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Monday, May 16, 2022

GRICE E CAPRA: LA RIVELAZIONE

 Con Aristotele vengono a inaugurarsi nella storia del se­ gno alcuni fatti nuovi, destinati ad avere una notevole du­ revolezza. Il primo di questi riguarda l'ampia e profonda opera di normalizzazione teorica che Aristotele compie nei confronti del lessico delle scienze e delle pratiche professio­ nali che avevano fatto riferimento ai segni e al sapere con­ getturale in genere. Il vasto alone semantico, l'alternanza di usi forti, o pregnanti, e di usi deboli che aveva caratteriz­ zato per tutto il V secolo termini quali s�mefon, tekmirion, aitia, pr6phasis, eik6s negli scritti medici, nella storiogra­ fia, nella stessa letteratura filosofica, viene piegato alle esi­ genze di una definizione categoriale, che fissa gli usi esatti dei termini e ne delimita e separa i campi nozionali. L'operazione, come rileva Lanza (1979: 107), non ha che un successo parziale nella pratica linguistica, in quanto è solo sul piano teorico che Aristotele riesce a rendere rigoro­ se e rigide le distinzioni, proposte in due passi paralleli dei Primi analitici e della Retorica; 1 ma, nella stessa prosa del­ la Retorica e in generale nelle opere che trattano di argo­ mento scientifico, come ha fatto rilevare Le Blond (1939, ried. 1973: 241), l'uso dei vari termini del lessico semiotico­ gnoseologico resta fluido e i termini spesso vengono impie­ gati senza speciali sfumature di significato. Ciò non con­ traddice, tuttavia, il fatto che la revisione terminologica, da un punto di vista teorico, sia stata profonda e abbia inau-  5.1 TEORIA DEL LINGUAGGIO E DEL SEGNO 105 gurato una solida tradizione, che continuerà nella trattati­ stica successiva, fin nella retorica romana del I secolo d.C. Del resto le esigenze di distinzione teorica non si limite­ ranno a intervenire con un'operazione normalizzatrice sul lessico, ma entreranno anche nel vivo delle concezioni pro­ fonde coinvolte dal sapere congetturale. Abbiamo infatti visto come il dominio del tempo fosse centrale tanto nel sapere ascientifico della mantica quanto in quello protoscientifico della medicina. La conoscenza contemporanea del passato, del presente e del futuro era un elemento essenziale, sebbene secondo modalità diverse, in entrambi questi ambiti di sapere. Aristotele riprende, concettualizza e piega alle esigenze della classificazione teorica anche tale aspetto. Infatti, nella classificazione dei tipi di discorso proposta nella Retorica, Aristotele individua in primo luogo due ca­ tegorie di destinatari dei discorsi: colui che osserva (theo­ ros) e colui che decide (krit�s). Il primo agisce nella dimen­ sione del presente ed è il tipo di pubblico che assiste al di­ scorso epidittico o celebrativo. Il secondo, invece, può agi­ re nelle altre due dimensioni del tempo proprie degli altri due generi di discorso: il giudice (dikast�s) decide sul passa­ to; il membro dell'assemblea (ekkl�siast�s) sul futuro.2 Co­ me osserva giustamente Lanza (1979: 102), la classificazio­ ne è totalmente estrinseca ali'oggetto considerato, ma è chiaro l'intento aristotelico di congiungere la ripartizione canonica dei tipi di discorso con le tre dimensioni del tem­ po che fin dall'epoca di Omero appaiono associate agli am­ biti di manifestazione, esoterico o tecnico, del sapere. 5.1 Teoria del linguaggio e teoria del segno 5 . 1 . 