Gaetano Mosca (Palermo, 1º aprile 1858 – Roma, 8 novembre 1941) è stato un giurista, politologo e storico delle dottrine politiche italiano. Sulla teorica dei governi e sul governo parlamentare (1884) Appunti sulla libertà di stampa (1885) Questioni costituzionali (1885) Le Costituzioni moderne (1887) Elementi di scienza politica (1ª parte: 1896 - 2ª parte: 1923) Che cosa è la mafia, (1900) Appunti di diritto Costituzionale (1908) Italia e Libia (1912) Stato liberale e stato sindacale (1925) Il problema sindacale (1925) Saggi di storia delle dottrine politiche (1927) Crisi e rimedi del regime parlamentare (1928) Storia delle dottrine politiche (1937) Partiti e sindacati nella crisi del regime parlamentare (Bari, 1949) Ciò che la storia potrebbe insegnare. Scritti di scienza politica (Milano, 1958) Il tramonto dello Stato liberale (a cura di A. Lombardo, Catania 1971) Scritti sui sindacati (a cura di F. Perfetti, M. Ortolani, Roma 1974) Discorsi parlamentari (con un saggio di A. Panebianco, Bologna 2003)
Monday, September 28, 2020
Sunday, September 27, 2020
Grice e Negri
Toni Negri, all'anagrafe Antonio Negri (Padova, 1º agosto 1933[1]), è un filosofo, politologo, attivista, saggista, accademico e politico italiano, tra i più noti ed influenti intellettuali italiani dalla fine degli anni sessanta ad oggi. Tra gli anni sessanta e gli anni settanta, fu uno dei maggiori teorici del marxismo operaista. Dagli anni ottanta in poi, si dedicò invece allo studio del pensiero politico di Baruch Spinoza, contribuendo, insieme a Louis Althusser e Gilles Deleuze, alla sua riscoperta teorica. In collaborazione poi con Michael Hardt, ha scritto libri molto influenti nella Teoria politica contemporanea. Accanto alla sua attività teorica, ha svolto una intensa attività di militanza politica, come co-fondatore e teorico militante delle organizzazioni della sinistra extraparlamentare Potere Operaio e Autonomia Operaia. A causa della sua attività politica è stato incarcerato e processato, all'interno del processo 7 aprile, con l'accusa di aver partecipato ad atti terroristici e d'insurrezione armata. Venne, tuttavia, assolto da queste imputazioni, per poi venire condannato a 12 anni di carcere per associazione sovversiva e concorso morale nella rapina di Argelato.Stato e diritto nel giovane Hegel. Studio sulla genesi illuministica della filosofia giuridica e politica di Hegel, Padova, Cedam, 1958. Saggi sullo storicismo tedesco. Dilthey e Meinecke, Milano, Feltrinelli, 1959. Alle origini del formalismo giuridico. Studio sul problema della forma in Kant e nei giuristi kantiani tra il 1789 e il 1802, Padova, Cedam, 1962. Curatela di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Scritti di filosofia del diritto. 1802-1803, Bari, Laterza, 1962. Alcune riflessioni sullo stato dei partiti, Padova, Tip. poligrafica moderna, 1963. Crisi dello Stato-piano. Comunismo e organizzazione rivoluzionaria, Milano, Feltrinelli, 1974. Ideali e realizzazioni d'integrazione europea, con Carlo Ghisalberti e Jean Charpentier, Milano, Giuffrè, 1967. Studi su Max Weber, in Annuario bibliografico di filosofia del diritto, I, Milano, Giuffrè, 1967, pp. 428-459. Problemi di storia dello Stato moderno. Francia 1610-1650, in "Rivista critica di storia della filosofia", fasc. 2 (1967), pp. 183–220. La teoria capitalistica dello stato nel '29, John M. Keynes, in "Contropiano", a. 1, n. 1, gen.-apr. 1968. Marx sul ciclo e la crisi. Note, in "Contropiano", a. 1, n. 2, maggio 1968. Descartes politico o della ragionevole ideologia, Milano, Feltrinelli, 1970. Rileggendo Hegel, filosofo del diritto, in Incidenza di Hegel. Studi raccolti in occasione del secondo centenario della nascita del filosofo, a cura di Fulvio Tessitore, Napoli, Morano, 1970. Enciclopedia Feltrinelli Fischer, XXVII, Scienze politiche 1. (Stato e politica), Milano, Feltrinelli, 1970. Crisi e organizzazione operaia, con Sergio Bologna e Paolo Carpignano, Milano, Feltrinelli, 1974. Partito operaio contro il lavoro, in Sergio Bologna, Paolo Carpignano, Antonio Negri, Crisi e organizzazione operaia, Milano, Feltrinelli, 1974, pp. 99–160. Proletari e Stato. Per una discussione su autonomia operaia e compromesso storico, Milano, Feltrinelli, 1976. La fabbrica della strategia. 33 lezioni su Lenin, Padova, Cooperativa libraria editrice degli studenti di Padova-Collettivo editoriale librirossi, 1976. La forma Stato. Per la critica dell'economia politica della Costituzione, Milano, Feltrinelli, 1977. Materiale sul problema dello stato e sul rapporto fra democrazia e socialismo, con Riccardo Guastini, Ugo Rescigno, Emilio Agazzi, Milano, Unicopli-Cuem, 1977. Il dominio e il sabotaggio. Sul metodo marxista della trasformazione sociale, Milano, Feltrinelli, 1978. (FR) La classe ouvriere contre l'etat, traduzione di Pierre Rival e Yann Moulier Boutang, Paris, Editions Galilée, 1978. Manifattura, società borghese, ideologia. [Una famosa polemica sul rapporto struttura-sovrastruttura], con Franz Borkenau e Henryk Grossmann, Roma, Savelli, 1978. Marx oltre Marx. Quaderno di lavoro sui Grundrisse, Milano, Feltrinelli, 1979. Dall'operaio massa all'operaio sociale. Intervista sull'operaismo, a cura di Paolo Pozzi e Roberta Tommasini, Milano, Multhipla, 1979. Il comunismo e la guerra, Milano, Feltrinelli, 1980. Politica di classe: il motore e la forma. Le cinque campagne oggi. Milano, Machina Libri, 1980. Otto Dix (1891-1969), Milano, Studio d'arte Grafica, 1980. L'anomalia selvaggia. Saggio su potere e potenza in Baruch Spinoza, Milano, Feltrinelli, 1981. Macchina tempo. Rompicapi, liberazione, costituzione, Milano, Feltrinelli, 1982. Pipe-line. Lettere da Rebibbia, Torino, Einaudi, 1983. ISBN 88-06-05576-3. (FR) Italie rouge et noire. Journal, février 1983-novembre 1983, traduzione di Yann Moulier Boutang, prefazione di Bernard-Henri Lévy, Paris, Hachette, ISBN 2-01-010830-2. Diario di un'evasione, Cremona, Pizzoni, 1985. Les nouveaux espaces de liberté, con Félix Guattari, Gourdon, Bedou, 1985. Le verità nomadi. Per nuovi spazi di libertà, con Félix Guattari, Roma, Pellicani, 1989. Fabbriche del soggetto. Profili, protesi, transiti, macchine, paradossi, passaggi, sovversione, sistemi, potenze: appunti per un dispositivo ontologico, in "XXI secolo. Bimestrale di politica e cultura", n. 1, sett.-ott.1987. Lenta ginestra. Saggio sull'ontologia di Giacomo Leopardi, Milano, SugarCo, 1987. Fine secolo. Un manifesto per l'operaio sociale. Milano, SugarCo, 1988. Arte e multitudo. Sette lettere del dicembre 1988, Milano, Politi, 1990. ISBN 88-7816-025-3. Il lavoro di Giobbe. Il famoso testo biblico come parabola del lavoro umano, Milano, SugarCo, 1990. ISBN 88-7198-013-1. Il potere costituente. Saggio sulle alternative del moderno, Carnago, SugarCo, 1992. ISBN 88-7198-179-0. Spinoza sovversivo. Variazioni (in)attuali, introduzione di Emilia Giancotti, Roma, Pellicani, 1992. Il lavoro di Dioniso. Per la critica dello Stato postmoderno, con Michael Hardt, Roma, Manifestolibri, 1995. ISBN 88-7285-077-0. L'inverno è finito. Scritti sulla trasformazione negata, 1989-1995, a cura di Giuseppe Caccia, Roma, Castelvecchi, 1996. ISBN 88-86232-63-2. Le bassin de travail immateriel (BTI) dans la metropole parisienne, con Antonella Corsani e Maurizio Lazzarato, Paris, l'Harmattan, 1996. ISBN 2738442285. I libri del rogo, Roma, Castelvecchi, 1997, ISBN 88-8210-024-3. [Contiene: Crisi dello Stato-piano; Partito operaio contro il lavoro; Proletari e Stato; Per la critica della costituzione materiale; Il dominio e il sabotaggio] La costituzione del tempo. Prolegomeni. Orologi del capitale e liberazione comunista, Roma, Manifestolibri, 1997. ISBN 88-7285-136-X. Spinoza, introduzioni di Gilles Deleuze, Pierre Macherey e Alexandre Matheron, Roma, DeriveApprodi, 1998. ISBN 88-87423-09-1. (Contiene: L'anomalia selvaggia; Spinoza sovversivo; Democrazia ed eternità in Spinoza) Sogni Incubi Visioni. Politica e conflitti nella crisi della società del lavoro, con Michael Hardt e Damiano Palano, Milano, Lineacoop, 1999. La sovversione. Colloquio di Annamaria Guadagni con Toni Negri, Roma, Liberal, 1999. Kairòs, alma venus, multitudo. Nove lezioni impartite a me stesso, Roma, Manifestolibri, 2000. ISBN 88-7285-230-7. Desiderio del mostro. Dal circo al laboratorio alla politica, a cura di e con Ubaldo Fadini e Charles T. Wolfe, Roma, Il manifesto, 2001. ISBN 88-7285-151-3. Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, con Michael Hardt, Milano, Rizzoli, 2002. ISBN 88-17-86952-X. Europa politica. [Ragioni di una necessità], a cura di e con Heidrun Friese e Peter Wagner, Roma, Manifestolibri, 2002. ISBN 88-7285-265-X. Luciano Ferrari Bravo ritratto di un cattivo maestro. Con alcuni cenni sulla sua epoca, Roma, Manifestolibri, 2003. ISBN 88-7285-290-0. L'Europa e l'impero. Riflessioni su un processo costituente, Roma, Manifestolibri, 2003. ISBN 88-7285-352-4. Cinque lezioni di metodo su moltitudine e impero, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003. ISBN 88-498-0563-2. Il ritorno. Quasi un'autobiografia, conversazione con Anne Dufourmantelle, Milano, Rizzoli, 2003. ISBN 88-17-87242-3. Guide. Cinque lezioni su impero e dintorni, con contributi di Michael Hardt e Danilo Zolo, Milano, Cortina, 2003. ISBN 88-7078-823-7. Moltitudine. Guerra e democrazia nel nuovo ordine imperiale, con Michael Hardt, Milano, Rizzoli, 2004. ISBN 88-17-00200-3. La differenza italiana, Roma, Nottetempo, 2005. ISBN 88-7452-049-2. Movimenti nell'impero. Passaggi e paesaggi, Milano, Cortina, 2006. ISBN 88-7078-995-0. Global. Biopotere e lotte in America Latina, con Giuseppe Cocco, Roma, Manifestolibri, 2006. ISBN 88-7285-436-9. Goodbye Mr Socialism, a cura di Raf Valvola Scelsi, Milano, Feltrinelli, 2006. ISBN 88-07-71025-0. Settanta, con Raffaella Battaglini, Roma, DeriveApprodi, 2007. ISBN 978-88-89969-31-1. Fabbrica di porcellana. Per una nuova grammatica politica, Milano, Feltrinelli, 2008. ISBN 978-88-07-10435-0. Dalla fabbrica alla metropoli. Saggi politici, Roma, Datanews, 2008. ISBN 978-88-7981-335-8. Il lavoro nella Costituzione e una conversazione con Adelino Zanini, Verona, Ombre Corte, 2009. ISBN 978-88-95366-47-0. Dentro/contro il diritto sovrano. Dallo Stato dei partiti ai movimenti della governance, a cura di Giuseppe Allegri, Verona, Ombre Corte, 2009. ISBN 978-88-95366-69-2. Comune. Oltre il privato ed il pubblico, con Michael Hardt, Milano, Rizzoli, 2010. ISBN 978-88-17-03841-6. Inventare il comune, Roma, DeriveApprodi, 2012. ISBN 978-88-6548-032-8. Il comune in rivolta. Sul potere costituente delle lotte, Verona, Ombre Corte, 2012. ISBN 978-88-97522-18-8. Questo non è un Manifesto, con Michael Hardt, Milano, Feltrinelli, 2012. ISBN 978-88-07-17246-5. Spinoza e noi, Milano-Udine, Mimesis, 2012. ISBN 978-88-575-1200-6. Fabbriche del soggetto. Archivio 1981-1987, e una conversazione con Mimmo Sersante, Verona, Ombre corte, 2013. ISBN 978-88-97522-56-0. Arte e multitudo (a cura di Nicolas Martino), Roma, DeriveApprodi, 2014 - ISBN 978-88-6548-095-3 Storia di un comunista, a cura di Girolamo De Michele, Milano, Ponte alle Grazie, 2015. ISBN 978-88-6833-220-4. Galera ed esilio. Storia di un comunista, a cura di Girolamo De Michele, Milano, Ponte alle Grazie, 2017. ISBN 978-88-6833-800-8. Assemblea, con Michael Hardt, Milano, Ponte alle Grazie, 2018. ISBN 978-88-333-1064-0. Da Genova a domani. Storia di un comunista, a cura di Girolamo De Michele, Milano, Ponte alle Grazie, 2020. ISBN 978-88-6833-801-5
Saturday, September 26, 2020
Tuesday, September 22, 2020
Grice e Perone
Ugo Perone Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Ugo Perone Ugo Perone (Torino, 16 aprile 1945) è un filosofo e accademico italiano. Indice 1 Biografia 2 Pensiero 3 Metodo di lavoro 4 Opere 5 Altre pubblicazioni 6 Note 7 Bibliografia 8 Collegamenti esterni Biografia Ugo Perone, già allievo di Luigi Pareyson, ha completato gli studi di filosofia a Torino nel 1967 con una tesi su "La filosofia della libertà in Charles Secrétan". Per il suo lavoro ha ricevuto il Premio Luisa Guzzo per la migliore dissertazione filosofica dell'anno accademico. A questo è seguita una borsa di ricerca quadriennale presso l'Università di Torino, e successivamente un posto di assistente. All'Università di Torino, Ugo Perone è stato poi nominato professore di Filosofia della religione nel 1982. Ordinario di filosofia teoretica nell'Università Tor Vergata di Roma (1989) è stato successivamente (1993) chiamato alla cattedra di filosofia morale nell'Università del Piemonte Orientale, dove è stato anche Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici dal 2005 al 2011 e dal 2005 al 2008 delegato del Rettore per gli affari internazionali. Dal 2012 Ugo Perone è titolare presso la Humboldt Universität di Berlino della cattedra Guardini di Filosofia della religione e della visione del mondo cattolica. La cattedra, che faceva capo alla locale Facoltà di Teologia, è stata trasferita dall’ottobre 2019 all’Istituto Centrale di Teologia Cattolica dell'Università con il nome di cattedra di Filosofia della religione e di storia delle idee teologiche. Parallelamente alla carriera accademica, Ugo Perone è stato Assessore alla Cultura del Comune di Torino dal 1993 al 2001 e dal 2001 al 2003 è stato Direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Berlino (nomina di chiara fama). Dal 2009 al 2013 è stato altresì Assessore alla cultura e al turismo della Provincia di Torino. Ugo Perone è Senior Fellow del Collegium Budapest. Dal 2006 è Presidente della Società Italiana per gli Studi di Filosofia e Teologia e membro del comitato direttivo della rivista Filosofia e Teologia e dell’Archivio filosofico. È anche membro del comitato scientifico delle riviste Giornale di metafisica e Spazio Filosofico e del Centro Studi Filosofico-religiosi Luigi Pareyson. È fondatore e direttore della Scuola di Alta Formazione Filosofica (SdAFF). È infine membro di diversi comitati nazionali e internazionali nel campo della filosofia e della teologia. Pensiero Le opere più recenti sono dedicate ad approfondire la possibile dimensione politica di una filosofia ermeneutica (la politica è l’invenzione di un nuovo ordine che contempera il „per me“ e il „per tutti“); la riscoperta di una morale creativa, capace di forzare l’etica oltre se stessa, verso una normatività più inclusiva; le tematiche della filosofia della religione con una ridiscussione del significato della secolarizzazione; la ricchezza e la complessità della verità che non si lascia ridurre a semplice corrispondenza, ma include anche la responsabilità per il reale. Una metafora ha ispirato l'intero percorso di pensiero di Perone[1], quella della lotta di Giacobbe con l'Angelo, raccontata nel libro della Genesi. Nella notte del deserto, uno straniero interrompe la solitudine di Giacobbe e combatte con lui in una battaglia che non avrà né vincitori né vinti. Solo all'alba Giacobbe scopre di essere stato ferito dall'Angelo. Ma questa ferita significa anche la benedizione e un nuove nome: Giacobbe, che ha combattuto con Dio e non è stato ucciso, d'ora innanzi si chiamerà Israele.[2] Il racconto è la cifra dell'estrema tensione che sussiste, secondo Perone, tra il finito e l'infinito, tra il penultimo e l'ultimo[3], tra i singoli significati e il senso complessivo[4]. La filosofia ha un'obbligazione morale di fedeltà al finito che la conduce a non rinnegare mai le condizioni storiche del pensiero, ma anche a non rinunciare alla sua vocazione a trascenderle con l'ascolto del non immediato, il lavoro e la fatica. Riconosciuta la modernità come condizione, il pensiero non può illudersi di potersi semplicemente installare nell'essere o nel senso, come se tra finito e infinito non si fosse consumata una cesura[5]. E tuttavia, ugualmente inopportuno sarebbe un appiattimento sui semplici significati storici, dimentico dell'appello dell'essere.[6] La necessaria protezione della finitezza (protezione del finito anche nei confronti dell'essere, che in qualche modo va sfidato, perché è coi forti che è necessario essere forti)[7] non deve significare l'eliminazione di nessuno dei due contendenti. Sulla soglia[8] tra finito e infinito, tra storia e ontologia, si realizza una mediazione, che non implica il superamento della distanza, ma la sua conservazione. Al fine di preservare la «doppia eccedenza»[9] del finito sull'infinito e di questo su quello, è sbagliato cancellare la distanza tra essi, sia trasformandola in identità, sia indebolendola fino a un punto d'indifferenza. Così, è vero, per esempio, che la memoria non conserva che frammenti, né può pretendere di ricordare direttamente l'intero; ma è altrettanto vero che questi frammenti non vanno abbandonati a una deriva nichilistica, perché nel frammento – che la memoria ricorda – non è un semplice istante, ma appunto l'essenziale (di una vita, di una storia…) a dover essere ricordato[10]. La filosofia resta ossessionata dal tutto, ma questo tutto «non ha l'estensione della totalità, ma l'intensità del frammento in cui ne va dell'intero»[11]. Si comprende quindi perché i primi libri di Perone abbiano titoli doppi: Modernità e memoria, Storia e ontologia: si tratta di dire sempre insieme due cose, secondo una dialettica dell'et-et, dell'indugio e dell'anticipazione[12]. Se i libri successivi individuano invece, fin dal titolo, un unico tema (Le passioni del finito; Nonostante il soggetto; Il presente possibile; La verità del sentimento), questo significa che il finito, il soggetto, il presente, il sentimento vengono analizzati come soglie, come luoghi che non possono nemmeno essere concepiti, per non dire vissuti, senza la memoria dell'altro. Come nel caso di Giacobbe, sono luoghi che portano la ferita inferta loro dall'altro come una benedizione. Metodo di lavoro Perone elabora la propria filosofia ermeneuticamente, a partire da uno studio in profondità – spesso svolto controcorrente rispetto alle mode culturali del momento – della storia della filosofia e di singoli autori classici e contemporanei, come Cartesio, Schiller, Feuerbach, Secrétan, Benjamin, in aggiunta ad altri filosofi (in particolare, Platone, Aristotele, Hegel, Schelling, Kierkegaard, Husserl, Heidegger, Merleau-Ponty e Lévinas), i cui nomi costellano i suoi numerosi lavori. Parte integrante della ricerca filosofica di Perone è altresì un confronto continuo con la teologia, soprattutto quella di Barth, Bonhoeffer, Bultmann e Guardini, che negli anni recenti si è esteso alla considerazione della poesia (specialmente quella di Paul Celan), della narrativa e del teatro, intesi come aree capaci di offrire contributi filosofici cruciali. La sua capacità di essere maestro e di indirizzare i giovani nella ricerca filosofica è indisgiungibile dal suo modo di praticare la filosofia. Opere Teologia ed esperienza religiosa in Feuerbach, Mursia, Milano 1972; nuova ed. rivista 2016 Storia e ontologia. Saggi sulla teologia di Bonhoeffer, Studium, Roma 1976; Schiller: la totalità interrotta, Mursia, Milano 1982; Modernità e memoria, Sei, Torino 1987; In lotta con l'angelo. La filosofia degli ultimi due secoli di fronte al Cristianesimo, SEI, Torino 1989 (in collaborazione con G. Ferretti, A. Pastore Perone, C. Ciancio, Maurizio Pagano); Invito al pensiero di Feuerbach, Mursia, Milano 1992; Le passioni del finito, EDB, Bologna 1994; Cartesio o Pascal? Un dialogo sulla modernità, Rosenberg & Sellier, Torino 1995 (con C. Ciancio); Nonostante il soggetto, Rosenberg & Sellier, Torino 1995 (trad. ted. Trotz/dem Subjekt, Peeters Verlag, Leuven 1998); Il presente possibile, Guida, Napoli 2005 (trad. ingl. Silvia Benso e Brian Schröder, The Possible Present, SUNY Press, Albany, NY 2011); La verità del sentimento, Napoli, Guida, 2008; Filosofia e spazio pubblico, a cura di U. Perone, Il Mulino 2012 Ripensare il sentimento, Cittadella Editrice, Assisi 2014. Le passioni del finito ... trad. ted. Endlichkeit. Von Grenzen und Passionen, Übers. H. Benning, Eos Verlag, Abtei St. Ottilien, 2015, 1-111. L’essenza della religione, gdt, 376, Queriniana, Brescia 2015, pp. 136. Il racconto della filosofia. Breve storia della filosofia, Queriniana, Brescia 2016 Altre pubblicazioni Un tema che è diventato predominante nella produzione più recente è la riflessione etico-politica[13]. Tra le sue pubblicazioni sul tema si ricordano: Filosofia e spazio pubblico, a cura di U. Perone, Il Mulino, Bologna 2012; Das Christentum nach der Säkularisation, in Europa ohne Gott? Auf der Suche nach unserer Identität, a cura di L. Simon e J.-J. Hahn, Hänssler, Holzgerlingen 2007, pp. 71–86; Lo spazio pubblico e le sue metafore, in Identità, differenze, conflitti, a cura di L. Ruggiu e F. Mora, Mimesis, Milano 2007, pp. 365–377 (trad. inglese Space and its Metaphors, in “Symposium”, vol. 14, Automne 2010, n. 2, pp. 5–18); La secolarizzazione: un bilancio, in “Annuario filosofico“, 28, 2012, Mursia, Milano 2013, pp. 107–131. S. Givone, I sentieri della filosofia, Rosenberg & Sellier, Torino 2015 Una cospicua parte della produzione di Perone si concentra sul tema della finitezza e sul rapporto tra filosofia e narrazione. Tra i contributi in lingua tedesca, si segnalano: Verzögerung und Vorwegnahme, in Alltag und Transzendenz, a cura di B. Casper e W. Sparn, Alber, Freiburg/München 1992, pp. 163–178; Die Zweideutigkeit des Alltags, in Alltag und Transzendenz, ed. cit., pp. 241–263; Das trübe Ich, in Der fragile Körper. Zwischen Fragmentierung und Ganzheitanspruch, a cura di E. Agazzi, E. Koczisky, V&R Unipress, Göttingen 2005, pp. 109–117. Tra i numerosi articoli, vanno ricordati almeno quelli dedicati al pensiero di Benjamin: Benjamin e il tempo della memoria, in «Annuario Filosofico», I (1985), Mursia, Milano 1986, pp. 241–272; Memoria, tempo e storia in Walter Benjamin, in G. Ferretti, a cura di, Il tempo della memoria, Marietti, Genova 1987, pp. 253–284; Walter Benjamin, in Enciclopedia Filosofica, Centro Studi Filosofici di Gallarate, vol. II, Bompiani, Milano 2006, pp. 1175–1178; Il rischio del presente: Benjamin, Bonhoeffer, Celan, in L'acuto del presente. Poesia e poetiche a metà del Novecento, a cura di C. Sandrin, Edizioni dell'Orso, Alessandria 2009, pp. 1–15 (trad. inglese The Risks of the Present: Benjamin, Bonhoeffer and Celan, in “Symposium”, vol. 14, Automne 2010, n. 2, pp. 19–34). Per l’Enciclopedia Filosofica, Bompiani, Milano, 2006 ha curato le seguenti voci: Ateismo, Benjamin, Futuro, Memoria, Passato, Pensiero, Presente, Riflessione, Secrétan, Silenzio, Tempo. Ha curato e introdotto presso Rosenberg & Sellier l'edizione dei testi degli autori della Scuola di Alta Formazione Filosofica: J.-L. Marion, Dialogo con l'amore, 2007; D. Henrich, Metafisica e modernità, 2008; C. Larmore, Dare ragioni, 2008; J. Searle, Coscienza, linguaggio, società, 2009; A. Heller, Per un'antropologia della modernità, 2009; E. Severino, Volontà, destino, linguaggio. Filosofia e storia dell'Occidente, 2010; B. Waldenfels, Estraneo, straniero, straordinario. Saggi di fenomenologia responsiva, 2011; Intorno a Jean-Luc Nancy, 2012; H. Joas, Valori, società, religione, 2014. Note ^ Perone vi fa esplicito riferimento, tra l'altro, in Modernità e Memoria, pp. IX-XI. ^ L'Angelo – cioè l'infinito, ma più in generale l'oggetto, il mondo – non è un «limite» che il soggetto pone a se stesso, ma «una barriera che gli è posta» e che, dunque, «non si lascia ultimamente inglobare» dal soggetto, per quanto potente egli sia. «Ai limiti estremi della propria estensione e della propria potenza», il soggetto incontra la «resistenza testarda del mondo», e misura così la propria «impotenza di infinito». Questa lotta/scontro con la barriera lascia nel soggetto «una ferita che appartiene per sempre all'identità della coscienza» (Nonostante il soggetto, pp. 65-67). L'Angelo può quindi essere definito «quella misteriosa ulteriorità contro cui il finito urta» (Nonostante il soggetto, p. 162). ^ Il tema della tensione tra cielo e terra è centrale per Perone fin dal libro su Bonhoeffer: «Come dimenticare che [...] la teologia bonhoefferiana [...] è forse l'unica che ha osato vedere nella tensione tra cielo e terra non una tentazione, ma un guadagno tanto per il cielo quanto per la terra?» (Storia e Ontologia, p. 81). ^ In Perone è attiva un'originalissima interpretazione del rapporto tra senso e significati: «Con significati intendo il cristallizzarsi storico di scelte determinate, aventi in sé una ragione sufficiente. Con senso intendo una direzione capace di unificare una molteplicità in sé dispersa di significati, in modo da costituirli come un progetto e un'interpretazione della realtà» (Modernità e Memoria, p. 129). ^ La definizione della modernità come tempo della cesura risale in Perone perlomeno alla monografia su Schiller: La totalità interrotta. Il tema è ripreso proprio in apertura di Modernità e Memoria, dove Perone individua nella modernità l'epoca della «cesura» (Modernità e Memoria, p. 5): la modernità è dunque chiamata a essere il tempo della memoria, perché «la memoria è sempre memoria della cesura» (Modernità e Memoria, p. 100). ^ Perone eredita da Bonhoeffer l'«uso teologico della categoria dell'illuminismo (Storia e ontologia, pp. 59 ss.), e tuttavia non simpatizza per quelle letture della modernità, dimentiche della tensione, che semplicemente pongono «l'uomo in luogo di Dio come fonte di legittimazione», puntando tutto sulla «continuità», anziché sulla discontinuità della storia (Modernità e memoria, p. 47). Per un approfondimento a tutto tondo del significato dell'ateismo contemporaneo, resta fondamentale la monografia su Feuerbach: Teologia ed esperienza religiosa in Feuerbach. ^ «Contro l'Essere, ciò che è forte, è lecito essere forti, perché la minaccia non lo vince, ma lo lascia stagliarsi in tutta la sua maestà e incommensurabile grandezza» (Nonostante il soggetto, p. 108). ^ Per una trattazione sistematica del concetto di "soglia”, che Perone svolge con particolare riferimento a Walter Benjamin, cfr. Il presente possibile, pp. 31-53 («Il presente come soglia»). ^ Nonostante il soggetto, p. 143. ^ Se la totalità è interrotta, non possiamo ricordare se non frammenti, e quasi "istantanee” del tempo. Tuttavia, «se la memoria afferra brandelli e frammenti, è perché in essi vi legge il tutto, perché li pensa capaci di dar senso e di riscattare, perché in essi vi scorge l'essenziale. Essa sa che non tutto può essere salvato, ma osa credere che nella memoria salvata vi possa essere un senso anche per ciò che è andato perduto» (Modernità e Memoria, p. 133). ^ La verità del sentimento, p. 174. ^ Nel rivalutare la funzione filosofica dell'indugio, con riferimento ai racconti di Shahrazàd, Perone osserva che perlopiù la filosofia non ha seguito la medesima strategia: «In generale, essa non ha seguito la strada dell'indugio e del rinvio», puntando invece sulla «funzione anticipativa» (Nonostante il soggetto, pp. 115-116). ^ Particolare rilievo riveste a questo proposito la distinzione che Perone traccia tra «spazio pubblico» e «spazio comune. Perone individua anzi come «rischio immanente della democrazia» «il riassorbimento della sfera pubblica entro le semplici logiche della sfera comune». Nella nostra attuale democrazia incompiuta, «lo spazio pubblico si espone al rischio di un inglobamento nello spazio comune» (Filosofia e spazio pubblico, pp. 118-119). Bibliografia S. Benso, Struggling with the Angel: Finitude, Time, and Metaphysical Sentiment, in U. Perone, The Possible Present, SUNY Press, Albany, NY 2011, pp. ix-xviii. E. Guglielminetti, ed., Interruzioni. Note sulla filosofia di Ugo Perone, il melangolo, Genova 2006, 235 pp. v. “Annuario filosofico 2015“, Mursia Milano 2016, pp. 361-444, articoli di C. Ciancio, G. Ferretti, N. Sclenczka, W. Gräb. Collegamenti esterni https://www.theologie.hu-berlin.de/de/guardini/mitarbeiter/li, su theologie.hu-berlin.de. URL consultato il 14 aprile 2015 (archiviato dall'url originale il 3 marzo 2016). http://sdaff.it/vips/ugo.perone, su sdaff.it. http://www.lett.unipmn.it/docenti/perone/, su lett.unipmn.it. URL consultato il 14 aprile 2015 (archiviato dall'url originale il 22 febbraio 2016). http://www.spaziofilosofico.it/numero-08/3250/oportet-idealismus/#more-3250, su spaziofilosofico.it. http://www.spaziofilosofico.it/numero-05/2052/il-pudore/#more-2052, su spaziofilosofico.it. Controllo di autorità VIAF (EN) 29655247 · ISNI (EN) 0000 0000 6629 6845 · LCCN (EN) n83018079 · GND (DE) 131831860 · BNF (FR) cb12678029k (data) · BAV (EN) 495/227949 · WorldCat Identities (EN) lccn-n83018079 Categorie: Filosofi italiani del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani del XXI secoloNati nel 1945Nati il 16 aprileNati a TorinoProfessori dell'Università degli Studi di TorinoProfessori dell'Università degli Studi di Roma Tor Vergata[altre]
Monday, September 21, 2020
IN PLICATVRVM I/XX
IN PLICATVRVM
empiegato
H. P. Grice, St. John’s Oxford -- Compiled by Grice’s Playgroup, The Bodleian -- For The Anglo-Italian Society, Bologna -- Luigi Speranza, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
a:
This relates to two categories of Aristotle, poiotes and posotes, qualitas and
quantitasIn Kant, each of Aristote’s categories is divided in threeand qualitas
and quantitas are not really categories, but ‘functions.’ The choice of the “a”
here is due to the first person singular of “affirmare,” i. e. “affirmo” versus “nego.” The symmetry is not
perfect, ‘affirmo’ has three vowels, ‘nego’ just two. And of course, it doesn’t
work in Grecian! There is nothing in “A” that says ‘universale.’ It is odd that
the monks thought that the universal precedes the particulare, Maybe they
couldn’t find a verb that went ‘i-a’ instead, and ‘o-e’ for the correlatum. The
important thing is that this belongs to what the modernists call the predicate
calculusand everybody else ‘term logic’In propositional logic, “A”, “E,” I” and
“O” make no sense. The way to interpret this is confusing. The standard reading
is using quantifiers, just two, which are interdefinable, and the tilde for
negation in the case of ‘e’ and ‘’o.’ The conjunctive connective is used for
‘I’ and ‘o’ while the ‘if’ operator is used for ‘a’ and ‘e’. There are six
possible correlations: the first is a with e, the second is a with I, the third
is a with o; the fourth is e with I, the fifth is e with o, and the sixth is I with o. This gives “a” and “i” as ‘affirmatum,’ and
‘e’ and ‘o’ as ‘negatum.’ Grice knows that his problem with Strawson is the
Square of Opposition (Grice 1989: )So he is well aware of the question about
Barbara and Celarent. So this is the ‘universalis dedicativa.’ Vide below
entries for “E” (universalis abdicative), “I” (particularis dedicativa) and “O” (particularis abdicative). The square
(figura quadrata) is generated by criss-crossing the two categories, aptly
sub-divided, -- ‘quantitas’ into universalis and particularis, and qualitaas
into dedicativa and the abdicative.What is “to affirm”? And what does “to
affirm” have in common with “to negate”? These are deep questions that Grice
tries to answer in “Negation and privation” and “Lectures on negation.”The
distinction between ‘affirmatum” and “negatum” is not clearEtymologically, the
roots are diverse. To affirm derives from ad-firmareto make firm. To negate,
rather, derives from the mere negative particle turned into a verb, “ne-gare.”
It’s even more complicated in Griceain! Grice would never have given attention
to this had it not be for “affirmo”and “nego” and for a little treatise he
enjoyed reading, “Barbara,
Celarent” af-firmo (better adf-
), āvi, ātum, 1, v. a. I. To present a thing in words, as fixed, firm, i. e.
certain, true; to assert, maintain, aver, declare, asseverate, affirm:
“dicendum est mihi, sed ita, nihil ut adfirmem, quaeram omnia,” Cic. Div. 2, 3;
so id. Att. 13, 23; id. Brut. 1, 1: “jure jurando,” Liv. 29, 23: “quidam plures
Deo ortos adfirmant,” Tac. G. 2; cf. id. Agr. 10: “adfirmavit non daturum se,”
he protested that he would give nothing, Suet. Aug. 42.—Impers.: “atque
affirmatur,” Tac. H. 2, 49.—Hence, II. To give confirmation of the truth of a
thing, to strengthen, to confirm, corroborate, sanction: “adfirmare spem
alicui,” Liv. 1, 1: “opinionem,” id. 32, 35: “dicta alicujus,” id. 28, 2:
“aliquid auctoritate sua,” id. 26, 24: “populi Romani virtutem armis,” Tac. H.
4, 73: “secuta anceps valetudo iram Deūm adfirmavit,” id. A. 14, 22.—Hence, *
affirmanter (adf- ), adv. (of the absol. P. a. affirmans), with assurance or
certainty, assuredly: “praedicere aliquid,” Gell. 14, 1, 24; and: af-firmātē
(adf- ), adv. (of the absol. P. a. affirmatus), with asseveration, with
assurance, certainly, assuredly, positively: “quod adfirmate, quasi Deo teste
promiserit, id tenendum est,” Cic. Off. 3, 29.—Sup.: “adfirmatissime scribere
aliquid,” Gell. 10, 12, 9. Refs.: Grice 1989, H. P. Grice, “The implicaturums
of the Square of Opposition, as dismissed by P. F. Strawson.”
∀: rendered by Grice as “all,”but hardly used after Grice adapted
the /\x symbolism‘which makes neat the correlation with \/x, and the relation
between /\ and \/ --. borrowed from Gentzen’s “All-Zeichen.” The “all” Grice
was dubioius aboutit is archaic to use ‘all’ followed by a singular (“All bird
sings”)“Every bird sings” may carry a different implicature, and in any case,
it is a compound of ever- and –y, so hardly a primitive, and in any case, it
does not start with “a” --. The philosophical question concerns a
‘substitutional’ approachwhere ‘all’ is understood as the conjunction of each
member“The key is the substitutional versus non-substitutional account to
universal quantification. (Peano did not
use it). Grice is a stickler, and uses the brackets, (∀x)
Grice thinks that Whitehead and Russell did perfectly well with their
substitutional account to ‘all,’ “even it that displeased my tutee P. F.
Strawson.” Parsons,
who Grice admires, suggests that one treat quantification over predicative
classes substitutionally, and capture “the idea that classes are not“real”
independently of the expression forthem. Grice perceives a difficulty relating to the allegedly dubious admissibility
of propositions as entities. A perfectly sound, though perhaps somewhat
superficial, reply to the objection as it is presented would be that in any
definition of “Emissor E communicates that p” iff “Emissor E desires that p.”
which Grice would be willing to countenance,
'p' operates simply as a ‘gap sign.’ ‘p’ does appear in the analysandum,
and re-appears in the corresponding analysans. If Grice were to advance the not
wholly plausible thesis that “to feel Byzantine” is just to have a an
anti-rylean agitation which is caused by the thought that Grice is or might
*be* Byzantine, it would surely be ridiculous to criticize Grice on the grounds
that Grice saddles himself with an ontological commitment to feelings, or to
modes of feeling. And why? Well, because, alla Parsons, if a quantifier is
covertly involved at all, it will only be a universal quantifier which in such
a case as this is more than adequately handled by a substitutional account of
quantification. Grice’s situation vis-a-vis the ‘proposition’ is in no way
different. There should be an entry for the inverted E, the first entry under
the E.
aaron, r. philosopher of
Jewish descent born in Seven Sisters, Sussex. Grice enjoyed reading him. “Aaron
can be fun, especially for a philosophical lexicographer!”
abano: abano is possibly
the first alphabetical philosopher. But there are more! abano: important Italian philosopher. From Abano-Terme. “If Occam is called
Occam, I should be called Harborne.”Grice. “He was an exacting editor, if ever
there was onebut he failed at one thing, “Problemata physica” was never written
by Aristotle!”Grice. Pietro d'Abano-Terme,
conosciuto anche come Petrus de Apono, Petrus Aponensis o Pietro d'Abano
italiano a Padova. Abano era nato nella città italiana da cui prende il nome,
ora Abano Terme. Abano-Terme guadagnato la fama scrivendo "Conciliatore
Differentiarum, quae tra Philosophos et Medicos Versantur." Finalmente
Abano-Terme è stato accusato di eresia e l'ateismo, ed è venuto prima della
Inquisizione. Abano e morto in carcere prima della fine del suo processo.
Abano-Terme Ha vissuto in Grecia per un periodo di tempo prima che si è
trasferito e ha iniziato i suoi studi a lungo a Costantinopoli. Si trasferisce
a Parigi, dove è stato promosso ai gradi di dottore in filosofia e medicina,
nella pratica di cui era un grande successo, ma i suoi costi erano notevolmente
alta. A Parigi divenne noto come "il Grande lombarda". Abano-Terme si
stabilì a Padova. Abano-Terme è stato accusato di praticare la magia: le accuse
specifiche è che è tornato, con l'aiuto del diavolo , tutti i soldi che ha
pagato di distanza, e che possedeva la pietra filosofale. Gabriel Naudé, nel
suo "antiquitate scholae Medicae Parisiensis," dà il seguente
resoconto di lui. "Cerchiamo di prossima produciamo Peter de Apona, o
Pietro da Abano, chiamato il riconciliatore, a causa del famoso libro che ha
pubblicato durante il suo soggiorno nella vostra università. E 'certo che
fisica laici sepolto in Italia, scarsa noto a nessuno, incolto e disadorno,
fino alla sua genio tutelare, un abitante del villaggio di Apona-Terme,
destinata a liberare l'Italia dalla sua barbarie e l'ignoranza, come Camillo
volta liberato Roma dall'assedio del Galli, ha fatto un'indagine diligente in
quale parte del mondo della letteratura cortese è stato felicemente coltivata,
la filosofia più astuzia gestito, e fisico ha insegnato con la massima solidità
e la purezza; e di essere certi che sola Parigi rivendicò questo onore, là vola
attualmente; dando se stesso interamente alla sua tutela, si applicò con
diligenza per i misteri della filosofia e della medicina; ottenuto un grado e
l'alloro in entrambi; e poi entrambi insegnato con grande applauso: e dopo un
soggiorno di molti anni, loaden con la ricchezza acquisita in mezzo a voi, e,
dopo essere stato il più famoso filosofo del suo tempo, torna al suo paese ,
dove, a giudizio del giudizioso Scardeon , è stato il primo restauratore della
vera filosofia. Gratitudine, quindi, invita a riconoscere i vostri obblighi a
causa di Michael Angelus Blondus, di Roma, che nell'ultimo impegno secolo
di pubblicare il Conciliationes Physiognomicæ del proprio Aponensian, e
trovando erano state composte a Parigi, e nella vostra università, ha scelto di
pubblicarli nel nome, e con il patrocinio, della vostra società. Portava
le sue indagini finora nelle scienze occulte della natura astruso e nascosta,
che, dopo aver dato più ampie prove, dai suoi scritti in materia di fisionomia
, geomanzia, e chiromanzia , si è trasferito sulla allo studio della filosofia;
che studi hanno dimostrato in modo vantaggioso per lui, che, per non parlare
dei due prima, che lo presentò a tutti i papi del suo tempo, e lo ha acquisito
una reputazione tra i dotti, è certo che era un grande maestro in quest'ultimo
, che appare non solo dalle cifre astronomiche che aveva dipinto nella grande
sala del palazzo di Padova, e le traduzioni fece dei libri del rabbino
dottissimo Abraham Aben Ezra, aggiunto a quelli che si ricompose nei giorni
critici, e il miglioramento di astronomia, ma dalla testimonianza del celebre
matematico Regiomontano, che ha fatto un bel panegirico su di lui, in qualità
di un astrologo, nell'orazione ha pronunciato pubblicamente a Padova quando ha
spiegato c'è il libro di Alfragano . Steepto scritti
Conciliatore differentiarum philosophorum et precipue medicorum Nei suoi
scritti egli espone e difende i sistemi medici e filosofici di Averroè,
Avicenna , ed altri scrittori. Le sue opere più note sono il Conciliatore
differentiarum quae tra philosophos et medicos versantur e De venenis eorumque
remediis , entrambi i quali sono ancora esistente in decine di manoscritti e
varie edizioni a stampa dalla fine del Quattrocento attraverso Cinquecento. Il
primo tentativo di riconciliare apparenti contraddizioni tra teoria medica e la
filosofia naturale aristotelica, ed è stato considerato autorevole in ritardo
quanto XVI secolo. E 'stato affermato che Abano-Terme ha anche scritto un
libro di magia chiamato "Heptameron," un libro conciso di riti magici
rituali che si occupano di evocare gli angeli specifici per i sette giorni
della settimana (da qui il titolo). Egli è anche accreditato con la scrittura
De venenis eorumque remediis , che ha esposto sulle teorie arabi in materia di
superstizioni, veleni e contagi. l'Inquisizione Generico ritratto
di Petr [noi] da Abano conciliatore , <la rovesciata 'c' è un'abbreviazione
corrente latina per il prefisso 'con -'> xilografia dalla Cronaca di
Norimberga , 1493 E 'stato due volte portato in giudizio da parte
dell'Inquisizione; per la prima volta è stato assolto, e morì prima che il
secondo processo è stato completato. E 'stato trovato colpevole, però, e il suo
corpo è stato ordinato di essere riesumato e bruciato; ma un amico aveva
segretamente rimosso, e l'Inquisizione doveva quindi accontentarsi con la
proclamazione pubblica della sua frase e la combustione di Abano in effigie
. Secondo Naude: L'opinione generale di quasi tutti gli autori è,
che era il più grande mago del suo tempo; che per mezzo di sette spiriti,
familiari, che teneva chiuso dell'articolo in chrystal, aveva acquisito la
conoscenza delle sette arti liberali, e che aveva l'arte di causare il denaro
che aveva fatto uso di tornare ancora in tasca. È stato accusato di magia nel
ottantesimo anno della sua età, e che morire nel corso dell'anno 1305, prima
che il suo processo era finito, è stato condannato (come riporta Castellan) al
fuoco; e che un fascio di paglia o vimini, che rappresenta la sua persona, è
stata pubblicamente bruciato a Padova; che così rigoroso un esempio, e dalla
paura di incorrere in una sanzione, come, potrebbero sopprimere la lettura dei
tre libri che aveva composto su questo argomento: il primo dei quali è la nota
Heptameron, o elementi magici di Peter de Abano, filosofo, ora esistente, e
stampato alla fine di Agrippa opere s'; il secondo, quello che Trithemius
chiama Elucidarium Necromanticum Petri da Abano; e un terzo, chiamato dallo stesso
autore Liber experimentorum mirabilium de Annulis secundem, 28 Mansiom Lunae
. Abside con il suo sarcofago. Barrett (p. 157) si riferisce al
parere che non era sul punteggio di magia che l'Inquisizione ha condannato
Pietro d'Abano-Terme a morte, ma perché ha cercato di spiegare i meravigliosi
effetti nella natura dalle influenze dei corpi celesti, non attribuendole agli
angeli o demoni; in modo che l'eresia , piuttosto che la magia, sotto forma di
opposizione alla dottrina degli esseri spirituali, sembra aver portato alla sua
persecuzione. Per citare Barrett: Il suo corpo, prese privatamente dalla sua
tomba dai suoi amici, sfuggito alla vigilanza degli inquisitori, che avrebbero
condannato a essere bruciato. E 'stato rimosso da un luogo all'altro, e finalmente
depositato nella Chiesa di St. Augustin, senza epitaffio, o qualsiasi altro
segno di onore. I suoi accusatori attribuiti opinioni incoerenti a lui; lo
accusato di essere un mago, e tuttavia con negare l'esistenza degli spiriti.
Aveva una tale antipatia per il latte, che vedendo chiunque prendere lo faceva
vomitare. E 'morto intorno all'anno 1316 nella sessantiseisimo anno della sua
età. Altro lettura Francis Barrett, The Magus (1801) J. Cadden,
"Scienze / silenzi: la natura e le lingue di" sodomia "in Pietro
d'Abano Problemata Commento". In: K. Lochrie & P. McCracken & J.
Schultz (. Edd), Costruire sessualità medievali , University of Minnesota
Press, Minneapolis & London 1997, pp 40-57.. Premuda, Loris. "Abano,
Pietro D'." nel dizionario della biografia scientifica . (1970). New York:
Charles Scribner Sons. 1: 4-5. link esterno il
Heptameron Wikimedia Commons ha mezzi relativi a Pietro d'Abano. Refs.: Luigi Speranza, “The reception of
pseudo-Aristotle via Abano’s edition,” Luigi Speranza, "Grice ed
Abano," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia.
abano and the rest: La categoria
"Filosofi italiani" contiene x pagine su un totale y A Autore:Torquato Accetto Autore:Alessandro
Achillini Autore:Francesco Acri Autore:Leandro Alberti Autore:Leon Battista
Alberti Autore:Vittorio Enzo Alfieri Autore:Antonio Aliotta Autore:Giovanni
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Ardigò Autore:Tarquinio Armani Autore:Emiliano Avogadro della Motta B
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Bagnoregio Autore:Cristoforo Bonavino Autore:Gabriele Bonomo Autore:Giovanni
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Autore:Pietro Verri Autore:Giambattista Vico Autore:Tito Vignoli Autore:Guido
Villa Z Autore:Francesco Maria Zanotti Autore:Marcantonio Zimara Filosofi per
nazionalitàAutori italiani per attività. Abano is perhaps the
first alphabetical philosopher. Under Italy. But there are others, “and each is
worth an entry!” “What makes a philosopher!? Surely not a profession. If an
Italian wrote ONE treatise, he is a philosopher.” “It would be as calling Grace
an amateur philosopher and a professional cricketer!”(to Strawson). In some
cases, Grice prefers the real name, for “St. Bonaveventura,” for example! Grice:
“When you categorise, you should use ‘filosofi italiani.’ Enjoy!” -- Category:Philosophers from Italy Good
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(1 C, 9 F) -- Abbagnano (philosopher) (3 F) Achillini (5 F) Aconzio (1 F)
Acri (1 C, 1 P, 10 F) Agamben
Alberti Alberti (17 C, 2 P, 51
F) Amico (3 F) Amidei (1 C, 1 P) Andina Annunzio Angiulli (1 F) Aquinas
(21 C, 1 P, 86 F) Ardigò (2 C, 1 P, 2 F) Assunto (5 F) B With the B, we have:
Bernardi (philosopher) (1 F) Banfi (1 F)
Baratono (1 F) Barbaro (1 C, 6 F) Bartoli (2 P, 7 F) Battaglia (1 F)
Bausola (1 F) Beccaria (5 C, 1 P, 17 F) Berneri (1 F) Bobbio (8 F) Boccadiferro
(3 F) Bodei (3 F) Findanza-Bonaventura (3 C, 1 P, 21 F) Botero (1 P, 3 F)
Bovio (2 C, 5 F) Brandalise (1 F) Brunetto Latini (1 C, 1 P, 13 F) Bruni (2
C, 2 P, 152 F) Bruno (6 C, 2 P, 32 F) Buttiglione (8 F) With the C, we have
Cacciari (6 F) Cambria (1 F) Campa (3 F) Campailla (2 F) Cantoni (1 F)
Capitini (11 F) Capizzi (1 C, 1 F) Caporali (1 F) Carabellese (1 F)
Carando (1 F) Carlini (1 F) Casati (2 F) Cattaneo (4 C, 1 P, 7 F)
Cavalieri (1 F) Cavallo (2 C, 7 F) Ceccato (2 F) Cedroni (3 F) Centofanti
(1 F) Ceretti (2 C) Ceronetti (2 F) Cervi (4 F) Ciliberto (2 F) Corbellini
(1 F) Corleo (1 F) Cornelio (1 F) Corrado (5 F) Corsini (3 F) Costa (1 C, 5 F) Costa (1 P,
3 F) Credaro (2 F) Cremonini (5 F)
Croce (1 C, 1 P, 19 F) Curi (2 F), With the D, we have D'Annunzio (11 C, 2
P, 74 F) Da Ponte (2 C, 12 F), under Ponte, Alighieri (14 C, 2 P, 91 F)
Sanctis (1 C, 1 P, 37 F) Giudice (1 F) del Vasto (2 P, 23 F) Del Vecchio (1
F) Delfico (1 P, 3 F) Delia (2 F) Delogu (1 F) Dion of Syracuse (9 F)
Dorfles (5 F) With E, we have Egidio da Viterbo (7 F) Emo (1 F) Enriques (2
C, 1 P, 7 F) Epifanio (4 F) Esposito (2 F) Rignano (1 F) Evola (5 F) With F,
we have Fazzini (3 F) Ferrabino (4 F) Ferrari (1 C, 3 F) Ferraris (1 F)
Ficino (3 C, 1 P, 50 F) Filangieri (4 F) Fiormonte (1 F) Fracastoro (1 C, 1
P, 54 F) Fusaro (2 F) With the G, we have Galilei (12 C, 2 P, 29 F)
Galimberti (4 F) Galli (1 F) Galluppi (1 C, 1 P, 2 F) Gallo (1 F) Gentile
(15 F) Marramao (3 F) Giannone (1 P, 14 F) Gioia (1 C, 1 P, 10 F) Giorello
(9 F) Giraldi (2 F) Giuliani (1 F) Giuseppe Capocasale (1 F) Giacomo (12 F)
Gobbo (1 C, 1 F) Gramsci (2 C, 2 P, 21 F) Grandi (1 P, 2 F) Gregorius de
Arimino (1 F) Jerocades (1 F) Juvalta (1 P, 1 F) Labriola (1 P, 4 F) Leon
(2 F) Leopardi (5 C, 2 P, 109 F) Leopardi (1 C, 2 P, 2 F) Liceti (2 C, 7 F)
Lombard (1 C, 13 F) Scupoli (5 F) Lottieri (4 F) Luporini (3 F) M
Machiavelli (7 C, 2 P, 54 F) Magalotti (1 C, 1 P, 9 F) Magi (1 F) Mamiani
(2 C, 1 P, 6 F)Mantovani (1 F) Marsilius of Padua (12 F) Martinetti (1 C, 1
P, 1 F) Marzano (2 F) Masci (1 F) Massarenti (1 F) Masullo (1 F) Mazzei (1
C, 1 P, 2 F)Mazzini (9 C, 2 P, 39 F) Mazzoni (2 F)Melandri (1 F)Miglio (7
F)Mondolfo (1 P, 1 F) N Negri (2 C, 1 F) Nicoletti (4 F) Nifo (1 C, 8 F) O
Orioli (1 P, 7 F) P Paci (1 F) Palazzani (1 F) Paravia (1 P, 2 F) Pasini
(1 F) Passavanti (2 C, 1 P, 8 F) Passeri (2 F) Paulus Venetus (2 F) Peano
(4 C, 2 P, 5 F) Pera (1 P, 6 F) Persio (3 F) Pessina (3 F) Piccolomini (1
P, 3 F) Pico (2 C, 49 F) Pievani (4 F) Pirandello (6 C, 2 P, 78 F)
Pomponazzi (1 F)Ponzio (1 F) Porta (5 C, 1 P, 62 F) Puccinotti (12 F)
Punzo (1 F) R Reale (5 F) Rocco (1 P, 3 F) Rodano (3 F) Romagnosi (2 C, 1
P, 8 F) Rosmini (4 C, 1 P, 13 F) Rosselli (1 C, 1 P, 11 F) Ruta (1 C, 1 P) S
Sacchi (1 P, 1 F) Saraceno (3 F) Schinella Conti (1 P) Semerari (1 F)
Settala (1 C, 8 F) Severino (1 F) Sgalambro (1 F) Siciliani (2 F) Sini (1
F) Soave (1 C, 2 F) Solari (3 F) Spaventa (4 F) Spedalieri (1 C, 3 F)
SZecchi (1 F) T Telesio (2 C, 7 F) Tessitore (1 P, 1 F) Tincani (3 F)
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Sadeler after P. M Wellcome V0004478.jpg Aemylius Parisanius. Line engraving by
R. Sadeler after P. M Wellcome V0004478.jpg2 603 × 3 254; 3,4 MB
Agostino Nifo (1469-1538).png Agostino Nifo (1469-1538).png388 × 565; 288
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KB Andrea Tagliapietra.jpg Andrea Tagliapietra.jpg517 × 600; 255 KB
Anna Camaiti.JPG Anna Camaiti.JPG2 912 × 4 368; 1,63 MB Anna
Camaiti.jpg Anna Camaiti.jpg133 × 200; 6 KB Antonino pennisi.jpg
Antonino pennisi.jpg1 265 × 1 752; 783 KB Antonio Genovesi.jpg
Antonio Genovesi.jpg400 × 480; 120 KB Arianna Betti .jpg Arianna
Betti .jpg532 × 676; 135 KB Armando Plebe.jpg Armando Plebe.jpg180
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Benvenuto-fronte-triste.jpg Benvenuto-fronte-triste.jpg2 048 × 3 072; 480
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Leoni (1913-1967).jpg Bruno Leoni (1913-1967).jpg275 × 520; 15 KB
Bubbio.jpg Bubbio.jpg1 961 × 3 118; 3,19 MB Bundesarchiv Bild
183-J04621, Berlin, Prof. Grassi am Rednerpult.jpg Bundesarchiv Bild
183-J04621, Berlin, Prof. Grassi am Rednerpult.jpg590 × 800; 80 KB
Camillo De Meis busto Pincio Roma.jpg Camillo De Meis busto Pincio
Roma.jpg2 736 × 3 648; 2,17 MB Ceruti2.JPG Ceruti2.JPG2 592 × 3
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(cropped).png123 × 165; 23 KB Cesare Luporini.jpg Cesare
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Tommaso Cornelio. Lithograph by Forino. Wellcome V0001296.jpg Tommaso
Cornelio. Lithograph by Forino. Wellcome V0001296.jpg2 399 × 3 070; 3,87
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ragazzo.jpg Dernatinus Il ragazzo.jpg489 × 525; 50 KB
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Duccio Demetrio (cropped).jpg Duccio Demetrio (cropped).jpg342 × 426; 129
KB Duccio Demetrio.jpg Duccio Demetrio.jpg600 × 450; 203 KB
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Evandro Agazzi en su oficina en la Universidad Panamericana.jpg Evandro
Agazzi en su oficina en la Universidad Panamericana.jpg4 160 × 3 120; 2,08
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(1965).pdf390 × 474; 363 KB Franco Bertossa small 2005.jpg Franco
Bertossa small 2005.jpg200 × 200; 7 KB Gaetano jandelli.jpg Gaetano
jandelli.jpg1 594 × 2 310; 700 KB Gentile e Leonardo Severi.jpg
Gentile e Leonardo Severi.jpg941 × 585; 78 KB Gianluca Magi .jpg
Gianluca Magi .jpg343 × 357; 99 KB Gioele Solari.jpg Gioele
Solari.jpg220 × 298; 25 KB Giovanfrancesco-pico.jpg
Giovanfrancesco-pico.jpg509 × 650; 125 KB Giovanni Battista
Capponi. Line engraving by L. Tinti. Wellcome V0000999.jpg Giovanni Battista
Capponi. Line engraving by L. Tinti. Wellcome V0000999.jpg2 466 × 3 248; 3,98
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Giovanni-pampanini.jpg Giovanni-pampanini.jpg268 × 477; 108 KB
Giunio Paolo Crasso. Line engraving, 1688. Wellcome V0001343.jpg Giunio
Paolo Crasso. Line engraving, 1688. Wellcome V0001343.jpg2 103 × 3 506; 3,81
MB Giuseppe Vacca 1939.jpg Giuseppe Vacca 1939.jpg202 × 285; 21 KB
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Zuerich Mitte der 80er Jahre.jpg Grassi Zuerich Mitte der 80er Jahre.jpg1 674 ×
2 529; 640 KB Gregorio Messere.png Gregorio Messere.png480 × 640;
832 KB Iginodomanin.jpg Iginodomanin.jpg1 536 × 1 536; 369 KB
Massimo Introvigne.jpg Massimo Introvigne.jpg480 × 447; 153 KB
Lionardo di Capoa. Line engraving by D. Franceschini after P Wellcome
V0000998.jpg Lionardo di Capoa. Line engraving by D. Franceschini after P
Wellcome V0000998.jpg2 467 × 3 408; 4,37 MB Lorenzo Bolano.jpg
Lorenzo Bolano.jpg320 × 421; 29 KB Lorenzo Magnani.jpg Lorenzo
Magnani.jpg162 × 163; 36 KB Losurdo (cropped).png Losurdo
(cropped).png204 × 254; 89 KB Losurdo.png Losurdo.png404 × 549; 449
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Pico2.jpg Pico2.jpg400 × 416; 85 KB Pictorial history of
Epicarmo,poet and writer.jpg Pictorial history of Epicarmo,poet and
writer.jpg671 × 800; 70 KB Pier Aldo Rovatti.jpg Pier Aldo
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L0005473.jpg1 081 × 1 698; 1,03 MB Pompeo della Barba. Line
engraving by G. Vascellini after I. Wellcome V0000342.jpg Pompeo della Barba.
Line engraving by G. Vascellini after I. Wellcome V0000342.jpg2 254 × 3 426;
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Riccardo-Pozzo.JPG Riccardo-Pozzo.JPG150 × 149; 20 KB Rosario
Asssunto III da sx insieme a Giulio Carlo Argan e Cesare Brandi.png Rosario
Asssunto III da sx insieme a Giulio Carlo Argan e Cesare Brandi.png515 × 376;
220 KB Rosario Assunto filosofo 03.png Rosario Assunto filosofo
03.png638 × 526; 202 KB Rosario Assunto filosofo.png Rosario
Assunto filosofo.png195 × 258; 52 KB Rosario Assunto II da sx
05.png Rosario Assunto II da sx 05.png515 × 332; 251 KB Rosi
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Serafinosordi.jpg Serafinosordi.jpg643 × 829; 89 KB Sperone
Speroni (1500-1588).png Sperone Speroni (1500-1588).png382 × 667; 262 KB
Sperone Speroni.jpg Sperone Speroni.jpg255 × 450; 23 KB The
republic of cicero translated by featherstonhaugh.djvu The republic of cicero
translated by featherstonhaugh.djvu1 275 × 1 650, 169 pagine; 4,3 MB
Tiziano Vecellio, Ritratto di Sperone Speroni, 1544, Treviso Museo Civico
Luigi Baldin.jpg Tiziano Vecellio, Ritratto di Sperone Speroni, 1544, Treviso
Museo Civico Luigi Baldin.jpg1 711 × 2 184; 2,21 MB Tomb of Galileo
Galilei.JPG Tomb of Galileo Galilei.JPG1 231 × 924; 1,38 MB
TombaBonavino.jpg TombaBonavino.jpg2 211 × 1 000; 1,35 MB
Tonino Griffero b-w.JPG Tonino Griffero b-w.JPG4 000 × 3 000; 1,32
MB Vito Fazio Allmayer.png Vito Fazio Allmayer.png262 × 336; 196 KB
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Sadeler after P. M Wellcome V0004478.jpg Aemylius Parisanius. Line engraving by
R. Sadeler after P. M Wellcome V0004478.jpg2 603 × 3 254; 3,4 MB
Agostino Nifo (1469-1538).png Agostino Nifo (1469-1538).png388 × 565; 288
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KB Andrea Tagliapietra.jpg Andrea Tagliapietra.jpg517 × 600; 255
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Anna Camaiti.jpg Anna Camaiti.jpg133 × 200; 6 KB Antonino
pennisi.jpg Antonino pennisi.jpg1 265 × 1 752; 783 KB Antonio
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.jpg Arianna Betti .jpg532 × 676; 135 KB Armando Plebe.jpg Armando
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Carsetti.jpg400 × 600; 60 KB Augusto Vera.png Augusto Vera.png218 ×
210; 72 KB Bartholini.JPG Bartholini.JPG1 633 × 1 914; 704 KB
Benvenuto-fronte-triste.jpg Benvenuto-fronte-triste.jpg2 048 × 3 072; 480
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Bubbio.jpg Bubbio.jpg1 961 × 3 118; 3,19 MB Bundesarchiv Bild
183-J04621, Berlin, Prof. Grassi am Rednerpult.jpg Bundesarchiv Bild 183-J04621,
Berlin, Prof. Grassi am Rednerpult.jpg590 × 800; 80 KB Camillo De
Meis busto Pincio Roma.jpg Camillo De Meis busto Pincio Roma.jpg2 736 × 3 648;
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Lithograph by Forino. Wellcome V0001296.jpg2 399 × 3 070; 3,87 MB
Dario Antiseri, 2009.jpg Dario Antiseri, 2009.jpg2 736 × 3 123; 1,54
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Dipintoao-1348589247-1064.jpg Dipintoao-1348589247-1064.jpg600 × 800; 133
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Evandro Agazzi en su oficina en la Universidad Panamericana.jpg Evandro
Agazzi en su oficina en la Universidad Panamericana.jpg4 160 × 3 120; 2,08
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2005.jpg200 × 200; 7 KB Gaetano jandelli.jpg Gaetano jandelli.jpg1
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Magi .jpg343 × 357; 99 KB Gioele Solari.jpg Gioele Solari.jpg220 ×
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Wellcome V0000999.jpg Giovanni Battista Capponi. Line engraving by L. Tinti.
Wellcome V0000999.jpg2 466 × 3 248; 3,98 MB Giovanni Gentile.png
Giovanni Gentile.png546 × 660; 221 KB Giovanni-pampanini.jpg
Giovanni-pampanini.jpg268 × 477; 108 KB Giunio Paolo Crasso. Line
engraving, 1688. Wellcome V0001343.jpg Giunio Paolo Crasso. Line engraving,
1688. Wellcome V0001343.jpg2 103 × 3 506; 3,81 MB Giuseppe Vacca
1939.jpg Giuseppe Vacca 1939.jpg202 × 285; 21 KB GiuseppeRensi.jpg
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V0000998.jpg Lionardo di Capoa. Line engraving by D. Franceschini after P
Wellcome V0000998.jpg2 467 × 3 408; 4,37 MB Lorenzo Bolano.jpg
Lorenzo Bolano.jpg320 × 421; 29 KB Lorenzo Magnani.jpg Lorenzo Magnani.jpg162
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Alessandro Luzzago.jpg Alessandro Luzzago.jpg210 × 285; 18 KB
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GiuseppeMasiTurchia 2001.jpg GiuseppeMasiTurchia 2001.jpg2 022 × 1 480;
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Paola Cavalieri 2 sept .jpg Paola Cavalieri 2 sept .jpg2 191 × 3 456; 737
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Portrait of Pompeo della Barba. Wellcome L0005473.jpg1 081 × 1 698; 1,03 MB
Pompeo della Barba. Line engraving by G. Vascellini after I. Wellcome
V0000342.jpg Pompeo della Barba. Line engraving by G. Vascellini after I.
Wellcome V0000342.jpg2 254 × 3 426; 3,87 MB Costanzo Preve.jpg
Costanzo Preve.jpg462 × 423; 24 KB Riccardo-Pozzo.JPG
Riccardo-Pozzo.JPG150 × 149; 20 KB Rosario Asssunto III da sx
insieme a Giulio Carlo Argan e Cesare Brandi.png Rosario Asssunto III da sx
insieme a Giulio Carlo Argan e Cesare Brandi.png515 × 376; 220 KB
Rosario Assunto filosofo 03.png Rosario Assunto filosofo 03.png638 × 526;
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sx 05.png515 × 332; 251 KB Rosi BraidottiPortrait.jpg Rosi
BraidottiPortrait.jpg433 × 648; 73 KB Serafinosordi.jpg
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Sperone Speroni (1500-1588).png382 × 667; 262 KB Sperone
Speroni.jpg Sperone Speroni.jpg255 × 450; 23 KB The republic of
cicero translated by featherstonhaugh.djvu The republic of cicero translated by
featherstonhaugh.djvu1 275 × 1 650, 169 pagine; 4,3 MB Tiziano
Vecellio, Ritratto di Sperone Speroni, 1544, Treviso Museo Civico Luigi
Baldin.jpg Tiziano Vecellio, Ritratto di Sperone Speroni, 1544, Treviso Museo
Civico Luigi Baldin.jpg1 711 × 2 184; 2,21 MB Tomb of Galileo
Galilei.JPG Tomb of Galileo Galilei.JPG1 231 × 924; 1,38 MB
TombaBonavino.jpg TombaBonavino.jpg2 211 × 1 000; 1,35 MB
Tonino Griffero b-w.JPG Tonino Griffero b-w.JPG4 000 × 3 000; 1,32
MB Vito Fazio Allmayer.png Vito Fazio Allmayer.png262 × 336; 196 KB
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italiani del XIII secolo (18 P) Categoria:Filosofi italiani ProfessoreFILOSOFIA DEL QUATTROCENTO
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secolo. Il titolo delle voci è nella forma Nome Cognome, ma qui sono
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AbanoAlano Alcadino Alderotti Acquasparta Aquino B Bonaventura-Fidanza
-- Boncompagno da Signa C Cavalcanti D Dino del Garbounder Garbo H Hillel ben
Samuel M Marca Michele da Cesena N Nicola di Otranto P Pelacani
PPrepositino R Romano Romano Categorie:
Filosofi del XIII secoloFilosofi italianiItaliani del XIII secolo Filosofi italiani del XIV secolo (25 P) Categoria:Filosofi
italiani ProfessoreJump to navigationJump to search Questa categoria raggruppa
le biografie di filosofi italiani del Trecento. Il titolo delle voci è nella
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italiani del XIV secolo|Cognome, Nome]]. Indice Inizio ‘Biografie
Biografie: di biografie Pagine nella categoria
"Filosofi italiani del XIV secolo" Questa categoria contiene le 25
pagine indicate di seguito, su un totale di 25. A Agostino da Norcia
Alano da Matera Giacomo Allegretti C Caterina da Siena Cecco d'Ascoli D
Giovanni da Casale Dino del Garbo Giovanni Dondi dell'Orologio G Giacomo da
Viterbo Giovanni da Ripa J Jacopo da Forlì M Francesco della Marca Marsilio da
Padova Michele da Cesena P Paolo da Venezia Antonio Pelacani Biagio Pelacani
Francesco Petrarca Pietro d'Abano R Gregorio da Rimini Egidio RomanoJudah ben
Moses Romano S Coluccio Salutati Categorie: Filosofi del XIV secoloFilosofi
italianiItaliani ProfessoreFilosofi italiani del XV secolo (33
P) Categoria:Filosofi italiani del XV secoloQuesta categoria raggruppa le
biografie di filosofi italiani del Quattrocento. Il titolo delle voci è nella
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Biografie Biografie: di
biografie Pagine nella categoria Filosofi italiani del XV secolo"
Questa categoria contiene le 33 pagine indicate di seguito, su un totale di
33. A Agostino da NorciaYohanan Alemanno D Dati Antonio De Ferraris E
Elia del Medigo F Giuliano Falciglia da
Salemi Bartolomeo Fallamonica Gentile Marsilio Ficino J Jacopo da Forlì
Giovanni Crisostomo Javèlli L Landino Lazzarelli Pierleone LeoniNiccolò Leonico
Tomeo M Machiavelli Malatesta Manfredi Marin Marliani Mosè ben Isaac da Rieti N
Nesi O Offredi P Paolo da Venezia Paolo della Pergola Aulo Giano Parrasio
Biagio Pelacani Giovanni Pico della Mirandola Pietro Pomponazzi S Salutati
Sasso V Vernia Z Zabarella Zanotti Zini Zimara Zolla Zorzi Zucca Zuccarelli
Categorie: Filosofi del XV secoloFilosofi italianiItaliani ProfessoreFilosofi
italiani del XVI secolo (94 P) Categoria:Filosofi italiani ProfessoreQuesta
categoria raggruppa le biografie di filosofi italiani del Cinquecento. Il
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Biografie Biografie: di
biografie Pagine nella categoria ‘"Filosofi italiani del XVI
secolo" Questa categoria contiene le 94 pagine indicate di seguito, su un
totale di 94. A Achillini Aconcio Alberti Amico Arrighetti B Bacci
Balduino Barsio Belleo Benedetto Bernardi Boccadiferro Bolano Botero Bottoni
Bruno Buonamici (1533-1603) C Cabeo Camilla Capra Cardano Catena Cattani da
Diacceto Colombe Cremonini Crispo D De Ferraris Del Monte Federico Delfino
Della Porta Delminio Diano E Egidio da Viterbo F Fabri Fallamonica Felice
Figliucci Fioretti Fracastoro G Galilei Gelli Gentili Grataroli J Javèlli
L Lagalla Leonico Luzzago
M Machiavelli Maggi Mazzoni Mercuriale Micalori Modio N Nifo Nizolio Nola O Oddi P Pace Pagani Parrasio Pace Pasini Passeri Patrizi Pellegrini
Persio Piccolomini Pomis Porzio Porzio Pucci Q Quattromani R Raimondi Rocco
Rosselli S Santorio Sasso Scala Scaligero Scarano Serra Simone Simoni Sirenio Speroni Steuco T Tafuri Tasso Telesio
Tomitano Turco U Unicorno V Vastarini Vieri Z Zabarella Zanotti Zimara Zini Zolla Zorzi Zucca ZuccarelliCategorie: Filosofi ProfessoreFilosofi
italiani Italiani Professore Filosofi italiani del XVII secolo (69
P) Categoria:Filosofi italiani ProfessoreQuesta categoria raggruppa le
biografie di filosofi italiani del Seicento. Il titolo delle voci è nella forma
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Indice Inizio
Biografie Biografie: di
biografie Pagine nella categoria "Filosofi italiani del XVII
secolo" Questa categoria contiene le 69 pagine indicate di seguito, su un
totale di 69. A Accarisi Accetto Apollinare Agresta Stefano degli Angeli
Filippo Arrighetti Elia Astorini B Ferruccio Baffa Trasci Giulio Cesare
Baricelli Bonaventura Belluto Cesare Benvenuti Giovanni Botero C Cabeo
CalopreseCampanella Caravita Certani delle Colombe Cornelio Cremonini Cutelli D Andrea Tommaso Del
Bene Della Porta Di Capua Diano Doria F Fabri Fardella Ferdinando Fioretti G Gagliardi Galilei Gentili Grimaldi L La Napola da Trapani Lagalla
Liceti Luzzago M Magni
Marchetti Marsili Mastri Mercuriale Messere Micalori P Pace Pace Pasini Piccolomini Porzio Q
Quattromani R Raguseo Raimondi Ricasoli Rucellai Rinaldini Rocco Rossi Rosso
Rusca S Santorio Antonio Serra
(economista) T Tommaso Tamburino Giovanni Battista Tolomei Ottavio Torricelli
Mario Trabucco U Giuseppe Unicorno V Giuseppe Valletta Giulio Cesare Vanini
Francesco Vastarini Giambattista Vico
Categorie: Filosofi del XVII secoloFilosofi italianiItaliani ProfessoreFilosofi
italiani del XVIII secolo (74 P) Categoria:Filosofi italiani ProfessoreJump to
navigationJump to search Questa categoria raggruppa le biografie di filosofi
italiani del Settecento. Il titolo delle voci è nella forma Nome Cognome, ma
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secolo|Cognome, Nome]]. Indice Inizio Biografie Biografie:
di biografie Pagine nella
categoria "Filosofi italiani del XVIII secolo" Questa categoria
contiene le 74 pagine indicate di seguito, su un totale di 74. A Maria
Gaetana Agnesi Giovanni Cristofano Amaduzzi Cosimo Amidei Niccolò Andria Chaim
Joseph David Azulai B Cesare Baldinotti Giuseppa Eleonora Barbapiccola Giuseppe
Battaglia Cesare Beccaria Gabriele Bonomo Matteo Borsa Gregorio Bressani Vito
Buonsanto C Tommaso Campailla Giuseppe Capocasale Nicola Caravita Giacomo
Casanova Nicola Codronchi Cosimo Alessandro
Collini Vincenzo Corrado Odoardo Corsini
D Francesco D'Andrea Vincenzo Maria D'Addiego Francesco Daniele Giovanni
Agostino De Cosmi Vincenzo De Filippis Ferrante de Gemmis GiovanniGualbertoDe
Soria Romualdo De Sterlich Melchiorre Delfico Paolo Mattia Doria Emanuele Duni
F Michelangelo Fardella Gaetano Filangieri G Domenico Gagliardi Antonio
Genovesi Pascasio Giannetti Pietro Giannone Costantino Grimaldi Domenico
Grimaldi Francescantonio Grimaldi (1741-1784) J Cataldo Jannelli L Isacco
Lampronti Francesco Longano Luigi Guido Grandi Mosè Luzzatto M Troilo Malipiero
Michelangelo Manicone Marco Mastrofini Filippo Mazzei O Giovanni Giuseppe
Origlia Paolino Luigi Ornato Giammaria Ortes P Francesco Mario Pagano
Alessandro Pascoli Francesco Paulucci di Calboli R Alberto Radicati di Passerano Gian Domenico
Romagnosi Tommaso Rossi (filosofo) S
Francesco Soave Nicola Spedalieri Francesco Maria Spinelli Troiano Spinelli
Jacopo Stellini T Girolamo Tartarotti Onofrio Tataranni Giambattista Toderini
Giovanni Battista Tolomei Giovanni Andrea Tria V Tommaso Valperga di Caluso
Pietro Verri Giambattista Vico W David Winspeare Z Francesco Maria Zanotti FilosofoFilosofi
del XVIII secoloItaliani ProfessoreFilosofi italiani del XIX secolo (143
P)
Categoria:Filosofi
italiani ProfessoreJump to navigationJump to search Questa categoria raggruppa
le biografie di filosofi italiani dell'Ottocento. Il titolo delle voci è nella
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[[Categoria:Filosofi italiani del XIX secolo|Cognome, Nome]].
