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Monday, May 23, 2022

GRICE E CAMMARATA: ESCATOLOGIA DELLA GIUSTIZIA

 Il secondo giorno sostenne tutto il contrario; onde gridano all'immoralità, all’audacia e alla sfacciataggine del filosofo, che non si vergognò di difendere contraddizione si anorme. Anche non tenendo conto che, se si applicasse questo criterio, tutta la filosofia dei accademici sarebbe un' immoralità, perchè il loro metodo e di difendere in ogni quistione le soluziori opposte. Idue discorsi (tesi ed antitesi, positio e contra-positio, posizione e contra-posizione), tenuti in giorni successivi, abbiano un'unità perfetta (la sintesi, o com-posizione) e si propongano il medesimo fine: mostrare la falsità della dottrina della tesi di Diogene intorno al giurato; e siccome costoro in questa parte della filosofia, molto più che in altre, sono dipendenti da Platone e da Aristotele, bisogna prendere le mosse da questi. Leggiamo in Lattanzio. Carneades autem, ut Aristotelem refelleret ac Platonem, justitiae patronos, prima illa disputatione collegit ea omnia, quae pro justitia dicebantur, ut posset illa, sicut fecit, evertere. Carneades, quoniam erant infirma, quæ a philosophis adserebantur, sumsit audaciam refellendi, quia refelli posse intellexit (Lattanzio, Instit. div. V, 14; V, 17. 2-4.). E al trove. Nec immerito extitit Carneades, homo summo ingenio et acumine, qui refelleret istorum (Platone e Aristotele ) orationem et iustitiam, quæ fundamentum stabile non habebat, everteret, non quia vituperandam esse iustitiam sentiebat, sed ut illos defensores eius ostenderet nihil certi, nihil firmi de iustitia disputare (Ibid. Epit. 55, 5-8). Di qui è evidente che la prima orazione non era che un esordio, un'introduzione, uno sguardo storico alla questione, un'esposizione delle idee accettate da Diogene, che Carneade s'appresta a confutare nel vegnente giorno (Cic., de rep. III, 12); confutazione, la quale non aveva per iscopo di vituperare la giustizia in sé, ma di colpire i filosofi avversari, o almeno la loro teoria dommatica – il domma.Non è la virtù stoica, che Carneade demole, ma il sapere. Su questo si dovrà tornare più innanzi. E caso a noi pervennero frammenti solamente della seconda orazione. Questa sola offriva una filosofia nuova, dava una scossa inaspettata e forte all'intelligenza dei romani. Perciò eam disputationem, qua iustitia evertitur, apud Ciceronem L. Furius recordatur (Lattanzio, Instit. dio. I. c.). E noi ora possiamo tentare di ricostruire questo singolare di scorso nelle sue linee generali. Per Carneade, non esiste una giustizia (giurato – iusiurato) naturale nè verso due uomini. Se esso esistesse le medesimecose sarebbero giurate (iusiurata) giuste o ingiuste, buone o cattive, morali o immorali, per ogni uomo, come le cose calde e le fredde, le dolci e le amare. Invece chi conosce il mondo e la storia, sa che regna una grandissima diversità di apprezzamenti morali e giuridici, di consuetudini tra il popolo romano e il popolo sabino, da Roma a Sabinia, dal Tevere al Trastevere, da tempo a tempo. I cretesi e gli etoli reputano cosa onesta il brigantaggio. I Lacedemoni dichiarano loro proprietà tutti i campi che potevano toccare col giavellotto. Gli Ateniesi solevano annunciare pubblicamente che loro apparteneva ogni terra che producesse olive e biade. I barbari galli stimano disonorevole cosa procurarsi il frumento col lavoro, invece che colle armi. I romani vietano ai Transalpini la coltivazione dell'ulivo e della vite, per impedire la concorrenza ai loro prodotti e dar a questi un valore più elevato. Gli semitici egiziani, che hanno una storia di moltissimi secoli, adorano come divinità il bue e belve di ogni genere. I semitici Persiani, disprezzano gli dei dell'Ellade, ne incendiarono i tempii, persuasi