1 Il triangolo serniotico Il secondo fatto importante, inaugurato dalla riflessione aristotelica, è quello che riguarda la disarticolazione, e la conseguente trattazione separata, della teoria del linguag-  }()6 5. UNGUAGGIO E SEGNI IN ARISTOTELE gio e della teoria del segno. Si tratta di un fatto che desta sorpresa e che appare molto rilevante proprio perché nelle teorie semiologiche moderne è assolutamente dato per scontato che i termini del linguaggio verbale sono dei "se­ gni": anzi, secondo un certo strutturalismo, sono i segni per eccellenza, e non sono stati pochi coloro che sono arri­ vati ali'eccesso di pensare che essi potessero fornire il mo­ dello anche per gli altri tipi di segno. In Aristotele, invece, gli elementi su cui si costruisce una teoria del linguaggio ricevono il nome di sjmbola, mentre gli altri elementi di una teoria del segno vengono denomi­ nati s�meia o tekmiria.3 In realtà, come vedremo, la teoria del segno propriamen­ te detto è articolata alla teoria del sillogismo e riveste un in­ teresse sia logico sia epistemologico. Il segno è, infatti, al centro del problema delle modalità di acquisizione della co­ noscenza, mentre il simbolo linguistico è connesso princi­ palmente al problema dei rapporti che si instaurano tra le espressioni linguistiche, le astrazioni concettuali e gli stati del mondo. È nel De interpreta/ione che Aristotele espone la sua teo­ ria del simbolo linguistico, articolandola secondo uno sche­ ma a tre termini: i suoni della voce, che sono i "simboli" delle affezioni dell'anima, le quali, a loro volta, sono le im­ magini degli oggetti esterni: Ordunque, i suoni della voce (tà en tii phoniz) sono simboli (symbola) delle affezioni che hanno luogo nell'anima (tOn en tii psychii path�matOn), e le lettere scritte (graphtJmena), sono simboli dei suoni della voce. Allo stesso modo poi che le lettere non sono le medesime per tutti, così neppure i suoni sono i me­ desimi; tuttavia, suoni e lettere risultano segni (s�mela), anzi­ tutto, delle affezioni dell'anima, che sono le medesime per tutti e costituiscono le immagini (homoi6mata) di oggetti (pragma­ ta), già identici per tutti. (Arist., De int., 16 a, 3-8) Bisogna innanzitutto dire che il fatto di incontrare il ter­ mine s�meia come apparente sinonimo di sjmbola non si­ gnifica affatto che le due espressioni siano intercambiabili:  5.1 TEORIA DEL LINGUAGGIO E DEL SEGNO 107 in realtà in questo passo Aristotele usa il termine s�mefon in un'accezione debole, che ci conferma appunto la tenden­ za a un uso sfumato delle espressioni del lessico semiotico, quando non sia in questione la costruzione del sistema di demarcazioni teoriche. In secondo luogo qui Aristotele usa s�meia per dire che l'esistenza di suoni e lettere può essere considerata come indizio deli'esistenza parallela di affezio­ ni dell'anima. A ogni modo, è possibile costruire, trascurando il livello grafematico, un triangolo semiotico di questo tipo: 1 ) affezioni dell'anima (psthlimsts sn tlii psychliil 2) pensteri (no�mat8)  rapporto convenzionale motivato ra ppo rto ( � sn t�i ph�n�tl (prSgmsta) suoni della voce oggetti esterni Come si può osservare, diverso è il rapporto tra le coppie di termini appartenenti alla triade: tra suoni e stati d'animo c'è un rapporto immotivato e convenzionale, in quanto gli stati d'animo sono uguali, secondo Aristotele, per tutti gli uomini, ma essi vengono espressi in maniera diversa a se­ conda delle varie lingue e culture, esattamente come avvie­ ne per le forme scritte;4 invece tra gli stati d'animo e gli og­ getti c'è un rapporto di motivazione, che appare addirittura iconico, in quanto i primi sono le immagini dei secondi. Bi­ sogna precisare che sarebbe scorretto identificare in manie­ ra diretta la tesi della convenzionalità degli elementi del lin­ guaggio, cui aderisce Aristotele, con la tesi deli'arbitrarietà  108 5. LINGUAGGIO E SEGNI IN ARISTOTELE del segno linguistico sviluppata da Saussure. In realtà nella teoria saussuriana esiste un rapporto arbitrario tra due en­ tità strettamente interne al linguaggio: il significante e il si­ gnificato sono le due facce del segno, in quanto unità lin­ guistica. In Aristotele troviamo invece un rapporto conven­ zionale tra elementi del linguaggio (il nome, il verbo, il 16- gos) ed elementi che propriamente non appartengono al lin­ guaggio, in quanto sono entità psichiche. Si deve inoltre ri­ levare che la teoria linguistica elaborata da Aristotele non si esaurisce nei testi di prevalente interesse logico, quali il De interpreta/ione, ma continua anche nei testi di interesse estetico: in questi ultimi, dove prevale la funzione poetica del linguaggio, il principio della convenzionalità viene in parte attenuato (Belardi 1975: 75 e passim). 