Indice Inizio Biografie
Biografie: di biografie Pagine nella categoria
"Filosofi italiani del XIX secolo" Questa categoria contiene le 143
pagine indicate di seguito, su un totale di 143. A Giacomo Andrea Abbà
Francesco Acri Giambattista Ajello Giuseppe Allievo Giuseppe Amato Pojero
Niccolò Andria Andrea Angiulli Roberto Ardigò Emiliano Avogadro della Motta
Chaim Joseph David Azulai B Emanuele Barba Giacomo Barzellotti (filosofo)
Giuseppe Battaglia Francesco Bertinaria Francesco Bonatelli Cristoforo Bonavino
Diodato Borrelli Pasquale Borrelli Vincenzo Botta (accademico) Giovanni Bovio
Francesco Paolo Bozzelli Giuseppe Bozzetti Vito Buonsanto C Mario Calderoni
Giuseppe Capocasale Enrico Caporali Giuseppe Carle Antonio Catara Lettieri
Carlo Cattaneo Luigi Cerebotani Pietro Ceretti Alessandro Chiappelli Emilio
Chiocchetti Luigi Chitti Nicola Codronchi Ottavio Colecchi Cosimo Alessandro
Collini Angelo Conti Augusto Conti Simone Corleo Paolo Costa (poeta) Stefano
Cusani D Benedetto D'Acquisto Nicolò d'Alfonso Pasquale D'Ercole Vincenzo Maria
D'Addiego Tullio Dandolo Francesco Daniele Vincenzo De Grazia Angelo Camillo De
Meis Francesco De Sanctis Melchiorre Delfico F Giorgio Fano Lorenzo Fazzini
Guido Ferrando Giuseppe Ferrari (filosofo) Luigi Ferri (filosofo) Francesco
Fiorentino Francesco Fisichella G Celestino Galli Pasquale Galluppi Stanislao
Gatti Arcangelo Ghisleri Romualdo Giani Vincenzo Gioberti Cosmo Guastella J
Donato Jaja Gaetano Jandelli Vincenzo Julia Erminio Juvalta L Antonio Labriola
Nicola Lanzillotti Buonsanti Giacomo Leopardi Monaldo Leopardi Matteo
Liberatore Vincenzo Lilla M Giovanni Malfitano Troilo Malipiero Terenzio
Mamiani Giovanni Marchesini (filosofo) Raffaele Mariano Lorenzo Martini Filippo
Masci Marco Mastrofini Sebastiano Maturi Bonaventura Mazzarella Filippo Mazzei
Giuseppe Mazzini Domenico Mazzoni Luigi Miraglia (politico) Jacob Moleschott O
Francesco Orioli Luigi Ornato P Carlo Pagano Paganini Angelo Paggi Giambattista
Passerini Enrico Pessina Igino Petrone Giuseppe Pezzarossa Venceslao Pieralisi
Alfredo Poggi Baldassarre Poli Giorgio Politeo Francesco Puccinotti Sebastiano
Purgotti R Isacco Samuele Reggio Rodolfo Renier Eugenio Rignano Gian Domenico Romagnosi Ercole
Roselli Antonio Rosmini Emanuele Rossi (filosofo) S Defendente Sacchi Gaetano
Sanseverino Angelo Santilli Roberto Sava Mariano Semmola Pietro Siciliani
Serafino Sordi Bertrando Spaventa T Pietro Taglialatela Luigi Taparelli
d'Azeglio Giuseppe Tarantino Antonio Tari Onofrio Tataranni Alfonso Testa
Felice Tocco Giovanni Torlonia (poeta) Cesare Tragella Lorenzo Trincheri Paolo
Emilio Tulelli Giovanni Battista Tuveri V Giovanni Vailati Tommaso Valperga di
Caluso Icilio Vanni Bernardino Varisco Gioacchino Ventura Augusto Vera Pio
Viazzi Tito Vignoli W David Winspeare Z Zabarella Zanotti Zimara Zini Zolla
Zorzi Zucca Zuccarelli Categorie: Filosofi ProfessoreFilosofi italiani Italiani ProfessoreFilosofi italiani del XX
secolo (546 P) Categoria:Filosofi italiani ProfessoreQuesta categoria raggruppa
le biografie di filosofi italiani del Novecento. Il titolo delle voci è nella
forma Nome Cognome, ma qui sono ordinate alfabeticamente per cognome.
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[[Categoria:Filosofi italiani del XX secolo|Cognome, Nome]]. Pagine nella
categoria "Filosofi italiani del XX secolo" Questa categoria contiene
le 200 pagine indicate di seguito, su un totale di 546. (pagina
precedente) (pagina successiva) A Nicola Abbagnano Alfredo Acito Francesco
Adorno Giorgio Agamben Emilio Agazzi Evandro Agazzi Francesco Albergamo Mario Albertini (filosofo) Vittorio Enzo Alfieri
Luigi Alici Antonio Aliotta Giuseppe Allievo Filippo Amantea Mannelli Giuseppe
Amato Pojero Luigi Ambrosoli Romano Amerio Luciano Anceschi Dario Antiseri
Carlo Antoni Vladimiro Arangio-Ruiz Salvatore Arcidiacono Roberto Ardigò Diego
Are Francesco Armetta Rosario Assunto B
Giovanni Romano Bacchin Nicola Badaloni (politico 1924) Claudio Baglietto
Felice Balbo Massimo Baldini (filosofo) Antonio Banfi Adelchi Baratono Pietro
Barcellona Giovanni Emanuele Barié Flavio Baroncelli Francesco Barone Giuseppe
Barone (presbitero) Giuseppe Barzaghi Giacomo Barzellotti (filosofo) Felice
Battaglia Adriano Bausola Emiliano Bazzanella Giuseppe Bedeschi Ermanno
Bencivenga Carmine Benincasa Franco Berardi Camillo Berneri Enrico Berti Carlo BiancoNorberto Bobbio Alberto
Boccanegra Remo Bodei Francesco Bonatelli Edoardo Boncinelli Giovanni Boniolo
Andrea Bonomi (filosofo) Gustavo Bontadini Massimo Bontempelli (storico)
Claudio Bonvecchio Giovanni Bottiroli Giuseppe Bozzetti Pier Augusto Breccia
Alberto BurgioC Massimo Cacciari Giuseppe Cacciatore Lamberto Caffarelli Andrea
Caffi Mario Calderoni Guido Calogero Angelo Ermanno Cammarata Riccardo Campa
Riccardo Campa (sociologo) Remo Cantoni Aldo Capitini Antonio Capizzi Giuseppe
Capograssi Enrico Caporali Vincenzo Cappelletti Pantaleo Carabellese Alberto
Caracciolo Santino Caramella Pietro Caramello Ennio Carando Cleto Carbonara
Mauro Carbone Massimo Carboni (storico dell'arte) Gianni Carchia Domenico
Antonio CardoneRoberto Carifi Giuseppe Carle Armando Carlini Peter Carravetta
Paolo Casalegno Roberto Casati Paolo Casini Mario Casotti Enrico Castelli
Emanuele Castrucci Giuseppe Catalfamo Mario Alessandro Cattaneo Stefano Catucci
Gian Mario Cazzaniga Silvio Ceccato Carlo Cellucci Tito Centi Luigi Cerebotani
Guido Ceronetti Furio Cerutti Claudio Cesa Widar Cesarini Sforza Placido
Cherchi Alessandro Chiappelli Nicola Chiaromonte Gaetano Chiavacci Emilio
Chiocchetti Pietro Chiodi Michele Ciliberto Felice Cimatti Nicola Coco Giovanni
Colazza Lucio Colletti Giorgio Colli Giuseppe Colombo (filosofo) Pio Colonnello
Eugenio Colorni Amedeo Giovanni Conte Angelo Conti Siro Contri Gilberto
Corbellini Roberto Cordeschi Alessandro Cortese Luigi Corvaglia Giovanni Cosi
Giorgio Cosmacini Mirio Cosottini MarioCosta (filosofo) Girolamo Cotroneo Sergio Cotta Angelo Crespi
(filosofo) Benedetto Croce Corrado Curcio Umberto Curi D Francesco D'Agostino Nicolò d'Alfonso Pasquale D'Ercole Paolo
D'Iorio Domenico D'Orsi Mario Dal Pra Carlo Dalla Pozza Gianfranco Dalmasso
Mario De Caro Pierpaolo De Giorgi Raffaele De Giorgi Biagio De Giovanni Paolo
de Lalla Girolamo de Liguori Luigi De Marchi (psicologo) Ernesto de Martino
Guido De Ruggiero Francesco De Sarlo Riccardo Del Giudice Augusto Del Noce
Giorgio Del Vecchio Galvano della Volpe Antonio Delogu Tommaso Demaria Duccio
Demetrio Fabrizio Desideri Giuliano Di Bernardo Michele Di Francesco Giuseppe
Di Giacomo Mauro Di Giandomenico Antonio Di Noto Carlo Diano Roberto Dionigi
Beppino Disertori Francesco Saverio Dòdaro Massimo Donà Pierpaolo Donati Gillo
Dorfles Luciano Dottarelli (pagina
precedente) (pagina successiva) Categoria:Filosofi italiani ProfessoreJump
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italiani del Novecento. Il titolo delle voci è nella forma Nome Cognome, ma qui
sono ordinate alfabeticamente per cognome. Icons8 flat alphabetical
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categorizzare la voce inserendo: [[Categoria:Filosofi italiani del XX
secolo|Cognome, Nome]]. Pagine nella categoria "Filosofi italiani del XX
secolo" Questa categoria contiene le 200 pagine indicate di seguito, su un
totale di 546. (pagina precedente) (pagina successiva) D Giuseppe Duso E
Umberto Eco Andrea Emo Federigo Enriques Carlo Enzo Roberto Esposito Julius
Evola F Cornelio Fabro Giuseppe Faggin Angelo Falzea Giorgio Fano Guido Fassò
Vito Fazio Allmayer Franco Fergnani Aldo Ferrabino Guido Ferrando Maurizio
Ferraris Paolo Filiasi Carcano Vincenzo Filippone-Thaulero Paolo Flores
d'Arcais Luca Fonnesu Dino Formaggio Giovanni Fornero Raffaello Franchini
Giorgio Renato Franci Elio Franzini Marcello Frixione Vittorio Frosini G
Salvatore Gaetani Romano Galeffi Umberto Galimberti Gallo Galli Albino Galvano
Giuseppe Tommaso Gangale Aldo Gargani Eugenio Garin Emilio Garroni Stefano
Garroni Rino Genovese (filosofo)
Giovanni Gentile Marino Gentile Valentino Gerratana Ludovico Geymonat Morris
Lorenzo Ghezzi Arcangelo Ghisleri Sossio Giametta Niccolò Giani Romualdo Giani
Gabriele Giannantoni Giovanni Giraldi Giulio Girardi Giuseppe Girgenti Armando
Girotti Lorenzo GiussoSergio Givone Piero Gobetti Cesare Goretti Gino Gori
(scrittore) Antonio Gramsci Ernesto Grassi (filosofo) Leonardo Grassi Tullio
Gregory Tonino Griffero Cosmo Guastella Armanda Guiducci Marco Guzzi Augusto
Guzzo H Vittorio Hösle I Alfonso
Maurizio Iacono Nunzio Incardona J Donato Jaja Gaetano Jandelli Domenico
Jervolino Alberto Jori Erminio Juvalta L Adolfo L'Arco Eustachio Paolo Lamanna
Gian Franco Lami Sergio Landucci Lanza del Vasto Eugenio Lecaldano Bruno Leoni
Alessandro Levi Ludovico Limentani Giuseppe Limone Antonio Livi Santi Lo
Giudice Franco Lombardi Luigi Lombardi Vallauri Giuseppe Lombardo Radice Mario
Giuseppe Losano Domenico Losurdo Carlo Lottieri Roberto Luca Cesare Luporini M
Romano Madera Sebastiano Maffettone Giovanni Malfitano Maurizio Mamiani Italo
Mancini (filosofo) Corrado Mangione Massimo Marassi Giovanni Marchesini
(filosofo) Roberto Marchesini Vittore Marchi Diego Marconi Raffaele Mariano
Gerardo Marotta Giacomo Marramao Michele Martelli Piero Martinetti Filippo
Masci Giuseppe Masi Armando Massarenti Arturo Massolo Aldo Masullo Elio Matassi
Vittorio Mathieu Walter Maturi Carlo Mazzantini (filosofo) Eugenio Mazzarella
Enzo Melandri Virgilio Melchiorre Nicolao Merker Stefano Miccolis Carlo
Michelstaedter Bruno Misefari Francesco Moiso Battista Mondin Rodolfo Mondolfo
Pietro Montani Mazzino Montinari Michele Moramarco Sergio Moravia Roberto
Mordacci Raffaele Morelli Giampiero Moretti Teodorico Moretti Costanzi Maurizio
Mori Stefano Moriggi Guido Morpurgo-Tagliabue Matteo Motterlini Cesare Musatti
Marcello Mustè N Sandro Nannini Bruno Nardi Salvatore Natoli Antimo Negri Toni
Negri Guido Davide Neri Michele Nicoletti Mario Novaro Renzo Novatore O Corrado
Ocone Francesco Olgiati Marco Maria Olivetti Enrico Opocher Francesco Orestano
Carmelo Ottaviano P Enzo Paci Umberto Antonio Padovani Antonino Pagliaro
Giuseppe Panella Sergio Panunzio Silvano Panunzio Fulvio Papi Luigi Pareyson
Luciano Parinetto Paolo Parrini Fortunato Pasqualino Giangiorgio Pasqualotto
Alessandro Passerin d'Entrèves Annibale Pastore Rossano Pecoraro Antonino
Pennisi Marcello Pera Mario Perniola Ugo Perone Igino Petrone Mario Pezzella
(pagina precedente) (pagina successiva) Categorie: Filosofi del XX
secoloFilosofi italianiItaliani del XX secoloCategoria:Filosofi italiani ProfessoreJump
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italiani del Novecento. Il titolo delle voci è nella forma Nome Cognome, ma qui
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secolo|Cognome, Nome]]. Pagine nella categoria "Filosofi italiani del XX
secolo" Questa categoria contiene le 146 pagine indicate di seguito, su un
totale di 546. (pagina precedente) (pagina successiva) P Giovanni
Piana Antonio Pigliaru Massimo Pigliucci
Pietro Piovani Vincenzo Pirro Claudio E. A. Pizzi Alessandro Pizzorno Armando
Plebe Alfredo Poggi Neri Pollastri Giuliano Pontara Augusto Ponzio Vittorio
Possenti Riccardo Pozzo Giuseppe Prestipino (filosofo) Giulio Preti Costanzo
Preve Pietro Prini Giorgio Prodi Michele Prospero Giorgio Punzo Q Cosimo Quarta
R Giulio Raio Giovanni Reale Arturo Reghini Umberto Regina Giuseppe Rensi
Eligio Resta Franco Restaino Franco Ricordi Stefano Righetti Eugenio Rignano
Armando Rigobello Ezio Riondato Emanuele Riverso Franco Rodano Bruno Romano
Gino Roncaglia (filosofo) Rocco Ronchi Mariano Rosati (filosofo) Carlo Rosselli
Nello Rosselli Achille Rossi Mario Manlio Rossi Paolo Rossi Monti Pietro Rossi
(filosofo) Ferruccio Rossi-Landi Gian-Carlo Rota Amedeo Rotondi Pier Aldo
Rovatti Giuseppe Rovella Nicola Ruffolo Enrico RutaS Calogero Angelo Sacheli
Giuseppe Saitta Emanuele Samek Lodovici Antonio Santucci (filosofo) Ubaldo
Sanzo Antonio Sarno Gennaro Sasso Eugenio Scalfari Luigi Scaravelli Uberto
Scarpelli Giuseppe Maria Sciacca Michele Federico Sciacca Giuseppe Semerari
Emanuele Severino Manlio Sgalambro Corrado Simioni Carlo Sini Gioele Solari
Giacomo Soleri Vittorio Somenzi Sergio Sorrentino Ugo Spirito Franco Spisani
Giampiero Stabile Luigi Stefanini Federico Stella T Luca Taddio Silvano
Tagliagambe Pietro Taglialatela Andrea Tagliapietra Filippo Tarantino Giuseppe
Tarantino Adriano Tilgher (filosofo) Roberto Giovanni Timossi Francesco Tomatis
Giuliano Toraldo di Francia Cesare Tragella Agostino Trapè Renato Treves
Erminio Troilo Mario Tronti Carlo Tullio-Altan David Maria Turoldo U Pietro
Ubaldi (filosofo) V Giuseppe Vacca (storico) Giuseppe Vaccarino Salvo Vaccaro
Italo Valent Valerio Valeri (antropologo) Paolo Valore Icilio Vanni Marco
Vannini (filosofo) Bernardino Varisco Achille Varzi (filosofo) Andrea Vasa
Nicla Vassallo Gianni Vattimo Salvatore Veca Massimo Vedovelli Federico
Vercellone Armando Verdiglione Luigi Veronelli Anacleto Verrecchia Carlo
Augusto Viano Pio Viazzi Carmelo Vigna Tito Vignoli Piero Viotto Paolo Virno
Maurizio Viroli Vincenzo Vitiello Franco Volpi (filosofo) Arnaldo Volpicelli
Franco Voltaggio Z Giorgio Zamboni Giuseppe Zamboni (filosofo) Adelino Zanini
Stefano Zecchi Zino Zini Elémire Zolla Antioco Zucca (pagina precedente)
(pagina successiva) Categorie: Filosofi del XX secoloFilosofi italianiItaliani
del XX secoloCategorie: Filosofi del
XX secoloFilosofi italianiItaliani ProfessoreFilosofi italiani del XXI secolo
(294 P)
Categoria:Filosofi
italiani ProfessoreJump to navigationJump to search Il titolo delle voci è
nella forma Nome Cognome, ma qui sono ordinate alfabeticamente per
cognome. Icons8 flat alphabetical sorting az.svg Se si utilizza il
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contrario, per ordinare per cognome, occorre categorizzare la voce inserendo:
[[Categoria:Filosofi italiani del XXI secolo|Cognome, Nome]]. Questa categoria
raggruppa le biografie di filosofi italiani del XXI secolo. Manca Umberto
Curi Pagine nella categoria "Filosofi italiani del XXI secolo"
Questa categoria contiene le 200 pagine indicate di seguito, su un totale di
294. (pagina precedente) (pagina successiva) A Ferdinando Abbri Francesco
Adorno Giorgio Agamben Evandro Agazzi Luigi Alici Dario Antiseri Antonio
Carulli Daniele Archibugi Leonardo Vittorio Arena Francesco Armetta B Nicola
Badaloni (politico 1924) Massimo Baldini (filosofo) Pietro Barcellona Giuseppe
Barzaghi Emiliano Bazzanella Paolo Becchi Carmine
Benincasa Sergio Benvenuto Enrico Berti Francesco Berto Gianluca Bocchi Remo
Bodei Edoardo Boncinelli Giovanni Boniolo Andrea Bonomi (filosofo) Massimo
Bontempelli (storico) Claudio Bonvecchio Giovanni Bottiroli Alberto Burgio C
Massimo Cacciari Leonardo Caffo Mauro Carbone Massimo Carboni (storico
dell'arte) Peter Carravetta Paolo Casalegno Roberto Casati Paolo Casini
Emanuele Castrucci Mario Alessandro Cattaneo Stefano Catucci Gian Mario
Cazzaniga Carlo Cellucci Tito Centi Guido Ceronetti Mauro Ceruti Furio Cerutti
Claudio Cesa Placido Cherchi Michele Ciliberto Felice Cimatti Lucio Colletti
Giuseppe Colombo (filosofo) Pio Colonnello Amedeo Giovanni Conte Gilberto
Corbellini Roberto Cordeschi Alessandro Cortese Giovanni Cosi Giorgio Cosmacini Mirio Cosottini Mario Costa (filosofo) Girolamo
Cotroneo D Francesco D'Agostino Paolo D'Iorio Carlo Dalla
Pozza Mario De Caro Pierpaolo De Giorgi Raffaele De Giorgi Biagio De Giovanni
Paolo de Lalla Girolamo de Liguori Luigi De Marchi (psicologo) Antonio Delogu
Duccio Demetrio Fabrizio Desideri Giuliano Di Bernardo Michele Di Francesco
Giuseppe Di Giacomo Francesco Saverio Dòdaro Igino Domanin Massimo Donà Piergiorgio Donatelli Luciano
Dottarelli Giuseppe Duso E Umberto Eco Carlo Enzo Roberto Esposito F Angelo
Falzea Vito Fazio Allmayer Franco Fergnani Federico Ferrari Maurizio Ferraris
Giovanni Ferretti (filosofo) Roberto Fineschi Paolo Flores d'Arcais Luciano
Floridi Luca Fonnesu Giovanni Fornero Giorgio Renato Franci
VUtente:FranRossetti/Sandbox Elio Franzini Marcello Frixione Vittorio Frosini G
Umberto Galimberti Aldo Gargani Rino Genovese (filosofo) Lorenzo Ghezzi
Vladimiro Giacché Sossio Giametta Enrico Giannetto Giulio Giorello Giovanni
Giraldi Giulio Girardi Giuseppe Girgenti Armando Girotti Sergio Givone Tullio
Gregory Tonino Griffero Marco Guzzi H VittorioHösle I Alfonso Maurizio Iacono Lorenzo Infantino J Domenico Jervolino Alberto
Jori L Gian Franco Lami Sergio Landucci Eugenio Lecaldano Giuseppe Limone Antonio Livi Santi Lo Giudice Luigi Lombardi Vallauri Domenico Losurdo Carlo
Lottieri Roberto Luca M Romano Madera Sebastiano Maffettone Gianluca Magi
Lorenzo Magnani Corrado Mangione Mauro Mantovani Massimo Marassi Roberto
Marchesini Diego Marconi Gerardo Marotta Giacomo Marramao Michele Martelli
Michela Marzano Armando Massarenti Aldo Masullo Elio Matassi Walter Maturi
Marco Maurizi Eugenio Mazzarella Nicolao Merker Francesco Moiso Pietro Montani
Michele Moramarco Sergio Moravia Roberto Mordacci Raffaele Morelli Giampiero
Moretti Maurizio Mori Stefano Moriggi Matteo Motterlini Marcello Mustè N Sandro
Nannini (pagina precedente) (pagina successiva) FilosofoFilosofi del XXI
secoloItaliani ProfessoreI Immagini di filosofi italiani (5 C, 5 F)
Categoria:Immagini di filosofi italiani Jump to navigationJump to search
Sottocategorie Questa categoria contiene le 5 sottocategorie indicate di
seguito, su un totale di 5. B Immagini di Norberto Bobbio (4 F) C
Immagini di Benedetto Croce (7 F) G Immagini di Giovanni Gentile (7 F)
Immagini di Piero Gobetti (2 F) R Immagini di Carlo Rosselli (2 F) File nella
categoria "Immagini di filosofi italiani" Questa categoria contiene 5
file, indicati di seguito, su un totale di 5. Rosario Assunto.jpg Rosario
Assunto.jpg 580 × 480; 33 KB Guido Ceronetti.jpg Guido
Ceronetti.jpg 457 × 828; 46 KB Geymonat.jpg Geymonat.jpg 293 × 396;
62 KB Piero Martinetti.jpeg Piero Martinetti.jpeg 140 × 171; 5
KB Roberto Dionigi.jpg Roberto Dionigi.jpg 170 × 267; 42 KBFilosofoImmagini
di filosofi
一
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Neri Pollastri Augusto Ponzio Vittorio Possenti Riccardo Pozzo Giuseppe
Prestipino (filosofo) Costanzo Preve Michele ProsperoQ Cosimo Quarta Riccardo Quinto
R Giulio Raio Giovanni Reale Umberto
Regina Eligio Resta Franco Ricordi Stefano Righetti Armando Rigobello Francesca Rigotti Bruno Romano Gino Roncaglia
(filosofo) Rocco Ronchi Achille Rossi Gian Enrico Rusconi S Ubaldo Sanzo
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Sergio Sorrentino Davide Sparti Federico Stella T Luca Taddio Silvano
Tagliagambe Andrea Tagliapietra Filippo Tarantino Fulvio Tessitore Roberto
Giovanni Timossi Francesco Tomatis Mario Tronti V Giuseppe Vacca Giuseppe Vaccarino Salvo Vaccaro Italo Valent
Paolo Valore Marco Vannini (filosofo) Achille Varzi (filosofo) Nicla Vassallo
Gianni Vattimo Massimo Vedovelli Mario Vegetti Federico Vercellone Armando
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Vincenzo Vitiello Z Giorgio Zamboni Adelino Zanini Stefano Zecchi (pagina
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secoloRefs.: Luigi Speranza, “Grice in Italia.” Name index: AbanoPietaroD’ Abbà Abbagnano
Abbri Accarisi Accetto Achillini Acito Aconzio Acquasparta AcquistoD’ Acri AddiegoD’ Adorno Agamben AgazziEmilio AgazziEvandro AgostinoD’ Agresta Ajello Albergano Alberti Alberti Albertini Alderotti AlemannoY Alfieri AlfonsoD’ Alici Alighieri Aliotta Allegretti Allievo Allmeyer-Fazio Altan –Tullio-Altan Amaduzzi Amantea Ambrosolini Amerio Amidei Anuco Amidei Anceschi Andrea Andina AndreaD’ Andria AngeliStefanoDegli Angiulli Annunizo Antiseri Antoni Appolinare Aquino Arangio-Ruiz Arcais ArcoL’Archibugi Arcidiacono Ardigò Are Arena Arimino(Gregorio
da) Armetta Arrighetti Assunto Astorini Aurelio Austin, J. L. Azulai B Bacchin Bacci Badaloni Baffa Baglietto Balbo Baldini Baldinotti Balduino Banfi Baratono Barba Barbaro Barcellona Barié Baricelli Barlaam
Baroncelli BaroneF BaroneG Barsio Bartoli Barzaghi Barzellotti Battaglia Bausola Bazzanella Beccaria Becchi Bedeschi Belleo Belloni
Belluto Bencivenga BeneDel Benedetto Benincasa Benvenuti Benvenuto Benardi Bernardi BernardoDi Berneri Berti Berto Bertinaria Bianco Bobbio Boccadiferro Boccanegra Bocchi Bodei
Boella Bolano Bonatelli Bonavino Boncinelli Boniolo Bonomi Bonomo Bontadini
Bontempelli Bonvecchio BorrelliD BorrelliP Borsa Botero Botta Bottirolli Bottoni Bovio Bozzelli Bozzetti Brandalise Breccia Bressani Brunetto
Latini Bruni Bruno Buonamici Buonsanti Buonsanto Burgio Buttiglione Cabeo Cacciari Cacciatore Caffarelli Caffi Caffo
Calderoni Calogero Caloprese Cambria Camilla Cammarata CampaR CampaR
Campailla Campanella Cantoni Capitini Capizzi Capocasale Capograssi
Caporali Cappelletti Capra CapuaDi Carabellese Caracciolo Caramella Caramello Carando Caravita Carbonara Carbone Carboni Carchia Cardano Cardia Cardone
Carifi Carle Carlini CaroDe Carravetta Carulli CasaleGiovanniDa Casalegno Casanova
Casati Casini Casotti Castelli Castrucci Catalfano CataraLetieri Catena CattaneoMario
CattaneoC CattaniDaDiacceto Catucci Cavalcanti Cavalieri Cavallo Cazzaniga Ceccato
Cedroni Cellucci Centi Centofanti
Cerebotani Ceretti Ceronetti Cerroni Certani Ceruti Cerutti Cervi Cesa Cesarini-Sforza
CesenaMicheleDa Cherchi Chiappelli Chiaromonte Chiocchetti
Chiavacci Chiocchetti Chiodi Chitti Cicerone Ciliberto Cimatti Cione Coco Codronchi
Colazza ColecchiColletti Colli ColliniCosimo ColombeDelle Colombo Colonnello Colorni
Conte Contestabile ContiAngelo ContiAugustoContri Corbellini Cordeschi Corleo
Cornelio Corrado Corsini Cortese Corvaglia Cosi Cosmacini CosimoCollini? CosmiDe
Cossottini Costa Costa (the second) Cotroneo
Cotta Credaro Cremonini Crespi Crispo Croce CurcioCorrado Curi Cusani Cutelli D Dalmasso
Dandolo Daniele D’Annunzio/Annunzi Dati DelficoM DelfinoFederico Delia Delminio
Delogu Demaria DemetrioDuccio Desideri Diano Dion Dionigi Disertori Dodaro
Domanin Donà Donatelli Donati Dondi Dorfles Doria Dottarelli
Duni Duso E Eco Egidio da Viterbo Emiliani Emo EmpedocleAgrigento Enriques EntrèvesAPasserinD’
Enzo Epifanio Epicoco ErcoleD’ Esposito Evola Fabri Fabro Faggin Fardella FalcigliadaSalemiG
FallarmonicaB Falzea Fano Fassò Fazio-Allmayer Fazzini Felice FerdinandoFioretti
Fergnani Ferrabino Ferrando Ferrari Ferraris FerrarisDe Ferretti Ferri Ficino Fidanza Figliucci Filangieri Filiasi Filipone-Thaulero
FillipisDe Fineschi Fiormonte Fiorentino
Fioretti Fisichella Floridi Fonnesu Fornero ForlìJacopoDa Formaggio Fornari Fracastoro FrancescoDi Franchini Franci Franzini Frixione
Frontino Frosini Fusaro G Gaetani Gagliardi Galeffi Galiani Galilei Galimberti GalliGallo
Galli Gallo Galluppi Galvano Gangale GarboDinoDel Gargani Garin GarroniEmilio GarroniStefano
Gatti Gelli GemmisDe Genovese Genovesi Gentile
GentileMarino Gentili Gerratana Geymonat Ghezzi Ghisleri Giacché Giacomo GiacomoDi GiandomenicoDi
Giametta Giamnetti GianiN GianiR Giannantoni Giannetto Giannone Gioberti Gioia Giorello Giorgi GiorgiDePiierPaolo
GiorgiDeRaffaele GiovanniDeBiagio Giraldi Girardi Girgenti Girotti Giudice
GiudiceDel GiudiceLo Giuliano-Di-Bernardo Giuliani Giussani Giusso Givone Gobetti Gobbo Gonnella Goretti Gori Gramsci Grandi GrassiErnesto GrassiL Grataroli
GraziaDe Gregorio-da-Rimini GregorioIlGrande Gregory Grice, H. P. Griffero GrimaldiC GrimaldiD GrimaldiF Gruppi Guastela Guicciardini Giuducci Guzzi Guzzo H Hampshire, S. N. Hare,
R. M. Hart, H. L. A. Hillel ben Samuel Hösle Iacono Illuminati Incardona
Infantino IorioD’J Jaja Jammelli Jadelli Jerocades Jervolino Javèlli Jori Julia Juvalta
Labriola Lagalla LallaDe Lamanna Lami Lampronti Landi (Rossi-Landi) Landino
Landucci Lanza(vVasto) LanziolottiBuonsanti LazzarelliLudovico Lecaldano Leon Leoni Leonico LeopardiG LeopardiM Levi Letieri
Liberatore Liceti LiguoriDe Lilla Livi Limentani
Limone Lodovici-Samek- Lombardi Lombardo
Longano Losano Losurdo Lottieri Luca Lucrezio Luporini Luzzago Luzzatto
Machiavelli Madera Maffetone Magalotti Maggi Magi Magnani Magni Maistre Malatesta Malfitano Malipiero Mamiani (Rovere)
Mamini (v. Rovere) Mancini Mangione
Manfredi Manicone ManneliFilippoAmantea Mantovani Marassi Marca MarcaFrancDella
MarchesiniG MarchesiniR Marchetti Marchi MarchiDe Marconi Mariano Marin
Marliani Marotta Marramao Marsili Marsilio
MarsilioPadova Martelli Martinetti Martini Martino MartinoDe Marzano Masci Masi Massarenti Mastri Massolo Mastrofini Masullo Matassi MateraAlanoDa Mathieu Matteo d'Acquasparta Maturi Maurizi Mazzantini Mazzarella Mazzei Mazzini Mazzoni MedigoEliaDel MeisDe Melandri Melchiorre
Melli Mercuriale Merker Messere Micalori Miccoli Miccolis Michelstaedter Mieli Miglio Miraglia Misefari Modio Moiso Moleschott Mondin Mondolfo Montani MonteDel Montefoschi Montinari Monti-Rossi-Monti Moramarco Moravia
Mordacci Mordecai Morelli MorettiG MorettiTCostanzi? MoriMaurizio? Moriggi Morburgo(v.Tagliabue)
MottaDellaAvogadro Motterlini Musatti Mustè N Nannini NapolaLaDaTrapani Nardi
Natoli NegriA NegriT Neri Nesi Nicoletti
Nifo Nizolio Noce NoceDel Nola NorciaAgostinoDa NotoDi Novaro Novatore Nowell-SmithH. O Ocone Oddi Offredi Olgiati
Olivetti Opocher Ordine Orestano Origlia Orioli Ornato OrsiD’ Ortes OtrantoNicolaDi Ottaviano P Pace Pace Paci PadovaMarsilioDa Padovani Pagani Paganini Pagano
Paggi Pagliaro Palazzani Panella PanunzioSergio PanunzioSilvano Paolo da
Venezia Papi Paravia Pareyson Parinetto Parrasio Parrini
Pascoli Pasini Pasqualino Pasqualotto
Passavanti Passeri Passerini Pastore Patrizi PaulucciDiCalboli Peano Pears, D.
F. Pecoraro PelacaniAntonio
PelacaniBagio Pellegrini Pennisi Pera Peregalli
PergolaPaoloDella Perniola Perone Persio Pessina Petrarca Petrone Pezzarossa Pezzella Piana Piccolomini
Pico Pico Pieralisi Pievani Pigliaru Pigliucci Piovani Pirandello Pirro Pitagora
(Crotone) Pizzi Pizzorno Plebe Poggi PojeroGiusAmato Poli Politeo
Pollastri Pomis Pontara Ponzio Pomponazzi Ponte (DaPonte) Ponzio Porta Porzio Porzio PortaDella Possenti Pozzo PozzaDalla PraDal Prepostino Prestipino Preti
Preve Prini Prodi Prospero Pucci Puccinotti Punzo Purgotti Q Quarta Quattromani
Quinto R RadicatiDiPasser Raguseo Raimondi Raio Reale Reggio Reghini
Regina Renier Rensi Resta Restaino
Ricasoli RietaMosèbIDa Rignano
Ricordi Righetti Rignano Rigobello RiminiGregorioDa Rinaldini Riondato RipaGiovanniDa Riverso Rocco Rodano Romagnosi RomanoBruno RomanoJudahbM RomanoEgidio
Roncaglia RonchiRocco Rosatti Roselli Rosmini RosselliC RosselliN Rossetti RossiA RossiM RossiP Rosso Rota Rotondi Rovatti Rovatti Rovella Rovere Rucellai
Ruffolo RuggieroDe Rusca Rusconi Ruta S Sacchi Sacheli Saitta Salutati Samek Samek
SanctisDe Sanseverino Santilli Santorio
Santucci Sanzo SarloDe Sarno Sasso Sava Scala Scalfari
Scaligero (Bordon) Scarano Scaravelli Scarpelli SciaccaG SciaccaM Schinella
Scupoli Selvatico Semerari Semmola Senone (Velia) Serra Settara Severino Sforza-CesariniSforza Sgalambro Siciliani SignaBoncompagno Simioni Simone Simoni Sini SiracusaAlcaldino Sirenio Soave Solari Soleri Somenzi
SordiSerfaino SoriaDe Sorrentino Spadaro Sparti Spaventa Spedalieri Speranza Speroni SpinelliF SpinelliT Spirito Spisani Stabile Stefanini
Stella Stellini Sterlich Steuco
StrawsonF. Szecchi T Taddio Tagliabue Tagliagambe Taglialatela Tagliapietra
Tamburino Tafuri TaparelliD’Azeglio TarantinoF TarantinoG Tartarotti Tataranni
Tari Tasso Telesio Tessitore Testa Tilgher
Timossi Tincani Tocco Toderini Tolomei Tomatis TomeoNLeonico Toraldo-di-Francia
Tomitano Tornolia Torricelli Trabucco Tragella Trapè Treves Tria Trincheri Trissino Troilo Tronti Tulelli Turco Turoldo Tuveri U Ubaldi Unicorno
Urmson, J. O. Vacca Vaccarino Vaccaro Vailati Valent Valentino Valeri Vallauri-LuigiLombardi
Valletta Valore ValpergaDiCaluso Vanini Vanni Vannini Varisco Varrone Varzi Vasa Vasallo(Nicla) Vastarini Vasto
(LanzaDelVasto) Vattimo Veca Vecchio VecchioDel Vegetti Vedovelli Venanzio VeneziaPaoloDa
Ventura Vera Vercellone Verdiglione
Vernia Veronelli Verrecchia Verri Viano Viazzi Vico (n. Napoli) Vieri Vigna
Vignoli Viotto Virno Viroli Cavalieri? ViterboEgidioDa
ViterboGiacomoDa Vitiello Vincenzo? VolpeDella Volpi Volpicelli Voltaggio W Warnock, G. J.Winspeare
Z Zabarella ZamboniGio ZamboniGiu Zanini
Zanotti Zecchi Zimara Zini Zolla Zorzi Zucca Zuccarelli.
abbà:
Grice:
“He is a great interpreter of Locke; in a country that needs that!” -- giacomo andrea abbà (n.
Farigliano), filosofoallievo di Benone, gli succedette nella cattedra di metafisica a Torino. Partendo dalla filosofia di Locke, ritiene
che i dati empirici forniti dall'esperienza siano alla base della conoscenza
umana, ma che le idee si formino attraverso un'elaborazione di questi elementi
empirici da parte dell'anima umana, che utilizza categorie logiche indipendenti
dall'esperienza. Abbà entrò in polemica con Rosmini a proposito del suo “Saggio
sull'origine delle idee” mettendo in dubbio la veridicità del suo sistema.
Rosmini controbatté alle critiche nel Diario filosofico di Adolfo, VII,
G.A.A.(pubblicato in Riv. rosminiana, III [1908], 1-8).
Elementa logices et metaphysices, Taurini, Stamperia reale, Delle
cognizioni umane: trattato del teol.o coll.o Abbà, Torino, Canfari. Lettere a
Filomato sulle credenze primitive e sulla filosofia sino a Socrate scritte dal
teologo coll.o Abbà, Torino, Canfari. G. Capone Braga, La filosofia fitaliana
del Settecento, Padova,Francesco Corvino, ABBÀ, Giacomo Andrea, in Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Filosofia.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Abba,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice,
Liguria, Italia.
abbagnano: Essential, idealist
Italian philosopher, famouos for his “Dizionario di filosofia,”“which alas, has
no entry fro ‘implicatura.’”Grice. Abbagnano also wrote an interesting history
of philosophy, and is regarded as an idealist, alla Oxonian-favoured Croce. Nicola Abbagnano (n.
Salerno), filosofo. Laureatosi in filosofia a Napoli con Antonio Aliotta,
insegna dapprima al Liceo Umberto I ed all'Istituto Superiore di Magistero
"Suor Orsola Benincasa" del capoluogo campano, per poi trasferirsi
all'Torino dove è Professore di Storia della filosofia prima presso la Facoltà
di Magistero, poi presso quella di Lettere e Filosofia; è condirettore, a fianco
di Norberto Bobbio, della Rivista di filosofia; è stato ispiratore del gruppo
di intellettuali e filosofi, comprendente, tra gli altri, lo stesso Bobbio e
Ludovico Geymonat, che prende il nome di "neoilluminismo italiano",
organizzando una serie di convegni rivolti alla costruzione di una filosofia
"laica", aperta ai principali orientamenti del pensiero filosofico
internazionale. Collabora con il quotidiano La Stampa; si trasferisce poi a
Milano dove collabora con Il Giornale di Indro Montanelli e dove viene eletto
consigliere comunale nelle liste del Partito Liberale Italiano e assume per
circa un anno la carica di assessore comunale alla Cultura. Divenne socio
dell'Accademia delle scienze di Torino. È stato uno dei promotori del Centro di
studi metodologici di Torino. Come studioso di filosofia, è tra i primi a
diffondere in Italia, negli anni trenta e quaranta, la conoscenza delle
correnti esistenzialistiche francesi e tedesche, in particolare Heidegger,
Jaspers e Sartre. Nell'opera "Le sorgenti irrazionali del pensiero,"
Abbagnano esalta l'azione creativa, la volontà e l'esperienza, attribuendo ad
esse il compito di condurre alla verità. Erano elementi che egli ritrova
soprattutto nella filosofia di Giovanni Gentile. Fondamentale nell'evoluzione
del suo pensiero è l'opera "La struttura dell'esistenza," pubblicata
a Torino, nella quale Abbagnano propose una terza alternativa alle due correnti
appartenenti all'esistenzialismo, quella di Heidegger e quella di
Jaspers. Abbagnano definisce la propria visione filosofica come
"esistenzialismo positivo"; esso, pur non esplicitamente formulato in
veste sistematica, individua la centralità dell'esistenza come momento
ontologicamente fondativo, considerando la razionalità dell'uomo come lo
strumento principe in grado di garantire a questo fondamento un valore positivo
contro ogni possibile nichilismo. Diversamente rispetto all'impostazione
di Heidegger e di Jaspers, Abbagnano evidenzia l'importanza della libertà e
della indeterminazione e quindi l'ineluttabilità del loro perseguimento.
Oltre a porre la ragione come unico mezzo per creare un legame tra l'uomo e il
mondo che lo circonda il pensiero di Abbagnano insiste molto su un chiarimento
dell'orizzonte categoriale della possibilità, in contrasto con quello della
necessità, tipico proprio dell'idealismo romantico e dell'esistenzialismo,
fatto che spiega la sua forte critica nei confronti queste due scuole
filosofiche. Nello scritto "Possibilità e libertà," l'autore chiarì
il senso della sua filosofia, non incline né alla visione pessimistica
dell'uomo imbrigliato e impedito in ogni suo progetto vitale, ma neppure
ottimista al punto da concedere all'essere una realizzazione certa. In quegli
stessi anni prende vita il movimento filosofico da lui nominato "neoilluminismo",
nel quale precisa il senso dell'esistenzialismo positivo in termini di
empirismo radicale e di filosofia applicata alla realtà del mondo sociale. Il
movimento, che ha avuto sin dal principio una configurazione culturalmente e
politicamente molto composita, avrebbe dovuto favorire l'elaborazione di una
visione e di un uso della ragione filosofica alternativi tanto al marxismo che
al pensiero cattolico. Abbagnano aveva del resto ripetutamente criticato
all'idealismo e al neoidealismo la tendenza a sottostimare il valore della
scienza, da lui invece considerata una disciplina indispensabile per la ricerca
della conoscenza, oltreché per l'utilizzo delle sue applicazioni. Quindi una
disciplina alternativa alla filosofia, ma di pari valore e ad essa complementare.
Abbagnano insistette nei suoi lavori sui concetti di libertà e di ragione; la
prima intesa come la possibilità di scegliere, la seconda come facoltà
necessaria per regolare le azioni dell'uomo. Anche il positivismo di
stampo ottocentesco fu oggetto di critica tramite la contrapposizione con le
filosofie di Immanuel Kant e Søren Kierkegaard. Nel suo
"esistenzialismo positivo," Abbagnano insiste molto sulla finitudine
dell'uomo e sulla problematicità dell'esistenza, destinata per sua costituzione
a operare nell'orizzonte del possibile. Egli vede kantianamente nel limite una
caratteristica di fondo del nostro esistere e del nostro sapere. Negli ultimi
anni questo lucido senso del limite e della problematicità esistenziale si è
accompagnato a un lucido senso del mistero ultimo delle cose, inteso come un
aspetto insopprimibile della nostra esperienza del reale. «Ed è proprio questo
senso del limite e del mistero, insieme alla rinuncia ad ogni (illusoria)
infinitizzazione o divinizzazione dell'umano, a fondaresecondo l'ultimo
Abbagnanola possibilità di un incontro genuino fra credenti e non credenti. E
ciò all'insegna di quella ”umiltà del pensiero” (come la chiamava il filosofo)
che rappresenta la condizione indispensabile di ogni etica del dialogo e del
reciproco rispetto». Oltre che autore di saggi su singoli filosofi (Aristotele,
Ockham, Meyerson, ecc.), Abbagnano è stato anche l'autore di una celebre Storia
della filosofia su cui si sono formate intere generazioni di studenti e di
docenti. Egli ha realizzato anche un "Dizionario di filosofia,"
considerato tra i migliori a livello internazionale. La Storia della filosofia
(sia nella versione scolastica pubblicata dall'editore Paravia, sia nella
versione universitaria pubblicata dalla Utet) è stata poi aggiornata dal suo
allievo Giovanni Fornero, in collaborazione con Dario Antiseri e Franco
Restaino, in due volumi sulla filosofia contemporanea. Lo stesso Fornero,
insieme a un'équipe di noti studiosi, ha curato anche l'aggiornamento e
l'ampliamento del "Dizionario di filosofia." Opere: Le sorgenti
irrazionali del pensiero, Genova-Napoli, Perrella. Il problema dell'arte,
Genova-Napoli, Perrella. Il nuovo idealismo, Genova-Napoli, Perrella. La
filosofia di E. Meyerson e la logica dell'identità, Napoli-Città di Castello;
La vita di Ockham, Gubbio, Oderisi. Guglielmo di Ockham, Lanciano. La nozione
del tempo secondo Aristotele, Lanciano, Carabba. La fisica nuova. Fondamenti di
una teoria della scienza, Napoli. Il principio della metafisica, Napoli. La struttura
dell'esistenza, Torino, Paravia. Introduzione all'esistenzialismo, Milano,
Bompiani, 1Storia della filosofia I, Filosofia antica. Filosofia patristica.
Filosofia scolastica, Torino, UTET, II.1, Filosofia moderna sino alla fine del
secolo XVIII, Torino, UTET, 1II.2, Filosofia del romanticismo. Filosofia
contemporanea, Torino, UTET, II, Filosofia del Rinascimento, la filosofia
moderna dei secoli XVII e XVIII, Torino, UTET,III, La filosofia del
Romanticismo. La filosofia tra il secolo XIX e XX, Torino, UTET, 4ª ed.
aggiorn. e riv. voll. I, II, III, con aggiunta del IV (La filosofia contemporanea): tomo 1 di G.
Fornero, L. Lentini, F. Restaino; tomo 2 di G. Fornero, D. Antiseri, F.
Restaino. UTET, Torino, Filosofia religione scienza, Torino, L'esistenzialismo
positivo, Torino, Possibilità e libertà, Torino, Dizionario di filosofia,
Torino, UTET, (aggiornato e ampliato da Giovanni Fornero). Per o contro l'uomo,
Milano, 1Fra il tutto e il nulla, Milano, (con Aldo Visalberghi), Linee
di storia della pedagogia, 3Torino: Paravia, Questa pazza filosofia ovvero l'Io
prigioniero, Milano, 1979 La saggezza della vita, Milano, La saggezza della
filosofia. I problemi della nostra vita, Milano, 1987 Scritti esistenzialisti,
B. Maiorca, Torino, Ricordi di un filosofo, Marcello Staglieno, Milano,
Protagonisti e testi della filosofia, Milano, L'esercizio della libertà.
Scritti scelti , B. Maiorca, ed. riv. agg. e integrata, Boni, Bologna,
1Esistenza e metafisica, B. Maiorca, Milella, Lecce, Scritti neoilluministici,
B. Maiorca, introduzione di P. Rossi e C. A. Viano, UTET, Torino. Note Montano.
Nicola ABBAGNANO, su accademiadellescienze.it. 7 luglio . La frase è tratta da G. Fornero, Abbagnano
tra limite e mistero, «Avvenire», 28 settembre . La prima edizione della storia della
filosofia di Abbagnano, che nel 1937 aveva già pubblicato un Sommario di
filosofia per i licei risale agli anni 1945-1947 (per il manuale scolastico) e
al 1946-1950 (per il manuale universitario). Attraverso successive edizioni e
aggiornamenti (per opera di Giovanni Fornero) tale storia continua a essere la
più diffusa nelle nostre scuole. N.
Bobbio, Discorso su Nicola Abbagnano, in: N. Abbagnano, Scritti scelti, Taylor,
Torino, 1967. Norberto Bobbio, La
filosofia dell'esistenza in Italia, in "Rivista di Filosofia", II,
1941. Luigi Pareyson, Il pensiero di Nicola Abbagnano e i suoi sviluppi recenti
in Id., Esistenza e persona, Taylor, Torino, 1950. Antonio Aliotta,
L'esistenzialismo positivo di N. Abbagnano, in Id., Critica dell'esistenzialismo,
Perrella, Roma, 1951. Giorgio Giannini, L'esistenzialismo positivo di Nicola
Abbagnano, Morcelliana, Brescia, 1956. Pietro Chiodi, L'esistenzialismo,
Loescher, Torino, 1957. Franco Lombardi, L'esistenzialismo in Italia, in Id.,
La filosofia italiana negli ultimi cento anni, Arethusa, Asti, 1958. Antonio
Santucci, Esistenzialismo e filosofia italiana, Bologna, Il Mulino, 1959, 2 ed.
1967. Norberto Bobbio, Discorso su Nicola Abbagnano, in N. Abbagnano, Scritti
scelti (Giovanni De Crescenzo e Pietro Laveglia), Taylor, Torino, 1967.
Giuseppe Semerari, Il neoilluminismo filosofico italiano, in Id., Esperienze
del pensiero moderno, Argalia, Urbino, 1969.
La cultura filosofica italiana dal 1945 al 1980 nelle sue relazioni con
altri campi del sapere, Atti del Convegno di Anacaprigiugno 1981, Guida,
Napoli, 1988. Giuseppe Semerari, Genesi e formazione dell'esistenzialismo
positivo, in Id., Novecento filosofico italiano, Guida, Napoli, 1988. Mirella
Pasini, Daniele Rolando , Il neoilluminismo italiano. Cronache di filosofia
(1953-1962), Il Saggiatore, Milano, 1991. Nino Langiulli, Possibility,
Necessity, and Existence. Abbagnano and His Predecessors, Temple University
Press, Philadelphia, 1992. Giuseppe Cacciatore, Giuseppe Cantillo , Una
filosofia dell'uomo, Atti del Convegno in memoria di N. Abbagnano (Salerno,
novembre 1992), Comune di Salerno, 1995. Marco Delpino, Paolo Riceputi , Nicola
Abbagnano. L'uomo e il filosofo, Atti del Convegno di studi (S. Margherita
Ligure, marzo 1996), coordinamento di G. Fornero, Edizioni
Tigullio-Bacherontius, S. Margherita Ligure, 1999. Silvio Paolini Merlo,
Consuntivo storico e filosofico sul "Centro di Studi Metodologici" di
Torino (1940-1979), Pantograf (Cnr), Genova, 1998 Bruno Maiorca, Nicola
Abbagnano, Seam, Roma, 1999. Bruno Miglio , Nicola Abbagnano. Un itinerario
filosofico, Atti del Convegno per il centenario della nascita (Torino, ottobre
2001), Il Mulino, Bologna, 2002. Aniello Montano, Il prisma a specchio.
Percorsi di filosofia italiana tra Ottocento e Novecento, Soveria Mannelli,
Rubbettino Editore, 2002, 132-144, 978-8-849803-82-2. Bruno Maiorca, Nicola
Abbagnano. Esistenza, ricerca, saggezza, Ferv, Roma, 2003. Rosanna Panelli
Marvulli, 'Tributo ad Abbagnano', in abbagnanofilosofo.it., . Rosanna Panelli
Marvulli, Abbagnano. Una vita per la filosofia, con un saggio di Giovanni
Fornero, UTET, Torino, . Silvio Paolini Merlo, Abbagnano a Napoli. Gli anni
della formazione e le radici dell'esistenzialismo positivo, Guida, Napoli,
2003, 88-7188-694-1. Carlo Augusto
Viano, Stagioni filosofiche. La filosofia del Novecento fra Torino e l'Italia,
Il Mulino, Bologna, 2007. Pietro Rossi, Avventure e disavventure della
filosofia. Saggi sul pensiero italiano del Novecento, Il Mulino, Bologna, 2009.
Giorgio Primerano, La prospettiva pedagogica di Nicola Abbagnano, Aracne
Editrice, Roma, 2009, 978-88-548-2653-3.
Silvio Paolini Merlo, L'esistenza come struttura. Il pensiero di Nicola
Abbagnano e l'esistenzialismo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2009. Silvio
Paolini Merlo, Mito e ragione mitica. Corollari sull'estetica di Nicola
Abbagnano, in Id., Estetica esistenziale, Mimesis, Milano, . Franco Ferrarotti,
Un greco in via Po. Passeggiate silenziose con Nicola Abbagnano, Edb, Bologna,
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versione), in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Nicola Abbagnano, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
Opere di Nicola Abbagnano, . Sito
dedicato, su abbagnanofilosofo.it. Filosofia Filosofo del XX secoloStorici
della filosofia italianiAccademici italiani Professore1901 1990 15 luglio 9
settembre Salerno MilanoEsistenzialistiStudenti dell'Università degli Studi di
Napoli Federico IIProfessori dell'Università degli Studi Suor Orsola
BenincasaProfessori dell'Università degli Studi di TorinoMembri dell'Accademia
delle Scienze di ToriRefs.: Grice, “Implicature in Philosopohical
Dictionaries. I don’t give a hoot care what the dictionary saysAnd that’s where
you make your big mistake. -- Luigi Speranza,
"Grice ed Abbagnano," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
AB-DICATVM: -- Grice: “Two latin roots.” Apuleius makes an analogy
that Grice (and the Grecians before) finds interesting. It is the ‘propositio dedicative’
apophatike’/’propositio abdicativa’ kataphatike distinction. The ‘abdicatum’ would
be the ‘negatum.’ The ‘dedicatum’ would be the ‘affirmatum.’ Apuleius’s terms
make the correlation evident and Grice preferred it to that of ‘affirmatum’ and
‘negatum,’“where the correlation is not that obvious.” So there is the
abdicatum, the negatum, and the negation. ‘Negatum’ and ‘affirmatum’ are
actually used when translating Husserl from the vernacular! For Husserl, Negation negation a
noetic modification of a positing, noematic cancellation every ‘negatum’ an Object posited as existing,
reiterated negation; a ‘negatum’ not a determination produced by reflection; non-being
equivalent to being validly negated.
Grice’s interest in ‘not’ as a unary functor is central. Grice was ablet to
tutor Strawson in philosophy in that famous term. In his “Introduction to
logical theory,” Strawson alleges to show that some logical ‘laws,’
taken together, show that any truth-functional sentence or formula in which the
main constant is “~ “ is the contradictory of the sentence or formula which
results from omitting that sign.” Strawson goes on to say: “A standard and
primary use of “not” in a sentence is to assert the contradictory of the
statement which would be made by the use, in the same context, of the same
sentence without “not.” Of course we must not suppose that the insertion of
“not” anywhere in any sentence always has this effect. “Some bulls are not
dangerous” is not the contradictory of “Some bulls are dangerous.” This is why
the identification of “~” with “it is not the case that” is to be preferred to
its identification with “not” simpliciter. This identification, then, involves
only those minimum departures from the logic of ordinary language which must
always result from the formal logician's activity of codifying rules with the
help of verbal patterns : viz., (i) the adoption of a rigid rule when ordinary
language permits variations and deviations from the standard use (cf. rules “
~(p Λ ~p)”
and “ ~~p ≡ p” and the discussions in 1-8,
and 2-9); (ii) that stretching of the sense of ‘exemplify’ which allows, us,
e.g., to regard ‘Tom is not mad’ as well as ‘Not all bulls are dangerous’ as
'exemplifications’ of not-p.’” Strawson
goes on: “So we shall call ‘~’ the negation sign, and read ‘~’as ‘not.’ One
might be tempted to suppose that declaring formulae “ ~(p Λ ~p)” and “p v ~p”
laws of the system was the same as saying that, as regards this system, a
statement cannot be both true and false and must be either true or false. But
it is not. The rules that “ ~(p Λ ~p)” and “p v ~p”
are analytic are not rules about ‘true’ and ‘false;’ they are rules about ‘~.;
They say that, given that a statement has one of the two truth-values, then it
is logically impossible for both that statement and the corresponding statement
of the form ‘ ~p’ to be true, and for
both that statement and the corresponding statement of the form ‘~p’ to be
false.” A bit of palæo-Griceian history is
in order. Sheffer, defines ‘not’ and negation in terms of incompatibility in ‘A
set of five independent postulates for Boolean algebras, with application to
logical constants,’ Trans. American Mathematical Society. Grice does refers to
‘the strokes.’ His use of the plural is interesting as a nod to Peirce’s minute
logic in his ‘Boolian [sic] algebra with one constant.’ There is indeed
Peirce’s stroke, or ampheck (↓), Sheffer’s stroke (|, /, ↑), and and Quine’s
stroke (†, strictly Quine’s dagger). Some philosophers prefer to refer to
Peirces Stroke as Peirce’s arrow, or strictly stressed double-edged sword. His
editors disambiguate his ampheck, distinguishing between the dyadic
functor or connective equivalent to Sheffer’s stroke and ‘nor.’ While
Whitehead, Russell, and Witters love Sheffer’s stroke, Hilbert does not: ‘‘p/p’
ist dann gleichbedeutend mit ‘X̄.’ Grice explores primitiveness. It is
possible, to some extent, to qualify this or that device in terms of
primitiveness. As regards ‘not,’ if a communication-system did not contain a
unitary negative device, there would be many things that communicators can now
communicate that they would be then unable to communicate. He has two
important caveats. That would be the case unless, first, the
communication-system contained some very artificial-seeming connective like one
or other of the strokes, and, second, communicators put themselves to a good
deal of trouble, as Plato does in ‘The Sophist’ with ‘diaphoron,’ that Wiggins
symbolises with ‘Δ,’ to find, more or less case by case, complicated forms
of expression, not necessarily featuring a connective, but involving such
expressions as ‘other than’or ‘incompatible with.’ Grice further refers to
Aristotle’s ‘apophasis’ in De Int.17a25. Grice, always lured by the
potentiality of a joint philosophical endeavour, treasures his collaboration
with Strawson that is followed by one with Austin on Cat. and De Int. So what
does Aristotle say in De Int.? Surely Aristotle could have started by referring
to Plato’s Parmenides, aptly analysed by Wiggins. Since Aristotle is more of a
don than a poet, he has to give ‘not’ a name: ‘ἀπόφασις ἐστιν ἀπόφανσίς τινος
ἀπό τινος,’a predication of one thing away from another,
i.e. negation of it. This is Grice’s reflection, in a
verificationist vein, of two types of this or that negative utterance. His
immediate trigger is Ryle’s contribution on a symposium on Bradley’s idea of an
internal relation, where Grice appeals to Peirce’s incompatibility. ‘The
proposition ‘This is red’ is imcompatible with the proposition, ‘This is not coloured.’
While he uses a souly verb or predicate for one of them, Grice will go back to
the primacy of ‘potching’ at a later stage. A P potches that the obble is not
fang, but feng. It is convenient to introduce this or that soul-state, ψ,
sensing that …, or perceiving that … Grice works mainly with two scenarios,
both involved with the first-person singular pronoun ‘I’ with which he is
obsessed. Grice’s first scenario concerns a proposition that implies another
proposition featuring ‘someone, viz. I,’ the first-person singular pronoun as
subject, a sensory modal verb, and an object, the proposition, it is not the
case that ‘the α is φ1.’ The denotatum of the
first-person pronoun perceives that a thing displays this or the visual
sense-datum of a colour, and the corresponding sensory modal predicate. Via a
reductive (but not reductionist) analysis, we get that, by uttering ‘It is not
the case that I see that the pillar box is blue,’ the utterer U means, i. e.
m-intends his addressee A to believe, U he sees that the pillar box is red. U’s
source, reason, ground, knowledge, or belief, upon which he bases his uttering
his utterance is U’s *indirect* mediated actual experience, belief, or
knowledge, linked to a sense-datum φ2 (red) other than φ1
(blue). Grice’s second scenario concerns a proposition explicitly featuring the
first-person singular pronoun, an introspection, involving an auditory
sense-datum of a noise. Via reductive (but not reductionist) analysis, we get
that, by uttering ‘It is not the case that I hear that the bell tolls in Gb,’ U
means that he lacks the experience of hearing that the bell tolls simpliciter.
U’s source, reason, ground, knowledge, or belief, upon which he bases his
uttering his utterance is the *direct* unmediated felt absence, or absentia, or
privatio or privation, or apophasis, verified by introspection, of the
co-relative ψ, which Grice links to the absence of the experience, belief,
or knowledge, of the sense-datum, the apophasis of the experience, which is
thereby negated. In either case, Grice’s analysans do not feature ‘not.’ Grice
turns back to the topic in seminars later at Oxford in connection with
Strawson’s cursory treatment of ‘not’ in “Logical Theory.”‘Not’ (and ~.) is the
first pair, qua unary satisfactory-value-functor (unlike this or that dyadic
co-ordinate, and, or, or the dyadic sub-ordinate if) in Grice’s list of this or
that vernacular counterpart attached to this or that formal device. Cf. ‘Smith
has not ceased from eating iron,’ in ‘Causal theory.’ In the fourth James
lecture, Grice explores a role for negation along the lines of Wilson’s
Statement and Inference.’ Grice’s ‘Vacuous Names’ contains Gentzen-type
syntactic inference rules for both ‘not’’s introduction (+, ~) and the
elimination (-, ~) and the correlative value assignation. Note that there are
correlative rules for Peirce’s arrow. Grice’s motivation is to qualify ‘not’
with a subscript scope-indicating device on ~ for a tricky case like ‘The
climber of Mt. Everest on hands and knees is not to atttend the party in his
honour.’ The logical form becomes qualified: ‘~2(Marmaduke Bloggs is
coming)1’, or ‘~2(Pegasus flies)1.’ generic
formula is ~2p1, which indicates that p is introduced
prior to ~. In the earlier James lectures he used the square bracket device.
The generic formula being ‘~[p],’ where [p] reads that p is assigned
common-ground status. Cancelling the implicatura may be trickier. ‘It is not
the case that I hear that the bell tolls because it is under reparation.’ ‘That
is not blue; it’s an optical illusion.’ Cf. Grice on ‘It is an illusion. What
is it?’ Cf. The king of France is not bald because there is no king of France.
In Presupposition, the fourth Urbana lecture, Grice uses square brackets for
the subscript scope indicating device. ‘Do not arrest [the intruder]!,’ the
device meant to assign common-ground status. In ‘Method” Grice plays with the
internalisation of a pre-theoretical concept of not within the scope of ‘ψ.’
In the Kant lectures on “Aspects,” Grice explores ‘not’ within the scope of
this or that mode operator, as in the buletic utterance, ‘Do not arrest the
intruder!’ Is that internal narrow scope, ‘!~p,’ or external wide scope, ‘~!p’?
Grice also touches on this or that mixed-mode utterance, and in connection with
the minor problem of presupposition within the scope of an operator other than
the indicative-mode operator. ‘Smith has not ceased from eating iron, because
Smith does not exist ‒ cf. Hamlet sees that his father is on the rampants, but
the sight is not reciprocated ‒ Macbeth sees that Banquo is near him, but his
vision is not reciprocated. Grice is having in mind Hare’s defense of a
non-doxastic utterance. In his commentary in PGRICE, Grice expands on this
metaphysical construction routine of Humeian projection with the pre-intuitive
concept of ‘not,’ specifying the
different stages the intuitive concept undergoes until it becomes
fully rationally recostructed, as something like a Fregeian sense. In the
centerpiece lecture of the William James set, Grice explores Wilson’s Statement
and inference to assign a métier to ‘not,’ and succeeds in finding one. The
conversational métier of ‘not’ is explained in terms of the conversational implicaturum.
By uttering ‘Smith has not been to prison yet,’ U implies that some utterer
has, somewhere, sometime, expressed an opinion to the contrary. This is
connected by Grice with the ability a rational creature has to possess to
survive. The creature has to be able, as Sheffer notes, to deny this or that.
Grices notable case is the negation of a conjunction. So it may well be that
the most rational role for ‘not’ is not primary in that it is realised once
less primitive operators are introduced. Is there a strict conceptual
distinction, as Grice suggests, between negation and privation? If privation
involves or presupposes negation, one might appeal to something like Modified
Occam’s Razor (M. O. R.), do not multiply negations beyond necessity. In his
choice of examples, Grice seems to be implicating negation for an empirically
verifiable, observational utterance, such as U does not see that the pillar box
is blue not because U does not exist, but on the basis of U’s experiencing,
knowing, believing and indeed seeing that the pillar box is red. This is a
negation, proper, or simpliciter (even if it involves a sense-datum phi2
incompatible with sense-datum phi1. Privation, on the other hand, would be
involved in an utterance arrived via introspection, such as U does not hear
that the bell is ringing on the basis of his knowing that he is aware of the
absence, simpliciter, of an experience to that effect. Aristotle, or some later
Aristotelian, may have made the same distinction, within apophasis between
negation or negatio and privation or privatio. Or not. Of course, Grice is
ultimately looking for the rationale behind the conversational implicaturum in
terms of a principle of conversational helpfulness underlying his picture of
conversation as rational co-operation. To use his Pological jargon in Method,
in Pirotese and Griceish There is the P1, who potches that the obble
is not fang, but feng. P1 utters p explicitly conveying that p.
P2 alternatively feels like negating that. By uttering ~p, P2 explicitly
conveys that ~p. P1 volunteers to P2, ~p, explicitly
conveying that ~p. Not raining! Or No bull. You are safe. Surely a rational
creature should be capable to deny this or that, as Grice puts it in Indicative
conditionals. Interestingly, Grice does not consider, as Gazdar does, under
Palmer), he other possible unitary functors (three in a standard binary
assignation of values)just negation, which reverses the satisfactory-value of
the radix or neustic. In terms of systematics, thus, it is convenient to
regard Grices view on negation and privation as his outlook on the operators as
this or that procedure by the utterer that endows him with this or that basic
expressive, operative power. In this case, the expressive power is specifically
related to his proficiency with not. The proficiency is co-related with this or
that device in general, whose vernacular expression will bear a formal
counterpart. Many of Grices comments addressed to this more general topic of
this or that satisfactoriness-preserving operator apply to not, and thus raise
the question about the explicitum or explicatum of not. A Griceian should not
be confused. The fact that Grice does not explicitly mention not or negation
when exploring the concept of a generic formal device does not mean that what
he says about formal device may not be particularised to apply to not or
negation. His big concession is that Whitehead and Russell (and Peano before
them) are right about the explicitum or explicatum of not being ~, even if
Grice follows Hilbert and Ackermann in dismissing Peirces arrow for pragmatic
reasons. This is what Grice calls the identity thesis to oppose to Strawsons
divergence thesis between not and ~. More formally, by uttering Not-p, U
explicitly conveys that ~p. Any divergence is explained via the implicaturum. A
not utterance is horribly uninformative, and not each of them is of
philosophical interest. Grice joked with Bradley and Searles The man in the
next table is not lighting the cigarette with a twenty-dollar bill, the
denotatum of the Subjects being a Texas oilman in his country club. The odd implicaturum
is usually to the effect that someone thought otherwise. In terms of Cook
Wilson, the role of not has more to do with the expressive power of a rational
creature to deny a molecular or composite utterance such as p and q Grice
comments that in the case of or, the not may be addressed, conversationally, to
the utterability of the disjunction. His example involves the logical form Not
(p or q). It is not the case that Wilson or Heath will be prime minister.
Theres always hope for Nabarro or Thorpe. The utterer is, at the
level of the implicaturum, not now contradicting what his co-conversationalist
has utterered. The utterer is certainly not denying that Wilson will be Prime
Minister. It is, rather, that the utterer U wishes not to assert or state, say,
what his co-conversant has asserted, but, instead, to substitute a different
statement or claim which the utterer U regards as preferable under the
circumstances. Grice calls this substitutive disagreement. This was a
long-standing interest of Grices: an earlier manuscript reads Wilson or MacMillan
will be prime minister. Let us take a closer look at the way Grice
initially rephrases his two scenarios involving not as attached to an auditory
and a visual sense datum. I do not hear that the bell is ringing is rationally
justified by the absence or absentia of the experience of hearing it. I do not
see that the pillar box is blue is rationally justified by U’s sensing that the
pillar box is red. The latter depends on Kant’s concept of the synthetic a
priori with which Grice tests with his childrens playmates. Can a sweater be
red and green all over? No stripes allowed! Can a pillar box be blue and red
all over? Cf. Ryles’ssymposium on negation with Mabbott, for the Aristotelian
Society, a source for Grices reflexion. Ryle later discussing Bradleys internal
relations, reflects that that the proposition, ‘This pillar box is only red’ is
incompatible with ‘This pillar box is only blue.’ As bearing this or that conversational
implicatura, Grices two scenarios can be re-phrased, unhelpfully, as I am
unhearing a noise and That is unred. The apparently unhelpful point
bears however some importance. It shows that negation and not are not
co-extensive. The variants also demonstrate that the implicaturum, qua
conversational, rather than conventional, is non-detachable. Not is hardly
primtive pure Anglo-Saxon. It is the rather convoluted abbreviation of
ne-aught. Its ne that counts as the proper, pure, amorphous Anglo-Saxon
negation, as in a member of parliament (if not a horse) uttering
nay. Grices view of conversation as rational co-operation, as
displayed in this or that conversational implicaturum necessitates that the implicaturum
is never attached to this or that expression. Here the favoured, but not
exclusive expression, is not, since Strawson uses it. But the vernacular
provides a wealth of expressive ways to be negative! Grice possibly chose
negation not because, as with this or that nihilistic philosopher, such as
Schopenhauer, or indeed Parmenides, he finds the concept a key one. But one may
well say that this is the Schopenhauerian or the Parmenidesian in Griceian.
