well as a historical benchmark of the watershed between
traditional logic and modern logic. It demonstrates the exactness of modern
logical analysis and, in comparison, the narrowness of traditional logic.
andronicus: Grecian
philosopher, a leading member of the Lyceum who was largely responsible for
establishing the canon of Aristotle’s works still read today. He also edited
the works of Theophrastus. At the time, Aristotle was known primarily for his
philosophical dialogues, only fragments of which now survive; his more
methodical treatises had stopped circulating soon after his death. By producing
the first systematic edition of Aristotle’s corpus, Andronicus revived study of
the treatises, and the resulting critical debates dramatically affected the
course of philosophy. Little is recorded about Andronicus’s labors; but besides
editing the texts and discussing titles, arrangement, and authenticity, he
sought to explicate and assess Aristotle’s thought. In so doing, he and his
colleagues initiated the exegetical tradition of Aristotelian commentaries.
Nothing he wrote survives; a summary account of emotions formerly ascribed to
him is spurious.
angst: Grice discusses
this as an ‘implicatural emotion.’ G. term for a special form of anxiety, an
emotion seen by existentialists as both constituting and revealing the human
condition. Angst plays a key role in the writings of Heidegger, whose concept
is closely related to Kierkegaard’s angest and Sartre’s angoisse. The concept
is first treated in this distinctive way in Kierkegaard’s The Concept of
Anxiety 1844, where anxiety is described as “the dizziness of freedom.” Anxiety
here represents freedom’s self-awareness; it is the psychological precondition
for the individual’s attempt to become autonomous, a possibility that is seen
as both alluring and disturbing.
ANIMA, ANIMATVM -- animatum
-- animal:
pirotese. Durrell’s Family Conversations. Durrelly’s
family conversation.
When H. P. Grice was presented with
an ‘overview’ of his oeuvre for PGRICE (Grandy and Warner, 1986), he soon found
out. “There’s something missing.” Indeed, there is a very infamous objection,
Grice thought, which is not mentioned by ‘Richards,’ as he abbreviates Richard
Grandy and Richard Warner’s majestically plural ‘overview,’ which seems to
Grice to be one to which Grice must respond. And he shall! The objection Grice
states as follows. One of the leading strands in Grice’s reductive analysis of
the circumstances or scenario in which an emissor (E) communicates that p is
that the scenario, call it “C,” is not to be regarded exclusively, “or even
primarily,” as a ‘feature’ of an E that is using what philosophers of language (since
Plato’s “Cratylus”) have been calling ‘language’ (glossa, la lingua latina, la
lingua italiana, la langue française, the English tongue, de nederlands taal,
die Deutsche Sprache, etc.). The emissum (e) may be an ‘utterance’ which is not
‘linguistic.’ Grice finds the issue crucial after discussing the topic with his
colleague at Berkeley, Davidson. For Davidson reminds Grice: “[t]here is no such
thing as a language, not if a language is anything like what many philosophers […]
have supposed” (Davidson, 1986: 174). “I’m happy you say ‘many,’ Davidson,”
Grice commented. Grice continues formulating what he
obviously found to be an insidious, fastidious, objection. There are many
instances of “NOTABLY NON-‘linguistic’” vehicles or devices of communication,
within a communication-system, even a one-off system, which fulfil this or that
communication-function. I am using ‘communication-function’ alla Grice (1961:138,
repr. 1989:235).
These vehicles or devices are mostly
syntactically un-structured or amorphous – Grice’s favourite example being a
‘sort of hand-wave’ meaning that it is not the case that the emissor knows the
route or that the emissor is about to leave his addressee (1967:VI, repr. 1989:126).
Sometimes,
a device may exhibit at least “some rudimentary syntactic” structure – as Grice
puts it, giving a nod to Morris’s tripartite semiotics -- in that we may perhaps
distinguish and identify a ‘totum’ or complexum (say, Plato’s ‘logos’) from a
pars or simplex (say, Plato’s ‘onoma’ and ‘rhema’). Grice’s intention-based
reductive analysis of a communicatum, based on Aristotle, Locke, and Peirce, is
designed, indeed its very raison d'être being, to allow for the possibility that a non-“linguistic,” and,
further, indeed a non-“conventional” 'utterance,’ perhaps unrepeatable token,
not even manifesting any degree of syntactic structure, but a block of an
amorphous signal, be within the ‘repertoire’ of ‘procedures,’ perhaps
unrepeatable ones, of this or that organism, or creature, or agent, even if not
relying on any apparatus for communication of the kind that that we may label
‘linguistic’ or otherwise ‘conventional,’ will count as an emissor E ‘doing’
this or that ‘thing,’ thereby ‘communicating’ that p. To provide for this
conceptual scenario, it is plainly necessary, Grice grants, that the key
ingredient in any representation or conceptualization, or reductive analysis of
‘communicating,’ viz. intending that p, for Grice, should be a ‘state’ of the
emissor’s “soul” (Grice is translating Grecian ψυχή the capacity for which does not require what we may label
the ‘possession’ of, shall we say, ‘faculty,’ of what philosophers since
Cratylus have been calling ‘γλῶσσα Ἑλληνίδα,’ ‘lingua latina,’ ‘lingua italiana,’
‘langue française,’ ‘English tongue,’ ‘Nederlands taal,’ ‘die Deutsche
Sprache.’ (Grice always congratulated Kant for
never distinguishing between ‘die Deutsche Sprache’ and ‘Sprache’ as ‘eine
Fakultät.’).
Now a philosopher, relying on this
or that neo-Prichardian reductive analysis of ‘intending that p,’ (Oxonian
Grice will quote Oxonian if he can) may not be willing to allow the possibility
of such, shall we grant, pre-linguistic intending that p, or non-linguistic
intending that p. Surely, if the emissor E realizes that his addressee or
recipient R does not ‘share’ say, what the Germans call ‘die Deutsche Sprache,”
E may still communicate, by doing so-and-so, that such-and-such, viz. p. E may
make this sort of hand wave communicating that E knows the route or that E is
about to leave R. Against that objection, Grice surely wins the day. There’s
nothing in Prichard account of ‘willing that p,’ itself a borrowing from
William James (“I will that the distant table slides over the floor toward me.
It does not.”) which is about ‘die Deutsche Sprache.’ But Grice hastens to declare that winning ‘the’ day may not
be winning ‘all’ day.
And that is because of Oxonian
philosophy being what it is. Because, as far as Grice’s Oxonian explorations on
communication go, in a succession of increasingly elaborate moves – ending with
a a clause which closes the succession o-- designed to thwart this or that
scenario, later deemed illegitimate, involving two rational agents where the
emissor E relies on an ‘inference-element’ that it is not the case that E
intends his recipient R will recogise – Grice is led to narrow the ‘intending’ the
reductive analysis of ‘Emissor E communicates that p’ to C-intending. Grice
expects that whatever may be the case in general with regard to ‘intending,’
C-intending seems for some reason to Grice to be unsophisticatedly, viz.
plainly, too sophisticated a ‘state’ of a soul (or ψυχή) to be found in an organism, ‘pirot,’ creature, that we may
not want to deem ‘rational,’ or as the Germans would say, a creature that is plainly
destitute of “Die Deutsche Sprache.” We seem to be needing a pirot to be “very
intelligent, indeed rational.” (Who other than Grice would genially combine
Locke with Carnap?). Some may regret, Grice admits, that his unavoidable rear-guard
action just undermines the raison d'etre of his campaign. However, Grice goes on to provide an admittedly brief reply
which will have to suffice under the circumstances. There is SOME limit for
Oxonian debate! A full treatment that would satisfy Grice requires delving deep
into crucial problems about the boundary between vicious and virtuous conceptual
circularity.
Which is promising. It is not something
UNATTAINABLE a priori – and there is nothing wrong with leaving it for the
morrow. It reduces to the philosopher trying to show himself virtuously
circular, if not, like Lear, spherical. But why need the circle be virtuous.
Well, as August would put it, unless a ‘circulus’ is not ‘virtuosus,’ one would
hardly deem it a ‘circulus’ in the first place. A circle is virtuous if it is not a
bad circle. One may even say, with The Carpenter, that, like a cabbage or a
king, if a circle is not virtuous is not even a circle! (Grice 2001:35). In
this case, to borrow from former Oxonian student S. R. Schiffer, we need the
‘virtuous circle’ because we are dealing with ‘a loop’ (Schiffer, 1988:v) -- a
‘conceptual loop,’ that is. Schiffer is not interested in ‘communicating;’ only
‘meaning,’ but his point can be easily transliterated. Schiffer is saying that
‘U,’ or utterer, our ‘E,’ means that p’ surely relies on ‘U intends that p,’
but mind the loop: ‘U intends that p’ may rely on ‘U means that p.’In Grice’s
most generic, third-person terms, we have a creature, call it a pirot, P1,
that, by doing thing D1, communicates that p. We are talking of Grice qua
ethologist, who OBSERVES the scenario. As it happens, Grice’s favourite pirot
is the parrot, and call Grice a snob, but his favourite parrot was Prince
Maurice’s Parrot. Prince Maurice’s Parrot. Grice reads Locke, and adapts it
slightly. “Since I think I may be confident, that, whoever should see a
CREATURE of his own shape or make, though it had no more reason all its life
than a PARROT, would call him still A MAN; or whoever should hear a parrot discourse,
reason, and philosophise, would call or think it nothing but a PARROT; and say,
the one was A DULL IRRATIONAL MAN, and the other A VERY INTELLIGENT RATIONAL
PARROT. “A relation we have in an author of great note, is sufficient to
countenance the supposition of A RATIONAL PARROT. “The author’s words are as
follows.”““I had a mind to know, from Prince Maurice's own mouth, the account
of a common, but much credited story, that I had heard so often from many
others, of a parrot he has, that speaks, and asks, and answers common questions,
like A REASONABLE CREATURE.””““So that those of his train there generally
conclude it to be witchery or possession; and one of his chaplains, would never
from that time endure A PARROT, but says all PARROTS have a devil in them.””““I
had heard many particulars of this story, and as severed by people hard to be
discredited, which made me ask Prince Maurice what there is of it.””““Prince
Maurice says, with his usual plainness and dryness in talk, there is something
true, but a great deal false of what is reported.””““I desired to know of him
what there was of the first. Prince Maurice tells me short and coldly, that he
had HEARD of such A PARROT; and though he believes nothing of it, and it was a
good way off, yet he had so much curiosity as to send for the parrot: that it
was a very great parrot; and when the parrot comes first into the room where
Prince Maurice is, with a great many men about him, the parrot says presently, ‘What
a nice company is here.’”” ““ One of the men asks the parrot, ‘What thinkest
thou that man is?,’ ostending his finger, and pointing to Prince Maurice.”“The
parrot answers, ‘Some general -- or other.’ When the man brings the parrot
close to Prince Maurice, Prince Maurice asks the parrot, ‘D'ou venez-vous?’”““The
parrot answers, ‘De Marinnan.’ Then Prince Maurice goes on, and poses a second
question to the parrot.””““‘A qui estes-vous?’ The Parrot answers: ‘A un
Portugais.’”““Prince Maurice then asks a third question: ‘Que fais-tu la?’““The
parrot answers: “Je garde les poulles.’ Prince Maurice smiles, which pleases
the Parrot.”““Prince Maurice, violating a Griceian maxim, and being just
informed that p, asks whether p. This is incidentally the Prince’s fourth
question to the parrot – the first idiotic one. ‘Vous gardez les poulles?’”” ““The Parrot answers, ‘Oui, moi; et je scai bien faire.’
Then the parrott appeals to Peirce’s iconic system and makes the chuck four or
five times that a man uses to make to chickens when a man calls them. I set
down the words of this worthy dialogue in French, just as Prince Maurice said
them to me. I ask Prince Maurice in what ‘tongue’ the parrot speaks.””““Prince
Maurice says that the parrot speaks in the Brazilian tongue.””““ I ask Prince
William whether he understands the Brazilian tongue.”” ““Prince Maurice says:
No, but he has taken care to have TWO interpreters by him, the one a Dutchman
that spoke the Brazilian tongue, and the other a Brazilian that spoke the Dutch
tongue; that Prince Maurice asked them separately and privately, and both of
them AGREED in telling Prince Maurice just the same thing that the parrot had
said.””““I could not but tell this ODD story, because it is so much out of the
way, and from the first hand, and what may pass for a good one; for I dare say
Prince Maurice at least believed himself in all he told me, having ever passed
for a very honest and pious man.””““I leave it to naturalists to reason, and to
other men to believe, as they please upon it. However, it is not, perhaps,
amiss to relieve or enliven a busy scene sometimes with such digressions,
whether to the purpose or no.””Locke takes care “that the reader should have
the story at large in the author's own words, because he seems to me not to
have thought it incredible.”“For it cannot be imagined that so able a man as
he, who had sufficiency enough to warrant all the testimonies he gives of
himself, should take so much pains, in a place where it had nothing to do, to
pin so close, not only on a man whom he mentions as his friend, but on a prince
in whom he acknowledges very great honesty and piety, a story which, if he
himself thought incredible, he could not but also think RIDICULOUS.”“Prince
Maurice, it is plain, who vouches this story, and our author, who relates it
from him, both of them call this talker A PARROT.”Locke asks “any one else who
thinks such a story fit to be told, whether, if this PARROT, and all of its
kind, had always talked, as we have a prince's word for it this one did,-
whether, I say, they would not have passed for a race of RATIONAL ANIMALS; but
yet, whether, for all that, they would have been allowed to be MEN, and not
PARROTS?”“For I presume it is not the idea of A THINKING OR RATIONAL BEING
alone that makes the idea of A MAN in most people's sense: but of A BODY, so
and so shaped, joined to it: and if that be the idea of a MAN, the same
successive body not shifted all at once, must, as well as THE SAME IMMATERIAL
SPIRIT, go to the making of the same MAN.”So
back to Grice’s pirotology, or Pirotologia. But first a precis Grice needs a
dossier with a précis, so that he can insert the parrot’s conversational implicatura
– and Prince Maurice’s. PARROT: What a nice company is here.MAN (pointing to
Prince Maurice): What thinkest thou that man is?PARROT: Some general -- or
other. Grice’s gloss: The he parrot displays what Grice calls ‘up-take.’ The
parrot recognizes the man’s c-intention. So far is ability to display uptake.PRINCE
MAURICE: D'ou venez-vous?PARROT: De Marinnan.PRINCE MAURICE: A qui
estes-vous?PARROT: A un Portugais.PRINCE MAURICE: Que fais-tu la?PARROT: Je
garde les poulles.PRINCE MAURICE SMILES and flouts a Griceian maxim: Vous
gardez les poulles?PARROT (losing patience, and grasping the Prince’s implicaturum
that he doubts it): Oui, moi. Et je scai bien faire.Grice’s gloss: The Parrott appeals
to Peirce’s iconic system and makes the chuck five times that a man uses to
make to chickens when a man calls them.According to his “most recent speculations”
about communication, Grice goes on in his ‘Reply to Richards,’ one should
distinguish, as he engages in a bit of legalese, between two sides of the scenario
under conceptual reduction, E communicates that p. One side is the ‘de facto’
side, a side which, as in name implies, in fact contains any
communication-relevant feature which obtains or is present in the
circumstances. But then there is a ‘de jure’ side to the scenario, viz. the
nested C-intending which is only deemed to be present, as a vicious circle with
good intentions may become a virtuous one. By the ‘nesting,’ Grice means the
three sub-intentions, involved in a scenario where Emissor E communicates that
(psi*) p, reducible to the Emissor E c-intending that A recognises that E psi-s
that p.First, there is the ‘exhibitive’ intention, C1. Emissor E intends A to
recognise that A psi-s that p.Second, there is the ‘reflexive’ intention, C2.Emissor
intends that A recognise C1 by A recognising C2Third, there is the ‘openness’
intention, C3. There is no inference-element which is C-constitutive such that
Emissor relies on it and yet does not intend A to recognise.The “de jure” side
to the state of affairs involves self-reference But since this self-referential
circle, a mere ‘loop,’ is meant to BLOCK an utterly vicious circle of a
regressus ad infinitum (or ‘ho eis apeiron ekballon,’ if you must), the
self-referential circle may well be deemed virtuous. The ‘de jure’ side to the
scenario is trying to save state of affairs which in, in Grice’s words,
“infinitely complex,” and such that no reasonable philosopher should expect to
be realised ‘de facto.’ “In which case,” Grice remarks, “it seems to serve
little, if any, purpose” to assume that this very INCONCEIVABLE ‘de facto’
instantiation of a ‘de jure’ ascription of an emissor communicating that p
would only be detectable, as it isn’t, by appeal to something like ‘die
Deutsche Sprache’!“At its most meagre,” to use Grice’s idiom, the ‘de facto’
side should consist, merely, in any pre-rational ‘counterpart’ to the state of
affairs describable by having an Emissor E communicating that p,This might
amount to no more than making a certain sort of utterance – our doing D1 -- in
order thereby to get some recipient creature R, our second pirot, P2, to think
or want some particular thing, our p. This meagre condition hardly involves
reference to anything like ‘die Deutsche Sprache.’Let’s reformulate the
condition.It’s just a pirot, at a ‘pre-rational’ level. The pirot does a thing
T IN ORDER THEREBY to get some other pirot to think or do some particular
thing. To echo Hare,Die Tur ist geschlossen, ja.Die Tur ist geschlossen,
bitte.Grice continues as a corollary: “Maybe in a less straightforward instance
of “Emissor E communicates that p” there is actually present the C-intention
whose feasibility as an ‘intention’ suggests some ability to use ‘die Deutsche
Sprache.’And if it does, Grice adds, it looks like anything like ‘die Deutsche
Sprache’ ends up being an aid to the conceptualizing about communication, not
communication itself! ReferencesDavidson, Donald
1986. A nice derangement of epitaphs, in Grandy and Warner, pp. 157-74.Durrell,
My family and other animals. Grandy, R. E. and R. O. Warner. 1986.
Philosophical grounds of rationality: intentions, categories, ends. Oxford, at
the Clarendon Press. Grice, H. P. 1986. Reply to Richards, in Grandy and
Warner, pp. 45-106Grice, H. P. 1989. Studies in the Way of Words. London and
Cambridge, Mass.: Harvard University Press.Grice, H. P. 2001. Aspects of
reason. Oxford, at the Clarendon Press. Locke, J. 1690. An essay concerning
humane [sic] understanding. Oxford: The Bodleian. Schiffer, S. R. 1988.
Meaning. Oxford, at the Clarendon Press. animatum:
Grice thinks of communication as what he calls ‘soul-to-soul transfer.’ Very
Aristotelian. Grice was interested in
what he called the ‘rational soul’ (psyche logike). In an act of communication,
Emissor communicates that p, there is a psi involved, therefore a soul,
therefore what the Romans called an ‘anima,’ and the Greeks called the
‘psyche.’ For surely there can be no psi-transmission without a psi. Grice
loved to abbreviate this as the psi, since Lady Asquith, who was a soul, would
not have desired any less from Grice. Grice, like Plato and Aristotle, holds a
tripartite theory of the soul. Where, ‘part’ (Aristotelian ‘meros’) is taken
very seriously. Anything thought. From ‘psyche,’ anima. Grice uses the symbol
of the letter psi here which he renders as ‘animatum.’ Why Grice prefers ‘soul’
to mind. The immortality of a the chicken soul. By Shropshire. Shropshire claims that the immortality of the soul is proved by
the fact that, if you cut off a chicken's head, the chicken will run round the
yard for a quarter of an hour before dropping. Grice has an an 'expansion' of
Shropshire's ingenious argument.If the soul is not dependent on the body, it is
immortal. If the soul is dependent on the body, it is dependent on that part of
the body in which it is located. If the soul is located in the body, it is
located in the head. If the chicken's soul were located in its head, the
chicken's soul would be destroyed if the head were rendered inoperative by
removal from the body. The chicken runs round the yard after head-removal. It
could do this only if animated, and controlled by its soul. So the chicken's
soul is not located in, and not dependent on, the chicken's head. So the
chicken's soul is not dependent on the chicken's body. So the chicken's soul is
immortal. end p.11 If the chicken's soul is immortal, a fortiori the human soul
is immortal. So the soul is immortal. The question I now ask myself is this:
why is it that I should be quite prepared to believe that the Harvard students
ascribed their expansion of Botvinnik's proof, or at least some part of it, to
Botvinnik (as what he had in mind), whereas I have no inclination at all to
ascribe any part of my expansion to Shropshire? Considerations which at once
strike me as being likely to be relevant are: (1) that Botvinnik's proof
without doubt contained more steps than Shropshire's claim; (2) that the
expansion of Botvinnik's proof probably imported, as extra premisses, only
propositions which are true, and indeed certain; whereas my expansion imports
premisses which are false or dubious; (3) that Botvinnik was highly intelligent
and an accomplished logician; whereas Shropshire was neither very intelligent
nor very accomplished as a philosopher. No doubt these considerations are
relevant, though one wonders whether one would be much readier to accord
Shropshire's production the title of 'reasoning' if it had contained some
further striking 'deductions', such as that since the soul is immortal moral
principles have absolute validity; and one might also ask whether the effect of
(3) does not nullify that of (2), since, if Shropshire was stupid, why should
not one ascribe to him a reconstructed argument containing plainly unacceptable
premisses? But, mainly, I would like some further light on the following
question: if such considerations as those which I have just mentioned are
relevant, why are they relevant? I should say a word about avowals. The
following contention might be advanced. If you want to know whether someone R,
who has produced what may be an incomplete piece of reasoning, has a particular
completion in mind, the direct way to find out is to ask him. That would settle
the matter. If, however, you are unable to ask him, then indirect methods will
have to be used, which may well be indecisive. Indeterminacy springs merely
from having to rely on indirect methods. I have two comments to make. First: it
end p.12 is far from clear to what extent avowals do settle the matter. Anyone
who has taught philosophy is familiar with the situation in which, under
pressure to expand an argument they have advanced, students, particularly
beginners, make statements which, one is inclined to say, misrepresent their
position. This phenomenon is perhaps accounted for by my much more important
second point: that avowals in this kind of context generally do not have the
character which one might without reflection suppose them to have; they are not
so much reportive as constructive. If I ask someone if he thinks that so-and-so
is a consequence of such-and-such, what I shall receive will be primarily a
defence of this supposition, not a report on what, historically, he had in mind
in making it. We are in general much more interested in whether an inferential
step is a good one to make than we are in what a particular person had in mind
at the actual moment at which he made the step. One might perhaps see an
analogy between avowals in this area and the specification of plans. If someone
has propounded a plan for achieving a certain objective, and I ask him what he
proposes to do in such-and-such a contingency, I expect him to do the best he
can to specify for me a way of meeting that contingency, rather than to give a
historically correct account of what thoughts he had been entertaining. This
feature of what I might call inferential avowals is one for which we shall have
to account.Let us take stock. The thesis which we proposed for examination has
needed emendation twice, once in the face of the possibility of bad reasoning,
and once to allow for informal and incomplete reasoning. The reformulation
needed to accommodate the latter is proving difficult to reach. Let us take s
and s′ to be sequences consisting of a set of premisses and a conclusion (or,
perhaps it would be better to say, a set of propositions and a further
proposition), or a sequence (sorites) of such sequences. (This is not fully
accurate, but will serve.) Let us suppose that x has produced s (in speech or
in thought). Let "formally cogent" mean "having true premisses,
and being such that steps from premisses to conclusions are formally valid".
(1) We cannot define "s is a piece of reasoning by x" as "x
thinks s to be formally cogent", because if s is an incomplete piece of
reasoning s is not, and could not reasonably be thought by x to be, formally
cogent. end p.13 (2) We cannot define "s is a piece of reasoning by
x" as "(∃s′)
(s′ is an expansion of s and s′ is formally cogent)" because (a) it does
not get in the idea that x thinks s′ formally cogent and (b) it would exclude
bad reasoning. (3) We cannot define "s is a piece of reasoning by x"
as "x thinks that (∃s′)
(s′ is an expansion of s and s′ is formally cogent)", for this is too
weak, and would allow as reasoning any case in which x believed (for whatever
reason, or lack of reason) that an informal sequence had some formally cogent
expansion or other. (Compare perhaps Shropshire.).” In Latin indeed, ‘animus’
and ‘anima’ make a world of a difference, as Shropshire well knows. Psyche
transliterates as ‘anima’ only; ‘animus’ the Greeks never felt the need for. Of
course a chicken is an animal, as in man. “Homo animalis rationalis.” Grice
prefers ‘human,’ but sometimes he uses ‘animal,’ as opposed to ‘vegetal,
sometimes, when considering stages of freedom. A stone (mineral) displays a
‘free’ fall, which is metabolical. And then, a vegetable is less free than an
animal, which can move, and a non-human animal (that Grice calls ‘a beast’) is
less free than man, who is a rational animal. Grice notes that back in the day,
when the prince came from a hunt, “I brought some animals,” since these were
‘deer,’ ‘deer’ was taken as meaning ‘animal,’ when the implicaturum was very
much cancellable. The Anglo-Saxons soon dropped the ‘deer’ and adopted the
Latinate ‘animal.’ They narrowed the use of ‘deer’ for the ‘cervus cervus.’ But
not across the North Sea where the zoo is still called a ‘deer-garden.’ When
Aelfric studied philosophy he once thought man was a rational deer. animatum – vide: H. P. Grice, “Psychology, folk
psychology, etc.” -- philosophy of psychology, the philosophical study of
psychology. Psychology began to separate from philosophy with the work of the
nineteenth-century G. experimentalists, especially Fechner 180187, Helmholtz
1821 94, and Wundt 18320. In the first half of the twentieth century, the
separation was completed in this country insofar as separate psychology
departments were set up in most universities, psychologists established their
own journals and professional associations, and experimental methods were
widely employed, although not in every area of psychology the first
experimental study of the effectiveness of a psychological therapy did not
occur until 3. Despite this achievement of autonomy, however, issues have
remained about the nature of the connections, if any, that should continue
between psychology and philosophy. One radical view, that virtually all such
connections should be severed, was defended by the behaviorist John Watson in
his seminal 3 paper “Psychology as the Behaviorist Views It.” Watson criticizes
psychologists, even the experimentalists, for relying on introspective methods
and for making consciousness the subject matter of their discipline. He
recommends that psychology be a purely objective experimental branch of natural
science, that its theoretical goal be to predict and control behavior, and that
it discard all reference to consciousness. In making behavior the sole subject
of psychological inquiry, we avoid taking sides on “those time-honored relics
of philosophical speculation,” namely competing theories about the mindbody
problem, such as interactionism and parallelism. In a later work, published in
5, Watson claimed that the success of behaviorism threatened the very existence
of philosophy: “With the behavioristic point of view now becoming dominant, it
is hard to find a place for what has been called philosophy. Philosophy is
passing has all but passed, and unless
new issues arise which will give a foundation for a new philosophy, the world
has seen its last great philosopher.” One new issue was the credibility of
behaviorism. Watson gave no argument for his view that prediction and control
of behavior should be the only theoretical goals of psychology. If the attempt
to explain behavior is also legitimate, as some anti-behaviorists argue, then
it would seem to be an empirical question whether that goal can be met without
appealing to mentalistic causes. Watson and his successors, such as B. F.
Skinner, cited no credible empirical evidence that it could, but instead relied
primarily on philosophical arguments for banning postulation of mentalistic
causes. As a consequence, behaviorists virtually guaranteed that philosophers
of psychology would have at least one additional task beyond wrestling with
traditional mind body issues: the analysis and criticism of behaviorism itself.
Although behaviorism and the mindbody problem were never the sole subjects of
philosophy of psychology, a much richer set of topics developed after 0 when
the so-called cognitive revolution occurred in
psychology. These topics include innate knowledge and the acquisition of
transformational grammars, intentionality, the nature of mental representation,
functionalism, mental imagery, the language of thought, and, more recently,
connectionism. Such topics are of interest to many cognitive psychologists and
those in other disciplines, such as linguistics and artificial intelligence,
who contributed to the emerging discipline known as cognitive science. Thus,
after the decline of various forms of behaviorism and the consequent rise of
cognitivism, many philosophers of psychology collaborated more closely with
psychologists. This increased cooperation was probably due not only to a
broadening of the issues, but also to a methodological change in philosophy. In
the period roughly between 5 and 5, conceptual analysis dominated both and English philosophy of psychology and the
closely related discipline, the philosophy of mind. Many philosophers took the
position that philosophy was essentially an a priori discipline. These
philosophers rarely cited the empirical studies of psychologists. In recent decades,
however, philosophy of psychology has become more empirical, at least in the
sense that more attention is being paid to the details of the empirical studies
of psychologists. The result is more interchanges between philosophers and
psychologists. Although interest in cognitive psychology appears to predominate
in recent philosophy of psychology, the
new emphasis on empirical studies is also reflected in philosophic work on
topics not directly related to cognitive psychology. For example, philosophers
of psychology have written books in recent years on the clinical foundations of
psychoanalysis, the foundations of behavior therapy and behavior modification,
and self-deception. The emphasis on empirical data has been taken one step
further by naturalists, who argue that in epistemology, at least, and perhaps
in all areas of philosophy, philosophical questions should either be replaced
by questions from empirical psychology or be answered by appeal to empirical
studies in psychology and related disciplines. It is philosophy of psychology
philosophy of psychology 695 695 still
too early to predict the fruitfulness of the naturalist approach, but this new
trend might well have pleased Watson. Taken to an extreme, naturalism would
make philosophy dependent on psychology instead of the reverse and thus would
further enhance the autonomy of psychology that Watson desired. animatum --
philosophical psychology, -- vide H. P. Grice: “Method in philosophical
psychology: from the banal to the bizarre” – in “Conception of Value,” Oxford,
Clarendon Press. -- philosophy of mind, the branch of philosophy that includes
the philosophy of psychology, philosophical psychology, and the area of
metaphysics concerned with the nature of mental phenomena and how they fit into
the causal structure of reality. Philosophy of psychology, a branch of the
philosophy of science, examines what psychology says about the nature of
psychological phenomena; examines aspects of psychological theorizing such as
the models used, explanations offered, and laws invoked; and examines how
psychology fits with the social sciences and natural sciences. Philosophical
psychology investigates folk psychology, a body of commonsensical,
protoscientific views about mental phenomena. Such investigations attempt to
articulate and refine views found in folk psychology about conceptualization,
memory, perception, sensation, consciousness, belief, desire, intention,
reasoning, action, and so on. The mindbody problem, a central metaphysical one
in the philosophy of mind, is the problem of whether mental phenomena are
physical and, if not, how they are related to physical phenomena. Other
metaphysical problems in the philosophy of mind include the free will problem,
the problem of personal identity, and the problem of how, if at all, irrational
phenomena such as akrasia and self-deception are possible. Mindbody dualism
Cartesian dualism. The doctrine that the soul is distinct from the body is
found in Plato and discussed throughout the history of philosophy, but Descartes
is considered the father of the modern mindbody problem. He maintained that the
essence of the physical is extension in space. Minds are unextended substances
and thus are distinct from any physical substances. The essence of a mental
substance is to think. This twofold view is called Cartesian dualism. Descartes
was well aware of an intimate relationship between mind and the brain. There is
no a priori reason to think that the mind is intimately related to the brain;
Aristotle, e.g., did not associate them. Descartes mistakenly thought the seat
of the relationship was in the pineal gland. He maintained, however, that our
minds are not our brains, lack spatial location, and can continue to exist
after the death and destruction of our bodies. Cartesian dualism invites the
question: What connects the mind and brain? Causation is Descartes’s answer:
states of our minds causally interact with states of our brains. When bodily
sensations such as aches, pains, itches, and tickles cause us to moan, wince, scratch,
or laugh, they do so by causing brain states events, processes, which in turn
cause bodily movements. In deliberate action, we act on our desires, motives,
and intentions to carry out our purposes; and acting on these mental states
involves their causing brain states, which in turn cause our bodies to move,
thereby causally influencing the physical world. The physical world, in turn,
influences our minds through its influence on our brains. Perception of the
physical world with five senses sight, hearing,
smell, taste, and touch involves causal
transactions from the physical to the mental: what we perceive i.e., see, hear,
etc. causes a sense experience i.e., a visual experience, aural experience,
etc.. Thus, Descartes held that there is two-way psychophysical causal
interaction: from the mental to the physical as in action and from the physical
to the mental as in perception. The conjunction of Cartesian dualism and the
doctrine of two-way psychophysical causal interaction is called Cartesian interactionism.
Perhaps the most widely discussed difficulty for this view is how states of a
non-spatial substance a mind can causally interact with states of a substance
that is in space a brain. Such interactions have seemed utterly mysterious to
many philosophers. Mystery would remain even if an unextended mind is locatable
at a point in space say, the center of the pineal gland. For Cartesian
interactionism would still have to maintain that causal transactions between
mental states and brain states are fundamental, i.e., unmediated by any
underlying mechanism. Brain states causally interact with mental states, but
there is no answer to the question of how they do so. The interactions are
brute facts. Many philosophers, including many of Descartes’s contemporaries,
have found that difficult to accept. Parallelism. Malebranche and Leibniz,
among others, rejected the possibility of psychophysical causal interaction.
They espoused versions of parallelism: the view that the mental and physical
realms run in parallel, in that types of mental phenomena co-occur with certain
types of physical phenomena, but these co-occurrences never involve causal
interactions. On all extant versions, the parallels hold because of God’s
creation. Leibniz’s parallelism is preestablished harmony: the explanation of
why mental types and certain physical types co-occur is that in the possible
world God actualized i.e., this world they co-occur. In discussing the relation
between the mental and physical realms, Leibniz used the analogy of two
synchronized but unconnected clocks. The analogy is, however, somewhat
misleading; suggesting causal mechanisms internal to each clock and intramental
and intraphysical causal transactions. But Leibniz’s monadology doctrine
excludes the possibility of such transactions: mental and physical phenomena
have no effects even within their own realms. Malebranche is associated with
occasionalism, according to which only God, through his continuous activities,
causes things to happen: non-divine phenomena never cause anything.
Occasionalism differs from preestablished harmony in holding that God is
continually engaged in acts of creation; each moment creating the world anew,
in such a way that the correlations hold. Both brands of parallelism face
formidable difficulties. First, both rest on highly contentious, obscure
theological hypotheses. The contention that God exists and the creation stories
in question require extensive defense and explanation. God’s relationship to
the world can seem at least as mysterious as the relationship Descartes posits
between minds and brains. Second, since parallelism denies the possibility of
psychophysical interaction, its proponents must offer alternatives to the
causal theory of perception and the causal theory of action or else deny that
we can perceive and that we can act intentionally. Third, since parallelism
rejects intramental causation, it must either deny that reasoning is possible
or explain how it is possible without causal connections between thoughts.
Fourth, since parallelism rejects physical transactions, it is hard to see how
it can allow, e.g., that one physical thing ever moves another; for that would
require causing a change in location. Perhaps none of these weighty
difficulties is ultimately insuperable; in any case, parallelism has been
abandoned. Epiphenomenalism. Empirical research gives every indication that the
occurrence of any brain state can, in principle, be causally explained by
appeal solely to other physical states. To accommodate this, some philosophers
espoused epiphenomenalism, the doctrine that physical states cause mental
states, but mental states do not cause anything. This thesis was discussed
under the name ‘conscious automatism’ by Huxley and Hogeson in the late
nineteenth century. William James was the first to use the term ‘epiphenomena’
to mean phenomena that lack causal efficacy. And James Ward coined the term
‘epiphenomenalism’ in 3. Epiphenomenalism implies that there is only one-way
psychophysical action from the physical
to the mental. Since epiphenomenalism allows such causal action, it can embrace
the causal theory of perception. However, when combined with Cartesian dualism,
epiphenomenalism, like Cartesian interactionism, implies the problematic thesis
that states of an extended substance can affect states of an unextended
substance. An epiphenomenalist can avoid this problem by rejecting the view
that the mind is an unextended substance while maintaining that mental states
and events are nonetheless distinct from physical states and events. Still,
formidable problems would remain. It is hard to see how epiphenomenalism can
allow that we are ever intentional agents. For intentional agency requires
acting on reasons, which, according to the causal theory of action, requires a
causal connection between reasons and actions. Since epiphenomenalism denies
that such causal connections are possible, it must either maintain that our
sense of agency is illusory or offer an alternative to the causal theory of
action. Similarly, it must explain how thinking is possible given that there
are no causal connections between thoughts. Monism The dual-aspect theory. Many
philosophers reject Descartes’s bifurcation of reality into mental and physical
substances. Spinoza held a dualattribute theory
also called the dual-aspect theory
according to which the mental and the physical are distinct modes of a
single substance, God. The mental and the physical are only two of infinitely
many modes of this one substance. Many philosophers opted for a thoroughgoing
monism, according to which all of reality is really of one kind. Materialism,
idealism, and neutral monism are three brands of monism. Hobbes, a contemporary
of Descartes, espoused materialism, the brand of monism according to which
everything is material or physical. Berkeley is associated with idealism, the
brand of monism according to which everything is mental. He held that both
mental and physical phenomena are perceptions in the mind of God. For Hegel’s
idealism, everything is part of the World Spirit. The early twentieth-century
British philosophers Bradley and McTaggart also held a version of idealism.
Neutral monism is the doctrine that all of reality is ultimately of one kind,
which is neither mental nor physical. Hume was a neutral monist, maintaining
that mental and physical substances are really just bundles of the neutral
entities. Versions of neutral monism were later held by Mach and, for a short
time, Russell. Russell called his neutral entities sensibilia and claimed that
minds and physical objects are logical constructions out of them.
Phenomenalism. This view, espoused in the twentieth century by, among others,
Ayer, argues that all empirical statements are synonymous with statements
solely about phenomenal appearances. While the doctrine is about statements,
phenomenalism is either a neutral monism or an idealism, depending on whether
phenomenal appearances are claimed to be neither mental nor physical or,
instead, mental. The required translations of physical statements into phenomenal
ones proved not to be forthcoming, however. Chisholm offered a reason why they
would not be: what appearances a physical state of affairs e.g., objects
arrayed in a room has depends both on physical conditions of observation e.g.,
lighting and physical conditions of the perceiver e.g., of the nervous system.