5.1.2 I "suoni della voce" Ciascuno dei termini posti ai vertici del triangolo presen­ ta aspetti degni di nota e spesso non privi di problematicità. Per cominciare, che cosa intende Aristotele con l'espressio­ ne tà en tii phonii? A questa domanda vi sono risposte di­ verse. Donatella Di Cesare (1981: 161) sostiene che Aristotele attribuisce a questa espressione lo stesso valore che Saussu­ re dà al termine "significante" quando spiega la natura del segno linguistico. Belardi (1975: 198), invece, aveva sostenuto che tà en tii phonii doveva riferirsi non ai significanti, ma alle "espres­ sioni linguistiche" intese nella loro forma compiuta di 6no­ ma (nome), rhima (verbo), /6gos (discorso), come pure di kataphasis (affermazione) e ap6phasis (negazione); le ra­ gioni di questa scelta si basano sul fatto che questi elemen­ ti, facenti parte del programma di analisi di Aristotele, ven­ gono definiti "simboli" delle affezioni dell'anima (An. Pr. , 16 a, 25; 24 b, 2). Ora è indubbio che Aristotele intenda con l'espressione "suoni della voce" qualcosa che sottolinea molto chiara­ mente la veste fonica e il carattere di "significante". Tutta-  5.1 TEORIA DEL LINGUAGGIO E DEL SEGNO 109 via si deve anche sottolineare che l'ottica con cui Aristote­ le, almeno neli'Organon, guarda ai fatti di linguaggio sem­ bra diversa da quella saussuriana. Infatti Aristotele è qui interessato a saggiare le possibilità e le garanzie deli'uso del linguaggio neli'analisi della realtà. Tali garanzie sembrano esserci quando si dia una reciproca­ bilità tra i due ambiti del linguaggio e del reale. Ora, posto che per Aristotele la simbolicità del linguaggio nei confron­ ti del reale è sempre di secondo grado, in quanto il nome sta per un'immagine, la quale è appunto immagine di una cosa, sul vertice sinistro del triangolo deve stare qualcosa che (per gli scopi logici perseguiti nel De interpreta/ione) sia intercambiabile con ciò che si trova al vertice superiore. Da qui deriva l'uso della nozione di sjmbolon, che Ari­ stotele riprende da una tradizione risalente fino a Democri­ to (D-K, 68, B 5, 1). Le ragioni che permettono la specializ­ zazione di questo termine nel senso di indicare le espressio­ ni linguistiche convenzionali, sono connesse alla sua etimo· logia. Nella lingua greca, infatti, il termine sjmbolon indica ciascuna delle due metà in cui viene spezzato un oggetto (a esempio un astragalo, una medaglia, una moneta) in ma­ niera intenzionale, affinché possano servire, in un momen­ to successivo, come segno di riconoscimento, o come prova di una certa cosa (Belardi 1975: 198; Eco 1984: 199): il fat­ to che le due metà riescano a combaciare perfettamente vie­ ne a indicare la presenza di un rapporto precedentemente istituito (a esempio un rapporto di ospitalità, di amicizia, di paternità), la cui documentazione è affidata appunto alla congruenza perfetta dei due sjmbola. Si viene in effetti a realizzare una situazione in cui ciascuna delle due parti può scambiarsi di posto con l'altra, senza che venga a perdersi il valore di prova. Così dal momento che ciascuna parte pre­ suppone l'altra, o stabilisce con l'altra una stretta corri­ spondenza, l'espressione sjmbolon viene ad acquisire il si­ gnificato di "ciò che sta per qualcos'altro". Ma il fatto che venga preferita nel contesto della teoria linguistica aristote­ lica la parola sjmbolon all'espressione s�mefon (che pure indica uno "stare per") induce a indagare su una possibile  1 10 5. LINGUAGGIO E SEGNI IN ARISTOTELE specificità del rinvio istituito dal simbolo. In effetti, nel