Grice is approaching not in linguistic, empiricist, or conceptual key. He is
applying the new Oxonian methodology: the reductive analysis alla Russell in
terms of logical construction. Grices implies priority is with by uttering x,
by which U explicitly conveys that ~p, U implicitly conveys that q. The essay
thus elaborates on this implicated q. For the record, nihilism was coined
by philosopher Jacobi, while the more primitive negatio and privatio is each a
time-honoured item in the philosophical lexicon, with which mediaeval this or
that speculative grammarian is especially obsessed. Negatio translates the ‘apophasis’
of Aristotle, and has a pretty pedigreed history. The philosophical lexicon has
nĕgātĭo, f. negare, which L and S, unhelpfully, render as a denying,
denial, negation, Cicero, Sull. 13, 39: negatio inficiatioque
facti, id. Part. 29, 102. L and S go on to add that negatio is predicated
of to the expression that denies, a negative. Grice would say that L and S
should realise that its the utterer who denies. The source L and S give is
ADogm. Plat. 332, 38. As for Grices other word, there
is “prīvātĭo,” f. privare, which again unhelpfully, L and S render as a
taking away, privation of a thing. doloris, Cic. Fin. 1, 11,
37, and 38, or pain-free, as Grice might prefer, cf. zero-tolerance. L and
S also cite: 2, 9, 28: culpæ, Gell. 2, 6, 10. The negatio-privatio
distinction is attested in Grecian, indeed the distinction requires its own
entry. For it is Boethius who first renders Aristotle’s ‘hexis’ into ‘habitus’
and Aristotle’s steresis’ into ‘privatio.’ So the the Grecians were never just happy
with “ἀπόφασις (A)” and they had to keep multiplying negations beyond
necessity. The noun is from “ἀπόφημι.” Now L and S unhepfully render the noun
as as denial, negation, adding “oκατάφασις,” for which they cites from The Sophista
by Plato (263e), to give then the definition “ἀπόφασις ἐστιν
ἀπόφανσίς τινος ἀπό τινος,” a predication of one thing away
from another, i.e. negation of it, for which they provide the
source that Grice is relying. on: Arist. Int.17a25, cf. APo. 72a14;
ἀπόφασις τινός, negation, exclusion of a thing, Pl. Cra. 426d; δύο ἀ.
μίαν κατάφασιν ἀποτελοῦσι Luc. Gall.11. If he was not the first to explore
philosophically negation, Grice may be regarded as a philosopher who most
explored negation as occurring in a that-clause followed by a propositional
complexus that contains ~, and as applied to a personal agent, in a lower
branch of philosophical psychology. It is also the basis for his linguistic
botany. He seems to be trying to help other philosopher not to fall in the trap
of thinking that not has a special sense. The utterer means that ~p. In what
ways is that to be interpreted? Grice confessed to never
been impressed by Ayer. The crudities and dogmatisms seemed too pervasive.
Is Grice being an empiricist and a verificationist? Let us go back to This is
not red and I am not hearing a noise. Grices suggestion is that the
incompatible fact offering a solution to this problem is the fact that the
utterer of “Someone, viz. I, does not hear that the bell tolls” is indicating
(and informing) that U merely entertains the positive (affirmative)
proposition, Someone, viz. I, hears that the bell tolls, without having an
attitude of certainty towards it. More generally, Grice is proposing, like
Bradley and indeed Bosanquet, who Grice otherwise regards as a minor
philosopher, a more basic Subjects-predicate utterance. The α is
not β. The utterer states I do not know that α is β if and
only if every present mental or souly process, of mine, has some characteristic
incompatible with the knowledge that α is β. One
may propose a doxastic weaker version, replacing the dogmatic Oxonian know
with believe. Grices view of compatibility is an application of the
Sheffer stroke that Grice will later use in accounts of not. ~p iff p|p or ~p ≡df p|p. But
then, as Grice points out, Sheffer is hardly Griceian. If Pirotese did not
contain a unitary negative device, there would be many things that a P should
be able to express that the P should be unable to express unless Pirotese
contained some very artificially-looking dyadic functor like one or other of
the strokes, or the P put himself to a good deal of trouble to find, more or
less case by case, complicated forms of expression, as Platos Parmenides does,
involving such expressions as other than, or incompatible with. V. Wiggins on
Platos Parmenides in a Griceian key. Such a complicate form of expression would
infringe the principle of conversational helpfulness, notably in its
desideratum of conversational clarity, or conversational perspicuity [sic],
where the sic is Grices seeing that unsensitive Oxonians sometimes mistake
perspicuity for the allegedly, cognate perspicacity (L. perspicacitas, like
perspicuitas, from perspicere). Grice finds the unitary brevity of not-p
attractive. Then theres the pretty Griceian idea of the pregnant proposition.
Im not hearing a nose is pregnant, as Occam has it, with I am hearing a
noise. A scholastic and mediæval philosopher loves to be figurative.
Grices main proposal may be seen as drawing on this or that
verificationist assumption by Ayer, who actually has a later essay on not
falsely connecting it with falsity. Grices proposed better analysis would
please Ayer, had Grice been brought on the right side of the tracks, since it
can be Subjectsed to a process of verification, on the understanding
that either perception through the senses (It is red) or
introspection (Every present mental or souly process of mine ) is each an
empirical phenomenon. But there are subtleties to be drawn. At Oxford, Grices
view on negation will influence philosophers like Wiggins, and in a negative
way, Cohen, who raises the Griceian topic of the occurrence of negation in
embedded clauses, found by Grice to be crucial for the rational genitorial
justification of not as a refutation of the composite p and q), and motivating
Walker with a reply (itself countered by Cohen ‒ Can the conversationalist
hypothesis be defended?). So problems are not absent, as they should not! Grice
re-read Peirces definition or reductive analysis of not and enjoyed it!
Peirce discovers the logical connective Grice calls the Sheffer Stroke, as well
as the related connective nor (also called Joint Denial, and quite
appropriately Peirces Arrow, with other Namess in use being Quines Arrow or
Quines Dagger and today usually symbolized by “/”). The relevant manuscript,
numbered MS 378 in a subsequent edition and titled A Boolian [sic] Algebra with
One Constant, MS 378, was actually destined for discarding and was salvaged for
posterity A fragmentary text by Peirce also shows familiarity with the
remarkable meta-logical characteristics that make a single function
functionally complete, and this is also the case with Peirces unfinished Minute
Logic: these texts are published posthumously. Peirce designates the two truth
functions, nand and nor, by using the symbol “” which he called
ampheck, coining this neologism from the Grecian ἀμφήκης, of equal length in
both directions. Peirces editors disambiguate the use of symbols by
assigning “” to the connective we call Sheffers troke while
preserving the symbol “/” for nor. In MS 378, A Boolian Algebra
with One Constant, by Peirce, tagged “to be discarded” at the Department of
Philosophy at Harvard, Peirce reduces the number of logical operators to one
constant. Peirce states that his notation uses the minimum number of different
signs and shows for the first time the possibility of writing both universal
and particular propositions with but one copula. Peirce’s notation is later
termed Sheffers stroke, and is also well-known as the nand operation, in Peirce’s
terms the operation by which two propositions written in a pair are considered
to be both denied. In the same manuscript, Peirce also discovers what is the
expressive completeness of ‘nor,’ indeed today rightly recognized as the Peirce
arrow. Like Sheffer, of Cornell, independently does later (only to be
dismissed by Hilbert and Ackermann), Peirce understands that these two
connectives can be used to reduce all mathematically definable connectives
(also called primitives and constants) of propositional logic. This means that
all definable connectives of propositional logic can be defined by using only
Sheffers stroke or nor as the single connective. No other connective (or
associated function) that takes one or two variables as inputs has this property.
Standard, two-valued propositional logic has no unary functions that have the
remarkable property of functional completeness. At first blush, availability of
this option ensures that economy of resources can be obtained—at least in terms
of how many functions or connectives are to be included as undefined.
Unfortunately, as Grice, following Hilbert and Ackermann realise, there is a
trade-off between this philosophical semantic gain in economy of symbolic
resources and the pragmatically unwieldy length and rather counterintuitive, to
use Grices phrase, appearance of the formulas that use only the one
connective. It is characteristic of his logical genius, however, and
emblematic of his rather under-appreciated, surely not by Grice, contributions
to the development of semiotics that Peirce grasps the significance of
functional completeness and figure out what truth functions — up to arity 2 —
are functionally complete for two-valued propositional logic, never mind
helping the philosopher to provide a reductive analysis of negation that Grice
is looking for. Strictly, this is the property of weak functional completeness,
given that we disregard whether constants or zero-ary functions like 1 or 0 can
be defined. Peirce subscribes to a semeiotic view, popular in the Old World
with Ogden and Welby, and later Grice, according to which the fundamental
nature and proper tasks of the formal study of communication are defined by the
rules set down for the construction and manipulation of symbolic resources. A proliferation
of symbols for the various connectives that are admitted into the signature of
a logical system suffers from a serious defect on this view. The symbolic
grammar fails to match or represent the logical fact of interdefinability of
the connectives, and reductive analysis of all to one. Peirce is willing
sometimes to accept constructing a formal signature for two-valued
propositional logic by using the two-members set of connectives, which is
minimally functionally complete. This means that these two connectives — or, if
we are to stick to an approach that emphasizes the notational character of
logical analysis, these two symbols —are adequate expressively. Every
mathematically definable connective of the logic can be defined by using only
these two. And the set is minimally functionally complete in that neither of
these connectives can be defined by the other (so, as we say, they are both
independent relative to each other.) The symbol can be viewed
as representing a constant truth function (either unary or binary) that returns
the truth value 0 for any input or inputs. Or it can be regarded as a constant,
which means that it is a zero=ary (zero-input) function, a degenerate function,
which refers to the truth value 0. Although not using, as Grice does, Peanos
terminology, Peirce takes the second option. This set has cardinality 2 (it has
exactly 2 members) but it is not the best we can do. Peirces discovery of what
we have called the Sheffer functions or strokes (anachronistically and unfairly
to Peirce, as Grice notes, but bowing to convention) shows that we can have a
set of cardinality 1 (a one-member set or a so-called singleton) that is
minimally functionally complete with respect to the definable connectives of
two-valued propositional logic. Thus, either one of the following sets can do.
The sets are functionally complete and, because they have only one member each,
we say that the connectives themselves have the property of functional
completeness. / is the symbol of Sheffers stroke or nand and /is the
symbol of the Peirce Arrow or nor. Grice stipulates as such, even though he
does not introduce his grammar formally. It is important to show ow these
functions can define other functions. Algebraically approached, this is a
matter of functional composition In case one wonders why the satisfaction
with defining the connectives of the set that comprises the symbols for
negation, inclusive disjunction, and conjunction, there is an explanation.
There is an easy, although informal, way to show that this set is functionally
complete. It is not minimally functionally complete because nor
and nand are inter-definable. But it is functionally complete. Thus,
showing that one can define these functions suffices for achieving functional
completeness. Definability should be thought as logical equivalence. One
connective can be defined by means of others if and only if the formulae in the
definition (what is defined and what is doing the defining) are logically
equivalent. Presuppose the truth-tabular definitions of the connectives.
Grice enjoyed that. Meanwhile, at Corpus, Grice is involved in serious
philosophical studies under the tutelage of Hardie. While his philosophical
socialising is limited, having been born on the wrong side of the tracks,
first at Corpus, and then at Merton, and ending at St. Johns, Grice fails to
attend the seminal meetings at All Souls held on Thursday evenings by the play
group of the seven (Austin, Ayer, Berlin, Hampshire, MacDermott, MacNabb, and
Woozley). Three of them will join Grice in the new play group after the war:
Austin, Hampshire, and Woozley. But at St. Johns Grice tutors Strawson, and
learns all about the linguistic botany methodology on his return from the navy.
Indeed, his being appointed Strawson as his tutee starts a life-long friendship
and collaboration. There are separate entries for the connectives: conjunction,
disjunction, and conditional. Abdicatum -- double negation. 1 The principle, also
called the law of double negation, that every proposition is logically equivalent
to its double negation. Thus, the proposition that Roger is a rabbit is
equivalent to the proposition that Roger is not not a rabbit. The law holds in
classical logic but not for certain non-classical concepts of negation. In
intuitionist logic, for example, a proposition implies, but need not be implied
by, its double negation. 2 The rule of inference, also called the rule of
double negation, that permits one to infer the double negation of A from A, and
vice versa. Refs.: Allusions to negation are scattered, notably in Essay
4 in WoW, but also in “Method in philosophical psychology,” and “Prejudices and
predilections” (repr. in “Conception”), and under semantics and syntax. While
one can draw a skull communicating that there is danger; one can then cross out
the skull indicating that there is no danger. So the emissor communicates that
there is no danger. Or rather, the emissor communicates that it is not the case
that there is danger. Since this involves a ‘that’-clause, it is not
unreasonable to speak of a ‘propositio,’ and such would be ‘abdicativa.’ In his
earliest reflections on the topic, Grice draws on sub-perceptual illustrations
rendered more or less as involving two items of ‘propositio dedicativa’ and
their negation and privation: ‘The bell tolls in Gb” and “The pillar box is
red.” For the latter, “The pillar box is not blue” can be uttered as a
conclusion (“If the pillar box is red, it is not the case that the pillar box
is blue.”). For the former case, “The bell tolls in Ab” may do. “If the bell
tolls in Gb, it is not the case that the bell tolls in Ab.” For Grice, the
métier of a propositio abidcativa has to do with the abdicatum of a conjunctum.
For a more primitive rationale, Grice does not see the complete justification.
That means that Grice sees that there are OPTIONS TO introducing a ‘propositio
abdicativa’. These options are of two kinds. One is the ‘stroke.’ If you draw a
skull, a stroke, and a skull, you communicate that it is not the case there is
danger. The other involves “other than” or “incompatible.” Again, drawsing a
skull and writing INCOMPATIBLE and drawing another skull and you communicate
that it is not the case that there is danger. Refs.: There are specific essays
of different dates, in s. V, in two separate folders, in BANC.
AB-DVCTVM: Grice: “Two latin roots.” an implicaturum is abductum, i.
e., it is not something that it is inductum or deductum. It is indeed a
demonstratum, an argumentum, but qua abductum. Grice favours the form ‘implicaturum’
rather than ‘implicaturum’ in that the implicaturum is strictly what follows a
‘that’-clause. Ditto for ‘abductum.’ As opposed to in-duction and de-duction,
abduction refers to canons of reasoning for the discovery, as opposed to the
justification, of scientific hypotheses or theories. Reichenbach distinguished
the context of justification and the context of discovery, arguing that
philosophy legitimately is concerned only with the former, which concerns
verification and confirmation, whereas the latter is a matter for psychology.
Thus he and other logical positivists claimed there are inductive logics of
justification but not logics for discovery. Both hypotheticodeductive and
Bayesian or other probabilistic inductive logics of justification have been
proposed. Close examination of actual scientific practice increasingly reveals
justificatory arguments and procedures that call into question the adequacy of
such logics. N. R. Hanson distinguishes the reasons for accepting a specific
hypothesis from the reasons for suggesting that the correct hypothesis will be
of a particular kind. For the latter he attempted to develop logics of
retroductive or abductive reasoning that stressed analogical reasoning, but did
not succeed in convincing many that these logics were different in kind from
logics of justification. Today few regard the search for rigorous formal logics
of discovery as promising. Rather, the search has turned to looking for
“logics” in some weaker sense. Heuristic procedures, strategies for discovery,
and the like are explored. Others have focused on investigating rationality in
the growth of scientific knowledge, say, by exploring conditions under which
research traditions or programs are progressive or degenerating. Some have
explored recourse to techniques from cognitive science or artificial
intelligence. Claims of success generally are controversial.
ABDUZIONE (disc.). Grice: “Italian is
actually Latin, so abduction becomes abduzione’ sorta di argomento (detto da Greci apagage),
nel quale la con seguenza è compresa nella minore, men trechè questa non
discende manifestamente dalla maggiore, e però potrebbesi esigerne pruova, I
notomisti gli danno altro significato.
ABNEGAZIONE (teol.), disposizione del
l'animo, per la quale rinunziando taluno ad ogni interesse della vita
sensitiva, ri volge tutti gli affetti suoi a Dio
AB-SOLVTVM: Grice: “Two latin roots.”-- cf. re-solutum -- or
‘ABSOLVTVM,’ as Grice would spell it. If
we say, emissor E communicates that p, what is its relatum? Nothing. The theory
of communication NEEDS to be relative. To search for the absolute in the theory
of communication is otiose, for in communication there is an unavoidable
relatum, which is the emissor himself. Now Grice is interested in an emissor
that communicates that p is absolute. So we need absolute and meta-absolute.
I.e. if the emissor can communicate that ‘p’ is absolute, he has more ground to
exert his authority into inducing in his addressee that the addressee believe
what he is intended to believe. The absolutum is one, unlike Grice’s absoluta,
or absolutes. Trust Grice to pluralise Bradley’s absolute. While it is
practical to restore the root of ‘axis’ for Grice’s value (validum, optimum),
it is not easy to find a grecianism for the absolutum absolute. Lewis and Short
have “absolvere,” which they render as ‘to loosen from, to make loose, set free,
detach, untie (usu. trop., the fig. being derived from fetters, qs. a vinculis
solvere, like “vinculis exsolvere,” Plaut. Truc. 3, 4, 10). So that makes
sense. Lewis and Short also have “absolutum,”
which they render as“absolute, unrestricted, unconditional,”as in Cicero: “hoc
mihi videor videre, esse quasdam cum adjunctione necessitudines, quasdam
simplices et absolutas” (Inv. 2, 57, 170). Grice repatedly uses the plural
‘abosolutes,’ and occasionally the singular. Obviously, Grice has in mind the
absolute-relative distinction, not wanting to be seen as relativist, unless it
is a constructionist relativist. Grice refers
to Bradley in ‘Prolegomena,’ and has an essay on the ‘absolutes.’ It is all
back to when German philosopher F. Schiller, of Corpus, publishes “Mind!” Its
frontispiece is a portrait of the absolute, “very much like the Bellman’s completely
blank map in The hunting of the snark.” The absolutum is the sum of all being,
an emblem of idealism. Idealism dominates Oxford for part of Grice’s career. The
realist mission, headed by Wilson, is to clean up philosophy’s act Bradley’s Appearance
and reality, mirrors the point of the snark. Bradley uses the example of a lump
of sugar. It all begins to crumble, In Oxonian parlance, the absolute is a boo-jum,
you see. Bradley is clear here, to irritate Ayer: the absolutum is, put simply,
a higher unity, pure spirit. “It can never and it enters into, but is itself
incapable of, evolution and progress.” Especially at Corpus, tutees are aware
of Hartmann’s absolutum. Barnes thinks he can destroy with his emotivism. Hartmann,
otherwise a naturalist, is claims that this or that value exists, not in the
realm (Reich) of nature, but as an ideal essence of a thing, but in a realm
which is not less, but more real than nature. For Hartmann, if a value exists,
it is not relative, but absolute, objective, and rational, and so is a value
judgment. Like Grice, for Hartmann, the relativity dissolves upon conceiving and
constructing a value as an absolutum, not a relativum. The essence of a thing need
not reduce to a contingence. To conceive the essence of a table is to conceive
what the métier of a table. Like Hartmann, Grice is very ‘systematik’ axiologist,
and uses ‘relative’ variously. Already in the Oxford Philosophical Society,
Grice conceives of an utterer’s meaning and his communicatum is notoriously
relative. It is an act of communication relative to an agent. For Grice, there
is hardly a realm of un-constructed reality, so his construction of value as an
absolutum comes as no surprise. Grice is especially irritated by Julie Andrews
in Noël Coward’s “Relative values” and this Oxonian cavalier attitude he
perceives in Barnes and Hare, a pinko simplistic attitude against any absolute. Unlike
Hartmann, Grice adopts not so much a neo-Kantian as an Ariskantian tenet. The
ratiocinative part of the soul of a personal being is designated the proper
judge in the power structure of the soul. Whatever is relative to this
particular creature successfully attains, ipso facto, absolute value. The term’The
absolute,’ used by idealists to describe the one independent reality of which
all things are an expression. Kant used the adjective ‘absolute’ to
characterize what is unconditionally valid. He claimed that pure reason
searched for absolute grounds of the understanding that were ideals only, but
that practical reason postulated the real existence of such grounds as
necessary for morality. This apparent inconsistency led his successors to
attempt to systematize his view of reason. To do this, Schelling introduced the
term ‘the Absolute’ for the unconditioned ground and hence identity of subject
and object. Schelling was criticized by Hegel, who defined the Absolute as
spirit: the logical necessity that embodies itself in the world in order to
achieve self-knowledge and freedom during the course of history. Many prominent
nineteenthcentury British and idealists,
including Bosanquet, Royce, and Bradley, defended the existence of a
quasi-Hegelian absolute. Refs.: For a good overview of emotivism in Oxford v.
Urmson’s The emotive theory of ethics. Grice, “Values, morals, absolutes, and
the metaphysical,” The H. P. Grice Papers, Series V (Topical), c 9-f. 24, BANC
MSS 90/135c, The Bancroft Library, University of California, Berkeley.
AB-STRACTVM
– Grice: “Two latin roots.” cf. DE-TRACTVM --: Or ‘ABSTRACTVM,’ as Grice would
spell it. If an emissor draws a skull to communicate that there is danger, the
addressee comes to think that there is danger, in the air. Let’s formalise that
proposition as “The air is dangerous.” Is that abstract? It is: it involves two
predicates which may be said to denote two abstracta: the property of being
air, and the property of being dangerous. So abstracta are unavoidable in a
communicatum, that reaches the sophistication of requiring a ‘that’-clause. The usual phrase in Grice is ‘abstract’ as
adjective and applied to ‘entity’ as anything troublesome to nominalism. At
Oxford, Grice belongs to the class for members whose class have no members. If
class C and class C have the same members, they
are the same. A class xx is a set just in case there is a class yy such
that x∈yx∈y. A class which is not a
set is an improper, not a proper class, or a well-ordered one, as Burali-Forti
puts it in ‘Sulle classi ben ordinate.’ Grice reads Cantor's essay and finds an
antinomy on the third page. He mmediately writes his uncle “I am reading Cantor
and find an antinomy.” The antinomy is obvious and concerns the class of all
classes that are not members of themselves. This obviously leads to a pragmatic
contradiction, to echo Moore, since this class must be and not be a member of
itself and not a member of itself. Grice had access to the Correspondence of
Zermelo and re-wrote the antinomy.Which leads Grice to Austin. For Austin
thinks he can lead a class, and that Saturday morning is a good time for a
class of members whose classes have no members, almost an insult. Grice is
hardly attached to canonicals, not even first-order predicate logic with
identity and class theory. Grice sees extensionalism asa a position imbued with
the spirit of nominalism yet dear to the philosopher particularly impressed by
the power of class theory. But Grice is having in mind the concretum-abstractum
distinction, and as an Aristotelian, he wants to defend a category as an
abstractum or universalium. Lewis and Short have ‘concrescere,’ rendered as ‘to
grow together; hence with the prevailing idea of uniting, and generally of soft
or liquid substances which thicken; to harden, condense, curdle, stiffen,
congeal, etc. (very freq., and class. in prose and poetry).’ For ‘abstractum,’
they have ‘abstrăhere, which they render as ‘to draw away from a place or
person, to drag or pull away.’ The ability to see a horse (hippos) without
seeing horseness (hippotes), as Plato remarks, is a matter of stupidity. Yet,
perhaps bue to the commentary by his editors, Grice feels defensive about
proposition. Expanding on an essay on the propositional complexum,’ the idea is
that if we construct a complexum step by step, in class-theoretical terms, one
may not committed to an ‘abstract entity.’ But how unabstract is class theory?
Grice hardly attaches to the canonicals of first-order predicate calculus with
identity together with class theory. An item i is a universalium and 'abstractum' iff
i fails to occupy a region in space and time. This raises a few
questions. It is conceivable that an items that is standardly regarded as
an 'abstractum' may nonetheless occupy a volumes of space and time. The school
of latter-day nominalism is for ever criticised at Oxford, and Grice is no
exception. The topic of the abstractum was already present in Grice’s previous
generation, as in the essay by Ryle on the systematically misleading
expression, and the category reprinted in Flew. For it to be, a particular
concretum individuum or prima substantia has to be something, which is what an
abstractum universaium provides. A universal is part of the ‘essentia’ of the
particular. Ariskants motivation for for coining “to katholou” is doxastic. Aristotle
claims that to have a ‘doxa’ requires there to be an abstract universalium, not
apart from (“para”), but holding of (“kata”) a concretum individuum. Within the
“this” (“tode”) there is an aspect of “something” (“ti.”). Aristotle uses the “hêi”
(“qua”) locution, which plays a crucial role in perceiving. Ariskant’s remark
that a particular horse is always a horse (with a species and a genus) may
strike the non-philosopher as trivial. Grice strongly denies that its
triviality is unenlightening, and he loves to quote from Plato. Liddell and
Scott have “ἱππότης,” rendered as “horse-nature, the concept of horse,”
Antisth. et Pl. ap. Simp.in Cat. 208.30,32, Sch. Arist Id.p.167F. Then there is
the ‘commensurate universal,’ the major premise is a universal proposition. Grice
provides a logical construction of such lexemes as “abstractum” and “universalium,”
and “concretum” and “individuum,” or “atomon” in terms of two relations, “izzing”
and “hazzing.” x is an individuum or atomon iff nothing other than x izzes x. Austin
is Austin, and Strawson is Strawson. Now, x is a primum individuum, proton
atomon, or prima substantia, iff x is an individuum, and nothing hazzes x. One needs to distinguish between a singular
individuum and a particular (“to kathekaston,” particulare) simpliciter. Short
and Lewis have “partĭcŭlāris, e, adj.” which they render, unhelpfully, as
“particular,” but also as “of or concerning a part, partial, particular.”
“Propositiones aliae universales, aliae particulares, ADogm. Plat. 335,
34: partĭcŭlārĭter is particularly,
ADogm. Plat. 333, 32; o “generaliter,” Firm. Math. 1, 5 fin.; o “universaliter,”
Aug. Retract. 1, 5 fin. Cf. Strawson, “Particular and general,” crediting
Grice twice; the second time about a fine point of denotatum: ‘the tallest man
that ever lived, lives, or will live.” To define a ‘particular,’ you need to
introduce, as Ariskant does, the idea of predication. (∀x)(x
is an individuum)≡◻(∀y)(y
izzes x)⊃(x izzes y). (∀x)(x
izz a particulare(≡◻(∀y)(x
izzes predicable of y)⊃(x izzes y Λ
y izzes x). Once we have defined a
‘particular,’ we can go and define a ‘singulare,’ a ‘tode ti,’ a ‘this what.” (∀x)(x
izzes singulare)⊃(x izzes an individuum). There’s
further implicate to come. (∀x)(x izzes a particulare)⊃(x
izzes an individuum)). The concern by Grice with the abstractum as a “universalium
in re” can be traced back to his reading of Aristotle’s Categoriæ, for his Lit.
Hum., and later with Austin and Strawson. Anything but a ‘prima
substantia,’ ‒ viz. essence, accident, attribute, etc. ‒ may be
said to belong in the realm of the abstractum or universalium qua predicable. As
such, an abstractum and univeralium is not a spatio-temporal continuant. However,
a category shift or ‘subjectification,’ by Grice allows a universalium as subject.
The topic is approached formally by means of the notion of order. First-order
predicate calculus ranges over this or that spatio-temporal continuant
individual, in Strawson’s use of the term. A higher-order predicate calculus ranges
over this or that abstractum, a feature, and beyond. An abstractum universalium
is only referred to in a second-order predicate calculus. This is Grice’s attempt
to approach Aristkant in pragmatic key. In his exploration of the abstractum,
Grice is challenging extensionalism, so fashionable in the New World within The
School of Latter-Day Nominalists. Grice is careful here since he is well aware
that Bennett has called him a meaning-nominalist. Strictly, in Griceian
parlance, an ‘abstractum is an entity object lacking spatiotemporal properties,
but supposed to have being, to exist, or in medieval Scholastic terminology to
subsist. Abstracta, sometimes collected under the category of universals,
include mathematical objects, such as numbers, sets, and geometrical figures,
propositions, properties, and relations. Abstract entities are said to be
abstracted from particulars. The abstract triangle has only the properties
common to all triangles, and none peculiar to any particular triangles; it has
no definite color, size, or specific type, such as isosceles or scalene.
Abstracta are admitted to an ontology by Quine’s criterion if they must be
supposed to exist or subsist in order to make the propositions of an accepted
theory true. Properties and relations may be needed to account for resemblances
among particulars, such as the redness shared by all red things. Propositions
as the abstract contents or meanings of thoughts and expressions of thought are
sometimes said to be necessary to explain translation between languages, and
other semantic properties and relations. Historically, abstract entities are
associated with Plato’s realist ontology of Ideas or Forms. For Plato, these
are the abstract and only real entities, instantiated or participated in by
spatiotemporal objects in the world of appearance or empirical phenomena.
Aristotle denied the independent existence of abstract entities, and redefined
a diluted sense of Plato’s Forms as the secondary substances that inhere in
primary substances or spatiotemporal particulars as the only genuine existents.
The dispute persisted in medieval philosophy between realist metaphysicians,
including Augustine and Aquinas, who accepted the existence of abstracta, and
nominalists, such as Ockham, who maintained that similar objects may simply be
referred to by the same name without participating in an abstract form. In
modern philosophy, the problem of abstracta has been a point of contention
between rationalism, which is generally committed to the existence of abstract
entities, and empiricism, which rejects abstracta because they cannot be
experienced by the senses. Berkeley and Hume argued against Locke’s theory of
abstract ideas by observing that introspection shows all ideas to be
particular, from which they concluded that we can have no adequate concept of
an abstract entity; instead, when we reason about what we call abstracta we are
actually thinking about particular ideas delegated by the mind to represent an
entire class of resemblant particulars, from which we may freely substitute
others if we mistakenly draw conclusions peculiar to the example chosen.
Abstract propositions were defended by Bolzano and Frege in the nineteenth
century as the meanings of thought in language and logic. Dispute persists
about the need for and nature of abstract entities, but many philosophers
believe they are indispensable in metaphysics.
Refs.: For pre-play group reflections see Ryle’s Categories and
Systematically misleading expressions. Explorations by other members of Grice’s
playgroup are Strawson, ‘Particular and general’ and Warnock, ‘Metaphysics in
logic,’ The main work by Grice at Oxford on the ‘abstractum’ is with Austin (f.
15) and later with Strawson (f.23). Grice, “Aristotle’s Categoriae,” The H. P.
Grice Papers, S. II, c. 6-f. 15 and c. 6, f. 23, BANC MSS 90/135c, The Bancroft
Library, The University of California, Berkeley.
AD-CEPTUM: Grice: “Two Latin roots.” cf.
re-ceptum -- acceptum: Grice:
Etymologically, ad-ceptum -- or ‘ACCEPTVM,’ as Grice would spell it. As a
meta-ethicist, like Hare, Grice is interested in providing criteria for
acceptability. He proposes three formal universalizability, conceptual
universalizability, and applicational universalizability. This is Grice’s
Golden Rule, which is Biblical in nature. Grice needs a past participle for a
‘that’-clause of something ‘thought’. He has ‘creditum’ for what is
believed, and ‘desideratum’ for what is desired. So he uses ‘acceptum’ for
what is accepted, a neutral form to cover both the desideratum and the
creditum. Short and Lewis have ‘accipio,’ f. ‘capio.’ Grice uses the
abbreviation “Acc” for this. As he puts it in the Locke lectures: "An idea I want to explore is that we represent
the sentences ‘Smith should be
recovering his health by now’ and ‘Smith should join the cricket club’ as having the following structures. First, a common
"rationality" operator 'Acc', to be heard as "it is
reasonable that", "it is acceptABLE that", "it
ought to be that", "it should be that", or in some
other similar way.Next, one or other of two mode operators, which in the case
of the first are to be written as
'⊢'
and in the case of the
second are to be written as '!.’ Finally a
'radical', to be represented by 'r' or some other lower-case letter. The
structure for the second is ‘Acc
+ ⊢ +
r. For the second, ‘Acc + ! + r,’ with each symbol falling within the scope of
its predecessor. Grice
is not a psychologist, but he speaks of the ‘soul.’ He was a philosopher
engaged in philosophical psychology. The psychological theory which Grice
envisages would be deficient as a theory to explain behaviour if it did not
contain provision for interests in the ascription of psychological states
otherwise than as tools for explaining and predicting behaviour, interests e.
g. on the part of one creature to be able to ascribe these rather than those
psychological states to another creature because of a concern for the other
creature. Within such a theory it should be possible to derive strong
motivations on the part of the creatures Subjects to the theory against the
abandonment of the central concepts of the theory and so of the theory itself,
motivations which the creatures would or should regard as justified. Indeed, only from within the framework of
such a theory, I think, can matters of evaluation, and so, of the evaluation of
modes of explanation, be raised at all. If I conjecture aright, then, the
entrenched system contains the materials needed to justify its own
entrenchment; whereas no rival system contains a basis for the justification of
anything at all. We should recall that the first rendering that Liddell and Scott
give for “ψυχή” is “life;” the tripartite division of “ψ., οἱ δὲ περὶ Πλάτωνα
καὶ Ἀρχύτας καὶ οἱ λοιποὶ Πυθαγόρειοι τὴν ψ. τριμερῆ ἀποφαίνονται, διαιροῦντες
εἰς λογισμὸν καὶ θυμὸν καὶ ἐπιθυμίαν,” Pl.R.439e sqq.; in Arist. “ἡ
ψ. τούτοις ὥρισται, θρεπτικῷ, αἰσθητικῷ, διανοητικῷ, κινήσει: πότερον δὲ τοὔτων
ἕκαστόν ἐστι ψ. ἢ ψυχῆς μόριον;” de An.413b11, cf. PA641b4; “ἡ θρεπτικὴ
ψ.” Id.de An.434a22, al.; And Aristotle also has Grice’s favourite,
‘psychic,’ ψυχικός , ή, όν, “of the soul or life, spiritual, o “σωματικός, ἡδοναί”
Arist.EN1117b28. The compound “psichiologia” is first used in
"Psichiologia de ratione animae humanae," (in Bozicevic-Natalis, Vita
Marci Maruli Spalatensis). A footnote in “Method,” repr. in “Conception” dates
Grice’s lectures at Princeton. Grice is forever grateful to Carnap for having
coined ‘pirot,’ or having thought to have coined. Apparently, someone had used
the expression before him to mean some sort of exotic fish. He starts by
listing this or that a focal problem. The first problem is circularity. He
refers to the dispositional behaviouristic analysis by Ryle. The second focal
problem is the alleged analytic status of a psychological law. One problem concerns
some respect for Grice’s own privileged access to this or that state and this or
that avowal of this or that state being incorrigible. The fourth problem
concerns the law-selection. He refers to pessimism. He talks of folk-science. D
and C are is each predicate-constant in some law L in some psychological
theory θ. This or that instantiable of D or C may well be a set or a
property or neither. Grices way of Ramseyified naming: There is just one
predicate D, such that nomological generalization L introducing D via implicit
definition in theory θ obtains. Uniqueness is essential since D is
assigned to a names for a particular instantiable (One can dispense with
uniqueness by way of Ramseyified description discussed under ‘ramseyified
description.’) Grice trusts he is not overstretching Ramsey’s original
intention. He applies Ramsey-naming and Ramsey-describing to pain. He who
hollers is in pain. Or rather, He who is in pain hollers. (Sufficient but not
necessary). He rejects disjunctional physicalism on it sounding harsh, as
Berkeley puts it, to say that Smiths brains being in such and such a state is a
case of, say, judging something to be true on insufficient evidence. He
criticises the body-soul identity thesis on dismissing =s main purpose, to
license predicate transfers. Grice wasnt sure what his presidential
address to the American Philosophical Association will be about. He chose
the banal (i.e. the ordinary-language counterpart of something like a need we
ascribe to a squirrel to gobble nuts) and the bizarre: the philosophers
construction of need and other psychological, now theoretical terms. In
the proceedings, Grice creates the discipline of Pology. He cares to
mention philosophers Aristotle, Lewis, Myro, Witters, Ramsey, Ryle, and a few
others. The essay became popular when, of all people, Block, cited it as a
programme in functionalism, which it is Grices method in functionalist
philosophical psychology. Introduces Pology as a creature-construction
discipline. Repr. in “Conception,” it reached a wider audience. The essay
is highly subdivided, and covers a lot of ground. Grice starts by noting that,
contra Ryle, he wants to see psychological predicates as theoretical concepts.
The kind of theory he is having in mind is folksy. The first creature he
introduces to apply his method is Toby, a squarrel, that is a reconstructed
squirrel. Grice gives some principles of Pirotology. Maxims of rational
behaviour compound to form what he calls an immanuel, of which The
Conversational Immanuel is a part. Grice concludes with a warning against the
Devil of Scientism, but acknowledges perhaps he was giving much too credit to
Myros influence on this! “Method” in “Conception,” philosophical
psychology, Pirotology. The Immanuel section is perhaps the most important from
the point of view of conversation as rational cooperation. For he identifies
three types of generality: formal, applicational, and content-based. Also, he
allows for there being different types of imannuels. Surely one should be the
conversational immanuel. Ryle would say that one can have a manual, yet now
know how to use it! And theres also the Witters-type problem. How do we say
that the conversationalist is following the immanuel? Perhaps the statement is
too strongcf. following a ruleand Grices problems with resultant and basic
procedures, and how the former derive from the latter! This connects with
Chomsky, and in general with Grices antipathy towards constitutive rules! In
“Uncertainty,” Grice warns that his interpretation of Prichards willing that as
a state should not preclude a physicalist analysis, but in Method it is all against
physicalism. In Method, from the mundane
to the recondite, he is playful enough to say that primacy is no big deal, and
that, if properly motivated, he might give a reductive analysis of the buletic
in terms of the doxastic. But his reductive analysis of the doxastic in terms
of the buletic runs as follows: P judges that p iff P wills as follows: given
any situation in which P wills some end E and here are two non-empty classes K1 and
K2 of action types, such that: the performance by P of an
action-type belonging to K1 realises E1 just in
case p obtains, and the performance by the P of an action type belonging to of
K2 will realise E just in case p does not obtain, and here is
no third non-empty class K3 of action types such that the
performance by the P of an action type belonging to will realise E
whether p is true or p is false, in such situation, the P is to will that the P
performs some action type belonging to K1. Creature construction
allows for an account of freedom that will metaphysically justify absolute
value. Frankfurt has become famous for his second-order and
higher-order desires. Grice is exploring similar grounds in what comes out as
his “Method” (originally APA presidential address, now repr. in “Conception”). acceptabilitias.
Grice generalizes his desirability and credibility functions into a single
acceptability. Acceptability has obviously degrees. Grice is thinking of
‘scales’ alla: must, optimal acceptability (for both modalities), should
(medium acceptability), and ought (defeasible acceptability). He develops the
views in The John Locke lectures, having introduced ‘accept,’ in his BA lecture
on ‘Intention and Uncertainty.’ In fact, much as in “Causal Theory” he has an
excursus on ‘Implication,’ here he has, also in italics, an excursus on
“acceptance.” It seems that a degree of analogy between intending and believing
has to be admitted; likewise the presence of a factual commitment in the case
of an expression of intention. We can now use the term ‘acceptance’ to express
a generic concept applying both to cases of intention and to cases of belief.
He who intends to do A and he who believes that he will do A can both be said
to accept (or to accept it as being the case) that he will do A. We could now
attempt to renovate the three-pronged analysis discussed in Section I,
replacing references in that analysis to being sure or certain that one will do
A by references to accepting that one will do A. We might reasonably hope
thereby to escape the objections raised in Section I, since these objections
seemingly centred on special features of the notion of certainty which would
NOT attach to the generic notion of acceptance. Hope that the renovated
analysis will enable us to meet the sceptic will not immediately be realised,
for the sceptic can still as (a) why some cases of acceptance should be
specially dispensed from the need for evidential backing, and (b) if certain
cases are exempt from evidential justification but not from justification, what
sort of justification is here required. Some progress might be achieved by
adopting a different analysis of intention in terms of acceptance. We might
suggest that ‘Grice intends to go to Harborne’ is very roughly equivalent to
the conjunction of ‘Grice accepts-1 that he will go to Harborne’ and ‘Grice
accepts-2 that his going to Harborne will result from the effect of his
acceptance-1 that he will go to Harborne. The idea is that when a case of
acceptance is also a case of belief, the accepter does NOT regard his
acceptance as contributing towards the realisation of the state of affairs the
future the existence of which he accepts; whereas when a case of acceptance is
not a case of belief but a case of intention, he does regard the acceptance as
so contributing. Such an analysis clearly enables us to deal with the sceptic
with regard to this question (a), viz. why some cases of acceptance (those
which are cases of intention) should be specially exempt from the need of
evidential backing. For if my going to Harborne is to depend causally on my acceptance
that I shall-c go, the possession of satisfactory evidence that I shall-c go
will involve possession of the information that I accept that I shall-c go.
Obviously, then, I cannot (though others can) come to accept that I shall-c go
on the basis of satisfactory evidence, for to have such evidence I should have
already to have accepted that I shall-c go. I cannot decide whether or not to
accept-1 that I shall-c go on the strength of evidence which includes as a
datum that I do accept-1 that I shall-c go. Grice grants that we are still
unable to deal with the sceptic as regards question (b), viz. what sort of
justification is available for those cases of acceptance which require
non-evidential justification even though they involve a factual commitment. Though
it is clear that, on this analysis, one must not expect the intender to rely on
evidence for his statements of what he will in fact do, we have not provided
any account of the nature of the non-evidential considerations which may be
adduced to justify such a statement, nor (a fortiori) of the reasons why such
considerations might legitimately thought to succeed in justifying such a
statement. Refs.: Grice, “Intention and uncertainty,” The British Academy, and
BANC, MSS 90/135c, The Bancroft Library. Refs.: The obvious source is his
“Method,” repr. in “Conception,” but the keyword: “philosophical psychology” is
useful in the Grice papers. There is a specific essay on the power structure of
the soul, The H. P. Grice Collection, BANC.
AD-CIDENS:
Grice: “Two Latin roots.” cf. IN-CIDENS -- accidens: Grice: “Etymologically,
ad-cidensad casus -- accidentia, if there is accidentia, there is
‘essentia.’ If the Grecians felt like using the prefix ‘syn-‘ for this, why
didn’t the Romans use the affix ‘cum-’? There are two: coincidentia, and
concomitantia. For Grice, even English is vague hereto the point like he felt
that ‘have,’ as in ‘have a property’ seems more of a proper translation of
Aristotle’s ‘accidentia.’ Anything else falls under the ‘izz,’ not the ‘hazz.’
Because if the property is not accedental, the subject-item would just cease to
exist, so the essential property is something the subject item IZZ, not HAZZ. One
philosophical mistake: what is essential is not also accidental. Grice follows
Kripke in the account of existence and essence. If Grice’s essence is his
rational nature, if Grice becomes irrational, he ceases to exist. Not so for
any property that Grice has which is NOT essential. An essential property is
the first predicable, in that it is not one of this or that genus that is
redundant. So Grice applies ‘accidental,’ like ‘essential’ to ‘attribute,’ and
to attribute is to predicate. An essential attribute is manifested by an
essential predicate. A non-essential predicate is an accidental attribute.
There is the ‘idea’ of the ‘proprium,’ idion, with which Grice has to struggle
a little. For what is the implicaturum of a ‘proprium’ ascripition? “Man is a
laughing animal.” Why would someone say such an idiocy in the first place?!
Strictly, from a Griceian point of view, an ‘accidens’ is feature or property
of a substance e.g., an organism or an artifact without which the substance
could still exist. According to a common essentialist view of persons,
Socrates’ size, color, and integrity are among his accidents, while his
humanity is not. For Descartes, thinking is the essence of the soul, while any
particular thought a soul entertains is an accident. According to a common
theology, God has no accidents, since all truths about him flow by necessity
from his nature. These examples suggest the diversity of traditional uses of
the notion of accident. There is no uniform conception; but the Cartesian view,
according to which the accidents are modes of ways of specifying the essence of
a substance, is representative. An important ambiguity concerns the identity of
accidents: if Plato and Aristotle have the same weight, is that weight one
accident say, the property of weighing precisely 70 kilograms or two one
accident for Plato, one for Aristotle? Different theorists give different
answers and some have changed their minds. Issues about accidents have become
peripheral in this century because of the decline of traditional concerns about
substance. But the more general questions about necessity and contingency are
very much alive. While not one of the labours of Grice, Accidentailism is
regarded by Grice as the metaphysical thesis that the occurrence of some events
is either not necessitated or not causally determined or not predictable. Many
determinists have maintained that although all events are caused, some
nevertheless occur accidentally, if only because the causal laws determining
them might have been different. Some philosophers have argued that even if
determinism is true, some events, such as a discovery, could not have been
predicted, on grounds that to predict a discovery is to make the discovery. The
term may also designate a theory of individuation: that individuals of the same
kind or species are numerically distinct in virtue of possessing some different
accidental properties. Two horses are the same in essence but numerically
distinct because one of them is black, e.g., while the other is white.
Accidentalism presupposes the identity of indiscernibles but goes beyond it by
claiming that accidental properties account for numerical diversity within a
species. Peter Abelard criticized a version of accidentalism espoused by his
teacher, William of Champeaux, on the ground that accidental properties depend
for their existence on the distinct individuals in which they inhere, and so
the properties cannot account for the distinctness of the individuals.
Ad-ccidie
-- Accidie:
Grice: Two Latin roots.” also acedia, apathy, listlessness, or ennui. This
condition is problematic for the internalist thesis that, necessarily, any
belief that one morally ought to do something is conceptually sufficient for
having motivation to do it. Grice gives the example of Ann. Ann has long
believed that she ought, morally, to assist her ailing mother, and she has
dutifully acted accordingly. Seemingly, she may continue to believe this, even
though, owing to a recent personal tragedy, she now suffers from accidie and is
wholly lacking in motivation to assist her mother. acedia, Fr. acédie, tristesse, Gr. “ἀϰήδεια,”
“ἀϰηδία,” Lat. taedium v. malaise, melancholy, spleen, dasein, desengano,
oikeiosis, sorge, verguenza. Through the intermediary of monastic Lat., “acedia,”
“weariness, indifference” (Cassian, De institutis coenobiorum, 10.2.3; RT:
PL, 49, cols. 363–69), the rich Greek
concept of “akêdeia,” a privative formed on “kêdos” [ϰῆδоς], “care,” and
bearing the twofold meaning of lacking care (negligence) and absence of care
(from lassitude or from serenity), established well in the language —a concept
that belongs simultaneously to the communal and the moral registers. The Greek
was originally associated with social rituals; in philosophical Latin from
Seneca on, it was related to the moral virtue of intimacy, but its contemporary
usage has returned it to a collective dimension. Gr. “akêdeia” is
simultaneously part of the register of the obligations owed to others and part
of the register of self-esteem: this breadth of meaning determines the later
variations. On the social level, the substantive kêdos, “care, concern,” is
specialized as early as Homer in two particular uses: mourning, the honors
rendered to the dead, and union, family relationship through marriage or
through alliance; “ϰήδεια” (adj. “ϰῆδεоς”) is the attention that must be paid
to the dead, as well as the concern and care for allies, characteristic of this
relationship of alliance, which is distinct from that of blood and also
contributes to philia [φιλία], to the well-being of the city-state (Aristotle,
Politics, 9.1280b 36; see love and polis); “ὁ ϰηδεμών” refers to all those who
protect, for example, tutelary gods (Xenophon, Cyropaedia, 3.3.21). Akêdês [ἀϰηδής]
qualifies in an active sense, in a positive way, someone who is exempt from
care and anxiety (Hesiod, Theogony, 5.489, apropos of the “invincible and
impassive” Zeus, but also, negatively, the serving woman or negligent man;
Homer, Odyssey, 17.319; Plato, Laws, 913c); in the passive sense, it designates
a person who is neglected (Odyssey, 20.130) or abandoned without burial (like
Hector, Iliad, 24.554). How can the lack of care, “akêdeia,” become a virtue of
the reflexive type? There is a twofold
sense of the term (transitive: care for others; reflexive: care for oneself).
The first movement toward the ethics of intimacy is determined by practical
philosophy’s reflection on the finitude of human life. The event represented by
death produces a sadness that seems to have no consolation. The moral reaction
to situations in which one finds oneself fearing such a finitude is presented
in an active and critical way in the ethics developed by Seneca in the Consolations.
Grace and purity can temper sadness (“Marcum blandissimum puerum, ad cujus
conspectum nulla potest durare tristitia” [Marcus, this boy, so gentle, before
whom no sadness can last]; De consolatione ad Helviam, 18.4). But above all, it
is the effort of reason and study that can overcome any sadness (“liberalia
studia: illa sanabunt vulnus tuum, illa omnem tristitiam tibi evellent” [these
studies will heal your wound, will free you from any sadness]; De consolatione
ad Helviam, 17.3). This view of internal control is foundational for a style
rooted in the culture of the South: the sober acceptance of death, and more
generally, of finitude. Acedia is conceived as having a twofold psychological
and theological meaning. First of all, it is a passion of the animus and is
therefore one of the four kinds of sadness, the other three being pigritia,
“laziness,” tristitia, “sadness” properly so called, and taedium, “boredom.” In
Christian monasticism of the fourth and fifth centuries, especially in Cassian
and the eastern desert fathers, acedia is one of the seven or eight temptations
with which the monks might have to struggle at one time or another. Usually
mentioned between sadness and vainglory in a list that was to become that of
the “seven deadly sins,” it is characterized by a pronounced distaste for
spiritual life and the eremitic ideal, a discouragement and profound boredom
that lead to a state of lethargy or to the abandonment of monastic life. It was
designated by the expression “noonday demon,” which is supposed to come from
verse 6 of Psalm 91. Thomas Aquinas opposes acedia to the joy that is inherent
in the virtue of charity and makes it a specific sin, as a sadness with regard
to spiritual goods (Summa theologica, IIa, IIae, q. 35). Some place acedia among
the seven deadly sins. If it is equivalent to the more widespread terms
“taedium” and “pigritia”, that is because it is the result of an excess of
dispersion or idle chatter, and of the sadness and indifference (incuria)
produced by the difficulty of obtaining spiritual goods. Thus “desolation” is
supposed also to be a term related to acedia, and is often employed in
spiritual and mystical literature——and it subsists in the vocabulary of moral
sentiments. The secular sense that the word has acquired can make “acedia” the
result of a situation of crisis and social conflict. Acedia (derivedfrom the
adjective “acedo,” from Lat. “acidus,” “acid,” bitter) may be connected with
the deprivation and need to which the poor are subject. It involves the
naturalization or loss of aura discussed by Walter Benjamin, who draws on
Baudelaire’s notion of “spleen” and on the phenomenology of the consciousness
of loss or collective distress that follows the great upheavals of modernization
(Das Passagen-Werk).Refs.: Benjamin, Walter. Das Passagen-Werk. 5 of Gesammelte Schriften. Edited by R.
Tiedemann. Frankfurt: Suhrkamp, 1982. Translation by H. Eiland and K.
McLaughlin: The Arcades Project. Cambridge, MA: Harvard University Press, 1999.
Meltzer, Françoise. “Acedia and Melancholia.” In Walter Benjamin and the
Demands of History. Ithaca, NY: Cornell University Press.
abbri: ferdinando
abbri (n. Agliana), filosofo. Sii è laureato in filosofia con
Rossi a Firenze con una tesi su Filosofia, chimica e linguaggio; è stato borsista
della Domus Galilaeana di Pisa e successivamente ricercatore confermato presso
il Dipartimento di filosofia dell'Firenze. Dal 1976 collabora con l'Istituto e
Museo di storia della scienza di Firenze, oggi Museo Galileo, come membro del
Comitato scientifico dell'Istituto e, dal 1986, anche come membro
dell'editorial board della rivista Nuncius. Inoltre, negli stessi anni, è
entrato a far parte del comitato editoriale delle riviste Prospettiva EP e
Arkete; è nominato professore straordinario di storia della filosofia moderna e
contemporanea presso la Facoltà di lettere e filosofia dell'Università della
Calabria, Cosenza, dove ha anche insegnato storia della filosofia medievale.
Dal 1990 ha diretto, con Franco Crispini, la collana Storia delle idee della casa
editrice Rubbettino. Nel 1991 diviene Professore di storia della filosofia e
professore supplente di storia della musica moderna e contemporanea presso la
Facoltà di lettere e filosofia di Arezzo, Siena; della Facoltà aretina è stato
inoltre preside, negli anni 1994-2003, nonché direttore del Dipartimento di
studi storico-sociali e filosofici. Dal 1994 al 1999 ha ricoperto la carica di
segretario della Società Italiana di storia della scienza. È stato in più
occasioni visiting scholar all'Uppsala e al Centro di storia della scienza
dell'Accademia reale svedese delle scienze di Stoccolma e membro dello steering
committee di un progetto europeo sulla storia della chimica moderna e
contemporanea finanziato dalla Fondazione europea per la scienza di Strasburgo.
Attualmente insegna storia della filosofia ad Arezzo nel Dipartimento di
scienze della formazione, scienze umane e della comunicazione interculturale, e
storia della filosofia e filosofia morale nel Dipartimento di scienze storiche
e dei beni culturali a Siena. È Presidente del Comitato della didattica della
LM interclasse di storia e filosofia di Siena-Arezzo. Opere I suoi studi
riguardano la storia delle idee filosofiche e scientifiche, con una particolare
attenzione per la storia dell'alchimia (dal Medioevo al Seicento), della prima
chimica (da Paracelso a Lavoisier), della magia e della cultura
filosofico-scientifica europea (dal Rinascimento all'Età dei Lumi), dei
rapporti tra religione e scienza e tra musica e filosofia nell'Età moderna. Si
interessa inoltre della filosofia e della cultura britannica del Novecento, di
storia della storiografia filosofica e scientifica, del rapporto tra femminismo
e scienza e tra storia antica e narrazione cinematografica. I suoi
numerosi studi hanno portato alla pubblicazione di varie opere uscite in Italia
e all'estero; i suoi saggi sono apparsi in riviste italiane e straniere e in
volumi editi in Francia, Paesi Bassi, Svezia, Germania e USA. Si è
interessato alla cultura scandinava e in particolare alle relazioni tra Italia
e Svezia nel secolo XVIII e ha curato la pubblicazione di carteggi inediti di
scienziati toscani con scienziati svedesi e russi. Vari lavori riguardano
la letteratura, la filosofia e la musica nell'Inghilterra del Novecento, con
particolare riferimento a John Ellis McTaggart, George Edward Moore, Bloomsbury
Group; il suo libro più recente riguarda la filosofia della musica nell'800
britannico. Alcuni lavori riguardano la metafisica e la filosofia della
religione di Linneo, Joseph Priestley e la tradizione sociniana e unitariana.
In previsione di un lavoro monografico su Priestley e l'apologetica del
cristianesimo, le sue indagini considerano le radici teologiche e filosofiche
dell'unitarismo del chimico e filosofo inglese, soprattutto la sua lettura
delle opere di Fausto Sozzini e della Catechesis Racoviensis. In altri
scritti Abbri analizza le vicende delle tradizioni storiografiche, filosofiche
e scientifiche in Italia, con particolare attenzione all'opera di Aldo Mieli
che fu uno dei promotori della moderna storia della scienza nel contesto
internazionale. I suoi lavori più recenti vertono sui dibattiti
contemporanei, nell'ambito delle varie tradizioni cristiane, relativi ai
problemi connessi al gender e gli sviluppi della tradizione sociniana nell'Età
dei Lumi. Note Pubblicazioni di F.
Abbri nell'OPAC del Museo Galileo, su opac.museogalileo.it. Bernardette Bensaude-Vincent, Ferdinando
Abbri , Lavoisier in European context: negotiating a new language for
chemistry, Canton, Science history publications, Ferdinando Abbri, Un dialogo
dimenticato: mondo nordico e cultura toscana nel Settecento, Milano, Franco
Angeli, 2007, 978-88-464-8834-3. Ferdinando Abbri, Un altro paesaggio: studi
sulla musica britannica del Novecento, Firenze, Edifir, 2001, 88-7970-124-X. Ferdinando Abbri, Miti, sogni e storie:
filosofia e musica nel Novecento britannico, Milano, Franco Angeli, ,. Ferdinando Abbri, Un paese musicale :
filosofie della musica nell'Ottocento britannico, Milano, Prometheus, , Ferdinando
Abbri, Professore, Siena, su segreteriaonline.unisi.it. Dipartimento di
scienze della formazione, scienze umane e della comunicazione interculturale,
Università degli studi di Siena, su dsfuci.unisi.it. Museo Galileo, su
museogalileo.it. Nuncius: Journal of the material and visual history of
science, su museogalileo.it. Filosofi italiani del XXI secoloStorici
della scienza italiani 1951 12 lugliod Agliana.
ACCARSI sea rchaccorsi e una donna.
accetto:- torquato accetto (n. Trani), filosofo. Nativo di Trani,
visse ad Andria e fu in relazione con la cerchia del marchese Giovanni Battista
Manso, il mecenate napoletano che fu biografo di Torquato Tasso nonché
fondatore dell'Accademia degli Oziosi.
Scrisse varie rime, nelle quali evidenziò la sua delicata coscienza
morale e il breve trattato Della dissimulazione onesta: nato nel contesto della
dominazione spagnola in Italia, fu pubblicato a Napoli nel 1641 e rapidamente
dimenticato. Il libello fu poi riscoperto da Benedetto Croce all'inizio Professoree
ripubblicato da Salvatore S. Nigro. La "dissimulazione", tematica al
centro dei dibattiti all'epoca, non è, per Accetto, sinonimo di menzogna, ma
invito al raccoglimento e alla cautela. L'analisi di Accetto pone la questione,
da un piano di politica spicciola, su un piano di accurata indagine morale:
l'autore, alquanto speciosamente, differenzia la simulazione, moralmente
riprovevole perché viziata da intenzioni cattive, dalla dissimulazione, che
invece pareva all'Accetto l'unico rimedio per difendersi da una società
pullulante di simulatori e per trionfare delle proprie passioni. La ricetta
però per risultare vincente richiede una onestà di animo e un buon
equilibrio. Opere Edizioni originali: Rime di Torquato Accetto, Napoli: nella
stampa degli heredi di Tarquinio Longo, 1621 Rime del signor Torquato Accetto,
divise in amorose, lugubri, morali, sacre, et varie, Napoli: nella stampa di
Giacomo Gaffaro, 1638 (edizione ampliata dell'opera pubblicata nel 1621) Della
dissimulazione onesta, Napoli, 1641 Edizioni moderne: Rime amorose, edizione critica Salvatore S.
Nigro, Torino: Einaudi, 1987. Della dissimulazione onesta, edizione critica
Salvatore S. Nigro; presentazione di Giorgio Manganelli, Genova: Costa &
Nolan, 1983; nuova edizione Torino: Einaudi, 1997. Della dissimulazione
onestaRime, Edoardo Ripari, Milano: BURRizzoli, . Note "Le Muse", De Agostini, Novara,
196425 Benedetto Croce, Storia dell'età
barocca in Italia, Bari, 1946 Eugenio Garin, Storia della filosofia italiana,
Torino, 1966 Rosario Villari, Breve riflessione sulla Dissimulazione onesta di
Torquato Accetto, Les Dossiers du Grihl [on-line], 2009-02 Rosario Villari,
Elogio della dissimulazione. La lotta politica nel Seicento, RomaBari, Laterza
2003, 2ª ed. Traduzione francese: Éloge de la dissimulation, Les Dossiers du
Grihl [on-line], 2009-02 Jörn Steigerwald, Die (Selbst-)Problematisierung des
Hofmanns bei Baldassarre Castiglione und Torquato Accetto, in: Moralistik.
Explorationen und Perspektive, R. Behrens. Monaco, Fink 119-150 ACollabora a
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Torquato Accetto, su sapere.it, De Agostini. Torquato Accetto, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Torquato Accetto, su Liber
Liber. Opere di Torquato Accetto, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Filosofi italiani del XVII secoloScrittori
italiani Professore1640 Trani
achillini: essential Italian philosopher.
Grice: “What fascinates me about Achillini is, first, that he belonged to a
varsity older than mine, Bologna; second, that he was a Renaissance occamist,
as Matsen has shown.” Alessandro Achillini (Latina Alexander Achillinus)
filosofo. Achillini è nato a Bologna e ha vissuto la maggior parte della
sua vita. Era il figlio di Claudio Achillini, membro di un'antica famiglia di
Bologna. E 'stato celebrato come docente in filosofia presso Bologna e Padova ,
ed è stato designato "il secondo Aristotele." Lui era di natura molto
semplicistico. E 'stato qualificato nelle arti di adulazione e di doppio gioco
a tal punto che i suoi studenti più argute e imprudenti spesso lo consideravano
come un oggetto di ridicolo, anche se lo hanno onorato come insegnante. Egli
possedeva anche un bel carattere vivace. Secondo la descrizione di un collega,
che era bello, alto ma ben proporzionato, allegro, felice, spesso sorridente, e
affabile. Achillini mai sposato. La sua reputazione tra i suoi colleghi era
ammirevole ed era molto rispettato. E anche se era ben Achillini lettura e
formidabile in un dibattito, è stato detto di essere un po 'rigida e rigido
nella sua docenza. Dopo la sua morte, molte persone sono state estremamente
devastati. Le sue opere filosofiche sono state stampate in un volume in folio
, a Venezia , e ristampato con notevoli aggiunte. E 'morto a Bologna e fu
sepolto nella chiesa di San Martino. Tra le sue scoperte notevoli, è conosciuto
come il primo anatomico per descrivere le due ossa tympanal dell'orecchio,
chiamato martello e incudine . Ha mostrato che il tarso (parte centrale del
piede) è costituito da sette ossa, ha riscoperto il fornice e l'infundibolo del
cervello. Inoltre ha descritto i condotti delle ghiandole salivari
sottomascellari. Suo fratello è stato l'autore Giovanni Filoteo Achillini
, e il suo pronipote, Claudio Achillini, era un avvocato. Fu costretto a
lasciare Bologna a causa della espulsione della potente famiglia Bentivoglio di
cui era un partigiano. Poi è andato a Padova dove è stato nominato professore
di filosofia. Alessandro Achillini iniziò ad insegnare quando aveva 21
anni. Dagli anni 1484-1512, ad eccezione 1506-1508, è stato professore di
filosofia in Bologna . Durante il periodo di 2 anni tra il 1506-1508 Achillini
era un professore presso l' Padova. Achillini insegnato a Bologna per ventotto
anni, che è più lungo di chiunque abbia mai insegnato a Bologna in la
filosofia. L'Padova ha avuto uno statuto, che se un professore è riuscito
a leggere in qualsiasi giorno assegnato, o non è riuscito ad avere un certo
numero di studenti che sarebbe essere documentati e poi ci sarebbe stata una
diminuzione di stipendio per evento. Durante i mesi di dicembre a marzo
15061507 Achillini non ha soddisfatto il requisito per la lettura, a cui è
stato penalizzato 351 lire bolognesi. Achillini ha anche ricevuto due lettere
fortemente formulate nel mese di agosto e settembre 1507 dal Comune di Bologna,
affermando che la sua assenza non era autorizzata, e se avesse continuato
avrebbe penalizzato severamente (500 ducati d'oro per la prima
infrazione). Achillini partecipato molti comitati di dottorato come
membro per l'esame e l'approvazione dei candidati. Ci sono registrazioni di lui
che frequentano almeno novanta volte al presente procedimento. I procedimenti
sono esami di dottorato o di elezioni dei nuovi membri della Compagnia di
collegiali medici. Inoltre, Achillini di era ben versato in teologia. I
suoi disegni iniziali indicano un interesse ad entrare al sacerdozio. Egli
sembra aver iniziato gli studi al seminario prima al 1476; l'anno in cui è
entrata la tonsura nella Cattedrale di Bologna. E anche se poi spostato la sua
attenzione al mondo accademico, è rimasto un teologo attivo per tutta la sua
vita e ha contribuito a due Congressi Generali dell'Ordine Francescano; uno a Bologna
nel 1494 e un altro terrà a Roma.. Mentre in residenza a Bologna,
Achillini è accreditato come strumentale nel generare interesse per Guglielmo
di Ockham. L'estensione del riconoscimento alcuno di Achillini è difficile da
discernere, ma si ritiene che i suoi contemporanei e all'università istigato
una breve rinascita Ockhamistic, come evidenziato dagli ultimi lavori dei suoi
studenti. pubblicazioni Le “Note anatomiche del grande Alexander
Achillinus di Bologna” dimostrano una descrizione dettagliata del corpo umano.
Achillini paragona ciò che ha trovato durante i suoi dissezioni a ciò che altri
come Galeno e Avicenna hanno trovato e note le loro somiglianze e differenze.
Achillinus afferma ci sono sette caratteristiche in sede di esame del corpo al
posto del credeva sei data nel libro di Galeno sulle sette. Queste
caratteristiche sono sette dimensioni, il numero, la posizione, la forma, la
sostanza come in sottili o spessi, sostanza in polposo o ossea, e carnagione.
In questo lavoro, Achillinus dà anche indicazioni come come procedere con
alcune dissezioni e le procedure, come la castrazione, l'estrazione della
pietra, e la rimozione della gabbia toracica di esaminare ulteriormente il
cuore ei polmoni. E 'stato anche distinto come un anatomista, tra i suoi
scritti che sono De humani corporis anatomia (Venezia), e Annotationes
anatomicae (Bologna). Di Achillini Annotationes anatomicae è stato pubblicato
da suo fratello, Giovanni Filoteo, il 24 settembre 1520. E 'stato pubblicato in
un piccolo formato di diciotto fogli con un paio di poesie di sei e due righe
ciascuna. Ulteriore lettura Franceschini, Pietro (1970). "Achillini,
Alessandro". Dizionario della biografia scientifica . New York: Charles Scribner Sons. . Herbert
Stanley Matsen -- Alessandro Achillini (1463-1512) e la sua dottrina di
"universali" e "trascendentali": uno studio in
rinascimentale Ockhamism . Bucknell University Press. Gallerie online, storia
della scienza collezioni, University of Oklahoma Biblioteche immagini ad alta
risoluzione delle opere di e / o ritratti di Alessandro Achillini in .jpg e il
formato .tiff. Refs.: Grice,
“Achillini’s problem with transcendentals and universals,” Luigi Speranza, "Grice ed
Achillini," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia.
ackrillism: after J. L.
Ackrill, London-born, Oxford-educated tutee of Grice’s. Grice cites him in
“Some reflections on ends and happiness.” The reference is to Ackrill’s
exploration on Aristotle on happiness. Ackrill was Grice’s tutee at St. John’s
where he read, as he should, for the Lit. Hum. (Phil.). Grice instilled on him
a love for Aristotle, which had been instilled on Grice by Scots philosopher
Hardie, Grice’s tutee at THE place to study Lit. Hum., Corpus. Grice regretted
that Ackrill had to *translate* Aristotle. “Of course at Clifton and Corpus,
Hardie never asked me so!” Grice thought that Aristotle was almost being
‘murdered,’ literally, by Ackrill. That’s why Grice would always quote
Aristotle in the Grecian vernacular. An “ackrillism,” then, as Grice used it,
is a way to turn Aristotle from one vernacular to another, “usually with an
Ackrillian effect.” Griceians usually pay respect to Ackrill’s grave, which
reads, in a pretty Griceian way, “Aristotelian.” Grice commented: “A man of
words, and not of deeds…”
acito: alfredo acito (n. Pozzuoli), filosofo.
Del periodo fascista e attivista del regime. Ha studiato legge a Torino.
Iscritto all'Albo degli Avvocati di Milano. Acito divenne direttore della
rivista “Tempo di Mussolini. “ Fu selezionato al Premio San Remo per libro “Machiavelli
contro L'anti Roma.” Partecipò come rappresentante italiano al Congresso
dell'Unione Europea degli Scrittori svoltosi a Weimar. Insegnò diritto Storia e dottrina del fascismo
a Genova. “Il Popolo d'Italia,” “L'Oriente arabo: Odierne questioni politiche
della Siria, Libano, Palestina, Irak, Popolo d'Italia, 1921. Corporazioni e
sindacati nello stato, nella storia, nei partiti politici, Milano, Trasi, 1924.
Il volto della rivoluzione: 1) Storia della rivoluzione; 2) La dottrina dello
stato; 3) Realtà nazionali; 4) Il Fascio e le Verghe, Milano, Morreale, 1930.
Pref. di Paolo Buzzi. L'idea unitaria dello stato, Milano, Sonzogno, 1935. La
dottrina dello stato nel pensiero di Vincenzo Cuoco. Contributo allo studio del
pensiero politico del secolo XVIII, Milano, Sonzogno, 1936. La corporazione e
lo stato. Dall'epoca di Roma all'epoca di Mussolini, Milano, Pirrola, 1937.
Catalogo della mostra di sculture e disegni di Vincenzo Gemito. Milano Castello
Sforzesco Aprile 1938-XVI, Milano, Orsa, 1938. Il trattato di ben governare.
Opera inedita di Tommaso da Ferrara del 1500, Tempo di Mussolini, 1938.
L'ordinamento dello stato corporativo nel pensiero di Mussolini e nelle
decisioni del Gran Consiglio del Fascismo, Tempo di Mussolini, 1939. Le origini
del potere politico: "Omnis potestas a Deo" nelle discussioni degli
scrittori politici del Trecento, Tempo di Mussolini, 1940. Machiavelli contro
l'Antiroma, Tempo di Mussolini, 1940. Il concetto di popolo nel pensiero di
Hitler, Tempo di Mussolini, 1941. Il problema morale della rivoluzione
fascista, Tempo di Mussolini, 1941. La crociata antimaterialistica dell'asse,
Tempo di Mussolini, 1941. Storia e dottrina del Fascismo. Parte generale:
Nozioni fondamentali, Milano, Guf, 1941-42. Onorificenze Medaglia di
Benemerenza per i Volontari della Guerra Italo-Austriaca (1915-1918)nastrino
per uniforme ordinariaMedaglia di Benemerenza per i Volontari della Guerra
Italo-Austriaca (1915-1918) Medaglia commemorativa dell'Unità d'Italianastrino
per uniforme ordinariaMedaglia commemorativa dell'Unità d'Italia Medaglia
commemorativa delle campagne d'Africa (1882-1935)nastrino per uniforme
ordinariaMedaglia commemorativa delle campagne d'Africa (1882-1935) Cavaliere
dell'Ordine della Corona d'Italianastrino per uniforme ordinariaCavaliere
dell'Ordine della Corona d'Italia Croce al merito di guerranastrino per
uniforme ordinariaCroce al merito di guerra Note "Dichte, Dichter, tage nicht!"Die
Europäische Schriftsteller-Vereinigung in Weimar 1941-1948, Frank-Rutger
Hausmann, 2004, 3-465-03295-0. Annuario ufficiale delle forze armate del
Regno d'Italia, Istituto poligrafico dello Stato, 1938. I professori dell'Pavia, Amedeo Bianchi,
Professore all’Università Bocconi: Notizie sulla famiglia Acìto Filosofia Filosofo
Professore1898 1953 22 maggio 9 luglio Pozzuoli MilanoStudenti dell'Università
degli Studi di TorinoAvvocati italiani del XX secoloProfessori dell'Università
degli Studi di GenovaProfessori dell'Università degli Studi di PaviaDecorati di
sciarpa littoriaPersonalità dell'Italia fascistaCavalieri dell'Ordine della
Corona d'Italia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Acito,” The Swimming-Pool
Library.
aconzio: essential Italian philosopher. Grice:
“What I like about my fellow Brit, Aconzio, is that unlike Feyerabend with his
‘Anything goes,’ Aconzio cared to write about ‘method.’ Jacob
Acontius (italiani : Jacopo (o Giacomo ) Aconcio ovvero Aconzio, n. Trento)
filosofo. Ora è noto per il suo contributo alla storia di tolleranza
religiosa. E 'stato tradizionalmente pensato per essere nato a Trento ,
anche se era probabilmente Ossana. E 'stato uno degli italiani, come Pietro
Martire e Bernardino Ochino, che ha ripudiato la dottrina papale e, infine, ha
trovato rifugio in Inghilterra. Come loro, la sua rivolta contro romanità ha
preso una forma più estrema di luteranesimo, e dopo un soggiorno temporaneo in
Svizzera ed a Strasburgo è arrivato in Inghilterra subito dopo Elizabeth
adesione s'. Aveva studiato legge e teologia, ma la sua professione era quella
di un ingegnere, e in questa veste ha trovato lavoro con il governo
inglese. Al suo arrivo a Londra si unì alla Chiesa riformata olandese a
Austin Frati , ma è stato "infettato con Anabaptistical e pareri
Arian" ed è stato escluso dal sacramento da Edmund Grindal, vescovo di
Londra. Gli fu concessa la naturalizzazione. E 'stato per qualche tempo
occupati con drenaggio Plumstead paludi, per i quali si oppongono i vari atti
del Parlamento sono stati passati in questo momento. Fu inviato a riferire in
merito alle fortificazioni di Berwick e sembra che era conosciuto in
Inghilterra sia per il lavoro come ingegnere e di un riformatore religioso e
sostenitore della tolleranza durante l'inizio della Riforma. Prima di
raggiungere l'Inghilterra aveva pubblicato un trattato sui metodi di indagine,
"De Methodo, hoc est, de recte investigandarum tradendarumque Scientiarum
ratione" (Basilea); e il suo spirito critico lo pose al di fuori tutte le
società religiose riconosciute del suo tempo. La sua eterodossia si rivela
nella sua "Stratagematum Satanae libri octo," talvolta abbreviata in
Stratagemata Satanae. Gli stratagemmi di Satana sono i credi dogmatiche che
affittano la chiesa cristiana. Aconzio ha cercato di trovare il comune denominatore
dei vari credi; questa è stata la dottrina essenziale, il resto era
irrilevante. Per arrivare a questa base comune, ha dovuto ridurre il dogma a un
livello basso, e il suo risultato è stato in generale ripudiata.
"Stratagemata Satanae" non è stato tradotto in inglese fino al 1647,
ma in seguito è diventato molto influente tra i teologi liberali inglesi.
