Di qui ap- punto si può anticipatamente scorgere, che le dif- ficoltà più profonde incluse nel concetto di liberta, si potranno risolvere coll’ idealismo in sè preso, tanto poco quanto con qualunque altro sistema parziale. L’ idealismo invero porge, della libertà, V RICERCHE FILOSOFICHE 51 da un lato il concetto più generale, dall’altro quello meramente formale. Ma il concetto reale ’e vivente è, che essa consista in una facoltà del bene e del male. Questo è il punto della difficoltà più grave, che, in tutta la dottrina della libertà, è stata da lungo tempo avvertita, e che tocca, non solo questo o quel sistema, bensì, più o meno, tutti 1 : nel modo più spiccato di cerio il concetto dell’immanenza; poiché, o si ammette un male reale, e allora è inevitabile collocare il male nell’ infinita sostanza o nell’ originario volere stesso, con che si distrugge interamente il concetto di un essere perfettissimo; o bisogna negare in qualche maniera la realtà del male, e con ciò svanisce insieme il concetto reale di libertà. Non minore è l’intoppo, anche se inten- diamo nel modo più esteso la relazione tra Dio e gli esseri mondani; poiché, dato pure che essa venga limitata al cosiddetto concursus, o a quella necessaria cooperazione di Dio all’ agire delle crea- ture, che dev’ esser accettata grazie alla essenziale dipendenza loro da Dio, anche se vuoisi del resto affermare la libertà: in tal caso però Dio apparirà innegabilmente come cooperatore del male, giac- ché il permetterlo in un essere in tutto e per tutto dipendente non vai meglio che il contribuire a produrlo; o anche qui, in un modo o nell’altro, dovrà esser negata la realtà del male. La propo- sizione, che tutto il positivo della creatura venga da Dio, anche in questo sistema dev’essere affer- mata. Ora, se si ammette che nel male vi sia al- II sig. Fed. Schlegel ha il merito di aver fatto valere questa difficoltà specialmente contro il panteismo nel suo scritto sugl’ Indiani e in parecchi luoghi; ma è a deplorare soltanto che quest’ acuto erudito non abbia creduto oppor- tuno comunicare la sua propria veduta sull’ origine del male c sul suo rapporto col bene. 52 FEDERICO SCHELLINO cunchè di positivo, anche questo positivo deriverà da Dio. Qui si potrà opporre: il positivo del male, in quanto positivo, è bene. Con ciò il male non viene a sparire, benché non venga neppure spie- gato Infatti, se ciò che nel male sussiste' è bene, donde mai nasce ciò, in cui questo sussistente è, la base, che forma propriamente il male? Tutta diversa da quest’affermazione (sebbene spesso, anche di recente, confusa con la prima) è 1’ altra, che nel male, in ogni caso, non vi sia nulla di positivo, o, per usare un’espressione diversa, che esso non esista affatto ( neppure con e in un altro elemento positivo), ma che tutte le azioni siano più o meno positive, e che la differenza tra loro consista in un semplice plus o minus di perfezione, con che non si stabilisce alcuna opposizione, e però il male svanisce interamente. Sarebbe questa la seconda possibile ipotesi in rapporto alla propo- sizione, che tutto il positivo scaturisca da Dio. Allora la forza, che si mostra nel male, sarebbe sì, al paragone, più imperfetta di quella che appare nel bene, ma, considerata in sé, o fuori del para- gone, sarebbe una perfezione pur sempre, la quale dunque, come ogni altra, dev’ esser derivata da Dio. Ciò che noi in tal caso chiamiamo un male, è solo il minor grado di perfezione, il quale però solo per il nostro bisogno di comparazione appare come difetto, mentre nella natura non è punto. Che questa sia la vera opinione di Spinoza, non è possibile negare. Qualcuno potrebbe tentare di sfuggire a quel dilemma, rispondendo: che il positivo derivante da Dio