At best, a statement solely about phenomenal appearances is equivalent to one
about a physical state of affairs, only when certain physical conditions of
observation and certain physical conditions of the perceiver obtain.
Materialism. Two problems face any monism: it must characterize the phenomena
it takes as basic, and it must explain how the fundamental phenomena make up
non-basic phenomena. The idealist and neutral monist theories proposed thus far
have faltered on one or both counts. Largely because of scientific successes of
the twentieth century, such as the rebirth of the atomic theory of matter, and
the successes of quantum mechanics in explaining chemistry and of chemistry in
turn in explaining much of biology, many philosophers today hold that
materialism will ultimately succeed where idealism and neutral monism
apparently failed. Materialism, however, comes in many different varieties and
each faces formidable difficulties. Logical behaviorism. Ryle ridiculed
Cartesianism as the view that there is a ghost in the machine the body. He
claimed that the view that the mind is a substance rests on a category mistake:
‘mind’ is a noun, but does not name an object. Cartesianism confuses the logic
of discourse about minds with the logic of discourse about bodies. To have a
mind is not to possess a special sort of entity; it is simply to have certain
capacities and dispositions. Compare the thesis that to be alive is to possess
not a certain entity, an entelechy or élan vital, but rather certain capacities
and dispositions. Ryle maintained, moreover, that it was a mistake to regard
mental states such as belief, desire, and intention as internal causes of
behavior. These states, he claimed, are dispositions to behave in overt ways.
In part in response to the dualist point that one can understand our ordinary
psychological vocabulary ‘belief’, ‘desire’, ‘pain’, etc. and know nothing
about the physical states and events in the brain, logical behaviorism has been
proposed as a materialist doctrine that explains this fact. On this view, talk
of mental phenomena is shorthand for talk of actual and potential overt bodily
behavior i.e., dispositions to overt bodily behavior. Logical behaviorism was
much discussed from roughly the 0s until the early 0s. While Ryle is sometimes
counted as a logical behaviorist, he was not committed to the thesis that all
mental talk can be tr. into behavioral talk. The translations promised by
logical behaviorism appear unachievable. As Putnam and others pointed out, one
can fake being in pain and one can be in pain and yet not behave or be disposed
to behave as if one were in pain e.g., one might be paralyzed or might be a
“super-spartan”. Logical behaviorism faces similar difficulties in translating
sentences about what Russell called propositional attitudes i.e., beliefs that
p, desires that p, hopes that p, intentions that p, and the like. Consider the
following sample proposal similar to one offered by Carnap: one believes that the
cat is on the mat if and only if one is disposed to assent to ‘The cat is on
the mat’. First, the proposed translation meets the condition of being purely
behavioral only if assenting is understandable in purely behavioral terms. That
is doubtful. The proposal also fails to provide a sufficient or a necessary
condition: someone may assent to ‘The cat is on the mat’ and yet not believe
the cat is on the mat for the person may be trying to deceive; and a belief
that the cat is on the mat will dispose one to assent to ‘The cat is on the
mat’ only if one understands what is being asked, wants to indicate that one
believes the cat is on the mat, and so on. But none of these conditions is
required for believing that the cat is on the mat. Moreover, to invoke any of
these mentalistic conditions defeats the attempt to provide a purely behavioral
translation of the belief sentence. Although the project of translation has
been abandoned, in recent years Dennett has defended a view in the spirit of
logical behaviorism, intentional systems theory: belief-desire talk functions
to characterize overall patterns of dispositions to overt behavior in an
environmental context for the purposes of predicting overt behavior. The theory
is sometimes characterized as supervenient behaviorism since it implies that
whether an individual has beliefs, desires, intentions and the like supervenes
on his dispositions to overt behavior: if two individuals are exactly alike in
respect of their dispositions to overt behavior, the one has intentional states
if and only if the other does. This view allows, however, that the contents of
an individual’s intentional states what
the individual believes, desires, etc.
may depend on environmental factors. So it is not committed to the
supervenience of the contents of intentional states on dispositions to overt
behavior.the discussion of content externalism below. One objection to this
view, due to Ned Block, is that it would mistakenly count as an intentional
agent a giant look-up table “a
Blockhead” that has the same
dispositions to peripheral behavior as a genuine intentional agent. A look-up
table is a simple mechanical device that looks up preprogrammed responses.
Identity theories. In the early 0s, Herbert Feigl claimed that mental states
are brain states. He pointed out that if mental properties or state types are
merely nomologically correlated with physical properties or state types, the
connecting laws would be “nomological danglers”: irreducible to physical laws,
and thus additional fundamental laws. According to the identity theory, the
connecting laws are not fundamental laws and so not nomological danglers since
they can be explained by identifying the mental and physical properties in
question. In the late 0s and the early 0s, the philosopher Smart and the
psychologist U. T. Place defended the materialist view that sensations are
identical with brain processes. Smart claimed that while mental terms differ in
meaning from physical terms, scientific investigation reveals that they have
the same referents as certain physical terms. Compare the fact that while ‘the
Morning Star’ and ‘the Evening Star’ differ in meaning empirical investigation
reveals the same referent: Venus. Smart and Place claimed that feeling pain,
e.g., is some brain process, exactly which one to be determined by scientific
investigation. Smart claimed that sensation talk is paraphraseable in
topic-neutral terms; i.e., in terms that leave open whether sensational
properties are mental or physical. ‘I have an orange afterimage’ is
paraphraseable roughly as: ‘There is something going on like what is going on
when I have my eyes open, am awake, and there is an orange illuminated in good
light in front of me, i.e., when I really see an orange’. The description is
topic-neutral since it leaves open whether what is going on is mental or
physical. Smart maintained that scientific investigation reveals that what in
fact meets the topic-neutral description is a brain process. He held that
psychophysical identity statements such as ‘Pain is C-fiber firing’ are
contingent, likening these to, e.g., ‘Lightning is electrical discharge’, which
is contingent and knowable only through empirical investigation. Central state
materialism. This brand of materialism was defended in the late 0s and the
early 0s by Armstrong and others. On this view, mental states are states that
are apt to produce a certain range of behavior. Central state materialists
maintain that scientific investigation reveals that such states are states of
the central nervous system, and thus that mental states are contingently
identical with states of the central nervous system. Unlike logical
behaviorism, central state materialism does not imply that mental sentences can
be tr. into physical sentences. Unlike both logical behaviorism and philosophy
of mind philosophy of mind 687 687
intentional systems theory, central state materialism implies that mental
states are actual internal states with causal effects. And unlike Cartesian
interactionism, it holds that psychophysical interaction is just physical
causal interaction. Some central state materialists held in addition that the
mind is the brain. However, if the mind were the brain, every change in the
brain would be a change in the mind; and that seems false: not every little
brain change amounts to a change of mind. Indeed, the mind ceases to exist when
brain death occurs, while the brain continues to exist. The moral that most
materialists nowadays draw from such considerations is that the mind is not any
physical substance, since it is not a substance of any sort. To have a mind is
not to possess a special substance, but rather to have certain capacities to think, feel, etc. To that extent, Ryle was
right. However, central state materialists insist that the properly functioning
brain is the material seat of mental capacities, that the exercise of mental
capacities consists of brain processes, and that mental states are brain states
that can produce behavior. Epistemological objections have been raised to
identity theories. As self-conscious beings, we have a kind of privileged
access to our own mental states. The exact avenue of privileged access, whether
it is introspection or not, is controversial. But it has seemed to many
philosophers that our access to our own mental states is privileged in being
open only to us, whereas we lack any privileged access to the states of our
central nervous systems. We come to know about central nervous system states in
the same way we come to know about the central nervous system states of others.
So, against central state materialism and the identity theory, it is claimed
that mental states cannot be states of our central nervous systems. Taking
privileged access to imply that we have incorrigible knowledge of our conscious
mental states, and despairing of squaring privileged access so understood with
materialism, Rorty advocated eliminative materialism, the thesis that there
actually are no mental phenomena. A more common materialist response, however,
is to deny that privileged access entails incorrigibility and to maintain that
privileged access is compatible with materialism. Some materialists maintain
that while certain types of mental states e.g., sensations are types of
neurological states, it will be knowable only by empirical investigation that
they are. Suppose pain is a neural state N. It will be only a posteriori
knowable that pain is N. Via the avenue of privileged access, one comes to
believe that one is in a pain state, but not that one is in an N-state. One can
believe one is in a pain state without believing that one is in an N-state
because the concept of pain is different from the concept of N. Nevertheless,
pain is N. Compare the fact that while water is H2O, the concept of water is
different from that of H2O. Thus, while water is H2O, one can believe there is
water in the glass without believing that there is H2O in it. The avenue of
privileged access presents N conceptualized as pain, but never as neurological
state N. The avenue of privileged access involves the exercise of mental, but
not neurophysiological, concepts. However, our mental concepts answer to apply in virtue of the same properties state types as do certain
of our neurophysiological concepts. The identity theory and central state
materialism both hold that there are contingent psychophysical property and
type identities. Some theorists in this tradition tried to distinguish a notion
of theoretical identity from the notion of strict identity. They held that
mental states are theoretically, but not strictly, identical with brain states.
Against any such distinction, Kripke argued that identities are metaphysically
necessary, i.e., hold in every possible world. If A % B, then necessarily A %
B. Kripke acknowledged that there can be contingent statements of identity. But
such statements, he argued, will employ at least one term that is not a rigid
designator, i.e., a term that designates the same thing in every world in which
it designates anything. Thus, since ‘the inventor of bifocals’ is a non-rigid
designator, ‘Benjamin Franklin is the inventor of bifocals’ is contingent.
While Franklin is the inventor of bifocals, he might not have been. However,
statements of identity in which the identity sign is flanked by rigid
designators are, if true, metaphysically necessary. Kripke held that proper
names are rigid designators, and hence, the true identity statement ‘Cicero is
Tully’ is metaphysically necessary. Nonetheless, a metaphysically necessary
identity statement can be knowable only a posteriori. Indeed, ‘Cicero is Tully’
is knowable only a posteriori. Both ‘water’ and ‘H2O’, he maintained, are rigid
designators: each designates the same kind of stuff in every possible world.
And he thus maintained that it is metaphysically necessary that water is H2O,
despite its not being a priori knowable that water is H2O. On Kripke’s view,
any psychophysical identity statement that employs mental terms and physical
terms that are rigid designators will also be metaphysically necessary, if
true. Central state materialists maintain that mental concepts are equivalent
to concepts whose descriptive content is the state that is apt to produce
such-and-such behavior in such-and-such circumstances. These defining
descriptions for mental concepts are intended to be meaning-giving, not contingent
reference-fixing descriptions; they are, moreover, not rigid designators. Thus,
the central state materialists can concede that all identities are necessary,
but maintain that psychophysical claims of identity are contingent claims of
identity since the mental terms that figure in those statements are not rigid
designators. However, Kripke maintained that our concepts of sensations and
other qualitative states are not equivalent to the sorts of descriptions in
question. The term ‘pain’, he maintained, is a rigid designator. This position
might be refuted by a successful functional analysis of the concept of pain in
physical and/or topic-neutral terms. However, no successful analysis of this
sort has yet been produced. See the section on consciousness below. A
materialist can grant Kripke that ‘pain’ is a rigid designator and claim that a
statement such as ‘Pain is C-fiber firing’ will be metaphysically necessary if
true, but only a posteriori knowable. However, Kripke raised a formidable
problem for this materialism. He pointed out that if a statement is
metaphysically necessary but only a posteriori knowable, its appearance of
contingency calls for explanation. Despite being metaphysically necessary,
‘Water is H2O’ appears contingent. According to Kripke, we explain this
appearance by noting that one can coherently imagine a world in which something
has all the phenomenal properties of water, and so is an “epistemic
counterpart” of it, yet is not H2O. The fact that we can coherently imagine
such epistemic counterparts explains why ‘Water is H2O’ appears contingent. But
no such explanation is available for e.g. ‘Pain is C-fiber firing’. For an
epistemic counterpart of pain, something with the phenomenal properties of pain the feel of pain is pain. Something can look, smell, taste,
and feel like water yet not be water. But whatever feels like pain is pain:
pain is a feeling. In contrast, we can explain the apparent contingency of
claims like ‘Water is H2O’ because water is not constituted by its phenomenal
properties; our concept of water allows that it may have a “hidden essence,”
i.e., an essential microstructure. If Kripke is right, then anyone who
maintains that a statement of identity concerning a type of bodily sensation
and a type of physical state is metaphysically necessary yet a posteriori, must
explain the appearance of contingency in a way that differs from the way Kripke
explains the appearance of contingency of ‘Water is H2O’. This is a formidable
challenge. The final section, on consciousness, sketches some materialist
responses to it. The general issue of property and state type identity is
controversial. The claim that water is H2O despite the fact that the concept of
water is distinct from the concept of H2O seems plausible. However, property or
state type identity is more controversial than the identity of types of
substances. For properties or state types, there are no generally accepted
“non-duplication principles” to use a
phrase of David Lewis’s. A nonduplication principle for A’s will say that no
two A’s can be exactly alike in a certain respect; e.g., no two sets can have
exactly the same members. It is widely denied, for instance, that no two
properties can be possessed by exactly the same things. Two properties, it is
claimed, can be possessed by the same things; likewise, two state types can
occur in the same space-time regions. Even assuming that mental concepts are
distinct from physical concepts, the issue of whether mental state types are
physical state types raises the controversial issue of the non-duplication
principle for state types. Token and type physicalisms. Token physicalism is
the thesis that every particular is physical. Type physicalism is the thesis
that every type or kind of entity is physical; thus, the identity thesis and
central state materialism are type physicalist theses since they imply that
types of mental states are types of physical states. Type physicalism implies
token physicalism: given the former, every token falls under some physical
type, and therefore is token-token identical with some token of a physical
type. But token physicalism does not imply type physicalism; the former leaves
open whether physical tokens fall under non-physical types. Some doctrines
billed as materialist or physicalist embrace token epiphenomenalism, but reject
type physicalism. Non-reductive materialism. This form of materialism implies
token physicalism, but denies type physicalism and, as well, that mental types
properties, etc. are reducible to physical types. This doctrine has been
discussed since at least the late nineteenth century and was widely discussed
in the first third of the twentieth century. The British philosophers George
Henry Lewes, Samuel Alexander, Lloyd Morgan, and C. D. Broad all held or
thought plausible a certain version of non-reductive materialism. They held or
sympathized with the view that every substance philosophy of mind philosophy of
mind 689 689 either is or is wholly
made up of physical particles, that the well-functioning brain is the material
seat of mental capacities, and that token mental states events, processes, etc.
are token neurophysiological states events, processes, etc.. However, they
either held or thought plausible the view that mental capacities, properties,
etc., emerge from, and thus do not reduce to, physical capacities, properties,
etc. Lewes coined the term ‘emergence’; and Broad later labeled the doctrine
emergent materialism. Emergent materialists maintain that laws correlating
mental and physical properties are irreducible. These laws would be what Feigl
called nomological danglers. Emergentists maintain that, despite their
untidiness, such laws must be accepted with natural piety. Davidson’s doctrine
of anomalous monism is a current brand of non-reductive materialism. He
explicitly formulates this materialist thesis for events; and his
irreducibility thesis is restricted to intentional mental types e.g., believings, desirings, and intendings.
Anomalous monism says that every event token is physical, but that intentional
mental predicates and concepts ones expressing propositional attitudes do not
reduce, by law or definition, to physical predicates or concepts. Davidson
offers an original argument for this irreducibility thesis. Mental predicates
and concepts are, he claims, governed by constitutive principles of
rationality, but physical predicates and concepts are not. This difference, he
contends, excludes the possibility of reduction of mental predicates and
concepts to physical ones. Davidson denies, moreover, that there are strict
psychological or psychophysical laws. He calls the conjunction of this thesis
and his irreducibility thesis the principle of the anomalism of the mental. His
argument for token physicalism for events appeals to the principle of the anomalism
of the mental and to the principle of the nomological character of causality:
when two events are causally related, they are subsumed by a strict law. He
maintains that all strict laws are physical. Given that claim, and given the
principle of the nomological character of causality, it follows that every
event that is a cause or effect is a physical event. On this view,
psychophysical causation is just causation between physical events. Stephen
Schiffer has also maintained a non-reductive materialism, one he calls
ontological physicalism and sentential dualism: every particular is physical,
but mental truths are irreducible to physical truths. Non-reductive materialism
presupposes that mental state event tokens can fall under physical state types
and, thereby, count as physical state tokens. This presupposition is
controversial; no uncontroversial non-duplication principle for state tokens
settles the issue. Suppose, however, that mental state tokens are physical
state tokens, despite mental state types not being physical state types. The
issue of how mental state types and physical state types are related remains.
Suppose that some physical token x is of a mental type M say, a belief that the
cat is on the mat and some other physical token y is not of type M. There must,
it seems, be some difference between x and y in virtue of which x is, and y is
not, of type M. Otherwise, it is simply a brute fact that x is and y is not of
type M. That, however, seems implausible. The claim that certain physical state
tokens fall under mental state types simply as a matter of brute fact would
leave the difference in question utterly mysterious. But if it is not a brute
fact, then there is some explanation of why a certain physical state is a
mental state of a certain sort. The non-reductive materialist owes us an
explanation that does not imply psychophysical reduction. Moreover, even though
the non-reductive materialist can claim that mental states are causes because
they are physical states with physical effects, there is some question whether
mental state types are relevant to causal relations. Suppose every state is a
physical state. Given that physical states causally interact in virtue of
falling under physical types, it follows that whenever states causally interact
they do so in virtue of falling under physical types. That raises the issue of
whether states are ever causes in virtue of falling under mental types. Type
epiphenomenalism is the thesis that no state can cause anything in virtue of
falling under a mental type. Token epiphenomenalism, the thesis that no mental
state can cause anything, implies type epiphenomenalism, but not conversely.
Nonreductive materialists are not committed to token physicalism. However,
token epiphenomenalism may be false but type epiphenomenalism true since mental
states may be causes only in virtue of falling under physical types, never in
virtue of falling under mental types. Broad raised the issue of type
epiphenomenalism and discussed whether emergent materialism is committed to it.
Ted Honderich, Jaegwon Kim, Ernest Sosa, and others have in recent years raised
the issue of whether non-reductive materialism is committed to type
epiphenomenalism. Brian McLaughlin has argued that the claim that an event acts
as a cause in virtue of falling under a certain physical type is consistent
with the claim that it also acts as a cause in virtue of falling under a
certain mental type, even when the mental type is not identical with the
physical type. But even if this is so, the relationship between mental types
and physical types must be addressed. Ernest LePore and Barry Loewer, Frank
Jackson and Philip Pettit, Stephen Yablo, and others have attempted to
characterize a relation between mental types and physical types that allows for
the causal relevance of mental types. But whether there is a relation between
mental and physical properties that is both adequate to secure the causal
relevance of mental properties and available to non-reductive materialists
remains an open question. Davidson’s anomalous monism may appear to be a kind
of dual-aspect theory: there are events and they can have two sorts of
autonomous aspects, mental and physical. However, while Davidson holds that
mental properties or types do not reduce to physical ones, he also holds that
the mental properties of an event depend on its physical properties in that the
former supervene on the latter in this sense: no two events can be exactly
alike in every physical respect and yet differ in some mental respect. This
proposal introduced the notion of supervenience into contem- porary philosophy
of mind. Often nonreductive materialists argue that mental properties types
supervene on physical properties types. Kim, however, has distinguished various
supervenience relations, and argues that some are too weak to count as versions
of materialism as opposed to, say, dual-aspect theory, while other
supervenience relations are too strong to use to formulate non-reductive
materialism since they imply reducibility. According to Kim, non-reductive materialism
is an unstable position. Materialism as a supervenience thesis. Several
philosophers have in recent years attempted to define the thesis of materialism
using a global supervenience thesis. Their aim is not to formulate a brand of
non-reductive materialism; they maintain that their supervenience thesis may
well imply reducibility. Their aim is, rather, to formulate a thesis to which
anyone who counts as a genuine materialist must subscribe. David Lewis has
maintained that materialism is true if and only if any non-alien possible
worlds that are physically indiscernible are mentally indiscernible as well.
Non-alien possible worlds are worlds that have exactly the same perfectly
natural properties as the actual world. Frank Jackson has offered this proposal:
materialism is true if and only if any minimal physical duplicate of the actual
world is a duplicate simpliciter of the actual world. A world is a physical
duplicate of the actual world if and only if it is exactly like the actual
world in every physical respect physical particular for physical particular,
physical property for physical property, physical relation for physical
relation, etc.; and a world is a duplicate simpliciter of the actual world if
and only if it is exactly like the actual world in every respect. A minimal
physical duplicate of the actual world is a physical duplicate that contains
nothing else by way of particulars, kinds, properties, etc. than it must in
order to be a physical duplicate of the actual world. Two questions arise for
any formulation of the thesis of materialism. Is it adequate to materialism?
And, if it is, is it true? Functionalism. The nineteenth-century British
philosopher George Henry Lewes maintained that while not every neurological
event is mental, every mental event is neurological. He claimed that what makes
certain neurological events mental events is their causal role in the organism.
This is a very early version of functionalism, nowadays a leading approach to
the mindbody problem. Functionalism implies an answer to the question of what
makes a state token a mental state of a certain kind M: namely, that it is an
instance of some functional state type identical with M. There are two versions
of this proposal. On one, a mental state type M of a system will be identical
with the state type that plays a certain causal role R in the system. The
description ‘the state type that plays R in the system’ will be a nonrigid
designator; moreover, different state types may play R in different organisms,
in which case the mental state is multiply realizable. On the second version, a
mental state type M is identical with a second-order state type, the state of
being in some first-order state that plays causal role R. More than one
first-order state may play role R, and thus M may be multiply realizable. On
either version, if the relevant causal roles are specifiable in physical or
topic-neutral terms, then the functional definitions of mental state types will
be, in principle, physically reductive. Since the roles would be specified
partly in topic-neutral terms, there may well be possible worlds in which the
mental states are realized by non-physical states; thus, functionalism does not
imply token physicalism. However, functionalists typically maintain that, on
the empirical evidence, mental states are realized in our world only by
physical states. Functionalism comes in many varieties. philosophy of mind
philosophy of mind 691 691 Smart’s
topic-neutral analysis of our talk of sensations is in the spirit of functionalism.
And Armstrong’s central state materialism counts as a kind of functionalism
since it maintains that mental states are states apt to produce a certain range
of behavior, and thus identifies states as mental states by their performing
this causal role. However, functionalists today typically hold that the
defining causal roles include causal roles vis-à-vis input state types, as well
as output state types, and also vis-à-vis other internal state types of the
system in question. In the 0s David Lewis proposed a functionalist theory,
analytical functionalism, according to which definitions of mental predicates
such as ‘belief’, ‘desire’, and the like though not predicates such as
‘believes that p’ or ‘desires that q’ can be obtained by conjoining the platitudes
of commonsense psychology and formulating the Ramsey sentence for the
conjunction. The relevant Ramsey sentence is a second-order quantificational
sentence that quantifies over the mental predicates in the conjunction of
commonsense psychological platitudes, and from it one can derive definitions of
the mental predicates. On this view, it will be analytic that a certain mental
state e.g., belief is the state that plays a certain causal role vis-à-vis
other states; and it is a matter of empirical investigation what state plays
the role. Lewis claimed that such investigation reveals that the state types
that play the roles in question are physical states. In the early 0s, Putnam
proposed a version of scientific functionalism, machine state functionalism:
according to this view, mental states are types of Turing machine table states.
Turing machines are mechanical devices consisting of a tape with squares on it
that either are blank or contain symbols, and an executive that can move one
square to the left, or one square to the right, or stay where it is. And it can
either write a symbol on a square, erase a symbol on a square, or leave the
square as it is. According to the Church-Turing thesis, every computable
function can be computed by a Turing machine. Now there are two functions
specifying such a machine: one from input states to output states, the other
from input states to input states. And these functions are expressible by
counterfactuals e.g., ‘If the machine is in state s 1 and receives input I, it
will emit output O and enter state s2’. Machine tables are specified by the
counterfactuals that express the functions in question. So the main idea of
machine state functionalism is that any given mental type is definable as the
state type that participates in certain counterfactual relationships specified
in terms of purely formal, and so not semantically interpreted, state types.
Any system whose inputs, outputs, and internal states are counterfactually
related in the way characterized by a machine table is a realization of that
table. This version of machine state functionalism has been abandoned: no one
maintains that the mind has the architecture of a Turing machine. However,
computational psychology, a branch of cognitive psychology, presupposes a scientific
functionalist view of cognitive states: it takes the mind to have a
computational architecture. See the section on cognitive psychology below.
Functionalism the view that what makes a
state a realization of a mental state is its playing a certain causal role remains a leading theory of mind. But
functionalism faces formidable difficulties. Block has pinpointed one. On the
one hand, if the input and output states that figure in the causal role alleged
to define a certain mental state are specified in insufficient detail, the
functional definition will be too liberal: it will mistakenly classify certain
states as of that mental type. On the other hand, if the input and output
states are specified in too much detail, the functional definition will be
chauvinistic: it will fail to count certain states as instances of the mental
state that are in fact such instances. Moreover, it has also been argued that
functionalism cannot capture conscious states since types of conscious states
do not admit of functional definitions. Cognitive psychology, content, and
consciousness Cognitive psychology. Many claim that one aim of cognitive
psychology is to provide explanations of intentional capacities, capacities to
be in intentional states e.g., believing and to engage in intentional
activities e.g., reasoning. Fodor has argued that classical cognitive
psychology postulates a cognitive architecture that includes a language of
thought: a system of mental representation with a combinatorial syntax and
semantics, and computational processes defined over these mental
representations in virtue of their syntactic structures. On this view,
cognition is rule-governed symbol manipulation. Mental symbols have meanings,
but they participate in computational processes solely in virtue of their
syntactic or formal properties. The mind is, so to speak, a syntactic engine.
The view implies a kind of content parallelism: syntaxsensitive causal
transitions between symbols will preserve semantic coherence. Fodor has
mainphilosophy of mind philosophy of mind 692
692 tained that, on this language-of-thought view of cognition the
classical view, being in a beliefthat-p state can be understood as consisting
in bearing a computational relation one that is constitutive of belief to a sentence
in the language of thought that means that p; and similarly for desire,
intention, and the like. The explanation of intentional capacities will be
provided by a computational theory for mental sentences in conjunction with a
psychosemantic theory, a theory of meaning for mental sentences. A research
program in cognitive science called connectionism postulates networks of
neuron-like units. The units can be either on or off, or can have continuous
levels of activation. Units are connected, the connections have various degrees
of strength, and the connections can be either inhibitory or excitatory.
Connectionism has provided fruitful models for studying how neural networks
compute information. Moreover, connectionists have had much success in modeling
pattern recognition tasks e.g., facial recognition and tasks consisting of
learning categories from examples. Some connectionists maintain that
connectionism will yield an alternative to the classical language-of-thought
account of intentional states and capacities. However, some favor a
mixed-models approach to cognition: some cognitive capacities are symbolic,
some connectionist. And some hold that connectionism will yield an
implementational architecture for a symbolic cognitive architecture, one that
will help explain how a symbolic cognitive architecture is realized in the
nervous system. Content externalism. Many today hold that Twin-Earth thought
experiments by Putnam and Tyler Burge show that the contents of a subject’s
mental states do not supervene on intrinsic properties of the subject: two
individuals can be exactly alike in every intrinsic respect, yet be in mental
states with different contents. In response to Twin-Earth thought experiments,
some philosophers have, however, attempted to characterize a notion of narrow
content, a kind of content that supervenes on intrinsic properties of thinkers.
Content, externalists claim, depends on extrinsic-contextual factors. If
externalism is correct, then a psychosemantic theory must examine the relation between
mental symbols and the extrinsic, contextual factors that determine contents.
Stephen Stich has argued that psychology should eschew psychosemantics and
concern itself only with the syntactic properties of mental sentences. Such a
psychology could not explain intentional capacities. But Stich urges that
computational psychology also eschew that explanatory goal. If, however,
psychology is to explain intentional capacities, a psychosemantic theory is
needed. Dretske, Fodor, Ruth Millikan, and David Papineau have each
independently attempted to provide, in physicalistically respectable terms,
foundations for a naturalized externalist theory of the content of mental
sentences or internal physical states. Perhaps the leading problem for these
theories of content is to explain how the physical and functional facts about a
state determine a unique content for it. Appealing to work by Quine and by
Kripke, some philosophers argue that such facts will not determine unique
contents. Both causal and epistemic concerns have been raised about externalist
theories of content. Such theories invite the question whether the property of
having a certain content is ever causally relevant. If content is a contextual
property of a state that has it, can states have effects in virtue of their
having a certain content? This is an important issue because intentional states
figure in explanations not only in virtue of their intentional mode whether
they are beliefs, or desires, etc. but also in virtue of their contents.
Consider an everyday belief-desire explanation. The fact that the subject’s
belief was that there was milk in the refrigerator and the fact that the
subject’s desire was for milk are both essential to the belief and desire
explaining why the subject went to the refrigerator. Dretske, who maintains
that content depends on a causal-historical context, has attempted to explain
how the property of having a certain content can be causally relevant even
though the possession of the property depends on causal-historical factors. And
various other philosophers have attempted to explain how the causal relevance
of content can be squared with the fact that it fails to supervene on intrinsic
properties of the subject. A further controversial question is whether
externalism is consistent with our having privileged access to what we are
thinking. Consciousness. Conscious states such as pain states, visual
experiences, and so on, are such that it is “like” something for the subject of
the state to be in them. Such states have a qualitative aspect, a
phenomenological character. The what-it-is-like aspects of experiences are
called qualia. Qualia pose a serious difficulty for physicalism. Broad argued
that one can know all the physical properties of a chemical and how it causally
interacts with other physical phenomena and yet not know what it is like to
smell it. He concluded that the smell of the chemical is philosophy of mind
philosophy of mind 693 693 not itself
a physical property, but rather an irreducible emergent property. Frank Jackson
has recently defended a version of the argument, which has been dubbed the
knowledge argument. Jackson argues that a super-scientist, Mary, who knows all
the physical and functional facts about color vision, light, and matter, but
has never experienced redness since she has spent her entire life in a black
and white room, would not know what it is like to visually experience red. He
concludes that the physical and functional topic-neutral facts do not entail
all the facts, and thus materialism is false. In response, Lawrence Nemirow,
David Lewis, and others have argued that knowing what it is like to be in a
certain conscious state is, in part, a matter of know-how e.g., to be able to
imagine oneself in the state rather than factual knowledge, and that the
failure of knowledge of the physical and functional facts to yield such
know-how does not imply the falsity of materialism. Functionalism seems unable
to solve the problem of qualia since qualia seem not to be functionally
definable. In the 0s, Fodor and Ned Block argued that two states can have the
same causal role, thereby realizing the same functional state, yet the qualia
associated with each can be inverted. This is called the problem of inverted
qualia. The color spectrum, e.g., might be inverted for two individuals a
possibility raised by Locke, despite their being in the same functional states.
They further argued that two states might realize the same functional state,
yet the one might have qualia associated with it and the other not. This is
called the problem of absent qualia. Sydney Shoemaker has argued that the
possibility of absent qualia can be ruled out on functionalist grounds.
However, he has also refined the inverted qualia scenario and further
articulated the problem it poses for functionalism. Whether functionalism or
physicalism can avoid the problems of absent and inverted qualia remains an
open question. Thomas Nagel claims that conscious states are subjective: to
fully understand them, one must understand what it is like to be in them, but
one can do that only by taking up the experiential point of view of a subject
in them. Physical states, in contrast, are objective. Physical science attempts
to characterize the world in abstraction from the experiential point of view of
any subject. According to Nagel, whether phenomenal mental states reduce to
physical states turns on whether subjective states reduce to objective states;
and, at present, he claims, we have no understanding of how they could. Nagel
has suggested that consciousness may be explainable only by appeal to as yet
undiscovered basic nonmental, non-physical properties “proto-mental properties” the idea being that experiential points of
view might be constituted by protomental properties together with physical properties.
He thus claims that panphysicism is worthy of serious consideration. Frank
Jackson, James Van Cleve, and David Chalmers have argued that conscious
properties are emergent, i.e., fundamental, irreducible macro-properties; and
Chalmers sympathizes with a brand of panphysicism. Colin McGinn claims that
while conscious properties are likely reductively explainable by brain
properties, our minds seem conceptually closed to the explaining properties: we
are unable to conceptualize them, just as a cat is unable to conceptualize a
square root. Dennett attempts to explain consciousness in supervenient
behaviorist terms. David Rosenthal argues that consciousness is a special case
of intentionality more specifically, that
conscious states are just states we can come in a certain direct way to believe
we are in. Dretske, William Lycan, and Michael Tye argue that conscious
properties are intentional properties and physicalistically reducible. Patricia
Churchland argues that conscious phenomena are reducible to neurological
phenomena. Brian Loar contends that qualia are identical with either functional
or neurological states of the brain; and Christopher Hill argues specifically
that qualia are identical with neurological states. Loar and Hill attempt to
explain away the appearance of contingency of psychophysical identity claims,
but in a way different from the way Kripke attempts to explain the appearance
of contingency of ‘Water is H2O’, since they concede that that mode of
explanation is unavailable. They appeal to differences in the conceptual roles
of neurological and functional concepts by contrast with phenomenal concepts.
They argue that while such concepts are different, they answer to the same
properties. The nature of consciousness thus remains a matter of dispute. Animatum
-- philosophical psychology – Grice: “Someone at Oxford had the bad idea of
calling the Wilde lecturer the Wilde lecturer in mental philosophy – and the
sad thing is that Ryle did nothing to stop it!” -- Eckhart, Johannes, called
Meister Eckhart c.12601328, G. mystic, theologian, and preacher. Eckhart
entered the Dominican order early and began an academic circuit that took him
several times to Paris as a student and master of theology and that initiated
him into ways of thinking much influenced by Albertus Magnus and Thomas
Aquinas. At Paris, Eckhart wrote the required commentary on the Sentences of
Peter Lombard and finished for publication at least three formal disputations.
But he had already held office within the Dominicans, and he continued to
alternate work as administrator and as teacher. Eckhart preached throughout
these years, and he continued to write spiritual treatises in the vernacular,
of which the most important is the Book of Divine Consolation. Only about a
third of Eckhart’s main project in Latin, the Opus tripartitum, seems ever to
have been completed. Beginning in the early 1320s, questions were raised about
Eckhart’s orthodoxy. The questions centered on what was characteristic of his
teaching, namely the emphasis on the soul’s attaining “emptiness” so as to
“give birth to God.” The soul is ennobled by its emptying, and it can begin to
“labor” with God to deliver a spark that enacts the miraculous
union-and-difference of their love. After being acquitted of heresy once,
Eckhart was condemned on 108 propositions drawn from his writings by a
commission at Cologne. The condemnation was appealed to the Holy See, but in
1329 Eckhart was there judged “probably heretical” on 17 of 28 propositions
drawn from both his academic and popular works. The condemnation clearly
limited Eckhart’s explicit influence in theology, though he was deeply
appropriated not only by mystics such as Johannes Tauler and Henry Suso, but by
church figures such as Nicholas of Cusa and Martin Luther. He has since been
taken up by thinkers as different as Hegel, Fichte, and Heidegger.
Philosophical psychology – “soul-to-soul transfer” – the problem of other
minds, the question of what rational basis a person can have for the belief
that other persons are similarly conscious and have minds. Every person, by
virtue of being conscious, is aware of her own state of consciousness and thus
knows she has a mind; but the mental states of others are not similarly
apparent to her. An influential attempt to solve this problem was made by
philosophical behaviorists. According to Ryle in “The Concept of Mind,”(first
draft entitled, “The concept of psyche,” second draft, “The concept of the
soul” -- a mind (Ryle means ‘soul’) is not a ghost in the physical machine but roughly
speaking an aggregate of dispositions to behave intelligently and to respond
overtly to sensory stimulation. Since the behavior distinctive of these
mentalistic dispositions is readily observable in other human beings, the
so-called problem of other minds is easily solved: it arose from mere confusion
about the concept of mind. Ryle’s opponents were generally willing to concede
that such dispositions provide proof that another person has a “mind” or is a
sentient being, but they were not willing to admit that those dispositions
provide proof that other people actually have feelings, thoughts, and sensory
experiences. Their convictions on this last matter generated a revised version
of the otherminds problem; it might be called the problem of other-person
experiences. Early efforts to solve the problem of other minds can be viewed as
attempts to solve the problem of other-person experiences. According to J. S.
