Grice e Carbonara
Queste conferenze, tenute nel 1804-05, si direbbero quasi altrettanti aifreschi di filosofia della storia, di cui lo Herder aveva dato il mo. X sino ai Discorsi alla, nazione tedesca (*), attraverso la serie di opuscoli politici intermedi ( 2 ), hanno potuto giustamente apparire come la radice del pangermanismo, non ne segue perciò che il Pielite stesso fosse un pangermanista. u Come ! esclama il Basoh ( 3 ), pangermanista quel Fichte che parla nel 1807-08 a Berlino, ancora occupata dai francesi, dinanzi a spie francesi, dopo Auerstftdt e Iena, dopo Eylau e Fried iand, dopo quel trattato di Tilsit di cui sappiamo le stipu¬ lazioni draconiane ! Chi non vede che appunto perchè il suo popolo era asservito, umiliato, esposto a essere can¬ cellato dalla carta d Europa con un tratto di penna del- l’onnipossente imperatore francese, e appunto perchè la Germania era stata spezzettata, la Prussia smembrata, egli ha, per legittima reazione e con sflflrzo ammirevole, esaltato, idealizzato, divinizzato quel popolo, opponendo alla realtà la visione magnifica di un avvenire che a lui stesso appa¬ riva problematico ? Le Reden sono un’ utopia ; un’ utopia cento volte quel Germano autoctono, quel Mut ter land , quella lingua madre ; e il Fichte lo sapeva bene e 1’ ha dello, e in cui il Ciclite, con una miscela di nazionalismo mistico o di cosmopolitismo umanitario, tratteggia a grandi periodi l’evoluzione dei genere umano dalle sue più lontane origini sino ai suoi più remoti destini futuri, passaudo attraverso le cinque età: ni dell’ innocenze o ragiono istintiva, b) dell’ autorità o ragione coercitiva, c) del peccato o ribellione contro la ragione sia istintiva sia coercitiva, d) della giu¬ stizia o arte della ragione, e) della santità o scienza della ragione. (') Reden an die deutsche Nailon ( Summit. Werke, VII). (-) Segnaliamo, tra gli altri, i Discorsi ai combattenti tedeschi al- 1 inizio della campagna del 1806 (Reden an die deutschen Kricgev zu All funge des Feldzuges) (Stillanti. 11 erke t VII) e i dialoghi patriottici dell’anno 1807, Il patriottismo e il suo contrario (Dei- Patriotismus und sein Gegentheil), (Sananti. Werke, XI, Nacliyel. Werke, III). ( 3 1 V. art. cit., pp. 783-784. det-.fo egli st.esso. Questa lingua, questo popolo egli li póneva non come già esistenti, ma come qualcosa che bisognava creare, se si voleva salvare la nazione tedesca dalla rovina totale e impedire che fosse radiata dal numero dei popoli \ilidipendenti. Questa lingua e questo popolo non erano una Veallà, ma un ideale, o meglio un imperativo „ ('). Del lèsto non abbiamo avuto anche noi, nella nostra letteratura, un (fenomeno analogo ai Discorsi alia nazione tedesca, in <\\i<\Primato morale e virile degli italiani , in cui, inver¬ tendo, il puuto di vista fichtiano, il Gioberti costruiva una filosofa della storia non meno utopistica, ma che pur tanti petti sdpsse, taute anime accese negli anni più belli del nostro riscatto (*) ? Che se poi il libro eloquente ed essen¬ zialmente. opera di fede del Fichte sia inteso non alla let¬ tera ma nel suo profondo significalo filosofico, spogliato dei suoi particolari riferimenti spaziali e temporali e con¬ siderato sub specie aeternitatis , allora non solo oltrepassa il valore di ubo scritto d’occasione, ma si eleva all’altezza di un’ opera sublime, perennemente suggestiva di nobili pensieri e di eroiche azioni. L’ autore, sempre ispirandosi a quel suo idealismo immanente, che egli contrappone a (') Li il leit-motiv proprio di tutta la filosofia fichtiana porre il “ dover essere ossia 1' “ idealo „, come condizione creatrice e ragione sufficiente e spiegazione finale dell’ u essere ossia del “ reale „. Se il Kant potè dirsi il Coporuico dolla filosofia, in quanto trasferì il punto di vista del problema filosofico dall' oggetto al soggetto, dal¬ l'essere al conoscere, il Fichte può dirsi anch’egli il Copernico della filosofia, in quanto spostò di nuovo quel punto di vista dal conoscere al fare, dall’essere al dover-esserc : la vera realtà, il vero assoluto sta per lui nell’ideale, nel dovere. ( ! ) V., in Rivista di Filosofa (ott.