sarebbe la libertà, la quale è in se stessa indifferente verso il male e il bene. Ma, se egli concepisce questa indifferenza, non in modo puramente negativo, bensì come una 1 Nel testo: « Seietide. » (N. d. T.) RICERCHE FILOSOFICHE 53 vivente e positiva facoltà di determinarsi al bene e al male, non si vede come da Dio, che vien considerato come pura bontà, possa mai seguire una facoltà di eleggere il male. È evidente da ciò, per dirla di passaggio, che, se la libertà è real- mente quel che in conformità di questo concetto deve essere (ed è immancabilmente), non si può essa giustificare con la già tentata derivazione della libertà da Dio; poiché, se la libertà è un potere di far il male, essa dovrà avere una radice indipendente da Dio. Così incalzati, si può esser tentati di gettarsi in braccio al dualismo. Ma questo sistema, se dev’ esser concepito effettivamente come la dottrina di due principii opposti e tra loro indi- pendenti, non è se non un sistema del suicidio e dello sconforto della ragione. Se poi il principio cattivo è pensato come dipendente in un certo senso dal buono, tutta la difficoltà della deriva- zione del male dal bene è certo concentrata in un solo essere, ma viene così ad essere accresciuta anziché diminuita. Anche supponendo che questo secondo essere fu dapprincipio creato buono e per propria colpa si staccò dall'essere originario, resta sempre inesplicabile in tutti i sistemi, che si son avuti finora, la prima facoltà di un atto di ribel- lione a Dio. Perciò, anche se noi finiamo col sopprimere, non solamente l’identità, ma ogni le- game degli esseri mondani con Dio, considerando la loro esistenza attuale e quella del mondo con essa come un allontanamento da Dio, la diffi- coltà è solo spostata di un punto, ma non tolta. Infatti, per potere scaturire da Dio, essi dovevano già esistere in un certo modo, e non si potrebbe menomamente opporre al panteismo la dottrina dell’emanazione, presupponendo essa un’originaria esistenza delle cose in Dio e quindi naturalmente il panteismo. A spiegare quell’ allontanamento, si potrebbe solo addurre quanto segue. O esso è 54 FEDERICO SCHELLINO involontario da parte delle cose, ma non da parte di Dio: e allora, siccome esse da Dio furono get- tate nello stato d’ infelicità e di malizia, Dio è 1’ autore di un tale stato. O è involontario da ambe le parti, cagionato forse da esuberanza dell’ essere, come alcuni affermano: rappresentazione insoste- nibile affatto. O è volontario da parte delle cose, uno svellersi da Dio, dunque la conseguenza di una colpa, alla quale segue una sempre pivi pro- fonda caduta: e allora questa prima colpa è già per se stessa il male, e non dà alcuna spiega- zione dell’ origine di esso. Senza un tale espe- diente poi, che, se spiega il male nel mondo, estingue viceversa, e interamente, il bene, e invece del panteismo introduce un pandenionismo, sva- nisce precisamente nel sistema dell’ emanazione ogni proprio contrasto di bene e male; il Primo, si perde per infiniti gradi intermedii, mediante un graduale attenuarsi, in ciò che non ha più alcuna parvenza di bene, suppergiù allo stesso modo in cui Plotino, 1 con sottigliezza bensì, ma senza lasciar appagati, descrive il transito del bene ori- ginario nella materia e nel male. Invero, da un costante processo di subordinazione e di allonta- namento, vien fuori un Ultimo, di là dal quale il divenire è impossibile, e questo appunto (ciò che è incapace di produrre ulteriormente) è il male. Ovvero: se qualche cosa è dopo il Primo, dev’ es- serci anche un Ultimo, che del Primo non ha più nulla in sè, e questo è la materia e la necessità del male. Dopo tali considerazioni, non sembra giusto rovesciare tutto il peso di questa difficoltà su di un solo