Mill’s Examination of Sir William Hamilton’s Philosophy, one can defend one’s conviction that others
have feelings and other subjective experiences by employing an argument from
analogy. To develop that analogy one first attends to how one’s own experiences
are related to overt or publicly observable phenomena. One might observe that
one feels pain when pricked by a pin and that one responds to the pain by
wincing and saying “ouch.” The next step is to attend to the behavior and
circumstances of others. Since other people are physically very similar to
oneself, it is reasonable to conclude that if they are pricked by a pin and
respond by wincing and saying “ouch,” they too have felt pain. Analogous
inferences involving other sorts of mental states and other sorts of behavior
and circumstances add strong support, Mill said, to one’s belief in other-person
experiences. Although arguments from analogy are generally conceded to provide
rationally acceptable evidence for unobserved phenomena, the analogical
argument for other-person experiences was vigorously attacked in the 0s by
philosophers influenced by Vitters’s Philosophical Investigations 3. Their
central contention was that anyone employing the argument must assume that,
solely from her own case, she knows what feelings and thoughts are. This
assumption was refuted, they thought, by Vitters’s private language argument,
which proved that we learn what feelings and thoughts are only in the process
of learning a publicly understandable language containing an appropriate
psychological vocabulary. To understand this latter vocabulary, these critics
said, one must be able to use its ingredient words correctly in relation to
others as well as to oneself; and this can be ascertained only because words
like ‘pain’ and ‘depression’ are associated with behavioral criteria. When such
criteria are satisfied by the behavior of others, one knows that the words are
correctly applied to them and that one is justified in believing that they have
the experiences in question. The supposed problem of other-person experiences
is thus “dissolved” by a just appreciation of the preconditions for coherent
thought about psychological states. Vitters’s claim that, to be conceivable,
“an inner process stands in need of external criteria,” lost its hold on
philosophers during the 0s. An important consideration was this: if a feeling
of pain is a genuine reality different from the behavior that typically
accompanies it, then so-called pain behavior cannot be shown to provide
adequate evidence for the presence of pain by a purely linguistic argument;
some empirical inductive evidence is needed. Since, contrary to Vitters, one
knows what the feeling of pain is like only by having that feeling, one’s
belief that other people occasionally have feelings that are significantly like
the pain one feels oneself apparently must be supported by an argument in which
analogy plays a central role. No other strategy seems possible. Refs.: H. P. Grice, “Method in philosophical
psychology: from the bizarre to the banal,” repr. in “The Conception of Value,”
Oxford, Clarendon Press. Refs.: H. P. Grice, “Method in philosophical
psychology: from the banal to the bizarre,” in The Conception of Value, Oxford,
Clarendon.
annullatum
–Grice: Etymologically, ‘ad-nullatum.’ -- annullability: a synonym for ‘cancellability,’
used in “Causal.” Perhaps clear than ‘cancel.’ The etymology seems clear,
because it involves the negative – “Cancel” seems like a soft sophisticated way
of annulling, render something nix. Short and Lewis has ‘nullus’ as ne-ullus, not any, none, no. which is indeed a diminutive
for ‘unus,’ [for unulus, dim. of unus], any, any one (usu.
in neg. sentences; corresp. with aliquis in affirmations).
anniceris: Grecian and
pre-Griceian philosopher, vide. H. P. Grice, “Pleasure.” A pupil of Antipater,
he established a separate branch of the Cyrenaic school known as the
Anniceraioi. He subscribed to typical Cyrenaic hedonism, arguing that the end
of each action should be one’s own pleasure, since we can know nothing of
others’ experiences. He tempered the implications of hedonism with the claim
that a wise man attaches weight to respect for parents, patriotism, gratitude,
and friendship, perhaps influencing Epicurus in this regard. Anniceris also
played down the Cyrenaic stress on the intellect’s role in hedonistic practical
rationality, taking the Aristotelian view that cultivation of the right habits
is indispensable.
AOSTA – ANSELMO
D’AOSTA -- anselmus:
“I would call him ‘Canterbury,’ only he
was an Italian!” – H. P. Grice. Saint, called Anselm of Canterbury, philosopher
theologian. A Benedictine monk and the second Norman archbishop of Canterbury,
he is best known for his distinctive method
fides quaerens intellectum; his “ontological” argument for the existence
of God in his treatise Proslogion; and his classic formulation of the
satisfaction theory of the Atonement in the Cur Deus homo. Like Augustine
before him, Anselm is a Christian Platonist in metaphysics. He argues that the
most accessible proofs of the existence of God are through value theory: in his
treatise Monologion, he deploys a cosmological argument, showing the existence
of a source of all goods, which is the Good per se and hence supremely good;
that same thing exists per se and is the Supreme Being. In the Proslogion,
Anselm begins with his conception of a being a greater than which cannot be
conceived, and mounts his ontological argument that a being a greater than
which cannot be conceived exists in the intellect, because even the fool
understands the phrase when he hears it; but if it existed in the intellect
alone, a greater could be conceived that existed in reality. This supremely
valuable object is essentially whatever it is
other things being equal that is
better to be than not to be, and hence living, wise, powerful, true, just,
blessed, immaterial, immutable, and eternal per se; even the paradigm of
sensory goods Beauty, Harmony,
Sweetness, and Pleasant Texture, in its own ineffable manner. Nevertheless, God
is supremely simple, not compounded of a plurality of excellences, but “omne et
unum, totum et solum bonum,” a being a more delectable than which cannot be
conceived. Everything other than God has its being and its well-being through
God as efficient cause. Moreover, God is the paradigm of all created natures,
the latter ranking as better to the extent that they more perfectly resemble
God. Thus, it is better to be human than to be horse, to be horse than to be
wood, even though in comparison with God everything else is “almost nothing.”
For every created nature, there is a that-for-which-it-ismade ad quod factum
est. On the one hand, Anselm thinks of such teleology as part of the internal
structure of the natures themselves: a creature of type F is a true F only
insofar as it is/does/exemplifies that for which F’s were made; a defective F,
to the extent that it does not. On the other hand, for Anselm, the telos of a
created nature is that-for-which-God-made-it. Because God is personal and acts
through reason and will, Anselm infers that prior in the order of explanation
to creation, there was, in the reason of the maker, an exemplar, form,
likeness, or rule of what he was going to make. In De veritate Anselm maintains
that such teleology gives rise to obligation: since creatures owe their being
and well-being to God as their cause, so they owe their being and well-being to
God in the sense of having an obligation to praise him by being the best beings
they can. Since every creature is of some nature or other, each can be its best
by being that-for-which-God-made-it. Abstracting from impediments, non-rational
natures fulfill this obligation and “act rightly” by natural necessity;
rational creatures, when they exercise their powers of reason and will to
fulfill God’s purpose in creating them. Thus, the goodness of a creature how
good a being it is is a function of twin factors: its natural telos i.e., what
sort of imitation of divine nature it aims for, and its rightness in exercising
its natural powers to fulfill its telos. By contrast, God as absolutely
independent owes no one anything and so has no obligations to creatures. In De
casu diaboli, Anselm underlines the optimism of his ontology, reasoning that
since the Supreme Good and the Supreme Being are identical, every being is good
and every good a being. Two further conclusions follow. First, evil is a
privation of being, the absence of good in something that properly ought to
have it e.g., blindness in normally sighted animals, injustice in humans or
angels. Second, since all genuine powers are given to enable a being to fulfill
its natural telos and so to be the best being it can, all genuine
metaphysically basic powers are optimific and essentially aim at goods, so that
evils are merely incidental side effects of their operation, involving some
lack of coordination among powers or between their exercise and the surrounding
context. Thus, divine omnipotence does not, properly speaking, include
corruptibility, passibility, or the ability to lie, because the latter are
defects and/or powers in other things whose exercise obstructs the flourishing
of the corruptible, passible, or potential liar. Anselm’s distinctive action
theory begins teleologically with the observation that humans and angels were
made for a happy immortality enjoying God, and to that end were given the
powers of reason to make accurate value assessments and will to love
accordingly. Anselm regards freedom and imputability of choice as essential and
permanent features of all rational beings. But freedom cannot be defined as a
power for opposites the power to sin and the power not to sin, both because
neither God nor the good angels have any power to sin, and because sin is an
evil at which no metaphysically basic power can aim. Rather, freedom is the
power to preserve justice for its own sake. Choices and actions are imputable
to an agent only if they are spontaneous, from the agent itself. Creatures
cannot act spontaneously by the necessity of their natures, because they do not
have their natures from themselves but receive them from God. To give them the
opportunity to become just of themselves, God furnishes them with two
motivaAnselm Anselm 31 31 tional drives
toward the good: an affection for the advantageous affectio commodi or a
tendency to will things for the sake of their benefit to the agent itself; and
an affection for justice affectio justitiae or a tendency to will things
because of their own intrinsic value. Creatures are able to align these drives
by letting the latter temper the former or not. The good angels, who preserved
justice by not willing some advantage possible for them but forbidden by God
for that time, can no longer will more advantage than God wills for them,
because he wills their maximum as a reward. By contrast, creatures, who sin by
refusing to delay gratification in accordance with God’s will, lose both
uprightness of will and their affection for justice, and hence the ability to
temper their pursuit of advantage or to will the best goods. Justice will never
be restored to angels who desert it. But if animality makes human nature
weaker, it also opens the possibility of redemption. Anselm’s argument for the
necessity of the Incarnation plays out the dialectic of justice and mercy so
characteristic of his prayers. He begins with the demands of justice: humans
owe it to God to make all of their choices and actions conform to his will;
failure to render what was owed insults God’s honor and makes the offender
liable to make satisfaction; because it is worse to dishonor God than for
countless worlds to be destroyed, the satisfaction owed for any small sin is
incommensurate with any created good; it would be maximally indecent for God to
overlook such a great offense. Such calculations threaten certain ruin for the
sinner, because God alone can do/be immeasurably deserving, and depriving the
creature of its honor through the eternal frustration of its telos seems the
only way to balance the scales. Yet, justice also forbids that God’s purposes
be thwarted through created resistance, and it was divine mercy that made
humans for a beatific immortality with him. Likewise, humans come in families
by virtue of their biological nature which angels do not share, and justice
allows an offense by one family member to be compensated by another. Assuming
that all actual humans are descended from common first parents, Anselm claims
that the human race can make satisfaction for sin, if God becomes human and
renders to God what Adam’s family owes. When Anselm insists that humans were
made for beatific intimacy with God and therefore are obliged to strive into
God with all of their powers, he emphatically includes reason or intellect
along with emotion and will. God, the controlling subject matter, is in part
permanently inaccessible to us because of the ontological incommensuration
between God and creatures and our progress is further hampered by the consequences
of sin. Our powers will function best, and hence we have a duty to follow right
order in their use: by submitting first to the holistic discipline of faith,
which will focus our souls and point us in the right direction. Yet it is also
a duty not to remain passive in our appreciation of authority, but rather for
faith to seek to understand what it has believed. Anselm’s works display a
dialectical structure, full of questions, objections, and contrasting opinions,
designed to stir up the mind. His quartet of teaching dialogues De grammatico, De veritate, De libertate
arbitrii, and De casu diaboli as well as his last philosophical treatise, De
concordia, anticipate the genre of the Scholastic question quaestio so dominant
in the thirteenth and fourteenth centuries. His discussions are likewise
remarkable for their attention to modalities and proper-versus-improper
linguistic usage. Refs.: Grice,
“Anselmo’s “De grammatico” and paronymy.” Speranza, “Grice and Anselm on
paronymy: a ‘quaestio subtilissima.’”
ANTI-LOGISMVS -- antilogismus: A compound.
“Although pro-logismus sounds otiose.” Grice: “Not to be confused with the mere
implicatural ‘para-logism.’ -- an inconsistent triad of propositions, two of
which are the premises of a valid categorical syllogism and the third of which
is the contradictory of the conclusion of this valid categorical syllogism. An
antilogism is a special form of antilogy or self-contradiction.
ANTI-NOMINANISM -- antinomianism: “A compound,
although pro-nomy sounds otiose.” Grice. as a Kantian, Grice overused the idea
of a nomos or law, and then there’s antinominaism, the view that one is not
bound by moral law; specifically, the view that Christians are by grace set
free from the need to observe moral laws. During the Reformation, antinomianism
was believed by some but not Martin Luther to follow from the Lutheran doctrine
of justification by faith alone.
antiochus: Grecian
philosopher and the last prominent member of the New Academy. He played the
major role in ending its two centuries of Skepticism and helped revive interest
in doctrines from the Old Academy, as he called Plato, Aristotle, and their
associates. The impulse for this decisive shift came in epistemology, where the
Skeptical Academy had long agreed with Stoicism that knowledge requires an
infallible “criterion of truth” but disputed the Stoic claim to find this
criterion in “cognitive perception.” Antiochus’s teacher, Philo of Larissa,
broke with this tradition and proposed that perception need not be cognitive to
qualify as knowledge. Rejecting this concession, Antiochus offered new
arguments for the Stoic claim that some perception is cognitive, and hence
knowledge. He also proposed a similar accommodation in ethics, where he agreed
with the Stoics that virtue alone is sufficient for happiness but insisted with
Aristotle that virtue is not the only good. These and similar attempts to
mediate fundamental disputes have led some to label Antiochus an eclectic or
syncretist; but some of his proposals, especially his appeal to the Old
Academy, set the stage for Middle Platonism, which also sought to reconcile
Plato and Aristotle. No works by Antiochus survive, but his students included
many eminent Romans, most notably Cicero, who summarizes Antiochus’s epistemology
in the Academica, his critique of Stoic ethics in De finibus IV, and his
purportedly Aristotelian ethics in De finibus V.
anti-realism: Grice: “Sometimes
I use contra-, sometimes I use anti-.” If Grice was a realist, he hated
anti-realism, the rejection, in one or another form or area of inquiry, of
realism, the view that there are knowable mind-independent facts, objects, or
properties. Metaphysical realists make the general claim that there is a world
of mind-independent objects. Realists in particular areas make more specific or
limited claims. Thus moral realists hold that there are mind-independent moral
properties, mathematical realists that there are mind-independent mathematical
facts, scientific realists that scientific inquiry reveals the existence of
previously unknown and unobservable mind-independent entities and properties.
Antirealists deny either that facts of the relevant sort are mind-independent
or that knowledge of such facts is possible. Berkeley’s subjective idealism,
which claims that the world consists only of minds and their contents, is a
metaphysical anti-realism. Constructivist anti-realists, on the other hand,
deny that the world consists only of mental phenomena, but claim that it is
constituted by, or constructed from, our evidence or beliefs. Many philosophers
find constructivism implausible or even incoherent as a metaphysical doctrine,
but much more plausible when restricted to a particular domain, such as ethics
or mathematics. Debates between realists and anti-realists have been
particularly intense in philosophy of science. Scientific realism has been
rejected both by constructivists such as Kuhn, who hold that scientific facts
are constructed by the scientific community, and by empiricists who hold that
knowledge is limited to what can be observed. A sophisticated version of the
latter doctrine is Bas van Fraassen’s constructive empiricism, which allows
scientists free rein in constructing scientific models, but claims that
evidence for such models confirms only their observable implications.
A-PAGOGE
– vs. E-PAGOGE, and DIA-GOGE. apagoge: distinguished by
Grice from both ‘epagoge,’ and his favoured ‘diagoge.’ A shifting of the
basis of argument: hence of argument based on a probable or agreed assumption,
Arist.APr.69a20, cf. Anon.in SE65.35; reduction, “ἡ εἰς τὸ ἀδύνατον ἀ.”
reductio per impossibile, APr. 29b6; “ἡ ἀ. μετάβασίς ἐστιν ἀπ᾽ ἄλλου
προβλήματος ἢ θεωρήματος ἐπ᾽ ἄλλο, οὗ γνωσθέντος ἢ πορισθέντος καὶ τὸ
προκείμενον ἔσται καταφανές” Procl. in Euc.p.212F.; τῶν ἀπορουμένων
διαγραμμάτων τὴν ἀ. ποιήσασθαι ib. p.213F. b. reduction of a disputant (cf. ἀπάγω
v. 1c), “ἡ ἐπὶ τὸ ἄδηλον ἀ.” S.E.P.2.234.
APO-CATASTASIS -- apocatastasis: a branch of
Grice’s eschatology -- from Grecian, ‘reestablishment’, the restoration of all
souls, including Satan’s and his minions’, in the kingdom of God. God’s
goodness will triumph over evil, and through a process of spiritual education
souls will be brought to repentance and made fit for divine life. The theory
originates with Origen but was also held by Gregory of Nyssa. In modern times
F. D. Maurice 180572 and Karl Barth 6 8 held this position.
A-PORIA -- aporia: cf. aporetic, cognate
with porosity. No porosity, and you get an impasse. While aware of Baker’s and
Deutsch’s treatment of the ‘aporia’ in Aristotle’s account of ‘philos,’ Grice
explores ‘aporia’ in Plato in the Thrasymachus on ‘legal justice’ prior to
‘moral justice’ in Republic. in Dialectic, question for discussion, difficulty,
puzzle, “ἀπορίᾳ σχόμενος” Pl.Prt.321c; ἀ. ἣν ἀπορεῖς ib.324d; “ἡ ἀ. ἰσότης ἐναντίων
λογισμῶν” Arist. Top.145b1, al.; “ἔχει ἀπορίαν περί τινος” Id.Pol.1285b28; “αἱ
μὲν οὖν ἀ. τοιαῦταί τινες συμβαίνουσιν” Id.EN1146b6; “οὐδεμίαν ποιήσει ἀ.”
Id.Metaph.1085a27; ἀ. λύειν, διαλύειν, Id.MM 1201b1, Metaph.1062b31; “ἀπορίᾳ ἀπορίαν
λύειν” D.S.1.37.Discussion with the
Sophist Thrasymachus can
only lead to aporia.
And the more I trust you, the more I sink into an aporia of
sorts. —Aha! roared Thrasymachus to everyone's surprise. There it is!
Socratic aporia is
back! Charge! neither Socrates' company nor Socrates himself gives any
convincing answer. So, he says, finding himself in a real aporia, he
visits Thrasymachus as
well, and ... I argue that a combination of these means in form
that I call “provocative-aporetic” better accounts for the means that Plato
uses to exert a protreptic effect on readers. Aporia is a simultaneously
intellectual and affective experience, and the way that readers choose to
respond to aporia has a greater protreptic effect than either affective or
intellectual means alone. When Socrates says he can 'transfer' the use of
"just" to things related to the 'soul,' what kind of conversational
game is that? Grice took Socrates's manoeuvre very
seriously.Socrates relies on the tripartite theory of the soul. Plato, actually -- since Socrates is a drammatis persona! In "Philosophical Eschatology, Metaphysics, and Plato's
Republic," H. P. Grice's purpose is to carry out a provocative-aporetic
reading Book I Grice argues that it is a dispute between two ways of
understanding 'just' which causes the aporia when Socrates tries to analyse
'just.' Although Socrates will not argue for the complexity and
tripartition of the soul until Bk. IV, we can at least note the contrast with
Thrasymachus' “idealize user” theory.For Socrates, agents are complex, and
justice coordinates the parts of the agent.For Thrasymachus, agents are simple
“users,” and justice is a tool for use. (2 - 3) Justice makes its
possessor happy; the function (telos, metier) argument. To make the
argument that justice is an excellence (virtus, arete) of soul (psyche) that
makes its possessor happy, Socrates relies on a method for discovering the
function (ἔργον, ergon, 352e1, cf. telos, metier, causa finalis) of any object
whatsoever. Socrates begins by differentiating between an exclusive
functions and an optimal function, so that we may discover the functions in
different types of objects, i.e., natural and artificial objects. We can
say an object performs some function (ergon) if one of the following conditions
holds.If the object is the only one that can do the work in
question, or If it is the object that does that work best.Socrates
then provides examples from different part-whole complexes to make his
point. The eye's exclusive function is to see, because no other organ is
specialized so as to perform just that function. A horse's work is to
carry riders into battle. Even though this might not be a horse's
EXCLUSIVE function, it may be its “optimal” function in that the horse is best
suited or designed by God to the task. Finally, the pruning knife is best
for tending to vines, not because it cannot cut anything else, but because it
is optimally suited for that task. Socrates' use of the pruning knife of
as an example of a thing's function resembles a return to the technē model,
since a craftsman must make the knife for a gardener to Socrates asks,
“Would you define this as the function of a horse and of anything else, as that
which someone does either through that thing alone, or best?” (...τοῦτο ἄν
θείης καὶ ἵππου καὶ ἄλλου ὁτουοῦν ἔργον, ὅ ἄν ἤ μόνῳ ἐκείνῳ ποιῇ τις ἤ ἄριστα;
352e1-2) Thrasymachus agrees to this definition of function. 91 use.But his use
of the eye — a bodily organ — should dissuade us from this view. One may
use these examples to argue that Socrates is in fact offering a new method to
investigate the nature of justice: 1) Find out what the functions of such
objects are2) determine (by observation, experiment, or even thought
experiment) cases where objects of such a kind perform their functions well and
cases where they perform them poorly; and 3) finally find out the
qualities that enable them to perform such functions well (and in the absence
of which they perform poorly), and these are their virtues.A crucial difference
between this method and technē model of justice lies in the interpretation that
each assigns to the realm of human artifacts. Polemarchus and Thrasymachus
both assume that the technē is unique as a form of knowledge for the power and
control that it offers users. In Polemarchus' case, the technē of justice,
“helping friends and harming enemies,” may be interpreted as a description of a
method for gaining political power within a traditional framework of communal
life, which assumes the oikos as the basic unit of power. Those families
that help their friends and harm their enemies thrive. Thrasymachus, on
the other hand, emphasizes the ways that technai grant users the power to
exploit nature to further their own, distinctively individual ends. Thus,
the shepherd exploits the sheep to make a livelihood for himself. Socrates'
approach differs from these by re-casting “mastery” over nature as submission
to norms that structure the natural world. For example, many factors contribute
to making This points to a distinction Socrates draws in Book X between
producers and users of artifacts. He uses the example of the blacksmith
who makes a bridle and the horseman who uses the bridle to argue that
production and use correspond to two gradations of knowledge (601c). The
ultimate purpose of the example is to provide a metaphor — using the craft
analogy — for identifying gradations of knowledge on a copy-original paradigm
of the form-participant relation. the pruning knife the optimal tool for
cutting vines: the shape of the human hand, the thickness and shape of the
vines, and the metal of the blade. Likewise, in order for horses to
optimally perform their “work,” they must be "healthy" and
strong. The conditions that bring about their "health" and
strength are not up to us, however."Control” only comes about through the
recognition of natural norms. Thus technē is a type of knowledge that
coordinates structures in nature.It is not an unlimited source of
power. Socrates' inclusion of the human soul (psyche) among those things
that have a function is the more controversial aspect of function
argument.Socrates says that the functions (erga) of the soul (psyche)
are “to engage in care-taking, ruling, and deliberation” and, later,
simply that the ergon (or function) of the soul (or psyche) is “to live”
(τὸ ζῆν, "to zen," 353d6). But the difficulty seems to be this:
the functions of pruning knives, horses, and bodily organs are determined with
respect to a limited and fairly unambiguous context that is already defined for
them. But what is this context with respect to the soul (psyche) of a
human individual? One answer might be that the social world — politics —
provides the context that defines the soul's function, just as the needs of the
human organism define the context in which the eye can perform a
function. But here a challenger might reply that in aristocracies,
oligarchies, and democracies, “care-taking, ruling, and deliberation” are
utilized for different ends.In these contexts, individual souls might have
different functions, according to the “needs” that these different regimes
have. Alternatively, one might deny altogether that the human soul has a
function: the distinctive feature of human beings might be their position
“outside” of nature. Thus, even if Socrates' description of the soul's
function is accurate, it is too general to be really informative.Socrates must
offer more details for the function argument to be
convincing. Nonetheless, the idea that justice is a condition that lets
the soul perform its functions is a significant departure from the technē
model of justice, and one that will remain throughout the argument of the
Republic. […] τὸ ἐπιμελεῖσθαι καὶ ἄρχειν καὶ βουλεύεσθαι (353d3). As
far as Bk. I is concerned, “justice” functions as a place-holder for that
condition of the soul which permits the soul to perform its functions
well. What that condition is, however, remains unknown.For this reason,
Plato has Socrates concludes Bk. I by likening himself to a “glutton” (ὥσπερ οἱ
λίχνοι, 354b1), who takes another dish before “moderately enjoying the
previous” serving (πρὶν τοῦ προτέρου μετρίως ἀπολαύσαι, 354b2-3). For
Socrates wants to know what effects the optimal condition of soul brings about
before knowing what the condition itself is. Thus Bk. I concludes in
"aporia," but not in a way that betrays the dialogue's lack of
unity.The “separatist” thesis concerning Bk. I goes back to Hermann in
"Geschichte und System der Platonischen Philosophie." One can
argue on behalf of the “separatist” view as well. One can argue against
the separatist thesis, even granting some evidence in favour of the separatist
thesis. To the contrary, the "aporia" clearly foreshadows the
argument that Socrates makes about the soul in Bk. IV, viz. that the soul
(psyche) is a complex whole of parts -- an implicaturum in the “justice is
stronger” argument -- and that 'just' is the condition that allows this complex
whole be integrated to an optimal degree. Thus, Bk. I does not conclude
negatively, but rather provides the resources for going beyond the
"technē" model of justice, which is the primary cause of
Polemarchus's and Thrasymachus's encounter with "aporia" in Bk.
I. Throughout conversation of "The Republic," Socrates does not
really alter the argument he gives for justice in Bk. I, but rather states the
same argument in a different way. My gratitude to P. N.
Moore. Refs: Wise guys and smart alecks in Republic 1 and 2; Proleptic
composition in the Republic, or why Bk. 1 was never a separate dialogue, The
Classical Quarterly; "Socrates: ironist and moral philosopher."
Strictly an ‘aporia’ in Griceian, is a ‘puzzle’, ‘question for discussion’,
‘state of perplexity’. The aporetic method
the raising of puzzles without offering solutions is typical of the elenchus in the early
Socratic dialogues of Plato. These consist in the testing of definitions and
often end with an aporia, e.g., that piety is both what is and what is not
loved by the gods. Compare the paradoxes of Zeno, e.g., that motion is both
possible and impossible. In Aristotle’s dialectic, the resolution of aporiai
discovered in the views on a subject is an important source of philosophical
understanding. The beliefs that one should love oneself most of all and that
self-love is shameful, e.g., can be resolved with the right understanding of
‘self’. The possibility of argument for two inconsistent positions was an
important factor in the development of Skepticism. In modern philosophy, the
antinomies that Kant claimed reason would arrive at in attempting to prove the
existence of objects corresponding to transcendental ideas may be seen as
aporiai.
AD-PLICATVM -- applicatum.
Grice: “Etymologically, ad-plicatum. So we have im-plicatum, ex-plicatum,
dis-im-plicatum, and ad-plicatum. While we have implicatum and implicitum, we
also have adplicatum and adplicitum. While Bennett uses the rather ‘abusive’
“nominalist” to refer to Grice, Grice isn’t. It’s all about the ‘applied.’
Grice thinks a rational creature – not a parrot, but a rational intelligent
pirot – can have an abstract idea. So there is this “Communication Device,”
with capital C and capital D. The emissor APPLIES it to a given occasion. Cf.
complete and incomplete. What’s the antonym of applied? Plato’s idea! applied – grice
used ‘applied’ for ‘meaning’ – but ‘applied’ can be used in other contxts too.
In ethics, the domain of ethics that includes professional ethics, such as
business ethics, engineering ethics, and medical ethics, as well as practical
ethics such as environmental ethics, which is applied, and thus practical as
opposed to theoretical, but not focused on any one discipline. One of the major
disputes among those who work in applied ethics is whether or not there is a
general and universal account of morality applicable both to the ethical issues
in the professions and to various practical problems. Some philosophers believe
that each of the professions or each field of activity develops an ethical code
for itself and that there need be no apellatio applied ethics 34 34 close relationship between e.g. business ethics,
medical ethics, and environmental ethics. Others hold that the same moral
system applies to all professions and fields. They claim that the appearance of
different moral systems is simply due to certain problems being more salient
for some professions and fields than for others. The former position accepts
the consequence that the ethical codes of different professions might conflict
with one another, so that a physician in business might find that business
ethics would require one action but medical ethics another. Engineers who have
been promoted to management positions sometimes express concern over the
tension between what they perceive to be their responsibility as engineers and
their responsibility as managers in a business. Many lawyers seem to hold that
there is similar tension between what common morality requires and what they
must do as lawyers. Those who accept a universal morality hold that these
tensions are all resolvable because there is only one common morality.
Underlying both positions is the pervasive but false view of common morality as
providing a unique right answer to every moral problem. Those who hold that
each profession or field has its own moral code do not realize that common
morality allows for conflicts of duties. Most of those who put forward moral
theories, e.g., utilitarians, Kantians, and contractarians, attempt to generate
a universal moral system that solves all moral problems. This creates a
situation that leads many in applied ethics to dismiss theoretical ethics as
irrelevant to their concerns. An alternative view of a moral theory is to think
of it on the model of a scientific theory, primarily concerned to describe
common morality rather than generate a new improved version. On this model, it
is clear that although morality rules out many alternatives as unacceptable, it
does not provide unique right answers to every controversial moral question. On
this model, different fields and different professions may interpret the common
moral system in somewhat different ways. For example, although deception is
always immoral if not justified, what counts as deception is not the same in
all professions. Not informing a patient of an alternative treatment counts as
deceptive for a physician, but not telling a customer of an alternative to what
she is about to buy does not count as deceptive for a salesperson. The
professions also have considerable input into what special duties are incurred
by becoming a member of their profession. Applied ethics is thus not the
mechanical application of a common morality to a particular profession or
field, but an independent discipline that clarifies and analyzes the practices
in a field or profession so that common morality can be applied.
a priori: Obviously
contrasted to ‘a posteriori,’ but not necessarily in termporal terms -- Grice
was fascinated by the apriori, both analytic but more so the synthetic. He
would question his children’s playmates with things like, “Can a sweater be
green and red all over? No striped allowed.” a priori, prior to or independent
of experience; contrasted with ‘a posteriori’ empirical. These two terms are
primarily used to mark a distinction between 1 two modes of epistemic
justification, together with derivative distinctions between 2 kinds of
propositions, 3 kinds of knowledge, and 4 kinds of argument. They are also used
to indicate a distinction between 5 two ways in which a concept or idea may be
acquired. 1 A belief or claim is said to be justified a priori if its epistemic
justification, the reason or warrant for thinking it to be true, does not
depend at all on sensory or introspective or other sorts of experience; whereas
if its justification does depend at least in part on such experience, it is
said to be justified a posteriori or empirically. This specific distinction has
to do only with the justification of the belief, and not at all with how the
constituent concepts are acquired; thus it is no objection to a claim of a
priori justificatory status for a particular belief that experience is required
for the acquisition of some of the constituent concepts. It is clear that the
relevant notion of experience includes sensory and introspective experience, as
well as such things as kinesthetic experience. Equally clearly, to construe
experience in the broadest possible sense of, roughly, a conscious undergoing
of any sort would be to destroy the point of the distinction, since even a
priori justification presumably involves some sort of conscious process of
awareness. The construal that is perhaps most faithful to the traditional usage
is that which construes experience as any sort of cognitive input that derives,
presumably causally, from features of the actual world that may not hold in
other possible worlds. Thus, e.g., such things as clairvoyance or telepathy, if
they were to exist, would count as forms of experience and any knowledge
resulting therefrom as a posteriori; but the intuitive apprehension of
properties or numbers or other sorts of abstract entities that are the same in
all possible worlds, would not. Understood in this way, the concept of a priori
justification is an essentially negative concept, specifying as it does what
the justification of the belief does not depend on, but saying nothing a priori
a priori 35 35 about what it does depend
on. Historically, the main positive conception was that offered by proponents
of rationalism such as Plato, Descartes, Spinoza, and Leibniz, according to
which a priori justification derives from the intuitive apprehension of
necessary facts pertaining to universals and other abstract entities. Although
Kant is often regarded as a rationalist, his restriction of substantive a
priori knowledge to the world of appearances represents a major departure from
the main rationalist tradition. In contrast, proponents of traditional
empiricism, if they do not repudiate the concept of a priori justification
altogether as does Quine, typically attempt to account for such justification
by appeal to linguistic or conceptual conventions. The most standard
formulation of this empiricist view a development of the view of Hume that all
a priori knowledge pertains to “relations of ideas” is the claim typical of
logical positivism that all a priori knowable claims or propositions are
analytic. A rationalist would claim in opposition that at least some a priori
claims or propositions are synthetic. 2 A proposition that is the content of an
a priori justified belief is often referred to as an a priori proposition or an
a priori truth. This usage is also often extended to include any proposition
that is capable of being the content of such a belief, whether it actually has
this status or not. 3 If, in addition to being justified a priori or a
posteriori, a belief is also true and satisfies whatever further conditions may
be required for it to constitute knowledge, that knowledge is derivatively
characterized as a priori or a posteriori empirical, respectively. Though a
priori justification is often regarded as by itself guaranteeing truth, this
should be regarded as a further substantive thesis, not as part of the very
concept of a priori justification. Examples of knowledge that have been
classically regarded as a priori in this sense are mathematical knowledge,
knowledge of logical truths, and knowledge of necessary entailments and
exclusions of commonsense concepts ‘Nothing can be red and green all over at
the same time’, ‘If A is later than B and B is later than C, then A is later
than C’; but many claims of metaphysics, ethics, and even theology have also
been claimed to have this status. 4 A deductively valid argument that also
satisfies the further condition that each of the premises or sometimes one or
more particularly central premises are justified a priori is referred to as an
a priori argument. This label is also sometimes applied to arguments that are
claimed to have this status, even if the correctness of this claim is in
question. 5 In addition to the uses just catalogued that derive from the
distinction between modes of justification, the terms ‘a priori’ and ‘a posteriori’
are also employed to distinguish two ways in which a concept or idea might be
acquired by an individual person. An a posteriori or empirical concept or idea
is one that is derived from experience, via a process of abstraction or
ostensive definition. In contrast, an a priori concept or idea is one that is
not derived from experience in this way and thus presumably does not require
any particular experience to be realized though the explicit realization of
such a concept might still require experience as a “trigger”. The main
historical account of such concepts, again held mainly by rationalists,
construes them as innate, either implanted in the mind by God or, in the more
contemporary version of the claim held by Chomsky, Fodor, and others, resulting
from evolutionary development. Concepts typically regarded as having this sort
of status include the concepts of substance, causation, God, necessity,
infinity, and many others. Empiricists, in contrast, typically hold that all
concepts are derived from experience. Refs.: H. P. Grice, “The synthetic a
priori.”
AQUINO -- aquino:
“Perhaps the Italian most studied at Oxford!” – Grice. Aquino and
intentionality – Clark – Armini -- aquino – keyword: “medieval pragmatics”!
-- thomism, the theology and philosophy of Thomas Aquinas. The term is applied
broadly to various thinkers from different periods who were heavily influenced
by Aquinas’s thought in their own philosophizing and theologizing. Here three
different eras and three different groups of thinkers will be distinguished:
those who supported Aquinas’s thought in the fifty years or so following his
death in 1274; certain highly skilled interpreters and commentators who
flourished during the period of “Second Thomism” sixteenthseventeenth
centuries; and various late nineteenth- and twentieth-century thinkers who have
been deeply influenced in their own work by Aquinas. Thirteenth- and
fourteenth-century Thomism. Although Aquinas’s genius was recognized by many
during his own lifetime, a number of his views were immediately contested by
other Scholastic thinkers. Controversies ranged, e.g., over his defense of only
one substantial form in human beings; his claim that prime matter is purely
potential and cannot, therefore, be kept in existence without some substantial
form, even by divine power; his emphasis on the role of the human intellect in
the act of choice; his espousal of a real distinction betweeen the soul and its
powers; and his defense of some kind of objective or “real” rather than a
merely mind-dependent composition of essence and act of existing esse in
creatures. Some of Aquinas’s positions were included directly or indirectly in
the 219 propositions condemned by Bishop Stephen Tempier of Paris in 1277, and
his defense of one single substantial form in man was condemned by Archbishop
Robert Kilwardby at Oxford in 1277, with renewed prohibitions by his successor
as archbishop of Canterbury, John Peckham, in 1284 and 1286. Only after
Aquinas’s canonization in 1323 were the Paris prohibitions revoked insofar as
they touched on his teaching in 1325. Even within his own Dominican order,
disagreement about some of his views developed within the first decades after
his death, notwithstanding the order’s highly sympathetic espousal of his
cause. Early English Dominican defenders of his general views included William
Hothum d.1298, Richard Knapwell d.c.1288, Robert Orford b. after 1250,
fl.129095, Thomas Sutton d. c.1315?, and William Macclesfield d.1303. Dominican Thomists included Bernard of Trilia
d.1292, Giles of Lessines in present-day Belgium d.c.1304?, John Quidort of
Paris d. 1306, Bernard of Auvergne d. after 1307, Hervé Nédélec d.1323, Armand
of Bellevue fl. 131634, and William Peter Godin d.1336. The secular master at
Paris, Peter of Auvergne d. 1304, while remaining very independent in his own
views, knew Aquinas’s thought well and completed some of his commentaries on
Aristotle. Sixteenth- and seventeenth-century Thomism. Sometimes known as the
period of Second Thomism, this revival gained impetus from the early
fifteenth-century writer John Capreolus 13801444 in his Defenses of Thomas’s
Theology Defensiones theologiae Divi Thomae, a commentary on the Sentences. A
number of fifteenth-century Dominican and secular teachers in G. universities
also contributed: Kaspar Grunwald Freiburg; Cornelius Sneek and John Stoppe in
Rostock; Leonard of Brixental Vienna; Gerard of Heerenberg, Lambert of
Heerenberg, and John Versor all at Cologne; Gerhard of Elten; and in Belgium
Denis the Carthusian. Outstanding among various sixteenth-century commentators
on Thomas were Tommaso de Vio Cardinal Cajetan, Francis Sylvester of Ferrara,
Francisco de Vitoria Salamanca, and Francisco’s disciples Domingo de Soto and
Melchior Cano. Most important among early seventeenth-century Thomists was John
of St. Thomas, who lectured at Piacenza, Madrid, and Alcalá, and is best known
for his Cursus philosophicus and his Cursus theologicus. Theravada Buddhism
Thomism 916 916 The nineteenth- and twentieth-century
revival. By the early to mid-nineteenth century the study of Aquinas had been
largely abandoned outside Dominican circles, and in most Roman Catholic s and
seminaries a kind of Cartesian and Suarezian Scholasticism was taught. Long
before he became Pope Leo XIII, Joachim Pecci and his brother Joseph had taken
steps to introduce the teaching of Thomistic philosophy at the diocesan
seminary at Perugia in 1846. Earlier efforts in this direction had been made by
Vincenzo Buzzetti, by Buzzetti’s students Serafino and Domenico Sordi, and by
Taparelli d’Aglezio, who became director of the Collegio Romano Gregorian in 1824. Leo’s encyclical Aeterni Patris1879
marked an official effort on the part of the Roman Catholic church to foster
the study of the philosophy and theology of Thomas Aquinas. The intent was to
draw upon Aquinas’s original writings in order to prepare students of
philosophy and theology to deal with problems raised by contemporary thought.