John Selden applicata alla Aconzio l'osservazione, "bene ubi, nil Melius;
ubi maschio, nemo pejus" -- "Dove buono, nessuno meglio. Dove male,
nessuno peggio." La dedica di un tale lavoro alla regina Elisabetta
illustra la tolleranza o lassismo religiosa durante i primi anni del suo regno.
Aconzio poi trovato un altro patrono in Robert Dudley, primo conte di
Leicester. Ppubblicazioni Stratagematum Satanae libri octo, De methodo sive
recta investigandarum tradendariumque artium ac scientarum ratione libello, De
methodo e Opuscoli Religiosi e filosofici , Giorgio Radetti, Firenze:
Vallecchi) Somma brevissima della Dottrina Cristiana Una esortazione al timor
di Dio Delle Osservazioni et avvertimenti Che haver si debbono nel legger delle
historie Traduzione in inglese, Tenebre Scoperto (Satana stratagemmi) ,
London (facsimile ed.,Scholars' Facsimiles & ristampe. Trattato Sulle
Fortificazioni, Paola Giacomoni, Giovanni Maria Fara, Renato Giacomelli, e Omar
Khalaf (Firenze: LS Olschki). Riferimenti Attribuzione Questo articolo
comprende il testo da una pubblicazione ora in public domain : Chisholm,
Hugh, ed. " Aconcio, Giacomo ". Enciclopedia Britannica . 1 (11 ° ed.).
Cambridge University Press. Note finali: Di Gough Index a Parker Soc. Publ. Di
Strype Grindal , 62, 66 Dictionnaire di
Bayle G. Tiraboschi, Storia della letteratua italiana (Firenze, 1805-1813)
Österreichisches Biogr. Lexikon Nouvelle Biogr. générale Stephen, Leslie
, ed. " Acontius, Jacobus ". Dictionary of National Biography . 1 .
London: Smith, Elder & Co. link esterno Allgemeine Deutsche
Biographieversione online a Wikisource Opere di Jacob Acontius a Post-Riforma
Digital Library. Refs.: Luigi Speranza, "Grice ed Aconzio," per Il
Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
acquasparta: matteo
d'acquasparta O.Min. cardinale di Santa Romana Chiesa Chiostro di ognissanti,
personalità francescane 09 matteo d'acquasparta. emplate-Cardinal.svg
Nato1240 ca., Todi Creato cardinale16 maggio 1288 da papa Niccolò IV
Deceduto1302, Roma Manuale Matteo Bentivegna (o Bentivenga) dei
Signori d'Acquasparta (Acquasparta, 1240Roma, 29 ottobre 1302) cardinale, teologo
e filosofo italiano, appartenente all'Ordine francescano. Nacque da una
delle grandi famiglie delle Terre Arnolfe, quella dei Bentivegna, feudatari di
Acquasparta e Massa Martana, trasferitisi a Todi alla fine dell'XI secolo.
Per alcuni era fratello del cardinale Bentivegna de' Bentivegni d'Acquasparta,
Vescovo di Todi: altre ricerche mettono in dubbio il rapporto di parentela fra
i due cardinali, ma l'uso da parte di entrambi del medesimo Stemma e predicato
Nobiliare denunciano, per le ferree regole araldiche, l'appartenenza alla
stessa famiglia. Lo stemma araldico è ancora oggi visibile nella tomba di
Matteo d'Acquasparta, nel Castello di Massa Martana, e negli Annali di Todi.
Entrò giovanissimo nell'ordine francescano e ben presto si dimostrò molto dotto
soprattutto in teologia, ottenendo il compimento degli studi in due delle più
grandi Università d'Europa: Parigi e Bologna. La sua fama raggiunse Roma e
diventò dapprima lector Sacri Palatii, sostituendo John Peckham, (divenuto nel
frattempo arcivescovo di Canterbury), e poi, nel 1287, ministro generale
dell'ordine francescano. Nei conflitti sulla povertà dell'Ordine, Matteo
fu uno dei principali sostenitori della corrente maggioritaria dei Francescani
(la cosiddetta Comunità, che si opponeva ai rigoristi del movimento degli
Spirituali e difendeva un'interpretazione più blanda della Regola in materia di
povertà), e approvò il possesso di beni in comune da parte dei frati. Dante lo
nomina, biasimandolo, tramite le parole di San Bonaventura, nel Paradiso (XII,
124) in opposizione a Ubertino da Casale: «ma non fia da Casal né
d'Acquasparta,/ là onde vegnon tali alla scrittura,/ ch' uno la fugge, e
l'altro la coarta.» La sua lungimiranza e sagacia politica lo portarono
ben presto a salire nella gerarchia ecclesiastica. Nel 1288, eletto al papato,
con il nome di Niccolò IV, il francescano Girolamo Masci di Ascoli, religioso
vicino alla grande famiglia romana dei Colonna, Matteo venne creato quasi
subito cardinale prete con il titolo di San Lorenzo in Damaso (16 maggio 1288).
Al suo posto, il capitolo francescano del 1289 scelse come ministro generale
Raymond de Gaufredi, uno Spirituale di primo piano che, nonostante appartenesse
alla corrente avversaria rispetto a quella di Matteo d'Acquasparta, fu tuttavia
eletto alla guida dell'Ordine, anche per le pressioni politiche della Casa
d'Angiò, con la quale lo stesso Raymond aveva un rapporto personale molto
stretto. A partire dal suo ingresso nel collegio cardinalizio, Matteo
cominciò ad accumulare gratificazioni e incarichi. Quando venne eletto al
soglio pontificio l'eremita Pietro da Morrone, con il nome di Celestino V,
Matteo continuò ad esercitare di fatto il generalato con molta astuzia
politico-ecclesiastica. Bonifacio VIII ritratto nella basilica di
San Paolo fuori le mura Monumento funebre di Matteo in Santa Maria in
Aracoeli Dopo le dimissioni improvvise di Celestino V, divenne una pedina
determinante nel conclave di Natale del 1294, che portò all'elezione di
Benedetto Caetani, papa Bonifacio VIII, del quale fu uno dei pochissimi amici
fidati, e per il quale assunse incarichi di grande prestigio, e talora molto
delicati, prima come responsabile della cosiddetta crociata contro i Colonna,
poi come ambasciatore in Lombardia, Firenze e quindi in Romagna. Nel
1300, il papa lo inviò a Firenze come legato apostolico, nel tentativo di
pacificare le fazioni guelfe dei Cerchi e Donati, soprattutto quando giunse
all'orecchio del pontefice la notizia che i Cerchi, più numerosi, si erano
alleati con città ghibelline come Pisa e Arezzo. Il cardinale arrivò in
città a giugno, ma se ne ripartì presto perché le fazioni non gli conferirono
alcuna delega per prendere decisioni. Recatosi a Lucca, quando i Donati fecero
una congiura rientrando in Firenze alla spicciolata dall'esilio cui erano stati
condannati (come disposto in modo equanime per i capi delle due fazioni, e per
il quale esilio erano già partiti i Cerchi), egli marciò con un esercito di
lucchesi su Firenze, palesando la sua volontà di favorire i guelfi neri.
Bloccato alle porte del territorio fiorentino, arrivò comunque in città, dove
regnava ormai il malcontento da entrambe le parti sulla sua figura. Una freccia
fu lanciata verso la sua finestra nel Palazzo vescovile, obbligandolo a
traslocare per timore nel Palazzo dei Mozzi. I Signori della città, dispiaciuti
per l'accaduto, gli offrirono spontaneamente un risarcimento pecuniario, ma
eglidopo qualche perplessitàlo rifiutò. La scena, con il cardinale che guarda i
soldi indeciso se prenderli o meno, è vividamente descritta da Dino Compagni
nella sua Cronica, essendo egli stesso presente in quanto deputato alla
consegna: «I Signori, per rimediare allo sdegno avea ricevuto, gli
presentorono fiorini nuovi. E io gliel portai in una coppa d'ariento, e dissi:
"Messere, non li dísdegnate perché siano pochi, perché sanza i consigli
palesi non si può dare più moneta". Rispose gli avea cari; e molto li
guardò, e non li volle.» (Libro I, XXI) Subito dopo se ne andò dalla
città. Fu vescovo di Porto e Santa Rufina e sub-decano del Sacro Collegio.
Fedele fino all'ultimo a papa Caetani, morì a Roma agli inizi di novembre del
1302, e fu sepolto nella Basilica di Santa Maria in Aracoeli, in un grandioso
monumento funebre in stile gotico, ancora oggi visibile. Note Memorie storiche di Todi di Lorenzo Leonii,
anni 1201-1207 Dante Alighieri, Divina
Commedia, Paradiso XII, vv. 124-126, testo critico della Società dantesca,
Milano Ulrico Hoepli, 1963718-719. Per
l'importante ruolo di Matteo d'Acquasparta durante il pontificato di Bonifacio
VIII vedi Agostino Paravicini Bagliani, Bonifacio VIII, Torino, Einaudi, RCS, Milano, Per il sepolcro, che fu presumibilmente
commissionato dai suoi confratelli, si veda: Giulia Barone, Matteo
d'Acquasparta, Matteo D'Acquasparta in Dizionario Biografico Treccani Agostino Paravicini Bagliani, Bonifacio VIII,
Torino, Einaudi,RCS, Milano, 2006 Ordine
francescano Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Matteo
d'Acquasparta Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini
o altri file su Matteo d'Acquasparta
Matteo d'Acquasparta, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Matteo
d'Acquasparta / Matteo d'Acquasparta (altra versione), in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Matteo d'Acquasparta, su sapere.it, De Agostini. Giulia Barone, Matteo d'Acquasparta, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Matteo d'Acquasparta, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. David
M. Cheney, Matteo d'Acquasparta, in Catholic Hierarchy. Salvador Miranda,
ACQUASPARTA, O.F.M., Matteo d', su fiu.eduThe Cardinals of the Holy Roman
Church, Florida International University. 6 gennaio . Arsenio Frugoni, Matteo
d'Acquasparta, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
1970. PredecessoreMinistro generale dell'Ordine
francescanoSuccessoreFrancescocoa.png Arlotto da Prato
1285-12871287-1289Raimondo di Goffredo 1289-1295 PredecessoreCardinale
presbitero di San Lorenzo in DamasoSuccessoreCardinalCoA PioM.svg vacante dal
12171288-1291Francesco Ronci 18 settembre13 ottobre
1294 PredecessorePenitenziere maggioreSuccessoreCoat of arms Holy See.svg
Bentivegna de' Bentivegn Gentile PortinoPredecessoreCardinale vescovo di Porto
e Santa RufinaSuccessoreCardinalCoA PioM.svg Bernard de Languissel 2Giovanni
Minio da Morrovalle V D M Francescanesimo V D M Disputa sulla povertà
apostolicaFilosofi italiani Professore1240 1302 29 ottobre RomaCardinali
nominati da Niccolò IVCardinali francescani del XIII secoloFrancescani
italianiPersonaggi citati nella Divina Commedia (Paradiso)Scrittori medievali
in lingua latinaVescovi francescani
acquisto: benedetto
d'acquisto arcivescovo della Chiesa cattolica Incarichi ricopertiArcivescovo di
Monreale Nato1º febbraio 1790 a Monreale Ordinato presbitero5
febbraio 1814 Nominato arcivescovo23 dicembre 1858 da papa Pio IX Consacrato
arcivescovo2 gennaio 1859 dal cardinale Antonio Maria Cagiano de Azevedo
Deceduto7 agosto 1867 (77 anni) a Palermo Manuale Benedetto D'Acquisto,
al secolo Raffaele D'Acquisto (Monreale), filosofo. Fu uno dei principali
esponenti della storia del pensiero filosofico in Sicilia nell'800, fautore di
quella linea ontologista che vide, allora, moltissimi seguaci in Sicilia e che
mise in collegamento la riflessione filosofica siciliana con quella presente
nel resto d'Italia, in particolare con la dottrina ed il pensiero di Vincenzo
Gioberti. Il suo pensiero risulta una sintesi fra la psicologia cartesiana ed
il dinamismo di Leibniz a cui si aggiunge la tradizione teologica e filosofica
cristiana che prende come punti di riferimento sant'Agostino e san Bonaventura
da Bagnoregio. Pubblicò numerose opere i cui contenuti spaziavano dal
pensiero intorno a Dio al creazionismo, dall'onnicentrismo all'analisi dell'uomo
come essere vitale che è insieme Potenza, Sapienza ed Amore. Indice
1L'età giovanile 2L'età adulta, l'insegnamento universitario e le opere 3La
carica di arcivescovo ed i moti insurrezionali 4Gli ultimi anni 5Il pensiero
filosofico 6Opere principali 7Genealogia episcopale 8 9 10 L'età giovanile
Benedetto D'acquisto nacque come Raffaele D'Acquisto a Monreale il 1º febbraio
1790 da Niccolò D'Acquisto di professione calzolaio e da Maria Di Meo. Sin da
giovanissimo manifestò uno spiccato interesse verso lo studio e per questo
motivo fu iscritto dai genitori alla scuola del seminario di Monreale.
All'interno del seminario il sacerdote Benedetto Signorelli rimase
favorevolmente colpito dalle grandi doti e dall'ingegno di Raffaele D'Acquisto
e decise di fornirgli i mezzi economici necessari per continuare gli studi in
quanto i genitori non potevano garantirgli l'accesso all'istruzione superiore.
Fu in segno di riconoscenza nei confronti di questo sacerdote che Raffaele
decise di cambiare il suo nome in Benedetto. Da quel momento in poi verrà,
infatti, ricordato come Benedetto D'Acquisto. Nel 1806 all'età di 16 anni
entrò a far parte dell'Ordine dei Frati minori riformati a Palermo dove prima
compì gli studi superiori in filosofia e teologia e poi divenne insegnante
nello stesso convento. Successivamente otterrà anche la laurea in filosofia
presso l'Università degli Studi di Palermo; insegnerà tale disciplina anche in
corsi universitari presso il collegio San Rocco di Palermo sito in via Maqueda
nel centro della città. L'età adulta, l'insegnamento universitario e le
opere Nel 1833 Benedetto D'Acquisto concorse alla cattedra di filosofia
all'Palermo, ma la scelta della commissione esaminatrice cadde su un altro
candidato ed allora Benedetto D'Acquisto andò ad insegnare filosofia presso il
seminario arcivescovile di Palermo. Nel 1843 vinse il concorso per la cattedra
di etica e diritto naturale all'Palermo e fino al 1858, anno in cui venne
eletto arcivescovo, vi dedicò le sue energie intellettuali migliori che gli valsero
anche la carica alla vicepresidenza dell'Accademia di scienze, lettere ed arti
di Palermo dal 1850 al 1858. Questo è anche il periodo in cui Benedetto
D'Acquisto scrive e pubblica le sue opere principali ed in cui il suo pensiero
raggiunge una grande fama anche all'estero. Tra gli scritti più
importanti di questo periodo si possono ricordare: Elementi di filosofia
fondamentale del 1833 scritto insieme a Salvatore Mancino e Vincenzo Tedeschi
Paternò Castello, il Sistema della scienza universale del 1850, la Genesi e
natura del diritto di proprietà pubblicata a Palermo nel 1858 tradotta in
francese e lodata persino da Napoleone III, il Trattato delle idee o Ideologia
in cui portava a compimento la costruzione della sua filosofia teoretica e lo
studio sulla Necessità dell'autorità e della legge del 1861 in cui D'Acquisto
tratta tematiche inerenti al diritto. Nel 1857 Benedetto D'Acquisto
pubblica una delle sue opere più importanti intitolata la Cognizione della
verità che rappresenta una sintesi armonica fra la filosofia e la teologia. In
quest'opera egli sottolinea gli stretti rapporti tra il Creatore e le sue
creature pur nella loro sostanziale ed infinita distinzione e differenza e
presenta un'antropologia filosofico-teologica che concepisce l'uomo sotto un
triplice aspetto (puro, trascendentale, fenomenico), caduto per sua libera
scelta nell'errore e nel male, ma che pure ha in sé la condizione necessaria ma
non sufficiente per la sua elevazione verso la verità e verso il bene,
condizione che soltanto grazie ad una rivelazione esterna diventa sufficiente
ed attuabile. Quest'opera rappresenta il punto massimo del pensiero del
filosofo monrealese. Oltre a questi scritti D'Acquisto ci ha lasciato
anche un trattato di logica dal titolo Organo dello scibile umano, pubblicato
postumo a Palermo nel 1871 ed un manoscritto inedito e privo di titolo
attualmente conservato presso la Biblioteca comunale di Palermo. La
carica di arcivescovo ed i moti insurrezionali Benedetto D'Acquisto fu nominato
arcivescovo di Monreale il 23 dicembre 1858 da papa Pio IX. Appena entrato
nell'arcidiocesi dovette confrontarsi con un periodo turbolento caratterizzato
dalla rivolta di Monreale del 4 aprile 1860, dall'arrivo delle truppe
garibaldine e dal conseguente tramonto del regime borbonico. Con la
costituzione del Regno d'Italia versò una cospicua somma di denaro per
equipaggiare la neonata Guardia Civica. Questo gesto gli meritò l'attenzione e
la gratitudine di re Vittorio Emanuele II che in occasione della sua visita al
duomo di Monreale volle premiare Benedetto D'Acquisto con la commenda
all'Ordine Mauriziano con la motivazione di essersi distinto egregiamente nel
campo della filosofia. Tuttavia nel 1866 scoppiò a Palermo la Rivolta del sette
e mezzo, una violenta insurrezione antigovernativa che in breve tempo si estese
anche ai territori limitrofi in particolare Monreale e Misilmeri. In questo
contesto D'Acquisto fu nominato presidente del Comitato insurrezionale di
Monreale con l'obiettivo di mantenere l'ordine pubblico nella cittadina
normanna, ma non poté fare molto, perché di lì a poco la situazione degenerò ed
i rivoltosi misero a ferro e fuoco la provincia di Palermo, causando la morte
di 21 carabinieri e 10 guardie di pubblica sicurezza. Dopo sette giorni
l'insurrezione fu domata dalle truppe governative ma Benedetto D'Acquisto fu
arrestato. Il generale Raffaele Cadorna, inviato dal governo come regio
commissario con il compito di reprimere la rivolta siciliana, nella sua
relazione al Consiglio dei ministri del 12 ottobre 1866 accusò D'Acquisto di
avere incoraggiato il moto rivoluzionario e lo qualificò come "notissimo e
pericoloso reazionario". Fu rinchiuso in prigione prima a Monreale e poi
in altre località per circa un mese insieme ad altri uomini illustri come Giuseppe
de Spuches, famoso letterato, poeta ed archeologo. Rimesso in libertà
provvisoria nel 1866, nel febbraio del 1867 godette del provvedimento di
amnistia e ritornò a Monreale per continuare la sua missione pastorale.
Gli ultimi anni Ritornato nel suo luogo natìo, si dedicò, dopo la diffusione
del colera, all'assistenza di coloro che avevano contratto tale malattia.
Tuttavia si ammalò anche lui e morì a Palermo il 7 agosto 1867. Fu tumulato
nella chiesa di Santa Rosalia, una piccola parrocchia in campagna alla
periferia di Monreale, ma nel 1900 dopo una solenne cerimonia le sue spoglie
furono traslate nel duomo di Monreale. Il pensiero filosofico Il suo
pensiero filosofico, nell'ambito teoretico e delle relazioni logiche e
dialettiche, si avvicina molto a quello platonico ed agostiniano con vistose
influenze anche del pensiero di Bonaventura da Bagnoregio. Nell'ambito
dell'ontologia si rifà alla scuola metafisica di Monreale, il cui più
importante esponente fu Vincenzo Miceli, sacerdote e teologo, e di cui
Benedetto D'Acquisto rappresenta il naturale seguace e studioso. Il nucleo
centrale della filosofia di D'Acquisto consiste nella sintesi fra psicologia ed
ontologia. Egli colloca nella coscienza il fondamento teoretico della
conoscenza scientifica e divide le idee in tre categorie: le idee
"sensibili" che riguardano il mondo materiale, le idee
"intellettuali" concernenti il proprio essere e le idee
"necessarie" relative a Dio. Questi tre tipi di idee coesistono
contemporaneamente nello spirito umano. A queste tre categorie Benedetto
D'Acquisto ne aggiunge una quarta definita come idee "di rapporto"
che permettono all'individuo di esprimere giudizi e formulare
ragionamenti. Nell'analisi del processo conoscitivo egli crea la sua
nozione di "Onnicentrismo" in cui riesce a trovare un equilibrio fra
due poli apparentemente all'opposto: l'individualità e l'universalità.
Nella sua concezione onnicentrista riesce a far coesistere l'io individuale con
l'io trascendentale sviluppando così un'unità reale fra intuizione sensibile ed
intelletto. Dall'unità tra intuizione ed intelletto si crea l'intuito
intelligente che contiene in un nesso ontologico tutta l'umana vitalità e che
mette in relazione l'individuo con l'intuito dell'azione creatrice dell'Essere
Assoluto. Questa visione avvicina molto Benedetto D'Acquisto al pensiero di
Rosmini e di Gioberti. Il filosofo monrealese tratta anche delle relazioni fra
morale e diritto. L'azione derivante dall'attività dello spirito può rimanere
all'interno dello spirito stesso senza manifestarsi all'esterno e
trasformandosi così in un atto giuridico. Questo atto giuridico costituirà la
legge morale che condurrà l'individuo a conformarsi alla natura, alla ragione
ed a Dio. Tutto ciò rappresenta la sintesi perfetta fra l'essere naturale e
l'essere spirituale. Infine Benedetto D'Acquisto nella sua opera Corso di
diritto naturale afferma che il diritto di proprietà è presente in ogni
individuo che lo utilizza per raggiungere il suo scopo naturale. Il
diritto, dunque, nella vita dell'individuo tende essenzialmente alla
conservazione, allo sviluppo e al perfezionamento della natura umana. Il
diritto positivo, invece, ha l'obiettivo di far prendere coscienza
all'individuo delle proprie azioni e di creare una perfetta armonia fra il diritto
stesso e la moralità. Ma soltanto l'onnipotenza di Dio poteva, secondo
D'Acquisto, portare alla coesistenza perfetta e senza contrasti fra fede e
scienza. Opere principali Elementi di filosofia fondamentale Saggio sulla
legge fondamentale del commercio fra l'anima ed il corpo e su di altre verità
che vi hanno rapporto Prolusione alle lezioni di diritto naturale nell'Palermo Discorso
preliminare alle lezioni di diritto naturale ed etica (1844) Memoria
estemporanea sul diritto e dovere del proprio perfezionamento (1844) Sistema
della scienza universale (1850) Corso di filosofia morale Corso di diritto
naturale e filosofia del diritto Cognizione della verità Trattato delle idee o
Ideologia Genesi e natura del diritto di proprietà Necessità dell'autorità e della legge (1861)
Teologia dogmatica e razionale (1862) Ragionamento sulla resurrezione dei corpi
(1862) Organo dello scibile umano (1871, pubblicato postumo) Genealogia
episcopale Cardinale Scipione Rebiba Cardinale Giulio Antonio Santori Cardinale
Girolamo Bernerio, O.P. Arcivescovo Galeazzo Sanvitale Cardinale Ludovico
Ludovisi Cardinale Luigi Caetani Cardinale Ulderico Carpegna Cardinale Paluzzo
Paluzzi Altieri degli Albertoni Papa Benedetto XIII Papa Benedetto XIV Papa
Clemente XIII Cardinale Giovanni Carlo Boschi Cardinale Bartolomeo Pacca Papa
Gregorio XVI Cardinale Antonio Maria Cagiano de Azevedo Arcivescovo Benedetto
D'Acquisto V. Di Giovanni, D'Acquisto e
la filosofia della creazione in Sicilia, Firenze 1868. V. Mangano, Benedetto
D'Acquisto filosofo monrealese, Palermo 1890. G. Millunzi, Storia del seminario
arcivescovile di Monreale, Siena 1895. F. Lorico, Vita di Benedetto D'Acquisto,
Palermo 1899. V. Mangano, La filosofia sociale di monsignor Benedetto
D'Acquisto, Palermo 1900. G. M. Puglia, L'arresto di mons. Benedetto D'Acquisto
arcivescovo di Monreale, Palermo 1931. , Dizionario dei siciliani illustri,
Palermo 1939. Monreale Duomo di Monreale
Rivolta del sette e mezzo Sant'Agostino San Bonaventura da Bagnoregio Antonio
Rosmini Benedetto D'Acquisto, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere di Benedetto D'Acquisto, . David M. Cheney, Benedetto D'Acquisto, in
Catholic Hierarchy. L'ontologismo
rivoluzionario nella Logica di Benedetto D'Acquisto di Antonio Fundarò, dal
sito dell'Istituto siciliano di studi politici ed economiciISSPE.
PredecessoreArcivescovo di MonrealeSuccessoreArchbishopPallium PioM.svg Pier
Francesco Brunaccini, O.S.B.23 dicembre 18587 agosto 1867Giuseppe Maria Papardo
del Pacco, C.R. V D M Arcivescovi di Monreale Fino al 1500Caro Giovanni
Boccamazza Pietro Gerra Ausias Despuig Juan de Borgia Llançol de Romaní XVI
secoloJuan Castellar y de Borja Enrique de Cardona Alessandro Farnese Ludovico
de Torres I Ludovico de Torres II XVII secoloArcangelo Gualtieri Jerónimo
Venero Leyva Cosimo de Torres Giovanni Torresiglia Francesco Peretti di
Montalto Ludovico Alfonso de Los Cameros Vitaliano Visconti Giovanni Roano e
Corrionero XVIII secoloFrancesco del Giudice Juan Álvaro Cienfuegos Villazón
Troiano Acquaviva d'Aragona Giacomo Bonanno Francesco Testa Francesco
Ferdinando Sanseverino Filippo Lopez y Royo XIX secoloMercurio Maria Teresi
Domenico Benedetto Balsamo Pier Francesco Brunaccini Benedetto D'Acquisto
Giuseppe Maria Papardo del Pacco Domenico Gaspare Lancia di Brolo XX
secoloAntonio Augusto Intreccialagli Ernesto Eugenio Filippi Francesco Carpino
Corrado Mingo Salvatore Cassisa Pio Vittorio Vigo XXI secoloCataldo Naro
Salvatore Di Cristina Michele Pennisi Filosofia Categorie: Arcivescovi
cattolici italiani del XIX secoloTeologi italianiFilosofi italiani Professore1790
1867 1º febbraio 7 agosto Monreale PalermoArcivescovi di Monreale
acri: acri,
Italian philosopher, author of an essay on Plato’s and Vico’s theory of ideas.
“Abbozzo” essential Italian philosopher. Grice:
“I love Acri’s rendition of the Cratilo into the vernacular!” Francesco Acri (n. Catanzaro), filosofo. Opere
Del sistema in genere -- Alcune prose giovanili -- Abbozzo d'una teorica delle
idee / scritto da Francesco Acri, Palermo : Stab. tip. Lao, -- In memoria di
Alfonso della Valle di Casanova -- Su la natura della storia della
filosofia : discorso letto all'Bologna / di Francesco Acri, Bologna : presso
Nicola Zanichelli successore alli Mrsigli e Rocchi, -- Critone 1 di
Platone (IV secolo a.C.), traduzione dal greco -- Timeo 75%.svg di
Platone (IV secolo a.C.), traduzione dal greco (XIX secolo) -- L'apologia di
Socrate 75%.svg di Platone (IV secolo a.C.), traduzione dal greco (XIX
secolo) Scarica in formato ePub Eutifrone 75%.svg di Platone (IV secolo
a.C.), traduzione dal greco (XIX secolo) Categorie: Catanzaro BolognaNati secoloAutori del
XX secoloAutori italiani del XIX secoloAutori italiani del XX secoloFilosofiFilosofi
del XIX secoloFilosofi del XX secoloAutori italianiFilosofi italianiAutori
citati in opere pubblicateAutori presenti sul Dizionario Biografico degli
Italiani. IL CRATILO. Due solenni
questioni intorno all'origine della lingua toglie ad esaminare Platone in
questo dialogo; se cioè i vocaboli o i nomi abbiano in sè da natura lor propria
ragione, o vera mente se retto sia il nome che da chiunque a cosa qualunque
vien posto. Cratilo segue la prima sentenza: Ermogene la seconda. Platone
ammette alcun che di vero in amendue, sebben apertamente nol dica e le confuti
anzi tuttadue. Pertanto facendo capo dalla seconda, in per sona di Socrate,
così contro di Ermogene la argomenta. Il nome parte è del discorso. Or
potendosi tenere discorso vero e falso, chiaro è che sia possibil dir anco un
nome vero ed un falso. Se dunque la sentenza di Ermogene stesse vera, che ogni
nome da chiunque posto Due solenni questioni intorno all'origine della lingua
toglie ad esaminare Platone in questo dialogo; se cioè i vocaboli o i nomi
abbiano in sè da natura lor propria ragione, o vera mente se retto sia il nome
che da chiunque a cosa qualunque vien posto. Cratilo segue la prima sentenza:
Ermogene la seconda. Platone ammette alcun che di vero in amendue, sebben
apertamente nol dica e le confuti anzi tuttadue. Pertanto facendo capo dalla
seconda, in per sona di Socrate, così contro di Ermogene la argomenta. Il nome
parte è del discorso. Or potendosi tenere discorso vero e falso, chiaro è che
sia possibil dir anco un nome vero ed un falso. Se dunque la sentenza di
Ermogene stesse vera, che ogni nome da chiunque posto a qualunque cosa sia
retto, deriverebbe che tutti i nomi, sì veri che falsi, sarebbono del pari
retti, e che la cosa medesima potrebbe aver nomi altrettanti, quanti
individualmente dagli uomini le fossimo posti, e che tosto anzi gli avesse, che
quel sopressa li pronunciassero. Inoltre, se le cose non han già sol esse una
stabilità lor propria da natura (contro il dir di Protagora, esser elle a mo'
ch'a noi paiono; giacchè se così fosse, non potrebb'esser uno più sapiente di
un altro); ma stabilità pari ad esse han pure le azioni loro, per modo che, se
uno p. e ha da tagliare una cosa, per ret tamente ciò fare, ei non la dee
tagliare a ca priccio suo, ma nel modo che la natura della medesima richiede di
tagliarla e che taglisi e con quello con che debbe tagliarsi; così pur segue
che il nominare le cose, send'un'azione, noi non le dobbiamo nominare a libito
nostro, ma nel modo che la lor natura richiede di nominarle e che nomininosi e
con che deb bonsi nominare. Arroge, che se il giudicare poi di quello con che
fassi una cosa, cioè del suo stromento, se sia ben fatto, non pertiene al
l'artefice che lo fa, ma a colui che ne usa a modo (giacchè il giudicar di un
pettine se sia ben fatto e acconcio al tessere, non per tiene a falegname, ma a
tessitore, e il giu dicar di una nave, di una cetra, se sian ben ſatte, non
pertiene ai loro fabbricatori, ma a piloto e a citarista); così pur segue, che
il giudicare del nome di cosa qualunque, se sia ben fatto, cioè se la indichi
ed insegni vera mente, non pertenga a chiunque nè a chi lo pone, ma a colui che
a modo ne usa, al dia lettico; e per conseguenza rimane chiaro che il porlo non
è opra di chiunque, ma di solo colui, che ragguardando al nome che in ispezie a
ciascuna cosa da natura conviene, colle let tere e colle sillabe è in grado di
render l'idea del medesimo. A questo discorso non sapendo Ermogene che
rispondere, prega Socrate, che voglia spie gargli e fargli conoscere cotesta
ragione, che il nome ha in sè da propria natura; e quindi soggiugnendogli ch'ei
non ammettendo la sen tenza di Protagora, esser le cose come paiono a ciascuno,
non poteva tener vero quello che in virtù di tal opinione Protagora affermava
dei nomi, Socrate allora il conforta a ricorrere ad Omero, il quale distingue
nelle cose stesse i nomi ad esse dati dagli Dei da quelli dati dagli uomini;
avvegnachè gli Dei chiamino le cose con nomi, che ad esse rettamente
convengono. E così movendosi a spiegare Socrate, secondo Omero, come ad
Astianatte, Ettore, Oreste, Agamemnone, Atreo, Pelope e Tantalo bene stieno que
nomi ch'hanno, dalla menzione di quest'ultimo naturalmente viene condotto a
spiegar la ragione del nome pur del suo padre, cioè di Giove, e quindi sale a
quello di Saturno e di Urano. Intanto rispetto ai nomi che sono posti agli
uomini ed agli eroi, egli avverte di non doversene troppo fidare, perchè molti
di essi, dicegli, sono stati presi da que de pro pri progenitori, o sono stati
posti secondo gli auspici e voti per loro, come Eutichide, for tunato, Sosia,
salvato, ecc., e per ciò dando l'addio a tali nomi, passa a spiegare quelli
delle cose che sono sempre nello stesso modo ed immutabili, vale a dire ai nomi
Dii, demoni, eroi, uomini, ed al nome corpo ed anima, dai quali l'uomo è
composto. Ma desideroso Ermogene, nel modo che aveva inteso la ra gione del
nome di Giove, di saper anche quella del nome degli altri Dei, Socrate, dopo
aver formalmente protestato, che per riguardo agli Dei, affatto nulla di loro
ei sapeva nè con quai nomi tra loro si chiamassero, nondimeno dice, che si
accingeva a dar la spiegazione di tai nomi, secondo l'opinione ch'ei credeva
avere avuto gli uomini nel porre i nomi ai medesimi; e così fra questi pel
primo comincia da quello di Vesta.Il nome per esser retto, come si disse, bi sogna
ch'esso abbia una certa natural conve nevolezza con quello ch'ei nomina; per
dunque conoscere se un nome sia retto e stia bene colla cosa da esso nominata,
bisogna pur conoscere l'essere della cosa medesima. Or intorno all'es tempi di
Socrate e di Platone; l'una degli Eraclitiani, che credevano le cose esser
sempre in moto; l'altra degli Eleatici, i quali opinavano, che fossero sempre
in riposo. Secondo il proprio sistema ciascuno spiegava pure i nomi; onde
Socrate, nel dar l'etimologia del nome Vesta, riferisce anche la sentenza di
queste due scuole filosofiche dicendo, che gli Eleatici il nome di Vesta, Eatix
(Hestia), perchè, second'essi, in antico in vece di obaix (ousia), essenza, en
tezza, si diceva anche aix, esia, il derivavano da siva (einai), essere, mentre
gli Eraclitiani, prendendolo per sinonimo di oaix, osia, il de rivavano da
33siv (othein), cacciare, spingere. Dopo questo passa ai nomi degli altri Dei,
e quindi a quello del sole, della luna, delle stelle, della terra, dell'aria,
delle stagioni e dell'anno; e quantunque la maggior parte di questi paia
spiegarli secondo il sistema di Eraclito; tuttavia havvene alcuno, la cui
spiegazione può anche convenire al sistema degli Eleatici; finchè ve nendo ai
nomi della prudenza, scienza, sa pienza, giustizia, fortezza, virtù, vizio,
ecc., e a quelli della tristezza, del diletto e a tanti altri, quasi tutti ei
li spiega un po' lepidamente ed ironicamente, ridendosi degli Eraclitiani, col
riferire tutto al loro modo, come se le cose fossero sempre in moto. Ma questo
modo di dichiarar la ragione del nomi, come facevano gli Eraclitiani, semplice
mente per mezzo di una superficiale e succes siva decomposizione del medesimi
in altri nomi, non appagava intieramente Socrate. Impercioc chè, dice egli, se
uno interroga intorno alle parole, da cui è composto un nome, e poi di nuovo
intorno a quelle, da cui sono composte queste medesime, e così continua sempre
oltre ad interrogare, è necessario venire alla fine ad una parola, la quale non
si può più decom porre, e di cui nulla più sappia quegli che ha a rispondere.
D'altra parte però se uno non sa dar la ragione dei primi nomi, non sa certo
darla del derivati, che si debbono spiegare per mezzo del primi. Per la qual
cosa a rintracciar la ragione del primi nomi ei si fa nel seguente modo. I nomi
tutti, sì primi che derivati, deb bon dichiarare come veramente ciascuna cosa
è. Ora se noi non avessimo nè voce nè lingua, e dovessimo indicare le cose,
certo, come i muti, colle mani e col capo e con tutto l'altro del corpo noi
tenteremmo di significarle, elevando le mani verso del cielo per indicar quel
che è alto e leggiero, e per l'opposito abbassandole verso terra per indicar
quel che è basso e grave. Dal che rettamente ei conchiude che il nome per esser
retto, cioè per poter indicare come vera mente una cosa è, dee pur anco essere
un'imi tazione, che la voce fa di quella cosa, ch'uno per mezzo della voce
toglie ad imitare onde fi gura e il color delle cose, la musica il loro suono,
così l'arte del nominare imita la loro es senza per mezzo di sillabe e lettere.
E per di mostrare poi come per mezzo di sillabe e let tere uno possa ciò fare,
oltre al distinguere egli le lettere in consonanti e vocali e semi vocali ecc.,
ei fa pur osservare in molte di esse un valor loro proprio, facendo avvertire
nel l'elemento r il valore d'indicare il moto e ciò che è aspro e duro,
nell'elemento l quello d'in dicar ciò ch'è liscio e molle, e così un proprio
valore dà egli a molte altre lettere. E di que sta cognizione pertanto intorno
al valor delle lettere, come anche della cognizione della na tura delle cose
fornito lo istitutore dei nomi, afferma Socrate, che in quel modo, che i pit
tori per render l'immagine che vogliono effi giare, or adoprano un colore or un
altro ed or ne mescolano molti insieme, così egli nel far ciascun nome per
ciascuna cosa, adope rando l'elemento or di una lettera or di un'al tra ed or
mescolandone più insieme, secondo che l'immagine della cosa ch'ei voleva
nominare pareva richiedere, abbia formato i primi nomi; e quindi da questi
primi, sempre coll'imita zione per mezzo di sillabe e lettere, abbia pur
composti tutti gli altri, e che questa sia la vera ragion de nomi. Secondo un
tale ragionamento pare che Socrate, che è quanto dir Platone, propenda per la
sentenza di Cratilo, il quale affermava, avere gli esseri in sè da natura la
ragion del loro nome. Nondimeno non esser tutti i nomi retta mente posti
conforme alla natura delle cose, che nominano, il dimostra poi nel seguente
modo. Il nome, dice egli, è uno stromento, il qual si fa per indicar e insegnar
le cose come veracemente sono. Or ogni stromento sup pone un artefice; e buono
essendo quello che è fatto da un buon artefice, e cattivo quel che è fatto da
un cattivo, ne segue che anche i nomi saranno altri bene, altri mal fatti.
Cratilo pretende che tutti i nomi, come tali, cioè in quanto son nomi, son
tutti ben fatti e retti; per modo che se uno dà a qualcuno il nome che non gli
conviene, costui parrà sì ben averlo, ma esso appartiene propriamente a colui,
la cui natura viene dichiarata dal nome. Dun que se tutti i nomi sono retti,
ripiglia Socrate, non più anco si potrà dire il falso. No, non si può dire il
falso, soggiugne Cratilo, perchè dire il falso è dir quel che non è; or quel
che non è, non si può pensare nè dire. E che dunque, replica Socrate, fa colui
che ti chia masse o ti salutasse col nome di Ermogene, mentre che tu sei
Cratilo? costui non chiame rebbe, non saluterebbe te, ma un altro? di rebbe
egli qualche cosa o direbbe nulla? Costui, risponde Cratilo, non farebbe altro,
ch'un van un'altra prova. Il nome, dice egli, secondo quel che da noi si è
ammesso, è una imitazione, la quale si fa per mezzo delle lettere e delle
sillabe, come la pittura imita coi colori; e per ciò in quel modo che la
pittura, se, nello effigiare le cose, vi adatta i convenienti colori, effettua
bene e belle le loro immagini; così pure l'arte del nominare, se per mezzo
delle lettere e delle sillabe imitando l'essenza delle cose, saprà ad esse
adattare tutto quello che conviene e che loro è simile, bella ne effettuerà
l'immagine; che se no, effettuerà sì bene un'immagine, ma non già bella, per
conseguenza i nomi ch'essa fa, gli uni saranno ben fatti, e gli altri no.
Cratilo a questo energicamente si oppone, di cendo che se in un nome si muta,
si traspone, o si toglie o si aggiugne una lettera, non so lamente non
iscriviam bene tal nome, ma non lo scriviamo affatto, anzi esso diventa subito
un'altra cosa che il nome. Socrate concede ciò aver luogo ne numeri, a quali se
uno toglie od aggiugne un'unità, subito diventan essi un altro numero da quel
che eran prima, ma non già nelle qualità e nelle immagini delle cose; poichè se
le immagini dovesser aver tutto quello che ha la cosa di cui son immagini, non
sa rebbero più immagini, ma rimarrebbero la cosa stessa di cui elle appunto
sono le immagini; e per ciò neanco i nomi debbono aver tutto quel che ha la
cosa di cui sono nomi, nè es serle in tutto e per tutto simili; perchè, se così
fosse, ne avverrebbe, che gli esseri sarebbero tutti doppi, e non si saprebbe
più dire qual fosse proprio la cosa e qual solo il nome. Per la qual cosa a
giudicare se un nome sia ben fatto, basta che in esso si trovi il tipo della
cosa di cui esso è nome; e quantunque si debba concedere, che più retti e belli
sian que nomi, che per la gran parte son composti di lettere convenienti;
tuttavia non si può sostenere, che un nome, il quale non abbia le lettere
simili alla cosa che nomina, non possa indicare la medesima. Ed in conferma di
questo Socrate adduce il nome azXood:ng (sclerotes), durezza, nella cui
composizione in vece di entrarvi il p. r, il cui valore è appunto d'indicare
ciò che è duro e aspro, v'entra anzi il X, l, che indica tutto il contrario,
ciò che è molle e liscio; nondimeno quand'uno il pronuncia, tutti sanno quello
ch'ei vuole dire e quello ch'egli ha in mente; così che fa pur d'uopo
conchiudere, che le cose s'indicano non solo per mezzo dell'imi tazione delle
medesime, che si fa colle lettere e colle sillabe, ma ancora per mezzo dell'uso
e della convenzione. Che se dunque tutti i nomi non son posti convenientemente
secondo la natura della cosa che nominano, ei si vede quanto senza fonda somi
glianza tra essi e quelle, che chi conosce i nomi conosce anche le cose. Del
resto, anche dato, continua Socrate, che per mezzo del nomi si possano
conoscere le cose; tuttavia essendo essi, anche quelli che rettamente conforme
la natura delle cose sono posti, solamente imma gini delle medesime, il miglior
modo di cono scerle sarà investigarle per esse, una per l'altra a vicenda, se a
sorte cognate sono, e ciasche duna per sè, e così venirle a contemplare nella
verità loro, e non solo nelle loro immagini. Intanto come questa verità, questa
cognizione si possa conseguire lasciando ad investigare un'altra volta, pel presente
ei si contenta di far vedere, che qualcosa di stabile e fermo è nelle cose, e
che oltre ad esservi p. e un viso bello, ei v'ha poi un bello in sè, che non è
passeggiero nè soggetto a movimento o flusso, ma immu tabile e sempre lo
stesso; pel che rettamente conchiude dicendo, che non retta gli pareva la
sentenza di Eraclito, il quale voleva che tutto fosse in centinuo flusso.
Cratilo però alle ra gioni di lui non si acqueta, onde Socrate il prega, che
più attentamente volesse ancora esaminare la cosa, e, quando gli venisse fatto
di trovare la verità, si piacesse di fargliene partecipe.Così termina il
dialogo, dal quale si vede, come già in principio di questo argomento dicevamo,
che Socrate, e nella sua persona Pla tone, quantunque confuti la sentenza di
Ermo gene e quella di Cratilo, nondimeno, ancorchè espressamente nol dica,
molto di vero ei rico nosce in amendue, anzi le rettifica. In fatti, se concede
a Ermogene esser lecito agli uomini porre nomi alle cose; non gli concede però
ciò essere lecito a tutti, com'ei pretendeva, ed afº ferma non potersi porre a
capriccio, se hanno ad essere ben posti, ma richiedersi un'arte, e per ciò
esser opra di solo colui, che è in istato di rendere per mezzo del nome l'idea
della cosa che vuol nominare; come dall'altra parte, se ammette con Cratilo
avere i nomi da natura lor ragione, non conviene però che tutti sieno
rettamente posti e stieno a capello; e se pur gli concede migliori essere i
nomi che per mezzo di lettere e di sillabe esprimono la na tura delle cose che
nominano; tuttavia non gli consente, che assolutamente non abbiansi a chiamare
nomi quelli che non sono così for mati; giacchè l'esperienza ci dimostra
esservi nomi, i quali, senza che abbiano alcuna lettera simile o corrispondente
alla natura della cosa da lor nominata, per via del solo uso noi ve niamo posti
in grado di ottimamente intenderli e riferirli a cose, che non hanno punto di
si mile col medesimi. Chi è versato nella lettura delle opere di Pla tone
facilmente si persuaderà, che questo divino oltre all'addurre le prove
dell'immortalità dell'anima umana, scopo suo fu pur anco di rappresen tarci il
quadro del filosofo morente; nel Gorgia, oltre lo scopo di far vedere i difetti
dell'oratoria politica e sofistica, ebbe pur anco quello di far la difesa di se
stesso, perchè non si fosse dato alla vita pubblica; noi dunque ora nel Cratilo
dobbiamo pure investigare, se egli oltre al di mostrare, che la vera origine e
ragion de nomi non si dee derivare nè dalla stessa natura sola nè dal solo
arbitrio umano, abbia pur avuto intenzione di dimostrare ancora qualch'altra
cosa pratica. Erano ai tempi di Platone intorno allo essere delle cose, come
abbiam già detto, due sentenze, l'una degli Eraclitiani, i quai credevano
ch'esse fossero in un continuo flusso o moto; e l'altra degli Eleatici, i quali
opina vano, che fossero sempre in riposo. Ciascuna di queste due scuole (come
tutti in ogni tempo, e come anche vediamo aver fatto il nostro Vico), per
confermare le loro dottrine, i loro sistemi, ricorrevano all'etimologie delle
parole, credendo in queste trovare la ragione di quelli. Ma, quantunque lo
studio delle etimologie talora conduca alla cognizione delle cose, Platone tut
tavia non vi aveva molta fede, sì perchè ne nomi stabiliti a sorte dall'uso e
dalla consue tudine, di rado e forse quasi mai è possibile trovar la loro
ragione e la verità di quello che nominano; sì perchè nemmanco sulla strada più
vera e più sicura ci mettono quelli, che dall'in gegno e dalla potenza umana
fur posti. Imper ciocchè chi pose i primi nomi alle cose, com'egli dice, li
pose, quali credeva che queste fossero; or sei non aveva una retta opinione
delle cose, e ad esse pose i nomi secondo l'opinione ch'ei n'aveva, noi
rimarremo ingannati, se il se guiremo. Per far vedere adunque in che vano e
fragile fondamento si appoggiassero le scuole filosofiche che così facevano, e
metter in chiaro l'insufficienza di questo loro metodo per venire alla
cognizione delle cose, Platone in questo dialogo facendo una lunga esposizione
di etimologie, sebben acute ma strane, di cui molte forse raccolse da vari
libri, mise in ridi colo l'abuso di tale studio, validamente dimo strando, che
le cose debbonsi piuttosto cono scere per mezzo d'esse medesime, che per mezzo
de' nomi, che sono soltanto una loro adombra zione; e così, come metodo a ciò
acconcio ed efficace, colloca poi egli alla fine del dialogo, come opposta
diametralmente alle opinioni degli l'iraclitiani, la sua dottrina delle idee.
Che se a questo avessero badato certi eru diti (!), non mai avrebbero creduto
che Platone (1) Proclo spezialmente fra gli antichi, e fra i moderni il
Menagio, ad Diogen. Laert., pag. 149, e il Tiedemann, Argum. dialogg. Plat.,
pag. 84 e seguente. etimologie, che espone in questo dialogo. E nel vero, an
corchè sia difficile il distinguere dappertutto quello ch'ei dice per gioco e
quello che dice da senno; tuttavia al veder, che nello spiegar la ragione de
nomi di Teti, di Poseidone (Nettuno), di Demetra (Cerere) e d'altri, ei lascia
le etimologie prossime e ovvie, e in vece ne arreca delle rimote, anzi talvolta
ne inventa delle strane e bizzarre, spezialmente quando adduce quella oltremodo
ridicola di Dioniso (Bacco), niun certo può disconoscere ch'ei non ischerzi.
Arroge, che il protestaregli, per bocca di Socrate, che quello che per riguardo
all'eti mologia de nomi dichiarava, il diceva non come cosa sua propria e che
sapesse, ma come cosa che teneva per ispirazione della musa di Euti frone,
ognuno avrebbe dovuto accorgersi o al men sospettare, che Platone non poteva
far buono tutto quello che per ispirazione della musa di questo sciocco e
superstizioso fanatico ei diceva. Per la qual cosa lo Schleiermacher è di
parere che Platone avesse in mira di bef farsi in questo dialogo di Antistene;
ma, oltre che molte cose in esso occorrono che mala mente si potrebbero
attribuire a questo filosofo Socratico, come rettamente osserva lo Stallbaum,
ei si dee ancora avvertire che gli studi di An tistene erano piuttosto
dialettici e retorici, che grammatici, e non si trova documento veruno, il qual
ne accerti ch'ei si occupasse anche della ragione de nomi. E se poi non si può
assolu tamente negare, che nelle sue giocose etimologie abbia pur egli avuto in
mira Prodico, perchè questi nel dar la ragione della differenza de nomi, di
necessità spesso doveva anche spie garne le etimologie; scopo suo però fu piut
tosto di beffarsi di tutti quel filosofi, che, come abbiam detto, nelle
etimologie de nomi cre devan trovar confermati i loro sistemi, e spe zialmente
di mettere in canzone i sofisti, che in coteste arguzie ponevano molto studio e
tanto si dilettavano, i quali appunto egli dileggia, quando ironicamente
spiegando il loro nome, afferma che significa eroi. E in fatti che Protagora
molto attendesse anche all'interpretazione degli scrit tori spezialmente poeti,
abbiam già veduto nel dialogo del Protagora, intitolato dal suo nome, nel quale
insieme con Prodico ed Ippia ed altri espone a Socrate il suo sentimento
intorno ad un passo oscuro d una canzone di Simonide. E che, oltre all'aver
lasciato precetti intorno alla retorica, come ci attesta Cicerone nel Bruto. i
2: « scriptae fuerunt et paratae a Protagora rerum illustrium disputationes,
quae nunc com munes appellantur loci, º molto pure si occu passe intorno alla
proprietà dei nomi e della collocazione delle parole per rendere bella l'elo
cuzione, lo aſſerma lo stesso Platone nel Fedro, pag. 267, C, ed Aristotele
nclla Retorica, lib, ini, ori gine e ragione de nomi abbia pure disputato.
Questo pare chiaramente indicato nel Cratilo, alla pag. 295 (Stef 391. C), anzi
da quel, che ivi dice Ermogene, sembra che tal questione facesse parte del suo
libro della Verità, reo A), 3sizg, come vedremo. I seguaci di cotesto sofista
adunque sono quelli, contro dei quali è diretta spezialmente l'ironia e lo scherzo
di que sto dialogo, poichè cotesti sono quelli, che, come il loro maestro
Protagora, approvando la sentenza di Eraclito, il quale stabiliva, che tutte le
cose perpetuamente scorressero, come un fiume, avevano ad essa accoppiata la
loro, cioè che l'uomo fosse la misura di tutto e che le cose fossero come a lui
appariscono; e per ciò credendo che tutto continuamente fluisse e che i nostri
sensi a questa mutazione delle cose si accomodassero in guisa, che sempre esse
fos sero come a loro apparivano, venivano pur a credere tali essere i nomi
delle cose, quali dal senso e dall'intelligenza di ciascheduno venivano
percepiti, cioè naturali. Da questo si vede che in cotesti
Eraclitiani-Protagoristi non si deb bono comprendere, gli antichi e veri
seguaci di Eraclito, ma solo i posteriori, che, material mente intendendo
Eraclito, facevano una cattiva e falsa applicazione dei suoi principii. E se
dum que di tutte le sette filosofiche, come sappiamo, era anticamente costume
di riferire i loro sistemi ai sapienti più antichi e spezialmente ad Omero, non
dee dunque far maraviglia, se i detti nuovi Eraclitiani-Protagoristi, chiamati
appunto Omeriani da Platone nel Teeteto (pag. 179. E), tentassero pur di
derivare le loro spie gazioni e interpretazioni de nomi da Omero ed anche da
Esiodo, e se in questo dialogo conforti poi Socrate Ermogene, se non ammet teva
la verità di Protagora, a ricorrere ad Omero, e se quindi egli pure, secondo
questo poeta, gli faccia parecchie spiegazioni del nomi. Il Cratilo,
interlocutore di questo dialogo e da cui anzi lo stesso dialogo s'intitola,
Aristotele (Metaph. 1, 6), Apuleio (de dogm. Plat.2), e Diogene Laerzio (III,
6), narrano essere stato, prima di Socrate, maestro di Platone, e che gli abbia
insegnato le opinioni e dottrine di Eraclito. L'Ast però (Platons Leben und
Schri ſten, pag. 19) opina, che il Cratilo interlocu tore del presente dialogo
sia diverso dal Cratilo che fu maestro di Platone, affermando non altro potersi
raccogliere dallo stesso dialogo, se non che il Cratilo, ivi interlocutore, era
se guace di Eraclito, e non già che sia stato mae stro di filosofia e che abbia
avuto Platone per discepolo; e per ciò pretende non esser pro babile, se così
fosse, che Platone l'avesse messo così in canzone senza riguardo veruno. Questa
sentenza a noi non pare di gran momento; poichè hoi non abbiamo sufficienti
argomenti Cratili, amendue filosofi e della scuola di Eraclito, onde poter
dubitare qual di loro sia stato maestro di Platone. D'altra parte, Aristotele,
Apuleio e Diogene Laerzio avevan certo notizia e del Cratilo maestro di
Platone, e del Cratilo inter locutore di questo dialogo; non avendogli essi di
stinti, rimane chiaro che sì quello che questo sono il medesimo Cratilo. Per
riguardo poi a quello, ch'ei dice non esser probabile, che Platone abbia messo
in canzone così ingratamente il suo maestro, noi facciamo osservare, che Pla
tone non gli fa dire da Socrate alcuna cosa dura, anzi l'ironia, che regna
nella esposizione delle etimologie, è pur così coperta, che può anche sfuggire
a non mediocri ingegni. Volendo Platone render conto, perchè si fosse scostato
dalle opinioni eraclitiane del suo primo mae stro Cratilo, ed avesse poi
seguito quelle di Socrate, ei non poteva più giurare in verbo del suo primo
maestro Cratilo, nè rappresen tarcelo superiore a Socrate nelle ricerche e di
scussioni didattiche, ma sì bene rappresentar celo, come veramente egli era, e
cercar, per quanto poteva, di farci conoscere il modo di verso dell'esposizione
scientifica d'amendue, come anche intieramente il loro carattere. Per questo
appunto Platone non si contenta già di far abbattere da Socrate in questo
dialogo le opinioni, che Cratilo aveva intorno alla ragion de nomi, ma il fa
udire ancora una lunga ſi lastrocca di spinose etimologie, che Socrate espone
ad Ermogene, la quale se par essere un dileggio verso coloro a cui viene fatta,
non è però fuor di proposito, perchè Cratilo era così dato alle dottrine di
Eraclito, che tutto contento ed incantato beccava qualunque cosa gli fosse
detta in confermazione di quelle, e tanta era la sua ostinatezza in quel che
soste neva, che dicendogli Socrate alla fine del dia logo migliore essere il
metodo di conoscere le cose per mezzo di esse stesse nella verità loro, che
solamente per mezzo delle loro immagini, cioè per mezzo dei loro nomi, a tal
patente ragione ei non si arrende ancora. L'altro interlocutore del dialogo,
anzi il primo che entra in discorso con Socrate, è Ermogene, figliuolo
d'Ipponico e fratello di Callia. Anche questo afferma Diogene Laerzio (nel luogo
ci tato) essere stato maestro di Platone nelle dot trine della scuola di Elea.
Ma questa asser zione viene rigettata dall'Ast (nell'opera citata, pag. 2o), e
dal Groen Van Prinsterer (Pro sopographia Platonica, pag. 225), il qual ul timo
crede, e con lui concorda lo Stallbaum, che il testo di Diogene Laerzio sia
stato cor rotto da un ignorante, il quale abbia intruso il nome di Ermogene
dopo quello di Cratilo, nell'opinione, che siccome dei due rappresen Platone,
così il fosse anche stato quello dell'Eleatica, Ermogene. A questo aggiungasi
ancora, che Aristotele ed Apuleio, i quali affermano essere stato Cratilo
istitutor di Platone, ciò non di cono più di Ermogene. Altro è che questi fosse
seguace delle dottrine degli Eleatici, altro è che in esse abbia pure istruito
Platone; giacchè trattandosi di un fatto, sì per istabilire la sua verità, come
per abbatterla, è del tutto neces saria una prova positiva, la quale, quando
manca, è nullo tutto ciò, che pro o contrada qualunque si dice. Per la qual
cosa, se l'unica e dubbia autorità di Diogene Laerzio non si dee tenere da
tanto per farci credere vero tal fatto, neanco per negarlo pare a noi esser suf
ficiente la prova negativa dello Stallbaum e del Groen Van Prinsterer, i quai
dicono, il poco ingegno e la poca dottrina di Ermogene essere un argomento
bastante a far sì, che niuno il possa creder essere stato maestro di Platone.
Imperciocchè come veramente stesse di dottrina Ermogene, non è poi cosa facile
a dichiarare, stante che il merito scientifico degl'interlocu tori, che Platone
mette ne suoi dialoghi in iscena, non si dee giudicare dal grado, in cui egli
ce li rappresenta e ce li fa parlare; giac chè quando si tratta di coloro ch'ei
vuol con futare, ei fa da loro anche dire cose strane ed assurde, le quali essi
mai non sognarono, ma ch'egli però dalle loro dottrine deduce, per sempre far
maggiormente spiccare il contrasto della verità, ch'ei difende. D'altra parte
poi, se si dovesse giudicare da questo dialogo, pare che per niuna parte
Ermogene la ceda a Cra tilo. E nel vero, per non dire che la discus sione,
fatta in principio tra Ermogene e So crate, è sottile anzi che no, e suppone in
Ermogene un non mediocre ingegno, bisogna avvertire che la lunga esposizione
delle etimo logie secondo il sistema di Eraclito, è diretta a mettere in
canzone non altri, che coloro che tal sistema seguivano; e per ciò pare anzi
che d'in gegno un po' tardo ben si potrebbe tacciare Cratilo, che non mai in
udirle di tal corbelleria s'accorga, ma non Ermogene, il quale, udendole, scorgendo
per mezzo di esse beffarsi Socrate dei seguaci delle dottrine di Eraclito,
veniva sempre più confermato in quelle contrarie degli Eleatici, ch'ei
sosteneva. Del resto ch'Ermogene non pigliasse tutte per vere le etimologie di
Socrate, non solo si vede da quello, che in udirle non mai egli fa alcun segno
d'ammira zione o di contentezza, come se fosse giunto alla cognizione di
qualcosa grande e nuova, ma nemmanco di piena approvazione; giacchè, appena che
ha udito l'etimologia di un nome, senza più, quasi sempre passa subito a inter
rogar Socrate di quella di un altro, e se talor mostra d'averne per buona
alcuna, la sua con a Socrate, Pare che un po' ci tocchi o ci cogli ecc.,
daivet, xtvòvvsústg o doxsig rt Xéyetv. Ma, che ancora? Che Ermogene più per curiosità
e diletto che per altro, se ne stesse ad ascoltar l'espo sizione delle
etimologie di Socrate, argomento certo n'è, ch'ei pure celia collo stesso
Socrate, come (per non citar altri luoghi) quando udita l'etimologia del nome
ivtavróg, anno, ironica mente gli dice, che aveva già fatto molti passi nella
sapienza, e spezialmente quando Socrate, nello spiegare il vocabolo 3) aſºspdv
(blaberon), nocevole, dicendogli che propriamente si do vrebbe chiamare 3ov)
arrrepoijv, boulapteroun, ei gli soggiugne che all'udirlo pronunziar così bel
nome, gli pareva veramente che zufolasse il preludio dell'aria di Minerva. Il
timore e la superstizione, che dà a dive dere Socrate in questo dialogo, nel
protestare che per riguardo agli Dei e ai loro nomi, ei punto non ne sapeva, ma
che solo diceva quello che ebbero in opinione gli uomini in porre loro i nomi,
indicano manifestamente, che l'Euti frone, per ispirazione della cui musa, ei
dice tenere le spiegazioni, che dà dei nomi, è quello, da cui è pure intitolato
un dialogo di Platone. Così appunto opinano l'Ast e lo Stallbaum. Quest'uomo è
il tipo della leggerezza e della superstizione; ei si vantava di saper meglio
che alcun altro le cose divine, e tanto era il suo entusiasmo, come dice egli
stesso (!), quando di esse parlava e mandava fuori i suoi oracoli, che eccitava
il riso e pareva maniaco. Verisimil mente dunque nell'interpretare la mitologia
degli antichi poeti e spezialmente di Omero, e nel cercar la ragion de nomi
degli Dei e nel darne la spiegazione, vi poneva molto studio e vi met teva pur
lo stesso entusiasmo e furore, come nel mandar fuori gli oracoli. Forse sarà
anche stato della scuola di Eraclito. Onde piacevole e grazioso pare lo scherzo
di Platone, in far per bocca di Socrate dar l'etimologia de nomi a Cratilo, il
qual non era men entusiasta e maniaco in beccar ciò, che parevagli confer mare
le sue dottrine eraclitiane (giacchè, quanto a Ermogene, egli stava, come
abbiam veduto, a udirle più per curiosità e diletto, che per altro); mentre
così facendo Platone, a chi era di perspicace ingegno dava, per mezzo
dell'ironia, a divedere, che a lui non andava a grado, anzi disapprovava il
poco ragionevol modo degli Eraclitiani, nello spiegare i nomi e nel pretendere
di trovare quasi in ciascun verso di Omero qualche cosa di oscuro e mi
sterioso, togliendovi quel suo proprio colore, semplice e naturale. In qual
tempo sia stato composto questo dia logo da Platone, e qual loco gli si debba
as ri mane ancora a vedere. Lo Schleiermacher il pone dopo il Teeteto, il Menone
e l'Eutidemo, e pretende che debba servire di compimento a quel primo; ma ognun
vede che l'argomento della scienza, che trattasi nel Teeteto, non viene
ampliato nè discusso nel Cratilo; anzi tutto il contrario, quel che affatto
alla fine del Cra tilo è appena indicato, viene poi diffusamente discusso nel
Teeteto; chiaro dunque egli è, che questo il dee seguire e non precedere. L'Ast
il colloca non solo dopo il Teeteto, ma anche dopo il Sofista, il Politico e il
Parmenide; anzi crede che il Cratilo faccia parte ed appartenga ad una trilogia
o tetralogia, che non fu da Platone compiuta; e per prova ne adduce le prime
parole del dialogo: Brami tu dunque che in cotesta questione anche qui Socrate
c'entri' le quali ei dice essere del tutto nude, secche e immotivate. Inoltre
che quest'opera non sia un lavoro compiuto, seguita egli, si vede da quello,
che nell'ultima sua parte i passaggi da una cosa all'altra sono scuciti e duri,
e molto, che non ista in immediata relazione con quel che precede, vien posto
senza alcuno appa recchio e introduzione, mentre le ricerche, che si connettono
coll'argomento principale e che eccitano un grande interesse, vengono al
l'improvviso abbandonate. Ma checchè ne voglia dire l'Ast, quantunque le prime
parole del dialogo indichino a precedente discussione tra Er mogene e Cratilo,
tuttavia di questa trilogia o tetralogia incompiuta, ch'ei pretende, non s'in
contra indizio veruno nelle opere di Platone, nè si trova che l'argomento del
Cratilo venga da lui trattato in qualche altro suo dialogo. Questo scritto può
stare da sè, ed io non veggo la ragione, perchè l'Ast il voglia far seguire al
Sofista, al Politico e al Parmenide, e non anzi a tutti questi precedere. E nel
vero, per non dire, che l'irrisione, che domina nell'espo sizione delle
etimologie nel Cratilo, non troppo acconciamente può stare vicina alle gravità
e serietà, con cui sono trattati il Sofista, il Po litico e il Parmenide,
l'argomento del Cratilo non ha che fare con quello di questi; nè si ravvisano
ancor in esso vestigia della scuola pitagorica, come nel Parmenide, ma appena
si fa menzione in un suo luogo dell'armonia de corpi celesti; nè appare ch'ei
segua il me todo dell'investigazione tenuto dai filosofi Me garici, i quali
erano versatissimi in trattare le quistioni di questo genere, come lo segue nel
Sofista, nel Politico e nel Parmenide; nè fi nalmente si vede ch'egli molto
insista sulla sua dottrina delle idee, ma appena ne fa cenno alla fine del
dialogo, e la dà soltanto ancora come un suo sogno. Per l'opposito, niuno può
disconoscere, che tra il Protagora, l'Eu tidemo e il Cratilo vi regni
un'affinità quasi irri sione drammaticamente ci rappresenta Platone il vano
fasto di Protagora e di tutti que sofisti che si millantavano essere maestri di
virtù, e se nell'Eutidemo poi egli si beffa delle meschi nità delle arguzie e
de lacciuoli dialettici pur de' seguaci di Protagora, anche nel Cratilo, come
abbiam veduto, con ischerzo e con ironia viene egli a dimostrare l'inutile
sforzo de' Pro tagoristi-Eraclitiani, che per mezzo dell'inter pretazione del
vocaboli tentavano di venire alla cognizione delle cose e di stabilire i loro
sistemi. Per la qual cosa, sebben l'autore in quest'opera sia lungi dal comico
che domina nel Protagora e nell'Ippia Maggiore, l'andamento però e la condotta
della medesima, come anche la molti plicità degli esempi e le minutezze, con
cui, secondo il metodo di Socrate, procede Platone in principio di essa, e
finalmente ancora lo scherzo e l'ironia che si scorge nell'esposizione delle
etimologie, danno a bastanza a divedere, ch'ella moltissimo si approssima ai
dialoghi po polari Socratici, ch'egli scrisse i primi, e che da lui sia stata
composta in una età, in cui egli non era ancora del tutto scevro da pro tervia
e petulanza giovanile. Non pertanto, quan tunque da solo quello, che si fa
menzione in questo dialogo delle vocali a ed o, le quali furono introdotte in
Atene, sotto l'arcontato di Euclide (l'anno 2 della 94 olimpiade, 4o3 prima
dell'era volgare, e 26 dell'età di Platone), non si possa di certo conchiudere,
che dopo tal anno sia stato questo scritto composto, per la ra gione, come
ottimamente osserva lo Stallbaum, che queste vocali potevano già essere in
vigore in uso privato, prima che pubblicamente fos sero sancite e passate ne'
monumenti pubblici (ved. il Matthiae Gramm. Ampl., tom. 1, pag. 22, annot.);
tuttavia non si può dubitare, che questo dialogo da Platone sia stato disteso
in quel tempo, in cui egli aveva già concepito i principii della sua dottrina
delle idee e deter minato con essa di confutare i Protagorei e gli Eraclitiani.
Or tanto le cognizioni richiedentisi per poter ciò ben fare, quanto le sottili
inve stigazioni circa la ragion de nomi, che in que st'opera si ravvisano,
paiono indicare esserelle un lavoro di Platone non così giovane, ma sì bene di
lui d'alquanto già più maturo. Che se poi tra il Protagora e il Cratilo, che
hanno tra di loro un'affinità che non si può disconoscere, noi abbiamo inserito
l'Ippia Mag giore ed il Gorgia, non è già che crediamo il Gorgia essere anteriore
al Cratilo (anzi la di fesa che nel Gorgia fa Platone di se stesso, perchè non
si fosse dato alla vita pubblica, ma alla filosofica, indica chiaramente che
tale scritto è un lavoro di un uomo più che maturo), ma non per altro così ci
parve di fare, se non perchè abbiam voluto far seguire l'un dopo celebri
sofisti della Grecia, Protagora, Ippia e Gorgia, ne quali Platone graziosamente
smaschera il loro vano sapere ed acremente li frusta. Però se uno bada, che i
Protagoristi-Eraclitiani, che Platone dileggia in questo dialogo canzonando le
loro etimologie, questi medesimi poi con con cludenti ragioni validamente egli
confuta nel Teeteto, facilmente ei si persuaderà, che il Cratilo a questo dee
stare unito e precederlo, anzi che susseguirlo; e per conseguenza che noi,
nell'assegnargli il posto che gli assegniamo, nel suo vero l'abbiam collocato. Resf.:
Luigi Speranza, "Grice ed Acri," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
ACTVM
-- or
ACTVM, as Grice would spell it. “A latin
root.” Grice’s theory is action-oriented. He often used ‘pragmatic’ to that
effect. This is most evident in his account of meaning. In the phrastic, “The
door is closed, please,” the ultimate intention is that the recipient performs
the action of closing the door. Grice saw action theory as the study of the
ontological structure of human action, the process by which it originates, and
the ways in which it is explained. Most human actions are acts of commission:
they constitute a class of events in which a subject the agent brings about
some change or changes. Thus, in moving one’s finger, one brings it about that
one’s finger moves. When the change brought about is an ongoing process e.g.,
the continuing appearance of words on a , the behavior is called an activity
writing. An action of omission occurs when an agent refrains from performing an
action of commission. Since actions of commission are events, the question of
their ontology is in part a matter of the general ontology of change. An important
issue here is whether what occurs when an action is performed should be viewed
as abstract or concrete. On the first approach, actions are understood either
as proposition-like entities e.g., Booth’s moving a finger, or as a species of
universal namely, an act-type moving a
finger. What “occurred” when Booth moved his finger in Ford’sTheater on April
14, 1865, is held to be the abstract entity in question, and the entity is
viewed as repeatable: that is, precisely the same entity is held to have occurred
on every other occasion of Booth’s moving his finger. When actions are viewed
as concrete, on the other hand, Booth’s moving his finger in Ford’s Theater is
understood to be a non-repeatable particular, accidental property action theory
6 4065A- 6 and the movement of the
finger counts as an acttoken, which instantiates the corresponding acttype.
Concrete actions are time-bound: each belongs to a single behavioral episode,
and other instantiations of the same act-type count as distinct events. A second
important ontological issue concerns the fact that by moving his finger, Booth
also fired a gun, and killed Lincoln. It is common for more than one thing to
be accomplished in a single exercise of agency, and how such doings are related
is a matter of debate. If actions are understood as abstract entities, the
answer is essentially foregone: there must be as many different actions on
Booth’s part as there are types exemplified. But if actions are viewed as
particulars the same token can count as an instance of more than one type, and
identity claims become possible. Here there is disagreement. Fine-grained
theories of act individuation tend to confine identity claims to actions that
differ only in ways describable through different modifications of the same
main verb e.g., where Placido both sings
and sings loudly. Otherwise, different types are held to require different
tokens: Booth’s action of moving his finger is held to have generated or given
rise to distinct actions of firing the gun and killing Lincoln, by virtue of
having had as causal consequences the gun’s discharge and Lincoln’s death. The
opposite, coarse-grained theory, however, views these causal relations as
grounds for claiming Booth’s acts were precisely identical. On this view, for
Booth to kill Lincoln was simply for him to do something that caused Lincoln’s
death which was in fact nothing more
than to move his finger and similarly
for his firing the gun. There is also a compromise account, on which Booth’s
actions are related as part to whole, each consisting in a longer segment of
the causal chain that terminates with Lincoln’s death. The action of killing
Lincoln consisted, on this view, in the entire sequence; but that of firing the
gun terminated with the gun’s discharge, and that of moving the finger with the
finger’s motion. When, as in Booth’s case, more than one thing is accomplished
in a single exercise of agency, some are done by doing others. But if all
actions were performed by performing others, an infinite regress would result.
There must, then, be a class of basic actions
i.e., actions fundamental to the performance of all others, but not
themselves done by doing something else. There is disagreement, however, on
which actions are basic. Some theories treat bodily movements, such as Booth’s
moving his finger, as basic. Others point out that it is possible to engage in
action but to accomplish less than a bodily movement, as when one tries to move
a limb that is restrained or paralyzed, and fails. According to these accounts,
bodily actions arise out of a still more basic mental activity, usually called
volition or willing, which is held to constitute the standard means for
performing all overt actions. The question of how bodily actions originate is
closely associated with that of what distinguishes them from involuntary and
reflex bodily events, as well as from events in the inanimate world. There is
general agreement that the crucial difference concerns the mental states that
attend action, and in particular the fact that voluntary actions typically
arise out of states of intending on the part of the agent. But the nature of
the relation is difficult, and there is the complicating factor that intention
is sometimes held to reduce to other mental states, such as the agent’s desires
and beliefs. That issue aside, it would appear that unintentional actions arise
out of more basic actions that are intentional, as when one unintentionally
breaks a shoelace by intentionally tugging on it. But how intention is first
tr. into action is much more problematic, especially when bodily movements are
viewed as basic actions. One cannot, e.g., count Booth’s moving his finger as
an intentional action simply because he intended to do so, or even on the
ground if it is true that his intention caused his finger to move. The latter
might have occurred through a strictly autonomic response had Booth been
nervous enough, and then the moving of the finger would not have counted as an
action at all, much less as intentional. Avoiding such “wayward causal chains”
requires accounting for the agent’s voluntary control over what occurs in
genuinely intentional action a difficult
task when bodily actions are held to be basic. Volitional accounts have greater
success here, since they can hold that movements are intentional only when the
agent’s intention is executed through volitional activity. But they must
sidestep another threatened regress: if we call for an activity of willing to
explain why Booth’s moving his finger counts as intentional action, we cannot
do the same for willing itself. Yet on most accounts volition does have the
characteristics of intentional behavior. Volitional theories of action must,
then, provide an alternative account of how mental activity can be intentional.