sistema, specialmente se ciò che di più alto si pretende di opporgli, è così poco soddi- 1 Ennead. I. L. Vili, c. 8. RICERCHE FILOSOFICHE 55 sfacente. Anche le generalità dell’ idealismo non ci possono dare qui alcun aiuto. Con dei concetti lambiccati di Dio, come /’ actus purissimùs, del genere di quelli che stabiliva la filosofia antica, o di quelli, che la moderna cava fuori pur sempre, con la preoccupazione di tenere Dio a gran di- stanza dall’ intiera natura, non si riesce a nulla di nulla. Dio è qualcosa di più reale che un sem- plice ordinamento morale del cosmo, ed ha in sè ben altre e ben più vive forze motrici di quelle che P arida sottigliezza degl’ idealisti astratti gli attribuisce. L’orrore per ogni realtà, quasi che lo spirituale possa contaminarsi in ogni contatto con essa, deve naturalmente produrre anche la cecità per l’origine del male. L’idealismo, se non ha per base un realismo vivente, diviene un sistema altret- tanto vuoto e lambiccato, quanto il leibniziano, lo spinoziano, o qualunque altro sistema dogmatico. Tutta la nuova filosofia europea dal suo principio (con Descartes) ha questo comune difetto, che la natura non esiste per essa, e che le manca un vivo fondamento. Il realismo dello Spinoza è per- tanto così astratto, come l’idealismo del Leibniz. L’idealismo è l’anima della filosofia; il realismo n’ è il corpo; solo tutti e due insieme fanno un tutto vivente. Il secondo non può mai offrire il principio, ma bisogna che sia la base ed il mezzo, in cui quello si realizza, prendendo carne esangue. Se ad una filosofia manca questo fondamento vivo, il che d’ ordinario è segno che anche il principio idea'e aveva originariamente in essa una debole efficacia: essa verrà a perdersi in quei sistemi, i cui distillati concetti di aseità, modificazioni ecc. stanno nel più acuto contrasto con la forza vitale e la pienezza della realtà. Dove poi il principio ideale è fornito davvero e in alta misura di forza operativa, ma non può trovare una base di conci- liazione e di mediazione, produrrà un torbido e FEDERICO SCHELLINO 56 selvaggio entusiasmo, che finirà nella macerazione di se stessi, o, come accadeva ai sacerdoti della dea Frigia, nell’ evirazione, la quale in filosofia si compie abbandonando la ragione e la scienza. È parso necessario incominciare questo trattato con la giustificazione di concetti essenziali, che da lungo tempo, ma in particolare ultimamente, sono stati ingarbugliati. Le osservazioni fatte si- nora debbono perciò considerarsi come semplice introduzione alla nostra indagine vera e propria. Noi l’abbiamo già dichiarato: solo con i prin- cipii d: una vera filosofia della natura si può svolgere quella veduta, che dà completa soddisfa zione al tema che ci proponiamo. Noi non ne- ghiamo perciò che una tale esatta veduta sia stata già da lungo tempo anticipata da alcuni intelletti. Ma erano anch’ essi appunto quelli, che senza te- mere gli epiteti ingiuriosi di materialismo, pantei- smo ecc., usuali da un pezzo contro ogni filosofia realistica, cercavano il principio vivente della na- tura, e, in contrapposto ai dogmatici ed agl’idea- listi astratti, che li respingevano come mistici, erano filosofi naturali (nell’ uno e nell’altro senso). La filosofia naturale dei nostri tempi ha per la pri- ma volta introdotta nella scienza la distinzione tra l’essere, in quanto esiste, e l’essere, in quanto è semplice fondamento di esistenza. Tale distin- zione è vecchia quanto la prima esposizione scien- tifica di essa. 1 Nonostante che proprio in questo punto essa diverga nel modo più reciso dalla via di Spinoza, pure in Oermania si è poiuto fin adesso affermare che i suoi principii metafisici siano tut- t’uno con quelli di Spinoza; e sebbene quella distin- zione appunto porti nello stesso tempo la più recisa 1 Si veda nella Zeitschrift tur spekul. Physik Bd. II, Heft 2, § 54 nota, [IV, S. 146], inoltre nota 1 al § 93 e la spiegaz. a p. 114 [S. 203). 