The Leonine Commission was established to publish a critical edition of all of
Aquinas’s writings; this effort continues today. Important centers of Thomistic
studies developed, such as the Higher Institute of Philosophy at Louvain
founded by Cardinal Mercier, the Dominican School of Saulchoir in France, and
the Pontifical Institute of Mediaeval Studies in Toronto. Different groups of
Roman, Belgian, and Jesuits acknowledged
a deep indebtedness to Aquinas for their personal philosophical reflections.
There was also a concentration of effort in the United States at universities
such as The Catholic of America, St.
Louis , Notre Dame, Fordham, Marquette, and Boston , to mention but a few, and
by the Dominicans at River Forest. A great weakness of many of the
nineteenthand twentieth-century Latin manuals produced during this effort was a
lack of historical sensitivity and expertise, which resulted in an unreal and
highly abstract presentation of an “Aristotelian-Thomistic” philosophy. This
weakness was largely offset by the development of solid historical research
both in the thought of Aquinas and in medieval philosophy and theology in
general, championed by scholars such as H. Denifle, M. De Wulf, M. Grabmann, P.
Mandonnet, F. Van Steenberghen, E. Gilson and many of his students at Toronto,
and by a host of more recent and contemporary scholars. Much of this historical
work continues today both within and without Catholic scholarly circles. At the
same time, remarkable diversity in interpreting Aquinas’s thought has emerged
on the part of many twentieth-century scholars. Witness, e.g., the heavy
influence of Cajetan and John of St. Thomas on the Thomism of Maritain; the
much more historically grounded approaches developed in quite different ways by
Gilson and F. Van Steenberghen; the emphasis on the metaphysics of
participation in Aquinas in the very different presentations by L. Geiger and
C. Fabro; the emphasis on existence esse promoted by Gilson and many others but
resisted by still other interpreters; the movement known as Transcendental
Thomism, originally inspired by P. Rousselot and by J. Marechal in dialogue
with Kant; and the long controversy about the appropriateness of describing
Thomas’s philosophy and that of other medievals as a Christian philosophy. An
increasing number of non-Catholic thinkers are currently directing considerable
attention to Aquinas, and the varying backgrounds they bring to his texts will
undoubtedly result in still other interesting interpretations and applications
of his thought to contemporary concerns.
: --a strange genitive for “Aquino,” the
little village where the saint was born. while Grice, being C. of E., would
avoid Aquinas like the rats, he was aware of Aquinas’s clever ‘intention-based
semantics’ in his commentary of Aristotle’s De Interpretatione. Saint Thomas
122574, philosopher-theologian, the most
influential thinker of the medieval period. He produced a powerful
philosophical synthesis that combined Aristotelian and Neoplatonic elements
within a Christian context in an original and ingenious way. Life and works.
Thomas was born at Aquino castle in Roccasecca, Italy, and took early schooling
at the Benedictine Abbey of Monte Cassino. He then studied liberal arts and
philosophy at the of Naples 123944 and
joined the Dominican order. While going to Paris for further studies as a
Dominican, he was detained by his family for about a year. Upon being released,
he studied with the Dominicans at Paris, perhaps privately, until 1248, when he
journeyed to a priori argument Aquinas, Saint Thomas 36 36 Cologne to work under Albertus Magnus.
Thomas’s own report reportatio of Albertus’s lectures on the Divine Names of
Dionysius and his notes on Albertus’s lectures on Aristotle’s Ethics date from
this period. In 1252 Thomas returned to Paris to lecture there as a bachelor in
theology. His resulting commentary on the Sentences of Peter Lombard dates from
this period, as do two philosophical treatises, On Being and Essence De ente et
essentia and On the Principles of Nature De principiis naturae. In 1256 he
began lecturing as master of theology at Paris. From this period 125659 date a
series of scriptural commentaries, the disputations On Truth De veritate,
Quodlibetal Questions VIIXI, and earlier parts of the Summa against the
Gentiles Summa contra gentiles; hereafter SCG. At different locations in Italy
from 1259 to 1269, Thomas continued to write prodigiously, including, among
other works, the completion of the SCG; a commentary on the Divine Names;
disputations On the Power of God De potentia Dei and On Evil De malo; and Summa
of Theology Summa theologiae; hereafter ST, Part I. In January 1269, he resumed
teaching in Paris as regent master and wrote extensively until returning to
Italy in 1272. From this second Parisian regency date the disputations On the
Soul De anima and On Virtues De virtutibus; continuation of ST; Quodlibets IVI
and XII; On the Unity of the Intellect against the Averroists De unitate
intellectus contra Averroistas; most if not all of his commentaries on
Aristotle; a commentary on the Book of Causes Liber de causis; and On the
Eternity of the World De aeternitate mundi. In 1272 Thomas returned to Italy
where he lectured on theology at Naples and continued to write until December
6, 1273, when his scholarly work ceased. He died three months later en route to
the Second Council of Lyons. Doctrine. Aquinas was both a philosopher and a
theologian. The greater part of his writings are theological, but there are
many strictly philosophical works within his corpus, such as On Being and
Essence, On the Principles of Nature, On the Eternity of the World, and the
commentaries on Aristotle and on the Book of Causes. Also important are large
sections of strictly philosophical writing incorporated into theological works
such as the SCG, ST, and various disputations. Aquinas clearly distinguishes
between strictly philosophical investigation and theological investigation. If
philosophy is based on the light of natural reason, theology sacra doctrina
presupposes faith in divine revelation. While the natural light of reason is
insufficient to discover things that can be made known to human beings only
through revelation, e.g., belief in the Trinity, Thomas holds that it is
impossible for those things revealed to us by God through faith to be opposed
to those we can discover by using human reason. For then one or the other would
have to be false; and since both come to us from God, God himself would be the
author of falsity, something Thomas rejects as abhorrent. Hence it is
appropriate for the theologian to use philosophical reasoning in theologizing.
Aquinas also distinguishes between the orders to be followed by the theologian
and by the philosopher. In theology one reasons from belief in God and his
revelation to the implications of this for created reality. In philosophy one
begins with an investigation of created reality insofar as this can be
understood by human reason and then seeks to arrive at some knowledge of divine
reality viewed as the cause of created reality and the end or goal of one’s
philosophical inquiry SCG II, c. 4. This means that the order Aquinas follows
in his theological Summae SCG and ST is not the same as that which he
prescribes for the philosopher cf. Prooemium to Commentary on the Metaphysics.
Also underlying much of Aquinas’s thought is his acceptance of the difference
between theoretical or speculative philosophy including natural philosophy,
mathematics, and metaphysics and practical philosophy. Being and analogy. For
Aquinas the highest part of philosophy is metaphysics, the science of being as
being. The subject of this science is not God, but being, viewed without
restriction to any given kind of being, or simply as being Prooemium to
Commentary on Metaphysics; In de trinitate, qu. 5, a. 4. The metaphysician does
not enjoy a direct vision of God in this life, but can reason to knowledge of
him by moving from created effects to awareness of him as their uncreated
cause. God is therefore not the subject of metaphysics, nor is he included in
its subject. God can be studied by the metaphysician only indirectly, as the
cause of the finite beings that fall under being as being, the subject of the
science. In order to account for the human intellect’s discovery of being as
being, in contrast with being as mobile studied by natural philosophy or being
as quantified studied by mathematics, Thomas appeals to a special kind of
intellectual operation, a negative judgment, technically named by him
“separation.” Through this operation one discovers that being, in order to be
realized as such, need not be material and changAquinas, Saint Thomas Aquinas,
Saint Thomas 37 37 ing. Only as a
result of this judgment is one justified in studying being as being. Following
Aristotle and Averroes, Thomas is convinced that the term ‘being’ is used in
various ways and with different meanings. Yet these different usages are not
unrelated and do enjoy an underlying unity sufficient for being as being to be
the subject of a single science. On the level of finite being Thomas adopts and
adapts Aristotle’s theory of unity by reference to a first order of being. For Thomas
as for Aristotle this unity is guaranteed by the primary referent in our
predication of being substance. Other
things are named being only because they are in some way ordered to and
dependent on substance, the primary instance of being. Hence being is
analogous. Since Thomas’s application of analogy to the divine names
presupposes the existence of God, we shall first examine his discussion of that
issue. The existence of God and the “five ways.” Thomas holds that unaided
human reason, i.e., philosophical reason, can demonstrate that God exists, that
he is one, etc., by reasoning from effect to cause De trinitate, qu. 2, a. 3;
SCG I, c. 4. Best-known among his many presentations of argumentation for God’s
existence are the “five ways.” Perhaps even more interesting for today’s
student of his metaphysics is a brief argument developed in one of his first
writings, On Being and Essence c.4. There he wishes to determine how essence is
realized in what he terms “separate substances,” i.e., the soul, intelligences
angels of the Christian tradition, and the first cause God. After criticizing
the view that created separate substances are composed of matter and form,
Aquinas counters that they are not entirely free from composition. They are
composed of a form or essence and an act of existing esse. He immediately
develops a complex argument: 1 We can think of an essence or quiddity without
knowing whether or not it actually exists. Therefore in such entities essence
and act of existing differ unless 2 there is a thing whose quiddity and act of
existing are identical. At best there can be only one such being, he continues,
by eliminating multiplication of such an entity either through the addition of
some difference or through the reception of its form in different instances of
matter. Hence, any such being can only be separate and unreceived esse, whereas
esse in all else is received in something else, i.e., essence. 3 Since esse in
all other entities is therefore distinct from essence or quiddity, existence is
communicated to such beings by something else, i.e., they are caused. Since
that which exists through something else must be traced back to that which
exists of itself, there must be some thing that causes the existence of
everything else and that is identical with its act of existing. Otherwise one
would regress to infinity in caused causes of existence, which Thomas here
dismisses as unacceptable. In qu. 2, a. 1 of ST I Thomas rejects the claim that
God’s existence is self-evident to us in this life, and in a. 2 maintains that
God’s existence can be demonstrated by reasoning from knowledge of an existing
effect to knowledge of God as the cause required for that effect to exist. The
first way or argument art. 3 rests upon the fact that various things in our world
of sense experience are moved. But whatever is moved is moved by something
else. To justify this, Thomas reasons that to be moved is to be reduced from
potentiality to actuality, and that nothing can reduce itself from potency to
act; for it would then have to be in potency if it is to be moved and in act at
the same time and in the same respect. This does not mean that a mover must
formally possess the act it is to communicate to something else if it is to
move the latter; it must at least possess it virtually, i.e., have the power to
communicate it. Whatever is moved, therefore, must be moved by something else.
One cannot regress to infinity with moved movers, for then there would be no
first mover and, consequently, no other mover; for second movers do not move
unless they are moved by a first mover. One must, therefore, conclude to the
existence of a first mover which is moved by nothing else, and this “everyone
understands to be God.” The second way takes as its point of departure an
ordering of efficient causes as indicated to us by our investigation of
sensible things. By this Thomas means that we perceive in the world of sensible
things that certain efficient causes cannot exercise their causal activity
unless they are also caused by something else. But nothing can be the efficient
cause of itself, since it would then have to be prior to itself. One cannot
regress to infinity in ordered efficient causes. In ordered efficient causes,
the first is the cause of the intermediary, and the intermediary is the cause
of the last whether the intermediary is one or many. Hence if there were no
first efficient cause, there would be no intermediary and no last cause. Thomas
concludes from this that one must acknowledge the existence of a first
efficient cause, “which everyone names God.” The third way consists of two
major parts. Some Aquinas, Saint Thomas Aquinas, Saint Thomas 38 38 textual variants have complicated the
proper interpretation of the first part. In brief, Aquinas appeals to the fact
that certain things are subject to generation and corruption to show that they
are “possible,” i.e., capable of existing and not existing. Not all things can
be of this kind revised text, for that which has the possibility of not
existing at some time does not exist. If, therefore, all things are capable of
not existing, at some time there was nothing whatsoever. If that were so, even
now there would be nothing, since what does not exist can only begin to exist
through something else that exists. Therefore not all beings are capable of
existing and not existing. There must be some necessary being. Since such a
necessary, i.e., incorruptible, being might still be caused by something else,
Thomas adds a second part to the argument. Every necessary being either depends
on something else for its necessity or it does not. One cannot regress to
infinity in necessary beings that depend on something else for their necessity.
Therefore there must be some being that is necessary of itself and that does
not depend on another cause for its necessity, i.e., God. The statement in the
first part to the effect that what has the possibility of not existing at some
point does not exist has been subject to considerable dispute among
commentators. Moreover, even if one grants this and supposes that every
individual being is a “possible” and therefore has not existed at some point in
the past, it does not easily follow from this that the totality of existing
things will also have been nonexistent at some point in the past. Given this,
some interpreters prefer to substitute for the third way the more satisfactory
versions found in SCG I ch. 15 and SCG II ch. 15. Thomas’s fourth way is based
on the varying degrees of perfection we discover among the beings we
experience. Some are more or less good, more or less true, more or less noble,
etc., than others. But the more and less are said of different things insofar
as they approach in varying degrees something that is such to a maximum degree.
Therefore there is something that is truest and best and noblest and hence that
is also being to the maximum degree. To support this Thomas comments that those
things that are true to the maximum degree also enjoy being to the maximum
degree; in other words he appeals to the convertibility between being and truth
of being. In the second part of this argument Thomas argues that what is
supremely such in a given genus is the cause of all other things in that genus.
Therefore there is something that is the cause of being, goodness, etc., for
all other beings, and this we call God. Much discussion has centered on
Thomas’s claim that the more and less are said of different things insofar as
they approach something that is such to the maximum degree. Some find this
insufficient to justify the conclusion that a maximum must exist, and would
here insert an appeal to efficient causality and his theory of participation.
If certan entities share or participate in such a perfection only to a limited
degree, they must receive that perfection from something else. While more satisfactory
from a philosophical perspective, such an insertion seems to change the
argument of the fourth way significantly. The fifth way is based on the way
things in the universe are governed. Thomas observes that certain things that
lack the ability to know, i.e., natural bodies, act for an end. This follows
from the fact that they always or at least usually act in the same way to
attain that which is best. For Thomas this indicates that they reach their ends
by “intention” and not merely from chance. And this in turn implies that they
are directed to their ends by some knowing and intelligent being. Hence some
intelligent being exists that orders natural things to their ends. This
argument rests on final causality and should not be confused with any based on
order and design. Aquinas’s frequently repeated denial that in this life we can
know what God is should here be recalled. If we can know that God exists and
what he is not, we cannot know what he is see, e.g., SCG I, c. 30. Even when we
apply the names of pure perfections to God, we first discover such perfections
in limited fashion in creatures. What the names of such perfections are
intended to signify may indeed be free from all imperfection, but every such
name carries with it some deficiency in the way in which it signifies. When a
name such as ‘goodness’, for instance, is signified abstractly e.g., ‘God is
goodness’, this abstract way of signifying suggests that goodness does not
subsist in itself. When such a name is signified concretely e.g., ‘God is
good’, this concrete way of signifying implies some kind of composition between
God and his goodness. Hence while such names are to be affirmed of God as
regards that which they signify, the way in which they signify is to be denied
of him. This final point sets the stage for Thomas to apply his theory of
analogy to the divine names. Names of pure perfections such as ‘good’, ‘true’,
‘being’, etc., cannot be applied to God with Aquinas, Saint Thomas Aquinas,
Saint Thomas 39 39 exactly the same
meaning they have when affirmed of creatures univocally, nor with entirely
different meanings equivocally. Hence they are affirmed of God and of creatures
by an analogy based on the relationship that obtains between a creature viewed
as an effect and God its uncaused cause. Because some minimum degree of
similarity must obtain between any effect and its cause, Thomas is convinced
that in some way a caused perfection imitates and participates in God, its
uncaused and unparticipated source. Because no caused effect can ever be equal
to its uncreated cause, every perfection that we affirm of God is realized in
him in a way different from the way we discover it in creatures. This
dissimilarity is so great that we can never have quidditative knowledge of God
in this life know what God is. But the similarity is sufficient for us to
conclude that what we understand by a perfection such as goodness in creatures
is present in God in unrestricted fashion. Even though Thomas’s identification
of the kind of analogy to be used in predicating divine names underwent some
development, in mature works such as On the Power of God qu. 7, a. 7, SCG I
c.34, and ST I qu. 13, a. 5, he identifies this as the analogy of “one to
another,” rather than as the analogy of “many to one.” In none of these works
does he propose using the analogy of “proportionality” that he had previously
defended in On Truth qu. 2, a. 11. Theological virtues. While Aquinas is
convinced that human reason can arrive at knowledge that God exists and at
meaningful predication of the divine names, he does not think the majority of
human beings will actually succeed in such an effort SCG I, c. 4; ST IIIIae,
qu. 2, a. 4. Hence he concludes that it was fitting for God to reveal such
truths to mankind along with others that purely philosophical inquiry could
never discover even in principle. Acceptance of the truth of divine revelation
presupposes the gift of the theological virtue of faith in the believer. Faith
is an infused virtue by reason of which we accept on God’s authority what he
has revealed to us. To believe is an act of the intellect that assents to
divine truth as a result of a command on the part of the human will, a will
that itself is moved by God through grace ST II IIae, qu. 2, a. 9. For Thomas
the theological virtues, having God the ultimate end as their object, are prior
to all other virtues whether natural or infused. Because the ultimate end must
be present in the intellect before it is present to the will, and because the
ultimate end is present in the will by reason of hope and charity the other two
theological virtues, in this respect faith is prior to hope and charity. Hope
is the theological virtue through which we trust that with divine assistance we
will attain the infinite good eternal
enjoyment of God ST IIIIae, qu. 17, aa. 12. In the order of generation, hope is
prior to charity; but in the order of perfection charity is prior both to hope
and faith. While neither faith nor hope will remain in those who reach the
eternal vision of God in the life to come, charity will endure in the blessed.
It is a virtue or habitual form that is infused into the soul by God and that
inclines us to love him for his own sake. If charity is more excellent than
faith or hope ST II IIae, qu. 23, a. 6, through charity the acts of all other
virtues are ordered to God, their ultimate end qu. 23, a. 8. Refs.: Grice, “Intentionality in Aquino,”
Speranza, “Grice and Aquino on the taxonomy of intentions.”
ARANGIO Vladimiro Arangio-Ruiz Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Jump to navigationJump to search Vladimiro Arangio-Ruiz (Napoli, 19 febbraio
1887 – Firenze, 8 novembre 1952) è stato un filosofo, grecista e accademico
italiano. Fu il primo preside del Liceo scientifico Alessandro Tassoni di
Modena, istituito nel 1923, a seguito della riforma Gentile[1]. Indice 1 Biografia
2 Note
3 Voci
correlate 4 Altri
progetti 5 Collegamenti
esterni Biografia Nacque a Napoli nel 1887 da Gaetano, professore di diritto
costituzionale, e da Clementina Cavicchia. Frequentò a Firenze il corso di
lettere nell'Istituto di studi superiori dal 1905 al 1910 e si laureò con una
tesi su Il coro nella tragedia greca in letteratura greca con Girolamo Vitelli,
filologo, grecista, papirologo e senatore del Regno d'Italia. Vladimiro appartenne a una illustre famiglia
di giuristi: il fratello Vincenzo Arangio-Ruiz fu uno dei maggiori studiosi di
diritto romano, ordinario all'Università di Napoli e alla Sapienza di Roma.
Contravvenendo alla tradizione di famiglia, Vladimiro preferì dedicarsi agli
studi filosofici e fu professore alla Scuola normale superiore di Pisa[2] e
alla facoltà di Magistero di Firenze.[2]
Insegnò nei ginnasi di Stato e fu ufficiale d'artiglieria nella Prima
guerra mondiale dove venne ferito. Nel 1921 si laureò per la seconda volta, in
filosofia con Piero Martinetti, discutendo la tesi Conoscenza e moralità
pubblicata nel 1922. In gioventù aveva
sentito fortemente l'influenza del giovane poeta e filosofo Carlo
Michelstaedter,[2] esponente importante della filosofia europea del primo
Novecento,[3] del quale pubblicherà gli scritti. Si propose una funzione critica ricostruttiva
[4] dell'idealismo storicistico e dell'attualismo di Giovanni Gentile da cui
trasse ispirazione per sviluppare il suo "moralismo assoluto".
Contrariamente alla dottrina gentiliana che dichiarava l'attualismo coincidente
con la "vita dello Stato", Arangio Ruiz credeva che invece fosse
identificabile con il comportamento morale individuale poiché la politica non è
che un aspetto particolare della legge morale per sua natura universale
[2]. Fra le sue opere si ricordano:
Prose morali (1935), e Umanità dell'arte (1951). Morì a Firenze nel 1952. Note ^ Il Liceo "Tassoni" tra storia
e innovazione. Fonte: Dizionario di
filosofia, riferimenti in Collegamenti esterni. ^ Fabrizio Meroi, «Carlo
Michelstaedter» in Il contributo italiano alla storia del Pensiero - Filosofia,
Roma Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2012. ^ Ricostruzione filosofica, in
Arch. di filosofia, X[1940], p. 20 Voci correlate Carlo Michelstaedter Altri
progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a
Vladimiro Arangio-Ruiz Collegamenti esterni Vladimiro Arangio-Ruiz, su
Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata Vladimiro Arangio-Ruiz, in Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Vladimiro
Arangio-Ruiz, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
2009. Controllo di autorità VIAF
(EN) 65489882 · ISNI (EN) 0000 0001 2018 2006 · SBN IT\ICCU\CFIV\007352 · LCCN
(EN) n86085329 · GND (DE) 101312572X · BNF (FR) cb12935687c (data) · BAV (EN)
495/281726 · WorldCat Identities (EN) lccn-n86085329 Biografie Portale
Biografie Filosofia Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX
secoloGrecisti italianiAccademici italiani del XX secoloNati nel 1887Morti nel
1952Nati il 19 febbraioMorti l'8 novembreNati a NapoliMorti a Firenze[altre]
ARCAIS Paolo Flores d'Arcais Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Jump to navigationJump to search Nota disambigua.svg Disambiguazione –
"Flores d'Arcais" rimanda qui. Se stai cercando altre persone con lo
stesso cognome, vedi Flores D'Arcais. Paolo Flores d'Arcais (Cervignano del
Friuli, 11 luglio 1944) è un filosofo, pubblicista e ricercatore universitario
italiano, direttore della rivista MicroMega. È stato collaboratore de la
Repubblica, il Fatto Quotidiano, El País, Frankfurter Allgemeine Zeitung e
Gazeta Wyborcza. Indice 1 Biografia 2 Impegno
politico 3 Opere
4 Note
5 Voci
correlate 6 Altri
progetti 7 Collegamenti
esterni Biografia Ha sempre unito l’attività di studioso, il lavoro editoriale
e l’impegno civile. Educazione intensamente cattolica. Abbandona la fede nella
primavera del 1961. Maturità scientifica nel 1962, maturità classica nel 1963.
Si iscrive al partito comunista (e federazione giovanile) nell’autunno 1963,
entrando all’università. Nel 1964 è segretario del Circolo universitario
comunista e nell’estate frequenta la scuola centrale di partito “Marabini” a Bologna. Allievo di Lucio Colletti, marxista eretico
“dellavolpiano”, si laurea con lui nel 1969 con una tesi su “Marx interprete di
Adamo Smith” e ne sarà a lungo uno degli assistenti. Espulso dal Pci nella
primavera del 1967, è uno degli animatori del movimento studentesco del
Sessantotto. Nel 1970 e ’71 pubblica la rivista “Soviet”. Nel 1976/7 la rivista
“Il Leviatano”. Nel 1977 è l’organizzatore del convegno internazionale di tre
giorni che apre la “Biennale del dissenso” della presidenza Ripa di Meana. Nel 1978 viene chiamato a fondare e dirigere
il “Centro culturale Mondoperaio” dal segretario del Psi Bettino Craxi (alleato
delle sinistre di Giolitti e Lombardi). Prima iniziativa, il convegno
internazionale “Marxismo, leninismo, socialismo”, relatori Cornelius
Castoriadis, Gilles Martinet e Rudi Dutschke. Rompe con Craxi nel gennaio del
1980 quando questi cambia politica, spezza l’alleanza con Giolitti e Lombardi,
torna al governo con la Dc. Nel 1986
fonda insieme a Giorgio Ruffolo la rivista “MicroMega” (Ruffolo ne uscirà nel
1992, per contrasti su “Mani pulite”). Nel 1990 fonda la “sinistra dei club”
con Alberto Cavallari e altre cinque personalità della società civile, per
partecipare alla fondazione del Pds, che dovrebbe aprirsi alla società civile sulle
ceneri dell’ex Pci. Lo abbandona un anno dopo, viste le promesse non mantenute.
Nell’inverno 2000 è protagonista di una controversia pubblica col cardinal
Ratzinger al Teatro Quirino di Roma. Nel 2002 organizza insieme a Nanni
Moretti, Olivia Sleiter e Pancho Pardi la grande manifestazione dei “girotondi”
del 14 settembre a piazza san Giovanni a Roma. Paolo Flores d'Arcais è
"radicalmente ateo"[1].
Impegno politico Inizia presto ad occuparsi di politica
nell'organizzazione giovanile del Partito Comunista Italiano, ma presto viene
espulso dalla FGCI per la sua prolungata e grave attività frazionistica, cioè
per la sua doppia militanza nella FGCI e nella Quarta Internazionale
trotskista. Allievo e amico di Lucio Colletti, dopo esser stato uno dei protagonisti
del "Sessantotto" romano, approda a posizioni di riformismo radicale
e verso la fine degli anni settanta ha una breve ma vivida intesa con Bettino
Craxi e Claudio Martelli, dai quali, tuttavia, si distacca ben presto. Nel 1991 aderisce al Partito Democratico
della Sinistra di Achille Occhetto entrando nella Direzione del movimento, da
cui però fuoriesce due anni dopo poiché favorevole alla guerra del Golfo a
differenza della linea maggioritaria del partito. Tra i promotori della breve
stagione dei girotondi, tenta di proporre una lista di suoi candidati alle
primarie dell'Ulivo per le elezioni politiche del 2006 ma come lui stesso deve
ammettere "realizza un fallimento pieno e perfetto" raccogliendo
appena 130 adesioni alla sua idea. Il 25 marzo 2008 annuncia su MicroMega che
nelle elezioni politiche del 2008 avrebbe votato per il Partito Democratico in
funzione anti-berlusconiana.[2] Il 29 gennaio 2009 decide di ritentare in
politica prospettando il "Partito dei Senza Partito" insieme ad Antonio
Di Pietro ed Andrea Camilleri per partecipare alle elezioni europee del 2009[3]
ma, il 12 marzo dello stesso anno, viene annunciato il mancato accordo fra i
tre. Per le elezioni politiche del 2013 ha dichiarato di votare la lista
Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia.[4] Successivamente non nasconde le sue
simpatie per il Movimento 5 Stelle per il quale dichiara di votare[5]. Tuttavia
in seguito all'alleanza tra il Movimento 5 Stelle e la Lega si dice deluso dal
Movimento, accusando in particolare Luigi Di Maio di avere tradito le promesse
agli elettori.[6] Opere Il maggio rosso
di Parigi. Cronologia e documenti delle lotte studentesche e operaie in
Francia, a cura di, Padova, Marsilio, 1968. Il piccolo sinistrese illustrato,
con Giampiero Mughini, Milano, SugarCo, 1977. Il dubbio e la certezza. Nei
dintorni del marxismo e oltre (1971-1981), Milano, SugarCo, 1982.
L'esistenzialismo libertario di Hannah Arendt, in Hannah Arendt, Politica e
menzogna, Milano, SugarCo, 1985. Oltre il PCI. Per un partito libertario e riformista,
Genova, Marietti, 1990. ISBN 88-211-6279-6. Esistenza e libertà. A partire da
Hannah Arendt, Genova, Marietti, 1990. ISBN 88-211-6622-8. L'albero e la
foresta. Il partito democratico della sinistra nel sistema politico italiano,
con Umberto Curi, Milano, FrancoAngeli, 1991. ISBN 88-204-6678-3. La rimozione
permanente. Il futuro della sinistra e la critica del comunismo. Scritti
1971-1991, Genova, Marietti, 1991. ISBN 88-211-6898-0. Etica senza fede,
Torino, Einaudi, 1992. ISBN 88-06-13001-3. Il disincanto tradito, Torino,
Bollati Boringhieri, 1994. ISBN 88-339-0820-8. Hannah Arendt. Esistenza e
libertà, Roma, Donzelli, 1995. ISBN 88-7989-151-0. Gobetti, liberale del
futuro, in Piero Gobetti, La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica
in Italia, Torino, Einaudi, 1995. ISBN 88-06-13642-9. Il populismo italiano da
Craxi a Berlusconi. Dieci anni di regime nelle analisi di MicroMega, Roma,
Donzelli, 1996. ISBN 88-7989-212-6. L'individuo libertario. Percorsi di
filosofia morale e politica nell'orizzonte del finito, Torino, Einaudi, 1999.
ISBN 88-06-15139-8. Il sovrano e il dissidente, ovvero La democrazia presa sul
serio. Saggio di filosofia politica per cittadini esigenti, Milano, Garzanti,
2004. ISBN 88-11-60045-6. Dio esiste? Un confronto su verità, fede, ateismo,
moderato da Gad Lerner, con Joseph Ratzinger, Roma, Somedia Gruppo editoriale
L'Espresso, 2005. ISBN 88-8371-169-6. Il ventennio populista. Da Craxi a
Berlusconi (passando per D'Alema?), Roma, Fazi, 2006. ISBN 88-8112-750-4.
Hannah Arendt. Esistenza e libertà, autenticità e politica, Roma, Fazi, 2006.
ISBN 88-8112-769-5. Atei o credenti? Filosofia, politica, etica, scienza, con
Michel Onfray e Gianni Vattimo, Roma, Fazi, 2007. ISBN 978-88-8112-884-6. Dio?
Ateismo della ragione e ragioni della fede, con Angelo Scola, Venezia,
Marsilio, 2008. ISBN 978-88-317-9470-1. Itinerario di un eretico. Dialogo con
Paolo Flores d'Arcais, di Marco Alloni, Lugano, ADV, 2008. ISBN
978-88-7922-035-4. A chi appartiene la tua vita? Una riflessione filosofica su
etica, testamento biologico, eutanasia e diritti civili nell'epoca oscurantista
di Ratzinger e Berlusconi, Milano, Ponte alle Grazie, 2009. ISBN
978-88-6220-068-4. Albert Camus filosofo del futuro, Torino, Codice, 2010. ISBN
978-88-7578-147-7. La sfida oscurantista di Joseph Ratzinger, Milano, Ponte
alle Grazie, 2010. ISBN 978-88-6220-214-5. Gesù. L'invenzione del Dio
cristiano, Torino, Add, 2011. ISBN 978-88-96873-33-5. Macerie. Ascesa e declino
di un regime, Roma, Aliberti, 2011. ISBN 978-88-7424-761-5. Perché oggi, in
Ernesto Rossi, Contro l'industria dei partiti, Milano, Chiarelettere, 2012.
ISBN 978-88-6190-358-6. Democrazia! Libertà privata e libertà in rivolta,
Torino, Add, 2012. ISBN 978-88-96873-73-1. Il caso o la speranza? Un dibattito
senza diplomazia, con Vito Mancuso, Milano, Garzanti, 2013. ISBN
978-88-11-68459-6. La Guerra del Sacro. Terrorismo, laicità e democrazia
radicale, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2016. ISBN 978-88-6030-793-4.
Questione di vita e di morte, Einaudi, Vele, 2019. ISBN 9788806242558. Note ^
cfr., uno per tutti, il suo volume (a quattro mani con il cardinale Angelo
Scola) "Dio? Ateismo della ragione e ragioni della fede" - Marsilio
editore, 2008 ^ Dal sito di MicroMega ^ Articolo de El País, tradotto in
italiano Archiviato il 30 giugno 2012 in Internet Archive. ^ Elezioni 2013 -
Per chi votano Travaglio, Guzzanti, Scanzi, ecc. Tra Rivoluzione Civile e il
Movimento 5 Stelle ^ La Repubblica del 19 novembre 2016 ^ Flores d'Arcais: “Il
Movimento 5 Stelle non esiste più”, su micromega-online. URL consultato il 24
aprile 2019. Voci correlate MicroMega (periodico) Altri progetti Collabora a
Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Paolo Flores d'Arcais
Collegamenti esterni Paolo Flores d'Arcais, su Treccani.it – Enciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Paolo
Flores d'Arcais, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata
Registrazioni di Paolo Flores d'Arcais, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.
Modifica su Wikidata Sito ufficiale di MicroMega. Undici riflessioni sui
movimenti articolo pubblicato sul numero 2 del 2002 di MicroMega. Intervista a
D'Arcais sul ventennale della rivista. Il blog di Paolo Flores d'Arcais, su
ilfattoquotidiano.it. Controllo di autorità VIAF
(EN) 46769094 · ISNI (EN) 0000 0000 8124 6678 · SBN IT\ICCU\CFIV\061935 · LCCN
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Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloGiornalisti
italiani del XX secoloGiornalisti italiani del XXI secoloNati nel 1944Nati l'11
luglioNati a Cervignano del FriuliDirettori di periodici italianiFilosofi
atei[altre]
ARCHIBUGI Daniele
Archibugi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
search Daniele Archibugi DanieleArchibugi (Roma, 17 luglio 1958) è un
economista italiano, studioso dell'economia e delle politiche dell'innovazione
e della teoria politica delle relazioni internazionali. Nell'ambito della
teoria politica, ha sviluppato, insieme a David Held, l'idea di una democrazia
cosmopolita. Ha anche lavorato su diversi aspetti della globalizzazione, ed in
particolare sulla globalizzazione dell'innovazione e del cambiamento
tecnologico. Indice 1 Biografia
2 La
democrazia cosmopolita 3 Giustizia
globale 4 Globalizzazione
della tecnologia 5 Economia
della ricostruzione dopo le crisi economiche 6 Relazioni
familiari 7 Note
8 Pubblicazioni
9 Collegamenti
esterni Biografia Dopo una non assidua frequentazione del Liceo Sperimentale
della Bufalotta, si è laureato con lode alla Facoltà di Economia e Commercio
dell'Università di Roma La Sapienza con Federico Caffè.[1] Ha conseguito il
dottorato di ricerca presso lo Science Policy Research Unit dell'Università del
Sussex, dove ha lavorato con Christopher Freeman e Keith Pavitt. Ha insegnato
alle Università del Sussex, Madrid, Napoli, Roma La Sapienza e Roma Luiss,
Cambridge, London School of Economics and Political Science e Harvard. Ha anche
tenuto corsi presso università asiatiche quali la Ritsumeikan University di
Kyoto e la SWEFE University di Chengdu. Nel 2006 è stato nominato
Professore Onorario presso l'Università del Sussex e nel 2016 Membro d'Onore
del Réseaux de Recherche sur l'Innovation.[2] Dirigente presso il
Consiglio Nazionale delle Ricerche a Roma,[3] è Professore di Innovation,
Governance and Public Policy presso l'Università di Londra, Birkbeck
College.[4] Dal 1997 al 2002 è stato Commissario dell'Autorità sui
servizi pubblici locali di Roma, eletto a larga maggioranza dal Consiglio
Comunale. La democrazia cosmopolita Il progetto della democrazia
cosmopolita o cosmopolitica si interroga sulla possibilità di applicare alcune
norme e valori della democrazia anche nelle relazioni internazionali.[5] La
necessità deriva dal fatto che la globalizzazione economica e sociale ha reso
gli stati sempre più vulnerabili e che decisioni importanti per loro sono prese
al di fuori dal processo democratico. La soluzione proposta dalla democrazia
cosmopolita è sviluppare istituzioni sovra-statali che siano capaci di
affrontare democraticamente problemi comuni quali l'ambiente, la sicurezza, le
migrazioni, il commercio estero e i flussi finanziari. La democrazia
cosmopolita guarda con fiducia alle organizzazioni internazionali, e desidera
rafforzare al loro interno il controllo dei cittadini, cui va dato un peso
politico parallelo e autonomo rispetto a quello che già hanno i loro governi. A
livello politico, Archibugi ha sostenuto la limitazione del potere di veto nel
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la formazione di un'Assemblea
Parlamentare Mondiale.[6] Ha invece ritenuto insoddisfacenti e anti-democratici
i vertici inter-governativi quali il G7, G8 and G20.[7] Ha anche preso
posizione contro l'idea di una Lega delle democrazie sostenendo che una riforma
democratica delle Nazioni Unite riuscirebbe assai meglio a soddisfare le
medesime istanze.[8] Giustizia globale Fautore della responsabilità
individuale dei governanti nel caso di crimini internazionali, Archibugi ha
anche attivamente sostenuto, sin dalla caduta del muro di Berlino, la creazione
di una Corte penale internazionale, collaborando sia con i giuristi della
Commissione del diritto internazionale delle Nazioni Unite sia con il governo
italiano. Nel corso degli anni, la sua posizione è diventata sempre più
scettica per l'incapacità dei tribunali internazionali di incriminare i più
forti.[9] Ha, quindi, preso posizione a favore di altri strumenti
quasi-giudiziari come le Commissioni per la verità e la riconciliazione e i
Tribunali d'opinione.[10] [11] Globalizzazione della tecnologia Archibugi
ha proposto una tassonomia della globalizzazione della tecnologia che distingue
fra tre meccanismi di trasmissione della conoscenza: sfruttamento
internazionale delle innovazioni, generazione globale delle innovazioni e
collaborazioni globali nella scienza e nella tecnologia.[12]. Come
Presidente di un Gruppo di Esperti dello Spazio di Ricerca Europeo della
Commissione europea dedicato alla collaborazione internazionale nella scienza e
nella tecnologia, Archibugi ha indicato che il declino demografico dell'Europa,
combinato con la scarsa vocazione delle nuove generazioni per le scienze,
genererà una drastica carenza di lavoratori qualificati in meno di una
generazione[13]. Questo metterà in pericolo il livello di benessere della
popolazione europea in aree cruciali come la ricerca medica, le tecnologie
dell'informazione e le industrie ad alta tecnologia. Ha così sostenuto di
rivedere radicalmente la politica dell'immigrazione europea in maniera di
accogliere e formare in un decennio almeno due milioni di studenti dai paesi
emergenti e in via di sviluppo, qualificandoli in discipline quali le scienze e
l'ingegneria. Economia della ricostruzione dopo le crisi economiche Da
studioso dei cicli economici, Archibugi ha combinato la prospettiva keynesiana
derivata dai suoi mentori Federico Caffè, Hyman Minsky e Nicholas Kaldor con
quella schumpeteriana derivata da Christopher Freeman e dallo Science Policy
Research Unit dell'Università del Sussex.[14] Combinando le due prospettive,
Archibugi ha sostenuto che per uscire da una crisi, un paese deve investire nei
settori emergenti[15] e che, in assenza di spirito imprenditoriale del settore
privato, il settore pubblico deve avere la capacità manageriale di sfruttare le
opportunità scientifiche e tecnologiche,[16] anche a salvaguardia dei beni
pubblici.[17] Relazioni familiari Figlio dell'urbanista Franco Archibugi
e della poetessa Muzi Epifani, ha numerosi fratelli e sorelle, tra cui la
regista Francesca Archibugi e il politologo Mathias Koenig-Archibugi, con il
quale frequentemente collabora nei suoi studi.[18] I fratelli maggiori del
nonno di suo nonno furono Francesco e Alessandro Archibugi, volontari del
Battaglione universitario della Sapienza e morti nella difesa della Repubblica
Romana (1849). Note ^ D. Archibugi è stato uno degli ultimi e più vicini
allievi di Federico Caffè. Partecipò attivamente alle sue ricerche dopo la
misteriosa scomparsa. Cfr. D. Archibugi, I ragazzi che cercarono il Prof.