essere cosa illecita che gli dei, i quali hanno per abitazione tutto il mondo, fossero rinchiusi tra pareti. Filippo il Macedone idea e Alessandro manda ad esecuzione la guerra contro i greci per punire quei numi. I Tauri, gli Egiziani, i barbari galli (“Norma”) e i Fenici credeno che tornassero assai accetti alle loro deità il sacrifizio umano. Si dice: E dovere dell'uomo che fa il giurato (iusiuratum) ubbidire alla legge. Quale legge? A la legge di ieri, o alla legge di oggi? A quelle fatte in questo lato del Tevere, o nel Trastevere? Se una un imperativo o una legge suprema, universale, trascendente, kantiana, costante s'impone alla coscienza dell’uomo, come pretende Diogene, coteste variazioni non sarebbero possibili. Perciò non esiste un diritto naturale, nè un uomo che per natura arriva al giurato (iusiuratum). Il diritto (ius) è una invenzione dell’uomo a scopo di utilità e didifesa; come prova anche il fatto che non raramente la legge, le quale e fatta dal sesso maschile, assicura a questo sesso un particolare vantaggio a danno di quello femminile. Nessuna ‘legislazione’, attentamente esaminata, appare l'espressione di un imperative o principio fisso, naturale, vero, immutabile, divino. Invece al profondo osservatore non isfugge che ogni disposizione legale move da ragione di utile e viene cambiata appena non risponde più ai bisogni e agl'interessi di coloro che hanno nelle mani il potere. Ogni nazione cerca di provvedere al proprio bene e considera, per istinto di natura, gli animali e le altre nazione come istrumenti della propria conservazione e felicità (Cic., de rep. III, 12-21). La storia insegna che ogni popolo che diventa grande, potente, ricco, non pensa ai vantaggi altrui, ma unicamente ai proprii. Voi stessi o Romani, disse Carneade parlando a un Scipione Emiliano, il futuro distruttore di Cartagine e di Numanzia, a Lelio il saggio, al letterato Furio Filo, a Scevola il futuro giureconsult, all'erudito Sulpicio Gallo, algrande oratore Galba, al vecchio Catone, l'implacabile nemico di Cartagine, al fiore di tutta la cittadinanza e alla presenza dei colti ostaggi achei trasportati in Italia, tra i quali il grande storico e generale Polibio. Voi stessi, o Romani, non vi siete impadroniti del mondo colla giustizia. Se volete essere giusti, restituite le cose tolte agli altri, ritornate alle vostre capanne a vivere nella povertà e nella miseria. Il criterio direttivo della vostra vita non e il  giurato (iusiuratum), bensi l'utilità, che invano cercate di mascherara; poichè voi, coll'intimare la guerra per mezzo di araldi, col recare *in-giurie* sotto un pretesto di legalità, col desiderare l'altrui, col rubire, siete per venuti al possesso di tutto il mondo. Ma per temperare il cattivo effetto, che avesse potuto produrre negli animi dei Romani questa audace analisi dei fattori della loro grandezza politica, l'avveduto ambasciatore ateniese ricorda altri esempi, che sono celebri e lodati in tutto il mondo. Rammenta la ben nota risposta data dal pirata catturato ad Alessandro il grande. Io infesto breve tratto di mare con una sola fusta, con quel medesiino diritto, col quale tu, o Alessandro, infesti tutto il mondo con grande esercito e flotta. Il patriottismo, questa virtù somma e perfetta, che suole essere portata fino al cielo colle lodi, è la negazione del giurato (iusiuratum), perchè si alimenta della discordia seminata tra gli uomini e consiste nell'aumentare la prosperità del proprio paese, naturalmente a danno di un altro, coll’nvadere violentemente il territorio altrui, estendere il dominio, aumentare le gabelle. Patriotta è colui che acquista dei beni alla patria colla distruzione di altre città e nazioni, colma l'erario di denaro, rese più ricchi i concittadini. E, quel che è peggio, non solo il popolo e la