57 RICERCHE FILOSOFICHE distinzione della natura da Dio, ciò non ha im- pedito che la si accusasse di confondere Dio con la natura. Poiché sulla medesima distinzione si fonda la presente ricerca, sia detto quanto segue a fine d’ illustrarla. Non esistendo nulla prima o fuori di Dio, con- viene che egli abbia in se stesso il fondamento della sua esistenza. Cosi dicono tutti i filosofi; ma essi parlano di questo fondamento come di un puro concetto, senza farne alcunché di reale e di effettivo. Questo fondamento della sua esistenza, che Dio ha in sé, non è Dio assolutamente con- siderato, cioè in quanto esiste; poiché esso non è se non il fondamento della sua esistenza, esso è la natura in Dio; un essere inseparabile, è vero, ma pur distinto da lui. Questo rapporto si può chiarire analogicamente con quello tra la forza di gravità e la luce nella natura. La forza di gravità precede la luce, come suo eternamente oscuro fondamento, il quale per se stesso non è actu e si dilegua nella notte, mentre la luce (l’esistente) sorge. 11 suggello, sotto cui essa è chiusa, non è sciolto interamente neppur dalla luce. ' Appunto perciò essa non è nè l’ essenza pura nè l’essere attuale dell’ assoluta identità, ma non fa se non seguire dalla sua natura;* * o essa è, considerata in altri termini nella potenza deter- minata: poiché del resto, anche ciò, che relati- vamente alla forza di gravità appare come esistente, in se stesso poi appartiene al fondamento, e la natura in genere è pertanto ciò che rimane di là dall’essere assoluto dall’identità assoluta. 3 Per quanto del resto concerne quella precedenza, essa non è a concepirsi nè come precedenza di tempo, ‘ Loc. cit. S. 59, 60 [S. 163]. * Ibi'!. S. 41 [?. 146]. » Ivi I. 114 (S. 203). 58 FEDERICO SCHELLINO nè come priorità di essenza. Nel circolo, da cui ogni cosa deriva, non v’ è alcuna contradizione ad ammettere che ciò, da cui 1’ Uno è prodotto, sia alla sua volta prodotto da esso. Non v'è qui un primo ed un ultimo, perchè tutto si presuppone a vicenda, nessuna cosa è 1’ altra e tuttavia non è senza l’altra. Dio ha in sè un intimo fondamento della sua esistenza, che in questo senso precede lui come esistente; ma Dio a sua volta è del pari il Prius del fondamento, giacché questo, anche come tale, non potrebbe essere, se Dio non esistesse actu. Alla medesima distinzione porta la riflessione scaturiente dalle cose. Primieramente è da lasciare affatto in disparte il concetto dell’ immanenza, in quanto esprima per avventura una morta compren- sione delle cose in Dio. Noi riconosciamo piut- tosto, che il concetto del divenire sia l’unico ap- propriato alla natura delle cose. Ma queste non possono divenire in Dio, assolutamente conside- rato, mentre sono tato genere , o per parlare più giusto, infinitamente diverse da lui. Per essere staccate da Dio, occorre che divengano in una base differente da lui. Ma nulla potendo essere fuori di Dio, la contradizione si scioglie solo am- mettendo, che le cose abbiano la loro base in ciò che in Dio non è Egli stesso ', ovvero in ciò che è base della sua esistenza. Se vogliamo accostare maggiormente quest’ es- sere all’ intelletto umano, possiamo dire : che egli sia il desiderio, che sente l’Eterno Uno, di generare 1 È questo l’unico vero dualismo, cioè quello che nello stesso tempo concede un’unità. Più su era in questione il dualismo modificato, secondo cui il principio malvagio è, non coordinato, ma subordinato al buono. C’e appena datemere che qualcuno confonda il rapporto stabilito qui con quel dualismo, in