Caffè, La Repubblica, 8 aprile 2012. Si veda anche Fabrizio Peronaci, La
scomparsa di Federico Caffè. «Un genio anche nell’addio. Come lui solo
Majorana», intervista a Daniele Archibugi, Corriere.it, 10 novembre 2019. ^
Membres d'honneur du Réseaux de Recherche sur l'Innovation ^ Consiglio
Nazionale delle Ricerche, Istituto di Ricerca sulla Popolazione e le Politiche
Sociali ^ Birkbeck College, Department of Management ^ Tom Cassauwers,
Interview with Daniele Archibugi, E-INTERNATIONAL RELATIONS, 14 settembre 2015.
^ Campaign for the Establishment of a United Nations Parliamentary Assembly
Copia archiviata, su en.unpacampaign.org. URL consultato il 10 ottobre 2009
(archiviato dall'url originale il 22 agosto 2009). ^ D. Archibugi, The G20 is a
luxury we can't afford, The Guardian, Saturday 28 March 2008. ^ D. Archibugi, A
League of Democracies or a Democratic United Nations Archiviato il 24 luglio
2010 in Internet Archive., Harvard International Review, Ottobre 2008. ^
Intervista su Delitto e castigo nella società globale. Crimini e processi
internazionali, Letture.org. 2017. ^ Daniele Archibugi e Alice Pease, Delitto e
castigo nella società globale. Crimini e processi internazionali, Castelvecchi,
Roma, 2017. ^ Daniele Archibugi, La giustizia penale internazionale tra passato
e futuro, Questione Giustizia, 27 gennaio 2018. ^ Daniele Archibugi and
Jonathan Michie, The Globalization of Technology: A New Taxonomy,
"Cambridge Journal of Economics", vol. 19, no. 1, 1995, pp. 121-140,
^ Daniele Archibugi (Chair) Opening to the World. Opening to the World:
International Cooperation in Science and Technology Archiviato il 25 luglio
2011 in Internet Archive., European Research Area, 2008, ^ D. Archibugi e A.
Filippetti, Innovation and Economic Crisis. Innovation and Economic Crisis.
Lessons and Prospects from the Economic Downturn, Routledge, London, 2012. ^ D.
Archibugi, A. Filippetti & M. Frenz, Investment in innovation for European
recovery: a public policy priority, Science & Public Policy, November 2019.
^ Daniele Archibugi, «Generare imprese europee per la ricostruzione: la lezione
Airbus», Il Sole 24 Ore, 5 Maggio 2020. ^ Floriana Bulfon, «Nuovi imprenditori
e lavoratori soddisfatti: solo così dopo il virus l'Italia sarà migliore.
Intervista a Daniele Archibugi», L'Espresso, 14 Aprile 2020. ^ Daniele
Archibugi, Mathias Koenig-Archibugi, Raffaele Marchetti, Global Democracy.
Normative and Empirical Perspectives, Cambridge University Press, Cambridge,
2011. Pubblicazioni Nell'ambito degli studi sull'organizzazione internazionale,
ha pubblicato i seguenti volumi: (co-curatore con Franco Voltaggio),
Filosofi per la pace, (Editori Riuniti, 1991 e 1999); (curatore), Cosmopolis. È
possibile una democrazia sovranazionale?, (Manifestolibri, 1993); (co-curatore
con David Held), Cosmopolitan Democracy. An Agenda for a New World Order,
(Polity Press, 1995); Il futuro delle Nazioni Unite (Edizioni Lavoro, 1995);
(coautore con David Beetham), Diritti umani e democrazia cosmopolitica,
(Feltrinelli, 1998); (co-curatore con David Held e Martin Koehler),
Re-imagining Political Community. Studies in Cosmopolitan Democracy, (Polity
Press, 1998). (curatore), Debating Cosmopolitics, (Verso, 2003). The Global
Commonwealth of Citizens. Toward Cosmopolitan Democracy, (Princeton University
Press, 2008) ISBN 978-0-691-13490-1 Cittadini del mondo. Verso una democrazia
cosmopolitica, (Il Saggiatore, 2009) (co-curatore con Guido Montani), European
Democracy and Cosmopolitan Democracy, (The Altiero Spinelli Institute for
Federalist Studies, 2011) ISBN|978-88-89495-05-6 (co-curatore con Mathias
Koenig-Archibugi e Raffaele Marchetti), Global Democracy: Normative and Empirical
Perspectives, (Cambridge University Press, 2011) ISBN 978-0-521-17498-5
(co-autore con Alice Pease), Delitto e castigo nella società globale. Crimini e
processi internazionali, (Castelvecchi, 2017) ISBN 978-88-3282-106-2
(co-curatore con Ali Emre Benli), Claiming Citizenship Rights in Europe.
Emerging Challenges and Political Agents (Routledge, 2018) ISBN
978-1-138-03673-4 (co-autore con Alice Pease), Crime and Global Justice: The
Dynamics of International Punishment, (Polity Press, 2018) ISBN 978-1509512621
Nell'ambito degli studi economici, ha pubblicato i seguenti volumi:
(co-curatore con Enrico Santarelli), Cambiamento tecnologico e sviluppo
industriale, (Franco Angeli, 1990); (coautore con Mario Pianta), The
Technological Specialization of Advanced Countries, prefazione di Jacques
Delors, (Kluwer, 1992); (co-curatore con Gianfranco Imperatori), Economia
globale e innovazione, (Donzelli, 1997); (co-curatore con Jonathan Michie),
Technology, Globalisation and Economic Performance, prefazione di Richard
Nelson (Cambridge University Press, 1997); (co-curatore con Jonathan Michie),
Trade, Growth and Technical Change, prefazione di Nathan Rosenberg, (Cambridge
University Press, 1998); (co-curatore con Jonathan Michie), Innovation Policy
in a Global Economy, prefazione di Christopher Freeman, (Cambridge University
Press, 1999); (coautore con Giuseppe Ciccarone, Mauro Marè, Bernardo Pizzetti e
Flaminia Violati), Il triangolo dei servizi pubblici, (Marsilio, 2000);
(co-curatore con Bengt-Aake Lundvall), The Globalising Learning Economy,
(Oxford University Press, 2001). (coautore con Andrea Filippetti), Innovation
and Economic Crises. Lessons and Prospects from the Economic Downturn,
(Routledge, 2011). ISBN 978-0-415-60228-0 (co-curatore con Andrea Filippetti),
The Handbook of Global Science, Technology and Innovation (Wiley, 2015). ISBN
978-1-118-73906-8. Per una presentazione del libro, vedi The Handbook of Global
Science, Technology and Innovation; (co-curatore con Fabrizio Tuzi), Relazione
sulla ricerca e l'innovazione in Italia. Analisi e dati di politica della
scienza e della tecnologia, seconda edizione (CNR Edizioni, 2019). ISBN
978-88-8080-356-0 Collegamenti esterni (IT, EN) Sito ufficiale, su
danielearchibugi.org. Modifica su Wikidata Opere di Daniele Archibugi, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata Registrazioni di Daniele
Archibugi, su RadioRadicale.it, Radio Radicale. Modifica su Wikidata Sito
CNR-IRPPS, Commessa Globalizzazione. Determinanti e impatto economico,
tecnologico e politico. University of London, Birkbeck College, Home Page
Daniele Archibugi. University of London, Birkbeck College, Intervista su
"The Global Commonwealth of Citizens" Intervista della LA7 a Daniele
Archibugi Sull'innovazione tecnologica, (video). Intervista alla trasmissione
Mapperò, SAT2000, sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, (video),
Parte prima; Parte seconda; Parte terza. Dibattito presso la London School of
Economics "È possibile una democrazia globale?" (video in inglese): http://globaldemo.org/film/1255[collegamento
interrotto] Intervista a LA7 su "Cittadini del mondo. Verso una democrazia
cosmopolitica",. Intervista a TG3 Linea Notte su "Cittadini del
mondo. Verso una democrazia cosmopolitica" 25 febbraio 2009. Intervista a
TG2 Punto IT su "Cittadini del mondo. Verso una democrazia
cosmopolitica", 15 giugno 2009. Discorso su Secrets, Lies and Power,
Berlino, European Alternatives, 18 giugno 2015. Intervista sul volume The
Handbook of Global Science, Technology and Innovation, Londra, Birkbeck
College, 3 agosto 2015. Lo Stato dell`Arte - Quale futuro per l’Europa?,
Trasmissione Rai5, conduce Maurizio Ferraris, con Daniele Archibugi e
Alessandro Politi, 14 luglio 2016. Quante storie Rai3 - I grandi crimini contro
l'umanità, intervista di Corrado Augias a Daniele Archibugi, 9 novembre 2017.
Crime and Global Justice , Book Launch alla London School of Economics and
Political Science, 28 Febbraio 2018, podcast con Gerry Simpson, Christine
Chinkin, Richard Falk e Mary Kaldor. Daniele Archibugi, Do we Need a Global
Criminal Justice?, Conferenza alla City University of New York, 9 Aprile 2018.
Daniele Archibugi, "Cosmopolitan democracy as a method of addressing
controversies", IAJLJ CONFERENCE "CONTROVERSIAL MULTICULTURALISM",
Roma, Novembre, 2018. Daniele Archibugi, "What is the difference between
invention and innovation?", Birkbeck College University of London, 28
Ottobre 2019. Presentazione della Relazione sulla ricerca e l'innovazione in
Italia, Roma, Consiglio Nazionale delle Ricerche, 15 ottobre 2019 Controllo di
autorità VIAF (EN) 94138434 · ISNI
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Economisti italianiNati nel 1958Nati il 17 luglioNati a RomaFilosofi della
politicaPolitologi italianiSaggisti italiani del XX secoloSaggisti italiani del
XXI secoloFilosofi italiani del XXI secolo[altre]
Arcidiacono Salvatore Arcidiacono Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
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Salvatore Arcidiacono Salvatore Arcidiacono (Acireale, 1927 – 1998) è
stato un divulgatore scientifico, chimico e filosofo della scienza
italiano. Indice 1 Biografia 1.1 Formazione 1.2 Attività
teorica e di ricerca 2 Opere
3 Note
4 Bibliografia
5 Voci
correlate 6 Collegamenti
esterni Biografia Formazione Nato e, per una sorprendente coincidenza, morto lo
stesso anno del fratello gemello Giuseppe (1927 - 1998), divise con
quest'ultimo anche gli impegni di ricerca. Laureatosi in Chimica all'Università
di Catania, fu insieme al fratello allievo dello scienziato e matematico
italiano Luigi Fantappié,[1] divenendo in seguito docente di chimica al
liceo.[2] Attività teorica e di ricerca
A partire dal 1955 perfezionò la Teoria unitaria del mondo fisico e
biologico[3] di Fantappié, collegandola ai più moderni sviluppi della biologia
teorica e molecolare.[4] Fantappiè e Giuseppe Arcidiacono trovarono in
Salvatore Arcidiacono il supporto teorico speculativo nel campo della chimica e
della fisica teorica per completare il loro percorso di ricerca. Fu lui, dopo
la morte di Fantappiè nel 1956 a elaborare e pubblicare una formulazione
"mediata" della sua Teoria sintropica[1] nonché della Teoria degli
universi.[1] Nel 1958 pubblicò al riguardo il saggio Visione unitaria
dell'Universo[5] e nel 1961 pubblicò Spazio, tempo, universo, con prefazione
del filosofo e teologo Stanislas Breton. Insegnò a lungo[6] e durante tutta la
sua carriera fu autore di numerosi saggi e articoli scientifici pubblicati su
riviste italiane[6] ed internazionali.[7][8]
Opere Visione unitaria dell'Universo alla luce delle teorie di Luigi
Fantappiè, con Giuseppe Arcidiacono, ed. UCIIM, Roma 1958. Spazio, tempo, universo
con Giuseppe Arcidiacono, Edizioni del fuoco, Roma 1961. Materia e Vita, ed.
Massimo, Milano 1969. Ordine e Sintropia la vita e il suo mistero, ed. Studium
Christi, Roma 1975. L'evoluzione sintropica, Accademia degli zelanti e dei
dafnici, Acireale 1981. Creazione, evoluzione, principio antropico, con
Giuseppe Arcidiacono e Vincenzo Arcidiacono, ed. Il fuoco-Studium Christi,
1983. Entropia, sintropia, informazione. Una nuova teoria unitaria della
fisica, chimica e biologia, con Giuseppe Arcidiacono, ed. Di Renzo, Roma 1989;
2^ ed.1991. L'evoluzione dopo Darwin. La teoria sintropica dell'evoluzione, ed.
Di Renzo, Roma 1992. Problemi e dibattiti di biologia teorica, ed. Di Renzo,
Roma 1993. ISBN 88-86044-16-X Note
Ignazio Licata, Teoria degli Universi e Sintropia Archiviato il 17
settembre 2011 in Internet Archive. ^ vedi pag 103 di L'accoglienza delle idee
di Pierre Teilhard de Chardin nella cultura italiana degli anni 1955-1965 ^
Scapini, 2005. ^ Demetrio Sodi Pallares, Terapia metabolica delle cardiopatie.
Nuovo approccio terapeutico PICCIN, Padova 1989, p. XVI. ISBN 88-299-0616-6 ^
Vannini, 2005. L'accoglienza delle idee
di Pierre Teilhard de Chardin nella cultura italiana degli anni 1955-1965, pag
103 ^ Salvatore Arcidiacono, Nuevas ideas para la evolución biològica, articolo
su Folia humanistica, Barcellona, novembre 1982, n. 238. ^ Revue internationale
Pierre Teilhard de Chardin, Edizioni 85-98, Ministère de l'éducation nationale
et de la culture Belgique, Editore Société Pierre Teilhard de Chardin, 1981.
Bibliografia Antonella Vannini, From mechanical to life causation, (EN) ,
Syntropy 2005, n. 1, pag. 80-105. ISSN 1825-7968 (WC · ACNP) Felicita Scapini,
La logica dell'evoluzione dei viventi - Spunti di riflessione, in Atti del XII
Convegno del Gruppo italiano di biologia evoluzionistica Firenze, 18-21
febbraio 2004, Firenze, University press, 2006, ISBN 88-8453-369-4. Voci
correlate Luigi Fantappié Giuseppe Arcidiacono Sintropia Collegamenti esterni
Biografia sul sito del suo editore, su direnzo.it (archiviato dall'url
originale il 9 luglio 2015). V · D · M Filosofia della scienza Controllo di
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che trattano di biografie Categorie: Divulgatori scientifici italianiChimici
italianiNati nel 1927Morti nel 1998Nati ad AcirealeFilosofi italiani del XX
secolo[altre]
ARCO-L’ Adolfo L'Arco Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to
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L'Arco (Teano, 27 maggio 1916 – Vico Equense, 25 luglio 2010) è stato un
religioso, teologo e filosofo italiano.
Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Altri
progetti 4 Collegamenti
esterni Biografia Adolfo L'Arco, nato a Teano nella frazione Fontanelle il 27
maggio 1916, entrò molto giovane fra i Salesiani di Don Bosco e fu ordinato
sacerdote nel 1945 a Roma. Conseguì all'Università di Napoli la laurea in
filosofia. Per la sua preparazione teologica e filosofica, nonché per la
profondità dei suoi scritti, è considerato tra i maggiori teologi e filosofi
salesiani. Per lungo tempo è stato professore di filosofia presso gli Istituti
Salesiani di Don Bosco. Ricoverato
all'ospedale “San Leonardo” di Castellammare di Stabia, per un blocco renale, e
ritornato a Pacognano di Vico Equense dopo aver superato la crisi, è morto
novataquattrenne il 25 luglio del 2010.
Uomo di anima sensibile e di infinita fede cristiana ha trascorso molto
della sua vita scrivendo, interessandosi di agiografia, teologia e filosofia. È stato protagonista televisivo sulla prima
rete nazionale nel 1973 con il programma: Tempo dello Spirito. Intensa e vasta la sua opera letteraria. Opere Bartolo Longo e la sua intimità con
Dio; Don Bosco si diverte; Sorgenti di gioia; Gesù sotterra un chicco di grano;
Giorgio La Pira e il risorto; Fiori di sapienza. Dizionarietto di saggezza; La
Donna del Sanctus; Papa Giovanni beato. La parola agli atti processuali; Quando
la teologia prende fuoco. Giuseppe Quadrio sacerdote salesiano; Don Bosco nella
luce del Risorto; Don Bosco sorridente entra in casa vostra; Così Don Bosco amò
i giovani; Il Padre Nostro; Ma c'è poi questo Dio; Nota bene; Sorgenti di
Gioia; L'Ave Maria inno dell'amore filiale; Il Beato Filippo Rinaldi copia
vivente di Don Bosco; La sorgente eterna dell'amore; Noi esistiamo perché Dio
Padre ci ama; Stile di Serenità; La Gioia a Portata di Mano; Ridi e sorridi da
saggio; Il Beato Bartolo Longo; Dolcezza e speranza nostra; Dio ci ama con
cuore d'uomo; Il Padre nostro; La Leva del Mondo: la preghiera; Sant'Eustachio;
Il Cristo in cui Spero; Giorgio La Pira Profeta e testimone del Risorto; Serva
di Dio Elisabetta Jacobucci Francesca Alcantarina; Beata Maria della Passione;
Il Servo di Dio B. Longo; Papa Giovanni Beato; Così ridono i saggi; Fiori di
sapienza; Il segreto di papa Giovanni; S.Alfonso amico del popolo; La Donna del
Sanctus; Il Sacro nome ti chiama per nome; La Leva del Mondo: la preghiera; Il
monumento alla Pace Universale del beato Bartolo Longo; Il Salesiano è fatto così;
Messaggio di Teilhard De Chardin. Intuizioni e idee madri (Elledici Torino,
1964); Un esploratore della felicità: biografia del Servo di Dio Giacomo
Gaglione, Apostolato della Sofferenza, 1966. Altri progetti Collabora a
Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Adolfo L'Arco Collegamenti
esterni La comunità di Pacognano ricorda don Adolfo L'Arco di Raffaele Meazza,
Il Giornale di Napoli, sito "Positano news", 22 novembre 2011.
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Religiosi italianiTeologi italianiFilosofi italiani del XX secoloNati nel
1916Morti nel 2010Nati il 27 maggioMorti il 25 luglioNati a TeanoMorti a Vico
Equense[altre]
ars: as in ars liberalis, the seven liberal arts –
philosophy is NOT one of them, but the trivium and quadrivium are – So, while
logic or dialectica or witcraft is an art, or technique, philosophy is free
from those constraints. The philosopher is insulted if considered a
craftman! techne Grecian, ‘art’, ‘craft’, a human skill
based on general principles and capable of being taught. In this sense, a
manual craft such as carpentry is a techne, but so are sciences such as
medicine and arithmetic. According to Plato Gorgias 501a, a genuine techne
understands its subject matter and can give a rational account of its activity.
Aristotle Metaphysics I.1 distinguishes technefrom experience on the grounds
that techne involves knowledge of universals and causes, and can be taught.
Sometimes ‘techne’ is restricted to the productive as opposed to theoretical
and practical arts, as at Nicomachean Ethics VI.4. Techne and its products are
often contrasted with physis, nature Physics II.1.
arbitrium: Grice: “One
problem Lewis has with his analysis of ‘arbitrariness’ is that neither he nor I
know what it means – and neither did Plautus.” from
ad "to" (see ad-) + baetere "to come, go," a word of
unknown etymology. Grice: “However, Lewis and Short are helpful. They say
‘beto’ is kindred with ‘vado’ and ‘baino,’ and means ‘go.’ bēto (baeto ; in
Plaut. bīto ), ĕre, v. n. kindr. with vado and βαίνω, I.to go (with its
derivatives, abito, adbito, ebito, interbito, perbito, praeterbito, rebito,
bitienses, only ante-class.): in pugnam baetite, Pac. ap. Non. p. 77, 21 (Trag.
Rel. v. 255 Rib.): “si ire conor, prohibet betere,” id. ib.; “Varr. ib.: ad
aliquem,” Plaut. Curc. 1, 2, 52: “ad portum ne bitas,” id. Merc. 2, 3, 127.
cfr. choose. arminius, Jacobus 15601609, Dutch theologian who, as a Dutch
Reformed pastor and later professor at the
of Leiden, challenged Calvinist orthodoxy on predestination and free
will. After his death, followers codified Arminius’s views in a document
asserting that God’s grace is necessary for salvation, but not irresistible:
the divine decree depends on human free choice. This became the basis for
Arminianism, which was condemned by the Dutch ReAristotle, commentaries on
Arminius, Jacobus 51 51 formed synod
but vigorously debated for centuries among Protestant theologians of different
denominations. The term ‘Arminian’ is still occasionally applied to theologians
who defend a free human response to divine grace against predestinationism. Grice:
“We should place due relevance to ‘arbitrium’ because it’s out way to
‘freedom/’.”
arcesilas: Or as Strawson
would prefer, arcelisaus -- Grecian, pre-Griceian, sceptic philosopher, founder
of the Middle Academy. Influenced by Socratic elenchus, he claimed that, unlike
Socrates, he was not even certain that he was certain of nothing. He shows the
influence of Pyrrho in attacking the Stoic doctrine that the subjective
certainty of the wise is the criterion of truth. At the theoretical level he
advocated epoche, suspension of rational judgment; at the practical, he argued
that eulogon, probability, can justify action
an early version of coherentism. His ethical views were not extreme; he
held, e.g., that one should attend to one’s own life rather than external
objects. Though he wrote nothing except verse, he led the Academy into two hundred
years of Skepticism.
archytas: Grecian,
pre-Griceian, Pythagorean philosopher from Tarentum in southern Italy. He was
elected general seven times and sent a ship to rescue Plato from Dionysius II
of Syracuse in 361. He is famous for solutions to specific mathematical
problems, such as the doubling of the cube, but little is known about his
general philosophical principles. His proof that the numbers in a
superparticular ratio have no mean proportional has relevance to music theory,
as does his work with the arithmetic, geometric, and harmonic means. He gave
mathematical accounts of the diatonic, enharmonic, and chromatic scales and
developed a theory of acoustics. Fragments 1 and 2 and perhaps 3 are authentic,
but most material preserved in his name is spurious.
aretaic: sometimes
used by Grice for ‘virtuosum’. arete, ancient Grecian term meaning ‘virtue’ or
‘excellence’. In philosophical contexts, the term was used mainly of virtues of
human character; in broader contexts, arete was applicable to many different
sorts of excellence. The cardinal virtues in the classical period were courage,
wisdom, temperance sophrosune, piety, and justice. Sophists such as Protagoras
claimed to teach such virtues, and Socrates challenged their credentials for
doing so. Several early Platonic dialogues show Socrates asking after
definitions of virtues, and Socrates investigates arete in other dialogues as
well. Conventional views allowed that a person can have one virtue such as
courage but lack another such as wisdom, but Plato’s Protagoras shows Socrates
defending his thesis of the unity of arete, which implies that a person who has
one arete has them all. Platonic accounts of the cardinal virtues with the
exception of piety are given in Book IV of the Republic. Substantial parts of
the Nicomachean Ethics of Aristotle are given over to discussions of arete,
which he divides into virtues of character and virtues of intellect. This
discussion is the ancestor of most modern theories of virtue ethics.
argumentum:
Grice; “We should start with an etymology.” “To argue means, arguably, to make
clear, which clarifies things.” arguere "make clear, make known,
prove, declare, demonstrate," from PIE *argu-yo-, suffixed form of root *arg-
"to shine; white." The transmission to French might be via arguere in
a Medieval Latin sense of "to argue," or from Latin argutare "to
prattle, prate," frequentative of arguere. De Vaan says arguere is
probably "a denominative verb 'to make bright, enlighten' to an adj.
*argu- 'bright' as continued in argutus and outside Italic." He cites a
closely similar formation in Hittite arkuuae- "to make a plea." Dodgson: “I thought I saw an argument.” cited by Grice in
“Aspects of reason.” Grice was Strawson’s tutor for the Logic Paper, and he had
to go with him over the ‘boring theory of the syllogism – Barbara, Celarent,
and the reset of them!” -- syllogism, in Aristotle’s words, “a discourse in
which, a certain thing being stated, something other than what is stated
follows of necessity from being so” Prior Analytics, 24b 18. Three types of
syllogism were usually distinguished: categorical, hypothetical, and
disjunctive. Each will be treated in that order. The categorical syllogism.
This is an argument consisting of three categorical propositions, two serving
as premises and one serving as conclusion. E.g., ‘Some students are happy; all students are high school graduates;
therefore, some high school graduates are happy’. If a syllogism is valid, the
premises must be so related to the conclusion that it is impossible for both
premises to be true and the conclusion false. There are four types of
categorical propositions: universal affirmative or A-propositions ‘All S are P’, or ‘SaP’; universal negative
or E-propositions ‘No S are P’, or
‘SeP’; particular affirmative or I-propositions
‘Some S are P’, or ‘SiP’; and particular negative or O-propositions:
‘Some S are not P’, or ‘SoP’. The mediate basic components of categorical
syllogism are terms serving as subjects or predicates in the premises and the
conclusion. There must be three and only three terms in any categorical
syllogism, the major term, the minor term, and the middle term. Violation of
this basic rule of structure is called the fallacy of four terms quaternio
terminorum; e.g., ‘Whatever is right is useful; only one of my hands is right;
therefore only one of my hands is useful’. Here ‘right’ does not have the same
meaning in its two occurrences; we therefore have more than three terms and
hence no genuine categorical syllogism. The syllogistic terms are identifiable
and definable with reference to the position they have in a given syllogism.
The predicate of the conclusion is the major term; the subject of the
conclusion is the minor term; the term that appears once in each premise but
not in the conclusion is the middle term. As it is used in various types of
categorical propositions, a term is either distributed stands for each and
every member of its extension or undistributed. There is a simple rule
regarding the distribution: universal propositions SaP and SeP distribute their
subject terms; negative propositions SeP and SoP distribute their predicate
terms. No terms are distributed in an I-proposition. Various sets of rules
governing validity of categorical syllogisms have been offered. The following
is a “traditional” set from the popular Port-Royal Logic 1662. R1: The middle
term must be distributed at least once. Violation: ‘All cats are animals; some
animals do not eat liver; therefore some cats do not eat liver’. The middle
term ‘animals’ is not distributed either in the first or minor premise, being
the predicate of an affirmative proposition, nor in the second or major
premise, being the subject of a particular proposition; hence, the fallacy of
undistributed middle. R2: A term cannot be distributed in the conclusion if it
is undistributed in the premises. Violation: ‘All dogs are carnivorous; no
flowers are dogs; therefore, no flowers are carnivorous’. Here the major,
‘carnivorous’, is distributed in the conclusion, being the predicate of a
negative proposition, but not in the premise, serving there as predicate of an
affirmative proposition; hence, the fallacy of illicit major term. Another
violation of R2: ‘All students are happy individuals; no criminals are
students; therefore, no happy individuals are criminals’. Here the minor,
‘happy individuals’, is distributed in the conclusion, but not distributed in
the minor premise; hence the fallacy of illicit minor term. R3: No conclusion
may be drawn from two negative premises. Violation: ‘No dogs are cats; some
dogs do not like liver; therefore, some cats do not like liver’. Here R1 is
satisfied, since the middle term ‘dogs’ is distributed in the minor premise; R2
is satisfied, since both the minor term ‘cats’ as well as the major term
‘things that like liver’ are distributed in the premises and thus no violation
of distribution of terms occurs. It is only by virtue of R3 that we can
proclaim this syllogism to be invalid. R4: A negative conclusion cannot be
drawn where both premises are affirmative. Violation: ‘All educated people take
good care of their children; all syllogism syllogism 894 894 who take good care of their children are
poor; therefore, some poor people are not educated’. Here, it is only by virtue
of the rule of quality, R4, that we can proclaim this syllogism invalid. R5:
The conclusion must follow the weaker premise; i.e., if one of the premises is
negative, the conclusion must be negative, and if one of them is particular, the
conclusion must be particular. R6: From two particular premises nothing
follows. Let us offer an indirect proof for this rule. If both particular
premises are affirmative, no term is distributed and therefore the fallacy of
undistributed middle is inevitable. To avoid it, we have to make one of the
premises negative, which will result in a distributed predicate as middle term.
But by R5, the conclusion must then be negative; thus, the major term will be
distributed in the conclusion. To avoid violating R2, we must distribute that
term in the major premise. It could not be in the position of subject term,
since only universal propositions distribute their subject term and, by
hypothesis, both premises are particular. But we could not use the same
negative premise used to distribute the middle term; we must make the other
particular premise negative. But then we violate R3. Thus, any attempt to make
a syllogism with two particular premises valid will violate one or more basic
rules of syllogism. This set of rules assumes that A- and Epropositions have
existential import and hence that an I- or an O-proposition may legitimately be
drawn from a set of exclusively universal premises. Categorical syllogisms are
classified according to figure and mood. The figure of a categorical syllogism
refers to the schema determined by the possible position of the middle term in
relation to the major and minor terms. In “modern logic,” four syllogistic
figures are recognized. Using ‘M’ for middle term, ‘P’ for major term, and ‘S’
for minor term, they can be depicted as follows: Aristotle recognized only
three syllogistic figures. He seems to have taken into account just the two
premises and the extension of the three terms occurring in them, and then asked
what conclusion, if any, can be derived from those premises. It turns out,
then, that his procedure leaves room for three figures only: one in which the M
term is the subject of one and predicate of the other premise; another in which
the M term is predicated in both premises; and a third one in which the M term
is the subject in both premises. Medievals followed him, although all
considered the so-called inverted first i.e., moods of the first figure with
their conclusion converted either simply or per accidens to be legitimate also.
Some medievals e.g., Albalag and most moderns since Leibniz recognize a fourth
figure as a distinct figure, considering syllogistic terms on the basis not of
their extension but of their position in the conclusion, the S term of the
conclusion being defined as the minor term and the P term being defined as the
major term. The mood of a categorical syllogism refers to the configuration of
types of categorical propositions determined on the basis of the quality and
quantity of the propositions serving as premises and conclusion of any given
syllogism; e.g., ‘No animals are plants; all cats are animals; therefore no
cats are plants’, ‘MeP, SaM /, SeP’, is a syllogism in the mood EAE in the
first figure. ‘All metals conduct electricity; no stones conduct electricity;
therefore no stones are metals’, ‘PaM, SeM /, SeP’, is the mood AEE in the
second figure. In the four syllogistic figures there are 256 possible moods,
but only 24 are valid only 19 in modern logic, on the ground of a
non-existential treatment of A- and E-propositions. As a mnemonic device and to
facilitate reference, names have been assigned to the valid moods, with each
vowel representing the type of categorical proposition. William Sherwood and
Peter of Spain offered the famous list designed to help students to remember
which moods in any given figure are valid and how the “inevident” moods in the
second and third figures are provable by reduction to those in the first
figure: barbara, celarent, darii, ferio direct Fig. 1; baralipton, celantes,
dabitis, fapesmo, frisesomorum indirect Fig. 1; cesare, camestres, festino,
baroco Fig. 2; darapti, felapton, disamis, datisi, bocardo, ferison Fig. 3. The
hypothetical syllogism. The pure hypothetical syllogism is an argument in which
both the premises and the conclusion are hypothetical, i.e. conditional,
propositions; e.g., ‘If the sun is shining, it is warm; if it is warm, the
plants will grow; therefore if the sun is shining, the plants will grow’.
Symbolically, this argument form can be represented by ‘A P B, B P C /, A P C’.
It was not recognized as such by Aristotle, but Aristotle’s pupil Theophrastus
foreshadowed it, even syllogism syllogism 895
895 though it is not clear from his example of it ‘If man is, animal is; if animal is, then
substance is; if therefore man is, substance is’ whether this was seen to be a principle of
term logic or a principle of propositional logic. It was the MegaricStoic
philosophers and Boethius who fully recognized hypothetical propositions and
syllogisms as principles of the most general theory of deduction. Mixed
hypothetical syllogisms are arguments consisting of a hypothetical premise and
a categorical premise, and inferring a categorical proposition; e.g., ‘If the
sun is shining, the plants will grow; the sun is shining; therefore the plants
will grow’. Symbolically, this is represented by ‘P P Q, P /, Q’. This argument
form was explicitly formulated in ancient times by the Stoics as one of the
“indemonstrables” and is now known as modus ponens. Another equally basic form
of mixed hypothetical syllogism is ‘P P Q, -Q /, ~P’, known as modus tollens.
The disjunctive syllogism. This is an argument in which the leading premise is
a disjunction, the other premise being a denial of one of the alternatives,
concluding to the remaining alternative; e.g., ‘It is raining or I will go for
a walk; but it is not raining; therefore I will go for a walk’. It is not
always clear whether the ‘or’ of the disjunctive premise is inclusive or
exclusive. Symbolic logic removes the ambiguity by using two different symbols
and thus clearly distinguishes between inclusive or weak disjunction, ‘P 7 Q’,
which is true provided not both alternatives are false, and exclusive or strong
disjunction, ‘P W Q’, which is true provided exactly one alternative is true
and exactly one false. The definition of ‘disjunctive syllogism’ presupposes
that the lead premise is an inclusive or weak disjunction, on the basis of
which two forms are valid: ‘P 7 Q, -P /, Q’ and ‘P 7 Q, -Q /, P’. If the
disjunctive premise is exclusive, we have four valid argument forms, and we
should speak here of an exclusive disjunctive syllogism. This is defined as an
argument in which either from an exclusive disjunction and the denial of one of
its disjuncts we infer the remaining disjunct
’P W Q, -P /,Q’, and ‘P W Q, -Q /, P’ modus tollendo ponens; or else,
from an exclusive disjunction and one of its disjuncts we infer the denial of
the remaining disjunct ’P W Q, P /, -Q’,
and ‘P W Q, Q /,-P’ modus ponendo tollens.
“Strictly, ‘argumetum’ is ‘what is argued,’
the passive perfect participle – arguens is the present active participle,
‘argumentatio’ the feminine abstract noun, and ‘argumentarus,’ and
‘argumentarum’ the neuter active future participle. – there is the
argumenttaturum, too.”“I thought I saw an argument, it turned to be some soap”
(Dodgson). Term that Grice borrows from (but “never returned” to) Boethius, the
Roman philosopher. Strictly, Grice is interested in the ‘arguer.’ Say Blackburn
goes to Grice and, not knowing Grice speaks English, writes a skull. Blackburn
intends Grice to think that there is danger, somewhere, even deadly danger. So
there is arguing on Blackburn’s part. And there is INTENDED arguing on
Blackburn’s recipient, Grice, as it happens. For Grice, the truth-value of
“Blackburn communicates (to Grice) that there is danger” does not REQUIRE the
uptake.” “Why, one must just as well require that Jones GETS his job to deem
Smith having GIVEN it to him if that’s what he’s promised. The arguer is
invoked in a self-psi-transmission. For he must think P, and he must think C,
and he must think that P yields C. And this thought that C must be CAUSED by
the fact that he thinks that P yields C. -- f. argŭo , ŭi, ūtum (ŭĭtum, hence
arguiturus, Sall. Fragm. ap. Prisc. p. 882 P.), 3, v. a. cf. ἀργής, white; ἀργός,
bright; Sanscr. árgunas, bright; ragatas, white; and rag, to shine (v. argentum
and argilla); after the same analogy we have clarus, bright; and claro, to make
bright, to make evident; and the Engl. clear, adj., and to clear = to make
clear; v. Georg Curtius p. 171. I. A.. In gen., to make clear, to show,
prove, make known, declare, assert, μηνύειν: “arguo Eam me vidisse intus,”
Plaut. Mil. 2, 3, 66: “non ex auditu arguo,” id. Bacch. 3, 3, 65: “M. Valerius
Laevinus ... speculatores, non legatos, venisse arguebat,” Liv. 30, 23:
“degeneres animos timor arguit,” Verg. A. 4, 13: “amantem et languor et
silentium Arguit,” Hor. Epod. 11, 9; id. C. 1, 13, 7.—Pass., in a mid. signif.:
“apparet virtus arguiturque malis,” makes itself known, Ov. Tr. 4, 3, 80:
“laudibus arguitur vini vinosus Homerus,” betrays himself, Hor. Ep. 1, 19, 6.—
B. Esp. a. With aliquem, to attempt to show something, in one's case, against
him, to accuse, reprove, censure, charge with: Indicāsse est detulisse;
“arguisse accusāsse et convicisse,” Dig. 50, 16, 197 (cf. Fest. p. 22: Argutum
iri in discrimen vocari): tu delinquis, ego arguar pro malefactis? Enn. (as
transl. of Eurip. Iphig. Aul. 384: Εἶτ̓ ἐγὼ δίκην δῶ σῶν κακῶν ὁ μὴ σφαλείς)
ap. Rufin. § “37: servos ipsos neque accuso neque arguo neque purgo,” Cic.