-dec. 1915 ), A. Faggi, Il “ Pri¬ mato „ del Gioberti e i “ Discorsi alla nazione tedesca „ del Fichte. qualsivoglia dogmatismo, specialmente se materialistico, sostiene in sostanza che non c’è possibilità di filosofia e di poesia, di religione e di educazione, di libertà e di progresso, se non là dove lo spirito crei o trovi in sè, e in nessun modo attinga dal di fuori, il principio propulsore e direttivo di tutta l’esistenza (*). Questo idealismo immanent/ egli chiama filosofia tedesca, ossia viva, di fronte a qualsiasi filosofia straniera, ossia morta. E che intende egli , per tedesco ? / (*) Non occorre ricordare che secondo il Fichte vi sono dué sistemi filosofici rigorosamente conseguenti, ciascuno dal suo punto/di vista: a) il dogmatismo, b) l’ idealismo. Ul^cio della filosofia è spiegare l’espe¬ rienza, la quale è costituita dalle rappresentazioni delle Còse. Ora si può a) o far derivare la rappresentazione dalle cose, come fa il dogma¬ tismo, b) o far derivare la cosa dalla rappresentazione, cóme fa l’idea¬ lismo. Lo scegliere l’una piuttosto che l’altra delle dué vie possibili dipende dal carattere individuale. Un sistema filosofico — bastereb¬ bero queste parole a mostrare quanta fede pratica, quanta iniziativa per¬ sonale ed energia spirituale il Fichte mettesse nella sua filosofia e quanta ne esigesse da chi questa filosofia voglia comprendere — non è uno strumento inanimato che si possa a piacimento possedere o alie¬ nare : esso scaturisce dal più profondo dell’anima umana: “ Iras far eine Philosophie man wàihle, hangt... davon ab, was man far ein Mensch ist: demi ein philosophisclies System ist nicht ein todter Hausrath , dea man ablegen oder abnehmen honnte, irte es mis beliebte, sonderà es ist beseelt durch die Seele des Menschen, der es ìiat. „ (Erste Ein lei- tung in die Wissensehaftsle'ire , Scimmtl. IVerke, I, p. 434). La scelta sarà diversa secondo che prevarrà in noi il sentimento dell’indipen¬ denza e dell’attività o il sentimento della dipendenza e della passi¬ vità; un carattere flaccido per natura, ovvero rilassato e incurvato dalla schiavitù dello spirito, dal lusso raffinato o dalla vanità, non s’innalzerà mai all’idealismo: 11 ein von Notar schiaffar oder durch Geistesknechtschaft gelehrten Luxus and Eitelkeit erschla/fler und gekrùmmler Chardhter toird sich nie zum Idealismus erheben. „ (ibid.). E ciò, indipendentemente dalle ragioni teoretiche che anch’esse dànno un’incontestabile superiorità di filosofia esaurientemente persuasiva all’idealismo di fronte all’in9ufficiente e assurdo dogmatismo. XIII Nel settimo discorso, in cui si approfondisce il .con- ' cotto àe]Y originarie là, e germanicità di un popolo (‘) l’au¬ tore stesso ha cura di far rilevar^ u con chiarezza per¬ fetta „ ciò che in tutto il suo libro ha intesò per tedesco (was uoir in unsrer bishcrigen Schilderung unter Deut- schen verstanden haben). “ Il vero e proprio punto di di¬ visione — egli scrive — sta in questo: o si crede che nel¬ l’uomo ci sia qualcosa di assolutamente primo e originario, si crede nella libertà, nell’infinito miglioramento e nell’e¬ terno progresso della nostra specie, oppure si nega tutto ciò e si crede di vedere e comprendere chiaramente che è vero tutto il contrario. Coloro che vivono creando e pro¬ ducendo il nuovo, coloro che, se non hanno questa sorte, almeno abbandonano decisamente quel che non ha valore (,das Nichtige) e vivono aspettando che da qualche parte la corrente della vita originaria venga a rapirli con sè, coloro che, non essendo neppure tanto avanti, almeno pre¬ sentono la verità, e non l’odiano o non la paventano, ma l’amano: tutti costoro sono uomini originari e, considerati come popolo, sono un popolo vergine ( Urvolk), sono il popolo per eccellenza, sono tedeschi. Coloro, invece, che si rassegnano a essere un che di secondo e derivato e chia¬ ramente concepiscono e riconoscono sè stessi come tali, tali sono in realtà, e sempre più tali divengono in forza di questa