cui il subordinato è sempre un principio es- senzialmente cattivo, e appunto perciò rimane totalmente incomprensibile nella sua origine da Dio. RICERCHE FILOSOFICHE 59 se stesso. Non è l’Uno stesso, ma pure è coeterno con lui. Vuol generare Dio, cioè l’impenetrabile unità, ma in questo senso non è in se stess’o an cora V unità. È dunque, considerato per sè, anche volere; ma volere in cui non c’è intelligenza, e però anche, non autonomo e perfetto volere, perchè l’in- telletto propriamente è il volere nel volere. Tuttavia esso è un volere che si dirige all’ intelletto, cioè desiderio e brama di esso; non un conscio, ma un presago volere, il cui presagio è l’intelletto. Noi parliamo dell’essenza del desiderio in sè e per sè considerata, che dev’essere ben tenuta d’occhio quantunque sia stata da gran tempo sop- piantata dal principio superiore, che si è elevato da essa, e quantunque non possiamo afferrarla sensibilmente, ma solo con lo spirito e col pen- siero. Secondo l’eterno atto dell' auto- rivelazione, tutto invero nel mondo, come lo scorgiamo adesso, è regola, ordine e forma; ma nel fondo c’è pur sempre l’irregolare, come se una volta dovesse ricomparire alla luce, e non sembra mai che l’ or- dine e la forma siano l’originario, ma che qual- cosa di originariamente irregolare sia stata solle- vata ad ordine. Questo è nelle cose l’inafferrabile base della realtà, il residuo non mai appariscente, ciò, che, per quanti sforzi si facciano, non si può risolvere in elemento intellettuale, ma resta nel fondo eternamente. Da questo Irrazionale è,- nel senso proprio, nato l’ intelletto. Senza il precedere di questa oscurità, non v’è alcuna realtà della creatura; la tenebra è il suo retaggio necessario. Dio solo — egli medesimo l’Esistente — abita nella pura luce, poiché egli solo è da se stesso. La presunzione dell’ uomo si ribella assolutamente a quest’origine, e anzi va in cerca di principi! morali. Tuttavia non sapremmo che cos'altro po- tesse maggiormente spinger l’ uomo a tendere con tutte le sue forze verso la luce, che la coscienza 60 FEDERICO SCHELLINO della profonda notte, da cui egli è stato tratto al- l’esistenza. I lamenti feminei, che in tal modo si ponga F inintelligente come radice dell’intelletto, la notte come principio della luce, si fondano in parte su di un’equivoca interpretazione della cosa (in quanto non si capisce, come con questa ve- duta la priorità dell’intelletto e dell’essenza secon- do il concetto possa tuttavia sussistere); ma essi esprimono il vero sistema degli odierni filosofi, che volentieri produrrebbero fumum ex fulgore, al che non basta la potentissima precipitazione fich- tiana. Ogni nascita è nascita dall’ oscurità alla luce; il seme dev’essere profondato nella terra e morire nelle tenebre, affinchè la bella e luminosa forma vegetale si aderga e si spieghi ai raggi del sole. L’uomo vien formato nel corpo della madre; e dal buio dell’irrazionale (dal sentimento, dalla brama , 1 splendida madre della conoscenza) germo- gliano i luminosi pensieri. Noi pertanto dobbia- mo rappresentarci la brama originaria, come diri- gentesi verso l’intelletto, che essa non ancora conosce, così come noi nell’aspirazione aneliamo ad un bene ignoto e senza nome, e agitantesi pre- saga, come un mare che ondeggia e ribolle, simile alla materia di Platone, secondo una legge oscura ed incerta, senza la capacità di formare qualcosa che duri. Ma, rispondendo alla brama, che, quale fondamento ancora oscuro, è il primo segno di vita dell’essere divino, si genera in Dio stesso un’ intima riflessiva rappresentazione, mercè la quale, poiché non può avere altro oggetto che Dio, Dio contempla in una immagine se stesso. Tale rappresentazione è la prima forma in cui si