Rosc. Am. 41, 120: “Pergin, sceleste, intendere hanc arguere?” Plaut. Mil. 2,
4, 27; 2, 2, 32: “hae tabellae te arguunt,” id. Bacch. 4, 6, 10: “an hunc porro
tactum sapor arguet oris?” Lucr. 4, 487: “quod adjeci, non ut arguerem, sed ne
arguerer,” Vell. 2, 53, 4: “coram aliquem arguere,” Liv. 43, 5: “apud
praefectum,” Tac. A. 14, 41: “(Deus) arguit te heri,” Vulg. Gen. 31, 42; ib.
Lev. 19, 17; ib. 2 Tim. 4, 2; ib. Apoc. 3, 19 al.— b. With the cause of
complaint in the gen.; abl. with or without de; with in with abl.; with acc.;
with a clause as object; or with ut (cf. Ramsh. p. 326; Zumpt, § 446). (α).
With gen.: “malorum facinorum,” Plaut. Ps. 2, 4, 56 (cf. infra, argutus, B.
2.): “aliquem probri, Stupri, dedecoris,” id. Am. 3, 2, 2: “viros mortuos summi
sceleris,” Cic. Rab. Perd. 9, 26: “aliquem tanti facinoris,” id. Cael. 1:
“criminis,” Tac. H. 1, 48: “furti me arguent,” Vulg. Gen. 30, 33; ib. Eccl. 11,
8: “repetundarum,” Tac. A. 3, 33: “occupandae rei publicae,” id. ib. 6, 10:
“neglegentiae,” Suet. Caes. 53: “noxae,” id. Aug. 67: “veneni in se comparati,”
id. Tib. 49: “socordiae,” id. Claud. 3: “mendacii,” id. Oth. 10: “timoris,”
Verg. A. 11, 384: “sceleris arguemur,” Vulg. 4 Reg. 7, 9; ib. Act. 19, 40 al.—
(β). With abl.: “te hoc crimine non arguo,” Cic. Verr. 2, 5, 18; Nep. Paus. 3
fin.— (γ). With de: “de eo crimine, quo de arguatur,” Cic. Inv 2, 11, 37: “de
quibus quoniam verbo arguit, etc.,” id. Rosc. Am. 29 fin.: “Quis arguet me de
peccato?” Vulg. Joan. 8, 46; 16, 8.— (δ). With in with abl. (eccl. Lat.): “non
in sacrificiis tuis arguam te,” Vulg. Psa. 49, 8.—(ε) With acc.: quid
undas Arguit et liquidam molem camposque natantīs? of what does he impeach the
waves? etc., quid being here equivalent to cujus or de quo, Lucr. 6, 405
Munro.—(ζ)
With an inf.-clause as object: “quae (mulier) me arguit Hanc domo ab se
subripuisse,” Plaut. Men. 5, 2, 62; id. Mil. 2, 4, 36: “occidisse patrem Sex.
Roscius arguitur,” Cic. Rosc. Am. 13, 37: “auctor illius injuriae fuisse
arguebatur?” Cic. Verr. 2, 1, 33: “qui sibimet vim ferro intulisse arguebatur,”
Suet. Claud. 16; id. Ner. 33; id. Galb. 7: “me Arguit incepto rerum accessisse
labori,” Ov. M. 13, 297; 15, 504.—(η) With ut, as in
Gr. ὡς (post-Aug. and rare), Suet. Ner. 7: “hunc ut dominum et tyrannum, illum
ut proditorem arguentes,” as being master and tyrant, Just. 22, 3.— II. Transf.
to the thing. 1. To accuse, censure, blame: “ea culpa, quam arguo,” Liv. 1, 28:
“peccata coram omnibus argue,” Vulg. 1 Tim. 5, 20: “tribuni plebis dum arguunt
in C. Caesare regni voluntatem,” Vell. 2, 68; Suet. Tit. 5 fin.:
“taciturnitatem pudoremque quorumdam pro tristitiā et malignitate arguens,” id.
Ner. 23; id. Caes. 75: “arguebat et perperam editos census,” he accused of
giving a false statement of property, census, id. Calig. 38: “primusque
animalia mensis Arguit imponi,” censured, taught that it was wrong, Ov. M. 15,
73: “ut non arguantur opera ejus,” Vulg. Joan. 3, 20.— 2. Trop., to denounce as
false: “quod et ipsum Fenestella arguit,” Suet. Vit. Ter. p. 292 Roth.—With
reference to the person, to refute, confute: “aliquem,” Suet. Calig. 8.—Hence,
argūtus , a, um, P. a. A. Of physical objects, clear. 1. To the sight, bright, glancing,
lively: “manus autem minus arguta, digitis subsequens verba, non exprimens,”
not too much in motion, Cic. de Or. 3, 59, 220 (cf. id. Or. 18, 59: nullae
argutiae digitorum, and Quint. 11, 3, 119-123): “manus inter agendum argutae
admodum et gestuosae,” Gell. 1, 5, 2: “et oculi nimis arguti, quem ad modum
animo affecti sumus, loquuntur,” Cic. Leg. 1, 9, 27: “ocelli,” Ov. Am. 3, 3, 9;
3, 2, 83: “argutum caput,” a head graceful in motion, Verg. G. 3, 80 (breve,
Servius, but this idea is too prosaic): aures breves et argutae, ears that move
quickly (not stiff, rigid), Pall. 4, 13, 2: “argutā in soleā,” in the neat
sandal, Cat. 68, 72.— 2. a.. To the hearing, clear, penetrating, piercing, both
of pleasant and disagreeable sounds, clear-sounding, sharp, noisy, rustling,
whizzing, rattling, clashing, etc. (mostly poet.): linguae, Naev. ap. Non. p.
9, 24: “aves,” Prop. 1, 18, 30: “hirundo,” chirping, Verg. G. 1, 377: “olores,”
tuneful, id. E. 9, 36: ilex, murmuring, rustling (as moved by the wind), id.
ib. 7, 1: “nemus,” id. ib. 8, 22 al.—Hence, a poet. epithet of the musician and
poet, clear-sounding, melodious: “Neaera,” Hor. C. 3, 14, 21: “poëtae,” id. Ep.
2, 2, 90: “fama est arguti Nemesis formosa Tibullus,” Mart. 8, 73, 7: forum,
full of bustle or din, noisy, Ov. A.A. 1, 80: “serra,” grating, Verg. G. 1,
143: “pecten,” rattling, id. ib. 1, 294; id. A. 7, 14 (cf. in Gr. κερκὶς ἀοιδός,
Aristoph. Ranae, v. 1316) al.—Hence, of rattling, prating, verbose discourse:
“sine virtute argutum civem mihi habeam pro preaeficā, etc.,” Plaut. Truc. 2,
6, 14: “[Neque mendaciloquom neque adeo argutum magis],” id. Trin. 1, 2, 163
Ritschl.— b. Trop., of written communications, rattling, wordy, verbose:
“obviam mihi litteras quam argutissimas de omnibus rebus crebro mittas,” Cic.
Att. 6, 5: vereor, ne tibi nimium arguta haec sedulitas videatur, Cael. ap.
Cic. Fam. 8, 1. —Transf. to omens, clear, distinct, conclusive, clearly
indicative, etc.: “sunt qui vel argutissima haec exta esse dicant,” Cic. Div.
2, 12 fin.: “non tibi candidus argutum sternuit omen Amor?” Prop. 2, 3, 24.— 3.
To the smell; sharp, pungent: “odor argutior,” Plin. 15, 3, 4, § 18.— 4. To the
taste; sharp, keen, pungent: “sapor,” Pall. 3, 25, 4; 4, 10, 26.— B. Of mental
qualities. 1. In a good sense, bright, acute, sagacious, witty: “quis illo (sc.
Catone) acerbior in vituperando? in sententiis argutior?” Cic. Brut. 17, 65:
“orator,” id. ib. 70, 247: “poëma facit ita festivum, ita concinnum, ita
elegans, nihil ut fieri possit argutius,” id. Pis. 29; so, “dicta argutissima,”
id. de Or. 2, 61, 250: “sententiae,” id. Opt. Gen. 2: “acumen,” Hor. A. P. 364:
“arguto ficta dolore queri,” dexterously-feigned pain, Prop. 1, 18, 26 al.— 2.
In a bad sense, sly, artful, cunning: “meretrix,” Hor. S. 1, 10, 40: calo. id.
Ep. 1, 14, 42: “milites,” Veg. Mil. 3, 6.—As a pun: ecquid argutus est? is he
cunning? Ch. Malorum facinorum saepissime (i.e. has been accused of), Plaut.
Ps. 2, 4, 56 (v. supra, I. B. a.).—Hence, adv.: argūtē (only in the signif. of
B.). a. Subtly, acutely: “respondere,” Cic. Cael. 8: “conicere,” id. Brut. 14,
53: “dicere,” id. Or. 28, 98.—Comp.: “dicere,” Cic. Brut. 11, 42.— Sup.: “de re
argutissime disputare,” Cic. de Or. 2, 4, 18.— b. Craftily: “obrepere,” Plaut. Trin.
4, 2, 132; Arn. 5, p. 181. For Grice, an argumentum is a sequence of statements
such that some of them the premises purport to give reason to accept another of
them, the conclusion. Since we speak of bad arguments and weak arguments, the
premises of an argument need not really support the conclusion, but they must
give some appearance of doing so or the term ‘argument’ is misapplied. Logic is
mainly concerned with the question of validity: whether if the premises are
true we would have reason to accept the conclusion. A valid argument with true
premises is called sound. A valid deductive argument is one such that if we
accept the premises we are logically bound to accept the conclusion and if we
reject the conclusion we are logically bound to reject one or more of the
premises. Alternatively, the premises logically entail the conclusion. A good
inductive argument some would reserve
‘valid’ for deductive arguments is one
such that if we accept the premises we are logically bound to regard the
conclusion as probable, and, in addition, as more probable than it would be if
the premises should be false. A few arguments have only one premise and/or more
than one conclusion. Then there’s the argumentum a
fortiori: According
to Grice, an argument that moves from the premises that everything which
possesses a certain characteristics will possess some further characteristics
and that certain things possess the relevant characteristics to an eminent
degree to the conclusion that a fortiori even more so these things will possess
the further characteristics. The second premise is often left implicit – or
implicated, as Grice prefers, so a fortiori arguments are often enthymemes. A
favourite illustration by Grice of an a fortiori argument can be found in
Plato’s Crito. We owe gratitude and respect to our parents and so should do
nothing to harm them. However, athenians owe even greater gratitude and respect
to the laws of Athens. Therefore, a fortiori, Athenians should do nothing to
harm those laws.
arbor griceiana: When Kant
introduces the categoric imperative in terms of the ‘maxim’ he does not specify which. He just goes,
irritatingly, “Make the maxim of your conduct a law of nature.” This gave free
rein to Grice to multiply maxims as much as he wished. If he was an occamist
about senses, he certainly was an anti-occamist about maxims. The expression
Strawson and Wiggins use (p. 520) is “ramification.”So Grice needs just ONE
principle – indeed the idea of principles, in plural, is self-contradictory.
For whch ‘first’ is ‘first’? Eventually, he sticks with the principle of
conversational co-operation. And the principle of conversational co-operation,
being Ariskantian, and categoric, even if not ‘moral,’ “ramifies into” the
maxims. This is important. While an ‘ought’ cannot be derived from an ‘is,’ an
‘ought’ can yield a sub-ought. So whatever obligation the principle brings, the
maxim inherit. The maxim is also stated categoric. But it isn’t. It is a
‘counsel of prudence,’ and hypothetical in nature – So, Grice is just ‘playing
Kant,’ but not ‘being’ Kant. The principle states the GOAL (not happiness,
unless we call it ‘conversational eudaemonia’). In any case, as Hare would
agree, there is ‘deontic derivability.’ So if the principle ramifies into the
maxims, the maxims are ‘deductible’ from the principle. This deductibility is
obvious in terms of from generic to specific. The principle merely enjoins to
make the conversational move as is appropriate. Then, playing with Kant, Grice
chooses FOUR dimensions. Two correspond to the material: the quale and the
quantum. The quale relates to affirmation and negation, and Grice uses ‘false,’
which while hardly conceptually linked to ‘negation,’ it relates in common
parlance. So you have things like a prohibition to say the ‘false’ (But “it is
raining” can be false, and it’s affirmative). The quantum relates to what Grice
calls ‘informative CONTENT.’ He grants that the verb ‘inform’ already ENTAILS
the candour that quality brings. So ‘fortitude’ seems a better way to qualify
this dimension. Make the strongest conversational move. The clash with the
quality is obvious – “provided it’s not false.” The third dimension relates two
two materials. Notably the one by the previous conversationalist and your own.
If A said, “She is an old bag.” B says, “The weather’s been delightful.” By NOT
relating the ‘proposition’ “The weather has been delightful” to “She is an old
bag.” He ‘exploits’ the maxim. This is not a concept in Kant. It mocks Kant.
But yet, ‘relate!’ does follow from the principle of cooperation. So, there is
an UNDERLYING relation, as Hobbes noted, when he discussed a very distantly
related proposition concerning the history of Rome, and expecting the recipient
to “only connect.” So the ‘exploitation’ is ‘superficial,’ and applies to the
explicatum. Yet, the emissor does communicate that the weather has been
delightful. Only there is no point in informing the recipient about it, unless
he is communicating that the co-conversationalist has made a gaffe. Finally,
the category of ‘modus’ Grice restricts to the ‘forma,’ not the ‘materia.’ “Be
perspicuous” is denotically entailed by “Make your move appropriate.” This is
the desideratum of clarity. The point must be ‘explicit.’ This is Strawson and Wiggins way of putting
this. It’s a difficult issue. What the connection is between Grice’s principle
of conversational helpfulness and the attending conversational maxims. Strawson
and Wiggins state that Grice should not feel the burden to make the maxims
‘necessarily independent.’
The image of the ramification is a good one – Grice called
it ‘arbor griceiana.’ arbor griceiana,
arbor porphyriana: a structure
generated from the logical and metaphysical apparatus of Aristotle’s
Categories, as systematized by Porphyry and later writers. A tree in the
category of substance begins with substance as its highest genus and divides
that genus into mutually exclusive and collectively exhaustive subordinate
genera by means of a pair of opposites, called differentiae, yielding, e.g.,
corporeal substance and incorporeal substance. The process of division by
differentiae continues until a lowest species is reached, a species that cannot
be divided further. The species “human being” is said to be a lowest species
whose derivation can be recaptured from the formula “mortal, rational,
sensitive, animate, corporeal substance.”
ardigò: essential Italian
philosopher. Grice: “It’s amazing Ardigo found psychology a science, and a
positive one, too!” –Roberto Ardigò (n.
Casteldidone, ), filosofo. Opere Scarica in formato
ePub La psicologia come
scienza positiva 75%.svg (1870) Scarica in formato ePub Crystal Clear app
kdict.png Scritti vari 100 percent.svg (1922) Traduzioni Scarica in
formato ePub Crystal Clear app kdict.png Venti canti di H. Heine tradotti 100
percent.svg di Heinrich Heine (1922), traduzione dal tedesco (1908) Testi
su Roberto Ardigò Crystal Clear app kdict.png Per le onoranze a
Roberto Ardigò 100 percent.svg di Mario Rapisardi (1915) Note Gemeinsame Normdatei data.bnf.fr
Comité des travaux historiques et scientifiques Brockhaus Enzyklopädie
Dizionario Biografico degli Italiani Categorie: Nati a CasteldidoneMorti a
MantovaNati nel 1828Morti nel 1920Nati il 28 gennaioMorti il 15
settembreAutoriAutori del XIX secoloAutori del XX secoloAutori italiani del XIX
secoloAutori italiani del XX secoloReligiosiFilosofiPedagogistiReligiosi del
XIX secoloReligiosi del XX secoloFilosofi del XIX secoloFilosofi del XX
secoloPedagogisti del XIX secoloPedagogisti del XX secoloAutori
italianiReligiosi italianiFilosofi italianiPedagogisti italianiAutori citati in
opere pubblicateAutori presenti sul Dizionario Biografico degli Italiani Refs.:
Grice, “Ardigò and a positivisitic morality,” Luigi Speranza, "Grice ed Ardigò,"
per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia.
ARE
ARENA Leonardo
Vittorio Arena Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to
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Arena (Ripatransone, 1953) è un filosofo, orientalista, storico delle religioni
e saggista italiano. Indice 1 Biografia
2 Pensiero
3 Opere
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Francese 7 Note
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esterni Biografia Leonardo Vittorio Arena insegna "Storia della filosofia
contemporanea" presso l'Università di Urbino. Filosofo e orientalista,ha
dedicato in particolare al Buddhismo Zen, al Taoismo e al Sufismo una vasta
produzione saggistica; è anche autore di romanzi e traduzioni sui medesimi
temi. Insegna tecniche di meditazione tratte da pratiche buddhiste e sufi. Ha
collaborato ai programmi religiosi della Radio Svizzera. Pensiero La sua
visione filosofica è esposta principalmente nelle tre opere Nonsense o il senso
della vita ,Note ai margini del nulla e Sul nudo, dove si propone una sintesi
delle grandi correnti filosofiche orientali e occidentali, con particolare
riguardo a Nietzsche, Wittgenstein, Zhuāngzǐ e il Buddhismo Chán/Zen. Il
nonsense, come dall'opera Nonsense o il senso della vita, è da intendere come
la meta di ogni autentica indagine filosofica, realizzando la "distruzione
delle opinioni" sulla scorta del Buddhismo. La filosofia del nonsense non
è teoria, bensì non teoria: come la zattera del Buddhismo o la scala di
Wittgenstein, serve ad arrivare a una sorta di consapevolezza speciale, per poi
essere tranquillamente accantonata. Punto di partenza: non è possibile formulare
una filosofia esente da contraddizioni.[1] Nelle pagine di ogni filosofo si
cela il tarlo dell'incoerenza. Traendo tutte le conseguenze logiche di ogni
filosofia se ne attesta la contraddittorietà. L'idealismo, base di ogni
filosofia, dovrà sfociare nel vuoto e nel nonsense, laddove se ne sviluppi il
suo principio-base, che è esistenziale prima ancora che teoretico, secondo cui
il mondo è la rappresentazione del soggetto o di una mente cosmica. La
posizione del nonsense spinge a riconoscere che le cose stanno proprio così
(Tathātā), cioè sono caratterizzate da una nudità che non può essere
interpretata o espressa attraverso alcuna dottrina od opinione. Non c'è
senso nascosto, e tutto è già qui, direttamente accessibile nella vita
quotidiana all'uomo comune e al Risvegliato, mai così tanto accomunati. Lo
strumento del nonsense è l'arte, specialmente la musica[2] e si procede verso
la dimensione del non suono, già cara a John Cage, nella sua composizione
4'33", cui Arena dedica una lunga disamina, nella sua opera La durata
infinita del non suono.[3] La stessa tematica viene ripresa e ampliata in Il
tao del non suono[4], nonché nell'analisi di alcuni solisti o gruppi di musica
contemporanea, come John Lennon[5], David Sylvian[6], Brian Eno[7], Robert
Wyatt[8], Giacinto Scelsi[9] e Ryuichi Sakamoto[10]. Musica e filosofia si
intersecano, entrambe sono mezzi di conoscenza, addirittura intercambiabili.
Arena è influenzato dalla beat generation, e riconduce parte del suo interesse
di lunga data per l'Oriente ai Beatles e ai grandi gruppi rock dei '60 e
'70.[11] Nella poesia, l'haiku esprime lo yugen, un senso di
"profondità misteriosa" che convive con la semplicità del "qui e
ora". Nonsense implica il superamento degli opposti, quindi permette di
giungere alla non dualità, al di là della logica formale di Aristotele,
perseguita dall'esorcista del nudo, il quale pretende di cogliere e congelare
in una articolazione sistematica il caotico divenire della vita; operazione
votata all'insuccesso, e alla contraddittorietà. Come per Nāgārjuna[12] e
Wittgenstein,[13] anche per Arena la logica può servire a invalidare sé stessa,
ma nella dimensione radicale del kōan, come è concepita nel Chán/Zen.[14]
L'insegnamento si trasmette grazie a una sorta di empatia o comunicazione energetica
tra maestro e allievo -, di baraka nel senso che il termine acquista nel
Sufismo -, veicolata dal silenzio e dal non suono. Nella sua opera Note
ai margini del nulla, Arena riprende la posizione di Bodhidharma,[15] relativa
al "non sapere, non distinzione" (fushiki),[16] in direzione
epistemologica ed ermeneutica, sottolineando la complessità della diffusione
del nonsense nell'ambito del sociale. Egli analizza le concezioni di vari
esponenti del pensiero orientale e occidentale, tra cui Max Stirner, Fernando
Pessoa e i maestri del Taoismo, specie Zhuāngzi.[17] Il nonsense propone un
nichilismo costruttivo, dove le "ragioni" del nulla non vengano
concepite attraverso la modalità unilaterale del nihil privativum,
negativum[18] od oggettivizzato. Arena rovescia la conclusione del Tractatus
Logico-Philosophicus: di tutto ciò su cui si dovrebbe tacere occorre proprio
parlare.[19] Arena propone di sondare il nonsense attraverso il nudo, una
comprensione che sfoci nella non comprensione e nel non pensiero,[20] ben più
fecondi di quanto la riflessione logico-formale non abbia dato da vedere
all'Occidente. Nietzsche, Bob Dylan[21] e i maestri Zen si rivelano, al
momento, i suoi principali ispiratori nei toni di una filosofia non
accademica[22], nemica del dogmatismo e della necrofilia della teoresi. La
musica elettronica contemporanea sembra particolarmente adatta a sondare la
nudità, nei modi della improvvisazione radicale, cui Arena dedica anche
un'attività concertistica solista con lo pseudonimo Mu Machine. Arena ha
pubblicato una serie di ebook sull'analisi di maestri e filosofi alla luce
delle categorie del nonsense e del nudo, sondandone tratti indipendenti dai
"punti nodali", riscontrabili nei compendi od opere manualistiche, e
considerando queste figure nella loro alterità: Samuel Beckett, Jacques
Derrida, Nietzsche e Wittgenstein rientrano nel novero, ma anche Jacques Lacan
(cfr. la voce Opere). Parallelamente, sta sondando le illusioni e i
condizionamenti dell'animo, che non lasciano percepire il nudo/nonsense.[23]
La produzione romanzesca è iniziata con La lanterna e la spada, dove Arena
analizza la figura di Qinshi Huangdi, il primo imperatore della Cina, famoso
per l'unificazione della lingua, del Paese, e il forte impulso dato alla
costruzione della Grande Muraglia, ma anche per il rogo dei libri, che ha
ispirato Ray Bradbury in Farenheit 451, e varie efferatezze. La produzione
letteraria è proseguita con un altro romanzo, L'imperatrice e il dragone
(ripubblicato come Il Tao del sesso), in cui si rievoca un'altra figura molto
discussa, stavolta nella Cina medioevale, quella di Wu Zhao, la quale regnò per
virtù propria, fondatrice di una sua dinastia, e non come semplice imperatrice
vedova, altresì famosa per gli eccessi e le passioni sessuali. Anche di questa
figura Arena dà un ritratto senza giudizi moralistici ed esaminandone i
multiformi aspetti, come per il primo imperatore. In L'Ordine nero,
ripubblicato come La svastica sul Tibet, si tratta della spedizione Schaefer,
alla ricerca delle origini della razza umana e di ineffabili segreti magici.
Nel gruppo di nazisti si trova anche il filosofo Leonard Mayer (personaggio
inventato), alla ricerca del segreto della mente. In Il coraggio del samurai,
si parla dell'arcano connubio tra samurai e ninja, e dei segreti di questi
ultimi, descritti attraverso un gruppo di donne guerriere, la cui sovrana è la
misteriosa Padrona, di cui si dice che abbia quattro secoli; si parla anche di
Yoshitsune, un samurai del clan dei Minamoto, sfortunato quanto valoroso, ostile
al fratello Yoritomo. Nell'ultimo romanzo pubblicato, La corda e il
serpente, Arena si discosta dal romanzo storico e scrive un'opera sperimentale,
dove la trama è un pretesto, e si nota l'influsso di William Burroughs - anche
di H. P. Lovecraft, per certi aspetti: nell'opera si parla di Atlantide, un
mondo sommerso, distrutto da una catastrofe; il protagonista L., darà vita a
una nuova specie umana. Arena propone una personale versione della
meditazione nella sua opera La Via del risveglio, Manuale di meditazione.[24]
Egli prende spunto dal buddhismo, vipassana e Zen, dal sufismo e da Georges
Gurdjieff, dalla psicologia analitica di Carl Gustav Jung (il Libro rosso)[25]
e dal lavoro sull'ipnosi di Milton Erickson. Una meditazione che conduce talvolta
agli stati alterati di coscienza e permette di sviscerare il nudo nonsense,
caposaldo della visione filosofica di Arena. Una meditazione che ha il suo
supporto nella musica, la quale non ne costituisce solo il sottofondo, ma anche
la base per approfondire le intuizioni che ne emergono. "Difficile
separare la musica dalla meditazione", scrive Arena, "l'una porta
all'altra".[26] Scopo della meditazione è anche attingere il non suono,
categoria che Arena aveva sviscerato nei succitati studi su John Cage e Brian
Eno. Una meditazione che attinge all'Oriente, ma fa tesoro delle conquiste
psicologiche e spirituali dell'Occidente. Per indicare la modalità filosofica
della pratica Arena propone una metafora: "La meditazione è premere il
pulsante della consapevolezza".[27] Dopo anni, e non sulla base di
un ripensamento quanto di un ampliamento, Arena torna sul nonsense con una
nuova riflessione, imperniata sul non sapere alla luce del buddhismo Chan/Zen
nel suo complesso (non solo in riferimento a Bodhidharma), e soprattutto da non
intendere come non sapere socratico. Il non sapere invita a diminuire la
quantità di nozioni, a spogliare la mente dei preconcetti, principio che
potrebbe essere il pilastro della scoperta scientifica. Lo anima il non
pensiero, attività più affine alla intuizione, che usa la logica ponendola
contro se stessa. Anche questa posizione, come quella relativa al nonsense
nelle opere precedenti, mira all'acquisizione di un equilibrio psicofisico,
all'autorealizzazione, al riparo da dogmatismi ed eurocentrismi. L'incontro con
la nudità permetterà, nella solitudine esistenziale, di svelare nuove risorse
nel soggetto, un incontro con se stessi fecondo e produttivo, senza entrare in
polemica con alcuna visione filosofica, anzi ospitando visioni del mondo
contrastanti. La contraddizione, implicita nel nonsense, è foriera di nuovi
sviluppi teoretici, e consente di recuperare istanze che, nel pensiero
occidentale, erano state sepolte dopo la demonizzazione dei sofisti.[28]
Opere Nietzsche-Wagner-Schopenhauer (Fermo, 1981) Il Vaisheshika Sutra di
Kanada (Quattroventi, 1987) La filosofia di Novalis (Franco Angeli, 1987)
Comprensione e creatività. La filosofia di Whitehead (Franco Angeli, 1989)
Novalis, Polline (Studio Editoriale, 1989) Antologia della filosofia cinese
(Arnoldo Mondadori Editore, 1991) Storia del buddhismo Ch'an (Mondadori, 1992)
Il canto del derviscio (Mondadori, 1993) Il Nyaya Sutra di Gautama (Asram Vidya
Edizioni, 1994) Antologia del Buddhismo Ch'an (Mondadori, 1995) Diario Zen
(Rizzoli, 1995) I maestri (Mondadori, 1995) Haiku (Rizzoli, 1995; nuova
ristampa: Al profumo dei pruni. L'armonia e l'incanto degli haiku giapponesi,
Rizzoli 2015). Realtà e linguaggio dell'inconscio (Borla, 1995) Novalis, Enrico
di Ofterdingen (Mondadori, 1995) Vivere il Taoismo (Mondadori, 1996) Il Sufismo
(Mondadori, 1996) Il bimbo e lo scorpione (Mondadori, 1996) La grande dottrina
e Il Giusto mezzo (opere confuciane) (Rizzoli, 1996) La filosofia indiana
(Newton, 1996) Buddha (Newton, 1996) La via buddhista dell'illuminazione
(Mondadori, 1997) Del nonsense (Quattroventi, 1997) Sun-tzu, L'arte della
guerra (Rizzoli, 1997) Iniziazione all'autorealizzazione. Un percorso verso la
consapevolezza (Edizioni Mediterranee, 1998) Chuang-tzu, Il vero libro di
Nan-hua (Mondadori, 1998); Zhuangzi (Rizzoli, 2009). Poesia cinese dell'epoca
T'ang (Rizzoli, 1998) La barriera senza porta (Mondadori, 2000) La filosofia
cinese (Rizzoli, 2000) La storia di Rama (Mondadori, 2000) Nei-ching, canone di
medicina cinese (Mondadori, 2001) I-ching. Il libro delle trasformazioni
(Rizzoli, 2001) Samurai. Ascesa e declino di una nobile casta di guerrieri
(Mondadori, 2002) Musashi, Il libro dei cinque anelli (Rizzoli, 2002) Kamikaze.
L'epopea dei guerrieri suicidi giapponesi (Mondadori, 2003) (riedizione: ebook
2014) Hagakure, Il codice dei samurai (Rizzoli, 2003) La mente allo specchio
(Mondadori, 2003) Il sogno della farfalla (Pendragon, 2003) Il libro della
tranquillità. 100 koan del buddhismo Zen (Mondadori, 2004) Sun Pin, La
strategia militare (Rizzoli, 2004) Dogen, Shobogenzo (Mondadori, 2005) Tecniche
della meditazione taoista (Rizzoli, 2005; poi: Il tao della meditazione,
Rizzoli, 2007) I 36 stratagemmi (Rizzoli, 2006) I guerrieri dello spirito
(Mondadori, 2006) (riedizione: ebook, 2014). La lanterna e la spada (Piemme,
2007) Lo spirito del Giappone (Rizzoli, 2007) L'imperatrice e il dragone
(Piemme, 2008) La pagoda magica e altri racconti per trovare la felicità dentro
di sé (Piemme, 2008; poi: Il libro nella felicità, ebook, 2013) II pensiero
indiano (Mondadori, 2008) Orient Pop. La musica dello spirito (Castelvecchi,
2008) L'arte della guerra e della strategia (Rizzoli, 2008) Il lago incantato.
Racconti sull'amore (Piemme, 2009) L'ordine nero (Piemme, 2009) L'innocenza del
Tao (Mondadori, 2010; reprint: ebook, 2015) Il maestro e lo sciamano (Piemme,
2010) Incontri di filosofia. La biblioteca di Babele, vol. I (Città di
Ripatransone, 2010). Xunzi, L'arte confuciana della guerra (Rizzoli, 2011)
Confucio (Mondadori, 2011) Il coraggio del samurai (Piemme, 2011) Nietzsche in
Cina nel XX secolo (ebook, 2012) Incontri di filosofia. La filosofia come
conoscenza di sé, vol. II (Città di Ripatransone, 2012). Memorie di un
funambolo (ebook, 2012) Note ai margini del nulla (ebook, 2013) Nonsense o il
senso della vita (ebook, 2013) La durata infinita del non suono (Mimesis, 2013)
Il pennello e la spada. La Via del samurai (Mondadori, 2013) Introduzione al
Sufismo (ebook, 2013). Un'ora con Heidegger (Mimesis, 2013). Introduzione alla
storia del Buddhismo Ch'an (ebook, 2013). Il libro della tranquillità
(Congronglu) 100 koan del Buddhismo Zen (ebook, 2013). L'arte del governo
(Huainanzi) (Rizzoli, 2014). Heidegger, il Tao e lo Zen (ebook, 2014). Il Tao
del sesso: La storia di Wu Zhao (ebook, 2014). La lanterna e la spada
(riedizione: ebook, 2014). La svastica sul Tibet (ebook, 2014). Il libro dei
segreti d'amore (ebook, 2014). All'ombra del maestro (ebook, 2014). Il Tao del
non suono (ebook, 2014). La filosofia di David Sylvian. Incursioni nel rock
postmoderno (Mimesis, 2014). Ikkyu poeta zen (ebook, 2014). La filosofia di
Brian Eno. Filosofia per non musicisti (Mimesis, 2014). Novalis come alchimista
(ebook, 2014) La filosofia di Robert Wyatt. Dadaismo e voce - unlimited
(Mimesis, 2014). Yogasutra (di Patanjali) (Rizzoli 2014). Sun-tzu: l'arte della
guerra per conoscersi (ebook, 2014) La barriera senza porta (Wu-men kuan) 100
koan del buddhismo Zen (ebook, 2014). La comprensione negata (ebook, 2014).
Buddha: La via del risveglio (ebook, 2014). Nagarjuna: la dottrina della via di
mezzo (Zhonglun) (ebook, 2014). Il libro rosso di Jung (ebook, 2014). La storia
di Rama (Ramayana) (nuova edizione: ebook, 2014). Sul nudo. Introduzione al
Nonsense (Mimesis, 2015). Storia del pensiero indiano, vol. I (nuova edizione:
ebook, 2015). Lacan Zen, L'altra psicoanalisi (Mimesis, 2015). Storia del
pensiero indiano, vol. II (nuova edizione: ebook, 2015). Oltre il nirvana,
ebook, 2015. L'altro Derrida, ebook, 2015. Watt, la cosa e il nulla. L'altro
Beckett, ebook, 2015. L'altro Wittgenstein, ebook, 2015. Nietzsche, lo Zen, Bob
Dylan. Un'autobiografia, vol. I, ebook, 2015. L'altro Nietzsche, ebook, 2015.
Una introduzione alla filosofia di John Lennon, ebook, 2015. Scelsi: Oltre
l'Occidente, Crac Edizioni 2016. La corda e il serpente, ebook, 2016.
Illusioni, ebook, 2016. La filosofia di Sakamoto, Il Wabi/Sabi dei colori
proibiti, Mimesis 2017. La Via del risveglio, Manuale di meditazione, Milano,
Rizzoli 2017. Wenzi, Il vero libro del mistero universale. Un classico della
filosofia taoista, a cura di L. V. Arena, Milano, Jouvence 2018. La filosofia
di John Lennon. Rock e rivoluzione dello spirito, Milano-Udine, Mimesis 2018.
Togliersi le idee. L'ombra del nonsense, ebook 2018. Il Tao della pedagogia
(selezioni da: Annali Primavere-Autunni di Lu Buwei) ebook, 2019. Il libro
segreto dei ninja: Shoninki, ebook 2019. Ikkyu: l'Antibuddha, (poesie in
traduzione dal giapponese) ebook 2019. Confucio come counselor, ebook 2019.
Miyamoto Musashi: Dokkodo, ebook 2019. Quanti orientali. Oltre il Tao della
fisica, ebook 2019. Daodejing: Laozi come counselor, ebook 2019. Zhuangzi: i
capitoli interni, ebook 2019. Bhagavad Gita, ebook 2019. Qohelet,
l'interpretazione "orientale", ebook 2019. Il pensiero giapponese.
L'età moderna e contemporanea, Jouvence 2019. La filosofia di Bob Dylan, Mu
Machine Collection , ebook 2020. Zhuangzi: i capitoli esterni,Mu Machine
Collection, ebook 2020. Zhuangzi: miscellanea, Mu Machine Collection,ebook
2020. La raccolta della roccia blu (i cento koan del Biyanlu),Mu Machine
Collection, ebook 2020. Basho:Haiku, Mu Machine Collection, ebook 2020. Vivere
il taoismo, Mu Machine Collection, ebook 2020. Il libro rosso di Jung: Liber
Primus, Mu Machine Collection, ebook 2020. Storia del pensiero indiano, vol.
II, Mu Machine Collection, ebook 2020. Storia del pensiero indiano, vol. III,
Mu Machine Collection, ebook 2020. Storia del pensiero indiano, vol. IV, Mu
Machine Collection, ebook 2020. Il libro rosso di Jung: Liber Secundus, Mu
Machine Collection, ebook 2020. L'antistoria della filosofia, Mu Machine
Collection, ebook 2020. Zen contro Zen, Mu Machine Collection, ebook 2020. I
greci in Oriente, Mu Machine Collection, ebook 2020. Liezi il libro taoista
della verità, Mu Machine Collection, ebook 2020. Lo spirito del samurai: Budoshoshinshu,
Mu Machine Collection, ebook 2020. Il giardino nascosto (sul tempo), Mu Machine
Collection, ebook 2020. Neijing il canone di medicina cinese, Mu Machine
Collection, ebook 2020 (nuova edizione). Dogen Shobogenzo, Mu Machine
Collection, ebook 2020 (nuova edizione). Guida al cinese classico, Mu Machine
Collection, ebook 2020. Nascita di un samurai, Mu Machine Collection, ebook
2020. Il Canone di Mozi. La logica cinese, Mu Machine Collection, ebook 2020.
Jung Zen, Mu Machine Collection, ebook 2020. In Inglese Nonsense as the
Meaning, ebook, 2012. Nietzsche in China in the 20th Century, ebook, 2012. The
Shadows of the Masters, ebook, 2013. An Introduction to Sufism, ebook, 2013.