Actions are explained by invoking the agent’s reasons for performing them.
Characteristically, a reason may be understood to consist in a positive
attitude of the agent toward one or another action theory action theory 7
4065A- 7 outcome, and a belief to the
effect that the outcome may be achieved by performing the action in question.
Thus Emily might spend the summer in France out of a desire to learn , and a
belief that spending time in France is the best way to do so. Disputed
questions about reasons include how confident the agent must be that the action
selected will in fact lead to the envisioned outcome, and whether obligation
represents a source of motivation that can operate independently of the agent’s
desires. Frequently, more than one course of action is available to an agent.
Deliberation is the process of searching out and weighing the reasons for and
against such alternatives. When successfully concluded, deliberation usually
issues in a decision, by which an intention to undertake one of the
contemplated actions is formed. The intention is then carried out when the time
for action comes. Much debate has centered on the question of how reasons are
related to decisions and actions. As with intention, an agent’s simply having a
reason is not enough for the reason to explain her behavior: her desire to
learn notwithstanding, Emily might have
gone to France simply because she was transferred there. Only when an agent
does something for a reason does the reason explain what is done. It is
frequently claimed that this bespeaks a causal relation between the agent’s
strongest reason and her decision or action. This, however, suggests a
determinist stance on the free will problem, leading some philosophers to balk.
An alternative is to treat reason explanations as teleological explanations,
wherein an action is held to be reasonable or justified in virtue of the goals
toward which it was directed. But positions that treat reason explanations as
non-causal require an alternative account of what it is to decide or act for one
reason rather than another. Grice would
often wonder about the pervasiveness of the intentiona idiom in the description
of action. He would use the phrase ‘action verb,’ i. e. a verb applied to an
agent and describing an activity, an action, or an attempt at or a culmination
of an action. Verbs applying to agents may be distinguished in two basic ways:
by whether they can take the progressive continuous form and by whether or not
there is a specific moment of occurrence/completion of the action named by the
verb. An activity verb is one describing something that goes on for a time but
with no inherent endpoint, such as ‘drive’, ‘laugh’, or ‘meditate’. One can
stop doing such a thing but one cannot complete doing it. Indeed, one can be
said to have done it as soon as one has begun doing it. An accomplishment verb
is one describing something that goes on for a time toward an inherent
endpoint, such as ‘paint’ a fence, ‘solve’ a problem, or ‘climb’ a mountain.
Such a thing takes a certain time to do, and one cannot be said to have done it
until it has been completed. An achievement verb is one describing either the
culmination of an activity, such as ‘finish’ a job or ‘reach’ a goal; the
effecting of a change, such as ‘fire’ an employee or ‘drop’ an egg; or undergoing
a change, such as ‘hear’ an explosion or ‘forget’ a name. An achievement does
not go on for a period of time but may be the culmination of something that
does. Ryle singled out achievement verbs and state verbs see below partly in
order to disabuse philosophers of the idea that what psychological verbs name
must invariably be inner acts or activities modeled on bodily actions or
activities. A task verb is an activity verb that implies attempting to do
something named by an achievement verb. For example, to seek is to attempt to
find, to sniff is to attempt to smell, and to treat is to attempt to cure. A
state verb is a verb not an action verb describing a condition, disposition, or
habit rather than something that goes on or takes place. Examples include
‘own’, ‘weigh’, ‘want’, ‘hate’, ‘frequent’, and ‘teetotal’. These differences
were articulated by Zeno Vendler in Linguistics and Philosophy 7. Taking them
into account, linguists have classified verbs and verb phrases into four main
aspectual classes, which they distinguish in respect to the availability and
interpretation of the simple present tense, of the perfect tenses, of the
progressive construction, and of various temporal adverbials, such as adverbs
like ‘yesterday’, ‘finally’, and ‘often’, and prepositional phrases like ‘for a
long time’ and ‘in a while’. Many verbs belong to more than one category by
virtue of having several related uses. For example, ‘run’ is both an activity
and an accomplishment verb, and ‘weigh’ is both a state and an accomplishment
verb. Linguists single out a class of causative verbs, such as ‘force’,
‘inspire’, and ‘persuade’, some of which are achievement and some
accomplishment verbs. Such causative verbs as ‘break’, ‘burn’, and ‘improve’
have a correlative intransitive use, so that, e.g., to break something is to
cause it to break. Grice denies the idea of an ‘act’ of the soul. In this way,
it is interesting to contrast his views to those philosophers, even at Oxford,
like Occam or Geach, who speak of an act of the soul. And then there’s act-content-object
psychology, or ‘act-object psychology,’ for short, a philosophical theory that
identifies in every psychological state a mental act, a lived-through
phenomenological content, such as a mental image or description of properties,
and an intended object that the mental act is about or toward which it is
directed by virtue of its content. The distinction between the act, content,
and object of thought originated with Alois Höfler’s Logik 0, written in
collaboration with Meinong. But the theory is historically most often
associated with its development in Kazimierz Twardowski’s Zur Lehre vom Inhalt
und Gegenstand der Vorstellung “On the Content and Object of Presentations,” 4,
despite Twardowski’s acknowledgment of his debt to Höfler. Act-object
psychology arose as a reaction to Franz Brentano’s immanent intentionality
thesis in his influential Psychologie vom empirischen Standpunkt “Psychology
from an Empirical Standpoint,” 1874, in which Brentano maintains that intentionality
is “the mark of the mental,” by contrast with purely physical phenomena.
Brentano requires that intended objects belong immanently to the mental acts
that intend them a philosophical
commitment that laid Brentano open to charges of epistemological idealism and
psychologism. Yet Brentano’s followers, who accepted the intentionality of
thought but resisted what they came to see as its detachable idealism and
psychologism, responded by distinguishing the act-immanent phenomenological
content of a psychological state from its act-transcendent intended object,
arguing that Brentano had wrongly and unnecessarily conflated mental content
with the external objects of thought. Twardowski goes so far as to claim that
content and object can never be identical, an exclusion in turn that is
vigorously challenged by Husserl in his Logische Untersuchungen “Logical
Investigations,” 3, 2, and by others in the phenomenological tradition who
acknowledge the possibility that a self-reflexive thought can sometimes be about
its own content as intended object, in which content and object are
indistinguishable. Act-object psychology continues to be of interest to
contemporary philosophy because of its relation to ongoing projects in
phenomenology, and as a result of a resurgence of study of the concept of
intentionality and qualia in philosophy of mind, cognitive psychology, and
Gegenstandstheorie, or existent and non-existent intended object theory, in
philosophical logic and semantics. Grice
was fascinated by the metaphysically wrong theory of agent-causation. He would
make fun of it. His example, “The cause of the death of Charles I is
decapitation; therefore, decapitation willed the death of Charles I. Grice
would refer to transeunt causation in “Actions and events.” In Grice’s terms,
agent causation is the convoluted idea that the primary cause of an event is a
substance; more specifically, causation by a substance, as opposed to an event.
Thus a brick a substance may be said to be the cause of the breaking of the
glass. The expression is also used more narrowly by Reid and others for the
view that an action or event is caused by an exertion of power by some agent
endowed with will and understanding. Thus, a person may be said to be the cause
of her action of opening the door. In this restricted sense Reid called it “the
strict and proper sense”, an agent-cause must have the power to cause the
action or event and the power not to cause it. Moreover, it must be “up to” the
agent whether to cause the event or not to cause it. It is not “up to” the
brick whether to cause or not to cause the breaking of the glass. The
restricted sense of agent causation developed by Reid is closely tied to the
view that the agent possesses free will. Medieval philosophers distinguished
the internal activity of the agent from the external event produced by that
activity. The former was called “immanent causation” and the latter “transeunt
causation.” These terms have been adapted by Chisholm and others to mark the
difference between agent causation and event causation. The idea is that the
internal activity is agentcaused by the person whose activity it is; whereas
the external event is event-caused by the internal activity of the agent. His “Death of Charles I” example is meant as
a reductio ad sbsurdum of ‘agent causation.’ The philosopher cannot possibly be
meaning to communicate such absurdity. The ‘actus’ is less obviously related to
the actum, but it should. When Grice says, “What is actual is not also
possible” as a mistakehe is not thinking of HUMAN rational agencybut some kind
of agency, though. It may be thought that ‘actum’ is still phrased after a
‘that’-clause, even if what is reported is something that is actual, e. g. It
is actually raining (versus It is possibly raining in Cambridge).potentia --
energeia, Grecian term coined by Aristotle and often tr. as ‘activity’,
‘actuality’, and even ‘act’, but more literally rendered ‘a state of
functioning’. Since for Aristotle the function of an object is its telos or
aim, energeia can also be described as an entelecheia or realization another
coined term he uses interchangeably with energeia. So understood, it can denote
either a something’s being functional, though not in use at the moment, and b
something’s actually functioning, which Aristotle describes as a “first
realization” and “second realization” respectively On the Soul II.5. In
general, every energeia is correlative to some dunamis, a capability or power
to function in a certain way, and in the central books of the Metaphysics
Aristotle uses the linkage between these two concepts to explain the relation
of form to matter. He also distinguishes between energeia and kinesis change or
motion Metaphysics IX.6; Nicomachean Ethics X.4. A kinesis is defined by
reference to its terminus e.g., learning how to multiply and is thus incomplete
at any point before reaching its conclusion. An energeia, in contrast, is a
state complete in itself e.g., seeing. Thus, Aristotle says that at any time
that I am seeing, it is also true that I have seen; but it is not true that at
any time I am learning that I have learned. In Grecian, this difference is not
so much one of tense as of encrateia energeia 264 264 aspect: the perfect tense marks a
“perfect” or complete state, and not necessarily prior activity. energeticism, also called energetism or
energism, the doctrine that energy is the fundamental substance underlying all
change. Its most prominent champion was the physical chemist Wilhelm Ostwald. In
his address “Die Überwindung des wissenschaftlichen Materialismus” “The
Conquest of Scientific Materialism”, delivered at Lübeck in 5, Ostwald
chastised the atomic-kinetic theory as lacking progress and claimed that a
unified science, energetics, could be based solely on the concept of energy.
Many of Ostwald’s criticisms of materialism and mechanistic reductionism
derived from Mach. Ostwald’s attempts to deduce the fundamental equations of
thermodynamics and mechanics from the principles of energy conservation and
transformation were indebted to the writings of Georg Helm 18749, especially
Die Lehre von Energie “The Laws of Energy,” 7 and Die Energetik “Energetics,”
8. Ostwald defended Helm’s factorization thesis that all changes in energy can
be analyzed as a product of intensity and capacity factors. The factorization
thesis and the attempt to derive mechanics and thermodynamics from the
principles of energetics were subjected to devastating criticisms by Boltzmann
and Max Planck. Boltzmann also criticized the dogmatism of Ostwald’s rejection
of the atomickinetic theory. Ostwald’s program to unify the sciences under the
banner of energetics withered in the
face of these criticisms.” actum: -- behaviourism. Grice
was amused that what Ryle thought was behaviouristic was already pervaded wiith
mentalistic talk! Referred to by H. P. Grice in his criticism of Gilbert Ryle.
Ironically, Chomsky misjudged Grice as a behaviourist, but Chomsky’s critique
was demolished by P. Suppes, broadly, the view that behavior is fundamental in
understanding mental phenomena. The term applies both to a scientific research
Beauvoir, Simone de behaviorism 76 76
program in psychology and to a philosophical doctrine. Accordingly, we
distinguish between scientific psychological, methodological behaviorism and
philosophical logical, analytical behaviorism. Scientific behaviorism. First
propounded by the psychologist J. B.
Watson who introduced the term in 3 and further developed especially by C. L.
Hull, E. C. Tolman, and B. F. Skinner, it departed from the introspectionist
tradition by redefining the proper task of psychology as the explanation and
prediction of behavior where to explain
behavior is to provide a “functional analysis” of it, i.e., to specify the
independent variables stimuli of which the behavior response is lawfully a function.
It insisted that all variables including
behavior as the dependent variable must
be specifiable by the experimental procedures of the natural sciences: merely
introspectible, internal states of consciousness are thus excluded from the
proper domain of psychology. Although some behaviorists were prepared to admit
internal neurophysiological conditions among the variables “intervening
variables”, others of more radical bent e.g. Skinner insisted on environmental
variables alone, arguing that any relevant variations in the hypothetical inner
states would themselves in general be a function of variations in past and
present environmental conditions as, e.g., thirst is a function of water
deprivation. Although some basic responses are inherited reflexes, most are
learned and integrated into complex patterns by a process of conditioning. In
classical respondent conditioning, a response already under the control of a
given stimulus will be elicited by new stimuli if these are repeatedly paired
with the old stimulus: this is how we learn to respond to new situations. In
operant conditioning, a response that has repeatedly been followed by a
reinforcing stimulus reward will occur with greater frequency and will thus be
“selected” over other possible responses: this is how we learn new responses.
Conditioned responses can also be unlearned or “extinguished” by prolonged
dissociation from the old eliciting stimuli or by repeated withholding of the
reinforcing stimuli. To show how all human behavior, including “cognitive” or
intelligent behavior, can be “shaped” by such processes of selective
reinforcement and extinction of responses was the ultimate objective of
scientific behaviorism. Grave difficulties in the way of the realization of
this objective led to increasingly radical liberalization of the distinctive
features of behaviorist methodology and eventually to its displacement by more
cognitively oriented approaches e.g. those inspired by information theory and
by Chomsky’s work in linguistics. Philosophical behaviorism. A semantic thesis
about the meaning of mentalistic expressions, it received its most sanguine
formulation by the logical positivists particularly Carnap, Hempel, and Ayer,
who asserted that statements containing mentalistic expressions have the same
meaning as, and are thus translatable into, some set of publicly verifiable
confirmable, testable statements describing behavioral and bodily processes and
dispositions including verbalbehavioral dispositions. Because of the
reductivist concerns expressed by the logical positivist thesis of physicalism
and the unity of science, logical behaviorism as some positivists preferred to
call it was a corollary of the thesis that psychology is ultimately via a
behavioristic analysis reducible to physics, and that all of its statements,
like those of physics, are expressible in a strictly extensional language.
Another influential formulation of philosophical behaviorism is due to Ryle The
Concept of Mind, 9, whose classic critique of Cartesian dualism rests on the
view that mental predicates are often used to ascribe dispositions to behave in
characteristic ways: but such ascriptions, for Ryle, have the form of
conditional, lawlike statements whose function is not to report the occurrence
of inner states, physical or non-physical, of which behavior is the causal
manifestation, but to license inferences about how the agent would behave if
certain conditions obtained. To suppose that all declarative uses of mental
language have a fact-stating or -reporting role at all is, for Ryle, to make a
series of “category mistakes” of which
both Descartes and the logical positivists were equally guilty. Unlike the
behaviorism of the positivists, Ryle’s behaviorism required no physicalistic
reduction of mental language, and relied instead on ordinary language
descriptions of human behavior. A further version of philosophical behaviorism
can be traced to Vitters Philosophical Investigations, 3, who argues that the
epistemic criteria for the applicability of mentalistic terms cannot be
private, introspectively accessible inner states but must instead be
intersubjectively observable behavior. Unlike the previously mentioned versions
of philosophical behaviorism, Vitters’s behaviorism seems to be consistent with
metaphysical mindbody dualism, and is thus also non-reductivist. behaviorism
behaviorism 77 77 Philosophical
behaviorism underwent severe criticism in the 0s and 0s, especially by
Chisholm, Charles Taylor, Putnam, and Fodor. Nonetheless it still lives on in
more or less attenuated forms in the work of such diverse philosophers as
Quine, Dennett, Armstrong, David Lewis, U. T. Place, and Dummett. Though
current “functionalism” is often referred to as the natural heir to
behaviorism, functionalism especially of the Armstrong-Lewis variety crucially
differs from behaviorism in insisting that mental predicates, while definable
in terms of behavior and behavioral dispositions, nonetheless designate inner
causal states states that are apt to cause
certain characteristic behaviors. -- behavior therapy, a spectrum of behavior
modification techniques applied as therapy, such as aversion therapy,
extinction, modeling, redintegration, operant conditioning, and
desensitization. Unlike psychotherapy, which probes a client’s recollected history,
behavior therapy focuses on immediate behavior, and aims to eliminate undesired
behavior and produce desired behavior through methods derived from the
experimental analysis of behavior and from reinforcement theory. A chronic
problem with psychotherapy is that the client’s past is filtered through
limited and biased recollection. Behavior therapy is more mechanical, creating
systems of reinforcement and conditioning that may work independently of the
client’s long-term memory. Collectively, behavior-therapeutic techniques
compose a motley set. Some behavior therapists adapt techniques from
psychotherapy, as in covert desensitization, where verbally induced mental
images are employed as reinforcers. A persistent problem with behavior therapy
is that it may require repeated application. Consider aversion therapy. It
consists of pairing painful or punishing stimuli with unwelcome behavior. In
the absence, after therapy, of the painful stimulus, the behavior may recur
because association between behavior and punishment is broken. Critics charge
that behavior therapy deals with immediate disturbances and overt behavior, to
the neglect of underlying problems and irrationalities. Behaviourism. Chomsky, a. n.cites H. P. Grice
as “A. P. Grice” -- preeminent philosopher,
and political activist who has spent his professional career at the
Massachusetts Institute of Technology. Chomsky’s best-known scientific
achievement is the establishment of a rigorous and philosophically compelling
foundation for the scientific study of the grammar of natural language. With
the use of tools from the study of formal languages, he gave a far more precise
and explanatory account of natural language grammar than had previously been
given Syntactic Structures, 7. He has since developed a number of highly
influential frameworks for the study of natural language grammar e.g., Aspects
of the Theory of Syntax, 5; Lectures on Government and Binding, 1; The
Minimalist Program, 5. Though there are significant differences in detail,
there are also common themes that underlie these approaches. Perhaps the most
central is that there is an innate set of linguistic principles shared by all
humans, and the purpose of linguistic inquiry is to describe the initial state
of the language learner, and account for linguistic variation via the most
general possible mechanisms. On Chomsky’s conception of linguistics, languages
are structures in the brains of individual speakers, described at a certain
level of abstraction within the theory. These structures occur within the
language faculty, a hypothesized module of the human brain. Universal Grammar
is the set of principles hard-wired into the language faculty that determine
the class of possible human languages. This conception of linguistics involves
several influential and controversial theses. First, the hypothesis of a
Universal Grammar entails the existence of innate linguistic principles.
Secondly, the hypothesis of a language faculty entails that our linguistic
abilities, at least so far as grammar is concerned, are not a product of
general reasoning processes. Finally, and perhaps most controversially, since
having one of these structures is an intrinsic property of a speaker,
properties of languages so conceived are determined solely by states of the
speaker. On this individualistic conception of language, there is no room in
scientific linguistics for the social entities determined by linguistic
communities that are languages according to previous anthropological
conceptions of the discipline. Many of Chomsky’s most significant contributions
to philosophy, such as his influential rejection of behaviorism “Review of
Skinner’s Verbal Behavior,” Language, 9, stem from his elaborations and
defenses of the above consequences cf. also Cartesian Linguistics, 6;
Reflections on Language, 5; Rules and Representations, 0; Knowledge of
Language, 6. Chomsky’s philosophical writings are characterized by an adherence
to methodological naturalism, the view that the mind should be studied like any
other natural phenomenon. In recent years, he has also argued that reference,
in the sense in which it is used in the philosophy of language, plays no role
in a scientific theory of language “Language and Nature,” Mind, 5.
addiego: vincenzo maria d’addiego (n. Turi), filosofo italiano,
nominato Preposto Generale dei Padri Scolopi.
Entrò giovanissimo nell'ordine degli Scolopi. Papa Leone XII lo chiamò a Roma e nel 1824
con un Breve apostolico lo nominò preposto generale dei Padri Scolopi. Alla sua morte il Papa Pio VIII gli rese
l'estremo saluto nella Casa professa di S Pantaleo. Note
D. Resta, Turi, dalle origini al 1865. Filosofia Filosofo del XVIII
secoloFilosofi italiani Professore1755 1830 TuriScolopi
adorno: francesco adorno (n. Siracusa), filosofo. Laureato in Filosofia
a Firenze e professore a Bari, Bologna e Firenze, è stato presidente
dell'Accademia Toscana di Scienze e Lettere "La Colombaria", del
Museo e istituto fiorentino di preistoria e dell'Accademia delle Arti del
Disegno. Ha diretto la pubblicazione del Corpus dei papiri filosofici greci e
latini. Ha studiato il rapporto tra
l'insegnamento socratico e la sofistica, estendendo i suoi interessi a Platone,
allo stoicismo e all'epicureismo; inoltre ha approfondito aspetti della cultura
greco-latina e cristiana tra il primo secolo a.C. e il sesto secolo d.C.,
nonché del pensiero tardomedievale e umanistico. Pensiero Adorno utilizza il metodo filologico
per la descrizione degli autori del pensiero antico della scuola ionica, di
Socrate, di Platone, della prima Accademia, delle scuole ellenistiche, di
Epicuro, di Seneca, ecc. La sua
formazione culturale affonda le radici negli ambienti intellettuali e politici
fiorentini tra gli anni 1930 e 1945 e in particolare risente dell'influenza
crociana nell'interpretazione della filosofia come riflessione teorica mai
disgiunta dalla situazione storica reale. In nome di questa concretezza
antimetafisica e della necessità di una descrizione storica del pensiero
filosofico, Adorno aderisce al metodo marxista e alla filosofia del linguaggio
facendo sì che i testi classici vengano interpretati nel loro autentico e
concreto sottofondo politico e culturale.
Opere I sofisti e Socrate, 1961. La filosofia antica, 1961-1965. Studi
sul pensiero greco, 1966. Introduzione a Socrate, 1970. Dialettica e politica
in Platone, 1975. Introduzione a Platone, 1978. I sofisti e la sofistica nel
5°-4° sec. a.C., 1993. Pensare storicamente, 1996. Note Francesco Adorno, su RAI.itEnciclopedia
multimediale delle scienze filosofiche.
l'11 dicembre 22 dicembre ). Adórno, Francesco, in Treccani.itEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
l'11 dicembre . Enciclopedia
multimediale delle scienze filosofiche alla voce corrispondente. Maria Serena Funghi , Hodoi dizēsios. Le vie
della ricerca: studi in onore di Francesco Adorno, Firenze, Olschki, Francesco Adorno, su Treccani.itEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Francesco Adorno, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Francesco Adorno, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Filosofia Filosofo del
XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloStorici della filosofia
italianiAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani Professore1921 9 aprile 19 settembre Siracusa
FirenzeStudenti dell'Università degli Studi di FirenzeProfessori
dell'BariProfessori dell'BolognaProfessori dell'Università degli Studi di
Firenze
AD-FIRMATVM –Grice: “Tw latin roots.” affirmo-nego distinction, the: Grice: “There
is a delightful asymmetry in ‘affirmo’/’nego’ as yielding a square. For the –o
in affirmo is immaterial, whereas the ‘o’ in nego is not! Who was the stupid
monk who deviced this? Most importantly, ‘affirmo’ and ‘nego’ account for the
QUALITY, not the quantity. Surely the ‘a’ and ‘i’, but not the ‘o’ of affirmo
can stand for ‘affirmative’, and the ‘e’ and ‘o’ of nego can stand for
negative. But surely there is no correspondence to a and e being universal and
I and o being particular. Barbara
celarent darii ferio baralipton Celantes dabitis fapesmo frisesomorum; Cesare
campestres festino baroco; darapti Felapton disamis datisi bocardo
ferison. Vowels & particular
consonants have particular meaning.
Auniversalis affirmativa (i.e. affirmo)
E– universalis negativa (i.e. nego) Iparticularis affirmativa (i.e.
affirmo) Oparticularis negativa (i.e. nego) S is for simplex inconversio
simplex.P is ‘per accidens’ in conversio
per accidens. cis contradiction in ‘reductio rad contradictionem m is for metathesis–(, conversio per contrapositionem). “b” is for ‘barbara’ inreductio ad Modus
Barbara. C –is for celarent in reductio ad Modus Celarent. D is for darii
inreductio ad Modus Darii. F is for ferio inreductio ad Modus Ferio.I:
particularis dedicativa.. See Grice, “Circling the Square of Opposition Affirmo-nego distinction, the: Grice:
“There is a delightful asymmetry in ‘affirmo’/’nego’ as yielding a square. For
the –o in affirmo is immaterial, whereas the ‘o’ in nego is not! Who was the
stupid monk who deviced this? Most importantly, ‘affirmo’ and ‘nego’ account
for the QUALITY, not the quantity. Surely the ‘a’ and ‘i’, but not the ‘o’ of
affirmo can stand for ‘affirmative’, and the ‘e’ and ‘o’ of nego can stand for
negative. But surely there is no correspondence to a and e being universal and
I and o being particular. -- Albert the Great, Liber
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Aurelianensis III and the Reception of Aristotle’s Prior Analytics in the Latin
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Press. I: particularis dedicativa.. See Grice, “Circling the
Square of Opposition
Ad-biter
– Grice: “Two Latin roots.” Grice: “A typically latin prefixed root.” Grice:
“How can a choice not be free?” -- liberum arbitriumGrice: “I would place the
traditional proble of the freedom of the will within the philosophy of action,
of the type I engaged in only with two Englishmen, both students at Christ
Church, or ‘The House,’: J. F. Thomson, and D. F. Pears. free: “ “Free” is one of the trickiest
adjectives in English. My favourite is ‘alcohol-free’. And then there’s ‘free
logic.”” Free logic, a system of quantification theory, with or without identity,
that allows for non-denoting singular terms. In classical quantification
theory, all singular terms free variables and individual constants are assigned
a denotation in all models. But this condition appears counterintuitive when
such systems are applied to natural language, where many singular terms seem to
be non-denoting ‘Pegasus’, ‘Sherlock Holmes’, and the like. Various solutions
of this problem have been proposed, ranging from Frege’s chosen object theory
assign an arbitrary denotation to each non-denoting singular term to Russell’s
description theory deny singular term status to most expressions used as such
in natural language, and eliminate them from the “logical form” of that
language to a weakening of the quantifiers’ “existential import,” which allows
for denotations to be possible, but not necessarily actual, objects. All these
solutions preserve the structure of classical quantification theory and make
adjustments at the level of application. Free logic is a more radical solution:
it allows for legitimate singular terms to be denotationless, maintains the
quantifiers’ existential import, but modifies both the proof theory and the
semantics of first-order logic. Within proof theory, the main modification
consists of eliminating the rule of existential generalization, which allows
one to infer ‘There exists a flying horse’ from ‘Pegasus is a flying horse’.
Within semantics, the main problem is giving truth conditions for sentences
containing non-denoting singular terms, and there are various ways of
accomplishing this. Conventional semantics assigns truth-values to atomic
sentences containing non-denoting singular terms by convention, and then
determines the truth-values of complex sentences as usual. Outer domain
semantics divides the domain of interpretation into an inner and an outer part,
using the inner part as the range of quantifiers and the outer part to provide
for “denotations” for non-denoting singular terms which are then not literally
denotationless, but rather left without an existing denotation.
Supervaluational semantics, when considering a sentence A, assigns all possible
combinations of truth-values to the atomic components of A containing
non-denoting singular terms, evaluates A on the basis of each of those
combinations, and then assigns to A the logical product of all such
evaluations. Thus both ‘Pegasus flies’ and ‘Pegasus does not fly’ turn out
truth-valueless, but ‘Pegasus flies or Pegasus does not fly’ turns out true
since whatever truth-value is assigned to its atomic component ‘Pegasus flies’
the truth-value for the whole sentence is true. A free logic is inclusive if it
allows for the possibility that the range of quantifiers be empty that there
exists nothing at all; it is exclusive otherwise. Then there’s the free rider, a person who
benefits from a social arrangement without bearing an appropriate share of the
burdens of maintaining that arrangement, e.g. one who benefits from government
services without paying one’s taxes that support them. The arrangements from which
a free rider benefits may be either formal or informal. Cooperative
arrangements that permit free riders are likely to be unstable; parties to the
arrangement are unlikely to continue to bear the burdens of maintaining it if
others are able to benefit without doing their part. As a result, it is common
for cooperative arrangements to include mechanisms to discourage free riders,
e.g. legal punishment, or in cases of informal conventions the mere disapproval
of one’s peers. It is a matter of some controversy as to whether it is always
morally wrong to benefit from an arrangement without contributing to its
maintenance. Then there’s the free will problem, the problem of the nature of
free agency and its relation to the origins and conditions of responsible
behavior. For those who contrast ‘free’ with ‘determined’, a central question
is whether humans are free in what they do or determined by external events
beyond their control. A related concern is whether an agent’s responsibility
for an action requires that the agent, the act, or the relevant decision be
free. This, in turn, directs attention to action, motivation, deliberation,
choice, and intention, and to the exact sense, if any, in which our actions are
under our control. Use of ‘free will’ is a matter of traditional nomenclature;
it is debated whether freedom is properly ascribed to the will or the agent, or
to actions, choices, deliberations, etc. Controversy over conditions of
responsible behavior forms the predominant historical and conceptual background
of the free will problem. Most who ascribe moral responsibility acknowledge
some sense in which agents must be free in acting as they do; we are not
responsible for what we were forced to do or were unable to avoid no matter how
hard we tried. But there are differing accounts of moral responsibility and
disagreements about the nature and extent of such practical freedom a notion
also important in Kant. Accordingly, the free will problem centers on these
questions: Does moral responsibility require any sort of practical freedom? If
so, what sort? Are people practically free? Is practical freedom consistent
with the antecedent determination of actions, thoughts, and character? There is
vivid debate about this last question. Consider a woman deliberating about whom
to vote for. From her first-person perspective, she feels free to vote for any
candidate and is convinced that the selection is up to her regardless of prior
influences. But viewing her eventual behavior as a segment of larger natural
and historical processes, many would argue that there are underlying causes
determining her choice. With this contrast of intuitions, any attempt to decide
whether the voter is free depends on the precise meanings associated with terms
like ‘free’, ‘determine’, and ‘up to her’. One thing event, situation
determines another if the latter is a consequence of it, or necessitated by it,
e.g., the voter’s hand movements by her intention. As usually understood,
determinism holds that whatever happens is determined by antecedent conditions,
where determination is standardly conceived as causation by antecedent events
and circumstances. So construed, determinism implies that at any time the
future is already fixed and unique, with no possibility of alternative
development. Logical versions of determinism declare each future event to be
determined by what is already true, specifically, by the truth that it will
occur then. Typical theological variants accept the predestination of all
circumstances and events inasmuch as a divine being knows in advance or even
from eternity that they will obtain. Two elements are common to most
interpretations of ‘free’. First, freedom requires an absence of determination
or certain sorts of determination, and second, one acts and chooses freely only
if these endeavors are, properly speaking, one’s own. From here, accounts
diverge. Some take freedom liberty of indifference or the contingency of
alternative courses of action to be critical. Thus, for the woman deliberating
about which candidate to select, each choice is an open alternative inasmuch as
it is possible but not yet necessitated. Indifference is also construed as
motivational equilibrium, a condition some find essential to the idea that a
free choice must be rational. Others focus on freedom liberty of spontaneity,
where the voter is free if she votes as she chooses or desires, a reading that
reflects the popular equation of freedom with “doing what you want.” Associated
with both analyses is a third by which the woman acts freely if she exercises
her control, implying responsiveness to free rider free will problem 326 326 intent as well as both abilities to
perform an act and to refrain. A fourth view identifies freedom with autonomy,
the voter being autonomous to the extent that her selection is self-determined,
e.g., by her character, deeper self, higher values, or informed reason. Though
distinct, these conceptions are not incompatible, and many accounts of
practical freedom include elements of each. Determinism poses problems if practical
freedom requires contingency alternate possibilities of action. Incompatibilism
maintains that determinism precludes freedom, though incompatibilists differ
whether everything is determined. Those who accept determinism thereby endorse
hard determinism associated with eighteenthcentury thinkers like d’Holbach and,
recently, certain behaviorists, according to which freedom is an illusion since
behavior is brought about by environmental and genetic factors. Some hard
determinists also deny the existence of moral responsibility. At the opposite
extreme, metaphysical libertarianism asserts that people are free and
responsible and, a fortiori, that the past does not determine a unique
future a position some find enhanced by
developments in quantum physics. Among adherents of this sort of
incompatibilism are those who advocate a freedom of indifference by describing
responsible choices as those that are undetermined by antecedent circumstances
Epicureans. To rebut the charge that choices, so construed, are random and not
really one’s “own,” it has been suggested that several elements, including an
agent’s reasons, delimit the range of possibilities and influence choices
without necessitating them a view held by Leibniz and, recently, by Robert
Kane. Libertarians who espouse agency causation, on the other hand, blend
contingency with autonomy in characterizing a free choice as one that is
determined by the agent who, in turn, is not caused to make it a view found in
Carneades and Reid. Unwilling to abandon practical freedom yet unable to
understand how a lack of determination could be either necessary or desirable
for responsibility, many philosophers take practical freedom and responsibility
to be consistent with determinism, thereby endorsing compatibilism. Those who
also accept determinism advocate what James called soft determinism. Its
supporters include some who identify freedom with autonomy the Stoics, Spinoza
and others who champion freedom of spontaneity Hobbes, Locke, Hume. The latter
speak of liberty as the power of doing or refraining from an action according
to what one wills, so that by choosing otherwise one would have done otherwise.
An agent fails to have liberty when constrained, that is, when either prevented
from acting as one chooses or compelled to act in a manner contrary to what one
wills. Extending this model, liberty is also diminished when one is caused to
act in a way one would not otherwise prefer, either to avoid a greater danger
coercion or because there is deliberate interference with the envisioning of
alternatives manipulation. Compatibilists have shown considerable ingenuity in
responding to criticisms that they have ignored freedom of choice or the need
for open alternatives. Some apply the spontaneity, control, or autonomy models
to decisions, so that the voter chooses freely if her decision accords with her
desires, is under her control, or conforms to her higher values, deeper
character, or informed reason. Others challenge the idea that responsibility
requires alternative possibilities of action. The so-called Frankfurt-style
cases developed by Harry G. Frankfurt are situations where an agent acts in
accord with his desires and choices, but because of the presence of a
counterfactual intervener a mechanism
that would have prevented the agent from doing any alternative action had he
shown signs of acting differently the
agent could not have done otherwise. Frankfurt’s intuition is that the agent is
as responsible as he would have been if there were no intervener, and thus that
responsible action does not require alternative possibilities. Critics have
challenged the details of the Frankfurt-style cases in attempting to undermine
the appeal of the intuition. A different compatibilist tactic recognizes the
need for open alternatives and employs versions of the indifference model in
describing practical freedom. Choices are free if they are contingent relative
to certain subsets of circumstances, e.g. those the agent is or claims to be
cognizant of, with the openness of alternatives grounded in what one can choose
“for all one knows.” Opponents of compatibilism charge that since these
refinements leave agents subject to external determination, even by hidden
controllers, compatibilism continues to face an insurmountable challenge. Their
objections are sometimes summarized by the consequence argument so called by
Peter van Inwagen, who has prominently defended it: if everything were
determined by factors beyond one’s control, then one’s acts, choices, and
character would also be beyond one’s control, and consequently, agents would
never be free and there would be nothing free will problem free will problem
327 327 for which they are responsible.
Such reasoning usually employs principles asserting the closure of the
practical modalities ability, control, avoidability, inevitability, etc. under
consequence relations. However, there is a reason to suppose that the sort of
ability and control required by responsibility involve the agent’s sense of
what can be accomplished. Since cognitive states are typically not closed under
consequence, the closure principles underlying the consequence argument are
disputable. From liber (‘eleutheros) is also liberatum: liberum arbitriumvide ‘arbitrium’ How can arbitrium not
be free? Oddly this concerns rationality. For Grice, as for almost everyone, a
rational agent is an autonomous agent. Freewill is proved grammatically. The
Romans had a ‘modus deliberativus’, and even a ‘modus optativus’ (ortike
ktesis) “in imitationem Graecis.”If you utter “Close the door!” you rely on
free will. It would be otiose for a language or system of communication to have
as its goal to inform/get informed, and influence/being influenced if
determinism and fatalism were true.
freedom: Like identity, crucial in philosophy in covering everything. E
cannot communicate that p, unless E is FREE. An amoeba cannot communicate
thatp. End setting, unweighed rationality, rationality about the ends,
autonomy. Grice was especially concerned with Kants having brought back the old
Greek idea of eleutheria for philosophical discussion. Refs.: the obvious
keywords are “freedom” and “free,” but most of the material is in “Actions and
events,” in PPQ, and below under ‘kantianism’The H. P. Grice Papers, BANC.Bratman, of
Stanford, much influenced by Grice (at Berkeley then) thanks to their
Hands-Across-the-Bay programme, helps us to understand this Pological
progression towards the idea of strong autonomy or freedom. Recall that Grices
Ps combine Lockes very intelligent parrots with Russells and Carnaps
nonsensical Ps of which nothing we are told other than they karulise
elatically. Grices purpose is to give a little thought to a question. What are
the general principles exemplified, in creature-construction, in progressing
from one type of P to a higher type? What kinds of steps are being made? The
kinds of step with which Grice deals are those which culminate in a licence to
include, within the specification of the content of the psychological state of
this or that type of P, a range of expressions which would be inappropriate
with respect to this lower-type P. Such expressions include this or that
connective, this or that quantifier, this or that temporal modifier, this or
that mode indicator, this or that modal operator, and (importantly) this or
that expression to refer to this or that souly state like … judges that … and … will that … This or
that expression, that is, the availability of which leads to the structural
enrichment of the specification of content. In general, these steps will be ones
by which this or that item or idea which has, initially, a legitimate place
outside the scope of this or that souly instantiable (or, if you will, the
expressions for which occur legitimately outside the scope of this or that
souly predicate) come to have a legitimate place within the scope of such an
instantiable, a step by which, one might say, this or that item or ideas comes
to be internalised. Grice is disposed to regard as prototypical the sort of
natural disposition or propension which Hume attributes to a person, and which
is very important to Hume, viz. the tendency of the soul to spread itself upon
objects, i.e. to project into the world items which, properly or primitively
considered, is a feature of this or that souly state. Grice sets out in stages
the application of aspects of the genitorial programme. We then start with a
zero-order, with a P equipped to satisfy unnested, or logically amorphous,
judging and willing, i.e. whose contents do not involve judging or willing. We
soon reach our first P, G1. It would be advantageous to a P0 if
it could have this or that judging and this or that willing, which relate to
its own judging or willing. Such G1 could be equipped to
control or regulate its own judgings and willings. It will presumably be already
constituted so as to conform to the law that, cæteris paribus, if it wills that
p and judge that ~p, if it can, it makes it the case that p in its soul To give
it some control over its judgings and willings, we need only extend the
application of this law to the Ps judging and willing. We equip the P so that,
cæteris paribus, if it wills that it is not the case that it wills that p and
it judges that they do will that p, if it can, it makes it the case that it
does not will that p. And we somehow ensure that sometimes it can do this. It
may be that the installation of this kind of control would go hand in had with
the installation of the capacity for evaluation. Now, unlike it is the case
with a G1, a G2s intentional effort depends on the motivational strength of its
considered desire at the time of action. There is a process by which this or
that conflicting considered desire motivates action as a broadly causal
process, a process that reveals motivational strength. But a G2 might itself
try to weigh considerations provided by such a conflicting desire B1 and B2 in
deliberation about this or that pro and this or that con of various
alternatives. In the simplest case, such weighing treats each of the things
desired as a prima facie justifying end. In the face of conflict, it weighs
this and that desired end, where the weights correspond to the motivational
strength of the associated considered desire. The outcome of such deliberation,
Aristotle’s prohairesis, matches the outcome of the causal motivational process
envisioned in the description of G2. But, since the weights it
invokes in such deliberation correspond to the motivational strength of this or
that relevant considered desire (though perhaps not to the motivational
strength of this or that relevant considered desire), the resultant activitiy
matches those of a corresponding G2 (each of whose desires, we
are assuming, are considered). To be more realistic, we might limit ourselves
to saying that a P2 has the capacity to make the transition
from this or that unconsidered desire to this or that considered desire, but
does not always do this. But it will keep the discussion more manageable to
simplify and to suppose that each desire is considered. We shall not want this
G2 to depend, in each will and act in ways that reveal the motivational
strength of this or that considered desire at the time of action, but for a G3 it
will also be the case that in this or that, though not each) case, it acts on
the basis of how it weights this or that end favoured by this or that
conflicting considered desire. This or that considered desire will concern
matters that cannot be achieved simply by action at a single time. E. g. G3 may
want to nurture a vegetable garden, or build a house. Such matters will require
organized and coordinated action that extends over time. What the G3 does now
will depend not only on what it now desires but also on what it now expects it
will do later given what it does now. It needs a way of settling now what it
will do later given what it does now. The point is even clearer when we remind
ourselves that G3 is not alone. It is, we may assume, one of some number of G3;
and in many cases it needs to coordinate what it does with what other G3 do so
as to achieve ends desired by all participants, itself included. These
costs are magnified for G4 whose various plans are interwoven so that a change
in one element can have significant ripple effects that will need to be
considered. Let us suppose that the general strategies G4 has for responding to
new information about its circumstances are sensitive to these kinds of costs.
Promoting in the long run the satisfaction of its considered desires and
preferences. G4 is a somewhat sophisticated planning agent but
it has a problem. It can expect that its desires and preferences may well
change over time and undermine its efforts at organizing and coordinating its
activities over time. Perhaps in many cases this is due to the kind of temporal
discounting. So for example G4 may have a plan to exercise every day but may
tend to prefer a sequence of not exercising on the present day but exercising
all days in the future, to a uniform sequence the present day included. At the
end of the day it returns to its earlier considered preference in favour of
exercising on each and every day. Though G4, unlike G3, has the
capacity to settle on prior plans or plaices concerning exercise, this capacity
does not yet help in such a case. A creature whose plans were stable in ways in
part shaped by such a no-regret principle would be more likely than G4 to
resist temporary temptations. So let us build such a principle into the
stability of the plans of a G5, whose plans and policies are not derived solely
from facts about its limits of time, attention, and the like. It is also grounded
in the central concerns of a planning agent with its own future, concerns that
lend special significance to anticipated future regret. So let us add to G5 the
capacity and disposition to arrive at such hierarchies of higher-order desires
concerning its will. This gives us creature G6. There is a problem with
G6, one that has been much discussed. It is not clear why a higher-order
desire ‒ even a higher-order desire that a certain desire be ones
will ‒ is not simply one more desire in the pool of desires
(Berkeley Gods will problem). Why does it have the authority to constitute or
ensure the agents (i. e. the creatures) endorsement or rejection of a
first-order desire? Applied to G6 this is the question of whether, by virtue
solely of its hierarchies of desires, it really does succeed in taking its own
stand of endorsement or rejection of various first-order desires. Since it was
the ability to take its own stand that we are trying to provide in the move to
P6, we need some response to this challenge. The basic point is that
G6 is not merely a time-slice agent. It is, rather, and
understands itself to be, a temporally persisting planning agent, one who
begins, and continues, and completes temporally extended projects. On a broadly
Lockean view, its persistence over time consists in relevant psychological
continuities (e.g., the persistence of attitudes of belief and intention) and
connections (e.g., memory of a past event, or the later intentional execution
of an intention formed earlier). Certain attitudes have as a primary role the
constitution and support of such Lockean continuities and connections. In
particular, policies that favour or reject various desires have it as their
role to constitute and support various continuities both of ordinary desires
and of the politicos themselves. For this reason such policies are not merely
additional wiggles in the psychic stew. Instead, these policies have a claim to
help determine where the agent ‒ i.e., the temporally persisting agent ‒
stands with respect to its desires, or so it seems to me reasonable to say. The
psychology of G7 continues to have the hierarchical structure of pro-attitudes
introduced with G6. The difference is that the higher-order pro-attitudes of G6
were simply characterized as desires in a broad, generic sense, and no appeal
was made to the distinctive species of pro-attitude constituted by plan-like
attitudes. That is the sense in which the psychology of G7 is an extension of
the psychology of G6. Let us then give G7 such higher-order policies with the
capacity to take a stand with respect to its desires by arriving at relevant
higher-order policies concerning the functioning of those desires over time. G7 exhibits
a merger of hierarchical and planning structures. Appealing to planning theory
and ground in connection to the temporally extended structure of agency to be
ones will. G7 has higher-order policies that favour or challenge motivational
roles of its considered desires. When G7 engages in deliberative weighing of
conflicting, desired ends it seems that the assigned weights should reflect the
policies that determine where it stands with respect to relevant desires. But
the policies we have so far appealed to ‒ policies concerning what desires are
to be ones will ‒ do not quite address this concern. The problem is that one
can in certain cases have policies concerning which desires are to motivate and
yet these not be policies that accord what those desires are for a
corresponding justifying role in deliberation. G8. A solution is to give our
creature, G8, the capacity to arrive at policies that express
its commitment to be motivated by a desire by way of its treatment of that
desire as providing, in deliberation, a justifying end for action. G8 has
policies for treating (or not treating) certain desires as providing justifying
ends, as, in this way, reason-providing, in motivationally effective
deliberation. Let us call such policies self-governing policies. We will
suppose that these policies are mutually compatible and do not challenge each
other. In this way G8 involves an extension of structures already present in
G7. The grounds on which G8 arrives at (and on occasion revises) such
self-governing policies will be many and varied. We can see these policies as
crystallizing complex pressures and concerns, some of which are grounded in
other policies or desires. These self-governing policies may be tentative and
will normally not be immune to change. If we ask what G8 values in this case,
the answer seems to be: what it values is constituted in part by its
higher-order self-governing policies. In particular, it values exercise over
nonexercise even right now, and even given that it has a considered, though
temporary, preference to the contrary. Unlike lower Ps, what P8 now
values is not simply a matter of its present, considered desires and preferences.
Now this model of P8 seems in relevant aspects to be a partial) model of us, in
our better moments, of course. So we arrive at the conjecture that one
important kind of valuing of which we are capable involves, in the cited ways,
both our first-order desires and our higher order self-governing policies. In
an important sub-class of cases our valuing involves reflexive polices that are
both first-order policies of action and higher-order policies to treat the
first-order policy as reason providing in motivationally effective
deliberation. This may seem odd. Valuing seems normally to be a first-order
attitude. One values honesty, say. The proposal is that an important kind of
valuing involves higher-order policies. Does this mean that, strictly speaking,
what one values (in this sense) is itself a desire ‒ not honesty, say, but a
desire for honesty? No, it does not. What I value in the present case is
honesty; but, on the theory, my valuing honesty in art consists in certain
higher-order self-governing policies. An agents reflective valuing involves a
kind of higher-order willing. Freud challenged the power structure of the soul
in Plato: it is the libido that takes control, not the logos. Grice takes up
this polemic. Aristotle takes up Platos challenge, each type of soul is united
to the next by the idea of life. The animal soul, between the vegetative and
the rational, is not detachable.
AD-DITVM
-- additum:
or, ADDITVM, as Grice would spell it -- f. addo , dĭdi, dĭtum, 3, v. a. 2. do (addues
for addideris, Paul. ex Fest. p. 27 Müll.),addition. Strawson Wiggins p.
520. The utterer implies something more or different from what he explicitly
conveys. Cfr. Disimplicaturum, ‘less’ under ‘different from’ How seriously are
we taking the ‘more.’ Not used by Grice. They seem cross-categorial. If emissor
draws a skull and then a cross he means that there is danger and death in the
offing. He crosses the cross, so it means death is avoidable. Urmson says that
Warnock went to bed and took off his boots. He implicates in that order. So he
means MORE than the ‘ampersand.” The “and” is expanded into “and then.” But in
not every case things are so easy that it’s a matter of adding stuff. Cf.
summatum, conjunctum. And then there’s the ‘additive implicaturum.’ By uttering ‘and,’ Russell means the Boolean
adition. Whitehead means ‘and then’. Whithead’s implicaturum is ADDITIVE, as
opposed to diaphoron. Grice considers the conceptual possibilities here: One
may explicitly convey that p, and implicitly convey q, where q ADDS to p (e. g.
‘and’ implicates ‘and then’). Sometimes it does not, “He is a fine fine,” (or a
‘nice fellow,’ Lecture IV) implying, “He is a scoundrel.” Sometimes it has
nothing to do with it, “The weather has been nice” implying, “you committed a
gaffe.” With disimplicaturum, you implicate LESS than you explicitly convey.
When did you last see your father? “Yesterday night, in my drams.” Grice sums
this up with the phrase, “more or other.” By explicitly conveying that p, the
emissor implicates MORE OR OTHER than he explicitly conveys.
AD-PARITVM -- adparitum: or ADPARTIVUM, as
Grice would spell it -- apparitioLatin
for ‘appear’ADPARITUM -- theory of appearing, the theory that to perceive an
object is simply for that object to appear present itself to one as being a
certain way, e.g., looking round or like a rock, smelling vinegary, sounding
raucous, or tasting bitter. Nearly everyone would accept this formulation on
some interpretation. But the theory takes this to be a rock-bottom
characterization of perception, and not further analyzable. It takes “appearing
to subject S as so-and-so” as a basic, irreducible relation, one readily
identifiable in experience but not subject to definition in other terms. The
theory preserves the idea that in normal perception we are directly aware of
objects in the physical environment, not aware of them through non-physical
sense-data, sensory impressions, or other intermediaries. When a tree looks to
me a certain way, it is the tree and nothing else of which I am directly aware.
That involves “having” a sensory experience, but that experience just consists
of the tree’s looking a certain way to me. After enjoying a certain currency
early in this century the theory was largely abandoned under the impact of
criticisms by Price, Broad, and Chisholm. The most widely advertised difficulty
theoretical underdetermination is this. What is it that appears to the subject
in completely hallucinatory experience? Perhaps the greatest strength of the
theory is its fidelity to what perceptual experience seems to be. ap-pārĕo
(adp- , Ritschl, Fleck., B. and K.; app- , Lachm., Merk., Weissenb., Halm,
Rib.), ui, itum, 2, v. n., I.to come in
sight, to appear, become visible, make one's appearance (class. in prose and
poetry). I. A.. Lit.: “ego adparebo domi,” Plaut. Capt. 2, 3, 97: “ille bonus
vir nusquam adparet,” Ter. Eun. 4, 3, 18; Lucr. 3, 25; so id. 3, 989: “rem
contra speculum ponas, apparet imago,” id. 4, 157: unde tandem adpares, Cic.
Fragm. ap. Prisc. p. 706 P.; id. Fl. 12 fin.: “equus mecum una demersus rursus
adparuit,” id. Div. 2, 68; so id. Sull. 2, 5: “cum lux appareret (Dinter,
adpeteret),” Caes. B. G. 7, 82: “de sulcis acies apparuit hastae,” Ov. M. 3,
107: “apparent rari nantes,” Verg. A. 1, 118, Hor. C. S. 59 al.—With dat.:
“anguis ille, qui Sullae adparuit immolanti,” Cic. Div. 2, 30 fin.; id. Clu.
53: “Quís numquam candente dies adparuit ortu,” Tib. 4, 1, 65.—Once in Varro
with ad: quod adparet ad agricolas, R. R. 1, 40.— B. In gen., to be seen, to
show one's self, be in public, appear: “pro pretio facio, ut opera adpareat
Mea,” Plaut. Ps. 3, 2, 60: “fac sis nunc promissa adpareant,” Ter. Eun. 2, 3,
20; cf. id. Ad. 5, 9, 7: “illud apparere unum,” that this only is apparent,
Lucr. 1, 877; Cato, R. R. 2, 2: “ubi merces apparet? i. e. illud quod pro tantā
mercede didiceris,” Cic. Phil. 2, 34: “quo studiosius opprimitur et absconditur,
eo magis eminet et apparet,” id. Rosc. Am. 41 fin.: “Galbae orationes
evanuerunt, vix jam ut appareant,” id. Brut. 21, 82: “apparet adhuc vetus mde
cicatrix,” Ov. M. 12, 444; 2, 734: “rebus angustis animosus atque fortis
appare,” Hor. C. 2, 10, 22: “cum lamentamur, non apparere labores Nostros,” are
not noticed, considered, id. Ep. 2, 1, 224, so id. ib. 2, 1, 250 al.; Plaut.
Men. 2, 1, 14; cf. id. Am. 2, 2, 161 and 162.—Hence, apparens (o latens),
visible, evident: “tympana non apparentia Obstrepuere,” Ov. M. 4, 391:
“apparentia vitia curanda sunt,” Quint. 12, 8, 10; so id. 9, 2, 46.— II. Trop.:
res apparet, and far more freq. impers. apparet with acc. and inf. or
rel.-clause, the thing (or it) is evident, clear, manifest, certain, δῆλόν ἐστι,
φαίνεται (objective certainty, while videtur. δοκεῖ, designates subjective
belief, Web. Uebungssch. 258): “ratio adparet,” Plaut. Trin. 2, 4, 17: “res
adparet, Ter Ad. 5, 9, 7: apparet id etiam caeco, Liv 32, 34. cui non id
apparere, id actum esse. etc.,” id. 22, 34; 2, 31 fin.: “ex quo adparet
antiquior origo,” Plin. 36, 26, 67, § 197 al.: “adparet servom nunc esse domini
pauperis,” Ter. Eun. 3, 2, 33: “non dissimulat, apparet esse commotum,” Cic.
Phil. 2, 34: apparet atque exstat, utrum simus earum (artium) rudes, id. de Or.
1, 16, 72: “quid rectum sit, adparet,” id. Fam. 5, 19; 4, 7: “sive confictum
est, ut apparet, sive, etc.,” id. Fl. 16 fin.; Nep. Att. 4, 1; Liv. 42, 43:
“quo adparet antiquiorem hanc fuisse scientiam,” Plin. 35, 12, 44, § 153
al.—Also with dat. pers.: “quas impendere jam apparebat omnibus,” Nep. Eum. 10,
3; and, by attraction, with nom. and inf., as in Gr. δῆλός ἐστι, Varr. R. R. 1,
6, 2: “membra nobis ita data sunt, ut ad quandam rationem vivendi data esse
adpareant,” Cic. Fin. 3, 7, 23, ubi v. Otto: “apparet ita degenerāsse Nero,”
Suet. Ner. 1; or without the inf., with an adj. as predicate: “apparebat atrox
cum plebe certamen (sc. fore, imminere, etc.),” Liv. 2, 28; Suet. Rhet. 1.—
III. To appear as servant or aid (a lictor, scribe, etc.), to attend, wait
upon, serve; cf. apparitor (rare): “sacerdotes diis adparento,” Cic. Leg. 2, 8,
21: “cum septem annos Philippo apparuisset,” Nep. Eum. 13, 1: “cum appareret
aedilibus,” Liv. 9, 46 Drak.: “lictores apparent consulibus,” id. 2, 55:
“collegis accensi,” id. 3, 33: tibi appareo atque aeditumor in templo tuo,
Pompon. ap. Gell. 12, 10: “Jovis ad solium Apparent,” Verg. A. 12, 850 (=
praestant ad obsequium, Serv.). Refs.: H. P. Grice, “Bradley and the misuses of
‘appearance.’”
Ælfric: important English
philosopher, like Grice. Cf. Alcuinus. --.
AEQUI:
Grice: “A very latin roots that appears in various formations. My favourite:
‘aequi-vocal’!” æqui-pollens: --
from ‘aequipollentia,’ a term used by Grice, après Sextus Empiricus, to express
the view that there are arguments of equal strength on all sides of any
question and that therefore we should suspend judgment on every question that
can be raised. -- æqui-probabile: a neuteras used by Grice, having the same
probability. Sometimes used in the same way as ‘equipossible’, the term is
associated with Laplace’s the “classical” interpretation of probability, where
the probability of an event is the ratio of the number of equipossibilities
favorable to the event to the total number of equipossibilities. For example,
the probability of rolling an even number with a “fair” six-sided die is ½ there being three equipossibilities 2, 4, 6
favorable to even, and six equipossibilities 1, 2, 3, 4, 5, 6 in all and 3 /6 %
½. The concept is now generally thought not to be widely applicable to the
interpretation of probability, since natural equipossibilities are not always
at hand as in assessing the probability of a thermonuclear war tomorrow. -- æqui-valens:
-- from aequi-valentiai. ee. mutual inferability. The following are main kinds:
two statements are materially equivalent provided they have the same
truthvalue, and logically equivalent provided each can be deduced from the
other; two sentences or words are equivalent in meaning provided they can be
substituted for each other in any context without altering the meaning of that
context. In truth-functional logic, two statements are logically equivalent if
they can never have truthvalues different from each other. In this sense of
‘logically equivalent’ all tautologies are equivalent to each other and all
contradictions are equivalent to each other. Similarly, in extensional set
theory, two classes are equivalent provided they have the same numbers, so that
all empty classes are regarded as equivalent. In a non-extensional set theory,
classes would be equivalent only if their conditions of membership were
logically equivalent or equivalent in meaning.
-- æqui-vocale: A neuter form -- Grice preferred Cicero’s rendition
of ‘synonymia’ (cf. paronymia, and homonympia) --. Grice’s æqui-vocality thesis
-- aequivocation, the use of an expression in two or more different senses in a
single context. For example, in ‘The end of anything is its perfection. But the
end of life is death; so death is the perfection of life’, the expression ‘end’
is first used in the sense of ‘goal or purpose,’ but in its second occurrence
‘end’ means ‘termination.’ The use of the two senses in this context is an
equivocation. Where the context in which the expression used is an argument,
the fallacy of equivocation may be committed.
SENSUS -- SENSATIO
– Grice: “Cicero is translating Grecian: ÆSTHETICVM.” Or AESTHETICVM,
as Grice would spell it“A hybrid,”Grice is aware that the old Roman form is
‘sensus’which Cicero uses to translate the rather convoluted Grecian idea of
the ‘aesthesis’or ‘aesthetikos’ versus ‘noetikos.’ -- Grice is well aware that
‘aesthetica,’ qua discipline, was meant to refer to the ‘sensibile,’ as opposed
to the ‘intellectus.’ With F. N. Sibley (who credits Grice profusely), Grice
explored the ‘second-order’ quality of the so-called ‘aesthetic properties.’ It
influenced Scruton. The aesthetic attitude is the appropriate attitude or frame
of mind for approaching art or nature or other objects or events so that one
might both appreciate its intrinsic perceptual qualities, and as a result have
an aesthetic experience. The aesthetic attitude has been construed in many
ways: 1 as disinterested, so that one’s experience of the work is not affected
by any interest in its possible practical uses, 2 as a “distancing” of oneself
from one’s own personal concerns, 3 as the contemplation of an object, purely
as an object of sensation, as it is in itself, for its own sake, in a way
unaffected by any cognition or knowledge one may have of it. These different
notions of aesthetic attitude have at times been combined within a single
theory. There is considerable doubt about whether there is such a thing as an
aesthetic attitude. There is neither any special kind of action nor any special
way of performing an ordinary action that ensures that we see a work as it
“really is,” and that results in our having an aesthetic experience.
Furthermore, there are no purely sensory experiences, divorced from any
cognitive content whatsoever. Criticisms of the notion of aesthetic attitude
have reinforced attacks on aesthetics as a separate field of study within
philosophy. On the other hand, there’s aesthetic formalism, non-iconic, the
view that in our interactions with works of art, form should be given primacy.
Rather than taking ‘formalism’ as the name of one specific theory in the arts,
it is better and more typical to take it to name that type of theory which
emphasizes the form of the artwork. Or, since emphasis on form is something
that comes in degrees, it is best to think of theories of art as ranged on a
continuum of more formalist and less formalist. It should be added that
theories of art are typically complex, including definitions of art,
recommendations concerning what we should attend to in art, analyses of the
nature of the aesthetic, recommendations concerning the making of aesthetic
evaluations, etc.; and each of these components may be more formalist or less
so. Those who use the concept of form mainly wish to contrast the artifact
itself with its relations to entities outside itself with its representing various things, its
symbolizing various things, its being expressive of various things, its being
the product of various intentions of the artist, its evoking various states in
beholders, its standing in various relations of influence and similarity to
preceding, succeeding, and contemporary works, etc. There have been some,
however, who in emphasizing form have meant to emphasize not just the artifact
but the perceptible form or design of the artifact. Kant, e.g., in his theory
of aesthetic excellence, not only insisted that the only thing relevant to
determining the beauty of an object is its appearance, but within the
appearance, the form, the design: in visual art, not the colors but the design
that the colors compose; in music, not the timbre of the individual sounds but
the formal relationships among them. It comes as no surprise that theories of
music have tended to be much more formalist than theories of literature and
drama, with theories of the visual arts located in between. While Austin’s
favourite aesthetic property is ‘dumpty,’ Grice is more open minded, and allows
for more of a property or quality such as being dainty, garish, graceful,
balanced, charming, majestic, trite, elegant, lifeless, ugly, or beautiful. By
contrast, non-aesthetic properties are properties that require no special
sensitivity or perceptiveness to perceive
such as a painting’s being predominantly blue, its having a small red
square in a corner or a kneeling figure in the foreground, or that the music
becomes louder at a given point. Sometimes it is argued that a special
perceptiveness or taste is needed to perceive a work’s aesthetic qualities, and
that this is a defining feature of a property’s being aesthetic. A corollary of
this view is that aesthetic qualities cannot be defined in terms of
non-aesthetic qualities, though some have held that aesthetic qualities supervene
on non-aesthetic qualities. As a systematic philosopher, Grice goes back to the
etymological root of the aesthetic as the philosophy of the sensible. He would
make fun of the specialization. “If at the philosophy department I am
introduced to Mr. Puddle, our man in nineteenth-century continental aesthetics,
I can grasp he is either underdescribed or not good at nineteenth-century
continental aesthetics!’ The branch of philosophy that examines the nature of
art and the character of our adventitious ideas and experience of art and of
the natural environment. It emerged as a separate field of philosophical
inquiry during the eighteenth century in England and on the Continent.
Recognition of aesthetics as a separate branch of philosophy coincided with the
development of theories of art that grouped together painting, poetry,
sculpture, music, and dance and often landscape gardening as the same kind of
thing, les beaux arts, or the fine arts. Baumgarten coined the term
‘aesthetics’ in his Reflections on Poetry 1735 as the name for one of the two
branches of the study of knowledge, i.e., for the study of sensory experience
coupled with feeling, which he argued provided a different type of knowledge
from the distinct, abstract ideas studied by “logic.” He derived it from the
ancient Grecian aisthanomai ‘to perceive’, and “the aesthetic” has always been
intimately connected with sensory experience and the kinds of feelings it
arouses. Questions specific to the field of aesthetics are: Is there a special
attitude, the aesthetic attitude, which we should take toward works of art and
the natural environment, and what is it like? Is there a distinctive type of
experience, an aesthetic experience, and what is it? Is there a special object
of attention that we can call the aesthetic object? Finally, is there a
distinctive value, aesthetic value, comparable with moral, epistemic, and
religious values? Some questions overlap with those in the philosophy of art,
such as those concerning the nature of beauty, and whether there is a faculty
of taste that is exercised in judging the aesthetic character and value of natural
objects or works of art. Aesthetics also encompasses the philosophy of art. The
most central issue in the philosophy of art has been how to define ‘art’. Not
all cultures have, or have had, a concept of art that coincides with the one
that emerged in Western Europe during the seventeenth and eighteenth centuries.
What justifies our applying our concept to the things people in these other
cultures have produced? There are also many pictures including paintings,
songs, buildings, and bits of writing, that are not art. What distinguishes
those pictures, musical works, etc., that are art from those that are not?
Various answers have been proposed that identify the distinguishing features of
art in terms of form, expressiveness, intentions of the maker, and social roles
or uses of the object. Since the eighteenth century there have been debates
about what kinds of things count as “art.” Some have argued that architecture
and ceramics are not art because their functions are primarily utilitarian, and
novels were for a long time not listed among the “fine arts” because they are
not embodied in a sensuous medium. Debates continue to arise over new media and
what may be new art forms, such as film, video, photography, performance art,
found art, furniture, posters, earthworks, and computer and electronic art.
Sculptures these days may be made out of dirt, feces, or various discarded and
mass-produced objects, rather than marble or bronze. There is often an explicit
rejection of craft and technique by twentieth-century artists, and the subject
matter has expanded to include the banal and everyday, and not merely
mythological, historical, and religious subjects as in years past. All of these
developments raise questions about the relevance of the category of “fine” or “high”
art. Another set of issues in philosophy of art concerns how artworks are to be
interpreted, appreciated, and understood. Some views emphasize that artworks
are products of individual efforts, so that a work should be understood in
light of the producer’s knowledge, skill, and intentions. Others see the
meaning of a work as established by social conventions and practices of the
artist’s own time, but which may not be known or understood by the producer.
Still others see meaning as established by the practices of the users, even if
they were not in effect when the work was produced. Are there objective
criteria or standards for evaluating individual artworks? There has been much
disagreement over whether value judgments have universal validity, or whether
there can be no disputing about taste, if value judgments are relative to the
tastes and interests of each individual or to some group of individuals who
share the same tastes and interests. A judgment such as “This is good”
certainly seems to make a claim about the work itself, though such a claim is
often based on the sort of feeling, understanding, or experience a person has
obtained from the work. A work’s aesthetic or artistic value is generally
distinguished from simply liking it. But is it possible to establish what sorts
of knowledge or experiences any given work should provide to any suitably
prepared perceiver, and what would it be to be suitably prepared? It is a
matter of contention whether a work’s aesthetic and artistic values are
independent of its moral, political, or epistemic stance or impact. Philosophy
of art has also dealt with the nature of taste, beauty, imagination,
creativity, repreaesthetics aesthetics 12 4065A- 12 sentation, expression, and
expressiveness; style; whether artworks convey knowledge or truth; the nature
of narrative and metaphor; the importance of genre; the ontological status of
artworks; and the character of our emotional responses to art. Work in the
field has always been influenced by philosophical theories of language or
meaning, and theories of knowledge and perception, and continues to be heavily
influenced by psychological and cultural theory, including versions of
semiotics, psychoanalysis, cognitive psychology, feminism, and Marxism. Some
theorists in the late twentieth century have denied that the aesthetic and the
“fine arts” can legitimately be separated out and understood as separate,
autonomous human phenomena; they argue instead that these conceptual categories
themselves manifest and reinforce certain kinds of cultural attitudes and power
relationships. These theorists urge that aesthetics can and should be
eliminated as a separate field of study, and that “the aesthetic” should not be
conceived as a special kind of value. They favor instead a critique of the
roles that images not only painting, but film, photography, and advertising,
sounds, narrative, and three-dimensional constructions have in expressing and
shaping human attitudes and experiences.
agamben: giorgio
agamben (n. Roma), filosofo. Nato a Roma da antica famiglia veneziana di
origine armena, si laureò in Giurisprudenza nel 1965 con una tesi su Simone
Weil. Ha scritto diverse opere, che spaziano dall'estetica alla biopolitica. A
Roma, sempre negli anni sessanta, frequenta con intensità Elsa Morante, Pier
Paolo Pasolini (interpreta l'apostolo Filippo nel film Il Vangelo secondo
Matteo), Ingeborg Bachmann. Nel 1966 e nel 1968 partecipa ai seminari promossi
da Martin Heidegger su Eraclito e Hegel a Le Thor. Nel 1974 si trasferisce a
Parigi, dove frequenta Pierre Klossowski, Guy Debord, Italo Calvino e altri
intellettuali, mentre insegna all'Università Haute-Bretagne. L'anno seguente ha
lavorato a Londra, mentre dal 1986 al 1993 ha diretto il Collegio
internazionale di filosofia a Parigi, frequentando, tra gli altri, Jean-Luc
Nancy, Jacques Derrida e Jean-François Lyotard. Dal 1988 al 2003 ha insegnato
alle Università degli Studi di Macerata e di Verona. Dal 2003 al 2009 ha
insegnato presso l'Istituto Universitario di Architettura (IUAV) di Venezia.
Sempre nel 2003 ha abbandonatoper protesta contro i nuovi dispositivi di
controllo imposti dal governo statunitense ai cittadini stranieri che si recano
negli Stati Uniti d'America, cioè lasciare le proprie impronte digitali ed
essere schedatil'incarico di professore illustre all'New York. In precedenza
era stato professore invitato in altre istituzioni, tra cui l'Università
Northwestern, l'Università Heinrich Heine di Düsseldorf e la European Graduate
School di Saas-Fee. In seguito "si è dimesso dall'insegnamento
nell'università italiana". Oggi dirige la collana Quarta prosa presso
l'editore Neri Pozza e organizza un seminario annuale presso l'Parigi
Saint-Denis. Tra gli autori che ha studiato e proposto: Walter Benjamin,
Jacob Taubes, Alexandre Kojève, Michel Foucault, Carl Schmitt, Aby Warburg,
Paolo di Tarso, ma anche Furio Jesi, Enzo Melandri e in genere trattando temi
di filosofia politica, biopolitica (in particolare i concetti di stato di
emergenza, esilio e autorità), mistica cristiana ed ebraica, angelologia,
storia dell'arte e letteratura. Collabora con "aut-aut",
"Cultura tedesca" e con diverse altre riviste di filosofia. In
occasione della laurea honoris causa in teologia presso l'Friburgo il 13
novembre ha pronunciato la
conferenza Mysterium iniquitatis, poi tradotta in Il mistero del male (). Nel
2006 ha ricevuto il Premio europeo Charles Veillon per la saggistica e nel il Premio Nonino "Maestro del nostro
tempo". Pensiero Magnifying glass icon mgx2.svg Dispositivo
(filosofia). Il pensiero di Giorgio Agamben, benché caratterizzato da una
omogeneità che copre tutto l'arco evolutivo delle sue opere, può essere per
comodità suddiviso in due momenti distinti. A fare da spartiacque è un testo
fondamentale: Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, il quale si
inscrive nelle tematiche e nel dibattito sollevati dalle ricerche di Foucault
attorno al biopotere, indagando il rapporto fra diritto e vita e sulle
dinamiche dei modelli di sovranità. La prima riflessione agambeniana
predilige tematiche estetiche, in particolar modo letterarie, nel contesto di
un grande confronto con il pensiero di Martin Heideggerche ha conosciuto
personalmente partecipando ai seminari estivi tenuti in Provenza nel 1966 e
1968e con quello di un altro filosofo a lui caro: Walter Benjamin, autore del
quale curò la prima edizione italiana delle opere complete per Einaudi,
ritrovando anche un discreto numero di testi inediti (tra cui quelli nascosti e
conservati da Georges Bataille alla Biblioteca nazionale di Francia e riscoperti
da Agamben nel 1981 tra le carte di Bataille presenti nella biblioteca); la
collaborazione con Einaudi si interruppe per sopravvenute incomprensioni con
l'editore. All'inizio degli anni novanta alcuni suoi allievi hanno
fondato la casa editrice Quodlibet. I suoi studi hanno riguardato varie
tematiche, dal linguaggio alla metafisica, approfondendo il significato
dell'esistenza del linguaggio e dei suoi limiti referenziali esogeni ed
endogeni., dall'estetica nella quale indaga sulle relazioni intercorrenti fra
filosofia ed arte chiedendosi se quest'ultima permetta una differente
espressione del linguaggio rispetto alla prima, all'etica che approfondisce le
tematiche e gli aspetti emergenti dal contesto dei lager nazisti. A
sostegno del pensiero di Agamben riguardo alla sua concezione della "nuda
vita" vale infine quanto scritto in un articolo pubblicato in data 17
marzo intitolato Chiarimenti: «È
evidente che gli italiani sono disposti a sacrificare praticamente tutto, le
condizioni normali di vita, i rapporti sociali, il lavoro, perfino le amicizie,
gli affetti e le convinzioni religiose e politiche al pericolo di ammalarsi. La
nuda vitae la paura di perderlanon è qualcosa che unisce gli uomini, ma li
acceca e separa.» Homo sacer A partire dal concetto latino di homo sacer,
la sua ricerca principale si svolge nei seguenti volumi (ripresi nell'edizione
definitiva: Homo Sacer. Edizione integrale (1995-), ): I. Homo sacer. Il
potere sovrano e la nuda vita, 1995 II,1. Stato d'eccezione, 2003 II,2. Stasis.
La guerra civile come paradigma politico,
II,3. Il sacramento del linguaggio. Archeologia del giuramento, Il regno e la gloria. Per una genealogia
teologica dell'economia e del governo, 2009 II,5. Opus Dei. Archeologia
dell'ufficio, III. Quel che resta di
Auschwitz. L'archivio e il testimone, 1998 IV,1. Altissima povertà. Regole
monastiche e forma di vita, IV,2. L'uso
dei corpi, Al cinema Ha interpretato il
ruolo di Filippo nel film del 1964 Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo
Pasolini. Opere Jarry o la divinità del riso, in Alfred Jarry, Il
supermaschio, trad. G. Agamben, Milano: Bompiani, 1967, 147–57 (poi Milano: SE, 1999) André Breton e
Paul Éluard, L'immacolata concezione, trad. G. Agamben, Milano: Forum, 1968
(poi Milano: ES, 1997). L'uomo senza contenuto, Milano: Rizzoli, 1970 (poi
Macerata: Quodlibet, 1994) (contiene: «La cosa più inquietante», «Frenhofer e
il suo doppio», «L'uomo di gusto e la dialettica della lacerazione», «La camera
delle meraviglie», «Les jugements sur la poésie ont plus de valeur que la
poésie», «Un nulla che annienta se stesso», «La privazione è come un volto»,
«Poiesis e praxis», «La struttura originale dell'opera d'arte», «L'angelo
malinconico») José Bergamin, in José Bergamín, Decadenza dell'analfabetismo, trad.