realizza Dio, assolutamente considerato, benché solo in lui stesso ; è in Dio inizialmente, ed è Dio 1 Nel testo: « Sehnsucht ». (N. d. T.). RICERCHE FILOSOFICHE 61 stesso generato in Dio. Tale rappresentazione è ad un tempo l’ intelletto — il verbo di quell’ aspi-, razione,* e l’eterno spirito, che sente in ih il verbo e insieme l’infinita aspirazione, mosso dal- l’amore, che è egli medesimo, esprime il verbo, che oramai, accoppiandosi l’intelletto all’aspira- zione, diviene volontà liberamente creativa e onni- potente, e nella natura, dapprincipio sregolata, pro- duce come in un suo elemento o strumento. 11 primo effetto dell’ intelligenza in essa è la separa- zione delle forze, potendo egli solo così dispie- gare l’unità che vi è contenuta inconsciamente, quasi in un seme, eppur necessariamente, a quel modo stesso che nell’ uomo la luce s’ insinua nel- l’oscuro desiderio di cercare qualcosa, per il fatto, che nel caotico tumulto dei pensieri, che tutti s’intrecciano, ma ognuno impedisce all’altro di sor- gere, i pensieri si scindono e sorge l’unità, che è nascosta nel fondo e che tutti li comprende sotto di sè; o come nella pianta, solo nel rapporto del di- spiegarsi e propagarsi delle forze, si scioglie l’o- scuro vincolo della gravità e viene a svilupparsi l’unità nascosta nella materia distinta. Poiché in- vero quest’essere (della natura primordiale) non è altro che l’eterno fondamento dell’esistenza di Dio, perciò deve contenere in se stesso, benché chiara, l’essenza di Dio, quasi un lume di vita risplendente nell’oscurità. II desiderio poi, eccitato dall’ intelligenza, tende ormai a conservare quel lume di vita che ha accolto in sè, e a rinchiudersi in se stesso, per rimanere pur sempre come fon- damento. Quando perciò l’intelletto, o il lume posto nella natura primordiale, spinge alla sepa- razione delle forze (all’abbandono dell’oscurità) il desiderio che si ritira in se stesso, facendo sor- 1 Nel senso in cui si dice: la parola dell’enigma. 62 FEDERICO SCHELLINO gere, appunto in questa separazione, l’unità in- clusa nel distinto, il nascosto lume di vita, nasce in tal modo per la prima volta alcunché di com- prensibile o di singolo, e in verità, non per via di rappresentazione esterna, bensì di vera imma- ginazione , ' poiché quel che sorge nella natura è figurato di dentro; o, più esattamente ancora, per via di un risveglio, in quanto che l’intelletto fa sorgere l’unità o l’idea occultata nel fondamen- tale distinto . 1 2 Le forze separate (ma non comple- tamente staccate) in tale distinzione son la materia, onde poi è configurato il corpo; invece il legame vivente che nasce nella distinzione, e però dall’imo fondo naturale, come centro delle forze, è l’ani- ma. Siccome l’intelletto originario trae l’anima, come elemento interiore, da un fondo indipen- den e da esso, rimane perciò anch’essa indipen- dente, come un’essenza speciale e sussistente di per sé. È facile vedere, che nella resistenza del desi- derio, necessaria alla perfetta nascita, il legame strettissimo delle forze si scioglie in uno svolgi- mento che avviene per gradi e, ad ogni grado della separazione delle forze, sorge dalla natura un nuovo essere, la cui anima sarà tanto più perfet- ta, quanto più contiene distinto ciò, che negli altri è ancora indistinto. Mostrare come ogni suc- cessivo processo venga ad avvicinarsi sempre più all’essenza della natura, finché nella massima separazione delle forze si schiude il più intimo centro, è ufficio di una perfetta filosofia della natura. Per lo scopo presente è essenziale quanto segue. Ognuno degli esseri, sorti nella natura 1 Nel testo ; Ein-Bildilng, onde un gioco di parole intra- ducibile nella nostra lingua. (N. d. T.) 2 Alla lettera; « nel