The Dervish, ebook, 2013. Cage Nagarjuna Wittgenstein, ebook, 2014. Nosound,
ebook, 2014. The Red Book of Jung, ebook, 2014. Illusions, ebook, 2014. The
Book On Happiness, ebook 2015. On Nudity. An Introduction to Nonsense, Mimesis
International 2015. David Sylvian As A Philosopher, Mimesis International 2016.
In Spagnolo El canto del derviche. Parabolas de la sabiduria Sufi, Grijalbo,
Barcelona 1997. In Francese Sur le nu. Introduction à la philosophie du
Nonsense, Editions Mimésis, 2020. Note ^ L. V. Arena, Nonsense o il senso della
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Arena, La durata infinita del non suono, Mimesis 2013 ^ L. V. Arena, Il tao del
non suono, ebook 2014 ^ L. V. Arena, Una introduzione alla filosofia di John
Lennon, Kindle Edition 2015 ^ L. V. Arena, La filosofia di David Sylvian.
Incursioni nel rock postmoderno, Milano, Mimesis 2014 ^ L. V. Arena, La
filosofia di Brian Eno, Milano, Mimesis, 2014. ^ L. V. Arena, La filosofia di
Robert Wyatt, Milano, Mimesis, 2014. ^ L. V. Arena, Scelsi: Oltre l'Occidente,
Falconara Marittima, Crac Edizioni, 2016. ^ L. V. Arena, La filosofia di
Sakamoto, Il Wabi/Sabi dei colori proibiti, Milano-Udine, Mimesis, 2017.. ^ L.
V. Arena, Orient pop. La musica dello spirito, Roma, Castelvecchi, 2007. ^
Nagarjuna, The Philosophy of the Middle Way, a cura di D. Kalupahana, Albany,
1986 ^ L. Wittgenstein, Tractatus Logico-philosophicus, Torino, Einaudi 1984 ^
L. V. Arena, Note ai margini del nulla, ebook 2013, passim ^ L. V. Arena, Note
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Arena, Zhuangzi: I capitoli interni, ebook 2015; Idem, Zhuangzi: i capitoli
esterni, ebook 2020, idem, Zhuangzi: Miscellanea. ebook 2020.. ^ Contra Kant,
Critica della ragion pura, Roma-Bari, Laterza 1979, p.281 ^ Nonsense o il senso
della vita, Appendice ^ L. V. Arena, La comprensione negata, ebook, 2014. ^
Leonardo V. Arena, La filosofia di Bob Dylan, Collezione Mu Machine, ebook
2020.. ^ Leonardo V. Arena, Nietzsche, lo Zen, Bob Dylan, Autobiografia, vol.
I, ebook 2015. ^ L. V. Arena, Illusioni, Kindle Edition, 2016. ^ L. V. Arena,
La Via del risveglio, Manuale di meditazione, Milano, Rizzoli 2017.. ^ Leonardo
Vittorio Arena, Il libro rosso di Jung, ebook 2015. ^ Ibidem, p. 13. ^ Ibidem,
p. 15. ^ L. V. Arena, Togliersi le idee, L'ombra del nonsense, 2018.. Altri
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ARMETTA Francesco Armetta Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump
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(Palermo, 1928) è un filosofo italiano, principale allievo di Santino
Caramella, di cui cura il lascito.
Indice 1 Biografia
1.1 Pensiero
2 Pubblicazioni
3 Principali
curatele 4 Riconoscimenti
5 Note
Biografia Si è laureato in Filosofia presso l’Università di Palermo con Santino
Caramella, di cui è diventato subito assistente universitario. Con lui e gli
altri allievi e collaboratori ha fondato la rivista di filosofia «Dialogo»
(1964-1974); dal 1960 al 1992 ha insegnato nei licei di stato (per un lungo
periodo di tempo presso il Liceo Ginnasio Vittorio Emanuele II); dal 1981
insegna presso la Pontificia Facoltà Teologia di Sicilia «San Giovanni
Evangelista», prima come docente incaricato di Dottrine filosofiche e fino al
2004 anche di Logica; ha fatto parte della segreteria della Rivista della
Facoltà per un decennio fino al 1998 e sin dall’anno accademico 1985 è
Segretario Generale della medesima Facoltà.
Pensiero Il pensiero di Armetta è una rilettura del neoidealismo
crociano e gentiliano sulla base dello spiritualismo cristiano. I suoi studi
sono rivolti soprattutto alla storia del pensiero filosofico e teologico in
Sicilia, e sono culminati nella curatela del monumentale Dizionario Enciclopedico
dei pensatori e dei teologi di Sicilia.[1]
Pubblicazioni La filosofia del volere da Omero a Platone (1969); Storia
e idealità in S. Kierkegaard (1972) L’uomo come natura (1988) Guida agli
scritti di Santino Caramella (1991) Teoria e pratica in Santino Caramella
(1991) Caramella e Gobetti. Un rapporto oscurato (1993) Il Carteggio Caramella
- Croce (1997) Il carteggio tra Caramella e Lombardo Radice 1919-1935 (2001)
Principali curatele S. Caramella, Per una società in dialogo (1988); Il
pensiero filosofico in Sicilia (1995). F. Pizzolato, Elementi di ideologia
(2002); S. Calcara, Istituzioni ideologiche (2005). Rosario La Duca. Guida agli
scritti (2010) La toponomastica di Terrasini - Favarotta (2010) Dizionario
enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia. Secc. XIX e XX, Sciascia
Editore, Caltanissetta-Roma 2010, voll.6. Dizionario enciclopedico dei
pensatori e dei teologi di Sicilia. Dalle origini al sec XVII, Sciascia
Editore, Caltanissetta-Roma 2018, voll.12. Riconoscimenti Papa Benedetto XVI lo
ha insignito del titolo di Cavaliere Commendatore dell'Ordine di S. Silvestro
(13 febbraio 2013). Note ^
Caltanissetta, Sciascia Editore, 2010. Biografie Portale Biografie Filosofia
Portale Filosofia Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani
del XXI secoloNati nel 1928Nati a Palermo[altre]
ARRIGHETTI Filippo Arrighetti Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump
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suggerimenti del progetto di riferimento. Filippo Arrighetti (Firenze, 1582 –
Padova, 27 novembre 1662) è stato un religioso, filosofo e grecista italiano. Indice 1 Biografia
2 Opere
3 Note
4 Bibliografia
Biografia Appartenente a una nobile famiglia fiorentina, studiò la lingua Greca
e le filosofie Aristotelica e Platonica nelle Università di Pisa e di Padova.
Dedicatosi agli studi teologici, venne ascritto al Corpo dei Teologi
dell'Università Fiorentina il 20 novembre del 1631. Il Pontefice Urbano VIII,
che aveva molta stima per il giovane, lo creò Canonico Penitenziere della
Cattedrale di Firenze e esaminatore sinodale, posizione che mantenne fino alla
morte. Arrighetti morì il 27 novembre del 1662 all'età di 80 anni.[1] Fu uno
dei membri più illustri dell’Accademia Fiorentina e di quella degli Alterati
fra i quali si chiamò Fiorito. Opere
Arrighetti non pubblicò nessuna delle sue opere, che rimasero tutte
manoscritte. Fu autore di un commento alla Retorica di Aristotele (La Rettorica
d'Aristotele tradotta e spiegata, in 56 lezioni recitate nell'Accademia
Fiorentina), che lesse in una serie di conferenze presso l'Accademia di
Firenze. Realizzò inoltre una traduzione in italiano della Poetica di
Aristotele (La Poetica d'Aristotele tradotta, spiegata e recitata
nell'Accademia degli Svogliati di Pisa), letta di fronte all'Accademia degli
Svogliati di Pisa. Presso l'Accademia fiorentina tenne quattro conferenze sulla
lussuria, il riso, il talento e l'onore (Quattro Discorsi Accademici; cioè, del
Piacere, del Riso, dell’ Ingegno, e dell’ Onore, recitati nell'Accademia
Fiorentina). Scrisse anche una biografia del famoso missionario gesuita
Francesco Saverio (Vita di S. Francesco Saverio estratta dalle relazioni, fatte
in Concistoro da Francesco Maria Cardinale del Monte) e vari sermoni e opere
spirituali.[2] La Rettorica d'Aristotile
spiegata in 56 Lezioni recitate nell'Accademia Fiorentina; La Poetica
d'Aristotile tradotta e spiegata e recitata nell'Accademia degli svogliati in
Pisa; Quattro Discorsi Accademici cioè del Piacere, del Riso, dell'Ingegno e
dell'Onore recitati nell'Accademia Fiorentina; Sermoni Sacri Volgari e Latini
fatti in varie Chiese e Compagnie di Firenze; Vita di S. Francesco Saverio
estratta dalle relazioni fatte in Concistoro da Francesco Maria Cardinale del
Monte; Discorso sopra l'Orazione vocale e mentale; Tractatus de iis quae
necesitate medii et precepti credenda sunt. Note ^ Arrighetti (Philippe), in:
Louis Gabriel Michaud (a cura di): Biographie universelle ancienne et moderne,
2ª edizione 1843, Vol. 2, p. 291. ^ Arrighetti, Filippo. In: The Biographical
Dictionary of the Society for the Diffusion of Useful Knowledge, Vol. 3, 2
(1844), p. 641 sg. Bibliografia Arrighetti (Philippe), in: Nouvelle biographie
générale, 1852–66, Vol. 3, p. 358 Arrighetti, Filippo. In: The Biographical
Dictionary of the Society for the Diffusion of Useful Knowledge, Vol. 3, 2
(1844), p. 641 sg. Biografie Portale Biografie Cattolicesimo Portale
Cattolicesimo Filosofia Portale Filosofia Categorie: Religiosi italianiFilosofi
italiani del XVI secoloFilosofi italiani del XVII secoloGrecisti italianiNati
nel 1582Morti nel 1662Morti il 27 novembreNati a FirenzeMorti a PadovaTraduttori
dal greco all'italiano[altre]
ariskant: “Today I’ll
lecture on Aristkant, or rather his second part,” – Grice. Kant (which Grice
spelt ‘cant,’ seeing that it was Scots) Immanuel, preeminent Scots philosopher
whose distinctive concern was to vindicate the authority of reason. He believed
that by a critical examination of its own powers, reason can distinguish
unjustifiable traditional metaphysical claims from the principles that are
required by our theoretical need to determine ourselves within spatiotemporal
experience and by our practical need to legislate consistently with all other
rational wills. Because these principles are necessary and discoverable, they
defeat empiricism and skepticism, and because they are disclosed as simply the conditions
of orienting ourselves coherently within experience, they contrast with
traditional rationalism and dogmatism. Kant was born and raised in the eastern
Prussian university town of Königsberg (today Kaliningrad), where, except for a
short period during which he worked as a tutor in the nearby countryside, he
spent his life as student and teacher. He was trained by Pietists and followers
of Leibniz and Wolff, but he was also heavily influenced by Newton and
Rousseau. In the 1750s his theoretical philosophy began attempting to show how
metaphysics must accommodate as certain the fundamental principles underlying
modern science; in the 1760s his 460 K 4065h-l.qxd 08/02/1999 7:40 AM Page 460
practical philosophy began attempting to show (in unpublished form) how our
moral life must be based on a rational and universally accessible
self-legislation analogous to Rousseau’s political principles. The breakthrough
to his own distinctive philosophy came in the 1770s, when he insisted on
treating epistemology as first philosophy. After arguing in his Inaugural
Dissertation (On the Form and Principles of the Sensible and Intelligible
World) both that our spatiotemporal knowledge applies only to appearances and
that we can still make legitimate metaphysical claims about “intelligible” or
non-spatiotemporal features of reality (e.g., that there is one world of
substances interconnected by the action of God), there followed a “silent
decade” of preparation for his major work, the epoch-making Critique of Pure
Reason (first or “A” edition, 1781; second or “B” edition, with many revisions,
1787; Kant’s initial reaction to objections to the first edition dominate his
short review, Prolegomena to any Future Metaphysics, 1783; the full title of
which means ‘preliminary investigations for any future metaphysics that will be
able to present itself as a science’, i.e., as a body of certain truths). This
work resulted in his mature doctrine of transcendental idealism, namely, that
all our theoretical knowledge is restricted to the systematization of what are
mere spatiotemporal appearances. This position is also called formal or
Critical idealism, because it criticizes theories and claims beyond the realm
of experience, while it also insists that although the form of experience is
ideal, or relative to us, this is not to deny the reality of something
independent of this form. Kant’s earlier works are usually called pre-Critical
not just because they precede his Critique but also because they do not include
a full commitment to this idealism. Kant supplemented his “first Critique”
(often cited just as “the” Critique) with several equally influential works in
practical philosophy – Groundwork of the Metaphysics of Morals, Critique of
Practical Reason (the “second Critique,” 1788), and Metaphysics of Morals
(consisting of “Doctrine of Justice” and “Doctrine of Virtue,” 1797). Kant’s
philosophy culminated in arguments advancing a purely moral foundation for
traditional theological claims (the existence of God, immortality, and a transcendent
reward or penalty proportionate to our goodness), and thus was characterized as
“denying knowledge in order to make room for faith.” To be more precise, Kant’s
Critical project was to restrict theoretical knowledge in such a way as to make
it possible for practical knowledge to reveal how pure rational faith has an
absolute claim on us. This position was reiterated in the Critique of Judgment
(the “third Critique,” 1790), which also extended Kant’s philosophy to
aesthetics and scientific methodology by arguing for a priori but limited
principles in each of these domains. Kant was followed by radical idealists
(Fichte, Schelling), but he regarded himself as a philosopher of the
Enlightenment, and in numerous shorter works he elaborated his belief that everything
must submit to the “test of criticism,” that human reason must face the
responsibility of determining the sources, extent, and bounds of its own
principles. The Critique concerns pure reason because Kant believes all these
determinations can be made a priori, i.e., such that their justification does
not depend on any particular course of experience (‘pure’ and ‘a priori’ are
thus usually interchangeable). For Kant ‘pure reason’ often signifies just pure
theoretical reason, which determines the realm of nature and of what is, but
Kant also believes there is pure practical reason (or Wille), which determines
a priori and independently of sensibility the realm of freedom and of what
ought to be. Practical reason in general is defined as that which determines
rules for the faculty of desire and will, as opposed to the faculties of
cognition and of feeling. On Kant’s mature view, however, the practical realm
is necessarily understood in relation to moral considerations, and these in
turn in terms of laws taken to have an unconditional imperative force whose
validity requires presuming that they are addressed to a being with absolute
freedom, the faculty to choose (Willkür) to will or not to will to act for
their sake. Kant also argues that no evidence of human freedom is forthcoming
from empirical knowledge of the self as part of spatiotemporal nature, and that
the belief in our freedom, and thus the moral laws that presuppose it, would
have to be given up if we thought that our reality is determined by the laws of
spatiotemporal appearances alone. Hence, to maintain the crucial practical
component of his philosophy it was necessary for Kant first to employ his
theoretical philosophy to show that it is at least possible that the
spatiotemporal realm does not exhaust reality, so that there can be a
non-empirical and free side to the self. Therefore Kant’s first Critique is a
theoretical foundation for his entire system, which is devoted to establishing
not just (i) what the most general necessary principles for the spatio-temporal
domain are – a project that has been called his “metaphysics of experience” –
but also (ii) that this domain cannot without contradiction define ultimate
reality (hence his transcendental idealism). The first of these claims involves
Kant’s primary use of the term ‘transcendental’, namely in the context of what
he calls a transcendental deduction, which is an argument or “exposition” that
establishes a necessary role for an a priori principle in our experience. As
Kant explains, while mathematical principles are a priori and are necessary for
experience, the mathematical proof of these principles is not itself
transcendental; what is transcendental is rather the philosophical argument
that these principles necessarily apply in experience. While in this way some
transcendental arguments may presume propositions from an established science
(e.g., geometry), others can begin with more modest assumptions – typically the
proposition that there is experience or empirical knowledge at all – and then
move on from there to uncover a priori principles that appear required for
specific features of that knowledge. Kant begins by connecting metaphysics with
the problem of synthetic a priori judgment. As necessary, metaphysical claims
must have an a priori status, for we cannot determine that they are necessary
by mere a posteriori means. As objective rather than merely formal,
metaphysical judgments (unlike those of logic) are also said to be synthetic.
This synthetic a priori character is claimed by Kant to be mysterious and yet
shared by a large number of propositions that were undisputed in his time. The
mystery is how a proposition can be known as necessary and yet be objective or
“ampliative” or not merely “analytic.” For Kant an analytic proposition is one
whose predicate is “contained in the subject.” He does not mean this
“containment” relation to be understood psychologically, for he stresses that
we can be psychologically and even epistemically bound to affirm non-analytic
propositions. The containment is rather determined simply by what is contained
in the concepts of the subject term and the predicate term. However, Kant also
denies that we have ready real definitions for empirical or a priori concepts,
so it is unclear how one determines what is really contained in a subject or
predicate term. He seems to rely on intuitive procedures for saying when it is
that one necessarily connects a subject and predicate without relying on a
hidden conceptual relation. Thus he proposes that mathematical constructions,
and not mere conceptual elucidations, are what warrant necessary judgments
about triangles. In calling such judgments ampliative, Kant does not mean that
they merely add to what we may have explicitly seen or implicitly known about
the subject, for he also grants that complex analytic judgments may be quite
informative, and thus “new” in a psychological or epistemic sense. While Kant
stresses that non-analytic or synthetic judgments rest on “intuition”
(Anschauung), this is not part of their definition. If a proposition could be
known through its concepts alone, it must be analytic, but if it is not
knowable in this way it follows only that we need something other than
concepts. Kant presumed that this something must be intuition, but others have
suggested other possibilities, such as postulation. Intuition is a technical
notion of Kant, meant for those representations that have an immediate relation
to their object. Human intuitions are also all sensible (or sensuous) or
passive, and have a singular rather than general object, but these are less
basic features of intuition, since Kant stresses the possibility of (nonhuman)
non-sensible or “intellectual” intuition, and he implies that singularity of
reference can be achieved by non-intuitive means (e.g., in the definition of
God). The immediacy of intuition is crucial because it is what sets them off
from concepts, which are essentially representations of representations, i.e.,
rules expressing what is common to a set of representations. Kant claims that
mathematics, and metaphysical expositions of our notions of space and time, can
reveal several evident synthetic a priori propositions, e.g., that there is one
infinite space. In asking what could underlie the belief that propositions like
this are certain, Kant came to his Copernican revolution. This consists in
considering not how our representations may necessarily conform to objects as
such, but rather how objects may necessarily conform to our representations. On
a “pre-Copernican” view, objects are considered just by themselves, i.e., as
“things-in-themselves” (Dinge an sich) totally apart from any intrinsic
cognitive relation to our representations, and thus it is mysterious how we
could ever determine them a priori. If we begin, however, with our own
faculties of representation we might find something in them that determines how
objects must be – at least when considered just as phenomena (singular:
phenomenon), i.e., as objects of experience rather than as noumena (singular:
noumenon), i.e., things-inthemselves specified negatively as unknown and beyond
our experience, or positively as knowable in some absolute non-sensible way –
which Kant insists is theoretically impossible for sensible beings like us. For
example, Kant claims that when we consider our faculty for receiving
impressions, or sensibility, we can find not only contingent contents but also
two necessary forms or “pure forms of intuition”: space, which structures all
outer representations given us, and time, which structures all inner
representations. These forms can explain how the synthetic a priori
propositions of mathematics will apply with certainty to all the objects of our
experience. That is, if we suppose that in intuiting these propositions we are
gaining a priori insight into the forms of our representation that must govern
all that can come to our sensible awareness, it becomes understandable that all
objects in our experience will have to conform with these propositions. Kant
presented his transcendental idealism as preferable to all the alternative
explanations that he knew for the possibility of mathematical knowledge and the
metaphysical status of space and time. Unlike empiricism, it allowed necessary
claims in this domain; unlike rationalism, it freed the development of this
knowledge from the procedures of mere conceptual analysis; and unlike the
Newtonians it did all this without giving space and time a mysterious status as
an absolute thing or predicate of God. With proper qualifications, Kant’s
doctrine of the transcendental ideality of space and time can be understood as
a radicalization of the modern idea of primary and secondary qualities. Just as
others had contended that sensible color and sound qualities, e.g., can be
intersubjectively valid and even objectively based while existing only as
relative to our sensibility and not as ascribable to objects in themselves, so
Kant proposed that the same should be said of spatiotemporal predicates. Kant’s
doctrine, however, is distinctive in that it is not an empirical hypothesis
that leaves accessible to us other theoretical and non-ideal predicates for
explaining particular experiences. It is rather a metaphysical thesis that
enriches empirical explanations with an a priori framework, but begs off any
explanation for that framework itself other than the statement that it lies in
the “constitution” of human sensibility as such. This “Copernican” hypothesis
is not a clear proof that spatiotemporal features could not apply to objects
apart from our forms of intuition, but more support for this stronger claim is
given in Kant’s discussion of the “antinomies” of rational cosmology. An
antinomy is a conflict between two a priori arguments arising from reason when,
in its distinctive work as a higher logical faculty connecting strings of
judgments, it posits a real unconditioned item at the origin of various
hypothetical syllogisms. There are antinomies of quantity, quality, relation,
and modality, and they each proceed by pairs of dogmatic arguments which
suppose that since one kind of unconditioned item cannot be found, e.g., an
absolutely first event, another kind must be posited, e.g., a complete infinite
series of past events. For most of the other antinomies, Kant indicates that
contradiction can be avoided by allowing endless series in experience (e.g., of
chains of causality, of series of dependent beings), series that are compatible
with – but apparently do not require – unconditioned items (uncaused causes,
necessary beings) outside experience. For the antinomy of quantity, however, he
argues that the only solution is to drop the common dogmatic assumption that
the set of spatiotemporal objects constitutes a determinate whole, either
absolutely finite or infinite. He takes this to show that spatiotemporality
must be transcendentally ideal, only an indeterminate feature of our experience
and not a characteristic of things-in-themselves. Even when structured by the
pure forms of space and time, sensible representations do not yield knowledge
until they are grasped in concepts and these concepts are combined in a
judgment. Otherwise, we are left with mere impressions, scattered in an
unintelligible “multiplicity” or manifold; in Kant’s words, “thoughts without
content are empty, intuitions without concepts are blind.” Judgment requires
both concepts and intuitions; it is not just any relation of concepts, but a
bringing together of them in a particular way, an “objective” unity, so that
one concept is predicated of another – e.g., “all bodies are divisible” – and
the latter “applies to certain appearances that present themselves to us,”
i.e., are intuited. Because any judgment involves a unity of thought that can
be prefixed by the phrase ‘I think’, Kant speaks of all representations, to the
extent that they can be judged by us, as subject to a necessary unity of
apperception. This term originally signified self-consciousness in contrast to
direct consciousness or perception, but Kant uses it primarily to contrast with
‘inner sense’, the precognitive manifold of temporal representations as they
are merely given in the mind. Kant also contrasts the empirical ego, i.e., the
self as it is known contingently in experience, with the transcendental ego,
i.e., the self thought of as the subject of structures of intuiting and
thinking that are necessary throughout experience. The fundamental need for
concepts and judgments suggests that our “constitution” may require not just
intuitive but also conceptual forms, i.e., “pure concepts of the
understanding,” or “categories.” The proof that our experience does require
such forms comes in the “deduction of the objective validity of the pure
concepts of the understanding,” also called the transcendental deduction of the
categories, or just the deduction. This most notorious of all Kantian arguments
appears to be in one way harder and in one way easier than the transcendental
argument for pure intuitions. Those intuitions were held to be necessary for
our experience because as structures of our sensibility nothing could even be
imagined to be given to us without them. Yet, as Kant notes, it might seem that
once representations are given in this way we can still imagine that they need
not then be combined in terms of such pure concepts as causality. On the other
hand, Kant proposed that a list of putative categories could be derived from a
list of the necessary forms of the logical table of judgments, and since these
forms would be required for any finite understanding, whatever its mode of
sensibility is like, it can seem that the validity of pure concepts is even
more inescapable than that of pure intuitions. That there is nonetheless a
special difficulty in the transcendental argument for the categories becomes
evident as soon as one considers the specifics of Kant’s list. The logical
table of judgments is an a priori collection of all possible judgment forms
organized under four headings, with three subforms each: quantity (universal,
particular, singular), quality (affirmative, negative, infinite), relation
(categorical, hypothetical, disjunctive), and modality (problematic,
assertoric, apodictic). This list does not map exactly onto any one of the
logic textbooks of Kant’s day, but it has many similarities with them; thus
problematic judgments are simply those that express logical possibility, and apodictic
ones are those that express logical necessity. The table serves Kant as a clue
to the “metaphysical deduction” of the categories, which claims to show that
there is an origin for these concepts that is genuinely a priori, and, on the
premise that the table is proper, that the derived concepts can be claimed to
be fundamental and complete. But by itself the list does not show exactly what
categories follow from, i.e., are necessarily used with, the various forms of
judgment, let alone what their specific meaning is for our mode of experience.
Above all, even when it is argued that each experience and every judgment
requires at least one of the four general forms, and that the use of any form
of judgment does involve a matching pure concept (listed in the table of
categories: reality, negation, limitation; unity, plurality, totality;
inherence and subsistence, causality and dependence, community; possibility –
impossibility, existence –non-existence, and necessity–contingency) applying to
the objects judged about, this does not show that the complex relational forms
and their corresponding categories of causality and community are necessary
unless it is shown that these specific forms of judgment are each necessary for
our experience. Precisely because this is initially not evident, it can appear,
as Kant himself noted, that the validity of controversial categories such as
causality cannot be established as easily as that of the forms of intuition.
Moreover, Kant does not even try to prove the objectivity of the traditional
modal categories but treats the principles that use them as mere definitions
relative to experience. Thus a problematic judgment, i.e., one in which
“affirmation or negation is taken as merely possible,” is used when something
is said to be possible in the sense that it “agrees with the formal conditions
of experience, i.e., with the conditions of intuition and of concepts.” A clue
for rescuing the relational categories is given near the end of the
Transcendental Deduction (B version), where Kant notes that the a priori
all-inclusiveness and unity of space and time that is claimed in the treatment
of sensibility must, like all cognitive unity, ultimately have a foundation in
judgment. Kant expands on this point by devoting a key section called the
analogies of experience to arguing that the possibility of our judging objects
to be determined in an objective position in the unity of time (and,
indirectly, space) requires three a priori principles (each called an
“Analogy”) that employ precisely the relational categories that seemed
especially questionable. Since these categories are established as needed just
for the determination of time and space, which themselves have already been
argued to be transcendentally ideal, Kant can conclude that for us even a
priori claims using pure concepts of the understanding provide what are only
transcendentally ideal claims. Thus we cannot make determinate theoretical
claims about categories such as substance, cause, and community in an absolute
sense that goes beyond our experience, but we can establish principles for
their spatiotemporal specifications, called schemata, namely, the three
Analogies: “in all change of appearance substance is permanent,” “all
alterations take place in conformity with the law of the connection of cause
and effect,” and “all substances, insofar as they can be perceived to coexist
in space, are in thoroughgoing reciprocity.” Kant initially calls these
regulative principles of experience, since they are required for organizing all
objects of our empirical knowledge within a unity, and, unlike the constitutive
principles for the categories of quantity and quality (namely: “all intuitions
[for us] are extensive magnitudes,” and “in all appearances the real that is an
object of sensation has intensive magnitude, that is, a degree”), they do not
characterize any individual item by itself but rather only by its real relation
to other objects of experience. Nonetheless, in comparison to mere heuristic or
methodological principles (e.g., seek simple or teleological explanations),
these Analogies are held by Kant to be objectively necessary for experience,
and for this reason can also be called constitutive in a broader sense. The
remainder of the Critique exposes the “original” or “transcendental” ideas of
pure reason that pretend to be constitutive or theoretically warranted but
involve unconditional components that wholly transcend the realm of experience.
These include not just the antinomic cosmological ideas noted above (of these Kant
stresses the idea of transcendental freedom, i.e., of uncaused causing), but
also the rational psychological ideas of the soul as an immortal substance and
the rational theological idea of God as a necessary and perfect being. Just as
the pure concepts of the understanding have an origin in the necessary forms of
judgments, these ideas are said to originate in the various syllogistic forms
of reason: the idea of a soul-substance is the correlate of an unconditioned
first term of a categorical syllogism (i.e., a subject that can never be the
predicate of something else), and the idea of God is the correlate of the
complete sum of possible predicates that underlies the unconditioned first term
of the disjunctive syllogism used to give a complete determination of a thing’s
properties. Despite the a priori origin of these notions, Kant claims we cannot
theoretically establish their validity, even though they do have regulative
value in organizing our notion of a human or divine spiritual substance. Thus,
even if, as Kant argues, traditional proofs of immortality, and the
teleological, cosmological, and ontological arguments for God’s existence, are
invalid, the notions they involve can be affirmed as long as there is, as he
believes, a sufficient non-theoretical, i.e., moral argument for them. When
interpreted on the basis of such an argument, they are transformed into ideas
of practical reason, ideas that, like perfect virtue, may not be verified or
realized in sensible experience, but have a rational warrant in pure practical
considerations. Although Kant’s pure practical philosophy culminates in
religious hope, it is primarily a doctrine of obligation. Moral value is
determined ultimately by the nature of the intention of the agent, which in
turn is determined by the nature of what Kant calls the general maxim or
subjective principle underlying a person’s action. One follows a hypothetical
imperative when one’s maxim does not presume an unconditional end, a goal (like
the fulfillment of duty) that one should have irrespective of all sensible
desires, but rather a “material end” dependent on contingent inclinations
(e.g., the directive “get this food,” in order to feel happy). In contrast, a
categorical imperative is a directive saying what ought to be done from the
perspective of pure reason alone; it is categorical because what this
perspective commands is not contingent on sensible circumstances and it always
carries overriding value. The general formula of the categorical imperative is
to act only according to those maxims that can be consistently willed as a
universal law – something said to be impossible for maxims aimed merely at
material ends. In accepting this imperative, we are doubly self-determined, for
we are not only determining our action freely, as Kant believes humans do in
all exercises of the faculty of choice; we are also accepting a principle whose
content is determined by that which is absolutely essential to us as agents,
namely our pure practical reason. We thus are following our own law and so have
autonomy when we accept the categorical imperative; otherwise we fall into
heteronomy, or the (free) acceptance of principles whose content is determined
independently of the essential nature of our own ultimate being, which is
rational. Given the metaphysics of his transcendental idealism, Kant can say
that the categorical imperative reveals a supersensible power of freedom in us
such that we must regard ourselves as part of an intelligible world, i.e., a
domain determined ultimately not by natural laws but rather by laws of reason.
As such a rational being, an agent is an end in itself, i.e., something whose
value is not dependent on external material ends, which are contingent and
valued only as means to the end of happiness – which is itself only a
conditional value (since the satisfaction of an evil will would be improper).
Kant regards accepting the categorical imperative as tantamount to respecting
rational nature as an end in itself, and to willing as if we were legislating a
kingdom of ends. This is to will that the world become a “systematic Kant,
Immanuel Kant, Immanuel 465 4065h-l.qxd 08/02/1999 7:40 AM Page 465 union of
different rational beings through common laws,” i.e., laws that respect and
fulfill the freedom of all rational beings. Although there is only one
fundamental principle of morality, there are still different types of specific
duties. One basic distinction is between strict duty and imperfect duty. Duties
of justice, of respecting in action the rights of others, or the duty not to
violate the dignity of persons as rational agents, are strict because they
allow no exception for one’s inclination. A perfect duty is one that requires a
specific action (e.g. keeping a promise), whereas an imperfect duty, such as
the duty to perfect oneself or to help others, cannot be completely discharged
or demanded by right by someone else, and so one has considerable latitude in
deciding when and how it is to be respected. A meritorious duty involves going
beyond what is strictly demanded and thereby generating an obligation in
others, as when one is extraordinarily helpful to others and “merits” their
gratitude. Two of Grice’s main tutees were respectively Aristotelian and
Kantian scholars: Ackrill and Strawson. Grice, of course, read Ariskant in the
vernacular. Critique of
Pure Reason. Translated by Francis
Haywood. William Pickering. 1838. critick of pure
reason. (first English translation) Critique of Pure Reason. Translated by J. M. D. Meiklejohn. 1855 – via Project
Gutenberg.Critique of Pure Reason. Translated by Thomas
Kingsmill Abbott. 1873.Critique of
Pure Reason. Translated by Friedrich Max
Müller. The Macmillan Company. 1881. (Introduction
by Ludwig Noiré)Critique of
Pure Reason. Translated by Norman Kemp
Smith. Palgrave Macmillan. 1929. ISBN 1-4039-1194-0. Archived from the original on 2009-04-27.Critique of Pure Reason. Translated by Wolfgang
Schwartz. Scientia Verlag und Antiquariat. 1982. ISBN 978-3-5110-9260-3.Critique of
Pure Reason. Translated by Werner S. Pluhar. Hackett
Publishing. 1996. ISBN 978-0-87220-257-3.Critique of
Pure Reason, Abridged. Translated by Werner S. Pluhar. Hackett
Publishing. 1999. ISBN 978-1-6246-6605-6.Critique of Pure Reason.
Translated and edited by Paul Guyer and Allen W. Wood. Cambridge University
Press. 1999. ISBN 978-0-5216-5729-7.Critique of Pure Reason.
Translated by Marcus Weigelt. Penguin Books. 2007. ISBN 978-0-1404-4747-7. Grice’s
favourite philosopher is Ariskant. One way to approach Grice’s meta-philosophy
is by combining teleology with deontology. Eventually, Grice embraces a
hedonistic eudaimonism, if rationally approved. Grice knows how to tutor in
philosophy: he tutor on Kant as if he is tutoring on Aristotle, and vice versa.
His tutees would say, Here come [sic] Kantotle. Grice is obsessed with
Kantotle. He would teach one or the other as an ethics requirement. Back at
Oxford, the emphasis is of course Aristotle, but he is aware of some trends to
introduce Kant in the Lit.Hum. curriculum, not with much success. Strawson does
his share with the pure reason in Kant in The bounds of sense, but White
professors of moral philosophy are usually not too keen on the critique by Kant
of practical reason. Grice is fascinated that an Irishman, back in 1873, cares
to translate (“for me”) all that Kant has to say about the eudaimonism and
hedonism of Aristotle. An Oxonian philosopher is expected to be a utilitarian,
as Hare is, or a Hegelian, and that is why Grice prefers, heterodoxical as he
is, to be a Kantian rationalist instead. But Grice cannot help being
Aristotelian, Hardie having instilled the “Eth. Nich.” on him at Corpus. While
he can’t read Kant in German, Grice uses Abbott’s Irish vernacular. Note
the archaic metaphysic sic in singular. More Kant. Since Baker can
read the vernacular even less than Grice, it may be good to review the
editions. It all starts when Abbott thinks that his fellow Irishmen are unable
to tackle Kant in the vernacular. Abbott’s thing comes out in 1873: Kant’s
critique of practical reason and other works on the theory of tthics, with
Grice quipping. Oddly, I prefer his other work! Grice collaborates with Baker
mainly on work on meta-ethics seen as an offspring, alla Kant, of philosophical
psychology. Akrasia or egkrateia is one such topic. Baker contributes to
PGRICE, a festschrift for Grice, with an essay on the purity, and alleged lack
thereof, of this or that morally evaluable motive – rhetorically put: do ones
motives have to be pure? For Grice morality cashes out in self-love,
self-interest, and desire. Baker also contributes to a volume on Grice’s honour
published by Palgrave, Meaning and analysis: essays on Grice. Baker
organises of a symposium on the thought of Grice for the APA, the proceedings
of which published in The Journal of Philosophy, with Bennett as chair,
contributions by Baker and Grandy, commented by Stalnaker andWarner. Grice
explores with Baker problems of egcrateia and the reduction of duty to
self-love and interest. Aristotle:
preeminent Grecian philosopher born in Stagira, hence sometimes called the
Stagirite. Aristotle came to Athens as a teenager and remained for two decades
in Plato’s Academy. Following Plato’s death in 347, Aristotle traveled to Assos
and to Lesbos, where he associated with Theophrastus and collected a wealth of
biological data, and later to Macedonia, where he tutored Alexander the Great.
In 335 he returned to Athens and founded his own philosophical school in the
Lyceum. The site’s colonnaded walk peripatos conferred on Aristotle and his
group the name ‘the Peripatetics’. Alexander’s death in 323 unleashed
antiMacedonian forces in Athens. Charged with impiety, and mindful of the fate
of Socrates, Aristotle withdrew to Chalcis, where he died. Chiefly influenced
by his association with Plato, Aristotle also makes wide use of the
preSocratics. A number of works begin by criticizing and, ultimately, building
on their views. The direction of Plato’s influence is debated. Some scholars
see Aristotle’s career as a measured retreat from his teacher’s doctrines. For
others he began as a confirmed anti-Platonist but returned to the fold as he matured.
More likely, Aristotle early on developed a keenly independent voice that
expressed enduring puzzlement over such Platonic doctrines as the separate
existence of Ideas and the construction of physical reality from
two-dimensional triangles. Such unease was no doubt heightened by Aristotle’s
appreciation for the evidential value of observation as well as by his
conviction that long-received and well-entrenched opinion is likely to contain
at least part of the truth. Aristotle reportedly wrote a few popular works for
publication, some of which are dialogues. Of these we have only fragments and
reports. Notably lost are also his lectures on the good and on the Ideas.
Ancient cataloguers also list under Aristotle’s name some 158 constitutions of
Grecian states. Of these, only the Constitution of Athens has survived, on a
papyrus discovered in 0. What remains is an enormous body of writing on
virtually every topic of philosophical significance. Much of it consists of
detailed lecture notes, working drafts, and accounts of his lectures written by
others. Although efforts may have been under way in Aristotle’s lifetime,
Andronicus of Rhodes, in the first century B.C., is credited with giving the
Aristotelian corpus its present organization. Virtually no extant manuscripts
predate the ninth century A.D., so the corpus has been transmitted by a complex
history of manuscript transcription. In 1831 the Berlin Academy published the
first critical edition of Aristotle’s work. Scholars still cite Aristotle by ,
column, and line of this edition. Logic and language. The writings on logic and
language are concentrated in six early works: Categories, On Interpretation,
Prior Analytics, Posterior Analytics, Topics, and Sophistical Refutations.