ca­ so del segno, i due termini del rinvio (che, come vedremo, è una implicazione) non sono sempre reciprocabili: un primo termine può rimandare a un secondo, senza che necessaria­ mente il secondo rimandi al primo. Nel caso del simbolo, invece, i due termini sono perfettamente reciprocabili; non è un caso che sjmbo/on dal III secolo a.C. al III d.C. sia attestato anche nel senso di "ricevuta", talvolta redatta in duplice copia: le due parti hanno, per cosi dire, lo stesso valore. Questo aspetto etimologico è presente neli'uso che in particolare Aristotele fa dell'espressione sjmbolon nel De interpreta/ione: i nomi �ono simboli degli stati d'animo nel preciso senso che si realizza, previo un accordo (synth�k�), un combaciare perfetto tra di loro e una perfetta intercam­ biabilità, che garantisce la correttezza del nome stesso (Be­ lardi 1975: 199). In quanto sjmbolon, il nome non è più d�loma ("rivela­ zione"), come lo era per Platone: in Aristotele il nome è "suono della voce significativo per convenzione" (phon� s�­ mantik� katà synth�k�n) (De int., 16 a, 19). Questo marca il passaggio da una linguistica che conservava un carattere semiotico, come quella platonica, a una linguistica che non parla più di segni e che è intrinsecamente non semiotica. Mentre per Platone le espressioni linguistiche erano segni che "rivelano" qualcosa di non percepibile (l'essenza del­ l'oggetto o la djnamis), per Aristotele esse sono simboli che stabiliscono convenzionalmente una pura relazione di equivalenztr tra i due correlati, senza alcuna preoccupazio­ ne che l'un termine "riveli" l'altro. 5 . l . 3 Il linguaggio degli animali Del resto, l'opposizione convenzionalelnaturale6 permet­ te di distinguere anche tra il linguaggio umano e i suoni emessi dagli animali,7 questi ultimi essendo, per altro, ugualmente (i) vocali e (ii) interpretabili. Già la nozione di "voce" (phon�) presenta alcune interes-  5. 1 TEORIA DEL LINGUAGGIO E DEL SEGNO 1 1 1 santi particolarità. Nel De anima si dice che un suono può essere definito una "voce" quando: (i) sia emesso da un es­ sere animato (II, 420 b, 5); (ii) sia dotato di significato (s�­ mantik6s) (Il, 420 b, 29-33). Ora, i suoni emessi dagli ani­ mali, per quanto definiti ps6phoi (''rumori"), hanno tutta­ via le due precedenti caratteristiche. Ciò che li distingue dalle voci emesse dagli uomini sono due fattori: (i) non sono convenzionali (e di conseguenza non possono essere né simboli né nomi), ma sono "per na­ tura" (De int., 16 a, 26-30); (ii) sono agrammatoi, cioè "inarticolabili" o "non combinabili" (ibidem, e Po�t., 1456 b, 22-24). La nozione di "combinabilità", del resto, come mostra Morpurgo-Tagliabue (1967: 33 e sgg.), è al centro stesso del carattere di semanticità del linguaggio umano, i cui suoni semplici (adiafretoi, "invisibili") possono articolarsi in uni­ tà più grandi dotate di significato.8 Gli animali, invece, emettono solo suoni indivisibili, ma non combinabili (Po�t., 1465 b, 22-24). Si possono illustrare riassuntivamente i caratteri del lin­ guaggio umano in contrapposizione ai suoni emessi dagli animali, attraverso il seguente schema: linguaggio umano - per convenzione - elementi indivisibili combi- nabili e elementi divisibili - lettere - elementi dotati di signifi- cato - simboli - nomi suoni degli animali - per natura - elementi indivisibili non combinabili - non lettere - elementi che rivelano (d�- loflsl) qualcosa - non simboli - non nomi Si deve rilevare, tra l'altro, che la semanticità dei suoni emessi dagli animali è espressa dal verbo d�lofìsi (''rivela­ no", De int., 16 a, 28), fatto che conferma l'idea che per Aristotele, quando non sia in gioco la convenzione, come nel caso del linguaggio degli animali, torna di nuovo in pri­ mo piano il carattere semiotico d'una espressione. I suoni degli animali sono sintomi che rivelano la loro causa.

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