classe incolta, ma eziandio i filosofi esortano e incoraggiano a commettere cotali atti ingiusti. Cosicchè alla malvagità non manca neppure l'autorità della scienza. Ovunque regnano inganno e ingiustizia, che invano si tentano di nascondere e legittimare. Tutti quelli che hanno diritto di vita e di morte sul popolo sono tiranni. Ma essi preferiscono chiamarsire per volontà divina. Quando alcuni, o per ricchezze, o per ischiatta, o per potenza, hanno nelle mani l'amministrazione di una città, costituiscono una setta. Ma i membri prendono il nome di “ottimato”. Se il popolo ha il sopravvento nel maneggio dei pubblici affari, la forma di governo si chiama libertà; ma è licenza. Ma poichè gli uomini si temono l'un l'altro, e una classe ha paura dell'altra, interviene una specie di *patto* o contratto fra popolo e potenti e si costituisce una forma mista di governo, dove la giustizia è un effetto non di natura o di volontà, ma di debolezza. Ed è naturale che cosi avvenga. Se l'uomo deve scegliere tra le seguenti condizioni: recare *in-giuria* e non riceverne; e farne e riceverne; nè farne, nè riceverne, egli repute ottima la prima, perchè soddisfa meglio i suoi istinti. Poscia la terza, che dona quiete e sicurezza; ultima e più infelice la condizione di chi sia costretto ad essere continuamente in armi, sia perchè faccia, sia perché riceva *in-giurie”. Adunque alla Hobbes lo stato naturale dei rapporti tra uomo e uomo è la lotta (uomo uominis lupo), la guerra, la discordia, la rapina, la violenza, l'inganno, in una parola, la negazione del giurato (giusgiurato). La giustizia è una virtù che si esercita per effetto di debolezza e per proprio tornaconio. Ma Diogene, come vedemmo, considera il giurato (iusiuratum) verso gli uomini. Carneade dove notare che l’istituzione del tempio esiste solamente nel l'immaginazione de' suoi avversari e dei filosofi, dai quali essi attinsero i loro principii. Non si acquista, non si allarga potere, non si fonda regno senza le armi, le guerre, le vittorie; le quali alla loro volta in generale presuppongono la presa e la distruzione di città. E dalle distruzioni non vanno immuni le oggetti addorati nei tempi, ne dalle stragi si sottragge il sacerdote del tempio; né dalle rapine i  tesori e gli arredi sacri. Quanti trofei di divinità nemiche, quante sacre immagini, quante spoglie di tempii resero splendidi i trionfi dei generali romani! E non sono cotesti sacrilegi? Non sono atti di somma ingiustizia? No, innanzi al giudizio del popolo, all'opinione della gente colta, degli storici, dei letterati, questa è gloria, è patriottismo, è prudenza, sapienza, giustizia. Dunque la giustizia non solamente non viene osservata in pratica, ma non esiste nep pure in fondo alla coscienza generale dell’uomo. Anch'essa viene subordinata all'utile. Ma non s'arresta qui la critica di Carneade. Con un esame sottile e profondo dell'antinomia esistente tra i due concetti del ‘scitum’ e del ‘giurato’ e della natura morale dell'uomo quale in realtà è, e quale egli si crede e vorrebbe essere, Carneade ha chiarito un contrasto del cuore (ragione pratica) e della mente (ragione teorica) umana, che tuttavia rimane e che ha servito di fondamento alle teorie utilitaristiche inglesi di tempi a noi vicini. Lo ‘scitum’ – la sapienza politica comanda al Cittadino di accrescere la potenza e la ricchezza della patria, estenderne i confini e il dominio, renderne più intensa la vita con nuove sorgenti di guadagni e di piaceri; e tutto questo non si può compiere senza danno di altre genti. Il giurato (iusiuratum) invece comanda di risparmiare tutti, di beneficare i propri simili indistintamente, restituire a ciascuno il suo, non toccare i beni, non turbare i possedimenti altrui, non sminuire la felicità d'alcuno. Ma se un uomo di stato vuole essere