Lucio D'Arcangelo, Milano: Rusconi, 1972,
7–29 (n.ed. Milano: Bompiani, 2000) La notte oscura di Juan de la Cruz,
in Juan de la Cruz, Poesie, trad. G. Agamben, Torino: Einaudi, 1974, V-XIII Stanze. La parola e il fantasma nella
cultura occidentale, Torino: Einaudi, 1977 (ristampato Einaudi, 2006)
(contiene: «Prefazione», «I fantasmi di Eros», «Nel mondo di Odradek. L'opera
d'arte di fronte alla merce», «La parola e il fantasma. La teoria del fantasma
nella poesia d'amore del '200», «L'immagine perversa. La semiologia dal punto
di vista della Sfinge») Marcel Griaule, Dio d'acqua, trad. G. Agamben, Milano:
Bompiani, 1978 Infanzia e storia. Distruzione dell'esperienza e origine della
storia, Torino: Einaudi 1978 (ristampato Einaudi, 2001) (contiene: «Infanzia e
storia. Saggio sulla distruzione dell'esperienza», «Il paese dei balocchi.
Riflessioni sulla storia e sul gioco», «Tempo e storia. Critica dell'istante e
del continuo», «Il principe e il ranocchio. Il problema del metodo in Adorno e
in Benjamin», «Fiaba e storia. Considerazioni sul presepe», «Programma per una
rivista») Gusto, in Ruggiero Romano , Enciclopedia Einaudi, 6, Torino: Einaudi, 1019–38 L'io, l'occhio,
la voce, in Paul Valéry, Monsieur Teste, trad. Libero Salaroli, Milano: Il
Saggiatore, 1980, 9–24 (nuova ed.
Milano: SE; poi in La potenza del pensiero,
90–106) Il linguaggio e la morte. Un seminario sul luogo della
negatività, Torino: Einaudi, 1982 (ristampato Einaudi, 2008) La fine del
pensiero, Paris: Le Nouveau Commerce, 1982 Un importante ritrovamento di
manoscritti di Walter Benjamin, in «aut-aut», 189-190 (numero intitolato
«Paesaggi benjaminiani»), Firenze: La Nuova Italia, maggio-agosto 1982, 4–6 La trasparenza della lingua, in
«Alfabeta», 38-39, Milano: Coop. Intrapresa, luglio-agosto 1982, 3–4 Il viso e il silenzio, in Ruggero
Savinio, Opere 1983, Milano: Philippe Daverio, 1983 Il silenzio del linguaggio,
in Paolo Bettiolo , Margaritae, Venezia: Arsenale, 1983, 69–79 Idea della prosa, Milano: Feltrinelli,
1985 (poi Macerata: Quodlibet, 2002) (contiene: «Soglia», «I: Idea della
materia, Idea della prosa, Idea della censura, Idea della vocazione, Idea
dell'Unica, Idea del dettato, Idea della verità, Idea della Musa, Idea
dell'amore, Idea dell'immemorabile», «II: Idea del potere, Idea del comunismo,
Idea della giustizia, Idea della pace, Idea della vergogna, Idea dell'epoca,
Idea della musica, Idea della felicità, Idea dell'infanzia, Idea del giudizio
universale», «III: Idea del pensiero, Idea del nome, Idea dell'enigma, Idea del
silenzio, Idea del linguaggio, Idea della luce, Idea dell'apparenza, Idea della
gloria, Idea della morte, Idea del risveglio», «Soglia. Kafka difeso contro i
suoi interpreti») Quattro glosse a Kafka, in «Rivista di estetica», XXVI, 22,
Torino: Rosenberg & Sellier, 1986,
37–44 La passione dell'indifferenza, in Marcel Proust, L'indifferente,
trad. Mariolina Bongiovanni Bertini, Torino: Einaudi, 1987, 7–22 Su Le livre du partage, in «Metaphorein»,
IX, 1, 1987, 43–47 Il silenzio delle
parole, in Ingeborg Bachmann, In cerca di frasi vere, trad. Cinzia Romani,
Bari: Laterza, 1989, V-XV Sur Robert
Walser, in «Détail», Paris: Pierre Alféri et Suzanne Doppelt (l'Atelier
Cosmopolite de la Fondation Royaumont), autunno La comunità che viene, Torino:
Einaudi, 1990 (n.ed. Torino: Bollati Boringhieri) (contiene: «La comunità che
viene: Qualunque, Dal Limbo, Esempio, Aver luogo, Principium individuationis,
Agio, Maneries, Demonico, Bartebly, Irreparabile, Etica, Collants Dim, Aureole,
Pseudonimo, Senza classi, Fuori, Omonimi, Schechina, Tienanmen»,
«L'irreparabile») Disappropriata maniera, in Giorgio Caproni, Res amissa, G.
Agamben, Milano: Garzanti, 1991 (poi in Categorie italiane, 89–103) Kommerell o del gesto, in Max
Kommerell, Il poeta e l'indicibile, Genova: Marietti, VII-XV (poi in La potenza
del pensiero, 237–49) Bartleby, la
formula della creazione, Macerata: Quodlibet, 1993 (contiene: Gilles Deleuze,
Bartebly o la formula trad. Stefano Verdicchio; G. Agamben, Bartebly o della
contingenza: Lo scriba o della creazione, La formula o della potenza,
L'esperimento o della decreazione») Nota introduttiva a: René, Il testamento
della ragazza morta, trad. Daniela Salvatico Estense, Macerata: Quodlibet, 7–8 Maniere del nulla, in Robert Walser, Pezzi
in prosa, trad. Gino Giometti, Macerata: Quodlibet, 7–11 Il dettato della poesia, in Antonio
Delfini, Poesie della fine del mondo e poesie escluse, Daniele Garbuglia,
Macerata: Quodlibet, VII-XX (poi in
Categorie italiane, 79–88) Homo sacer.
Il potere sovrano e la nuda vita, Torino: Einaudi, 1995 (ristampa 2008)
(contiene: «Introduzione», «Logica della sovranità», «Homo sacer», «Il campo
come paradigma biopolitico del moderno», «») Il talismano di Furio Jesi, in
Furio Jesi, Lettura del Bateau ivre di Rimbaud, Macerata: Quodlibet, 1996, 5–8 Mezzi senza fine. Note sulla politica,
Torino: Bollati Boringhieri, 1996 (contiene: «Avvertenza», «I: Forma-di vita,
Al di là dei diritti dell'uomo, Che cos'è un popolo?, Che cos'è un
campo?», «II: Note sul gesto, Le lingue e i popoli, Glosse in margine ai
Commentari sulla società dello spettacolo, Il volto», «III: Polizia sovrana,
Note sulla politica, In questo esilio. Diario italiano 1992-94») Per una
filosofia dell'infanzia, in Franco La Cecla, Perfetti e indivisibili, Milano:
Skira, 1996, 233–40 Categorie italiane.
Studi di poetica, Venezia: Marsilio, 1996 (contiene: «Premessa», «Comedia»,
«Corn. Dall'anatomia alla poetica», «Il sogno e della lingua», «Pascoli e il
pensiero della voce», «Il dettato della poesia», «Disappropriata maniera», «La
festa del tesoro nascosto», «La fine del poema», «Un enigma della Basca», «La
caccia della lingua», «I giusti non si nutrono di luce», «Il congedo della
tragedia»). Nuova edizione (Roma-Bari: Laterza, ), accresciuta di otto testi e
con un nuovo sottotitolo: Studi di poetica e di letteratura. Verità come
erranza, in «Paradosso», 2-3 (numero intitolato «Sulla verità», Massimo Dona),
Padova: Il Poligrafo, 1998, 13–17 Image
et mémoire, Paris: Hoëbeke, 1998 (contiene: «Aby Warburg et la science sans
nom», «L'origine et l'oubli. Parole du mythe et parole de la littérature», «Le
cinéma de Guy Debord», «L'image immémoriale») Quel che resta di Auschwitz.
L'archivio e il testimone. Homo sacer. III, Torino: Bollati Boringhieri, 1998
(contiene: «Avvertenza», «Il testimone», «Il musulmano», «La vergogna o del
soggetto», «L'archivio e la testimonianza», «») Introduzione, in Giorgio
Manganelli, Contributo critico allo studio delle dottrine politiche del '600
italiano, Macerata: Quodlibet, 1999,
7–18 La guerra e il dominio, in «aut-aut», 293-294, Firenze: La Nuova
Italia, settembre-dicembre 1999, 22–3,
poi anche in: Paolo Perticari , Biopolitica minore, Roma: Manifestolibri Il tempo che resta. Un commento alla «Lettera
ai romani», Torino: Bollati Boringhieri, 2000 (contiene: «Prima giornata.
Paulos doulos christoú Iësoú», «Seconda giornata. Klëtós», «Terza giornata.
Aphörisménos», «Quarta giornata. Apóstolos», «Quinta giornata. Eis auaggélion
theoú», «Sesta giornata», «Soglia o tornada», «Appendice. Riferimenti testuali
paolini», «») Araldica e politica, in Viola Papetti , Le foglie messaggere.
Scritti in onore di Giorgio Manganelli, Roma: Editori Riuniti Un possibile
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Bollati Boringhieri, 2002 (contiene «Teromorfo, Acefalo, Snob, Mysterium
disiunctionis, Fisiologia dei beati, Cognitio experimentalis, Tassonomie, Senza
rango, Macchina antropologica, Umwelt, Zecca, Povertà di mondo, L'aperto, Noia
profonda, Mondo e terra, Animalizzazione, Antropogenesi, Tra, Desoeuvrement,
Fuori dall'essere», «») Nota, in Ingebor Bachmann, Quel che ho visto e udito a
Roma, Macerata: Quodlibet, 2002 (con Valeria Piazza) L'ombre de l'amour, Paris:
Rivages, 2003 Stato di Eccezione. Homo sacer II, 1, Torino: Bollati
Boringhieri, 2003 (contiene: «Lo stato di eccezione come paradigma di governo»,
«Forza di legge», «Iustitium», «Gigantomachia intorno a un vuoto», «Festa lutto
anomia», «Auctoritas e potestas», «Riferimenti bibliografici») Intervista a
Giorgio Agamben (sullo Stato di eccezione) in Antasofia 1, Mimesis, Milano
2003. Genius, Roma: Nottetempo, 2004 (poi in Profanazioni, 7–18) Il giorno del giudizio, Roma:
Nottetempo, 2004 (poi in Profanazioni,
25–38) La potenza del pensiero. Saggi e conferenze, Vicenza: Neri Pozza,
2005 (contiene: «La cosa stessa», «L'idea del linguaggio», «Lingua e storia»,
«Filosofia e linguistica», «Vocazione e voce», «L'io, l'occhio, la voce»,
«Sull'impossibilità di dire io», «Aby Warburg e la scienza senza nome»,
«Tradizione dell'immemorabile», «*Se. L'assoluto e l'Ereignis», «L'origine e
l'oblio», «Walter Benjamin e il demonico», «Kommerell o del gesto», «Il Messia
e il sovrano», «La potenza del pensiero», «La passione della fatticità»,
«Heidegger e il nazismo», «L'immagine immemoriale», «Pardes», «L'opera
dell'uomo», «L'immanenza assoluta») Profanazioni, Roma: Nottetempo, 2005
(contiene: «Genius», «Magia e felicità», «Il Giorno del Giudizio», «Gli
aiutanti», «Parodia», «Desiderare», «L'essere speciale», «L'autore come gesto»,
«Elogio della profanazione», «I sei minuti più belli della storia del cinema»)
Introduzione, in Emanuele Coccia, La trasparenza delle immagini. Averroè e
l'averroismo, Milano: Bruno Mondadori, 1995,
VII-XIII Che cos'è un dispositivo?, Roma: Nottetempo, 2006 L'amico,
Roma: Nottetempo, 2007 Ninfe, Torino: Bollati Boringhieri, 2007 Il regno e la
gloria. Per una genealogia teologica dell'economia e del governo. Homo sacer
II, 2, Vicenza: Neri Pozza, 2007 (nuova ed. Torino: Bollati Boringhieri, 2009)
(contiene: «Premessa», «I due paradigmi», «Il mistero dell'economia», «Essere e
agire», «Il regno e il governo», «La macchina provvidenziale», «Angelologia e
burocrazia», «Il potere e la gloria», «Archeologia della gloria» preceduti,
intervallati e seguiti da Soglie, «Appendice: L'economia dei moderni», «») Che
cos'è il contemporaneo?, Roma: Nottetempo, 2008 Signatura rerum. Sul Metodo,
Torino: Bollati Boringhieri, 2008 (contiene: «Avvertenza», «Che cos'è un
paradigma?», «Teoria delle segnature», «Archeologia filosofica», «») Il
sacramento del linguaggio. Archeologia del giuramento. Homo sacer II, 3,
Roma-Bari: Laterza, 2008 Nudità, Roma: Nottetempo, 2009 (contiene: «Creazione e
salvezza», «Che cos'è il contemporaneo?», «K.», «Dell'utilità e degli
inconvenienti del vivere fra spettri», «Su ciò che possiamo non fare»,
«Identità senza persona», «Nudità», «Il corpo glorioso», «Una fame da bue»,
«L'ultimo capitolo della storia del mondo») (con Emanuele Coccia) Angeli.
Ebraismo, Cristianesimo, Islam, Vicenza: Neri Pozza 2009 La Chiesa e il Regno,
Roma: Nottetempo, (con Monica Ferrando)
La ragazza indicibile. Mito e mistero di Kore, Milano: Electa Mondadori, Altissima povertà. Regole monastiche e forma
di vita. Homo sacer IV, 1, Vicenza: Neri Pozza,
Opus Dei. Archeologia dell'ufficio. Homo sacer II, 5, Torino: Bollati
Boringhieri, Il mistero del male.
Benedetto XVI e la fine dei tempi, Roma-Bari: Laterza, Pilato e Gesù, Roma: Nottetempo, Qu'est-ce que le commandement?, Parigi:
Bibliothèque Rivages, Il fuoco e il
racconto, Roma: Nottetempo, L'uso dei
corpi. Homo sacer IV, 2, Vicenza: Neri Pozza,
To Whom Is Poetry Addressed?, in "New Observations", 130, 11
Stasis. La guerra civile come paradigma politico. Homo sacer II, 2, Torino:
Bollati Boringhieri, L'avventura, Roma:
nottetempo, Pulcinella ovvero
Divertimento per li regazzi, Roma: nottetempo,
Che cos'è la filosofia?, Macerata: Quodlibet, Che cos'è reale? La scomparsa di Majorana,
Vicenza: Neri Pozza, Autoritratto nello
studio, Milano: Nottetempo, Karman.
Breve trattato sull'azione, la colpa, il gesto, Torino: Bollati
Boringhieri, Creazione e anarchia.
L'opera nell'età della religione capitalista, Vicenza: Neri Pozza, Homo Sacer. Edizione integrale (1995-),
Macerata, Quodlibet, Il Regno e il
Giardino, Vicenza: Neri Pozza, Lo
studiolo, Collana Saggi, Torino, Einaudi, . A che punto siamo? L'epidemia come
politica, Macerata, Quodlibet, Note Giulia Farina, Enciclopedia della
letteratura, Garzanti, 1997 p.9 Con il
quale progetta una rivista. Cfr. l'ultimo capitolo di Infanzia e storia,
Einaudi, Torino, 1979. Giorgio
Agamben Al quale si rivolge con L'amico,
Nottetempo, Roma 2007. Cfr. la lettera
di solidarietà di Carla Benedetti dell'11 gennaio 2004 su "Nazione
indiana": la pagina sul sito della
scuola. Del quale ha diretto per qualche
tempo le edizioni complete presso Einaudi, prima di abbandonare il progetto per
contrasti con la casa editrice. cfr. la lettera a "la Repubblica" del
13 novembre 1996. . Tra l'altro ha
lavorato per il Warburg Institute negli anni,grazie alla cortesia di Frances
Yates . Altri autori di cui si è occupato
sono Charles Baudelaire, Robert Walser, Paul Valéry, Antonio Delfini, Giorgio
Manganelli, Max Kommerell, Elsa Morante, Giovanni Pascoli, Victor Segalen,
Giorgio Caproni, Patrizia Cavalli, Marcel Proust, Arnaut Daniel ecc. Paolo Vernaglione, TEOLOGIAIl «Mistero del
male» di Giorgio Agamben. Fuga dal tempo del dominio [collegamento interrotto],
in il manifesto, 29 maggio 11. 5 giugno .
Lettera ad H. Arendt, 1970 (The Hannah Arendt Papers at the Library of
Congress) Roberto Gilodi, BenjaminUno
«straccivendolo» alla ricerca capillare dei rifiuti di Baudelaire, in Alias,
Roma, il manifesto, cite web
url=http://iep.utm.edu/a/agamben.htm
G.Agamben, Chiarimenti Andrea
Cavalletti, "La guerra civile, paradigma della politica" Archiviato
il 4 marzo in ., il manifesto1º marzo
, 2-3.
Prima della pubblicazione di Stasis, questo volume era numerato II,2.
Thomas Carl Wall, Radical Passivity: Levinas, Blanchot and Agamben, postfazione
di William Flesch, Albany: State University of New York Press, 1999 Philippe Mesnard e Claudine Kahan, Giorgio
Agamben à l'epreuve d'Auschwitz: temoignages, interpretations, Paris: Éditions
Kimé, 2001 (DE) Eva Geulen, Giorgio Agamben zur Einführung, Hamburg: Junius,Alfonso
Galindo Hervas, Politica y mesianismo: Giorgio Agamben, Madrid: Biblioteca
nueva, 2005 Guillaume Asselin e
Jean-Francois Bourgeault , La littérature en puissance autour de Giorgio
Agamben, Montréal: VLB, 2006Matthew Calarco e Steven DeCaroli , Giorgio
Agamben. Sovereignty and Life, Stanford: Stanford University Press, 2007
Francesco Valerio Tommasi, Homo sacer e i dispositivi. Sulla semantica del
sacrificio in Giorgio Agamben, «Archivio di filosofia », 76/1-2, 2008, 395–402.Justin Clemens, Nicholas Heron e Alex
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Edinburgh University Press, 2008Greg Bird. Containing Community: From Political
Economy to Ontology in Agamben, Esposito, and Nancy. Albany: State University
of New York Press, Leland de la Durantaye, Giorgio Agamben: A Critical Introduction,
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of Criticism, London-New York: Routledge,
(DE) Oliver Marchart, Die politische Differenz zum Denken des
Politischen bei Nancy, Lefort, Badiou, Laclau und Agamben, Berlin: Suhrkamp,
William Watkin, Literary Agamben: Adventures in Logopoiesis, London-New York:
Continuum, Vittoria Borsò et alii , BenjaminAgamben, Wurzburg: , Konigshausen
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Agamben, Milano: Ledizioni, (con saggi
di B. Witte, V. Liska, L. Dell'Aia, R. Talamo, E. Miranda, F. Recchia Luciani)
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Un contributo al chiarimento della teologia politica", in L'ircocervo,
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Giorgio Agamben, Il Nuovo Melangolo,
(HR) Mario Kopić, Giorgio Agamben, «Tvrđa», 1-2, , 44–93. Flavio Luzi, Quodlibet. Il problema
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Foucault e Agamben. Tra il superamento della teoria moderna della sovranità e
il suo ripensamento in chiave ontologica, Orthotes, V. Bonacci , Giorgio Agamben. Ontologia e
politica, Quodlibet Lucia Dell'Aia e
Jacopo D'Alonzo , Lo scrigno delle segnature. Lingua e poesia in Giorgio
Agamben, Istituto Italiano di Cultura, Amsterdam . Con uno scritto inedito di
G. Agamben (Porta e soglia) e contributi di: L. Dell'Aia, R. Talamo, C.
Salzani, J. D'Alonzo, V. BorsòColilli.
Bios (filosofia) Zoé (filosofia) Homo sacer Altri progetti Collabora a
Wikiquote Citazionio su Giorgio Agamben Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia
Commons contiene immagini o altri file su Giorgio Agamben Opere di Giorgio
Agamben, . Opere riguardanti Giorgio Agamben, . Giorgio Agamben, su
Goodreads. italiana di Giorgio Agamben,
su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com. Giorgio
Agamben, su Internet Movie Database, IMDb.com.
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Philosophy. L'aperto. L'uomo e l'animale. Recensione da LiberCensor.net.
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Agamben, ferma al gennaio 2004, su agamben.web.fc2.com. Jacopo D'Alonzo, di Giorgio Agamben (aggiornata al dicembre )
, su filosofia-italiana.net. 9 aprile 13
aprile ). "Il frutto maturo della redenzione", Toni Negri su Agamben
Altissima povertà. Regole monastiche e forma di vita recensione da Sitosophia
Il mistero del male Traduzione spagnola nel 68esimo numero del magazine messicano
"Fractal" Filosofia Università
Università Filosofo del XX secoloFilosofi italiani del XXI
secoloAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani Professore omaAccademici
del Warburg InstituteAccademici italiani negli Stati Uniti d'AmericaProfessori
dell'Università IUAV di VeneziaProfessori dell'Università degli Studi di
MacerataProfessori dell'Università degli Studi di VeronaProfessori dell'New
YorkProfessori dell'RennesStudenti della SapienzaRoma
agazzi: emilio agazzi (n. Genova), filosofo. Agazzi nacque a Genova.
Qui conseguì la maturità classica a la laurea in lettere e filosofia con una
tesi su Il pensiero filosofico di Piero Martinetti presso l'Università Statale.
Fu assistente volontario di storia della filosofia dapprima a Genova dal 1945
al 1954, dove fu in particolare influenzato dal pensiero di Adelchi Baratono,
ordinario di filosofia teoretica, e successivamente, dal 1954 al 1964, a Pavia
(ove in particolare collaborò con Ludovico Geymonat e Vittorio Enzo Alfieri);
contemporaneamente, dal 1949 al 1972, insegnò filosofia nei licei di Genova,
Voghera e Pavia. Nel 1964 conseguì la libera docenza in storia della filosofia
moderna e contemporanea; dal 1965 al 1968 insegnò filosofia della religione
nella facoltà di Lettere e filosofia a Milano, in particolare riprendendo il
suo interesse per Piero Martinetti; mentre nella stessa facoltà insegnò dal
1969 al 1982 filosofia della storia, ottenendo un incarico stabile dal
1973. Dalla seconda metà degli anni
Settanta si dedicò in particolare allo studio della filosofia tedesca moderna
contemporanea, accentrando la sua attenzione sulla Scuola di Francoforte, città
in cui svolse ricerche approfondite ed ebbe contatti con docenti universitari;
negli stessi anni frequentò ripetutamente università tedesche, polacche e
jugoslave. Impegno politico Da sempre
attento agli sviluppi del pensiero marxista in Italia e in Europa, accompagnò
la sua intensa attività di ricerca scientifica ad un attivo impegno politico:
esponente del Partito Socialista Italiano negli anni Cinquanta, nei decenni
successivi aderì dapprima al PSIUP, quindi al PDUP e a Democrazia Proletaria.
Collaborò in varie forme a molte riviste e quotidiani della sinistra (tra gli
altri Il Lavoro Nuovo, l'Avanti!, Mondoperaio, Quaderni Rossi, Passato e
Presente, Classe); nel 1983 fondò la rivista di teoria politica Marx
centouno. Dopo il 1986, gravemente
ammalato, dovette rinunciare ai suoi studi, lasciando nel 1990 l'insegnamento.
Morì a Pavia il 25 settembre 1991.
Archivio L'archivio di Emilio Agazzi e gran parte della sua biblioteca
sono stati do 1992 dagli eredi alla Fondazione Turati, dove è tutt'ora
conservato presso l'archivio della Fondazione; il fondo contiene quaderni di
appunti, manoscritti e materiali di lavoro per il periodo dagli anni Quaranta
agli anni Ottanta del Novecento. Opere
Il giovane Croce e il marxismo, Einaudi, 1962 Linee fondamentali della
ricezione della teoria critica in Italia, in L'impegno della ragione. Per
Emilio Agazzi (Cingoli, Calloni, Ferraro), Milano, Unicopli, 1994. Filosofia
della natura. Scienza e cosmologia, Piemme, Casale Monferrato 1995. La
filosofia di Piero Martinetti, Sandro Mancini, Amedeo Vigorelli e Marzio
Zanantoni, Edizioni Unicopli, Milano, . Traduzioni Jürgen Habermas, Etica del
discorso, Laterza, Bari-Roma 1985,
978-88-420-3328-8 Note Agazzi
Emilio, su SIUSA Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze
Archivistiche. 21 febbraio . Fondo
Agazzi Emilio, su SIUSA Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze
Archivistiche. Collezione Emilio
Agazzi su Fondazione di studi storici
"Filippo Turati". 21 febbraio .
E. Capannelli ed E. Insabato , Guida agli Archivi delle personalità
della cultura in Toscana tra '800 e '900. L'area fiorentina, Firenze, Olschki, Scuola
di Milano Emilio Agazzi, su
siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo Unificato per le
Soprintendenze Archivistiche.Collezione Emilio Agazzi su Fondazione di studi
storici "Filippo Turati". Filosofia Filosofo Professore1921 1991 18
novembre 25 settembre Genova Pavia
agazzi: evandro
Agazzi. (n. Bergamo), filosofo. Figlio di Agazzi, ordinario di pedagogia presso
la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Cattolica di Milano e preside
della Facoltà di Magistero, fu allievo di Gustavo Bontadini e amico di Ludovico
Geymonat, con cui a lungo collaborò, durante gli studi di filosofia presso
l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e di fisica presso
l'Università Statale di Milano. In seguito si è perfezionato all'Oxford, a
quella di Marburg ed a quella di Münster; dal 1963 è libero docente in
Filosofia della scienza e dal 1966 in Logica matematica. Evandro Agazzi
ha inizialmente insegnato Geometria superiore, Logica matematica e Matematiche
complementari presso la facoltà di Scienze dell'Genova; ha insegnato altresì
Logica simbolica presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, Filosofia della
scienza e Logica matematica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di
Milano. Dal 1970 è Professore di Filosofia della scienza presso l'Genova
e dal 1979 detiene la cattedra di Antropologia filosofica, Filosofia della
scienza e Filosofia della natura presso l'Friburgo in Svizzera. È stato
professore invitato nelle Berna, Ginevra, Düsseldorf, Pittsburgh ed anche
all'Stanford; è dottore honoris causa dell'Córdoba (Argentina). Ha
presieduto numerose associazioni filosofiche nazionali e internazionali:
Società Filosofica Italiana, Società Italiana di Logica e Filosofia delle
scienze, Società svizzera di Logica e Filosofia delle scienze, Federazione
internazionale delle Società filosofiche; è stato membro del Comitato Nazionale
per la Bioetica. Attualmente è presidente della Académie Internationale de
Philosophie des Sciences e dell'Institut International de Philosophie.
Pensiero I settori ai quali Evandro Agazzi ha rivolto prevalentemente i suoi
interessi sono stati: la filosofia generale della scienza, la filosofia di
alcune scienze particolari (matematica, fisica, scienze sociali, psicologia),
logica, teoria dei sistemi, etica della scienza, bioetica, storia della scienza,
filosofia del linguaggio, metafisica antropologia filosofica, pedagogia.
Attualmente le sue ricerche riguardano per un verso la caratterizzazione
dell'oggettività scientifica e la difesa di un realismo scientifico basato su
un approfondimento delle nozioni di riferimento e di verità, con le relative
implicazioni di tipo ontologico, per un altro l'approfondimento del concetto di
persona e delle varie conseguenze che ne derivano, in particolare nel campo
della bioetica. Filosofia della scienza La riflessione di Agazzi assume
come punto di partenza la necessità gnoseologica di stabilire nella conoscenza
scientifica «la più perfetta forma di conoscenza oggi a disposizione
dell'uomo». Su questa base, anche i metafisici devono necessariamente passare
per l'epistemologia, intesa come fondazione delle «strutture metodologichedella
scienza». L'epistemologia, come la intende Agazzi, assume la scienza come un
sapere oggettivamente rigoroso: tuttavia l'oggettività in questione non è
quella metafisica delle essenze o quella fisica delle qualità, bensì
un'oggettualità e intersoggettività. Sulla base di questi due punti, come
Agazzi specifica nel suo celebre libro intitolato Temi e problemi di
filosofia della fisica, l'oggetto di una disciplina scientifica è la cosa,
esaminata da un punto di vista tale per cui il ricercatore si pone grazie a una
precisissima impostazione metodologica, tramite la quale ritaglia su una cosa
un aspetto (oggettività), condiviso dai ricercatori che accettano gli stessi
criteri di oggettivazione (intersoggettività). Il rigore scientifico cessa di
essere inteso in senso dialettico e confutatorio o in senso matematico e
quantitativo: è piuttosto inteso nel senso di dar ragione tramite l'immediato
empirico o il mediato logico. In questa prospettiva, la scienza assume la
forma di un linguaggio che parla di un universo di oggetti. La configurazione
della scienza è caratterizzata da quattro peculiarità: è realistica,
giacché fa costante riferimento alla realtà; è relativa, giacché costituisce il
proprio oggetto; è rigorosa, giacché ha una valenza che è sia logica sia
linguistica; è responsabile, giacché si pone il problema etico delle
conseguenze che da essa scaturiscono. Per Agazzi, la filosofia non deve però
limitarsi a fare queste riflessioni sulla scienza: deve anche operare
un'incessante ricerca del fondamento, sia attraverso la critica dello
scientismo e dell'ideologismo, sia attraverso la proposta di quello che Agazzi
chiama, in I compiti della ragione, un «uso costruttivo della ragione: quello
che si avvale dell'argomentazione, quello che cerca di comprendere e, al
massimo, di persuadere». Opere Lógica Simbólica Temi e problemi di
filosofia della fisica (1969) Temas y problemas de la Filosofía de la Física
(1978) Il bene, il male e la scienza El bien, el mal y la Ciencia Filosofía de
la naturaleza: Ciencia y Cosmología (2000), La ciencia y el alma de Occidente (
Introduzione ai problemi dell’assiomatica (1961) Le geometrie non euclidee e i
fondamenti della geometria, (en colaboración con D. Palladino, I sistemi fra scienza e filosofia Studi sul
problema del significato (1979) Modern Logic. A. Survey (ed. 1981) Scienzia e
fede. Nuove prospettive su un vecchio problema (1983) Storia delle scienze La
filosofia della scienza in Italia nel '900 (1986) Weisheit im Technischen,
(1986). Philosophie, science, métaphysique (1987) Probability in the Sciences L’objectivité
dans les differentes sciences (1988) Filosofia, scienza e verità con L.Geymonat
y F. Minazzi, Logica filosofica e logica matematica Quale etica per la
Bioetica? La comparabilité des théories
scientifiques (1990) Philosophy and the Origin and Evolution of the Universe
(con A. Cordero, 1991) The problem of Reductionism in Science (1991) Science
and sagesse (1991) Bioetica e persona (1993) Cultura scientifica e
interdisciplinarità Interpretazioni
attuali dell’uomo: filosofia, scienza, religione Il tempo nella scienza e nella
filosofia Filosofia della natura, Scienza e cosmologia (1995). Prefazione di F.
Minazzi. Philosophy of Mathematics today (con G. Darvas, 1997) Realism and
Quantum Physics (1998) Novecento e Novecenti (1999) Paidéia, verità,
educazione, (1999) The Realty of the Unobservable (con M. Pauri, 2000) Etica y
manipulación genética (2000) Life-Interpretation and the Sense of Illness
within the Human Condition (con A.T. Tymieniecka The Problem of the Unity of Science (con J.
Faye, 2001) Philosophie et tolérance (2000) Complexity and Emergence (con M. L.
Montecucco, 2002) Right, Wrong and Science. The Etical Dimensions of the Techno-Scientific
Enterprise (2004) Valore e limiti del senso comune, 2004. Operations and
Constructions in Science (con Ch. Thiel), 2006. Epistemology and the Social
(con A. Gómez y J. Echeverría) Science and Ethics. The Axiological Contexts of
Science (con Fabio Minazzi), Bruxelles, 2008. Time in the Different Scientific
Approaches/Le temps appréhendé à travers diffèrentes disciplines, 2008. Scienza
(entrevista coni Giuseppe Bertagna), 2008. Le rivoluzioni scientifiche e il
mondo moderno, 2008. Relations Between Human Sciences and Natural
Sciences/Relations entre sciences humaines et sciences naturelles (ed. with
Giuliano Di Bernardo), . Evolutionism and Religion (ed. with Fabio Minazzi), .
La ciencia y el alma de Occidente, . Ragioni e limiti del formalismo, .
Representation and Explanation in the Sciences, . The Legacy of A.M. Turing, .
Science, MeTaphysics, Religion, . Scientific Objectivity and its Contexts ()
The Practical Turn in Philosophy of Science (ed. with Gerrhard Heinzmann), .
Note Cfr. l'articolo ”Don Carlì, una
vita al Seminario. Un libro per l'uomo cuore di Città Alta“, in L'eco di
Bergamo, Giovedì 20 novembre 42. Storia
dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Le fonti, Volume 1, Alberto Cova,
Vita e Pensiero, Milano, 2007557. Scuola
di Milano Epistemologia Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su
Evandro Agazzi Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene
immagini o altri file su Evandro Agazzi
Evandro Agazzi, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Evandro Agazzi, su BeWeb,
Conferenza Episcopale Italiana. Opere di
Evandro Agazzi, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Pagina personale di Evandro Agazzi sul sito
dell'Genova. Valori e limiti del senso comune, Evandro Agazzi, Milano, FrancoAngeli,
2004. Testo disponibile in Google Libri. Filosofia Università Università Filosofo del XX secoloFilosofi
italiani del XXI secoloLogici italianiAccademici italiani del XX
secoloAccademici italiani Professore BergamoStudenti dell'Università Cattolica del
Sacro CuoreStudenti dell'Università degli Studi di MilanoFilosofi della
scienzaStudenti dell'OxfordStudenti dell'MarburgoProfessori dell'Università
degli Studi di GenovaProfessori della Scuola Normale SuperioreProfessori
dell'Università Cattolica del Sacro Cuore
agostino: Grice: “I
loved his semiotics in De magistro!” -- Or as Strawson
would prefer, augustinus -- Augustinian semiotics -- Augustine, Saint, known as
Augustine of Hippo 354430, Christian philosopher and church father, one of the
chief sources of Christian thought in the West; his importance for medieval and
modern European philosophy is impossible to describe briefly or ever to
circumscribe. Matters are made more difficult because Augustine wrote
voluminously and dialectically as a Christian theologian, treating
philosophical topics for the most part only as they were helpful to
theology or as corrected by it.
Augustine fashioned the narrative of the Confessions 397400 out of the events
of the first half of his life. He thus supplied later biographers with both a
seductive selection of biographical detail and a compelling story of his
successive conversions from adolescent sensuality, to the image-laden religion
of the Manichaeans, to a version of Neoplatonism, and then to Christianity. The
story is an unexcelled introduction to Augustine’s views of philosophy. It
shows, for instance, that Augustine received very little formal education in
philosophy. He was trained as a rhetorician, and the only philosophical work
that he mentions among his early reading is Cicero’s lost Hortensius, an
exercise in persuasion to the study of philosophy. Again, the narrative makes
plain that Augustine finally rejected Manichaeanism because he came to see it
as bad philosophy: a set of sophistical fantasies without rational coherence or
explanatory force. More importantly, Augustine’s final conversion to
Christianity was prepared by his reading in “certain books of the Platonists”
Confessions 7.9.13. These Latin translations, which seem to have been anthologies
or manuals of philosophic teaching, taught Augustine a form of Neoplatonism
that enabled him to conceive of a cosmic hierarchy descending from an
immaterial, eternal, and intelligible God. On Augustine’s judgment, philosophy
could do no more than that; it could not give him the power to order his own
life so as to live happily and in a stable relation with the now-discovered
God. Yet in his first years as a Christian, Augustine took time to write a
number of works in philosophical genres. Best known among them are a refutation
of Academic Skepticism Contra academicos, 386, a theodicy De ordine, 386, and a
dialogue on the place of human choice within the providentially ordered
hierarchy created by God De libero arbitrio, 388/39. Within the decade of his
conversion, Augustine was drafted into the priesthood 391 and then consecrated
bishop 395. The thirty-five years of his life after that consecration were
consumed by labors on behalf of the church in northern Africa and through the
Latin-speaking portions of the increasingly fragmented empire. Most of
Augustine’s episcopal writing was polemical both in origin and in form; he
composed against authors or movements he judged heretical, especially the
Donatists and Pelagians. But Augustine’s sense of his authorship also led him
to write works of fundamental theology conceived on a grand scale. The most
famous of these works, beyond the Confessions, are On the Trinity 399412, 420,
On Genesis according to the Letter 40115, and On the City of God 41326. On the Trinity
elaborates in subtle detail the distinguishable “traces” of Father, Son, and
Spirit in the created world and particularly in the human soul’s triad of
memory, intellect, and will. The commentary on Genesis 13, which is meant to be
much more than a “literal” commentary in the modern sense, treats many topics
in philosophical psychology and anthropology. It also teaches such cosmological
doctrines as the “seed-reasons” rationes seminales by which creatures are given
intelligible form. The City of God begins with a critique of the bankruptcy of
pagan civic religion and its attendant philosophies, but it ends with the
depiction of human history as a combat between forces of self-love, conceived
as a diabolic city of earth, and the graced love of God, which founds that
heavenly city within which alone peace is possible. attributive pluralism
Augustine 60 60 A number of other,
discrete doctrines have been attached to Augustine, usually without the
dialectical nuances he would have considered indispensable. One such doctrine
concerns divine “illumination” of the human intellect, i.e., some active
intervention by God in ordinary processes of human understanding. Another
doctrine typically attributed to Augustine is the inability of the human will
to do morally good actions without grace. A more authentically Augustinian
teaching is that introspection or inwardness is the way of discovering the
created hierarchies by which to ascend to God. Another authentic teaching would
be that time, which is a distension of the divine “now,” serves as the medium
or narrative structure for the creation’s return to God. But no list of
doctrines or positions, however authentic or inauthentic, can serve as a
faithful representation of Augustine’s thought, which gives itself only through
the carefully wrought rhetorical forms of his texts.
agostino: francesco d’gostino (n. Roma), filosofo. Consegue la laurea in giurisprudenza nel
1968. Ha insegnato nelle Lecce, Urbino e Catania. Ordinario dal 1980, dal 1990
è professore di Filosofia del diritto e di Teoria generale del diritto presso
l'Università degli studi di Roma Tor Vergata, in cui ha diretto il Dipartimento
di "Storia e Teoria del Diritto". Insegna altresì alla LUMSA e alla
Pontificia Università Lateranense ed è professore visitatore in diverse
università straniere. Tra i maestri che
hanno influenzato il suo pensiero figurano Sergio Cotta e Vittorio Mathieu.
Particolare attenzione è dedicata nella sua produzione scientifica alla teoria
della giustizia, alle tematiche della bioetica, e quindi alle problematiche
della tutela del diritto alla vita, alla teoria della famiglia. Nel suo scritto La sanzione nell'esperienza
giuridica, del 1989, sostiene e riattualizza la teoria retributiva della
pena. Già membro del Consiglio Scientifico
dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, attualmente è Presidente onorario del
Comitato nazionale per la bioetica, di cui è membro fondatore e di cui è stato
presidente negli anni 1995-1998 e 2001-2006. Ricopre inoltre la carica di
Presidente dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani (UGCI). È membro della
Pontificia Accademia per la Vita. È
stato direttore di Iustitia e Nuovi Studi Politici; attualmente è condirettore
della Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto. Dirige per l'editore
Giappichelli la collana Recta Ratio. Testi e studi di Filosofia del diritto,
nella quale sono apparsi più di cento volumi. È inoltre editorialista del
quotidiano Avvenire. Grazie a queste cariche e alle sue pubblicazioni, oggi
D'Agostino è considerato uno degli intellettuali di riferimento del movimento
teocon italiano. Ha coordinato la
sessione "I cattolici, la politica e le istituzioni" nell'ambito dei
lavori del X Forum del Progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana
sui 150 anni dell'Unità d'Italia.
Polemiche sul tema dell'omosessualità Ha suscitato polemiche la
constatazione di D'Agostino per cui le unioni omosessuali sono
«costitutivamente sterili»: la constatazione fu ripresa dal ministro Mara
Carfagna nel 2007 che affermava che «non c'è nessuna ragione per la quale lo
Stato debba riconoscere le coppie omosessuali, visto che costituzionalmente
sono sterili» e che «per volersi bene il requisito fondamentale è poter
procreare». Wikiquote -- Opere Abbozzo
diritto Questa sezione sull'argomento diritto è solo un abbozzo. Contribuisci a
migliorarla secondo le convenzioni di . Segui i suggerimenti del progetto di
riferimento. La sanzione nell'esperienza giuridica, 1989 Una filosofia della
famiglia, 1999 Diritto e Giustizia, 2000 Filosofia del diritto, 2000 Parole di
Bioetica, 2004 Parole di Giustizia, 2006 Lezioni di filosofia del diritto, 2006
Lezioni di teoria generale del diritto, 2006 Bioetica, nozioni fondamentali,
2007 Il peso politico della Chiesa, 2008 Un Magistero per i giuristi.
Riflessioni sugli insegnamenti di Benedetto XVI, Bioetica e Biopolitica. Ventuno voci
fondamentali Corso breve di filosofia
del diritto, Jus quia justum. Lezioni di
filosofia del diritto e della religione
Famiglia, matrimonio, sessualità. Nuovi temi e nuovi problemi .
Note Carfagna: "Gay
costituzionalmente sterili" da La Repubblica. Filosofia Categorie:
Giuristi italiani del XX secoloGiuristi italiani del XXI secoloFilosofi
italiani del XX secoloFilosofi italiani Professore1946 9 febbraio
RomaProfessori dell'Università degli Studi di Roma Tor VergataChiesa cattolica
e societàFilosofi del diritto
agresta: Don Apollinare Agresta (n. Mammola), filosofo.
Abate Generale dei Basiliani d'Italia è ritenuto tra i più illustri dell'ordine
Basiliano. Nato a Mammola (RC) il 10 gennaio 1621, morì a Messina il 23
Dicembre 1695. Al battesimo fu chiamato Domenico, figlio di Giovanni Michele
Agresta e di Dianora Scarfò. Inizia i primi studi alla Grancia Basiliana di
Mammola, continua al seminario di Gerace, a 16 anni frequenta gli studi
superiori a Napoli, ma viene colto da febbre maligna e miracolosamente come
egli afferma recupera la guarigione ritornando a Mammola. Dopo due anni il 23
luglio 1639 veste l'abito di San Basilio Magno nel monastero del San Salvatore
di Messina. Abbandonando il nome Domenico prende quello di Paolo; l'anno
successivo viene consacrato sacerdote nella basilica di Sant'Apollinare di
Ravenna, ricevendo il nome di Apollinare e inizia la professione
monastica. Don Apollinare Agresta dotto
teologo, filosofo, studioso, storico e scrittore. Nel 1669 fu insignito del
titolo di Maestro di sacra teologia. Negli anni successivi il 24 luglio 1675,
viene nominato Abate Generale dell'Ordine dei Basiliani d'Italia da Papa
Clemente X, con l'incarico di riorganizzare l'ordine dei Basiliani; nel 1680
veniva ancora confermato, poi riconfermato da Papa Innocenzo XI, ed ancora
un'altra volta nel 1692 da Papa Alessandro VIII. Conservò la carica fino alla
morte. Ha rivestito incarichi prestigiosi.
Giovanissimo viene insignito di numerose cariche: è responsabile di diversi
monasteri della Provincia di Calabria e d'Italia, introduce nuovi metodi di
studio per gli studenti, procurandosi fama e onore dalle comunità locali e
religiose. Ricopre la carica di Abate al monastero di S. Onofrio, presso
Monteleone oggi Vibo Valentia, regge successivamente la Grangia di San Biagio
del monastero basiliano di San Nicodemo di Mammola (RC); ma anche fu inviato al
monastero italo-greco di San Giovanni Theresti di Stilo (RC), a reggere il
monastero di Mater Domini in Nocera de' Pagani nella Campania, e dopo viene
nominato Procuratore Generale della Badia di Grottaferrata, oggi Monastero di
Santa Maria di Grottaferrata, meglio conosciuto come Monastero di San
Nilo. RomaChiesa di San Basilio (Stemma
visibile sugli archi della Chiesa)
RomaChiesa di San Basilio (Lapide a conferma della edificazione voluta
da Don Apollinare Agresta) L'Agresta ebbe sempre a cuore il decoro nel culto e
delle costruzioni ed arredamenti degli edifici religiosi. Fu edificata da lui
nel 1682 la Chiesa di San Basilio agli Orti Sallustiani a Roma, che si trova in
Via San Basilio vicino a Piazza Barberini, come conferma una lapide marmorea in
latino dentro la chiesa. Nella Grancia Basiliana di Mammola edificò una
cappella in onore di San Nicodemo Abate Basiliano e affidatala alla sorella
Vittoria vi fece collocare le reliquie del santo (in seguito al terremoto del
1783 le reliquie sono conservate nella cappella di San Nicodemo nella Chiesa
Matrice di Mammola). Si adoperò per la costruzione del Collegio di San Basilio
a Roma. Nel monastero di Rosarno restaurò la cappella della Madonna. Acquistò
campi e case e restaurò numerosi monasteri permettendo ai monaci di vivere una
vita più comoda. Donò indumenti liturgici in tutti i monasteri basiliani. I Monaci Basiliani del Monastero di
Grottaferrata (Roma) devotamente ricordano il loro Generale conservandone, con
cura gelosa, un guanto pontificale. P.
Marco Petta e P. Francesco Russo (1908-1991), studiosi e storici del Monastero
di Grottaferrata, sono state le ultime due personalità religiose che hanno
scritto in ricordo dell'Abate Generale Don Apollinare Agresta, consultando
all'interno del monastero la vasta biblioteca che conserva scritti di grande
valore e importanza. Nel Museo Diocesano
di Reggio Calabria, si può ammirare un reliquario a braccio, che conserva le
reliquie di San Giovanni Thereste, donate dall'Agresta quando ricopriva la
carica di Abate del Monastero italo-greco di Stilo. Un ritratto in giovane età del monaco è pubblicata
nel libro "Mammola" di Don Vincenzo Zavaglia. Alcune Opere Autori di numerose
pubblicazioni, i libri di Don Apollinare Agresta, a distanza di secoli, ancora
oggi vengono consultati e citati da numerosi ricercatori e studiosi, tra le sue
opere più importanti ricordiamo: Vita di
San Basilio Magno (Roma 1658; 2ª ed., Messina 1681). Ancor oggi pregevole per
le molte notizie che ci dà dei monasteri basiliani delle Calabrie e d'Italia.
Vita di S. Giovanni Theristi (Roma Vita di San Nicodemo A.B. (Roma Privilegi e
concessioni fatti dal Gran Conte Ruggero al sacro archimandritale Monastero di
Giov. Theristi (Roma 1675); Constitutiones Monachorum Ordinis S. Basilii Magni
Congregationis Italiae (Roma 1678) Compendio delle Regole o vero Costitutioni
monastiche di S. Basilio raccolto dal Bessarione (Roma 1689)Ristampa; Sono
rimaste invece inedite alcune brevi biografie riguardanti San Luca di Tauriano,
il beato Stefano di Rossano, San Proclo di Bisignano, la beata Teodora Vergine,
San Onofrio di Belloforte e San Fantino di Tauriana. D. Vincenzo Zavaglia, Mammola, Frama Sud,
Chiaravalle C. 1973. P. Marco Petta, Apollinare Agresta Abate Generale
Basiliano, Tipogr. Italo-Orientale S. Nilo Grottaferrata 1981. Apollinare
Agresta, in Enciclopedia Treccani, 1929 Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Monastero di Santa Maria di
Grottaferrata o Monastero di San Nilo, su abbaziagreca.it. Santuario di San
Nicodemo, su sannicodemodimammola.it. Foto di Don Apollinare Agresta alla giovane
età di 24 anni, su flickr.com. Filosofi italiani del XVII secoloStorici
italiani Professore Mammola Messina
agape: Grice would often
contrast ‘self-love’ with ‘agape’ and ‘benevolence.’ Strictly, agape, “a lovely
Grecian word,” is best rendered as the unselfish love for all persons. An
ethical theory according to which such love is the chief virtue, and actions
are good to the extent that they express it, is sometimes called agapism. Agape
is the Grecian word most often used for love in the New Testament, and is often
used in modern languages to signify whatever sort of love the writer takes to
be idealized there. In New Testament Grecian, however, it was probably a quite
general word for love, so that any ethical ideal must be found in the text’s
substantive claims, rather than in the linguistic meaning of the word. R.M.A.
agathon, Grecian word meaning ‘a good’ or ‘the good’. From Socrates onward,
agathon was taken to be a central object of philosophical inquiry; it has
frequently been assumed to be the goal of all rational action. Plato in the
simile of the sun in the Republic identified it with the Form of the Good, the
source of reality, truth, and intelligibility. Aristotle saw it as eudaimonia,
intellectual or practical virtue, a view that found its way, via Stoicism and
Neoplatonism, into Christianity. Modern theories of utility can be seen as
concerned with essentially the same Socratic question.
AGITATVM -- agitation: or AGITATUM, as
Grice would spell it -- a Byzantine
feeling is a Ryleian agitation. If Grice
were to advance the not wholly plausible thesis that ‘to feel Byzantine’ is
just to have a an anti-rylean agitation which is caused by the thought that
Grice is or might *be* Byzantine, it would surely be ridiculous to criticise
Grice on the grounds that Grice saddles himself with an ontological commitment
to feelings, or to modes of feeling. And why? Well, because, alla Parsons, if a
quantifier is covertly involved at all, it will only be a universal quantifier
which in such a case as this is more than adequately handled by a
substitutional account of quantification. Grice’s situation vis-a-vis the
‘proposition’ is in no way different. In the idiolect of Ryle, “a serious
student of Grecian philosophy,” as Grice puts it, ‘emotion’ designates at least
three or four different kinds of things, which Ryle calls an ‘inclination, or
‘motive,’ a ‘mood’, an ‘agitation,’ or a ‘commotion,’ and a ‘feeling.’ An
inclination or a mood, including an agitation, is not occurrences and doest not
therefore take place either publicly or privately. It is a propensity, not an
act or state. An inclination is, however, a propensity of this or that kind,
and the kind is important. A feeling, on the other hand, IS an occurrence, but
the place that mention of it should take in a description of human behaviour is
very different from that which the standard theories accord to it. A
susceptibility to a specific agitation is on the same general footing with an
inclination, viz. that each is a general propensity and not an occurrence. An
agitation is not a motive. But an agitation does presuppose a motive, or rather
an agitataion presupposes a behaviour trend of which a motive is for us the
most interesting sort. There is however a matter of expression which
is the source of some confusion, even among Oxonian Wilde readers, and that did
confuse philosophical psychologists of the ability of G. F. Stout. An
expression may signify both an inclination and an agitation. But an expression
may signify anything but an agitations. Again, some other expression may signify
anything but an inclination. An expression like ‘uneasy’, ‘anxious’,
‘distressed’, ‘excited’, ‘startled’ always signifies an agitations. An
expression like ‘fond of fishing’, ‘keen on gardening’, ‘bent on becoming a
bishop’ never signifies an agitation. But an expression like ‘love’, ‘want’,
‘desire’, ‘proud’, ‘eager,’ or many others, stands sometimes for a simple
inclination and sometimes for an agitations which is resultant upon the
inclinations and interferences with the exercise of it. Thus ‘hungry’ for
‘having a good appetite’ means roughly ‘is eating or would eat heartily and
without sauces, etc..’ This is different from ‘hungry’ in which a person might
be said to be ‘too hungry to concentrate on his work’. Hunger in this second
expression is a distress, and requires for its existence the conjunction of an
appetite with the inability to eat. Similarly the way in which a boy is proud
of his school is different from the way in which he is speechless with pride on
being unexpectedly given a place in a school team. To remove a possible
misapprehension, it must be pointed out that an agitation may be quite
agreeable. A man may voluntarily subject himself to suspense, fatigue,
uncertainty, perplexity, fear and surprise in such practices as angling,
rowing, travelling, crossword puzzles, rock-climbing and joking. That a thing
like a thrill, a rapture, a surprise, an amusement and an relief is an
agitation is shown by the fact that we can say that someone is too much
thrilled, amused or relieved to act, think or talk coherently. It
is helpful to notice that, anyhow commonly, the expression which completes ‘pang of . . .’ or ‘chill of . . .’ denotes an
agitation. A feeling, such as a man feeling Byzantine, is intrinsically
connected with an agitation. But a feeling, e. g. of a man who is feeling
Byzantine, is not intrinsically connected with an inclination, save in so far
as the inclination is a factor in the agitation. This is no novel psychological
hypothesis; It is part of the logic of our descriptions of a feeling that a
feeling (such as a man feeling Byzantine) is a sign of an agitation and is not
an exercise of an inclination. A feeling, such as a man feeling Byzantine, in
other words, is not a thing of which it makes sense to ask from what motive it
issues. The same is true, for the same reasons, of any sign of any agitation. This
point shows why we were right to suggest above that a feeling (like a man
feeling Byzantine) does not belong directly to a simple inclination. An
inclination is a certain sort of proneness or readiness to do certain sorts of
things on purpose. These things are therefore describable as being done from
that motive. They are the exercises of the disposition that we call ‘a motive’.
A feeling (such as a man feeling Byzantine) is not from a motive and is
therefore not among the possible exercise of such a propensiy. The widespread
theory that a motive such as vanity, or affection, is in the first instance a
disposition to experience certain specific feeling is therefore absurd. There
may be, of course, a tendency to have a feeling, such as feeling Byzantine;
being vertiginous and rheumatic are such tendencies. But we do not try to
modify a tendency of these kinds by a sermon. What a feeling, such as being
Byzantine, does causally belong to is the agitation. A feeling (such as feeling
Byzantine) is a sign of an agitation in the same sort of way as a stomach-ache
is a sign of indigestion. Roughly, we do not, as the prevalent theory holds,
act purposively because we experience a feeling (such as feeling Byzantine); we
experience a feeling (such as feeling Byzantine), as we wince and shudder,
because we are inhibited from acting purposively.
A
sentimentalist is a man who indulges in this or that induced feeling (such as
feeling Byzantine) without acknowledging the fictitiousness of his agitation.
It seems to be generally supposed that ‘pleasure’ or ‘desire’ is always used to
signify a feeling. And there certainly are feelings which can be described as a
feeling of pleasure or desire. Some thrills, shocks, glows and ticklings are
feelings of delight, surprise, relief and amusement; and things like a
hankering, an itche, a gnawing and a yearning is a sign that something is both
wanted and missed. But the transports, surprises, reliefs and distresses of
which such a feeling is diagnosed, or mis-diagnosed, as a sign is not itself a
feeling. It is an agitation or a mood, just as are the transports and
distresses which a child betrays by his skips and his whimpers. Nostalgia is an
agitation and one which can be called a ‘desire’; but it is not merely a
feeling or series of feelings. There is the sense of ‘pleasure’ in which it is
commonly replaced by such expressions as ‘delight’, ‘transport’, ‘rapture’,
‘exultation’ and ‘joy’. These are expressions of this or that mood signifying this
or that agitation. There are two quite different usages of ‘emotion’, in which
we explain people’s behaviour by reference to emotions. In the first usage of
‘emotion,’ we are referring to the motives or inclinations from which more or
less intelligent actions are done. In a second usage we are referring to a
mood, including the agitation or perturbation of which some aimless movement
may be a sign. In neither of these usages are we asserting or implicating that
the overt behaviour is the effect of a felt turbulence in the agent’s stream of
consciousness. In a third usage of ‘emotion’, pangs and twinges are feelings or
emotions, but they are not, save per accidens, things by reference to which we
explain behaviour. They are things for which diagnoses are required, not things
required for the diagnoses of behaviour. Since a convulsion of merriment is not
the state of mind of the sober experimentalist, the enjoyment of a joke is also
not an introspectible happening. States of mind such as these more or less
violent agitations can be examined only in retrospect. Yet nothing disastrous
follows from this restriction. We are not shorter of information about panic or
amusement than about other states of mind. If retrospection can give us the
data we need for our knowledge of some states of mind, there is no reason why
it should not do so for all. And this is just what seems to be suggested by the
popular phrase ‘to catch oneself doing so and so’. We catch, as we pursue and
overtake, what is already running away from us. I catch myself daydreaming
about a mountain walk after, perhaps very shortly after, I have begun the
daydream; or I catch myself humming a particular air only when the first few
notes have already been hummed. Retrospection, prompt or delayed, is a genuine
process and one which is exempt from the troubles ensuing from the assumption
of multiply divided attention; it is also exempt from the troubles ensuing from
the assumption that violent agitations could be the objects of cool,
contemporary scrutiny. One may be aware that he is whistling ‘Tipperary’ and
not know that he is whistling it in order to give tte appearance of a
sang-froid which he does not feel. Or, again, he may be aware that he is
shamming sang-froid without knowing that the tremors which he is trying to hide
derive from the agitation of a guilty conscience.
agnoiologicum: Grice loved a
negative prefix. He was proud that he was never vulgar in publishing, like some
of his tuteesand that the number of his unpublications by far exceed the number
of his publications. To refute Hampshire with this intention and certainty, he
regaled the British Academy with the annual philosophical lecture on intention
and Uncertainty. While Grice thought that ‘knowledge’ was overreated at Oxford
(“Surely an examinee can be said to know that date of the battle of Waterloo”)
he could be agnoiological at times. From Grecian agnoia, ‘ignorance’, the study
of ignorance, its quality, and its conditions. And then there’s ‘agnosticism,’
from Grecian a-, ‘not’, and gnastos, ‘known’, term invented by Thomas Henry
Huxley in 1869 to denote the philosophical and religious attitude of those who
claim that metaphysical ideas can be neither proved nor disproved. Huxley
wrote, “I neither affirm nor deny the immortality of man. I see no reason for
believing it, but on the other hand, I have no means of disproving it. I have
no a priori objection to the doctrine.” Agnosticism is a form of skepticism
applied to metaphysics, especially theism. The position is sometimes attributed
to Kant, who held that we cannot have knowledge of God or immortality but must
be content with faith. Agnosticism should not be confused with atheism, the
belief that no god exists.
Agrigento: filosofo italiano. Grice: “If
people call William of Ockham, Surrey, Occam, I shall call Empedocles of
Agrigentum Agrigentum, or Agrigento simpliciter in the vulgar.” Agrigento -- empedocle: one of the most
important Italian philosophers. Grecian
preSocratic philosopher who created a physical theory in response to Parmenides
while incorporating Pythagorean ideas of the soul into his philosophy.
Following Parmenides in his rejection of coming-to-be and perishing, he
accounted for phenomenal change by positing four elements his “roots,” rizomata,
earth, water, air, and fire. When they mix together in set proportions they
create compound substances such as blood and bone. Two forces act on the
elements, Love and Strife, the former joining the different elements, the
latter separating them. In his cyclical cosmogony the four elements combine to
form the Sphere, a completely homogeneous spherical body permeated by Love,
which, shattered by Strife, grows into a cosmos with the elements forming
distinct cosmic masses of earth, water the seas, air, and fire. There is
controversy over whether Empedocles posits one or two periods when living
things exist in the cycle. On one view there are two periods, between which
intervenes a stage of complete separation of the elements. Empedocles accepts
the Pythagorean view of reincarnation of souls, seeing life as punishment for
an original sin and requiring the expiation of a pious and philosophical life.
Thus the exile and return of the individual soul reflects in the microcosm the
cosmic movement from harmony to division to harmony. Empedocles’ four elements
became standard in natural philosophy down to the early modern era, and
Aristotle recognized his Love and Strife as an early expression of the
efficient cause. Vide “Italic
Griceians”While in the New World, ‘Grecian philosophy’ is believed to have
happened ‘in Greece,’ Grice was amused that ‘most happened in Italy!’ Refs.: Luigi Speranza, "Grice ed Empedocle," per Il
Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
ajello:
giambattista Ajello (n. Napoli), filosofo -- discepolo di Puoti, aprì uno
studio privato come maestro ma ebbe vita stentata fino a quando ottenne un
posto al ministero dell'Istruzione.
Partecipò ai moti del 1848 e per questo fu licenziato in tronco. Fu
arrestato e gli fu vietato l'insegnamento pubblico e «di far uso anche
moderatissimo della stampa» , per cui dovette tornare all'insegnamento privato
della filosofia e della letteratura.
Seguace convinto della filosofia hegeliana, che contribuì a diffondere
in Italia, basava il suo insegnamento soprattutto sull'Enciclopedia delle
scienze filosofiche in compendio. Opere
Della muliebrità della volgar letteratura dei tempi di mezzo (1841) Napoli e i
luoghi celebri delle sue vicinanze (1845) Discorsi di storia e letteratura
(1850) Note Enciclopedia Italiana
Treccani alla voce corrispondente Opere
di Giambattista Ajello, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Filosofia Filosofo
Professore1815 1860 Napoli Napoli
albergamo: francesco
Albergamo (n. Favara) filosofo. e un pioniere della filosofia della scienza in
Italia. Nato a Favara, in provincia di Agrigento, da Giacomo e Giuseppina
Butticé. Suo nonno era un ricco proprietario di una rinomata pasticceria di
Favara. Il padre, ferroviere, fu trasferito prima a Messina e poi a Palermo,
portando con sé la famiglia. A causa di questi trasferimenti, svolge gli studi
liceali da autodidatta, conseguendo poi la laurea in filosofia presso
l'Palermo. Nel 1931, vinto il concorso a cattedra di storia e filosofia,
si trasferisce a Trapani, dove insegna al liceo classico Ximenes, e dove sposa
Maria Carmela Rizzo, da cui avrà quattro figli. Insegna poi a Benevento ed
infine a Napoli presso il Liceo classico statale Vittorio Emanuele II, dal 1936
al 1967. Pressoché tutta l'attività filosofica e didattica di Francesco
Albergamo si svolge a Napoli, ed è caratterizzata dal clima culturale molto
vivo nella città di Benedetto Croce. Come filosofo, si dedica a due principali
linee di attività. La prima è dedicata all'insegnamento ed alla didattica della
filosofia, l'altra allo studio del rapporto tra filosofia e scienza. In
entrambe le linee, il suo lavoro ha avuto una grande caratura culturale, e la
sua personalità fu considerata, nella città di Napoli, di grande spessore
etico, per la generosità e l'impegno che hanno contraddistinto la sua
vita. Circa la prima linea, il ricordo della sua attività didattica è
rimasto a lungo nei tantissimi giovani che hanno ricevuto una solida formazione
filosofica di cultura laica, razionale, liberale. Vero è che a Benevento, dove
aveva insegnato per soli due anni, gli è stata dedicata una strada che,
significativamente, parte da Piazzale Benedetto Croce per poi ricollegarsi a
Via Francesco de Sanctis. Al Liceo Classico Vittorio Emanuele tra i
diversi allievi che si sono distinti nel campo della filosofia e della cultura
ricordiamo in particolare due delle figlie di Benedetto Croce. Il suo nome è
ricordato in una lapide dedicata alle più illustri personalità che vi hanno
insegnato, tra cui Giovanni Gentile. Oltre all'insegnamento nei licei, è stato
libero docente di filosofia teoretica presso l'Napoli, dove ha svolto una
intensa attività di corsi e conferenze. Con i suoi manuali di storia
della filosofia, e con numerose pubblicazioni dedicate ai licei, FA costituisce
un importante punto di riferimento nella didattica della filosofia a livello
nazionale, prima per il classico e poi anche per lo scientifico. Una notevole
attività è anche dedicata alla formazione dei docenti di filosofia, con
numerosi articoli, pubblicazioni, corsi e conferenze. L'altra linea di
attività, quella dedicata allo studio del rapporto tra filosofia e scienza, si
snoda lungo un arco di tempo molto vasto, che va dall'inizio degli anni '30
fino alla sua scomparsa, nel 1973. I risultati sono confluiti nella
pubblicazione di importanti saggi filosofici (vedi ). Di formazione
idealistica e kantiana, appena trasferitosi a Napoli, nel 1936, instaura un
rapporto stretto con Benedetto Croce, con frequenti visite e colloqui nella sua
abitazione a Palazzo Filomarino, guardata a vista dalla polizia. Dalle
sue lettere a Croce (73, 74, 75), si evince un chiaro riconoscimento di Croce
come suo Maestro, oltre a forti sentimenti di devozione e di sincera
amicizia. In particolare, alla caduta del fascismo, esprime al Maestro la
sua "profonda gioia" perché "finalmente l'Italia comincia a
incamminarsi per la via maestra che le avevate additato", e prosegue poi:
"Gioiamo della gioia vostra e dei vostri cari: della gioia che ora, dopo
tutto quello che voi, giusto, avete sofferto, aleggia sulla vostra casa"
(73). Questo rapporto si affievolisce a partire dai primi anni '50,
quando più che la filosofia fu la politica a provocare un allontanamento di
Francesco Albergamo dall'ambito crociano, per aderire progressivamente agli
orientamenti ed alle ideologie della sinistra e del marxismo. Già agli
inizi degli anni '50, aderisce al movimento dei "Partigiani della
Pace", nato a Parigi nel 1949 sotto il simbolo della colomba della pace,
appositamente dipinta da Pablo Picasso,stringendo una forte amicizia con Lucio
Lombardo Radice, Maurizio Valenzi, Renato Caccioppoli, Ambrogio Donini e
altri. Nell'estate del 1952 partecipò ad una delegazione in visita
alla repubblica democratica tedesca, assieme a Giancarlo Pajetta, Renato
Guttuso, Francesco Flora. La visita era, naturalmente, finalizzata a diffondere
ed esaltare le "conquiste del socialismo". Di ritorno dal viaggio, il
Ministero dell'Interno dispose il ritiro del passaporto, e quello della
Pubblica Istruzione gli comminò una ammonizione, come se avesse abbandonato il
servizio senza autorizzazione, mentre il viaggio era stato fatto nel periodo di
chiusura estiva delle scuole. Fu forse questo episodio, che Francesco Albergamo
considerò una manifesta soperchieria di stampo scelbiano, che lo indusse l'anno
successivo ad iscriversi al PCI, salutato da Togliatti con un cordiale
telegramma di benvenuto. Nel corso di tutti gli anni '50, partecipò
attivamente alla vita culturale e politica della città di Napoli, che in quel
periodo era in grande effervescenza. Il movimento culturale della sinistra
napoletana non si riconosceva pienamente in una ideologia, come afferma Gerardo
Marotta, "ma si fondava su un dibattito filosofico che traeva i suoi
succhi da un corale sforzo di comprensione del proprio tempo" (80). Il
dibattito raccoglieva e valorizzava l'eredità culturale degli illuministi e
degli hegeliani napoletani del secolo precedente, attingendo alla lezione
storicistica meridionale che va da G.B. Vico a Croce, passando per F. De
Sanctis e G. Salvemini, e collegandosi poi al pensiero di Antonio
Gramsci. L'Albergamo partecipa con conferenze che venivano organizzate
dalle associazioni culturali napoletane tra cui "Cultura Nuova" ed il
"Gruppo Gramsci", ed accetta, sia pure a malincuore, una candidatura
del PCI alle elezioni comunali di Napoli. Il problema del rapporto tra
filosofia e scienza viene visto in termini di nuovi modi e nuovi contenuti per
la didattica delle scienze e della filosofia. Tra i primi in Italia, ed in aperta
polemica con la scuola crociana ed il clima dominante, Francesco Albergamo
avverte i rischi, per lo sviluppo della società italiana, di una cultura
prevalentemente classica: "Con la seconda rivoluzione industriale che è in
atto in tutto il mondo, noi italiani non ci possiamo permettere il lusso di
rimanercene ancorati ad una cultura prevalentemente classica ed
umanistica." L'Albergamo lavorò con la passione di una intera vita,
fino a pochi giorni dalla sua morte. L'ultimo suo scritto uscì postumo su
"Critica" marxista"(69). In seguito alla sua scomparsa, avvenuta
il 14 ottobre 1973, il quotidiano comunista L'Unità dette notizia della sua
scomparsa con un lungo articolo (79). Il pensiero filosofico Possiamo,
per semplicità di esposizione, dividere l'opera dell'A in tre periodi. Nel
primo periodo, il pensiero dell'Albergamo si muove nel quadro di una concezione
filosofica di tipo idealistica, dominata in Italia dal pensiero di Benedetto
Croce e Giovanni Gentile. Tuttavia, più che alle tematiche tipiche dell'idealismo,
è interessato ai problemi nuovi che si pongono al pensiero filosofico a causa
dello sviluppo impetuoso della scienza nel novecento, in particolare nei
settori della fisica relativistica e quantistica, della matematica, e della
biologia. Francesco Albergamo precorre, in una prospettiva idealistica, la
necessità di un dialogo costruttivo, osmotico, della filosofia con le
particolari discipline scientifiche ed empiriche. Nel primo lavoro
scientifico (1), richiamandosi all'insegnamento di Kant, sostiene che la
scienza, come esperienza dell'attività dello spirito, è resa possibile dalle
forme trascendentali. Tuttavia, sostiene l'Albergamo, gli sviluppi più recenti
della matematica (geometrie non euclidee, matematiche non archimedee, gli
iperspazi, ecc.) e della fisica ( teoria della relatività di Einstein,
meccanica quantistica, principio di indeterminazione di Heisenberg) provano la
contingenza di tali forme trascendentali, . Affronta anche il problema,
fortemente dibattuto, dell'alternativa tra determinismo ed indeterminismo, e
perviene alla conclusione che anche l'alternativa indeterministica sia
egualmente legittima: la conoscenza scientifica può essere costruita anche se
si ignora il principio di casualità e si finge che i fenomeni si succedano a caso,
secondo le leggi matematiche della probabilità. Queste tesi originali furono
apprezzate e commentate , all'epoca, da diversi filosofi italiani, tra cui
C.Ottaviano (76), Aliotta (77), ed altri (78).fino a pervenire ad una ampia
esposizione della problematica filosofica connessa alla scienza del novecento.
Il saggio La critica della scienza nel novecento"(10), pubblicato in prima
edizione nel 1942 e poi più volte ristampato fu giudicato "assai
pregevole" da Benedetto Croce (73, 74, 75). Di questa opera, Guido De
Ruggero scrisse che essa "offre una delle più efficaci sistemazioni
speculative che io conosca delle vedute pragmatistiche della scienza, compresa
quella del Croce alla quale più strettamente si connette"(74).
L'ambizione dell'Albergamo, che traspare chiaramente nei diversi spunti critici
nei confronti dei limiti dell'idealismo nell'affrontare il problema della
logica della scienza, è quella di "costituire una confutazione
dell'idealismo per via dell'idealismo stesso"(81). In altre parole, vuole in
qualche modo superare la concezione che relegava la scienza nel limbo degli
"pseudoconcetti", per dare piena legittimità ai processi conoscitivi,
sia delle scienze esatte che delle scienze empiriche, restando comunque
ancorato all'idealismo. Benedetto Croce in qualche modo accetta e
favorisce la ricerca di A, giudica "assai ben pensato e ragionato" il
suo lavoro, ma rimane rigido nell'accogliere la storia della scienza come parte
integrante della storia della filosofia (73, 74). Finito il periodo bellico,
l'attività dell'A si sviluppa poi in una serie di opere in cui
sistematicamente, ed in un quadro storico, vengono trattati i problemi della
logica delle scienze esatte (23) e della scienze empiriche (32). In
questo periodo A, dirigendo per l'editore Laterza una collana di scrittori
di teoria delle scienze, propone alla cultura italiana la conoscenza di
importanti pensatori d'oltralpe, come Poincarè (24, 26), Bergson (40),
Bachelard (31) ed altri. Il secondo periodo dell'attività di Francesco
Albergamo può datarsi attorno ai primi anni '50, ed è caratterizzato da un
progressivo allontanamento da Croce e dalla sua scuola, dovute alle difficoltà
dell'Albergamo a trovare un pieno accoglimento delle sue tesi sulla scienza, ed
anche, in qualche misura, a diverse valutazioni politiche. L'esigenza di
Francesco Albergamo era quella di dare piena legittimità filosofica alla logica
del pensiero scientifico. Per raggiungere questo obiettivo, era necessario
operare un "capovolgimento" dialettico nel rapporto Natura-Spirito
della filosofia crociana, allo stesso modo in cui Marx aveva operato nei
confronti di Hegel. Per Albergamo infatti "spiritualismo e materialismo
costituiscono in realtà una opposizione dialettica, nella quale di continuo
ognuno dei due deve vincere la resistenza opposta dall'altro... come già nella
dottrina hegeliana, così anche quella del Croce esige… un
"capovolgimento", in maniera che il suo oggetto…trovi proprio nel suo
opposto la condizione per vivere e svolgersi" (29). Nel terzo
periodo di attività, a partire dal 1967, quello della massima maturità ed
originalità, affronta una analisi sistematica delle forme di "pensiero
prelogico", inteso come "pensiero che, spontaneamente, senza alcuna
riflessione logica, veniamo indotti a formulare per una suggestione tanto
irresistibile quanto inconscia che inibisce la nostra intelligenza"
(61). Analizza con grande attenzione tali forme di pensiero, sulla base
dei risultati e delle osservazioni di etnologi ed antropologi (da Frazer a
Levy-Bruhl, Levy-Strauss, H. Kelsen, ed altri), oltre che dei risultati della
scuola psico-analitica, da Freud a Cesare Musatti. Analizzando questa
poderosa base di osservazioni sperimentali, perviene ad individuare i
principali meccanismi della prelogica: automatismo associativo, intuizione
animistica, inibizione dell'intelligenza ad opera del sentimento. Vengono
così portati alla luce della consapevolezza quei processi inconsci ove si
generano mito e magia. Le molteplici e diverse credenze mitiche e
magiche, con la loro uniformità di struttura e le loro coincidenze spesso
sorprendenti, sono interpretate come il risultato di un automatismo psichico
inconscio, che persiste pur attraverso le situazioni storiche più
diverse. La tesi dell'Albergamo è che tali forme prelogiche, che sono
alla base dei miti, dei riti, e delle pratiche magiche dei popoli primitivi,
lungi dall'essersi esaurite con il progredire del pensiero scientifico e
filosofico, sono presenti in maniera diversa, non solo in età infantile ed in
alcuni soggetti psicopatici, ma anche nelle stesse persone colte, nonché in
alcuni ambiti dello stesso pensiero scientifico e filosofico (62).