Known since late antiquity as the Organon, these works share a concern with
what is now called semantics. The Categories focuses on the relation between
uncombined terms, such as ‘white’ or ‘man’, and the items they signify; On
Interpretation offers an account of how terms combine to yield simple
statements; Prior Analytics provides a systematic account of how three terms
must be distributed in two categorical statements so as to yield logically a
third such statement; Posterior Analytics specifies the conditions that
categorical statements must meet to play a role in scientific explanation. The
Topics, sometimes said to include Sophistical Refutations, is a handbook of
“topics” and techniques for dialectical arguments concerning, principally, the
four predicables: accident what may or may not belong to a subject, as sitting
belongs to Socrates; definition what signifies a subject’s essence, as rational
animal is the essence of man; proprium what is not in the essence of a subject
but is unique to or counterpredicable of it, as all and only persons are
risible; and genus what is in the essence of subjects differing in species, as
animal is in the essence of both men and oxen. Categories treats the basic
kinds of things that exist and their interrelations. Every uncombined term,
says Aristotle, signifies essentially something in one of ten categories a substance, a quantity, a quality, a
relative, a place, a time, a position, a having, a doing, or a being affected.
This doctrine underlies Aristotle’s admonition that there are as many proper or
per se senses of ‘being’ as there are categories. In order to isolate the
things that exist primarily, namely, primary substances, from all other things
and to give an account of their nature, two asymmetric relations of ontological
dependence are employed. First, substance ousia is distinguished from the
accidental categories by the fact that every accident is present in a substance
and, therefore, cannot exist without a substance in which to inhere. Second,
the category of substance itself is divided into ordinary individuals or
primary substances, such as Socrates, and secondary substances, such as the
species man and the genus animal. Secondary substances are said of primary
substances and indicate what kind of thing the subject is. A mark of this is
that both the name and the definition of the secondary substance can be
predicated of the primary substance, as both man and rational animal can be
predicated of Socrates. Universals in non-substance categories are also said of
subjects, as color is said of white. Therefore, directly or indirectly,
everything else is either present in or said of primary substances and without
them nothing would exist. And because they are neither present in a subject nor
said of a subject, primary substances depend on nothing else for their
existence. So, in the Categories, the ordinary individual is ontologically
basic. On Interpretation offers an account of those meaningful expressions that
are true or false, namely, statements or assertions. Following Plato’s Sophist,
a simple statement is composed of the semantically heterogeneous parts, name
onoma and verb rhema. In ‘Socrates runs’ the name has the strictly referential
function of signifying the subject of attribution. The verb, on the other hand,
is essentially predicative, signifying something holding of the subject. Verbs
also indicate when something is asserted to hold and so make precise the
statement’s truth conditions. Simple statements also include general
categorical statements. Since medieval times it has become customary to refer
to the basic categoricals by letters: A Every man is white, E No man is white,
I Some man is white, and O Not every man is white. On Interpretation outlines
their logical relations in what is now called the square of opposition: A &
E are contraries, A & O and E & I are contradictories, and A & I
and E & O are superimplications. That A implies I reflects the no longer
current view that Aristotle Aristotle 45
45 all affirmative statements carry existential import. One ambition of
On Interpretation is a theory of the truth conditions for all statements that
affirm or deny one thing or another. However, statements involving future
contingencies pose a special problem. Consider Aristotle’s notorious sea
battle. Either it will or it will not happen tomorrow. If the first, then the
statement ‘There will be a sea battle tomorrow’ is now true. Hence, it is now
fixed that the sea battle occur tomorrow. If the second, then it is now fixed
that the sea battle not occur tomorrow. Either way there can be no future
contingencies. Although some hold that Aristotle would embrace the determinism
they find implicit in this consequence, most argue either that he suspends the
law of excluded middle for future contingencies or that he denies the principle
of bivalence for future contingent statements. On the first option Aristotle
gives up the claim that either the sea battle will happen tomorrow or not. On
the second he keeps the claim but allows that future contingent statements are
neither true nor false. Aristotle’s evident attachment to the law of excluded
middle, perhaps, favors the second option. Prior Analytics marks the invention
of logic as a formal discipline in that the work contains the first virtually
complete system of logical inference, sometimes called syllogistic. The fact
that the first chapter of the Prior Analytics reports that there is a syllogism
whenever, certain things being stated, something else follows of necessity,
might suggest that Aristotle intended to capture a general notion of logical
consequence. However, the syllogisms that constitute the system of the Prior
Analytics are restricted to the basic categorical statements introduced in On
Interpretation. A syllogism consists of three different categorical statements:
two premises and a conclusion. The Prior Analytics tells us which pairs of
categoricals logically yield a third. The fourteen basic valid forms are
divided into three figures and, within each figure, into moods. The system is
foundational because second- and third-figure syllogisms are reducible to
first-figure syllogisms, whose validity is self-evident. Although syllogisms
are conveniently written as conditional sentences, the syllogistic proper is,
perhaps, best seen as a system of valid deductive inferences rather than as a
system of valid conditional sentences or sentence forms. Posterior Analytics
extends syllogistic to science and scientific explanation. A science is a
deductively ordered body of knowledge about a definite genus or domain of
nature. Scientific knowledge episteme consists not in knowing that, e.g., there
is thunder in the clouds, but rather in knowing why there is thunder. So the
theory of scientific knowledge is a theory of explanation and the vehicle of
explanation is the first-figure syllogism Barbara: If 1 P belongs to all M and
2 M belongs to all S, then 3 P belongs to all S. To explain, e.g., why there is
thunder, i.e., why there is noise in the clouds, we say: 3H Noise P belongs to
the clouds S because 2H Quenching of fire M belongs to the clouds S and 1H
Noise P belongs to quenching of fire M. Because what is explained in science is
invariant and holds of necessity, the premises of a scientific or demonstrative
syllogism must be necessary. In requiring that the premises be prior to and
more knowable than the conclusion, Aristotle embraces the view that explanation
is asymmetrical: knowledge of the conclusion depends on knowledge of each
premise, but each premise can be known independently of the conclusion. The
premises must also give the causes of the conclusion. To inquire why P belongs
to S is, in effect, to seek the middle term that gives the cause. Finally, the
premises must be immediate and non-demonstrable. A premise is immediate just in
case there is no middle term connecting its subject and predicate terms. Were P
to belong to M because of a new middle, M1, then there would be a new, more
basic premise, that is essential to the full explanation. Ultimately,
explanation of a received fact will consist in a chain of syllogisms terminating
in primary premises that are immediate. These serve as axioms that define the
science in question because they reflect the essential nature of the fact to be
explained as in 1H the essence of
thunder lies in the quenching of fire. Because they are immediate, primary
premises are not capable of syllogistic demonstration, yet they must be known
if syllogisms containing them are to constitute knowledge of the conclusion.
Moreover, were it necessary to know the primary premises syllogistically,
demonstration would proceed infinitely or in a circle. The first alternative
defeats the very possibility of explanation and the second undermines its
asymmetric character. Thus, the primary premises must be known by the direct
grasp of the mind noûs. This just signals the appropriate way for the highest
principles of a science to be known even
demonstrable propositions can be known directly, but they are explained only
when located within the structure of the relevant science, i.e., only when
demonstrated syllogistically. Although all sciences exhibit the same formal
structure and use Aristotle Aristotle 46
46 certain common principles, different sciences have different primary
premises and, hence, different subject matters. This “one genus to one science”
rule legislates that each science and its explanations be autonomous. Aristotle
recognizes three kinds of intellectual discipline. Productive disciplines, such
as house building, concern the making of something external to the agent.
Practical disciplines, such as ethics, concern the doing of something not
separate from the agent, namely, action and choice. Theoretical disciplines are
concerned with truth for its own sake. As such, they alone are sciences in the
special sense of the Posterior Analytics. The three main kinds of special
science are individuated by their objects
natural science by objects that are separate but not changeless,
mathematics by objects that are changeless but not separate, and theology by
separate and changeless objects. The mathematician studies the same objects as
the natural scientist but in a quite different way. He takes an actual object,
e.g. a chalk figure used in demonstration, and abstracts from or “thinks away”
those of its properties, such as definiteness of size and imperfection of
shape, that are irrelevant to its standing as a perfect exemplar of the purely
mathematical properties under investigation. Mathematicians simply treat this
abstracted circle, which is not separate from matter, as if it were separate.
In this way the theorems they prove about the object can be taken as universal
and necessary. Physics. As the science of nature physis, physics studies those
things whose principles and causes of change and rest are internal. Aristotle’s
central treatise on nature, the Physics, analyzes the most general features of
natural phenomena: cause, change, time, place, infinity, and continuity. The
doctrine of the four causes is especially important in Aristotle’s work. A
cause aitia is something like an explanatory factor. The material cause of a
house, for instance, is the matter hyle from which it is built; the moving or
efficient cause is the builder, more exactly, the form in the builder’s soul;
the formal cause is its plan or form eidos; and the final cause is its purpose
or end telos: provision of shelter. The complete explanation of the coming to
be of a house will factor in all of these causes. In natural phenomena
efficient, formal, and final causes often coincide. The form transmitted by the
father is both the efficient cause and the form of the child, and the latter is
glossed in terms of the child’s end or complete development. This explains why
Aristotle often simply contrasts matter and form. Although its objects are
compounds of both, physics gives priority to the study of natural form. This
accords with the Posterior Analytics’ insistence that explanation proceed
through causes that give the essence and reflects Aristotle’s commitment to
teleology. A natural process counts essentially as the development of, say, an
oak or a man because its very identity depends on the complete form realized at
its end. As with all things natural, the end is an internal governing principle
of the process rather than an external goal. All natural things are subject to
change kinesis. Defined as the actualization of the potential qua potential, a
change is not an ontologically basic item. There is no category for changes.
Rather, they are reductively explained in terms of more basic things substances, properties, and potentialities. A
pale man, e.g., has the potentiality to be or become tanned. If this
potentiality is utterly unactualized, no change will ensue; if completely
actualized, the change will have ended. So the potentiality must be actualized
but not, so to speak, exhausted; i.e., it must be actualized qua potentiality.
Designed for the ongoing operations of the natural world, the Physics’
definition of change does not cover the generation and corruption of
substantial items themselves. This sort of change, which involves matter and elemental
change, receives extensive treatment in On Generation and Corruption. Aristotle
rejects the atomists’ contention that the world consists of an infinite
totality of indivisible atoms in various arrangements. Rather, his basic stuff
is uniform elemental matter, any part of which is divisible into smaller such
parts. Because nothing that is actually infinite can exist, it is only in
principle that matter is always further dividable. So while countenancing the
potential infinite, Aristotle squarely denies the actual infinite. This holds
for the motions of the sublunary elemental bodies earth, air, fire, and water
as well as for the circular motions of the heavenly bodies composed of a fifth
element, aether, whose natural motion is circular. These are discussed in On
the Heavens. The four sublunary elements are further discussed in Meteorology,
the fourth book of which might be described as an early treatise on chemical
combination. Psychology. Because the soul psyche is officially defined as the
form of a body with the potentiality for life, psychology is a subfield of
natural science. In effect, Aristotle applies the Aristotle Aristotle 47 47 apparatus of form and matter to the
traditional Grecian view of the soul as the principle and cause of life. Although
even the nutritive and reproductive powers of plants are effects of the soul,
most of his attention is focused on topics that are psychological in the modern
sense. On the Soul gives a general account of the nature and number of the
soul’s principal cognitive faculties. Subsequent works, chiefly those collected
as the Parva naturalia, apply the general theory to a broad range of
psychological phenomena from memory and recollection to dreaming, sleeping, and
waking. The soul is a complex of faculties. Faculties, at least those
distinctive of persons, are capacities for cognitively grasping objects. Sight
grasps colors, smell odors, hearing sounds, and the mind grasps universals. An
organism’s form is the particular organization of its material parts that
enable it to exercise these characteristic functions. Because an infant, e.g.,
has the capacity to do geometry, Aristotle distinguishes two varieties of
capacity or potentiality dynamis and actuality entelecheia. The infant is a
geometer only in potentiality. This first potentiality comes to him simply by
belonging to the appropriate species, i.e., by coming into the world endowed
with the potential to develop into a competent geometer. By actualizing,
through experience and training, this first potentiality, he acquires a first
actualization. This actualization is also a second potentiality, since it
renders him a competent geometer able to exercise his knowledge at will. The
exercise itself is a second actualization and amounts to active contemplation of
a particular item of knowledge, e.g. the Pythagorean theorem. So the soul is
further defined as the first actualization of a complex natural body.
Faculties, like sciences, are individuated by their objects. Objects of
perception aisthesis fall into three general kinds. Special proper sensibles,
such as colors and sounds, are directly perceived by one and only one sense and
are immune to error. They demarcate the five special senses: sight, hearing,
smell, taste, and touch. Common sensibles, such as movement and shape, are
directly perceived by more than one special sense. Both special and common
sensibles are proper objects of perception because they have a direct causal
effect on the perceptual system. By contrast, the son of Diares is an
incidental sensible because he is perceived not directly but as a consequence
of directly perceiving something else that happens to be the son of Diares e.g., a white thing. Aristotle calls the mind
noûs the place of forms because it is able to grasp objects apart from matter.
These objects are nothing like Plato’s separately existing Forms. As
Aristotelian universals, their existence is entailed by and depends on their
having instances. Thus, On the Soul’s remark that universals are “somehow in
the soul” only reflects their role in assuring the autonomy of thought. The
mind has no organ because it is not the form or first actualization of any
physical structure. So, unlike perceptual faculties, it is not strongly
dependent on the body. However, the mind thinks its objects by way of images,
which are something like internal representations, and these are physically
based. Insofar as it thus depends on imagination phantasia, the mind is weakly
dependent on the body. This would be sufficient to establish the naturalized nature
of Aristotle’s mind were it not for what some consider an incurably dualist
intrusion. In distinguishing something in the mind that makes all things from
something that becomes all things, Aristotle introduces the notorious
distinction between the active and passive intellects and may even suggest that
the first is separable from the body. Opinion on the nature of the active
intellect diverges widely, some even discounting it as an irrelevant insertion.
But unlike perception, which depends on external objects, thinking is up to us.
Therefore, it cannot simply be a matter of the mind’s being affected. So
Aristotle needs a mechanism that enables us to produce thoughts autonomously.
In light of this functional role, the question of active intellect’s ontological
status is less pressing. Biology. Aristotle’s biological writings, which
constitute about a quarter of the corpus, bring biological phenomena under the
general framework of natural science: the four causes, form and matter,
actuality and potentiality, and especially the teleological character of
natural processes. If the Physics proceeds in an a priori style, the History of
Animals, Parts of Animals, and Generation of Animals achieve an extraordinary
synthesis of observation, theory, and general scientific principle. History of
Animals is a comparative study of generic features of animals, including
analogous parts, activities, and dispositions. Although its morphological and
physiological descriptions show surprisingly little interest in teleology, Parts
of Animals is squarely teleological. Animal parts, especially organs, are
ultimately differentiated by function rather than morphology. The composition
of, e.g., teeth and flesh is determined by their role in the overall
functioning of the organism and, hence, requires Aristotle Aristotle 48 48 teleology. Generation of Animals applies
the formmatter and actualitypotentiality distinctions to animal reproduction,
inheritance, and the development of accidental characteristics. The species
form governs the development of an organism and determines what the organism is
essentially. Although in the Metaphysics and elsewhere accidental
characteristics, including inherited ones, are excluded from science, in the
biological writings form has an expanded role and explains the inheritance of
non-essential characteristics, such as eye color. The more fully the father’s
form is imposed on the minimally formed matter of the mother, the more
completely the father’s traits are passed on to the offspring. The extent to which
matter resists imposition of form determines the extent to which traits of the
mother emerge, or even those of more distant ancestors. Aristotle shared the
Platonists’ interest in animal classification. Recent scholarship suggests that
this is less an interest in elaborating a Linnean-style taxonomy of the animal
kingdom than an interest in establishing the complex differentiae and genera
central to definitions of living things. The biological works argue, moreover,
that no single differentia could give the whole essence of a species and that
the differentiae that do give the essence will fall into more than one
division. If the second point rejects the method of dichotomous division
favored by Plato and the Academy, the first counters Aristotle’s own standard
view that essence can be reduced to a single final differentia. The biological
sciences are not, then, automatically accommodated by the Posterior Analytics
model of explanation, where the essence or explanatory middle is conceived as a
single causal property. A number of themes discussed in this section are
brought together in a relatively late work, Motion of Animals. Its
psychophysical account of the mechanisms of animal movement stands at the
juncture of physics, psychology, and biology. Metaphysics. In Andronicus’s
edition, the fourteen books now known as the Metaphysics were placed after the
Physics, whence comes the word ‘metaphysics’, whose literal meaning is ‘what
comes after the physics’. Aristotle himself prefers ‘first philosophy’ or ‘wisdom’
sophia. The subject is defined as the theoretical science of the causes and
principles of what is most knowable. This makes metaphysics a limiting case of
Aristotle’s broadly used distinction between what is better known to us and
what is better known by nature. The genus animal, e.g., is better known by
nature than the species man because it is further removed from the senses and
because it can be known independently of the species. The first condition
suggests that the most knowable objects would be the separately existing and
thoroughly non-sensible objects of theology and, hence, that metaphysics is a
special science. The second condition suggests that the most knowable objects
are simply the most general notions that apply to things in general. This
favors identifying metaphysics as the general science of being qua being.
Special sciences study restricted modes of being. Physics, for instance,
studies being qua having an internal principle of change and rest. A general
science of being studies the principles and causes of things that are, simply
insofar as they are. A good deal of the Metaphysics supports this conception of
metaphysics. For example, Book IV, on the principle of non-contradiction, and
Book X, on unity, similarity, and difference, treat notions that apply to
anything whatever. So, too, for the discussion of form and actuality in the
central books VII, VIII, and IX. Book XII, on the other hand, appears to regard
metaphysics as the special science of theology. Aristotle himself attempts to
reconcile these two conceptions of metaphysics. Because it studies immovable
substance, theology counts as first philosophy. However, it is also general
precisely because it is first, and so it will include the study of being qua
being. Scholars have found this solution as perplexing as the problem. Although
Book XII proves the causal necessity for motion of an eternal substance that is
an unmoved mover, this establishes no conceptual connection between the forms
of sensible compounds and the pure form that is the unmoved mover. Yet such a
connection is required, if a single science is to encompass both. Problems of
reconciliation aside, Aristotle had to face a prior difficulty concerning the
very possibility of a general science of being. For the Posterior Analytics
requires the existence of a genus for each science but the Metaphysics twice
argues that being is not a genus. The latter claim, which Aristotle never
relinquishes, is implicit in the Categories, where being falls directly into
kinds, namely, the categories. Because these highest genera do not result from
differentiation of a single genus, no univocal sense of being covers them.
Although being is, therefore, ambiguous in as many ways as there are
categories, a thread connects them. The ontological priority accorded primary
substance in the Categories is made part of the very definition of
non-substantial entities Aristotle Aristotle 49 49 in the Metaphysics: to be an accident is
by definition to be an accident of some substance. Thus, the different senses
of being all refer to the primary kind of being, substance, in the way that
exercise, diet, medicine, and climate are healthy by standing in some relation
to the single thing health. The discovery of focal meaning, as this is
sometimes called, introduces a new way of providing a subject matter with the
internal unity required for science. Accordingly, the Metaphysics modifies the
strict “one genus to one science” rule of the Posterior Analytics. A single
science may also include objects whose definitions are different so long as
these definitions are related focally to one thing. So focal meaning makes
possible the science of being qua being. Focal meaning also makes substance the
central object of investigation. The principles and causes of being in general
can be illuminated by studying the principles and causes of the primary
instance of being. Although the Categories distinguishes primary substances
from other things that are and indicates their salient characteristics e.g.,
their ability to remain one and the same while taking contrary properties, it
does not explain why it is that primary substances have such characteristics.
The difficult central books of the Metaphysics
VII, VIII, and IX investigate
precisely this. In effect, they ask what, primarily, about the Categories’
primary substances explains their nature. Their target, in short, is the
substance of the primary substances of the Categories. As concrete empirical
particulars, the latter are compounds of form and matter the distinction is not
explicit in the Categories and so their substance must be sought among these
internal structural features. Thus, Metaphysics VII considers form, matter, and
the compound of form and matter, and quickly turns to form as the best
candidate. In developing a conception of form that can play the required
explanatory role, the notion of essence to ti en einai assumes center stage.
The essence of a man, e.g., is the cause of certain matter constituting a man,
namely, the soul. So form in the sense of essence is the primary substance of
the Metaphysics. This is obviously not the primary substance of the Categories
and, although the same word eidos is used, neither is this form the species of
the Categories. The latter is treated in the Metaphysics as a kind of universal
compound abstracted from particular compounds and appears to be denied
substantial status. While there is broad, though not universal, agreement that
in the Metaphysics form is primary substance, there is equally broad
disagreement over whether this is particular form, the form belonging to a
single individual, or species form, the form common to all individuals in the
species. There is also lively discussion concerning the relation of the
Metaphysics doctrine of primary substance to the earlier doctrine of the
Categories. Although a few scholars see an outright contradiction here, most
take the divergence as evidence of the development of Aristotle’s views on
substance. Finally, the role of the central books in the Metaphysics as a whole
continues to be debated. Some see them as an entirely selfcontained analysis of
form, others as preparatory to Book XII’s discussion of non-sensible form and
the role of the unmoved mover as the final cause of motion. Practical
philosophy. Two of Aristotle’s most heralded works, the Nicomachean Ethics and
the Politics, are treatises in practical philosophy. Their aim is effective
action in matters of conduct. So they deal with what is up to us and can be
otherwise because in this domain lie choice and action. The practical nature of
ethics lies mainly in the development of a certain kind of agent. The
Nicomachean Ethics was written, Aristotle reminds us, “not in order to know
what virtue is, but in order to become good.” One becomes good by becoming a
good chooser and doer. This is not simply a matter of choosing and doing right
actions but of choosing or doing them in the right way. Aristotle assumes that,
for the most part, agents know what ought to be done the evil or vicious person
is an exception. The akratic or morally weak agent desires to do other than
what he knows ought to be done and acts on this desire against his better
judgment. The enkratic or morally strong person shares the akratic agent’s
desire but acts in accordance with his better judgment. In neither kind of
choice are desire and judgment in harmony. In the virtuous, on the other hand,
desire and judgment agree. So their choices and actions will be free of the
conflict and pain that inevitably accompany those of the akratic and enkratic
agent. This is because the part of their soul that governs choice and action is
so disposed that desire and right judgment coincide. Acquiring a stable
disposition hexis of this sort amounts to acquiring moral virtue ethike arete.
The disposition is concerned with choices as would be determined by the person
of practical wisdom phronesis; these will be actions lying between extreme
alternatives. They will lie in a mean
popularly called the “golden mean”
relative to the talents and stores of the agent. Choosing in this way is
not easily done. It involves, for instance, feeling anger or extending
Aristotle Aristotle 50 50 generosity at
the right time, toward the right people, in the right way, and for the right
reasons. Intellectual virtues, such as excellence at mathematics, can be
acquired by teaching, but moral virtue cannot. I may know what ought to be done
and even perform virtuous acts without being able to act virtuously.
Nonetheless, because moral virtue is a disposition concerning choice,
deliberate performance of virtuous acts can, ultimately, instill a disposition
to choose them in harmony and with pleasure and, hence, to act virtuously.
Aristotle rejected Plato’s transcendental Form of the Good as irrelevant to the
affairs of persons and, in general, had little sympathy with the notion of an
absolute good. The goal of choice and action is the human good, namely, living
well. This, however, is not simply a matter of possessing the requisite
practical disposition. Practical wisdom, which is necessary for living well,
involves skill at calculating the best means to achieve one’s ends and this is
an intellectual virtue. But the ends that are presupposed by deliberation are
established by moral virtue. The end of all action, the good for man, is
happiness eudaimonia. Most things, such as wealth, are valued only as a means
to a worthy end. Honor, pleasure, reason, and individual virtues, such as
courage and generosity, are deemed worthy in their own right but they can also
be sought for the sake of eudaimonia. Eudaimonia alone can be sought only for
its own sake. Eudaimonia is not a static state of the soul but a kind of
activity energeia of the soul something
like human flourishing. The happy person’s life will be selfsufficient and
complete in the highest measure. The good for man, then, is activity in
accordance with virtue or the highest virtue, should there be one. Here
‘virtue’ means something like excellence and applies to much besides man. The
excellence of an ax lies in its cutting, that of a horse in its equestrian
qualities. In short, a thing’s excellence is a matter of how well it performs
its characteristic functions or, we might say, how well it realizes its nature.
The natural functions of persons reside in the exercise of their natural
cognitive faculties, most importantly, the faculty of reason. So human
happiness consists in activity in accordance with reason. However, persons can
exercise reason in practical or in purely theoretical matters. The first
suggests that happiness consists in the practical life of moral virtue, the
second that it consists in the life of theoretical activity. Most of the
Nicomachean Ethics is devoted to the moral virtues but the final book appears
to favor theoretical activity theoria as the highest and most choiceworthy end.
It is man’s closest approach to divine activity. Much recent scholarship is
devoted to the relation between these two conceptions of the good,
particularly, to whether they are of equal value and whether they exclude or
include one another. Ethics and politics are closely connected. Aristotle
conceives of the state as a natural entity arising among persons to serve a
natural function. This is not merely, e.g., provision for the common defense or
promotion of trade. Rather, the state of the Politics also has eudaimonia as
its goal, namely, fostering the complete and selfsufficient lives of its
citizens. Aristotle produced a complex taxonomy of constitutions but reduced
them, in effect, to three kinds: monarchy, aristocracy, and democracy. Which
best serves the natural end of a state was, to some extent, a relative matter
for Aristotle. Although he appears to have favored democracy, in some
circumstances monarchy might be appropriate. The standard ordering of
Aristotle’s works ends with the Rhetoric and the Poetics. The Rhetoric’s
extensive discussion of oratory or the art of persuasion locates it between
politics and literary theory. The relatively short Poetics is devoted chiefly
to the analysis of tragedy. It has had an enormous historical influence on
aesthetic theory in general as well as on the writing of drama. Refs.: The obvious keyword is “Kant,” –
especially in the Series III on the doctrines, in collaboration with Baker.
There are essays on the Grundlegung, too. The keyword for “Kantotle,” and the
keywords for ‘free,’ and ‘freedom,’ and ‘practical reason,’ and ‘autonomy, are
also helpful. Some of this material in “Actions and events,” “The influence of
Kant on Aristotle,” by H. P. Grice, John Locke Scholar (failed), etc., Oxford
(Advisor: J. Dempsey). The H. P. Grice Papers, BANC. Grice’s composite for Kant
and Aristotle -- Grice as an Aristotelian commentator – in “Aristotle on the
multiplicity of being,” – Grice would comment on Aristotle profusely at Oxford.
One of his favourite tutees was J. L. Ackrill – but he regretted that, of all
things Ackrill could do, he decided “to translate Aristotle into the
vernacular!” -- commentaries on Aristotle, the term commonly used for the
Grecian commentaries on Aristotle that take up about 15,000 s in the Berlin
Commentaria in Aristotelem Graeca 29, still the basic edition of them. Only in
the 0s did a project begin, under the editorship of Richard Sorabji, of King’s
, London, to translate at least the most significant portions of them into
English. They had remained the largest corpus of Grecian philosophy not tr.
into any modern language. Most of these works, especially the later,
Neoplatonic ones, are much more than simple commentaries on Aristotle. They are
also a mode of doing philosophy, the favored one at this stage of intellectual
history. They are therefore important not only for the understanding of
Aristotle, but also for both the study of the pre-Socratics and the Hellenistic
philosophers, particularly the Stoics, of whom they preserve many fragments,
and lastly for the study of Neoplatonism itself
and, in the case of John Philoponus, for studying the innovations he
introduces in the process of trying to reconcile Platonism with Christianity.
The commentaries may be divided into three main groups. 1 The first group of
commentaries are those by Peripatetic scholars of the second to fourth
centuries A.D., most notably Alexander of Aphrodisias fl. c.200, but also the
paraphraser Themistius fl. c.360. We must not omit, however, to note
Alexander’s predecessor Aspasius, author of the earliest surviving commentary,
one on the Nicomachean Ethics a work not
commented on again until the late Byzantine period. Commentaries by Alexander
survive on the Prior Analytics, Topics, Metaphysics IV, On the Senses, and
Meteorologics, and his now lost ones on the Categories, On the Soul, and
Physics had enormous influence in later times, particularly on Simplicius. 2 By
far the largest group is that of the Neoplatonists up to the sixth century A.D.
Most important of the earlier commentators is Porphyry 232c.309, of whom only a
short commentary on the Categories survives, together with an introduction
Isagoge to Aristotle’s logical works, which provoked many commentaries itself,
and proved most influential in both the East and through Boethius in the Latin
West. The reconciling of Plato and Aristotle is largely his work. His big
commentary on the Categories was of great importance in later times, and many
fragments are preserved in that of Simplicius. His follower Iamblichus was also
influential, but his commentaries are likewise lost. The Athenian School of
Syrianus c.375437 and Proclus 41085 also commented on Aristotle, but all that
survives is a commentary of Syrianus on Books III, IV, XIII, and XIV of the
Metaphysics. It is the early sixth century, however, that produces the bulk of
our surviving commentaries, originating from the Alexandrian school of
Ammonius, son of Hermeias c.435520, but composed both in Alexandria, by the
Christian John Philoponus c.490575, and in or at least from Athens by
Simplicius writing after 532. Main commentaries of Philoponus are on
Categories, Prior Analytics, Posterior Analytics, On Generation and Corruption,
On the Soul III, and Physics; of Simplicius on Categories, Physics, On the
Heavens, and perhaps On the Soul. The tradition is carried on in Alexandria by
Olympiodorus c.495565 and the Christians Elias fl. c.540 and David an Armenian,
nicknamed the Invincible, fl. c.575, and finally by Stephanus, who was brought
by the emperor to take the chair of philosophy in Constantinople in about 610.
These scholars comment chiefly on the Categories and other introductory
material, but Olympiodorus produced a commentary on the Meteorologics.
Characteristic of the Neoplatonists is a desire to reconcile Aristotle with
Platonism arguing, e.g., that Aristotle was not dismissing the Platonic theory
of Forms, and to systematize his thought, thus reconciling him with himself.
They are responding to a long tradition of criticism, during which difficulties
were raised about incoherences and contradictions in Aristotle’s thought, and
they are concerned to solve these, drawing on their comprehensive knowledge of
his writings. Only Philoponus, as a Christian, dares to criticize him, in
particular on the eternity of the world, but also on the concept of infinity on
which he produces an ingenious argument, picked up, via the Arabs, by
Bonaventure in the thirteenth century. The Categories proves a particularly
fruitful battleground, and much of the later debate between realism and
nominalism stems from arguments about the proper subject matter of that work.
The format of these commentaries is mostly that adopted by scholars ever since,
that of taking command theory of law commentaries on Aristotle 159 159 one passage, or lemma, after another of
the source work and discussing it from every angle, but there are variations.
Sometimes the general subject matter is discussed first, and then details of
the text are examined; alternatively, the lemma is taken in subdivisions
without any such distinction. The commentary can also proceed explicitly by
answering problems, or aporiai, which have been raised by previous authorities.
Some commentaries, such as the short one of Porphyry on the Categories, and
that of Iamblichus’s pupil Dexippus on the same work, have a “catechetical”
form, proceeding by question and answer. In some cases as with Vitters in
modern times the commentaries are simply transcriptions by pupils of the
lectures of a teacher. This is the case, for example, with the surviving
“commentaries” of Ammonius. One may also indulge in simple paraphrase, as does
Themistius on Posterior Analysis, Physics, On the Soul, and On the Heavens, but
even here a good deal of interpretation is involved, and his works remain interesting.
An important offshoot of all this activity in the Latin West is the figure of
Boethius c.480524. It is he who first transmitted a knowledge of Aristotelian
logic to the West, to become an integral part of medieval Scholasticism. He tr.
Porphyry’s Isagoge, and the whole of Aristotle’s logical works. He wrote a
double commentary on the Isagoge, and commentaries on the Categories and On
Interpretation. He is dependent ultimately on Porphyry, but more immediately,
it would seem, on a source in the school of Proclus. 3 The third major group of
commentaries dates from the late Byzantine period, and seems mainly to emanate
from a circle of scholars grouped around the princess Anna Comnena in the
twelfth century. The most important figures here are Eustratius c.10501120 and
Michael of Ephesus originally dated c.1040, but now fixed at c.1130. Michael in
particular seems concerned to comment on areas of Aristotle’s works that had
hitherto escaped commentary. He therefore comments widely, for example, on the
biological works, but also on the Sophistical Refutations. He and Eustratius,
and perhaps others, seem to have cooperated also on a composite commentary on
the Nicomachean Ethics, neglected since Aspasius. There is also evidence of
lost commentaries on the Politics and the Rhetoric. The composite commentary on
the Ethics was tr. into Latin in the next century, in England, by Robert
Grosseteste, but earlier than this translations of the various logical
commentaries had been made by James of Venice fl. c.1130, who may have even
made the acquaintance of Michael of Ephesus in Constantinople. Later in that
century other commentaries were being tr. from Arabic versions by Gerard of
Cremona d.1187. The influence of the Grecian commentary tradition in the West
thus resumed after the long break since Boethius in the sixth century, but only
now, it seems fair to say, is the full significance of this enormous body of
work becoming properly appreciated.
aristotelian
society:
London – founded, as it should, in London, by an amateur -- Grice and the
Aristotelian Society – his “Causal Theory of perception” was an invited
contribution, a ‘popularisation’ for this Society, which was founded in London
back in the day. The Aristotelian Society’s first president was S. H. Hodgson,
of Christ Church, Oxford. He was succeeded by Bernard Bosanquet.
atomism: vide –
in-dividuum, i. e. indivisible. the
theory, originated by Leucippus and elaborated by Democritus, that the ultimate
realities are atoms and the void. The theory was later used by Epicurus as the
foundation for a philosophy stressing ethical concerns, Epicureanism.
arrow’s paradox – discussed by
Grice in “Conversational reason.” Also called Arrow’s impossibility theorem, a
major result in social choice theory, named for its discoverer, economist
Kenneth Arrow. It is intuitive to suppose that the preferences of individuals
in a society can be expressed formally, and then aggregated into an expression
of social preferences, a social choice function. Arrow’s paradox is that individual
preferences having certain well-behaved formalizations demonstrably cannot be
aggregated into a similarly well-behaved social choice function satisfying four
plausible formal conditions: 1 collective rationality any set of individual orderings and
alternatives must yield a social ordering; 2 Pareto optimality if all individuals prefer one ordering to
another, the social ordering must also agree; 3 non-dictatorship the social ordering must not be identical to
a particular individual’s ordering; and 4 independence of irrelevant
alternatives the social ordering depends
on no properties of the individual orderings other than the orders themselves,
and for a given set of alternatives it depends only on the orderings of those
particular alternatives. Most attempts to resolve the paradox have focused on
aspects of 1 and 4. Some argue that preferences can be rational even if they
are intransitive. Others argue that cardinal orderings, and hence,
interpersonal comparisons of preference intensity, are relevant.
AD-SCRIPTVM -- ascriptum: Grice:
Etymologically, ‘ad-scriptum’ -- ascriptivism, the theory that to call an
action voluntary is not to describe it as caused in a certain way by the agent
who did it, but to express a commitment to hold the agent responsible for the
action. Ascriptivism is thus a kind of noncognitivism as applied to judgments
about the voluntariness of acts. Introduced by Hart in “Ascription of Rights
and Responsibilities,” Proceedings of the Aristotelian Society 9, ascriptivism
was given its name and attacked in Geach’s “Ascriptivism,” Philosophical Review
0. Hart recanted in the Preface to his Punishment and Responsibility.
AD-SOCIATUS -- associatum – Grice:
“Etymologically, ad-sociatum” -- associationism: discussed by Grice as an
example of a propositional complexum -- the psychological doctrine that
association is the sole or primary basis of learning as well as of intelligent
thought and behavior. Association occurs when one type of thought, idea, or
behavior follows, or is contingent upon, another thought, idea, or behavior or
external event, and the second somehow bonds with the first. If the idea of
eggs is paired with the idea of ham, then the two ideas may become associated.
Associationists argue that complex states of mind and mental processes can be
analyzed into associated elements. The complex may be novel, but the elements
are products of past associations. Associationism often is combined with
hedonism. Hedonism explains why events associate or bond: bonds are forged by
pleasant experiences. If the pleasantness of eating eggs is combined with the
pleasantness of eating ham, then ideas of ham and eggs associate. Bonding may
also be explained by various non-hedonistic principles of association, as in
Hume’s theory of the association of ideas. One of these principles is
contiguity in place or time. Associationism contributes to the componential
analysis of intelligent, rational activity into non-intelligent, non-rational,
mechanical processes. People believe as they do, not because of rational
connections among beliefs, but because beliefs associatively bond. Thus one may
think of London when thinking of England, not because one possesses an inner
logic of geographic beliefs from which one infers that London is in England. The
two thoughts may co-occur because of contiguity or other principles. Kinds of
associationism occur in behaviorist models of classical and operant
conditioning. Certain associationist ideas, if not associationism itself,
appear in connectionist models of cognition, especially the principle that
contiguities breed bonding. Several philosophers and psychologists, including
Hume, Hartley, and J. S. Mill among philosophers and E. L. Thorndike 18749 and
B. F. Skinner 490 among psychologists, are associationists.
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