loro credenza; essi sono un’appendice della vita che una volta prima di loro o accanto a loro viveva per impulso proprio, essi sono l’eco che la roccia rimanda di (■) S’intitola: Noch tiefere Erfassung der Ursprunglichkeit utid Deutscheit eines Volkes (Sammtl. Werke, VII, pp. 359-377), (nella trad. ita!. Burich, Palermo, Sandron, 1915, pp. 125-147). — XIV una voce già spenta, e, considerati come popolo, non sono un popolo vergine, anzi di fronte a questo sono stranieri ed estranei (Fremete und Andando-) „ (»). Ecco, dunque, che cosa significa: tedesco! non già il tedesco considerato Ine et nune, ma il simbolo di un tipo ideale, onde il Fichte, continuando, aggiunge: u Chiunque crede nella spiritualità, nella libertà e nel progresso di questa spiritualità mediante la libertà, egli, dovunque sia nalo, qualunque lingua parli (wo es auch geboren seg und in welcher Sprache cs reile) e dei nostri, appartiene a noi, ci seguirà; chiunque, invece, crede nella stasi generale, nella decadenza, nel ricorso circo¬ lare e pone a governo del mondo una natura morta, egli, dovunque sia nato, qualunque^lingua parli, è non-tedesco (undeutscll), è per noi uno straniero, ed è desiderabile che quanto prima si stacchi completamente da noi „ ( 2 ). I Di¬ scorsi alla nazione tedesca, dunque, soltanto occasional¬ mente si rivolgono al popolo germanico, mentre nella loro profonda verità si rivolgono a tutti i popoli moderni, a tutti gli uomini che hanno fede nella libera spiritualità, di qualunque paese essi siano, additando a ciascuno la via sulla quale si può servire alla propria patria particolare e insieme alla gran patria comune, si può essere a un tempo nazionalista e cosmopolita, perchè gl’ interessi su¬ premi ed essenziali dell’umanità sono sempre e dovunque gli stessi. Ma a dimostrare in modo* 1 definitivo quanto l’autore dei Discorsi sia alieno dal cosidetto pangermanismo sta il (■) Reden an die deutsche Nalioti (Stimmll. Werke, VII, p, 874), (nella trad. ital., pp. 143-144). (’) Ibid. p. 375, (nella trad. ital., pp. 144-145); il nerette delle parole " dovunque sia nato ecc. „ è nostro. . XV discorso decimoterzo, donde trae maggior luce il significato di tutti gli altri. Si direbbe che i pangermanisti, ai quali piace farsi forti dell’auLorità del uostro filosofo, si siano di proposito arrestati dinanzi a questa sua arringa, che pure è il punto culminante verso cui tendono le rimanenti e che può dirsi un vero catechismo antimperialistico. Tutto ciò che all’imperialismo della Germania odierna sembra l’ideale che essa sarebbe chiamata ad attuare: il possesso di colonie, l’esclusiva libertà dei mari, il commercio e l’industria mon¬ diali, le guerre di aggressione e ili conquista, la barbarie scientificamente organizzata, le vessazioni sui paesi invasi, la visione di una monarchia universale, l’egemonia assoluta, vi ò rappresentato come odioso e insensato (‘). Ammettiamo pure che il Fichte abbia combattuto questa criminosa megalomania perchè essa nel 180G s’incarnava sotto i suoi occhi nella Francia napoleonica; non è men vero, però, che l’ideale opposto, a lui caro, rispondeva in modo re¬ ciso a tutta una concezione politica che fa di lui il figlio e il rappresentante più genuino della rivoluzione francese. La sua vita, i suoi scritti di filosofia pratica e di filosofia della storia nte sono prova ampia, piena, sicura, e se anche su¬ birono modificazioni, queste riguardano non il suo pen¬ siero e i suoi sentimenti, i quali in fondo rimasero sempre gli stessi, ma le mutate circostanze esteriori, il mutato aspetto della Francia, divenuta, da repubblicana e libera¬ trice, imperialistica e liberticida. Nato popolo — figlio di un povero tessitore, infatti, comincia la vita avviandosi al mestiere paterno e guardando le oche — , egli sempre po- (*) Kedeii ecc. (Sàmmll. I Verke, VII, pp. 459-480), nella irad. ital., pp. 256-280). XVI polo è rimasto nel più profondo dell’anima, per quanto ricca e forte sia divenuta poi la sua coltura, a qualunque sommità della scienza, dell’eloquenza e della gloria siasi