Accanto a questo nuovo ed affascinante filone di ricerca, si intensifica
l'opera di educatore, con decine di opere destinate alla scuola, manuali ,
antologie , trattati, nonché da studi e pubblicazioni sulla didattica delle
scienze e della filosofia. degli
scritti di Albergamo Saggio di una concezione filosofica della scienza, Napoli,
Loffredo 1934. Disegno storico della filosofia ad uso dei licei classici e
degli istituti magistrali, Milano, Sig 1934. (Diverse edizioni successive) La
tesi finitista contro l'infinito attuale e potenziale, in Atti della Società
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jr., Firenze, Sansoni 1952, «Belfagor», a. VIII, fase. III (1953), 349–351. Recensione di C. Luporini, La mente
di Leonardo, «Belfagor», n. 1 (1954),
109–113. La geometria di Euclide non è la sola possibile, in Il
Calendario del popolo, n. 124, anno XI, gennaio 19551914. Scienza e filosofia
di Albert Einstein, in Rinascita, XII, n. 5, maggio 1955, 363–368. Recensione di H. Reichenbach, I
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della filosofiaI Licei e i loro problemi, Intuizione e ragionamento nella
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nella scuola primaria", Roma 17-20 marzo 1956, 29–38. Matematica e realtà, in Società, La teoria dei quanti nelle interpretazioni
fenomenistica: del Reichenbach, in VIII Congrès International d'histoire des
sciences, Florence Milan 1956, I, Paris
1958, 254–260. Direzione della sezione
Scienze del Dizionario Bompiani degli autori di tutti i tempi e di tutte le
letterature e redazione delle voci: Albert Einstein, Luigi Galvani, Hendrik
Anton Lorentz, Edme Mariotte, Carlo Matteucci, Emile Meyerson, Hermann Walther
Nernst, Julius Robert von Mayer Storia della filosofia per i licei scientifici,
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(rist. A. Gargano). Fonti Fondazione Croce, Napoli Lettere tra Croce e
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cordoglio per la scomparsa del compagno Albergamo, L'Unità, 16 ottobre 1973 G.
Marotta, Renato Caccioppoli, la Napoli del suo tempo e la matematica del XX
secolo, Napoli, la città del sole 199912 Lettera di F.Albergamo a M.F. Sciacca,
2 gennaio Centro Internazionale i Studi Rosminiani, Stresa, citato in (74) Filosofia Filosofo Professore1896 1973 18 agosto
13 ottobre Favara Napoli
alberti: Leandro
Alberti -- Descrittione ..., Venezia 1575 Leandro Alberti (Bologna), filosofo. Nato
da Francesco Alberti, di origine fiorentina, fu condotto agli studi umanistici
dal noto medico e umanista Giovanni Garzoni. Entrato nell'Ordine domenicano nel
1493, studiò teologia e filosofia con Silvestro Mazzolini da Prierio
continuando tuttavia a coltivare con il Garzoni i propri interessi umanistici e
storici. De viris illustribus, Bologna 1517 Il primo risultato dei
suoi studi fu il contributo che egli diede, in soli 18 giorni, alla stesura dei
De viris illustribus Ordinis Praedicatorum libri sex in unum congesti, opera
collettivacon il Garzoni, il Castiglioni, il Flaminio e altridi biografie di
domenicani, stampata a Bologna. Nel 1521 tradusse dal latino in volgare la Vita
della Beata Colomba da Rieto Tenuto al dovere della predicazione, fu
«provinciale di Terra Santa»cioè compagno nelle predicazioni itinerantidel
maestro generale dell'Ordine, Tommaso De Vio e del successivo maestro Francesco
Silvestri: con quest'ultimo percorse tutta l'Italianell'ottobre del 1525 era a
Palermoe la Francia dove, a Rennes, il 19 settembre 1528 morì il Silvestri. È
poi attestato, a Roma, prendere parte al capitolo generale nel giugno del
1530. Negli immediati anni successivi rimase nel convento di Bologna,
dove commissionò a fra' Damiano Zambelli le decorazioni da eseguirsi nella
cappella dell'Arca di san Domenico e i bassorilievi eseguiti da Alfonso
Lombardi, questi ultimi pagati dalla città dopo la richiesta in tal senso
avanzata dall'Alberti. In quest'occasione scrisse un opuscolo sulla morte e la
sepoltura del Santo, il De divi Dominici Calaguritani obitu et sepultura,
pubblicata nel 1535. Un'altra sua operetta, la Chronichetta della gloriosa
Madonna di San Luca, fu pubblicata nel 1539 ed ebbe altre edizioni accresciute
dal contributo di altri autori anonimi. Il 20 gennaio 1536 fu nominato
vicario del convento romano di Santa Sabina, un incarico che non dovette
prorogarsi per più di due anni, giacché dal 1538 è sempre documentato a
Bologna. Fu anche inquisitore di Bologna probabilmente dal 1550 al 1551 o al
1552, anno della sua morte. L'opera più importante dell'Alberti, dedicata
ai sovrani francesi Enrico II e Caterina de' Medici, è senz'altro la
Descrittione di tutta Italia, pubblicata a Bologna nel 1550. Ad essa seguirono
in ottanta anni altre dieci edizioni a Venezia e due traduzioni latine a
Colonia: nell'edizione veneziana del 1561 si aggiungono per la prima volta le
Isole pertinenti ad essa, mentre quella del 1568 è arricchita dalle incisioni
di sette carte geografiche. Opera di geografia e di storia, ricalca in gran
parte la Italia illustrata di Flavio Biondo, ampliandola e migliorandola
nell'esposizione e nella citazione delle fonti, ma mostrando scarso spirito
critico, attenendosi egli «ai dati dei geografi antichi o, per la parte
storico-antiquaria, ad autori moderni di dubbia attendibilità come Raffaele
Volterrano o Annio da Viterbo: e solo quando vengono a mancare testi precedenti
ricorre a elementi di più diretta esperienza [...] parimenti nella critica
storica preferisce riferire insieme le differenti versioni, anche di tempi e di
valore molto diversi, senza prendere posizione». Opere De viris
illustribus Ordinis Praedicatorum libri sex in unum congesti, Bononiae, 1517
(versione digitalizzata) De divi Dominici Calaguritani obitu et sepultura,
Bononiae, Historie di Bologna, 1541-1591 (versione digitalizzata) Libro detto
strega o delle illusioni del demonio Descrittione di tutta Italia, nella quale
si contiene il sito di essa, l'origine et le Signorie delle Città et delle
Castella, Bologna, 1550 De incrementis Dominii Veneti, et ducibus eiusdem,
Lugduni, 1628 De claris viris Reipublicae Venetae, Lugduni, 1628 Universal
Short Title Catalogue, Scheda delle opere di Leandro Alberti Note Così scrive egli stesso: De viris, c.
23r A. L. Redigonda, Leandro
Alberti701 Liber consiliorum conventus
Bononiensis, I, 1459-1648, Archivio del convento di San Domenico, Bologna. A.
Battistella, Il Santo Officio e la Riforma religiosa in Bologna, Bologna, 1905.
G. Roletto, Le cognizioni geografiche di Leandro Alberti, in Bollettino della
Reale Società geografica italiana, 5, XI, 1922. Abele L. Redigonda, Alberti,
Leandro, in Dizionario biografico degli italiani, 1, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
1960. Descrittione di tutta Italia (1568), in Il Genio Vagante, Bergamo,
Leading Edizioni, 2003. Massimo Donattini , Il territorio emiliano e romagnolo
nella descrittione di Leandro Alberti, Bergamo, Leading Edizioni, 2004. Michele
Orlando, La Puglia nell'odeporica domenicana di fra Leandro Alberti, in Rivista
di Studi italiani, ora al sito rivistadistudiitaliani.it La Puglia,
introduzione e note al testo dalla Descrittione di tutta Italia (1568), Michele
Orlando, UNI Service, Trento, 2009. Altri progetti Collabora a Wikisource
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in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Descrittione di tutta l'Italia [collegamento
interrotto], su culturitalia.uibk.ac.at. Filosofia Letteratura Letteratura Categorie: Storici italiani del
XVI secoloFilosofi italiani del XVI secoloTeologi italiani Bologna
BolognaDomenicani italiani
alberti: Italian philosopher,
on ‘aesthetics.’ Cf. Grice on sensation. Grice:
“No one can fail to be enchanted by Lusini’s great likeness of Alberti at the
loggiato of the uffizi! Ah, if we had the same at Oxford!” -- Genova-born
essential Italian philosopherGrice, “I love his “De statua”it’s more
philosophical anthropology than aesthetics!” «Ci
è un uomo che per la sua universalità parrebbe volesse abbracciarlo tutto, dico
Leon Battista Alberti, pittore, architetto, poeta, erudito, filosofo e
letterato» (Francesco de Sanctis, Storia della letteratura italiana)
Leon Battista Alberti (Genova) architetto, scrittore, matematico, umanista,
crittografo, linguista, filosofo, musicista e archeologo italiano; fu una delle
figure artistiche più poliedriche del Rinascimento. Il suo primo nome si trova
spesso, soprattutto in testi stranieri, come Leone. Alberti fa parte
della seconda generazione di umanisti (quella successiva a Vergerio, Bruni,
Bracciolini, Francesco Barbaro), di cui fu una figura emblematica per il suo
interesse nelle più varie discipline. Un suo costante interesse era la
ricerca delle regole, teoriche o pratiche, in grado di guidare il lavoro degli
artisti. Nelle sue opere menzionò alcuni canoni, ad esempio: nel "De
statua" espose le proporzioni del corpo umano, nel "De pictura"
fornì la prima definizione della prospettiva scientifica e infine nel "De
re aedificatoria" (opera cui lavorò fino alla morte, nel 1472), descrisse
tutta la casistica relativa all'architettura moderna, sottolineando l'importanza
del progetto e le diverse tipologie di edifici a seconda della loro funzione.
Tale opera lo renderà immortale nei secoli e motivo di studio a livello
internazionale da artisti come Eugène Viollet-le-Duc e John Ruskin. Come
architetto, Alberti viene considerato, accanto a Brunelleschi, il fondatore
dell'architettura rinascimentale. L'aspetto innovativo delle sue
proposte, soprattutto sia in ambito architettonico che umanistico, consisteva
nella rielaborazione moderna dell'antico, cercato come modello da emulare e non
semplicemente da replicare. La classe sociale a cui Alberti faceva
riferimento è comunque un'aristocrazia e alta "borghesia" illuminata.
Egli lavorò per committenti quali i Gonzaga a Mantova e (per la tribuna della
SS. Annunziata) a Firenze, i Malatesta a Rimini, i Rucellai a Firenze. Presunto
autoritratto su placchetta, (Parigi, Cabinet des Medailles). Leon Battista
nacque a Genova, figlio di Lorenzo Alberti, di una ricca famiglia di mercanti e
banchieri fiorentini banditi dalla città toscana a partire dal 1388 per motivi
politici, e da Bianca Fieschi, appartenente ad una delle più nobili casate
genovesi. I primi studi furono di tipo letterario, dapprima a Venezia e
poi a Padova, alla scuola dell'umanista Gasparino Barzizza, dove apprese il
latino e forse anche il greco. Si trasferì poi a Bologna dove studiò diritto,
coltivando parallelamente il suo amore per molte altre discipline artistiche
quali la musica, la pittura, la scultura, la matematica, la grammatica e la
letteratura in generale. Si dedicò all'attività letteraria sin da giovane: a
Bologna, infatti, già intorno ai vent'anni scrisse una commedia autobiografica
in latino, la Philodoxeos fabula. Compose in latino il Momus, un originalissimo
e avvincente romanzo mitologico, e le Intercoenales; in volgare, compose
un'importante serie di dialoghi (De familia, Theogenius, Profugiorum ab ærumna
libri, Cena familiaris, De iciarchia, dai titoli rigorosamente in latino) e
alcuni scritti amatori, tra cui la Deiphira, ove raccoglie i precetti utili a
fuggire da un amore mal iniziato. Dopo la morte del padre, avvenuta nel
1421, l'Alberti trascorse alcuni anni di difficoltà, entrando in forte
contrasto con i parenti che non volevano riconoscere i suoi diritti ereditari
né favorire i suoi studi. In questi anni coltivò soprattutto gli studi
scientifici, astronomici e matematici. Sembra si sia tuttavia concretamente
laureato in diritto nel 1428 a Bologna, o forse a Ferrara, nonostante le
difficoltà economiche e di salute. Tra Padova e Bologna intrecciò amicizie con
molti importanti intellettuali, come Paolo Dal Pozzo Toscanelli, Tommaso
Parentuccelli, futuro papa Nicolò V e probabilmente Niccolò Cusano. Per
gli anni 1428-1431 poco si sa, benché debba escludersi che si sia recato a
Firenze dopo il ritiro del bandi contro gli Alberti, nel 1428, e sia del pari
assai poco probabile che al seguito del cardinal Albergati abbia viaggiato in
Francia e nel Nord Europa. A Roma Nel 1431 diventò segretario del
patriarca di Grado e, trasferitosi a Roma con questi, nel 1432 fu nominato
abbreviatore apostolico (il cui ruolo consisteva per l'appunto nel redigere i
brevi apostolici). Così entrò nel prestigioso ambiente umanistico della curia
di papa Eugenio IV, che lo nominò (1432) titolare della pieve di San Martino a
Gangalandi a Lastra a Signa, nei pressi di Firenze, beneficio di cui godette
fino alla morte. Vivendo prevalentemente a Roma ma spostandosi per
periodi anche lunghi e per varie incombenze a Ferrara, Bologna, Venezia,
Firenze, Mantova, Rimini e Napoli. Le prime opere letterarie Tra il 1433
e il 1434, scrisse in pochi mesi i primi tre libri de Familia, un dialogo in
volgare completato con un quarto libro nel 1437. Il dialogo è ambientato a
Padova, nel 1421; vi partecipano vari componenti della famiglia Alberti,
personaggi realmente esistiti, scontrandosi su due visioni diverse: da un lato
c'è la mentalità moderna e borghese e dall'altro la tradizione, aristocratica e
legata al passato. L'analisi che il libro offre è una visione dei principali
aspetti e istituzioni della vita sociale dell'epoca, quali il matrimonio, la
famiglia, l'educazione, la gestione economica, l'amicizia e in genere i
rapporti sociali: l'Alberti esprime qui un punto di vista
"filosofico" pienamente umanistico, che ricorre in tutte le sue opere
di carattere morale e che consiste nella convinzione che gli uomini siano
responsabili della propria sorte e che la virtù sia insita nell'uomo e debba
essere realizzata attraverso l'operosità, la volontà e la ragione. A
Firenze Statua di Leon Battista Alberti, piazza degli Uffizi a Firenze.
Tra il 1434 e il 1443 l'Alberti visse prevalentemente a Firenze e Ferrara, al
seguito della curia papale che fra l'altro partecipò al Concilio, ossia alle
sedute ferrarese e fiorentina del concilio ecumenico (1438-39) che dovevano
riappacificare la chiesa latina e le chiese cristiano-orientali, in particolare
quella greca. In questo periodo l'Alberti assimila parte della cultura
fiorentina, cercando (invero con moderato successo) d'inserirsi nell'ambiente
intellettuale e artistico della città; sono verosimilmente gli anni in cui
nascono i suoi interessi artistici, che si traducono da subito nella duplice
redazione (latina e volgare) del De pictura (1435-36). Nel prologo della
versione in volgare, dedica l'opera a Brunelleschi e menziona anche i grandi
innovatori delle arti del tempo: Donatello, Masaccio (morto già nel 1428) e i
Della Robbia. Intorno al 1443, al seguito del pontefice Eugenio IV lasciò
Firenze, ma con la città continuò ad avere intensi rapporti legati anche ai
cantieri dei suoi progetti. De pictura Magnifying glass icon
mgx2.svg De pictura. Del 1435-1436 è il
De pictura, scritto verosimilmente dapprima in latino e tradotto poi in
volgare; se la redazione latina, senza ombra di dubbio la più importante e
ricca, sarà dedicata al Gonzaga marchese di Mantova, per quella volgare
l'Alberti redasse una dedica al Brunelleschi che, trasmessa da un solo codice
strettamente legato al laboratorio personale dell'Alberti, forse non fu mai
inviata. Il De pictura rappresenta la prima trattazione di una disciplina
artistica non intesa solo come tecnica manuale, ma anche come ricerca
intellettuale e culturale, e sarebbe difficile immaginarla fuori dallo
straordinario contesto fiorentino e scritta da un autore diverso dall'Alberti,
grande intellettuale umanista e artista egli stesso, anche se la sua attività
nel campo delle arti figurative—attestata (benché in modi non lusinghieri) già
dal Vasari—dovette essere ridotta. Il trattato è organizzato in tre
"libri". Il primo contiene la più antica trattazione della
prospettiva. Nel secondo libro l'Alberti tratta di “circoscrizione,
composizione, e ricezione dei lumi”, cioè dei tre principi che regolano l'arte
pittorica: la circumscriptio consiste nel tracciare il contorno dei
corpi; la compositio è il disegno delle linee che uniscono i contorni dei corpi
e perciò la disposizione narrativa della scena pittorica, la cui importanza è
qui espressa per la prima volta con piena lucidità intellettuale; la receptio
luminum tratta dei colori e della luce. Il terzo libro è relativo alla figura
del pittore di cui si rivendica il ruolo di vero artista e non, semplicemente,
di artigiano. Con questo trattato Alberti influenzerà non solo il Rinascimento
ma tutto quanto si sarebbe detto sulla pittura sino ai nostri giorni. La
questione del volgare Pur scrivendo numerosi testi in latino, lingua alla quale
riconosceva il valore culturale e le specifiche qualità espressive, l'Alberti
fu un fervente sostenitore del volgare. La duplice redazione in latino e in
volgare del De pictura manifesta il suo interesse per il dibattito allora in
corso tra gli umanisti sulla possibilità di usare il volgare nella trattazione
di ogni materia. In un dibattito avvenuto a Firenze tra gli umanisti della
curia, Flavio Biondo aveva affermato la diretta discendenza del volgare dal
latino e l'Alberti, ne dimostra genialmente la tesi componendo la prima
grammatica del volgare (1437-41), e ne riprende gli argomenti difendendo l'uso
del volgare nella dedicatoria del libro III de Familia a Francesco d'Altobianco
Alberti (1435-39 circa). Da qui deriva la significativa esperienza del
Certame coronario, una gara di poesia sul tema dell'amicizia, organizzata a
Firenze nell'ottobre 1441 dall'Alberti con il più o meno tacito concorso di Piero
de' Medici, una gara che doveva servire all'affermazione del volgare,
soprattutto in poesia, e alla quale va associata la composizione dei sedici
Esametri sull'amicizia da parte dell'AlbertiEsametri ora pubblicati fra le sue
Rime, innovative tanto nello stile quanto nella metrica, che costituiscono uno
dei primissimi tentativi di adattare i metri greco-latini alla poesia volgare
(metrica «barbara»). Nonostante ciò, l'Alberti continuò a scrivere
naturalmente in latino, come fece per gli Apologi centum, una sorta di
breviario della sua filosofia di vita, composti intorno al 1437. Ritorno
a Roma Chiusosi il concilio a Firenze, nel 1443, l'Alberti ritornò con la curia
papale a Roma. continuando a ricoprire il ruolo di abbreviatore apostolico per
ben 34 anni, fino al 1464, quando il collegio degli abbreviatori fu soppresso.
Durante la permanenza a Roma ebbe modo di coltivare i propri interessi
propriamente architettonici, che lo indussero a proseguire lo studio delle
rovine della Roma classica, come dimostra la stessa Descriptio urbis Romae,
risalente al 1450 circa, in cui l'Alberti tentò con successo, per la prima
volta nella storia, una ricostruzione della topografia di Roma antica, mediante
un sistema di coordinate polari e radiali che permettono di ricostruire il
disegno da lui tracciato. I suoi interessi archeologici lo portarono anche a
tentare il recupero delle navi romane affondate nel lago di Nemi. Questi
interessi per l'architettura che diventeranno prevalenti negli ultimi due
decenni della sua vita, non impedirono una ricchissima produzione letteraria.
Tra il 1443 e la morte compone una delle sue opere più interessanti, il Momus,
un romanzo satirico in lingua latina, che tratta in maniera abbastanza amara e
disincantata della società umana e degli stessi esseri umani. Dopo
l'elezione di Niccolò V, l'Alberti, come antico conoscente, entrò nella cerchia
ristretta del papa, dal quale ricevette anche la carica di priore di Borgo San
Lorenzo. Tuttavia i rapporti con il papa sono considerati piuttosto controversi
dagli storici, sia per quel che riguarda gli aspetti politici che per
l'adesione o la collaborazione dell'Alberti al vasto programma di rinnovamento
urbano voluto da Niccolò V. Forse venne impiegato durante il restauro del
palazzo papale e dell'acquedotto romano e della fontana dell'Acqua Vergine,
disegnata in maniera semplice e lineare, creando la base sulla quale, in età
Barocca, sarebbe stata costruita la Fontana di Trevi. Intorno al 1450
Alberti cominciò ad occuparsi più attivamente di architettura con numerosi
progetti da eseguire fuori Roma, a Firenze, Rimini e Mantova, città in cui si
recò varie volte durante gli ultimi decenni della sua vita. In tal modo
dopo la metà del secolo l'Alberti fu la figura-guida dell'architettura. Questo
riconosciuto primato rende anche difficile distinguere, nella sua opera,
l'attività di progettazione dalle tante consulenze e dall'influenza più o meno
diretta che dovette avere, per esempio, sulle opere promosse a Roma, sotto
Niccolò V, come il restauro di Santa Maria Maggiore e Santo Stefano Rotondo o
come la costruzione di Palazzo Venezia, il rinnovamento della basilica di San
Pietro, del Borgo e del Campidoglio. Potrebbe forse essere stato il consulente
che indica alcune linee-guida o, ma ben più difficilmente, aver avuto un ruolo
anche meno indiretto. Sicuramente il prestigio della sua opera e del suo
pensiero teorico condizionarono direttamente l'opera di progettisti come
Francesco del Borgo e Bernardo Rossellino, influenzando anche Giuliano da
Sangallo. Morì a Roma, all'età di 68 anni. Il De re
aedificatoria Frontespizio Matteo de' Pasti, Medaglia di Leon
Battista Alberti (1446-1450 circa). Magnifying glass icon mgx2.svg De re aedificatoria. Le sue riflessioni
teoriche trovarono espressione nel De re aedificatoria, un trattato di
architettura in latino, scritto prevalentemente a Roma, cui l'Alberti lavorò
fino alla morte e che è rivolto anche al pubblico colto di educazione
umanistica. Il trattato fu concepito sul modello del De architectura di
Vitruvio. L'opera, considerata il trattato architettonico più significativo
della cultura umanistica, è divisa anch'essa in dieci libri: nei primi tre si
parla della scelta del terreno, dei materiali da utilizzare e delle fondazioni
(potrebbero corrispondere alla categoria vitruviana della firmitas); i libri IV
e V si soffermano sui vari tipi di edifici in relazione alla loro funzione
(utilitas); il libro VI tratta la bellezza architettonica (venustas), intesa
come un'armonia esprimibile matematicamente grazie alla scienza delle
proporzioni, con l'aggiunta di una trattazione sulle macchine per costruire; i
libri VII, VIII e IX parlano della costruzione dei fabbricati, suddividendoli
in chiese, edifici pubblici ed edifici privati; il libro X tratta
dell'idraulica. Nel trattato si trova anche uno studio basato sulle
misurazioni dei monumenti antichi per proporre nuovi tipi di edifici moderni
ispirati all'antico, fra i quali le prigioni, che cercò di rendere più umane,
gli ospedali e altri luoghi di pubblica utilità. Il trattato fu stampato
a Firenze nel 1485, con una prefazione del Poliziano a Lorenzo il Magnifico, e
poi a Parigi (1512) e a Strasburgo (1541); venne in seguito tradotto in varie
lingue e diventò ben presto imprescindibile nella cultura architettonica
moderna e contemporanea. Nel De re aedificatoria, l'Alberti affronta
anche il tema delle architetture difensive e intuisce come le armi da fuoco
rivoluzioneranno l'aspetto delle fortificazioni. Per aumentare l'efficacia
difensiva indica che le difese dovrebbero essere "costruite lungo linee
irregolari, come i denti di una sega" anticipando così i principi della
fortificazione alla moderna. L'attività come architetto a Firenze A
Firenze lavorò come architetto soprattutto per Giovanni Rucellai, ricchissimo
mercante e mecenate, intimo amico suo e della sua famiglia. Le opere fiorentine
saranno le sole dell'Alberti a essere compiute prima della sua morte.
Palazzo Rucellai Facciata di palazzo Rucellai. Forse sin dal 1439-1442
gli venne commissionata la costruzione del palazzo della famiglia Rucellai, da
ricavarsi da una serie di case-torri acquistate da Giovanni Rucellai in via
della Vigna Nuova. Il suo intervento si concentrò sulla facciata, posta su un
basamento che imita l'opus reticulatum romano, realizzata tra il 1450 e il
1460. È formata da tre piani sovrapposti, separati orizzontalmente da cornici
marcapiano e ritmati verticalmente da lesene di ordine diverso; la
sovrapposizione degli ordini è di origine classica come nel Colosseo o nel
Teatro di Marcello, ed è quella teorizzata da Vitruvio: al piano terreno lesene
doriche, ioniche al piano nobile e corinzie al secondo. Esse inquadrano
porzioni di muro bugnato a conci levigati, in cui si aprono finestre in forma
di bifora nel piano nobile e nel secondo piano. Le lesene decrescono
progressivamente verso i piani superiori, in modo da creare nell'osservatore
l'illusione che il palazzo sia più alto di quanto non sia in realtà. Al di
sopra di un forte cornicione aggettante si trova un attico, caratteristicamente
arretrato rispetto al piano della facciata. Il palazzo creò un modello per
tutte le successive dimore signorili del Rinascimento, venendo addirittura
citato pedissequamente da Bernardo Rossellino, suo collaboratore, per il suo
palazzo Piccolomini a Pienza (post 1459). Attribuita all'Alberti è anche
l'antistante Loggia Rucellai, o per lo meno il suo disegno. Loggia e palazzo
andavano così costituendo una sorta di piazzetta celebrante la casata, che
viene riconosciuta come uno dei primi interventi urbanistici rinascimentali.
Facciata di Santa Maria Novella Facciata di Santa Maria Novella, Firenze.
Su commissione del Rucellai, progettò anche il completamento della facciata
della basilica di Santa Maria Novella, rimasta incompiuta nel 1365 al primo
ordine di arcatelle, caratterizzate dall'alternarsi di fasce di marmo bianco e
di marmo verde, secondo la secolare tradizione fiorentina. I lavori iniziarono
intorno al 1457. Si presentava il problema di integrare, in un disegno generale
e classicheggiante, i nuovi interventi con gli elementi esistenti di epoca
precedente: in basso vi erano gli avelli inquadrati da archi a sesto acuto e i
portali laterali, sempre a sesto acuto, mentre nella parte superiore era già
aperto il rosone, seppur spoglio di ogni decorazione. Alberti inserì al centro
della facciata inferiore un di
proporzioni classiche, inquadrato da semicolonne, in cui inserì incrostazioni
in marmo rosso per rompere la bicromia. Per terminare la fascia inferiore pose
una serie di archetti a tutto sesto a conclusione delle lesene. Poiché la parte
superiore della facciata risultava arretrata rispetto al basamento (un tema
molto comune nell'architettura albertiana, derivata dai monumenti della
romanità) inserì una fascia di separazione a tarsie marmoree che recano una teoria
di vele gonfie al vento, l'insegna personale di Giovanni Rucellai; il livello
superiore, scandito da un secondo ordine di lesene che non hanno corrispondenza
in quella inferiore, sorregge un timpano triangolare. Ai lati, due doppie
volute raccordano l'ordine inferiore, più largo, all'ordine superiore più alto
e stretto, conferendo alla facciata un moto ascendente conforme alle
proporzioni; non mascherano come spesso si è detto erroneamente gli spioventi
laterali che risultano più bassi, come si evince osservando la facciata dal
lato posteriore. La composizione con incrostazioni a tarsia marmorea ispirate
al romanico fiorentino, necessaria in questo caso per armonizzare le nuove
parti al già costruito, rimase una costante nelle opere fiorentine dell'Alberti.
Secondo Rudolf Wittkower: "L'intero edificio sta rispetto alle sue parti
principali nel rapporto di uno a due, vale a dire nella relazione musicale
dell'ottava, e questa proporzione si ripete nel rapporto tra la larghezza del
piano superiore e quella dell'inferiore". La facciata si inscrive infatti
in un quadrato avente per lato la base della facciata stessa. Dividendo in
quattro tale quadrato, si ottengono quattro quadrati minori; la zona inferiore
ha una superficie equivalente a due quadrati, quella superiore a un quadrato.
Altri rapporti si possono trovare nella facciata tanto da realizzare una
perfetta proporzione. Secondo Franco Borsi: "L'esigenza teorica
dell'Alberti di mantenere in tutto l'edificio la medesima proporzione è qui
stata osservata ed è appunto la stretta applicazione di una serie continua di
rapporti che denuncia il carattere non medievale di questa facciata
pseudo-protorinascimentale e ne fa il primo grande esempio di eurythmia
classica del Rinascimento". Altre opere Il tempietto del Santo
Sepolcro. Attribuito all'Alberti è il progetto dell'abside della pieve di San
Martino a Gangalandi presso Lastra a Signa. L'Alberti fu rettore di San Martino
dal 1432 fino alla sua morte. La chiesa, di origine medievale, ha il suo punto
focale nell'abside, chiusa in alto da un arco a tutto sesto con decorazione a
motivi di candelabro e con lesene in pietra serena sorreggenti un architrave
che reca un'iscrizione a lettere capitali dorate, ornata alle due estremità
dalle arme degli Alberti. L'abside è ricordata incepta et quasi perfecta nel
testamento di Leon Battista Alberti, e fu infatti terminata dopo la sua morte,
tra il 1472 e il 1478. Del 1467 è un'altra opera per i Rucellai, il
tempietto del Santo Sepolcro nella chiesa di San Pancrazio a Firenze, costruito
secondo un parallelepipedo spartito da paraste corinzie. La decorazione è a
tarsie marmoree, con figure geometriche in rapporto aureo; le decorazioni
geometriche, come per la facciata di Santa Maria Novella, secondo l'Alberti
inducono a meditare sui misteri della fede. Ferrara Il campanile
del duomo di Ferrara. L'Alberti fu a Ferrara a varie riprese, e sicuramente tra
il 1438 e il 1439, stringendo amicizie alla corte estense. Vi ritorna nel 1441
e forse nel 1443, chiamato a giudicare la gara per un monumento equestre a
Niccolò III d'Este. In tale occasione forse dette indicazioni per il rinnovo
della facciata del Palazzo Municipale, allora residenza degli Estensi. A
lui è stato attribuito da insigni storici dell'arte, ma esclusivamente su basi
stilistiche, anche l'incompleto campanile del duomo, dai volumi nitidi e dalla
bicromia di marmi rosa e bianchi. Rimini Tempio Malatestiano,
Rimini. Nel 1450 l'Alberti venne chiamato a Rimini da Sigismondo Pandolfo
Malatesta per trasformare la chiesa di San Francesco in un tempio in onore e
gloria sua e della sua famiglia. Alla morte del signore (1468) il tempio fu
lasciato incompiuto mancando della parte superiore della facciata, della
fiancata sinistra e della tribuna. Conosciamo il progetto albertiano attraverso
una medaglia incisa da Matteo de' Pasti, l'architetto a cui erano stati
affidati gli ampliamenti interni della chiesa e in generale tutto il
cantiere. Tempio malatestiano sulla medaglia di Matteo de' Pasti.
L'Alberti ideò un involucro marmoreo che lasciasse intatto l'edificio
preesistente. L'opera prevedeva in facciata una tripartizione con archi
scanditi da semicolonne corinzie, mentre nella parte superiore era previsto una
specie di frontone con arco al centro affiancato da paraste e forse due volute
curve. Punto focale era il centrale, con
timpano triangolare e riccamente ornato da lastre marmoree policrome nello
stile della Roma imperiale. Ai lati due archi minori avrebbero dovuto
inquadrare i sepolcri di Sigismondo e della moglie Isotta, ma furono poi
tamponati. Le fiancate invece sono composte da una sequenza di archi su
pilastri, ispirati alla serialità degli acquedotti romani, destid accogliere i
sarcofagi dei più alti dignitari di corte. Fianchi e facciata sono unificati da
un alto zoccolo che isola la costruzione dallo spazio circostante. Ricorre la
ghirlanda circolare, emblema dei Malatesta, qui usata come oculo. Interessante
è notare come Alberti traesse spunto dall'architettura classica, ma affidandosi
a spunti locali, come l'arco di Augusto, il cui modulo è triplicato in
facciata. Una particolarità di questo intervento è che il rivestimento non
tiene conto delle precedenti aperture gotiche: infatti, il passo delle
arcate laterali non è lo stesso delle finestre ogivali, che risultano
posizionate in maniera sempre diversa. Del resto Alberti scrive a Matteo de'
Pasti che «queste larghezze et altezze delle Chappelle mi perturbano».
Per l'abside era prevista una grande rotonda coperta da cupola emisferica
simile a quella del Pantheon. Se completata, la navata avrebbe allora assunto
un ruolo di semplice accesso al maestoso edificio circolare e sarebbe stata
molto più evidente la funzione celebrativa dell'edificio, anche in rapporto
allo skyline cittadino. Mantova Chiesa di San Sebastiano,
Mantova. Basilica di Sant'Andrea, Mantova. Nel 1459 Alberti fu chiamato a
Mantova da Ludovico III Gonzaga, nell'ambito dei progetti di abbellimento
cittadino per il Concilio di Mantova. San Sebastiano Il primo intervento
mantovano riguardò la chiesa di San Sebastiano, cappella privata dei Gonzaga,
iniziata nel 1460. L'edificio fece da fondamento per le riflessioni
rinascimentali sugli edifici a croce greca: è infatti diviso in due piani, uno
dei quali interrato, con tre bracci absidati attorno ad un corpo cubico con
volta a crociera; il braccio anteriore è preceduto da un portico, oggi con
cinque aperture. La parte superiore della facciata, spartita da lesene di
ordine gigante, è originale del progetto albertiano e ricorda un'elaborazione
del tempio classico, con architrave spezzata, timpano e un arco siriaco, a
testimonianza dell'estrema libertà con cui l'architetto disponeva gli elementi.
Forse l'ispirazione fu un'opera tardo-antica, come l'arco di Orange. I due
scaloni di collegamento che permettono l'accesso al portico non fanno parte del
progetto originario, ma furono aggiunte posteriori. Sant'Andrea Il
secondo intervento, sempre su commissione dei Gonzaga, fu la basilica di
Sant'Andrea, eretta in sostituzione di un precedente sacrario in cui si venerava
una reliquia del sangue di Cristo. L'Alberti creò il suo progetto «... più
capace più eterno più degno più lieto ...» ispirandosi al modello del tempio
etrusco ripreso da Vitruvio e contrapponendosi al precedente progetto di
Antonio Manetti. Innanzitutto mutò l'orientamento della chiesa allineandola
all'asse viario che collegava Palazzo Ducale al Tè. La chiesa a croce
latina, iniziata nel 1472, è a navata unica coperta a botte con lacunari, con
cappelle laterali a base rettangolare con la funzione di reggere e scaricare le
spinte della volta, inquadrate negli ingressi da un arco a tutto sesto,
inquadrato da un lesene architravate. Il tema è ripreso dall'arco trionfale
classico ad un solo fornice come l'arco di Traiano ad Ancona. La grande volta della
navata e quelle del transetto e degli atri d'ingresso si ispiravano a modelli
romani, come la Basilica di Massenzio. Per caratterizzare l'importante
posizione urbana, venne data particolare importanza alla facciata, dove ritorna
il tema dell'arco: l'alta apertura centrale è affiancata da setti murari, con
archetti sovrapposti tra lesene corinzie sopra i due portali laterali. Il
tutto, coronato da un timpano triangolare a cui si sovrappone, per non lasciare
scoperta l'altezza della volta, un nuovo arco. Questa soluzione, che enfatizza
la solennità dell'arco di trionfo e il suo moto ascensionale, permetteva anche
l'illuminazione della navata. Sotto l'arco venne a formarsi uno spesso atrio,
diventato il punto di filtraggio tra interno ed esterno. La facciata è
inscrivibile in un quadrato e tutte le misure della navata, sia in pianta che
in alzato, si conformano ad un preciso modulo metrico. La tribuna e la cupola
(comunque prevista da Alberti) vennero completate nei secoli
successivi, secondo un disegno estraneo all'Alberti. I caratteri
dell'architettura albertiana Le opere più mature di Alberti evidenziano una
forte evoluzione verso un classicismo consapevole e maturo in cui, dallo studio
dei monumenti antichi romani, l'Alberti ricavò un senso delle masse murarie ben
diverso dalla semplicità dello stile brunelleschiano. I modi originali
albertiani precorsero l'arte del Bramante. I caratteri innovativi di Alberti
furono: La colonna deve sostenere la trabeazione e deve essere usata come
ornamento per le fabbriche; l'arco deve essere costruito sopra i
pilastri. Il De statua Il trattato, scritto in latino, è relativo alla
teoria della scultura e risale al1450 circa. Nel De statua, l'Alberti rielaborò
profondamente le concezioni e le teorie relative alla scultura tenendo conto
delle innovazioni artistiche del Rinascimento, attingendo anche ad una
rilettura critica delle fonti classiche e riconoscendo, tra i primi dignità
intellettuale alla scultura, prima di allora sempre condizionata dal
pregiudizio verso un'attività tanto manuale. Nel trattato che si compone
di 19 capitoli, l'Alberti parte, sulla scorta di Plinio, dalla definizione
dell'arte plastica tridimensionale distinguendo la scultura o per via di porre
o per via di levare, dividendola secondo la tecnica utilizzata: togliere
e aggiungere: sculture con materie molli, terra e cera eseguita dai
"modellatori" levare: scultura in pietra, eseguita dagli
"scultori" Tale distinzione fu determinante nella concezione
artistica di molti scultori come Michelangelo e non era mai stata espressa con
tanta chiarezza. Il definitor, lo strumento inventato da Leon
Battista Alberti. Relativamente al metodo da utilizzare per raggiungere il fine
ultimo della scultura che è l'imitazione della natura, l'Alberti distingue:
la dimensio (misura) che definisce le proporzioni generali dell'oggetto
rappresentato mediante l’exempeda, una riga diritta modulare atta a rilevare le
lunghezze e squadre mobili a forma di compassi (normae), con cui misurare
spessori, distanze e diametri. la finitio, definizione individuale dei
particolari e dei movimenti dell'oggetto rappresentato, per la quale Alberti
suggerisce uno strumento da lui ideato: il definitor o finitorium, un disco
circolare cui è fissata un'asta graduata rotante, da cui pende un filo a
piombo. Con esso si può determinare qualsiasi punto sul modello mediante una
combinazione di coordinate polari e assiali, rendendo possibile un
trasferimento meccanico dal modello alla scultura. Alberti sembra anticipare i
temi relativi alla raffigurazione 'scientifica' della figura umana che è uno
dei temi che percorre la cultura figurativa rinascimentale. e addirittura
aspetti dell'industrializzazione e addirittura della digitalizzazione, visto
che il definitor trasformava i punti rilevati sul modello in dati
alfanumerici. L'opera fu tradotta in volgare nel 1568 da Cosimo Bartoli.
Il testo latino originale fu stampato solo alla fine del XIX secolo, mentre
solo recentemente sono state pubblicate traduzioni moderne. I sistemi di
definizione meccanica dei volumi proposti dall'Alberti, appassionarono Leonardo
che approntò, come si può rilevare dai suoi disegni, dei sistemi alternativi,
sviluppati a partire dal trattato albertiano e utilizzò le "Tabulae
dimensionum hominis" del "De statua" per realizzare il
celeberrimo "Uomo vitruviano". Il Crittografo Alberti fu
inoltre un geniale crittografo e inventò un metodo per generare messaggi
criptati con l'aiuto di un apparecchio, il disco cifrante. Sua fu infatti
l'idea di passare da una crittografia con tecnica "monoalfabetica"
(Cifrario di Cesare) ad una con tecnica "polialfabetica", codificata
teoricamente parecchi anni dopo da Blaise de Vigenère. In The Codebreakers. The
Story of Secret Writing, lo storico della crittologia David Kahn attribuisce
all'Alberti il titolo di Father of Western Cryptology (Padre della crittologia
occidentale). Kahn ribadisce questa definizione, sottolineando le ragioni che
la giustificano, nella prefazione all'edizione italiana del testo albertiano:
«Questo volume elegante e sottile riproduce il testo più importante di tutta la
storia della crittologia; un primato che il De cifris di Leon Battista Alberti
ben si merita per i tre temi cruciali che tratta: l'invenzione della
sostituzione polialfabetica, l'uso della crittanalisi, la descrizione di un
codice sopracifrato.» Tra le altre attività di Alberti ci fu anche la
musica, per la quale fu considerato uno dei primi organisti della sua epoca.
Disegnò anche delle mappe e collaborò con il grande cartografo Paolo
Toscanelli. De iciarchia Iciarco e Iciarchia sono due termini usati
dall'Alberti nel dialogo De iciarchia composto nel 1470 circa, pochi anni prima
della sua morte (avvenuta nel 1472) e ambientato nella Firenze medicea di
quegli anni. Le due parole sono di origine greca ("Pogniàngli nome tolto
da' Greci, iciarco: vuol dire supremo omo e primario principe della famiglia
sua", libro III), e sono formate da oîkos o oikía "casa,
famiglia" e arkhós "capo supremo, principe, principio". Il
nome stesso di iciarco vuole esprimere quello che secondo il parere dell'autore
è il governante ideale: colui che sia come un padre di famiglia nei confronti
dello Stato. Secondo le parole dell'Alberti, "il suo compito sarà (...)
provedere alla salute, quiete, e onestamento di tutta la famiglia, (...) fare
sì che amando e benificando è suoi, tutti amino lui, e tutti lo reputino e
osservino come padre" (ivi). Questo ruolo di "padre di
famiglia" del governante ideale era finalizzato, nella sua visione
politica, ad una stabilità, in definitiva "conservatrice", che
permetterebbe di governare senza discordie che, dilaniando lo Stato,
nuocerebbero a tutto il corpo sociale ("Inoltre la prima cura sua sarà che
la famiglia sia senza niuna discordia unitissima. Non esser unita la famiglia
circa le cose (...) che giovano, nuoce sopra modo molto., ivi). Il
termine iciarco, nato coll'Alberti e strettamente legato alla sua visione
"paternalistica" del governo dello Stato, non ebbe comunque alcun
seguito e non risulta che sia mai più stato impiegato nel lessico politico.
Opere Scritti Apologi centum Cena familiaris De amore De equo animante (Il
cavallo vivo) De Iciarchia De componendis cifris Deiphira De pictura Porcaria
coniuratio De re aedificatoria De statua Descriptio urbis Romae Ecatomphile
Elementa picturae Epistola consolatoria Grammatica della lingua toscana (meglio
nota come Grammatichetta vaticana) Intercoenales De familia libri IV Ex ludis
rerum mathematicorum Momus Philodoxeos fabula Profugiorum ab ærumna libri III
Sentenze pitagoriche Sophrona Theogenius Villa Opere architettoniche Palazzo
Rucellai, 1446-1451, Firenze, Via della Vigna Nuova Loggia Rucellai, 145?-1460,
Firenze, Via della Vigna Nuova Facciata di Santa Maria Novella, 1458-1478,
Firenze, Santa Maria Novella Abside di San Martino, 1472-1478, Lastra a Signa,
Pieve di San Martino a Gangalandi Tempietto del Santo Sepolcro, 1457-1467,
Firenze, Chiesa di San Pancrazio Tempio Malatestiano (incompiuto), iniziato nel
1450 circa, Rimini, Tempio Malatestiano Chiesa di San Sebastiano, 1460 circa,
Mantova, Chiesa di San Sebastiano Basilica di Sant'Andrea, 1472-1732, Mantova,
Basilica di Sant'Andrea (Mantova) Palazzo Romei, Vibo Valentia Manoscritti
Liber de iure, scriptus Bononiae anno 1437, XV secolo, Milano, Biblioteca
Ambrosiana, Fondo manoscritti, ms. I 193 inf., ff. 1v-13r. Trivia senatoria, XV
secolo, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Fondo manoscritti, ms. I 193 inf., ff.
13v-19v. Note Cecil Grayson, Studi su Leon Battista Alberti, Firenze,
Olschki, L.B. Alberti, De pictura, C.
Grayson, Laterza, 1980: versione on line Copia archiviata, su liberliber.it. 27
novembre 16 novembre ). Christoph L. Frommel, Architettura e
committenza da Alberti a Bramante, Olschki, 2006, 978-88-222-5582-2 Bernardo Rucellai, De bello italico,
Donatella Coppini, Firenze University Press, ,
88-6453-224-2. De re
Aedificatoria In tale occasione
manifestò il suo interesse per la morfologia e l'allevamento dei cavalli con il
breve trattato De equo animante dedicato a Leonello d'Este. De
Vecchi-Cerchiari, cit.95. De Vecchi-Cerchiari, cit.104 Rudolf
Wittkower, op. cit. 1993 Rudolf
Wittkower,op. cit. 1993 Leon Battista Alberti, De statua, M. Collareta,
1998 Mario Carpo, L'architettura dell'età
della stampa: oralità, scrittura, libro stampato e riproduzione meccanica
dell'immagine nella storia delle teorie architettoniche, 1998. Simon Singh, Codici e Segreti45 David Kahn,
The Codebreakers, Scribner, 1996. Il
nome deriva dal fatto che il libello, di appena 16 carte, è conservato in una
copia del 1508 in un codice in ottavo della Biblioteca vaticana. Lo scritto non
ha epigrafe, pertanto il titolo è stato assegnato in seguito: fu riscoperto
infatti nel 1850 e dato alle stampe solo nel 1908. viviamolacalabria.blogspot.com,
viviamolacalabria.blogspot.com//09/esempio-tangibile-di-palazzo-nobiliare.html?m=1. Leon Battista Alberti, De re aedificatoria,
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2-910735-88-5, ora tradotto in italiano: Michel Paoli, Leon Battista
Alberti, Bollati Boringhieri, Torino 2007, 124 p. + 40 ill., 978-88-339-1755-9. Anna Siekiera, linguistica albertiana, Firenze, Edizioni
Polistampa, 2004 (Edizione Nazionale delle Opere di Leon Battista Alberti,
Serie «Strumenti», 2); Francesco P. Fiore: La Roma di Leon Battista Alberti.
Umanisti, architetti e artisti alla scoperta dell'antico nella città del
Quattrocento, Skira, Milano 2005,
88-7624-394-1; Leon Battista Alberti architetto, Giorgio Grassi e
Luciano Patetta, testi di Giorgio Grassi et alii, Banca CR, Firenze 2005;
Restaurare Leon Battista Alberti: il caso di Palazzo Rucellai, Simonetta
Bracciali, presentazione di Antonio Paolucci, Libreria Editrice Fiorentina,
Firenze 2006, 88-89264-81-0; Stefano
Borsi, Leon Battista Alberti e Napoli, Polistampa, Firenze 2006; 88-88967-58-3 Gabriele Morolli, Leon Battista
Alberti. Firenze e la Toscana, Maschietto Editore, Firenze, 2006. F. Canali,
"Leon Battista Alberti "Camaleonta" e l'idea del Tempio
Malatestiano dalla Storiografia al Restauro, in Il Tempio della Meraviglia, F.
Canali, C. Muscolino, Firenze, 2007. F. Canali, La facciata del Tempio
Malatestiano, in Il Tempio della Meraviglia, F. Canali, C. Muscolino, Firenze,
2007. V. C. Galati, "Ossa" e "illigamenta" nel De Re
aedificatoria. Caratteri costruttivi e ipotesi strutturali nella lettura della
tecnologia antiquaria del cantiere del Tempio Malatestiano, in Il Tempio della
Meraviglia, F. Canali, C. Muscolino, Firenze, 2007 “Il mito dell’Egitto in
Alberti”, in Leon Battista Alberti
teorico delle arti e gli impegni civili del “De re aedificatoria”, Atti dei
Convegni internazionali di studi del Comitato Nazionale per le celebrazioni
albertiane, Mantova, 17-19/10/2002-23-25/10/2003, Arturo Calzona, Francesco
Paolo Fiore, Alberto Tenenti, Cesare Vasoli, Firenze, Olschki, 2007, :
978-88-222-5605-8. Alberti e la cultura del Quattrocento, Atti del Convegno
internazionale di Studi, (Firenze, Palazzo Vecchio, Salone dei Dugento,
16-17-18 dicembre 2004), R. Cardini e M. Regoliosi, Firenze, Edizioni
Polistampa, 2007. AA.VV, Brunelleschi, Alberti e oltre, F. Canali, «Bollettino
della Società di Studi Fiorentini», 16-17, 2008. F. Canali, R Tracce albertiane
nella Romagna umanistica tra Rimini e Faenza, in Brunelleschi, Alberti e oltre,
F. Canali, «Bollettino della Società di Studi Fiorentini», 16-17, 2008. V. C. Galati,
Riflessioni sulla Reggia di Castelnuovo a Napoli: morfologie architettoniche e
tecniche costruttive. Un univoco cantiere antiquario tra Donatello e Leon
Battista Alberti?, in Brunelleschi, Alberti e oltre, F. Canali, «Bollettino
della Società di Studi Fiorentini», 16-17, 2008. F. Canali, V. C. Galati, Leon
Battista Alberti, gli 'Albertiani' e la Puglia umanistica, in Brunelleschi,
Alberti e oltre, F. Canali, «Bollettino della Società di Studi Fiorentini»,
16-17, 2008. G. Morolli, Alberti: la triiplice luce della pulcritudo, in
Brunelleschi, Alberti e oltre, F. Canali, «Bollettino della Società di Studi
Fiorentini», 16-17, 2008. G. Morolli, Pienza e Alberti, in Brunelleschi,
Alberti e oltre, F. Canali, «Bollettino della Società di Studi Fiorentini», 16-17,
2008. Christoph Luitpold Frommel, Alberti e la porta trionfale di Castel Nuovo
a Napoli, in «Annali di architettura» n° 20, Vicenza 2008 leggere l'articolo;
Massimo Bulgarelli, Leon Battista Alberti, 1404-1472: Architettura e storia,
Electa, Milano 2008; Caterina Marrone, I segni dell'inganno. Semiotica della
crittografia, Stampa Alternativa&Graffiti, Viterbo ; Pierluigi Panza,
“Animalia: La zoologia nel De Re Aedificatoria", Convegno 29-30 marzo 2008
Facoltà di Architettura Civile, Milano, in Albertiana, 13, 87-100, 1126-9588 S. Borsi, Leon Battista Alberti e
Napoli, Firenze, . V. Galati, Il Torrione quattrocentesco di Bitonto dalla
committenza di Giovanni Ventimiglia e Marino Curiale; dagli adeguamenti ai dettami
del De Re aedificatoria di Leon Battista Alberti alle proposte di Francesco di
Giorgio Martini in Defensive Architecture of the Mediterranean XV to XVIII
centuries, G. Verdiani,, Firenze, , III. V. Galati, Tipologie di Saloni per le
udienze nel Quattrocento tra Ferrara e Mantova. Oeci, Basiliche, Curie e
"Logge all'antica" tra Vitruvio e Leon Battista Alberti nel
"Salone dei Mesi di Schifanoia a Ferrara e nella "Camera Picta"
di Palazzo Ducale a Mantova, in Per amor di Classicismo, F. Canali «Bollettino
della Società di Studi Fiorentini», 24-25, . S. Borsi, Leon Battista, Firenze,
. Roberto Rossellini gli ha dedicato un film- documentario per la TV nel 1973,
intitolato "L'età di Cosimo dei Medici" (88'). Architettura rinascimentale Rinascimento
fiorentino Rinascimento riminese Rinascimento mantovano Medaglia di Leon
Battista Alberti Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una
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Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Leon Battista Alberti, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Leon Battista Alberti, su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Leon Battista Alberti, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Leon Battista
Alberti, su MacTutor, University of St Andrews, Scotland. Opere di Leon Battista Alberti, su Liber
Liber. Opere di Leon Battista Alberti,
su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Leon Battista Alberti, . su Leon
Battista Alberti, su Les Archives de littérature du Moyen Âge. Leon Battista
Alberti, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. La
aggiornata degli studi albertiani dal 1995 in poi, e le informazioni più
recenti sulla ricerca albertiana, su alberti.wordpress.com. Il sito della
Société Internationale Leon Battista Alberti, su silba-online.eu. Biografia
breve, su imss.fi.it. Fondazione Centro Studi Leon Battista AlbertiMantova, su
fondazioneleonbattistaalberti.it. Momus, (testo in latino, Roma 1520),
facsimile, progetto Europeana agent/base/
Identitieslccn-n79005570 Architettura
Architettura Biografie Biografie
Crittografia Crittografia Letteratura Letteratura Matematica Matematica Categorie: Architetti italiani del
XV secoloScrittori italiani del XV secoloMatematici italiani Professore1404
1472 14 febbraio 25 aprile Genova RomaPersonalità commemorate nella Basilica di
Santa CroceLeon Battista AlbertiAlberti (famiglia)Personaggi della Camera degli
SposiUomini universaliArchitetti alla corte dei GonzagaArchitetti alla corte
degli EstensiArchitetti rinascimentaliTeorici dell'architettura italianiTeorici
dell'arteArtisti di scuola fiorentinaCrittografi italianiTeorici della musica
italianiUmanisti italianiStudenti dell'BolognaDrammaturghi italianiMembri
dell'Accademia neoplatonica. Refs.: Luigi
Speranza, "Grice ed Alberti," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
albertini: mario
albertini (n. Pavia), filosofo. Professore di filosofia presso Pavia, ha sostenuto un progetto di
unione federalista per l'Europa alla guida del Movimento Federalista Europeo e
della Unione dei Federalisti Europei. Nel
1945 aderì al Movimento federalista europeo che era stato fondato due anni
prima a Milano da Altiero Spinelli. Di idee liberali, lasciò tuttavia il
Partito Liberale dopo la decisione di quest'ultimo di appoggiare la monarchia
nel referendum del 1946. Dopo la laurea in filosofia nel 1951, divenne docente
di Storia contemporanea, Dottrina dello Stato, Scienza della Politica e Filosofia
della politica presso l'Pavia. Divenne stretto collaboratore di Altiero
Spinelli nel 1953. In seguito alla sconfitta sul progetto di Esercito Europeo,
la CED, e alle dimissioni di Spinelli, lo sostituì alla guida del Movimento
Federalista Europeo. Nel 1959 a Milano con un gruppo di militanti del Movimento
federalista europeo fondò Il Federalista che viene attualmente pubblicato in
inglese ed italiano e si occupa del dibattito sui temi di fondo del
federalismo. Diresse il Mfe italiano dal
1966 e fu Presidente dell'Unione dei Federalisti Europei dal 1975 al 1984. È
poi rimasto come figura di riferimento e d'indirizzo all'interno del Mfe fino
alla fine, nel 1997. A livello teorico, fin dalle pagine taglienti e polemiche
su Lo Stato nazionale, sosteneva, sulla scia di Einaudi, che a furia di voler
custodire una sterile sovranità, gli Stati nazionali europei erano ridotti a
"polvere senza sostanza". Da lì l'esigenza di guardare
all'unificazione europea come alla medicina d'urto indispensabile. Note
Morto Mario Albertini maestro di federalismo, articolo di Arturo
Colombo, Corriere della Sera, Archivio storico.
Lo Stato nazionale, 1960; La politica, Giuffré, 1963; Il federalismo e
lo stato federale, Giuffré, 1963; Che cos'è il federalismo, 1963; L'integrazione
europea, 1965; Proudhon, Vallecchi, 1974; Tutti gli scritti, Nicoletta Mosconi,
9 voll., il Mulino, 2006-. Altiero
Spinelli Movimento Federalista Europeo Unione dei Federalisti Europei Centro studi sul federalismo: perspectives on
federalism , su on-federalism.eu. Il Federalista: "Mario Albertini teorico
e militante" di Nicoletta Mosconi [collegamento interrotto], su
thefederalist.eu. Centro studi sul federalismo: Opere di Mario Albertini, su
csfederalismo.it. 13 ottobre 26
settembre ). Youtube: 1985 Mario Albertini commenta la manifestazione
federalista di Piazza Duomo, su youtube.com. V D M Logo MFE.svg Federalismo
europeo Flag of Europe.svg Filosofia Politica
Politica Filosofo del XX secoloPolitici italiani del XX secoloInsegnanti
italiani Professore1919 1997 23 febbraio 20 gennaio Pavia Paederalisti
alderotti: Taddeo Alderotti
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sull'uso delle fonti. Taddeo Alderotti
Taddeo Alderotti (Firenze), filosofo. Scienziato e filosofo erudito, scrisse
per l'amico e protettore Corso Donati, uno dei primi testi di medicina in
lingua volgare, il Della conservazione della salute. Il più conosciuto medico
del Medioevo, tanto da meritarsi una citazione nel XII canto del Paradiso di
Dante, Taddeo Alderotti insegnò all'Bologna dal 1260, applicando, durante le
sue lezioni di medicina, un innovativo metodo scolastico. Taddeo Alderotti
iniziava la lezione con una lectio o expositio di un passo tratto da un testo
autorevole (di Ippocrate, Galeno, Avicenna, ecc.). Procedeva poi per
quaestiones con riferimento alle quattro cause aristoteliche: causa materiale
(la materia della trattazione), causa formale (la sua forma espositiva), causa
efficiente (l'autore dell'opera), causa finale (il fine o lo scopo
dell'argomento prescelto). A questo punto il maestro formulava una serie di
dubia, cui facevano seguito i momenti euristici della disputatio ed, infine,
della solutio. Taddeo Alderotti all'ateneo bolognese ebbe come discepolo il
celebre anatomista Mondino de Luzzi.
Dante lo citò nel Paradiso (XII, 83), ma anche in modo dispregiativo nel
Convivio (I, x 10). Ivi si legge: «Temendo che 'l volgare non fosse stato posto
per alcuno che l'avesse laido fatto parere, come fece quelli che transmutò lo
latino de l'Eticaciò fu Taddeo ipocratistaprovidi». Altri progetti Collabora a Wikisource
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Alderotti Taddeo Alderotti, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere di Taddeo Alderotti, Filosofi.
alemanno: Yōḥānān ben Yitshaq Alemanno (n. Mantova), filosofo. Ebreo
di origini francesi, nacque a Mantova ma visse e studiò a Firenze, insegnò in
varie città italiane e risiedette presso la corte di Mantova. Nel 1488 tornò
nella città toscana ove rimase sino al 1497.
Fu insegnante di lingua ebraica per alcuni umanisti italiani, tra cui
Giovanni Pico della Mirandola, e fu confidente di Lorenzo il Magnifico. Pensiero Per la nascita di una nuova nazione
ebraica Alemanno sosteneva la necessità di fondare gli ideali politici sullo
studio della retorica e della lingua delle Sacre Scritture Nel suo Commento al Cantico dei Cantici,
dedicato nel 1488 a Pico della Mirandola, la figura di re Salomone era presentata
come la depositaria di tutta la scienza che da lui si era trasmessa alla
civiltà greca antica ma, a causa delle scienze pagane e cristiane, l'integrità
della cultura ebraica era poi andata persa e da qui la punizione divina
dell'esilio per la perdita del popolo ebraico della sua identità nazionale.
Occorreva quindi rifarsi allo studio della tradizione filosofica classica in
cui era confluita quella ebraica, per ricostruire la cultura nazionale
ebraica. Opere Ḥēsheq Shelōmōh,(L'amore
di Salomone), commento storico al Cantico dei Cantici ‛Ēnē ha-'Ēdāh, (Gli occhi della Congrega),
commento filosofico-cabalistico al Pentateuco
Ḥay hā-‛Ōlāmīm, (L'immortale), opera mistica Note
Moshe Idel, Cammini verso l'alto nella mistica ebraica, Milano, Jaca
Book, 197. Fonte: Enciclopedie on line,
riferimenti in . F. Lelli, Umanesimo
laurenziano nell'opera di Yohanan Alemanno in I. Zatelli e D. Liscia Bemporad ,
La cultura ebraica nell'epoca di Lorenzo il Magnifico, Firenze 1998, 49-67
Eliyyah Ḥayim ben Binyamin (of Genazzano), אגרת חמודות, Casa Editrice
Giuntina, 2002 passim Fonte:
Enciclopedia Italiana, riferimenti in .
V. Cassuto, Gli ebrei a Firenze, Firenze 1918301 e sgg. Umberto Cassuto, «ALEMANNO, Yōḥānān», in
Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1929. il 26 giugno . «Alemanno, Yōḥānān», la voce in Enciclopedie on
line, sito "Treccani.it L'Enciclopedia italiana". il 26 giugno Filosofia Filosofo ProfessoreMantovaEbrei
italiani
alfieri: vittorio Enzo Alfieri (n. Parma), filosofo -- allievo diCroce.
Nato a Parma, visse la maggior parte della sua vita a Milano ove si laureò in filosofia
e insegnò storia della filosofia alla Bocconi, per poi continuarne
l'insegnamento presso l'Pavia. Allievo
di Piero Martinetti e di Benedetto Croce, di cui condivideva l'ideologia
liberale e il pensiero filosofico, ma anche gentiliano non ortodosso secondo la
definizione di Ugo Spirito, fu un oppositore del regime fascist che lo arrestò
una prima volta nell'aprile del 1928 quando a Milano scoppiò una bomba
all'ingresso della Fiera che fece sospettare che si trattasse di un fallito
attentato al Re. Alfieri fu incarcerato a San Vittore assieme a Ugo La Malfa,
Umberto Segre e Mario Vinciguerra. Fu liberato senza processo tre mesi dopo per
l'interessamento di Benedetto Croce che tramite Marinetti aveva fatto
intervenire Mussolini. Il secondo
arresto, per la scoperta di lettere ritenute compromettenti dalla censura
fascista, avvenne nel 1936. Alfieri fu scarcerato dopo quindici giorni per
l'intervento diretto di Gentile ma dovette lasciare entro due giorni
l'insegnamento a Modena e trasferirsi a Milano dove riuscì a sopravvivere
grazie all'aiuto di amici e di parenti che lo ospitarono. A Milano ottenne il primo incarico
universitario presso la facoltà di Lingue della Bocconi dove rimase per 13 anni
fino al suo trasferimento a Pavia per la docenza di storia della
filosofia. Suoi amici, «maestri e
testimoni di libertà», come lui stesso li definì, oltre a Croce, furono
Giuseppe Prezzolini, Giuseppe Lombardo Radice, Francesco Flora, Pilo
Albertelli, il giovane professore ucciso alle Fosse Ardeatine e, tra i più
vicini e affezionati, Giovanni Spadolini.
Fortemente critico nei confronti del movimento sessantottino e impegnato
attivamente per le riforme della scuola, Alfieri è stato il fondatore del
"Movimento per la libertà e la riforma dell'università italiana" e
del "Comitato nazionale per la difesa della scuola", e presidente
dell'"Associazione amici dell'Gerusalemme". Negli anni 1937-1938 collaborò alla rivista
L'Italia che scrive che ancora in quel periodo riusciva a mantenere una certa
autonomia nei confronti del fascismo. Monarchico, iscritto al Partito Liberale
Italiano; nel dopoguerra si avvicinò agli ambienti della destra, aderendo al
Sindacato Libero Scrittori Italiani e collaborando con la casa editrice di
Giovanni Volpe e con la rivista Intervento di Fausto Gianfranceschi. Negli anni
'70 fu collaboratore culturale per la filosofia de Il Giornale diretto da Indro
Montanelli. Tra le sue opere di
filosofia vanno annoverati saggi sulla filosofia greca, La tristezza di Pindaro
(1928), Lucrezio (1929), Gli atomisti (1929), e opere di estetica, L'estetica
dall'Illuminismo al Romanticismo (1956).
Ad Alfieri, oltre ad un suo epistolario con Croce, si devono due libri
di memorie autobiografiche (Maestri e testimoni di libertà e Nel nobile
castello, entrambe del 1976) dove sono originalmente ritratti personaggi della
vita culturale e politica italiana da Croce a Tommaso Gallarati Scotti, da
Filippo Jacini a Alessandro Casati, a Francesco Flora. Note
Antonio Troiano, I 90 anni dell'ultimo allievo di Benedetto Croce, in
Corriere della Sera, 10 maggio 199648.
Massimo Ferrari, Piero Martinetti e Antonio Banfi, in Il Contributo
italiano alla storia del PensieroFilosofiaTreccani.it, . Alessandra Tarquini, Gli sviluppi della
scuola di Gentile: da Armando Carlini a Ugo Spirito, in Croce e
GentileTreccani.it, . Andrea Mariuzzo,
La Scuola Normale di Pisa negli anni Trenta, in Croce e GentileTreccani.it,
. Marcello Veneziani, 68 pensieri sul
'68: un trentennio di sessantottite visto da destra, Firenze, Loggia de' Lanzi,
199846. Michele d'Elia, Monarchici e
partito, su Italia Reale.it. Benedetto
Croce, Vittorio Enzo Alfieri, Lettere a Vittorio Enzo Alfieri (1925-1952),
Milazzo, Edizioni Spes, 1986. Aldo
Garosci, Nel nobile castello, in Tempo presente, n. 69-70, settembre-ottobre
1986, 115-119. Forum in occasione del
novantesimo compleanno di Vittorio Enzo Alfieri, in Rendiconti, parte generale
e atti ufficiali, 130, 1996, 110-140. Maria Luisa Cicalese, Vittorio Enzo
Alfieri maestro di studi e di vita, in Nuova Antologia, n. 2204,
ottobre-dicembre 1997, 333-341. Vittorio
Enzo Alfieri: maestro e testimone di libertà: atti del Convegno, Cremona, 22
novembre 1997, Cremona, Circolo Culturale Benedetto Croce, 1998. Margherita
ardi Parente, Vittorio Enzo Alfieri e il nobile castello, in Belfagor, n. 2,
marzo 1998, 206-207. Altri progetti
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Alfieri Filosofia Filosofo del XX secoloAntifascisti italiani Parma
PeioAccademici italiani del XX secoloStudenti dell'Università degli Studi di
MilanoProfessori dell'Università commerciale Luigi BocconiProfessori
dell'Università degli Studi di Pavia
alsonso: «Un temperamento di spirito positivo e di
evoluzionismo idealistico, che attesta l’origine del suo metodo e la serietà
dei suoi studi, ma che dimostra pure quanto egli si sia discostato
dall’indirizzo del Vera e dello Spaventa per accostarsi a quella che fu
chiamata la sinistra hegeliana» (Luigi Ferri). Nicolò Angelo Raffaele
d'Alfonso (n. Santa Severina), filosofo. Autore di 67 pubblicazioni
scientifiche e di numerosi articoli su riviste letterarie e quotidiani, alcuni
dei quali sulla Calabria e sui personaggi delle tragedie di William
Shakespeare, che gli fecero guadagnare l’attenzione internazionale per
l’approccio singolare alle opere del grande drammaturgo inglese. Nato
a Santa Severina il 17 agosto 1853 da una famiglia di proprietari terrieri,
molto giovane si dedicò all'approfondimento delle Sacre Scritture, grazie ai
due fratelli del padre, don Michele e don Francesco d'Alfonso, entrambi
canonici del Capitolo metropolitano della Cattedrale; questi studi, parte dei
quali furono pubblicati con il titolo Le donne dei Vangeli (Firenze, Successori
Le Monnier, 1881), manifestano un approccio positivista sull'analisi del testo
biblico. Terminati gli studi nel suo paese natale si trasferì a
Catanzaro, dove fu allievo del letterato e patriota rocchitano Vincenzo
Gallo-Arcuri; frequentò poi il Liceo Ginnasio "Pasquale Galluppi",
conseguendo la licenza ginnasiale. Ottenne in seguito la licenza liceale con
lode al Liceo classico del Convitto nazionale "Vittorio Emanuele II"
di Napoli, che gli fece valere, su concessione del Ministero della Pubblica
Istruzione, la possibilità di iscriversi contemporaneamente alle facoltà di
Medicina e di Lettere e Filosofia presso la Regia Napoli. Alla facoltà di
Filosofia, dove, allievo di Francesco De Sanctis, Augusto Vera e Bertrando
Spaventa, ottenne vari riconoscimenti. Nel 1879 conseguì entrambe le
lauree in Medicina e Chirurgia e Filosofia, a soli tre mesi di distanza l'una
dall'altra. Nel 1881 l'Accademia dei Lincei gli assegnò il Premio Reale per le
Scienze filosofiche e morali, consistente in 4.000 lire, per lo studio dal
titolo Kant. I suoi antecessori e i suoi successori. Su espressa volontà
del padre fece ritorno a Santa Severina, dove esercitò la professione di medico
condotto; ma la passione per la filosofia e l'insegnamento prevalse e partecipò
ai concorsi a cattedra per i licei, iniziando a insegnare Filosofia in Sicilia
(Caltanissetta, Messina e Catania). Da questa esperienza di insegnamento
cominciarono ad evidenziarsi sempre di più le sue qualità didattiche, tant'è
che il ministro della Pubblica Istruzione Paolo Boselli lo convocò a Roma per
affidargli la cattedra di Filosofia nei licei della Capitale: prima al Liceo
Ginnasio "Umberto I" (dove insegnò dal 1889 al 1909) e poi
al Liceo "Ennio Quirino Visconti". Nello stesso periodo cominciò
a collaborare con le più importanti riviste letterarie, tra cui il Nuovo Convito,
la Rivista d’Italia, la Rivista moderna politica e letteraria, la Rivista
italiana di filosofia, la Nuova Antologia, L’Educazione, la Rivista italiana di
Sociologia, la Rivista di filosofia e scienze affini e con diversi quotidiani,
tra cui L'Osservatore Romano. Nel 1890 fu chiamato dal ministro della
Pubblica Istruzione Paolo Boselli ad insegnare Pedagogia e Filosofia
all'Istituto Superiore Femminile di Magistero, dove, in seguito a concorso,
divenne Professore dal 1903 al 1923. Ebbe come colleghi Luigi Pirandello, Maria
Montessori e Luigi Capuana. Durante i trantaquattro anni di insegnamento al
Magistero, fu relatore di oltre trecento tesi. Per il Dizionario illustrato di
Pedagogia, curato da Luigi Credaro e Antonio Martinazzoli, redasse la voce Istituti
Superiori femminili di Magistero. Dal 1896 fu anche libero docente di Filosofia
teoretica alla Regia Roma, dove insegnò ininterrottamente fino al 1933, anno
della sua morte. All'insegnamento affiancò sempre una prolifica attività
di scrittore, pubblicando complessivamente sessantatré opere, recensite in
Italia e all'estero, che spaziano dai temi dell'educazione e della morale
all'economia politica, dagli studi sull'ambiente e sulle foreste all'analisi
criminologica dei personaggi shakespeariani. Il suo Sommario delle lezioni di
pedagogia generale (Loescher, 1912) fu giudicato dalla Reale Accademia dei
Lincei «frutto d'amorosa meditazione e di mente abituata alla ricerca e alla
costruzione filosofica, che esce dai confini degli ordinari trattati di pedagogia
per elevarsi ad una sintesi mentale superiore». Nel 1911 tenne la
prolusione all'Universal Congress of Races di Londra, che fu poi pubblicata col
titolo Speculative psichology and the unity of races (E. Loescher & Co,
1911), mentre nel 1913 fu membro del VI Congrès international du progrès
religieux a Parigi. Fu consulente medico della Real Casa d'Italia durante il
regno di Umberto I e del Palazzo Apostolico Vaticano sotto il pontificato di
Benedetto XV. Nicolò d'Alfonso mai volle aderire ad alcuna corrente
filosofica e politica, e fu fortemente avversato dal ministro della Pubblica
Istruzione Giovanni Gentile,che decise di mandarlo anzitempo in pensione con un
provvedimento ad personam: si trattava del Regio Decreto n. 736 del 13 marzo
1923, all'interno della Riforma Gentile, che anticipava, per i soli professori
del Magistero, il collocamento a riposo al compimento del settantesimo anno
anziché al settantacinquesimo, come per gli altri docenti universitari. Il suo
posto fu immediatamente occupato da Giuseppe Lombardo Radice, amico e allievo
prediletto di Gentile. Anche Benedetto Croce intervenne nella vicenda in favore
di d'Alfonso, chiedendo a Gentile una deroga a tale decreto, ottenendo però
risposta negativa. Nicolò d'Alfonso morì a Roma il 29 novembre 1933. La
salma fu portata sulla carrozza della Real Casa e seppellita nel Cimitero
monumentale del Verano. Il paese natale, Santa Severina, gli ha
intitolato una via del centro storico e la Scuola elementare. Opere
principali Le donne dei Vangeli, Firenze, Successori Le Monnier, 1881 Sonno e
sogni, Milano-Roma, E. Trevisini, 1891 Principii di logica reale, Roma, G. B.,
Paravia & C., 1894 Il re Lear, Roma, Società editrice Dante, Alighieri,
1900 La dottrina dei temperamenti nell'antichità e ai nostri giorni, Roma,
Società editrice Dante, Alighieri, 1902 Lezioni elementari di psicologia
normale, Torino, Fratelli Bocca editori, 1904 Pregiudizi sull'eredità
psicologica (genio,delinquenza, follia), Roma, Società editrice Dante
Alighieri, 1904 I limiti dell'esperimento in psicologia, Roma, Casa editrice E.