fondamento distinto »; in dcm geschie- denen Grande. (N. d. T). RICERCHE FILOSOFICHE 63 secondo la maniera indicata, ha in sè un doppio principio, che è uno e identico in fondo, ma si- può considerare sotto due aspetti. Il primo prin- cipio è quello, per cui essi son distinti da Dio, o per cui sono nel solo fondamento; ma, siccome tra ciò, che è esemplato nel fondamento, e ciò, che è esemplato nell’intelletto, ha pur luogo una originaria unità, e il processo della creazione tende solo a trasmutare internamente o a rischiarare nella luce il principio originariamente oscuro (perchè l’intelletto, o la luce introdotta nella na- tura, cerca in fondo propriamente la luce affine, rivolta a loro): così il principio tenebroso per sua natura è appunto quello, che è insieme rischia- rato nella luce, ed entrambi, sebbene in determi- nato grado, son uno in ogni essere naturale. Il principio, in quanto nasce dal fondo ed è oscuro, è il volere individuale della creatura, il quale però, in quanto non è ancora assurto (non comprende) a perfetta unità con la luce (come principio del- l’intelletto), è mera passione o brama, ossia vo- lere cieco. A questo volere individuale della crea- tura si contrappone l’intelletto come volere univer- sale, che si serve del primo, subordinandolo a sè come semplice strumento. Se infine, proce- dendo la trasformazione e separazione di tutte le forze, è messo in piena luce il punto più interno e profondo della primordiale oscurità in un es- sere, allora il volere di quest’essere è bensì, in quanto esso è un individuo, egualmente un vo- lere particolare, ma in sè, o come centro di tutti gli altri voleri particolari, è uno col volere origi- nario o coll’intelletto, cosicché di entrambi si fa ora un unico insieme. Quest’elevazione del più profondo centro alla luce non accade in nes- suna delle creature a noi visibili fuorché nel- l’uomo. Nell’uomo è tutta la potenza del principio tenebroso e ad un tempo tutta la potenza della 64 FEDERICO SCHELLINO luce. In lui è il più profondo abisso e il più alto cielo, o entrambi i centri. Il volere dell’uomo è il germe occultato nell’ eterna brama di un Dio esistente ancora nel fondamento; il divino lume di vita chiuso nel profondo e che Dio vide, quando concepì il volere di crear la natura. In lui soltanto (nell’ uomo) Dio ha amato il mondo; e la brama accolse nel suo centro appunto quest’immagine di Dio, quando entrò in conflitto con la luce. L’uomo per ciò, che egli scaturisce dall’ imo fondo (è una creatura), ha in sè un principio indipen- dente per rapporto a Dio; ma per ciò, che sif- fatto principio — senza cessare tuttavia di essere tenebroso nel suo fondo — è chiarificato nella luce, si schiude insieme in lui qualcosa di più alto, lo spirito. Infatti l’eterno spirito esprime l’unità o il verbo nella natura. 11 verbo espresso (reale) poi è solo nell’unità di luce e tenebre (vocale e consonante). Ora in tutte le cose vi sono bensì i due principii, ma senza piena conso- nanza, a causa della manchevolezza di ciò che è elevato dal fondo. Solo nell’uomo dunque è piena- mente espresso il verbo, che in tutte le altre cose è ancora arrestato e incompiuto. Ma nel verbo espresso viene a rivelarsi lo spirito, cioè Dio, esi- stente come actu. Essendo poi l’ anima identità vivente dei due principii, essa è spirito; e lo spi- rito è in Dio. Ora, se nello spirito dell’ uomo l’identità dei due principii fosse altrettanto indis- solubile che in Dio, non vi sarebbe alcuna diffe- renza, cioè Dio, come spirito, non si rivelerebbe. Quella medesima unità, che in Dio è inseparabile, deve essere adunque separabile nell’ uomo, — ed ecco la possibilità del bene e del male.
Monday, May 2, 2022
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