giusto, non ha mai l'approvazione de' suoi amministrati, non gloria, non onori, i quali il popolo attribuisce non al giusto (che promueve il giurato) e onesto e inetto; bensì al sapiente, al prudente, all'accorto. Non per il giurato, ma per il ‘scitum’ i generali di Roma hanno il soprannome di grandi. La violenza, la forza, la negazione del giurato, hanno dato potere e consistenza agli stati. Ma per nascondere la propria origine e fuggire la taccia de negare il giurato (iusiuratum), il popolo, fatto grande e divenuto dominatore, va immaginando delle favole da sostituire alla storia vera, come il mercante arricchito agogna un titolo di nobiltà. Le stesse qualità, e solamente le stesse, mantengono gli stati liberi o forti. Non ha nazione tanto stolta, la quale non preferisce il comandare con la negazione del giurato, all'ubbidire con la promozione del giurato (iusiuratum). La ragione di stato e la salvezza pubblica vincono e soffocano il sentiment *dis-interessato*. Uno stato vuole vivere a prezzo di qualsiasi negazione del giurato (iusiuratum), perchè sa che alla vittoria, con qualunque mezzo acquistata, tien dietro la gloria. Nel concetto degli antichi, la fine della propria nazione non sembra avvenimento naturale, come la morte di un individuo, pel quale questa non solo è necessaria, ma talvolta anche desiderabile. L'estinzione della patria era per essi in certo qual modo l'estinzione di tutto il mondo. Dato questo concetto e un sentimento della gloria diverso e molto più intenso che non sia in noi moderni, doveno in certa guisa parere *giustificati* (giusti-ficati – fatto giurato – iusiuratum -- anche gli atti di violenza e di frode, che avevano per I scopo la conservazione e la potenza del proprio stato; o, per meglio dire, il popolo e gl'individui non hanno coscienza di un principio o imperativo che governa la propria vita. Credeno, i Romani pei primi, di promovere il giurato (iusiuratum) e invece sommamente negano il giurato (iusiuratum). Carneade fu il primo a chiarire questa opposizione tra fatto e idea, tra sapienza machiavelica politica e il giurato (iusiuratum) (Cic., de fin. II, 59). Il medesimo conflitto tra il giurato e il ‘scitum’ dimostra egli esistere nella vita privata, intendendo per sapiente l'uomo che sa difendere il proprio interesse; e giusto colui che non lede quello degli altri. Sono suoi i seguenti esempi, tolti dalla vita giornaliera e assai chiari e appropriati alla vita romana affogata negli affari. Un tale vuole vendere uno schiavo, che ha l'abitudine di fuggire, o una casa insalubre. Egli solo conosce questi difetti. Ne rende avvisato il compratore? Se si, s'acquista  fama di uomo onesto, perchè non inganna, maeziandio di stolto, per che vende a piccolo prezzo, o non vende affatto; se no, sarà reputato sapiente, perchè fa il proprio interesse, ma malvagio, perchè inganna. Parimenti, se egli s'incontra in uno che vende oro per oricalco, o argento per piombo, tace per comperare a buon prezzo, o indica al venditore lo sbaglio e sborsa di più per l'acquisto? Solamente lo stolto vorrà pagare a maggior prezzo la merce. Se un tale, la cui morte a te recherebbe vantaggio, sta per porsi a sedere in luogo, dove si nasconde serpe velenoso, e tu il sai, dovrai avvertirlo del pericolo, o tacere? Se taci, sarai improbo, ma accorto; se parli, sarai probo, ma stolto (Cic., de rep. III, 34). Dunque qui pure si presenta la contraddizione: chi è giusto, è stolto; chi è sapiente, è ingiusto. Ma in questi casi si tratta di una quantità maggiore o minore di denaro e di vantaggi più o meno rilevanti, e v'ha chi potrebbe essere contento e felice della povertà. Ma quando andasse di mezzo la vita, il conflitto diventerebbe più spiccato. Un tale in un naufragio, mentre è poco lontano dall'affogare, vede un altro più debole di lui mettersi