Loescher, 1904 Sommario delle lezioni di filosofia generale (la filosofia come
economia), Roma, Casa editrice E. Loescher, 1905 Lo spiritismo secondo
Shakespeare, E. Loescher & C., 1905 Sommario delle lezioni di Psicologia
criminale. Critica delle dottrine criminali positiviste, Roma, Casa editrice E.
Loescher, 1907 Il Cattolicismo e la filosofia, Roma, Casa editrice E. Loescher,
1908 Otello delinquente, Casa libraria editrice E. Loescher e C. 1910 Speculative
psychology and the unity of races, a paper read at the Ist Universal Congress
of Races, held in London (26-29 July 1911), Roma, Casa editrice E. Loescher,
1911 Sommario delle lezioni di pedagogia generale (L'educazione come economia),
Roma, Casa editrice E. Loescher, 1912 Note psicologiche, estetiche e criminali
ai drammi di G. Shakespeare (Macbeth, Amleto, Re Lear, Otello), Milano, Società
Editrice Libraria, 1914 Principi naturali di Economia Politica, Roma,
Athenaeum, 1923 Gli alberi e la Calabria dall'antichità a noi, Roma, Angelo
Signorelli editore, 1926 La disoccupazione: cause e rimedi, Torino, Fratelli
Bocca editori, 1932 Note Nicolò
d'AlfonsoIl del Sud Furio Pesci, Pedagogia capitolina.
L'insegnamento della pedagogia nel Magistero di Roma dal 1872 al 1955, Parma,
Ricerche pedagogiche, 1994 Francesco
d'Alfonso, Nicolò d'Alfonso. Ritratto di un intellettuale indipendente,
Bisignano, Apollo edizioni, , pag. 42 Francesco
d'Alfonso, Nicolò d'Alfonso, cit., pag. 43
Attilio Gallo-Cristiani, In memoria del filosofo Nicolò d'Alfonso, Roma,
A. Signorelli editore, 1934 La vicenda
del pensionamento di Nicolò d'Alfonso è ricostruita e ampiamente documentata in
Nicolò d'Alfonso. Ritratto di un intellettuale indipendente, cit., cap. V Francesco d'Alfonso, L'onesto solitario. Vita
e opere del filosofo Nicolò d'Alfonso, Reggio Calabria, Città del Sole
edizioni, Francesco d'Alfonso, Nicolò
d'Alfonso. Ritratto di un intellettuale indipendente, Bisignano, Apollo Edizioni, Francesco d'Alfonso , Amleto e Ofelia. La
critica shakespeariana negli scritti di Nicolò d'Alfonso, Reggio Calabria,
Città del Sole edizioni, Furio Pesci,
Pedagogia capitolina. L'insegnamento della pedagogia nel Magistero di Roma dal
1872 al 1955, Parma, Ricerche pedagogiche, 1994 Attilio Gallo Cristiani, In
memoria del filosofo Nicolò d'Alfonso, Roma, A. Signorelli editore, 1994
Mariantonella , Giovanni Marchesini e la «Rivista di filosofia e scienze
affini», Franco Angeli Daniele Macris,
Nicolò d'Alfonso: uno studio introduttivo, in Quaderni Siberenensi, Catanzaro,
Ursini, 2001 Francesco De Luca, Santa Severina. L'antica Siberene, Pubblisfera
edizioni, 2008 Antonio Testa, La critica letteraria calabrese nel novecento, L.
Pellegrini editore, 1968 Silvio Bernardo, Santa Severina dai tempi più remoti
ai nostri giorni, Istituto editoriale del Mezzogiorno, 1960 Santa Severina Università La Sapienza di Roma
Accademia dei Lincei Liceo classico Pilo Albertelli Filosofia Istruzione Istruzione Letteratura Letteratura Medicina Medicina Filosofo del XIX secoloFilosofi
italiani del XX secoloPedagogisti italianiMedici italiani 1853 1933Santa
Severina RomaInsegnanti italiani del XIX secoloInsegnanti italiani del XX
secoloScrittori italiani del XIX secoloScrittori italiani del XX secoloStudenti
dell'Università degli Studi di Napoli Federico IIProfessori della
SapienzaRomaPositivismoSepolti nel cimitero del Verano
alethic: Grice could not
find a good word for ‘verum,’ and so he borrowed ‘alethic’ from, but never
returned it to, von Wright. Under the alethic modalities, Grice, as
historically, included the four central ways or modes in which a given
proposition might be true or false: necessity, contingency, possibility, and
impossibility. The term ‘alethic’ derives from Grecian aletheia, ‘truth’. These
modalities, and their logical interconnectedness, can be characterized as
follows. A proposition that is true but possibly false is contingently true
e.g., that Aristotle taught Alexander; one that is true and not-possibly i.e.,
“impossibly” false is necessarily true e.g., that red things are colored.
Likewise, a proposition that is false but possibly true is contingently false
e.g., that there are no tigers; and one that is false and not-possibly true is
necessarily false e.g., that seven and five are fourteen. Though any one of the
four modalities can be defined in terms of any other, necessity and possibility
are generally taken to be the more fundamental notions, and most systems of
alethic modal logic take one or the other as basic. Distinct modal systems
differ chiefly in regard to their treatment of iterated modalities, as in the
proposition It is necessarily true that it is possibly true that it is possibly
true that there are no tigers. In the weakest of the most common systems,
usually called T, every iterated modality is distinct from every other. In the
stronger system S4, iterations of any given modality are redundant. So, e.g.,
the above proposition is equivalent to It is necessarily true that it is
possibly true that there are no tigers. In the strongest and most widely
accepted system S5, all iteration is redundant. Thus, the two propositions
above are both equivalent simply to It is possibly true that there are no
tigers.
alexanderian: s.– what Grice
called “A Balliol hegelian,” philosopher, tuteed at Balliol by A. C. Bradley,
Oxford, and taught for most of his career at the of Manchester. His aim, which he most fully
realized in Space, Time, and Deity 0, was to provide a realistic account of the
place of mind in nature. He described nature as a series of levels of existence
where irreducible higher-level qualities emerge inexplicably when lower levels
become sufficiently complex. At its lowest level reality consists of
space-time, a process wherein points of space are redistributed at instants of
time and which might also be called pure motion. From complexities in
space-time matter arises, followed by secondary qualities, life, and mind.
Alexander thought that the still-higher quality of deity, which characterizes
the whole universe while satisfying religious sentiments, is now in the process
of emerging from mind.
alexanderian: related to
Alexander de Aphrodisias: ““Alexander of Aphrodisias” should not be confused
with Samuel Alexander, a fellow of Bradley, even if they are next in your
philosophical dictionary!”Grice. Grecian philosopher, one of the foremost
commentators on Aristotle in late antiquity. He exercised considerable
influence on later Grecian and Roman philosophy through to the Renaissance. On
the problem of universals, Alexander endorses a brand of conceptualism:
although several particulars may share a single, common nature, this nature
does not exist as a universal except while abstracted in thought from the
circumstances that accompany its particular instantiations. Regarding
Aristotle’s notorious distinction between the “agent” and “patient” intellects
in On the Soul III.5, Alexander identifies the agent intellect with God, who,
as the most intelligible entity, makes everything else intelligible. As its own
self-subsistent object, this intellect alone is imperishable; the human
intellect, in contrast, perishes at death. Of Alexander’s many commentaries,
only those on Aristotle’s Metaphysics Ad, Prior Analytics I, Topics, On the
Senses, and Meterologics are extant. We also have two polemical treatises, On
Fate and On Mixture, directed against the Stoics; a psychological treatise, the
De anima based on Aristotle’s; as well as an assortment of essays including the
De intellectu and his Problems and Solutions. Nothing is known of Alexander’s
life apart from his appointment by the emperor Severus to a chair in
Aristotelian philosophy between and
209.
algarotti: Grice:
“Nobody can fail to be enchanted by the drawing by Richardson of Algarotti!” --
essential Italian philosopher. Grice: “I don’t have a monicker, but Algarotti
had two: il cigno di Padova and il Socrate veneziano. Il conte Francesco Algarotti
(n. Venezia) filosofo, poeta. Spirito illuminista, erudito dotato di conoscenze
che spaziavano dal newtonianismo all'architettura, alla musica, era amico delle
personalità più grandi dell'epoca: Voltaire, Jean-Baptiste Boyer d'Argens,
Pierre Louis Moreau de Maupertuis, Julien Offray de La Mettrie. Tra i suoi
corrispondenti vi erano Lord Chesterfield, Thomas Gray, George Lyttelton,
Thomas Hollis, Metastasio, Benedetto XIV, Heinrich von Brühl, Federico II di
Prussia. Saggi, 1963 (testo completo) Nacque a Venezia, da una
famiglia di commercianti. Dopo un primo periodo di studio a Roma, dove poté
studiare sotto la guida del Lodoli, continuò gli studi a Bologna, dove affrontò
le diverse discipline scientifiche nella loro vastità, soprattutto l'astronomia
sotto la guida di Eustachio Manfredi e di Francesco Maria Zanotti. Si trasferì
a Firenze per completare la propria preparazione letteraria. Iniziò a
viaggiare per l'Europa, raggiungendo Parigi, città nella quale ebbe modo di
conoscere diverse autorevoli personalità. Ad esse poté presentare il
proprio Newtonianismo per le dame, piccola opera di divulgazione scientifica
brillante ispirata al lavoro dello scrittore francese Bernard le Bovier de
Fontenelle. L'opera fu prima apprezzata, e poi denigrata da Voltaire, che dal
lavoro del suo Caro cigno di Padova — come era solito appellarlo — trasse
alcuni temi dei suoi Elementi della filosofia di Newton. Voltaire e Algarotti
si erano conosciuti personalmente a Cirey nello stesso periodo in cui
l'italiano preparava il saggio Dopo il periodo trascorso in Francia,
Algarotti si recò in Inghilterra, per soggiornare per qualche tempo a Londra, dove
fu accolto nella Royal Society, prestigiosa accademia scientifica. Tornato in
Italia si poté dedicare alla pubblicazione del Newtonianesimo e subito dopo
partì. Dopo un breve ritorno a Londra, andò a visitare alcune zone della Russia
(fermandosi in particolare a San Pietroburgo) e della Prussia. Dice il De
Tipaldo, nelle sue biografie degli italiani illustri: "Quando Federico si
recò a Königsberg a incoronarsi, l'Algarotti si trovò in mezzo gli applausi e
il giubilo di quella potente e valorosa nazione misto e confuso coi principi
della famiglia reale, e stette nel palco col re, spargendo al popolo sottoposto
le monete con l'immagine di Federico. Fu in tale congiuntura che questi conferì
a lui, quanto al fratello Bonomo e ai discendenti della famiglia Algarotti, il
titolo di conte, meno vano quando è premio del sapere, e dal 1747 lo fece suo
ciambellano e cavaliere dell'ordine del merito, mentr'era alla corte di Dresda
col titolo di consigliere intimo di guerra. Dal momento che Algarotti conobbe
Federico sino alla sua morte, cioè pel corso di venticinque anni, né
l'amicizia, né la stima del re, né la gratitudine, la devozione e il sincero
affetto del cortigiano vennero meno, né soffersero mai alcuna
alterazione." Secondo il De Tipaldo, l'amicizia fra i due era estesa anche
alla sfera più intima; dice infatti: "…lo volle non solo a compagno degli
studi e dei viaggi, ma altresì dei suoi più segreti piaceri, essendoché della
corte di Potsdam, ora egli faceva un Peripato, ed ora la convertiva in un tempio
di Gnido"il che significa: in un tempio di Venere. Trascorse alla
corte del re oltre un decennio, per fare ritorno nel paese natale. Utilizzò la
propria influenza anche a favore degli "oppositori" filosofici come
Gregorio Bressani Il resto della vita lo trascorse tra Venezia e Bologna per
fermarsi a Pisa, dove morì all'età di cinquantatré anni mentre preparava la
pubblicazione di tutte le sue opere, fra cui Lettere sulla Russia e Il
Congresso di Citera, un romanzo dedicato ai costumi galanti e amorosi rivisitati
secondo quanto osservato nelle diverse nazioni in cui aveva soggiornato.
Malato di tubercolosi, a Pisa col diletto amico Mauro Antonio Tesi, chiamato
"Maurino", si preparò alla morte; come epitaffio, volle Algarottus,
sed non omnis. Malignamente, l'abate Galiani notò che questo era epitaffio più
di evirato cantore che di dotto. Fu sepolto nel camposanto di Pisa, in un
monumento disegnato dall'illustre architetto Carlo Bianconi e dallo stesso
"Maurino" Tesi in uno stile archeologizzante, tradotto in marmo
dall'allora celebre abate Giovanni Antonio Cybei di Carrara. L'epitaffio è
quello che per lui dettò il re di Prussia: "Algarotto Ovidii aemulo,
Neutoni discipulo, Federicus rex", tranne che gli eredi cambiarono quel
rex in magnus. Commenta il De Tipaldo: "Egli medesimo si era preparato, in
compagnia del Maurino, il disegno del sepolcro e l'epitafio, non già per
orgoglio, ma spinto dal sacro amore delle arti belle, che anche in faccia alla
morte non poteva intiepidirsi nel suo petto." Personalità e influenza
culturale Domenico Michelessi, Memorie intorno alla vita e agli scritti
del conte Francesco Algarotti, 1770 Aperto al progresso e alla conoscenza
razionale, esperto di arti (si prodigò come fautore di Palladio), furispetto
alla scienzaun grande assertore delle teorie di Isaac Newton (sul conto del
quale scrisse uno dei suoi più noti saggi, Il newtonianesimo per le
dame). Viene considerato una sorta di Socrate veneziano e per comprendere
la sua statura di insigne studioso con un'infinita sete di sapere e divulgare è
sufficiente porsi davanti al suo innumerevole campo di interessi. Al di là del
suo ruolo di spicco nell'illuminismo letterario, fu anche un diplomatico e un
procacciatore d'arte. In particolare viaggiò cercando opere d'arte per conto di
Augusto III di Sassonia. È noto che fu Algarotti a comprare a Venezia il
capolavoro di Liotard, il pastello de La cioccolataia, che poi divenne una
delle perle della Galleria di Dresda. Uomo di bell'aspetto, dotato di un
aristocratico naso aquilino (esiste al Rijksmuseum di Amsterdam uno suo
ritratto a pastello, sempre di Liotard, che è riprodotto nell’incipit della
presente voce), l'Algarotti nel Saggio sopra Orazio non perdeva occasione di
far notare come questi fosse ambidestro, e tanto lodava i vantaggi di questa
disposizione, che c'è chi suppone che egli la condividesse col poeta. Ebbe a
scrivere praticamente su tutto, affrontandocon l'acuta attenzione dello
scienziatopressoché ogni aspetto dello scibile umano. Basti ricordare i saggi
che scrisse a proposito della pittura (Sopra la pittura), dell'architettura
(Sopra l'architettura), dell'opera lirica (Sopra l'opera in musica), del
commercio (Sopra il commercio). La tomba di Algarotti al Camposanto
di Pisa.Opera di Giovanni Antonio Cybei Opere Francesco Algarotti, Saggi,
Scrittori d'Italia 226, Bari, Laterza, 1963. 29 giugno . Saggi, Giovanni da
Pozzo, Ediz.Laterza (1963), testo integrale dalla collana digitalizzata
"Scrittori d'Italia" F.Algarotti e S.Bettinelli " Opere "
Ettore Bonora, Milano-Napoli Ricciardi, 1969 Il newtonianismo per le dame,
1737. The International Centre for the History of Universities and Science
(CIS), Bologna, su 137.204.24.205. 13 ottobre
13 giugno ). Il Congresso di Citera, Parigi 1768., su archive.org. Il
Congresso di Citera, note, e commento
Daniela Mangione, Bologna, Millennium, 2003 Viaggi di Russia, Milano, Garzanti,
2006 Poesie, Torino, Nino Aragno editore,
Saggi su Francesco Algarotti: Daniela Mangione, Il demone ben
temperato. Francesco Algarotti tra scienza e letteratura, Italia ed Europa,
Sinestesie, Note Umberto Renda e Piero Operti, Dizionario
storico della letteratura italiana, Torino, Paravia, 195226. Ugo Baldini, BRESSANI, Gregorio, in
Dizionario biografico degli italiani,
14, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1972. Altri progetti
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Algarotti Collabora a Wikiquote Citazionio su Francesco Algarotti Collabora a
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Algarotti Francesco Algarotti, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Algarotti, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Algarotti, su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Francesco Algarotti, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Algarotti, su
Find a Grave. Opere di Francesco
Algarotti, su Liber Liber. Opere di
Francesco Algarotti / Francesco Algarotti (altra versione), su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Francesco Algarotti, . Spartiti o libretti di
Francesco Algarotti, su International Music Score Library Project, Project
Petrucci LLC. Progetto per ridurre a
compimento il Regio Museo di Dresda (1742), su horti-hesperidum.com. Sito
Algarotti dell'Treviri, su algarotti.uni-trier.de. La casa di Francesco
Algarotti è aperta da settembre come
alloggio turistico. Algarotti e Palladio , su cisapalladio.org. Il
newtonianismo per le dame, su google.com. Opere del conte Algarotti, su
google.com. Corrispondenza con Federico II di Prussia (testo francese e
tedesco) V D M Illuministi italiani -- LGBT
LGBT Letteratura Letteratura
Teatro Teatro Categorie: Scrittori
italiani del XVIII secoloSaggisti italiani del XVIII secoloCollezionisti d'arte
italiani Venezia PisaTeorici del restauroIlluministiScrittori trattanti
tematiche LGBTMembri della Royal SocietyViaggiatori italianiMercanti d'arte
italiani. Refs.: Luigi Speranza, "Grice ed Algarotti," per
Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia.
algorithm: Grice’s term for
‘decision procedure,’ a clerical or effective procedure that can be applied to
any of a class of certain symbolic inputs and that will in a finite time and
number of steps eventuate in a result in a corresponding symbolic output. A
function for which an algorithm sometimes more than one can be given is an
algorithmic function. The following are common examples: a given n, finding the
nth prime number; b differentiating a polynomial; c finding the greatest common
divisor of x and y the Euclidean algorithm; and d given two numbers x, y,
deciding whether x is a multiple of y. When an algorithm is used to calculate
values of a numerical function, as in a, b, and c, the function can also be
described as algorithmically computable, effectively computable, or just
computable. Algorithms are generally agreed to have the following
properties which made them essential to
the theory of computation and the development of the Church-Turing thesis i an algorithm can be given by a finite
string of instructions, ii a computation device or agent can carry out or
compute in accordance with the instructions, iii there will be provisions for
computing, storing, and recalling steps in a computation, iv computations can
be carried out in a discrete and stepwise fashion in, say, a digital computer,
and v computations can be carried out in a deterministic fashion in, say, a
deterministic version of a Turing machine.
alici: luigi Alici
Presidente nazionale dell'Azione Cattolica Italiana Durata mandato31 maggio
200527 maggio 2008 Niente fonti! Questa voce o sezione sull'argomento filosofi
italiani non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti.
Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo
le linee guida sull'uso delle fonti. Luigi Alici (Grottazzolina, 14 marzo 1950)
è un filosofo italiano. È stato presidente nazionale dell'Azione Cattolica
Italiana dal 2005 al 2008. Allievo di
Armando Rigobello, ha insegnato Filosofia morale nell'Università degli Studi di
Perugia e Filosofia teoretica presso la LUMSA di Roma. Attualmente è Professore
di Filosofia morale nell'Macerata, nonché titolare degli insegnamenti di
Istituzioni di Filosofia morale, Filosofia morale (corso triennale), Etica
pubblica ed Etica della vita (corso magistrale). È stato presidente del Corso
di laurea in Filosofia (1997-2003), coordinatore del Dottorato di ricerca in
Filosofia e Teoria delle Scienze Umane (2008-), presidente del Presidio di
Qualità di Ateneo (-), direttore della Scuola di Studi Superiori "Giacomo
Leopardi" (-). Studioso dell'opera
di Sant'Agostino, è autore di numerose pubblicazioni dedicate al rapporto tra
interiorità e intenzionalità, comunicazione e azione, libertà e bene, con
particolare attenzione alle tematiche dell'identità personale e della
"reciprocità asimmetrica", esaminate anche sotto il profilo della
loro rilevanza morale. Le sue ricerche più recenti, a partire dai temi della
fragilità e della cura, sono dedicate al rapporto tra natura, tecnologia e
libertà. Impegnato fin da giovane
nell'Azione Cattolica, nel corso degli anni ha ricoperto nell'associazione
numerosi incarichi, prima a livello locale e poi nazionale: dal 1992 al 1998 è
stato responsabile dell'Ufficio studi; dal 2001 al 2005 è stato direttore della
rivista culturale "Dialoghi"; il 24 aprile 2005 è stato eletto
consigliere nazionale dell'associazione dalla XII assemblea nazionale. In
seguito alla designazione del Consiglio nazionale, il 31 maggio 2005 il
Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana lo ha nominato
presidente dell'associazione per un triennio. Il suo mandato è terminato il 27
maggio 2008. È membro dei seguenti
organismi: Consiglio scientifico dell'Istituto per lo studio dei problemi
sociali e politici "Vittorio Bachelet" (Roma); Comitato Scientifico
della Collana di “Filosofia morale” (Vita e Pensiero, Milano); Comitato di
direzione della rivista “Dialoghi” (Roma); Consiglio Scientifico del “Centro di
Etica Generale e Applicata” (Pavia); Comitato scientifico della rivista
“Hermeneutica” (Urbino). Membro del Comitato Scientifico della Fondazione
“Lanza” (Padova, /). Dirige inoltre la sezione di Filosofia della Collana
“Saggi” (La Scuola Editrice, Brescia) e della Collana “Percorsi di etica”
(Aracne Editrice, Roma). Opere
Monografie, saggi Il linguaggio come segno e come testimonianza. Una rilettura
di Agostino, Edizioni Studium, Roma, 1976. Tempo e storia. Il "divenire"
nella filosofia del '900, Città Nuova Editrice, Roma, 1978. Il pensiero del
Novecento (con D. Bonifazi), Editrice Queriniana, Brescia, 1982; II ed., 1985;
III ed., 1989. Il valore della parola. La teoria degli "Speech Acts"
tra scienza del linguaggio e filosofia dell'azione, Edizioni Porziuncola,
Assisi (PG), 1984. Presenza e ulteriorità, Edizioni Porziuncola, Assisi (PG),
1992. La dignità degli ultimi giorni (con F. D'Agostino e F. Santeusanio),
Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1998. Con le lanterne accese. Il
tempo delle scelte difficili, Ave Edizioni, Roma, 1999. L'altro nell'io. In
dialogo con Agostino, Città Nuova Editrice, Roma, 1999. Il terzo escluso,
Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2004. La via della speranza. Tracce
di futuro possibile, Edizioni Ave, Roma, 2006. Cielo di plastica. L'eclisse
dell'infinito nell'epoca delle idolatrie, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo
(MI), 2009 (Premio "CapriSan Michele", 2009). Amare e legarsi. Il
paradosso della reciprocità, Edizioni Meudon, Portogruaro (VE), . Filosofia
morale, Editrice La Scuola, Brescia, . I cattolici e il paese. Provocazioni per
la politica, Editrice La Scuola, Brescia,
(traduzione in lingua romena di Liviu Romanescu: Catolicii și politica,
Galaxia Gutenberg, Târgu Lăpuș, ). L'angelo della gratitudine, Edizioni Ave,
Roma, (traduzione in lingua romena di
Cornelia Dumitru, Îngerul recunoștinței, Eikon, Bucureşti ). Cittadini di
Galilea. La vita spirituale dei laici (con M. Bianchi, M. Truffelli), ”Quaderni
di Spello”, Edizioni Ave, Roma, (Premio
“CapriSan Michele”, ). Il fragile e il prezioso. Bioetica in punta di piedi,
Editrice Morcelliana, Brescia, . InfinitaMente. Lettera a uno studente
sull'università, EUM, Macerata, . Edizioni di opere di Sant'Agostino La città
di Dio, Rusconi, Milano, 1984; Bompiani, Milano 2001. La dottrina cristiana,
Edizioni Paoline, Milano, 1989. Confessioni, Sei, Torino, 1992. Manuale sulla
fede, speranza e carità, Collana La vera religione, Città Nuova Editrice, Roma,
1995. Il potere divinatorio dei demoni, Collana La vera religione, Città Nuova
Editrice, Roma, 1996. La natura del bene, Città Nuova Editrice, Roma, 1998. Il
libro della pace. «La città di Dio, XIX», Editrice La Scuola, Brescia, .
Curatele Agostino nella filosofia del Novecento (con R. Piccolomini e A. Pieretti),
4 voll., Città Nuova Editrice, Roma, 2000-2004 (comprende: Esistenza e libertà,
2000; Interiorità e persona, 2001; Verità e linguaggio, 2002; Storia e
politica, 2004). Azione e persona: le radici della prassi, V&P, Milano,
2002. Forme della reciprocità. Comunità, istituzioni, ethos, Il Mulino,
Bologna, 2004. La filosofia come dialogo. A confronto con Agostino (con R.
Piccolomini e A. Pieretti), Città Nuova Editrice, Roma, 2005. Filosofi per
l'Europa. Differenze in dialogo (con F. Totaro), Eum, Macerata, 2006. Agostino.
Dizionario enciclopedico, di Allan D. Fitzgerald (Ed.), edizione italiana
curata assieme a Antonio Pieretti, Città Nuova Editrice, Roma, 2007. Forme del
bene condiviso, Il Mulino, Bologna, 2007. La felicità e il dolore. Verso
un'etica della cura, Aracne Editrice, Roma, . Dialogando. Idee, pensieri,
proposte per il nostro tempo, Edizioni Ave, Roma, ; Unità e pluralità del vero:
filosofia, religioni, culture, Volume speciale di Archivio di filosofia, Numero
LXXVIII, Anno . Il dolore e la speranza. Cura della responsabilità,
responsabilità della cura, Aracne Editrice, Roma, . Prossimità difficile. La
cura tra compassione e competenza, Aracne Editrice, Roma, , I conflitti
religiosi nella scena pubblica. I: Agostino a confronto con manichei e donatisti,
Città Nuova Editrice, Roma, . Noi dopo di noi. Accogliere, rigenerare,
restituire: nella società, nell'educazione, nel lavoro (curata con G.
Gabrielli), FrancoAngeli, Milano, . I conflitti di valore nello spazio
pubblico. Tra prossimità e distanza, Aracne Editrice, Roma, . I conflitti
religiosi nella scena pubblica. II: Pace nella civitas, Città Nuova Editrice,
Roma, . La fede e il contagio. Nel tempo della pandemia, (con G. De Simone e P.
Grassi), Ave, Roma . L'umano e le sue potenzialità: tra cura e narrazione (con
P. Nicolini), Aracne, Roma . L’etica nel futuro (con F. Miano), Ortothes,
Napoli-Salerno . Luigi Alici. Pagina di
presentazione nel docenti
dell'Università degli Studi di Macerata, su docenti.unimc.it. l'8 settembre
20 ottobre ). Dialogando. Il blog di Luigi Alici, su luigialici.blogspot.it.
PredecessorePresidente nazionale dell'Azione Cattolica ItalianaSuccessore Paola
Bignardi Filosofia Filosofo del XX secoloFilosofi italiani Professore1950 14
marzo GrottazzolinaPersonalità di Azione CattolicaProfessori dell'Università
degli Studi di Macerata
alighieri,
dante. “The Commedia and philosophy.” Refs.: “Philosophical references in
Dante’s Commedia.”
aliotta: Antonio Aliotta (n. Palermo), filosofo. Fu componente
dell'Accademia Nazionale dei Lincei, nonché dell'Accademia Pontaniana e della
Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti. Fondò la rivista internazionale
di filosofia Logos e fu autore di una decina di monografie. Allievo di Felice Tocco e Francesco De Sarlo,
fu influenzato molto dalla concezione della conoscenza scientifica del secondo,
che si rifaceva alle teorie di Franz Brentano.
Nel primo periodo della sua vita, Aliotta si interessò in particolar
modo alla psicologia sperimentale come ricercatore, mentre in un secondo periodo,
approssimativamente dal 1944, rivolse il suo interesse alla filosofia e
all'epistemologia. Tra i suoi allievi vi
furono Nicola Abbagnano, Paolo Filiasi Carcano, Cleto Carbonara, Renato
Lazzarini, Giuseppe Martano, Alberto Marzi, Nicola Petruzzellis, Michele
Federico Sciacca, Luigi Stefanini, anche se la sua indole non dogmatica e
aperta "a diverse culture e suggestioni" non diede luogo alla
formazione di una vera e propria scuola riferibile al suo nome, ma incoraggiò i
suoi allievi a indirizzarsi su percorsi culturali autonomi, emancipandosi
dall'egemonia esercitata dal neoidealismo di Benedetto Croce e di Giovanni
Gentile. Al suo magistero può essere
associato anche la figura dello psicanalista Cesare Musatti, che si indirizzò
allo studio della psicologia dopo aver assistito alle lezioni sull'argomento
tenute da Aliotta all'Padova nell'anno accademico 1915-16. Il 19 febbraio 1951 divenne socio
dell'Accademia delle scienze di Torino.
A lui è intitolato il dipartimento di filosofia dell'Università degli
studi di Napoli "Federico II".
Pensiero Psicologia Nella sua prima fase, prettamente psicologica, agli
inizi del nuovo secolo, Aliotta afferma che i fatti psichici non possono essere
quantificati come avviene con i fatti fisici esistenti e misurabili, in quanto
i fatti psichici sono elementi costitutivi della coscienza. La psicologia,
perciò, essendo una scienza empirica che studia i fatti psichici interni al
soggetto, avrebbe dovuto servirsi del metodo dell'introspezione, riferendosi a
formulazioni matematiche al solo scopo simbolico. La filosofia La particolare concezione della
conoscenza dell'autore, intesa né come esistente in sé, né come iscritta nel
processo dialettico del pensiero, lo allontanò sia dalle posizioni positiviste
che da quelle neoidealiste. Nelle sue
opere emerge una visione contraria all'idealismo: né Hegel, nemmeno Fichte, né
tanto meno Schelling col loro proposito di racchiudere tutta la realtà nel
pensiero, sebbene con sfumature diverse, soddisfano Aliotta, che invece
paragona il pensiero a un processo vivente, costruito da tanti centri
individuali tesi verso una armonia, continuatrice dei fenomeni dell'universo.
Aliotta si sofferma sulla coordinazione delle conoscenze, sulle intese fra le
persone, sulla sintesi della scienza e soprattutto sulla ricerca filosofica a
cui assegna il compito particolare di supervisione dei campi di conoscenza con
il fine di limitarne i dissidi e di ampliare, il più possibile, il punto di
vista delle scienze particolari. Aliotta afferma che l'unico metodo che
consente la ricerca della verità sia l'esperimento; la verità stessa non è
assoluta e unica ma prevede vari livelli, i superiori dei quali sfruttano e
inglobano quelli inferiori. La ricerca filosofica possiede, secondo l'autore,
un formidabile strumento di indagine e di verifica che si chiama
"storia". In alcuni scritti
successivi ("Il sacrificio come significato del mondo",1947),
pubblicati nel secondo dopoguerra, Aliotta sembra avvicinarsi a un modello di
pensiero a metà strada tra il pragmatismo e lo spiritualismo, nel quale mette
in rilievo l'esperienza morale e il sacrificio, considerato come l'esempio di
realizzazione più elevato, sia per l'individuo sia per la collettività. L'affermarsi dello sperimentalismo produce in
Aliotta una serrata critica all'astratto intellettualismo nonché apre la strada
alla ricezione di studi avanzati sulla cosiddetta 'filosofia scientifica', in
un panorama di reazione idealistica contro la scienza e di graduale
affermazione in Italia di scienze come la sociologia (Guglielmo Rinzivillo,
Antonio Aliotta. L'idea scientifica dello sperimentalismo in Una epistemologia
senza storia, Roma, Nuova Cultura, 197 e sg.
978-88-6812-222-5). Opere principali
Classici del pensiero: PlatoneAristoteleLucrezioEpitteto (1911) La reazione
idealistica contro la scienza (1912) La guerra eterna e il dramma
dell'esistenza (1917) L'estetica di Kant e degli idealisti romantici (1942) Il
sacrificio come significato del mondo (1947) Il relativismo dell'idealismo e la
teoria di Einstein (1948) Evoluzionismo e spiritualismo (1948) Il problema di
Dio e il nuovo pluralismo (1949) Le origini dell'irrazionalismo contemporaneo
(1950) Pensatori tedeschi della prima metà dell'Ottocento (1950) Critica
dell'esistenzialismo (1951) L'estetica di Croce e la crisi dell'idealismo
italiano (1951) Il nuovo positivismo e lo sperimentalismo (1954) Cinquant'anni
di relatività. 1905-1955 (con Giuseppe Armellini, Piero Caldirola, Bruno Finzi,
Giovanni Polvani, Francesco Severi, Paolo Straneo), prefazione di Albert
Einstein. Edizioni Giuntine e Sansoni Editore, Firenze, 1955 Note Vedi S. Belardinelli, in Dizionario
Biografico degli Italiani, riferimenti in .
Sergio Belardinelli, «ALIOTTA, Antonio» in Dizionario Biografico degli
Italiani, Volume 34 (1988) Antonio ALIOTTA,
su accademiadellescienze.it. 9 luglio .
Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, Torino, Utet, 1995235, voce
"Aliotta". Nicola Abbagnano,
Dizionario di filosofia, Torino, Utet, 1995236, voce "Aliotta". Michele Federico Sciacca , Lo sperimentalismo
di A. Aliotta, Napoli, 1951. Nicola Abbagnano Antonio Aliotta, in "Rivista
di Filosofia", 1964, 55, 442–448.
Adriana Dentone, Il problema morale e religioso in Aliotta, Napoli, 1972.
Luciano Mecacci, Antonio Aliotta, in: Guido Cimino, Nino Dazzi , La psicologia
in Italia: i protagonisti e i problemi scientifici, filosofici e istituzionali:
Milano, LED, 1998, 391–402. «ALIOTTA,
Antonio» Enciclopedia ItalianaII Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
italiana Treccani, 1948. Sergio Belardinelli, «ALIOTTA, Antonio» in Dizionario
Biografico degli Italiani, Volume 34, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1988. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una
pagina dedicata a Antonio Aliotta Collabora a Wikiquote Citazionio su Antonio
Aliotta Antonio Aliotta, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Antonio Aliotta, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Antonio Aliotta, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Antonio Aliotta,
. Opere di Antonio Aliotta consultabili
nell'Archivio di Storia della Psicologia, su
archiviodistoria.psicologia1.uniroma1.it. 16 dicembre 12 luglio Filosofia Filosofo del XX
secoloAccademici italiani Professore1881 1964 18 gennaio 1º febbraio Palermo
NapoliAccademici dei LinceiProfessori dell'Università degli Studi di Napoli
Federico IIMembri dell'Accademia delle Scienze di Torino
allegretti: Stemma della famiglia Allegretti Coa fam ITA allegretti Blasonatura
cuore d'oro su campo azzurro Giacomo (o Jacopo) Allegretti (Forlì), filosofo. Noto
per aver fondato, secondo alcuni storici, la prima accademia letteraria d'Italia. Fu figlio di Leonardo Allegretti, giudice a
Forlì, di parte guelfa. Apparteneva ad un'antica e cavalleresca famiglia, il
cui capostipite fu Mazzone Allegretti (o Mazzonius Alegrettus), che nel 1095
prese parte alla prima crociata in Terra Santa e per “arma” scelse un “cuore
d'oro su campo azzurro”. Lesse filosofia
a Bologna, logica e filosofia a Firenze. Nel 1370, fondò la prima accademia con un
gruppo di intellettuali: Francesco dei Conti di Calbolo, Azzo e Nerio
Orgogliosi, Giovanni de' Sigismondi, Andrea Speranzi, Rinaldo Arfendi, Valerio
Morandi, Giovanni Aldrobandini, Spinuccio Aspini e Paolo Allegretti. Nel 1376,
per motivi politici, gli Ordelaffi, signori di Forlì ghibellini, imposero il
confino a Giacomo e al fratello Giovanni. Si trasferì perciò a Rimini.
Richiamato dall'esilio nel 1385, coinvolto in una faida familiare degli
Ordelaffi, fu nuovamente costretto a fuggire a Rimini, ove fondò una nuova
Accademia, l'Accademia dei Filergiti, con vocazione insieme letteraria e
scientifica. La sua prosapia si estinse
per linea maschile circa nel 1479, ma s'innestò negli Aspini mediante una
Margherita di Francesco Allegretti, che sposò un Lodovico, che fu erede degli
averi e del cognome degli Allegretti. Si trova il seguito di questa famiglia
nel senese e nel modenese (a Ravarino).
Note Fonte: F. Valenti,
Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in . Opere Nel XIV secolo, la
sua opera principale era considerata il Bucolicon. Ma scrisse anche: un epicedio per la morte di Galeotto I
Malatesta, signore di Rimini; un carme al Conte di Virtù; un carme per la
"divisa della tortora"; Eglogae, in lingua latina; un carme sulla
"bissa milanese", cioè lo stemma dei Visconti, il biscione. Giorgio Viviano Marchesi, Memorie storiche
dell'antica, ed insigne Accademia de' Filergiti della città di Forlì ...,
Forlì, per Antonio Barbiani, 1741. Paolo Bonoli, Storia di Forlì scritta da
Paolo Bonoli distinta in dodici libri corretta ed arricchita di nuove
addizioni, 2 voll., Forlì, Luigi Bordandini, Filippo Valenti, ALLEGRETTI,
Giacomo, in Dizionario biografico degli italiani, II, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1960. Opere di Giacomo Allegretti, Filosofi
allievo: Giuseppe Allievo (San Germano Vercellese) filosofo. Frequentò la facoltà di filosofia dell'Torino
e seguì l'insegnamento di Giovanni Antonio Rayneri, sacerdote e filosofo di
matrice rosminiana. Laureatosi il 18
luglio 1853 insegnò pedagogia a Novara, a Domodossola, dove conobbe Rosmini, e
a Ivrea e nel Collegio di Ceva. A Domodossola pubblicò i suoi primi saggi e
scrisse articoli per la Rivista contemporanea di Luigi Chiala. Arrivò alla cattedra di pedagogia a Torino
(1869). Cattolico spiritualista, fu propugnatore del cosiddetto sintesismo
degli esseri, principio secondo il quale «nessuna parte di un ente può
sussistere divisa dal tutto dell'ente stesso, e nessun essere può sussistere né
operare diviso dagli enti che costituiscono l'universo». Il 13 gennaio 1895 divenne socio
dell'Accademia delle scienze di Torino.
Pensiero Critico dell'hegelismo, soprattutto per motivi religiosi,
Allievo sosteneva doversi rifare alla tradizione filosofica spiritualista
italiana per combattere sia la dottrina hegeliana che quella positivista che
nella pedagogia si stava in quegli anni diffondendo in Italia. Rimase fino al 1912 nell'Torino insegnando
pedagogia e dedicandosi a ricerche di antropologia e pedagogia. Fu autore anche
di un'opera di vaste proporzioni dedicata a Il problema metafisico studiato
nella storia della filosofia, dalla scuola ionica a Giordano Bruno (Torino
1877). Opere principali Saggi filosofici
(1866) Il problema metafisico studiato nella storia della filosofia Studi
antropologici:l'uomo e il cosmo (1891) Studi pedagogici (1892) Attinenze tra
l'antropologia e la pedagogia Esame dell'hegelianesimo Il ritorno al principio
della personalità Note Fonte: Francesco
Corvino, Dizionario biografico degli Italiani (1960) alla voce
corrispondente in F. Corvino, Op. cit.
ibidem Giuseppe ALLIEVO, su
accademiadellescienze.it. 9 luglio .
Giuseppe Allievo, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Giuseppe
Allievo, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giuseppe Allievo, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Giuseppe Allievo, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Giuseppe Allievo, Filosofia Filosofo del XIX secoloFilosofi iSan
Germano Vercellese TorinoMembri dell'Accademia delle Scienze di Torino
allmayer: Vito Fazio
Allmayer (Palermo), filosofo. Fu insieme a Gentile, e altri filosofi, uno degli
esponenti di spicco della corrente filosofica detta attualismo. Nacque a
Palermo da Giuseppe Emanuele Fazio, originario di Alcamo (ex garibaldino e in
servizio presso il Museo nazionale di Palermo) e da Felicina Allmayer, di
origine tedesca, ma residente in Italia. Fin da ragazzo si interessò alla
storia dell'arte; a 23 anni si laureò in giurisprudenza ma poiché era
appassionato alla filosofia, iniziò subito gli studi filosofici e a frequentare
la Biblioteca filosofica di Palermo, dove ebbe modo di conoscere Giovanni
Gentile. Nel 1910 l'Allmayer si laureò in filosofia e iniziò la carriera
come professore: nel 1914 passò al liceo "Umberto I" di Palermo, dove
cominciò la sua ricca produzione saggistica che lo rese famoso in Italia.
La sua carriera continuò a Roma; subito dopo la caduta del fascismo, nel novembre
1943, il Fazio Allmayer fu sospeso dall'insegnamento; per essere reintegrato
dopo la fine della guerra. Dopo un periodo travagliato della sua vita,
negli anni Cinquanta riprese la molteplice attività di saggista e critico,
oltre che di docente. Nel 1915 si era sposato con Concettina Carta, con
cui ebbe tre figli. Nel 1953, rimasto vedovo, si sposò in seconde nozze con
Bruna Boldrini che, conosciuta col cognome acquisito, è stata tra i maggiori
critici del Fazio e ne ha promosso un'edizione completa delle Opere (I-XXII,
Firenze 1969-1991). L'Allmayer, colpito da infarto tre anni prima, morì a
Pisa nel 1958. In memoria di questo insigne filosofo e pedagogista di
origine alcamese, il Liceo Statale delle Scienze Umane, Economico Sociale, Linguistico,
Musicale (ed autorizzato per le Arti coreutiche) è stato intitolato al suo
nome. Carriera 1910: Professore presso il liceo di Matera 1911:
professore al liceo di Agrigento, vinse nello stesso anno una borsa di studio
per perfezionamento presso l'Roma 1914 docente presso il liceo "Umberto
I" di Palermo 1918: libero docente di storia della filosofia a Roma 1919:
trasferito a Palermo, fu condirettore del Giornale critico della filosofia
italiana, fondato da Gentile e diretto dallo stesso prima di essere ministro.
1921-1922: docente di filosofia presso l'Palermo 1922-1924: docente di storia
della filosofia (con corsi su Bacone e sui sofisti e Platone) presso l'Roma, in
sostituzione di Gentile e incaricato di pedagogia al magistero di Roma. 1924:
collaboratore di Gentile per la riforma scolastica e, con l'incarico di
ispettore centrale degli istituti medi di istruzione, ebbe affidata la
redazione dei programmi della scuola media. 1925: professore non stabile di
storia della filosofia medievale e moderna 1929: ebbe la cattedra di filosofia
teoretica in sostituzione di Pantaleo Carabellese 1939: preside della facoltà
di lettere 1925-1931: commissario per l'amministrazione straordinaria della
sezione arti decorative, annessa alla Scuola artistica e industriale di Palermo
dal 1931 in poi: commissario governativo per l'Accademia di Belle Arti. 1943:
sospeso dall'insegnamento e reintegrato dopo la fine della guerra 1951:
cattedra di storia della filosofia dell'Pisa 1954: direttore dell'istituto di
filosofia. Pensiero filosofico Il tramonto del Positivismo e l'amicizia con
Gentile lo portarono a un impegno ideologico a favore dell'attualismo che
sembrava poter portare a un rinnovamento culturale e civile; secondo
l'attualismo, era l'atto del pensare in quanto percezione, e non il pensiero
creativo in quanto immaginazione, a definire la realtà. Assieme a Gentile
e Guido De Ruggiero, fu uno dei sostenitori di quell'attualismo che "aveva
tutta la seduzione romantica e tutta la fiducia ottimistica a trarre a sé... i migliori
dei giovani scontenti, quelli che non si muovevano verso D'Annunzio o
Marinetti", e nel 1914-15 appoggiò apertamente, anche con conferenze,
l'intervento dell'Italia nel conflitto mondiale, ma venne riformato alla visita
militare. Nelle parole di Bruna Boldrini, moglie del filosofo, che
tendeva a sottolineare la sostanziale autonomia della ricerca del Fazio dalla
metafisica di Gentile, il Fazio-Allmayer giunge a giustificare l'esperienza
storica come vita concreta, in cui le molteplici e diverse forme confluiscono
in un rapporto intersoggettivo, sintesi etico-estetica, nella specificità di
ciascuna (p. 35). D'altronde, anche Benedetto Croce, fin dal 1922, in una
recensione del saggio Contributo alla teoria della storia dell'arte (poi in
Opere, IV, 103-113), metteva in dubbio
che si potesse parlare ancora di idealismo attuale per il Fazio. Nel
secondo dopoguerra, in un momento denigratorio dell'idealismo, e maggiormente
dell'attualismo, che era accusato di connivenza col fascismo, la posizione del
Fazio fu di aperta difesa dell'attualismo e di un fedele sviluppo del proprio
pensiero. Insegnare è non morire Insegnare vuol dire non morire, ma
entrare in un processo di vita che ci precede e ci prosegue nel tempo: su
questa certezza di Vito e Bruna Fazio-Allmayer, si basa una spinta pedagogica
di tipo socratico, per cui il maestro si sente un uomo tra uomini, lui più
esperto, e loro più giovani, ma protesi verso il nuovo. L'educatore, nel
suo farsi persona, diventa storico di se stesso, nel rapporto con i propri alunni
li deve riconoscere nella loro singolarità, piuttosto che livellarli. Aprirsi
agli altri è il contributo al vivere: allorché viene meno questo senso di
solidarietà col tutto, si crea in noi il disagio dell'angoscia. Quindi il
senso della vita è quello della speranza e dell'amore: gli altri individui non
sono antitetici al proprio io, ma un indispensabile sbocco del proprio io.
Ognuno di noi si fa compossibile agli altri per ciò che dà e per quello che
ripiglia dagli altri, così il particolare si risolve nell'universale e
quest'ultimo nel particolare. Per Vito Fazio-Allmayer la speranza è nella
certezza che il futuro è nel presente: sono vecchi, quindi, gli insegnanti che,
presi dal passato, trovano disprezzabile tutto ciò che si produce nel presente,
e sciocchi i giovani, e sbagliato ogni nuovo pensiero. La scuola è vecchia se
non riesce a vedere il mondo nuovo e in rinnovamento; l'insegnante che si
racchiude nelle memorie del passato, manifesta la malattia mortale che si
chiama vecchiaia. Fondazione La Fondazione Nazionale "Vito
Fazio-Allmayer” è sorta a Palermo nel 1975, creata da Fanny Giambalvo e Bruna
Fazio-Allmayer, che venne in Sicilia dalla Toscana per insegnare Filosofia
morale e Storia della Pedagogia; tale istituzione è stata fondata per onorare
il ricordo del marito e per suscitare nelle giovani generazioni l'interesse per
la filosofia. Opere Su: La Sicile illustrée, articoli e saggi (1905-1908)
Su: Rassegna d'arte, articoli e saggi (1905-1908) Studi sul pensiero antico;
Sansoni, 1974 Galileo Galilei; R. Sandron, 1911 Galileo Galilei, Palermo 1912,
poi in Opere, X, 51-209; Galileo
Galilei; Sansoni, 1975 Novum organum: Bacon, Francis; Laterza & Figli, Dell'anima
Aristoteles; Laterza, la formazione del
problema kantiano, in Annali della Bibl. filosofica di Palermo, fasc. I, 43-89, poi in Opere, IV, 191-235) La scuola popolare e altri discorsi
ai maestri: 1912 e 1913; Francesco Battiato, 1914 Introduzione allo studio
della storia della filosofia; Zanichelli; 1921 Materia e sensazione (Sandron,
Palermo 1913, poi in Opere, II) Materia e sensazione; Sansoni, 1969
Introduzione alla filosofia; Sansoni, 1970 La teoria della libertà nella
filosofia di Hegel (Messina 1920, poi in Opere, XIV) Saggio su Francesco Bacone
(Palermo 1928, poi in Opere, XI) Saggio su Francesco Bacone; 1979 Il problema
morale come problema della costituzione del soggetto, e altri saggi (Firenze,
Le Monnier, 1942, poi in Opere, IV, 952)
Il problema morale come problema della costituzione del soggetto e altri saggi;
Sansoni, 1971 Il significato della vita; Sansoni, 1955 Il significato della
vita; 1988 Divagazioni e capricci su Pinocchio; G.C. Sansoni, 1958 Divagazioni
e capricci su Pinocchio; Fondazione nazionale Vito Fazio-Allmayer, 1989
Ricerche hegeliane; G. C. Sansoni, 1959 Ricerche hegeliane; Fondazione
nazionale Vito Fazio-Allmayer, 1991 Storia della filosofia; G.B. Palumbo, 1942
Storia della filosofia; Sansoni, 1981 I vigenti programmi della scuola
elementare: Commento e interpretazione; Firenze, F. Le Monnier, 1954 Morale e
diritto; Sansoni, 1955 Discorsi, lezioni; Sansoni, 1983 Saggi e problemi;
Sansoni, 1984 Recensioni e varie, 1986 La Pinacoteca del Museo di Palermo e
altri saggi; notizie dei pittori palermitani, Palermo 1908 Prolusioni e
discorsi inaugurali; Sansoni, 1969 Alcune lezioni edite e inedite; Sansoni,
1982 Alcune lezioni edite e inedite; Sansoni, 1983 Spunti di storia della
pedagogia Moralita dell'arte: rievocazione estetica e rievocazione suggestiva
(con 53 postille); Sansoni, 1953 Moralita dell'arte e altri saggi; Sansoni.
1972 Logica e metafisica; Sansoni, 1973 La storia; Sansoni, 1973 Lettere a
Bruna; Fondazione nazionale Vito Fazio-Allmayer, 1992 Lettere a Gentile;
Fondazione nazionale Vito Fazio-Allmayer, 1993 Introduzione allo studio della
storia della filosofia e della pedagogia; Sansoni, 1979 La teoria della
liberta' nella filosofia di Hegel; Giuseppe Principato, 1920 Opere; Sansoni,
1969 Commento a Pinocchio; G. C. Sansoni, 1945 Il problema Pirandello; Firenze,
Belfagor, 1957 Note //treccani.it/enciclopedia/vito-fazio-allmayer_(Dizionario-Biografico)/ E. Garin, Cronache di filosofia italiana...,
I-II, Bari 1966, ad Indicem; //fazio-allmayer.it/index// treccani.it,//treccani.it/enciclopedia/vito-fazio-allmayer_(Dizionario-Biografico)/.
fazio-allmayer.it,//fazio-allmayer.it/index//. Vita e pensiero di V. F.,
Firenze 1960; 2 ediz., Palermo 1975, con
degli scritti del e sul F., alle
205-224; A. Massolo: Fazio e la logica della compossibilità, in Giornale
critico della filosofia italiana, XXXVI (1957),
478-487; C. Luporini, Ricordo di V. F., in Belfagor, XIII (1958), 360 s.; Giardina Francesco: Intenzionalità
ermeneutica e compossibilità nell'attualismo comunicazionale di Vito
Fazio-Allmayer: implicazioni pedagogiche; Edizioni della Fondazione nazionale
Vito Fazio-Allmayer1996 A. Guzzo, V. F. e Guido Rossi, in Filosofia, IX
(1958), 494-499; Giornale critico della
filosofia italiana, (scritti di G. Saitta, A. Massolo, S. Caramella, F.
Albeggiani, M. F. Mineo Fazio, B. Fazio-Allmayer Boldrini); A. Santucci:
Esistenzialismo e filosofia italiana, Bologna 1959, 169 s.; A. Negri, In ricordo di V. F., in
Filosofia, XIII (1962), 527-530; E.
Garin, Cronache di filosofia italiana..., I-II, Bari 1966, ad Indicem; B.
Fazio-Allmayer: Esistenza e realtà nella fenomenologia di V. F., Bologna 1968;
L. Sichirollo, Filosofia e storia nella più recente evoluzione di F., in Per
una storiografia filosofica, II, Urbino 1970,
461-484; E. Giambalvo, La metafisica come esigenza in Bergson e
l'esigenza della metafisica in V. F., Palermo 1972; Carlo Sini: Studi e
prospettive sul pensiero di V.F. Allmayer; estratto da "il Pensiero"
ist. editoriale Cisalpino, Milano-Varese Atti del 1º Congresso nazionale di
filosofia "V. F., oggi", Palermo 1975. Atti del Convegno nazionale su
l'estetica come ricerca e l'impegno dell'artista nel suo mondo, Palermo 1984
(con interventi di L. Lugarini, U. Mirabelli, L. Russo Attualismo (filosofia) Giovanni Gentile Guido
De Ruggiero Alcamo treccani.it, http://treccani.it/enciclopedia/vito-fazio-allmayer_(Dizionario-Biografico)/.
Filosofia Filosofo del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloPedagogisti
italianiInsegnanti italiani del XX secoloInsegnanti italiani Professore
altan: Carlo
Tullio-Altan (San Vito al Tagliamento) filosofo. Nato da un'antica famiglia
friulana di San Vito al Tagliamento, Carlo Tullio-Altan è stato uno dei massimi
esperti di antropologia culturale in Italia. Destinato dalla famiglia
alla carriera diplomatica, si laurea nel 1940 in giurisprudenza a La Sapienza
di Roma con una tesi in diritto internazionale. Inviato in Albania
durante la seconda guerra mondiale, partecipa successivamente alla Resistenza,
militando nel Partito d'Azione. Dopo le vicende belliche, conosce
Benedetto Croce grazie a cui fa il suo ingresso nel panorama culturale
italiano. L'incontro con Croce, avvicina il suo pensiero all'idealismo
crociano ed allo spiritualismo etico, come testimoniano le sue prime opere di
questo periodo. Trascorre quindi, a partire dai primi anni '50, dei periodi di
studio e di ricerca a Vienna, Parigi e Londra, dove si accosta pure
all'antropologia e all'etnologia. Dal 1953, grazie all'influsso di
Ernesto De Martino, di Remo Cantoni (di cui sarà anche assistente volontario, a
partire dal 1958) e di Tullio Tentori, si dedica all'antropologia, secondo un
approccio che non si basi esclusivamente sulla ricerca sul campo e l'etnografia
ma che faccia soprattutto ricorso al pensiero filosofico, alla storia delle
religioni, all'epistemologia, alla sociologia, alla psicologia. Inoltre,
influenzato pure dall'opera di Bronisław Malinowski, si oppone allo
strutturalismo, aderendo successivamente al funzionalismo nonché a un marxismo
mediato dalla scuola francese degli Annales. Nel 1961, gli viene
assegnato, per la prima volta in Italia, l'incarico di insegnamento di
Antropologia culturale alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Pavia,
successivamente ricoperto alla Facoltà di Sociologia dell'Trento. Poi, come
ordinario della stessa disciplina, ha lavorato alla Facoltà di Scienze
Politiche "Cesare Alfieri" dell'Firenze e, dal 1978 fino al
collocamento a riposo (nel 1991), nella Facoltà di Lettere e Filosofia
dell'Trieste, della quale è stato poi nominato professore emerito. Nel
1987, organizza a Roma, insieme ai maggiori antropologi italiani di allora, il
primo "Convegno nazionale di antropologia delle società complesse",
che, negli anni, verrà riorganizzato più volte. Negli ultimi anni, ha
vissuto tra Milano e un'antica casa rurale tra Aquileia e Grado, la stessa dove
lavora il figlio Francesco Tullio-Altan. Sulla base della sua iniziale
formazione universitaria in discipline storico-giuridiche nonché della sua
vasta conoscenza filosofica e culturale, dopo una prima fase di originali
ricerche sulla fenomenologia religiosa ed il simbolismo, volge la sua
attenzione verso i metodi antropologici applicati all'analisi sociologica,
quindi si dedica allo studio dei comportamenti e dei valori della gioventù
italiana negli anni '60-'70, che lo hanno poi condotto ad approfondire, da una
prospettiva storico-culturale e con una visione alquanto critica, la dimensione
identitaria degli italiani. Altan ha poi cercato di far capire sia
all'opinione pubblica che ai politici italiani l'importanza e la necessità di
dare al loro paese una "religione civile". In questo progetto, vanno
inserite alcune fra le sue opere più recenti come La coscienza civile degli
italiani e il manuale di Educazione civica. L'ultimo periodo della sua
attività di ricerca, lo dedicò allo studio delle basilari componenti simboliche
dell'identità etnica, concentrandosi, a tale scopo, sulla categoria
dell'ethnos, individuandone ed analizzandone le sue cinque principali
componenti, ovvero l'"epos" (cioè, la memoria storica collettiva),
l'"ethos" (cioè, la sacralizzazione delle norme e delle regole in
valori), il "logos" (cioè, il linguaggio interpersonale), il
"genos" (cioè, l'idea di una comune discendenza) ed il
"topos" (cioè, il simbolo di una identità collettiva comunitaria
stanziata su un dato territorio), allo scopo di trovare una possibile soluzione
razionale, dal punto di vista dell'antropologia, ai conflitti tra i vari
etnocentrismi. Opere Saggi La filosofia come sintesi esplicativa della
storia. Spunti critici sul pensiero di B. Croce e lineamenti di una concezione
moderna dell'Umanesimo, Parte 1, Longo & Zoppelli, Treviso, 1943. Pensiero
d'Umanità. Sommario breve d'una moderna concezione speculativa
dell'Umanesimo, D. Del Bianco e Fratelli, Udine, 1949. Parmenide in Eraclito, o
della personalità individuale come assoluto nello storicismo moderno, Udine,
1951. Lo spirito religioso del mondo primitivo, Il Saggiatore, Milano, 1960.
Proposte per una ricerca antropologico-culturale sui problemi della gioventù,
Società editrice il Mulino, Bologna, 1966. Antropologia funzionale, Bompiani,
Milano, 1968. La sagra degli ossessi: il patrimonio delle tradizioni popolari
italiane nella società settentrionale, Sansoni, Firenze, 1972. Personalità giovanile
e rapporto interpersonale, ISVET, Roma, 1972. Le origini storiche della scienza
delle tradizioni popolari, Sansoni, Firenze, 1972. Atteggiamenti politici e
sociali dei giovani in Italia, Società editrice il Mulino, Bologna, 1973. I
valori difficili. Inchiesta sulle tendenze ideologiche e politiche dei giovani
in Italia, Bompiani, Milano, 1974. Comunismo e società (con Eridano
Bazzarelli), Società editrice il Mulino, Bologna, 1976. Valori, classi sociali,
scelte politiche. Indagine sulla gioventù degli anni settanta (con Alberto
Marradi e con la collaborazione di Roberto Cartocci), Bompiani, Milano, 1976.
Manuale di antropologia culturale. Storia e metodo, Bompiani, Milano, 1979.
Modi di produzione e lotta di classe in Italia (con Roberto Cartocci), Arnoldo
Mondadori Editore-Isedi, Milano, 1979. Tradizione e modernizzazione: proposte
per un programma di ricerca sulla realtà del Friuli, Editrice cooperativa Il
Campo, Udine, 1981. Antropologia. Storia e problemi, Feltrinelli, Milano, 1983.
La nostra Italia: arretratezza socioculturale, clientelismo, trasformismo e
ribellismo dall'Unità ad oggi, Feltrinelli, Milano, 1986. Populismo e
trasformismo. Saggio sulle ideologie politiche italiane, Feltrinelli, Milano,
1989. Per una storia dell'Italia arretrata, Le Monnier, Firenze, 1987. Una
modernizzazione difficile. Aspetti critici della società italiana (curato con
Riccardo Scartezzini), Liguori Editore, Napoli, 1992. Soggetto, simbolo e
valore. Per un'ermeneutica antropologica, Feltrinelli, Milano, 1992. Un processo
di pensiero, Lanfranchi, Milano, 1992. Ethnos e Civiltà. Identità etniche e
valori democratici, Feltrinelli, Milano. Italia: una nazione senza religione
civile. Le ragioni di una democrazia incompiuta, IEVF-Istituto editoriale
veneto friulano, Udine, 1995. La coscienza civile degli italiani. Valori e
disvalori nella storia nazionale, Gaspari Editore, Udine, 1997. Religioni,
simboli, società: sul fondamento umano dell'esperienza religiosa (con Marcello
Massenzio), Feltrinelli, Milano, 1998. Gli italiani in Europa. Profilo storico
comparato delle identità nazionali europee, Il Mulino, Bologna, 1999. Per un
dialogo fra la ragione e la fede, Leo S. Olschki, Firenze, 2000. Le grandi
religioni a confronto. L'età della globalizzazione, Feltrinelli, Milano, 2002.
Opere disponibili on-line Articoli e interviste Identità etniche, web.archive.org/web/20091004210216/http://emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=328 Una religione civile per l'Italia d'oggi, web.archive.org/web/20091004210216/http:// emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=328
Il crogiolo, web. archive.org/web/20091004210216/http://emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=328
L'esperienza dei valori, web.archive. org/web/20091004210216/http://emsf.rai.it/
biografie/anagrafico.asp?d=328 Identità etniche e valori universali,
web.archive.org/web/20091004210216/http://emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=328
Modelli concettuali antropologici per un discorso interdisciplinare tra
psichiatria e scienze sociali, in: Psicoterapia e scienze umane, N. 1, Anno
1967 e N. 1, Anno 1975,
polser.wordpress.com/2009/02/25/carlo-tullio-%e2%80%93-altan-modelli-concettuali-antropologici-per-un-discorso-interdisciplinare-tra-psichiatria-e-scienze-sociali-in-psicoterapia-e-scienze-umane-n-1-1967-e-n-1-1975/[collegamento
interrotto] Citazioni «Per la destra l'antropologia è roba per selvaggi; la
sinistra pensa solo all'economia; altri sono ancorati a schemi anglosassoni,
che vedono le strutture politiche come realtà a sé», da un'intervista
rilasciata a Paolo Rumiz e pubblicata in La secessione leggera, Roma, Editori
Riuniti, 1997202. Note Cfr. il saggio
autobiografico: C. Tullio-Altan, "Un percorso di pensiero", Belfagor.
Rivista di varia umanità, nonché il
testo autobiografico Un processo di pensiero, Lanfranchi Editore, Milano, Cfr. U. Fabietti, F. Remotti, Dizionario di
Antropologia. Etnologia, Antropologia Culturale, Antropologia Sociale,
Zanichelli Editore, Bologna, 1997, voce "Tullio-Altan,
Carlo"772.
Cfr.//controluce.it/notizie-old-html/giornali/a14n03/18-culturaecostume-altan.htm Cfr.//segnalo.it/TRACCE/NONPIU/tullio-altan.htm Frutto di questo nuovo programma di ricerca,
fu peraltro la monografia Lo spirito religioso nel mondo primitivo (1960). Cfr. A. Rigoli, Lezioni di etnologia, II
edizione, Renzo e Reau Mazzone editori/Ila Palma, Palermo (IT)/San Paolo (BRA),
1988, Parte III, Cap. 1, 65-71. Cfr. U. Fabietti, F. Remotti, cit. Fra cui Armando Catemario, Giorgio Raimondo
Cardona, Matilde Callari Galli, Vittorio Lanternari, Gavino Musio, Francesco
Remotti, Aurelio Rigoli, Luigi Lombardi Satriani, Tullio Tentori. Cfr. Tullio Tentori , Antropologia delle
società complesse, A. Armando Editore, Roma, 1999. Da un punto di vista storico, è da ricordare
come l'antropologia culturale abbia avuto origini giuridiche. Invero, molti dei
maggiori antropologi della seconda metà Professoreerano giuristi o, quantomeno,
avevano una formazione giuridica. Ciò fondamentalmente è dovuto al fatto
basilare per cui nessuna società umana è priva di una qualche forma di diritto,
anzi tutte le istituzioni sociali hanno una imprescindibile dimensione
giuridica; cfr. U. Fabietti, F. Remotti, cit., voce "Antropologia
giuridica". Cfr. I. Ignazi,
"Populismo e trasformismo nell'analisi di Carlo Tullio-Altan", il
Mulino. Rivista di cultura e politica fondata nel 1951, 5 (1989) 864-870.
Cfr. Giulio Angioni, "Obituary. Carlo Tullio-Altan: un antropologo
"anti-italiano". Familismo amorale e clientelismo tra i mali del
Paese", in: Il Sole 24 Ore, 20/02/2005
Cfr. Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche Archiviato il 4 ottobre 2009 in . Cfr. C. Tullio-Altan, "La dimensione
simbolica dell'identità etnica", in: G. De Finis, R. Scartezzini ,
Universalità e differenza. Cosmopolitismo e relativismo nelle relazioni tra
identità e culture, Franco Angeli Editore, Milano, 1996, 318-339.
Qui, per regola, si intende una norma, in genere non necessariamente
codificata, suggerita dall'esperienza o stabilita per convenzione o
consuetudine, spesso in riferimento al modo usuale di vivere e di comportarsi,
sia individualmente che collettivamente; cfr.
Cfr. C. Tullio-Altan, Ethnos e civiltà. Identità etniche e valori
democratici, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 1995, nonché i ricordi di
Umberto Galimberti e di Marcello Massenzio comparsi su La Repubblica del 16 febbraio
2005 e reperibili all'indirizzo
Archiviato il 1º marzo in . Cfr.
pure A. Rigoli, cit., Parte I, Cap. 1,
11-12. C. Tullio-Altan, Un
processo di pensiero, Lanfranchi Editore, Milano, 1992 (testo autobiografico).
C. Tullio-Altan, "Un percorso di pensiero", Belfagor. Rassegna di
varia umanità, 51 (3) (1996) 303-319. G.
Ferigo, " di Carlo Tullio-Altan", Metodi & Ricerche. Rivista di
studi regionali, 24, Fasc. 2,
Luglio-Dicembre 2005. Atti del Convegno Storia comparata, antropologia e
impegno civile. Una riflessione su Carlo Tullio Altan, Udine-Aquileia, 17-19
maggio 2006, i cui sunti sono stati pubblicati, Liza Candidi, sulla rivista
Italia Contemporanea, 243, giugno 2006
(cfr., per esempio, ). Fascicolo speciale dedicato a Tullio-Altan: 16, N. 1, Anno 2005 della rivista Metodi
& Ricerche. Rivista di studi regionali.
L'antropologia italiana. Un secolo di storia, Editori Laterza,
Roma-Bari, 1985. E.V. Alliegro, Antropologia italiana. Storia e storiografia
1869-1975, SEID Editori, Firenze, . C. Tullio-Altan, C. Signorelli, "A
proposito di alcune critiche: dibattito Tullio Altan-Signorelli", in
Rivista della Fondazione Italiana dei Centri Sociali, Roma, A. Forniz, "Il Palazzo Tullio-Altan in S.
Vito al Tagliamento: dimore illustri nel Friuli occidentale", in
Itinerari, Numero IV, Fascicolo 3, settembre 1970. Altri progetti Collabora a
Wikiquote Citazionio su Carlo Tullio-Altan
Carlo Tullio-Altan, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Carlo
Tullio-Altan, in Dizionario biografico dei friulani. Nuovo Liruti online,
Istituto Pio Paschini per la storia della Chiesa in Friuli. Biografia [collegamento interrotto], su
feltrinellieditore.it. Biografia, su blog.graphe.it. Convegno in memoriam, su
qui.uniud.it. Ricordo biografico, su controluce.it. Filosofia Sociologia Sociologia Categorie: Antropologi
italianiSociologi italianiFilosofi italiani Professore1916 2005 30 marzo 15
febbraio San Vito al Tagliamento PalmanovaAccademici italiani del XX
secoloStudenti della SapienzaRomaProfessori dell'Università degli Studi di
PaviaProfessori dell'Università degli Studi di Trento
allegedly
‘wayward’ causal chain: Grice: “What
is the antonym of ‘wayward’?’ A causal chain, referred to in a proposed causal
analysis of a key concept, that goes awry. Causal analyses have been proposed
for key concepts e.g., reference,
action, explanation, knowledge, artwork. There are two main cases of wayward or
deviant causal chains that defeat a causal analysis: 1 those in which the
prescribed causal route is followed, but the expected event does not occur; and
2 those in which the expected event occurs, but the prescribed causal route is
not followed. Consider action. One proposed analysis is that a person’s doing
something is an action if and only if what he does is caused by his beliefs and
desires. The possibility of wayward causal chains defeats this analysis. For
case 1, suppose, while climbing, John finds he is supporting another man on a
rope. John wants to rid himself of this danger, and he believes that he can do
so by loosening his grip. His belief and desire unnerve him, causing him to
loosen his hold. The prescribed causal route was followed, but the ensuing
event, his grip loosening, is not an action. For case 2, suppose Harry wants to
kill his rich uncle, and he believes that he can find him at home. His beliefs
and desires so agitate him that he drives recklessly. He hits and kills a
pedestrian, who, by chance, is his uncle. The killing occurs, but without
following the prescribed causal route; the killing was an accidental
consequence of what Harry did. Refs.: H.
P. Grice, “Aetiologica: from Roman ‘causa’ to Anglo-Saxon ‘for’”, Woodfield,
“Be-*cause* he thought she had insulted him,” H. P. Grice, “A philosophical
mistake: ‘cause’ is called for for unusual events only.” Grice: “What is the
antonym of ‘wayward’?” -- a causal chain, referred to in a proposed causal
analysis of a key concept, that goes awry. Causal analyses have been proposed
for key conceptse.g., reference, action, explanation, knowledge, artwork. There
are two main cases of wayward (or deviant) causal chains that defeat a causal
analysis: (1) those in which the prescribed causal route is followed, but the
expected event does not occur; and (2) those in which the expected event occurs,
but the prescribed causal route is not followed. Consider action. One proposed
analysis is that a person’s doing something is an action if and only if what he
does is caused by his beliefs and desires. The possibility of wayward causal
chains defeats this analysis. For case (1), suppose, while climbing, John finds
he is supporting another man on a rope. John wants to rid himself of this
danger, and he believes that he can do so by loosening his grip. His belief and
desire unnerve him, causing him to loosen his hold. The prescribed causal route
was followed, but the ensuing event, his grip loosening, is not an action. For
case (2), suppose Harry wants to kill his rich uncle, and he believes that he
can find him at home. His beliefs and desires so agitate him that he drives
recklessly. He hits and kills a pedestrian, who, by chance, is his uncle. The
killing occurs, but without following the prescribed causal route; the killing
was an accidental consequence of what Harry did. Refs.: H. P. Grice, “Aetiologica:
from Roman ‘cause’ to Anglo-Saxon ‘for’”Woodfield, “Be-*cause* she thought he
had insulted him.’”
alnwick: English
Franciscan theologian. William studied under Duns Scotus at Paris, and wrote
the Reportatio Parisiensia, a central source for Duns Scotus’s teaching. In his
own works, William opposed Scotus on the univocity of being and haecceitas.
Some of his views were attacked by Ockham. English Franciscan theologian from
Northumbria -- William studied under Duns Scotus at Paris, and wrote the Reportatio
Parisiensia, a central source for Duns Scotus’s teaching. In his own works,
William opposed Scotus on the univocity of being and haecceitas. Some of his
views were attacked by Ockham.
altogether nice girl: Or Grice’s altogether nice girl. Grice quotes from the music-hall ditty, “Every [sic] nice girl loves a sailor” (WoW:33). He uses this for his account of multiple quantification. There is a reading where the emissor may implicate that every nice girl is such that he loves one sailor, viz. Grice. But if the existential quantifier is not made dominant, the uniqueness is disimplicated. Grice admits that not every nominalist will be contented with the ‘metaphysical’ status of ‘the altogether nice girl.’ The ‘one-at-a-time sailor’ is her counterpart. And they inhabit the class of LOVE.
ammonio: Or as Strawson preferred, “Ammonius.” Ssaccas early third century A.D., Platonist philosopher. He apparently served early in the century as the teacher of the philosopher Origen. He attracted the attention of Plotinus, who came to the city in 232 in search of philosophical enlightenment Porphyry, Life of Plotinus 3. Ammonius the epithet ‘Saccas’ seems to mean ‘the bagman’ was undoubtedly a charismatic figure, but it is not at all clear what, if any, were his distinctive doctrines, though he seems to have been influenced by Numenius. He wrote nothing, and may be thought of, in E. R. Dodds’s words, as the Socrates of Neoplatonism. There is a good edition in Bibliotheca Scriptores Graeci e Romani.