inalzato il sùo genio. Già sin dagl’ inizi della sua fama si rivela un democratico ardente, giacobino quasi, irrecouci- 1 iabile avversario di ogni pregiudizio religioso, politico e nazionalistico. Subito dopo la sua Rivendicazione delia li- berlà di pensiero dai principi d'Europa die /ino allora l'acecano oppressa (1793) (‘), egli, nei suoi Contributi alla rettifica dei giudizi del pubblico sulla rivoluzione fran¬ cese (1793) (*), plaude ai principi dell’89 col fervido entu¬ siasmo d’un uomo la cui classe usciva redenta da quel grande atto di liberazione sociale, e aterina la sua fede nella rivo¬ luzione stessa, proclama i diritti del popolo, frusta a sangue il militarismo, maledice alle guerre mosse da interessi o da capricci dinastici, e lancia contro principi e monarchie as¬ solute i primi strali di quell’eloquenza appassionata che fa di lui forse il più grande oratore della Germania ( 8 ). (') Zuruckfarderung der Denkfreihe.it von den Filrsten Europas, die eie bisher unterdriikten (Sdmmtl. If erke, VI). (*) Beitriige zar Berichtigung der Urtheile des PubVcuins iiber die franzòsische Revolution (Sananti. Werke, VI). C) In queste sue prime opere politiche, elio per lungo tempo furono messe all’indice in tutta la Germania, il Fichte mostra che la ri¬ voluzione francese fu il prodotto necessario della libertà del pensiero, che la persona morale ha il diritto di elevarsi contro lo Stato, e che l’uomo uscito dalle mani della natura è autonomo, e che è inaliena¬ bile il diritto dei cittadini di moditicare la costituzione, di uscire da un’associazione politica per crearne una nuova, di fare ciò che ap¬ punto si chiama una rivoluzione. Fine ultimo degli uomini ò la coltura di tutti per la libertà, ma le monarchie, egli afferma, invece di lavorare al perfezionamento dei sudditi, sono state centro di de¬ pravazione morale. Come hanno inteso, infatti, i sovrani la coltura dei sudditi a loro affidati? Sotto forma di educazione alla guerra; perchè, dicono essi, la guerra coltiva. « Qra, è vero che la guerra — XVl( — Il Fondamento del Diritto naturale secondo i principi inalza le nostre anime a sentimenti e azioni eroiche, al disprezzo del pericolo e della morte, alla noncuranza dei beni continuamente esposti ni saccheggio, a una simpatia per tutto ciò che ha aspetto umano, perchè i pericoli e i dolori sopportati in comune stringono di più gli altri a noi. Ma non crediate di vedere in queste mie parole un pa¬ negirico della vostra follia bellicosa, o fors’anco l’umile preghiera che l’umanità dolente v’indirizzerebbe perchè non cessiate dal decimarla con guerre sanguinose. La guerra non inalza all’eroismo se non le anime già per natura eroiche; incita, invece, le anime poco nobili alla ruberia e all'oppressione della debolezza priva di difesa. La guerra crea a un tempo eroi e vili rapinatori, ma aitimi ’ delle due specie quale in numero maggiore ? „ (cfr. Sàmmtl. Werke, VII, pp. 90-91). Nel fondare e governare i loro Stati i monarchi mirano a rafforzare la loro onnipotenza all’interno, ad allargare le loro frontiere all’esterno: due fini, questi, tutt’altro che favorevoli alla coltura dei loro sudditi. 1 monarchi pretendono di essere i custodi del necessario equilibrio delle forze europee; ma questo fine, se è il loro, è perciò anche quello dei loro popoli? “ Credete proprio — egli domanda ai principi tede¬ schi — che l'artista o il contadino lorenese o alsaziano abbia molto a cuore di veder menzionata la propria città o il proprio villaggio, nei manuali di geografia, sotto la rubrica dell’impero germanico, e che por ottenere ciò butti via lo scalpello o l’aratro ? Il pericolo della guerra, ossia di ciò che lede e ferisce a morte la coltura, ultimo fine dell’evoluzione umana, deriva unicamente dalla monarchia assoluta, la (piale tende per necessità alla monarchia universale. Sopprimete questa causa, e tutti i mali che ne derivano scompariranno anch’essi, e le guerre terribili e i preparativi della guerra, ancor più terribili, non saranno più necessari (ibid. p. 95).
No comments:
Post a Comment