in salvo appoggiandosi a una tavola, che vale a sostenere uno solo. Nessuno testimonio è presente. Si fa sua la tavola e si pone in salvo, lasciundo che l'altro perisca. Oppure, se, dopo che i suoi furono sconfitti, incontra nella fuga un ferito a cavallo, che va sottraendosi al ferro dei nemici inseguenti, lo getterà a terra per porre se stesso in sella, o si lasce raggiungere e uccidere. Se egli è uomo sapiente, si salva a qualunque costo. Ma se poi antepone il morire al far morire, sarà giusto, ma stolto. Tale è il giudizio che intorno al suo operato porteranno il uomo.  Cosicchè il giure naturale, la giustizia naturale è stoltezza. Il giure civile è sapienza politica. Tutto è lotta d'interessi. Si ha ragione di credere che Carneade nel suo discorso *contro* il giurato civile tocca anche la questione della schiavitù, dicendo essere un fatto che nega il giurato (iusiudicatum) naturale, che uomo servisse a uomo -- principio che, riconosciuto vero, puo essere assai valido per far conoscere quanto esteso fosse il dominio della negazione del giurato e dare alla sua tesi una grande forza. E ciò si induce a credere dal vedere che in più frammenti il difensore del giurato, ossia il suo contraddittore, viene svolgendo la tesi opposta, perchè la schiavitù, rettamente conservata, torna a utilità del stesso schiavo, il quale sotto un governo buono e forte vive in maggiore sicurezza e viene meglio educato che allo stato di libertà; e come Dio comanda all'uomo, l'anima al corpo, la ragione alle parti appetitive dell'anima, cosi il conquistatore tiene a freno il conquistato, il quale diventa tali appunto perchè e peggiore di quello. Un tenue indizio ci sarebbe anche per farci credere che egli risolve il rimorso nella paura della pena, negando che fosse un sentimento più profondo e disinteressato. Diogene obbietta che in questa ipotesi il malvagio sarebbe semplicemente un incauto e il buono uno scaltro (Cic. de leg. I, 40 e s.). In conclusione: per Diogene, fondamento della morale e del diritto è l'inclinazione ad amare gli uomini e a rispettare la divinità, inclinazione che ha radice nella natura, la quale sola offre la norma per distinguere il giurato dalla sua assenza, il bene dal male. Per Carneade, generatrice del diritto è l'utilità, e l'utilità sola, e ogni giudizio morale e altrettanta opinione, la quale non deriva da un imperativo kantiano, o un principio naturale fisso, come provano la loro varietà e il dissenso degli uomini (Cic., de leg. I, 42 e s). Alla teoria giuridica di Carneade non si deve attribuire un significato di domma o dommatico, che sarebbe in cotraddizione colle premesse teoretiche della sua filosofia. L'egoismo e l'utilitarismo proclamato da Carneade in opposizione all'idealismo morale di Diogene, non è una dottrina *precettiva*, alla Kant (il sollen) ma l'investigazione e l'esposizione di un fatto psicologico e sociale – come il principio cooperativo di Grice. Carneade non pare credere all'effetto pratico della morale normativa e si limita ad analizzare il cuore dell’uomo, la ragione pratica, saggezza, prudential, il quale, per la sua tendenza nativa, è assai lontano dal realizzare il precetto dommatico stoico. Ma da filosofo prudente s'astiene dal proporne del proprio precetto (idiosincrazia). Nota il fatto che si presenta all'osservazione quotidiana con tutti i caratteri della verosimiglianza più alta e sforzano a credere o ad operare; ma nè costruisce una teoria assoluta, ne formula un domma. iusiuro: swear to a binding formula. NA Wundt/1/IV/D/XIII/1 Estate Wilhelm Wundt Zeitungsausschnitte 100. Geburtstag Wundt 1932. Last changed 2016-02-25 NA Wundt/III/1001-1100/1098/461-462. Estate Wilhelm Wundt Brief von Luigi Credaro an Wilhelm Wundt Last changed 2016-01-13.  

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